L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA (1861-1918)

Page 1



STATO MAGGIORE DELL ' ESERCITO UFFICIO STORICO

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA (1861-1918)


PROPRIETA' LETTERARIA Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione.

© BY UFFICIO STORICO SME - ROMA 1980

Tipografia Regionale - Roma - H)8o


PREFAZIONE


D aiL'B al '3 ottobre 1967. a cura della Società degli stono italiani, si tem1e a Perugia il primo Congres.ro nazionale di scienze sto1·iche con lo scopo di valutare la produzione scientifica italiana, a partire dal 194 5· in tutti i settori della storiografia. Il Congresso, cl1e, come ebbero ad affermare i Professori Franco l'alsecclzi e Giuseppe Martin i, serr•r effettit·amente a tracciare " un panorama vasto ed approfondito di tutta la cultura storica italiana dal dopoguerra in poi, delle sue difficoltà e dei suoi sforzi, dei suoi metodi e dei suoi significati, delle me conquiste e delle we speranze '', si occupò anche - nell'ambito della storia contemporanea - della storia militare. Orbene, sia nella puntuale e lucida relazione presentata dal Piero Pieri sia negli ÙJteressanti interz1enti successivi di numerosi e validi studiosi (Luigi Mondini, Raimondo Luraghi, Giangiacomo Musso, Giorgio Rochat, Alberto Monticone ), la constatazione principale fu che condizione irrinunciabile per l'incremento degli studi di storia militare fosse una più approfondìt(f collaborazione tra storici militari e storici civili, con consegumte scambio ed at't•icinamento dei rispettit'i punti di vista: l'esperienza tecnica dei primi si sarebbe così armonizzata con fa preparazione metodologica dei secondi, datJdo vita ad un tipo di storiografia priva dei limiti di un tempo. La storia militare, si osservò ancora durante il Congresso . non poter·a più essere concepita e valutata isolatamente, come r•oleva una radicata tradizione di rma pm·a narrazione di campagne e di guerre, ma andava inserita nel più vasto contesto politico, economico e sociale di uno stato moderno. Tutti i congressisti fm·ono del resto d'accordo sulla comtatazione clze non esistono c• storie speciali n, ausiliarie o complementari della <( storia generate •>, ma che tutte le disciplit1e hanno uguale dignità quando adeguatamente e correttamente imerite in una prospettit•a storica generale. Le speranze nate a Perugia si concretarono due anni dopo a Roma, dot'c fu tenuto il Primo Convegno di Storia Militare con la partecipazione degli Uffici Storici delle tre Forze Armate e di numerosi studiosi civili, contJegno t/eramente fecondo per una effettiva nuova definizimze concettuale e metodologica della storia militare e per la caduta di qualsiasi barriera psicologica ad una positiva collaborazio1le tra studiosi di estrazione militare e di estrazione civile.


Da allora ad oggi molto è stato realizzato: i documenti con~ serf!ati negli archivi degli Uffici Storici sono facilmente consultabili; il numero dei docenti di storia contemporanea che si occupano di storia militare si è accresciuto e non rappresentano più un'eccezione gli studenti che scelgono per la loro tesi di laurea argomenti di carattere militare; un recente decreto del Presidente della Repubblica ha inserùo neLL'ordinamento didattico del corso di studi per il comeguimento della laurea in storia, indirizzo moderno e indirizzo contemporaneo, l'insegnamento della storia e tecnica militare tra quelli complementari; presso alcune Università sono state istituite cattedre di storia militare. La pubblicazione del t1olume « L'Esercito italiano dall'Unità alfa Grande Guerra >>, sottolinea la tlolontà dello Stato Maggiore dell'Esercito di consolidare la collaborazione tra studiosi militari e civili. L'opet·a raccoglie, infatti, quattordici saggi, alcuni inediti ed altri apparsi in riviste specializzate, di dodici diversi autori (otto civili e quattro militari) di differente scuola metodologica e di r;an·a impostazione culturale. Molteplici e vari gli argomenti trattati, che si integrano tuttavia armonicamente fra loro per costituire una compiuta sto1·ia dell'Esercito italiano dal 1861 al 1918, dalla ma costituzione, cioè, alla t'ittoriosa conclusione del primo conflitto mondiale. Come sono diverse le impostazioni metodologiche dei vat"i autori cosi sotw diversi i risultati raggiunti - anche perché, come è forse superfluo aggiungere, ognuno ha avuto la più ampia libertà di trattare il proprio argomento nel modo ritenuto migliot·e - ma, nell'insieme, essi confe1·mano la necessità di una stretta ed affiatata collaborazione nel campo della storiografia militare fra studiosi di differente formazione, purché animati da un uguale spirito di ricerca e da t-ma stessa fede nella verità. Lo Stato Maggiore dell'Esercito confida che questo concreto esempio di effettÙ;a collaborazione sia fecondo di risultati e possa essere seguito da altre realizzazioni. IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'EsERCITO



SOMMAR IO

Prefazione

Pag.

3

))

9

)\

49

MASSIMO MAZZETTI:

Dagli eserciti pre- unitari all'esercito italiano . VINCENZO GALLINARJ:

I primi quindici anni FORTUNATO MINNITI:

Esercito e politica da Porta Pia alla Triplice Alleanza

))

89

MASSIMO MAZZETTI :

l piani di guerra contro l'Austria dal 1866 alla prima guerra mondiale .

))

1 59

SALVATORE ARMANDO BELLASSAI:

Da Assab ad Adua

))

183

))

219

))

2 45

\)

2~ ~

))

27r

))

32 7

DOMENICO DE NAPOLI:

il caso Ranzi ed il modernismo militare . MASSIMO MAZZETTI:

L'esercito tJel periodo giolittiano ( l 900 - l 9<J8) . RINALDO CRUCCU:

L'esercito nel periodo giolittiano ( 1909 - I 914)

)/

FRANCESCO MALGERI:

La campagna di Libia ( 191 I- 19I2) LUIGI MONDINI :

La prepamzione dell'ese1·cito e lo sforzo militare nella prtma guerra mondtale


8

L'ESERCITO lTALl i\NO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861 - 1918)

ORESTE BOVIO:

Le operazioni dell'esercito nella pmna guerra mondiale .

Pag. 363

AKTONELLO F. M. BIAGI!'\I:

l militari e la politica italiaua nei Balcani ( 18751912) PIERO DEL NEGRO:

La let•a militare dall'Unità alla Grande Guerra LUIGI DE ROSA:

Incidenza delle spese militari sullo sviluppo ecotlOml<·o italia11o

* * "' Indice dei nomt di persona .

)) 393


I. MASSIMO MAZZETTI

DAGLI ESERCITI PRE- UNITARI ALL'ESERCITO ITALIANO



MASSIMO

MAZZETTI

dell'Università di Salerno

DAGLI ESERCITI PRE- UNITARI ALL'ESERCITO ITALIANO*

Il 4 maggio 1861 l'Armata sarda assunse la denominazione di esercito italiano : dovevano, però, passare altri tre anni perché nel nuovo organismo il processo di assestamento successivo all'unità, avesse termine ed un altro non breve periodo di tempo per far sì che, annesse Venezia e Roma, con l'ordinamento Ricotti attuato tra il 1871 ed il 1873, cessasse l'era delle tumultuose trasformazioni organiche per il nuovo esercito. Se l'unità nazionale, quindi, fu rapidamente raggjunta, il processo di organizzazione del nuovo Stato, tra l'altro in conseguenza di questa celere unione, fu molto più lento e ciò valse anche per l'esercito, nonostante la provata solidità dell'armata sarda. Non sarà privo di interesse esaminare il formarsi dell'esercito italiano con particolare riguardo ai quadri. La situazione dei vari eserciti italiani nel 1859, fatta eccezione di quello austriaco, era la seguente : Corpi

Parma

Modena

Toscana

Stato Pontificio

Napoli

fanteria bersaglieri cavalleria artiglieria genio pionieri treno d'arm. gendarm . corpi div. totali

2-}32

2.5)00

6.745

9· 074

54·056

6oo

7·3W

---- -

668 I2I

53°

148

5ss

11

3

2 39

r.864

Soo

j .22j

2.823 l-936 372 3o6

194

3-290

4·275

1.850 250 11.616

4·700

4·~3

I.j20

10.030 88.162 (1)

J6.894

* Saggio pubblicato nella Rassegr1a Storica del Risorgimento, anno LIX, fascicolo IV, ottobre- dicembre 1972. (1) Ministero della guerra, Direzione generale delle leve bassa forza e matricola, Relazione al Sig. Ministro della Guerra sulle leve eseguite in Italia


I 2

L .ESERCITO IT.ILJ.Il'O 0.\LL'UNITÀ ,\LLA GR \t'UE CL F.RR.\ ( 1861 • 1918)

Per quanto concerne invece l'Armata sarda la sua forza, al 31 gennaio 1859, era la seguente:

Corpi

fanteria bersaglieri cavalleria artiglieria genio treno d'armata corpi diversi istituti milit. carabinieri corpi sedentari

uffici .. Ji

1

·'547 1 97

306 237 114 29 274 69 107 265

truppa prc~cntc

26.894

3·558 4·909 4-320 I.099

627 1.341 6)2

ri'>crve

23.207 4-0t8 2.006 2.461 1.137 656 922

3-645 r.63r

totale delle truppe

)O. IO!

7·576 6.91'5 6.781 2.236

q84 2.263

6s2 3-645 r.671 (2)

Si trattava di una forza che, in caso di mobilitazione, avrebbe dovuto comprendere 3· 195 ufficiali (i 3·135 elencati nel prospetto più 6o ufficiali assenti) (3) e 83.201 uomini di truppa. in realtà, tali previsioni erano troppo ottimistiche poiché solo con l'aff1uenza in Piemonte di circa u .ooo volontari nei primi mesi del 1859 (4) la forza totale dell'esercito di campagna al 15 aprile, si avvicina a quella in organico: fanteria : ufficiali 1.569, truppa 49·741; bersaglieri : ufficiali 2 r6, gregari 7-399; cavalleria: ufficiali 319, gregari 5.903; artiglieria: ufficiali 252, soldati 7.197; genio, treno d'armata, battaglione d'amministrazione: ufficiali 1 rr, gregari 4.641; totale: 2.487 ufficiali e 74.881 soldati (5). dalle annessioni de/te z•arie province al 30 .<ettembre 1863 (a cura del gen. FEDERICO ToRRE), Torino, 1864, pp. 14 - 16. Le relazioni del Torre sulla leva dal 1863 in poi si succederanno regolarmente una ogni anno; pertanto noi le indicheremo con il nome dell'autore e con l'indicazione dell'anno a cui si riferiscono. (2) F . ToRRE, op. cit., pp. 404-405. (3) Ministero della guerra, Direzione generale delle armi d i fanteria e cavalleria, Relazion<- al sig. Ministro della Guerra intorno agli aumenti <'

diminuzioni vcrificatisi nel p<-rscmale degli uffiziali d.-Il' esercito italiano dal!t:: annessioni delle vane province al ]I dicembre 1864, a cura del gen. C.\RLO Torino, 186;, p. II . (4) F. T oRRE, op. àe., p. x6. (5) Co~tANOO nEL coRPO Dt STATO MAGGIORE, UFFICIO STORICO, LA guerra

GlBBO~E,

del 1859 per l'indipendenza d'ltalia, Roma, 1910- 1912, vol. I, doc. p. 137 (citato da qui in avanti come Relazione Ufficiale 1859).


DA(;U

ESERCITI

13 ------ -- - - - - - - -----=-

PRE- L:l"ITARI

ALL.ESf.RCJTO

ITAliANO

Riguardo alla provenienza dei quadri, giova ricordare che, oltre ai Piemontesi, prestavano servizio, a seguito degli avvenimenti del 1848- 49, numerosi ufficiali provenienti dalle varie regioni italiane. Ancor prima del 1859 molti di questi avevano raggiunto gradi elevati neJl'esercito sardo: infatti l nella spedizione in Crimea, tre delle cinque brigate inviate dal governo di Torino erano al comando di non Piemontesi (Fanti, Ciaidini, Gabrielli di Montevecchia). Nonostante ciò, l'assimilazione degli ufficiali di altra provenienza non era stata senza contrasti, in special modo per quanto riguarda i Lombardi il cui comportamento, anche a seguito dell'azione del Ramorino a Novara, non veniva sempre compreso dai disciplinatissimi e leali ufficiali sardi. A conseguenza di tutto ciò, (( nel periodo dal '49 al '54 non pochi di essi si sentirono chiamare strangé e si sentirono dire: Vui, dopo tutt, i l'ave tmdì el t'ost lmperatur )) . Questa testimonianza sulla situazione degli ufficiali lombardi è resa da De Bono che aggiunge: (( Questa non è favola, perché se lo senti dire mio padre >> (6). L'elemento piemontese era comunque di gran lunga predominante : in esso numerosi erano i provenienti dai sottufficiali, a cui si era fatto largamente ricorso nel 1849 per ottenere i 2.000 nuovi ufficiali necessari alla costituzione delle nuove unità con l'apporto delle quali si sperava di capovolgere il risultato della battaglia di Custoza. Il contributo dei sottufficiali, alla costituzione dei quadri dell'esercito, trovò pieno riconoscimento con la legge sull'avanzamento del 13 novembre 1853, che riservava loro un terzo dei posti tra i sottotenenti promossi ogni anno. Nel 1859, comunque, l'assieme dell'ufficialità dell'armata sarda si presentava come un complesso sufficientemente armonico che non mancò di dare buona prova di sé. Gli avvenimenti del 1859 sono noti. Ci limiteremo, quindi, a ricordare qui la loro influenza sulle compagini dei vari eserciti. L'esercito piemontese fu tra il giugno e il luglio, rinforzato da altri 10.000 volontari e da 23.000 richiamati appartenenti alle seconde categorie. Dopo l'armistizio di Villafranca furono, però, congedati i 21.ooo volontari e 12.000 soldati che avevano ultimato la ferma. Sul finire dell'ar.no l'esercito veniva nuovamente rimpinguato dalle nuove leve piemontesi. Cominciavano a giungere i Lombardi congedati dall'esercito austriaco, alcune classi dei quali furono inviate in congedo, altre trattenute in servizio. La consegna di questo personale da parte dell'Austria fu molto lenta, nel marzo del 186o (6) E. DE BoNO, Nell'esercito nostro prima della gue,.,·a, Milano, 193r, p. 21.


I4

L•.ESERClTO ITALlANO DALL'UNITÀ ALLA GRA:-IDE GUERRA ( 1861 - 19r8)

non era ancora ultimata; infatti) su un totale generale di 45.509 uomini di truppa restituiti, ne furono trattenuti in servizio, nell'armata sarda, 37·476; di questi agli inizi di marzo solo 23.902 avevano potuto raggiungere le nuove destinazioni (7). Alla data del 29 febbraio r86o ]a forza totale dell'esercito assommava a I27·577 uomini (8). A questo considerevole aumento della forza aveva necessariamente fatto riscontro un aumento dei quadri i quali erano stati reclutati nel modo seguente: provenienti ~

dall'ese;cito austriaco

r8 31 1 57

.

1 dalle truppe parmens1

richiamati dal riposo ufficiali che avevano servito nei dragoni lombardi nel 1849 sottotenenti provenienti dagli istituti militari o dai souuffìciali totale

II

1.812 2.029 (9)

Come si vede il numero maggiore era costttUlto dai nuovi sottotenenti) per ottenere una considerevole cifra dei quali erano stati istituiti corsi suppletivi dell'accademia militare di Ivrea, ed a Novara nuovi corsi) aperti anche a sottufficiali, caporali e soldati. Inoltre era stata modificata la legge sull'avanzamento col decreto del 14 giugno 1859· Va precisato inoltre che questi dati non si riferiscono ai corpi dei Cacciatori delle Alpi e Cacciatori degli Appennint i cui ufficiali) quando non provenienti dall'esercito sardo, erano destinati in origine ad essere dimessi assieme ai volontari allo scioglimento del corpo. Nei tredici mesi, tra il 31 gennaio 1859 ed il I" marzo r86o, il corpo ufficiali aveva subito le seguenti diminuzioni: dispensati volontariamente dal servizio collocati a riposo, riformati, rimossi morti totale

J 12

La forza totale dei quadri dell'esercito, al r" marzo 186o, era quindi di 4·990 ufficiali (IO). (7) Per i dati sulle variazioni dell'esercito sardo, F. ToRRE, op. cit., pp. 17- 20. (8) F . BAvA BEcCARrs, L'esercito italiano, Roma, r9rr, p. 38. (9) C. GtBBoNE, op. cit., p. 1!. (ro) Ibidem.


DAGLI

ESERCITI

Pl\E- U:-IIT.'\RI

1

!1LL ESERCITO

ITALIANO

L'esercito estense dopo essersi battuto ripetutamente e vittoriosamente contro i Cacciatori della Magra del gen. Ribotti (un corpo di volontari che da Massa Carrara cercava di raggiungere la pianura padana) a seguito delle vittorie franco- piemontesi in Lombardia, era stato costretto a ripiegare su Mantova dove era giunto praticamente al completo (3.623 uomini, 229 cavalli e 4 pezzi) (n). Queste truppe avevano continuato la campagna inquadrate nel X corpo austriaco. L'esercito del ducato di Parma, invece, dopo un breve travaglio, in cui alcuni ufficiali avevano chiesto di combattere contro l'Austria, essendosi, il 9 giugno, definitivamente allontanata la Duchessa, aveva preso la via di Mantova per unirsi agli imperiali. Il movimento fu, però, arrestato a Guastalla dalla notizia che la Duchessa, partendo, aveva sciolto le truppe da giuramento di fedeltà; mentre gli artiglieri proseguirono in buona parte il cammino per raggiungere la brigata estense, le altre truppe rientrarono a Parma dove, in maggioranza, passarono alle dipendenze del governo provvisorio, mentre alcuni ufficiali entrarono direttamente a far parte dell'armata sarda. Frattanto in Toscana, dopo il pronunciamento del 26-27 aprile, che aveva costretto il Granduca ad abbandonare lo Stato, l'esercito, passato al comando del generale napoletano Ulloa, che, per la verità, non brillò certo per decisione (12), costituì una divisione attiva che cooperò con il V corpo francese e dopo l'armistizio restò in Emilia su richiesta dei governi provvisori per impedire un ritorno offensivo delle truppe estensi. L'n giugno, frattanto, gli Austriaci avevano richiamato i loro presidi dalle Romagne e, mentre le truppe pontificie ripiegavano verso le Marche, il 12 giugno Bologna proclamava la dittatura di Vittorio Emanuele ed il governo provvisorio si metteva alacremente all'opera per raccogliere uomini ed armi, compito non certo facile se si considera che, all'inizio, non erano disponibili che uno squadrone di dragoni defezionati dall'esercito pontificio (destinati a divenire il nucleo del reggimento « Vittorio Emanuele >>) e parte degli 8oo uomini che avevano disertato il 2 ° reggimento della fanteria papale. In realtà, allorché, repressa nel sangue la rivolta di Perugia, le truppe pontificie si affacciarono mi(u) Vi era stata qualche trascurabile defezione nella truppa attiva e le dimissioni di quattro ufficiali (su 179). Sulle vicende dell'esercito estense vedi anche : L. MoNT>INI, L'unificazione delle forze armate, in Atti del XL congresso per la storia, del Risorgimento, Roma, 1<}62. (12) Sull'operato di Ulloa vedi il giudizio pesantemente negativo in A. GuARNIERl, Otto anni di .;toria militare Ì1J Italia ( 1859- E866 ), Firenze, 1868, p. 2)8.


nacciosamente ai nuovi confini, non fu possibile al governo provvisorio che mobilitare due colonne di poco più di mille uomini ciascuna, al comando del geo. Roselli, l'ex comandante delle truppe della Repubblica Romana del 1849· ln questa critica situazione il comando dell'esercito sardo ordinò alle truppe costituite nel frattempo in Toscana, dal geo. Mezzacapo, di passare in Romagna, inviando al contempo i quadri ufficiali e sottufficiali con cui si stava organizzando in Piemonte una brigata di volontari, affinché si provvedesse al sollecito inquadramento dei giovani romagnoli. Le truppe del gen. Mezzacapo erano state costituite da questo \'alentc ufficiale meridionale subito dopo il pronunciamento toscano. con volontari provenienti dalle Marche, dall'Umbria e dalle Romagne attorno ai due depositi di Marradi (presso il confine romagnolo) e di Arezzo. Se l'affluenza di gregari fu tale da permettere la costituzione, entro il 17 giugno, di 4 reggimenti, non altrettanto felice era la situazione dei quadri. Infatti << gli ufficiali furono attinti un po' dappertutto: dagli Stati sardi, dai Ducati, dallo Stato pontificio, dal Veneto, da una legione anglo- italiana. che, formatasi a Torino durante la guerra di Crimea, si era poi trasferita a Malta, e da ex- ufficiali dei Corpi Franchi del r848 >> (r3). Con tutto ciò il r" reggimento aveva il 26 maggio 22 ufficiali in luogo degli 8o previsti nell'organico sardo ( 14) e, al momento della costituzione del 4" reggimento, vi era gran penuria di ufficiali già negli altri tre (15). Nel mese d'agosto 1859 venne costituita la Lega tra la Toscana. le Romagne, Parma e Modena per impedire il ritorno dei vecchi principi, ritorno che ai termini degli accordi di Villafranca, era possibile, se non probabile. Il 29 di quello stesso mese giunse a Modena Manfredo Fanti; veniva ora, dopo un breve periodo di reggenza di Garibaldi, ad assumere il comando degli eserciti della Lega. Nel momento in cui il Fanti assumeva il comando degli eserciti tosco- emiliani la situazione di queste forze armate era quanto mai diversa. La Toscana, il cui ministero della guerra era rapidamente passato attraverso varie mani fino a giungere in quelle del colonnello piemontese Raffaele Cadorna, organizzò, sia pure non senza intralci e contrattempi, attorno al nucleo pressoché intatto ed efficiente del suo esercito, il potenziamento delle proprie forze armate che al momento della fusione comprendevano 4 brigate di fanteria, tre (13) V. GIGUO. l/ Risorgimento nelle sue fast di guer-ra , Milano, 1948, vol. I, p. 283. (14) Relazione Ufficiale 1859, vol. I doc., p. 90· (15) F. BAVA BF.CCARIS. op. cit., p. 34·


nAGL I

ESERCITI l'RE · UK!TARI

ALL'ESERCITO

ITALIA:-.10

I]

battaolioni bersaglieri, un reggimento d'artiglieria da campagna, un

reggi~ento d'artiglieria da piazza, due reggimenti di cavalleria ed altri elementi vari. Si trattava nell'insieme di un complesso di elementi abbastanza armonici, sviluppati attorno ad un buon nucleo iniziale la cui composizione non era stata seriamente alterata dai pochissimi ufficiali piemontesi che vi erano stati inseriti, dal richiamo alle bandiere di pochi superstiti del 1848 o dai provenienti dalla vita civile. Senza dubbio, si erano trovati a proprio agio gli allievi degli ultimi tre corsi del Liceo militare di Firenze nominati in via eccezionale sottotenenti ed i vecchi sottufficiali promossi al rango superiore. Diversa invece era la situazione dell'esercito della Lega emiliana; esso infatti era composto da elementi delle più disparate provenienze. Eccone l'organico sul fini re del 186o: Brigara Ravenna Brigata Forlì Brigata Bologna Brigata Modena Brigata Ferrara Brigata Parma Brigata Reggio Sei battaglioni bersaglieri Lanceri Vittorio Emanuele Ussari di Piacenza 9 batterie da campagna

due rgt. delle truppe del gen. Mezz.acapo; idem; con quadri piemontesi; già Cacciatori della Magra : già Colonna Roselli; già truppe parmensi più due compagnie rgt. Rea) Navi piemontese; di nuova formazione; il cui nucleo era costituito da dragoni e gendarmi ex pontifici; con tluadri ungheresi;

9 compagnie da piazza (16).

Si trattava quindi di truppe con quadri delle pm vane provenienze e in cui si trovavano alcuni elementi venuti dall'esercito piemontese e dai Cacciatori delle Alpi, ma in numero non certo molto rilevante. Si consideri, infatti, che i dimissionati dall'esercito sardo nel periodo che stiamo considerando, furono in tutto 69, numero che comprende sia coloro che effettivamente abbandonarono le armi, sia quelli che passarono nell'esercito emiliano, sia alcuni che entrarono a far parte delle truppe toscane. Per quanto riguarda i Cacciatori delle Alpi, poi, se è vero che molti dei loro ufficiali seguirono Garibaldi nella nuova destinazione, (r6) Per i dati sulle truppe emiliane cfr. A. GuARNIERI, op. cit ., pp. 266267 e F . BAVA BEcC.- \Ris, op. cit., p. 35· 2.


18

t'ESERCITO IT.\1 1.\NO

0.\LL.UNIT.~ .~LL.\ GRAt\Df. GIJEJI.R\ (1861 - 1918)

è da dire che, con ogni probabilità il loro numero fu inferiore a quello che comunemente si crede visto che nel 186o, quando la brigata entrò a far parte dell'esercito regolare, disponeva ancora, assieme al battaglione bersaglieri di Valtellina, di 166 ufficiali (17). E' più che probabile che tutti i sottufficiali inviati ad inquadrare la brigata Bologna siano stati promossi, ma questo certo non soppcriva al fabbisogno come non sopperiva alle impellenti necessità la scuola militare istituita a Modena, alla quale, tra l'altro, occorreva un po' di tempo per funzionare pienamente. D'altronde l'esercito sardo impegnato esso stesso ad ampliare i propri organici. non poteva fornire un numero elevato di buoni quadri per cui, in un primo tempo, l'elemento necessario « si ritrasse da quelle schiere di patrioti che negli anni 1848 e '49 avevano servito i governi della Repubblica veneta e romana. Ripristinati nel grado originario e più spesso in grado superiore supplirono ai più urgenti bisogni e primeggiarono in quel periodo di tempo nel quale i tre governi dell'Emilia stavan divisi fra loro. Ma giunto Fanti al potere egli ebbe in mira speciale di rimpiazzare l'elemento rivoluzionario coll'elemento regolare, il quale non potea trarsi che dal Piemonte. Si videro allora uffìziali giubilati, sospesi, dimissionari, accorrere in gran numero, e passare dalle bandiere dell'uno esercito in quelle dell'altro, attenendovi, a motivo dell'urgente necessità, soverchie e sproporzionate promozioni. Come era naturale, non fu la parte più eletta degli uffìziali sardi che affluì nell'Emilia, ma invece la più scadente tanto più che La Marmora, che non aveva nessuna fede nelle annessioni, sospingeva ad accorrervi tutti coloro cui li premeva di sbarazzarsi. Onde è che malgrado gli sforzi ripetuti del Fanti, non si potrà mai dire che si fosse giunti ad ottenere una buona armata, ma solo un amalgama in cui bisognava molto e molto correggere ed amputare appena il destro ne capitasse>> (18). Quelito giudizio del Guarnieri era forse eccessivo, ma certo tutto si può dire tranne che l'esercito emiliano si presentasse come un'entità armonica. D'altro canto bisognerà pur considerare che Fanti, per inquadrare le nuove unità. poteva disporre, come elementi provenienti da eserciti regolari, solo di un centinaio di ufficiali parmensi (19), di alcuni piemontesi ,

l

l-

l

il

!

(17) C. GIBBOt<E, op. cit .. p. 51. (18) A. GuAR'IIERI, op. cit., p. 268. (19) n tocale degli ufficiali parmensi prima del t8)9 era di 199 di cui 31 entrarono a far parte dell'esercito piemontese già in quell'anno; altri 70 aderirono solo dopo l'annessione. All'esercito emiliano non erano rimasti, quindi, che un centinaio di ufficiali al massimo.


DAGLI

ESERCITI

rRE- UNITARI

i\LL,ESER<.:ITO

----- - - - -- -- - - -- - - -

IT\l.l i\!'.0

19

di pochi provenienti dalle truppe pontificie e di pochissimi ex ufficiali estensi (20) a cui era da aggiungere qualcht: ufficiale prO\·eniente dalla brigata dei Cacciatori delle Alpi che se non era una formazione regolare aveva però dato buona prova di sé; in totale 200 ufficiali al massimo. Né poteva bastare la promozione di sottufficiali piemontesi o parmensi (21) a .far fronte al fabbisogno; fu quindi giocoforza ricorrere ai più disparati elementi. Anche il giudizio del Corsi, che pure apparteneva alle truppe toscane, non era troppo lusing hiero per l'ufficialità degli eserciti della Lega, in particolare per quello emiliano: " Li ufficiali toscani erano la maggior parte degni di stare alla pari con quelli dell'esercito sardo- lombardo, ma per effetto delle promozioni avvenute tra il maggio del '59 e il marzo del '6o, non pochi di loro avevano sorpassato nei gradi parecchi di quelli, assai più di loro maturi d'età, d'esperienza, di servizio militare e di anzianità d'ufficiale, di nota capacità, di sperimentato valore, ecc. I rimanenti erano sottufficiali vestiti da ufficiali o vo~on­ tari di ieri, cui mancava nove su dieci di quanto richiedasi per buoni ufficiali. Quelli poi delle milizie emiliane quasi tutti avevano fatto carriera a t'apore, alcuni erano diventati capitani. maggiori, colonnelli, di primo lancio, senza essere mai stati soldati, oppure avevano servito già molti anni prima come sottufficiali o ufficiali subalterni. e Dio sa di quali milizie, o come guardie del corpo di qualche sovrano, altri avevano sì militato parecchi anni nelle truppe regolari sia dell'Austria, sia di Parma o di Modena, sia del Papa, sia dello stesso Piemonte, ma ora avevano fatto ad un tratto un salto dì uno, due, tre gradi. Non parlo di quelli che venivano per dritta linea dalle milizie venete o romane del '48 e '49 e simili, e tantomeno poi degli altri, che per qualsivoglia motivo, non erano degni di vestire la divisa di ufficiale. Questi ultimi dovevano essere licenziati, c lo furono infatti o prima o poi, ma gli altri rutti, toscani ed emiliani, furono an1messi e confermati nell'esercito italiano coi loro gradi e la loro anzianità, per lo che si videro sgambatc e salti di un effetto meraviglioso, che potevano andar d'accordo con mille, tra buone e cattive ragioni politiche, ma nemmeno con una discreta ragione militare » (22).

(2o) Si ricordi che gli ufficiali estensi che avevano abbandonato il loro esercito erano in tutto 4· (21) F. CA.RAKDJ'-~1, Manfredo Fanti generale d'armata, Verona, 1872,

p. 29Q. (22) C. CoRsi, 1844- 1869 - venticinque anni in Italia, Firenze, 1870, vol. Il, p. 13.


20

!.'ESERCITO ITALIANO DAtL'U~ITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(t86t - 1918)

A parte ciò, quando nel marzo r86o le truppe della Lega entrarono a far parte dell'esercito sardo, la forza delle varie armate era la seguente: Corpi

fanteria bersaglieri cavalleria artiglieria genio treno d'armata carabinieri corpi diversi totali

arrnara sarda

truppe emil.

eser. tosc .

76.264 I T.657 9·401 l l ·931 3-663 2·974 5·431 6.ss6 127.877

19-134

rr.890 1.694 1.233 I-942 35° 313 2.094

3-I~

I.7 1 3 2.429 9I9 129 690 3·309 31.521

939 20·455

totali

J07.288 16·549 12-347 r6.3o2 4·93 2 3-416 8.215 10.8o4 179·853 (23)

Al momento della fusione la situazione dei quadri ufficiali era questa:

ufficiali generali stato maggiore fanteria e bersaglieri cavalleria artiglieria genio treno d'armata stato magg. delle piazze carabinieri invalidi e veterani corpi diversi servizio religioso servizio veter. servi zio medico totali

armara sarda

m1ppe em il.

eser. tosc.

71 48 3.02) 417 353 206 ss 247 147

4 4 829 82

3 17 6o4 70 84

90 52 21 6r r8

25

14 69 66

52

IO

67

2 24

if> 163 40 4·990

9 13

9

li I

6s

l-294

1.062

rotali

78 69 4·458 569 527 283 93 377 231 62 69 129 r8s 216 7·346 (24)

(23) I dati relativi all'armata sarda sono tratti da F . BAVA BEcCARrs, op. cit., p. 38 e si riferiscono alla situazione esistente alla data del 29 febbraio. I dati relativi all'esercito della lega tosco- emiliana sono tratti da F . TORRE,

op. cit., p. 22. (24) C. GIBBONE, op. cit., pp. 45- 47·


L>AGLI

f.SERClTI

l'RE - UNrr.~Rl

ALL'ESERCITO

JTALI AKO

2l

Nonostante il congedo dei Savoiardi e Nizzardi, per l'avvenuta cessione di queste province alla Francia, le leve p1emontesi, lornbarde e toscane più le ultime aliquote di ex appartenenti all'esercito austriaco, restituiti nei mesi successivi, permisero di colmare i vuoti, di congedare gradualmente i volontari tosco- emiliani che non intendevano trattenersi aile armi e di completare gli organici di talune unità di provenienza emiliano- toscana che, al momento dell'annessione, li avevano incompleti. Nella primavera- estate del r86o l'armata sarda comprendeva s6 reggimenti di fanteria, 27 battaglioni bersaglieri, 17 reggimenti di cavalleria, 4 reggimenti d'artiglieria da campagna, 3 da piazza più un reggimento operai sempre d'artiglieria, 2 reggimenti del genio e vari altri elementi (treno, amministrazione ecc.). Per completare l'organizzazione dei nuovi reparti l'esercito dispose, oltre che dei quadri cui facemmo cenno, anche di 484 ufficiali di provenienze diverse e di 82 richiamati dal servizio, ma l'apporto maggiore fu costituito dai sottotenenti, nuovi promossi, provenienti dalle scuole o dai sottufficiali nel numero di 2.265. Le perdite nei quadri dal 1° marzo al 31 dicembre r86o furono notevoli, non tanto per i 70 morti o per i 75 ufficiali riformati, rimossi, revocati o perduti per cause diverse, ma soprattutto per le 449 dimissioni volontarie il cui grande numero è da attribuirsi, da un lato, al fatto che molti ufficiali savoiardi e nizzardi chiesero di passare al servizio della Francia, e, dall'altro, alla decisione di numerosi ufficiali dell'esercito regolare di dare le dimissioni per seguire Garibaldi nella spedizione nell'Italia meridionale (25). La felice conclusione di questa nuova impresa lasciava aperti, tra gli altri numerosi problemi, quello dell'ulteriore utilizzazione dei due eserciti che, fino all'arrivo delle truppe sarde sul teatro dello scontro, si erano contesi la vittoria : l'esercito meridionale garibaldino e quello borbonico. I problemi che si ponevano per lo scioglimento o l'assimilazione di queste forze erano, come vedremo, tra i più seri. Per quanto riguarda l'esercito del regno delle Due Sicilie, il 28 novembre r86o, veniva stabilito che una apposita commissione avrebbe valutato la posizione degli ufficiali che aderissero al nuovo stato di cose dividendoli in varie categorie che possono essere qui riassunte in due, quella di coloro che sarebbero rimasti in servizio e quella comprendente gli ufficiali che, ai termini delle leggi borboniche, avessero o maturato gli anni o fossero nelle condizioni richieste per aspirare ad una pensione. E' chiaro che questa seconda categoria non ebbe influenza sulla formazione dei quadri (z:;) Ibidem , pp. 30-31.


22

t..'ESERCITO lTt\1.1.\NO DAlL\;NITÀ Al..LA GRIINilf. GUf.RRA (r86I • 1918}

dell'esercito italiano; pertanto noi limiteremo la nostra inchiesta alia prima. Per valutare gli ufficiali ex borbonici fu istituita, il 9 dicembre, la commissione composta sia da Piemontesi, sia da ex appartenenti all'esercito delle Due Sicilic. Questa valutò anche ufficiali che avevano fino all'ultimo combattuto sotto le bandiere borboniche; ai fini dell'anzianità di grado fu, però, considerata la situazione quale era il 7 settembre r86o, non si tenne conto, cioè, delle eventuali promozioni ottenute dopo tale data. La commissione espresse parere favorevole all'immissione di 2.31 r ufficiali che furono incorporati nell'esercito italiano (26). Secondo il Molfe!>e « la maggioranza degli scrutinati preferì il collocamento a riposo. oppure venne assegnata alla posizione di aspettativa o al servizio sedentario» (27). Ciò è vero solo in parte sia perché, come abbiamo detto, gli ufficiali da collocare a riposo furono scrutinati separatamente, sia perché i dispensati dal servizio per dimissioni, nel r861, furono, nell'ambito di tutto l'esercito, 227 ed i collocati a riposo 121 (28). E' fuor di dubbio che questi non erano tutti Napoletani; d'altronde quelli collocati in aspettativa furono in grandissima parte riassorbiti negli anni successivi (29). Peraltro è da segnalare che, su 2.31 r ufficiali, 413 facevano parte dello stato maggiore delle piazze e 449 degli invalidi e veterani: si trattava, cioè, di ben 862 appartenenti ai servizi sedentari. Se si considera poi che gli addetti ai servizi religioso, medico e veterinario, erano 363, si può concludere che l'esercito combattente fu rinforzato solo da 1.086 ufficiali provenienti dall'armata napoletana. Se rileviamo poi che i 159 ufficiali garibaldini che ottennero il passaggio nell'esercito regolare, quali ex ufficiali borbonici, erano probabilmente in maggioranza appartenenti a corpi combattenti. la cifra di 1.086 viene ridotta a meno di mille (3o). Se il trattamento usato agli ufficiali servì senza dubbio ad impedire che i quadri dell'esercito borbonico si ponessero alla testa del moto antiunitario, per quanto riguarda i soldati gli avvenimenti presero tutt'altra piega.

.t .;

(26) Per l'esattezza furono ammessi : 5 tenenti generali, 5 magg1on generali, 11 colonnelli, 9 tenenti colonnelli, 65 maggiori, 282 capitani, 516 tenenti, 1.055 sottotenenti, 168 cappellani, 184 medici e u veterinari (C. GtBBON"E, op. àt., p. 48). (27) F. MoLFESE, Storia del brigantaggio dopo l'unità, Milano, 15}66, p. 30. (28) Le perdite del corpo ufficiali nel 1861 furono: 227 dimissionari. 121 collocati a riposo, 15 riformati, 43 revocati e rimossi. 144 morti e 28 perduti per cause diverse per un totale di 578 ufficiali. C. G1sso~E, ()[l· cit., p. 32. (29) C. GrRBONE, ()[J. cit., p. 79· (30) l bidem. p. 48 .


DAGLI

ESERCI1'1

l'RE- UNITARI

.-\LL'.ESER<.:lTO

!T,\LIANO

23

E' opinione comune, sia tra i contemporanei, sia tra gli studiosi, che anche nel caso della truppa dell'esercito delle Due Sicilie le autorità nazionali si siano comportate con larghezza. anzi con eccessiva magnanimità. Infatti il decreto del 20 dicembre r86o richiamava alle armi, secondo le modalità della legge borbonica di reclutamento, tutti gli individui delle leve 1857- r8s8- r859- r86o; i militari non compresi in queste classi venivano considerati in con~edo illimitato. L 'esercito del Regno napoletano, che nel maggio del r86o contava circa 97.000 uomini di truppa, alla fine di quello ~tesso anno si era in grandissima parte disciolto; il nucleo più con'istente di ciò che restava era concentrato attorno a Gaeta per l'estrema difesa della piazza, altre truppe tenevano la Cittadella di Mes!>ina mentre poche centinaia di uomini, appoggiati dalla popolazione, difendevano Civitella del Tronto. Alcune unità sconfinate nello Stato pontificio erano state disarmate e si stavano sciogliendo, mentre 8.ooo soldati borbonici erano stati trasferiti al nord quali progionieri di guerra. Per riutilizzare parte di questo personale, venne emanato il decreto del 20 dicembre. La decisione più volte criticata, di esentare i vecchi soldati, va sottoposta ad un più attento esame. Il Guarnieri, riferendosi a questa esenzione, sostenne che era necessario, per l'esercito italiano, sbarazzarsi dei più anziani elementi della truppa borbonica perché <(corrotti dall'educazione ricevuta» (3r). Può sembrare questa una giustificazione carica di elementi propagandistici, eppure, a quell'epoca, le maggiori autorità militari sarde erano effettivamente di questo parere (32). Il motivo principale di questa decisione fu, però, un altro: Cavour, riferendosi ai vecchi soldati borbonici, scrisse al Farini che si trovava a Napoli: l( Io son certo che un atto di clemenza, la speranza di non più servire, ne faranno degli apostoli di pace, anziché fautori di disordini>>. Commentando ironicamente questa frase il Molfese scrive: (( Infatti i vecchi soldati e graduati borbonici forniranno alle bande di guerriglia la maggior parte dei quadri militari>> (33). I fatti successivi giustificano senza alcun dubbio tale commento; va svolta, però, un'analisi della situazione in cui fu compiuta la scelta dalle autorità nazionali. Il poco entusiasmo dei soldati napo(31) A. G uAR="IERJ , op. cir .• p. 451. (32) In una lettera del Cavour al Farini si legge: " La Marmora mi scrive dichiarandomi che il vecchio soldato napoletano era canaglia di cui era impossibile trarre partito, che corromperebbe i nostri soldati se si metterà in mezzo a loro>>. CAl\TEGGI CAvouR, La libr:razione del Mezzogiorno e la formazione del regno d'Italia, Bologna, 1949> vol. III, p. 354· (33) F. Mou:EsE, op. cit., p. 32.


!etani prigionieri pa il nuovo ordine di cose, era ben noto alle massime autorità militari piemontesi. Il La Marmora se ne era potuto rendere conto di persona durante la visita che fece ad un campo di concentramento (34). In questa situazione le alternative possibili che si ponevano alle alte gararchie militari erano le seguenti: a) si rinunciava, per non provocare ulteriori motivi di malcontento contro lo Stato unitario. alla benché minima utilizzazione del personale dell'ex esercito borbonico creando di fatto una situazione di privilegio, che l'opinione pubblica nazionale non avrebbe compreso, ed ammettendo implicitamente che larga parte della popolazione meridionale era ostile all'Unità; b) si trattenevano alle armi tutti i soldati ex borbonici, ed in tal caso le difficoltà erano anche maggiori. Innanzi tutto il numero degli ex soldati, già appartenenti all'esercito delle Due Sicilie, controllati dai (< Piemontesi >l, era limitato agli 8.ooo prigionieri di guerra ed al corpo <• invalidi e veterani )) di Napoli. Era poi prevedibile che una gran parte dci richiamati, invece di presentarsi, avrebbe ingrossato le bande dei guerriglieri borbonici. Infine la presenza nei reparti di vecchi soldati << napoletani», la cui fedeltà a Francesco II era indubbia, avrebbe impedito il recupero agli ideali unitari dei più giovani e avrebbe costituito un continuo pericolo per la compagine morale e disciplinare delle unità. Le autorità militari nazionali decisero, quindi, di adottare una soluzione mediana, per altro sostanzialmente analoga a quella adottata per i Lombardi ex appartenenti all'esercito austriaco. Questa decisione consisteva nel trattenere gli elementi più giovani che si ritenevano più facilmente recuperabili al nuovo ordine di cose ed eliminare i vecchi troppo legati alla precedente dinastia. D'altronde, se è vero che furono i sottufficiali e i soldati borbonici a dirigere gran parte delle bande, è poco probabile che su ciò abbia potuto influire in modo determinante il decreto del 20 dicembre. I vecchi soldati borbonici. infatti, rimessi in libertà dopo essere stati catturati dalle truppe piemontesi. furono circa 4· 100, per l'esattezza 2.6oo degli 8.ooo prigionieri, già trasferiti in alta Italia, e circa 1.500 dei 4· 100 uomini di truppa che difendevano la Cittadella di Messina (i difensori di Gaeta non poterono essere trattenuti come prigionieri di guerra secondo i termini stessi della capitolazione). E', quindi, assai improbabile che un numero tutto sommato esiguo, rispetto all'entità dell'esercito borbonico, abbia avuto un influsso determinante sul protrarsi della guerriglia antiunitaria. Senza dubbio fu invece la decisione di procedere alla leva a produrre un incremento (34) Cfr. la relazione del La Marmora al Cavour del 18 novembre r86o, in Carteggi Cavour cit., vol. 111, p. 355·


DAGLI

ESI-.RCITI

PRE • UKITARI

ALL.ESERCITO

lL\LIA:-.:0

del numero e dell'efficienza delle bande. Per quanto riguarda gli apporti alle 4 classi richiamate in servizio, l'azione delle autorità militari fu tutt'altro che benevola. E' vero che 5.400 soldati borbonici prigionieri di guerra facenti parte dci contingenti richiamati, furono inviati il 20 marzo in licenza per due mesi; allorché, però, la Cittadella di Messina si arrese, 2.596 membri del presidio appartenenti alle classi 1857- 58- 59- 6o furono inviati (< per evitare perdite di tempo >> direttamente ai corpi e così avvenne anche ai difensori di Civitella (35). Kon altrettanto semplice si rivelò, però, il richiamo degli ex ~o lda ti borbonici che erano tornati alle loro case (come del resto di quelli inviati in licenza). Il termine per la presentazione, fissato in un primo momento (31 gennaio 186o) fu forzatamente prorogato al 1" giugno e in tale data il totale di coloro che si erano presentati non superava i 20.000 (36). Solo successivamente e mediante energici provvedimenti delle autorità locali (37), fu possibile accrescerne il numero. Nonostante tutto ciò il totale dei soldati ex appartenenti all'esercito borbonico, entrati a far parte di quello italiano, era, al 30 settembre r863, di 57·968. Ora, se si considera che di questi 7-328 erano del corpo invalidi e veterani di Tapoli e che circa 2 . 800 erano passati direttamente dal campo di prigionia ai reparti di inquadramento, non si potrà fare a meno di constatare che erano occorsi tre anni per arruolare circa 48.ooo uomini, un risultato tutt'altro che soddisfacente. E' fuor di dubbio che (anche se non la maggioranza) una buona parte dci 41 .ooo soldati ex borbonici che non furono arruolati nell'esercito nazionale era costituita da appartenenti alle classi richiamate. D'altra parte il fenomeno della renitenza alla leva assunse in questo periodo in Italia proporzioni enormi. Secondo i dati ufficiali, tra il marzo 186o e il dicembre 1863, i renitenti in tutto il territorio nazionale furono 59.386 dei quali furono arrestati o si presentarono in tutto 20.86<) per cui alla fine del 1863 le renitenze alla leva erano ancora 38-517 (38). Oltre a ciò l'esercito non fu risparmiato dalle diserzioni che nello stesso periodo ammontano a ben 16.223, molte delle quali con passaggio agli Austriaci (39), il (35) F. ToRRE, op. cit., p. 32. (36) Ibidem, p. 32. (37) Ibidem , pp. 32, 33· (38) Ibidem. pp. 430 e 453· (39) Secondo i dati u fficiali austriaci, ripresi non senza compiacimento dal13 Civiltà Cattolica, nei primi 18 mesi successivi alrunificazione i disertori dell'esercito austriaco passati all'Italia sarebbero stati 121, mentre ben 4.633 soldati italiani passarono al contempo all'Austria (cfr. Civiltà Cattolica 18501945, a cura di G. DE RosA, S. Giovanni Valdarno, 1971, vol. !I, p. 8oo).


26

L'ESERCITO ITALlA~O D.\LL.UNTTÀ \LI.A GR\KOF. CUERR\

(t86r- 19r8)

che è facilmente comprensibile se si considera non solo il modo in cui furono arruolati gli ex soldati borbonici, ma il fatto che in molte province italiane. anche fuori del mezzogiorno, la coscrizione obbligatoria costituiva o una assoluta novità o, pur esistendo in precedenza, difficilmente le operazioni di leva erano state curate con grande rigore. La piena attuazione delle leggi pre- unitarie sulla leva e la progressiva introduzione della legislazione piemontese a tutto il Regno (la legislazione nazionale fu operante per la prima volta nel r863 per la leva dei nati nell'anno 1842) non poterono. quindi. non incontrare grosse resistenze tra la popolazione. La condizione in cui venne a trovarsi l'esercito italiano ancor prima che assumesse la sua nuova denominazione ufficiale, non si può che considerare estremamente critica. La linea di confine con l'Austria era praticamente indifendibile ed un attacco degli imperiali era nel novcro delle possibilità, specie dopo che, nell'ottobre del r86o, l'arciduca Alberto aveva assunto il comando dell'armata d'Italia; di qui la necessità di tenere pronto l'esercito a respingere un'eventuale invasione. Esigenza questa che cozzava con la crescente necessità di impiegare reparti al sud nella lotta contro il << brigantaggio ». Per far fronte a questa grave situazione il 24 gennaio x861, fu promulgato un decreto che prevedeva un ampliamento degli organici dell'esercito per cui esso risultò così composto: corpi

,, i Ì·

; l

'

t'

;

Rgt. granatieri Rgt. fanteria btg. bersaglieri atti\·i btg. bersaglieri deposito Rgt. cavalleria Rgt. artiglieria (operai) Rgt. artiglieria (fortezza) Rgt. artiglieria (campagna) Rgt. artiglieria (ponticri) Rgt. genio Treno d'armata (compagnie)

alla fine del r8(>0

totali

au m. prcv.

2

6

ro

62

9 6 (34 sq.)

36

3 (36 compagnie) 4 (46 batterie)

(18 cp.) ( ,g batt.)

3 (54 cp.) 4 (64 batt.)

(24 compagnie)

(12 cp.)

2

4 52 27

17 (68 squadroni)

6 17 (ro2 sq.)

1

2

20

4

(36 cp.)

24

;

In precedenza i coscritti lombardo- piemontesi erano stati ripartiti indifferentemente nelle nuove unità come nelle vecchie (40) e per le armi speciali (artiglieria e gl!nio) i reparti formati dopo k (40) A. GuARNIERI, op. cit., p. 2)I.


L>AGLl ESERCITI PRE- t;~ITARI

:\!,T.'ESF.RCITO

ITALIANO

annessioni della Toscana e dell'Emilia erano stati costituiti con batterie e compagnie di varia provenienza; tuttavia il grosso delle unità era composto ancora su basi regionali tanto che nella primaveraestate del 1860 « le divisioni andarono a presidiare province diverse da quelle di loro origine; e in tal modo il generale Fanti volle principiar l'opera di fusione dell'esercito e delle varie parti d'Italia così felicemente riunite » ( 4 I). Con i provvedimenti del febbraio 186r, avvenne invece una svolta importante. Per costùuire i nuovi reparti si utilizzarono su vasta scala elementi provenienti dalle unità preesistenti, e ciò mentre i pochi richiamati meridionali venivano inviati d'urgenza al nord per essere sparpagliati fra le varie unità. Quindi il reclutamento su base « nazionale >> si impose alle alte sfere militari, prima che come elemento della politica di unificazione, come una improrogabile necessità. Fu, quindi, questa gravissima crisi a rendere necessario il reclutamento nazionale e non, come è stato recentemente sostenuto (42), la preoccupazione di garantire determinati c<equilibri sociali >> contro organizzazioni di classe che nel 1861 erano ancora di là da venire (43). Non è azzardato definire drammatica la situazione in cui il neonato esercito italiano venne a trovarsi negli anni tra il r86r ed il 1863. Mentre al nord lo stato dei rapporti con l'Austria e la stessa configurazione del confine rendevano necessario tener pronta all'impiego un'aliquota considerevole dell'esersito sulla cui solidità, essendo composta in parte da meridionali recalcitranti, non c'era da far molto affidamento, al sud il dilagare dell'insurrezione anti- unitaria richiedeva un sempre maggiore intervento militare. Nel 1861 nel Mezzogiorno erano impegnati 30 rgt. fanteria, 3 rgt. granatieri, 19 battaglioni bersaglieri, 4 reggimenti di cavalleria e 4·390 carabinieri reali. Nel 1862 queste forze vennero ulteriormente aumentate di 2 reggimenti granatieri, 22 rgt. fanteria, I rgt. cavalleria ed elementi di due reggimenti d'artiglieria. V a tuttavia precisato che non tutti i reggimenti di fanteria erano al completo, alcuni erano rappresentati da un solo battaglione; co(41) F. BAVA BEccluus, op. cit., pp. 40 - 41. (42) G. RocHAT, L 'esercito italiano nell'estate del 1914, 111 Nuova rivista storica, vol. 45 (1<}61), pp. 299 - 301. (43) Che la preoccupazione unitaria sopravanzasse, anche in tempi suc· cessivi, eventuali timori ,< sociali n è provato dal fatto che l'unico corpo a reclutamento regionale dell'esercito italiano, quello degli alpini, costituito nel 1872, era composto da settentrionali, abitanti cioè di regioni che non erano state interessate da movimenti anti- unitari ma in cui si stavano sviluppando i primi movimenti di contestazione sociale.


28

L.ESERCJTO ITAUA'IO 0.\LL' u ~lf.~ ALLA GRA~DE C t'J:RRA

_ __

(1861 - 1918) _:...._...;__

munque su Ho reggimenti di fanteria e granatieri (12 nuovi reggimenti erano stati costituiti in quello stesso anno prelevando unità dai vari corpi), 58 erano presenti, in tutto o in parte, al sud, per un totale di 120.ooo uomini, circa la metà, cioè, dell'intera forza dell'arma di fanteria. ancora più numerosi i bersaglieri (19 btg. su 36). Alla scarsa presenza della cavalleria fu posto riparo l'anno successivo in cui furono inviati, a sostegno delle unità già elencate, altri 5 reggimenti di cavalleria che portarono il numero delle unità montate impiegate al sud, a 10 rgt. su un totale di 17 dell'intero esercito (44). In definitiva, eccezion fatta per le armi di artiglieria e genio (il che è facilmente comprensibile se si considera il tipo di guerra che si stava combattendo), nel 1862-63 circa la metà e senza dubbio la parte più salda moralmente dell'intero esercito italiano, fu impegnata al sud in un « servizio irto di pericoli e privo di gloria » (45). l margini di sicurezza erano per conseguenza assai limitati e l'Unità così fortunosamente raggiunta poteva andare in frantumi al primo serio urto. Con ogni probabilità fu anche la coscienza della situazione di estrema debolezza in cui si trovava la nuova forza armata ad influire sulla risoluzione dei problemi connessi allo scioglimento dell'esercito meridionale garibaldino, nsoluzione che si era trascinata per lungo tempo. Il congedamento dei volontari di Garibaldi presentò una serie di problemi totalmente diversi da quelli che si ponevano per l'esercito delle Due Sicilie. Anche in questo caso le preoccupazioni politiche influenzarono grandemente le decisioni adottate dal governo di Torino. Dello scioglimento dell'eseròto meridionale altri si sono già occupati diffusamente (46); ci limiteremo, quindi, a riassumere la questione per sommi capi. La fermissima determinazione del Cavour di liquidare qualsiasi punto di forza rivoluzionario coincise con analoghe preoccupazioni del Fanti, divenuto ministro della guerra, il quale interpretava fedelmente, peraltro, l'atteggiamento dell'ufficialità dell'esercito. Queste due pressioni, quella del politico e quella dei militari, .finirono per avere ragione delle resistenze di Vittorio Emanuele II, il quale, meno prevenuto contro i volontari, valutava più esattamente quanto fosse modesta nell'insieme la vo-

(44) C. Cr.si\RI, L't'sucito italiano nella repressione ùl brigantaggio (186o -r87o). in Rivista militare, 1917, pp. 9-16 dell'estratto. (45) F. B AVA BECCARis, op. cù., p. 41. (46) Vedi a tal proposito, F. M oLFESE, Lo scioglimento dell'esercito mm· dionale garibaldino ( 1860 - 1861 ), in Nuova rivista storica, IglO, n. I cd anche P. PIERl. Le forze armate nell'età della destra, Milano, r5)62. p. 50 sgg.


DAGLI

ESERCITI

PR.l • lJKITARI

ALL'ESERCITO

11'.\Lli\"-10

lontà rivoluzionaria dell'ufficialità garibaldina, poiché in realtà soprattutto di questa si trattava, al contrario di quanto era accaduto per l 'esercito borbonico, dove il problema principale era costituito dalla truppa. Alcuni studiosi hanno ritenuto che lo scioglimento dell'esercito meridionale garibaldino sia stato, da parte di chi lo volle, un grave errore perché avrebbe fatto venir meno una potente forza repressiva nel momento stesso in cui si scatenava la guerriglia anti- unitaria, il che, per la verità, ci sembra alquanto dubbio. E' assai poco probabile. infatti, che la massa dei volontari avrebbe accettato di buon grado una lotta dura ed estenuante. (< irta di pericoli c priva di gloria \) quale quella che si stava iniziando. In ogni caso, per partecipare alla repressione, le unità garibaldine avrebbero dovuto essere riorganizzate e per far ciò era comunque indispensabile assoggettarne i membri ad una ferma, sia pur breve. Sotto il profilo puramente tecnico, la disposizione del Fanti, secondo cui i volontari potevano scegliere fra il congedo con gratifica o la ferma di due anni, non era certo ingiustificata. Della scarsa disponibilità dei volontari ad impegnarsi nel completamento dell'opera che ritenevano di aver portato a buon punto fa fede la calma con cui i settentrionali (che costituivano quasi la metà dell'esercito garibaldino), accettarono la soluzione che veniva loro proposta; se invece gran parte dei meridionali tumultuò ciò avvenne più per il modo con cui si realizzarono i congedamenti che per l'avvenimento in sé (47). D'altronde lo stesso stato maggiore garibaldino era convinto dell'impossibilità di trattenere a lungo i volontari; il progetto di Sirtori, infatti, per la utilizzazione dell'esercito meridionale prevedeva la costituzione di un corpo d'armata su 5 divisioni che dovevano essere stanziate in varie parti d'Italia (( in modo da funzionare subito come centro di raccolta per tutti i volontari in caso di guerra >> (48). Un progetto, cioè, che dava già implicitamente per scontata la riduzione del corpo volontari in tempi ordinari a poco più che uno scheletro da ampliare rapidamente al momento del bisogno. Il prob.lema, quindi, non riguardava tanto la truppa che, come tutti davano per certo, si sarebbe ben presto dissolta (previ~ sione peraltro non difficile e destinata a verificarsi pienamente visto che i gregari passati dall'esercito meridionale a quello regolare furono in tutto 76 di cui 67 sottufficiali) (49), quanto i quadri. La questione degli ufficiali garibaldini era complicata dal loro grande (47) F . MoLFESE, Lo Icioglimento dell'esercito meridionale cit., p. 17. (48) P. PIERI, op. cit., p. 57· (49) F. ToRRE, op. cit., p. 39·


l·i

'l

30

L'ESERCITO ITALIANO DALL' t:SITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861 - 1918)

numero (7·343 su 45·496 gregari) (50), quanti, cioè, ne totalizzavano l'armata sarda e gli eserciti della Lega tosco- emiliana, che al momento della fusione sommavano 7·346 ufficiali su circa 18o.ooo uomini di truppa. Prescindendo dalle polemiche sul modo in cui venivano distribuiti i gradi nelle unità di volontari e sulla famosa •t caccia ai decreti )) che si scatenò nell'ultimo periodo della dittatura garibaldina, il numero degli ufficiali era senza dubbio enorme soprattutto se posto in relazione alla stessa efficienza operativa dell'esercito meridionale. Infatti, nell'unica grande battaglia campale combattuta durante la conquista del regno di Napoli, quella del Volturno, Garibaldi poté disporre di circa la metà dei gregari del suo esercito (22.574 su 45·496), inquadrati però da meno di un quarto degli ufficiali (r.746 su 7·343) (51). Era evidente che in ogni caso una selezione si imponeva (52) e ciò era indispensabile soprattutto per una forza in formazione come era in quel momento l'esercito italiano, che, per di più, non disponeva di quadri omogenei ed aveva, come abbiamo visto, gravosi compiti da risolvere. Cominciò così J'odìssea degli ufficiali garibaldini. Il comando volontari a Napoli dispensò dal servizio, dopo un primo esame, 2.6o8 ufficiali, mentre una speciale commissione del ministero della t,ruerra, distaccata a Napoli, ne dimise 630. Nello stesso tempo in Sicilia gli ufficiali eliminati o dimissionari furono 997, un totale, cioè, di 4·235· Non deve, quindi, stupire se in questa situazione 159 ufficiali garibaldini preferirono far valere i loro titolì quali ex appartenenti all'esercito del regno delle Due Sicilie per entrare a far parte delle forze armate nazionali. Ai 2.949 ufficiali rimasti fu ordinato di presentarsi_, pena la decadenza, entro il 15 febbraio ai depositi in Piemonte; 2.766 ufficiali si presentarono e, a seguito del decreto dell'II aprile 1861 che istituiva il Corpo dei Volontari Italiani, furono per la quasi totalità messi in aspettativa per riduzione di corpo. Dopo circa un anno, formatosi il governo Rattazzi, ragioni politiche e, come abbiamo visto, anche militari, consigliarono l'im(so) Ibidem, p. 40. Lo scioglimento dell'esercito meridionale ci t., p. 13. (52) Non ci sembra, infatti, che possa essere condivisa l'opinione del Pieri (51) F. MoLFESE,

secondo cui per quanto ri~:,>uarda gli ufficiali garibaldini « pur ammettendo che fossero troppi, si doveva tener conto anche qui del problema sociale, dell'opportunità di dare una posizione a tanti piccoli borghesi cui le industrie non offrivano un adeguato sfogo come nel nord}) (P. P JERr, op. cit., p. 56). Prescindendo dal fatto che all'epoca non esisteva alcuna concentrazione industriale al nord, lasciamo al lettore valutare l'efficienza di un esercito che fun· gesse da ufficio collocamento per piccoli borghesi disoccupati.


DAGLI ESERCITI PRE - UNITARI

ALL' ESERCITO

ITALIANO

m1sswne degli ufficiali garibaldini superstiti nell'esercito regolare. Nonostante la situazione non felice in cui si trovava l'esercito, l'immissione non mancò di suscitare perplessità nell'ambiente militare. « Questa misura veramente radicale » scrive infatti il Corsi, « mentre sovveniva, in qualche modo, che non era il peggiore possibile. al gran bisogno d'ufficiali risultante da quei colossali aumenti delle milizie regolari, era consigliata da ragioni politiche così gravi e stringenti da mostrarla indispensabile ed urgentissima. Dopo l'ammissione degli ufficiali emiliani, non si poteva nemmeno riguardarla come una novità. Di più gli ufficiali provenienti dalle milizie meridionali avevano avuto occasione di segnalarsi, per valore personale se non altro. Ricevendoli nelle sue file, l'esercito non guadagnava molto, è vero, dal lato della militare abilità e della pratica, ma però acquistava un tesoro d 'ingegno, di zelo e di caldi e vigorosi spiriti che poteva giovargli assai. I fatti hanno poi mostrato come l'utile fosse molto maggiore del danno, e mal fondati fossero i timori e gli sdegni dei primi momenti » (53). Ad onta degli sdegni e dei timori dei loro nuovi colleghi a seguito del regio decreto 28 marzo 1862, 6 tenenti generali, 6 maggiori generali, 34 colonnelli, 47 tenenti colormelli, 130 maggiori, .384 capitani, 393 tenenti e 874 sottotenenti entrarono a far parte dell'esercito nazionale e con essi 125 cappellani, medici e veterinari per un totale complessivo di 1.997 ufficiali (54). Secondo il Molfese ed il Pierì il totale di questi si sarebbe, però, ridotto entro il mese di dicembre dello stesso anno a 1.584- Ciò ci sembra poco probabile poiché le perdite del corpo ufficiali nel r862 furono di 743 di cui 242 dimessi volontariamente, 175 collocati a riposo, 141 morti, 138 rimossi e revocati, 31 perduti per cause diverse (55). Ora, poiché è difficile credere che coloro che avevano pazientemente atteso per più di un anno di poter entrare nell'esercito regolare abbiano fornito il maggior numero dei dimissionari, considerato inoltre che nessuno degli ufficiali garibaldini all'atto dell'immissione nell'esercito italiano aveva sufficiente anzianità per ottenere un collocamento a riposo e poiché, d'altronde, è da escludere che i morti fossero in prevalenza ex volontari, non restano che i revocati e rimossi come potenziale base di un'eventuale epurazione ed anche in questo caso è difficile credere che questi fossero tutti ex appartenenti all'esercito meridionale, anche se il notevole incremento rispetto alle cifre dell'anno precedente non è spiegabile solo con l'aumento del nu(53) C. CoRsi, op. cit., vol. H, p. 20. (54) C. GIBBONE, op. cit., p. 49· (55) I hidem, p. 33·


32

t'ESERCITO ITALIANO DALL' UNITÀ ALL;\ GRANDE GUERRA

(1861- 1918)

mero totale degli ufficiali e dimostra un'indubbia volontà epuratrice che si deve probabilmente mettere in relazione con i fatti di Aspromonte. In ogni caso, l'immissione degli ufficiali garibaldini costituì l'ultimo massiccio apporto al nuovo esercito italiano. Ciò venne a coincidere con il raggiungimento di un elevato numero di quadri da parte della nuova forza armata; oltre gli ufficiali provenienti dal corpo dei volontari italiani, infatti, entrarono a farne parte qr ufficiali di provenienza diversa, 7 richiamati dal riposo, 1.199 sottotenenti neo promossi il che, tenuto conto delle diminuzioni, portò l'esercito italiano ad una cifra totale di r6.051 ufficiali (56), cifra su cui, grosso modo, si sarebbe stabilizzato il totale degli ufficiali nell'anno successivo. Il r863 può considerarsi sotto molti aspetti l'anno in cui la situazione del nuovo esercito si stabilizzò. E' vero che, come abbiamo visto, in quest'anno ancora gran parte dell'esercito fu impegnata nell'opera di repressione al sud. In quello stesso anno, però, la leva fu effetntata in tutto il paese in base ad un'unica legge sul reclutamento e, per quanto il fenomeno della renitenza fosse ancora consistente (I r,5I % dei chiamati), il fatto costituiva di per sé un inizio di normalizzazione. Una condizione di stabilità fu finalmente raggiunta dopo i tumultuosi accrescimenti degli anni precedenti, per ciò che concerneva il corpo degli ufficiali. <c Finalmente, dopo Aspromonte » scrive il Corsi, << fuvvì un periodo di calma, per virtù del quale le condizioni delle nostre milizie vennero migliorando. Cessò quel crescere spropositato e con esso il diluvio delle promozioni : ognuno poté guardarsi attorno e prender coscienza del posto ove l'aveva portato la fortuna, le scuole militari presero andamento regolare. Il sergente capì che il suo officio non era soltanto uno scalino per giungere al grado dì ufficiale. Il sottotenente si rassegnò a contare ad anni invece che a mesi la sua anzianità di grado. Il tenente non si credette più alla vigiiia di diventar capitano messi appena i due righi » (57). Il movimento all'interno del corpo ufficiali, infatti, in quell'anno registrò i seguenti aumenti : 778 sottotenenti neo promossi, 59 ufficiali di provenienza diversa ed un solo richiamato dal riposo; a questo accrescimento facevano da contrappeso le perdite per un totale di 762 ufficiali in meno. Conseguentemente la forza totale degli ufficiali al 31 dicembre r863 fu di r6.r27 (58), una cifra lievemente superiore a quella dell'anno precedente. L'anno successivo le esigenze del bilancio fortemente (56) Ibidem. (57) C. CoRsi, op. cit., vol. 11, p. 22. (58) C. GrsswE, op. cit., p. 33·


D,\GLI

:ESERC!'rl

PRE • tJJS'lTARI

ALL'ESERCITO

ITALtANO

33

dissestato imposero una serie di economie sulle spese militari. Di queste riduzioni dì disponibilità finanziarie l'esercito non ebbe in verità molto a soffrirne: le situazioni peggiori erano state superate. Le condizioni dell'ordine pubblico, infatti, nel mezzogiorno erano molto rnigliorate rispetto all'anno precedente; alla fine dell'anno erano ancora impegnati nella repressione 34 reggimenti di fanteria (alcuni dei quali, però, rappresentati da un solo battaglione), 13 btg. bersaglieri, tutti gli 8 reggimenti di granatieri e 8 reggimenti di cavalleria (anche i reparti di artiglieria e genio erano stati ridotti) (59). La diminuita attività della guerriglia anti- unitaria influì senza dubbio anche sulle operazioni di leva; la percentuale dei renitenti della classe 1843 chiamata alle armi in quell'anno fu, infatti, quasi la metà di quella dell'anno precedente (5,8o%). Per quanto riguarda il corpo degli ufficiali in quell'anno esso aumentò di 6r9 sottotenenti nuovi promossi e di 41 ufficiali di provenienza diversa (6o). Le perdite superarono, però, gli acquisti . Vi furono 236 dimissioni, 209 collocamenti a riposo, 100 riforme, 73 revoche, 58 rimozioni e 168 morti, mentre 15 ufficiali furono perduti per cause diverse (61). (59) C. CESARI, op. cit., p. 13. (6o) Gli ufficiali di provenienze diverse incorporati nell'esercito italiano tra il marzo r86o ed il dicembre 64 erano cosl ripartiti: E>crci ro d i pro v. Truppe parmensi Esere. pontificio Veterani dd 18-18 Truppe estensi Eserc. austriaco Altri cserc. europ. Caccia t. delle Alpi

u ff. superiori

capitani

6

21

2

11

16

Guardia Naz. mobilitata Cacciar. del T evere

suba !terni

2

3

·H

15

4 114

2

17

4

35

2

'J

$

4

5

59

42 T7 J65

318 2)

52 5 146 19

16)

Medici c veterinari

totali

70 59 6

43 45 5

2

Armata Nava le Ingegneri civili

Totali

medici

318

4~'~3

Per quanto riguarda la ripartizione nei gradi degli ufficiali supenon sr trattava di 4 tenenti colonnelli e 21 maggiori provenienti in gran parte dai Cacciatori delle Alpi. Si consideri, inoltre, che ai 903 ufficiali sopra elencati sono da aggiungere 31 cappellani direttamente provenienti dalla vita civile che portano il totale generale a 934 (per i dati C. GrBBONE, op. cit., p. 5r). (61) C . GIBBONE, op. cit., pp. 33 • 34· 3·


34

t'ESERCITO IT\li\Kt"l nAtt'UNTTÀ ALLA GR\'IOE Ct'E RR,\

(1861- 1918)

Per cui la situazione dei quadri dell'esercito italiano al 31 dicembre 1864 era la seguente: in disponibili tà o in :lSp<:ttativa

totali

Gradi

in serv. att .

Generali d'armata

6 68

4

72

76 247

7 19

83 266

200 82l

24

Maggiori

66

284 88j

Capitani

3.104

112

3.216

Tenenti

3·735 5.864 1)8

6.127

732

770

Tenenti generali Maggiori generali Colonnelli Ten. Colonnelli

Sottotenenti Cappellani Medici Veterinari totali

II4 1).18)

6

3·892

205 119

15·927 (62)

Gli elementi fin qui esaminati ci forniscono dati sufficienti per una valutazione d'assieme degli ufficiali c dei soldati deJl'esercito italiano negli anni immediatamente successivi alla sua costituzione. Per quanto riguarda la truppa si può affermare, senza tema di smentite, che essa, negli anni successivi all'unità, era ben )ungi da costituire un insieme omogeneo. Le carenze non si fermavano qui; vi era stato, infatti, un innegabile abbassamento di livello. << Li antichi ufficiali >> scrive il Corsi, (< piemontesi, toscani, austriaci, modenesi, parmensi, guardandosi attorno e confrontando quelle milizie italiane del '6o colle altre in cui eglino avevano militato prima del 1859, esclamavano: " Che differenza! Siamo tanti più: ma i cento e i mille d'oggi valgono eglino i cento e i mille d'allora? " » (63). E questo era scritto riferendosi alla situazione del 186o, prima, cioè. che entrassero a far parte dell'esercito nazionale i coscritti meridionali del cui entusiasmo per la nuova istituzione abbiamo già ampiamente parlato. In realtà, anche se l'ordinamento rimase quello piemontese e mutò poco o per poco tempo, l'indirizw che di fatto assunsero le istituzioni militari, forse al di là (62) Ibidem. p. 70. (63) C. CoRSI, op. cit., vol. II, p. 16.


DAGLI

ESE RCJTI

P RE- UNIT ARI

ALL'ESERCITO TTALI ANO

35

delle intenzioni stesse delle alte gerarchie, fu quello dell'esercito numero. « Sonvi » scrive ancora il Corsi, « oggi dì, anche tra i militari e tra quelli di maggiore ingegno e scienza in tutti i gradi della milizia, sin negli altissimi, uomini che dallo spirito di questo secolo e da un sistema di studi in cui le scienze matematiche e fisiche prevalsero di gran lunga alle storiche e morali, furono dedicati al culto del numero e della materia. Agli occhi di costoro tutto si riduce a cifre numeriche, a formule e combinazioni aritmetiche, geometriche e meccaniche. Li uomini dinanzi a loro sono cifre, non fa nno gran differenza tra piemontese, toscano, napoletano, francese o tedesco, perché non la veggono ... Prima del r866 parve dunque che il nodo della questione militare italiana fosse questo: aver cinquecentomila soldati armati e buone fortezze per appoggio» (64). Oltre a queste interessanti osservazioni va tenuto conto della situazione che si era venuta a determinare tra il 1859 e il r866. E' inutile soffermarci ulteriormente sul rifiuto che le popolazioni meridionali opposero all'Unità; interessanti sono, invece, le conseguenze di questo rifiuto. Che il contadino meridionale o l'ex soldato borbonico non fossero precisamente entusiasti di servire il nuovo Stato è fuor di dubbio ; è anche, però, probabile che dopo un certo tempo di vita ai reparti, si adattassero alla loro nuova condizione, ma, in ogni caso, il loro atteggiamento doveva essere più improntato a fatalistica rassegnazione che ad una qualsiasi forma di adesione. Il perdurare del « brigantaggio » non solo creava situazioni umane difficili per i soldati meridionali al nord, ma aveva importanti effetti anche sulle truppe impiegate nella repressione. Come è stato giustamente rilevato (65), sotto il profilo tattico la guerriglia, se metteva alla prova lo spirito di iniziativa dei comandanti delle unità minori, disabituava, però, quadri e truppa alle manovre in grosse formazioni, il che in pratica acuiva l'impreparazione dell'esercito ad affrontare una guerra vera e propria. Inoltre, sotto il profilo psicologico, a parte l'inevitabile logoramento che questo tipo di lotta impone alle forze di repressione, bisogna tener presente che i soldati settentrionali, abituati ad essere considerati e quindi a considerarsi, truppa di occupazione ed a vedere nell'abitante locale il potenziale nemico, invece di cercare di comprendere gente con costumi e tradizioni così diversi dai propri, era portato fatalmente a rifiutare la società meridionale e ad elevare a verità indiscusse i (64) Ibidem. (65) CoMANDO n EL CoRPo nr STATO M AGGIORE, SEziOI'-'E SToRrcA, La campagna del 1866 in ltalia, Roma, 1875, vol. J, pp. 8 - 9 (citata da qui ionanzi come Relazione Ufficiale 1866).


propri pregiudizi contro di essa. Pregiudizi che, una volta congedato, avrebbe trasmesso agli abitanti della vallata piemontese o della pianura emiliana da cui proveniva. In questo modo si aumentava la separazione esistente tra le varie popolazioni italiane anziché avvicinarle tra loro. C'era una grande differenza tra l'esercito nazionale del 1866 e gli eserciti pre- unitari del 1859, non solo nel numero enormemente accresciuto (nel '66 l'Italia mise in campo un esercito di 318.R9o uomini senza contare i .{0.784 volontari) (66), ma anche e soprattutto sotto il profilo qualitativo. Le milizie pre- unitarie erano estremamente omogenee, molto spesso avevano caratteri semi- professionali, e, per le loro caratteristiche regionali, erano tenute unite dalla omogeneità di consuetudini sociali e dalla comunanza di sentimentì dei propri membri; appartenevano, inoltre, per di più a Stati che avevano tradizioni spesso secolari. Le lo·ro caratteristiche non potevano, quindi, che essere diversissime da quelle dell'esercito dello Stato nuovo, nato tumultuosamente nel volgere di ventun mesi, non senza profonde dilacerazioni. Quale comunanza di sentimenti e di interessi potevano, nel 1866, unire tra loro il richiamato settentrionale che aveva preso parte alla repressione del brigantaggio con quello meridionale che era stato costretto per alcuni anni a prestar servizio al nord ? Secondo la relazione ufficiale la composizione per provenienze della truppa italiana nel gmgno 1866 era percentualmente la seguente : Provenienti dall'antico esercito sardo Provenienti dall'esercito austriaco Provenienti dalle milizie emiliane Provenienti da quelle delle Due Sicilie Arruolati dopo il '6o nelle province settentrionali Arruolati dopo il '6r nelle Marche, nell'Umbria e nel Sud Uomini della z• categoria della classe 1844

5·6s~/~ 4,6o% 2 >54 %

4,8o%

40,03% 31,63% 10,75 % (67)

Ciò dimostra che l'esercito era tutt'altro che omogeneo e pone in dubbio la condizione morale di unità composte da elementi cos.ì disparati e sovente tra loro antitetici . La testimonianza del Corsi sembra smentire questa ipotesi. Riferendosi ai preparativi della campagna del 1866 scrive : <<Tutti, ufficiali e soldati, pieni di fede nel (66) F . ToRRE, 1866 cit., pp. rg6 e 212 . (67) Relazione Ufficiale 1866, p. 6.


DAGLI

ESERCITI

PRE- UNITARI

ALL,ESERCI'fO

ITALIANO

37

buon esito di quella guerra avevano gli animi altissimi. Una calma fiduciosa e ridente spirava negli alloggiamenti delle truppe che allargava i cuori>> . L'acuto studioso completa, però, la sua osservazione in questo modo : (( Anche in questo sotto l'apparenza del bene covava il male. La fede ferma nella vittoria è prezioso aiuto a vecchie e ben provate milizie di gagliarda gente, che va sicura di vi ncere non già perché creda che il nemico le farà poco contrasto, ma perché vuole vincere a qualunque costo. Ma noi gente nuova, in quelle condizioni in cui ci trovammo allora, avevamo molto maggior bisogno di virile fermezza di propositi che di quella brillante schiuma di fede cieca e speranzosa, che svanisce al primo soffio di vento contrario. Allora gli animi tanto più basso cadono quanto più alto s'erano levati » (68). Era successo questo : i richiamati, nel raggiungere i reparti, erano stati contagiati dall'atmosfera dilagante di entusiasmo p atriottico per la nuova impresa, che da tutti, dopo le precedenti prove, veniva considerata come certamente vittoriosa. Quale parte in questo entusiasmo abbiano avuto le popolazioni dell'Italia settentrionale in cui i reparti erano stanziati, non è dato conoscere con certezza, tuttavia tale parte non doveva essere secondaria. Questa situazione aveva, al momento, appianato differenze e contrasti, ma essi apparvero più forti che mai allorquando il sogno messo bruscamente a contatto con la cruda realtà della guerra scomparve come nebbia al sole. Che le truppe italiane nel '66 dimostrassero scarsa coesione e insufficiente spirito aggressivo, non è soltanto un'affascinante teoria interpretativa basata sulla varia provenienza e sull'insufficiente amalgamazione dei gregari, è provato da un fatto difficilmente controvertibile. In quell'anno le diserzioni nel complesso dell'esercito raggiunsero la cifra di 12.269 (69), il che costituì un triste primato anche rispetto al periodo precedente. Oltre a ciò, vi è un'altra circostanza degna di considerazione; in salde unità, bene addestrate e con un forte spi~ rito aggressivo, le perdite degli ufficiali in combattimento non sono elevate, mentre per contro, in milizie poco addestrate e scarsamente omogenee, queste perdite divengono rilevanti come, in genere, rilevanti sono nei reparti di volontari. Ciò si comprende facilmente là dove si consideri che l'esempio dei capi, e conseguentemente il loro maggiore esporsi ai più gravi rischi, è in questi casi l'unico rimedio alla mancanza di entusiasmo delle truppe od al loro insufficiente addestramento.

(68) C. CoRSI, op. cit., vol. II, p. ì6· (69) .F. ToRRE, 1866 cit., p. 444·


38

L 'ESERCITO IT\LIANO DALL·U~ITÀ ALL.. GRAl'o06 (:\, ERRA

(1861 - 1918)

:\el 1866 i feriti in combattimento furono: Corpi d 'app:mcncnz:t

ufficiali

sonu iJÌciJ(Ì

esercito regolare corpi volontari

2 39

220

32

66

"'!dati 2

·444 734 (70)

Queste cifre da un lato dimostrano il forte spLrlto aggressivo delle unità di volontari (si consideri il numero dei feriti in rapporto al totale dei reparti volontari), dall'altro, per quanto riguarda l'esercito regolare, se testimoniano dell'elevato senso del dovere degli ufficiali, certificano, però, che il morale della truppa non era certo elevatissimo. Nel 1866 la coscienza nazionale unitaria era ben lungi dall'aver posto serie radici nelle popolazioni e ciò vale anche per gli anni seguenti come dimostrano i dati relativi alle renitenze negli anni seguiti all'unità: Cl as•i

anno di chiamata alle arm i

renitenti j/0

!842 1843 1844 !845 1846 1847

!863 r864

Il 1)1

1848

1849 xS;o t8sr

I86s 1866 1867 1868 x869 t870 18]r 1872

5,8o 4>79 5·24 4· 2 3 4·3° 4·o6 4,20

4· 1 9

3·8s (71)

Come si vede il fenomeno andava gradatamente decrescendo via via che il nuovo Stato si consolidava (l'unica eccezione in questo senso è la leva del 1866 anno in cui l'aumentata renitenza è chiaramente da collegarsi alla guerra), ma continuava a sussistere sia pure non nelle vistose proporzioni dei primi anni. Per queste ragioni e per i motivi esposti in precedenza, il reclutamento nazionale fu visto dalla classe dirigente non solo come (70) Ibidem, pp. 214- 215. (71) La leva milira1·e, 1875, n. 5, p. 7·


DAGLI

ESERC!Tl

PRE ·UNITARI

ALL ' ESERCITO

ITALIANO

39

una necessità per superare i primi difficili momenti, ma anche come un grosso fattore unificatore, e ciò indubbiamente fu anche q uando il (< brigantaggio» ebbe termine. Questo spiega la difesa ed anzi l'esaltazione che di esso reclutamento fecero insignì studiosi militari come il Marselli ed uomini politici come Giustino For~ tunato (72). Anche gli elementi da noi raccolti per quanto riguarda gli uf~ ficìali si prestano ad interessanti considerazioni. Quanto alla provenienza, secondo la relazione ufficiale sulla guerra del 1866, la composizione dei quadri dell'esercito in quell'anno era la seguente: avevano compiuto studi presso le varie scuole pre o post ·unitarie, il 43 % circa; provenienti dai sottufficiali, il so% circa; dalle mi~ lizie improvvisate in Italia centrale e nel mezzogiorno, il 7% circa (73). Questa ripartizione percentualisùca delle provenienze a prima vista può apparire incredibile soprattutto per quanto riguar~ da il numero elevatissimo di provenienti dai sottufficiali. I dati da noi raccolti ci permettono di compiere, sia pure a grandi linee, una verifica sufficientemente precisa. La legge piemontese che riservava ai sottufficialì un terzo dei posti di sottotenente ogni anno, era entrata in vigore, come si è detto, nel 1853, ma anche in precedenza tali promozioni erano praticate anche se non in misura così ampia; e vi erano stati, come già dicemmo, i grandi ampJiamenti di organici degli anni 1848 - 49· Non è, quindi, azzardato ritenere che, dei 3.195 ufficiali di cui disponeva l'esercito sardo nel 1858, un terzo e poco meno provenisse dai sottufficiali. In quell'anno furono promossi, per sopperire (72) Scriveva i l Marselli « . •• una cosa nella quale fa mesrieri andare adagio è per fermo la creazione di corpi territoriali a modo prussiano, il che ci darebbe dei corpi composti per intero di siciliani, napoletani, toscani, piemontesi, ecc., e sempre dimoranti in pace nella rispettiva provincia. So che questo sistema è un elemento di pronta mobilitazione, di migliore istruzione e di ragionevole economia, ma so pure che l' Italia è riunita da soli 10 anni, che essa non è ancora consolidata, che le nostre plebi sono ignoranti, e che massimo dopo il decentramento amministrativo, l'esercito rimane come il grande crogiuolo in cui tutti gli elementi provinciali vanno a fondersi in unità italiana. Ho powto toccar con mano quale immenso vantaggio vi sia a tra· piantare nell'Italia settentrionale un soldato del Mezzogiorno e viceversa, ed ho sempre detto che se l'esercito non avesse altra ragione di esistere avrebbe sempre quella di essere una grande scuola d'italianità » (N. MARSELLT, Gli avvenimenti del 1870- 71, Torino, ;872, vol. 1, p. 139 sgg.). Giusrìno Fortunato, intervenendo molti anni dopo alla Camera nella seduta del 23 marzo 1901, affermava la propria avversjone alle spese militari ma si dichiarava favorevole al reclutamento nazionale per far progredire il paese sulla strada dell'unità. (73) Relazione Ufficiale r866, p. 6.


40

L'ESERCITO ITAI.II\NO DAU:U:-IIT.~ ALLA GRI\NPE GUERRA

(1861 · 1918)

alle necessità degli ampliamenti d'organici, r.8r2 sottotenenti. Nel documento non si fa cenno alla loro ripartizione per categorie di provenienza. Nella sua <<Lettera agli elettori di Biella ll, il gen. La Marmora, che in quel periodo era stato ministro della guerra, per difendersi dall'accusa di aver preferito i vecchi sottufficiali ai volontari, affermava che, oltre ai 300 sottotenenti forniti dalla scuola d'Ivrea, erano stati immessi direttamente nelle armi d'artiglieria e genio circa 150 ingegneri civili, mentre erano stati organizzati due corsi speciali uno a Novara per la fanteria con circa 6oo allievi. e uno a Pinerolo per la cavalleria con circa 100 (74). Si tratterebbe, quindi, di circa I.I)O ufficiali non provenienti dai sottufficiali. Tuttavia per la circostanza in cui questi dati furono forniti e per il fatto che il La Marmora abbia riferito per i provenienti dalla scuola d'Ivrea e dalla professione civile le cifre degli ufficiali incorporati, mentre per i corsi straordinari il numero degli ammessi, ci sembra assai dubbio che i non sottuf.ficiali abbiano in pratica raggiunto le mille unità. D'altro canto, alcuni documenti pubblicati in allegato alla relazione ufficiale della campagna del 1859, pur senza fornire dati, autorizzano a ritenere che la promozione di sottufficiali sia stata amplissima (75). Per quanto riguarda gli eserciti della Lega dell'Italia centrale invece, non molto numerosa dovette essere la rappresentanza dei provenienti dai sottuf.ficiali. Sui r.o62 ufficiali dell'esercito toscano al momento della fusione, con ogni probabilità i provenienti dalla categoria inferiore non dovevano superare di molto la cifra di duecento. (L'esercito toscano disponeva di circa soo ufficiali prima del pronunciamento poiché, per completare i quadri, furono promossi gli alunni delle ultime classi del liceo militare, immessi molti provenienti dalla vita civile e richiamati alcuni veterani del 1848; anche tenuto conto delle perdite, non doveva rimaner molto spazio per i sottufficiali). Quanto all'esercito emiliano, il numero degli ex sottuf.ficiali non doveva essere elevato perché i Piemontesi entrati a far parte di quest'esercito non potevano essere molto numerosi, nonostante tutti gli sforzi fatti dal Fanti. D'altro canto, le possibilità locali si limitavano al piccolo esercito parmense ed ai pochi che avevano disertato 1'esercito pontificio. Per queste ragioni si può ritenere che, al momento dell'annessione, dei 2.356 ufficiali dell'Italia centrale I f 5 al massimo provenisse dai sottuf.ficìali. Conseguentemente dei 7.58o ufficiali appartenenti o entrati a far parte dell'esercito sardo, tra il 1859 e il marzo (74) P. P!El\1, op. cit., p. 295. (75) Relazione Ufficiale 1859, vol. I, doc. pp. 8)- 91, nonché vol. I, nar· razione, pp. n4- 115.


DAGLI

ESERCITI

PRE- UNITARI

ALL'ESERCITO

ITALIA:--iO

1 86o, un numero oscillante tra i 2.400 e i 2.000 (da 8oo a r.ooo sardi, da 8oo a 900 nuovi promossi, da 400 a soo tosco- emiliani) proveni va dai sottufficiali. Per gli anni successivi si possiedono dati precisi riguardo le provenienze dei sottotenenti neo promossi. Eccoli:

Anni

dalle scuole

dai sottuflì.ciali

wtali

186o J86! 1862 1863 J864 1865 totali

66s

r .6oo

2.265

94°

~.ss5

945 177 487 344 289 2·907

1.022

l

.199

291

778

2"'/)

6I9

r8r

470

4-309

].216 (?6)

Questi elementi. si prestano ad una serie dì interessanti considerazioni. In primo luogo si noterà che i dati relativi ai primi anni confermano ulteriormente quanto si è detto circa la grande prevalenza dei sottotenenti provenienti da sottufficiali nel 1859 ; nel '6o, infatti, benché alla scuola d'Ivrea e a quella di Novara si fosse aggiunta quella istituita dal Fanti a Modena, i provenienti dagli istituti non furono che 665 contro I .6oo ex sottuffi.ciali. Dai dati risulta, inoltre, la fretta con cui si provvide alla costituzione dell'esercito unitario; i primi tre anni, infatti, sono contraddistinti dalle grandi promozioni in massa e non a caso furono i sottufficiali a fare la parte del leone. Quando, però, dopo il '62 la situazione si stabilizzò furono le scuole a fornire il maggior numero di nuovi sottotenenti. Dai dati raccolti, comunque, risulta che su 19.934 ufficiali che dal 1859 al 1865 appartenevano o furono inquadrati nei ranghi dell'armata sarda e poi dell'esercito italiano, solo un numero oscillante tra 6.700 e 6.300 proveniva dai sottuffìciali. Bisogna considerare inoltre che, dei ventimila ufficiali cui si è fatto cenno, 1.483 appartenevano ai servizi religioso, veterinario e medico e che il fenomeno delle 1.351 dimissioni volontarie verificatosi in quegli anni non deve aver interessato che marginalmente gli ex sottufficiali per i quali il nuovo stato costituiva una indubbia pro(76) J dati relativi agli anni t86o- 64 sono stati tratti da: C. GIBBONE, op. cit., pp. 54 - ss; quelli relativi al I86s sono tratti da GENOVA DI REVEL, Dell'amministrazione della Guerra 1865 - relazione a S. M., Torino, 1867, p. I].


42

L.ESERCI'rO 11',\l.I.\NO OALL'UNITÀ ALLA GRANDI:. GUERRA

(1861 · 1918)

- -- -

mozione sociale. D'altronde non molto numerosi devono essere stati gli ex sottufficiali, solitamente molto disciplinati, re\·ocati o rimossi. Nonostante tutto ciò ci sembra di poter affermare che su I5.507 ufficiali in servizio attivo e in aspettativa alla data del 31 dicembre 186), i provenienti dai sottufficiali non potevano essere il 50~o · La relazione, invero, parla di un numero di ufficiali considerevolmente inferiore (13.800), il che fa presumere si riferisca alle sole truppe attive con esclusione, cioè, del personale dei servizi. del corpo invalidi e veterani (che aveva numerosissimi ufficiali. in grandissima parte di provenienza borbonica), e lo stato maggiore delle piazze nei cui quadri i provenienti dai sotrufficiali non erano numerosi. Anche in questo caso, però, ci sembra assolutamente da escludere che i provenienti dai sottufficiali wpcrassero il 47 ~'~ . Che i quadri dell'esercito di campagna fossero composti nel 1866 dal 47" '. o, molto più probabilmente, dal 45 ~,-;, di ex sottufficiali, non è indice né di scarsa efficienza dei reparti, né di una mancanza di omogeneità nei quadri. Innanzi tutto non si può fare lo stesso discorso per tutti i provenienti dai sottufficiali: quelli, infatti, che erano stati promossi ai gradi superiori prima del 1859 non solo avevano alle spalle anni d'esperienza nelle nuove funzioni, ma erano stati accuratamente selezionati (77); quelli promossi dopo il '59 poi. salvo rare eccezioni, nel '66 svolgevano il compito di comandanti di plotone e di compagnia, un ruolo, quindi, considerati i moduli tattici del tempo, in cui la loro esperienza e la loro abitudine alla disciplina poteva valere quanto e forse più dell'entusiasmo degli ufficiali improvvisati. Passando poi al problema dell'omogeneità dei quadri, va rilevato che nel periodo tra il '6o ed il '62, in cui furono promossi 3.562 sottufficiali. questi non potevano che essere in grandissima parte piemontesi. Benché, infatti, i sottufficiali provenienti dall'esercito toscano dessero senza dubbio un apporto a queste promozioni, tuttavia, dato il loro numero, questo non poteva essere molto consistente; meno cospicuo fu, con ogni probabilità, l'apporto delle truppe emiliane in considerazione della loro stessa scarsa omogeneità (78). Anche alcuni ex appartenenti all'esercito austriaco poterono raggiungere le ambite spalline, ma si trattava di un numero limitatis(77) Fra questi, a stretto rigar di logica, avrebbe do\ uro esser considerato lo stesso generale Cialdini che pro\·en•va addirittura dalla truppa. (78) Il De Bono riferisce che gli ufficiali emiliani erano stati saprannominati dai piemonte~i « quelli del salame, dal rancio di salamini stabilito da Maria Luisa per i suoi soldati » (E. DE Bo:-~o, Of>. cit., p. 22); ciò induce a pensare che la componente parmense si fosse affermata tra gli emiliani come la più notevole anche a seguito di numerose promozioni tra i sottufficiali.


DAGLI

ESERCir!

PJ\E • Ul'ITARI

.\LL'LSERCITO

ITALIANO

43

~ rno. Tutti questi apporti non potevano far fronte che in tmmma

parte al_la richies~a _di ufficiali, e ,se si _considera :he nessuna im~is­ sione dt sottuffioah fu fatta dall eserctto borbomco e quanto es1guo fosse il contributo dei garibaldini, non si può far a meno di concl udere che la stragrandc maggioranza dei sottuffìciali promossi al rango superiore negli anni immediatamente seguenti l'Unità, non poteva che provenire dall'esercito sardo. Ciò non esclude che, anche negli anni successivi, i sottufficiali piemontesi siano stati m maggioranza tra i promossi, poiché, subito dopo il 186o} mentre era possibile ad un giovane delle altre regioni accedere alle scuole militari del Piemonte o entrare in quelle istituite nelle varie province annesse, purché disponesse di particolari titoli, solo il Piemonte disponeva di un solido insieme di quadri sottufficiali da cui trarre gli elementi per far fronte all'enorme richiesta di nuovi u(ficiali. Sulla base di queste considerazioni si può concludere che la presenza di una massa di ex sottufficiali costituiva un potente fattore di omogeneizzazione nei reparti minori. La schiacciante presenza piemontese tra gli ex sottufficiali, infatti, unita agli elementi del vecchio esercito sardo che non avevano raggiunti gradi superiori e ai provenienti dalle scuole, in buona parte anch'essi piemontesi, e comunque formati nello spirito militare subalpino, garantiva un minimo di omogeneità nei quadri delle minori unità, assicurando in queste (e di conseguenza in tutto l'esercito) la continuità della tradizione militare del Regno di Sardegna, anche se l'intima fusione fra i vari elementi che componevano gli stessi quadri, ai minimi livelli, era ancora lungi dal realizzarsi. Pi ù complessa e molto meno omogenea ci appare la situazione dei quadri superiori . Tra il r859 ed il '66, infatti, furono promossi 9.209 sottotenenti tra i quali, per le ragioni su esposte , l'elemento piemontese aveva una prevalenza schiacciante. Nello stesso periodo entrarono a far parte dellesercito (prescindendo da cappellani, medici e veterinari), altri 6.6r4 ufficiali, il cui numero appare rilevante se con~ frontato con quello dci quadri originari dell'armata sarda, che, escl udendo i servizi, disponeva di 3.213 ufficiali (79). E' vero che molti ufficiali emiliani provenivano dall'esercito piemontese, ma è del pari vero che solo su questo gravarono sia le perdite della guerra d'indipendenza, sia le diminuzioni per il {">assaggio al servizio della Francia di molti savoiardi e nizzardi. E' da tener presente, peraltro, che gli ex borbonici e gli ex garibaldini, che costituivano la mag(79) Si tratta di 3.056 ufficiali alle armi nel 1859 più i 157 richiamati dal riposo.


4~

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UKJTÀ ALLA GRANDE GUERRA

( 1801 -!918)

gtoranza dei nuovi incorporati, furono in genere ammessi troppo tardi per beneficiare delle rapide promozioni che si verificarono nei primi anni post - unitari (8o ). L'entrata a far parte dell'esercito di questa aliquota di ufficiali anche se non determinò grossi spostamenti nella compagine militare (poiché il vertice continuò ad essere composto in gran parte da Piemontesi o da ufficiali che erano entrati a far parte dell'esercito sardo prima del 1859, e la grande maggioranza dei subalterni, per i motivi dianzi esposti, fu composta anch'essa da subalpini in buona parte ex sottufficiali), fece tuttavia sì che nei gradi intermedi, da capitano a tenente colonnello, si realizzasse un certo equilibrio tra i provenienti dall'esercito sardo e gli altri, equilibrio che, con gli anni, era inevitabilmente desùnato a modificarsi a vantaggio di quest'ultimi poiché gli ex sottuffìciali, che costituivano la componente più cospicua della presenza piemontese nell'esercito, non erano in genere destinati a fare una gran carriera. Tornando agli avvenimenti del r866, è fuor di dubbio che l'esercito italiano si presentava come un assieme non omogeneo e che questa carenza era maggiore negli alti gradi, in cui non erano sopite le diffidenze tra gli ufficiali delle varie provenienze (si pensi ai sospetti sull'eventuale comportamento del « borbonico» Pianell) e le rivalità tra gli stessi generali piemontesi o piemontesizzati (come il dissidio tra La Marmora ed il Cialdini). Per i motivi che abbiamo esposto, inoltre, la mancanza di omogeneità era più sensibile nei gradi intermedi che non tra i subalterni. Subito dopo l'Unità era stata di somma importanza Ja creazione di un forte organismo militare, perché si era trattato, come si è visto, né più, né meno di una questione di sopravvivenza; superata, però, la crisi dopo il 1863, cessate le promozioni in massa, il numero degli ufficiali, che aveva raggiunto nel '63 la cifra massima di r6.r27, scese l'anno successivo a 15.927 per ridursi ancora a 15.507 nel '65 (8r). Alla fase del tumultuoso sviluppo organico dei primi anni postunitari, era subentrato un periodo d'assestamento e di riduzioni dei quadri, risultati nella pratica eccedenti le necessità dell'esercito; inoltre « il sistema delle promozioni per anzianità portava più e (So) Dal x86o al x864 vi furono nell'esercito regolare xs.ss6 promozioni di cui : 4 a generale d'armata, 6o a tenente generale, 132 a maggior generale, 343 a colonnello, 483 a tenente colonnello, 831 a maggiore, 2.623 a capitano, 4·344 a tenente e 6.734 a sottotenente. Cfr. C. GIB.BON'E, op. cit ., p. 36. E' evidente che in questo periodo alcuni furono promossi due volte; a ciò, inoltre, bisogna aggiungere le rapidissime promozioni del periodo precedente. (8x) GENOVA DI REVEL, op. cit., pp. x6x e 190.


OACU

ESERU rr

PRf. · UNITAR I

All'ESERCITO

lTALI.\~0

45

più alto uom~i che ave,:ano fatto ottima figura alla t~sta. d'una ··ompagnia e d un battaglione, ma non erano forse capaCI d t farne una eguale alla testa di un reggimento o di una brigata. Pur seguivasi quel sistema, che aveva fatto buona prova sino allora nell'esercito sardo, per non disgustare i vecchi soldati, custodi della buona disciplina, e perché non si volea dare adito a intrighi, favori, capricci e via dicendo» (82). Si imponeva, pertanto, una verifica pratica della capacità dci singoli a ricoprire effettivamente le funzioni del grado troppo rapidamente raggiunto. Una tale verifica non poteva avvenire che molto lentamente specie per i comandanti delle unità maggiori che, per il tipo di operazioni in cui fu impegnato l'esercito nell'Italia meridionale, ebbero poche occasioni di dar prova delle loro capacità. Il Corsi, che abbiamo più volte citato, scrive a proposito della situazione generale dell'esercito nel '66 : •< Così composte, le milizie italiane, nonostante le cure poste a disciplinarle e addestrarle. a fronte d'un vecchio esercito assiso su basi che avevano già resistito a molte forti scosse, quale quello austriaco, non potevano rappresentare potenze militari pari alla loro massa. Costituivano corpo assai più bello che robusto. Per tale riguardo, se quelrimpresa del Veneto fosse stata di quelle da ritardarsi a piacere, protrarla di qualche anno oltre il 1866, sarebbe stato vantaggioso all'Italia» (83). Non gli si può certo dar torto. I risultati della nostra indagine, infatti, confermano pienamente quanto è stato affermato dal Corsi. In effetti il processo di omogeneizzazione era appena agli inizi, sia tra le truppe, sia nei quadri, quando l'esercito fu chiamato ad una nuova prova e, se i 239 ufficiali feriti (tra cui 7 generali) testimoniano il coraggio dei quadri del nuovo esercito, tutto l'andamento della campagna prova la scarsa intesa e il carente affiatamento esistenti al vertice della gerarchia militare. Dopo la terza guerra d'indipendenza, il processo d'assestamento dei quadri e di riduzione degli stessi, continuò finché non trovò una stabile sistemazione con le riforme operate tra il 1871 ed il rR73 dal gen. Ricotti, che stabilirono un organico di pace di I 30 ufficiali generali, 1.223 ufficiali superiori, 10.834 ufficiali inferiori, in tutto 12.187 (84). Al breve periodo post - unitario di rapidissime promozioni, aveva fatto, quindi, seguito un lungo periodo d'assestamento in cui. mentre si riduceva progressivamente la forza totale degli ufficiali,

or.

(82) C. CoRst, cit., vol. Il, p. 19. (83) Ibidem, p. 22. (84) F. BAVA BECCARIS. Of'. cir., p. 6r.


1 i tempi di permanenza nel grado diventavano lunghissimi (85). Al tempo stesso in cui si svolgeva questo processo dì assestamento si andava sviluppando lentamente l'assimilazione tra gli elementi di varia provenienza che componevano l'esercito. Protagonista di quest'opera di fusione alla base della gerarchia militare furono senza dubbio gli ufficiali provenienti dall'esercito sardo. « I Piemontesi » scrive il De Bono <<erano soldati dai piedi alla punta dei capelli. Ricchi di buone tradizioni militari, fedeli alla monarchia, con alto sentimento del dovere e dell'onore. I nobili vi eccellevano, fra gli altri parecchi erano i grognards, adopero la parola esotica perché non ve n 'è una altrettanto espressiva in italiano. Molto ligi alla forma che, talvolta, sovrapponevano alla sostanza. La massa, se aveva una base di buon senso e di lunga pratica, non brillava né per ingegno, né per cultura. Marcata la differenza fra coloro che provenivano dall'Accademia e quelli provenienti dai sottuffìciali >> (86). Fu la « massa>> di questi, in gran parte composta da grognards (87), che fornì la base ed anche il modello per l'assimilazione degli ufficiali delle varie provenienze. Nelle unità minori, dato il fortissimo numero di troupiers piemontesi, le cui possibilità di carriera, dati anche i tempi, erano limitatissime, l'assimilazione degli ufficiali provenienti dalle regioni centro- settentrionali poté compiersi in un tempo non troppo lungo. A quanto, infatti, riferisce il De Bono <<dopo il '70 l'amalgama con questi era completa >> (88). Il processo di integrazione con i meridionali fu, invece, più lento e non privo di contrasti (89); la preponderanza, tuttavia, dell'elemento piemontese nei reparti era tanto grande che l'immagine dell'esercito che i coscritti ricevevano giungendo alle unità di inquadramento era abbastanza omogenea; « la fisionomia dell'esercito come si presentava là dove realmente si svolgeva l'attività militare, ossia ai Corpi, era assai simile a quella dell'esercito subalpino del quale aveva assorbito le tradizioni, conservate pressoché tutte le consuetudini e anche i regolamenti, fino ad una prima riforma Govone e a quella, poi, radicale del Ricotti>> (90). (85) A questo proposito tredi la testimonianza del De Rossi sugli ufficiali che invecchiavano lentamente nel proprio grado (E. DE Ross1, La vita di ur1 ufficiale prima della guerra, Milano, 1929, pp. 32- 34). (86) E. DE BoNo, op. cit., p. 21. (87) Riferisce ancora il De Bono : «Vi era una minoranza di ufficiali usciti dalla scuola di Ivrea, poi, abolita, e da quella provvisoria di Novara » . Il che chiaramente dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno. che tra l'elemento piemontese predominavano gli ex souufficiali (E. DE Bo!'lo, op. cit., p. 2r). (88) Ibidem . (89) Ibidem, pp. 21 e 332 sgg. (go) Ibidem, p. 132.


- - - -------- - - -- - - - - -

47

La visione che l'esercito dava di sé, non solo ai giovani di leva che ne entravano a far parte, ma anche a tutto il paese era una immaO"ine omogenea e ciò era dovuto appunto alla presenza tra i quad ri inferiori di una massa di ex sottufficiali piemontesi. Certo che nell'Europa d'allora un esercito che aveva quasi la metà dei suoi ufficiali tratti dai sottuffi.ciali sarà sembrato non solo improvvisato, ma anche fragile ed inefficiente. Indubbiamente in quell'epoca l'esercito italiano costituì la struttura militare più (( aperta,, (91) non solo d'Europa (si pensi che solo dopo la sconfitta subita da parte dei Prussia:ni il governo francese, in fase di grande trasformazione delle strutture militari, promulgò nel 1872 una legge sul l'avanzamento contenente una norma analoga a quella contenuta nella legge piemontese del r853), ma probabilmente anche del mondo, se si pensa che per poter entrare nell'accademia militare degli Stati Uniti bisognava essere (( presentati » da un parlamentare . Ciò, però, non si realizzò a danno della solidità cd efficienza, anzi avvenne caso mai il contrario. Fu merito, infatti, degli ex sotmfficiali sardi se nelle unità minori dell'esercito italiano <( l'elemento base, quello piemontese, ebbe e, sotto la maggior parte degli aspetti, bisogna dire per fortuna, il sopravvcnto )) (92). Per quanto riguarda i vertici della gerarchia militare, la situazione era diversa; in essa, infatti. l'elemento non piemontese era destinato ad assumere un ruolo sempre maggiore, il che non solo era giusto, ma anche opportuno; ciò, tuttavia non mancò di rendere il tempo necessario aU'amalgama dei vari clementi ancor più luogo che tra gli ufficiali ai reparti. I provenienti dall'esercito subalpino continuarono ad essere in maggioranza tra i generali probabilmente fino a quando il Mezzacapo, divenuto ministro della guerra del 1876, non diede mano ad una serie di <1 giubilazioni >) che colpirono soprattutto i Piemontesi e provocarono le ire del gen. La Marmora tenace difensore degli ordinamenti e degli uomini del <• vecchio esercito )) (93). Comunque, anche prima d·allora, il ruolo svolto dai non provenienti dalle milizie sarde era stato di primo piano. Negli anni successivi al '70 negli incarichi di maggiore responsabilità dell'esercito italiano si farà luce un gruppo di generali dalla più varia provenienza, ma di indubbio valore. Ricordiamo, accanto al piemon~

(91) La disposizione che riservava ai sottuflìciali un terzo dei posti di sottotencnti rimase in vigore fino al 189(), quando la proporzione fu ridotta ad un quarto. (92) E. D E BoNo, op. cit., p. T32. (93) G. M ASSART. Il gmerale Alfonso La Marmora, Firenze, 188o, p. 444·


48

t'ESERCITO ITAt.IANO Di\LL' UN!TÀ ALLA GRANDE GUERRA

(r86r • 1918)

tese Ricotti, uomini come il (( garibaldino >> Cosenz, il « borbonico >> Pianell, come lo stesso Mezzacapo che, uscito dall'esercito delle Due Sicilie, aveva compiuto una lunga peregrinazione tra le varie milizie insurrezionali italiane prima di entrare nell'esercito nazionale, ed il Baldissera, proveniente dall'esercito austriaco. Lo Chabod, parlando della diplomazia italiana dopo il r87o, osserva non senza un certo stupore che in essa la presenza piemontese era più forte che nello stesso « esercito pure così legato alla dinastia e alle tradizioni sabaude, perché in esso, al lato dei Ricotti stavano ora in posizione di primissimo piano i Pianell e i Cosenz » (94). Questa situazione diviene comprensibile ove si consideri che nessun apporto o quasi venne alla diplomazia piemontese dalle annessioni, mentre ben altro fu, come abbiamo visto, il contesto in cui si trovò ad operare l'esercito, chiamato anche a fronteggiare situazioni che ponevano in forse la stessa sopravvivenza del nuovo Stato. Alla luce dei dati raccolti e delle considerazioni che abbiamo fin qui svolto, ci sembra di poter concludere che la interpretazione che indica nell'esercito italiano una pura e semplice continuazione di quello sardo non possa essere condivisa. Anche l'apparato militare partecipò al travaglio dell'unificazione e se, in apparenza, sembrò superarlo agevolmente e senza grosse scosse, in sostanza l'esperienza lo segnò profondamente. La struttura che ne uscì, acquistando faticosamente una propria stabilità, anche se per certi aspetti sembrava identica alla precedente, era, in realtà, profondamente diversa.

(94) F. CH,\BOD, Sto·na della polittca estera italiana dal 187o al 1896. Le preme.rse, Bari, 1965, p. 594-


II. VINCENZO GALLINARI

I PRIMI QUINDICI ANNI .: .


l


VINCENZO GALLlNARI

l PRIMI QUINDICI ANNI

Gu ANNI DEL CONSOLIDAMENTO. I primi anni dell'Esercito italiano furono contrassegnati da gravissime difficoltà organizzative e psicologiche derivanti dalla necessità di rendere omogenee forze provenienti da trafìle assai diverse, in parte reclutate in regioni ove il servizio militare obbligatorio era una assoluta novità. Gli ufficiali, improvvisati per una buona parte e per un'altra ancor più consistente provenienti dalla promozione, dopo sommari esami, di sottufficiali dell'antica Armata Sarda, avrebbero avuto essi stessi bisogno di un adeguato periodo di adattamento e di addestramento. Sotto l'impulso della generale aspettativa di un nuovo imminente scontro con l'Austria e per il diffuso sentimento che l'Esercito costituisse il più potente cemento dell'unità nazionale e la migliore garanzia contro ritorni reazionari o particolaùstici, subito dopo il 186r non furono lesinati i mezzi finanziari per il suo rafforzamento. L'opinione pubblica liberale e democratica era anzi convinta che non si facesse abbastanza per dotare le Forze Armate di tutto il necessario per rendere il nuovissimo Regno d'Italia una delle maggiori potenze militari europee. Secondo l'arguta immagine di Carlo Còrsi, « i conti del Ministero della Guerra passavano fra le riverenze di tutti come il Santissimo sotto al baldacchino » ( 1 ) . L'intelaiatura data all'Esercito italiano dal Ministro Fanti con il noto decreto del 24 gennaio 1861 fu presto considerata insufficiente. Eppure essa prevedeva ben sei Corpi d'Armata con un complesso di 17 Divisioni di fanteria ed una di cavalleria, tutte su due Brigate. Ogni Corpo d'Armata aveva in organico, oltre a tre o due

(1) CI\RLO CòRsi, 1844- 1869, venticinque anni in Italia, vol. II, Faverio, Firenze, 18ìo, pag. 32.


Divisioni di fanteria, un reggimento bersaglieri su sei battaglioni, due regg1menti di cavalleria. tre brigate di artiglieria da campagna (2), una compagnia dì zappatori e uno squadrone guide. La forza totale necessaria per alimentare in tempo di pace questa struttura era valutata, con evidente larghezza, in circa 300.000 uomini. Nel r863 tale livello verrà quasi raggiunto, visto che si avevano al 30 settembre 273.044 uomini alle armi c 106.678 in congedo illimitato (3). N'el r862 er~mo stati costituiti altri dodici reggimenti di fanteria o granatieri, portandone il totale a ottanta. L'incremento era in massima parte soltanto apparente perché le nuove unità venivano costituite grazie anche alle compagnie recuperate riducendone il numero da r8 a 16 in ciascun reggimento per ritornare alla vecchia struttura piemontese su quattro battaglioni (4). Al maggior fabbisogno di ufficiali si provvede con un allargamento di organici che consente di inserire, dopo lo scioglimento del Corpo Volontari Italiani ormai ridotto a semplice quadro, circa J. 700 ufficiali garibaldini (5). Vengono inoltre riaperte le liste per il passaggio a sottotenente dei sottufficiali, esaurite nel periodo precedente. Con il ritorno alla vecchia articolazione dei reggimenti, si fece cosa certamente gradita al generale Alfonso La Marmora, suo sostenitore in memorabili discussioni parlamentari, che dopo le dimissioni del Ministro Fanti fu il non occulto ispiratore dei suoi successori, da Della Rovere a Petirti, a Pettinengo (6). Si ottenne anche, però, la possibilità di inviare in distaccamento nell'Italia meridionale e in Sicilia, per partecipare alla lotta contro il brigantaggio. (2) Nella nomenclatura militare del tempo la brigata di artiglieria corrispondeva al gruppo di oggi. (3) Relazicme m/le leve dalle atmessioni al 30 uttembre 186], Fodratti, T orino, 1864, pag. 9· li volume è stato certamente curato, anche se il suo nome non appare, dal generale Federico Torre. (4) Giornale Militare, 1862, pag. 187, regio decreto 26 marzo 1862, che riporta i reggimenti di fanteria su quattro battaglioni. Ibidem, pag. 493, regio decreco 29 giugno 1862, con il quale sono istituiti il 7° e 8'' granatieri e i reggimenti di fanteria dal 63° al 72°. (5) Giornale Militare, r862, pag. 192. Una relazione del Ministro Petitti ricapitola tutta la storia del C.V.I. Alla cifra indicata vanno aggiunti circa 500 fra medici, commissari, contabili, ecc. (6) Ecco la successione dei ministn della Guerra nel primo periodo unitario: gen. Manfredo Fanti fino al 12 giugno r861, inzerim di Bettino Ricasoli fino al 5 settembre x86r, gen. Alessandro Della Rovere fino al 3 marzo 1862, gen. Agostino Petitti Bagliani di Roreto fino all'8 dicembre 1862, di nuovo Della Rovere fino al 27 settembre 1864, di nuovo Petitti fino al 31 dicembre 1865, gen. Ignazio De Genova dì Pettinengo fino al 22 agosto r866.


--------------------------

)- < ------------------------~~-'

T PRIMI QUTNDICI ANNI

un battaglione per ogni reggimento senza diminuire troppo l'efficienza bellica di questo, ben più compromessa se si fosse inviato uno dei tre grossi battaglioni previsti dall'ordinamento Fanti. Benché ufficialmente l'apporto dell'Esercito alla lotta contro le bande fosse tenuto alquanto in ombra, evitando anche di dichiarare lo stato d'assedio fino ai giorni dell'Aspromonte, l'impegno delle truppe fu gravosissimo~ specie negli anni 1862, 1863 e 1864. Nata con le operazioni compiute dalle unità agli ordini dei generali Pinelli e de Sonnaz per dare sicurezza alle retrovie delle truppe che assediavano Gaeta e Civitella del Tronto, la guerriglia contro il brigantaggio conobbe varie fasi. Dapprima essa sembrò essere semplicemente una conseguenza della campagna del 186o- 61, cioè l'ampliamento del controllo militare alle zone rimaste fuori delle principali direttrici di marcia e il rastrellamento dei soldati borbonici sbandati a seguito della dissoluzione di gran parte dell'Esercito napoletano. Queste prime operazioni, condotte prevalentemente con criteri da guerra grossa, ebbero un seguito immediato nei combattimenti contro le grandi bande organizzate dalla corte borbonica di Roma, con larga partecipazione di ufficiali napoletani o stranieri devoti all'antico regime. Si mirava a provocare una insurrezione generale delle campagne e ad assumere il controllo politico- militare di vaste regioni, specie nelle vicinanze del confine pontificio, attraverso il quale giungevano ordini, denaro e rifornimenti. In questa fase, corrispondente grosso modo agli anni r86r e 1862, le bande attaccavano risolutamente i reparti dell'Esercito e gli stessi centri abitati ogni volta che si trovavano ad avere la prevalenza. Nel 1861 fu necessario impiegare nelle operazioni di repressione o per la sicurezza delle vie di comunicazione e dei servizi pubblici, totalmente o mediante distaccamenti, 4 reggimenti granatieri, 30 di fanteria, 4 di cavalleria e 19 battaglioni bersaglieri (7). Le operazioni assumevano talvolta carattere di grande ampiezza, con l'impiego di intere Brigate, come ad esempio il grande rastrellamento dei monti della Sila effettuato nel corso dell'estate dalla Brigata « Pisa n e le azioni di colonne mobili comandante dal de Sonnaz lungo il confine pontificio. La decisa reazione delle truppe portò all'allontanamento dalle bande del grosso degli ex soldati borbonici e inflisse alle speranze di restaurazione un colpo decisivo. Nel periodo successivo, il con-

(7) CESARE CESARI, Il brigantaggio e l'opera dell'Esercito italiano dal 186o al J8JO, Ausonia, Roma, 1920, pag. 91.


)4

t'ESERCITO TTALTA:-.10 DALL'uNrT.4. AlLA GRANDE GUERRA

(r86r • 1918)

solidamento del potere del nuovo Stato unitario e l'affievolirs.i dell'aspettativa di un ritorno in forze dell'Austria portano ad una graduale attenuazione della componente politica nell'orientamento delle bande. Il riferimento alla reazione antiunitaria e al ritorno di Francesco li è ancora frequente come richiamo propagandistico e come tentativo di legìttimazìone, ma la direzione della guerriglia è ormai sfuggita quasi completamente agli emissari borbonici e i legami con gli elementi antiliberali delle città svaniscono. Emergono nuovi capi locali, spesso provenienti dalla delinquenza comune. Il ridursi a ben poco degli aiuti esterni e l'impossibilità di controllare ampie zone, costringono le bande a rinunziare agli attacchi diretti contro le truppe per passare a più redditizi saccheggi o sequestri di persona. La lotta si spezzetta in episodi minori e tende a rifluire verso le zone più interne del Meridione. Le truppe non possono ora limitarsi a controllare le vie di comunicazione e i centri maggiori. Occorre inseguire e stanare gruppi sempre più piccoli di fuorilegge che si rifugiano nei luoghi più inaccessibili per compiere appena possibile rapide incursioni, ormai con lo scopo principale di procacciarsi i mezzi per la propria sopravvivenza. Queste azioni determinano un graduale mutamento nell'attitudine delle popolazioni, spesso tuttavia legate alle bande dal timore di rappresaglie. A questo tipo di lotta si prestano meglio le piccole formazioni . La maggior parte delle operazioni è affidata ai bersaglieri ed ai battaglioni distaccati dai reggimenti di fanteria, che agiscono con forze quasi mai superiori alla compagnia. Con colonne mobili e con presidi isolati nelle masserie, sono ora le unità dell'Esercito che tendono agguati alle bande, costrette a spostarsi attraverso una rete sempre più fitta di posti e di pattuglie, cui concorrono anche unità locali di guardie nazionali e squadriglie di volontari civili. All'8 giugno r862, nella parte di terraferma del territorio del 6° Dipartimento Militare, che comprendeva anche la Sicilia, si trovavano oltre alle quattro Brigate di fanteria, ai quattro battaglioni bersaglieri e alla Brigata di cavalleria che ne costituiscono la normale guarnigione, la Brigata « Modena», una seconda Brigata di cavalleria, ben 50 battaglioni tratti da altrettanti reggimenti di fanteria e tredici battaglioni bersaglieri (8). Si tratta, come si può ben vedere, di circa il 30% delle unità di base delle armi di linea. Per il controllo dei reparti distaccati sono istituiti numerosi comandi di zona e sottozona. Nei momenti

(8) Giarnale Militare, 1862, pag. 42r. Relazione del Ministro Petitti.


l J>Rll>fl QUINDICI A!'INI

'55

più difficili, la rete di comandi militari rappresentò una specie di ossatura di riserva per l'ancor fragile apparato politico amministrativo dello Stato unitario, sottoposto ad un imprevisto ed intenso cimento (9). Nel r862 due avvenimenti di rilievo interessarono l'Esercito. Il tentativo garibaldino dell'agosto si infranse cruentemente contro la reazione delle truppe regolari sull'Aspromonte, ma dopo aver determinato nelle Forze Armate qualche incertezza circa l'adesione del Governo all'impresa e reclutato in esse alcuni proseliti che saranno duramente condannati. Conseguenza dell'allarme suscitato da Garibaldi fu la proclamazione nelle province siciliane e napoletane dello stato d'assedio, cui non si era voluto far ricorso, come si è visto, per reprimere il brigantaggio, nemmeno nei momenti più difficili. I pieni poteri furono assunti dal generale Alfonso La Marmora nelle antiche province napoletane c in Sicilia dal generale Efisio Cugia, sostituito dopo pochi giorni dal Cialdini. Dopo la fine dell'emergenza alcuni strumenti dello stato d'assedio furono prorogati con successive leggi per facilitare la lotta contro le bande, che si protraeva al di là delle previsioni troppo ottimistiche, ma vedeva un continuo declino dell'efficienza militare dei fuorilegge. Altro avvenimento significativo, influenzato negativamente dalla anormale condizione del Mezzogiorno, fu la prima leva veramente nazionale, quella sulla classe r842 che venne chiamata a fornire un contingente dì 45.ooo uomini di prima categoria (ro). Si riscontrò, specie nelle regioni che in passato non erano soggette alla coscrizione, cioè l'Emilia, la Romagna, le Marche, l'Umbria e la Sicilia, un alto tasso di renitenza, calcolato mediamente dal Torre nella percentuale dell'u,s1 (u), destinata a più che dimezzarsi negli anni immediatamente successivi. Era alta anche la proporzione delle diserzioni, non facilmente valutabile (12). Va notato a questo proposito che era considerata diserzione anche la mancata partenza per il reggimento degli assentati, cioè degli iscritti alla pri ma categoria in occasione della leva.

(9) GtoRGIO ROCtiAT- GmLtO MASSOBRIO, Bret•e storia dell'Esercito italiano dal 1861 al 1943• Einaudi, Torino, 1978, pag. 38 c seg. (10) Legge 10 luglio 1862. (u) Relazione sulle leve al 30 settembre 1865. 1-'odrani, Torino, 1866. (12) Relazione sulle le t'e al 30 settembre t86 ], cit., pag. 46, valuta i disertori dal t86o al 1863 in r6.223, ma esclude dal conto gli arrestati e i costituiti.


56

L'ESERCITO ITALIANO DALL·Ul',-IT.~ ALLA CRAl-."DE Gl1.EllRA

(1861 • 1918)

Il fenomeno era però già grave ancor prima della leva sulla classe r842. Scrive infatti il Còrsi all'inizio del r862: <1 Al presente l'Esercito italiano è travagliato da diserzioni frequenti c numerose» (13). In ogni modo, la clùamata della classe r842, avvenuta nel 1863, come si è già visto, consentì di portare la forza al le armi assai vicino ai 300.000 uomini auspicati da tante parti (14). Divenne possibile prevedere un ulteriore ampliamento dell'Esercito. Costituito in Sicilia il 7" Gran comando di Dipartimento, si intendeva portare a ventuno le Divisioni mobilitabili. aumentando in proporzione le unità delle varie armi, fino a raggiungere il livello di 84 reggimenti di fanteria e 138 squadroni. Il bilancio 1863. previsto inizialmente di oltre 262 milioni, fu però ridotto a 250 e Petitti dovette rinunciare alla costituzione delle nuove unità. L'anno r863 vide un ulteriore frazionamento del brigantaggio nel Mezzogiorno, anche se restarono temibili nella Basilicata alcune grosse bande a cavallo, ma non una sua minore diffusione nelle varie regioni. L'impegno politico oltre che militare dell'Esercito, che mantiene nel Meridione circa 90.000 uomini, è accentuato dalla legge 15 agosto 1863, votata dal Parlamento al termine del dibattito sulla relazione della Commissione d'inchiesta sulle condizioni della pubblica sicurezza nell' Italia meridionale. La legge Piea, come finì col chiamarsi dal nome del suo promotore, dapprima temporanea per un breve periodo, ma poi più volte prorogata, prevedeva un inasprimento di pene per i componenti di bande armate e per i loro favoreggiatori e riservava la competenza a giudicare tali reati a tribunali militari, sia territoriali, sia costituiti in via straordinaria presso i reparti. Nonostante l'eccezionalità della situazione, l'Esercito non mirò a sostituirsi all'autorità civile, né i tribunali militari si spinsero, di massima, al di là della legge (15), come attesta anche il largo numero di assoluzioni. Gli ingenti finanziamenti ottenuti nei primi tre anni di vita dall'Esercito unitario furono ampiamente utilizzati anche per unificare e ammodernare l'armamento. Adottato per tutta la fanteria il fucile rigato ca!. 17,5 modello r86o, di origine francese ma largamente prodotto anche in Italia dalle fabbriche militari, si completò abba(13) Rivista Jfilitare Italiana, 1862, vol. I, pag. 156. (r4) Ordine del giorno presentato alla Camera nel r861 dalf'On. Turatt . Atti pari., Camera, VIII legislatura, sessione 186r - 1863, documenti, pag. 1287. (rs) GIORGIO CAND.ELORO, Storia dell'Italia mollt-ma, vol. V, La costruzione dello Stato unitario, Fcltrinelli, Milano, r9()8, pag. 201. Analoghe valutazioni in: JoHN Wr-urr...!lt, The politics uf italian army, Croom Helm, London, HJi7• pag. 86. Comra: FRANCO MoLFESE, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Feltrinelli, Milano, ry66, pag. 287.


l PRIMI QUINDICI AN:-<J

57

stanza rapidamente la dotazione di tutti i reparti, assicurando anche un ampio margine di armi di riserva. Basteranno però pochi anni, soprattutto l'esperienza della guerra austro- prussiana, per far divenire obsoleta ogni arma ad avancarica. Allestite entro il 1863 ben 500 bocche da fuoco in bronzo rigate per armare le ottanta batterie dei cinque reggimenti da campagna, si passò subito dopo alla costruzione di altri 250 pezzi di riserva. Era in corso nello stesso periodo anche la fabbricazione di cento cannoni in ferro rigati da 40 (calibro 17 cm) per la difesa delle coste e si prevedeva già il raddoppio della commessa (16). Si tratta, nel complesso, di un pesante impegno per gli stabilimenti militari, pressoché soli produttori nell'Italia di allora di armi per le Forze Armate, e di un ragguardevole sforzo finanziario, che trovava ancora il pieno consenso del Parlamento. L'anno successivo il deputato Mordini potrà affermare, ma c'è già una punta di critica nelle sue parole, che «il più fortunato dei Ministri aila Camera è veramente quello della Guerra. Non vi sono intoppi, non vi sono mai resistenze o il ministro si chiami Fanti, o Petitti, o Della Rovere » (17). All'euforia finanziaria, di cui però non beneficiava soltanto l'Esercito, si aggiungevano nel favorire le spese militari le voci ricorrenti, ad ogni primavera, di un imminente conflitto con l'Austria (r8). Il 1864 si rivela un anno di transizione. Comincia nell'opinione pubblica più consapevole un riflusso verso una maggiore cautela finanziaria , più che giustificata visto che il disavanzo del bilancio si stava avvicinando ai 400 milioni. Nonostante una certa effervescenza determinata dalla guerra contro la Danimarca che vede impegnate Austria e Prussia, cominciano a levarsi in Parlamento voci preoccupate, come quella del deputato Boggio, che chiedono una riduzione delle spese militari, in realtà già ridotte di circa quindici m il ioni rispetto all'anno precedente. Verso la fine dell'anno le prime previsioni finanziarie per il 1865 sono già scese da 233 a poco più di 204 milioni, corrispondenti ad una forza media di 252.018 uomini (19). Ulteriori richieste di (r6) Atti parlamwtari, Camera, VIII legislatum, seui07le 1863- 1865, documemi, pag. 2204. Relazione Pescetto sul progetto di legge riguardante l'acquisto di nuove armi. (17) Atti parlamentari, Camera, V/Il legùlatura, sessione r863- 1865, discussioni, tornata dell'S giugno 1864, pag . 5084. (r8) Per l'allarme diffusosi nel r863 e per i provvedimenti che lo seguirono: LuiGI CHI ALA, La politica italiana e l'amministrazioTJe della Guerra dal 1863 al marzo 1866, in Rivista Militare Italiana, lB]o, vol. I, pag. 215 e seg. (19) Atti parlamentm·i, Camera, Vlll legislatura, sessùme 1863 - z865, documenti, pag. 3009 e seg., relazione Fenzi sul bilancio di previsione del Ministero della Guerra per il r865.


S8

L .f.Sf..RCITO ITALI\KO DA!.L' U ~lT-~ ALLA CR.\:-IDE C UERRA (1861 • 1g1 8)

- --

economie , non contrastate né dal nuovo Ministro, Agosùno Petitti Bagliani di Roreto, né dal La Marmora, tornato alla Presidenza del Consiglio ne} settembre 1864, riducono ancora il bilancio della Guerra a 175 milioni di spese ordinarie c r8 di straordinarie. Al primo gennaio r865, la truppa alle armi si è ridotta a 246.738 uomini e scenderà a 188.330 entro il dicembre successivo. Ora che la prospettiva di una guerra sembra dissipata, l'opinione pubblica e il Parlamento chiedono economie sempre più massicce Anche La Marmora non prevede per l'immediato futuro uno scontro con l'Austria, e lo fa sapere in giro. Ritiene che, nel caso improbabile di una guerra, basti mobilitare poco meno di 250.000 uomini (20). A dicembre, Petitti predispone diversi decreti che, senza ridurre il quadro generale dell'Esercito, dovrebbero consentire rilevanti economie. Si tratta di ritocchi alla struttura territoriale e alle stesse umta di linea, senza però variare l'organico degli ufficiali Il personale del Ministero è invece ridotto a 409 persone, compreso il Ministro. Nel presentare i decreti, Petitti sottolinea che la forza in congedo illimitato è ormai sufficiente anche per ampliare, all'occorrenza, il piede di guerra c afferma che l'economia realizzata vuol essere soprattutto una manifestazione di buona volontà, senza pesanti conseguenze effettive. « Il vantaggio che deriverà dal complesso di siffatte disposizioni sarà abbastanza sensibile onde resti affermato che l'Amministrazione della Guerra ha fatto quanto era conciliabile con i gravi interessi affidati alla sua tutela. per sovvenire alle esigenze economiche del Paese l> (2r). Le economie si realizzano, almeno in parte, attingendo materiali dalle scorte di mobilitazione, con conseguenze il cui peso si farà sentire nel r866. A maggio, il contingente di prima categoria previsto per la leva sul 1845 è ridotto a 46.000 uomini, che verranno chiamati con forte ritardo e sotto la pressione di nuovi avvenimenti. Per riassorbire gradualmente i r .850 ufficiali eccedenti rispetto al nuovo ordinamento, si decide una drastica riduzione delle ammissioni all'Accademia Militare e alle Scuole di fanteria e di cavalleria (22). Con ottimismo eccessivo, la campagna contro il brigantaggio viene considerata già vinta e i reparti rientrano pressoché turti nelle (20) ClUALA, op. cit., pag. 227. (21) Giornale Militare, 1864, pag. 8os, relazione al Re in clara 18 dicem-

bre 1864. (22) Giornale Militare, r&Js, pag. 543, relazione Petitti del 2 luglio t&Js.


l

PRI~l

QlTINDICI

;\~NI

59

auarnigioni. ove li attendono i pesanti turni di guardia, una vera fattura pt:r l'efficienza dell'Esercito, specie ora che la forza bilanciata è ridotta a 235.857 uomini. Un documento successivo (23) dimostra che le dichiarazioni di Petitti aano al di qua deiJa realtà, e applicabili semmai solo ad alcune regioni. dando ampio spazio alla descrizione delle operazioni iniziate nell'aprile rH6s contro il malandrinaggio siciliano. Sotto il comando del generale Medici, 17 battaglioni, in parte fatti venire dal conùnente, furono impegnati in un vasto rastrellamento delle province di Palermo, Trapani e Girgenti. Benché non si verificassero scontri importanti, le operazioni si protrassero fino ad ottobre. Tuttavia, le economie di bilancio realizzate non vengono ancora considerate sufficienti. Alla fine dell'anno, proprio alla conclusione de.lla sua gestione ministeriale, Petitti propone un nuovo ordinamento. Con ulteriori riduzioni degli organici, anche degli ufficiali, che ora vengono collocati in aspettativa, si dovrebbero recuperare altri dieci milioni. A proposito del calo della forza effettiva va ricordata, riferendola anche agli anni precedenti, la difficile situazione sanitaria dei reparti, da porre in relazione sia con i cambiamenti di clima e di abitudini cui erano soggetti i militari di leva, sia con l'elevatissin1a morbilità che si riscontrava in quegli anni tra la popolazione civile. Nel 1864 i ricoveri negli ospedali militari ammontarono a 264.000, pari all'86o~ della forza, con una degenza media di 16 giorni (24). Date le limitate possibilità che aveva la medicina, anche il numero dei decessi era sicuramente molto elevato. Sulla situazione generale pesavano in misura determinante i reparti dislocati nel Meridione, esposti all'infierire della malaria e del tifo, entrambi endemici in quelle regioni (25). A pagina 88 della relazione citata, il generale Petitti ricorda che ai campi d'arma dell'estate 1864 « non poté partecipare la Brigata " Pinerolo ", tuttora affranta dai mali sofferti nelle province meridionali )>.

(23) D~II'Amministrazione della Guerra nel 1865. Relazione rassegnata a Sua Ma~sttÌ (del Ministro Genova Thaon di Revel), Fodratti, Torino, 186j,

pag. 96·

(24) Relazione suli'Amministrazrone della Guerra nel 1864 (del Mini· stro Petitti), Cassooe, Firenze, 1865, pag. I39· (25) Cfr. i rapporti dei generali Franzini e Mazé de la Rochc riportati in RocHAT- MAssoBRIO, op. cit ., pag. 63 n.


60

I.'ESER<;ITO ITALIANO UALL'UNlTÀ ,\LLA CR.'\NDE GUERR\

(186r- J<;)t8)

LA GUERRA DEL '66. L'anno x866 si era aperto all'insegna delle economie, che ci si proponeva di incrementare di r4 milioni, e dell'improbabilità di una guerra. Il generale Ignazio De Genova di Pettinengo, nominato Ministro della Guerra il 31 dicembre r865, sembrava destinato semplicemente ad amministrare il programma con ulteriori riduzioni di struttura e di forza coraggiosamente presentato da Petitti proprio nei giorni delle sue dimissioni. Il 7 marzo egli. invece, venne informato della possibi1ità di una guerra con l' Austria (26), come conseguenza del positivo andamento delle trattative per un'alleanza antiaustriaca che il generale Govone veniva conducendo a Berlino. Gli uomini mobilitabiJi e già istruiti venivano allora valutati in 354.000, comprese le classi di prima categoria in congedo illimitato (27). Furono subito chiamati per istruzione 30.000 uomini di seconda categoria. Altri rso.ooo uomini, però ancora da istruire, si sarebbero potuti trarre dalla prima categoria del 1845 e dalla seconda di altre classi. La stretta dipendenza del Ministro Pettinengo dal Presidente La Marmora è testimoniata da una lettera del 24 aprile, il giorno successivo alla diffusione della notizia che l'Austria stava effettuando forti concentramenti di truppe nel Veneto (28). Pettinengo chiede a La Marmora « quale ordinamento tattico si debba dare all'esercito mobilizzato » e quale debba essere il rapporto fra le forze da lasciare nel Meridione e quelle da inviare alla frontiera. Il Ministro aggiunge che, richiamando le classi in congedo c facendo rientrare ai corpi i battaglioni distaccati al sud, si potrebbe costituire un'armata di circa I90.ooo uomini, ripartiti in sedici Divisioni di fanteria più una di cavalleria, capace di prevalere numericamente sulle fo rze austriache nel Veneto, valutate in ros.ooo uomini. Resta però che, secondo Pettinengo, l'Italia avrebbe dovuto inviare in linea molto meno dei due terzi della forza immediatamente disponibile. E' evidente la sua preoccupazione per il presidio del Mezzogiorno, che secondo lui andrebbe rafforzato con il raggruppamento delle unità e con il trasferimento al sud di battaglioni della Guardia nazionale mobile. Per quanto riguarda la (26) Relazione sui provvedimenti dell'A mministra::;ione della Guerra dal gennaio al 20 agosto dell'a11no 1866 (del gen. lgnazio di Pettinengo), Cassone, Firenze, r86], pag. 14. (27) Ibidem, pag. 222. (28) Ibidem, pag. 232. 1°


I PRIMI QUINDICI ANNI 61 - - - - -- - ·- - - - -· -- - ------·- - - - - - - - -- - -

costituzione delle Grandi Unità, ed è questo il particolare più grave, Pettinengo attende di conoscere preventivamente il concetto d 'azione stabilito da La Marmora, senza azzardarsi a formulare nemmeno delle ipotesi. Forse conscio della debolezza del limitato spiegamento di forze che egli stesso propone, il Ministro si incoraggia sperando nell'effe tto, d'altronde non chiaramente prospettato, (( della nostra superiorità marittima che dovrebbe procacciarci degli enormi vantaggi in una guerra combattuta in un teatro di operazioni che è in tanta parte limitato dal mare » (29). Comunque, sotto l'impulso delle notizie che vengono da Berlino, i preparativi bellici proseguono. Alcune Brigate di fanteria vengono trasferite nella Valle Padana, si affretta la fortificazione di Cremona, vengono riprese le operazioni per la leva sulla classe r845, da concludersi entro il r" maggio, si cerca di ricostituire rapidamente le dotazioni di mobilitazione fortemente intaccate negli anni precedenti. n_ 28 aprile vengono diramate le istruzioni ministeriali da seguire m caso emergenza. Per evitare inutili viaggi verso i depositi stanziati neUe regioni meridionali, i richiamati settentrionali saranno inviati esclusivamente ai depositi situati al nord. E' una opportuna semplificazione, destinata però a creare contrattempi e confus ione. Lo stesso giorno viene ordinato il richiamo delle prime categorie delle classi dal 1834 in poi e delle seconde categorie di due classi, il r84o e il r84r. L'afflusso dei richiamati avverrà fra il 5 ed il IO maggio. Negli stessi giorni i battaglioni di fanteria ancora distaccati al sud raggiungeranno i propri reggimenti . Per coordinare i complessi movimenti delle truppe viene istituito presso il Ministero un Ufficio militare che tenta di sopperire alla mancanza di uno Stato Maggiore permanente. Il Presidente La Marmora aveva concepito le prime direttive strategiche, pur accompagnandole con molti se (3o). Si prevede che le fortezze del Quadrilatero debbano essere non assediate ma superate, per attaccarle eventualmente da est. Comunque non immediate azioni di forza, ma operazioni di attesa per seguire l'andamento dello scontro fra Austria e Prussia. Fra le due possibili linee di operazioni, quella tradizionale piemontese da ovest verso est e quella suggerita dalla nuova strut(29) Ibidem, pag. 235· (3o) PtERO PtERr, Il pr·oblema militare del r866, in : «Atti del XLIII congresso di storia del Risorgimento italiano >> (Venezia, 1966), ISRI, Roma, r9()8, pag. 225.


62

t .'ESERCITO IT\LIANO DALL.UNIT.~ ALLA CR.~NDF. GUERRA

(1861- 1918)

tura statale unitaria e dalla posizione geografica della capitale, c1oe da sud verso nord, non si è fatta alcuna scelta, neppure quella basata sul coordinamento di entrambe. Due Corpi con un complesso dì sei Divisioni sono fra Lodi e Cremona. altre sei Divisioni sono intorno a Bologna, le rimanenti quattro, dislocate nella zona di Piacenza, potrebbero gravitare sull'una o sull'altra linea, determinandone la prevalenza. In giugno, altre quattro Divisioni saranno gradualmente formate con Brigate provenienti dal Meridione. Con l'eccedenza di truppe presso i depositi, costituite in gran parte di soldati del 1845 o di seconda categoria, si formano quinti battaglioni nei reggimenti di fanteria e noni nei reggimenti bersaglieri. Essi vengono subito spostati al sud per addestrarsi e assicurare nel contempo il presidio delle regioni centro - meridionali, cui concorrono, specie nei pressi del confine pontificio, battaglioni di Guardia nazionale mobile formati sul posto. I battaglioni settentrionali restano invece quasi tutti a presidiare le città rimaste prive di truppe. Il 6 maggio era stato ricostituito il Corpo dei Volontari Italiani, posto agli ordini del generale Garibaldi. Ne possono far parte soltanto coloro che non abbiano obblighi militari e gli ufficiali dell'Esercito che ottengano una speciale autorizzazione. I battaglioni, in un primo tempo ne sono previsti venti, saranno chiamati in servizio <<quando si presenti l'eventualità di prossima guerra». '< Benché la chiamata delle classi si eseguisca per ogni dove con una spontaneità e un entusiasmo degni di maggior lode » (31), grava sull'Esercito, insieme agli effetti del depauperamento di materiali di mobilitazione causato dalle precedenti economie, una assoluta incertezza riguardo al concetto operativo generale. La mobilitazione ebbe modo di svolgersi senza urgenza nel corso di ben 57 giorni. Certamente essa fu complicata, oltre che dalla già notata povertà dei magazzini, dalla precedente abolizione dei depositi reggimentali, che fu necessario ripristinare in gran fretta, e dal giungere contemporaneo alle armi di moltissimi uomini non istruiti. L'istituzione dei battaglioni extra organico, poi raggruppati in sedici reggimenti temporanei, una soluzione improvvisata e non priva di inconvenienti, consentì di radunare nella Valle Padana tutte le venti Divisioni mobilitabili e di << depurare l'esercito attivo

(31) Rela zion~ sui provt•t:dimenti. ccc., cit., pag. 308.


l PRIMI QUINDJCI A>INI

degli elementi meno atti alla guerra» (32). La cavalleria poté invece avere solo una limitata e tardiva espansione. Per mancanza di cavalli, l'arma non riuscì inizialmente a mettere in linea più di cinque squadroni per reggimento. L'effettiva formazione del Corpo Volontari Italiani, forse per evitare premature ritorsioni austriache, avvenne nei due centri di mobilitazione di Como e di Bari soltanto a partire dal 21 giugno, primo giorno di guerra. Benché il problema degli ufficiali si presentasse assai grave, unito a quello della scarsità di equipaggiamento (33), fu prevista subito la costituzione di 10 reggimenti a due battaglioni. L'affluenza di volontari, superiore alle aspettative, costrinse dopo poco a formare altri venti battaglioni di fanteria, cui se ne aggiunsero due di bersaglieri. I reparti riuniti nella zona di Bari dovevano rappresentare una potenziale minaccia per le coste orientali dell'Adriatico, mentre i reggimenti costituiti nell'alta Lombardia avevano il compito di garantire il fianco sinistro delle Divisioni operanti sul Mincio. Funzione analoga a questa aveva la legione di Guardia nazionale mobile (battaglioni 44o e 45°) comandata dal colonnello Guicciardi e reclutata fra i montanari della Valtellina e della Valcamonica con il compito di difendere le provenienze dallo Stelvio e dal Tonale in collegamento con l'ala sinistra dei volontari. Visto il tipo di reclutamento della legione e la sua funzione operativa, essa può essere considerata il prototipo delle truppe alpine italiane (34). Nell'imminenza della guerra, La Marmora lasciò la Presidenza del Consiglio a Bettino Ricasoli per assumere le funzioni di capo di Stato Maggiore, che dovrà svolgere stretto fra il desiderio di Vittorio Emanuele di esercitare l'effettivo comando dell'Esercito e l'intenzione di Cialdini di utilizzare tutta l'ampia autonomia che gli era stata promessa. La guerra fu dichiarata il 20 giugno, ma con un rinvio di tre giorni dell'inizio delle operazioni, forse ispirato da sentimenti cavallereschi, più probabilmente dal desiderio di La Marmora di ritardare ancora l'effettiva apertura delle ostilità. L'Esercito schie-

(32) LuiGI OHrALA, Cenni storici sui preliminari della guerra del r866 e sulla battaglia di Custoza, Voghera, Firenze, 1870 (ma r87r), pag. 536.

(33) Ai volontari non furono distribuiti cappotti. Sopra la camicia di fianella rossa avrebbero dovuto indossare in caso di necessità la coperta da campo trasformata in una specie di poncho. (34) Relazione sui prowedimenti, ecc., cit., pag. 70. Cfr. anche, per le immediate impressioni che riporta : ANGELO UMILTÀ, l volontari del r866, Wilmant, Milaiw, r866.


64

l.'ESERCll"() l"tAllAl\0 0 .\I..L'U:-<IT.\ ALL\ GRA:-<D:E CIJERR.-\

(r86J · 1918)

rava venti Divisioni, ciascuna su due Brigate di fanteria. due battaglioni bersaglieri e una brigata di artiglieria. Ad esse si univa una Divisione di cavalleria di linea su quattro reggimenti. mentre quattro Brigate di cavalleria erano assegnate in rinforzo ad altrettanti Corpi d'Armata. Questi ultimi erano in totale quattro, di cui tre con dodici Divisioni sul Mincio ai diretti ordini di La Marmora ed il quarto, forte di ben otto Divisioni, agli ordini del generale Cialdini sul basso Po. In totale, l'Esercito italiano, per la prima volta messo alla prova della guerra, aveva portato alla frontiera 360 battaglioni, 91 squadroni, 84 batterie, 165.455 fucili, J 0.577 sciabole, 636 cannoni (35). Non è il (( florido esercito » di cui parla il proclama di Vittorio Emanuele, e nemmeno, sul piano numerico, l'esercito che avrebbe dovuto schierare uno Stato di 22 milioni di abitanti. E' tuttavia un complesso imponente e nettamente superiore ai tre Corpi che poteva allineare, con poco più di centomila uomini, l'Armata austriaca del sud comandata dall'Arciduca Alberto. Il destino della guerra venne deciso nel primo giorno di combattimenti, il 24 giugno. Al concetto temporeggiatore del comando italiano, che aveva ordinato una marcia su linee parallele attraverso il Quadrilatero supponendo il nemico di là dell'Adige, si opponeva una attitudine nettamente aggressiva dell'Arciduca Alberto. Audacemente trascurando la propria inferiorità numerica, egli raccoglie dentro e intorno a Verona pressoché tutte le forze disponibili per lanciare appena possibile un attacco sul fianco sinistro italiano. Giustamente è stato detto che lo scontro sulle alture fra Mincio e Adige rappresentò una sorpresa per entrambi gli avversari, ma per gli austriaci fu sorpresa tattica, per gli italiani una ben più grave sorpresa strategica (36). Il comando austriaco seppe reagire immediatamente esercitando una forte pressione sull'ala sinistra italiana. Quello italiano si rivelò inconsistente, non solo per la mancanza

(35) ALBERTO Pottro, Cu.rtoza ( 1866 ), 43 ediz., Libreria dello Stalo, Roma, 1935, pag. 2(_Jì. (36) Non è qui possibile descrivere né le fasi della battaglia di Custoza, né quelle delle successi,·e operazioni. Una loro accurata ricostruzione può essere tratta, oltre che dalle opere citate in queste note, primo fra tutte l'ottimo lavoro del generale Pollio, dai seguenti libri: La campagna del 1866 in Italia, Comando del corpo di Stato Maggiore, Roma, 1875 - r895; Complemento alla storia della campagna del r866, Comando del corpo di Stato Maggiore, Roma, 1909: PIERO PIERI, Storia militare del Risorgimento, Einaudi, Torino, 19li2; EDOARDO ScAtA, La guerra del 1866 pt>r L'unità d 'Italia, Tiber, Roma, 1929: Pro CALZA, Nuova luce sugli eventi militari del r866, Zanichelli, Bologna, T924·


l

l'RIMI QUI:>IDJC! .'\!'IN!

di un preciso concetto operativo da opporre a quello nemico, ma per l'inesistenza di un centro al quale far affluire le informazioni e dal quale provvedere ad irradiare gli ordini. Il generale La Marmora, su questo concorda pienamente anche uno storico suo amico come il Chiala, è in perpetuo movimento, trasformato in portaordini di se stesso, alla ricerca dei generali da lui dipendenti, a loro volta vanamente impegnati nella ricerca del comandante in capo. Scriverà con severa schiettezza il generale Pollio: c< Seguendo attentamente l'andamento della campagna, non si riesce a comprendere chi comandasse l'Esercito italiano » (37). L 'Arciduca trovò così modo di conseguire la superiorità locale nei confronti di tre Divisioni del I Corpo c di una del III che, nonostante la resistenza accanita di alcuni reparti, non ressero all'urto. Le deficienze funzional i del comando italiano non consentono di coordinare gli sforzi delle Divisioni investite, né di muovere a sostegno di esse le altre Divisioni del III Corpo. Benché le perdite delle due parti fossero abbastanza equilibrate, circa 8.ooo uomini per ciascun Esercito (38), le Divisioni italiane si ritirarono prima al di qua del Mincio e poi ancora più ad ovest, sul basso Oglio. Le notizie sulla battaglia, fatte pervenire a Cialdini con accenti esageratamente catastrofici, indussero il comandante del IV Corpo a rinunziare all'avanzata oltre il Po ed a ritirarsi verso la via Emilia. Forse incerto sull'effenivo esito della battaglia, anche per la capacità di reazione spiegata alla nostra estrema ala sinistra dalla Divisione Pianell, ignaro del disordine che si era creato nelle linee italiane e conscio della persistente inferiorità numerica, l'Arciduca Alberto non volle sfruttare il successo, né disturbare seriamente la ritirata italiana. La battaglia. condotta dal comando italiano in <l modo inverosimile » (39). è riassunta dalla magistrale capacità di sintesi di Carlo Còrsi, che ne fu testimone, con queste parole: ,, Una mossa offensiva da parte nostra, diretta a prendere posizione sulle alture fra Peschiera, Pastrengo e Verona, collo scopo di rompere le comunicazioni tra le principali fortezze del Quadrilatero, isolare Peschiera, richiamare verso il Mincio l'Esercito austriaco; la quale mossa ci condusse ad uno scontro su tutta la nostra fronte coll'Esercito ora detto, accorso di qua dall'Adige più presto che il Comando (37) PvLUO, op. cit., pag. 5· (38) l dati forniti d:1l Pu;Rt, Storia militare del Riscrgunento, cit., pag. 7)9, e quelli forniti dal Pou .IO, op. ctt., pag. 265. sono vicini ma non coincidono. (39) PoLuo, op. àt., pag. 270.


66

L' r:s!:RCITO ITALI 1\NO 0"-LL'L'NlTÀ

\LLA CRA~nJ:: CLlRRA

(r86I - 1918)

Supremo del nostro E:.ercito non sei figurasse, conseguenza del quale fu un primo cenno di attacco da parte nostra, cui successe un contrattacco da parte del nemico: dopo di che la battaglia si ridusse ad un sanguinoso contrasto in cui noi avemmo la peggio>> (40). Una battaglia mal condotta ma bravamente combattuta, come testimoniano le perdite dei due avversari e come riconobbe anche l'Arciduca Alberto scrivendo che <<non si può negare all'avversario la testimonianza di essersi battuto con tenacia e valore >> (41 ). ebbe conseguenze catastrofiche per la demoralizza:òone e la confusione che avevano sopraffatto j più alti comandi c si erano diffuse in alcuni reparti. Seguì un periodo d'inerzia, rotto il 2 luglio dai volontari di Garibaldi con la sanguinosa riconquista di Monte Suello, in precedenza abbandonato per ordine superiore. Nei giorni seguenti il Corpo Volontari Italiani condusse una serie di difficili operazioni nelle vallate alpine, contrastate da una tenace resistenza austriaca. Le forze di Cialdini riprendono il movimento in avanti passando il Po nella notte sull'8 luglio e avanzando nella pianura veneta verso il Friuli senza incontrare resistenza. Il giorno 14 si tiene a Ferrara un consiglio di guerra che, insieme ad un nuovo piano di operazioni, decide la scissione dell'Esercito in tre masse. Al comando di Cialdini cinque Corpi con 14 Divisioni marceranno verso l'Isonzo, mirando a Vienna. E ' il Corpo di spedizione, che raccoglie la parte migliore dell'Esercito, non provata dalla sconfitta. Resta in Lombardia un Corpo di osservazione con sei Divisioni, alle dipendenze di La Marmora, mentre un Corpo di riserva si va formando su due Divisioni costituite con reggimenti provvisori che raggruppano quinti battaglioni ritirati dall'Italia meridionale, che si mantiene assolutamente tranquilla. Mentre l'avanzata di Cialdini si svolge non contrastata dagli austriaci. ma ostacolata da gravi difficoltà logistiche, Garibaldi coglie il 21 luglio a Bezzecca una faticosa vittoria, l'unica della campagna, che gli consente un ulteriore progresso in direzione di Trento, città verso Ja quale converge anche la Divisione del generale Medici, distaccata dal Corpo di spedizione. Gli austriaci cominciano ad opporre qualche resistenza sul Torre e si vanno rafforzando su li' Isonzo. Le avanguardie italiane, spinte troppo avanti rispetto al grosso, possono trovarsi da un momento all'altro in situazione critica. Cialdini preferisce ritirarle

(4o) CòRsr, op. cit., pag. 185. (41) Riportato in Pa.Rt, Storia militart' dd Risorgimt'rito, cit., pag. 759·


l l'RIMI QlliJ'DICT \J'NI

dietro il Tagliamento. L'armistizio di Cormons, il 12 agosto, blocca tutte le operazioni, compresa la promettente avanzata su Trento di Garibaldi e di Medici, arrestata per ordine superiore già dal giorno 9· Se l'organizzazione logistica ha lasciato a desiderare in prima linea. l'amministrazione militare diretta da Pettinengo, che venne gradualmente acquisendo maggiore importanza rispetto ad un comando supremo pressoché inesistente, ha compiuto sforzi notevolissimi. Sono complessivamente sotto .le armi 11 classi, con una massa che sfiora in agosto i soo.ooo uomini, oltre a 38.ooo volontari garibaldini e 3o.ooo guardie nazionali mobili (42). Nel campo degli armamenti, l'Esercito poté disporre di 470.000 fucili mod. 186o, dei quali J45.000 ancora inutilizzati nelle armerie alla fine delle ostilità, più 54.000 carabine da bersaglieri mod. r856 e rso.ooo armi di altri modelli . Le cartucce per fucile sommavano a II8 milioni.. Dal 1" gennaio al 20 agosto r866 gli arsenali produssero 480 pezzi da 16 BR, 216 da 8 BR e r64 bocche da fuoco da muro in ferro. Nonostante le deficienze di traini e di personale, fu possibile mobilitare 83 batterie da campagna da 8 BR mod. 1863, con 54.0 pezzi compresi quelli di riserva, c un parco d'assedio con oltre 200 bocche da fuoco mobili da 16 BR mod. 1863. E ra anche disponibile più di mezzo milione di colpi completi (43). Come si può dedurre dai modelli citati, armi portatili ed artiglierie erano state tutte progettate e prodotte negli ultimi dieci anni. E' questa una fortuna che non capiterà mai più all'Esercito italiano nella sua storia più che centenaria.

Gu ANNI DELLE ECONOM IE. Dopo il 1866, nonostante l'opera di recupero morale e addestrativo. condotta soprattutto dal Ministro Ettore Bertolè Viale (44), si apre un periodo che vede un forte indebolimento dello strumento militare italiano. Il Paese e l'Esercito si interrogavano sulle cause di Custoza e tentavano di eliminarle, pur fra incertezze e recrimi-

(42) R~lazione sui prOl't·~dimenti. ecc., cit., pag. 19. (43) Ibidem, pag. 399· (44) Successori del Pettinengo al Ministero della Guerra furono: gen. Efisio Cugia dal 22 agosto t.866 al 10 aprile 186-j, gen. Genova Thaon di Revel fino al 2j ottobre dello stesso anno, gen. Ettore Bcrtolè Viale fino al 14 dicembre r86g, quindi il gen. Giuseppe Govone fino al 7 settembre x87o, quando ebbe inizio la lunga amministrazione del geo. Cesare Ricotti Magnani.


68

L'ESJo.RCITO ITALI.\'10

DALL'l1 KIT,~ ALLA CR.1:--IDF. Gl!ERR.\ (1861 • 1918)

nazioni. La situazione finanziaria era però di,·enuta dopo la guerra ancora più difficile e l'affezione all'Esercito, anche nelle sue stesse fi le, rapidamente caduta. Spettò al generale Efisio Cugia il compito di liquidare l'eredità della guerra, rappresentata non soltanto dalle spese straordinarie sostenute. Fu necessario prima arrestare l'ulteriore accrescimento dell'Esercito, che si stava ottenendo con la formazione dei ~esti battaglioni, e quindi dar cor5o ad una rapidissima smobilitazione. Si doveva tuttavia pensare anche all'avvenire. Poiché il merito della vittoria prussiana veniva in gran parte attribuito all'uso dei fucili Dreyse a retrocarica, quegli stessi che l'anno prima erano stati giudicati inadatti (45), già in settembre i] Consiglio dei Ministri delibera la costruzione nell'Italia centrale di una fabbrica d'armi capace di allestire rapidamente 6oo.ooo fucili di nuovo tipo. Comincia anche il dibattito sul futuro ordinamento dell'Esercito, con opinioni che vanno dalla costituzione di una grande struttura quadro, da riempire in caso di guerra, al mantenimento in tempo di pace di un organismo piccolo, mobile e ben dotato (46). Il bilancio per il 1867 viene portato a meno di 135 milioni e si fa fronte con congedi anticipati e con lo scioglimento dei quarti battaglioni dei reggimenti di fanteria e di unità di base nelle altre armi e specialità, oltre che con l'abolizione di comandi territoriali dì vario livello. Se si riduce l'ampiezza dei quadri, si cerca dì migliorarne la qualità con il riordinamento del corpo dì Stato Maggiore e l'istituzione, l'I r marzo 1867, della Scuola superiore di guerra. I problemi dell'economia incombono su ogni decisione. Dopo ripetute prove, si preferirà rinunciare al rinnovamento completo delle armi della fanteria per ripiegare sulla trasformazione a retrocarica, secondo il modello Carcano, dei fucili e delle carabine esistenti. La trasformazione di un'anna costa infatti 10 lire, mentre un fucile nuovo ne costerebbe 6o. Le classi sotto le armi sono ridotte a tre e più di un terzo degli ufficiali è in aspettativa. La ridotta forza disponibile è chiamata a coprire ben 11.267 posti di guardia, il che significa un impegno permanente per almeno 45.000 uomini (47).

(45) Relazione sui provt,edimenti, ecc., cit., pag. 169. (46) CòRsr, op. ci1., pag. 317. (47) Alli parlcmJ('TJtt?ri, Camem, X legtSlatura, seuìone r867- 1868, stamp. ) E, relazione di Domenico Farini sul progetto di bilancio della Guerra per il 1867, presentata il 14 giugno 1867.


J

~

j .f

J '

J>RI~H

QUINDICI

AN~!

Il I 0 maggio 1867 il Ministro Genova di Revel, nominato da pochi giorni, presenta un disegno di legge di riordinamento dell'Esercito (48). La struttura generale e queJla delle singole unità non differiscono molto da quanto già esiste , ma cominciano ad apparire nuove idee. L'Esercito sul piede di guerra dovrà articolarsi, su un complesso di 57o.ooo uomini, in una forza di prima linea con 325.000 uomini, una massa di complementi di 105.ooo uomini, destinati a coprire i vuoti che si veriiìcheranno nella prima linea, e una forza presidiaria di altri qo.ooo. Il contingente di prima categoria viene stabilmente fissato in 4o.ooo uomini e viene aboiita la surrogazione, il cui gettito di I.Ioo individui l'anno finiva per metà alla reclusione militare o alle compagnie di punizione dei cacciatori franchi. Nell'autunno si profila una nuova emergenza. Alcune migliaia di garibaldini premono ai confini dello Stato Pontificio, sperando in una insurrezione popolare a Roma. Il governo Rattazzi un po' reprime il movimento, molto di più lascia correre. Si augura che da Parigi venga il segnale di via libera per l'annessione. Le truppe schierate lungo il confine pontificio con 27 battaglioni, ufficialmente per impedire sconfinamenti, si preparano a marciare su Roma da sud e da nord con due Brigate miste, insieme ai garibaldini o subito dopo (49). Per far fronte alle possibili evenienze, si cerca di rafforzare nuovamente l'organismo militare. Vengono richiamate la classe 1842, congedata anticipatamente, e la classe 1841. A Pisa è costituito un Comando generale delle truppe attive nella media Italia, si formano nuovamente i quarti battaglioni nei reggimenti di fanteria e le quarte compagnie dei battaglioni bersaglieri. Le illusioni, non solo dei garibaldini, tramontano il 3 novembre a Mentana di fronte all'intervento delle truppe francesi. Il recupero di forza ottenuto nell'autunno viene in gran parte conservato dal generale Ettore Bertolè Viale, Ministro della Guerra nel nuovo gabinetto Menabrea, e il bilancio 1868 ne risente, salendo a 161 milioni, che consentono di tenere alle armi una forza media di truppa che risulta di poco superiore a 2oo.ooo uomini (50).

(48) Atti parlamentari, Camera, X legislatura, sessione 1867- 1868, stamp. 48. (49) Atti parlamentari, Camera, X legislatura, sessione r867 - r868, stamp. 134 q~<inquies, carte consegnate alla Presidenza dal Ministro Bertolè Viale il 3 febbraio r868. (so) Atti parlame11tari, Camera, X legislatura, seuione 1867- 1868, stamp. 128 G, relazione Farini sul bilancio r868.


70

L'ESERCITO ITALI;I.NO DAlA: UNITÀ ;\!.LA GRAf\'DF. Gt:;hRlt~ ( Il:i61 • '1918)

Il criterio dell'economia torna a prevalere dopo pochi mesi. Il bilancio proposto per il 1869 scende a 142 milioni e la forza bilanciata a 168.634 uomini (51). Anche Bertolè Viale presenta un suo progetto di ordinamento, destinato a restare senza conseguenze come quello del suo predecessore (52). Questa volta vengono rcgolan soltanto il reclutamento, il servizio alle armi e la ripartizione generale dell'Esercito. Comincia a divenire ormai chiaro che la differenza fra esercito di pace ed esercito di guerra deve essere assai ampia, più o meno secondo un rapporto da uno a tre. Gli arruolati vengono ripartiti in tre categorie: 44.000 alla prima, con l'obbligo di quattro anni di servizio alle armi, salvo la cavalleria che resta a cinque; 20.ooo alla seconda, con servizio ridotto a cinque mesi; tutto il resto alla terza istruita per quaranta giorni complessivi nei comuni di residenza. Presa come base una forza bilanciata di I73.000 uomini, si avrebbe in caso di guerra un esercito di prima linea di 425.300 uomini, tutti di prima o seconda categoria, e un esercito di riserva di I98.7oo uomini, costituito dalle classi anziane della prima categoria e dal complesso della terza. Per la prima volta appaiono i volontari di un anno, destinati anche a fornire sottotenenti all'esercito di riserva. L'Esercito, che già nel settembre r866 era stato chiamato a sedare con la forza la grave rivolta di Palermo, è impiegato agli inizi del 1869, sempre agli ordini del generale Cadorna, per reprimere le sommosse contro l'imposta sul macinato nelle province emiliane. Sono questi i primi della lunga serie di pesanti interventi richiesti all'Esercito dall'autorità politica per la tutela de1l'ordine pubblico, un impiego gravoso, dannoso per l'addestramento e, a lungo andare, carico di conseguenze politiche. Il permanere del bilancio ad un livello piuttosto basso e le limitazioni di forza che ne conseguono. spingono ad una politica di ripieghi e di compromessi. Viene stabilita tutta una serie sfumata di condizioni organiche, destinata a coprire con nomi nuovi una sostanziale povertà. Si hanno così il piede stanzialc, il piede mobile incompleto, il piede mobile completo e il piede di guerra. Con la formazione di un certo numero di Divisioni attive si cerca di svincolare almeno una parte delle truppe dai pesanti servizi presidiari per consentire una più scrìa attività addestrativa . La conseguenza

(51) Atti parlamentari, Cama·a, X legislatura, ressione 1867 - 1869, stamp. 169 O, relazione Cosenz. sul bilancio della Guerra per il 1&:'9. (52) Atti parlamentari, Camera, X legislatura, sessione 1867- 1868, stamp. 286 del 12 aprile 1868.


·"' l PRTMJ QUINDJCI ANNI

inevitabile è però un ulteriore impoverimento delle altre unità, quasi interamente assorbite dai turni di guardia. In questo stesso periodo, ci si accorge che la soluzione adottata per le armi a retrocarica è puramente provvisoria. Occorre anche tener conto che per utilizzare pienamente il tiro rapido bisogna che i soldati portino con sé un maggior numero di cartucce. Di qui la necessità di armi di minor calibro. Hanno inizio le prove di comparazione tra diversi fucili, tutti tranne uno di modello straniero. Prevarrà alla fine il Vetterli cal. ro,5, ma l'avvio della produzione in Italia incontrerà altri ostacoli. Per il bilancio r8;o si hanno diversi progetti, sempre più ndotti, visto che il problema del disavanzo restava gravissimo. Al fine di risparmiare qualche piccola somma, vengono eliminate alcune divisioni del Ministero e, cosa veramente straordinaria, perfino molte carte periodiche. Con il ricorso a congedi anticipati e a sospensioni delle chiamate, si conta di portare la forza bilanciata a 127.962 uomini, un minimo storico. Nonostante il lungo governo di Bertolè Viale, che Còrsi giudicherà « saggio e provvido >> (53), la situazione resta difficile e scoraggiante. Ecco come essa è descritta dal generale Giuseppe Govone in una lettera indirizzata al collega de Sonnaz nel dicembre x869, pochi giorni prima di assumere il Ministero della Guerra (54): « L'eserci to quale è oggidì sotto le bandiere, ha forza che supera appena i bisogni del servizio giornaliero di presidio, onde non resta margine sufficiente ad una buona, solida estesa istruzione militare. Il soldato non resta sotto le bandiere, come sarebbe necessario, cinque anni compiuti, manca la possibilità di rinnovare il personale degli ufficiali come sarebbe urgente, mancano anni più perfette, materiale di guerra più abbondante, e sono mal guernite le frontiere di terra e di mare ... la povertà delle finanze toglie ogni speranza ed oppone un ostacolo insormontabile alla soddisfazione di tanti bisogni, onde saremo condannati all'impotenza finché la fina~za non sia ristorata e, deboli oggi, saremo più deboli domam ». Lo scoppio della guerra franco- prussiana creò, jn un organismo così debole, nuovi urgenti problemi. Tramontato fortunatamente il generoso ma improvvido proposito di Vittorio Emanuele,

(53) CòRSI, op. cit., pag. 319. (54) Riportata da: Pr"RO Pnm, 1..-e forze armate nell'età della Destra, Gìuffrè., Milano, 1g62, pag. 438. Il testo è tratto da: UBERTO GovoNE, Il generale Giuseppe GovQne, ft·a mmenti di memorie, Casanova, Torino, 1902.


72

t.'LSERCITO ITALIANO DALL 'UNITÀ ,\LLA GR\NDE Gl:ERR\

(I86r - 1918)

che voleva scendere in campo al fianco della Francia, era tuttavta necessario predisporre un rafforzamento dello strumento militare per far fronte alle possibili evenienze. Si richiamano le classi dal 1842 al 1845, che si affiancano alle tre già sotto le armi, e si costituisce nell'Italia centrale un Corpo d'osservazione, che diverrà poco dopo IV Corpo, pronto a cogliere le occasioni che possono derivare dal conflitto. Altre tre classi, a partire dal 1839, vengono richiamate ai primi di settembre. Nonostante i richiami. i reggimenti di fanteria riescono a mobilitare soltanto tre battaglioni, lasciando il quarto in guarnigione con funzioni di deposito. Il 12 settembre, risultate vane le speranze di accordo in extremis con Pio IX e assicurata la non ostilità delle potenze, le truppe italiane entrano nello Stato Pontificio. Le comanda il generale Cadoma, che ha ai suoi ordini tre Divisioni, cui si aggiungeranno poi, con compiti distinti, altre due. Non era stato possibile, però. portare le Divisioni sul piede di guerra, né completarne 1e dotazioni (55). Le operazioni sono dirette dal Ministro per telegrafo, ad opinione di Cadorna troppo minuziosamente e con qualche incertezza circa la via da seguire per arrivare sotto le mura di Roma. Il generale Ricotti, che aveva preso possesso del Ministero il 7 settembre, respingerà queste critiche con l'appoggio di altri documenti (56), ma la stessa polemica è indice di un'intesa ben lontana dall'essere perfetta. Dopo alcuni giorni di cauto avvicinamento, suggerito dalla speranza di una soluzione pacifica, la mattina del 20 la cinta delle Mura Aureliane è investita su tutto l'arco da Porta San Giovanni al Pincio. La breccia aperta dall'artiglieria tra Porta Pia e Porta Salaria è il luogo di un breve, ma non incruento, combattimento. Pio IX, che aspettava soltanto il manifestarsi dell'azione di forza, ordina la resa alle sue truppe. Con questa operazione, modesta sul piano militare ma indispensabile per sciogliere un difficile nodo politico, terminano le campagne del Risorgimento. I problemi che l'Esercito dovrà affrontare d'ora in poi saranno di altro genere, ma non meno seri.

(55) R.-'.FFAELE C.\DORNA, La libera:::iont> di Roma nt>ll'anno 1870 t>d il pirbiscito, Roux, Torino, 1889, pag. 63. (56) CESARE RICOTTI, Osservazioni al libro di Raffade Cadorna: La liberazione di Roma ndl'anno 1870, Miglio, Novara, 1889.


T l'RIMI QUl>IDlCI i\NNT

LE RIFORME RlCOTTIANE. Con l'anno r871 si apriva nell'Europa occidentale un periodo di pace straordinariamente lungo. Eppure, dopo .il conflitto fra la Pruss.ia, sostenuta dai suoi alleati germanici, e la Francia, combattuto dai due eserciti con violenta energia, l'Europa era convinta di trovarsi di fronte all'inizio di una lunga serie di guerre che sarebbe terminata solo con lo stabilirsi di un nuovo equilibrio. Mentre l'Esercito francese compiva con successo un grande sforzo per riconquistare una posizione di primo piano nel quadro europeo, gli Stati del continente diedero inizio ad una affannosa ricerca della propria sicurezza mediante il rafforzamento degli eserciti e delle flotte, in una gara senza traguardo che avrebbe trovato in se stessa il proprio incentivo. Prima ancora che si potessero trarre dalla guerra franco - prussiana, sul piano tattico e sul piano organico, utili insegnamenti, purtroppo accompagnati da una tendenza eccessiva all'imitazione delle istituzioni militari del vincitore (17), apparve immediatamente ch iara per ogni esercito l'esigenza di poter mobilitare in breve tempo forze molto numerose da avviare rapidamente nei luoghi di radunata. Per l'Italia in particolare, il ricordo della guerra del '66 era anche a questo proposito assai amaro. Era perciò assolutamente necessario giungere al più presto anche da noi ad una organizzazione militare adeguata alla nuova situazione internazionale, che ci lasciava privi di garanzie esterne, senza però mettere a repentaglio l'equilibrio finanziario dello Stato . .Aderivano oramai a questa impostazione praticamente tutte le forze politiche, convinte della necessità di serie riforme militari, salvo i pochi, come La Marmora, che consideravano l'organizzazione esistente la migliore possibile e coloro, specie nella Sinistra parlamentare, che ritenevano il problema militare completamente svincolato dai limiti di bilancio. Questa quasi totale unanimità sui fini nascondeva tuttavia un ampio ventaglio di opinioni diverse sugli strumenti da adottare, come avrebbero dimostrato sia i lunghi ed elevati dibattiti in Parlamento sulle leggi di riforma, sia l'eccezionale fioritura fra il r87r

(57) Fra i primi a comprendere le novità che la guerra franco - prussiana aveva apportato alla scienza militare e alla politica europea fu Niccola Marselli. Ne dà testimonianza il suo libro Gli avvenimenti del I87o, Loescher, Torino, r87t, scritto e pubblicaro quando il conflitto non si era ancora concl uso.


74

L'ESERCITO ITALI \1\0 IHLL'U~!TÀ ALLA GRANl>E GUERRA ( 18fi1 • 1918)

e il r873 di pubblicazioni riguardanti l'ordinamento dell'Esercito e la difesa del territorio nazionale. Il 13 novembre r87o, a poche settimane dalla sua nomina, il Ministro Ricotti fu in grado di presentare alla .firma reale un primo gruppo di cinque decreti che avviavano riforme di grande importanza, da attuare immediatamente senza necessità di ricorrere a provvedimenti legislativi. La rapidità della mobilitazione prussiana , che avveniva su basi territoriali, cioè con l'afflusso dei richiamati al reparto più vicino alla loro residenza , era considerata uno degli elementi determinanti delle prime decisive vittorie sull'Esercito francese, più lento ad entrare in campagna proprio per aver adottato un sistema, cui quello italiano si ispirava, assai macchinoso e poco redditizio in termini di espansione in tempo di guerra dell'organismo militare. D'altra parte, timori politici connessi all'ancora incompleta fusione degli elementi regionali nel nuovo Stato unitario e al ripetuto impiego dell'Esercito in servizi di ordine pubblico, sconsigliavano l'adozione del sistema prussiano di reclutamento e di mobilitazione. La soluzione adottata da Ricotti con l'istituzione dei distretti militari (58) rispondeva alle esigenze del Paese senza superare i limiti imposti dalla sua storia e dalla sua geografia. I nuovi enti, cui ci si sforzò di dare un carattere più operativo che burocratico, nascono con una molteplicità di compiti probabilmente eccessiva, per divenire il cardine dì tutte le operazioni di reclutamento e di mobilitazione. Le funzion i affidate ai 45 comandi di distretto erano al tempo stesso logistiche, addestrative ed amministrative e consentivano di ottenere un notevole decongestionamento delJe attività dei reggimenti, che potevano così dedicarsi meglio ai propri fini operativi e addestrativi. I distretti dovevano provvedere alla fase iniziale dell'addestramento delle reclute di prima categoria, che venivano in tal modo gradualmente acclimatate, senza bruschi allontanamenti dalla zona di origine, alla vita militare per essere poi avviate ai corpi già equipaggiate e fornite di alcune nozioni di base. A questa preziosa collaborazione all'attività addestrativa dei reggimenti si univa l'intera .responsabilità dell'addestramento dei militari di seconda categoria, limitato a qualche senimana, ma fonte di intralci alla normale vita reggimentale. Nel campo logistico, i distretti dovevano assicurare l'approvvigionamento del vestiario, del carreggio e delle attrezzature per i

(58) Giornale Militare, 1870, pag. 913.


l

l

l 'l

PRI~fl

Q Ul>JD!CI A'<'<!

75

reparti di fanteria e di cavalleria di stanza nella rispettiva zona di oiurisdizione. In caso di mobilitazione, essi dovevano provvedere ~Jrarmamento dei richiamati ed al loro diretto avviamento ai reggimenti già trasferiti in zona di radunata. I corpi erano così eso-;.erati dalla conservazione prt:sso i propri depositi delle armi individuali per i militari in congedo e dalla loro manutenzione. ln questa attività operativa era racchiusa la carica innovatrice che i distretti apportavano alla difficile e complessa fase della mobilitazione, la più critica per qualsiasi esercito. Venivano affidati al distretto anche l'amministrazione dei militari in licenza o io congedo e, in guerra, il controllo amministrativo sui depositi lasciati in guarnigione dai reggimenti mobilitati. Le diverse dimensioni territoriali e demografiche indussero a suddividere i distretti in tre classi, con organici variabili in funzione dei predetti parametri. L'estrema complessità dei compiti affidati ai distretti indurrà negli anni successivi ad aumentare a più riprese il loro numero, sgravandoli nel contempo di una parte degli incarichi. Lo stesso decreto, oltre ad abolire i 65 comandi provinciali e i numerosi comandi di piazza, affidando i compiti di presidio ai reparti di stanza nelle varie località, riduceva a sedici il numero dei comandi di Divisione territoriale (59) ed affiancava ad essi quattro comandi di Divisione attiva, in modo d'averne in pace quanti ne erano previsti in guerra. Era così alleggerita la struttura territoriale, mentre venivano affidati ai comandi attivi compiti di addestramento dci quadri e di spcrimentazione tattica, oltre alla predisposizione di una prima copertma nel caso di un improvviso scoppio delle ostilità. Con un altro provvedimento si riduceva il numero dei generali da 153 a 126 e si assicurava ai comandanti di Divisione in tempo di pace che lo sarebbero stati anche in guerra. Nella relazione al Re che accompagnava il decreto istitutivo dei distretti c'è gi2 un primo accenno al progetto di fare di essi i perni di quel secondo esercito, destinato alla sicurezza del territo-rio nazionale ed al r.inforzo del primo, di cui si sentiva negli ambienti militari e politici più accorti l'impellente necessità, dimo-strata anche dal contenuto dei progetti di ordinamento presentati da Revel e da Bertolè Viale. Uno degli altri decreti che portano la stessa data del I 3 novembre riguarda la nuova organizzazione dei bersaglieri, una ri(59) Erano <Juelli di Alessandria, Bari, Bologna, Chieti, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Perugia. Roma, Salerno, Torino, Verona.


76

t."ESERCITO ITALIANO D.U.J \JN !T.~ H L.\ CMNDE GlJ ERRA (t86I - 11}18 )

forma che avrebbe attirato sul nuovo Ministro una quantità di ingiustificate critiche. I cinque reggimenti a nove battaglioni. troppo grandi per essere qualcosa di diverso da enti puramente amministrativi e disciplinari, perciò sostanzialmente e necessariamente rispettosi della tradizionale autonomia dei battaglioni, danno luogo a dieci reggimenti su quattro battaglioni, organismi dotati di una propria funzione tattica (6o). Contemporaneamente si stabiliva un nuovo ordinamento dell'artiglieria su dieci reggimenti composti di otto batterie da campagna, cinque compagnie da piazza e tre compagnie di carriaggi provenienti dal disciolto corpo del treno d'armata (61). In questo modo era prefigurata l'assegnazione a ciascuno dei dieci Corpi d'Armata perfettamente identici nei quali Ricotti pensava, con lucido e coerente disegno, che dovesse suddividersi l'Esercito al momento della mobilitazione, di un reggimento di artiglieria e di uno di bersaglieri. Particolare attenzione Ricotti rivolgeva alla istituzione di un vero e proprio servizio di sanità, fino allora caratterizzato da un profilo assai incerto. Abolito il corpo di amministrazione (62), si costituivano sedici direzioni degli ospedali militari, una per ogni Divisione territoriale, e si ponevano alle loro dipendenze altrettante compagnie di infermieri militari. Alle direzioni, che di lì a poco avrebbero acquisito ulteriore rilievo con l'inserimento dei medici militari fra gli ufficiali, era affidato anche il compito di predisporre uomini e materiali per le ambulanze da assegnare ai Corpi mobilitati. Nel dicembre successivo, con un altro blocco di decreti, veniva istituito il Comitato delle armi dì linea, al posto dei soppressi Comitati di fanteria e di cavalleria, stabilite le circoscrizioni territoriali dei tre Corpi d'esercito ricostituiti e ridotto in relazione alle riforme già adotta-te l'organico del corpo di Stato Maggiore. L'Esercito numeroso, bene articolato e capace di scendere in campo senza abbandonare a se stesse vaste regioni del territorio nazionale, auspicato un po' da tutti e che Ricotti ha già in mente nelle lince generali, richiedeva però una drastica riforma delle basi

(6o) Ricotti pensava di utilizzare i bersaglieri in compiti di avanguardia e di fiancheggiamemo affini a quelli della cavalleria ed in collaborazione con essa. Atti parlamentari, Senato, Xl legislatura, seuicme 187o- I8Jr, discussioni, tornala dell"u marzo 1871. (61) Due batterie del 5° reggimento erano di artiglieria a cavallo. (62) Esso comprendeva infermieri, panettieri e addetti ai magazzini. Giornale Militare, 1870, pag. 9113·


l

PRnll QUINDICI i\N:--11

77

<riuridiche del reclutamento c del servizio militare. Esse erano an::> cora fondate sulla legge 20 marzo 1854, valida per il piccolo Regno di Sardegna, ma inadatta, benché il generale La Marmora la pensasse diversamente, ad un grande Stato moderno in un'epoca che stava assistendo a vasti cambiamenti nelle istituzioni militari europee. A pochi giorni dall'apertura della nuova legislatura, Ricotti presenta al Senato il suo progetto sulle basi geuerali per l' organamento dell'Esercito che doveva costituire il fondamento di tutta la costruzione che egli veniva attuando. E lementi essenziali del progetto (63), al quale il Parlamento avrebbe apportato modifiche non sostanziali, erano: la riduzione del servizio sotto le armi dei militari di leva, in modo da poter aumentare da 4o.ooo a 6o - 6s.ooo uomini il contingente annuo di prima categoria senza aggravio di spesa ; l'istituzione della milizia provinciale, con compiti sia di rincalzo per l'Esercito permanente, sia di sicurezza della zona territoriale; l'istituzione del volontariato di un anno, di imitazione prussiana, volto a generalizzare il servizio militare in concomitanza dell'abolizione della surrogazione e destinato soprattutto, nell'intenzione di Ricotti, ad attirare verso l'Esercito la gioventù colta dalla quale si sarebbero potuti trarre ufficiali di complemento (64), una categoria fino allora inesistente. La nuova legge sul reclutamento corrispond<.:va esattamente ai termini del problema che Ricotti era chiamato a risolvere : ottenere senza aumento sensibile di spesa, attraverso la riduzione del servizio alle armi a non più di quattro anni, salvo per la cavalleria, un aumento dei riservisti addestrati tale da consentire di formare in guerra un esercito di prima linea di 300.000 uomini, pari a venti Divisioni di 15.000 armati. Con i soldati di seconda categoria, addestrati sommariamente in tempo di pace, si otteneva un rincalzo di roo- 12o.ooo uomini in grado di ripianare le perdite della prima linea e una riserva di uomini capace di formare, insieme alle classi più anziane di prima categoria, un altro e.sercito destinato alla difesa territoriale ed eventualmente a rinforzare quello di prima linea. Per ottenere questo risultato era necessario avere nei ruoli,

(63) Atti parlamentari, Senato, Xl legislatura , sessione 1870- 1871, stamp. 6. (64) Ricotti dichiarò al Senato che aveva ammesso il volontariato di un anno " semplicemente per proòurre degli ufficiali all"Esercito " · Atri parlamentari, Senato, Xl legi.<latrJra, sessione I8JO- J8JI, discussioni, tornata del 16 marzo 1871.


considerati gli inevitabili sfridi, un complesso di circa 750.000 uomini fra prima e seconda categoria. La costituzione di un esercito di seconda linea era la logica risposta al mutamento della situazione politico- strategica italiana, che faceva considerare possibile avversaria anche la Francia, un Paese che con la sua notevole potenza navale era in grado di mettere facilmente in perico.lo le coste tirreniche c la stessa città di Roma. Mentre il Parlamento attraverso un impegnativo dibattito procedeva all'approvazione della legge (65), il generale Ricotti continuava per mezzo di decreti reali o ministeriali ad attuare il suo programma di riforme. I reggimenti di fanteria vengono contratti. senza perdita di forza complessiva, da quattro a tre battaglioni, che possono così giungere ad avere 404 uomini in tempo di pace e 993 in guerra, con risparmio di ufficiali da destinare ai distretti e possibilità di più realistico addestramento. Ai tre battaglioni viene contemporaneamente aggiunto un deposito permanente. I reggimenti di granatieri, salvo i primi due, vengono trasformati in altrettanti reggimenti di fanteria che ne conserveranno parzialmente la denominazione (66). Kello stesso tempo le compagnie distrettuali vengono portate a 160, in modo che ciascuna possa costituire il nucleo di un battaglione di milizia provinciale appena questa sarà costituita. Intanto, con la legge 31 marzo r87r, n. 136, era stata approvata la chiamata contemporanea di due classi di leva, r8so e 1851, riportando l'inizio del servizio alle armi al ventesimo anno d'età. I contingenti annui di prima categoria erano fissati in so.ooo uomini, ma essi andavano alle armi, per il momento, solo entro il limite di 30.000 unità. Si realizzava così un contingente complessivo di 6o.ooo uomini, quello stesso che Ricotti contava di raggiungere in seguito ogni anno, grazie alla nuova legge sul reclutamento.

Jr. NUOVO EsERCITO. Non soltanto per quel che si è visto l'anno 1871 fu quello in cui più intensa si sviluppò l'attività riformatrice del Ministro Ricotti. Oltre a presentare disegni di legge riguardanti la giurisdi-

(65) Legge 24 luglio 1871, n. 200. (66) Giurnale Militare, r87r, pag. 157, regio decreto del 5 marzo 1871.


l

l'RIMI Qt.;(!'>()IC! ANNI

79

zione dei tribunali militari, il collocamento a riposo degli ufficiali c: i relativi limiti di età (ritirato quest'ultimo per l'opposizione del

Senato, ma ripresentato con modifiche), i matrimoni degli ufficiali, il Ministro dispone per decreto il riordinamento della cavalleria, costituendo un ventesimo reggimento, i « Cavalleggeri Roma » e disponendo di aumentare gradualmente la forza dell'arma di 4.500 cavalli, l'istituzione dci reparti allievi sottufficiali e la soppressione delle Brigate permanenti di fanteria. Quest'ultimo provvedimento verrà poi annullato, pur senza tornare alle Brigate rigidamente binarie di modello piemontese, con decreto ministcriale del 20 dicembre 1874. Era stata approvata da appena sei mesi, grazie anche alle energiche sollecitazioni del Ministro e alla sua insospettata abilità nel far fron te brillantemente ai dibattiti parlamentari, la legge sulle basi generali, quando venne presentato al Parlamento un nuovo disegno di legge che stabi liva la struttura organica dell'Esercito (67). Nello stesso tempo, altri disegni di legge definivano la circoscrizione militare territoriale, i nuovi stipendi degli ufficiali e alcune modifiche alle norme di avanzamento. La decisione di far approvare con un provvedimento legislativo l'articolazione definitiva dell'Esercito fino al livello compagnia - squadrone- batteria derivava dall'accoglimento, forse al di là del richiesto, di un ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati, su proposta di Domenico Farini, il 2 1 dicembre 1870 (68). Con esso si voleva sottolineare il carattere politico delle principali decisioni riguardanti l'Esercito ed evitare lo stillicid io di riforme parziali e spesso contraddittorie che ogni nuovo mi~istro della Guerra era solito attuare per decreto reale. Il progetto percorrerà un lungo iter parlamentare, anche a causa delle modifiche apportate dal Senato, e diverrà legge solo nel settembre 1873 (~). Questa legge non fa che confermare nella sostanza le riforme di carattere organico già adottate nei primi mesi della gestione Ricotti. Unica variante di un certo rilievo la suddivisione dell'artiglieria in dieci reggimenti da campagna e quattro da fortezza, da costituirsi questi ultimi in tempi successivi.

(67) Atti parlamentari, Camera, Xl legislatura, ussionc 1871- 187], stamp. 53· (68) L'ordine del giorno diceva : «fissato per legge l'inquadramenro militare, i nostri ordini militari acquisteranno maggiore autorid e maggiore stabilità » . (69) Legge 30 settembre 1873, n. 1591.


8rJ

T.'ESI'.RCJTO l'L\Ll.\NO DALI.\: l'ITÀ ALLi\ GRANDE GUERRA (1861 - T918}

E' importante notare come la struttura centrale dell'Esercito comprenda ora una serie eli comitati, primo fra tutti il nuovo Comitato di Stato Maggiore Generale, /( corpo consultivo del Governo nelle grandi quistioni militari l> . Il sistema dei comitati d'arma già esisteva da tempo, come si è Yisto, ma l'istituzione di questo nuovo organismo pone al centro della vita dell'Esercito un collegio che si occupa di politica militare generale senza costituire un corpo a sé, come il Grande Stato Maggiore prussiano, ma anzi stabilendo un punto di collegamento e di confronto fra gli alti comandi, i comitati d'arma e il Ministero. La circolazione delle idee è facilitata, mentre metodi e mentalità diversi possono compenetrarsi. L'articolo 25 della legge sulla struttura dell'Esercito stabiLisce che « In alcuni distretti vi saranno delle speciali compagnie alpine nel numero da fissarsi secondo le esigenze di servizio ». Anche in questo caso si tratta della sanzione legislativa di un provvedimento già adottato in sordina con decreto, ma con un riferimento esplicito nella relazione che lo accompagnava, fin dal 15 ottobre 1872 (70). Una disposizione della stessa legge assimila agli ufficiali i medici, i veterinari, i commissari d'intendenza ed i contabili, categorie fino allora rimaste in uno stato intermedio fra il civile e il militare. Si tratta di un provvedimento lungimirante, che assicurerà all'Eserc.ìto una maggiore compattezza e migliore funzionalità ai diversi servizi, che potranno essere più agevolmente articolati su basi territoriali in corrispondenza dei comandi di Divisione. E ' la premessa necessaria per far fronte al crescente sviluppo che in ogni. ~sercito moderno stanno avendo i servizi logistici e arnministratJvt. Tuttavia, questa assimilazione che assegnava gradi iden tici a quelli degli ufficiali delle varie armi e concedeva un trattamento giuridico, economico e di carriera analogo, sia pure con alcune limitazioni, incontrò in Parlamento una viva opposizione che era l'eco del malumore degli ufficiali d'arma. Accompagnano la legge sull'ordinamento dell'Esercito le tabelle organiche dci comandi e dei reparti, approvate con decreto ministeriale, dalle quali emerge l'estrema limitatezza degli organici dei comandi, ristretti a pochissimo personale (71 ).

(70) Giornale Militare. 1872, pag. 520. (7r) I Comandi Generali, corrispondenti in tempo di pace a quelli di Corpo d'Armata, si compongono di 7 ufficiali, 3 scrivani e 4 ordinanze, quelli di Divisione contano da 9 a 6 ufficiali e da 13 a 7 tra scrivani c ordinanze. I comandi di Brigata erano costiluiti soltanto dal comandante, da un capitano aiutante di campo e da uno scri\'ano.


l l'RIMI QUINDICI Al'>NI

81

Sotto la data del 30 settembre 1873 viene promulgata anche la legge che stabilisce la circoscrizione militare territoriale. confermando le sedici Di\'isioni già previste con decreto, ma aumentando a sette i comandi generali ed a 62 i distretti militari (72). Sono state appena approvate queste leggi fondamentali, che confortano con un ampio consenso parlamentare tutta la prima fase ddle riforme ricottiane, quando il Ministro presenta un nuovo disegno di legge sul reclutamento che modifica le norme vigenti dal 1871 nel senso di una più accentuata generalizzazione del servizio militare. Su questo progetto, però, il Parlamento è assai lento a decidere perché esso va ad urtare molte idee preconcette ed elimina privilegi da troppo tempo consolidati. Sarà necessario riproporre il progetto dopo le elezioni del 1874. A conclusione di un vivace dibattito, esso verrà finalmente approvato con la legge 7 giugno r875, n. 2532. Principali elementi di novità contenuti in quest'ultima sono l'estensione del servizio militare fino al compimento del trentanovesimo anno, in modo da aver disponibili venti classi di leva, e la effettiva generalizzazione dell'arruolamento con l'istituzione della terza categoria, che comprende gli uomini fisicamente idonei esonerati in tempo di pace per motivi familiari e l'abolizione del passaggio a pagamento dalla prima alla seconda categoria, ultimo residuo della vecchia affrancazione. Si istituisce anche una milizia territoriale, composta dalle classi più anziane e dai militari di terza categoria c si rende ufficiale la riduzione a tre anni del servizio sotto le armi, di fatto già raggiunta e superata con l'anticipo dei congedamenti (73). Per l'organizzazione della milizia territoriale, che è il coronamento della nuova struttura tripartita dell'Esercito, il generale Ricotti aveva presentato un progetto al Parlamento fin dal dicembre 1874, ma esso potrà mutarsi in legge, con qualche variante, soltanto dopo che la t·itioluzione parlamentare del r8 marzo 1876 avrà portato al Ministero della Guerra, nel primo gabinetto Dcpretis, il generale Luigi Mezzacapo. In sintesi, si può dire che l'articolazione fondamentale dell'Esercito italiano, destinata a durare, con accrescimenti successivi, fino al 191~, nasce dalle leggi organiche proposte da Ricotti nel ~uo sessenmo ministeriale nei Gabinetti Lanza e Mìnghetti, un

(72) Legge 30 settembre 1873, n. 15_92. I Comandi Generali hanno sede a Torino, Milano, Verona, Firenze, Roma, Napoli c Palermo. (73) Il servizio sotto le armi in cavalleria resta fissato a cinque anni. 6.


lungo periodo caratterizzato da una eccezionale coerenza di pensiero e di azione. L'Esercito del primo decennio unitario, ancora improntato al modello piemontese per l'incertezza e l'incostanza dci tentativi di riforma, diviene uno strumento modernamente concepito, adeguato ai propri fini quanto lo consentono i mezzi disponibili. L'esigenza di portare in campo un'armata numerosa non viene accolta attraverso una costosa dilatazione dell'organizzazione di pace. Lasciata questa quasi immutata per quel che riguarda l'intelaiatura in Divisioni, Brigate e reggimenti delle armi di linea e senza incrementi sostanziali di spesa, si è mirato a costruire un meccanismo di rapida mobilitazione che consentisse di sfruttare in pieno le risorse demografiche italiane. In tal modo, l'Esercito permanente potrà divenire molto superiore ai 300.000 uomini preventivati nel 1871, che pur rappresentavano una crescita del 50% rispetto agli anni precedenti. Lo sviluppo numerico e organico della miJizia mobile, fino all'ordinamento del 1875 (74) che accentua l'assimilazione delle sue unità sia di base sia di ordine superiore a quelle dell'Esercito di prima linea, rende facilmente realizzabile la costituzione di altre nove o dieci Divisioni, sostanzialmente identiche alle prime venti e composte di soldati di prima e di seconda categoria. La sicurezza immediata del territorio e la libertà di manovra della massa dell'Esercito è affidata, oltre che ai 14 battaglioni alpini, tanti sono diventati in un brevissimo volgere di anni, che garantiscono la copertura alla frontiera, ai battaglioni di milizia territoriale che in numero crescente sarà possibile inserire nei piani di mobilitazione. Una forza inferiore in tempo di pace ai 200.000 uomini, compresi ufficiali e sottufficiali, darà luogo dopo la completa rotazione delle classi ad una forza a ruolo di 64o.ooo uomini per l'Esercito permanente (soo.ooo di prima categoria e 140.000 di seconda), 26o.ooo per la milizia mobile (2oo.ooo di prima categoria e 6o.ooo di seconda) e oltre un milione per la milizia territoriale (75). Anche se si deve tener conto della inevitabile differenza fra forza a ruolo e forza effettivamente mobilitabile (deceduti, espatriati, ammalati. ecc.), non sfuggjrà che si tratta di un esercito da un punto di vista numerico perfettamente adeguato alle esigenze della sua epoca.

(74) Gior11ale Militare, 187), pag. 9· (75) Atti porlamcmori, Camera, Xl legislatura, .•r:.rsio11e 1871 - 1873, stamp. 158.


l PRIMI QUINDICI ANNI

Come frutto dell'aumento di contingente annuo reso possibile dalla riduzione della durata del servizio di leva, già al 30 settembre 1875 il generale Federico Torre, direttore generale delle leve e bassa forza, nella sua relazione annuale (76), poteva valutare la forza a ruolo in 6n.039 uomini dell'Esercito permanente e 280.858 della milizia mobile. Non va mai dimenticato che nel periodo dell'amministrazione Ricotti, che pure vide un notevole aumento del livello generale dei prezzi, l'Esercito costò aJ Paese meno che in altri anni assai meno ricchi di risultati. Il 14 marzo 1876 il Giornale Militare, quasi volesse presentare un consuntivo finale della gestione attuata dal generale Ricotti, riportava la seguente tabella con i fondi stanziati sul bilancio della Guerra negli ultimi cinque anni. Anno

Bilancio ordinario

Bibnc10 straor dinario

1871 !872 I873 !874 I875

L. 142-9<)2.222 L. 151 ·959-820 L. 1)6.030.037 L. I]O.ll4.239 L. 171 ·979·6so

L. 9·274·690 L. 1).1)2.245 L. 2I.I54·45o L. IJ.505.000 L. 14-992.000

Da altra autorevole fonte (77) sappiamo che il 1872 fu l'anno in cui il rapporto fra le spese per l'Esercito e le uscite totali dello Stato toccò un minimo nella storia del Regno d'Italia, scendendo al 12%. E' stato anche rilevato che nel periodo considerato le spese militari erano notevolmente minori di quelle che complessivamente sostenevano i vari Stati italiani prima dell'Unità per tenere in piedi un apparato militare che dal punto di vista numerico e soprattutto da quello dell'efficienza era, per comune riconoscimento, di gran lunga inferiore (78). La necessità di rispettare i rigidi limiti finanziari fu sempre tenuta presente in tutte le decisioni di politica militare prese in quegli anni, anche quando ciò attirò sul Ministro aspre critiche. Il criterio del risparmio trovava applicazione anche in questioni secondarie, come la sostituzione della giubba al cappotto nella stagione meno fredda, con aumento di scioltezza nei movimenti del

l'

l '

(76) Rivista Militare Italiana, 1875, vol. J, pag. 293· (77) Atti parlamentari, Camet·a, Xl legislatura, sessione 1873- 1874, stamp. 21 A, relazione Farini. Cfr. anche la relazione di LuiGI DE RosA in: Atti del primo convegno di storia militare, Roma, 15}69, pag. 214 e seg. (78) Atti parlamentari, Camera, Xl legislatura, sessione 1871- 187], discussioni, tornata del 4 marzo 1873, intervento Farini.



l

l'RIMI QUl:-IUICl ANNI

8s

fu presentato al Parlamento un progetto per l'approvvigionamento di 400 bocche da fuoco in acciaio da cm 8,7 a retrocarica, da incavalcare sui vecchi affusti. La commessa, che fu approvata con la legge 29 giugno 1875· n. 2575, dovette essere affidata all'industria tedesca perché in Italia non esistevano fonderie capaci di getti in acciaio delle dimensioni volute (82). E' da notare che per vedere l'adozione da parte dell'Esercito italiano di altro materiale da campagna in acciaio occorrerà attendere gli ultimissimi anni del secolo e la ormai tardiva realizzazione del pezzo da 75 A. Anche il problema delle grandi artiglierie, destinate prioritariamente alla difesa costiera, questione divenuta dal r871 in poi grave e urgente a causa della possibilità di uno scontro con la Francia, fu affrontato radicalmente, partendo dall'allestimento della nuova fonderia necessaria per la costruzione dei pezzi da 32 GRC in ghisa cerchiata, mentre già dal r872 era avviata la produzione di 40 complessi da 24 GRC. Per quanto riguarda le armi da fuoco portatili moderne, vale a dire i fucili e moschetti Vetterli cal. 10,5, l'allestimento delle 270.000 armi previste dalla legge del 26 aprile 1872 subì un notevole ritardo, anche per la precedenza accordata all'armamento della cavalleria, ma soprattutto per le difficoltà incontrate nella costruzione della nuova fabbrica d'armi di Terni. Nel 1875 fu presentato un disegno di legge (83) per l'allestimento di altre 300.000 armi Vetterli che avrebbero assicurato sia ali 'Esercito permanente sia alla milizia mobile un fucile moderno, accantonando anche congrue scorte per ogni evenienza, e consentito di armare la milizia territoriale utilizzando le 625.000 armi mod. r86o trasformate a retrocarica dopo il r866. Il Pailamento, nell'approvare la legge 29 giugno 1875, già citata, decise di limitare la spesa per le armi portatili a r6 milioni di lire, sufficienti soltanto per r76.ooo tra fucili e moschetti. fn tal modo, le armi più moderne potevano essere distribuite solo all'Esercito permanente, compresi i complementi, e si creava una disparità di armamento e munizionamento rispetto alla milizia mobile. Già nel 1873, nel corso del campo d'armi a Castiglione delle Stiviere, era stata sperimentata con successo una locomobile a vapore At;eling Porter, acquistata qualche mese prima ed utilizzata (82) Aui parlamentari, Camt!'t·a, X!l legislatura, sessione !874- I87S> stamp. 74 e 48 A. (83) Atti parlamentari, Camera, Xl! legislatura, sesstOne !874- IBJs, stamp. 75 e 48 A.


86

L'ESERCITO IT.-\LIANO DALL'UMTÀ 1\LLA GMKDE GuERRA

(r86r - 1918)

per il trasporto su strada di viveri e di ammalati (84). Altre dieci macchine analoghe, da 4 e da 6 HP, verranno acquistate nei due anni successivi. Nel r875 fu inserito in un progetto per spese straordinarie, approvato con legge del 29 giugno r875, n. 2576, l'acquisto di altre 6o locomobili, con le quali si pensava di sostituire quasi completamente il treno borghese (85). L'introduzione in servizio nei reggimenti del genio delle locomobili stradali per i «grossi trasporti sulle vie ordinarie ,, fu ufficialmente stabilita il ro marzo 1875 (86). Il problema delle fortificazioni, già a lungo esaminato dalla Commissione permanente per la difesa generale dello Stato, costituita fin dal 1862, non trovò una soluzione in tempi brevi, né poteva trovarla, se si considera che il primo progetto comportava una spesa di 313 milioni, mentre quello ridotto alle opere considerate più urgenti prevedeva pur sempre una spesa di 183 milioni (87), anche questa evidentemente troppo alta per i mezzi finanziari disponibili. La questione non era soltanto di scelte .finanziarie, ma anche di scelte strategiche. Occorre tener conto a questo proposito dell'enorme divario concettuale fra coloro, ed erano la grande maggioranza, che si attardavano sulla vecchia concezione delle fortezze interne, basi di manovra delle armate per incontrare un nemico già penetrato profondamente al di qua dei confini, e chi, come il Ministro Ricotti, intuiva lo strettissimo collegamento che si era ormai stabilito fra gli eserciti e le risorse di uomini e di mezzi che si dovevano trarre dal territorio degli Stati. Affinché il Paese potesse dare all'Esercito tutto l'apporto reso possibile dalla sua popolazione e dalla sua economia, era necessario che l'avversario fosse trattenuto in prossimità della frontiera. L'Italia, con le regioni più popolose e ricche situate a breve distanza dai confini, non poteva più permettersi di far penetrare le truppe nemiche all'interno della valle del Po, ma doveva affrontarle alla loro prima apparizione alla frontiera, avvalendosi del-

(84) L'Esercito italiano nel 1873 in: Rivista Militare Italiana, 1874, vol. l, pag. 5· (85) Atti parlamentari, Camera. Xli legislatura, seuione r874- 1875, stamp. 76 e 48 A. (86) Giornale Militare, 1875, pag. 6). La circolare prescriveva che uno o due soldati dovevano precedere le locomobili di 50 metri per trattenere i cavalli « che si adombrassero >l . (87) Atti parlamentari, Camera, Xl legi,·latura, sessione 1871 - 1873• stamp. 31.


~.

l PRIMI QUINDICI

AN~I

[

l'ostacolo naturale rappresentato dalle Alpi, rese impraticabili con lo schieramento degli uomini, primi fra tutti quelli dei battaglioni alpini, costituiti proprio seguendo questa logica, e con la fortificazione dei passi e delle valli. Entrambi i progetti della Commissione permanente prevedevano una disseminazione di fortezze lungo ]a valle del Po, sull'Appennino tosco- emiliano c nell'Italia centro- meridionale, perfino a Lucera. Dalla ripetuta presentazione di progetti sempre più limitati, che scendono dai r 17 milioni stralciati dalla prima proposta di spese straordinarie militari, presentata da Sella e Ricotti al.la fine del r871, ai circa 79 milioni chiesti dal Ministro nel r873, quando la Commissione parlamentare voleva dare di più, fino all'ultimo disegno del gennaio 1875, dì cui la Camera volle invece ridurre la spesa da 33 milioni e mezzo a poco meno di 22, si ha l'impressione di una gara al ribasso provocata da uno scontro di idee fra il Ministro, che vuoi spendere per la fortificazione delle Alpi il non molto che è disponibile, e il Parlamento, che insegue vasti, irrealizzabili e tutto sommato inutili piani di difesa estesi all'intero territorio italiano (88). Le sole cose concrete realizzate in questo campo, almeno per la parte legislativa, sono la fortificazione della base principale della flotta a La Spezia, avviata fin dal 1872, e le spese autorizzate con la legge 29 giugno 1875, n. 2577, che riguardavano per r3 milioni opere difensive da costruirsi sulle Alpi, ripartite quasi ugualmente fra frontiera nord - est e frontiera nord - ovest, per due milioni e mezzo il loro armamento con artiglierie moderne e per il rimanente i magazzini logistici centrali da stabilire nella Valle Padana (89). Le grandi manovre, con la partecipazione di interi Corpi d'Armata, i lunghi campi d'armi in zone diverse per spezzare la tendenza a fossilizzarsi nelle abitudinarie manovre su terreni troppo conosciuti, la cura per l'addestramento dei militari di seconda categoria, portano verso la .fine del periodo preso in esame l'Esercito italiano, ormai lontano dall'esperienza bellica vissuta, su buoni livelli addestrativi. Pur rispettando con convinzione i limiti imposti dall'esigenza di non rompere un difficile equilibrio .finanziario, condizione inderogabile per la stessa sopravvivenza politica dello Stato unitario, (88) Per tutta la vicenda si possono vedere: Atti parlamentari, Camera,

Xl legislatura, .<essione 1873- 1874, stamp. 20, 20 A, 48 e 48 A. (89) A Verona, Mantova, Piacenza e Bologna. Atti parlamentari, Camera, XII legislatura, sessio-ne 1874- r875, stamp. 48 A, relazione deii'On. Bertolè Viale sul disegno di legge.


88

L'ESE"RClTO

fTALI.~NO DALL 'vN lTÀ ALLA GR.~ NDE GUERRA (1861 - 1918)

l'Esercito si avviò nel periodo decisivo dal 187r al 1876 ad essere un istituto all'altezza dei tempi. L'ampia e sicura visione di Cesare Ricotti ebbe così modo dì realizzarsi e di ampliarsi. L'organismo militare italiano aveva raggiunto e superato le dimensioni inizialmente volute. Ora che i compiti di presidio del territorio e di eventuale concorso alle operazioni principali potevano essere affidati ad una numerosa milizia territoriale, la milizia mobile diveniva essenzialmente l'area già predisposta per l'espansione, al momento del bisogno, dell'Esercito di campagna, cioè la struttura di raccordo fra esercito di pace ed esercito mobilitato. Si consolida in tal modo la rinuncia al vano e costoso inseguimento della realizzazione di un Esercito permanente in grado fin dal tempo dì pace, con il solo ausilio del completamento della forza dei reparti, di far fronte alle esigenze belliche in una situazione politico - militare radicalmente mutata. L'Esercito è invece, alla fine del periodo delle riforme rìcottiane, decisamente avviato a divenire la << scuola dì guerra della nazione 1>, come diceva l'articolo I del progetto di legge sull'ordinamento presentato nel 1872, solido nucleo pronto a svilupparsi, in caso di conflitto, in un grande organismo di quasi due milioni di uomini. Se non è la nazione armata auspicata dalle correnti democratiche durante il Risorgimento, esso è, per quei tempi, l'espressione più valida e concreta di una nazione in armi.


III. FORTUNATO MINNITI

ESERCITO E POLITICA DA PORTA PIA ALLA T RIPLICE .ALLEANZA



FORTUNATO

MlNNTTT

dell'Università di Roma

ESERCITO E POLITICA DA PORTA PIA ALLA TRIPLICE ALLEANZA*

VERSO IL cc MODELLO PRUSSIANO >l.

« On languore letale, un disgusto profondo, una pesante apatia si diffondevano nell'esercito>> (1). Così Carlo Corsi descrive lo stato d'animo dei militari al principio degli anni '70, frutto delle delusioni del 1866 mantenuto vivo dalle continue polemiche sugli insuccessi di Custoza e di Lissa, destinate a protrarsi per più di dieci anni, ogni volta provocate dal dibattito, in Parlamento o sulla stampa, intorno ai progetti di riordinamento dell'esercito. All'inquietante senso di colpa scatenato dalla sconfitta (2) offre poi sempre nuovi motivi di essere l'atteggiamento distaccato e quasi indifferente verso i problemi delle forze armate assunto dal paese, o meglio da quella piccola parte di esso che fa politica e che, mentre ha già idealizzato gli episodi più belli e gloriosi del ventennio trascorso, sta ora affrontando quei problemi che ad uno stato moderno si pongono come condizione d'esistenza, l'equilibrio finanziario innanzi tutto; più altri problemi ancora, peculiari dell'Italia e derivanti dai modi della sua unificazione; dalle condizioni diverse, politiche, culturali ed economiche degli stati che l'hanno formata; in una parola, dalJa generale arretratezza economica e sociale rispetto alle altre nazioni d'Europa. E' dunque naturale che la necessità di colmare a tutti i costi il disavanzo accentri su di sé le preoccupazioni e le cure del governo e del Parlamento, e che fortissime diminuzioni abbiano a soppor-

" Saggio pubblicato su " Storia contemporanea "• n. 3/ 1972: n. t / IW3· (1) CARLO CoRSI, Italia 187o - 1895, Torino, 1891), p. 9· (2) E. diffusissimo c persistente: per tutti cfr. DoM.ENICO FARJNI in CAM'ERA DEJ DEPUTATI (d.ora in avanti CD), Dùcussioni, 20 marzo r875, p. 2247 ·


92

t"ESERCTTO l"fALlANO DALL'UNIT.~ .~LLA G R.\'IDE Ct.:ERR\

(1861 · 1918)

tare i bilanci della Guerra e della Marina, v a segno tale che (l 'Italia) avrebbe penato assai a mettere in campo un cento cinquanta mila uomini in buon assetto di guerra. e sul mare una diecina di discrete navi>> (3). Proprio in questo momento di profonda crisi scoppia la guerra franco- prussiana. Gli eventi prendono a correre più di quanto non si sia preparati non tanto a precorrerE ma almeno a seguir.li. Tutte le indecisioni, le polemiche, i disegni economici e politici devono essere per il momento abbandonati. Il bilancio della guerra è accresciuto di oltre il quaranta per cento: 50 milioni sui 123 previsti; è il costo del 20 settembre. L'impresa avvia quella << stupenda operazione finanziaria, già tante volte sperimentata nell'esercito. di ricomprar oggi per cento ciò che ieri s'era venduto per dieci >> (4). Così l'autorevole c< Nuova Antologia)), in un articolo del maggio rR71, giudica ironicamente gli effetti della parziale smobilitazione effettuata negli anni precedenti. n fenomeno del riarmo non riguarda certo soltanto l'Italia; Austria e Belgio, Russia e Francia s'impegnano nella trasform:Izione dei rispettivi ordinamenti militari: « dove gli eserciti rappresentavano prima l'istituzione destinata a far fronte alla possibile eventualità d'una guerra ora pare che questa guerra s'imponga da sé, diventi inevitabile, dinnanzi a questi stati trasformati in grandi accampamenti » (5). Queste parole del maggio 1~ sono tanto più valide ora che nel paese si acuisce il senso della inadeguatezza delle attuali istituzioni militari. Del resto, l'impressione prodotta dagli avvenimenti di Francia è grandissima in tutta l'Europa. Per trovare un riferimento con un fatto del nostro tempo che abbia rivestito la stessa importanza per i contemporanei si può paragonare Sedan ad Hiroshima. Né più, né meno. Soprattutto glj ambienti militari, è ovvio. si rendono conto che d'ora in poi una guerra tra potenze non può essere condotta che allo stesso modo: non con un esercito ma con tutto un popolo. A questo punto, quelle riforme che i Prussiani hanno realizzato in sessanta anni di lenta e continua evoluzione e sperimen-

(3) C. CoRSI, op. cit., p. 8. (4) C. M., Armi e denaro, in cc Nuova Antologia )> (d'ora in a,·anti NA). maggio r87r. p. 166. (5) F. DE LuiGI, L'ordinamento militare ed il progetto mini.fteriale nt'i moi rapporti colla Jituazione politica, economica e militm·e dello Stato, Milano, 1869, p. Il.


ESERCITO E POLITICA OA PORTA P fA .'\LL.\ TRIPLICE .\LLEANZ:\

l

l ~.

l

93

tato nella guerra contro la Danimarca del 1864 c in quella contro l'Austria del 1866, vengono messe in atto dagli altri stati in breve spazio di tempo. Il gran numero d'uomini che ha preso parte alle operazioni, oltre un milione dì prussiani ed 1.65o.ooo francesi (6), fa pensare subito ad una vera leva di massa. Infatti delle tre interpretazioni della vittoria prussiana accreditare in Italia i liberali riformatori ed in generale la Sinistra propendono proprio per quella che è sembrata loro una << levée en masse >> ; i conservatori dal canto loro per il principio di obbedienza caratteristico dello status semifeudale della società prussiana, che rende pressoché automatici i movimenti dell'Esercito; i militari. in ultimo, preferiscono mettere in evidenza la perfetta organizzazione e la particolare efficienza degli stati maggiori e delle armi speciali. Riaffermano così l'importanza delle operazioni di mobilitazione e concentramento - e, di riflesso, dell'uso strategico delle ferrovie - , dei servizi logistici e dell'azione di comando accentrata. basata sullo svolgimento di piani operativi preparati in precedenza (7). 11 problema che il governo Lanza deve dunque risolvere è la trasformazione dell'esercito italiano secondo quello che è comunemente definito il u modello prussiano » . Ministro della Guerra è dal 7 settembre 1871 il T enente generale Cesare Ricotti Magnani (8), al quale è stato affidato l'incarico solo per le insistenze di Lanza e l'appoggio del generale La Marmora che, alla .fine, convincono Vittorio Emanuele. Certo non ha fama di riformatore, e ciò spiega come sia, almeno per ora, nelle grazie di La Marmora, ma è tra colo~o per i quali la guerra franco- prussiana assume un significato preCISO. Una legge di reclutamento è sempre un fatto politico. <c Esercita una grande influenza sulle forze morali e produttive della nazione >l, per questo << deve essere sempre in rapporto coll'applicazione di un principio politico» (9). Stabilire l'obbligo generale e personale del servtzto militare significa che anche i ceti borghesi devono prestare servizio. Conse(6) I mobilitati furono rispettivamente r.soo.ooo e 2.ooo.ooo. (7) Cfr. per tutti GEROLAMO ULLO.\, La tJuoz'a straugitt e la nuoz1a tattica prussiana, Firenze, 1870, passim. (8) Nato a Borgo Lavezz.ano il 30 giugno 1822 e morto a Novara il 5 agosto 1917. Ufficiale d'artiglieria, fu presente su tutti i campi di battaglia del Risorgimento. Nei primi tempi della sua vita politica fu legato al Sella; cfr. CD, Discussioni, Ricotti, 4 marzo 1874, p. TI9<). (9) F. DE LuiGI, op. cit., pp. 1, 7·


94

L'ESERCITO !T\I.: ANO I>AU..' U'IITÀ ALLA GR\'10 1'. G l li-.RRA

(1861 • 1918)

guenza necessaria che vede riconosciuta la propria importanza nelle leggi di ordinamento presentate all'esame del Parlamento l'I maggio r867 ed il r2 aprile 186<), la prima dal generale Di Revel, la seconda dal generale Bertolé - Viale. Il progetto Di Revel si basa sulle conclusioni cui è giunta una commissione di studio, appositamente creata dal Ministro, generale Cugia, pochi giorni dopo la fine della terza guerra di indipendenza, la quale, tra l'altro, ha respinto l'ipotesi di un ordinamento territoriale simile a quello prussiano data la ancora debole struttura unitaria del paese. minato all'interno da potenti forze disgregatrici. Le nm·irà contenute nel progetto del '6] sono la abolizione della surrogazione ordinaria, la divisione dell'esercito in forze attive (325.ooo uomini più una riserva di IO).OOO) e presidiarie (14o.ooo uomini) e la istituzione di 30 Comandi di Distretto, per mobilitare rapidamente. La Camera non può esaminarlo per il sopravvenire degli avvenimenti che portano a Mentana e alla caduta del ministero Rattazzi. Due anni dopo, il Ministro Bertolé- Viale tralascia tutte le altre questioni per occuparsi solo del reclutamento in base al quale l'esercito è portato a 425.000 uomini con una riserva di quasi 200.000. Mantiene l'abolizione della surrogazione e introduce il volontariato di un anno. Caduto il ministero Menabrea, tra i provvedimenti di risanamento delle finanze trova posto un progetto di riduzjone dell'organico del1'esercito a sole 14 divisioni con una leva annuale di non più di 20.000 uomini, opera del nuovo Ministro, generale Govone; ma suscita reazioni fortemente contrarie in tutti gli ambienti che vedono così compromessa la stessa capacità difensiva del paese (ro). Dunque, prima del '70 è possibile scoprire le premesse della successiva evoluzione dell'ordinamento militare. La guerra del '66 ha insegnato molto in fatto di mobilitazione, collegamenti, armamento; questi fatti sono stati recepiti solo a livello tecnico però, mentre l'opinione pubblica è distratta dalle polemiche condotte in modo retorico e superficiale o dall'interesse suscitato dalla annessione del Veneto. Manca la riduzione ad un quadro sintetico che imponga un mutamento dei principi di politica militare seguiti fino a quel momento, come esigenza puramente politica. Tutto cambia dal 1870 in poi. Vengono pubblicati un numero sterminato di opuscoli, saggi, articoli, « pamphlet » sul modo di organizzare la difesa permanente, di riformare la legge di reclutamento. persino sulle direttive

(10) FEDERICO ToRRE, De' vari disegni sul riordinamento ddl'esercito con alcuni studi m/l'ultimo adottato, Roma, r873.


ESERCITO E l'OLlfi C,\ J)A PORTA PIA ALLA TRIPLI CE ,\l.l.E.\NU.

95

:.trategiche in rapporto alle vicende internazionali. c così via, dai grandi temi riguardanti tutto l'assetto difensivo del paese a problemi tecnici particolari. In tale modo. l'opinione pubblica viene sensibilizzata come mai lo è stata in precedenza. quando l'esercito era come altra cosa dal paese, avulso dalla società, e come mai più lo sarà in seguito. Ed è importante che quest'opera di divulgazione dei problemi di politica militare sia propria in gran parte di ufficiali di tutti i gradi, ognuno evidentemente con la competenza conferitagli dalla esperienza e dalla cultura generale c tecnica di cui è in possesso. oltre che, naturalmente, secondo le più o meno pronunciate idee politiche di cui è sostenitore e che. in qualche caso. può esprimere in Parlamento in qualità di deputato, sicuro che ogni questione militare trovi u a giusto titolo il suo giudice naturale in un 'assemblea politica, nella quale oltre alle considerazioni degli uomini più versati nella materia potranno avere un valore non indifferente le esigenze politiche e finanziarie di tutto il paese » (n). Per quasi venti anni si è continuato così a discutere e a pubblicare sui medesimi tre grandi temi: ordinamento, fortificazioni e strategia; prima facendo delle proposte, poi criticando tutte quelle realizzazioni. attuate con esasperante lentezza, che hanno condotto l'esercito italiano, tenuto conto delle risorse della nazione, ad essere, negli anni che precedono la guerra europea, << uno strumento bellico di notevole potenza l> (12). In particolare, tra il '76 e l'82 il numero delle pubblicazioni che abbiamo potuto ritrovare si riduce della metà rispetto al precedente periodo '70- '76 anche se lo squilibrio è attribuibile in massima parte agli anni '70- '73 che possono vantare una produzione pressoché doppia degli altri - , inoltre divengono più generici gli argomenti trattati. minore il vigore polemico; in realtà, già dal 1874 si è voluto sottoporre l'attività pubblicistica di tutti gli ufficiali generali, e di quelli superiori che occupano posti di comando presso la scuola di guerra, il Corpo di Stato Maggiore o il Ministero, alla preventiva approvazione del Ministero stesso (r3) quando tratti temi inerenti al loro servizio. All'inizio del 1879 poi, Ministro il generale Mazè de La Roche, si richiamano all'ordine <l quei militari che trattando per le stampe con critica poco seria e

(n) F. DE LuiGI, op. cit .• p. 3· (r2) GIORGIO Roc H\T. L'Esacito italiano nelf'estau: 19 14, in «Nuova Rivista storica », maggio · agosto r9()1, p. 310. (13) D., L' Esercito Italiano nel 1874, in << Rivista Militare Italiana >> (d'ora in avanti RMI), gennaio t8ìs, passim.


L'ESERCITO 11'.\l.li\NO DALL't,.Kl TÀ .~LLA CRAND.E CUhR'RA

(1861 - 1918)

talvolta ispirata a pe~sim i smo argomenti gravissimi intorno al nostro stato militare (contribuiscono) involontariamente. sia pure, a screditare il nostro esercito ~::d il nostro paese >> ( r4). Quando la critica è considerata disfattismo e vilipendio, è chiaro che ogni scambievole apporto di idee tra militari e politici, capace di determinare i concetti direttivi di una politica militare adeguata ai problemi del momen to, viene a cessare.

UN PROBLE\fA POLITICO. Nel 1870 l'Italia ha un esercito privo di riserve addestrate ed un sistema di mobilitazione che si conclude con concentramento di tutte le truppe sul teatro di guerra dopo circa due mesi dall'inizio dei suoi macchinosi movimenti. L'atteggiamento minaccioso della Francia fa sì che l'esigenza puramente tecnica di adeguare le forze armate ai criteri moderni, venga sentita come un imperativo politico da cui dipende la sopravvivenza dell'Italia come entità nazionale. « A Destra e Sinistra conveniamo tutti che bisogna fare, che bisogna far presto, contentandoci di fare il meglio che sia possibile» (I5)· Così Mariano D' Ayala. Allo stesso modo la classe dirigente e la pubblica opinione considerano il problema del1a riforma dell'ordinamento dell'esercito, come del resto ogni altra questione militare. Siamo per ora in una fas e che P. M. de la Gorce , riferendosi all'esercito francese degli stessi anni, ha definito dell' <l esercito indiscusso n (r6); infatti, l'alternativa più seria formulata è quella che combatte l'esercito esclusivamente in quanto istituzione stabile, ma è pronta ad ammetterlo magari in camicia rossa o comunque su base volontaria. Il rappresentante più significativo di questa tendenza è Luigi Amadei, ex- comandame il Corpo del Genio, prima dello Stato Pontificio, poi della Repubblica Romana, il quale, tra il 1867 ed il r88o, viene svolgendo un suo concetto di « Nazione Armata » la cui premessa sta nel fatto che le sole guerre giustificabili sono quelle a difesa dell'indipendenza nazionale, mentre l'esercito permanente è adatto a combattere in conflitti nati per contrasti tra

(14) C. CoRsi, op. cit ., p. 262. (15) CD, Dùcussioni, D 'Ayala, 5 marzo 18j3, p. 5059· (16) P.wL MARH. DJ:: LA GoRcE, Le armi e il poure, Milano, tifq, cap. I.


i:

l

ESERCITO E POLITICA DA PORTA

l'L~

ALL'\ TRIPLICE ALLEAl'ZA

97

interessi e principi poEtici che vogliono sopraffarsi, oppure a repnmere moti sociali (17). L'Italia deve avere, secondo Amadei, un piccolo esercito permanente che funzioni da istruttore di tutti gli uomini validi, obb~igati dai quindici ai quaranta anni con una ferma di un anno per la fanteria, due per la cavalleria e artiglieria, secondo il sistema territoriale. Ufficiali e sottufficiali a ferma breve reclutati per concorso; una razionale ripartizione territoriale (r8) ed una spesa di 150 milioni l'anno, consentirebbero di avere in armi oltre un milione di uomini senza tener conto della Milizia Mobile. Una tesi solo apparentemente contraria, poiché finisce col concordare nelle soluzioni proposte, è quella sostenuta da Paulo Fambri in Volo11tari e Regolari, stampato a Firenze nel 187o, in cui l'autore, data per certa la minore efficienza del primo tipo di formazione rispetto al secondo, afferma tra l'altro che «i volontari in Italia riuscirono e riescono corpi più politici che militari, o per lo meno J'uno o l'altro in misura alternativamente maggiore o minore. In aspettazione della guerra principalmente politici; e a guerra guerreggiata principalmente militari; a guerra sospesa o finita tt1tti politici. l volontari non vogliono (non bisogna dimenticarsi che j volontari hanno una vo~ontà) soltanto essere loro a fare la guerra, ma vogliono pur essere loro a fare la pace ( ...). Il Capo necessario dei volontari non è. egli prima di tutto un capo politico? Altro che politico, egli è perfino sociale, perfino religioso e? i~car?a il programma di tutte le proteste e di tutte le emanClpazwm ». Il modello della « Nazione Armata>> - continua il Fambri è applicabile solo là dove l'unità e l'indipendenza nazionale sono un fatto ormai consolidato, dove vigono tradizioni militari, dove insomma nazione ed esercito si confondono. Per fare un buon soldato occorrono due o tre anni di servizio, in ragione della minima quantità di forze che possa assicurare la difesa esterna ed interna del paese, del tempo necessario ad adde-

(17) Venendo così a creare un circolo chiuso tra l'esigenza di avere una forza in armi, l'impoverimento che questa causa all'economia nazionale con conseguente sottosviluppo economico e demografico e il sistema dì governo amministrativamente e politicamente accentrato che sempre è presente in paesi arretrati, il quale è causa appunto della formazione di eserciti perma· nenti. Cfr. Lutci AMAhEJ, La Nazione Armata, Napoli, 1878 e In., Riordina· mento dell'Esercito Italiano, Milano, t88o. (18) Costituita da IO Regioni Militari su 2:> Divisioni Territoriali, 69 Distretti (uno per provincia) e 2 ::16 circondari per l'istruzione premilitare. 7·


98

t 'ESERCITO ITALIA~O DALL, U"'IT.\ ALLA CR.\"'DE GUERRA

__

(1861 • 1918) .-...,;.

strare sufficientemente gli uomini alle armi con una spesa il più possibile ridotta; considerazione economica che va fatta, in guanto l'obbligo di servizio deve essere esteso a tutti, in modo da avere un esercito nazionale per il quale il (( mestiere delle armi >> non è che una maniera di essere cittadini responsabili (19). Questi concetti sono comuni a larghi settori dello schieramento politico, dagli uomini della destra a g uelli della sinistra moderata; tutti concordano nel temere che le formazioni volontarie possano divenire, una volta costituite, il canale di sbocco in cui si riverserebbe il fiume delle rivendicazioni di carattere economico, sociale e politico; allo stesso modo è universalmente riconosciuto che l'elemento regolatorc dei rapporti tra gli stati è la potenza militare, cosa che impone di incrementarla senza esitazioni o rimandi, nella misura compatibile con le possibilità economiche del paese. Prima tra le misure da adottare a questo fine, il servizio militare obbligatorio e personale. Ammesso tale principio si pone il problema delle pessime condizioni fisiche e morali degli uomini che si vogliono inquadrare. Chi lo affronta per primo, ancora nel maggio del 1869, è Carlo Corsi, il quale rileva che se un esercito vuol dire anche c< educazione morale e tattica, disciplina » e non solo il numero più grande possibile di uomini e cavalli, certo noi ci troviamo a mal partito; infatti le reclute, (( necessariamente plebe e campagnoli la maggior parte>>, la cui percentuale di analfabetismo ascende al sessanta per cento di media negli anni tra il '66 ed il '75 (2o), non hanno alcuna idea dei concetti di unità e libertà d'Italia, e perciò, oltre che addestrarli, insegnare loro a leggere e scrivere, si deve iniziarli alla (19) PMJLO F.utBRr, Volontari e Regolari, Firenze, 1870, pp. 76 · 7], 343, 377· Veneziano, ingegnere, si arruolò nel Genio nel 1859 e prestò servizio fino al 1866; poi si dimise per datsi alla vita politica, militando nella Destra progressista. Ebbe grande successo come autore di commedie e giornalista: con Ruggero Bonghi fondò « La Stampa >•. (20) La leva del 1867 denunciò una percentuale di analfabeti del 64,27% salita a 65,10 l'anno seguente. Negli anni '73, '74, '75, si ebbero valori lievemente minori: nell'ordine 6o,23; 57,52; 57,88% . Le varie regioni concorsero in misura ineguale nel determinare tali cifre: si passa dal 31,23° ~ di Pie· monte c Liguria al 56,79 della Toscana, al 78,6o della Sicilia (valori medi sulle leve dalia classe '46 alla '54) che nei confronti dell'anno precedente sono migliorate rispettivamente dello 0,24; 0,33 e 0,78 °1~ , con un tasso d'in· cremento maggiore per il Sud in genere che per il Centro- Nord. Cfr. CARLO MAAI A~l, L'Esercito Italiano ntd passato e nell'avvenire, Milano, 1871 e F:ED:E· RICO ToRRE, Della let•a sui giovani nati nell'anno 18 54 e delle t'ice nde dell'Esercito Italiano dal 1° onobre 1874 al JO settembre 1875, in RMI, febbraio 1876, pp. 293-308.


ESERCITO E POLITICA DA PORTA PIA ALLA TRl PL! CE ,\L,LEANZA

99

vita civile risvegliando in loro il senso della dignità umana. Per ciò « in nessun paese la milizia può vantarsi di fare opera maggiore di quella che oggi fa in Italia considerata la bassezza morale da cui gli toglie i coscritti e l'altezza cui gli conduce prima di restituirE al paese>> (21). E questa non è la sola voce sorta a denunziare un tale stato di cose: la coscienza della arretratezza e dell'ignoranza in cui vive la maggior parte della popolazione è abbastanza diffusa ed oggetto, oltre che di rincrescimento pietistico e filantropico, di ben precise preoccupazioni e istanze di conservazione sociale, denunciate anche nelle discussioni in Parlamento (22) e riconducibili in parte alla profonda impressione suscitata dal recente episodio della Comune parigina. Sappiamo che la guerra franco- prussiana ha risvegliato, o meglio ha fatto nascere, l'interesse per i problemi militari, connesso con l'esigenza di una rapida riforma dell'esercito; precedentemente, l'interesse di deputati e senatori era stato polarizzato da altre questioni : i fatti dì Mentana, la Regia dei tabacchi, la tassa sul macinato. Così Ricotti approfitta del momento favorevole per convincere il Parlamento dell'opportunità e dell'urgenza di deliberare sulle proposte che gli viene facendo, ogni anno, ripetutamente (23). Comincia col presentare all'esame del Senato la legge di ordinamento dell'esercito a modifica di quella del 1854 tuttora vigente, proponendo tre novità: il volontariato di un anno per gli studenti,

(21) C. Coast, Del caratte1·e della Milizùz Italiana, in NA, maggio 1869, pp. 68, 89. Nato a Firenze nel 1826, militò prima nell'esercito del Granducato

di Toscana, poi passò nell'esercito sardo, prendendo parte a tutte le campagne. Capo dell'Ufficio Storico dello S.M., fu comandante della Scuola di Guerra dall'84 al 92. Legato agli ambienti di Corte, può essere considerato il portavoce dell'esercito negl i anni cruciali della trasformazione. Fornisce la verifica della affermazione del Corsi la proposta di Francesco Boselli di istituire la gradualità della ferma in base al livello di istruzione delle reclute in modo da offrire un incentivo alle zone dove tale livello è più basso. Cfr. F. BosELLI, La legge sul reclutamento collegata alla questione dell'istruzione primm·ia, Cesena, t8ìt e In., La legge di reclutamento e ristruzione primaria in Italia, Roma, I 884, (22) CD, Discussioni, 17- 20 giugno 18]1; cfr. anche F. BAVA, Considerazioni sull'ordinamento m ilìtare del regr10, F irenze, r869; ANONlMO, Italiani e Prussiani - Conside1·azioni ed appunti sul progetto del nuovo ordinamento dell'esercito; per uso dei non militari, F irenze, 1871; TEMtSTOCLE M ARIOTTI, Dei più recenti p1·ovvedimenti sull'educazione e l'istruzione militare in ftalia , in NA, I, 15, marzo r88ì. (23) B., Sul progetto di legge per le basi generali dell'ordinamento dell'esercito, in RMI, gennaio I8ìt.


l ()0

l'ESERCITO !T.\LL.\:-<0 DALL'tri'ITÀ ALLA CRAN"D.E Cl! E R.R.\

(1861- 1918)

la formazione di un esercito provinciale a sostegno dell"esercito attivo (con compiti ancora a metà tra la partecipazione diretta alle operazioni sul campo ed il semplice presidio delle fortezze e dei punti fortificati) e l'introduzione dei limiti di età prefissati per ogni grado degli ufficiali in servizio attivo. Il Senato, dopo che la legge è stata esaminata in sede referente da una Giunta presieduta dal generale Menabrea, approva i primi due punti ed insabbia il terzo (24). Ricotti accetta che il provvedimento sia approvato in un testo diverso da quello previsto, anche se i mancati congedi per raggiunti limiti di età privano l'esercito di riserva di gran parte dei quadri disponibili, difetto che denunzierà per molti anni ancora. Evidentemente il Ministro ha fretta che la legge sia approvata e venga così introdotto per la prima volta nella legislazione italiana, anche se in modo parziale, il principio del servizio personale obbligatorio, attraverso l'abolizione deHa surrogazione ordinaria (resta in vigore quella di fratello) e dell'affrancamento. Tale principio viene comunque snaturato dalla permanenza del passaggio a pagamento dalla prima alla seconda categoria, che in pratica significa ugualmente esenzione dal servizio militare, in quanto ]a seconda categoria non riceve, almeno per ora, addestramento di sorta. Sia il principio che i temperamenti previsti si ritrovano, come sappiamo, nei due precedenti progetti Di Revel e Bertolé - Viale. Le ragioni di questa esigenza così fortemente sentita sono da ricercare, oltre che in una indiscussa esigenza tecnica di aumento della forza armata, non tanto in generici motivi di giustizia sociale o di adempimento costituzionale, bensì in motivi politici, di conservazione dell'assetto sociale vigente. Allo stesso modo. ha più valore come principio rivelatore di un certo clima che come effettiva sparizione di un fenomeno di vasta portata. <( L'abolizione di ogni affrancazione - dice alla Camera Domenico Farini - impedisce che si lascino le armi in mano soltanto alle plebi le quali, dopo essere state sotto le armi, non tornano ai campi e alle officine, ma rimangono nelle città, disabituate al lavoro, abituate alla disciplina, colla coscienza della propria forza, e spesso spinte dalla fame, i strumento il più efficace, il più pronto c più facile a raccogliersi da chi volga l'animo a sedizioni>> (25). Di rincalzo l'onorevole Corte asserisce che all'epoca della rivoluzione francese 1< si credeva (e disgraziatamente v'è ancora della (21.) E. ARBIB, Cinquant'armi di Storia Parlamcntat·c del Regno d'italia, vol. TV, Roma, 1907. (25) CD, Discussioni, Farini, 17 giugno x8]1, p. 3009.


ESERCITO E POUTICA DA PORTA PlA ALLA TRIPLiCE ALLEANZA

lOl

gente la quale, dimenticando tutto quanto è avvenuto, lo crede) si credeva vantaggioso per un paese e specialmente, !asciatemi dire, per una monarchia, l'avere un esercito composto di proletari, fortemente disciplinato, i quali servono (si dice) a contenere le troppo vivaci aspirazioni della borghesia. Badate bene che quel tempo è passato; occorre adesso una borghesia non imbelle per sapersi difendere forse dalle troppo pressanti aspirazioni che vengono dal basso ... ora domando se è prudente affidare la difesa del paese a quella classe nella quale il sentimento che si chiede per dare la vita in pro della patria non è ancora penetrato». E ancora: (<Dal momento che con la legge del macinato si è colpito con la tassa il povero, il proletario, ne veniva come inevitabile corollario di giustizia che il peso della milizia cadesse anche personalmente sulle classi agiate della società>>. A proposito delle quali subito dopo fa sue le parole di un membro deUa giunta parlamentare francese che sta studiando lo stesso problema , il conte De Merode, un conservatore : << En présence du socialisme, des doctrines insensées, mais très- séduisantes de l'universalisation de la propriété, de l'égalité des pouissances, il est indispensable que les classes riches, que les classes élevées, que les classes supérieures donnent l'exemple du sacrifice >> (26). Diverso, invece, l'atteggiamento della fazione ultra conservatrice della Destra italiana capeggiata dal La Marmora; sentimentalmente e caparbiamente legata al sistema francese, combatte l'abolizione della surrogazione e dell'affrancamento col pretesto che sono dei diritti insieme naturali e acquisiti che bisogna rispettare per non spezzare le carriere liberali e danneggiare cosi l'economia di molte famiglie; per liberare l'esercito da chi, non sopportando il mestiere delle armi, servirebbe male, con danno per sé e per ]'esercito stesso (27). Non incrina affatto la logica imperturbabile del ragionamento il fatto che, secondo la legge del r8c:;4 in vigore, solo coloro i quali si possono permettere una spesa di 1 .200 lire, contributo da versare alla Cassa Militare, oltre a pagare il surrogante - oppure di 3 .200 lire se non lo hanno trovato - hanno diritto al cambio o all'eserràone. La Marmora non esita a sottoscrivere

(26) CD, Dùcus.<ioni, Corte, r8 giugno r87r, p. 3047- 48; 20 giugno 1871, p. 3094. Il Corte fu insegnante in un Collegio militare di Londra insieme con Carlo Decristoforis. Capo di S. M. di Garibaldi nel r859, raggiunse in seguito il grado di generale ed in Parlamento militò nella Sinistra moderata. Più volte relatore di Commissione, appoggiò attivamente la politica d i Ricotti così come facevano contemporaneamente Domenico Farini e Paulo Fambri. (27) CD, Discussioni, La Marmora, 16 giugno 1871.


102

L'ESERCITO I1'ALfANO Ot\LL. UNlT.~ ALLA GRANDE GUERRA

(r861 • 1918)

questo concetto anche nei suoi famosi « Quattro discorsi » (28). Che cosa vuole dungue? Forse un docile esercito mercenario? Egli afferma con incrollabile sicurezza che è la qualità dei soldati la cosa che conta, non la loro quantità e che il fondamento di un esercito sono la disciplina e lo spirito militare; e respinge sdegnosamente l'accusa di voler dar vita ad una truppa da « pronunciamento ». « Tengo soprattutto ad avere buon quadri, - dice alla Camera - , eccellenti soldati di cavalleria e di artiglieria ed un fondo di soldati anziani di tutte le armi per avere buoni sottuffìciali >> (29). Di fronte all'urgenza riconosciuta dì portare a termine la discussione del provvedimento prima della chiusura della sessione ed il trasferimento della Assemblea a Roma, si crea tra Destra e Sinistra una comune volontà di superare ogni ostacolo ed anche l'opposizione di questa ai temperamenti introdotti al servizio obbligatoòo (30) viene così a cadere dietro promessa da parte del Ministro di presentare l'anno seguente un nuovo progetto più organico ed innovatore. L'articolo primo della legge prevede l'introduzione del volontariato di un anno, consistente nella possibilità di arruolarsi a diciassette anni, prima che la propria classe sia sorteggiata per la assegnazione alla prima o seconda categoria; nella possibilità di ritardare il servizio sino al ventiquattresimo anno, scegliere poi corpo e arma nei quali servire e passare, dopo un anno, in seconda categoria, se iscritti alla prima, pagando solo un terzo della normale quota di affrancamento. In cambio i volontari dovranno praticamente mantenersi da soli, versando allo stato una somma che si aggira sulle due mila lire e copre anche le spese per il mantenimento del soldato di leva che li rimpiazza negli anni in cui dovrebbero essere ancora a ruolo. Sono ammessi al volontariato tutti coloro che abbiano frequentato le scuole elementari fino alla quarta classe oppure, se sprovvisti di titolo di studio, sostengano un esame davanti ad una apposita commissione. Sin qui l'articolo di legge. Per esaminarlo criticamente vediamo come allo stesso proposito si siano regolati gli altri stati d'Europa. Consideriamo, ovviamente, soltanto le diversità. La Prussia ha riservato questa facilitazione esclusivamente agli studenti universitari e ad cc operai artisti o meccanici di compro(28) A . LA M ARMORA, Quattro discorsi ai suoi colleghi della Camera sulle condizioni dell'Esercito Italiano, Firenze, 1871 e M tcHELE RoNCATI, Brevi commenti ai quattro discorsi del Generale Alfonso La Marmora, TorinoFirenze- Roma, x871. (29) CD, Discussioni, La Marmora, 20 giugno t87r, p. 3108. (3o) Per i motivi v. CD, Discussioni, Ricotti, 20 giugno 1871, p. 3ro2.


ESERCITO E POLITICA DA PORTA PIA AJ,LA TRI ['L! CE ALLEA!'ZA

- - -----

l O3

vata abilità» anche se hanno compiuto solo studi elementari. L' Austria, che ha varato la legge nel dicembre del 1868, prevede invece che i concorrenti siano forniti di licenza di ginnasio o scuola tecnica superiore, e che successivamente siano inquadrati in reparti speciali; la Francia con la legge del luglio 1872 avrà la gamma più ampia dei titoli dì studio che concedono l'ammissione tra cui: frequenza della scuola centrale di arti e manifatture, delle scuole nazionali dì belle arti o di agricoltura, delle scuole d i genio marittimo e di minatori. Inoltre non offrirà ai volontari alcun privilegio rispetto ai soldati di leva. Tutti e tre i paesi prevedono l'esenzione dalla tassa in caso di comprovata indigenza del1a famiglia. Per Prussia e Francia è evidente l'obiettivo di conciliare l'obbligo generale con le esigenze economiche della nazione, distogliendo dalle attività produttive per il minor tempo possibile i giovani che si avviano a svolgere un ruolo attivo nella società. Non così in Austria e tanto meno in Italia. La stessa (( Rivista Militare Italiana n, in un articolo dell'aprile 1874 nota innanzi tutto la contraddizione che esiste nell'aver creato questo istituto senza sancire ufficialmente e applicare, se non in modo parziale, il principio del servizio militare personale ed obb1 igatorio. Ma anche data per prossima l'effettiva ed integrale realizzazione di questo, rimarranno pur sempre latenti alcuni difetti quali : « I) le cognizioni troppo elementari che sono richieste per l'attuale ammissione al volontariato; 2) l'esclusione assoluta dell'intervento dello stato a favore di coloro che, pur avendone i requisiti intellettuali, non possiedono i mezzi finanziari per intraprendere il volontariato » . Per il primo punto, « basta che un individuo sappia fare una mediocre composizione sopra una data traccia, legga correntemente e capisca un libro di lettura elementare, conosca praticamente le quattro operazioni sui numeri interi e decimali perché raggiunga la condizione di idoneità . . . Con un tale sistema di fac ilitazioni inoltre, si vengono appunto a favorire quei tali cui la legge dovrebbe i minori riguardi, quella classe cioè di cittadini meno utili alla società e per i quali la legge generale di reclutamento sarebbe una benefica misura, una provvida istituzione che li toglierebbe per tre anni da una vita inoperosa in cui il più delle volte logorano le forze fisiche e morali ... >> (31 ). (3r) G. VALENZANO, Considerazioni sul volontariato d'un anno in Prussia, in Austria ed i11 Italia, in RMI, aprile 1874, pp. 8r, 88 - 89.


l 04

t'ESERCITO IT,\LIA!':O 0 .\LL'UNITÀ ALLA GRANDE

GtrF.RRA (1861 - 1918)

Xon siamo di fronte alla tutela degli interessi generali della nazione, dice l'autore dell'articolo, bensì ad una misura che fa l'esclusivo vantaggio dell'esercito, poiché mira a rifornire la progettata riserva di ufficiali subalterni e di sottufficiali, senza accorgersi che la loro attuale istruzione è insufficiente ad abilitarli al grado, e lo sarà finché i volontari presteranno servizio presso il proprio Distretto e saranno quindi distolti dai loro compiti dalla vicinanza della famiglia c dal permanere delle loro antiche abitudini. Senza che questo riesca almeno a stabilire una certa simbiosi tra esercito e società. In verità, tra le cause oggettive della particolare forma che il volontariato ha assunto in Italia, spicca il basso livello di istruzione, non solo popolare, come abbiamo già detto, ma proprio di quei settori della media borghesia commerciale cd agricola, di quel ceto cioè che ora si tenta di coinvolgere, a posteriori, nel processo di unificazione e costruzione nazionale. Si tratta quindi di una misura per sensibilizzare e responsabilizzare politicamente e civilmente un gruppo sociale per lunga consuetudine assenteista (32). Soltanto entro i termini di quest'obiettivo di allargamento del consenso borghese verso lo stato è valida l'ipo·esi del volontariato come scuola per aspiranti ufficia1 i e sottufficiali, del resto sancita ufficialmente nel 1877, da una apposita « Istruzione », che tiene conto delle critiche mosse alla regolamentazione precedente e, oltre a stabilire che l'addestramento si impartisca presso i Corpi attivi e non i Distretti, riconosce la necessità di una maggiore qualificazione del titolo di studio richiesto, portato alla licenza liceale o ad altro tito1o equival~::n te (33). Un altro importante argomento che ricorre di frequente durante la discussione della legge sul riordinamento è l'adozione di

(32) L"csclusione da questa politica degli operai specializzati c degli artigiani, che abbiamo invece visto presi in considerazione dal legislatore france$e e dalle norme prussiane, deriva dalla oggettiva irrilt:vanza di questi settori produttivi rispetto a quello agricolo. Basti sapere che negli anni 1873 -74 si presentarono ai consigli di leva in media 57.000 agricoltori e pastori contro meno di 5.000 artigiani e (<operai in ferro »; cfr. C. F., Le Riforme Militarr e la legge del 19 luglio 1871, in NA, novembre 187r. C. F . è Paulo Fambri; F. ToRRE, Della leva ... , cit.; si veda anche dello stesso autore la pubblicazione dell'anno precedente. (33) Per le armi di artiglieria e genio, come per il corpo di sanità, è richiesta la frequenza delle facoltà universitarie. Riuniti in reparti speciali, esonerati dai servizi di bassa forza, i volontari sono sottoposti al termine della ferma ad un esame (ripetibile due volte, a distan1-a di tre mesi, in caso di insuccesso). Due altri esami abilitano al grado di sergente e di sotrotenentt:.


ESERCITO E POI. ITI CA DA l'ORTA PIA ALL'\ TRI!>U CE ALLJ:,\l'Z!I

-----

l O)

un rapido sistema di mobilitazione. La ~1armora nega che c' ìa scienza militare sia ormai ridotta a chi salterà più presto addosso all'ayversario col maggior numero d'uomini possibile l> ; bisogna invece tener conto della diplomazia e, sul piano militare, della azione ritardatricc svolta nei confronti delle operazioni nemiche dalle fortezze e dagli ostacoli naturali: catene montuose e fiumi (34). Ricotti, invece, vuole 1< organizzare l'esercito in modo tale che, come avviene in Prussia trattandosi di mobilizzarc l'esercito, basti mandare un ordine, una circolare, un telegramma, perché tutti i corpi abbiano a porsi prontamente e ordinatamente in piede di g uerra, sì che non occorrano a migliaia le promozioni e gli spostamenù » (35). Il tempo è divenuto un fattore vitale ora che locomotive, navi a vapore e telegrafo hanno reso incomparabilmente più veloci e precisi i movimenti dell'esercito; tanto più importante per noi, afferma Domenico Farini, vista la configurazione geografica della penisola che ci costringe a percorrere notevoli distanze per concentrarci all'estremità nord del paese. Se il nemico ci sorprendesse con l 'esercito non ancora schierato sarebbe un disastro sicuro (36). Non vi è alcun dubbio che la mobilitazione prussiana è stata favorita dall'ordinamento territoriale secondo il quale i corpi attivi reclutano nelle regioni in cui sono di stanza, e di cui portano il nome, trasferendo le truppe, al termine del periodo di leva, alle corrispondenti unidt della Landwehr. I tempi per l'arrivo ai reparti dei richiamati sono così ridotti al minimo. Perché non applicare un tale sistema anche in Italia? L'interrogativo trova praticamente solidale nella risposta - eccetto qualche rappresentante dell 'estrema sinistra - tutto Io schieramento politico: l'ordinamento dell'esercito italiano su base territoriale non è attuabile. Per l'anonimo autore che si firma C.M. sulla u K uova Antologia )) ' pure acceso fautore dell'ordinamento prussiano, un ostacolo è di carattere tecnico : l'impossibilità di concentrare, duran:e 1l primo periodo della mobilitazione, un sufficiente nucleo di forze nel punto minacciato, tenuto conto delle grandi distanze da coprire, su terreno in gran parte montuoso. Un altro è di natura politica: il pericolo che corrono la sicurezza e l'unità dello stato per l'esistenza di tanti piccoli eserciti, ciascuno dei quali può raccogliere e rappresentare le passioni della propria provincia (37). (34) CD, Discussioni, L:l Marmora, 16 giugno 1871, p. 2970. (35) CD, Dimwioni, Ricotti, 16 giugno 187r, p. 2986. (36) CD, Discussioni, Farini, 17 giugno 187r, p. 2944· (37) C. M., op. cit., p. 172.


I 00

!...ESERCITO JTALl ,\KO DALL'Ul-<!T.:\ ALL,\ GRANDE

GUERRA (1861 • 1918)

L'onorevole Corte alle ragioni precedenti aggiunge la considerazione che ne verrebbe a perdere la preparazione degli ufficial i, che hanno più che mai bisogno di frequentare tutti la stessa scuola (38). Soltanto una voce discorde si leva nell'Aula, quella di Giuseppe Sirtori che ritiene utile l'ordinamento territoriale perché, oltre alla rapida mobilitazione, consente di restringere i lunghi tempi di addestramento delle reclute, che nei primi mesi trascorsi fuori dal proprio ambiente sono pressoché inebetite, e di ovviare sia alla scarsa coesione dei reparti formati con uomini di regioni diverse che alle forti spese causate dai frequenti cambi di guarnigione (39). In alcune pubblicazioni (4o) di questi stessi anni la questione del! 'ordinamento territoriale è vista sempre intimamente legata alla abolizione della divisione in categorie, intesa quindi come un passo avanti verso quella (l Nazione Armata )) che, seppure ri.conosciuta irraggiungibile, per molti costituisce l'ideale dell'equilibrio politico- militare. Che dunque il motivo principale del sistema di reclutamento su base nazionale adottato in Italia sia da attribuire esclusivamente a considerazioni di conservazione sociale, in quanto l'esercito è impiegato in operazioni di pubblica sicurezza, come mostra di credere Giorgio Rochat (41), è una ipotesi che non ci sentiamo di poter sottoscrivere. Se è vero che la guardia alle banche, agli edifici pubb~ici, alle carceri è uno degli incarichi quotidiani affidati alle truppe (42), come pure è scontato il loro intervento in caso di disordini (~8) La Marmora è ancora più esplicito: i piccoli eserciti territoriali, magari affiancati da parlamenti regionali, sono la più grave minaccia per la recente unit:Ì nazionale << per cui no1 abbiamo fatlo Lanto, c la provvidenza più di noi >•; cfr. A. LA MARMoRA, op. cit., p. 204. (39) « L'Italia è fatta, e non v·ha nessun partito che la possa disfare. Vi ha, è vero, tra le popolazioni del malumore, del malessere, del malconLcnto, ma questo non è tale da mettere in pericolo l'Unità (...) è tempo di mettere fine alla politica di sospetto, alla politica di diffidenza. ( ...) L"ltalia ~ fana e non può essere disfatta se non da un grande disasLro militare >l . Cfr. CD, Discussioni, Sirtori, 21 giugno rf!7r, p. 3136. (40) CARLO AvMoNrNo, Sull'ordinamento e sulla mobilitcu.ione ùli'Esercito Italiano, Roma- Torino- Firenze, r872; A. GALLETTI, Studi sulla dije,·a nazionale, Roma, 187.3; A. GA.\iBERINJ, L'Esercito, lt" finanze, la repub_blica e il Papato, Bologna, 1873· (41) G. RoCHAT, L'Esercito italiano . .. , cit. e Il controllo politico delle for:u armatt- dall'unite> d'Italia alla .<econda guerra mondiale, in AA. VV., Il potere militare in Italia, Bari, 1971, p. 53 (42) Cfr. quanto d ice in proposito ANTONIO MoRICr in Volete l'Italia? Pensate all'esc-rcìto, Palermo, 1878 e in Alcunt- ossen•a::ioni agli appunti sulle nostrt- condizioni militari pubblicate nell'Italia Militare, Palermo, r88o.


l

J ESERCITO E POLIT! C.\ DA !•ORTA l'L\ t\LL,\ TRll'LlCE ALLEXKZA

l O7

o sommosse, non ci sembra però che si possano escludere due altre considerazioni; la prima è che sia realmente intenzionale il mettere a contatto tra di loro e con popolazioni diverse per costumi e dialetto, affinché possano conoscersi, individui che non sono mai usciti dal territorio del proprio comune o della propria provincia; la seconda e più probante, che essendo il teatro di guerra più probabile la zona tra le Alpi e l'Appennino tosco- emiliano, si vogliono abituare tutti i soldati a viverci e a sapervisi muovere. Gli altissimi tassi di mortalità e morbosità dell'esercito durante questo periodo sono una buona giustificazione per i criteri prevalsi nella scelta dell'ordinamento (43). Una volta escluso il sistema territoriale, per organizzare una rapida mobilitazione è necessario creare degli appositi centri che sollevino dai carichi burocratici e amministrativi, oltre che organizzativi, le unità che si devono portare in zona di guerra. A questo aveva già provveduto il Ministro Ricotti due mesi dopo aver assunto la carica, nel novembre del r87o, istituendo, mediante un Regio Decreto, 45 Distretti che, dopo l'approvazione delle leggi di cui parliamo, nel settembre dell'anno seguente sono portati a 53· In tal modo i tempi di mobilitazione dovrebbero essere ridotti ad otto giorni per l'esercito attivo e quindici per quello provinciale. La ripartizione del contingente annuale è causata dalla impossibilità finanziaria di tenere alle armi tutta la classe soggetta all'obbligo. Per questo ogni anno il Parlamento ne stabilisce la divi~ sione votando il bilancio preventivo della Guerra (44). 250.000 uomtm sono stati il massimo che la prima linea ha potuto schierare secondo la legge del 1854; volendo ora portare tale numero a 300.000 si deve aumentare il contingente di prima categoria a 6o.ooo uomini e ridurre la seconda attorno ai 30.000 che andranno, per ora senza alcun addestramento, a costituire parte dell'esercito di riserva o ({ provinciale>> adatto al servizio di piazza che gli sarà affidato in caso di guerra. Ricotti inoltre, seguendo il precedente progetto Bertolé- Viale (45), stabilisce una ferma di quattro anni per la fanteria e sei per la cavalleria su un totale di dodici e nove anni di disponibilità. La seconda categoria riceverà una istruzione di quaranta giorni press? i distretti, poi andrà in congedo illimitato per nove anni.

(43) Cfr. a proposito L. DE BERNARDis, Statistica militare, Milano, 1936.

(44) G. VLLOA, La quistioTI(: militare - t-.·apoli e il .<uo porto militare, Firenze, 1870. Cfr. anche CD, Discussioni, Dì Gaeta, 17 giugno 1871. (45) Quello dì Rcvel prevedeva ancora 5 c 6 anni.


l 08

L.ESJlRCITO l rALIA:-<0 DALL'UNITÀ ALl-A GRAN Il f. GUERRA

(1861 - 1918)

- - -- -

La giunta della Camera che ha esaminato il progetto propone tre anni per la fanteria ed una disponibilità di dodici anni anche per la cavalleria (46). Si giunge ad un compromesso per il quale la Camera approvando le proposte del Ministro lo autorizza a congedare anticipatamente una parte ddic classi più anziane, mentre dal canto suo questi si impegna a presentare l'anno seguente una nuova legge sul reclutamento che fissi la ferma a tre anni. Terminata la discussione il 21 giugno, la legge è approvata il 19 luglio tra gli ultimi atti del Parlamento riunito a Firenze. in un clima di generale euforia. L'Italia ha così la prima legge militare moderna della sua storia. Contemporaneamente il Ministro procede ali' ammodernamento della ripartizione tattica dell'esercito emanando una serie di decreti che investono la composizione dei reggimenti di fanteria (47). Viene inoltre formato il 20° reggimento di cavalleria e rinforzato l'organico degli altri diciannove. E' invece lontana, per il momento, la possibilità di provvedere anche alle fortifi cazioni. •< Aperta la frontiera orientale, aperta la frontiera verso Svizzera, cioè senza ostacoli naturali in nostra mano, debolissimo, dopo la dimezzata valle della Roia, il tratto di frontiera verso Francia che, attraversato dalla strada della cornice, battuta tutta dal ma~ re, male può chiudersi, peggio è ora chiuso a Ventimiglia. Superata Ventimiglia numerose discese, attraverso l'Appennino ligure mettono nella valle del Po. La difesa della valle del Po disseminata; l'espressione, direi la confusione, dci due concetti che tuttora dividono il campo militare; piazze e bicocche sul Po per consenso alla scuola che Io reputa sola nostra base di operazione razionale; piazze e bicocche sugli affluenti della riva sinistra del Po per non disgustare la scuola opposta. Nulla sull'Appennino; nulla al di qua di questo; nulla, o quasi, se ne togliete Ancona e Gaeta, che ci metta in grado di prolungare la difesa>> (48).

(46) CD. Discttssioni, Bertolé- Viale, 18 giugno I8ji. p. 3029: 20 giugno 1871, p. 3108. (47) Stabilita or.:t in tre battaglioni di quattro compagnie. Sci reggimenti Granatieri furono trasformati in normale fanteria di linea, cd i quaranta battaglioni Bersaglieri raggruppati in dieci reggimenti; provvedimenti questi che adeguavano la tecnica di combattimento alla potenza e rapidità di tiro dei nuovi fucili a rctrocarica: dr. D., L'Esercito Italiano nel 1871, in RMI, gennaio 1872. (48) CD, Discussioni, Farini, 27 maggio I871, p. 2413.


ESERCITO E POLITICA DA PORTA l'l:\

ALLA TRIPLICE

ALLE.~:"ZA

l 09

Questo lo stato della difesa permanente nel 1871 tracciato da Parini. Su diciassette rotabili alpine ne sono sbarrate solo sette e le piazzeforti di Spezia, Alessandria, Piacenza, Bologna, Verona e Mantova devono essere rimodernate. Le valli dell'Arno e del Tevere, tutto il sud con Je isole attendono di essere fortificati. Infatti (( perduta la valle del Po non è perduta l'Italia>> (49). Domenico Parini riaffenna in tal modo alla Camera un concetto strategico che più di dieci anni prima Luigi e Carlo Mezzacapo hanno proposto nei loro « Studi topografici e strategici sull'Italia>>. Presupposta l'unità politica del paese - e ispirandosi alle esperienze di Napoleone - hanno infatti indìcato quali principi direttivi della difesa della penisola lo sbarramento delle rotabili alpine, la loro difesa attiva, una difesa che diviene sistematica nel resto del paese; la scarsa temibilità degli sbarchi sulle coste del sud (so). Anche Roma è oggetto delle preoccupazioni di militari e politici (almeno di quelli che di questioni militari si occupano). Tre giorni dopo l'intervento che abbiamo riportato, Farini presenta un ordine del giorno nel quale chiede ben ottanta milioni per provvedere in fretta a tutto quanto, ed è molto, si deve fare. L'onorevole Corte, affermando il principio della spesa <<una tantum >> che sarà punto fermo della politica militare della Sinistra, si dimostra personalmente poco propenso ad un'Italia tutta fortificata, preferendole un rafforzamento numerico delle forze mobili; tuttavia anch'egli ritiene utile un limitato sistema difensivo permanente con capisaldi ad Alessandria, Piacenza, Borgoforte, Pontelagoscuro e Venezia più un campo trincerato nel sud (sr). (49) lvi, p. 2416. I valichi già fortificati erano Ventimiglia, Vinadio, Fenestrelle, Exilles, Bard, Rocca d'Anfo e R ivoli. (so) GruSEPJ'E FERRARELt.t, Alemorie militari del Mezzogiorno d'ltalia, Bari, 19II, pp. 193-203. Punti di contatto con le teorie dei Mezzacapo si trovano anche in alcuni opuscoli stampati nello stesso periodo; tra gli altri cfr. NrNo Brxro e GEROLAMO BusETTO, Riflessioni .<ul sistema di difesa dello Stato e particolarmente sul perno strategico di Alessandria, ìn RMI, maggio, giugno r869; ANONIMO (ma GrOVAN B..nnsn BRuzzo), Sulla necessità di provvedn·e alla Difesa dell'ltalia, Napoli, r87o; (;. B. BRvzzo, Con.<iderazioni sulla Difesa generale dell'Italia, Napoli, 1870; MicHELE MAssA.Rr, Sulla dife.<a generale d'Italia, Palermo, r871 e Io., Sulla necessità delle foniftcazioni per la difesa degli Stati in generale e dell'Italia in particola1·e, Palermo, r871; L. GIAN:-.o-rn, L' Italia e le sue fonificazioni, Milano, 187r. (51) La spesa si aggirerebbe intorno ai centocinquanta milioni. Troppi? No, poiché « noi non dobbiamo in (]Uesta circostanza preoccuparci troppo della questione di danaro; il giorno in cui avremo assicurata la nostra indi-


IlO

L'EStRCITO ITALIANO DALL. U NlT.~ ALLA GRANDE G UERRA (1861 - 1918)

La lunga esasperante altalena di progetti andati a vuoto e di realizzazioni parziali (52) comincia con la presentazione al Ministro della Guerra il 2 agosto 187l, a quasi dieci anni dall'inizio dci lavori. della Relazione a corredo del Piano generale di difesa dell'Italia da parte della Commissione permanente per la Difesa generale dello stato (53). Il lavoro, compiuto nella discrezione più assoluta nei riguardi del Parlamento e dell'opinione pubblica, suscita impressioni favorevoli per la sua completezza non appena viene stampato e diffuso. La Relazione consta di due piani distinti, uno completo ed uno ridotto, dato che la realizzazione di quello completo c, non può ad evidenza per ragioni di tempo e di finanze essere l'opera di pochi anni, massime per una nazione appena costituitasi al prezzo di grandi sacrifizi e che non può disporre di grandi risorse all'uopo. Per altra parte è evidente che anche senza entrare nel campo delle considerazioni politìche ( ...) le sole considerazioni militari possono condurre ad una restrizione del sistema e ad una conseguente diminuzione di spesa, quando la quistione sia posta, non più sul terreno della più sicura e durevole difesa dello stato, ma bensì su quello dello stretto indispensabile ad assicurare una efficace resistenza contro qualunque attacco esterno ''· Dopo aver affermato che le fortificazioni di montagna sono utili per compiere in tutta sicurezza le lunghe operazioni di mobilitazione le quali, anche a parità di mezzi ferroviari e telegrafici, pendenza potremo dire di averlo speso giustificato (...). L'onorevole ministro delle Finanze vi dirà che non si possono trovare i danari; ebbene io sono nemico della carta moneta, ma stampate pure di codesta carta e comprate fucili, comprate cannoni, fate le fortificazioni! >•. Cfr. CD, Discussioni, Corte, 30 maggio I871, p. 2490. (52) La questione della difesa permanente si anima ed entra in una nuova dimensione con la pubblicazione. nel giugno del '71 sulla << Rivista Militare», ddl'articolo del colonnello Benedetto Veroggio intitolato Dt'lla difem territoriale d'Italia, nel quale si auspica una riduzione del numero delle piazze a vantaggio di una posizione che permetta lo sviluppo di una eventuale controffensiva. Tale posizione è, secondo l'autore, Piacenza. In Bologna invece vorrebbe situato il ridotto centrale di difesa Francesco Martini in Studi sulla difesa d'Italia, Firenze, 187r. E sono proprio le qualità difensive della posi· zione ad ispirargli la scelta. Entrambi poi propongono di fortificare anche la capitale. (53) Insediata fin dal 1862 e presieduta da Eugenio di Savoia- Carignano, nel febbraio r866 aveva terminato le indagini topografico- strategiche del territOrio nazionale c redatto un elenco dei luoghi che riteneva dovessero essere fortificati, ma con l'annessione del Veneto era obbligata a riprendere i lavori per terminarli nel marzo 1868. La presa di Roma causò una analoga dilazione, fino al 2 agosw appunto.


ESERC ITO t

POLITJC.-\ D \ PORTA PIA

ALL~

TRIPLICE .\Ll.Ei\1':7. \

l I l

saranno sempre più lente che negli altri paesi maggiormente fayoriti dalla configurazione geografica e dal sistema territoriale, la Commissione precisa i principi strategici che dovrebbero presiedere all a difesa del territorio nazionale diviso in due scacchieri principali: conti nentale c pcninsulare. Per la zona continentale, comprendente tutto il nord, fino all'Appennino tosco- emiliano, è prevista una difesa << sistematica »; per quella pe::ninsularc una difesa limitata ad alcuni capisaldi. I due sistemi sono uniti da alcune opere di collegamento (54). " E' impossibile - continua la Relazion~ - il disconoscere la grande importanza di Bologna nella difesa dell'Italia; imperocché, sotto il rapporto strategico, finché questa piazza resiste, si può sempre fare assegnamento sulle risorse in uomini, munizioni e viveri di cui dispone la parte peninsulare; e se avverrà che con queste risorse l'esercito possa rimettersi in campagna esso troverassi uno sbocco naturalmente aperto per riprendere l'offensiva e riconquistare la perduta valle del Po )) . Bologna ridotto centrale di difesa fa parte della terza linea difensiva, che segue il rilievo della catena appenninica, preceduta da quella, più importante, segnata dal corso del Po. La prima linea è data dai forti di sbarramento dei valichi alpini. Questa è la << difesa sistematica )). La <l difesa per capisaldi )) si basa sulle piazze di Ancona e Lucera, sui campi trincerati di Roma e Capua e su un certo numero di porti fortificati, Livorno, Civitavecchia, Gaeta e altri (55). Le novantasette piazze da guerra (settantasctte nel piano ridotto) previste dal progetto non sembrano troppe alla Commissione, che anzi le ritiene appena sufficienti a garantire la sicurezza dello Stato anche se è sempre l'esercito di manovra ad assicurarne sostanl'

(54) E' possibile realizzare questi principi edificando dci forti su tutte le rotabili alpine, fortificando porti c rade esposti a colpi di mano ed un solo arsenale, quello di Spezia. La d ifesa interna della zona continentale prevede grosse e medie piazze a Genova, Alessandria, Piacenza, Stradella, Verona, Peschiera, Mantova e Legnago; teste di ponte a Pavia, Pizzighettone, Cremona e Borgoforte; altre fortificazioni alla confluenza del Mincio col Po, lungo la Livenza, lungo b linea lsonz.o- Po- Ferrara e, importantissime, a Bologna. (55) Vennero però soppresse nel piano ridotto le fortificazioni che avrebbero dovuto collegare Bologna con Roma, rendendo così insicuri i collegamenti tra le due città. Cfr. Rdazione a CQ1Tedo dd Piano Generale di D ifesa dcll'lralia - presentata al Mrnistro della Guen·a il 2 agosto r871 - dalla Commissione permanente per la dife.<a generale dello Stato, Roma, 1871, pp. 20,

31 - 32 •


l l 2

L.ESEI\CITO ITALIANO 1),'\Ll:UNIT.l.. ALLI\ GR.\NDE CUl'.RRJ\ ( J!lnr - 1918)

zialmente la difesa. La spesa prevista è di q6 milioni (3o6 milioni nel piano completo); non molto per un piano così complesso. troppo complesso. La preoccupazione principale infatti è quella di non sbagliare, perciò si fortifica tutto ciò che è possibile fortificare. Un unico principio direttivo non può del resto essere espresso dal gruppo dei tredici commissari, ufficiali di formazione diversa - accanto ai piemontesi Menabrea, Petitti. Valfré vi sono i l< napoletani» Pianell e Cosenz - e di idee diverse, quali possono avere per esempio il Della Rocca ed il Cerroti (56). Cosicché, a giudizio di Gerolamo Ulloa, le piazze hanno scarso legame fra loro, con le linee di frontiera e con le vie strategiche dell'interno. Sono inoltre troppo piccole, adatte perciò ad appoggiare forze limitate, non grandi masse di combattenti (57). Più che come formulazione di precise direttive strategiche dunque, il piano della Commissione riveste un altro duplice valore ; si tratta del frutto di un decennale lavoro, a carattere ufficiale, di esplorazione e studio del territorio nazionale, per la prima volta preso in considerazione nella sua reale unità politica; una nuova operazione di << cucitura >> e di rinnovamento delle strutture dello stato esistenti prima d eli 'unificazione, alla pari dei programmi per l'estensione del sistema fiscale o per l'unificazione delle tariffe commerciali. L 'altro valore è lo spirito esclusivamente difensivo insito nel concetto di difesa sistematica e rivelato dalla scelta di Bologna come ridotto di difesa, cioè di una posizione che offre scarse possibilità di sortita ad un esercito tanto numeroso da poter tentare, con probabilità di successo, una manovra controffensiva risolutrice (58). Lo stesso spirito informa la strategia adottata dal governo, come è possibile rilevare dal piano che il Ministro presenta al Parlamento il 12 dicembre dello stesso anno e che modifica quello della Commissione permanente innanzi tutto nel costo. sceso a circa 90 (56) Gli altri membri erano i generali Barinla, Antonio Brignone, F. Brìgnone, Longo, G . Ricci e Pettinengo. (57) G. UL.Lo,,, l due sistemi di difesa d<'ll'/ltl!ia presentati alla Camera, Firenze, 1872. (58) Confrontando il progetto con le pubblicazioni edite in quel periodo risultano evidenti i punti di contatto con le teorie dci Mezzacapo (difesa dei valichi in funzione della mobilitazione), dì Bixio. \ ' eroggio e Gian notti (Roma ultimo centro di difesa) e del Martini (Bologna ridotto della valle ciel Po). Rimane invece decisamente esclusa ogni istanza tendente a dar peso alla posizione di Piacenza, segno della prevalente preoccupazione di mettere, prima di tutto, al sicuro il paese da possibili invasioni.


ESERCITO E POLITICA DA l'ORTA PIA ALLA TRIPLICE ALLEANZA

I I3

milioni (59). Ma in totale i punti fortificati, tra grandi e piccoli, sono sessantacinque, un numero ancora notevole; in tal modo la penisola si presenterebbe irta di forti , fortezze e campi trincerati, condizionando, malgrado la commissione permanente lo neghi, la preparazione e l'eventuale svolgimento dei piani di guerra (6o). Il piano ministeriale è subito preso in esame da una apposita giunta parlamentare presieduta da Agostino Depretis (61). I lavori dureranno ben diciotto mesi. Intanto continua il (( boom» delle pubblicazioni sull'argomento in questione (62). Nel 1871 si è voluto imprimere al normale processo evolutivo delle istituzioni militari una forte accelerazione iniziale che in un anno soltanto ha trasformato l'esercito entrato in Roma, lo stesso di Custoza, non solo nelle sue strutture principali ma anche nello

(59) Fermi restando gli stanziamenti, ed i punti da fortificare, prev1st1 dalla Commissione permanente nel piano ridotto per la cerchia alpina e, con qualche modifica, per le coste, il Ministero realizzò una forte economia nelle regioni interne. Ridimensionati i lavori da fare ad Alessandria, accolse interamente le proposte della Commissione soltanto per Mantova, Borgoforte, Boara, Bologna, ed il passo della Cisa. A sud decise di provvedere esclusivamente a Capua. Si veda CD, Atti, n. 31, 12 dicembre r87r. (6o) Su questa conclusione concordano G. ULLoA, l due sistemi . .. , cit. e A NTONIO GANDOLFI, Stradella e Alessandria nella difesa occidentale d'Italia, Bologna, r872. (6r) La quale si divide i compiti affidando allo stesso Depretis il settore ferrovie, al generale Bertolé- Viale quello della difesa continentale e peninsulare, a Domenico Farini l'esame dei provvedimenti per l'armamento e la mobilitazione; la difesa alpina all'on. Tenani e quella delle coste all'on. Malclini. Gli altri componenti la commissione erano gli onorevoli Acton, Carini, Cavalletto, Corte, D 'Ayala e Perrone di S. Martino. (62) A . GANDOLFl, Bologna e l'Appennino nella Difesa dell'Italia, Bologna, 1871; Aoosn No Rrccr, Appunti sulla difesa dell'Italia in generale e della sua frontiera nord- ovest in particolare, Torino, 1872; V. PtzzocARo, Stradella e Bologna nel .rùtema diferHivo della valle del Po, Torino, r872; G. FRA!-<ZOIA, La futura guerra franco- italiana, Padova, 1872; F. M. FASOLO, La difesa dello Stato considerata relativamente all'oro- idrografia del pae.re ed all'indole della guerra odierna, Verona, r872; ANTONIO BRIGNONf, Sulla difesa degli stati in generale e dell'ltalia in particolare - Difesa interna della valle del Po, Roma, x872. Tali pubblicazioni dibattono il problema della scelta del migliore sistema difensivo permaneme determinando meglio l'affermarsi di due modi di pensare la strategia, l'uno esclusivamente difensivo (Gandolfi, Brignone), l'altro fautore di un più ampio impiego di azioni offensive (Ricci). Il teatro di operazioni resta sempre la valle del Po. Del Sud infatti in guesti anni non si parla; viene preso in considerazione solo come riserva di uomini. R.


l J4

L.EStRCITO ITALIANO DALL.V:-.IITÀ ALLA GMNDE CL:ERRA

(1861- r9r8)

spirito; questo esercito è partecipe delle preoccupazioni della classe dirigente c agisce in perfetto accordo con essa. Per tutto il r871 si ingaggia come una lotta contro il tempo, che è in realtà una gara con il parallelo ricostituirsi dell'esercito francese, poiché si dà per certo uno scontro, che appare una via di mezzo tra il regolamento di conti e la sfida cavalleresca; e si prevede anche il momento, gli anni '74- '75, quando le riforme intraprese dai francesi daranno i primi risultati, il più vistoso dei quali è la possibilità di mobilitare ben 36 corpi d'armata, una massa d'uomini imponente, animata per di più da un forte spirito di rivalsa che nella « questione romana » può trovare in qualsiasi momento il motivo per scatenarsi.

LA DIFENSIVA STRATEGICA.

Nel 1872 si procede a far funzionare ]e disposizioni prese l'anno precedente, determinando meglio « il modo di essere disciplinare. tattico e amministrativo dell'esercito>> come dice la c< Rivista Militare Italiana » (63), alludendo al « rodaggio» in cui sono impegnati i Distretti e aDa avanzata formazione dei quadri della Milizia provinciale. La Rivista annota, tra l'altro, la dinùnuzione degli arruolamenti di ufficiali e sotrufficiali che attribuisce allo spostamento avvenuto nei rapporti tra le diverse classi sociali e le loro condizioni economiche; esprime poi la speranza che la tendenza possa segnare una inversione con l'estensione dell'obbligo generale del servizio, che riavvicinerà Ja borghesia a quella istituzione che è una sua stessa emanazione e il cui funzionamento non può più delegare ad una ristretta aliquota di soldati professionisti. A gennaio del 1872 viene presentata al Parlamento dal Ministro Ricotti la legge sull'ordinamento dell'esercito e dei servizi dipendenti dal Ministero della Guerra; approvata alla fine di settembre del 1873, sottrae così questa materia all'alternarsi dei decreti legge. I punti di maggiore interesse sono l'organizzazione delle riserve ed un primo tentativo di creare un organo addetto allo studio e alla preparazione dei piani di guerra. Gli ufficiali dimissionari, i volontari di un anno ed i sottufficiali con 12 anni di servizio forniscono i quadri inferiori delle trup-

(63) D., L'Eurcito Italiana nel 1872, in RMI, gennaio 1872.

l

l

l l


ESERCrTO E POLJTTCA DA PORTA P I.'\ ALLA TRrPLICF. AtLEAI'ZA

[ [5

pe di complemento, costituite dai soldati di prima e seconda categoria fino al ventottesimo anno; una forza di riserva sia dell'esercito attivo che della milizia provinciale mobile (64). Riceve la denominazione di << Stato Maggiore generale » la <• categoria >> degli ufficiali generali in servizio, r 30 in tutto di cui cinque « d'Esercito » - grado non conferibile in tempo di pace; mentre il « Comitato di Stato Maggiore generale », a capo del quale è un Presidente, è << il corpo consultivo del Governo nelle grandi questioni militari. Dovrà anche di sua iniziativa studiarle, e richiamare su di esse l'attenzione del Ministro della Guerra>> (65). Viene tuttavia conservato il << Comando del Corpo di Stato Maggiore » che ha le mansioni di un ufficio studi, dedito alla raccolta ed elaborazione dei dati nel campo dell'organica, della logistica, della tattica, di tutte quelle materie insomma che concorrono alla stesura di un piano di operazioni. Tale compito spetta invece al Comitato di S.M., la presidenza del quale è affidata al generale Cialdini che però si rifiuta di esercitarla, pur avendola accettata in un primo tempo, preferendole incarichi diplomatici; probabilmente ritiene troppo limitata la possibilità di azione riservatagli, per il fatto di dover predisporre dei piani di guerra senza avere poi la possibilità di prendere i provvedimenti pratici necessari a renderli operativi. Infatti questi restano di competenza del Ministro che si serve di un << Ufficio operazioni militari e Stato Maggiore », poi divenuto nel dicembre r873 « Divisione dello Stato Maggiore», dipendente direttamente dal Segretariato Generale del Ministero (66). E' facile immaginare a quale accavallarsi di iniziative piuttosto simili avrebbe potuto condurre un così complicato sistema. In realtà, il conflitto di competenze è risolto a favore della Divisione di S.M. che utilizza gli studi compiuti dal Corpo di S.M. e dai vari Comandi generali territoriali, ciascuno per la zona cui è preposto. Sempre il 30 settembre infatti è approvata la legge sulla Circoscrizione militare territoriale del Regno, che, tra l'altro, istituisce i Comandi generali, in numero di sette, a Torino, Milano, Verona, Firenze, Roma, NapoJi e Palermo e porta a 62 il numero dei Distretti.

(64) Formata a sua volta da 1.020 compagnie d i fanteria, 6o di artiglieria c 10 del genio, destinate, in caso di guerra, a presidiare fortezze o punti strategici interni; in pace richiamata eccezionalmente per servizio di ordine pubblico. (65) Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, legge n. 1591, art. 10. (66) C. CoRSI, Italia ... , cìt.


Durante la discussione i deputati presenti in aula non sempre raggiungono il numao legale, il che dimostra il curioso fenomeno d~.:llo scarso controllo esercitato dagli uomini politici sulle questioni militari, malgrado l'interesse generico e retorico che le cose dell'esercito suscitano sempre e l'interesse reale rivolto esclusivamente alla determinazione del •( budget» (67). Politicamente importante in questa occasione è solo l'intervento dell'On. Ricci che rivendica al Parlamento il diritto di controllo su tutti gli atti riguardanti l'organizzazione delle forze armate, altrimenti, continuando di questo passo a il bilancio della Guerra consterà di un articolo unico: Esercito e servizi dipendenti dal Ministero della Guerra l> (68). Questa previsione troverà conferma nei fatti quando gli stanziamenti per le opere dì fortificazione verranno concessi dal Parlamento senza che le varie voci specifichino le località prescelte e la entità della spesa ad esse destinate; oppure quando il Ministro riceverà facoltà di aumentare a suo piacimento il numero dei Distretti <c senza ricorrere al Parlamento, per evitare perdite di tempo c soprattutto perché non si sappiano da tutti i fatti nostri >> (69). In realtà, quello della segretezza ci sembra un pretesto, trattandosi di opere neces5ariamente palesi sia nel caso delle fortificazioni che degli edifici di un Distretto; si tratta piuttosto di un'espressione dell'esigenza di autosufficienza presente nei militari che male accettano il condizionamento politico- economico di una assemblea rappresentativa, la quale, in obbedienza ad obiettivi d 'interesse generale, può intralciare o impedire la realizzazione di quei disegni nati a volte per soddisfare alcune istanze proprie esclusivamente della << categoria » . In questo come in altri casi la patente di incompetenza che i civili accettano (70), ripagandola anzi con una tacita delega agli 11 addetti ai lavori >l (7r ), contribuisce a creare l'assenteismo parlamentare che abbiamo rilevato nei confronti dei problemi della difesa. L'atteggiamento è proprio sia della Destra che della Sinistra. Se il deputato di Destra Finzi dice che « in materia di difesa dello Stato i provvedimenti a prendersi dovrebbero sempre derivare dal-

(67) Sia annuale che per realizzazioni straordinarie: fortificazioni c armamento leggero e pesante (questa voce insieme con l'approvvigionamento di materiali c di vestiario non rientra nel bilancio ordinario). (68) CD, Discussioni, Ricci, r 1 marzo r873. (69) CD, Discussioni, Corte, 2"' tornata del 24 marzo r&]3. (7o) CD, Discussiwi, Chiaves, 20 marzo r875. (7r) Gli unici <<civili » che si siano attivamente occupati di cose militari sono stati Corte, Farini e Fambri.

1 l

l


ESERCITO E I'O LITI C.\ ).)A PORTA PJA ALL.\ TRl P LI Cl. ALLI-.A I'U

I l 7

l'iniziatiYa del potere esecutivo: che i deputati non debbono assumere l'iniziativa di ciò che abbisogna per soddisfare questo grande interesse» (72), e Minghetti gli fornisce l'avallo della sua autorità, ;mche Nicotera non esita ad affermare: c. Io ho sempre deplorato che il Ministro della Guerra fosse un uomo politico, io ho sempre deplorato che il Ministro della Guerra subisse le conseguenze dei voti politici della Camera » (73). In tal modo, ogni legame della politica militare con quella generale del paese verrebbe a cadere, mentre, almeno sino al 1878, è assicurata una precisa direzione politica delle cose militari, poiché sia il generale Ricotti che il suo succc::ssore Luigi Mezzacapo, sono anche e sopratnttto uomini politici. Il dibattito sui nodi politici della questione che è mancato durante la discussione generale e sui singoli articoli di legge, si accende, una volta esaurita questa, sul tema proposto dall'ordine del giorno Nicotera del 18 marzo che invita il governo ad affrettare i provvedimenti progettati in modo da realizzarli entro la fine del 1874; non si possono attendere cinque anni - prosegue Nicotera poiché sicuramente la guerra con la Francia è alle porte. Solo il goYerno si ostina a non vedere niente, e mette su un grosso esercito senza armarlo a sufficienza. << Voi sapete quanto me che in questo momento tutte le potenze in Europa, dalla Russia al Belgio, all'Olanda, alla Korvcgia, direi quasi alla Repubblica di S. Marino armano in modo come se la guerra dovesse scoppiare domani e noi, noi che ci troviamo a Roma e che certamente non abbiamo una delle posizioni più facili in Europa, noi non dobbiamo preoccuparci di tutto questo e dobbiamo solamente fare i calcoli come ce li presenta l'On. Sella? » (74). Ora che la questione sembra essere uscita dal campo di competenza (( tecnica n del Ministro, ecco un succedersi d'interventi non solo di Ricotti c del relatore di commissione Corte, ma anche del Presidente del Consiglio Lanza, di Quintino Sella, di Minghetti, di di Rudinì e di Mancini. Da una parte si fa rilevare legittimamente la contraddizione insita nell'ordine del giorno che pur esprimendo sfiducia verso il governo, vuole che gli siano affidati ingenti mezzi finanzi.ari per provvedere con urgenza alla difesa dello stato; dall'altra si ascolta con interesse il Ministro della guerra fare il punto sulla sua politica affermando che: 11 la potenza militare, per la parte che dipende unicamente dal Ministero della Guerra è il

(72) CD, D1scussioni, Finzi, 2" tornata del 19 marzo 1873. p. 5422. (73) CD, Discus.;ioni , Nicotera. 2 ' tornata del 22 marzo 1873. p. 5469. (74) CD, Dismssioni, Nicotera. 18 marzo 1873· p. 5382.


l 18

L.ESERCtTO ITALIA]';O f>ALL\INIT.~ ALLA C'RA:-IDE GUERRA

(1861- 1(118)

prodotto di quattro fattori principali che sono: il numero e la qualità del personale costituente l'esercito, il suo armamento, il materiale di mobilitazione dell"esercito ed infine le opere stabili di difesa territoriale ,>, in ordine di importanza, poiché a io dico che preferisco un esercito completo, istruito anziché le fortificazioni c le armi " (75); cioè le armi di ultimo modello (76). In base a questa scelta si sta facendo tutto il possibile per avere 30o.ooo uomini di prima linea, anzi sarebbe desiderabile averne 400.000 ma ci costerebbero 18o.ooo.ooo l'anno di bilancio ordinario e 30-35 di straordinario per un lungo periodo di tempo e noi non possiamo permettercelo, perché la potenza militare non consiste solo di soldati e di cannoni ma anche di un saldo assetto finanziario dello stato. Nondimeno, afferma i l ministro, pur restando nei limiti precisati dovremo aumentare il bilancio perché è sopravvenuto un deprezzamento della carta- moneta accompagnato dal rincaro di materie prime, mano d'opera e generi alimentari (77). Evidentemente Sella giudica troppo indulgente la presa di posizione di Ricotti sulla questione finanziaria, che anzi suona come un tacito invito al Parlamento ad esercitare pressioni sul governo per aumentare il « budget'' e si preoccupa, con la consueta determinazione e chiarezza, di ribadire i limiti dello sforzo che le finanze possono sopportare senza che il pareggio sia compromesso, e con questo anche la politica del governo (78). Si potrà al massimo sopportare un aumen to delle spese militari che si aggiri intorno al 10% e niente di più. La Sinistra sembra schierarsi compatta con l'ordine del giorno Nicotera. poi in maggioranza finisce con l'aderire ad un ordine del giorno della Destra, sapientemente concertato da Antonio di Rudinì e dall'On. Perrone di S. Martino e che

(75) CD, Discu.csiom, Ricotti, r8 marzo 1873• p. 5388; 20 marzo 1873· P· 5382 . (76) Che erano i Vetterly a rctrocarica destinati a sostituire i vecchi fucili trasformati. (77) Tra le materie prime soprattuttO il ferro che giungeva ùali"Inghilterra. Rincararono inoltre i tessuti ed i generi alimentari: il grano tra il "71 ed il ·74 passò da 27 a 45 lire il quintale, l'avena da 9 a '.3· Il costo dci cavalli nello stesso periodo si elevava da 6oo a 8ooj 1.ooo lire. Questi i dati forniti dal Ministro durante la discussione. (78) << Se voi appoggiaste - soggiunse - !"applicazione delle leggi fin:mziarie, come insistete e come votate allegramente le spese per uomini e per armi, io vi assicuro che anche il bilancio se ne gioverebbe grandemente (...). Capisco le spese militari, il sacro concetto della difesa, ma non si deve esa· gerare >1. CD. Discussioni, Sella, 2 " tornata del 19 marzo 1873, p. 5429; 2 4 tornata del 22 marzo r873, p. 5479·


ESERCITO E POLITICA DA PORTA PIA ALLA TRIPLICE t\LLEAI'ZA

l 19

ricalca la proposta Nicotera, eccettuati i limiti di tempo prefissati _ che vengono soppressi - riducendosi così ad una generica mozione di fiducia nei confronti del governo per il quale i frutti di queste tornate di marzo sono notevoli (79). Trascorrono due anni esatti prima che il Parlamento possa tornare ad occuparsi di questioni attinenti la struttura organica dell'esercito; intanto con l'agio consentito dall'aumentato bilancio si mantengono sotto le armi oltre 2oo.ooo uomini, riuniti in IO Corpi d 'Armata, le cui sedi, concentrate in tre sole regioni, sono Torino e Alessandria; Milano, Pavia e Cremona; Piacenza, Parma, Modena, Bologna e Ferrara (8o). La scarsa artiglieria e l'ancor più scarsa cavalleria li rende adatti soltanto ad una guerra difensiva alla quale si è preparati e per la quale si deve continuare a lavorare secondo quanto dice l'On. Corte, solitamente vicino al governo. (\ La condizione nostra politica - afferma il parlamentare - è tale che, mentre ci consiglia a fare sforzi di ogni natura per porci in condizione di fare ad oltranza una guerra difensiva, ci sconsiglia energicamente ogni spesa, ogni atto che accenni alla fatale tendenza di guerra di offesa o di influenza politica. L'esercito italiano deve essere organizzato con mire esclusivamente di difesa >> (8r ). Vengono presentati alla Camera, uno dopo l'altro, due disegni di legge sul reclutamento in sostituzione della « 19 luglio 1871 )), ma si fermano al livello di commissione (82). Nei due progetti è fissata, tra l'altro, la ferma a tre anni per la fanteria e cinque per la cavalleria. Di maggiore interesse le norme che costituiscono la Milizia Territoriale, formata da nove (79) Entro il 26 infatti, passano senza alcuna opposizione due disegni di legge « minori 11 sulla requisizione di cavalli e veicol i in caso di guerra e sugli stipendi e assegni militari, e due ordini del giorno. Il primo di questi, molto importante, propone, per iniziativa della giunta, un aumento del bilancio ordinario a 16s milioni e d i quello straordinario a 25 per tre anni. Aumento che diverrà realtà dal 1874 al 1876. (8o) G . RoBECCHI, L'Esercito Italiano - C()nsiderazioni d'attualità, Verona. 1873. (81) CD, Discussioni, Corte, r8 marzo 1873, p . 5398. Nel quadro di questa direttiva vanno visti il primo richiamo, per due mesi, di ufficiali della Milizia Mobile e l'invio di un gruppo di questi, insieme ad ufficiali in servizio attivo, nelle stazioni ferroviarie dell' Alta Italia per un corso di studio sul funzionamento di quelle linee in caso di mobilitazione. (82) E' da rilevare che prevedono la sanzione ufficiale del servizio personale ed obbligatorio, anche se temperato, al solito, dalla divisione per sorteggio in categorie ; la creazione di una terza categoria in cui confluiscono tutti gli esenti dal ser vizio insieme con i riformati; entrambi i gruppi sono colpiti da una tassa curiosamente chiamata « tassa sui gobbi )).


120

t'ESERCITO ITALIANO DALL' Ul'.l'fÀ ALI.'\ GRANDI, GUERRA

(1861 • 1918)

----

classi di terza categoria, dieci di seconda c sette di prima, quindi ben addestrata soltanto per un terzo del suo organico. Ad essa sono demandati compiti di servizio interno mentre prima e seconda linea sono impegnate nella zona di operazioni. Al momento, nel 1874, mancano ancora i fucili per armare un così grosso nucleo di riserYe, poiché i vecchi fucili ad avancarica trasformati nel 1867 (65o.ooo) sono in dotazione alla gran parte delle truppe Ji prima linea (83). Il r9 marzo 1875 si apre finalmente alla Camera la discussione su un terzo progetto di legge - approvato il 16 aprile - a modifica delle norme stabilite dalla c1 19 luglio '71 » ristretto però a 16 articoli - il ministro spera che vista la sua brevità possa finalmente passare - i quali riprendono tutti i punti più importanti dei due precedenti disegni del '72 e del '73; ad esclusione della cc tassa sui gobbi » vengono approvati tutti i provvedimenti di cui abbiamo già parlato, più l'abolizione del passaggio di categoria riguardante sia i soldati semplici - io numero di circa 2.000 l'anno pagavano una imposta di 2.500 lire -, sia i volontari di un anno, pressappoco della stessa entità numerica, tassati per 6oo lire che anzi vedono aumentato da 620 a 900 lire (84) il contributo che li ammette a questo servizio speciale. Due mesi dopo, dal r8 sino al 2T maggio, comincia la discussione sulla organizzazione della Milizia T erritoriale, di cui si è stabilito pochi giorni prima il principio istitutivo, e della Milizia Comunale, destinata a sostituire la ormai vetusta Guardia Nazionale stanziale, a favore della cui sopravvivenza si ricorda il carattere più politico che militare della sua origine (85). Ed è una cosa tanto più importante, in quanto, se in Prussia o in Austria il <( Landsturm » esiste solo per sovvenire ai bisogni dì una guerra spinta agli estremi, in Italia in caso di guerra questo terzo

(83) Dei 300.000 Venerly a rctrocarica (30 milioni di spesa) che avrebbero dovuto essere promi per il 1875 ne furono consegnati meno di 50.000 poiché l'industria nazionale, cui si erano volute riservare le commesse, malgrado che per il governo la spesa fosse maggiore di quella che avrebbe dovuto sostenere acquistandoli all'estero, era appunto incapace di mantenere il ritmo di consegna previsto. Sempre tra il '74 ed il '75 si stavano sostituendo le artiglierie da campagna di medio calibro (480 pc1.zi per 4 milioni) ed erano allo studio vari tipi di quella pesante. (84) CD, Dismssioni, Minervini, 20 marzo 1875, p. 3367. Cfr. anche una lettera del 31 dicembre 1873 di Corte a Farini. Archivio del Museo Centrale del Risorgimento (d'ora in avanti AMCR), Carte Farini, Busta 287, fascicolo 64, n. 4· (8;) Carattere politico che colla dipendenza della Territoriale c della Comunale dal Ministero della Guerra, si sarebbe inevitabilmente perduto.


ESERCITO l:.

POLTTIC.~

D\

I'ORT.~

PIA ALL.\ TRIPLICE \Ll.E,\NZ.\

12 I

eserctto, per la scarsezza delle truppe di prima linea, dovrà comunque essere chiamato alle armi per assolvere incarichi di presidio ma anche di mantenimento dell'ordine pubblico (86). Quanto la questione abbia diretta attinenza con la conservazione dell'ordine sociale vigente lo testimonia l'intervento dell'On. Farini jJ quale preferisce <<i fautori dell'anarchia, qualora ci fossero, irreggimentati fra i cittadini abbienti ed interessati al mantenimento dell'ordine, che non i proletari liberi di correre alle barricate>> (87); perciò è contrario alla gratuidt del servizio e al criterio censi tario che regola la scelta tra chi deve esservi soggetto e chi ne è esente. Non per questo viene comunque meno al governo rappoggio tradizionale nelle questioni militari di vasti settori della Sinistra che porta alla approvazione della legge, considerata un successo personale del Ministro, vista la buona maggioranza che diverrà addirittura schiacciante un anno dopo, il 31 maggio 1876, quando si registreranno 2r2 voti a favore contro 24, a definitiva sanzione della legge (tornata alla Camera dopo che il Senato avrà prorogato per altri tre anni la possibilità di richiamo dei 220 battaglioni di Guardia Nazionale). Quel giorno siederà al banco del governo non più il generale Ricotti ma il generale Luigi Mezzacapo, primo Ministro della Guerra nei governi della Sinistra, e primo generale non proveniente dall'esercito Sardo a rivestire tale . . . 1ncanco. L'esercito «ereditato» dal generale Mezzacapo è formato da 10 Corpi d'Armata su 20 Divisioni, riuniti in 4 Armate, più 16 reggimenti di Milizia per compiti presidiari. e può dire di sé che << se la vittoria, suprema ambizione degli eserciti, non è venuta ancora ad accrescere il prestigio della nostra bandiera, noi possiamo ben dire di avere utilmente conseguiti dei risultati non indifferenti>> (88), mentre non si può evitare di fare un paragone tra gli sforzi sostenuti dall'Italia con quelli che le altre nazioni europee stanno compiendo nel!o stesso periodo di tempo, impegnate in una gara di

(86) Senonché, tale misura garantisce u11 intervento equilibrato e più responsabile delle truppe, in caso di disordini, di quanto non sarebbe stato po~sibile avere attribuendo la responsabilità del loro impiego ai sindaci o ai Delegati di Pubblica Sicurezza, dal momento che potevano far parte della Milizia Comunale soltanto coloro .:he fossero elettori. cioè pagassero una tassa di almeno 5 lire (la stessa norma regolava l'ammissione alla Guardia Nazionale); per questo. se della durata inferiore alle 36 ore e prestato entro i con· fini dd proprio comune. il servizio non veniva retribuito. (87) CD, Discussioni, Farini, 20 maggio 1875· p. 341 t. (88) D., L'Esercito Italiano MI 1875, in RMl, gennaio 1876, p. 7·

f j


l ::2

l'ESERCITO ITALIANO 0 ,\LL·n,ITÀ

\LLA CR.'\:-;OE CuERR\

(1861 - 1918)

armamenti che mira al superamento dell'altrui potenza militare senza alcun pensiero delle conseguenze cui può portare (89). Senza contare che l'enorme sperpero di ricchezza imposto all'Europa dalla <<pace armata» - nel r874 sono state sostenute spese militari per oltre quattro miliardi di lire - può determinare un aggravarsi della questione economica sino a fare scoppiare quella sociale. L'Italia che non può sostenere il ritmo delle altre potenze fa però tutto il possibile per organizzare un buon esercito a scopo esclusivamente difensivo. La misura di questo sforzo possiamo valutaria in rapporto ai corrispondenti valori europei dalla tabella seguente :

Russia Germania Francia Austria-Ungheria Gran Bretagna Italia

Popolnionc

E,ercito

82.135·740 41.o6o.695 36.102.921 35·904·435 31.857·338 26.8o1.154

Entrate

Bibncio della ~ucrra

730.000

2.500.548.000

788.39'-).I 03

28.70

422.616

2.257.8t6.ooo

488.742·315

2!,6o

468.787 282.088

2.838.26o.ooo

719-929·753

·572.804.000

254·98~·593

27-70 !6,20

191.834

2.1 09·593·000

378·418.040

lJ,CfJ

204-441

1.364.147·000

192.01 ' ·542

14,77 (90)

attlq)

I

%

Queste cifre si riferiscono al 1874 e sono, evidentemente, puramente indicative; volendo dare un giudizio complessivo non si può tuttavia non ritenere sproporzionato il « budget» militare italiano rispetto al bilancio generale dello stato dato che nel periodo '71 - '8o sfiora, e nell' '8x - 87 raggiunge e supera, il 20% delle uscite, una percentuale pressoché uguale a quella dedicata alle opere pubbliche e alla istruzione, se teniamo conto che il debito pubblico rappresenta oltre il 40°~ della spesa ed il restante è devoluto al pagamento degli stipendi, delle pensioni e assorbito dalla gestione dell'apparato amministrativo (91). A questa ultima considerazione però, si può affiancare quella, avanzata a suo tempo da Francesco Saverio Nitti, che mette in rilievo la funzione incentivante svolta dalle spese militari nei r iguardi dello sviluppo economico delle wne dell'Italia del nord - valle padana e Liguria - dove, da mezzo secolo. sono concentrate

(89) Luoov1co CISO'J-rl, La Pace Armata c l'esercito italiano, in A. agosto x875, p. 924. (90) Sono escluse le spese per la Marina che in Italia, netlo stesso anno, raggiunsero il 2,95 ° ~ delle entrate. (91) E. CoRBINO, Annali dell'economia italiana, voli. Il e !II. Città di Castello, 1931 - 1933, pp. 307 - 381, passim.


- - --

F.SERCITO E

POLITlC,~

DA PORTA l'lA ALw\ TRIPLICE 1\LLEA:SZA

12 3

k più grosse unità dell'esercito ed il più grande arsenale della marina (92). Ma per il momento il problema non è tanto di natura economica quanto puramente finanziaria. « E se la questione .finanziaria costituì in ogni tempo c costituisce sempre un problema politico, esulando dal ristretto campo tecnico per im'estirc tutta quanta la vita nazionale, in quel particolare momento di vita italiana essa diventava il problema politico; i 1 problema nazionale per eccellenza, quello dalla cui risoluzione dipendeva l'essere stesso della nazione. Tutto si riconduceva e si riduceva lì: salvare i l bilancio della nazione, riuscire infine al pareggio ... >> . E' basandosi sulla capacità di sopravvivenza dell'economia italiana che in Europa si è disposti a dar credito al nuovo stato, e non certo soppesando la sua potenza militare, che anzi si ritiene sproporzionata. Dopo questa efficace sintesi Federico Chabod conclude: (' Vittorioso pertanto, per fortuna della nazione, l'indirizzo Sella, la riorganizzazione dell'eseròto ed il riarmo ebbero insufficiente appoggio finanziario. E fu, ripetiamo pure, una necessità: ma ciò non toglie che dal punto di vista militare l'Italia rimanesse ancor più indietro delle altre grandi potenze, e che da tale situazione di inferiorità troppo grande non ne venisse influenzata profondamente la sua politica estera, perché era difficile giocar serrato nel gioco diplomatico quando non s'aveva, alle spalle, la H ome Fleet o la Guardia prussiana )) (93). A nostro avviso invece, l'appoggio finanziario non è insufficiente, è tutto quello che si può dare, e anche qualcosa di più; il giudizio che formuliamo è quindi un riconoscimento dei tentativi dei governi della Destra che hanno saputo, malgrado tutto, colmare il disavanzo perseguendo nello stesso tempo una costante e progressiva politica di riarmo, a scapito purtroppo delle realizzazioni necessarie in altri settori di pubblico interesse o, con maggiore probabilità, di un più rapido raggiungimento del pareggio, anche se l'opera di riorganizzazione delle forze armate si manifesta così radicale da richiedere molto tempo e non dare, nei primi anni, frutti adeguati agli sforzi finanziari sostenuti.

(92) FRAI'CESCO SwERto Nrrn, li Bilanc-io dello Stato dal 1862 al 1896 - 7, Bari, 1958, pp. 19r - 221. (93) FEOERico C!uson, Storia della politica e.<tera italiana dal 1870 al 1896, Bari, 1<}6). pp. 569. 578. Alle stesse conclusioni giunge Lurcr DE RosA, lncidenza delle spese militari mllo sviluppo economico italiano, in Atti del primo Con vegno Nazionale di Storia Militare, Roma, 1$)69, pp. 183 - 209. Cfr. anche CARLO RovERE, L'Esercito ed il bilancio. Torino, 1877.


124

L.ESERCHO IT\ LI.~'-iO lJ.~LL\;:•a TÀ .\LLA GMl'DE Gl'ERRA (186r • 1918)

--'----

Che gli ambienti militari di allora vedano invece attuata una scelta prioritaria in favore di uno stabile assetto finanziario c non la condividano, lo testimonia ancora una volta Carlo Corsi scrivendo sulla '< Rivista Militare Italiana » poco più di un mese dopo la •< rivoluzione parlamentare n del r8 marzo: << se rlovessimo dare il nostro voto ad uno di questi due programmi: I) sistemare le finanze, affidare le nostre sorti principalmente ad una prudente politica, c poi, col tempo metterei in buono assetto d'armi; 2) metterei in buono assetto d'armi, tenere contegno prudente sì ma dignitoso (mai provocante), e sistemare progressivamente le nostre finanze; lo daremmo senza esitare a quest'ultimo, persuasi di fare atto non già di militarismo ma di assennato pa· triottismo » (94). Tutto ciò suona soprattutto come un invito alla nuova gestione politica a cambiare la linea di condotta tenuta sino al momento nei confronti del riarmo. Ma a questo punto è lecito chiedersi con Ludovico Cisotti se, anche spendendo di più, non c1 mancherebbe tuttavia molto per dare alla macchina dell'esercito tutta la forza d'impulsione e di resistenza di cui è capace. Mancherebbe e manca la preparazione intellettuale e morale degli italiani in armonia con un sistema che ad un nemico invasore vuole opporre non solo un esercito, ma un intiero popolo in armi >> (95). Preparare i cittadini a sentirsi tali, far mutare il loro atteggiamento spirituale dall' « apatia politica >> alla partecipazione attiva è il compito che spetta ai primi governi della Sinistra. Frattanto la Commissione della Camera che sta esaminando il progetto ministeriale di difesa permanente sembra voler mandare ]e cose per le lunghe, cosicché in un lavoro del colonnello Benedetto Veroggio, venuto alla luce insieme a molti altri in questo periodo, si esprimono dubbi sulla competenza delle assemblee rap· presentative a giudicare di tali questioni <l tecniche >> (96).

(94) C. Cmm, Del Mi!itarismo ai dì nostri, in RMI, maggio t876, p. 213. (9o;) L. CTSOTTI. Stato militar<> dell'ltlllia n t'l 1875• in ]\(:\., novemhre, dicembre 1875• p. 769. (5}6) BENEDETTO VuocciO, Sulla Difesa Tt>rritorial<> d'Italia - Studio di un progetto completo, Torino, 1872.

n dibanito sui temi politico. strategici inerenti alla difesa permanente cominua con i S<tggi di B. VE.ROGCTO, Piac<'m:a o Bologna?, Roma, 1873 e A'\TONTO ARALDI, Bologna o Piaunza? Rispo.>ta agli scritti dei colonnelli lieroggio e Ricci, Roma. 1873·


H ERCtrO E POLITI C.\ OA PORT,\ PIA

\LL ~

T RI P LICE :\LLE,-\1\ZA

I 2)

Per altro verso, ma sempre all'interno di questa stessa <• linea » politica è quanto mai preciso nelle sue affermazioni Agostino Ricci il quale, nel suo terzo c ponderoso saggio La difesa i11terna della Valle del Po, così scrive: u Qualunque operazione militare è anzitutto una questione di forza, dacché, data la forza occorrente ogni problema militare può essere risolto. beninteso, supposti gli clementi morali, come fattore comune >) . Perciò quando si dice << l'Italia non ha, non deve, o non può avere alcuna posizione di conquista, e quindi non deve pensare che a difendersi, ( ... ) si intenderebbe di dire che, rinunziando ad ogni aggressione politica, l'Italia debba rinunziare ad ogni offensiva militare? •>. Tanto più che la struttura degli eserciti odierni costituiti da masse di giovani alle armi per poco tempo è uno strumento non di difesa, perché poco saldo, ma di offesa, infatti (( una condizione si impone come necessaria. quella cioè di una modalità di impiego che permetta alla natura espansiva ed elastica di tali clementi lo svilupparsi. ( ...) L'iniziativa, l'azione attiva, l'offesa insomma ed il successo che ne è più che mai la probabile conseguenza, ecco l'ambiente che è necessario a questi colossi dalle apparenze così mostruose. (... ) Avere un esercito alla germanica e parlare di difese metodiche, a passo a passo, di linea in linea, sino a chi sa dove, è né più né meno una contraddizione » 07)· Ma proprio questa, almeno per ora, è la prospettiva che sembra godere di maggior credito negli ambienti governativi. 11 5 giugno 1873 la Commissione della Camera presieduta dal Depretis pubblica la relazione finale 08). Dalle quattro distinte relazioni in cui è divisa emerge il disegno difensivo, anche se non ne ricalca tutto il tracciato, contenuto nel piano completo della Commissione permanente (99).

(97) A. R I CCI , La dif~sa mlt'rna della t·a!lr del Po, Torino, 1873, pp. 28, 38, l44• T48, 153· (98) In precedenza però, il 25 gennaio ed il 2 aprile x872, :.IVeva già presentato due stralci del progetto complessivo riguardanti, il primo, a cura di Domenico Farini, la fabbricazione di 27o.ooo fucili, carriaggi e la costruzione di una fabbrica di armi a Terni: il secondo. relatore l'on. Maldini, la costruzione di una diga attraverso il golfo di La Spezia, la fabbricazione di artiglierie da costa e la costruzione di una fonderia per cannoni. Complessivamente la spesa prevista supera i 72 milioni in cinque anni, concessi dal Parlamento nell'aprile e giugno dello stesso anno. (99) Rispetto al progerro ministeriale rivela una più decisa tendenza ad eventual i azioni offensive per l' inserimento di Piacenza- Stradella e di numerose teste di ponte che controllano la riva sinistra del Po a Pavi:t, Pizzighettone, Cremona e Grotta d'Adda nel settore NO; a NE poi Mantova-


126

r.'ESERCITO ITAL.!ANO OALL\; r-;TTÀ ALLA GR,\r'\OE GUERRA

(1861 · 1918)

Perduta la linea delle Alpi (per la quale restano invariate nel progetto opere e stanziamenti previsti nel piano ridotto della Commissione permanente) e quella del Po, l'Italia si difende sugli Appennini di cui Bologna è r< gran piazza di rifugio, e di riscossa per coprire l'ingresso neJla regione peninsu]are, minacciare la linea di operazione dell'invasore, rifornire l'esercito combattente, e facilitargli la ripresa dell'offensiva l> (100). Anche Spezia sarà un gran campo trincerato di ventisei opere fortificate con ben 240 cannoni (10r). La Commissione ripropone, per concludere. di fortificare Roma, in modo tale che possa resistere per un certo tempo agli eventuali assalitori, e Capua, della quale va ampliato e migliorato il campo trincerato, l'unico di tutto il Sud. Il progetto è generalmente bene accolto. La (( Rivista Militare l> ne fa un resoconto piuttosto benevolo, mentre il generale Antonio Brignone ritiene di dover muovere qualche appunto esclusivamente alla ripartizione delle somme stanziate, in ragione della maggiore o minore importanza che egli attribuisce ai medesimi punti strategici da fortificare. Ma è da rilevare, più che altro, la netta presa di posizione dell'alto ufficiale sulla competenza del Parlamento a giudicare questioni che altri definiscono sbrigativamente (( tecniche >l. « Io non divido - scrive - il parere di alcuni che la Camera dei deputati ed in genere le assemblee legislative dovrebbero ritenersi incompetenti a giudicare del merito intrinseco delle questioni più propriamente tecniche, che talvolta si coinvolgono nei progetti di ordinamento dei servizi dello Stato sottoposti alle loro deliberazioni, e limitarsi invece a considerarne dal lato politico la opportunità, dal lato finanziario l'influenza che possono avere nell'interesse dell'erario. dal lato della loro convenienza tecnica se sia consultato e tenuto il debito conto del parere dei funzionari e consessi governativi più specialmente chiamati a pronunciarsi sopra siffatte questioni ». Questo modo di procedere non sarebbe consono alla dignità di uno dei poteri dello Stato in regime costituzionale. per cui l 'intervento dei due rami del Parlamento italiano è legittimo e necessario, cosicché Borgoforte è '' piazza di rifugio c formidabile centro di difesa attiva l> attraverso le teste di ponte di Boara, Legnago e S. Maria Maddalena; cfr. FEDElUCO CARANDINI, Un nuovo valico fen·ot'Ìario apperminico fra l'Emilia e la Toscana, Modena, 1875, pp. 43- 54· (10o) Ibidem e CD, Atti, n. v- C, 2 aprile r8n (101) ro8 saranno rivolti verso il mare, 38 verso il mare o verso terra e 94 esclusivamente verso l'interno, a riprova del valore strategico della posizione anche nei confronti delle operazioni terrestri.


ESERCITO F. POLI T! C~ DA PORTA PIA ALLA TRI PLICE AI.LEA:'>.ZA

l 27

,, per il progetto della difesa generale dello Stato l'intervento attivo e direi assoluto del potere legislativo può senza alcun inconveniente estendersi sino al punto di discutere e pronunciare non solo sui principi generali di scienza militare a cui si informa nel suo concetto fondamentale, ma anche sulla scelta di tutti i posti militari da fortificarsi e sulla natura e importanza delle opere di difesa da erigervisi, sulla spesa da dedicarsi allo scopo e infine sul riparto successivo in ragione di urgenza della esecuzione delle varie opere: dovrebbe invece l'intervento legislativo arrestarsi là dove incomincia la parte puramente tecnica della compilazione dei progetti d'arte in corrispondenza delle condizioni locali ed ai dettati della scienza di fortificazioni» (102). Con queste parole viene definita la concezione politico- ideologica dei fautori della difensiva strategica, così come Veroggio e Ricci hanno espressa quella di chi propende per l'offensiva. E' senza dubbio evidente come la prima sia l'unica consona alla politica generale del governo Lanza, mentre sappiamo che la seconda ha in sé molti elementi che si ritroveranno nelle linee di politica militare seguite dalla Sinistra. Intanto il secondo ministero Minghetti, nato dal fallimento di un nuovo (( connubio», un ministero Minghetti- Depretis deciso a sostenere un forte aumento delle spese militari (103), si limita nei confronti dell'Austria - Ungheria e dell'Impero germanico ad una apertura sostanzialmente cauta che non porta alcun mutamento nelle direttive strategiche correnti : come nel '7 1 si pensa ad una resistenza ad oltranza suJle Alpi, poi ad una gran battaglia campale sugli stessi luoghi delle tre passate guerre seguita dalla vittoria o dalla resa al nemico (104). Né è obiettivamente possibile formulare altre ipotesi; un compiuto sistema di difesa permanente dovrebbe essere costruito ex- novo e costerebbe una cifra che le finanze dello Stato, tese al raggiungimento del pareggio, non potrebbero sopportare, a meno di non pregiudicare quest'ultimo. Francia e Germania, che pure hanno già un sistema di difesa consono alla loro configurazione geopolitica, spendono in questi stessi anni somme che superano di molto il mezw miliardo. Dunque? Evidentemente ciò significa che il fare affidamento sulle discutibili virtù difensive di un (( baluardo di petti>>, non è solo una infelice imma(roz) A. BRIC:"O:-<E, Sulla dif~sa generai~ degli Stati ~ dt'il"ltalia in particolare - Ejame del comroprogetto di difesa compilato dalla Giunta della Camera dei Deputati sotto la data del 2 aprile 187 3, Roma. 1873· pp. 17- 19. (103) Lettere dell't e dell"8 luglio 1873 di Cone a Farini, AMCR, Carte Farini, B. 287, f. 63. n. r2, 13. (104) CD, Discussioni, Bertolé- Viale, 7 marzo 1874·


128

!:ESERCITO

IT.\LB:-.'0 lJAt..L't.:,HTÀ ALLA Gll\~DE GOf.Rll.\ (1861 · 1918)

- -- -

gioe ginnico- retorica, ma per molti anni sarà l'unico concreto ostacolo che sia possibile opporre ad un eventuale nemico. Finito nel nulla tutto il lavoro di elaborazione del piano di difesa fin qui compiuto, appunto a c:lllsa della caduta del governo Lanza. il Ministro Ricotti, il quale mantiene l'incarico anche nel governo Minghetti, si affretta a presentare alla Camera. nel novembre 1873, un secondo progetto che rispetto al precedente, oltre a sopprimere ogni indicazione delle singole località da fortificarsi, esclude numerose località costiere (La Spezia, Messina, Taranto) e tutte le opere destinate alla valle del Po. La Commissione gli oppone tre mesi dopo ben due progetti, l'uno, per i 79·7oo.ooo lire richiesti, ricalca quello ministeriale, l'altro, per quasi novanta milioni, intende organizzare finalmente la difesa della valle padana, rimandandola però al momento in cui vi saranno maggiori disponibilità finanziarie (105). Iniziato il 3 marzo 1874 l'esame del disegno di legge, l'Assemblea si dimostra sostanzialmente d'accordo con il testo propostole ed approva in conseguenza il 12 marzo il progetto così come le è stato presentato, ripartito in cinque capitoli con semplici indicazioni di massima. A cura della Commissione viene data ai parlamentari anche l'indicazione dei luoghi dove si svolgeranno i lavori (1o6). Una notevole importanza riveste la decisione di fortificare Roma, perché possa resistere per almeno quindici giorni ad un attacco improvviso (107); infatti accanto al motivo psicologico- politico delle gravi conseguenze cui può portare la caduta della capitale, si è fatta strada una considerazione di carattere prettamente strategico, in quanto Roma è il nodo ferroviario dove termina la linea proveniente da Napoli. la quale al momento è l'unica a collegare il Sud col resto della penisola (ro8). (105) CD, Atti, n. 20- A, r3 febbraio r874· In realtà l'Assemblea sapeva che " votata questa legge, fortificazioni nella valle del Po non sar3 più pos· sibile farne, giacché non vi sarà più un soldo disponibile a questo scopo >>, CD, Di.rcussioni, Ferrone di S. Martino. 9 marzo 1874, p. 2129. (ro6) In tal modo veniamo a sapere che su 17 forti di montagna cinque soltanto erano da migliorare, mentre tutti gli altri dovevano essere ancora progettati; le località erano: Capra Zoppa, S. Bernardo, Nava, Tenda, Vinadio, Exilles, Susa, Edolo, Rocca d'Anfo, Rivoli, Monte Pipolo e Monte Moscallo, Passo delle Fugazze, Primolano, Castel Lavazzo, Ospedaletto, Stupizza c Bard. Delle sette località costiere (Vado, Genova, Monte Argentario, Baia, Gaeta, Ancona, Venezia) soltanto la terza richiedeva nuo\·e costruzioni. (ro7) CD, Discu..-.<ioni, Ricotti, 5 marzo 1874· (1o8) Con un esercito numeroso come mai l'Italia aveva avuw in precedenza (430.000 uomini nel 1874), il rapido concentramento rivestì importanza


:ESERCITO E POIITI C.\ DA PORTA P!.\ ALLA TRIPLI CE ~Ll E.\NZ.\

129

Sottoposto il progetto all'esame del Senato, quando già l'ufficio centrale ha espresso il suo parere favorevole, il governo lo ritira poiché la bocciatura di un progetto di legge sulla nullità giuridica degli atti non registrati mette in crisi il programma per il raggiungimento del pareggio e gli nega quindi i fondi necessari alla copertura finanziaria del provvt:dimento. Non viene a mancare ovviamente, neanche in questo periodo, il dibattito teorico, condotto attraverso i consueti opuscoli e i saggi, di ineguale valore, comunque orientati verso un ridimensionamento dei grandi sistemi di fortificazione a favore di un indirizzo ancorato saldamente alla realtà politica. economica e strategica del paese. Già in due lavori di Benedetto Veroggio e Antonio Gandolfi - l'uno del '74, l'altro dell'anno seguente - che continuano la polemica sulla ubicazione del ridotto centrale, è possibile notare una diversa interpretazione ddla ftmzione tattica della piazzaforte, sostituita, come perno di manovra, a causa della mole attuale degli eserciti, da un rilievo montuoso o un lago (rog). Su questa stessa linea si muove anche Giuseppe Perrucchetti, il quale diviene ben presto il teorico della geografia militare intesa come scienza autonoma, in quanto questa non si limita più a fornire alla strategia alcuni suggerimenti di massima ma costituisce la base necessaria di tutte le sue elaborazioni (no). Un esempio convincente del nuovo sistema lo fornisce il Gandolfi quando, valutando l'ipotesi di una offensiva contro la Francia, scrive: «Ma importa osservare che l'eccellente principio dell'iniziativa, antico come il mondo, e che per l'evidente sua utilità potrebbe più propriamente chiamarsi assioma, è un principio generale e come tale subordinato di conseguenza nella sua applicazione maggiore che in precedenza. Occupata Roma, le riser\'e di uoro1m provenienti dal Sud sarebbero state tagliate fuori per molto tempo dalla zona di operazioni o quanto meno dai luoghi di raccolta. A tale pericolo si volle ovviare facendo di Capua il centro operativo delle forze destinate ad intervenire in caso di sbarchi lungo le coste del meridione o direttamente a ridosso della Capitale. Cfr. xxx, Lavori di difesa dello Stato - Discussione alla Camera dei Deputati, in RM1, 1874. (109) B. VEMccro, Difesa territoriale d'Italia. Studio relativo all'interno della valle del Po, Casale, 1874 e A. GA:-,tDOLFI, La difesa interna dell'Italia, Bologna, 1875· (IIo) G. PERRUCCHETTI, Del metodo negli .rtudi per la difesa dello Stato. A ppunti geografico- militari, Roma, 1882 e Io., Il Ttrolo: Saggio di Geografia Militare gguito da una appendice .rulla difesa di alcuni valichi alpini e l' ordinamroto militare territoriale delle zone di frofltit:ra alpina, Torino, 188r; la prima edizione apparve però in RMI nel 1874. Cfr. anche C. CoRSI, Di alcuni frutti della guerra del 1870-71, Firenze, 1874. <)·


130

L'ESERCITO ITAI. IANO DALL'UNITÀ ALI.. \ CRANDE CUERRA

(t86I · 19r8)

alle reciproche condizioni militari degli avversari, ed a quelle topografiche del teatro di operazioni. ( ...) Bisogna considerare che le Alpi, le quali tanti svantaggi apportano ad un esercito invasore del nostro paese, eguali ed anzi m aggiori ne apporterebbero a noi . quando volessimo portare l'offensiva al di là della nostra fro ntiera, e ciò specialmente dalla parte della Francia. Difatti le concavità che le Alpi occidentalì presentano verso la Valle del Po, fanno convergenti le direzioni di marcia delle colonne dell'eserc.ito francese invasore dell'Italia, e tendono ad unirle agli sbocchi nella pianura piemontese, mentre per la stessa causa le direzioni di marcia delle colonne delresercito nostro che fosse spinto alla invasione della valle dd Rodano riescirebbero divergenti, facilitando per tal guisa allo esercito difensore della Francia, il compito di batterle separatamente allo sboccare nel piano ». Inoltre la difesa sui confini (( potrà riescire assai più attiva, energica e prolungata sul versante italiano delle Alpi centrali ed orientali, che su quello delle Alpi occidentali. Sulle prime infatti essa potrà manovrare controffensivamente anche sul campo strategico, mentre sulle seconde questa possibilità sarebbe limitata al campo della piccola tattica » ( 1 I I). Gandolfi non esita dunque a riconoscere nella controffensiva il principio strategico più confacente alla natura del terreno su cui l'esercito italiano si troverebbe ad operare. Quanto all'aspetto politico di tale teoria è piuttosto diffusa la convinzione che « una guerra tra Francia e Italia non può essere per quest'ultima che politicamente difensiva. Ma è risaputo che la difensiva politica può. anzi deve sforzarsi a diventare offensiva militare, o semplicemente sul suolo patrio, o anche sul suolo nemico. A dirla francamente non crediamo che l'Italia abbia i mezzi per sostenere da sola una guerra offensiva contro la Francia, prima di aver conseguito una grande vittoria sul proprio suolo. ( ...) Solo con una alleanza germanica essa dovrebbe iniziare la campagna mediante l'offensiva sul suolo francese » (n2). Venendo poi a trattare del sistema di difesa da scegliersi, Niccola Marselli, poiché a lui si devono le ipotesi sopra riportate, scrive che il ridotto, teoricamente, dovrebbe essere cercato sulla linea che va da Stradella a Cattolica e sarebbe perciò Bologna, mentre Piacenza- Stradella e Mantova - Borgoforte ne sarebbero i perni di manovra. Ma « la soluzione del problema del ridotto - continua l'au(rn) A. GANDOLFI, La difesa intermt . .. , cit., pp. 61 • 63, 72 -73. (u2) N. MARSELLI, La gu~a e la sua storia, Milano, 1875 • 1877, vol. III,

pp. 149- 150.


ESERCITO E POLITICA

D.~

PORTA PIA ALLA TRIPLICE ALI.EANZA

13 l

tore de La guerra e la sua storia - dipende da una questione pregiudiziale. E' proprio necessario che un paese come l'Itaha debba avere un ridotto, nel senso che comunemente si da a tale parola? ( ... ) A parer nostro l'Appennino centrale medesimo, da Bologna alla conca aquilana con i passi sbarrati nei due versanti, con le foci dei fiumi principali apparecchiate a difesa ed il nostro esercito costituiranno il miglior ridotto per la difesa n. <<E se proprio si vuole questo gran campo trincerato per l'ultima resistenza, allora si fortifichi la capitale ))' aggiunge Marselli e conclude: « Preoccupiamoci intanto di ciò che le finanze ci permettono di fare ora, e ci permetteranno di fare immediatamente dopo raggiunto il pareggio. Ora Yerranno fortificati alcuni punti primari della periferia; poi volgeremo la nostra attenzione alla difesa interna » (II3). Queste tesi collimano col programma che il governo decide di varare, presentandolo alla Camera nel gennaio del '75, e sul quale stende la relazione ancora una volta il generale Bertolé- Viale, terminandola nel maggio seguente. 11 piano prevede stavolta fortificazioni per venti milioni, tre milioni e mezzo per l'armamento e dieci per magazzini, da ripartire nei bilanci '75- '79· Ma l'imminente raggiungimento del pareggio rende molto cauta la Commissione parlamentare che riduce la spesa totale a poco più di venti milioni di cui solo tredici per le fortificazioni, (( da impiegarsi per la massima parte nella difesa della frontiera terrestre e il rimanente per riordinare i forti a mare delle piazze di Genova, Gaeta, Ancona e Venezia e possibilmente far qualcosa per la difesa di Messina e di Monte Argentario» (II4)· Ogni indicazione della ripartizione degli stanziamenti a seconda delle località è stata soppressa e la loro destinazione di massima è nota solo attraverso alcuni accenni del ~inistro, rilevabili negli interventi di questi durante la discussiOne. La novità del progetto è la rinuncia a fortificare Roma. Poiché si intende dare una prima sistemazione alla difesa periferica, si affida nel contempo totalmente quella interna all'esercito che, nello stesso anno, è ristrutturato secondo un nuovo ordinamento, destinato ad aumentarne la forza numerica. Al contrario, decisamente fautore di Roma fortificata è quel~ l'anonimo scrittore, forse riconoscibile a nostro avviso nel Maggior generale Benedetto Veroggio, al momento Segretario generale del Ministero della Guerra. il quale nell'aprile del 1875 pubblica sulla « Rivista Militare Italiana » un piano dettagliato dei lavori occor(113) lvi, pp. 50, 54· (TI4) G. MALiliNt, La difesa delle coste, Roma, 188r, p. 166.


132

L'ESERCITO ITALJA:-<0 DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(l861- J918)

remi a fare della capitale, centro politico- morale della nazione ma anche obiettivo strategico - non inferiore per importanza a Piacenza, asserisce l'autore - il ridotto finale di difesa e di appoggio alle truppe eventualmente operanti sulla linea Ancona- Roma o Pescara- Roma, un vero pù1ot- stratégique della difesa generale (1 15). Ricotti è evidentemente di avviso contrario a quello del suo Segretario generale; senza un ridotto centrale, con perni di manovra nelle condizioni in cui erano dieci anni prima, con le sole frontiere terrestri, ed in minima parte marittime, in via di organizzazione per guadagnare il tempo necessario alla mobilitazione di un consistente esercito mobile, il ministro, che non ha mai mostrato troppa simpatia per la capitale- fortezza quale era concepita nei disegni della Commissione permanente e delle varie giunte parlamentari che si sono occupate della questione, ritiene di poter rimandare la realizzazione degli altri progetti (n6). Di tali progetti dovrà occuparsi invece, il suo successore, Luigi Mezzacapo.

L'oFFENSIVA sTRATEGICA.

Con l'arrivo dì Luigi Mezzacapo al Ministero della Guerra sembra di essere tornati al 1871 tanto l'attività riformatrice delle strutture e delle istituzioni militari riprende febbrile. Si comincia, come sappiamo, col ripresentare e condurre in porto l'ultima legge Ricotti sull'organizzazione della Milizia Territoriale. A gennaio del 1877 è la volta del nuovo progetto di riordina~ mento della Circoscrizione Militare Territoriale del Regno che mira ad adeguare questa alla ripartizione che le forze armate avranno in caso di guerra; viene cosi proposta la creazione di tre nuove Divisioni Territoriali in aggiunta alle diciassette già esistenti, in modo da averne due per Corpo d'Armata Territoriale, e l'aumento del numero dei Distretti da sessantadue a ottantotto, dipendenti da venti Comandi superiori di Distretto. E' durante la discussione del provvedimento che Mezzacapo ha modo di esprimere un giudizio su quanto l'amministrazione Ricotti ha fatto. « Tutti i principi fondamentali del nostro ordinamento (us) W., Le fortificazioni dì Roma, in RMT, maggio 1875· (1 16) Tenendo conto che la progettazione contemporanea delle opere - a cura del Genio militare - non poteva riguardare che un numero ridotto di fort ificazioni e, inoltre, la loro costruzione richiedeva tempi lunghi.


- - - -

J:.S!,RC!TO E l'OI.ITIC \

1)\

PORT\ l'lA ALL.\ TRI l'LI CE ALLEA>IZ \

I

33

_ afferma sono giusti, ma nel metterli in esecuzione si è andati a tentoni, non è che un lavoro continuo di rappezzamento e di ri~ pieghi. Da ciò è nato quell'assieme di macchina complessa, di macchina che non funziona facilmente perché non si è partiti da un principio ben regolato, sono tutte cose di occasione» (u;). Si tratta quindi, secondo il nuovo m inistro, di portare avanù un'opera di verifica e correzione delle lacune esistenti; tra queste, gravissima, quella della scarsa preparazione ed efficienza delle truppe, per rimediare alle quali Mezzacapo decide di rinunciare all'addestramento di trentasei mila uomini di seconda categoria e di tenerne invece in servizio dodici mila di prima quattro mesi in più, fino al compimento della ferma. La disposizione rimane in vigore per tutto il tempo in cui Mczzacapo resta al Ministero, suscitando le vivaci reazioni del generale Ricotti il quale dal seggio di deputato continua a riproporre le linee della politica seguita da '7r al '76: non addestrando la seconda categoria - afferma il novarese - si avranno dai 50 ai 6o mila uomini in meno in caso di mobilitazione; questo significa sacrificare il numero per inseguire di nuovo il principio della qualità. Altri attacchi sul piano della polemica spicciola o personale colpiscono l'amministrazione di Sinistra ( n8), prendendo lo spunto dai tentativi di miglioria opcraù in varie direzioni, dalla riorganizzazionc delle scuole e istituti di istruzione militare alle norme per l'avanzamento, allo snellimento dei quadri superiori, manifestatosi quest'ultimo con la clamorosa misura del collocamento a riposo di ben sette Tenenù generali cd in disponibilità di altri quattro: vittime illustri sono, tra gli altri, i generali Petitti di Roreto, exministro della Guerra nel '62 (ministero Rattazzi) e nel '64- '65 (ministero La Marmora) c Raffaele Cadorna; a quanto si sa, volendo escludere motivi di risentimento personale o, peggio, regionalistico, a spiegare tale iniziatiYa di Mezzacapo restano le dichiarazioni di Depretis alla Camera, volte ad accreditare la versione della inabilità degli alti ufficiali ad assolvere i compiti che il loro grado comporta; giustificazione che però può valere soltanto nei confronti di alcuni di costoro (II9)· La realizzazione più importante, della quale parleremo p1u avanti, è l'avvio dei lavori delle fortificazioni di Roma, mentre non riesce il cc rilancio >> del Comitato di S.YI .. Cialdini continua a ri(n7) CD, Di.rcussioni, Mczzacapo, I" febbraio 1877. (n8) L. Pclloux li ricordò alla Camera nell'aprile r882. (ug) Cfr. C. CoRSr, !rafia 1870 • 1895, Torino, r8g6 e Le condizioni militari d~lf'ltalia nell'anno 1878, Firenze. r8i8, a cura de « La Nazione >>.


134

t ' ESERCITO ITALIA:-10 DA!,L\r NlTÀ ALLA GRANDE GUERRA (r86t • r918)

fiutarsi di assumerne la responsabilità direttiva, dal momento che non è certo Mezzacapo la persona disposta a rinunciare alle prerogative dì alta direzione degli affari di guerra; pertanto il Comitato sopravvive aspettando tempi migliori e occupandosi esclusivamente di studi sul concentramento delle truppe in rapporto alla rete stradale (12o). Infine, sì regola con una apposita Istruzione la mobilitazione della prima linea, sottraendola al succedersi delle disposizioni prese al momento, le quali provocavano la confusione che è facile immaginare. Finalmente il desiderio di Ricotti di una mobilitazione automatica alla prussiana, almeno sulla carta, è realizzato. Un mese dopo, nel marzo 1878, Mezzacapo lascia il ministero. Il suo operato, che in Italia ha suscitato tante critiche, è giudicato con molto favore da una rivista tedesca specializzata (121) la quale, riconoscendo all'esercito italiano un grado di organizzazione e addestramento rispondente ai bisogni di una guerra - per di più conseguito con un bilancio assai ristretto - ritiene sia stato un saggio provvedimento il sacrificare, almeno per il momento, la costituzione di una riserva di mediocre efficienza al rafforzamento della prima linea. La guerra d'Oriente ed il deteriorarsi dei rapporti con l'Austria dal '75 in poi, fatto nuovo di cui la politica italiana deve tener conto anche dal punto di vista strategico, poiché significa avere sotto minaccia costante non una ma due frontiere, ingenerano nell'opinione pubblica e negli ambienti di governo una atmosfera di sovraeccitazione destinata a manifestarsi chiaramente quando viene pubblicato ltalicae res, opera dell'ex- addetto militare austriaco a Roma, Alois Von Haymerle, cui si vuole dare a tutti i costi carattere ufficioso. La ragione di tanto clamore risiede nel fatto che il colonnello Von Haymerle, tracciando un vasto panorama della situazione politico - militare italiana e presupponendo connivenze tra il governo e gli irredentisti, trae la conclusione che potrebbe essere imminente un attacco da parte dell'Italia per annettere i territori austriaci di lingua italiana (r22). E' per confutare questa tesi che Mezzacapo, da un mese comandante del Corpo d'Armata di Roma, nell'ottobre del '79 sulla (r2o) C. CoRsr, op. cit., p. r~ . (121) « Jahresberichte liber die Veriinderungen und Fortsehritte Militarwesen », commentato nell'opuscolo cit. a cura de « La Nazione'' · (122) A. Rrrru VoN HAYM.ERLE, ltalicae res - Mit zwei Karten- Skizzen , Wien, 1879; trad. it. Firenze, r88o.


E.SERCITO E POLITICA D,\ PORTA PIA ALLA TRII'LICE AL!.EA!'.ZA

I 35

" 0Juova Antologia >> scrive Quid Jacie11dum?, un articolo seguito da altri due dai titoli altrettanto rivelatori: Siamo pratici e Armi e politica ( 123). Da un motivo occasionale si sviluppa a posteriori l'esposizione programmatica della politica militare di quella parte della Sinistra che con Luigi Salvatorelli potremmo definire <i attivistica'' (124). in pratica la Sinistra crispina alla quale Mezzacapo appartiene (125). Qualunque banale incidente - scrive l'ex- ministro - nella ~ituazione internazionale attuale, può fare precipitare gli avvenimenti. La forza è tuttora l'unico fondamento del diritto internazionale e la nostra organizzazione militare non solo è tenuta in scarsa considerazione, ma anche « la simpatia che gode l'Italia all'estero oltrepassa di poco l'ammirazione dei suoi monumenti d'arte ''· Per ovviare a questa situazione dobbiamo uscire dall'isolamento polìtico in cui viviamo ed essere in grado di sostenere sino in fondo l'alleanza che sceglieremo, di esserle di valido appoggio e non di peso; per questo il nostro esercito deve essere pronto anche ad una lunga e metodica resistenza. Invece ((rutta l'esistenza nostra viene consumata in discussioni finanziarie ( . ..) la nostra politica, per dirla in breve, è la politica della pace a qualunque costo>> (126). In realtà anche in condizioni economiche difficili è doveroso pensare prima alla sicurezza, poi alla ricchezza della nazione; al contrario « noi tendiamo, per effetto di legge storica, al quietismo gaudente, diciamolo francamente senza orpello .. . >> ( 127). Ammessa dunque - come tutti ammettono - l'utilità di. un esercito permanente (non v'è pericolo di prevaricazioni militariste, l'esercito non è che un organismo de1lo stato con determinate fun~ zioni, è sufficiente che il governo vigili che queste non siano oltrepassate) e la necessità che sia numeroso, ci siamo costruiti da soli una impasse volendolo tale con poca spesa; economizzando, di conseguenza, sulla durata della ferma che è ora di due anni e nove mesi, mentre in Francia ed in Germania è maggiore (rispettivamente 45 e 35 mesi). Abbiamo finalmente raggiunto il pareggio (123) L. MEZZACAVO, Quid faciendum? (A proposito dell'opuscolo ltalicac res di L. Von Haymerle, colonnello austr iaco), in NA, 1" ottobre 1879: lo.. Siamo pratici, in NA, t '' novembre 1879; In., Armi t' politica, Roma, 1881. Una sintesi dei tre articoli si trova in G. FERP.ARELJ..l, op. cit., pp. 215 - 220. ( 124) L. SALVATORELLI , Lo Triplice Alleanza. Storia diplomatica 18771912, Milano, Istituto per gli Studi di politica internazionale. 1939· cap. I. ( 125) G. C...ROCCt, A gostiuo Dcpreris c la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino, 1956. (r26) L. MEZZACAPO, Quid faciendum?, cit., p. 401. (127) L. M EZZACAJ'O, Siamo pratici, cit., pp. ()s, 67.


13(:)

L'ESERCITO ITALIANO DALL'U::-IJTÀ ALLA GRANDE Gt:ERRA

(1861 • 1918)

e abolito il corso forzoso, siamo dunque in grado di sostenere un grosso sforzo finanziario ( r28), e in un arco di tempo ristretto. al massimo tre anni; occorrerà almeno un miliardo - comprese le somme già spese - per non lasciare lacune nel nostro sistema di difesa; lo stanziamento deve essere fatto in una volta e, stabilite in Parlamento le linee generali del progetto, deve essere data facoltà al ministro di promuovere i vari interventi settoriali mediante decreti legge. I provvedimenti da prendere sono: un esercito di prima linea di seicento mila uomini; una dotazione sufficiente di armi; Io snellimento delle operazioni di mobilitazione; il mantenimento della ferma attuale; un migliore trattamento economico degli ufficiali; un maggior numero di stabilimenti marittimi e di fortificazioni nella valle del Po; la capitale completamente fortificata. « I nostri armamenti - continua Mezzacapo - anche giunti al massimo, non saranno mai tali da ispirare alle grandi potenze giustificabili preoccupazioni poiché non saremo mai in grado di seguire una politica d 'avventura ». Per realizzare tali armamenti però, bisognerà cambiare l 'indirizzo tenuto fin 'ora e occuparci seriamente degli apprestamenti militari. Se non lo abbiamo ancora fatto << non è a farne colpa a nessuno in particolare, la cagione di tale errore si chiama Custoza e Lissa, gravi sventure, anche oggi da noi risentite. Se quelle due giornate risuonassero come vittorie, sono certo - afferma Mezzacapo - che la quistione dell'armamento nazionale oggi sarebbe considerata con ben altra importanza che non si faccia >> (129). Rispetto alla amministraz.ione Ricotti questi sono stati dunque i problemi posti sul tappeto: non più la creazione ex~ novo di strutture e organismi ma una loro più esatta detenn1nazione per concorrere con maggiore efficacia alla difesa dello Stato. Sulla medesima linea si muove il primo governo Cairoli che manda al palazzo della Pilotta il generale del genio Giovan Bat-

( 128) « E' nccessar io - afferma Mezzacapo - che il paese prenda coscienza dell'effettiva spesa per il mantenimento delle truppe c soprattutto per le armi e i materiali. Un soldato costa quasi mille lire l'anno; il suo fucile cento lire; il tipo di cannone più diffuso, quello da campagna da 24 cm con trecento colpi, supera le ottanta mila lire mentre il grosso calibro da 45 cm, con solo cento colpi, il mezzo milione. Un forte viene a costare un milione o due - continWl Mczzacapo - i quali diventano otto quando si tratta di una doppia testa di ponte e dieci o dodici, al minimo, di una piazza». (129) L. MEZZACAPO, Armi e politica, cit., pp. 35, 27.


ESERCITO E l'Ol. ITICA DA l'ORTA PB :\LL \ TRI'PLICE .\LLI>ANZA

I 37

tista Bruzzo (130). la cui nomina - come vedremo - significa la continuazione dell'opera di Mezzacapo, soprattutto per quanto ricruarda la realizzazione delle fortificazioni di Roma. sotto la dire~ione dello stesso Bruzzo progettate e iniziate nel l 877, e lo snellimento della burocrazia militare. Come la precedente non ha significato politico la nomina a ministro della Guerra, nel terzo governo Deprctis, del generale di artiglieria Bonelli. Otto mesi dopo è la volta del generale Mazè de La Roche, che assume l'incarico controvoglia. per obbedienza ad un ordine del re (I 31 ), ma. caduto il secondo ministero Cairoli. lascia di nuovo il suo posto nel novembre del 1879 al generale Bonelli. \( Questa seconda amministrazione Bone1Ji, continuatrice e conservatrice, rimarrà memorabile - scrive Carlo Corsi - per una strana meteora, una specie di Fata Morgana che fu vista da Roma (da Verona per esempio non si vedeva) tra settentrione e levante nel cielo austro-ungarico c fu cagione di un farneticamento bellico di qualche durata alla Pilotta. Pareva sulle prime che l'AustriaUngheria fosse sulle mosse per assalirci nel Veneto; poi con certi apparecchi da parte nostra, coperti sì, per precauzione, ma pure abbastanza visibili ad occhi attenti, la cosa venne a pigliar l'aspetto d'una provocazione. una vera questione da tedesco, da parte nostra e poco ci mancò che non ci menasse davvero ad una guerra. L a mossa veniva dal partito di azione, dall'irrcdenta ... » (132). Lo scrittore si riferisce qui alle manifestazioni che prendono l'avvio dai funerali del generale Avezzana e si sforza di attribuire al semplice rientro dalle operazioni in Bosnia~ Erzegovina lo stanziare delle truppe austriache alla nostra frontiera, almeno in un primo tempo della crisi, mentre u noi avevamo a portata di Trento se non di Trieste, molte più forze in armi che non avesse l'Austri~ ~ Ungheria >> (133).

(130) Si erano fatti i nomi di Ricotti, del generale Nunziante, di Cialdini e persino di Farini, che godeva delle simpatie <.Ici re e dell'esercito, ma era un <<civile», e 1< che bisogno v'era che il ministro della guerra fosse un uomo politico? .. . o non era piuttosto meglio che non lo fosse? Ma insomma che non vi fosse proprio un generale da mettere alla Filona a continuare l'opera di Ricotti e di Mczzacapo? " · C. CoRSr, op. cii., p. 259· (131) Lettera del 19 dicembre r878 di Mazè dc la Roche a Cosenz, A\fCR, Cane Cosenz, Busta 326, fascicolo 56. n. r. (132) C. CoRsi, op. cit., p. 263. ( 133) C. CoRsi, op. cit ., p. 264. Cfr. anche LuJCJ CHI ALA, Pagine di storia col/temporanea, Roma, 1892 - t8S)S. vol. Il, pp. 46 - 47·


Intanto è andata avanti l'opera assidua di riassetto e preparazione, sia in campo amministrativo che organico, e, sull'onda delle appena sopite minacce di guerra con l'Austria, un Regio Decreto dell'8 aprile r88o ordina la Milizia Territoriale in 300 battaglioni di fanteria e 100 compagnie da fortezza, mentre a giugno il Parlamento approva stanziamenti straordinari per ben ottanta milioni, ripartiti in cinque anni, dei quali una parte sono devoluti all'apprestamento di materiali di mobilitazione e alla ultimazione della fabbrica d'armi di Terni. Dal febbraio 'n al giugno '82 questo è l'unico intervento del Parlamento in materia di ristrutturazione delle forze armate, a prescindere, ovviamente, dalle annuali discussioni sul bilancio, segno che la situazione, almeno in parte, si va normalizzando, che cioè si sta seguendo una certa linea politica che non è l'integrale applicazione del programma Mezzacapo, ma una sua versione meno « dura n, contrassegnata da un impegno finanziario di più piccola portata. Gran parte ha avuto ed ha nel mandare avanti tutto questo lavoro il Segretariato generale del Ministero della Guerra, a capo del quale sono state soltanto due persone, i colonnelli Primerano e Milon (r34), entrambi napoletani- e destinati il primo a divenire Capo di Stato Maggiore nel r893, il secondo ad essere chiamato nel luglio dell'So a sostituire il generale Bonclli dimissionario - durante ben sei diverse amministrazioni, garantendo evidentemente una continuità di indirizzo nella realizzazione delle misure decise in tale periodo. E anche quando le cattive condizioni di salute non consentono al generale Milon di adempiere le funzioni di ministro, l'interinato, attribuito ufficialmente al ministro della Marina Acton, è esercitato in realtà dal nuovo segretario, colonnello Pclloux (135) fino a quando, deceduto il Milon nel febbraio dell'8r, un mese dopo viene chiamato al Ministero il generale Emilio Ferrera. <( Uomo politico non era nemmeno il Ferrero, neppure per idea, tanto che taluni parlamentaristi ne ingrugnivano dicendo esser tempo oramai da finire la sfilata dei Ministri della Guerra comandati. Ma l'esercito non la pensava come loro n (136). Non solo, ma sjcuramcnte non gli mancano i mezzi di far pesare le proprie convinzioni, tramutandole poi in scelte capaci di condizionare la direzione politica. Intanto, nel 188o ritiene di avere questi compiti : ( 134) "l':egli anni precedenti avevano ricoperto la carica il Maggior generale Giovanni Luca De Fornari (t8j2 -74) e Benedetto Vcroggio (r875), autore dì quattro pubblicazioni sulla difesa dello stato nelle quali propugna un assetto decisamente offensivo degli apprestamenti. ( 135) Era deputato della Sinistra per il collegio di Livorno dal t88o.

(136) C. CoRSr, op. cit., p. 269.


ESERCITO E POLITIC.\ D.\ PORT.~ PIA ALL'\ TRIPLICE AI.LEA1\ZA

l 39

" L 'esercito dunque in tempo di pace: - rappresenta la potenza dello stato agli occhi della diplomazia che fin ora non vuole saperne di sostituire a quel peso, così comodo e preciso, nella bilancia internazionale, altri elementi di ponderazionc, come sarebbero la popolazione e la ricchezza degli stati; - si prepara a sostenere, al bisogno, come dovere suo, l'indipendenza, l'onore e gli interessi dello stato ... ; - assicura l'ordine interno e lo impero della legge, fido istrumento legale del governo, estraneo alle lotte dei partiti politici. In taluni paesi, in certi momenti, egli è dunque il più saldo e forse l'unico sostegno del presente stato sociale >> (137). Se non ci giunge nuovo il richiamo alla << missione » di vigile guardiano dell 'ordine sociale che l'esercito svolge, è senz'altro più rilevante, a nostro avviso, la affermazione della sua apoliticità (rivolta per di più a se stesso: Corsi scrive sulla « Rivista Militare »), sintomo del maturarsi di una autosegregazione dalla vita politica del paese parallela all'allargarsi ai ceti medi della gestione dello stato e al contemporaneo diminuire della omogeneità della classe dirigente. In tal modo l'esercito si nega una partecipazione «alla pari » alla risoluzione dei problemi della nazione, ed edifica un impenetrabile ridotto nel quale finirà per rinchiudersi e dal quale potrà intervenire negli affari del paese solo come fosse elemento ad esso estraneo. Risultati vani i timori di una guerra contro l'Austria si riprende a vigilare con preoccupata attenzione verso occidente e subito « l'Italia si sente minacciata ed una grande agitazione regna negli animi; - testimonia iccola Marselli (138) sulle pagine della c< Nuova Antologia>> - per una sequela di fatti sui quali non giova nulla il discutere è penetrata nell'animo della Francia la convinzione che l'Italia non le sia arnica, e nell'animo dell'Italia che la Francia le sia profondamente nemica. A poco a poco si è creato uno stato di tensione che fatalmente gitterà in due campi avversi due popoli che avrebbero dovuto amarsi . . . » (139). I motivi sono (137) C. CoRSI, Dd/o svolgimento delle istituzioni militari nell'ultimo dt>cennio, in RMI, gennaio, febbraio, marzo 188o, pp. 317 · 9 del numero di marzo. Anche G. GuERZONr, L'esercito in Italia, Padova, 1879> afferma la stessa cosa. (138) Un pregevole studio su Niccola Marselli si trova in PIERO PtERI, Guerra e politica negli scrittori italiani, Milano- Napoli, 1953, pp. 275- 299. (r39) N. MARSELLr, L'Esercito italiano e la politica t>uropeu. in NA, 15 marzo r882, pp. 300 • I.


noti: al risentimento per il mancato aiuto nel 1870, alle lotte commerciali, si aggiunge ora la politica coloniale francese in Nord Africa che lede gli interessi italiani perché ((le acque che penetrano fra Marsala e Capo Bon formano un vero stretto siciliano. I pericoli derivanti dalla occupazione di questo stretto. per parte di una grande potenza marittima quarè la Francia, sono ben altrimenti gravi di quelli che potrebbero scaturire dalla dilatazione fino a Salonicco di una potenza marittima di secondo ordine >> qual è l'Austria- Ungheria. Soltanto da noi dipende la sua amicizia - scrive Marselli visto che pretende esclusivamente che non si attenti alla sua integrità territoriale, cosa che potremmo concederle, poiché siamo in grado di esistere come nazione anche senza Trento e T riestc. garantendoci con fortificazioni nel Tirolo e sull 'Isonzo, mentre non avremo garanzie di sorta contro la << preponderanza esclusiva, assorbente, invaditrice della Francia nel bacino del Mediterraneo». Ma non possiamo stringere alleanza ed uscire così dal presente, insostenibile, stato di isolamento se prima non provvediamo a (( rendere la nostra patria rispettabile, cosicché la sua amicizia possa essere di nuovo valutata e desiderata >> . Nelle condizioni attuali ogni patto militare ci offrirebbe una protezione mediocre e poco dignitosa (140). Ma una volta bene armati l'accordo dell'Italia, sia col blocco austro- tedesco che con quello russo- francese, è di inestimabile valore: significa 250.000 austriaci o francesi tolti dai fronti centro~ europe1. Il modo di renderlo attuabile e fruttuoso è uno solo, in quanto <<noi italiani siamo fatalmente portati a riconoscere nello sviluppo poderoso delle armi l'unico mezzo per acquistare l'autorità necessaria e rendere pregevole e feconda la nostra alleanza, rispettata la nostra indipendenza. temuta la nostra inimicizia l> (141). Il vero problema, al solito, è aumentare l'attuale forza combattente senza alterare sensibilmente il bilancio. Ma con i piccoli aumenti che, volendo rispettare questo limite, è possibile promuovere si prepara l'esercito esclusivamente ad una strategia difensiva (142) mentre è tempo di prendere in considerazione ipotesi di offensiva strategica, (r4o) N. MARSELLI, Politica ~stc>ra e difesa nazionale, in NA, 1. 15 luglio r881, pp. 129-143, passim. (141) N. MARSELLr, L'Esercito italiano, cit., p. 293. Vi si legge inoltre: «il valore di un'alleanza italiana dipende ... dalla ferma risoluzione a spingere oltre le Alpi una forte armata italiana, la quale possa nel minimo tempo consentito dagli spazi, concorrere alle battaglie in cui si decideranno i destini dell'Europa», p. 311. (142) N. MARS.ELLI, Politica ~stc>ra, cit., p. 310.


ESERUTO E POLITICA DA POR1'A Pl<\ ALLI\ TRIPLICE :\LLEI\KZ,;

I 41

l'unica capace di offrire risultati risolutori. Il momento politico è tale che <<le relazioni fra l'Italia e gli altri stati europei, possono determinare una guerra offensiva in modo così indedinabile da rendere i mezzi opportuni per intraprenderla più urgenti di quelli occorrenti per difendersi)), tanto più che anche nell'ambito della strategia difensiva non si devono escludere azioni tattiche offensive ( 143). Tali opinioni sono in molti a condividerle ( 144) e magari a propugnarle come fa Oreste Baratieri, un anno prima di Marselli, sempre sulla <<Nuova Antologia)). Certo, aveva scritto l'allora direttore della « Rivista Militare )>, il nostro esercito attivo ha bisogno di essere ingrandito, obbligato ad una ferma piena, migliorato qualitativamente, soprattutto nella cavalleria e nell'artiglieria poiché non è detto che debba operare sempre in terreni frastagliati o montuosi; pure è meglio occuparci delle dieci divisioni di Milizia Mobile chiamando ogni anno all'addestramento 5 .000 uomini in più di seconda categoria ed obbligando questa ad una disponibilità di dodici anni come la prima; si deve anche procedere alla effettiva costituzione della Milizia Territoriale che, rilevando prima e seconda linea da compiti di presidio nelle fortezze e lungo le coste, costituisce la base dì « un'eventuale guerra offensiva al di là della frontiera )). Se rinunciamo a tale prospettiva l'Italia dovrà a sua volta rinunciare « a qualsiasi Jegjttima influenza all'estero, e pur trovandosi sulla via degli eserciti e delle flotte, limitarsi alla pura e passiva difesa delle sue maldelineate frontiere )) (145). Su questi stessi principi si formula e sì svolge il programma politico del nuovo ministro, generale Perrero. Il suo primo atto, appena entrato in carica, è quello di chiamare alla presidenza del Comitato di Stato Maggiore il Tenente generale Enrico Cosenz, il quale viene così ad occupare quella carica che Cialdini ha sempre rifiutato, ma che ora, tra le prerogative attribuitegli, oltre allo studio annovera « in certo qual modo )) , secondo Corsi, anche la direzione della preparazione dei piani di guerra. Con Enrico Cosenz allo Stato Maggiore viene così a completarsi quel team di personalità di rilievo - composto per il resto dal (r43) N. MARSELU, L'Esercito italiano, cit. (144) P. FEA, La discussione sulla durata della ferma militare in Parlamento, in « La Rassegna Nazionale )>, 1° aprile r88o, p. 620 . (145) O. BARATIERt, La questione della ferma in Italia, in NA, 15 aprile 188o, p. ì36 e ID., Le nuove leggi militari in Italia, in NA, 15 gennaio x88r,

P· 322.


I 42

L'ESERCITO ITALIANO DALL'uNITÀ ALLA GRAl'mE GUERRA ( r861 - 1918)

colonnello Pelloux c dal ministro Perrero - che darà vita ad alcune importanti innovazioni, approfittando della prima razionale divisione degli incarichi al vertice della gerarchia militare, divisione che è perfezionata da un decreto del 29 luglio 1882, in attuazione di due articoli (il 14" ed il 15") della nuova legge di ordinamento approvata giusto un mese prima. Gli articoli prevedono che il Comandante del Corpo di Stato Maggiore assuma il titolo di Capo dello Stato Maggiore dell'esercito, <• il quale fa al ministro le proposte che crede convenienti circa la formazione di guerra delreser~ cito e stabilisce, d'accordo con esso, le norme generali per la mobilitazione ed i progetti di radunata secondo le varie ipotesi e fa tutte quelle altre proposte che giudica convenienti nell'interesse della difesa dello Stato c degli studi per la preparazione della guerra; all'esame del Capo di Stato Maggiore dell'esercito sono pure defe~ rite le questioni relative alle fortificazioni considerate in rapporto alle operazioni militari » (146). In tal modo le prerogative del ministro sono ridotte di molto; infatti le questioni di carattere strategico gli vengono sottratte per essere attribuite ad un organo tecnico, non consultivo ma al contrario pressoché indipendente, poiché l'unica norma !imitatrice della sua possibilità di iniziativa è quella che prevede un generico ac~ cardo tra capo di Stato Maggiore e ministro intorno alle iniziative che il primo ritiene di dover prendere. E si richiede anche in questo stesso periodo che, «secondo quanto avviene in Prussia», il capo di S.M. sia in tempo di guerra il capo effettivo dell'esercito (147). Il ministro diviene così il portavoce in seno al governo delle esigenze dell'esercito piuttosto che il politico responsabile delle que~ stioni militari, come pure sono stati Ricotti e Mezzacapo. Il passaggio di potere tra capo di Stato Maggiore e ministro avviene dunque, a nostro avviso, assai prima degli anni 19o6 - 1908, come si crede comunemente (148); già nel 1875 Antonio Gandolfi aveva scritto che « l'esistenza del Capo di S.M. permanente, nel senso che noi lo vediamo in Prussia e in Austria, dà al ministro della guerra, amministratore responsabile, una grande libertà di (146) R. MAGNANI, Appunti sulla costituzione organica del Regio Esercito e della Regia Marina dal 1861 al I9JT, Roma, 191t, p. ~(147) C. CoRsr, Dello Jvolgimento delle isritu:::ioni militari nell'ultimo decennio, cit., p. 33· (148) Cfr. P. PIERJ, L'Italia nella prima guerra mondiale, Torino, 19l}8, p. 32 e G. RocHAT. Il controllo politico delle forze armate dall'unità d'Italia alla seconda guerra mondi11le, in AA. VV., Il potere militare in Italia, Bari, I9'JI, p. 53· Di qualche utilità per questo problema anche C. DE BrASE, L'Aquila d'oro. Storia dello Stato Maggiore ltaliatlo, Milano, r9i)9, p. 135·


ESEJ>.C11'0 E POL11'lCA T>A PORTA PIA

ALL~

TRIPLICE ALl.EA'<ZA

14 3

azione dinnanzi alle camere. Egli vi comparisce un amministratore appoggiato a delle ragioni che non ammettono replica, poiché non sono né assolutamente sue, né quelle di un partito politico, ma bensì quelle della scienza, dinnanzi alla quale non esistono partiti c le assemblee legislative non panno che inchinarsi >l (149). li nuovo ufficio dunque - guidato da Enrico Cosenz - mette così a punto in pochi anni un compiuto sistema di preparazione organica e strategica con intenti ben determinati mediante un gran lavoro di predisposizione, parte palese: parte no l> (rso), in una parola, prepara dei piani di operazione, forse i primi che nell'esercito italiano siano stati elaborati in maniera compiuta ed organica. Insieme alle norme che regolano i compiti dello Stato Maggiore molte altre sono le:: innovazioni delle leggi del 29 giugno r882 - di reclutamento e di riordi namento - e dell'8 luglio r883 - sulla Circoscrizione Territoriale - . La più importante è la costituzione di due nuovi corpi d'Armata, che salgono così a r2 (esclusi i 6 reggimenti alpini e l'artiglieria da fortezza), provocando il parallelo aumento dei Comandi territoriali di corpo d'Armata e di quelli superiori di distretto (151). Infatti anche la mobilitazione ed il concentramento delle 24 divisioni attive e delle ro di Milizia Mobile vengono riorganizzati (152). Quest'ultima non è più un ingombrante doppione dell'esercito attivo ma è parte integrante di esso; raggiunge appena i centottantamila uomini contro i quattrocentotrentamila della prima linea, con una proporzione inversa a quella riscontrabile pochi anni prima, durante l'amministrazione Ricotti. Anche la Milizia T erritoriale - 3.50 battaglioni di fanteria più 130 compagnie da fortezza e del genio - cui è affidato il presidio delle piazze e dei punti fortificati, concorre efficacemente al rafforzac(

(149) A. G.~NOOLFl. La d1{e.ca interna dell'Italia, Bologna, 1875• p. 39· (150) C. CoRSI, Italia 1870- 1895, cit., p. 2JO. Se ne ha una conferma anche da una lettera di Mazè de la Roche a Coscnz del 20 ottobre r883, AMCR, Carte Cosenz, B. 326, f. 56, n . 2 . Il Mazt: de la Roche, al momento comandante di Corpo d·Armata di Torino, ringrazia il Capo di S.M. per l'invio di una m emoria « circa alle probabili direzioni che daranno i nostri buoni vicini alle loro prime dislocazioni ed operazioni». La memoria conteneva le istruzioni per la Divisione destinata ad opporsi a tali operazioni. (151) Avevano sede ad Alessandria, Torino, Milano, Piacenza, Verona, Bologna, Ancona, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Palermo. (152) Si raggiunse così il rapporto di una divisione attiva per ogni milione di abitanti, secondo la media europea. Con gli alpini infatti le divisioni superarono il numero di 27 (<)6 reggimenti di fanteria; 12 di bersaglieri; 6 di alpini; 22 di cavalleria; 12 di artiglieria da campagna più 5 da fortezza, 2 brigate a cavallo e I da montagna; 4 del genio: 12 compagnie di sussistenza e 12 di sanità); cfr. C. CoRSI, Italia 1870- 1895, ci l., pp. 2i2- 278.


144

L'ESERCITO ITAU:\'10 Di\1-L'l, NITÀ J\L.l.\ GRANDE CUE.RRA (r86J • 1918)

mento del sistema militare italiano; infatti, qualora l'esercito si porti oltre i confini del paese, gli fornisce la necessaria copertura, garantendo le coste da improvvisi sbarchi del nemico ( rs3). L'alternativa a tale ingrandimento delle unità organiche si pone in termini di rafforzamento qualitativo di artiglieria, cavalleria e servizi, di aumento del numero di solJati in forza alle compagnie, dì anticipazione a novembre della chiamata delle reclute; ma (( l'adozione di questo !listema avrebbe prodotto soltanto un aumento di potenza tattica; non si sarebbe ottenuto alcun aumento di potenza strategica». afferma il ministro alla Camera (154), mentre è soprattutto quest'ultima che si tenta di raggiungere, col consenso pressoché unanime del parlamento (155) il quale, al solito, muove delle critiche solo al lato finanziario della questione, visto che si prevede un bilancio ordinario per oltre duecento milioni, da alcuni ritenuto comunque insufficiente a finanziare le riforme previste (156). La discussione procede tra le solite minuzie tecniche e le beghe personali. ravvivata qua e là dallo sfoggio di sublime arte oratoria. Né sì risolleva in sede di discussione degli arùcoli, protrattasi ancora per qualche giorno, prima della definitiva approvazione a larga maggioranza - 193 voti contro 32 - dci progetti presentati. (153) Nello stesso periodo venne inserita nella prima linea una pane dei Carabinieri - un reggimento a cavallo ed alcune compagnie a piedi - e la Guardia di Finanza che mediante un Regio Decreto ricevette le direttive per la sua formazione di guerra. Cfr. R. MAGNANI, Appunti sulla costìtuzù:me organica ... , cit. (r54) CD, Discussioni, Perrero, I n maggio r882, p. 10373. (155) Per tutti cfr. CD, Discussioni, Savini, 27 aprile 1882, p. ro230. (156) CD, Discussioni, Ricotti, 29 aprile 1882. l critici più severi dei nuovi aggra,·i che il paese dovrà sopportare sono gli onorevoli Favale e Plebano. Entrambi mettono sotto accusa la disorganizzazione dell'amministrazione militare, la pletoricità degli organici civili e militari da essa dipctldenri. L'on. Plebano giunge ad affermare che c< l'amministrazione militare, massime per la parte che riguarda il vitto ed il vestiario del soldato, è di tale complicazione che non vi ha somiglianza in alcuna pubblica o privata amministrazione; che essa appunto perché manca di efficace controllo, cd è cosl complicata, non dà alcuna sicurezza del modo come <: speso il danaro pubblico; che essa è in urto con la legge di contabilità dello Stato e con le norme di una buona amministrazione: che essa infine non è consona al regime parlamentare », p. 10292. Nessuno dai banchi del governo o della maggioranza si incarica di controbattere le accuse. Da più di dicci anni era sentita l'esigenza di riforme in campo amministrativo, cfr. a proposito AtESSAr-;ORO NvNZIANTE, DuCA m MIGNANO, Economia senza riduzi011c. Riforme amministrative dell'Esercito ltalitmo, Firenze, r8yo, poi ampliato in Economia senza riduzione ( .. .) C01/ gli appunti e le risposte, Napoli, t87o; C. Ro~u­ GNANI, Economia ed un-cito, Firenze, r8yo.


ESERCITO E POLITICA DA PORTA PIA ALLA TRIPLICE ALLEANZA

145

Le difficoltà incontrate da principio nella attuazione dei nuovi provvedimenti, soprattutto nel reclutamento di ufficiali e sottufficiali e nell'accasermare le truppe, non impediscono certo che ora si consideri l'Italia « risoluta a dare alle sue forze tale ordinamento da potere, quando che sia, dichiarare e condurre una guerra anche offensiva, emancipandosi dal sistema della stretta difensiva, che costituì fin'ora la base del suo ordinamento)), Il giudizio è tanto più importante di quanto non appaia a prima vista, dal momento che a formularlo è una anonima pubblicazione tedesca, ltaliens Wehrkraft (r57), la quale sembra preoccuparsi di fugare alcuni dubbi che in Germania si nutrono sulla capacità offensiva dell'esercito italiano. A motivo di tutto sta il fatto che la Triplice Alleanza ha già un anno di vita ma solo in questi giorni è divenuta di dominio pubblico. Ecco la ragione delle cure rivolte dal generale Perrero, entrato al ministero negli ultimi mesi della amnùnistrazione Cairoli e rimastovi anche nel quarto governo Depretis, all'aumento degli organici e ad una loro più agile ripartizione. L'aumento di potenza strategica perseguito dal Ministro con tanta decisione, a giudicare da quella dimostrata alla Camera nel proclamare la necessità in quello stesso mese di maggio in cui viene firmato il trattato della Triplice, costituisce dunque la <<dote» in termini di forza militare che l'Italia porta nell'alleanza, una dote faticosamente messa insieme durante dieci anni e che riceverà, in quelli a venire, appena qualche ritocco, concernente un aumento della cavalleria, per potere avere tre divisioni di Lancieri autonome (12 reggimenti), e della artiglieria da campagna, entrambe destinate ad agire su teatri di guerra ben più vasti che non la val'e del Po (158). (157) Le forze militari d'Italia, traduzione di V. Brandi, Firenze, 1884,

p. r;o. (r58) Oggetto di speciali attenzioni furono, come sempre dalla loro costituzione, gli alpini. Nell'ottobre r872 con l'istituzione di cinque nuovi distretti in zona alpina, destinati a reclutare ed addestrare su base territoriale, veniva accolta dal ministro della guerra la proposta contenuta in un articolo che il capitano Giuseppe Perrucchetti terminava di scrivere nel dicembre del '71 e pubblicava nel maggio dell'anno seguente sulla (( Rivista Militare >> nel quale. notando come il confine del Friuli fosse del tutto sguarnito, indicava nelle montagne del Cadore la migliore fonez7..a atta a minacciare di fianco il nemico, purché fosse presidiata dagli stessi abitanti del luogo, trasformati, grazie all'ordinamento territoriale, in truppe capaci di operazioni difensive- co11troffensive. Questo principio è applicabile a tutte le popolazioni che vivono a ridosso della catena alpina. <t Ammessa l'utilità di una resistenza sulle Alpi - scriveva Perrucchetti - per dare tempo all'esercito di mobilitarsi (utilità che nessuno ha mai negato), chi mai vorrà contestare che lo avere già ro.


E' noto che nel gennaio del r888, lo Stato Maggiore italiano e quello tedesco predisporranno un piano di trasferimento di una armata italiana sul Reno. Tale accordo sarà reso possibile, tra l'altro, anche dalla avvenuta soluzione dell'ormai annoso problema della difesa permanente, alla quale riescono a dare finalmente il primo concreto contributo - dopo la lunga serie di studi e di progetti elaborati nell'età della Destra - i governi succedutisi dal '76 in poi.

LA DIFESA DELLO STATO.

Il primo governo Depretis, forte dell'appogg1o di tutti 1 gruppi della Sinistra, segna una svolta nella questione delle fortificazioni . E' sua preoccupazione imprimere nuovo impulso ai lavori già iniziati da meno di un anno. Poi, nell'estate r877, si accinge al primo provvedimento originale: fortificare la capitale. A tale scopo a metà maggio viene assegnato il comando della Divisione militare di Roma al Tenente generale Giovan Battista Bruzzo, ingegnere militare, in precedenza mai impiegato nel comando di truppe a livello di grandi unità (159). Di fatto il suo compito è quello di sovraintendere alla progettazione delle opere di fortificazione e di avviarne il più rapidamente possibile l'esecuzione. Si stornano a questo scopo quasi cinque milioni di lire dai tredici già stanziati per i valichi alpini e prima della fine del '77 si inizia una serie di opere che rappresentano un compromesso tra il in moto e funzionante il meccanismo della resistenza alpina, fino dapprima che la guerra scoppi, non sia meglio di non averlo od averlo fermo ed irrugginito) » ; cfr. G. PERRUCC:HEITI, Sulla difesa di alcuni valichi alpini e l'ordinamento militare w-ritoriale di alcune zone di frontiera alpina, in RMI, maggio I872, p. 203. 15 compagnie nel r872, nel dicembre '74 gli alpini ne contavano già 24 riunite in 7 battaglioni, mentre venivano formate compagnie di Milizia Mobile: il 30 aprile 1878 un Regio Decreto stabilì che avessero in permanenza l'organico di guerra, cioè 250 uomini invece di 100 (ed erano già 36 compagnie). Nate con Io scopo strategicamente difensivo di intralciare la marcia al nemico (cfr. F. so~l.ALE, L(' compag11ie alpine, in RMI, maggio r8]8, p. 89), in seguito furono preparate per operazioni controffensive in territorio nemico soprattutto mediante il rafforzamento numerico del corpo; nel 188o salirono a 36 anche le compagnie di riserva e di Milizia Mobile. Due anni dopo furono istituiti 6 reggimenti su 20 battaglioni mentre la Territoriale giunse a 73 compagnie. (159) Lettera di Bruzzo a Cosenz del 7 novembre 1878, AMCR, Carte Cosenz, Busta 326, f. 71, n. 2.

1


E.SERCITO E POL!TJC \ 0.\ PORT \ PIA ALLA TRli'LICE .\LLEA'>Z \

14 7

grande campo trincerato e gli apprestamenti per una difesa improv~ visata, proprio per il prevalere del parere di Bruzzo su quello originario di Mezzacapo. Si decide dunque di costruire una corona di quindici fortini staccati, ad un intervallo di circa 2 km l'uno dall'altro affinché il corpo di piazza possa manovrare negli intervalli appoggiato anche dalla artiglieria da campagna; le opere sono destinate in maggior numero alla riva sinistra del Tevere ma si preferisce intanto iniziare i lavori sulla riva destra, primi fra tutti quelli per il forte di Monte Mario (r6o). Quali sono le ragioni della insolita prassi seguita e, in ultima analisi, i motivi che ne spiegano il carattere di urgenza? Come probabile ipotesi si può porre un improvviso pericolo di sbarco. collegato ad una minaccia di guerra con la nazione in grado di effettuarlo nelle dimensioni ormai necessarie a questo tipo d i operazioni, vale a dire la Francia. Infatti nel medesimo periodo la situazione politica interna d'oltralpe è molto confusa; caduto il ministero Simon e succedutogli il ministero De Broglie, l'opinione pubblica ritiene che la nuova compagine governativa abbia intenzioni minacciose verso l'Italia. Anche quando Mac Mahon il 25 maggio scioglie il parlamento i timori non cessano. E se dalle elezioni di autunno uscisse una Camera simile a quella del 1871 (1Gr)? Oltre a questo interrogativo gioca a favore di tale ipotesi l'esperienza acquisita dalla Francia nel 1849, anche se in altra situazione politica e militare, e la necessità, in caso di conflitto con l'Italia, di impedirne la lunga resistenza paralizzandone il centro direttivo, magari a scapito di una forse più tatticamente corretta coordinazione dello sbarco con le operazioni terrestri sulle Alpi, conseguibile approdando sulla costa ligure o toscana. Dal momento che anche i verbali delle sedute del Consiglio dei Ministri definiscono le decisioni in quesùone « imposte dalla situazione europea» (162) crediamo si possa considerare questa (r6o) Gli altri forti era no: Braschi, Valcanuta, Aureìia Vecchia, Troiani (a tre km circa dal Gianicolo) e Portuense. Sulla riva sinistra del fìume: Grotta Perfetta, Capo di Bove (quattro km da Pona S. Sebastiano), Casilino, Prenestino, Tiburtino, Antenne, Ostiense e Trionfale. Furono apprestate anche tre batterie: Nomentana, Porta Furba e Appia Pignatelli. (r6r) Cfr. L. CHJ.~LA, Pagint: di storia contemporanea, cit., vol. I, pp. 260 . 261, seguito da P rETRO VJGo, Gli ultim i trmt' anni del secolo XIX, Mi· ]ano, 1908, vol. II, pp. 202 • 203. ( 162) ARCHI VIO CENTRAr.E DELLO STATO, Verbali delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri. Riunioni del 22 luglio e 17 agosto 1877, pp. 290- 1. Si deve inoltre registrare l'ipotesi - poco probante - del Colonnello Von


l'occasione colta dal gruppo crispino della Sinistra per realizzare un punto importante del suo programma di politica militare, e per due motivi: trattandosi di un pericolo realmente imminente non si sarebbero iniziati lavori così complessi da richiedere anni prima di essere completati, mentre i timori per una guerra, anche se opinabili , costituiscono giustificazione sufficiente per la diversa ripartizione delle somme stanziate dalla legge del 1875· Si deve poi riconoscere a questo punto che se lo spirito della legge, come di quelle che verranno in seguito, è di provvedere esclusivamente alla difesa periferica, il fortificare Roma non gli è contrario; si può considerare la Capitale alla stregua dci valichi alpini, di Ancona o di Gaeta, a parte la sua indubbia importanza politico- strategica, proprio perché vicinissima alla costa, lungo la più minacciata delle frontiere marittime italiane. Da questo momento in poi a Roma sarà riservata una cospicua parte degli stanziamenti per la difesa permanente; nel dicembre del 1878 infatti è regolarmente concessa dal Parlamento per le necessità dell'esercito la somma di dieci milioni di cui quattro per continuare le fortificazioni già iniziate; e sui quattro ben tre milioni c duecentomila lire vengono destinati alla capitale dove i lavori procedono tanto celermente da assorbire ancora tre milioni nel 188o, altri tre nel t88r- 82 e nove votati nel 1882, per un totale di ventitré milioni, mezzo milione in più della somma richiesta nel piano ridotto della Commissione permanente e ben tredici più di quella creduta sufficiente dalla Giunta parlamentare del 18p. Malgrado ciò nel 1884 se ne chiederanno altri dieci. Intanto i problemi della difesa periferica, alpina in particolare, poi arizzano l 'interesse della pubblicistica militare. Ne è un esempio il saggio di Vittorio Emanuele Dabormida in cui questi critica la teoria della a manovra per linee interne )) su cui si basano ancora le direttive impartite all'esercito. Egli obietta che non è più possibile manovrare da una posizione centrale contro più gruppi di forze, urtandoli l'uno dopo l'altro, per due motivi: l'uso del telegrafo ha annullato il fattore sorpresa e la presenza in campo di eserciti- massa fa sì che l'attaccante possa essere facilmente avviluppato. Ostacoli naturali e fortezze non riescono a mutare l'equilibrio delle forze; il fattore determinante è ormai la velocità di spoHaymerle secondo il quale il governo sarebbe così concitatamente corso ai ripari "allorquando l'Inghilterra dirimpetto al contegno dell'Italia troppo benevolo per la Russia nella questione d'oriente diveniva sempre pitl minacciosa, e colla possibilità d'un conflitto aveva fatto presentire anche quella d'uno sbarco tra Livorno c Napoli\>; cfr. A. RI'ITER VoN HAYMERLE, ltalicae res, cit., p. 87.


eSERCITO E POLITICA DA l'ORTA PIA ALLA TRi l'LlCE ALLEA!'iZA

·, :j

1

I 49

stamento. Per questo è necessario resistere il più a lungo possibile sulle Alpi, e con pochi, pochissimi uomini, in modo da conservare il grosso per lo scontro decisivo in pianura. Ma - soggiunge Dabormida - <<qualunque sia il concetto strategico del Comando supremo italiano nel caso di una guerra impegnata da soli contro la Francia, l'unico risultato che potrà raggiungere sarà quello di arrestare l"invasione, prolungando la lotta di tanto da indurre l'avversario a desistere o per stanchezza prodotta dal convincimento della durata dei suoi sforzi, o per l'intervento sia diplomatico sia armato delle altre potenze )) ( 163). Molto più significative della precedente (164) sono alcune pubblicazioni di Giuseppe Perrucchetti, destinate non alla normale diffusione ma riservate agli allievi della Scuola di Guerra, nelle quali il creatore della specialità alpina esamina sotto l'aspetto geografico militare tutti i teatri di guerra che possono interessare l'Italia, cioè le zone di frontiera austriaca, svizzera e francese. Alla prima sono dedicati tre saggi ( r65) nei quali, pur forn1Ulando e svolgendo ipotesi di offensiva verso il Danubio, l'autore tende a escludere che vi siano motivi per i quali si possa, prima o poi, arrivare ad una guerra contro l'Austria- Ungheria. I quasi seicentomila italiani che vivono «nel Tirolo Cisalpino, nella Gorizia, a Trieste, nelle città littoranee della Dalmazia», come anche le ragioni puramente militari che ci fanno desiderare di avere il Tirolo, l'Istria e la Dalmazia << per chiudere l'Adriatico a possibili offese » non sono motivo bastante a scatenare una guerra, che oggi è guerra di massa e perciò deve essere « sentita )) dai combattenti ( 166). Il saggio dedicato al teatro di guerra italo- svizzero (167) è interessante per un solo aspetto, quello che, in caso di conflitto tra (163) VITTORJO EMr\NUELE DASO:RMIDA, La dife.;a dellt1 nostra frontiera occidentale in relazione agli ordinamenti militari odiemi, Torino, r878, p. 119. (164) Cfr. inoltre G. BERTELU, Le truppe alpine nella difesa territoriale d'Italia, in RMI, marzo, aprile 1879; O. BARAT1ERT, La difesa delle Alpi, in NA, aprile r882; P. FAMBRI , La Venezia Giulia. Studi politico- militari, Venezia, l88o. (r6s) G. PERRucCHETTI, Esame pt·climinare del teatro di gue"a italaaustro-ungarico. Studio di Geogt·afia Militare, Torino, 1878, H edizione risen·ata, copia n. 214 ; Dal FriuLi al Danubio. Studio di Geografia Militare, Torino, 1878, Il edizione riservata., copia n. 214; La pianura lombardoveneta e le coste adriaticlte. Studio di Geografia Militare, Torino, 1878, Il edizione riservata, copia n. 214. (166) G. PERRUCCHETTI, E.<ame prelimi11are, cit., pp. 5, 6. (167) G . PE:RRUCCHETTI, T eatro di gu(~ra italo- svizzero. Studio di Geografia Militare, Torino, r878, Il edizione riservata, copia n. 2I4·


150

L'ESERCITO ITALIANO DAL.t\! :-IITÀ AI.I.A GMNI>E Gl.'ERR:I

(186r - 1918)

Italia e Francia, riconosce il conseguimento di oggettivi vantaggi dalla violazione de l! a neutralità della Confederazione da parte della nazione che decida di prendere l'offensiva, con la differenza che la Francia può, se vuole, farne a meno e l'Italia no. L'attraversamento del massiccio del Giura svizzero è infatti preso in considerazione nell'ultimo dei saggi qui esaminati, nel caso in cui l'esercito italiano prendesse l'iniziativa e puntasse, in concomitanza con operazioni tedesche sul Reno, verso la valle del Rodano, da Lione a Marsiglia. Dovrebbe allora scegliere tra due direttrici di marcia, una in direzione NO, l'altra SO. La prima appunto pone una alternativa tra il valersi del Sempione, per giungere a Ginevra c attaccare Lione da Nord, o del Piccolo San Bernardo che ci condurrebbe prima ad Albertvillc (168). Pcrrucchetti comunque si preoccupa di affermare che la violazione della neutralità svizzera potrebbe avere non meglio specificate ,, gravi conseguenze>>. Tutto ciò non significa da parte sua una precisa scelta strategica offensiva; infatti egli non esita a riconoscere che per poter mettere in atto i movimenti studiati accorrerebbero o una decisa superiorità numerica, che non si ha, oppure riuscire a sorprendere il nemico in fase di mobilitazione, cosa nemmeno pensabile <• stante l'attitudine dell'esercito francese ad una celere mobilitazione. Oltre a ciò la guerra offensiva vorrebbe essere condotta con gran celerità per compensare con essa la piccola massa; ma collo studio del terreno di là della frontiera ci siamo fatti sicuri che questa possibilità non sarebbe possibile averla. Con ciò non intendiamo escludere la massima dell'attaccare per difendersi; ma, visto che l'esistenza delle Alpi crea alresercito francese la necessità di dividersi per attaccarci con forze proporzionali ai nostri mezzi di resistenza, quella massima dovrà cercare il suo momento di applicazione nell 'istante in cui, per le condizioni topografiche del teatro di guerra, !e forze nemiche si troveranno divise >> (1 69). Una conclusione, come si vede, perfettamente opposta a quella di Dabormida. Ma l'accostamento tra le pubblicazioni del periodo 1878- 82 rivela alcuni clementi comuni. Fra questi spicca il condizionamento (168) Gli allri valichi alpini sui quali era possibile il passaggio di truppe erano il Cenisio verso Aiguebelle, il Sestrière verso Grcnoblc. l'Argentera verso Cap e Tenda verso Niz7.a; si deve considerare anche la strada litoranea che da Oneglia, attraverso izza, si dirige a T olone e Marsiglia. Comunque la direzione di marcia strategicamente più impor~nte era quella NO. (.169) G. Pt.RRuccHtTTI, Teatro di gun-ra italo ·franco. Studio di Geografia Militarc, Torino, 1878, H edizione riservata, copia n. 51, pp. 22, t66.


ESERCiTO E POLITICA DA l' ORTA Pl1\ ALLA TRI PLICE ALL EA:---ZA

I') I

di una offensiva italiana sul fronte francese da parte di contemporanee operazioni tedesche sul Reno. Anzi, da quando, nel r873, il ministro ha escluso dal progetto di difesa quella parte che si suole chiamare '<interna >>, malgrado che di questa ci si continui ad occupare in articoli e saggi sino al r875, scrittori come Gandolfi, Marselli, Dabormida, Perrucchetti rivolgono la loro attenzione alle modalità per realizzare in concreto le ipotesi fino al momento formulate sul piano teorico. Così alla capacità di resistenza nel tempo del sistema di difesa periferico continentale e costiero è affidata l'unica possibilità per l'esercito di mobilitare e concentrarsi prima che quello francese si sia saldamente attestato sul territorio nazionale. Che poi lo si affronti manovrando per linee interne a ridosso delle Alpi, con una colossale battaglia risolutiva in pianura o si tenti di attirarlo tra le giogaie del!' Appennino non ha importanza rilevare in questa sede. Lo sviluppo della capacità risolutrice del sistema militare italiano resta comunque legato al rafforzamento e alla agilità delle forze mobili, esercito e milizia. L'I febbraio 1879 l'attività legislativa in mateòa di provvedimenti militari riceve nuovo impulso quando il ministro della guerra Mazè de la Roche e quello delle finanze Magliani, presentano alla Camera dei deputati sette disegni di legge, il più importante dei quali comporta una spesa di 25 milioni per il proseguimento delle fortificazioni già iniziate. Caduto cinque mesi dopo il terzo governo Depretis i progetti vengono ripresentati il 23 febbraio dell'anno segtiente dai ministri Bonelli e Magliani (r7o). Una settimana dopo il Bertolé - Viale può presentare la relazione all'assemblea (171). Dal 23 al 29 aprile si discute il progetto, modificato dalla Commissione con la soppressione dello stanziamento di quattro milioni che il ministro vorrebbe dedicare alla trasformazione della fortezza di Verona in semplice punto di arresto, demolendo tutte le vecchie opere alla destra dell'Adige, e ad altri lavori a Venezia, Ancona e Messina. In generale, come le ormai solite considerazioni di Crispi e Nicotera a proposito dell'imminenza della guerra - uno o due anni al massimo, assicurano - gli interventi degli oratori non sono che monotone variazioni sul tema. Si tende a delineare un quadro positivo delle condizioni generali dell'esercito e a ritenere nello stesso tempo appena sufficienti le decisioni del governo in fatto di provviste di fucili, materiale di mobilitazione e artiglierie, dì costru-

(r7o) CD, Atti, n. 42, 23 febbraio r88o. (17I) CD, Atti, n. 42- A, 3 marzo r88o.


152

L·E~ER.CITO IT.\LI Al':O D \ LI'l':-JTÀ .\LLA CR" OE Gl' f ltRA (1861 · 1918)

- --

zioni di edifici militari e della fabbrica d'anni di Terni. L'unico appunto di un certo peso che viene mosso al ministro è quello di presentare dei progetti parziali senza aver ancora apprestato un nuovo piano di difesa organico. Dci venticinque milioni stanziati per le fortificazioni (in totale si richiedono oltre ottanta milioni) tre vanno, come sappiamo, a Roma, quattro alla difesa delle coste c ben diciotto ai valichi alpini ( 172) dalle Alpi Marittime alla valle del Piave. La legge approvata passa quindi all'esame del Senato, ma il 2 maggio il governo induce il Re a sciogliere il Parlamento e a indire nuove elezioni. Non più di un mese dopo i deputati della nuova Carnera approvano senza discussione il medesimo progetto. Nell'ottobre dell'Bo il ministro Milon convoca il Comitato di stato maggiore generale e gli affida lo studio di un nuovo piano di fortificazioni che sostituisca quello del '71 , rivelatosi di scarsa utilità. Il comitato ne terminerà l'elaborazione nel maggio del1'83 ma ad alcune sue conclusioni può già fare riferimento un altro disegno di legge, presentato dal ministro Perrero il r6 dicembre r88r; sono riservati alle fortificazioni cinquantacinque milioni di lire (e trentadue al loro armamento). La relazione, dell'onorevole Maldini stavolta, è presentata il r8 marzo r882 ed un mese dopo inizia la discussione, destinata a durare dieci giorni ed a concludersi con una plebiscitaria approvazione: 202 voti a favore e 18 contrari. La questione finanziaria, data l'entità delle richieste, quasi centoventotto milioni in cinque anni, ha gran parte nel dibattito dal quale risulta l'intenzione del governo, ad un mese dalla firma della alleanza con l'Austria- Ungheria e l'Impero germanico, di riservare, fino al r887 almeno, al bilancio della guerra duecentotrenta milioni l'anno tra parte ordinaria c straordinaria. Non di più poiché « non possiamo e non vogliamo rientrare nell 'era funesta, che ormai tutti dobbiamo ritenere chiusa, dei disavanzi finanziari, e perché non vogliamo distruggere né in tutto né in parte, l'opera della trasformazione tributaria che abbiamo iniziata, e che intendiamo proseguire. Un sistema di verso può essere difeso, ma non credo che possa essere accettato dall 'attuale amministrazione senza contraddire a tutti i suoi precedenti e non credo che possa essere accettato dalla Camera >> (173).

(172) Non si specificò quali. Poi furono rese note soltanto le zone, cfr. CD, Atti, 5 g iugno 188o, p. 145· (r73) CD. Discussioni, Depretis, 25 aprile 1882. p. 10137·


ESERCITO E POL!TI G \ DA PORTA PIA ALLA TRI P LICE .\l.I.E ANZA

153

A maggior ragione poi. dal momento che il ministro Magliani ha fatto precedere queste parole di Depretis dalla considerazione che su 1.280 milioni di entrata (1881), detratti 471 milioni di spesa intangibile, i1 35 ~- sarà devoluto a spese militari. L'avanzo nell'ultimo anno è stato di 49.20o.ooo; d'ora in poi queste somme saranno tutte impiegate, dal momento che <<la .finanza non è .fine a se stessa; ma è il mezzo di cui lo stato dispone per adempiere ai suoi .fini sociali. La finanza non può tesorizzare conservando più di quello che occorre per lo scopo dell'istituzione dello stato. Quando si verificano degli avanzi che cosa avviene? Prima di tutto si pensa a proHedere meglio ai servizi pubblici, poi o bisogna diminuire le imposte, o bisogna accelerare l'estinzione dei debiti . Non vi è altro partito l> (174). Del resto questa è stata politica costante della Sinistra fin dal 1876. Rispetto all'ultimo anno di amministrazione di Destra - afferma Magliani - si è speso in più per il bilancio ordinario della guerra e della marina rispettivamente il 20 e il 40 /~ , oltre a centocinquanta milioni di bilancio straordinario. E tutto ciò abolendo la tassa del macinato e parte di quella sulla ricchezza mobile (175). Di fatto la Sinistra, da quando è al potere, ha rinunziato al principio della forte spesa una tantum per seguire anch'essa, come la Destra, un aumento delle spese graduale e con ciò ha stabilito un altro punto di contatto con la politica militare dei governi Lanza e Minghetti, in aggiunta al comune riconoscimento dell'urgenza delle riforme. Si accentua i.nvece il fenomeno della delega ai militari nella gestione delle importanti questioni attinenti la difesa del paese, cosicché più netta risulta la distinzione tra compiti spettanti ai militari - decisione - e ai politici - approvazione o bocciatura dei progetti - . Caduto, almeno a livello di governo. il motivo della imminenza della guerra, restano a diversificare la linea politica tenuta dai due schieramenti radozione, probabilmente a partire dall'ultimo governo Cairoli, dell'offensiva quale direttiva strategica e la preoccupazione di mettere la capitale al sicuro da attacchi improvvisi. Una migliore determinazione delle direttive strategiche generali la fornisce lo stesso generale Perrero, parlando alla Carnera il 2 r aprile 1882. cc Quanto alla scelta delle località da fortificarsi - afferma il ministro - e allo sviluppo da darsi alle fortificazioni, ed al loro nesso con la difesa interna, il ~inistero si è consultato per tutte queste cose con il Comitato di Stato Maggiore generale, (174) CD, Discussioni, Magliani. 20 aprile 1882. p. 10012. (175) A. DEPRtTrs, loc. cit.


154

t'ESERCITO TT.\LI \l'O D.\Ll;U NIT.~ ALL.'\ GR.>.NDE C tJ.ERRA

(1861 • 1918)

da me incaricato per la prima volta di esaminare la questione della difesa generale dello stato, e questo dopo ampie e mature discussioni ha fatto delle proposte concrete che servirono di base a quelle del Ministero, il quale le ha approvate e fatte sue. Fu in seguito a questi studi preliminari che prevalse il concetto di non considerare le Alpi un semplice ostacolo logìstico, atto a trattenere la marcia dell'invasore, ma bensì come una zona di territorio a noi eccezionalmente favorevole per esercitarvi una attiva difesa, dove il nemico, per quanto numericamente superiore, non può spiegare tutte le sue forze; dove la direzione concentrica delle valli permette a noi mediante opportune riserve, concentrate al loro sbocco, di avere la superiorità in qualunque punto venga tentato lo sforzo principale; mentre che le colonne d'invasione non potranno operare che divise fra loro. Quindi d'ora innanzi - continua Perrero - lo scopo dei forti alpini non sarà più soltanto quello di costituire un semplice sbarramento, ma bensì, mediante un conveniente sviluppo, il nucleo di posizioni militari atte a servire d'appoggio ad una energica controffensiva>> (176). Da ciò deriva dunque il rafforzamento del corpo degli alpini, in consonanza con una delle teorie dci Mezzacapo, quel1a della guerra attiva in montagna (177) che il pensiero militare aveva poi lasciato cadere, per considerare le Alpi mero ostacolo passivo. E' più che mai 5icuro che negli studi condotti prima dal Comitato, proprio sotto la direzione di Luigi Mezzacapo (178), poi dal Comando di Stato Maggiore, almeno sino alla primavera del r883, il fronte preso in esame è esclusivamente Ja cerchia alpina e gli obiettivi non sono diversi da quelli indicati nel saggio di Perrucchetti sul teatro di guerra franco- italiano. Da dieci anni il fronte principale della futura guerra europea, l'unica che abbia ora la possibilità di coinvolgere anche l'Italia, - sono ormai passati i tempi della reazione clericale e psicologica della Francia nei suoi confronti; altri e più vasti contrasti, di predominio nel Mediterraneo innanzi tutto, movimentano le vicende della politica internazionale - il vero teatro di guerra è nelle pianure del centro Europa; le Alpi o, in caso fortunato, la valle del Rodano sono fronti secondari. Per quanto riguarda il piano elaborato dal Comitato di stato maggiore, non lo si porta a conoscenza del Parlamento - afferma Fer(176) CD, Discussioni, Ferrero, 21 aprile 1882, p. 1oo69. MEZZACAPO, Studi topografici ~ straugici sull"ltalia, Milano, 1859; L. Mr.zz,,CAPO, La difesa dclf"ftalia dopo il trasferimento della Capitale, Firenze, 1865. (178) CD, Discussioni, Pelloux, 31 maggio 1885.

(177) Cfr. L. c C.


L~I: RC I'rO

l

E POJ.ITICo\ 11.\ PORTA l'lA .-\LL.\ TRIPLICI:. ALLE.\l'Z\

I 55

rero -·per evitare l'insorgere di discussioni a non finire come nel passato e soprattutto perché non si vengano a conoscere i punti di concentramento prestabiliti. Né il relatore di Commissione Maldini, né lo stesso generale Ricotti - che del Comitato presieduto da Mezzacapo è stato membro - si mostrano troppo convinti da queste giustificazioni e obiettano che se il piano deve essere coperto dalla responsabilità del ministro, l 'unico modo costituzionalmente corretto di farlo è presentarlo al Parlamento; ma queste affermazioni non suscitano reazione di sorta fra i deputati (e tanto meno tra i rappresentanti del governo). Evidentemente lo ritengono un problema " tecnico )> e non anche politico. In quel momento alla difesa periferica provvedono ventuno tra forti e opere varie sulle Alpi (179) e dieci piazze marittime di cui Genova, Spezia, Messina e Venezia sono definite di prima importanza e Vado Ligure, l'Elba, l'Argentario- Talamone, Civitavecchia, Gaeta c Ancona di seconda. Anche la difesa interna presenta la ripartizione in piazze di prima importanza: Alessandria, Piacenza, Verona, Mantova, Bologna, Roma, il basso Piave e le quattro grandi piazze marittime nel loro fronte verso terra; e di seconda importanza: Casale, Peschiera, Legnago, Capua e Gaeta ed Ancona per la parte verso terra. Inoltre, a Piacenza e a Mantova sono stati riuniti due parchi d'assedio ( r So). Sì nota subito da questo schema la sopravvivenza del vecchio quadrilatero (finalmente, dopo vent'anni, con i cannoni voltati dalla parte giusta) e del binomio Alessandria- Casale, perno di manovra e importante nodo ferroviario. Essenziale - come punto di arrivo delle linee di comunicazione del centro- sud - è invece Bologna. Inoltre « come punto strategico bisogna considerare Mantova quale centro della difesa nazionale verso oriente, il quale non permette ad un invasore di scendere ad operare nella parte pcninsu(179) I punti fortificaci erano: Colli del Giovo, di Alture, e di Mclogno, Zuccarello (colle S. Bernardo), colle di Nava, strada Cuneo- Nizza, fortezze di Vinadio, di Fenestrelle e di Exilles, fortificazioni al Moncenisio, fortezza di Bard, sbarramenti di val d"Adda e di val Camonica, forte di Rocca d'Anfo, opere del gruppo di Rivoli, del passo delle Fugazzc, della val d'Astico e della valle di Brenta (Tombionc). Primolano, opere di Pieve di Cadore c fortificazioni di Osoppo. (r8o) IsTITu To STORICO E DI C t LTURA DHL.ARMi\ DEL GE-.;ro ( ISCAG), Ar-

chivio Storico, Armadio n. 1 I, Busta 3· Ministero Jclla Guerra, Direzione generale Artiglieria e Genio, Specchio di classìficazìon~ delle Piazzeforti del Regno ( 28 maggio 1882). Il documento è stato rcperito nel corso di alcuni sondaggi effettuati nell'archivio dcll'ISCAG del quale è imminente il riordinamento. Le indicazioni devono ritenersi perciò provvisorie.


!are sia per la riva sinistra sia per la destra del Po. senza temere il gran danno che gliene può derivare da un corpo che esce ad attaccarlo dalla piazza di Mantova. Una importanza uguale l'ha anche per la difesa verso nord e verso occidente; la sua azione sulla sponda del Mincio c del Po è sempre di sommo rilievo ... >> (181). E' sulla base del progetto del Comitato che si svilupperà sino alla fine del secolo l'apparato difensivo permanente del paese, la cui efficienza è la condizione che sappiamo necessaria per dare all'esercito la libertà di movimento di cui ha bisogno. Kon mancheranno però, negli anni a venire, dure critiche alle opere costruite e ai criteri messi in atto nell'eseguirle (182). Abbiamo già accennato alla forte spinta iniziale che nel 187 r accelera l'evoluzione delle istituzioni militari, ponendo le premesse di un aumento delle forze mobili e di un quanto mai esteso sistema difensivo permanente. Se ora rivolgiamo lo sguardo all'attività legislativa svolta negli anni seguenti possiamo notare come eguale importanza abbia il r875, anno che vede riconfermato il ruolo principale dell'esercito attivo in quanto gli è affidato per intero il compito della difesa del paese mentre l'ambizioso sistema di fortificazioni, per l'insicurezza sulle soluzioni da adottare e ancor più per ragioni finanziarie, è divenuto già da due anni un semplice espediente per consentire una relativamente sicura mobilitazione; è sempre per raggiungere questo scopo che si stanziano ulteriori fondi fino al 188o (quasi centoquaranta milioni in totale a partire dal 1872, per le sole opere di fortificazione ed il loro armamento). Poi. nel r88I- r882 la creazione di uno Stato Maggiore realmente funzionante, l'adozione di un sobrio sistema difensivo permanente in rapporto ad una strategia offensiva e la decisa politica triplicista segnano una significativa convergenza. Conosciamo già le tappe della formazione dello Stato Maggiore; per quanto attiene alla strategia offensiva l'abbiamo vista proporre su un piano teorico, appoggiata a ragioni di tecnica militare e politiche insieme, già dal r872 -73 negli scritti di Veroggio (181) lSCAG, Raccolta delle piante, album n. 16, pp. 7, 8. (182) La polemica nacque e si sviluppò attraverso il saggio di FILIPPO CERROTI, Le fortificazioni di Roma ed il sistema di lavori p1lbblici militari, Roma, 1882, cui rispose X + Y, Ancora del/l' fortificazioni di Roma, in NA, 1° aprile x882. Cfr. anche A. ARALDI, Gli ostacoli naturali e la fortificazione, Bologna, r882 c Io., Gli errori commessi in Italia nella difesa dello stato, Bologna, 1884; G. B. BRuzzo, La difesa dello stato, Bologna, 1884: u Ojjert•azioni del senatore Bruzzo intorno alla difesa dello .<tato, in RMI, gennaio 1884 (redazionale); G. B. BRUzzo, Altre OHervazioni sulla difesa dello stato e risposta alla <\Rivista Militare Italiana))' Bologna, 1884.


ESERCITO E POLITICA DA PORTA 1>1.-\ ALLA TRIPLICE ALLEANZA

I 57

e Ricci. A tale teoria Gandolfi oppone un sistema puramente dife nsivo che può divenire controffensivo solo in seguito ad una prima vittoria in territorio italiano; di questo parere sono anche Marselli e Perrucchetti che, insieme col Dabonnida, tra il 1875 e il 1878 collegano necessariamente ogni operazione di guerra italiana a quelle di un'altra potenza, cioè l' Impero germanico (indicato come alleato dal Marselli sin dalla conclusione della guerra franco- prussiana) (I 83), tesi ribadita nell '8r - '82 dal Baratierì e dallo stesso Marselli. In realtà dall'amletica crisi - crisi inevitabile di crescita e di rinnovamento di fronte alla mutata realtà europea - che a partire dal 1871 agita la coscienza della classe dirigente italiana, indecisa e divisa nel subire l'attrazione e l'influenza politico militare di Francia o Germania ( 184), i militari, al contrario dei politici e dell'opinione pubblica, escono con rapidità . «I meravigliosi successi ottenuti dall'esercito prussiano nella breve campagna del r866 ; i trionfi inauditi che le armi tedesche sotto la suprema direzione della Prussia riportarono nella lunga e ostinata guerra combattuta ora in Francia contro soldati avvezzi alla vittoria e finora reputati i primi soldati del mondo; la rapidità vertiginosa con cui l'edifizio militare francese così splendido in apparenza crollò come castello di carta all'irresistibile urto delle falangi tedesche; tutto questo ha seriamente richiamato l'attenzione generale, quella soprattutto degli uomini di guerra, sull'intima essenza di una organizzazione capace di produrre risultati di una grandiosità senza riscontro nella storia » (185). Si può dire che non hanno dubbi : il futuro dell 'Italia come potenza risiede nell'imitazione del sistema militare prussiano e nell'alleanza con il nuovo impero. Alla luce di questa convinzione va interpretato ogni atto della politica militare italiana all'indomani della guerra franco- prussiana e dell'ingresso delle truppe in Roma - ultima operazione di quell'esercito organizzato secondo il modello francese con il quale sono state combattute le guerre di indipendenza - fino a quando le dichiarazioni del generale Perrero alla Camera, nell'aprile e nel maggio 1882, non rilevano il nuovo corso impresso alla politica strategica dal governo Depretis mentre conduce l'Italia all'alleanza con gli Imperi centrali. (183) N . M ARSELLI, Gli avvenimenti del 1870 - 187 1, Torino, 187r. (184) F. CHAnoD, Storia della politica estera italiana dal 187o al 1896, Bari, r965, parte I, cap. I e IV. (r85) Cfr. P . R oNCHErn, G. Dr LENNA, L'Esercito della Confederazio-ne germanica del Nord nell'anno I8Jo, manoscritto JSCAG, Armadio n. 10, Busta 35, Comitato del Gen io Militare - Ufficio Tecnico, r871, fascicolo 3·



IV. MASSfMO MAZZETTI

I PIANI DI GUERRA CONTRO L'AUSTRIA DAL 1866 ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE



MASSIMO

MAZZETTI

dell'Università di Salerno

I PIANI DJ GUERRA CONTRO L'AUSTRIA DAL 1866 ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE*

« Mentre l'Austria era in possesso del Trentino da tempo lunghissimo e perciò da lunga mano erasi preparata a difenderlo anche dal lato dell'Italia, non fu lo stesso da parte nostra. Raggiunto l'attuale confine, nel r866, l'Italia per fortificarlo si trovò difronte ad un problema affatto nuovo, per il quale nulla era preparato, neppure quegli studi e quella conoscenza del terreno, senza dei quali non è possibile addivenire a proposte concrete ed organiche )> ( r). Con queste parole il generale Tancredi Saletta, al termine del viaggio di Stato Maggiore del r898, descriveva la situazione che avevano dovuto affrontare i responsabili della preparazione militare italiana all'indomani dell'annessione del Veneto. Esisteva infatti solo una «Memoria » sulla zona del Trentino confinante con la Lombardia approntata per le operazioni di quell'anno (2) sulla base degli studi compiuti dalla Commissione permanente per la difesa generale dello Stato. In quello stesso r866 la Commissione terminò l'elaborazione di un piano complessivo per la difesa dell'intera penisola italiana. La conquista del Veneto rese però necessaria la prosecuzione degli studi che si protrassero fino al 1868. La grave situazione del bilancio di quegli anni in cui il Paese si sforzava di raggiungere faticosamente il pareggio, consigliò le autorità militari ad approntare un piano ridotto relativo alle opere ritenute indispensabili. La presa di Roma avvenuta nel 1870 costrinse la Commissione a compiere un ulteriore lavoro supplementare; la relazione

* Relazione presentata al I~ Congresso Internazionale di Storia Militare tenuto a Rovereto dal 25 al 29 giugno 1978. (t) Archivio Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Ordinamento e mobilitazione, b. 63, Relazione del viaggio di Stato Maggiore, 1898, pp. l]J • 1]2. (z) A.U.S.S.M.E., Studi Tecnici, b. 15. I l.


finale fu quindi presentata soltanto il 2 agosto 1871. Comprendeva due distinti piani: uno c< ridotto>> che prevedeva la spesa di 146 milioni per la creazione di 77 piazze da guerra; l'altro '' completo>) disponeva lo stanziamento di 300 milioni per la costruzione o l'ampliamento di ben 97 piazze. Come ha osservato il Minniti (3). la preoccupazione dominante degli estensori del piano è quella di " non sbagliare )) prevedendo tutte le possibili ipotesi, perciò si consigliò la fortificazione di ogni punto che potesse divenire utile durante la condotta delle operazioni. Entrambi i piani prevedevano successive linee di resistenza; per quanto atteneva alla frontiera nord- est era preYista una serie di opere di sbarramento delle rotabili alpine. Queste fortificazioni avevano esclusivamente il compito di trattenere il nemico per il tempo necessario a permettere la mobilitazione e la radunata dell'esercito italiano. La prima linea difensiva vera e propria era in pratica costituita dal vecchio Quadrilatero impiegato fronte ad est anziché ad ovest e dal corso dell'Adige. Perduta questa l'esercito avrebbe dovuto schierarsi sul Po tenendo alcune teste di ponte appositamente costruite oltre il fiume per un'eventuale controffensiva. Era prevista anche una terza cd ultima linea costituita dalla piazzaforte di Bologna, che doveva avere un importantissimo ruolo difensivo- controffensivo, e dai passi degli Appennini che dovevano essere fortificati. Anche il piano << ridotto » risultava troppo oneroso per le disponibilità del bilancio ed il Ministero della Guerra ne presentò uno proprio più modesto nel quale, tra l'altro, si rinunciava saggiamente a fortificare i passi dell'Appennino. Questo piano. che prevedeva la spesa di 79.6oo.ooo lire, fu approvato dalla Camera nel 1874 ma fu ritirato dal Governo, proprio quando stava per essere approvato anche dal Senato, per sopravvenute complicazioni finanziarie. In questo periodo la prima e principale linea di schieramento delle forze italiane era c< sull'Adige. appoggiata a Verona e al mare» (4). La scelta di una linea difensiva cosi arretrata era conseguenza di una serie di molteplici fattori: anzitutto la presenza del cuneo tremino che si addentrava profondamente in territorio italiano, poi la scarsa produttività della rete ferroviaria italiana a confronto con (3) F. MINNlTl, Est:rcito e politica da Porta Pia alla Triplice Alfeanza ìn « Storìa Contemporanea >>, 1972, p. 4R5. (4) F. MARAZZI, Splendori ed c;mbre della 110stra guerra, Milano, 1920, P· I t4·

l l

j


l PTANJ DI Gl:F.RRA CONTRO t ' ..<lt:STRIA DAL

1866...

163

quella austriaca, infine il fatto che gli studi per la mobilitazione e radunata dell'esercito erano appena abbozzati. D'altro canto l'organizzazione del vertice militare italiano non era delle più perfette. Allo scoppio della guerra il Re assumeva il comando delle truppe nominando il proprio Capo di Stato Maggiore. Non vi era nessun sistema di predesignazione per questo importantissimo incarico. In tempo di pace la preparazione militare e l'approntamento dei piani erano affidati al Ministro della Guerra. Esisteva altresì il Corpo di Stato Maggiore, che aveva il compito di elaborare studi in previsione di future operazioni militari; esso, però, non aveva nessuna competenza autonoma e fungeva al più da ente consultivo del Ministero. Funzione consultiva del pari aveva il Comitato di Stato Maggiore, che avrebbe dovuto riunire in commissione i principali capi militari italiani, per fornire al Ministro pareri sui maggiori problemi della difesa del Paese. Questo comitato, però, esisteva in pratica unicamente sulla carta, poiché il gene~ rale Cialdini, che avrebbe dovuto presiederlo, preferiva a questo compito difficile ed oscuro l'assolvimento di incarichi diplomatici. Nel periodo 1873- 74 il Corpo di Stato Maggiore aveva messo allo studio una serie di ben II ipotesi di conflitto (vedi Allegato 1); in realtà però in dipendenza della situazione internazionale di que~ gli anni che videro riaccendersi la tensione italo- francese, il Corpo di Stato Maggiore approntò nel corso del 1874 solo un grosso e dettagliato studio, che cercava di prevedere tutte le ipotesi che si potevano verificare in un conflitto con la vicina Repubblica. E' significativo che fra i numerosi e voluminosi fascicoli di cui si compone lo studio, solo 7 pagine siano dedicate ai trasporti ferroviari comprendenti l'elenco di materiali disponibili e qualche consiglio per l'utilizzazione delle linee (5). Soltanto all'inizio del 1875 fu costituito l'Ufficio trasporti dello Stato Maggiore che approntò, dentro l'anno, un «progetto d'orario di mobilitazione>). Dalla presentazione che ne fu fatta in quello stesso anno ai dirigenti della società ferroviaria Alta Italia, non sembra però che si trattasse di un documento molto elaborato (6). Quanto agli studi per Ja radunata ·verso la frontiera nord- est, era intendimento del Ministro della Guerra schierare le truppe nel modo seguente : Armata di sinistra: un corpo a Vicenza, un corpo a Verona, un corpo a Mantova; Armata di destra: un corpo a Padova, un corpo a Rovigo e un corpo a Ferrara; Armata di riserva: due corpi a Bologna e un corpo fra Modena e Parma (vedi Allegato 2). (5) A.U.S.S.M.E., Carteggio del Coma11do del Corpo di S.M., b. 47· (6) A .U.S.S.M.E., Carteggio del Comando del Corpo di S.M., b. 26.


164

L'ESERCITO

lf\Ll.-\~0 DALL' UN ITÀ

\LLA GIL\ NOE GOERRII

(1861 - 1918)

-=---=----

Inviando una ulteriore elaborazione del cc progetto di prima radunata » per il caso di una guerra contro l'Austria al Comandante il Corpo di S.M. generale Bertolé Viale, il Ministro Ricotti specificò, il 19 gennaio 1876, che il decimo Corpo d'Armata sarebbe stato destinato a presidiare le piazze di Venezia e di Ancona. aggiungendo: « Ogni armata avrebbe a sua disposizione una distinta linea ferroviaria di rifornimento, e lungo quella linea sarebbero collocati i centri di formazione dei Corpi d 'Armata e delle Divisioni c il deposito centrale d'intendenza dell'armata stessa» (7). La soluzione adottata dal Ricotti era razionale, ma alquanto approssimativa. Non deve quindi meravigliare il fatto che il generale Cosenz si lagnasse amaramente della superficialità con cui erano stati approntati i progetti di radunata (8). Benché il Ricotti, Ministro della Guerra, avesse sostenuto più volte, nel 1871, la necessità di mettere a punto un meccanismo automatico di mobilitazione e radunata, l'esercito italiano era, in quegli anni, molto lontano da un simile obiettivo. Infatti .la prima Istruzione per la mobilitazione fu approntata soltanto dal successore del Ricotti, il generale Luigi Mezzacapo. Quanto fossero poco definite le disposizioni in caso di un conflitto italo- austriaco e quanto fosse fragile la posizione italiana appare chiaramente dalle vicende del 1879. In quell'anno, prendendo spunto dai funerali del generale Avezzana, si svilupparono in Italia una serie di agitazioni irredentiste. Le manifestazioni coincisero con il rientro alle guarnigioni sul confine italiano delle truppe austriache che avevano preso parte all'occupazione della Bosnia- Erzegovina. Ciò non mancò di impressionare vivamente i dirigenti italiani ai quali apparve (< una specie di fata Morgana che fu vista da Roma (da Verona per esempio non si vedeva) tra settentrione e levante nel cielo austro-ungarico e fu cagione di un farneticamento bellico di qualche durata alla Pilotta. Pareva sulle prime che l'Austria- Ungheria fosse sulle mosse per assalirci nel Veneto; poi con certi apparecchi da parte nostra, coperti sì, per precauzione, ma pure abbastanza visibili ad occhi attenti, la cosa ebbe a pigliar l'aspetto di una provocazione, una vera quesùone da tedesco, da parte nostra e poco ci mancò che non ci menasse davvero ad una guerra >> (9). Per fronteggiare questa drammatica situazione il Governo italiano prese una serie di provvedimenti: « Fu chiamato il generale (7) A.U.S.S.M.E.. Caruggio dd Comando del Corpo di S .."-1., b. 47· (8) E. CosENZ, Custo::a d altri scritti inediti, Palermo, 1913, pp. 101 - 102. (9) C. CoRsi, Italia 1870-1895, Torino, r89<), p. 263.


l PIAN[ DI CL ERRA CONTRO L' At.:STR !A DAJ..

1866 ...

r6;

Pianell per mettere insieme, in fretta e furia, un piano di difesa del Veneto e si scongiurò il generale di Robilant a Vienna di far tutto per ristabilire i buoni rapporti con l'Austria. 1'\dlo stesso tempo si dettero istruzioni alle autorità di frontiera perché venisse represso ogni atto diretto a turbare le relazioni di amicizia collo stato vicino e altre ai prefttti per imped ire rigorosamente ogni e qualunque manifestazione irrtdentista >> (ro). La situazione si decantò lentamente: il pericolo comunque era stato grande data la debolezza della struttura difensiva italiana; si pensi che mancavano le artiglierie per la piazza di Venezia (u). Peraltro una commissione mista dell'Esercito c della ~arina, incaricata di studiare la sistemazione difensiva, aveva proprio in quell'anno concluso i suoi lavori dichiarando che, allo stato, la città lagunare non poteva essere difesa con successo. Sotto la spinta di questi avvenimenti fu nominata, il 13 ottob;e 188o, presieduta dal generale Pianell, una commissione incaricata di studiare la difesa della frontiera nord -est. La commissione concl use i suoi lavori il 2 novembre del 1880 consigliando la costruzione di una serie di opere per sbarrare le valli e facendo voti per d rafforzamento delle truppe alpine (12). Visti i buoni risultati conseguiti dal lavoro svolto dalla Commissione, il Ministro della Guerra ritenne opportuno ampliarla convenientemente e porla sotto la presidenza del generale Luigi Mezzacapo, incaricandola di studiare tutto il complesso problema della radunata nord- est; il nuovo comitato terminò i suoi lavori il 20 dicembre, proponendo la costituzione dì un triplice schieramento difensivo. La prima linea veniva spostata al Piave e si proponeva la costituzione di due teste di ponte sul fiume; la linea principale restava però quella dell'Adige di cui si consigliava un notevole rafforzamento; la terza ed ultima linea era quella costituita dal Po e dal Mincio; più indietro ancora vi erano le due piazze di Bologna e Piacenza. Il sistema difensivo italiano veniva, come si vede, spostato in avanti rispetto a!Je proposte avanzate nel 1871 dalla Commissione Permanente. Il Comitato sollecitò, inoltre, una vasta serie di lavori ferroviari e, come la prece::.dente commissione, sottol ineò l'importanza delle milizie alpi ne per la difesa del territorio (13). In considerazione del buon lavoro svolto dal!a commissione, nel 1881 fu (ro) C. O. PAC.\~1, li primo apostolo della Triplice Alleanza m « Rivista politica e letteraria ,,, Roma, •S)CH, p. 41 dell'estratto. (u) Ibidem. (I2) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobiliraziont', b. 51. (13) lbidem.


166

L'ESERCITO ITALL\NO DALL"t: '\'JT.: \ ALL-\ G RANDE C l "ERR.\

(1861 · 1918) '----'-- -

deciso dal Ministro della Guerra Perrero di richiamare in vita il Comitato di Stato Maggiore, affidandone la presidenza al generale Cos(!nz ed incaricandolo di studiare tutti i problemi connessi con la difc::sa dello Stato, compito che fu diligentemente svolto negli anni 1881 - 1882; contemporaneamente era stato affidato al generale Pianel.l il compito di approntare uno studio per la radunata nordest soprattutto concernente la difesa avanzata. Lo studio di Pianell fu ultimato per il marzo del r882 (1 4), non ebbe probabilmente però mai valore operativo poiché, nel giugno di quello stesso anno, il Parlamento approvò un considerevole ampliamento dell'esercito italiano, il che imponeva necessariamente un nuovo esame delle possibilità operative. Le raccomandazioni circa l'aumento delle truppe alpine non erano andate sprecate. In ottobre infatti i battaglioni veni,·ano portati da dieci a venti e le compagnie da trentuno a settantadue. Frattanto, il r'' settembre, il generale Enrico Cosenz assumeva la carica di Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano. Le competenze del nuovo ufficio non erano molto estese. I compiti in tempo di pace erano eminentemente di studio: era il Ministro della Guerra che continua,·a a dirigere pienamente la preparazione militare del Paese e a dare pratica attuazione, ove lo ritenesse opportuno, alle proposte del Capo di Stato Maggiore. Comunque, con la nomina di Cosenz veniva finalmente risolto il problema della predesignazione di chi avrebbe guidato l'esercito italiano in guerra, compiendo con ciò un essenziale passo avanti verso una migliore organizzazione dell'apparato militare del Paese. Le prime cure del nuovo ente furono dedicate all'ipotesi di conflitto con la Francia poiché il 2 0 maggio 1882 l'Italia aveva sottoscritto con la Germania e l 'Austria il trattato della Triplice Alleanza. Approntati però gli studi per la radunata nord - ovest, il generale Cosenz prese in esame l'ipotesi di un conflitto italoaustriaco stendendo uno ((Studio circa la difensiva e l'offensiva nord- est » che fu ultimato nell'aprile del r885 (r5). Nel documento si pigliava in considerazione sia l'ipotesi della guerra localizzata fra l'Italia e l'Austria. sia quella di un conflitto che opponesse all'Impero danubiano l'Italia e un'altra potenza. Nel caso di una lotta localizzata, giocavano a favore dell'Austria la più rapida mobilitazione e la vasta rete ferroviaria (ben sei strade ferrate portavano al confine italiano) che avrebbe consentito un celere

4) E. CosENZ, op. cit ., pp. 94- 95(15) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazione, b.

( 1

11.


I PIANI DI CUER!l<\ CONTRO L'At; STRIA DM..

-----··-------

i

l

i l

t

·)

l (

l t

l l

1866...

167

concentramento di truppe. Era quindi necessario cedere spazio per guadagnare tempo. Cosenz decise quindi di effettuare lo schieramento principale delle proprie forze sul Piave. In Friuli doveva operare soltanto il Corpo d 'Armata speciale composto da una divisione di fanteria, da due divisioni di cavalleria e rinforzato da reggimenti di bersaglieri, col compito di trattenere quanto più a lungo possibile il nemico. La linea di difesa principale si stendeva dal Cadore « al M. Cavallo, e dal bosco del Cansiglio, per arrivare al fiume, attraverso i colli di Vittorio e di Susegana dirimpetto al Montello. E poi, ai passaggi del fiume (di Priula, di Ponte e di S. Donà) si sarebbero dovute costituire delle teste di ponte » ( 16). Lo schieramento difensivo italiano avrebbe dunque costituito un arco concavo. Cosenz intendeva infatti contrattaccare con quello dei due bracci della tenaglia che non fosse stato investito dal nemico. Nel caso che nella battaglia sul Piave fosse arrisa la vittoria alle armi italiane, o che fosse possibile prendere l'iniziativa di operazioni contro l'Austria, Cosenz scriveva: <( L'oggettivo principale della nostra offensiva sarebbe la capitale del nemico. L'occupazione del Tirolo, che potrebbe soltanto in modo accessorio influire sull'esito finale della guerra, sarebbe un oggettivo secondario, però necessario. Una nostra marcia su Vienna non potrebbe infatti operarsi senza che il R. Esercito fosse guarentito contro le conseguenze di un ritorno offensivo del nemico pel Tirolo nella Valle del Po. Questa guarentigia si potrebbe bensì ottenere limitandosi ad opporre un argine all'eventuale avanzare del nemico con forze che si appoggiassero alle fortificazioni di Rocca d'Anfo, di Rivoli, della Fugazza, dei Sette Comuni e della Val Sugana. Ma questo sistema di fortificazioni non è ancora compiuto; e ad ogni modo per ottenere detto scopo sarebbe sempre indispensabile impiegare forze di una certa entità, stante la grande estensione del fronte da occupare. Impiegando invece queste forze alla conquista del Tirolo meridionale, si otterrebbe in modo molto più completo lo scopo di guarentirsi da quella parte e questa guarentigia si potrebbe poi conservare con forze di gran lunga meno considerevoli, acquistando così la facoltà di rivolgere il di più a rincalzo delle forze operanti sul teatro di guerra principale con oggettivo Vienna » . L'azione contro il saliente trentino non doveva partire dalla parte meridionale, dove era prevista solamente un'azione limitata sull'Altopiano di Lavarone. Lo sforzo principale doveva mirare alla conquista di Toblach (Dobbiaco). Presa <Iuesta posizione, il

(r6) E. VJGAI'Ò , La nostra guerra, F irenze, 1920, p. 83.


IV Corpo d'Armata, sostenuto dal IX Corpo, doveva avanzare. utilizzando principalmente Val Pusteria, verso la piazzaforte di Franzensfeste (Porlezza) col compito di assediare questa piazza, intercettare la ferrovia del Brennero e prendere Bolzano. Il piano italiano quindi mirava a tagliare per l'alto il saliente trentina. partendo dal Cadore, cd evitando la parte meridionale che era la maggiormente fortificata. Lo studio di Cosenz del r885 è di particolare importanza perché fìssa i criteri a cui si atterranno i piani italiani in caso di guerra con l'Austria per moltissimo tempo. Il successivo piano di mobilitazione e radunata a nord- est del 1889, fatto dopo un nuovo ampliamento delle forze mobilitate ed un miglioramento della rete ferroviaria italiana nel Veneto, ricalca, in generale, i criteri del piano precedente. La 3" Armata è ancora opposta al saliente trentina, la ra e la 2 "' tendono la tenaglia difensiva sul Piave, e la 4" Armata è sempre di riserva. Vi sono però alcuni importanti cambiamenti: la 4a Armata non è più riunita sulla destra del Po (fra Bologna, Ferrara e Modena) ma sulla sinistra fra Rovigo, Legnago e Vicenza. Oltre il Tagliamento vengono schierate le tre divisioni di cavalleria, mentre, fra il Tagliamento e il Piave, il posto del Corpo d'Armata speciale è preso da ben tre Corpi della rAe della 2~ Armata ( 17). Questo piano di schieramento, che denota la tendenza a far gravitare le forze italiane quanto è più possibile verso est, rimase in vigore per molti anni. Bisogna considerare infatti che in questi anni la Triplice Alleanza non è offuscata da alcuna nube e le energie di Cosenz, come del suo successore Primerano, sono dedicate quasi interamente alla preparazione del conflitto con la Francia, che si ritiene imminente. Non deve sorprendere quindi che allorquando, nel 1893, si diede inizio ad una sistematica serie di viaggi di Stato Maggiore aventi lo scopo di studiare dettagliatamente ogni anno un possibile teatro di operazioni, si sia data la precedenza a quelle zone che potevano essere investite a seguito di un conflitto italo- francese. Nel 1897 lo Stato Maggiore Imperiale austro- ungarico cominciò ad interessarsi nuovamente al teatro di guerra italiano (18). Questo interesse si concretizzò in una serie di lavori che furono ben

(r7) A.U.S.S.M.E .. -Ordinamento e mobilitazione, b. 11. (r8) J. ScHMrD, Die Entlllicklung Jmd Wandlung da osterrcichisch . ungarischen Kriegsplanes gegen ltalien vom fahrc 1882 bis zum Ausbruch dcs Wcltkricges in « Schweizerische Monatschrift flir Offizicre aUer Waffen », luglio 1929, pp. 216 · 2l7·


l PIA:-;! lJI Cl!FRR ,O. CO'iTRO t.'AUSTRI.\

D AL

1866 ...

presto notati dalle autorità militari italiane (r9). L'anno seguente i! generale Saletta, che era succeduto nel 189<} al Primerano, guidò un viaggio di Stato Maggiore che aveva quell'anno per tema lo studio dello scacchiere trentina. La manovra coi quadri, che costituiva la prima parte del viaggio, si basava sull'ipotesi di un attacco austriaco. Benché la superiorità del <( partito nord » fosse appena di quattro a tre, le sue forze riuscirono ad avere la meglio sulla difesa italiana raggiungendo la pianura. Al termine del viaggio, concludendo un'attenta analisi del sistema di fortificazioni austriaco del T rentino, Saletta scrisse: 1< Non può dirsi altrettanto dell'assetto difensivo italiano. Nelle tre rotabili che dal Tirolo conducono in Lombardia, non fu costrutto alcun sbarramento; venne solo anlpliato quello preesistente di Rocca di Anfo. senza tuttavia raggiungere quel grado di robustezza che sarebbe oggi necessario. Alla flottiglia che dovrebbe difendere il lago di Garda non si rivolse pensiero alcuno. Del campo trincerato di Verona appena il fronte est venne ampliato (ed anche non completamente); ma in quello nord non si costruì, ad eccezione del forte Masena, alcuna delle opere progettate. Appena abbozzati possono dirsi gli sbarramenti delle valli di Poseria, Artico, Assa e Cordevole; insufficiente è quello delle valli Brenta e Cismon, e non per anca ultimato quello dell'alto Piave. Cosicché, ad eccezione del gruppo di Rivoli che ch iude la valle Lagarina e dello sbarramento di v.e Leogra, tutto il rimanente è appena, e non sempre convenientemente, organizzato>> (20). Per sopperire alle carenze del sistema difensivo italiano, veniva chiesta la costruzione di una serie di opere per un importo complessivo di r4.ooo.ooo di lire. Il viaggio di Stato Maggiore dell'anno seguente prese in esame il teatro di guerra veneto e friulano. Le manovre dei quadri furono questa volta due: una con ipotesi difensiva e l'altra offensiva. En-

(19) Nello studio del 1906 L'organizzazione difemiva dcii'Aujfria Ungh~ria

e i suoi lavori negli ultimi armi, interessanti dirdtamente o indirettatnente la 110stra fromiera si legge: " A cominciare dal 1897 si nota invece una ripresa molto attiva in tutti i lavori di fortificazione e stradali sulla frontiera italiana. Ciò dipende probabilmente dal fatto che, condotte a termine le difese verso la Russia, fondi disponibili del bilancio possono interamente dedicarsi alla frontiera italiana: ma vale anche a dimostrare come l'Austria intenda di completare in breve tem po la sua organizzazione difensiva verso ritalia, per tro,·arsi pronta ad ogni evento nell·occasione dello scadere della triplice alleanza ». A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazione, b. 58 bis. (2o) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazrone, b. 63, Relazione del viaggio di Stato Maggiore, t8$)8, pp. 162- r63.


l 70

L'F.SERC!TO I HLI\XO 1>1\LL.L' :-tTÀ ALL~ GR.\:-.. OL Gl'ERRA (i!:l 6t- 1918)

- -- -

trambc le manovre si conclusero con la vittoria del partito austriaco. Una delle cause di ciò fu individuata nella necessità, data la debolezza della struttura difensiva italiana verso il Trentino, di destinare una parte cospicua delle forze alla difesa di questo tratto di fronte; quindi benché richiedesse 13-230.0 00 lire per le fortificaziOni friulane, Saletta non mancò di precisare: " La sistemazione dell'aperta frontiera del Friuli, va subordinata a quella di un rafforzamento possente di quella del nord: in altre parole, questa det·e avere la precedenza » (21 ) . Queste considerazioni sono di importanza vitale per comprendere gli intendimenti dello Stato Maggiore italiano in quegli anni: la radunata italiana doveva essere compiuta sul Piave; soltanto quando si fosse ultimata la sistemazione difensiva del Trentina sarebbe stato possibile prendere in esame la possibilità di spostare il sistema difensivo più ad Oriente. Certamente non si trattava di programmi di rapida attuazione, con il bilancio del Ministero della Guerra congelato sui 239-ooo.ooo di lire annui. n generale Saletta non era uomo da farsi abbattere dalle difficoltà; fra il 1899 e il 1900, il Corpo di Stato Maggiore provvide a studiare i tempi di radunata in relazione con quelli dell'esercito austro-ungarico ed a compiere un esame particolareggiato dei lavori ferroviari necessari per abbreviare il periodo di radunata e per garantirne il regolare svolgimento. (( Nel 1901 venne compilato un progetto preventivo di radunata delle truppe destinate all'occupazione avanzata: progetto che fu trasmesso in esame ai comandi dei corpi d'armata per le loro eventuali osservazioni. Sulla base di de::tto progetto, e tenuto conto delle osservazioni fatte dai comandi dei corpi d'armata, venne studiato , nell'inverno 190r- 1902, un primo progetto completo di radunata N .E. del quale furono preparati in minuta tutti i principali documenti esecutivi >> ( 22) . Il progetto 1902 conteneva alcune modifiche considerevoli rispetto al piano precedente: la difesa avanzata veniva divisa in 13 zone in base allo studio del 1901, ma veniva considerevolmente rafforzata ed ampliata. La 4" Armata restava di riserva mentre la 1" sostituiva la 3" nella difesa del settore trentino. Le altre due armate (2' e f) venivano schierate sul Piave. In questo settore si verificavano le maggiori modifìcazioni. Infatti i tre corpi d'armata, (21) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazione, b. 63, Relazione del viaggio di Stato Maggiore, 1899, p. 114. (22) A.U.S.S.M.E ., Ordiname11to e mobilitazione, b. 72, Relazione intorno al progetto di mobilitazione e radunata verso la frontiera N.E. in data luglio 19Q6, p. 1.


r PlANI nr Cl iE!\1\'1. CO!'>'TRO L'AUSTRIA DAl.

1866 ...

l 71

che nel progetto del r889 erano schierati oltre Piave, venivano considerevolmente arretrati; il IV, che nel precedente progetto era sistemato fra Sacile e Pordenone, veniva portato a tre divisioni ma ~i riuniva nella zona di Conegliano. Il VI Corpo, schierato originariamente fra Portogruaro e il Piave, veniva arretrato a Ponte di Piave e sistemato a cavallo del fiume. Al posto dell'VIII, due corpi, l'XI e il VII, prendevano posizione sul Piave anch'essi, con una sola divisione. oltre il fiume. Il nuovo piano si preoccupava quindi vistosamente di correggere l'evidente gravitazione verso il Tagliamento così marcata nel progetto del 1889. Il movimento richiedeva ben 3·009 convogli ferroviari. Le truppe avrebbero ultimato lo schieramento il 26" giorno di mobilitazione ed i sc.:rvizi di armata sarebbero stati completati il giorno seguente. Il piano dei trasporù ferroviari, alquanto accresciuti rispetto al progetto precedente, aveva incontrato non poche difficoltà, poiché, come sottolineava l'Ufficio Trasporti nella sua relazione: << per la radunata sul Piave, tutti i trasporti devono necessariamente sfilare per una specie di "stretta ferroviaria" costituita da due sole linee indipendenti: VeronaVicenza, a doppio binario, e Monselice- Padova a semplice binario. A questa deficienza nel numero delle linee ferroviarie, fa riscontro una notevole scarsezza nei mezzi di esercizio, quali: locomotive, materiale da trasporto e personale» (23). In quelJo stesso 1902 l'Italia non solo rinnovò il trattato della Triplice Alleanza, ma sottoscrisse anche un accordo con la Francia. l] ravvicinamento italo - francese era in pieno corso e ad esso si accompagnava un progressivo allontanamento dall'Austria, che sollevava non poche preoccupazioni ai rappresentanti della Germania a Roma (24). Nell'inverno 1902 - 1903 il progetto di mobilitazione N .E. fu ricompilato in tutte le sue parti e rinviato ai comandanti dei corpi d'armata, che entro il giugno del 1903 lo restituirono con le loro o~servazioni (25). L'attenzione dei comandanti militari italiani si stava concentrando verso il confine orientale. '< In vista della particolare attività esplicata dali' Austria- Ungheria nella zona di confine con l'Italia (frequenza di ispezioni di ufficiali

(23) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mohilitaziont", b. torno al progetto di mobilitazione e radunata verso la data aprile 1902, p. 2. (24) M. MAZZETTI, L' t"sercito italiano nella Triplice 1974, pp. 184 e ss. (25) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazione, b. torno al progetto di mobilitazione e radunata verso la data luglio I<ìo6, pp. l - 2.

I I, Relazione infrontiera N.E. in

Alleanza, Napoli,

72, Relazione infrontiera N.E. in


L·E~ERCITO IT~Ll \-:O 0,\LL I:NIT.~ ALL\ Cll\:--IIJE Cl ERRA (1861 • 1918)

172

generali. costituzione di spc::ciali depositi di armi. munizioni e vestiario presso la nostra frontiera, lavori di fortificazione a Pola e a Cattaro, impulso alla così detta seconda comunicazione stradale ferroviaria con Trieste cd alla rotabile per le Dolomiti) il generale Ottolenghi, ~finistro della Guerra, aveva richiamato su di essa l'attenzione del Governo. contrapponendo le rilevanti deficienze della nostra organizzazione difensiva, alla quale si doveva provvedere quasi ex not'o » (26). Il viaggio di Stato Maggiore del r903 ebbe nuovamente per oggetto l'ipotesi di un attacco austriaco dal Trentina. Nell'inverno di quell 'anno il progetto di radunata N.E. fu sottoposto ad una nuova elaborazione in base anche ai suggerimenti dei comandanti di corpo d'armata e fu poi diramato a tutti i comandi dipendenti per entrare in vigore nella primavera del 1904. Si trattava in sostanza di un aggiustamento del progetto precedente che, grazie ad una più accurata utilizzazione del materiale rotabile, prevedeva una più rapida radunata (tutte le operazioni dovevano essere concluse entro il 26° giorno di mobilitazione) con l'impiego di un numero minore di convogli (2.943 anziché 3·009) (27). Quell'anno il viaggio di Stato Maggiore prese in esame lo scacchiere venetofriulano ed affrontò tutto il complesso di problemi relativi ad un conflitto italo- austriaco, rilevando non solo la debolezza della rete ferroviaria italiana della zona in paragone con quella imperiale, ma anche quanto poco si fosse fatto da parte italiana per approntare le fortificazioni richieste nel 1898 e 1899- Venivano dunque sollecitati un rapido approntamento di queste opere nonché un notevole ampliamento della rete ferroviaria. Sulla base delle esperienze fatte in occasione di questo viaggio, lo Stato Maggiore preparò una serie di misure miranti a rafforzare la difesa avanzata nel Friuli: le principali erano : T) aumentare le guarnigioni di frontiera; 2) attestare un nuovo corpo d'armata alla frontiera orientale; 3) utilizzare l'eccedenza di forze in congedo esistenti in Friuli c nel Veneto (28).

(26) Ms::-:IS'fERO DELLA Gl'ERRA, CoMA:--:Do PEL CoRPO DI STATO M AGGIORE, STORICO. L'Esn-cito italiano 11ella Grande Guerra ( 1915- I9r8 ), vol. I. Narrazione, Roma, 1927, p. 25. (27) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazio-ne, b. u, Promemoria n. 2 dell'Ufficio Trasporti in data 30 agosto '904· (28) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazio11e, b. I I, <<La mobilitazione e la radunata dell'esercito alla frontiera N.E. » in data 22 agosto I<J04, e «Provvedimenti speciali relativi alla radunata N.E. >>.

UFFICIO


I Pli\Nl DI G UERRA CO!'>TRO L'AUSTRI A D1\L

1866 ...

A queste richieste si cominciò a dare attuazione negli anni seo·uentì. L'addetto militare germanico a Roma riferì infatti, il ~ ' 20 marzo r9o6, che i distretti di Udine, Venezia e Rovigo sarebbero stati separati dal V Corpo d'Armata e trasferiti al VI a partire dal I 0 aprile. Benché il provvedimento fosse giustificato da motivi tecnici, ]'addetto militare non poteva fare a meno di notare che il centro di gravità dell'apparato militare italiano si stava spostando da ovest ad est. Da ciò derivava che una guerra con la Francia diveniva sempre meno possibile mentre un conflitto con l'Austria diventava probabile e popolare (29). In quello stesso anno fu distribuito un nuovo progetto di radunata N.E. che non si discostava molto dal precedente. L'unica novità era costituita dal fatto che il VI Corpo d'Armata, una volta radunato sul Piave, si sarebbe trasferito per via ordinaria sul Tagliamento per sostenere l'azione delle divisioni di cavalleria. Il movimento di radunata doveva concludersi in 25 giorni con l'impiego di 2-772 convogli (3o). La riduzione del numero dei trasporti, con conseguente guadagno di tempo, era dovuta, oltre che al miglioramento delle condizioni della rete ferroviaria e al più razionale impiego dei materiali, anche al fatto che si andava correggendo la dislocazione dei reparti dell'esercito italiano, che era tutta orientata sulla base dell'ipotesi principale di radunata che era quella nord- ovest. Negli anni seguenti, con l'avvento di Conrad al comando dell'esercito austro- ungarico, le relazioni italo- austriache continuarono a deteriorarsi lentamente e la preoccupazione dei dirigenti militari italiani per la frontiera nord -est continuò ad aumentare. Nei primi mesi del 1908 lo Stato Maggiore italiano presentava una richiesta di 20o.ooo.ooo di lire per le esigenze della difesa, di cui ben 124-ooo.ooo destinati alle fortificazioni del confine orientale. Il I4 giugno 1908 a Tancredi Saletta succedeva il generale Alberto Pollio, che si trovava a dover fronteggiare immediatamente Ja crisi seguita all'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina. Poté farlo in una situazione migliore di quella del suo predecessore; infatti il bilancio del Ministero della Guerra del 1907- 1908 era stato di 324.9Io.ooo lire e il Parlan1ento con la legge del 5 luglio 1908 aveva stanziato I2) .00o.ooo di lire per ]e opere di fortifica(29) Die Grosse Politik der Europiiischen Kabinette (r871 - I9r4), Berlino, 1922- 1927, vol. XXI, n. 7I75· (3o) A.U.S.S.M.E., OrdinameTJto e mobilitazione, b. 72, Relazione intorno al progetto di mobilitazione e radunata verso la frontiera N .E. in data luglio 1906.


174

__

.......;,.......;,

L'ESERCITO lTAt.TA'IO DALL'Ui\I·rÀ Al-L<\ GRANDE Ct; ERRA

(1861- 1918)

zione. Il nuovo Capo di Stato Maggiore ebbe quindi a disposizione i mezzi non solo per completare k fortificazioni riguardanti il saliente trcntino, ma anche per affrontare e risolvere il problema della sistemazione difensiva del basso Friuli. Nel luglio del 1909 fu emanato un nuovo progetto per la mobilitazione e radunata verso la frontiera N.E., progetto che presentava notevoli differenze con i precedenti. Era rafforzata la difesa avanzata, ma il fatto più caratteristico del nuovo piano era costituito dallo schieramento della 4" Armata lungo il lato orientale del saliente tirolese, segno evidente che si voleva dare attuazione al progetto di tagliare per l'alto il cuneo tremino non appena la situazione lo permettesse. L'intera radunata si sarebbe compiuta in 23 giorni anziché in 25 e ciò principalmente perché la potenzialità media della « stretta ferroviaria)> era passata da 50 treni al giorno a 79· Il guadagno di tempo era tanto più notevole in quanto l'intero trasporto abbisognava di 3.193 convogli, con l'aumento di 421 rispetto al progetto precedente (31 ). Il generale Pollio e il Ministro della Guerra Spingardi decisero, nel dicembre del 1909, di sistemare a difesa la linea del Tagliamento, in modo da costituire. nel complesso, una poderosa tenaglia difensiva protetta dalle teste di ponte di Latisana e di Codroipo, che avrebbero consentito una valida azione controffensiva. Il complesso della sistemazione difensiva italiana era completato dal rammodernamento delle opere di difesa della piazza di Venezia. Con l'inizio dei lavori per la costruzione della grande tenaglia difensiva del Tagliamento, l'attenzione dello Stato Maggiore italiano si venne gradualmente spostando verso questo fiume; anche se la radunata è ancora prevista al Piave, si ritiene che la battaglia decisiva verrà combattuta sulla nuova linea che si sta sistemando a difesa. Nel gennaio del 19II il generale Pollio comunicò ai comandanti delle annate che, mentre la 2" e la 3a Armata avrebbero dovuto, sotto la protezione dei forti e delle truppe di copertura. raggiungere il Tagliamento per attendervi l'urto nemico, la 4" Armata avrebbe iniziato immediatamente le operazioni per tagliare il cuneo trentino. Fu poi stabilito che la 2"' Armata avrebbe difeso l'alto corso del fiume mentre la 3" si sarebbe schierata nella parte meridionale. Successivamente, tra il giugno del 1911 e il luglio del 1912, l'orientamento strategico del Capo di Stato Maggiore Italiano si

(3r) A.U.S.S.M.E.. Ordina.mento t: mobilitaziont', b. 72, <<Relazione sul progetto dei trasporti in vigore per la mobilitazione e radunata N.E. » in data 20 maggio 1910. '

f

l


l

Pli\Nl DI ClERR.\ CONTRO L'AcSTR1A DAL

1866 ...

1

75

andò indirizzando verso una linea d'azione difensiva- controffensiva. In base a questo nuovo orientamento le truppe di copertura avrebbero dovuto svolgere una serie di operazioni oltre confine, allo scopo di disturbare la radunata nemica e di prevenire l'avversario nell'occupazione di alcune importanti posizioni. Ciò avrebbe permesso di rallentare l'avanzata nemica e di mantenere il possesso della Carnia, mettendo in una difficile posizione le truppe austriache che fossero dilagate per l'aperta pianura friulana (32). [n fatti, se avessero attaccato su] Tagliamento si sarebbero esposte ad un contrattacco partente dal Cadore; se, viceversa, avessero cercato di espugnare il ridotto cadorino, si sarebbero esposte ad un'offens iva italiana partente dalle teste di ponte sul Tagliamento. In definitiva Pollio intendeva ricreare le stesse condizioni operative offerte dalla linea del Piave. Sulla base di quesù intendimenti doveva essere compilato il nuovo piano di mobilitazione che avrebbe dovuto essere approvato per il 1912, ma che, a causa della guerra libica, fu messo a punto solamente nell'anno successivo. Il nuovo progetto doveva tener conto di una serie molteplice di novità : ]'aumento dell"organico dell'esercito previsto dall'ordinamento Spingardi; la più ampia mole di trasporti do,'uta all'aumento delle dotazioni; per la prima volta, infine, veniva previsto il largo ricorso alla precettazione durante la mobilitazione occulta, in considerazione del successo conseguito da questo sistema negli esperimenti attuati nel 1909- T9TO. Le variazioni del nuovo progetto rispetto al precedente erano notevoli.: il XII Corpo, destinato, secondo il piano del 1909, a rimanere in Sicilia, fu assegnato alla 3'' Armata in sostituzione dell'XI che doveva restare nelle Puglie - si disse - per impedire sbarchi austriaci, ma in realtà per operare in Albania e Momenegro. La radunata del VI Corpo e della i Divisione anziché sul Piave doveva awenire sul Tagliamento; il V Corpo sarebbe stato sbarcato anziché a Belluno direttamente a Pieve di Cadore, per assicurare fin dall'inizio una solida difesa del Cadore. Pollio aveva previsto fino dal r9rr anche la costituzione di un corpo di osservazione de.lla frontiera nord (33), in conside~ razione degli stretti rapporti che le autorità militari austriache ed elvetiche avevano allacciato in quegli anni (34). Tutto i] movimento si sarebbe realizzato in 23 giorni come nel precedente pro-

(32) MII'ISTERO DELLA GuERRA, Co!>!A);DO DEL CoRPO m STATO M...cCIORE, UFFTCIO STORICO, op. cit., vol. Il, Narrazione, p. 8. (33) A.U.S.S.M.E., Ordinamento e mobilitazione, b. 15. (34) M. MAZZEHI, op. cit., pp. 241- 243.


l 76

L 'eSERCITO IBLIANO DALL' UK ITÀ ALLA GRANDE GUERRA ( 1861 - Tqr8)

getto, benché l 'aumento degli uomini e dei materiali da trasportare richiedesse l'impiego di 4.6o7 convogli anziché 3.363 (35). Il piano di Pollio, sebbene chiaramente orientato a far gravitare l'esercito italiano verso oriente (36), non era adatto ad affrontare la situazione che si venne a determinare nell'estate del 1914, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale. Il quadro strategico complessi"o appariva completamente mutato: l'Austria - Ungheria impegnata con la Scrbia e la Russia non era certo in grado di prendere l'iniziaùva sul fronte italiano. In considerazione di questa situazione, il nuovo Capo di Stato Maggiore dell'esercito italiano, generale Cadorna, in una serie di disposizioni ((( Memoria riassuntiva >> del 21 agosto 1914, l( Direttive>> del 1" settembre 1914 e << Varianti » alle Direttive del 1° aprile 1915) (37) modificò profondamente il dispositivo strategico italiano. Mentre la 1 " Armata schierata difronte al sa.liente trenùno avrebbe dovuto condurre operazioni limitate, miranti unicamente a migliorare il proprio schieramento difensivo, la 4' Armata avrebbe dovuto « agire offensivamente dall'alto Piave verso il Pusterthal, allo scopo sia di tagliare le comunicazioni del Tirolo col resto della Monarchia sia di concorrere per il Pusterthal ad eventuali azioni offensive delle truppe della Carnia verso Tarvisio>> (38). I reparti della (l zona Carnia >> avevano il compito sostanziale di impossessarsi del nodo di Tarvisio, mentre la 2 a e la 3" Armata dovevano attraversare l'Isonzo per procedere verso oriente. Come si vede, il piano strategico complessivo italiano è radicalmente mutato. La 4" Armata conserva il compito di invadere la Val Pusteria, ma non per iniziare il taglio del cuneo trentino, bensì per concorrere all'azione delle truppe incaricate di prendere Tarvisio, azione questa desùnata ad appoggiare l'attacco principale compiuto dalla 2 • e dalla 3" Armata. E' chiaro che il disegno complessivo del comandante italiano mira a penetrare profondamente nel cuore della Monarchia danubiana realizzando, con i Serbi e i Russi, una marcia concentrica verso la pianura ungherese. Il piano di Cadorna era perfettamente rispondente alla situazione strategica complessiva dell'inverno 1914-

(35) A.U.S.S.M.E., Ordinamento <' mobilitazione, b. 72, Relazione complessiva sui progetti dei trasporti di mobilitazione e radunata N.E. e N.O. (luglio 1913), p. 26. (36) C. GELOSO, Il piano di guerra dell'Italia contro l'Austria, nella « Rivista Militare >', n. 2 del 1931, p. 170.

(37) MINISTERO DELLA GlfERRA, CoMA!'-'UO OEt. CoRPO DI STATO MAGGIORI>, SToRrco, op. cit., vol. Il bis, Documenti, doc. 1 , 2 e 6. (38) Ibidem, doc. n. 1.

UFFICIO


l PLo\Nl 01 CUER'RA CONTRO L'AUSTRIA DAL

1866 ...

177

J9T5. quando i Serbi avevano respinto gli Austriaci c i Russi si affacciavano minacciosamente ai Carpazi. In questo quadro l'Austria non era certo in grado di utilizzare offensivamente il saliente trentina la cui minaccia poteva apparire trascurabile. Ma il 4 maggio 19I5 gli Austro- Tedeschi battevano i Russi a Gorlice obbligandoli a sgombrare i Carpazi. La situazione strategica si modificò allora completamente : la marcia concentrica verso la pianura ungherese divenne un sogno; l'Austria poté disporre delle truppe necessarie per far fronte al nuovo attacco. In questo frangente il Comando Supremo Italiano non seppe, o più probabilmente non volle, riesaminare il suo piano di operazioni, dando nuovamente la priorità all'azione offensiva contro il saliente trentina; così la preoccupazione di incontrare il nemico in forze trasformò, anche contro la volontà di Cadorna, quella che doveva essere una rapida irruzione oltre Isonzo in una lenta avanzata verso le posizioni difensive austriache, mentre la 4" Armata, scarsa di pezzi di artiglieria di grosso calibro e fiaccamente comandata, non consegui gli obiettivi assegnati. In definitiva mancò quella azione risolutiva contro il cuneo tremino che tutti i comandanti italiani avevano ritenuto premessa necessaria ed indispensabile a qualsiasi operazione oltre Isonzo.

12.


178

L'ESERCITO ITALL\NO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA (1861 ·1918)

Allegato 1

IPOTESI DI GUERRA PREVEDIBILl

A) Italia contro Francia - Poco probabile nelle condizioni presenti. Convien .;upporre la G(Tmania o in me o già vinta - L'Italia sarebbe costretta a guerra difensir•a.

1) Attacco terrestre, dalle Alpi occidentali e manttuno. Non è supponibile che non avvenga contemporaneamente almeno qualche dimostrazione marittima o cenno di sbarco sulla costiera ligure o sulla tirrenn, o sulla sicula, od anche su vari punti ad un tratto o a brevi intervalli di tempo.

2) Attacco francese terrestre e marittimo, dalle Alpi e dalla costiera ligure, probabilmente ad O. di Genova, verso Savona, mirando ad Alessandria, collo scopo di impadronirsi della V alle Padana, e quindi procedere contro Piacenza. 3) Attacco francese terrestre, o terrestre e manrtuno dalle Alpi e dalla costiera ligure o toscana, come nell'ipotesi precedente, e minaccia o grosso sbarco sulla spiaggia toscana con iscopo di aggiramento dell'Appennino Settentrionale e di tutta la valle del Po, obbiettivo capitale Bologna. 4) Attacco francese terrestre o terrestre e rnantumo dalle Alpi e dalla costiera ligure o toscana come nell'ipotesi 2• e 3a, e grosso sbarco verso Orbetello o Civitavecchia mirando a Roma e a rompere le comunicazioni tra l'Italia Settentrionale e la Meridionale, oppure sbarco sulla costiera napoletana, con obbiettivo prima Napoli e poi Roma e collo intento di ribellare all'Italia le provincie meridionali. 5) Dimostrazione francese terrestre, o terrestre e marittima contro l'Italia Settentrionale e attacco marittimo dall'Italia Meridionale mediante sbarchi sulla costiera napoletana o in Sicilia. In sostanza attacco da S. basandosi sulla Sicilia o su Napoli e sollevazione progressiva delle provincie. 6) Grande dimostrazione maritti~a sulle costiere del Tirreno, cd anche più a S. ed attacco terrestre dalle Alpi e dall'Appennino ligure.

B) Italia e Germania contro Francia - Probabile nelle preserzti situazioni La Francia dovrebbe nect:ssariamt:nte volgere la massima parte date sue forze contro fa G''Tmania, quindi non potrebbe prendere [' oflt:nsiva COtl·

tt:mporaneamente contro i suoi due avversari. Da ciò la possibilità per r!ta!ta di dover prendere l' oflnuiva anche nel caso che la Germania si trovasse da principio costretta alla difesa, caso cht:, quantunque non molto probabile, pure è possibile. Le dimostrazi011i marittime della Francia non potrebbero dare gran pensiero a noi se non quando, pro-J

l


l P!AN1 ùl GUJi;RRA COJ\>lRO L'AUSTRIA DAL

1866 ...

179

strafa la Gt-rmania, la Francia venùs~ a trovarsi 111 grado di volgtTsi contro di noi con .;oo mila uomini almeno. Se la neutralità dell'Austria non foue sicura le optTazioni contro la Francia potrebbero essere incagliate, disturbate, e forse anche rese impossibili. E' be-nsì t'tTO che le neutralità si raffermano coll~ vittorie.

1) Attacco italiano dalle Alpi combinato con attacco tedesco dalla Mosella e dai Vosgi, occupazione della Savoia, coprimento a sinistra in Val di Rodano, collegamento coll'esercito tedesco in Borgogna (verso Besançon, verso Langres?).

2) Attacco italiano dalle Alpi e operazioni contro Lione e quindi verso il cuore della Francia, con iscopo di dividere le forze del nemico ed assicurare il fianco sinistro dell'offensiva germanica. Parrebbe non fosse nemmeno da supporre il caso che l'Esercito italiano dovesse operare sul basso Rodano, contro Tolone e Marsiglia, lasciando così la Francia libera di opporre tutte le sue forze mobili alla Germania. 3) Semplice occupazione della Savoia e di Nizza. Questa ipotesi non ha buon valore strategico, e suppone particolari ragioni politiche.

C) !rafia contro Austria - Improbabile ora - L'Italia si vedr~bb~ costretta a gutTra difensiva, tranne il ca.co che l'UnghtTia si ribellaue all'imptTo.

t) Attacco austriaco dall'Isonzo e dalle Alpi, inteso ad aggirare e sforzare la linea dell'Adige, con obbiettivo Mantova e Bologna, accompagnato forse da minacce o tentativi di sbarco su qualche punto della costiera adriatica Jelle provincie meridionali dopo avere, se possibile, acquistato il dominio dell'Adriatico, e colla speranza di sollevare i popoli italiani del mezzodì.

2) Attacco italiano dalle Alpi per dar mano all'Ungheria sollevata e minacciar Vienna. Operazioni marittime sussidiarie.

D) Italia e Germania contro Austria - Più che improbabili! ora. Se mai foue possibile, sarebbe 11ecessariamente guerra offensiva da parte nostra.

1) Attacco combinato su Vienna o su Pest. 2) Semplice occupazione del Trentina, di Trieste e dell'Istria con operazioni marittime sussidiarie.

E) Italia e Gt'rmania contro Francia ed Austria. - Possibt!e. E' probabile che le due potmu avvtTse a noi volgerebbtTo dapprima la maggior parte delle forze loro contro la Germania, lim1tandosi ad una gagliarda difesa delle loro /rontitTe VtTSO l'Italia ed a minacce marittime e tentativi di sbarco nelle nostr~ provincie mel"idiona/i, essendo questo il miglior modo di trar profitto dalla loro preponderanza marittima.


180

L'F.SERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861- 1918)

1) Attacco terrestre contro l'Austria combinato colle operazioni dell'esercito germanico, con ìscopo sia dì cooperazione diretta sia di diversione, difesa della frontiera alpina verso la Francia e della penisola.

2) Allacco terrestre contro la Francia, sia per cooperazione diretta con le operazioni dell'esercito germanico, sia per diversione, difesa delle frontiere verso l'Austria e della Penisola. 3) Difesa delle frontiere alpine e della Penisola.

F) Italia ~ Francia contro Austria ~ Germania - lmprobabil~. Pn l'ltalia questa ipot~si conJu,'rebbe allu gu~a contro l'Austria (v.c.). G) Italia e G"mania contro Francia e Russia - Supposta sicura la neutralità dell'Austl'ia, l'Italia si vedrebbe condotta a gu"ra uffensiva e difensiva contro la Francia (v.a.).

H) Italia e Gamania contro Fra11cia, Russia ed Austria - Guerra difensiva in condizioni d ifficilissrme. Attacco austriaco da terra e francese da mare.

I)

Italia e Russia contro Austria sola o contro Austria e Germania - Probabilmente guerra of/etuiva. Attacco terrestre e marittimo contro l'Austria o difesa contro la stessa potenza.

K) Italia, Francia e Russia contro Austria, Germania e Turchia - Gu~a offen.riva. Attacco terrestre e marittimo contro l'Austria.

L) Italia, Francia e Austria, e forse anche Ruuia contro Ger·mania - Guerra offnuiva. Attacco pel Tirolo contro la Germania meridionale.


l PIANI DI GUERRA CO!\.'TRO L'AUSTRIA DAI.

1866 ...

181

Allegato 2

DIFENSJV A NORD - EST

A) Studio generale delle linee e posizioni difensive contro un'invasione austriaca, tanto nel caso che la nostra difesa sia basata su Bologna, quanto nell'altro ch'essa si basi più ad ovest, sino a Piacenza -Stradella. Linee d'invasione austriache, loro obbiettivi, loro rapporti colle linee e posizioni difensive italiane. Concetti d'offesa e difesa presupponibili e loro probabilità relative.

B) Il Ministro della Guerra si propone di radunare l'esercito sul piede di pace nell'alta valle del Po, e quivi metterlo sul piede di guerra. L'esercito sarebbe così collocato: un Corpo a Vicenza un.. Corpo a Verona un Corpo a Mantova.

Armata di sinistra

Armata di de,-tra

Armata di riserva

} un Corpo a Padova

( un Corpo a Rovigo.

l

due Corpi a Bologna un Corpo tra Mode11a e Parma.

Un Corpo nell'Italia peninsulare.

Dato questo collocamento iniziale, che non ha valore strategico, I) Studiare per quali vie, in quali punti, in guanto tempo si possa effettuare la raccolta strategica in posizione difensiva- offensiva sul T agi iamento. II) Studiare similmente la raccolta strategica sulla Livenza o sul Piave. HI) Studiare nello stesso modo la raccolta dietro al Brenta, sui colli Berici ed Euganei. IV) Raccolta dietro l'Adige. E' necessario determinare colla maggior possibile esattezza le singole posizioni ritenendo che sarebbe eccessiva per un esercito di 9 Corpi una fronte su cui dovessero impiegarsi simultaneamente più di 6 Corpi. Ber\sÌ potrebbesi ammettere in posizione principale 4 o 5 Corpi in fronte e 2 in riserva e gli altri 2 o 3 in posizione o in posizioni di fianco importanti ed aventi stretto rapporto strategico, e, se possibile, anche tattico (una giornata di marcia di distanza) colla posizione prin-


I 82

L '.ESERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA ( r861 - 1918)

cipale. In tal caso converrebbe studiare il modo di cooperazione, CIOC il collegamento e l'accordo delle due o tre masse in cui verrebbe a trovarsi diviso l'Esercito. V) Difesa di fianco 'erso il Tirolo nelle valli c negli sbocchi alpini. VI) Difesa eventuale di Venezia e della Laguna. VII) Ritirata eventuale dall 'Adige su Mantova- Borgoforte. VIII) Ritirata dall'Adige su Mantova e Ferrara. IX) Ritirata dall'Adige su Bologna. X) Ritirata dall'Adige su Piacenza - Stradella. In ognuno di tali casi esaminare quali aiuti possa dare a noi la difesa del Po: forza armamenti, loro collocamento, loro azione in massima, durata della difesa. Xl) Operazioni difensive e controffensive da Mantova - Borgoforte. Xli) Operazioni difensive e controffensive da Mantova e Ferrara. XIII) Operazioni difensive c controffensive da Bologna. XIV) Operazioni difensive e controffensive da Piacenza - Stradella. XV) Venezia e Peschiera; loro rapporto colla difesa della valle padana; loro difesa.

Nota. - Entrambi gli allegati pro;·engooo Corpo di S.M .. b. 47·

d~

A.U.S.S.M.E. Carugg•o dd Comando dd

J

l

j


v. SALVATORE ARMAl\TDO BELLASSAI

DA ASSAB AD ADUA



SALVATORE ARMANDO BELLASSAI Colonnello di artiglieria

DA ASSAB AD ADUA *

PREMESSA.

Nella giornata del 1° marzo r896, fra le ambe di un remoto paese africano in buona parte inesplorato, noto alla gran maggioranza degli Italiani solo attraverso le fantasiose descrizioni di pochi, avventurosi viaggiatori, venne combattuta una battaglia il cui esito sfortunato avrebbe esercitato un peso determinante sulla politica italiana per quasi mezzo secolo. Per una complessa serie di ragioni non tutte obiettivamente giustificabili e pur con qualche lodevole eccezione, si è sçmpre evitato da allora di sottoporre ad un pacato esame critico i memoriali e le monografie pubblicati subito dopo il fatto d'armi, che il fluire del tempo avrebbe dovuto depurare dalle scorie più marcatamente polemiche. Né si è data la necessaria diffusione ai risultati di questo esame, contribuendo così a radicare l'oscuro «complesso » che il nome di Adua ha tenuto desto in tante generazioni di Italiani. Perfino gli aspetti esclusivamente militari della campagna del 1896 hanno avuto sorte analoga: forzando anche oltre il lecito la narrazione degli avvenimenti ed il significato anche letterale dei documenti disponibili, si è voluta ricercare in una sola ... (( maxicausa » la spiegazione dell'insuccesso, attribuendolo al comportamento di un uomo od allo svolgimento di un episodio. Sotto accusa sono stati quindi messi, di volta in voJta, il Comandante in capo, Baratieri; i Generali in sottordine visti in deliberata, perpetua contrapposizione al diretto superiore; l'approssima7.ione delle carte topografìche e la scarsa conoscenza del terreno; la modestia delle disponibilità di personale e mezzi. A nessuno sembra sia venuto

• Rielaborazionc dell"articolo 75 anni fa ad Adua apparso sulla « Rivista Militare >> n . 3/I9ii.


18 6

1:ESERClTO IHLIA~O D.\i.L'UNIT.~ ALLA CR\NOE GUERRA (r86t · 1918)

in mente che la sconfitta di Adua poté forse trovare la sua genesi in una serie molto numerosa di cause concomitanti, piccole e meno piccole. alcune anche di origine remota.

I PRECEDENTI .

Per narrare quindi di una battaglia tanto nota nel nome quanto poco conosciuta nelle premesse e nello svolgimento, è bene rifarsi brevemente ai precedenti lontani dell'espansione coloniale italiana in Africa Orientale, alla quale - e cominciamo subito con le divergenze di fondo - alcuni attribuiscono propositi tanto nobili quanto disinteressati, altri ne bollano di infamia anche gli esordi. A favore dei primi rimane la lettera scritta nel 1857 dal barone Cristoforo Negri, per incarico di Camillo Cavour, al Cardinale Massaia, Vescovo e Vicario Apostolico nel paese dei Galla, nella quale viene espressa l'intenzione di «civilizzare>> quel paese con l'appoggio del (o dei) sovrano locale. I secondi si rifanno ai vari progetti di colonie penali (tipo Caienoa francese) sin dalla proclamazione del Regno d'Italia, allorché il fenomeno del brigantaggio nelle regioni meridionali da poco annesse pose in termini drammatici anche il problema della custodia di parecchie migliaia di detenuti, politici e comuni. C'è chi infine butta la questione quasi in burletta, battezzando c< colonie immaginarie » i territori - dislocati prevalentemente lungo le coste africane, asiatiche o americane - dei quali di volta in volta il governo si interessò più o meno a fondo, con scopi non sempre esattamente definibili. In realtà, come spesso avviene da noi, tutti e nessuno sono completamente nel vero (e nel falso). E' fuori discussione il fatto che Cavour abbia per un momento guardato all'Africa Settentrionale ed Orientale come a possibili zone di influenza del Regno Sardo, ma sia stato poi assorbito da problemi ben altrimenti urgenti ed importanti, quali la 2 ' guerra di indipendenza e la fondazione del Regno d'Italia. Il problema della custodia dei detenuti costituì d'altra parte, per un certo periodo, motivo di gravi preoccupazioni per l'amministrazione civile. E, infine, l'attività dei pionieri, degli esploratori e, diciamolo pure, degli avventurieri, patrocinata dalle varie <l Società Geografiche » che andavano sorgendo un po' dovunque, contribuì senza dubbio ad attirare l'attenzione di una certa aliquota della borghesia italiana verso terre che, in descrizioni talora di maniera, potevano apparire romanticamente protese all'abbraccio con


O.\ ASHB AD ADtJ.\

la (( civilizzazione )) italiana, erede di quella romana. Concetti che ora fanno sorridere di non sempre disinteressato compati mento, erano allora moneta corrente nella provincia italiana ancora permeata di valori e concetti risorgimentali. Venata di prevenzione, si direbbe di autolesionismo, appare quindi l'irrisione di alcuni storici e cronisti contemporanei ai nostri primi timidi conati . . . imperialistici, disposti come sono a dare ben diverso credito ai Brazzà, ai Gordon, agli Stanley che pure, in un certo senso, oltre che <1 avventurosi » possono anche ben dirsi c1 avventurieri » ! Come si può invece facilmente immaginare, le ragioni che spinsero i governi succedutisi in Italia dal 1870 in poi ad << interessarsi» delle regioni dell'Africa Orientale bagnate dal Mar Rosso e dall'Oceano Indiano furono composite. Per l'influenza che le idee dei primi pionieri avevano esercitato sulla frazione di opinione pubblica che aveva più voce in capitolo, il primitivo progetto di una colonia penale fu sostituito da quello di una stazione commerciale. E l'importanza del Mar Rosso, enormemente accresciuta dopo l'apertura del Canale di Suez, orientò verso quella regione le nostre aspirazioni anche nella speranza che l'Italia, in forza della sua posizione, potesse tornare ad essere la via normale dei traffici fra l'Europa e l'Estremo Oriente. Né mancava, alle idee guida del colonialismo italiano quali si andavano definendo in quell'epoca, la componente « sociocconomica » : si pensò cioè che le terre occupate o conquistate potessero scaricare la pressione demografica interna, giunta a livelli preoccupanti, dirottando consistenti correnti migratorie dal Sud America all'Africa, considerata oltre tutto ... più a portata di mano. A differenza di ciò che fecero Inglesi e Tedeschi, si tese quindi fin dall'inizio non tanto allo sfruttamento, quanto al popolamento dei territori occupati, trascurando, o per lo meno lasciando in secondo piano anche le necessarie cautele di carattere strategico. Perché se così non fosse stato, una volta occupata Assab si sarebbe dovuto tendere ad incrementare ed estendere l'occupazione della costa (peraltro insalubre e di difficile abitabilità) dalla quale è possibile control1are da vicino l'accesso allo stretto di Perim, chiave del Mar Rosso verso l'Oceano Indiano. Ci si spinse invece verso l'interno di territori che, sia pure in preda all'anarchia ed alle rivalità dei « ras >> locaJi, non erano certamente « res nullius >>, ma rientravano nello « spazio vitale» etiopico ed erano tenute costantemente sotto sorveglianza dal « Negus » chiunque egli fosse. Ne conseguì, si direbbe inevitabile, la reazione a tutti nota.


·. I 88

L.ESU<CITO ITALIANO DALL'UN!iÀ ALLA GRA.'IPE GUERR.\

(1861 • 1918)

Alla classe dirigente ed agli ambienti economici nazionali mancò comunque, fin dall'inizio, una vera concordanza di intenti sugli scopi e sulle modalità della espansione coloniale in Africa, tanto che la caratteristica costante della nostra azione fu il divario fra la vasùtà delle ambizioni e la modestia dei mezzi. L'espansione africana fu considerata dai vari governi come fonte di successi e quindi di prestigio da sfruttare a fini di politica interna; ma l'opposizione ad essa, anche da parte di ambienti e personalità molto qualificati o, comunque, autorevoli (si pensi al Cavalloni e all'Imbriani) fece sì che essa fosse condotta con mezzi insufficienti e, comunque, sempre in subordine alle vicende parlamentari italiane. L'Esercito, cui fu affidata la responsabilità della penetrazione (da un certo momento in poi tutt'altro che pacifica) dovette quindi agire sulla base di obiettivi strategici vaghi, ma velleitari e di sollecitazioni attivistiche (sì pensi alle << invettive » telegrafiche del Crispi allorché Baratìeri, nel 1895 e 96, gli apparve esitante) quasi sempre conseguenti alle lotte politiche interne. Ciò senza poter quasi mai disporre degli uomini e dei mezzi necessari per una efficiente politica coloniale tranne, paradossalmente, nel periodo immediatamente precedente alla battaglia di Adua allorché peraltro la dovizia di mezzi e personale non poté essere adeguatamente e tempestivamente sfruttata. Com'è noto, l'Italia entrò nella storia coloniale giusto IIO anni fa con due targhette di legno che, saldamente fissate ai pali posti alle estremità della baia di Assab, portavano la scritta : « Propr.ietà Rubatùno comprata agli I I di marzo 1870 >> . Qualche giorno dopo una scorreria di soldati egiziani le distrusse e, per il momento, tutto finì lì. 15 anni dopo, il 5 febbraio 1885, gli Italiani subentravano in Eritrea agli Egiziani, impotenti a frenare le scorrerie dei predoni abissini, sbarcando un piccolo contingente di 8oo uomini, al comando del Col. Saletta, nella rada di Massaua. Nel periodo successivo, pur con alterne vicende (massacro della colonna De Cristoforis a Dogali) l'occupazione veniva estesa verso l'interno, specie ad opera del Generale Baldissera, che usò con una certa spregiudicatezza i tradizionali sistemi coloniali: truppe indigene e discordie « opportunamente >> provocate fra i capi locali. Con laconica, ma efficace sintesi, il Bellavita riepiloga così gli avvenimenti successivi: « . .. quell'arida e disabitata lingua di sabbia sulle rive del Mar Rosso fu l'origine di grandi avvenimenti .. . Da Moncullo si andò a Saati perché la via era infestata di predoni; da Saati a Cheren; ma Cheren era minacciata dall'Asmara che bisognò di conseguenza occupare; ma le nostre carovane erano an-


DA ASSAB AD .'\DUA

189

cora molestate verso Cassala e ci sì spinse fino ad Agordat prima e poi a Cassala stessa. Ma l'Asmara era sopra un precipizio, mentre occorreva una linea di confine forte e sicura e si arrivò fino a Godolefassi, a Adi Qualà, al Mareb. L'occupazione di Cassala rendeva però necessaria anche una posizione forte a sud ed eccoci ad occupare e fortificare Adigrat, che però non si poteva tenere senza il possesso dell'altra estremità della base sud e si dovette occupare Adua; infine occorreva sorvegliare il nemico che si andava concentrando verso il lago Ascianghi ed eccoci prima a Makallè, poi ad Antalò, poi ad Amba Alagi . . . infine a quasi 400 chilometri da Massaua ... >>. A coronamento del1 'azione militare, il I'' gennaio 1890 veniva costituita la Colonia Eritrea. In poche righe vengono così riepilogati i successivi IO anni di storia della espansione coloniale italiana. Purtroppo essa aveva avuto inizio e si era sviluppata sotto l'influsso di un equivoco di base: quello che - a somiglianza dì quanto si era verificato per altre grandi potenze - la conquista di un vasto impero coloniale potesse effettuarsi a buon mercato e dare subito sostanziosi vantaggi. Ci trovammo, invece, gravati del peso di un'impresa militare che dovette essere condotta, sempre con mezzi insufficienti, contro un impero meno sconquassato di quanto non avessimo immaginato e l'esercito più numeroso e bellicoso di tutta l'Africa. Ad essi si contrappose da parte nostra una direzione politica impreparata sugli specifici problemi dell'espansione coloniale; una opinione pubblica incerta o addirittura contraria, pressata dalle polemiche non sempre responsabili, né pacate, dei partiti pol itici; una direzione militare « in loco » esitante e divisa fra i complessi di inferiorità del Baratieri e quelli . . . di superiorità dell' Arimondi, destinati entrambi ad urtare contro una realtà terribile, nei riguardi della quale nulla poterono le benemerenze precedentemente acqui· site, né il coraggio personale dei combattenti. L'illusione pervicacemente coltivata per anni che la nostra occupazione non toccasse le suscettibilità e le rivendicazioni territoriali abissine (in quanto le zone occupate non erano mai appartenute all'Impero Etiopico), incrinata dalla denuncia - fatta da Menelik malgrado innumerevoli minacce e blandizie - del trattato di Uccialli (rr maggio 1893), crollò definitivamente alla notizia che il Negus bandiva il kitet (mobilitazione generale) e muoveva da Addis Abeba verso iJ nord (estate r895). Molti storici e cronisti hanno tacciato Menelik di ingratitudine e doppiezza nei nostri confronti. In realtà, egli assolveva alla funzione storica propria di qualsiasi ras divenuto imperatore d'Etiopia. Aiutandolo alla rivendicazione del potere contro il Iegus Giovanni


190

L'ESERCITO ITAU.\NO DALL.'I.JKITÀ ALLA GR.\'lllE Clli:.RR.\

(1861- 1918)

(r887- r889) e, dopo la tragica morte di questi. sostenendolo nel1a delicata fase di assunzione del potere contro gli altri pretendenti (primo fra tutti ras Mangascià, figlio adottivo di Giovanni), noi non facemmo altro che agevolare la ricostituzione del suo stato su basi .più salde. Cioè, in pratica, potenziammo il futuro inevitabile nemtco. Non è gradevole dover riconoscere invece che fu proprio la nostra politica coloniale ad essere spesso ambigua. Il governo Di Rudinì (1891), ritenendo fallito il programma del Crispi, trascurò infatti Menelik cercando di incutergli un salutare timore mediante una serie di approcci con i ras tigrini. Le nostre lunghe e complesse manovre politiche approdarono al risultato esattamente opposto a quello desiderato: ci inimicammo il Negus senza ottenere garanzie dai suoi avversari, i quali anzi si riavvicinarono progressivamente a lui finendo con il marciare al suo fianco nell'autunno 1895·

AMBA ALAGI, MAKALLÈ E LE MANOVRE DEI DUE ESERCITI.

Secondo molti autori, la sconfitta di Adua trova la sua radice prima nel combattimento dell'Amba Alagi (7 dicembre r895), preceduto peraltro l'anno prima da alcuni successi locali sui quali la stampa nazionale favorevole all'impresa africana imbastì un certo battage pubblicitario che contribuì a fomentare le illusioni di molti . Ai successi del 1892 contro i Dervisci (Agordat, Serobati, nuovamente Agordat, Cassala) erano seguiti quelli contro i ras tigrini ribelli (H alai, Coatit, Senafè) del r894- 95· Poi il lungo prologo della tragedia. La vana resistenza del IV battaglione indigeni del Magg. Toselli - il leggendario battaglione nero - ed il massacro che ne seguì, posero infatti in piena luce gravi contrasti politico- militari che fino a quel momento erano rimasti celati, o quanto meno mascherati, dai successi dell'ultimo quinquennio. Il governo Crispi, messo praticamente sotto accusa da cattolici e socialisti per motivi contrastanti, ma volti comunque allo scopo di abbattere (( il gran vecchio », veniva abbandonato anche dalla borghesia, preoccupata delle ripercussioni economiche della sconfitta e dell'inevitabile aggravio di spese che ne sarebbe derivato. Crispi, in ansia per la piega presa dagli avvenimenti, cercava di <c scaricare » le responsabilità sui predecessori (« ... l'impresa africana non è mia ... »), su Menelik (« ... chi ha mancato a quel trattato? Noi no. Mcnelik vi mancò ... >>) e, un po' più velatamente, anche sul comandante superiore in Africa (« . . . Si chiese


DA

ASSAB AD ADUA

a lui quali fossero i bisogni della difesa. Non gli furono posti limiti perché egli solo poteva giudicare e sapere ... »). In colonia si aggravava intanto il dissenso fra il Baratieri e l'Ari mondi: il primo esitante e combattuto fra le esortazioni ad osare del Crispi e la constatazione obiettiva di una realtà militare in progressivo deterioramento; il secondo proteso verso una offensiva che, secondo lui, avrebbe avuto vaste possibilità di successo ed essere foriera di ulteriori, promettenti sviluppi. Il dissidio fra i due induceva nei loro subordinati « un senso di deprimente sfiducia nel nuovo ambiente e nel comandante in capo )l . All'insuccesso di Amba Alagi seguì l'assedio del forte di Makallè (I- 23 gennaio 1896) che - se dimostrò una volta ancora a Menelik che l'impresa cui si accingeva non era per nulla agevole ebbe d'altro canto un ulteriore effetto deprimente sui nostri Quadri militari, che poterono riscontrare direttamente l'errata impostazione strategica della campagna. Quali risultati avrebbe potuto conseguire infatti, nell'economia generale della campagna stessa, la resistenza di piccoli presidi come quelli di Alagi e Makallè, condannati inesorabilmente alla distruzione? L' Arimondi ed il Baratieri ritenevano lesi vo del nostro prestigio e pregiudizievole per le sorti dell'intera Colonia Eritrea l'abbandono dei territori conquistati nel Tigrè e nell' Agamè, ma giovarono forse a tale prestigio due consecutivi insuccessi? Siamo così giunti ai giorni immediatamente precedenti la battaglia. I due avversari, sempre più vicini, si osservano, studiano ì reciproci movimenti, cercano di raccogliere notizie ed informazioni il p~ù possibile esatte sulle rispettive intenzioni e consistenza numenca. Menelik, la sua corte, le bande dei ras venuti ad ingrossare ]'esercito imperiale, sembrano voler muovere direttamente su Edagà - Hamus ove è concentrato il grosso delle forze mobili italiane, per invadere l'Eritrea attraverso l'Agamè. Poi, la sera del 31 gennaio, giunge notizia che il nemico ha deviato verso Adua. Esso intende evidentemente minacciare il fianco degli italiani e, contemporaneamente, cercare territori meno impoveriti dalla guerra, ai fini del rifornimento di viveri e foraggi. Baratieri ritiene di poter fronteggiare la nuova minaccia spostando le sue forze da Edagà - Hamus ad Entisciò, cioè da ovest ad est dj Adigrat. Anche questo movimento non sfugge però alla sorte comune alle fasi salienti della battaglia: secondo alcuni l'abbandono di Edagà - Han1us per Entisciò rappresenta la geniale decisione di un capo che supplisce con la manovra all'inferiorità numerica delle forze; per altri lo stesso movimento costituisce un


192

L'ESERCITO ITAUAJ'O DALL.UNITÀ ALLA CRANDF. GUERRA

(186I- 1918)

grave errore, sicuro anticipo dell 'inevitabile sconfitt a, per i riflessi negativi che esso e~ercita sul morale dei combattenti. Come che sia, dopo una serie di puntate e ricognizioni di varia consistenza intese a saggiare lo schieramento nemico, il Corpo di spedizione occupava il 13 febbraio quelle che sarebbero state le nostre definitive basi di partenza: le alture di Tzalà - Adi DichèSaurià (fig. 1) antistanti la conca di Entisciò. Le intenzioni di Baratieri non brillano mai per eccessiva chiarezza, ma è certo che con questo movimento egli contava di provocare il nemico spingendolo ad attaccarci su terreno naturalmente forte ed a noi ben noto. Nel caso ciò non si fosse verificato, sarebbe rimasto al nostro attivo il vantaggio morale di c< avere osato un'altra manovra offensiva e di avere sfidato l'imponente numero degli Scioani » . Purtroppo Menelik non era della stessa opinione o, per meglio dire, perseguiva esattamente il medesimo scopo: farci abbandonare le posizioni scelte ed attaccare le colonne in movimento, soverchiandole con l'enorme superiorità numerica di cui disponeva. Le implicazioni politiche della situazione interna e le impazienze personali di Crispi, le difficoltà logistiche conseguenti alla rivolta - accortamente fomentata dal Negus alle nostre spalle con la diserzione dei ras Sebath e Agos Tafari - favorirono purtroppo i disegni di Menelik, non quelli di Baratieri, che la sera del 28 fel>braio 1896 convocò i quattro comandanti delle sue Brigate (Albertone, Dabormida, Arimondi, Ellena) ed il Capo di Stato Maggiore (Col. Valenzano) per una riunione destinata anche essa a suscitare un'infinità di polemiche a posteriori. Esaminando a mente fredda la situazione, la soluzione da prendere appare chiara e priva di alternative: constatata l'enorme superiorità numerica abissina, le difficoltà logistìche (su 3.000 cammelli necessari se ne avevano solo 1.700), l'impossibilità di ricevere consistenti rifornimenti in breve tempo, bisognava abbandonare il Tigrè e l' Agamè settentrionale, ritirarsi dietro il vecchio confine del Mareb ed organizzarvi la difesa manovrata. Quando il prolungato soggiorno in regioni lontane dalle sue basi avesse convenientemente indebolito il nemico (ed i germi del dissolvimento cominciavano già a manifestarsi) si sarebbe potuto pensare alla controffensiva. Le decisioni prese nella riunione furono, invece, influenzate anche da fattori di altro genere. Pur se alcuni testimoni dichiararono alla commissione d'inchiesta di avere udito certe affermazioni o di non averne udito determinate altre, è piuttosto difficile ricostruire esattamente le dichiarazioni dei partecipanti al consiglio di guerra. Più facile è invece, anche sulla scorta di lettere private scritte dai protagonisti prima della riunione, ricostruire le opinioni dei


~

:::

~

~

...

..

q .. <:> ._

l

' '

l l

. l

.

~

~

•q, ~

~

~

.irrL~

@/~ l

/

l

rgJ\ \

~ '01

'

..

...:::'il ..

' ' "' \

'\

l \

l

L____________________________________________________________ ~ ~


l 94

L'ESERCITO IT,\LT.\NO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUI:.RRA ( 1861 - 1918)

quattro generali. che parlarono successivamente, in ordine di anzianità. Tutti, per motivi di opportunità politica e morale, esclusero la convenienza di un'immediata ritirata. Nessuno propugnò, come invece asserì poi il Baratieri, l'offensiva a testa bassa. Con calma determinazione l'Albertone, con maggior insistenza il Dabormida, sostennero l'opportunità di non ritirarsi subito, di adottare vari provvedimenti intesi a migliorare la situazione logistica e <( di spiare l'occasione per dare addosso al nemico >>. Più ottimista, l'Ari mondi - comprensibilmente preoccupato di non oscurare la fama acquisita in precedenza - caldeggiava una dimostrazione offensiva che avrebbe potuto anche determinare una precipitosa ritirata del nemico (era già avvenuto una volta contro ras Mangascià, perché escludere che potesse verificarsi una seconda?). Giunto da pochissimo tempo in colonia il Gen. Ellena si allineò sostanzialmente con l'opinione di Arimondi. La riunione si chiuse con la comunicazione del Comandante in capo che avrebbe meditato su quanto prospettatogli, atteso nuove informazioni sul nemico e preso poi una decisione. « Se questa sarà per l'offensiva farà raccogliere gli elementi necessari per dar seguito ». Tutti tornarono ai loro alloggiamenti convinti, pertanto, che se marcia avesse dovuto esserci, vi sarebbe stata solo qualche giorno più tardi. Alcuni reparti furono addirittura distaccati per le requisizioni a pagamento di viveri, delle quali era ormai ridotto a vivere il Corpo di spedizione, e - richiamati d'urgenza la mattina seguente - giunsero stanchissimi a Saurià per riprendere subito dopo la marcia verso il nemico. Sui moùvi che lo indussero a decidere l'avanzata immediata il Baratieri è piuttosto laconico: « Nella notte fra il 28 ed il 29 risolsi di avanzare nella notte successiva fino alla seconda posizione. verso Adua ... ». Per qual mai ragione tanta improvvisa fretta? Ammesso che avesse ricevuto informazioni tali. come egli sostiene, da incoraggiarlo nella decisione di muovere, se non in quella di attaccare, perché non dare le necessarie disposizioni con minore precipitazione dopo mesi di esitazioni (anzi di << tisi militare», come fu definito il suo atteggiamento precedente)? Perché non attendere almeno l'arrivo de !l 'ultima carovana di rifornimenti, previsto per il 4 marzo e raccogliere il maggior numero possibile di uomini e mezzi sguarnendo, magari temporaneamente, alcuni presidi interni? Tutto ciò è inesplicabile ed avvalorerebbe la tesi di chi sostiene che. essendo egli venuto a sapere per vie traverse della sua imminente sostituzione con Baldissera, già decisa da Crispi, abbia voluto tentare di riguadagnare la partita in una battaglia campale, confortato


OA ASSAB AD ADIJA

1 95

nella sua decisione dalle notizie delle difficoltà che affliggevano l'esercito di Menelik. Più verosimile la spiegazione delle sue decisioni in chiave psicologica, visto che non esistono prove del come e del quando egli avrebbe potuto ricevere notizia dei provvedimenti presi a Roma. Tale ipotesi è, d'altro canto, da lui sdegnosamente respinta. « Veniva incessante alla mia mente il caso contemplato dal Moltke, nel quale una ritirata può essere in definitiva più dannosa di un insuccesso))' scrive il Baratieri, << ••• svelandoci - sostiene il Bat~ taglia - quale fosse "l'ombra di Banco" che doveva perseguitarlo nel suo soliloquio : un complesso invincibile di inferiorità nei confronti dei suoi più dotti e ardimentosi colleghi ». « Durante la giornata del 29 - soggiunge il Baratieri - tutte le informazioni combinavano per consigliare il movimento innanzi >>. E il Battaglia : '' Un indugio da parte nostra anche di sole 24 ore ci avrebbe fatto trovare il campo abissino in via di ripiegamento, avrebbe aperto forse la strada alla vittoria, certamente avrebbe evitato il disastro; ma quest'indugio, pure logico, diventa impossibile a causa della determinazione del Baratieri di cogliere l'occasione propizia; tanto più apparentemente energica, quanto pitl è in lui perdurante l'incertezza; una simulazione di volontà, più che una effettiva capacità di decidere. Così si giunge a quel punto miste~ rioso della storia degli uomini in cui il caso è tutto e domina incontrastato gli eventi ... S'è rotto il filo logico che riduce la storia qual è narrata dagli europei e quanto avverrà d'ora in poi sarà mosso dall'invisibile fato cui prestan fede gli africani, tanto da produrre la più incredibile ed assurda battaglia che si sia mai verificata nella storia moderna >> . Gli dei hanno già deciso, insomma, e la bilancia pende verso il lato nemico!

L'oRDINE m oPERAZioNE. Alla riunione mattutina, nella quale il Baratieri fece conoscere

le sue decisioni ed emanò gli ordini verbali per l'avanzata, ne seguì una seconda - alle Ij,OO del 29 febbraio - per riconfermare le informazioni e ]e disposizioni del mattino. L'ordine scritto giunse solo a sera, tanto che qualche generale lo lesse distrattamente mentre, già a cavallo, passava in rassegna i reparti (Dabormida). Altri (Albertone) rilevò che lo schizzo allegato all'ordine (fig. r) era (\ molto puerile ed anche molto errato>> . Il Capo di S.M., Col. Valenzano, si scusò asserendo che in compenso erano state assegnate


a ciascuna Brigata guide abili e fidate. Tanto fidate che pare sia stata proprio una di loro ad informare il campo nemico dell'inizio del nostro movimento. Vale la pena di riportare questo ordine di operazione, non fosse altro per le diatribe che scaturirono dalla sua interpretazione (ma cosa. nella battaglia di Adua, non costituì oggetto di discussione polemica?). <<Ordine di operazione 29 febbra io r896, n. 87. '< Stasera il

Corpo di operazione muove dalla posizione di Saurià in direzione di Adua, formato nelle colonne sotto indicate: colonna di destra (Gen. Dabormida): 2"' Brigata di fanteria - battaglione milizia mobile - Comando z• Brigata di artiglieria ( () con le batterie s", 6") t; -

- colonna del centro (Gen. Arimondi): ra Brigata di fanteria - x• compagnia del V battaglione indigeni - batterie ga e n •; - colonna di sinistra (Gen. Albcrtone): quattro battaglioni indigeni - Comando della r" Brigata di artiglieria e batterie x", 2", 3" e 4"; - riserva (Gen. Ellena): 3"' Brigata di fanteria - III battaglione indigeni - 2 batterie a tiro rapido e compagnia genio.

« Le colonne Dabormida, Arimondi cd Albertone alle ore 21 muoveranno dai rispettivi accampamenti; la riserva muoverà un'ora dopo la coda della colonna centrale. <l La colonna di destra segue la strada colle Tzal à, colle Guldam, colle Rebbi Arienni; la colonna centrale e la riserva la strada da Adi Dichè, Gundaptà, colle Rebbi Arienni; la colonna di sinistra la strada Saurià, Addi Cheras, colle Chidane Meret; il Quartier Generale marcia in testa alla riserva. << Primo obiettivo: la posizione formata dai colli Chidanc Meret e Rebbi Arienni, tra monte Semaiatà e monte Esciasciò, la cui occupazione verrà effettuata dalla colonna Albertone a sinistra, dalla colonna Arimondi al centro e dalla colonna Dabormida a destra. La colonna Arimondi però, ove siano sufficienti le colonne Albertonc e Dabormida, prenderà posizione di aspetto dietro le due Brigate predette.

(1) Attuale gruppo di artiglieria.


DA

ASSAB AO ADUA

« Avvertenza.

« Ogni militare di truppa italiana porterà seco la propria dotazione di cartuccie (II2), due giornate di viveri di riserva, la rnantellina, borraccia e tascapane. « Per ogni battaglione italiano marceranno al seguito delle truppe, riuniti in coda alle singole colonne, due quadrupedi da soma con materiali sanitari e otto con le munizioni di riserva. Tutti i rimanenti quadrupedi da salmerie, con un soldato ogni 5 quadrupedi, un graduato per battaglione o batteria, un ufficiale subalterno per reggimento di fanteria, un capitano per tutte le salmerie (fornito dalla 2 a Brigata) si raccoglieranno ad Entisciò con la razione viveri prelevata oggi per domani, le trenta cartuccie per ogni soldato prelevate oggi dal parco, le tende, le coperte e gli altri materiali non trasportati dai Corpi. Tanto le suddette salmerie quanto la sezione sussistenza, i vari servizi di tappa ed il parco di artiglieria, resteranno fermi ad Entisciò pronti a muovere quando riceveranno l'ordine da questo Comando, sotto la protezione di un presidio del t reggimento fanteria, che giungerà stasera da Mai Gabetà. Le Brigate di artiglieria e i battaglioni indigeni si regoleranno per le loro salmerie in modo analogo a quanto è detto per i battaglioni italiani. Nessuno oltrepassi le punte e i fiancheggiatori delle colorme. « Tutte le persone fermate dai drappelli di sicurezza siano inviate al più presto al Comando. Il Direttore dei Servizi del Genio provvederà per lo stendimento della linea telegrafica al seguito del Quartier Generale e perché, appena possibile, questo sia messo in comunicazione colle colonne laterali o antistanti mediante telegrafia ottica. I comandanti delle varie colonne mandino frequenti avvisi al Quartier Generale ed alle colonne vicine. Il Tenente Generale O. Baratieri >> . Il computo delle forze, desunto dall'elenco dei reparti, dà un totale di 14.500 (secondo altre fonti IJ.Ooo) uomini con 56 cannoni. Meno del so% dei presenti nella colonia (calcolati in 33.621 unità), contro una massa di etiopici valutata da 9o.ooo a 12o.ooo uomini. Nel conto del nemico occorre però includere anche parecchie decine dì migliaia di guerrieri armati solo di armi bianche, incaricati di sostituire i caduti dopo aver preso loro il fucile. Dal raffronto si desume che mancava in partenza qualsiasi elemento materiale a noi favorevole, esclusa la superiorità numerica e tecnica dell'artiglieria ... che una serie di ordini avventati (primo fra tutti quello di ridurre la dotazione munizioni delle batterie na-


zionali da 130 a 90 colpi per pezzo) si incaricò subito di neutralizzare. L'armamento dci due eserciti era d'altro canto piuttosto simile. Alcuni nostri reparti avevano già ricevuto i l nuovissimo fucile mod. 1891, ma - per uniformità di armamento con le truppe indigene ed allo scopo quindi di semplificare il rifornimento munizioni - esso fu loro ritirato. Così, dopo aver sentito tessere le lodi dell'arma dai loro Ufficiali, questi uomini si videro restituire il vecchio e vituperato Vetterly cal. 10,5 del quale disponevano anche parecchie migliaia di abissini, ai quali lo avevamo offerto noi in dono appena qualche anno prima! Gli etiopici avevano anche Gras francesi, Martini- Henry inglesi, Remington americani. Ma veniamo ai principali appunti mossi all'ordine di operaz10ne: - indeterminatezza deglì scopi del movimento. Vi si legge : << ••• il Corpo d'operazione muove verso Adua ... » e « .. . primo obiettivo .. . n, ma non è precisato cosa dovrà accadere dopo il probabile raggiungimento di questo obiettivo. Che significato ha prescrivere un movimento di carattere operativo verso una certa località? Raggiunta! a, le Brigate dovranno proseguire? Fin dove? Qual è il secondo obiettivo? Adua? Ovvero si dovranno attendere nuovi ordini?; - eccessiva durata del movimento, che avrebbe dovuto conseguire la sorpresa tattica. Nei chiarimenti verbali del mattino, il Baratieri aveva indicato le 5,00 come ora di probabile arrivo sull'obiettivo. 8 ore per percorrere circa 15 km di strada, seppur accidentata, sembrano francamente troppi ed infatti già alle 3- 3,30 del r" marzo, il Negus era informato dell'inizio del movimento stesso. La partenza anùcipata causò inconvenienti non lievi nell'approntamento di materiali e mezzi ausiliari; - mancanza di precise disposizioni per il collegamento fra le colonne. Se tale collegamento fosse stato mantenuto - servendosi dei reparti indigeni presenti in tutte le Brigate e più agili e mobili dei nazionali - molti dei gravi inconvenienti successivi (prima fra tutti la progressiva, inesorabile divergenza delle colonne laterali) avrebbero potuto essere quasi certamente evitati; - le indicazioni degli itinerari erano errate : quello assegnato alla colonna Albertone menzionava, nella parte descrittiva, località non riportate in quella grafica e tali da indurre in errore, come infatti avvenne. Se la Brigata Dabormida si fosse fidata dello schizzo anziché delle guide, sarebbe finita anch'essa sulle altre due, perché le loca-


DA ASSAS AD

AJ)UA

1

99

lità di Guldam e Gundaptà, menzionate separatamente nell'ordine, si trovano invece lungo la medesima strada. In realtà, per recarsi da Tzalà- Adi Dichè- Saurià ad Adua, esistono tre strade con andamento pressoché parallelo, distanti l'una dall'altra da 2 a 5 km; ma sono strade etiopiche, cioè a seconda dci casi piste, mulattjere, sentieri o semplicemente superfici accidentate, ove l'itinerario è segnato dai rifiuti delle carovane. Nel buio non era facile riconoscerle, ma comunque nessuna ricognizione fu prcventivamente disposta oltre il piano di Gundaptà (o Ghendebtà); - il dispositivo di marcia fu modificato senza alcuna apparente ragione rispetto a quello seguito nella ricognizione in forze del 24 febbraio, allorché le Brigate erano giunte fino a quella località senza avere incontrato ostacoli di sorta. Ciò determinò una certa confusione nei comandanti, che supponevano dì dover ripercorrere gli stessi itinerari. L'Albertone, ad esempio, credette a lungo di avere alla sua destra la Brigata Dabormida, come era avvenuto la volta precedente, mentre questa volta aveva l'Arimondi; ·- il famigerato schizzo, oltre a riportare in modo difforme dal vero il corso dei torrenti, la direzione delle strade, ecc., dava un'idea falsata dell'andamento generale del terreno. Basta confrontarlo con un documento cartografico sufficientemente approssimato (fig. 2) per immaginare lo smarrimento provato da chi credeva di dover incontrare una duplice serie di rilievi (gli allineamenti: Guldam- Addì Cheras - Zattà e Esciasciò - Rajo- Semaìata) alternati a zone pianeggianti e, una volta raggiunti i colli Rebbi ArienniChidane Meret, trovare davanti a sé il campo aperto. Le prime luci d eli' alba rivelarono invece « un immenso paesaggio, rotto, sconvolto, come appena emerso da un cataclisma naturale)), nel quale le cime dei monti altissimi e dirupati chiudevano da ogni parte l'orizzonte, rendendo precaria ogni possibilità di orientamento. Il povero Gen. Dabormìda, che fra l'altro era miopissimo, ne fu talmente impressionato che per molto tempo continuò ad esaminare ora la carta (r : r.ooo.ooo del de Chaurand) ora lo schizzo avuto dal comando << e a guardarsi in giro con una certa aria di stupefazione, senza voler confessare che non riusciva assolutamente a raccapezzarsi» dice il Bellavita, suo Aiutante di campo ; - lo schizzo distribuito conteneva ancora due gravissimi errori, decisivi ai fini del successivo svolgimento della battaglia : chiamava Colle Chidane Meret quello che è invece il Colle Erarà, fra il monte omonimo ed il Rajo, stretto, angusto, che non si presta a schieramenti di sorta. Il t'ero Chidane Meret è a sud- ovest, 5 o


200

L. ESERCITO IT.\LI:\NO DALL Ul\'1TÀ !\LLA CRA:-IDE Cl1ERR ~ 1

(r86r- 1918)

6 km più innanzi, fra i monti Gosossò ed Enda Chidane Meret (fig. 2). Denominava inoltre << monti Mariam Sciavitù >> (o Scioaitù) il monte Diriam. Si chiamano Mariam Scioatù, invece, sia una lontana amba sia un vallone che si inabissa sotto il pendio del Diriam e si allarga poi nella valle omonima, anch'essa dominata da ogni lato da alte creste di monti (fig. 2).

IL MOVIMENTO. Il Baratieri descrive l'inizio del movimento rilevando che ~< i soldati non erano abbastanza in pugno agli ufficiali», ma marciavano in disordine, perdendo terreno, rivelando scarso affiatamento. C'era insomma una certa confusione: un battaglione della Brigata Dabormida si accodò alla colonna Arimondi, fu avvertito e corresse l'errore ... ma l'auspicio non era favorevole. La Brigata indigeni (Albertone) mosse alle 21,00 dagli accampamenti di Saurià. (\ Anziché seguire la strada naturale e diretta che le si parava dinanzi (fig. 3), per obbedire all'ordine che indicava come luogo di passaggio Addì Cheras andava ad urtare contro la testa della colonna Arimondi, che appunto da quella località doveva passare, arrestandone la marcia per oltre un'ora)) . L'inconveniente non incise troppo sul movimento degli indigeni che, per compensare l'imprevisto allungamento dell'itinerario, aumentarono la velocità; giunsero a Gundaptà a mezzanotte e ripresero la marcia alle 2,30. L'intralcio fu invece di nocumento al movimento nel suo insieme, nel senso che perdette subito, per questo motivo, l'unitarietà e l'ordine che il Baratieri avrebbe voluto conseguire anche a detrimento della celerità. Fu infranto insomma fin dall'inizio anche il canone fondamentale della massa che, con la sorpresa, la sicurezza e l'economia delle forze, costituiscono i principi fondamentali che ogni buon manuale di arte militare si sforza di inculcare nella mente di qualsiasi Ufficiale. A movimento ultimato le « rispettive posizioni restarono segregate dalla natura e configurazione dei luoghi ed i gruppi isolati ed abbandonati a se stessi, perché mancanti di ogni razionale c valiço collegamento da rendere loro possibile di appoggiarsi e sostenersi a vicenda ». La marcia della Brigata Arimondi, dopo un alt per cambio dell'avanguardia, proseguì lenta e regolare fino alle 2,40, quando dovette cedere il passo alla colonna Albertone. Ripreso il movimento dopo circa un'ora e mezzo, alle 6,oo si fermava


T>lr:

?

.LA BATTAG • çn-1177n r 4 ,..T()f,R,tFtr.n , ---;;;,~;;;:~::-~-----nFIL •.1REA DEl L/,1

------------ -


5'c!J/Ne?mRolo e/1é((/vt7 tit!"//e b/"/j?dtf? (',t/L&5?/t?AIEà#t!'t7rt' 7.fJ..18tl/?tff/~d .,;& or~ ~.J

L/R/Mt:JA/1}/ t?/k t:M!' /,.lt?

J .

/16.3· SO//.?&' LV.Ht:l.S,'7Rd//Yt7 Oé6L/ ///AIERL1R/ E L>E6~/ S'C///ER...1ME.AI// t:léké &e/6.#/é A/E.!Ld ,&'T/..tfo~/.4 t:l/ 4/Jt/.4.

"'=====~----=


DA ASSAB Al> ADll.\

a c1rca 1,5 km dalla imboccatura del colle Rebbi Arienni. attenendosi agli ordini ricevuti. La Brigata Dabormida non incontrò ostacoli di sorta. Seguendo le indicazioni delle guide invece che dello schizzo topografìco, alle 5,15 occupò il colle stesso, «che fu trovato sgombro del nemico n, come riferì diligentemente per iscritto il Dabormida al Baratieri. La riserva (Eilena). preceduta dal Comando del Corpo di spedizione. partita un'ora dopo il grosso sostò anch'essa per lasciar passare gli indigeni, riprese la marcia alle 7,00, si fermò a 2 km circa ad est della Brigata Arimondi. sul rovescio dd già menzionato colle. Così, fra le 4,00 c le 7,00 del mattino, il primo obiettivo indicato nell'ordine di operazione era raggiunto. Quando, alle prime luci del giorno, il Gen. Baratieri giunse nei pressi del Rebbi Aricnni, aveva - almeno in apparenza e per il momento - buone ragioni per ritenersi soddisfatto: anche se la marcia non era stata molto ordinata e non erano mancati inconvenienti e malintesi, il suo piano, seppur così male espresso, pareva aver trovato completa attuazione. Del nemico nessuna traccia : forse , dopo averlo apertamente sfidato, sarebbe stato ora possibile disimpegnarsi e sgomberare. O forse era ancora realizzabile un attacco contro le retroguardie di un esercito che era stato descritto quasi in stato di dissoluzione e già sulla via della ritirata, riportando così un clamoroso successo a buon mercato. Il Baratieri ignorava che a quell'ora il destino della battaglia, e con esso quello di molta parte dei suoi soldati. era già segnato.

I COMBATTI:V1ENT!.

Quella che è convenuto chiamare ,, battaglia di Adua >> - afferma a ragione lo Zoli - non è in realtà una battaglia condotta con un solo criterio, sotto un unico comando, in vista di un obiettivo ben definito : si tratta piuttosto di tre azioni slegate e separate nel tempo, nello spazio, nel comando e negli intenti . Il loro epilogo, data la enorme sproporzione delle forze, non poteva essere altro che un disastro. Proprio in considerazione di questa particolare caratteristica, la maggior parte degli autori ha seguito il criterio di esaminare successivamente le azioni delle tre Brigate che, in effetti, combatterono in ore e località diverse, senza alcun legame tattico fra di loro. Attenendoci a tale criterio, esaminiamo quindi separatamente i


204

t.'ESERC!TO ITALIANO DALL'UNI1'1 ALLA GRANDE GUERRA

(1861- 1918)

combattimenti della Brigata indigeni (Alberto ne) e delle Brigate nazional i (Arirnondi, Ellena e Dabormida).

L'azione della Brigata Albertone. L'avanguardia della Brigata Albertone (I btg. indigeni - Magg. Turitto) imboccò la stretta del colle Erarà (che, ricordiamolo ancora, lo schizw chiamava erroneamente Chidane Meret) verso le 3>30 del 1" marzo. Mezz'ora dopo, a causa del rallentamento imposto dalla strettezza della gola, il grosso della colonna ne raggiungeva la coda e doveva sostare. Qui sarebbe avvenuto un fatto che le fonti narrano in modo diametralmente opposto: secondo alcuni il Gen. Albertone, avendo deciso che non era il colle Erarà il luogo indicato per lo schieramento, avrebbe raccomandato al Magg. Turitto di muovere con cautela verso il t'ero Chidane Meret, ma di non superarlo per alcuna ragione; secondo altri egli avrebbe invece sferzato il valoroso ufficiale - che esprimeva legittimi dubbi circa la bontà della decisione di proseguire la marcia - chiedendogli : «Avrebbe forse paura? ». Di qui la successiva imprudenza del Turitto allorché raggiunse e superò l'obiettivo assegnatogli, venendo a scontrarsi con una soverchiante massa di armati etiopici. La colonna proseguì comunque verso la località che il parere unanime delle guide indicava come il Chidane Meret. D i tale decisione venne in seguito mosso appunto all'Albertone, nel senso che egli, senza dare ascolto a considerazioni di sorta - seppur logiche - avrebbe potuto attenersi all 'ordine di operazione ed occupare la posizione indicatagli, che doveva necessariamente coincidere con il primo colle incontrato durante la marcia (colle Erarà). Le sorti dell'intera battaglia sarebbero quindi state pregiudicate da una vera e propria disubbidienza. La questione non è però così sempJice, né i fatti così chiar1. L'azione dell'Albertone non è immune da pecche, soprattutto per quanto riguarda il mancato collegamento con la colonna Arimondi, che si muoveva alla sua destra; ma perché addebitare allo sfortunato generale anche responsabilità che risalgono al Comando del Corpo di spedizione? In realtà egli, giunto al colle Erarà, doveva essere indotto a pensare - considerando l'impossibilità dì schierare le sue truppe per l'angustia della gola - che non fosse quella la località di attestamento prevista, confortato in tale opinione dalle concordi asserzioni delle cc fidatissime guide ». Una volta sboccato fuori dalla strettoia, il panorama dovette apparirgli notevolmente diverso da quello che aveva immaginato ma - deve aver ragionato I'Albertone - evidentemente la carta era


DA ASSAB AD ADUA

205

sbagliata, mentre - poiché la nota sagoma del monte Semaiatà rimaneva ancora alla sua sinistra - si poteva proseguire, come del resto aveva già fatto l'avanguardia. Egli spinse quindi ancora avanti la Brigata fino ad Adi Bccci, fra i monti Monoxeitò e Gosossò (fig. 3), in vista del colle Chidane Merct, « inseguito» per tutta la notte. Erano circa le 5,30 del mattino ed egli spedì al Comando in Capo la comunicazione di aver raggiunto l'obiettivo assegnatogli. Subito dopo, sperando forse di veder sbucare sulla sua destra la colonna di Arimondi e, nel frattempo, di individuare il suo battaglione di avanguardia - che inspiegabilmente non era sul colle si arrampicò sull'altura sovrastante Adi Becci. Qui, improvvisamente, dovette intuire la tragedia che stava per travolgere la sua unità. Il battaglione Turitto, che si era gettato giù per il pendio verso Adua, si trovava un paio di chilometri più avanti e stava andando ad urtare, senza essersene ancora reso conto, contro una enorme massa di Scioani valutabile in 20 o 30.000 guerrieri. Non disponendo di mezzi per modificare lo svolgimento dell'azione né impedire il contatto col nemico - ché già crepitava la fucileria - l' Albertone dovette imbastire in gran fretta lo schieramento dei rimanenti reparti, senza il tempo di riconoscere il terreno e sfruttarne le accidentalità a nostro vantaggio. Il I battaglione, subito fortemente impegnato, si attestò dove si trovava, iniziando un asperrimo combattimento protratto per quasi due ore. Sulla posizione retrostante si schieravano intanto (fig. 4) il VII btg. - Valli - a sinistra; i 14 pezzi delle batterie italiane e indigene (in un fazzoletto di terreno di soli 70 metri di fronte); il VI btg. -· Cossu - a destra; al centro, lievemente ar re~ trato dietro l'artiglieria, l'VIII - Gamerra - in riserva di Brigata; le bande irregolari - Sapelli e Lucca - ai fianchi . Il ciglio del monte Sendedò rimase sguarnito. Il Generale avvertì il comando della situazione in cui era venuto a trovarsi con due successive comunicazioni scritte (ore 6,50 e 7,30), cui ne fece seguire un'altra (ore 8,25) con la quale chiedeva esplicitamente rinforzi. Il primo di tutti questi dispacci giunse al Baratieri solamente alle 9.00, quando la situazione della Brigata era definitivamente compromessa e non c'era più tempo di soccorrerla. Alle 8,15 infatti i resti dell'avanguardia, caduti tutti gli uffi. ciali, rifluirono dal Chidane Meret frammisti alla prima ondata abissina, arrestata però e decimata dal fuoco rabbioso dell'artiglieria, che ributtava indietro le schiere successive, mentre la fanteria indi-


206

L'ESERCITO ITALIANO DALL·U~ITÀ ALLA GRA('.:DE Gt;fRRA

(1861 • 1918)

gena teneva duro sulle posizioni appena occupate. << Apparivano nel campo nemico manifesti indizi di prossima dissoluzione. Grossi reparti abbandonavano il campo della lotta fuggendo; altri, pur continuando a sparare, più non accennavano ad avanzare. L'artiglieria nemica postata sul monte Lazat cessava il fuoco ... >> . Per un momento sembrò che la vittoria potesse arridere alle nostre armi, ma fu i!Jusione di poco. Erano circa le 9,00 quando quella specie di amazzone in gonnella della regina Taitù convinse Menelik a far intervenire i 25.000 uomini del.la guardia imperiale, mentre si profilava per noi un altro gravissimo pericolo. Invece dì proseguire negli attacchi frontali, gli Scioani occupavano le pendici del monte Sendedò, si defilavano in una forra e sbucavano improvvisamente a ridosso del VII battaglione e delle batterie, costrette a sparare a mitraglia per difendersi direttamente. Contemporaneamente si arrampicavano sugli strapiombi del monte Monoxeìtò, prendendo d'infilata le posizioni occupate da gran parte della Brigata. Nel frattempo, il grosso dell'Esercito imperiale sfilava al coperto di queste masse, per andare ad investire le colonne centrali, ormai definitivamente separate daJla Brigata Albertone (fig. 4). Le batterie indigene, esaurite le munizioni, cercavano di caricare i pezzi sui muli; quelle nazionali (le << batterie siciliane))), resistendo intrepidamente in esecuzione dell'ordine: <(Ufficiali e soldati si facciano uccidere accanto ai loro pezzi )), sparavano le ultime cariche contro il nemico, giunto ormai a roo metri; le compagnie, stremate dai continui attacchi, cercavano invano con un ultimo contrassalto di respingere la stretta inesorabile del nemico che, con urla assordanti, si lanciò infine avanti sommergendo letteralmente qualsiasi resistenza organizzata. Alle 9,30 la tragedia era compiuta : 4.8 ufficialì su 8r erano caduti; quasi tutti gli altri feriti; alcuni, tra i quali lo stesso Albertone - caduto sotto il cavallo colpito a morte - fatti prigionieri. I superstiti rifluivano lungo la strada percorsa al mattino o verso nord, in direzione del colle Rebbi Arienni, dietr~ il quale incontrarono reparti della Brigata Ellena ancora in maroa. Verso le Io,oo del I 0 marzo, oltre un quarto del Corpo di spedizione italiano (la Brigata contava 4.. 772 uomini e 14 pezzi) era annientato. La cavalleria Galla poteva proseguire senza ulteriori preoccupazioni il movimento aggirante a largo raggio iniziato qualche ora prima, mentre grosse colonne appiedate si dirigevano sempre più celermente, talora frammischiate ai nostri stessi ascari, verso il monte Rajo, dove avrebbe avuto luogo il secondo atto della tragedia.

.,.


E !TTé6Nié'

T,Z.(JJ ru•

LE:uE:NDA:

• 1)/RETTR/CI i)/ .4.TT4C'CO NEM/CNé

.4TT.4CC#/ .4BISSIA/1 i1Riu4T4 .41.8élti'ONé

IIIIllll

N

~.t/BORMI/JA

~

k

.4/l/NON/JI

"

ELLEN4

D •l• F/6. ~ .

.4RT!tii.IE~tE


i combattimenti delle Brigate Arimondi ed Ellena.

La Brigata Dabormida aveva occupato il colle Rebbi Aricnni alle 5,1), mentre la Brigata Arimondi, uniformandosi agli ordini ricevuti, si ammassava sul rovescio del colle stesso per le 6,oo. Verso la stessa ora giunse il Comandante in Capo, che si soffcrmò nei pressi di un villaggio abbandonato, sulle falde del monte Esciasciò. Da questa località egli udì accendersi - « da davanti, sulla sinistra » - il fuoco della fucileria. Dovette allora comprendere che la Brigata indigeni, fino a poco prima introvabile ai suoi messaggeri (Col. Valenzano c Magg. Salsa), era incappata nel nemico in una posizione molto più avanzata di quella prevista. Conseguentemente dovette apportare al piano originario le modifiche che la situazione improvvisamente delineatasi imponeva. Il Baratieri avrdr be potuto attenersi a due opposte soluzioni: una, difensiva, intesa a ricostituire lo schema previsto dall'ordine di operazione, colmando con la riserva il vuoto lasciato dall'Albertone alla sinistra di Arimondi; l'altra, offensiva, tendente a spostare in avanti il centro di gravità di tutto lo schieramento, portando le altre Brigate a fianco di quella indigena. Egli adottò invece una soluzione di compromesso; decise cioè di ricostituire la linea non più sui lati del Rajo, ma subito davanti ad esso (fig. 3). La Brigata Arimondi ricevette infatti l'ordine di superare il Rebbi Arienni e spiegarsi sulle pendici del Rajo, occupando anche l'antistante monte Zeban Darò; la Brigata Dabormida doveva spingersi a sud per sostenere la resistenza di A lbertone e. contemporaneamente, presidiare il monte Belah per sbarrare le provenienze da sud - ovest sono la protezione di un battaglione di Arimondi (IV, De Amicis) dislocato sullo sperone Erar per dare sicurezza all'estrema destra dello schieramento; la Brigata Ellena infine doveva sostituire la Brigata Arimondi sul colle Rebbi Arienni. Gli ordini conseguenti furono emanati fra le 7,00 e le 8.30. La soluzione adottata non funzionò a causa di una nuova serie di imprevisti: il rapidissimo crollo di Albertone, l'eccessiva lentezza del movimento di Arimondi ed Ellena e la ... scomparsa dì Dabormida. Impartite le disposizioni di cui sopra il Baratieri, ansioso di seguire più da vicino l'evoluzione degli eventi, spostò il suo posto di comando dall'Esciasciò allo spigolo sud- ovest del Rajo, dove fu raggiunto poco dopo dal Gen. Arimondi. Commise con ciò un altro errore, sia perché si rese irreperibile per circa tre quarti d'ora, sia perché dalla nuova posizione perdeva di vista il movimento


D\ ASSAB AD .\DUA

206

della Brigata Dabormida, che aveva il compito essenziale di garantire la continuità del fronte. Poco dopo le 9,oo il suo persistente ottimismo fu scosso non tanto dalla ricezione del dispaccio di Albertone (che, come si è visto, risaliva alle 6,50 c parlava solo dell'inizio di un combattimento), quanto dalla visione diretta c' di una lunga schiera di ascari che volgevano il tergo al combattimento ». Erano i resti dei battaglioni indigeni che cominciavano a rifluire verso il Rajo ed il Rebbi Arienni. Dalla visione di questo primo cedimento nasce una nuova serie di ordini impartiti fra le 9,oo e le ro,oo: all' Albertone di ripiegare \·erso il colle Erarà (ma l'ordine non fu mai ricevuto dal destinatario); al Dabormida di affrettare la marcia per agevolare il ripiegamento degli indigeni ; ad Ellena di rinforzare la sirustra di Arimondi inviando il battaglione Galliano sulle pendici orientali del Rajo. Poco dopo le xo,oo il nemico, cessata ogni resistenza ad Abba Garima, investe la Brigata Arimondi. Grosse schiere scioane attaccano frontalmente mentre altre - secondo la nota tattica etiopica avvolgono le ali aggirando il Rajo da sinistra e, contemporaneamente, infiltrandosi nella valle fra il Belah e lo Zeban Darò. Baratieri diviene ora, più che comandante, partecipe diretto del combattimento. Affascinato dallo spettacolo che si svolge sotto i suoi occhi, da quella marea nera che non segue direttrici, ma si limita a salire e sommergere come la piena di un fiume, egli continua ad essere preoccupato della sinistra e chiede rinforzi ad Ellena, che però non può mandargli quasi nulla perché i suoi reparti, senza avere avuto il tempo di schierarsi, sono attaccati dalla cavalleria Galla e dagli Scioani (fig. 4). Il battaglione Galliano cede inspiegabilmente appena schierato, forse perché stanchissimo per la lunga marcia, forse perché ancora scosso dagli eYenti del mese precedente (resa di Makallè), o infine perché travolto dall'onda degli ascari fuggiaschi incalzati dal nemico. Galliano raccoglie allora intorno a sé una quarantina di superstiti e pronuncia l'ultima frase a noi nota, epica nella sua semplicità: c< Vediamo di finir bene!». L'eroe di Makallè sparisce c non se ne trova nemmeno il cadavere. Sulla fronte, mentre le file sparute della fanteria italiana (reggimenti Brusati e Stevani) fanno fuoco abbarbicate ai gradoni del Rajo e rartiglieria spara con prudenza per non colpire i nostri indigeni in ritirata, gli abissini avanzano nella valle> mettono piede sul Belah (che avrebbe dovuto essere tenuto dalla Brigata Dabormida, ormai lontana ed avviata anch'essa alla distruzione) e sullo Zeban Darò, da dove fulminano le posizioni italiane, impediscono qual-


2 IO

L'ESERCITO ITALIANO D.~LL' U!-IJTÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861- 19r8)

sJasJ movimento, premono sempre più fortemente da ogni lato, schiacciando materialmente il nostro schieramento. Baratieri, ormai conscio della tragica evoluzione della lotta, chiede ad El!ena di far avanzare un reggimento per coprire la ritirata; ma quale? a quell'ora - 14,30 - di 24 compagnie ne rimangono disponibili solo 5· Come si è già accennato, infatti, mentre i due reggimenti (4", Romero e 5", Nava) della Brigata muovevano per occupare il Rebbi Arienni, erano stati attaccati da entrambi i fianchi. Il Generale aveva allora compreso che la situazione precipitava, che davanti a lui Arimondi era praticamente accerchiato e che alla sua sfortunata Brigata non era dato nemmeno il tempo di schierarsi. Ordinò quindi di resistere sul posto (più o meno il rovescio del Rajo e del Rebbi Arienni) cercando nel contempo di corrispondere come poteva alle pressanti richieste del Baratieri. Rendendosi conto che non c'è più nulla da fare, questi impartisce l'ordine di ritirata, cercando di far coprire il ripiegamento dall'artiglieria. Ma neanche questo è più possibile; nella mischia generale cade Arimondi, vengono uccisi tutti gli ufficiali dei bersaglieri, molti della fanteria e dell'artiglieria. Gli uomini, esausti, pressoché digiuni dalla sera precedente, arsi di sete, consci della terribile sorte che li attende se fatti prigionieri, non sono più in grado di opporre una resistenza organizzata. Essi cercano di dirigersi per il piano di Gundaptà su Saurià, ma poco dopo si rendono conto che questa strada è già stata tagliata dalla cavalleria Galla. Nella valle di Jehà - dove dovrebbe trovarsi, ma non c'è, il battaglione Ameglio - si completa la tragedia delle due Brigate e i Galla massacrano senza pietà i soldati che si precipitano verso l'acqua (tre mesi dopo vi furono ritrovati i resti di 1.072 soldati nazionali). Verso le rs,oo, mentre ad Abba Garima i feriti della Brigata Albertone ricevono le prime cure per ordine dell'imperatrice Taitù e Ia Brigata Dabormida conduce ancora ordinatamente il suo combattimento nella valle di Mariam Scioaitù, l'ultimo tentativo del Baratierì di aggrapparsi ad un appiglio tattico (una piccola altura al centro della valle Jehà) fallisce e la ritirata riprende sotto l'incalzare del nemico. I fuggiaschi si dirigono quasi istintivamente verso nord (mancavano disposizioni sui possibili itinerari di ritirata) e nella giornata successiva raggiungono in parte Asmara, in parte Adi Cahiè, base logistica del Corpo di spedizione. Fra questi si trova anche il Comandante in Capo ed il suo Stato Maggiore.

Il combattimento della Brigata Dabormida. Nessuno dei Generali che combatterono ad Adua è sfuggito alle critiche: talvolta feroci, dei commentatori politici e militari del-


T>\

AS~AB

,\D AD\JA

211

l 'epoca. L 'Albertone è stato accusato di aver voluto " prendere la mano " al Baratieri <• per vin cere da solo >> (come se fosse stato possibile battere IOO.ooo etiopici con meno di 5.000 ascari!). Anche il Dabormida ha avuto la sua parte, ma resta il fatto che nell'opinione comune la causa dell a sconfitta di Adua sarebbe da ricercare nelle incertezze del Baratieri (rilevate anche dal Tribunale militare che lo giudicò dopo la battaglia) e nell'errore (( topografìco l> di Albertont:. Quello, più grave e meno spiegabile, del Dabormida è, tutto sommato, scarsamente conosciuto. Circa alle 6,oo del r' marzo, il Generale si incontrò con il Comandante in Capo. con lui udì il rumore della fucileria e da lui ricevette gli ordini che - nelle intenzioni del Baratieri - avrebbero dovuto ristabilire la situazione, realizzando il saliente protettivo del monte Belah e « tendendo contemporaneamente la mano ad Albertone » duramente impegnato ad Adua. In base a quest'ordine la Brigata Dabormida discest: dal Rebbi Arienni, ma anziché presidiare il Belah proseguì per la valle di Mariam Scioaitù. Invece di dirigere a sud, andò a nord. Perché? Bisogna riconoscere che non esiste alcuna spiegazione plausibile e logica, né è possibile che essa venga mai fornita, perché l'unico che avrebbe potuto darla, appunto il Dabormida, cadde nella valle ove si era spinta la Brigata. Non vi sono altri testimoni in quanto egli non riferì a nessuno gli ordini ricevuti, né esternò successivamente i suoi propositi. Questo comportamento corrisponde al carattere del Dabormida quale viene descritto dal suo Aiutante di campo: « . . . era scientificamente e teoricamente colto, ma non era un genio e non aveva grande immaginazione ... Sopravvalutava se stesso e, asserragliato nelle proprie idee, svalutava inesorabilmente chiunque dissentisse da lui» . Riferisce ancora il Bellavita : <( • • • n Gen. Dabormida si accoda al battaglione di avanguardia sempre consultando le sue carte e dimenticando così nella fretta che, secondo le prescrizioni regolamentari, avrebbe pur dovuto comunicare almeno al Comandante del reggimento di testa quale fosse la sua missione. Così fu che né l'Aiutante di campo, né i due Comandanti di reggimento abbiano potuto sapere durante tutta la lunga, disastrosa discesa, quali fossero gli ordini ricevuti dal nostro Comandante di Brigata all'atto di lasciare il Rebbi Arienni . . . >> . Della perseveranza del Dabormida nell'errore sono state tentate tutte ]e spiegazioni possibili: da quella di una involontaria deformazione della prospettiva, che gli avrebbe fatto immaginare un'inesistente soluzione di continuità nella barriera montana che lo separava dalla Brigata indigeni (spiegazione patrocinata dal Poi-


2 I 2

L'f.SEilCll'O IT.\LI.-\NO 0.\LL'tl ~ITÀ ALL~ Gll\;\I)E C l:fllll-\

(1861 · 1918)

lera, minuzioso conoscitore del terreno della battaglia); a quella di una sua disobbedienza volontaria « per prendere la mano al Comandante in Capo>> (ma questa tesi, ventilata nell'.infuriare della polemica politico- militare, è semplicemente assurda); a quella (prospettata dal Bellavita) di un puro e semplice errore di itinerario, determinato da una denominazione polivalente: Mariam Scioaitù è infatti la valle nella quale combatté la Brigata Dabormida, ma - come si è visto - lo stesso nome è dato ad una lontana amba, alla quale avrebbero ritenuto di doverci condurre le « fidatissime guide >> ed è infine la so.lita località inesistente. Il comando chiamava infatti monte Mariam Scioaitù (o Sciavitù) il monte Diriam! C'è ancora chi, con singolare intuito forse vicino alla verità, tenta la spiegazione in chiave di sintesi, tenendo presente il particolare atteggiamento psicologico del Dabormida. Il Battaglia ha ritenuto infatti di individuare l'origine dell'errore da un lato nel temperamento egocentrico del Generale, dall'altro nelle erronee indicazioni del noto schizzo e nella difficoltà di orientamento propria dei terreni montani. In realtà tutte le spiegazioni, per ingegnose che siano, prestano il fianco a valide obiezioni e lasciano ampio margine al dubbio. Non si può quindi fare altro che registrare ancora una volta le tristi conseguenze del grave errore di itinerario compiuto dalla Brigata che, lasciato il colle Rebbi Arienni e percorsi appena 200 metri nella direzione giusta (verso sinistra), imboccò un sentiero in dìscesa che obliquava invece a destra, così stretto da rendere necessario lo sdoppiamento della colonna <( che precipitando sempre più in fondo andò a finire nella propria tomba » (fig. 3). Verso le 9,00 la Brigata ha raggiunto il fondovalle, acquitrinoso, circondato da alture imponenti, tutte ignote. I reparti, dopo la lunga discesa, escono dalla pista e si ricompongono. In lontananza si scorgono le tende dell'accampamento di ras Maconnen, deserte. Il Gen. Dabormida distacca allora il battaglione della milizia mobile indigena sulla sinistra e in avanti, invia a destra una compagnia autonoma e, convinto così di aver provveduto alla sicurezza della Brigata, per nulla preoccupato (se non altro dal fatto che ormai da un pezzo non si udiva più la fucileria né il cannone) invia al Baratieri il noto messaggio (ore 9,15) : « Estesi accampamenti nemici si scorgono a nord di Adua; una forte colonna dirige verso la Brigata indigeni; tendo la mano a questa pur tenendo un forte nucleo di truppe ammassato presso la strada che dal colle Rebbi Arienni tende ad Adua, sorvegliando le alture di destra >>. Siamo decisamente nella giornata delle precauzioni sbagliate: a destra, fino a quel momento, non c'era nessuno; le spalle erano


DA ASSAB AD ADt:A

213

guardate dal battaglione De Amicis (sch ierato sullo sperone Erar dallo stesso Baratieri). A sinistra, invece, solo a sinistra del Dabormida, si era creata la enorme falla che avrebbe determinato la sconfitta e la distruzione dell'intero Corpo di spedizione. Il biglietto fu l'unico della Brigata ricevuto regolarmente dal Baratieri, che ne fu tranquillizzato: evidentemente il suo piano per rimediare all'errore di Albertone si concretizzava nel pieno rispetto delle sue direttive. « Nessuno infatti - dice il Bellavita - poteva persuadere se stesso che alle 9,15, mentre le due Brigate bianche venivano attaccate dal nemico, mentre la Brigata indigeni stava da due ore dibattendosi disperatamente fra l'incalzare di grosse masse nemiche, il Dabormida potesse scrivere quelle frasi relativamente tranquillanti e accennare alla sua Brigata intera ammassata in attesa degli eventi ... e, notisi bene, a distanza di almeno due ore di marcia dalle Brigate più vicine! >>. Il famoso « braccio)) che egli tendeva, inoltre, avrebbe dovuto essere lungo . . . più di 5 km e scavalcare tutto il massiccio del Diriam, che lo separava da Albertone. Verso le lOdO, come era già avvenuto per altre Brigate, ecco accendersi improvvisamente la lotta: il battaglione De Vito, giunto sulla dorsale del Dìriam, viene violentemente attaccato da forze nemiche che vi si erano celate fino a quel momento e distrutto in pochi minuti. Gli altri reparti erano ancora ammassati nel fondovalle quando, circa alle 1I,oo, le creste dei monti si coronano istantaneamente, quasi come in una sequenza da film di avventure, di armati abissini, che si gettano giù per i pendii. Il combattimento si estese a tutti i reparti, schierati da sinistra a destra (fig. 4) nel seguente ordine : III btg. del 3" rgt. fanteria (Ragni); 18 pezzi della Brigata di artiglieria; I btg. del 6" rgt. fanteria (Airaghi). Gli altri due battaglioni di questo reggimento si trovavano rispettivamente uno sullo sperone Erar (il Dabormida ignorava che l'altura era già presidiata dal btg. De Amicis), l'altro a rinforzare l'estrema destra, ove sino ad allora si trovava solo la compagnia autonoma Pavesi. La lotta non ebbe però quel fulmineo andamento che caratterizzò gli altri fatti d 'arme della giornata. Si protrasse infatti per circa 6 ore, talvolta limitata ad un fitto fuoco dì fucileria spesso poco efficace (i nostri fanti sparavano dal basso verso l'alto), mentre <(efficacissimo appariva invece il tiro del!' artiglieria » . Anche a Mariam Scioaitù, comunque, la morsa si andava chiudendo inesorabilmente malgrado alcune esitazioni del nemico che fecero sperare, ad un certo punto, in una soluzione vittoriosa dello scontro.


2 I4

L.ESl'.RCJTO lT.\LlA"SO DALL't'NITÀ ALL\ CJL\NDE Ct:ERll\ (r86r- 1918)

Si è parlato di manovre e contromanovre, ma si tratta di fantasie « a posteriori >> . ~< Tutte le fantastiche narrazioni pubblicate dice una fonte anonima riportata dal Battaglia - da reduci visionari o compiacenti, non sono che puerili invenzioni che possono essere credute solo da chi non ha preso parte ad una battaglia intensa, dove le truppe avversarie sono quasi a contatto. Chi vi è stato sa che quando la truppa è seriamente impegnata non è più possibile manovrare. Si possono lanciare rinforzi per trascinare avanti la prima linea con truppe fresche, si può retrocedere più o meno ordinatamente, si può morire l'uno sull'altro come fecero i nostri bravi soldati, ma null'altro ». In effetti è proprio questo che avvenne: si tentò di alleggerire la pressione nemica con dei contrattacchi, peraltro anch'essi severamente giudicati perché servirono solo ad aumentare le perdite e non a ristabilire la situazione, né tanto meno a risolverla. Fallito l'attacco guidato personalmente dal Generale e dal Col. Airaghi << che si lancia avanti sventolando il casco piumato >>, viene impartito l'ordine di ritirata. I resti della Brigata muovono verso il colle dello sperone Erar, tenuto dai battaglioni Dc Amicis e Raineri, che proteggono il movimento, ma non possono impedire che lungo la ripidissima salita i reparti, già dissanguati nel combattimento, vengano ulteriormente decimati dal tiro degli Scioani, che sovrastano da ogni lato. Favorita da un furioso temporale, la ritirata può continuare con minori perdite, ma mentre calano le ombre del1a sera il Gen. Dabormida scompare in un 'ultima mischia. I fuggiaschi accendono i fuochi ad Adi Chiltè per ingannare il nemico, che insegue con scarsa convinzione, mentre dopo appena qualche ora di riposo proseguono il cammino, separandosi inavvertitamente in due tronconi che giungono finalmente in salvo il 4 marzo.

ET'ILOGO.

I giudizi espressi sulla campagna del x89f) dal Mack- Smith, di solito acuto cd obiettivo giudice degli avvenimenti italiani, dimostrano quanto la propalazione di notizie false e tendenziose possa alterare la verità. Egli dà per acquisito che il Baratieri <( andò alla ricerca del successo e marciò su Adua perché venuto a conoscenza del fatto che Baldissera era stato mandato a sostituirlo >1, mentre sappiamo che simile asserzione potrebbe essere molto difficilmente provata, anzi non lo è mai stata. D'altro canto la decisione di avan-


DA ASSAB AD

ADUA

2 ·15

zare, o per lo meno di non retrocedere, non fu da lui imposta, ma trovò pressoché concordi tutti i Generali del Corpo di spedizione. Lo storico britannico liquida con questo giudizio l'impresa d'Africa: « Un'impresa coloniale per aver successo avrebbe richiesto maggior ponderazione, più denaro e più tempo di quanto l'Italia si fosse aspettata o potesse permettersi >>. D'accordo sul << sì fosse aspettata l>; molto meno d'accordo sul << potesse permettersi », perché, giudicando con questo metro, non si comprende come anche nazioni piccole e piuttosto povere siano pervenute alla formazione di vasti imperi coloniali (Belgio, Olanda, Portogallo). Alla sconfitta si giunse per una serie di cause politiche e militari, remote ed immediate. Fra le cause remote va senz'altro annoverata l'opposizione progressivamente crescente di gran parte dello schieramento politico italiano all'espansionismo crispino. Conseguentemente fondi, personale e mezzi furono assegnati malvolentieri, lesinando sulla qualità e sulla quantità (fenomeno non nuovo questo nella vita politica italiana). In colonia si faceva d'altro canto sentire sempre più vivamente la carenza dei rifornimenti, la cattiva organizzazione dei trasporti, lo scarso coordinamento fra attività militare vera e propr ia ed attività logistico- amministrativa. Le cause immediate della sconfitta sono state esaminate di mano in mano che, col procedere della narrazione, si è seguito lo svolgimento degli avvenimenti. Le esitazioni del Baratieri e la sua incapacità di tenere a freno i dipendenti, le lacune dell'ordine di operazione, gli errori dello schizzo topografi.co, le deficienze del servizio informazioni e, sul campo, l'enorme sproporzione numerica ed i gravi errori di condotta delle Brigate (soprattutto delle due laterali, Albertone e Dabormida), condussero il Corpo di spedizione alla catastrofe. Su 9.837 soldati e 571 ufficiali nazionali, trovarono la morte 3·772 soldati (oltre il 38 ';;~) e 262 ufficiali (il 46%). Le perdite dei reparti indigeni non sono esattamente valutabili, ma furono certamente molto gravi, anche perché gli Etiopici furono particolarmente crudeli con gli ascari eritrei e tigrini caduti nelle loro mani. Ai prigionieri furono tagliati la mano destra e il piede sinistro, per impedir loro di montare a cavallo per il resto della vita! Il totale complessivo dei caduti e dei feriti, come si vede, ascende a più della metà dei combattenti. Le cifre smentiscono così chi, in Italia e fuori, volle accreditare la leggenda di una scarsa combattività dei nostri soldati. Gli Etiopici ebbero circa 7.ooo morti e Io.ooo feriti.


216

L'ESERCITO ITALIANO J)ALI... UNIT,\ ALLA GRANDE Cl'l:.RRA

( t!l6I ·1918)

La ritirata dei superstiti fu drammatica ed ebbe aspetti allucinanti: le truppe nazionali ed indigene, tormentate dalla sete, stremate dalla fatica, furono a lungo inseguite ed attaccate dalla mobilissima cavalleria Galla che arrecò loro ulteriori, dolorose perdite. I superstiti raggiunsero Adi Caiè ed Adi Ugri c poi Asmara ove, qualche giorno dopo, fu iniziato il riordinamento degli elementi utilizzabili e la loro fusione con le unità giunte dall'Italia, che là si concentravano agli ordini del Gen. Baldissera, giunto a Massaua il 4 marzo per rilevare dal comando il Baratieri. Partito dall"Italia con le direttive del Crispi, ispirate a propositi di vittoria, fu presto raggiunto dalle nuove. opposte istruzioni del governo Di Rudinì. succeduto a quello precedente dopo la reazione delle forze politiche e dell'opinione pubblica alla notizia della sconfitta. Egli assecondò con fedeltà e convinzione tali direttive, avendo compreso che senza un governo disposto a compiere maggiori sforzi non gli erano consentiti propositi bellicosi. E, in fatto di propositi, quelli del Di Rudinì erano chiarissimi: << • •• io mi porto garante che non ci accingeremo mai a fare una politica di espansione ... noi non dobbiamo, cercando l'ignoto, indebolire o perdere la nostra posizione di grande potenza in Europa ... » . Nell'ultimo scorcio del 18g6 il Baldissera perseguì con successo il riordinamento delle truppe ed il loro parziale rimpatrio, mentre riusciva a risolvere i problemi di Cassala ed Adigrat, assediate dai Dervisci e dagli Etiopici , soccorrendo i due forti e facendo sgomberare successivamente quello di Adigrat di iniziativa e senza la pressione del nemico. Al suo arrivo all'Asmara il Baldissera, ritenendo di dover fronteggiare l'attacco dell'intero esercito scioano, aveva impartito disposizioni per la copertura della colonia e per l'eventuale sgombero delle località più esposte, ma non ci fu bisogno di ulteriori t< sgradevoli » sacrifici. Menelik, quasi atterrito per le impreviste dimensioni della sua vittoria e con l'esercito parzialmente in dissoluzione per le perdite subite, la carestia e le epidemie, iniziò infatti alla metà di marzo la ritirata verso il centro dell'impero. Egli aderì di buon grado alla proposta di trattative di pace fatte dal Baldisscra per il tramite del Magg. Salsa e su conforme parere del governo. Il trattato di Addis Abeba, firmato il 26 ottobre r8~, viene giudicato dagli storici molto vantaggioso per noi sul piano concreto. Se con esso infatti veniva definitivamente abrogato il trattato di Uccialli e, di conseguenza, sfumavano le speranze di esercitare il protettorato sull'Etiopia, veniva però riconosciuto all'Italia il possesso della Colonia Eritrea nei suoi confini naturali (i fiumi Mareb, Be-


DA ASSAB .-\D ADt:A

217

lesa, Muna) quali erano stati raggiunti nelle campagne precedenti a quella di Adua. Il trattato prevedeva anche la restituzione ,, a pagamento » dei quasi 2.ooo prigionieri italiani trattenuti fino a quel momento ad Addis Abeba, che furono rapidamente liberati c rimpatriati. La sua ratifica chiuse un periodo di espansione iniziata oltre dieci anni prima e terminata con la « liquidazione l> delle pendenze di Adua. Nei successivi quaranta anni non si avranno in Eritrea avvenimenti militari di rilievo. Il lungo periodo di pace sarà utilizzato per la sistemazione amnùnistrativa della colonia incrementando, anche con coloni venuti dall'Italia, l'agricoltura e l'allevamento del bestiame, specie nelle zone di T essenei e di Cheren. Una pubblicazione ufficiosa del 19<)2 a proposito della battaglia di Adua dice: « Si parlò - c non è raro che avvenga quando eventi tragici accendono le passioni - dell'incapacità dei Comandanti, di debolezze, di indisciplina, di disobbedienza. Si trattò invece soltanto di una fatale coincidenza di fortuite ed imprevedibili circostanze ». Il Whittam, nella sua recente ~< Storia dell'Esercito Italiano », afferma che una vittoria italiana ad Adua sarebbe stata una ... cc fortuita ed imprevedibile circostanza >> a causa delle divisioni di ogni sorta che affliggevano, intorno a quel periodo, la compagine sociale. politica e militare italiana. <1 Gli Inglesi ed i Francesi - egli sostiene - avevano avuto indubbiamente la loro giusta razione di sconfitte coloniali, ma tutte furono controbilanciate dalle vittorie. Per gli Italiani non ci furono vittorie a controbilanciare la sconfitta di Adua e quasi immediatamente il 189<) fu visto come un altro r866, un altro anno di vergogna e di umiliazione ». Al di là delle opinioni troppo categoriche dello storico inglese, resta il fatto che le reazioni alla sconfitta furono in Italia effettivamente eccessive e scomposte. Per calcolo politico furono fomentati manifestazioni e tumulti; sulle piazze si giunse a gridare: « Viva Menelik », si tentò persino di impedire a viva forza la partenza di rinforzi per l'Africa. Caduto il governo Crispi, si intentò un processo al Gcn. Baratieri che non fu condannato, ma c< bollato di incompetenza». La crisi economica cd istituzionale di .fine secolo fece passare in secondo piano il problema coloniale, che per più di un decennio cadde completamente in oblio. Ma l'Esercito non riuscì a dimenticare; il Rochat sostiene addirittura che per esso 11 Adua fu una ferita profonda che si aggiungeva a Lissa e Custoza )>, ed individua nel rancore dei militari verso lo stato liberale, accusato di aver esposto l'Esercito ad una sconfitta umiliante, il germe di future


218

L'ESERCITO rrAI.!ANO DALL'UNITÀ ALLA

GRANDE GUERRA (1861- 1918)

simpatie per la dittatura fascista e per la sua politica bellicosa contro l'Etiopia. La tesi, così come viene prospettata, ci sembra poco documentata ed opinabile; resta il fatto che l'Esercito assolse in Africa incarichi ben superiori alle sue forze senza mai demeritare e pagando un altissimo tributo di sangue, ricevendo in cambio dal Paese molte critiche e qualche retorico elogio.

BIBLIOGRAFIA

Memorie d'Africa, Torino, 1898. lA prima guerra d' Aft·ica, Torino, 1958. BELLWITA &w. Io, Adua, Genova, 1931. BRoNzuou A!-lACUTO, Adua, Roma, 1935. CoMANDO DEL CoRPO m STATO MAGGIORE DELL'EsERciTO - UFFICIO STORico, Storia militare della Colonia Eritrea, volumi I, II e I!I, Roma, 1936. CoRDELLA ERNESTO, L'artiglieria della Brigata Alberto-ne ad Adua, Roma, 1930. Gu.~RNIER ! LI NO, lA battaglia di Adua e il popolo italiano, Torino, r897. MACK- s~HTH DENIS, Storia d'Italia dal I86r al '958, Bari, 1959· MoNTÒ C.uLo, Storia dell'Artiglieria italiana, volume III, Roma, I937· PoLLERI\ ALBERTO, La battaglia di Adua del 1° marzo 1896, Firenze, 1928. RocHAT GIORGIO e M AssoBRIO Gruuo, Breve storia dell'Esercito italiano, Torino, 1978. SETON- WATSON CR!STOPHER, Storia d'Italia daL 1870 al 1925, Bari, 1967· STATO MAGGIORE DELL'EsERCITO - UFrrcw STORICO, L'Esercito italiano, Roma, B..-,RATIERI 0RESTE,

BATTAGUA RoBERTO_,

1~2.

AMEDEO, Storia dell'Esercito italiano, Milano, 1942. Storia dell'esercito italiano, Milano, 1979· Zou CoRMOO, La battaglia di Adua, Roma, I923·

TosTI

WHITTAM JoHN,


VI.

DOMENICO DE NAPOLI

IL CASO RANZI ED IL MODERNISMO MILITARE



DOMENICO DE

NAPOLI

dell'Università di Teramo

IL CASO RANZI ED IL MODERNISMO MILITARE"'

« Il Pensiero Militare è un giornale che fa l'opposizione per partito preso e raccoglie attorno a sé gli elementi malcontenti e insubordinati che si trovano tra gli ufficiali e i sottufficiali. [ ... ] Il fatto che un simile giornale possa trovar vita nei circoli militari italiani è un segno deplorevole dell'indisciplina che regna ormai in certi ambienti. Un fatto simile non ha riscontro in alcun altro esercito europeo l> (I). Questo severo giudizio, tratto da una rivista militare estera, può forse far comprendere quale risonanza raggiunse l'operato di Fabio Ranzi negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. Così come i 3.500- 4.ooo associati al Pensiero, su circa 14.000 ufficiali in servizio, danno la misura quantitativa di un fenomeno non privo di interesse sia per la dimensione della vicenda, sia per il fatto che il fenomeno finì per investire i complessi rapporti fra società civile e società militare. Nel 1897 il capitano di fanteria Fabio Ranzi pubblicava l'opuscolo Modernità militare col proposito di richiamare l'opinione pubblica sull'importanza che rivestono i problemi militari e la loro conoscenza in uno Stato democratico. << Il primo problema della modernità militare : accogliere nel seno delle vigenti costituzioni tutto il retaggio di virtù, che dai vecchi eserciti ci venne trasmesso . E ta.le è l'impegno d'onore per le moderne democrazie: dimostrare che le stesse virtù militari ispirate dalla devozione ad una dinastia, alimentate da un interesse di casta, benedette da una interessata consacrazione religiosa, possono essere prerogative elettissime degli

* Saggio pubblicato su Misure critiche, n. IO - 1 I / !975· (r) lntemationale Revue ùbet· die geramnte armen und flotten, supplemento del novembre rcp7, Berlin.


222

L'f.SE!lC!TO ITAI.IANO DALL' UNITÀ

ALL>\ GRANDE GUERRA (1861- 1918)

eserciti sorti nel fremito di indipendenza, fra gli aneliti di libertà» (2). In che cosa doveva differire, secondo il Ranzi. un nuovo esercito dal vecchio? Anzitutto nella sua composizione intcrclassista. Un esercito moderno, cioè di massa. in quanto tale si sarebbe posto al servizio di tutta la nazione, e non avrebbe potuto più essere il braccio secolare di una dinastia o di una casta; e poi, nel momento in cui si fossero fuse nell'organismo militare tutte le componenti sociali, si sarebbero instaurati sia nuovi rapporti tra esercito e paese, sia diverse relazioni gerarchiche. Certo l'avvento necessario del progresso aveva comportato alcuni inconvenienti, specialmente in quelle nazioni impreparate a considerarlo nella sua giusta dimensione, ed allora t< la libertà mal governata degenerò in licenza, il positivismo male inteso trasmodò in costume utilitario, mercantile e peggio » (3). Ma fu in seguito all'abile confutazione di un libro antimilitarista di GugJielmo Perrero (4) che Fabio Ranzi acqui~tò crescente stima negli ambienti militari, in special modo tra i subalterni. T ale stima personale, unita ad w1a oggettiva crisi morale e materiale che andava maturando nell'esercito, consentì la pubblicazione de Il Pensiero Militare. un giornale trisettimanale sovvenzionato dai l ·336 associati (5). che accettarono l'invito del Ranzi ad abbonarsi . 11 Pensiero nacque col proposito di allargare il discorso sulla questione militare, già iniziato dalla Rivista di fanteria (6), proponendo cioè un'immagine nuova dell'ufficiale, adeguata alla diversa funzione che un esercito veniva assumendo nella società moderna. <• L'elemento uomo deve emergere sopra ogni altro nella valu~ tazione della potenza militare; deve emergere così per esigenze ma~ teriali che per considerazioni d'ordine morale. Pei riguardi d'ordine morale, crediamo riassumere il nostro pensiero in questi due concetti fondamentali : 1) Subordinazione di tutte le volontà alla legge

(2) F. R.~Nzt, Modernità militare, in << Rivista Politica e Lerteraria >>, Roma, 1897, pp. 9- 10. (3) F . RANzl, Modernità militare, cit., pp. 11 - 12. (4) Cfr. G. FER.RERO, Il Militarismo, Milano, 1898. Sulla polemica FerreroRanzi dr. G. SALA, E.-ercito e Militarismo, Milano, 1899. (5) I primi r.336 abhonati a '' Il Pensiero Militare >> furono: 19 generali, 14 colonnelli, 19 tenenti colonnelli, 6o maggiori, 387 capitani, 657 tenenti, 70 sottotcnenti e 44 borghesi. (6) << Rivista di Fanteria >> diretta dal capitano Domenico Guerrini, Roma,

r892- r898.


IL C ASO

RANZI

ED

IL MODER !'JlSMO

MILITARE

223

fatta. 2) Cooperazione libera di tutte le intelligenze alla legge da farsi » (7). Lo sforzo principale compiuto nel primo anno di pubblicazione consistette nel tentativo del Ranzi di inquadrare il problema militare nel contesto della realtà politico- sociale dell'epoca. Partendo da tale prospettiva, il capitano tentò d'instaurare un qualche collegamento con le forze politiche. Sintomatico fu al riguardo l'apparente contraddittoria posizione assunta dal giornale nei confronti del socialismo : mentre da un lato ne combatteva gli atteggiamenti sovversivi dall'altro ne sosteneva alcuni spunti ideali e programmatici. ((Non facciamoci illusioni: i socialisti, e specialmente quelli più intransigenti hanno conseguito troppe vittorie e il governo troppe sconfitte dirette o indirette, giuridiche o morali . . . In poche parole si tratta, come in qualunque combattimento, di prendere posizione prima e meglio dell'avversario» (8). Ciò non impediva al Ranzi di scrivere, a distanza di pochi giorni, una lettera aperta a Filippo Turati. Commentando un articolo dell'esponente socialista, il direttore del Pensiero metteva in risalto i punti di contatto tra la sua concezione militarista e la visione politico - sociale turatiana. << Una più attenta osservazione e l'esperienza pratica costrinsero i socialisti a riconoscere: che la proprietà privata ha ancora una ragione, benché transitoria, di esistere; che le classi non sono due ma parecchie, che i loro interessi si intrecciano in vari modi e le loro alleanze possono essere utili; che la tendenza all'immiserimento è contesa, spesso vittoriosamen te, da tendenze opposte; che lo stato capitalista non è impermeabile aJle influenze proletarie che sappiamo evolutivamente farsi valere, e così via. Voi implicitamente dichiarate che intendete di attuare il fine voluto dal socialismo rimanendo nell'orbita delle istituzioni vigenti, anzi servendosi di esse. La verità è questa: quando il socialismo rinunzia a tutto il suo inutile bagaglio metafisico a cui voi, onore(7) F. R... NZI, l! nostro pt·ogramma, in << Il Pensiero Militare )), a. l, n. r,

29 agosto I903 · Oltre a questo articolo di fondo, c a brevi notizie dall'estero, la prima pagina del primo numero del giornale contiene un polemico servizio sulla necessità di non subordinare le esigenze dell'avanzamento agli interessi dello Stato Maggiore. In seconda pagina, oltre ad un romanzo a puntate, trovano posto due articoli tecnici: H L'evoluzione di squadra e la tattica delle flotte » e « Diritto militare». La terza pagina è dedicata alla cronaca di Roma, al sommario e alle recensioni delle riviste militari. L'ultima pagina è occupata dalla campagna abbonamenti, ma in seguito sarà riservata alle inserzioni pubblicitarie. (8) << Il Pensiero Militare ))' 3 settembre I903·


224

L'ESERCITO ITAUANO DALL'GNITÀ ALLA GR:\NDE GUERR:\

(1861- 1918)

vole signore, egregiamente dite di aver rinunziato perché non vi divertite a correr dietro alle nuvoLe; quando il socialismo si pro-ponga con serio proposito di trasformare l'odio di classe, che è stato fatalmente il primo prodotto dell'agitazione socialista, in una educazione di classe, che tenda ad elevare il proletariato fino alle più alte funzioni amministrative, allora abbandonate tutto quanto v'è di eccessivo ed ingiusto nei suoi mezzi, il Socialismo si eleva innegabìlmente sull'augusta morale del suo fine squisitamente umano>> (9). La collaborazione fra socialisti e « conservatori di larghe idee moderne >> non solo era ritenuta possibile nel nome dei comuni ideali di progresso, ma anche auspicabile per spezzare la « poderosa falange reazionaria >>. Tutto ciò serve a spiegare la posizione del Ranzi e a chiarire l'apparente contraddittorietà dell'atteggiamento del suo giornale. Se come ufficiale non poteva concordare con le idee più scopertamente sovversive, come positivista e « progressista » il Ranzi non poteva fare a meno di dimostrare il proprio entusiasmo ogni qualvolta il PSI fosse più propenso al riformismo che non all'estremismo rivoluzionario. Tuttavia, ·benché il partito socialista fosse controllato dalla sua componente moderata, la campagna di stampa del dinamico capitano non sortì alcun effetto : i socialisti non solo continuarono la loro virulenta polemica contro l'esercito (IO), ma guardarono sempre con sospetto lo stesso Ranzi. Altrettanto deludenti si dimostrarono gli approcci con le altre forze politiche. Come era possibile risolvere le gravi questioni che gravavano sull'esercito, quando i partiti, con i loro preconcetti, non consentivano alcuna soluzione? (II). Se il Parlamento si riiìutava di aumentare le spese militari, non restava che trovare i rimedi necessari nell'ambito del bilancio. Si potevano anzitutto adottare provvedimenti di carattere amministrativo, adeguando la disciplina all'evolversi dei tempi e servendosi di questa evoluzione per sollevare le deplorevoli condizioni dell'organismo militare. Occorreva poi, affermava il Ranzi, qualificare

(9) l! Socialismo, in " Il Pensiero Militare)), 15 settembre I903· (10) Propaganda antimilitarista a domicilio dei futuri coscritti, in « Avanti! >>, 15 gennaio 1906. Sulla campagna antimilitarista del quotidiano socialista cfr. Scialacqui militari per propaganda politica del 4 agosto; Coscritti denutriti, soldati emigrati, mobilitazione compromessa del r6 agosto; La guerra con l'Austria. Speculazioni militari e irridentistiche del 13 settembre; Paese e parlamento contro il saccheggio mi!itaresco del 21 ottobre 19Q6. (n) Cfr. Politica Militare, in «Il Pensiero Militare)), 5 settembre 1903.



226

L' ESERCITO ITALIANO J)ALL' tiNITÀ ALLA GRANDE GUERRA (1861 - 1918)

rimaneva nell'alveo della legittimità costituzionale, questa nuova forma di azione politica andava favorevolmente giudicata. << Può dunque a questo movimento restare affatto estraneo l'Esercito? Noi non possiamo crederlo, perché non sappiamo vedere alcuna ragione per doverlo credere. Anche l'Esercito non può non sentire che una forma di organizzazione è necessaria, affinché nella vita pubblica non seguitino ad essere trascurati gli interessi e i diritti della classe militare >> ( r6). Un discorso questo che per molti versi poteva portare lontano. Infatti fino a quel momento si era ritenuto, almeno in Italia, che la « classe militare », oltre alle questioni di natura economiconormative, non avesse altri « interessi e diritti >>. Appariva chiaro che una qualsiasi ingerenza nella vita civile dei membri delle forze armate, in quanto tali, non solo avrebbe oltrepassato le loro competenze d'istituto, ma avrebbe potuto prevaricare le funzioni del governo e del parlamento. L'avvenimento che doveva risultare decisivo per il sorgere di un « caso Ranzi >> fu la riunione dei soci dell'Unione Militare, che ebbe luogo a Roma nella sala Umberto I i] 27 marzo 1904. Tali assemblee erano sempre turbate da accese dispute per il rinnovo delle cariche sociali, con due tradizionali fazioni : una detta del comando di corpo d'armata e l'altra, cosiddetta dei subalterni, capeggiata quell'anno dallo stesso Fabio Ranzi. Nel corso della disputa il tenente colonnello Bertotti accusò il direttore del Penstero di « offrire i voti dei giovani ufficiali suoi seguaci come si offre un branco di pecore o una turba di schiavi ». Il capitano respinse la pesante accusa, chiedendo l'apertura di una inchiesta ed insultando l'avversario sul suo giornale. « Di fronte all'offesa gravissima ricevuta, il Ranzi aveva davanti a sé tre vie da seguire : poteva sporgere reclamo all'autorità militare, poteva condurre l'avversario, con una querela per diffa~ mazione, davanti al tribunale comune; poteva sfì.darlo a duello. [ ... ] Il R.anzi invece si proclamò superiore a qualsiasi autorità di regolamenti militari e di codici cavallereschi; si proclamò vittima dello Stato Maggiore, iniziò nell'esercito col suo grido di guerra contro lo Stato Maggiore, una specie di lotta di classe » (17). Il consiglio di disciplina convocato dal comandante la Divisione militare di Roma si riunì il 20 maggio 1904 e, avendo deli(r6) F . RM-:zt, l quadri dell'esercito e l'organizzazione di classe, in « Il Pensiero di Roma », J6 marzo 1904· (17) A. Dr GroRcro, Il caso Ranzi e il modernismo nell'esercito, Firenze,

I9<J8, p. r8.


Il. CASO R;\NZI ED

IL MODER N JSMO

~{TLITARE

227

berato sulla questione, espresse il parere che « il capitano della riserva Ranzi cav. Fabio si trovava nel caso di essere rimosso dal grado ». Il ministro della Guerra ( 18) approvò tale verdetto e il 26 maggio venne firmato il decreto reale di rimozione dal grado, sulla seguente speciale relazione a S.M. il Re: « Sire, il capitano Ranzi cav. Fabio per ben due volte si è rifiutato di dare una soluzione cavalleresca ad una vertenza insorta tra lui ed un ufficiale superiore in servizio attivo, dimostrando in tale suo contegno di essere poco sollecito del proprio onore e del decoro del grado. [Il consiglio di disciplina, n.d.a.l ha espresso l'avviso che il capitano Ranzi si trovi nel caso di essere rimosso per mancanza contro l'onore». Non meno dura fu la sentenza emessa dal tribunale di Roma qualche mese dopo, su querela presentata dal colonnello Bertotti: « ..• Egli [Ranzi, n.d .a. ] si trovava a Dio spiacente e ai nemici suoi e doveva volere una reintegrazione che lo riponesse sul .l'antico piedistallo da cui inopinatamente era stato divelto. E volle provocare un'azione giudiziaria in cui dovesse assumere la figura di vittima, cui d 'ordinario si volgono le simpatie dei più, egli che da queste doveva ad ogni costo costituirsi il patrimonio» (19). L'accostamento tra «l'affare Dreyfus )) e i provvedimenti presi contro il Ranzi furono spontanei ed in parte motivati: non soltanto l'ex - capitano si era distinto fino ad allora nella difesa e nella valorizzazione dell'esercito, ma anche le modalità del suo allontanamento apparvero non conformi alle norme militari. Per di più il ministro Pedotti vietò agli ufficiali di collaborare al Pensiero (20), prendendo anche provvedimenti disciplinari nei confronti dì alcuni trasgressori (21 ), benché il regolamento di disciplina accordasse ad essi il diritto di scrivere senza autorizzazione preventiva. << Dietro il Ranzi stanno parecchie migliaia di ufficiali. Ora - osservava Maffeo Pantaleoni - un dissidio nell'esercito, poniamo un dissidio tra ufficiali subalterni e superiori, è lm fatto di tale importanza sociale e politica, e per se medesimo e per le manifestazioni collaterali che verrà presentando, che si imporrà all'opinione pubblica, e la stampa quotidiana assumerà una funzione per

( 18) Il generale Ettore Pedotti fu ministro della Guerra nei governi G iolitti - Tirtoni - Fort is (rgo3- rgos). (19) Sentenza del tribunale d i Roma dd 23 dicembre T904· (2o) Circolare del ministro Pedotti a tutte le autorità militari del 4 aprile 1904. (21) Circolare del ministro P edotti a tutte le autorità militari del ro aprile 1904·


228

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNIT.~ ALLA GRANDE GUERRA ( r86r - 1918)

la quale ora il Parlamento è impreparato » (22). Convinto della validità della sua missione di apostolo della modernità militare in tutti gli ambienti degli strati soc!ali .l'ex capitano si presentò al1e elezioni politiche dell'autunno 1904 quale candidato al II collegio di Roma. I risultati del primo scrutinio non furono definitivi : Ranzi ottenne circa 500 voti ed entrarono in ballottaggio il deputato uscente Santini e il socialista Enrico Ferri. Tra i due, Ranzi non ebbe esitazione. « Domenica scorsa vedemmo il simbolo augusto della margherita, associato all'opera dei clericali votanti per Santini. Contro questo connubio noi sentiamo tutta la ripugnanza d'italiani e di monarchici » (23). Il giorno successivo il direttore del Pensiero aggiungeva: « no, bando alla retorica. Parlar dì pericolo alle istituzioni è assurdo, perché dato e non concesso che col voto a Enrico Ferri si possa aumentare di un gregario il gruppo socialista alla Camera, non questo gregario metterebbe in pericolo la solidità delle nostre istituzioni. Il vero pericolo può venire da tutta altra parte .. . Qual'è oggi la situazione reale? La situazione reale è determinata da un fatto assolutamente nuovo per l' Italia: il partito clericale entra nella vita politica militante del nostro paese l) (24)· Contro questo pericolo il Ranzi non esitò a mobilitare le non molto nutrite legioni dei suoi elettori, ma venne nuovamente sconfitto. Dopo la sfprtunata parentesi elettorale l'azione politica dell'ex capitano divenne ancora più radicale e si concretizzò in furibondi attacchi ai suoi reali o ipotetici nemici: lo Stato Maggiore innanzi tutto, poi clericali e socialisti, stampa ed opinione pubblica. Ma, al di là del risentimento dell'uomo, esisteva realmente una questione morale e materiale nell'esercito? Il 30 aprile 1901 il ministro della Guerra Ponza di S. Martino aveva affermato alla Camera che << le condizioni poco felici di avanzamento in cui si trovano gli ufficiali subalterni erano da un pezzo oggetto di preoccupazioni pel Ministero ». Tale giudizio veniva riaffermato nel 1904 dal ministro Pedotti nella sua relazione al disegno di legge per il miglioramento delle condizioni degli ufficiali inferiori. « Il disagio degli ufficiali inferiori si riferisce ad un doppio ordine d 'idee: la insufficienza degli assegni e la lentezza delle carriere, e io ritengo che sia di improrogabile urgenza recarvi sollievo, tanto nell'interesse particolare del-

(22) « Il Pensiero di Roma >> riprodusse il 10 aprile 1904 un articolo di Maff.eo Pantaleoni apparso su « Il Giorno » di Napoli. (23) ((Il Pensiero di Roma », 8 novembre 1904· (24) « Jl Pensiero di Roma ))' 9 novembre 1904.


IL CASO RANZ! ED IL MODER:--IISMO

MlLlTi\RE

le persone, q uanto e più nell'interesse generale dei quadri e dell'esercito >>. Come osservava il Bava Beccaris (25) nel decennio successivo al 1898 nessuna legge apportò modifiche sostanziali all'ordinamento generale dell'esercito; in effetti, oltre al motivo economico, uno dei _maggiori problemi degli ufficiali riguardava il ristagno delle carnere. La creazione di due nuovi corpi d'armata aveva fatto uscire da Modena 2.ooo sottotenenti in due anni ed altrettanti erano stati nominati nel decennio r882- 1892. I primi di questi corsi avevano sbarrato la strada ai successivi, per cui migliaia di ufficiali avrebbero terminato la carriera militare col grado di capitano, pur avendo acquisito i titoli idonei al raggiungimento di più alti gradi. Altrettanto critica era la situazione dei sottufficiali, in seguito ad una legge del luglio 1902 per cui tutti coloro che sì trovavano in attesa d'impiego all'atto della promulgazione della legge dovevano essere congedati, così come coloro che avevano raggiunto il 12° anno di servizio. Quando si tentò di sanare i problemi dell'avanzamento con decreti legge si peggiorò la situazione, creando nuove disparità di trattamento ed ulteriori incertezze per le singole carriere. Così avvenne con la legge per la promozione speciale di 400 tenenti di fanteria e con la legge del r88r sulla <(posizione ausiliaria>> che, allontanando gli ufficiali più anziani, determinò nuovi squilibri tra arma ed arma. E proprio tali disparità costituirono una ulteriore questione insoluta. << Se in fanteria e in cavalleria si procedeva per esami ed esperimenti, nelle armi speciali l'esame finale della Scuola di applicazione dava il diploma per giungere almeno fino a colonnello. Contribuirono a rendere più sensibile la diversità di trattamento i vantaggi, relativamente considerevoli, accordati, nei primi tempi, agli ufficiali che avevano i corsi della Scuola di guerra, ed a coloro che passavano in Stato Maggiore, per invogliare i migliori ad accorrervi; ed agirono nello stesso senso i successivi aumenti degli organici delle armi speciali più larghi che in fanteria e cavalleria, e resi più sensibili dal fatto che gli appartenenti, trasferiti in Stato Maggiore, erano, nelle promozioni ai gradi superiori, versati in fanteria e cavalleria; e raggiungendo, in giovane età, gradi elevati, vi facevano lunga permanenza, arenando le promozioni nei gradi inferiori >> (26).

(25) Cfr. F. B .w A BEcCARIS, 50 tmni di storia italiana, Milano, 1911 . (26) F. DE CH:AURAN!>, Come l'esercito italiano entt·ò in guerra, Milano, 1929, p. I34·


230

L' ESERCITO 11"ALlAN0 DALL' UNITÀ ALLA GRANDE GU ERRA

(r86r- 1918)

Le cause della crisi non erano però di natura esclusivamente economica, infatti si scontavano ancora le conseguenze negative della guerra eritrea. Nella sfortunata campagna il corpo dì spedizione era dapprima stato incautamente spinto all'azione dalle autorità politiche, che avevano cercato, dopo il disastro, di scaricare l'intera responsabilità sui militari. L'esercito divenne quindi il capro espiatorio della sconfitta di Adua e le conseguenze, anche morali, di un simile avvenimento non mancarono di farsi sentire, non a caso furono gli ufficiali reduci dall'Africa ad intentare causa allo Stato per ottenere l'indennità di entrata in campagna. Così mentre l'Italia si riparava sotto l'ombrello della Triplice Alleanza, all'interno del Paese si andava sviluppando una campagna contro il militarismo, che, nei primi anni del nuovo secolo, portò ad una violenta azione dell'estrema sinistra - con qualche eco anche tra le forze costituzionali - contro le spese militari. Di con.segue~za il bilancio della guerra fu consolidato e congelato per van anm. Tutto ciò avveniva mentre il Paese stava compiendo la sua rivoluzione industriale, che iniziò l'espansione dei consumi e valorizzò i fattori economici. In un simile quadro, mentre i vecchi valori a cui s'improntava l'esercito venivano se non negati quanto meno messi in discussione - in una società che si avviava a privilegiare sempre più la forza del denaro e il successo economico - , la carriera militare sembrava offrire ben poche prospettive. « Intanto l'ufficialità malcontenta fa ressa intorno ad un capitano dissidente processato dallo Stato Maggiore ed insorgente nel suo giornale contro i metodi disciplinari in vigore, e nello stesso tempo le reclute intonano l'inno dei lavoratori>> (27). Effettivamente il Ranzi tendeva sempre più ad accentuare it tono spregiudicato della sua azione un po' perché la sua natura polemica mal sopportava << l'ingiustizia dell'espulsione n dall'esercito, ma anche perché il crescente successo del Pensiero era in qualche modo connesso con la radicalizzazio.ne delle sue posizioni. Di questa tendenza fa fede una lettera anonima indirizzata al ministro della Guerra Pedotti e un articolo sulla questione dei sottufficìali. La lettera, firmata « un gruppo di ufficiali )), venne pubblicata malgrado <<qualche espressione di forma un po' cruda». « Ma innanz1 a tutto considerate il nostro numero, Eccellenza ! Non vi spaventa? oi siam dell'esercito la giovine anima; noi siam le fa-

(27) « Il Giorno », 21 gennaio ISJ05·


Il CASO RANZI ED Il

~OOER!'I$~10

MILITARE

231

langi, noi siam la moltitudine ... Solo una misera vamta, o una deplorevole suggestione possono farvi credere di. essere voi, mentre siam noi l'esercito ... Così vinceremo, Eccellenza! Oh non pos~ sono essere schiavi gli educatori di un popolo libero! l> (28). 11 15 gennaio nell'articolo di fondo si affrontò la penosa situazione in cui si erano venuti a trovare i sottufficiali con la legge del luglio 1902, secondo cui coloro che si trovavano senza impiego a!l 'atto della promulgazione della legge dovevano essere congedati. La maggioranza di costoro, non avendo .l a possibilità di <• sbarcare i.l lunario » si erano dovuti costituire in associazioni di tipo sindacale, che tra l'altro provvedevano al sostentamento dei soci attraverso feste di beneficenza. L'articolo del Pensiero si concludeva con una lettera del Presidente della Federazione Sottufficiali di Milano, di cui riportiamo il brano finale: « . . . se tale provvedimento legislativo [era allo studio del governo un emendamento a favore della categoria, 1l.d.a.l si dovesse risolvere in una delle solite turlupina~ ture, non potremo rispondere di ciò che potrà accadere. Allora non potremo più contenere la violenz a della indignazione che incalza da ogni parte d'Italia con un crescendo da impressionare >> (29). Per arginare la campagna dell'ex capitano, il nuovo ministro della G uerra Ettore Viganò (3o) fece pubblicare sull'ufficiosa « R ivista Militare Italiana >> un articolo contro il « modernismo » del Pensiero. ~~ Gli apostoli sono noti per nome e cognome o per un pseudonimo, o per titolo di un giornale o di una rivista, poco importa. Non sono molti: forse, non più della dozzina regolamentare; ma fecondi, come sono generalmente coloro che lavorano, liberi da ogni vincolo, nel libero e sterminato campo della fantasia pura ... Ma al di sopra di essi vi è qualcuno, vi sono anzi molti, ai quali non debbono far difetto né le cognizioni, né la competenza, né il tempo, né l'ascendente personale né del grado ... P arlano costoro? Essi non parlano; e, non parlando, si rendono complici ed entrano nel branco di quegli altri. perché il silenzio di essi, responsabili competenti cd autorevoli, conferisce un visto tacito . . . >> (31). La risposta di F abio Ranz i non si fece attendere : nello stesso mese di novembre uscì l 'opuscolo Pet· il morale dell'esercito dal quale emer~

(28) Lm~a aperta al Ministro della Guerra. in <l Il Pensiero Militare>>, 8 gennaio 1<)05· (29) <• Il Pensiero M ilitare >i, 15 gennaio J905· (3o) Ettore Giuseppe Viganò, vice governatore dell'Eritrea, fu ministro della Guerra nel 1905- 1906. (31) U. PRIGHT, L'eterna qucsti011e dei subaltcrni. in <<Rivista Militare Italiana ),, t6 novembre x9<J6, p. 2:>29.


2 32

L.F..SERCTTQ l'l'ALIANO DALL'Ut-:ITÀ ALlA GRANDE GUERRA

(1861 · 191 8)

se un'originale concezione della disciplina militare. « Quando adunque, si ponga l'animo generoso di una compagine collettiva di fronte al doloroso bivio di dover scegliere il danno irreparabile della sostanza, è inutile illudersi, è inutile sciorinare prediche di falsi sacerdoti, la scelta non può essere dubbia: s'infrange la disciplina, e si salva la patria >> (32). Questo discorso venne ampliato e definito sul Pemiero: '' Siamo alla fase veramente risolutiva: o salvare la disciplina o la virtù morale dell'Esercito, o salvare il prestigio di un ministro. Da quale parte deve porsi la coscienza di ogni buon soldato? Ragioniamo: da una parte è un potere per sua natura transitorio. accidentale; dall'altra, la forza grandiosa, permanente che garantisce l'integrità e l'onore della Patria. Dubbio, adunque, non potrebbe esservi, se non sorgesse a sollevarlo il fantasma della disciplina. Il nostro regolamento di disciplina parla chiaro: impone ì'obbedienza, ma vuole anche l'intima persuasione» (33). 11 maggiore Antonino Di Giorgio ravvisò in questi articoli e nelle lettere anonime pubblicate sul Pemiero numerose violazioni del regolamento di disciplina e del codice penale militare; e ne dedusse anche il nuovo tipo di rapporto soldato- esercito che la dottrina modernista avrebbe voluto instaurare: ~< x) Libertà per gli ufficiali e pei sotruffì.ciali di organizzarsi, secondo lo spirito dci tempi. 2) Obbedienza solo nelle cose di cui si è onestamente persuasi (disciplina della coscienza) e ove l'autorità compia un atto che urti la coscienza, libertà di protesta collettiva. 3) Sottomissione solo ai capi che meritano stima e fiducia; diritto per gli inferiori di reclamare collettivamente la deposizione degli altri >> (34). Fu questo un momento di particolare tensione, da cui sembrò potesse scaturire qualche « pronunciamento l> nell'esercito. Il ministro Viganò dal canto suo, affermando ripetutamente nelle sue interviste alla stampa che non esisteva una questione dei subalterni e permettendo attacchi indiscriminati al Ranzi, contribuì ad aggravare la già difficile situazione. Dall'altra parte la metodica azione di disgregazione della disciplina e la continua polemica nei confronti delle gerarchie militari che condusse il Pensiero provocò guasti irreparabili in una parte della ufficialità. Fu proprio in risposta ad una intervista rilasciata dal ministro della Guerra, che

(32) F . R-\NZJ, Per il morale dell'esercito, Roma, 1906, p. q (33) " Il Pensiero Militare )), :z:z novembre 1906. (34) A. D1 GIORGIO, Il caso Ran~i e il modernismo nell'esercitO, op. cit.,

p. 6o.

l


IL

C.~SO

RA!\ZI

EJ) IL

~!ODERK IS~!O

MI! IT\RJ;.

nell'ottobre 1906 apparve sulla stampa una lettera aperta ai comandanti di corpo d'armata firmata <• i subalterni dell'esercito>> (35). Tale lettera, che in modo piuttosto energico chiedeva immediati provvedimenti a favore degli ufficiali inferiori, venne riprodotta e diksa da Il Pensiero Militare (36). Ne seguì un (( plebiscito>> a favore di Fabio Ranzi: molti ufficiali, come segno di solidarietà e dì appoggio morale, gli inviarono il proprio biglietto da visita. Questi gravi atti d 'indisciplina vennero così giustificati dal Pensiero: « hanno tutti i torti alla stregua delle leggi e dei regolamenti militari. ma sono, ciò nonostante, ampiamente giustificati da quella legge che sovrasta ad ogni altra legge e regolamento: dalla eterna legge umana » (37}. Fu quello il momento in cui la istintiva vis polemica del Ranzi venne vivificata dalle crescenti adesioni alla sua opera. Tutto ciò indusse l'ex capitano a fare affermazioni così radicali da alienarsi progressivamente le simpatie sia dei moderati che volevano semplicemente tutelare i loro diritti, sia dei più estremisti che, coerentemente con la verbosità del Pensiero, credevano che alle parole seguissero i fatti. « Siamo a! momento risolutivo. :\on mai come in questo momento - scriveva il Ranzi - è stato generale il consenso fra i nostri consociati, nel ritenere che le parole non bastano più, che se ne sono dette e se ne sono sprecate a iosa, che bisogna agire, agire per salvare l'esercito. Ebbene oggi io dichiaro che qualche cosa bisogna fare, che qualche cosa fatalmente si farà. -l E' stato luminosamente dimostrato che i capi sono inetti. E allora di grazia che cosa si dovrebbe fare? Rassegnarsi, rassegnarsi sempre? Ah no! per Dio e se un codice di disciplina avesse scritto nelle sue pagine questo dovere, il supremo diritto della coscienza umana sorgerebbe a cancellarlo » (38). L a stampa nazionale sembrò allora accorgersi che esisteva una profonda crisi nelle nostre forze armate; ma mentre i giornali democratico - progressisti sembravano essere piì1 vicini alle posizioni del Ranzi, i più importanti ed autorevoli organi d'informazione

r..

(35) La lettera, inviata alle supreme cariche dello Stato, tra l'altro dicev.:l : « Badino che questa nostra non è una invoc:lzione: ne abbiamo fat~e abbastanza di parole e di preghiere:: è con tono imper.:~tivo che noi diciamo: si provveda e non soltanto alle nostre carriere, ma a tulla la istituzione che deve, come organismo moderno. modernamente funzionare ». (36) << Il Pensiero Militare », 27 ottobre 1906. (37) <( Il Pensiero Militare n, 3 novembre 1906. (38) (< Il Pensiero Militare )), 7 dicembre 1906.


2J4

L'ESERCITO rnLI .\"10 DALL' UNIT.:\ ALLA GR.\NDE GUERR \

(1861 - l 918)

come La Tribuna o il Corriere della Sera, pur sostenendo la necessità di miglioramenti economici per gli ufficiali subalterni, sottolinearono lo sdegno dell'opinione pubblica per i gravi episodi d'indisciplina che si stavano verificando. Assolutamente negativo fu invece il commento della stampa socialista (3~). l n definitiva l'ex capitano rimase così indispettito dai commenti dci giornali da commentare polemicamente: \( la signora coscienza pubblica non ha proprio nessuno, ncssunissimo diritto per cento ragioni, ma basta una per tutte: che questa coscienza pubblica, nei riguardi dell'esercito, non esiste affatto. La verità è questa: il popolo italiano ha, non diciamo l'esercito che si merita, ma un esercito mille volte migliore . Per quello che ha fatto e fa a favore del suo istituto militare, il popolo nostro non ha altro diritto che quello di meritarsi la sconfitta in guerra e i pronunciamenti in pace» (40). Il 1907 fu l'anno in cui si iniziarono a risolvere alcuni fra i molti motivi di tensione. Il primo importante passo in avanti per la soluzione della questione militare coincise con la nomina di una commissione parlamentare d'inchiesta istituita dal governo Giolitti con una legge del giugno I907· Tale commissione, che doveva indagare sulla organizzazione e sulla amministraziont: dei servizi dipendenti dal ministero della Guerra, concluse i lavori nel 1910, presentando otto dettagliate relazioni (41 ). Quasi contemporaneamente giunsero i primi provvedimenti legislativi a favore delle forze armate, come la legge n. 495 del r4 luglio 1907 che stanziava la somma di L. 1.376.ooo per gli ufficiali inferiori. Altra circostanza negativa per la causa del modernismo militare fu l'esito sfavorevole del ricorso presentato alla IV sezione del Consiglio di Stato. Il ricorso era motivato dal fatto che, secondo il

(39) « Non bisogna dunque lasciarsi cogliere nelle panne delle esercitazioni ... più o meno sovversive dei signori ufficiali. Se realmente la vira di caserma non è più l'aiuola della gloria, i giovani della borghesia non vi entrino più. Si dedichino i giovani della magra borghesia a carriere produttive. Gli altri - i figli di papà - se si lasciano abbagliare dallo splendore dei galloni e delle spalline, se lo paghino con i quattrini di casa. E' troppo giusto! Concessi oggi i 2 milioni, tra due anni i subalterni e i non subalterni ne domanderanno ancora degli altri - perché in caserma l'appetito vien mangiando e invece è ora di finirla » (Rib~llioni ammaestratl', in 11 Avanti!>>. 6 dicembre r$)06). (40) « Il Pensiero Militare )), 8 dicembre 19lJ6. (4r) Le relazioni vennero presentate nel periodo compreso tra il r7 maggio e il 30 giugno 1910. Tra l'altro, esse riguardav::mo i seguenti argomenti: assegni degli ufficiali c loro carriere, stato dei sottufficiali , giudizi disciplinari, sedi dei reggimenti, ordinamento generale dell'esercito c delle varie armi.

..

, '"

.~


Il

CASO R.\l\Zl ED Il MODERNISMO MILIT.\R'E

2 35

Ranzi, la sua rimozione dal grado era stata causata unicamente dal rifiuto ad accettare la sfida del colonnello &:rtotti. A tale riguardo, alla richiesta di maggiori chiarimenti avanzata dalla Regia Avvocatura, il ministero della Guerra rispondeva: l ( Si noti che il colonnello Bertotti, è stato determinante per b convocazione del consiglio di disciplina, ma il compito di <.Juesto consiglio non era circoscritto a giudicare se il Ranzi, dovesse o meno, per le nonne dell'onore, accettare la sfida del Bertotti, era invece molto più ampio, cioè apprezzare la condotta di questo ufficiale, il quale, nel mentre rifiutava replicatamcnte una sfida, provocava con articoli ingiuriosi e denigratori lo sfidante, minava la disciplina militare ... ». La nota del ministero concludeva affermando che sia il verbale redatto dalla commissione di disciplina sia una lettera del 4 aprile 1904 confermava che doveva essere esaminata l'intera questione. La sentenza del 28 marzo 1908 respinse il ricorso del Ranzi contro la sua espulsione dall'esercito, benché risultasse evidente la validità delle eccezioni presentate dall'ex capitano (42). La reazione di Fabio Ranzi fu coerente con il carattere istintivo dell'uomo: conosciuta la sentenza, la ciò a Giovanni Borelli la direzione del giornale e si dimise. L'intervista che rilasciò in quella occasione al Giornale d'Italia mostrò un carattere c una dignità cer to impensabili, considerato il tet~peramento polemico dell'uomo ed il particolare momento in cm avvenne. « Che cosa farà ora? - gli abbiamo chiesto - Scriverà forse contro i suoi giudici; o preuderà come che sia, atteggiamento risoluto di battaglia? - Anche lei, che crede di conoscermi, mi attribuisce disposizioni d'animo e atteggiamenti di battaglia, che sono, ora, le mille miglia lontani dall'animo mio . .. Io sono un vinto, vinto nell'arringo nel quale sono sceso volontariamente . ..

(42) Nella relazione della commiSSione speciale sul « caso Ranzi » del 22 novembre 1908 si diceva: <' ••• ma al ministero non doveva sfuggire che per il dispaccio del 15 aprile il consiglio di disciplina era chiamato a giudicare soltanto se il Ranzi dovesse essere rimosso dal grado per mancanza contro !"onore, mentre per la nota del 4 aprile il consiglio stesso era C\'Cntualmente chiamato a giudicare se il Ranzi dovesse essere convocato per grave mancanza disciplinare. Era quindi evidente la maggiore estensione del giudizio che si richiedeva con la nota 4 aprile. Ma soprattuno non doveva sfuggire al ministero che la detta nota 4 aprile 1904 non era stata comunicata né al consiglio di disciplina né al Signor Ranzi ».


Lo dico francamente ch'io non avrei pret·eduto in lei 1111 così et•angelico atteggiamento. Scusi la mia franchezza, ma quando lei fu rimosso dal grado, cedé più che mai all'impulso del suo spirito battagliero. - La differenza a mio giudizio, v'è cd è· sostanziale, enorme. Fmo ad oggi la lotta mi era consentita, anzi imposta dalla mia coscienza. E mi spiego: fino ad oggi ho lottato contro i sistemi imperanti nell'alta burocrazia e nell'alta gerarchia militare ... Io combattevo infatti per la legge contro chi male l'interpretava ed applicava. Oggi non è più così: oggi è la più alta espressione della legge che mi dichiara moralmente incapace di continuare la lotta o almeno il mio genere di lotta: oggi io dovrei o ribellarmi alla inviolabilità della legge o dichiararmi vinto. E' per questo che ha lasciato la direzione del Pensiero Militare? - Precisamente. Fino a ieri il consenso di migliaia di ufficiali dell'esercito allo spirito, se non ai metodi, della mia lotta poteva essere, anzi era, un fatto doloroso, ma non era un atto ribelle ... Se il soldato ha giurato dì " osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato" non può dirsi inquinata la sua coscienza ... Ma oggi, il solo fatto che una massa di ufficiali dell'esercito dia tutto il suo appoggio morale alla lotta condotta da un uomo che la legge inappellabile ha dichiarato incapace di rappresentare una dignità collettiva, sarebbe, io penso, se non atto, pensiero ribelle; e questo pensiero ribelle ho voluto rendere impossibile, abbandonando il mio posto dì direttore del Pensiero Militare >> (43). Il 22 novembre 1908, durante la riunione del consiglio dei Ministri, si stabilì di riesaminare il caso Ranzi attraverso •< la revocazione della IV Sezione del Consiglio di Stato >>: ciò indusse l'ex capitano a riprendere la direzione del giornale. Ma i tempi erano mutati: già dal 1907 operava la commissione parlamentare d'inchiesta per indagare sui motivi di disagio dell'esercito e, inoltre, l'on. Casana (44) aveva nominato una commissione permanente che trattava con equanimità diversi ricorsi (45). Un altro fattore, che favorì il progressivo ridimensionamento del fenomeno modernista nell'esercito, fu il ricorrente tentativo di fare assumere un significato politico al disagio militare. Durante la campagna elettorale del 1909 il Ranzi tenne moltissime conferenze in ogni parte d'Italia e, soprattutto, prese parte attiva alla (43) Intervista a Fabio Ranzi. in <<Il Giornale d'Italia >>, 17 aprile 1go8. (44) Severino Casana fu ministro della Guerra dal dicembre 1907 all'aprile I909· (45) Cfr. F. DE CuAUMKD, Come l' esn·cito italiano t>ntrò in gue1ra, op. cit .


IL CASO RANZl ED

Il.

MODER:-JISMO MILITARE.

2 37

compenzwne sia appoggiando i candidati che approYavano il suo programma di risanamento delr~.:scrcito. sia presentando, senza successo la sua candidatura al collegio di Tivoli (46). La trasformazione del << modernismo m ilitare H in movimento politico trovò un serio ostacolo nella opposizione di molti suoi lettori, perché. come spiegò un ufficiale. " se voglio abbonarmi al Pensiero, giornale puramente di questioni militari, non intendo affatto abbonarmi ad un giornale politico ... >> (47). Secondo il Ranzi, invece. la crisi involutiva che investì il suo movimento aveva ben altre origini. « La coalizione di tutti i veramente malsani elementi che vogliono il dominio della Casta militare . . . è riuscita a creare un enorme discredito intorno al Pensiero Militare. Rinnovando e perfezionando i metodi di Sant'Ignazio di Lojola, son riusciti da una parte a persuadere i conservatori che il Pensiero Militare è l'organo di ribellione ai venerati principii dell'ordine; dall'altra, anche trescando coi partiti sovversivi, son riusciti ad insinuare nell'anima onesta degli antimilitaristi evoluti e coscienti che ranzismo è sinonimo di militarismo, che il Pensiero Militare è l'organo di una mano di pretoriani. Onde nessun uomo in Italia può vantare d'aver sul suo capo tanta somma d'odio, quanto ne ha accumulato il nome di chi dirige questo giornale » (48). Nell'estate del 1910 il direttore del Pensiero si dilungò nell'analisi della campagna scatenata contro il suo giornale, in particolare dal ministro della Guerra Spingardi (49). In effetti quest'ultimo. con abile tattica, stava svuotando il contenuto della protesta del Ranzi, adottando una serie di provvedimenti a favore de~ gli ufficiali inferiori e presentando un progetto per l'abolizione del Corpo di Stato Maggiore; e, nello stesso tempo, non aveva esitato a definire il " modernismo » come la « corrente malsana >> dell'esercito, con grande delusione dell'ex capitano che sperava di avere trovato, finalmente, il realizzatore delle sue idee. (46) Fabio Ranzi, che contava sull'appoggio dei precedenti candidati radicale e repubblicano, ottenne 787 voti contro i 3.o8o dell'avvocato Baccelli (clerico- moderato). Non g.iocò a favore dell'ex capitano nemmeno un telegramma di appoggio di Giovanni Pascoli: << Sento il dovere di augurarvi, in benefizio della patria nostra sventurata, che la vostra pura, nobile voce risuoni nel Parlamento ad ammonire gli errori, a segnare i rimedi, a ringagliardire nei cuori le forti memorie, a risuscitarvi le alte speranze. W l'esercito veramente nazionale. Giovanni Pascoli ». (47) << Il Pensiero Militare >>, 22 dicembre 1912. Nel 1912 Ranzi pubblicò 11 L'Araldo Elettorale,, e, l'anno successivo, < <D overe Elettorale >). (48) L'opera del ministro Spinga,·di. Stratagemma reazionario, in << Il Pensiero Militare», 3 agosto 1910. (49) Paolo Spingardi fu ministro della Guerra dal 1909 al 1914.


238

L' ESERCITO rrALIANO DALl,'UNTT.:l. ALL A GRANDE G UERRA ( d~6 1 - 1918)

In questa ultima fase del movimento ranzista gli avvenimenti politici più rilevanti, oltre alla guerra di Libia, furono la nascita dell'associazione nazionalista e il ventilato ingresso socialista nel governo. Il tentativo giolittiano d'immettere i socialisti nella compagine ministeriale, trovò il convinto plauso di Fabio Ranzi. Invece degli (( insulsi>> attacchi all'esercito, ora i socialisti avrebbero potuto « fare dell'antimilitarismo illuminato e positivo, che signinca lotta contro l'affarismo senza coscienza, fatto nel nome santo della Patria e difeso col mezzo della rettorica patriottica o nazionalistica che sia l> (5o). << La chiamata di Leonida Bissolati al Quirinale segna una nuova affermazione deJla Monarchia di Savoia, quale forza propiziatrice d'ogni più avanzato progresso della democrazia italiana; ed è, ci sia consentito dirlo, la più alta e completa rivendicazione dell'opera da noi tenacemente continuata e nel nostro povero nome, fino ad oggi, dall'Italia ufficiale condannata>> (51). Questa fiducia del Ranzi nell'azione moralizzatrice della vita pubblica, che il partito socialista avrebbe potuto .realizzare, si era andata maturando nel tempo. Già nel febbraio del 1909 l'ex capitano, annunciando in una lettera a Bissolati il suo desiderio di abbonarsi all'Avanti!, così scriveva: « . . . io penso che l'opera di controllo esercitata sugli istituti vigenti da chi è assolutamente immune da qualsiasi pregiudizio reverenziale verso di essi, sia indispensabile oggi più che mai>> (52). Il prevalere della corrente riformìsta all'interno del PSI sembrò sempre più avvicinare il Ranzi al socialismo : l'ex capitano, difatti, non mancò mai di sottolineare qualsiasi atteggiamento <( patriottico» assunto dai dirigenti di quel partito (53). La posizione del Ranzi nei confronti del nazionalismo fu complessivamente critica e difndente, malgrado i rapporti personali con alcuni suoi esponenti come Scipio Sighele, e i decennali legami delle battaglie comuni che lo legavano a Giovanni Barelli. Anzi(5o) F. RANZt, L'odierna crisi, in « Il Pensiero Militare », 22 marzo 1911. (51) Sempre avanti Savoia!, in << Il Pensiero Mil itare )) , . 23 marzo 19II. (52) Lettera di Fabio Ranzi all' on. Leonida Bisso/ati, in « Il Pensiero Militare)>, 10 febbraio 191 r. (53) Inno di Enrico Ferri alla patria italiana, in « Il Pensiero Militare l>, 24 giugno 1911. L'on. Ferri, in una discussione alla Camera, aveva detto : « Io son lontano dall'avere predilizioni nazionalistiche, ma mi son venuto convincendo che la civiltà latina è pur sempre una delle più mirabili manifestazioni della storia umana ». E, concludendo il suo intervento, aveva ricordato un suo viaggio in America Latina quando « aveva senrito fremere dal cuore dei connazionali che lasciavano la patria un grido frenetico : W l'Italia >> .


IL CASO R.\:-.Zl ED IL MOI:ER"'ISMO MIUTARE

2

39

tutto il direttore del Pe11Jiero rifiutava la stessa denominazione del nuovo movimento. (( Perché cercare un termine diverso per definire il chiaro significato dell'amore di Patria? [ .. ·l A mio modo di vedere, il nazionalismo sta al patriottismo presso a poco come la sopraffazione sta alla difesa del proprio diritto, come l'orgoglio sta al sentimento della propria dignità, come l'infatuazione idealistica passeggera sta alla formazione laboriosa d 'una coscienza collettiva. E penso che gli Italiani , purtroppo, sono ora molto piti propensi ad abbracciare la gaia scienza del nazionalismo, che tornare all'austera religione del patriottismo» (54). Con il nazionalismo il Ranzi concordava soltanto la diagnosi del male e la possibilità di risolvere la crisi della società italiana forgiando una coscienza collettiva. Secondo l'ex capitano dal convegno di Firenze era scaturito un insieme di punti programmatici di politica estera, economica, sociale, militare, cioè una serie di buone intenzioni che non si distaccavano dai programmi di tutti gli altri partiti. Per vederci più chiaro, il Ranzi. prendendo come riferimento il pensiero di Scipio Sighele, secondo il quale era anzitutto necessario ridestare il senso dell'orgoglio nazionale, affermava che, al contrario_, il male stava c< nell'avere attutito il senso delle nostre colpe, delle nostre miserie, delle nostre vergogne, delle nostre responsabilità. Io dico che il gran male di noi italiani è nel non voler riconoscere abbastanza la nostra inferiorità in tutto ciò in cui la nostra inferiorità rispetto alle nazioni più progredite è innegabile » (55). Una serie di provvedimenti legislativi a favore dell'esercito (56), e l'incalzare della prima guerra mondiale segn arono la fine del r< caso Ranzi ». L a consunzione del movimento modcrnista fu comunque lenta e si protrasse per alcuni anni . Già dal 1 912 la sopravvivenza de Il Pensiero Militare era stata messa in pericolo dalla riduzione del numero degli abbonati. Per tutto l'anno successivo furono lanciati appelli per garantirne la pubblicazione, poi venne indetto un referendum tra i lettori per conoscere se i loro sentimenti nei confronti dell'azione condotta fossero immutati. L'iniziativa non ottenne grandi risultati, tanto che il Ranzi concluse drammaticamente : et Se il Pensiero Militare scomparisse, prima (54) F. RANZI, Il Nazio1zalismo ~ il problema militare, in cc li Pensiero Militare », 22 ottobre 1910. (55) « li Pensiero Militare))' 3 novembre 1910 . (56) Il regio decreto del 5 giugno 1909 coordinò in un testo unico tutte le modifiche alla legge sullo stato dci sottufficiali. La legge del luglio 1908 aumentò le retribuzioni degli ufficiali inferiori e modificò gli stipendi c le indennità di tutti gli ufficiali. La legge del luglio 1909 limitò a 15 anni la permanenza massima degli ufficiali nei gradi subalterni.


della sua ora, sarebbe una disgrazia per l'esercito e per la massa de' suoi componenti; per me egoisticamente parlando. sarebbe una grandissima fortuna., . Per conseguenza: di fronte alla nuova conduzione ministeriale che minaccia il perpetuarsi del giolittismo senza Giolitti, e lo spingardismo senza Spingardi, o la maggioranza degli ufficiali si abbona in massa al Pensiero Militare o è meglio smettere. Non è ora propizia per i mezzi termini» (57). Dopo aver esaminato i principali avvenimenti riguardanti il caso Ranzi », è possibile definire il significato e:: i contenuti del cc modernismo » . Fu infatti con quest'ultimo vocabolo. benché con· testato da Giovanni Borelli (58), che venne conosciuta l'opera del capitano Ranzi. L'opera più che le idee poiché il direttore del Pen· siero non pretese mai di essere originale, ma anzi tenne sempre a precisare la fedeltà delle sue concezioni ai principi dettati dal Corsi, dal Marselli e dagli altri apostoli del <' nuovo pensiero militare italiano» . Quale differenza però tra le diagnosi e le terapie proposte dal Marselli per sanare i mali del nostro esercito e le posizioni estremiste assunte ad un certo punto dal modernismo ranziano. Basterà citare alcuni brani tratti da La t'ita del reggimento del Mar· selli per comprendere la diversità d'impostazione. (( Mentre diminuisce l'azione educatrice della religione sull'animo del soldato, cresce quella demolitrice della democrazia sulle vecchie forme degli eserciti permanenti; di guisa che nel bilancio dell'educazione militare abbiamo una partita attiva in meno, una passiva in più» (59). 1< Pe' i rctori sofisti, i quali intendono a demolire uomini e cose, ogni atto dell'autorità è perfido, ogni atto di ribellione è santo. Incredibile è il male che reca alla vita militare la moltitudine degli insetti roditori di tutto quel complesso di idee e di sentimenti, che costituisce un forte esercito, una ordinata società. Qual 'è il rimedio? Impedire forse che i soldati imparino a leggere c a scrivere? Proibire la lettura di quei giornali che soffiano nel fuoco delle passioni, contrarie alla disciplina? No, nel regno della libertà non c'è che un solo mezzo per combattere il male accennato di sopra : parola contro parola, stampa contro stampa >> (6o). Coerentemente con tale imp?stazione, il Marselli proponeva la pubblicazione di (\ un giornale popolare che ispiri nobili sentimenti, (l

(57) F. R~~z1, Risoluzion~. O si pagano gli abbonam~nti o si sm~tt~, in « Il Pensiero Militare », 9 aprile 1914. (58) « La definizione di modernismo è erronea, peggio tendenziosa ... >> (G. Bo:RELLI, La crisi morale- dt:ll'esercito, Roma, I9Q8, p. 141). (59) N. MARSEU.I, La vita d~l reggimento, Milano, 1903, p. I. (6o) Ibidem, p. 182.


IL CASO ll\NZI

J:J) Il

:\!ODER:"'ISMO

~ULITARE

che faccia conoscere i gloriosi episodi dell'esercito, che istilli la religione del dovere» . Ancora più significativo era l'altro << reagente morale >> prospettato per sanare la profonda crisi de li 'esercito: •< Noi abbiamo in Italia un mezzo efficace nelle gloriose tradizioni di Casa Savoia. Questa Casa è fortunatamente mescolata alle più belle tradizioni militari registrate nella storia d'Italia. Mantenerle vive. narrarle al soldato, rappresentar gliele, parlargli del le virtù guerriere e civili degli antenati del nostro Re, e cogliere ogni occasione naturale per ispirare rispetto ed amore a Colui che ci comanda è un altro mezzo attivo per controbilanciare, nei limiti a noi consentiti , il crescente sviluppo delle monarchie democratiche e repubblicane >> (61 ). Dalle parole di Marselli risulta evidente che il collegamento tra le concezioni finali del Ranzi e il pensiero dei suoi '< maestri >> è tutto da dimostrare, anche perché gli strumenti utilizzati o proposti dal Pensiero Militare per portare avanti il suo programma furono a~solutarnente anomali e certo non ebbero precedenti né precurson. Un'acuta disamina del fenomeno modernista la troviamo in un artico.lo di Berardo Montani apparso sulla rivista <' La Vita Internazionale» (62). Secondo l'autore, nella seconda metà del XIX secolo si erano avute radicali trasformazioni che avevano coinvolto tutta la società. Iniziò il proletariato a muoversi per modificare i rapporti con la borghesia, poi fu la volta del clero - più esattamente la parte turbata dal desiderio di conciliare la fede con la scienza -, infine questa rivoluzione investì anche l'esercito, impreparato ad integrarsi nella nuova realtà politico- sociale. Mentre i lavoratori erano spinti da cause di ordine materiale c i religiosi da motivi soprattutto d'indole intellettuale, diverse erano le esigenze delle forze armate. Il ristagno delle carriere, l'insufficienza degli stipendi, la definizione delle sedi reggimentali e la modifica del regolamento di disciplina, erano tutti problemi pratici sui quali s'innestavano questioni d'ordine morale, quali la disastrosa campagna africana o le incomprensioni della classe politica e dell'opinione pubblica. Da qui la crisi dell'esercito e la conseguente risonanza dell'azione condotta dal Ranzi. Sia chiaro che tale disagio non interessò tutte le armi in eguale misura, anzi alcune furono completamente immuni. Fu il caso della cavalleria, forte delle sue tradizioni e composta da ufficiali dotati di risorse personali; lo stesso avvenne nella marina (61) l . M ARS ELLJ, La llita dd r{'ggimento, cit., p. 188. (62) B. M oNTANI, Il modemùmo nell'esercito, in <~ La Vita Internazionale », 20 febbraio I9<J8. Ili.


per le caratteristiche dei ~uoi uomini, lontani per mentalità e per tipo di vita dallo spirito affaristico delle città. Il successo della teoria modernista avvenne essenzialmente in fanteria. cioè nelJ'arma più numerosa, dove gli uomini erano a più diretto contatto con la durezza della vita militare; ma soprattutto va considerata la situazione psicologica di chi si trovava nella quotidiana necessità di conciliare un tenore di vita adeguato al prestigio sociale del grado con l'insufficienza della retribuzione. Questa dunque era la situazione di disagio economico- morale io cui inquadrare il <• caso Ranzi ». Qual è, invece, il giudizio sull'uomo e sul suo operato? Secondo il Montani, Fabio Ranzi era un individuo di indubbio valore, profondo conoscitore di cose militari, dotato di grande ascendente su vasti settori della ufficialità. ((Sembrò dapprima che il Pensiero Militare fosse animato dal desiderio di discutere per svecchiare gli ordinamenti militari, conferire con opportune riforme più solidità all'esercito. Ma ben presto lo spirito polemista del Ranzi, la veemenza del di lui temperamento, il calore che si sprigiona sempre dal contrasto. il successo stesso editoriale, sostituirono al dibattito elevato delle idee l'attacco personale; alle rivendicazioni legittime espresse con fermezza, la minaccia appena larvata; il disconoscimento di ogni rispetto e di ogni riguardo aU'autorità. Più il giornale trovava diffusione e più provocava lo spirito di indisciplina, adottando a volte il frasario caratteristico dei comizi sovversivi. E la licenza del linguaggio investì tutti coloro che sono preposti all'esercito, sollecitando direttamente o indirettamente lo spirito di indisciplina, denigrando i capi, esaltando i subalterni, creando un dissidio pernicioso e fittizio tra gli uni e gli altri. [ .. . ] Nella piramide della gerarchia militare esaltava fil Ranzi, n.d.a. ] le sezioni più basse e però pitl ampie a detrimento di quelle immediatamente sovrastanti e però più ristrette. La quantità, cioè il numero, fu naturalmente subito dalla sua, spesse volte contro la qualità, cioè i pochi. Il successo non poteva mancargli perché egli sembrava affermare, malgrado non lo dicesse, che il caporale perché inferiore vale di più e sa di più del tenente; il furiere del capitano; questi infinitamente di più del generale. Lo Stato Maggiore Italiano? Una massa di rammolliti o di ignoranti. Gli alti gradi dell'esercito? Sinecure per i più inetti >l (63). 1\ell'articolo si dava atto al Ranzi di avere svolto, malgrado tutto. un'azione prevalentemente positiva, scnsibilizzando la ge-

(63) B. MO!':TANI, 11 modernismo nell'esercito, cit.


IL CASO R.-\NZl

ED IL .liiODERNlSMO MILITARE

2 43

rarchia militare sulle cause di disagio delle forze annate; ma veniva anche posto l'accento sui pericoli che potevano derivare da un'azione tanto spregiudicata. cc Guai se la disistima verso i capi e verso le istituzioni riesce a radicare nell'esercito lo spirito d'indisciplina. Guai se nella vita militare, che deve essere di amore, di patriottismo, di abnegazione, vien suscitata la libidine del guadagno, oltre quel giusto che è doveroso. L'esercito di cittadini animati da un'alta idealità verrebbe trasformato in un esercito di pretoriani >> (64). Analizzando in ultima sintesi la complessa vicenda che va sotto il nome di '< modernismo militare >> non si può fare a meno di rilevare che a determinare il momentaneo successo del movimento concorsero vari fattori. Parte di gran rilievo ebbe senza alcun dubbio l'infelice situazione economica degli ufficiali subalterni e il grave disagio causato dai lunghi tempi di permanenza nei gradi inferiori. Va rilevato, però, che il movimento ebbe i maggiori consensi tra gli ufficiali di fanteria, e ciò non avvenne a caso poiché l'arma costituiva la vera cenerentola dell'esercito (65); mentre armi con maggiore spirito di corpo risentirono meno della crisi. E' inoltre fuor di dubbio che ]a nascita del <t modernismo militare )) corrispose ad un momento particolarmente grave per la situazione morale dell'esercito italiano. Il .Montani esaminò lucidamente le origini di tale crisi e le sue osservazioni possono essere integrate da alcune ulteriori considerazioni. La sfortunata campagna d'Africa aveva messo sotto accusa l'esercito d'innanzi all'opinione pubblica; la politica del « piede di casa » e l'illusione di avere trovato un modus vivendi con la Francia, con la quale vi erano stati aspri contrasti negli anni precedenti, determinò la riduzione delle spese militari; il frequente impiego delle truppe per ristabilire l'ordine pubblico non contribuiva certo a migliorare la situazione morale dei quadri. In questo contesto il « caso Ranzi » apparve, più che la sfortunata vicenda di un uomo intelligente e troppo esuberante, il sintomo ed il simbolo della crisi morale, oltre che materiale, di una parte deJl 'ufficialità dell 'esercito italiano; crisi indubbiamente collegata con l'atteggiamento dell'opinione pubblica che in quegli anni assegnava, a differenza del passato, un ·ruolo quanto mai modesto · alle forze armate. (64) B. Mot-:TANI, Il modemùmo nell'esercito, cit. (65) Racconta il generale De Bono: <t Le signore del bon ton a Torino, quelle che ricevevano gli ufficialetti della Scuola di applicazione e qualche ufficiale di cavalleria, se occorreva casualmente loro di parlare di uno di fanteria, dicevano invariabilmente: A l'è un brav' fieul, ma l'è mac' d fanta·ia '> (E. DE BoNo, Nell'esercito nojtro primo della guerra, Verona, 1931, p. 31).


244

L'ESERCITO ITALTAKO DALL'UNITÀ ALLA CR.~NDE CUF.:RM

(r86r- 1918)

Il progressismo del Ranzi ed il suo militarismo potranno sembrare in contrasto tra loro, ma in realtà sono interamente interdipendenti: l'ex capitano sostenne una prospettiva nuova per l'esercito perché voleva che esso contasse di più nel contesto della vita civile, e desiderava che avesse un ruolo politico maggiore anche per saldare la scissura creatasi tra esercito e Paese. Ciò, peraltro, non deve sorprendere; anche in Germania nel periodo napoleonico si era verificato qualcosa di simile. Allora i militari progressistì dell'epoca, stretti intorno al «partito dei patriotti », condussero un'azione tendente a sollevare la Prussia contro le armate francesi alla vigilia della campagna di Russia. Dinanzi al rifiuto opposto da Federico III una trentina dei più decisi non esitò a passare al servizio dello zar. Per giustificare un simile comportamento uno di loro, destinato per altro a maggior fama, Karl Von Clausewitz, scrisse la « Bekenntuisschrift », la << confessione))' in cui l'autore affermava di considerare la sal vezza del Re e del popolo come il più sacro dei doveri, ma sosteneva che il vergognoso sacùficio dell'onore dello Stato e del popolo, della dignità personale e quella dell'umanità rendevano necessario per i veri interessi della Prussia combattere contro la Francia, anche se questo significava lottare contro l'esercito del proprio Paese. Non si vuole certo sostenere che la lettera ai comandanti dei corpi d'armata sia paragonabile alla <<confessione l> di Clausewìtz; tuttavia a ben guardare i principi ispiratori dei << patriotti >> prussiani del 1812 si trova un capitale punto di contatto con quelli affermati dal Ranzi: la rivendicazione della completa autonomia dei militari di fronte al potere politico. Il rivendicare il diritto degli ufficiali, non solo di dissentire, ma addirittura di opporsi con la forza ai deliberati dei supremi organi dello Stato, come fece il Clausewitz, o il sostenere che la « classe militare » avesse propri diritti da tutelare in prima persona come più modestamente affermò il Ranzi, significava in pratica sostenere un autonomo diritto d'ingerenza dei militari nella vita politica; la creazione in definitiva di quell' « esercito di pretoriani » paventato dal Montani. Ma in Italia, come nella Prussia del 1812, non vi erano 1 presupposti perché tali esperimenti fossero tentati con successo.


VII. MASSIMO MAZZETTI

L'ESERCITO NEL PERIODO GIOLITTIANO (1 900 - 1908)



MASSIMO

MAZZETTI

dell'Università di Salerno

L'ESERCITO NEL PERIODO GIOLITTIANO ( 1900 - l 908) *

Il 4 agosto 1900 il Ministro della guerra, generale Ponza dì S. Martino, con lettera riservata personale n. 937 affidava al Capo di Stato Maggiore alcune competenze che fino allora erano state accentrate nelle mani del Ministro. Era il primo piccolo indizio dei mutamenti che avrebbero portato nel vertice dell'ordinamento militare italiano l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele III. Il nuovo Re, secondo una testimonianza di un acuto osservatore quale l'ambasciatore francese Barrère (1 ), si interessava con grande passione degli affari pubblici : (( Più di una volta ho cercato», riferì a Parigi l'ambasciatore, <1 di portare la conversazione su questioni di letteratura o sportive. Inunediatamente egli tornava alla politica. Visi bi Ime n te essa lo ·assorbe e lo appassiona. I suoi ministri lo debbono trovare spesso troppo informato)) (2). Lo stesso diplomatico rilevò che il giovane Sovrano assumeva un ruolo ogni giorno più importante nella direzione della politica estera (3). Ciò era ancor più vero per quanto riguarda la politica militare, in cui il nuovo Re vantava una notevole competenza. Vittorio Emanuele III era stato infatti negli anni precedenti presidente della Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato. L'interessamento costante e continuo del giovane Sovrano per le cose militari, il suo desiderio di intervenire direttamente nella direzione delle

• Relazione presentata al Congresso Nazionale su Istituzioni e metodi politici delterà giolittiana tenuto a Cuneo dalru al 12 novembre 1978. ( 1) Sulla personalità di Barrère vedi E. SF.RRA, Carni!/~ Bardn e /'inusa ira/o- franus~, Milano, 1930. (2) M!NISTER.E DES AFFAIRES ETRAI\'CEUS, Documenrs diplomatiques fran(ais, n serie, tomo l, n. ;;6. (3) Ibidem, n. 201.


248

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(r861- 1918)

operazioni in caso di guerra determinarono perfino qualche malinteso con gli alleati germanici (4). Questo antefatto era indispensabile perché permette di comprendere uno dei motivi - se non il principale - degli ottimi rapporti istaurati da Giolitti con la Corona. Infatti l'uomo di Dronero privilegiava, com'è noto, la politica interna; conseguentemente l'azione del Presidente del Consiglio e quella del Sovrano si integravano a vicenda. Non deve quindi sorprendere che Giolitti considerasse i problemi militari soprattutto come questioni di bilancio, preoccupandosi principalmente del contenimento delle spese. Se da un lato questa ripartizione del potere non favoriva l'approfondimento dei problemi militari da parte del Presidente del Consiglio, dall'altro impedì il formarsi all'interno dell'esercito di una corrente antigiolittiana come avvenne in molti settori del Paese e dello stesso apparato statale. Ciò è tanto più notevole se si considera che la politica di contenimento delle spese di Giolitti non era senza dubbio la più adatta a conciliargli la simpatia dei militari. E' bene precisare a questo proposito che non mancarono, anche fra gli alti gradi dell'esercito, personalità di grande rilievo e influenza - come ad esempio il Capo di Stato Maggiore Tancredi Saletta o il primo aiutante di campo del Re generale Ugo Brusati critici nei confronti di Giolitti e della sua politica. L'appoggio del Sovrano e la sua supervisione nella conduzione degli affari militari assicurarono tuttavia sempre la cooperazione dei vertici dell'esercito alla politica governativa. Le condizioni dell'esercito italiano non erano in quegli anni delle più felici. Nonostante la migliorata situazione finanziaria del Paese, il bilancio ordinario del Ministero della guerra era stato nuovamente consolidato in 275 milioni l'anno, a partire dall'esercizio 1900- r901. La truppa ai reparti era scarsa, il materiale d'artiglieria, a parte un limitato numero di nuovi pezzi, vecchio e logoro. << Gli Ufficiali il cui trattamento economico e le cui condizioni di carriera erano assai critiche, vedevano anche moralmente scemare il loro prestigio e venir meno l'ideale della loro missione, costretti com 'erano al governo di reparti scheletrici, la forza dei quali era assorbita dai servizi e non consentiva quindi nessuna possibilità di sviluppare l'educazione morale e l'addestramento tecnico >> (5). (4) Cfr. M. MAZZlrM'I, L'esercito italiano nella Triplice Alleanza, Napoli, 1974· pp. 184 ss. (5) CoMANDO DEL CoRvo DI STATO MACCIORE, l Capi di Stato Maggiore dell'esercito: T an credi Saletta, Roma, 1932, p. 15.

i l


L'ESERCTTO NEL PERIODO GIOLITTTA:-10 (1900- 1ç108)

249

L'intera compagine era scossa dalla campagna antimilitarista che era dilagata nel Paese e logorata nel morale dai frequenti interventi in operazioni di ordine pubblico. L'esercito italiano, su cui gravava il peso della sconfitta africana, era ben lungi da essere nelle migliori condizioni sia morali che materiali. Non a caso in questo periodo si venne a creare un vero e proprio movimento di contestazione del.le strutture militari da parte degli ufficiali subalterni dell'esercito (6). Era all'epoca Capo di Stato Maggiore il generale Tancredi Saletta: uomo metodico, di carattere fermo ed energico, perseverante nei suoi propositi fino a rasentare la cocciutaggine, non si arrestò mai di fronte alle difficoltà, « estremamente rigido con sé e con gli altri fu un lavoratore accanito» (7). Proprio all'inizio del secolo, con l'avvento al trono di Vittoòo Emanuele III, il Capo di Stato Maggiore iniziò ad accrescere la sua influenza nella preparazione dell'esercito che fino a quel momento era stata gelosa prerogativa del Ministro della guerra. Il 31 dicembre 1900 il Ministro della guerra comunicò che d 'intesa col Sovrano era stato deciso che da quel momento in poi gli accordi militari con gli alleati. « venissero affidati esclusivamente al Capo di Stato Maggiore >> . Per la stessa considerazione, presi gli ordini da S.M. il Re, rimase stabilito che: « Il Capo di Stato Maggiore prepara in tempo di pace e sottopone a · S.M. il Re, con cui ha relazione diretta, i progetti di operazioni dì guerra da svolgersi durante e dopo la radunata >> (8). Data la modesta disponibilità finanziaria dell'amministrazione militare in quegli anni rispetto alle molteplici esigenze, non era certo possibile fare grandi cose. Infatti, considerando anche gli stanziamenti straordinari, le spese per l'esercito furono: 1900- 1901: 284 milioni 1901- 1902: 289 1902 - 1903: 28r 1903 - 1904: 282 1904- 1905: 296,

)) )) )) ))

(9)·

(6) Su tutta la vicenda del << modernismo militare Jl si veda A. D1 GIORGIO, Il caso Ranzi e il Modernismo, Firenze, 1908. (7) CoMANDO DEL C'..oRPO DI STATO MAGGIORE, op. cit., p. 2 0 . (8) ARCHIVIO DELL'UFFICIO STORICO DELLO STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO (A.U.S.S.M.E.), Ordinamento e Mobilitazione, b. 7· « Questioni principali relative al reclutamento, ordinamento e mobilitazione dell'esercito », p. 6o. (9) RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, l! Bilancio del Regno d'Italia negli e.rcrcizi finanzim·i dal 1862 al 1912- 13, Roma, 1914, pp. 334-335-


250

L'ESERCITO ITJ\LIAKO DALL'UNITÀ ALLA GRAKDE GUERRA

(r86r · 1918)

Sulla base di questa limitata disponibilità, fu possibile affrontare e risolvere, solo in parte e dopo lungo dibattito, la questione dell'artiglieria da campagna per la quale vennero spesi circa 46 milioni in sei anni, mentre per far fronte ad altre importanti esigenze venivano spese somme quanto mai modeste; per le fortificazioni, ad esempio, solo 7·470.000 lire nel seìennio (10). In questo quadro, non deve stupire se i numerosi Ministri che si succedettero non poterono svolgere un'attività particolarmente incisiva, dovendo limitare la loro azione essenzialmente a migliorare la struttura dell'esercito con piccoli ritocchi alla sua organizzazione. Va sottolineato comunque che la politica di contenimento delle spese militari era iniziata molto prima che Giolitti divenisse Presidente del Consiglio. Lo stesso statista piemontese, da parte sua, continuò la politica di congelamento delle spese anche quando le migliorate condizioni del bilancio avrebbero consentito maggiori stanziamenti. Per comprendere quest'atteggiamento di Giovanni Giolitti bisognerà considerare non solo la sua tendenza a privilegiare la poEtica interna, ma anche la situazione internazionale di quegli anni. L'Italia, infatti, si trovava in una buona posizione poiché era garantita da un lato dalla Triplice Alleanza e dall'altro dagli accordi italo - francesi del 1900 e del 1902 che costituivano una sorta di « trattato di controassiCuraziOne » . In questo contesto l'opera del Capo di Stato Maggiore non poteva essere che quella di preparazione e di studio. Ed infatti in quegli anni, in numerosi « viaggi di Stato Maggiore », fu ristudiata a fondo tutta la frontiera alpina, furono riesaminati e aggiornati per ben tre volte i piani di mobilitazione e radunata completi in ogni loro parte, sia per quanto riguardava un'eventuale guerra contro l'Austria (mobilitazione nord - est), sia per quanto si riferiva ad un conflitto con la Francia (mobilitazione nord- ovest). Il Capo di Stato Maggiore segnalò inoltre al Ministro una serie di provvedimenti atti a migliorare la situazione difensiva deHe frontiere, il reclutamento e la mobilitazione . Oltre a ciò, Saletta riuscì ad ottenere una migliore definizione del suo ruolo e un ampliamento delle proprie attribuzioni con il R.D. del 4 marzo 1906. La crisi marocchina e la successiva conferenza ad Algesiras iniziarono a modificare la situazione internazionale. Ciò ebbe qualche conseguenza - sia pur limitata - sulla preparazione militare italiana; infatti, il 30 dicembre 1906, il Parlamento stanziò r6 mi-

(ro) Ibidem .

.i

1 ~

~...


t'ESERCITO r-=EL

PERJODO CIOLITTI.~NO (!5)00 • 1<)08)

2)1

lioni di spese straordinarie ; con tutto ciò nel 1906- 1907 il bilancio del Ministero della guerra fu di 305 milioni, con appena 9 milioni di aumento rispetto all'anno precedente. Conseguenze molto maggiori, anche se differite nel tempo, doveva avere la nomina avvenuta il 18 novembre 1906 di Franz Conrad von Hoetzendorf a Capo di Stato Maggiore delle forze armate austro- ungariche. Questa designazione non destò - all'inizio - preoccupazioni nei dirigenti militari italiani. Tuttavia allorché Conrad organizzò le grandi manovre in Tirolo con un notevolissimo impiego di mezzi senza invitarvi gli addetri militari, il servizio informazioni italiano, messo in sospetto, vi inviò alcuni osservatori. Dalla relazione di uno di questi, l'allora maggiore Eugenio De Rossi, apparvero chiaramente i propositi aggressivi del Capo di Stato Maggiore imperiale (n). Nel frattempo si era verificato un avvenimento destinato ad avere notevoli ripercussioni sulla preparazione militare italiana: il 6 giugno 1907 veniva nominata una Commissione parlamentare d'indagine sull'organizzazione e l'amministrazione del Ministero della guerra. Si trattava di un'abile mossa di Giolitti con la quale lo statista piemontese aggirava, almeno in parte, l'ostacolo costituito da una discussione parlamentare sul necessario aumento delle spese militari; oltre a ciò la nomina della Commissione accontentava, sia pure per diversi motivi, tutti gli schieramenti parlamentari. L'opposizione di sinistra infatti vedeva in essa il mezzo per mettere sotto controllo l'amministrazione dell'esercito e documentare finalmente gli sperperi e gli abusi denunciati in tanti anni di agitazione antimilitarista. Per i deputati che sostenevano il Governo e per gli oppositori di destra, la Commissione era un valido strumento per definire una volta per tutte quanto era necessario per la difesa del Paese. I calcoli di Giolitti si dimostrarono ancora una volta esatti: il 14 luglio 1907 infatti veniva pubblicata una legge che concedeva 6o milioni di stanzi amento straordinario all'amministrazione dell'esercito ripartiti in 4 anni. L'aumento della disponibilità finanziaria permise di risolvere uno dei più grossi problemi dell'esercito: quello della forza bilanciata. << L a chiamata straordinaria di una classe di leva avvenuta nell'autunno del !904 per ragioni di ordine pubblico dimostrò come, tanto sotto i riguardi economici, quanto sotto quelli orga(n) A . G ATTI, Nd tempo della tormenta, Verona, 1923, pp. 235 • 236; E. DE Rossi, La vita di un ufficiale italiano fino alla guena, Milano, 1927,

pp. 190 - 194·


2<;2

t'ESERCITO IT~Ll.\NO DAtt'UN IT.~ ALLA GRANDE GUERRA

(1861- 1918)

nici, non fosse consigliabile il tenere per oltre sci mesi dell'anno la forza assottigliata al punto da essere a malapena sufficiente al disimpegno dei servizi territoriali >> (12). Per risolvere questa deficienza, il 15 dicembre 1907 fu varata la prima legge sul reclutamento che introduceva per il 75% dei chiamati la ferma biennale, permettendo l'incorporazione da r3o.ooo a 15o.ooo uomini fra r" e 2"' categoria rispetto ai 75.000 circa arruolati in precedenza ogni anno. Erano inoltre state adottate numerose misure per migliorare le condizioni del personale in servizio permanente. Sul finire del I90J, per rendere più agevole il compito della Commissione, il Ministero della guerra fu affidato per la prima volta ad un civile, il senatore Casana. In verità, la nomina di un Ministro borghese a capo dell'amministrazione militare non ottenne i risultati attesi dagli oppositori di sinistra che avevano vivamente sostenuto questo provvedimento. Infatti, prendendo spunto da questa nuova situazione, l'attivissimo Saletta riuscì ad ottenere un nuovo ampliamento delle proprie attribuzioni con il R.D. del 5 marzo 1908. Frattanto, nonostante le comunicazioni rassicuranti dell'Addetto Militare a Vienna, l'attenzione dello Stato Maggiore italiano era concentrata sui preparativi di Conrad. « Subito dopo le grandi manovre austriache, messo sull'avviso, lo Stato Maggiore, per ordine del suo Capo, studiò i vari metodi con cui il Conrad avrebbe potuto effettuare l'impresa, e concluse che il disegno più razionale avrebbe potuto essere il seguente : mentre sei divisioni di cavalleria, sboccando dal basso Isonzo, avrebbero corso in avanguardia il piano friulano e veneto fino al Piave, due grandi nuclei dell'esercito austriaco si sarebbero radunati a Klagenfurt e a Lubiana donde si sarebbero gettati rapidissimamente per la strada aperta, sulle orme dell'avanguardia. La battaglia sarebbe avvenuta nella pianura veneta. Si concedeva meritatamente all'avversario, con questo disegno, il maggior numero di condizioni favorevoli>> (13). Infatti una penetrazione in profondità ed in massa della cavalleria austriaca avrebbe sconvolto il dispositivo italiano impedendo la radunata del grosso dell'esercito sul Piave, come era previsto dai piani dello Stato Maggiore. Poiché però la maggior parte delle divisioni di cavalleria austro-ungariche si trovava presso la frontiera russa, il servizio informazioni militari italiano riuscì a

(12) F. BAVA BEccARIS, L'~urcito italiano, Roma, r9TI, p. 73· (13) A. GATTI, op. cit., pp. 236- 237·

i

.,'•


t ' ESERCITO

NEL

J>ERIODO GIOLITT!ANO (I')PO- 15)08)

stabilire che sarebbero occorsi almeno 15 giorni per il loro trasferìmento e dispose una serie di punti di osservazione in Galizia per essere sollecitamente informato dell'inizio dei trasporti ferroviari: « Il generale Saletta giudicò allora di avere sventato, per quanto possibile, il disegno di guerra di Conrad. Se ogni cosa avveniva come era disposta, egli avrebbe avuto almeno un preavviso di dieci giorni per far fronte all'incursione della cavalleria austriaca e di quindici giorni per radunare l'esercito>> (r4). Secondo Angelo Gatti, cui si devono le prime rivelazioni sulle preoccupazioni di Saletta in ordine alle iniziative del Conrad, il Capo di Stato Maggiore italiano avrebbe deciso che, in caso di improvvisa aggressione, l'esercito italiano si sarebbe dovuto riunire sull'Adige anziché sul Piave (r5). Siamo oggi in grado di affermare che gli intendimenti del generale italiano erano ben altri. Infatti il 14 maggio 1908 egli scrisse una relazione al Ministro della guerra in cui, sulla base di una lunga serie di autorevoli pareri, riaffermava la necessità di mantenere la radunata al Piave e di sbarrare con fortificazioni l'aperta frontiera friulana. Queste nuove opere avevano una importanza capitale, nei piani di Saletta, per sventare un attacco austriaco. Nella citata relazione infatti il generale osservava che l'Austria disponeva di una buona rete ferroviaria al confine col Friuli: 1, Ma il fatto che le stazioni di scarico sono tutte ad immediata portata della nostra frontiera, può rendere precaria tale facilitazione soprattutto quando noi potessimo minacciare le stazioni di scarico anche con poche forze, ma appoggiate solidamente ad un sistema di fortificazioni della frontiera friulana. In tal caso l'Austria non potrebbe, per mancanza di sicurezza, fruire delle stazioni predisposte per lo scarico di grandi masse, le quali difetterebbero d'altra parte dello spazio loro occorrente qualora noi potessimo tenere validamente la pianura friulana. La grande radunata austriaca dovrebbe pertanto effettuarsi al di là della massa carsica e lo sbocco in pianura non potrebbe avvenire che con un ritardo di 5 o 6 giorni, ciò che aumenta considerevolmente la probabilità e la possibile durata di una nostra superiorità transitoria>> (r6). Saletta intendeva quindi reagire ad un'eventuale azione austria~ ca attaccando l'avversario per costringerlo ad effettuare la propria radunata lontano dal confine. A questo scopo in un altro docu(14) Ibidem . (r5) Ibidem. (r6) A.U.S.S.M.E., Scacchiere Orientale, b. 2. << Memoriale a S.E. il Ministro della Guerra circa la difesa della frontiera Nord -Est n, in data 14 maggio 1908.


254

L'ESERCITO ITALI.~NO I>ALl.'lKITÀ ALLA GRANDE CIIERR\

(l!l6t- 1918)

mento il Capo di Stato Maggiore aveva richiesto l'aumento delle truppe di copertura e l'invio di 4 reggimenti di cavalleria nel Veneto orientale, oltre ad altri 8 che dovevano tssere tenuti a portata (17). Nonostante la riservatezza con cui venivano valutate le intenzioni di Conrad c con cui venivano approntati i preparativi per farvi fronte, qualcosa sulle intenzioni non proprio amichevoli del Capo di Stato Maggior<: austro-ungarico cominciò a trapelare sulla stampa. L'opinione pubblica ne fu impressionata al punto che, avendo $aletta trasmesso un dettagliato rapporto sui preparativi dell'esercito austriaco alla frontiera italiana al Ministro della guerra che lo comunicò al Ministro degli esteri, Tittoni, questi fece sapere di essere favorevole a qualsiasi provvedimento militare purché non venisse data pubblicità alla cosa ( r8). Pertanto ai primi di marzo, con procedura inusitata il Governo impedì alla Camera la discussione della relazione Pais - Serra sul bilancio del Ministero della guerra. Non deve sorprendere se in questo clima, sotto la pressione delJ'opinione pubblica, la Commissione d'inchiesta sull'amministrazione della guerra si assunse principalmente il compito di determinare, come aveva esattamente previsto Giolitti, quanto occorresse alla difesa del Paese. tanto più che i pretesi abusi si erano rivelati ben poca cosa. Oltre a ciò, uno dei primi atti del senatore Casana, come Ministro della guerra, fu quello di ristrutturare la Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato, di cui entrarono a far parte sia i Ministri militari, sia il Presidente del Consiglio. ella prima riunione dell'organo così allargato, Giolitti comunicò che assumeva la presidenza « per desiderio di S.M. il Re)), per cui si è indotti a pensare che l 'inclusione del Presidente del Consiglio nella Commissione corrispondesse al desiderio del Sovrano di interessare più profondamente Giolitti ai problemi della difesa militare. La Commissione si riunì quattro volte all'inizio del maggio de} 1908 per esaminare un programma da attuarsi entro il 1912. Dato il lungo periodo di contenimento delle spese militari. le richieste finanziarie furono quanto mai massicce. Infatti $aletta chiese 181 milioni di spese straordinarie urgenti, più altri 99 per le necessità meno impellenti relative all'ammodernamento delle armi

l

J

,.?,

l

(17) A .U.S.S.M.E., Ordinamento e Mobilitazione, b. 7· <<Programma di ordinamento difensivo del territorio dello Stato •>, marzo I5J08. (r8) Cfr. F. ToMMASINI, L'Italia alla vigilia della gueffa. Bologna, 1932 ss., vol. III' PP· 543 - 547·

'lt. ·~

j


L'ESERCITO

"'F.I

PèRIODO

GJOLITTI <\NO

(1900 • 1<)08)

2)5

- - - -- --

c dei servizi delresercito. Per le fortificazioni furono richiesti 200 milioni per le spese urgenti e 175 per le meno urgenti. Fu poi rich iesto un aumento di 41.495.ooo lire del bilancio ordinario (19). Giolitti osservò, come e ra prevedibile, che la disponibilità finanziaria non permetteva l'attuazione dell'intero programma, per cui era necessario riconsiderare nuovamente le priorità. La necessità delle spese relative all'armamento ed ai servizi fu in gran parte riconosciuta; la discussione fu invece vivace sulle fortificazioni delle piazze marittime e della frontiera nord- est. Nell'ipotesi di un conflitto con l'Austria un autorevole membro della Commissione, il generale Majnoni. propose perfino di arretrare lo schieramento all'Adige. Saletta contrastò vivacemente una simile proposta e fu sostenuto da Giolitti (20). La presa di posizione del pur cauto Presidente del Consiglio dipendeva evidentemente da una precisa valutazione delle consebrucnze politiche che avrebbe avuto l'abbandono dell'intero Veneto all'invasione nemica. Questo primo scontro non prometteva però nulla di buono per i progeui .del Capo di Stato Maggiore dell'esercito; infatti la Commissione decise che fossero completate le fortificazioni contrapposte al cuneo trentino e quelle del ridotto cadorino- carnico, che le opere sul Tagliamento avessero carattere occasionale e che nulla fosse fatto per sbarrare la frontiera del basso Friuli. Nonostante questa drastica riduzione ai programmi dì Saletta, voluta - si badi bene - dai tecnici e non dai politici, le deliberazioni della Commissione individuavano un vasto piano di rammodernamento dell'esercito italiano. Nel dichiarare concluse le sedute Giolitti espresse l'augurio che queste fossero più frequenti, (( in modo da dare occasione al Governo di rendersi chiaramente ed in ogni momento ragione della necessità dell'amministrazione della guerra e della marina in rapporto alla difesa dello Stato cd alla politica generale del paese » (21). Alle parole seguirono i fatti: il 5 luglio di quello stesso anno veniva pubblicata una legge che concedeva aiJ'esercito uno stanziamento straordinario di 223 milioni. Benché questa somma fosse ripartita in ben dieci esercizi finanziari e rinviasse quindi il completamento del piano, l'amministrazione militare ebbe i mezzi per dare pratica attuazione al programma studiato pazientemente per anni dal Saletta: il quale però non poté sovraintendere alla realizzazione del (r9) A.U.S.S.M.E. eo~IMISSION'f. SnRnlA MISTA PER L ... DIFES:\ DELLO STATO, V~bali delle sedute tmuu nel maggio 1908, pp. 2- 5·

(zo) Ibidem, p. 35· (21) l bidem, p. 52.


suo progetto poiché aveva dovuto lasciar<: l'incarico, per raggiunti limiti di età, pochi giorni prima del varo della nuova legge. Con l'uscita di scena di Saletta e l'approvazione dei nuovi stanziamenti si chiudeva un tormentato periodo nella vita dell'esercito italiano, in cui però erano state poste le premesse per il successivo organico sviluppo.


VIII. RINALDO CRUCCU

L'ESERCITO NEL PERIODO GIOLITTIANO ( 1909 - 191 4)

l].



RINALDO

CRUCCU

Generale di Brigata (aus.)

L'ESERCITO NEL PERIODO GIOLITTIANO ( 1909 - 191 4) *

Continuando il discorso testé avviato dal professar Mazzetti ricorderò che la successione di Saletta fu caratterizzata da un epi~ sodio quanto mai significativo. Infatti qualche tempo prima che il Capo di Stato Maggiore raggiungesse i limiti d'età, il primo aiutante di campo del Re, generale Ugo Brusati, scrisse al suo vecchio amico, Conte Luigi Cadorna, per informarlo che il suo nome veniva preso in considerazione per l'altissimo incarico. Si voleva però conoscere se corrispondeva a verità la voce ricorrente che egli, una volta nominato Capo di Stato Maggiore, inten~ desse in caso di guerra escludere completamente il Sovrano dalla direzione delle operazioni. Il generale Cadorna rispose ringraziando e precisando che, essendo il Sovrano costituzionalmente irresponsa~ bile, egli riteneva che la direzione delle operazioni spettasse al Capo di Stato Maggiore, ciò a prescindere dalla totale devozione nutrita per il Sovrano (1 ). L'episodio è significativo perché illustra, se ce ne fosse ancora bisogno, la ferma intenzione di Vittorio Emanuele III di esercitare, anche in caso di guerra, una diretta azione di comando sull'esercito. Il primo luglio 1908 fu chiamato quindi a succedere a Saletta, uno dei più giovani e brillanti generali dell'esercito italiano: Alberto Pollio. La situazione che il nuovo Capo di Stato Maggiore si trovò aù affrontare, anche se migliorata, presentava ancora mol~ teplici problemi cui bisognava dare rapida soluzione. Il programma proposto dal suo predecessore ed approvato dalla Commissione Suprema Mista per Ja difesa dello Stato era appena agli inizi, mentre la situazione internazionale si andava oscurando sempre di più a seguito della decisione austriaca, resa nota il 4 ottobre 1908, di annettere la Bosnia- Erzegovina. • Relazione presentata al Congresso Nazionale su Istituzioni e metodi politici dcl!'etcì giolittiana tenuto a Cuneo dall'n al 12 novembre 197!!. (1) L. CAOORNA, Lettere famigliari, Milano, 1r;fi7, pp. 189 - 92.


La prima preoccupazione di Pollio fu quindi la difesa della frontiera nord- est. In uno studio compilato poco dopo l'assunzione del nuovo incarico, anch'egli, come già il suo predecessore, si dichiarò contrario a modificare i piani di radunata che prevedevano lo schieramento dell'esercito sul Piave fino a che non fossero ultimate le fortificazioni che fronteggiavano il saliente tremino. Benché l'emozione provocata dall'annessione della Bosnia- Erzegovina si andasse via via placando, la preoccupazione degli ambienti politici e militari italiani rimaneva viva, tanto più che era ben noto, dalle relazioni dell 'addetto militare a Vienna, che i Capi dell'esercito imperiale avevano approfittato della crisi e degli ampi stanzi amenti concessi per fronteggiarla, per colmare antiche lacune negli armamenti dell 'esercito austro-ungarico. Di conseguenza, allorché il 4 aprile 1909 al senatore Casana successe il generale Paolo Spingardi, l'opera di riordinamento dell'esercito non subì battute d'arresto, anzi con l'avvento del nuovo Ministro della guerra si ebbe un lungo periodo di stabilità al vertice dell 'amministrazione militare. Infatti, mentre negli otto anni precedenti il Ministro cambiava in media una volta l'anno, Spingardi resse ininterrottamente il dicastero della guerra per circa cinque anni, fatto questo che nella storia post- unitaria era avvenuto una sola volta, cioè quando il generale Ricotti- Magnani era stato Ministro della guerra dalla fine del 1870 all'inizio del 1876. Bisogna notare però che, rispetto al Ricotti, Spingardi fu ministro con governi di diverso orientamento politico il che, se da un lato sottolineava il carattere esclusivamente tecnico della sua opera, nonché un evidente favore sovrano, dall'altro testimoniava le sue indubbie qualità personali. Spingardi era infatti abile, duttile e tenace: tutte caratteristiche indispensabili per l'incarico che si era assunto. Al nome del nuovo Ministro e di Pollio è legata la riorganizzazione dell'esercito italiano che fu attuata ne.l 1909- 1910 . Per quanto riguarda l'organica, il nuovo ordinamento non previde che la costituzione di poche nuove unità, preoccupandosi principalmente di ristrutturare la compagine dell'esercito, utilizzare nel miglior modo possibile il personale e costituire nuove specialità imposte dall'evoluzione dei mezzi tecnici (telegrafisti. automobilisti). Oltre a ciò furono adottate due altre importanti misure collegate fra loro: l'adozione della ferma biennale per tutto l'esercito e l'aumento della forza bilanciata che raggiunse i 225.000 uomini. Fu inoltre avviato a soluzione il problema della sistemazione difensiva della frontiera nord- est. Nel dicembre 1909 il generale Pollio, infatti, in considerazione del fatto che erano già iniziati i lavori per le fortificazioni contrap-


L. ESERCITO NEl. PERI ODO ClOLITTIANO

(1909 • 1914)

26t

poste al cuneo trentino, ritenne fosse giunto il momento per chiudere quella che veniva chiamata (<la porta del Friuli l> . Propose quindi che venisse fortificata la linea del Tagliamento, in modo da costituire nel complesso una forte tenaglia difensiva. Fu avviato a soluzione il tormentato problema dell'artiglieria da campagna con l'adozione dell'ottimo materiale da 75 Déport e quello dell'artiglieria da montagna con la messa a punto del pezzo da 65 di progettazione italiana. Nel febbraio del 1909 poi era stato definito un programma per il rinnovamento del parco d'assedio che, una volta ultimato, avrebbe consentito di disporre di 92 batterie. Per quanto riguarda le mitragliatrici, nell'aprile del 191 I il Capo di Stato Maggiore aveva presentato al Ministro un progetto per la costituzione di 602 sezioni su due armi che doveva essere realizzato in tre tempi, compatibilmente con la disponibilità finanziaria. Per attuare questo vasto programma infatti, oltre alle somme già stanziate, l'amministrazione della guerra poteva contare sulla disponibilità di 50 milioni io tre esercizi approvata dal Parlamento il 22 luglio 191 1, mentre l'anno prima era stata sanzionata una spesa di 25 milioni (poi ridotta a Io) per la costituzione di una flotta aerea. Comunque la situazione finanziaria complessiva dell'amministrazione della guerra era grandemente migliorata essendo passate le spese ordinarie da 280 milioni dell'esercizio 19o6 - 1907, a 336 del 1910 • 19 I I. Il piano di riarmo italiano aveva cominciato ad avere attuazione, quando l'impresa libica intervenne a modificare profondamente la situazione. Le vicende che caratterizzarono l'inizio delle operazioni misero a nudo l'assenza d'inregrazione fra l'azione dei politici e quella dei militari, cosa non nuova nelle imprese coloniali italiane, ma che, in considerazione dci precedenti, avrebbe dovuto essere evitata. In effetti le autorità militari furono avvertite solo all'ultimo momento della decisione del Governo, così che non fu possibile impiegare la classe 1889 che era stata congedata il 3 settembre. Lo stesso Spingardi ebbe a rilevare l'incongrucnza di questo modo di agire; il Ministro della guerra, informando, il 20 settembre l' aiutante di campo del Re, sulle disposizioni ricevute da Giolitti, che lo invitava a c< far presto >> esclamava : <( E dire che r5 o 20 giorni or sono avevamo la classe da congedare e una classe richiamata alle armi: 8o.ooo uomini pronti a partire in 48 ore! Siamo dissipati ... e imprevidenti! » (2). Solo il 25 settembre fu pubblicato il decreto

(z) F. M ALCERJ, La guerm libica, 191 I - 1912, Roma, 1970, p. 155·


262

L'EsERCITO ITAL!A'-10 DALL'UNITÀ ALLA GMNDE GUERRA

(1861 • 1918)

che richiamava alle armi la classe x888 e il pnmo g10rno di chiamata fu fissato per il 28 settembre. 11 piano originale di operazioni del Comando del Corpo di Stato Maggiore prevedeva l'occupazione simultanea di Tripoli e H oms da dove una colonna celere si sarebbe diretta, per Mesellata e Tarhuna, per assicurars.i il controllo dell' llintcrlaml (3). Si trattava quindi di approfittare della superiorità nanle italiana per agire di sorpresa in Tripolitania, distruggere i presidi turchi stanziati lungo la costa e occupare salde posizioni all'interno prima che potesse essere organizzata una qualsiasi reazione. Indubbiamente sarebbe stato conveniente che un simile disegno fosse stato approntato per tutta la costa libica, dato che, almeno in teoria, l'esercito italiano disponeva di forze adeguate per attuare l'operazione e la marina era in grado di garantire la sicurezza dci convogli e l'appoggio di fuoco agli sbarchi. Comunque anche il progetto approntato dallo Stato Maggiore avrebbe permesso i l rapido stabilirsi dell'autorità italiana in Tripolitania. Esso necessitava però di un'accurata preparazione specie per quanto riguarda la cooperazione delle due Forze Armate. In pratica, invece, come notò il generale Brusati in un appunto al Re, r< l'azione combinata dell'Esercito e dell' Armata fu piuttosto casuale che prevista. Dapprincipio anzi azione combinata non vi fu affatto, e i bravi marinai corsero brutti rischi. Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito era stato tenuto all'oscuro di tutto: era stato tenuto quasi in disparte. Premesso il lavoro diplomatico, stabilito lo scopo da raggiungersi, dovevasi affidare esclusivan1ente al Capo di Stato Maggiore de.ll'Esercito, d'accordo col Capo di Stato Maggiore della Marina, di studiarne i mezzi e le modalità. Assillati dali 'impazienza di dover fare qualche cosa ci gettammo allo sbaraglio senza soverchia riflessione, quasi dimentichi che per condurre a buon esito un'impresa guerresca la rapida esecuzione deve essere preceduta da calma meditazione» (4). In pratica l'occupazione delle città costiere libiche fu condotta con una serie di operazioni slegate e frammentarie. Gli studi approntati da Pollio non furono tenuti in molta considerazione. In realtà i dirigenti politici esautorarono le autorità militari sovrapponendosi ad esse. « La guerra >>, scrisse in un appunto il generale Brusati, (( fu all'inizio condotta da Giolitti e da S. Giuliano, i quali sparpagliarono le nostre navi da guerra sul litorale libico. impartendo ordini (3) MINISTERO DELLA GuERRA - UFFICIO STORICO, Campagna di Libia, vol. I, P· 2 75· (4) F. MALGERI, op. cit., p. 162.


L'ESERCITO "'EL l'l:RIODO GIOLITTI ANO

(1909 • 1914)

direttamente ai comandanti in sottordine. all'insaputa del comandante in capo della squadra sinistra. E ora si paga il fio di quel peccato d'origine. Giolitti non lo capisce >> (5). Le operazioni italiane avevano avuto un inizio lento e slegato; le truppe turche si erano sottratte al combattimento ritirandosi nell'interno, erano state rinforzate da elementi locali e godevano dell'appoggio della popolazione; si erano quindi realizzate tutte le premesse perché si iniziasse una lunga e sanguinosa guerriglia. Poiché i soldati italiani non erano addestrati a questo tipo di lotta non restava ai loro comandanti che procedere lentamente e cautamente evitando di correre il rischio di una sconfitta che avrebbe avuto gravi ripercussioni sull'opinione pubblica. Non fu possibile quindi conseguire in Libia un rapido e decisivo successo, né l'Italia poté impiegare altrimenti tutto il suo potenziale navale e terrestre per indurre la Turchia alla pace. Infatti da un lato l'Austria- Ungheria si opponeva ad azioni italiane nella penisola balcanica, dall'altro l'Inghilterra non celava la sua ostilità alle iniziative belliche in Asia minore o nella penisola araba. La situazione internazionale dell'Italia sembrò peggiorare ulteriormente a seguito del riaccendersi del contrasto itala- francese che finì nel 1911. Questo fatto provocò invece un riavvicinamento tra le potenze della Triplice Alleanza a seguito del quale l'Austria consentì che le Forze Armate italiane conducessero operazioni limitate anche in Egeo. Nel maggio del 1912 un Corpo di spedizione italiano occupò Rodi e un'altra dozzina di isole. Questa nuova pressione non indusse però la Turchia a chiedere la pace né ottennero questo risultato i successi che, sia pure lentamente, il Corpo di spedizione italiano conseguì in Tripolitania e in Cirenaica. Solo l'imminenza del conflitto balcanico indusse i dirigenti di Costantinopoli a porre fine all'ostilità. Col trattato di pace con la Turchia si concludeva ufficialmente il conflitto ma non cessarono le operazioni militari italiane tendenti a conseguire il controllo dell'intero territorio libico. Queste operazioni conobbero fasi alterne e, come è noto, durarono ancora molti annt. L 'incidenza della guerra italo - turca e delle successive azioni in Tripolitania e Cirenaica sulla preparazione militare italiana fu senza dubbio notevolissima. Secondo i calcoli del Répaci , il costo complessivo del conflitto libico per i tre esercizi finanziari r9n rqr2, 1912- 1913, 1913 · 1914 fu infatti di I .or5 milioni (6). Si trat(5) Ibidem.

(6) F. A. RÉPACI, La finanza pubblica italiana nd secolo 186o- 1960, Bologna, 19(}2, p. 37·


tava, come si vede, di una somma ingente che veniva cosi sottratta ad altre possibilità d'impiego. Queste spese determinarono un rigonfiamento dci. bilanci militari al quale:: non rispondeva però alcun aumento reale dell'efficienza bellica delle Forze Armate. L'efficienza dell'esercito fu anzi per qualche tempo compromessa tanto che Pollio dovette disdire, sul finire del 1912, gli impegni presi molto tempo prima con lo Stato Maggiore germanico per l'invio di un 'armata italiana sul Reno in caso di guerra. Negli anni successivi la situazione andò migliorando ma, per quanto la forza bilanciata fosse portata nel 1912- 13 a 250.000 uomini, la forza media dei reparti restò molto bassa. Le compagnie di fanteria, che nel 1909- 1910 potevano contare su 85 soldaù, potevano disporre infatti soltanto di 66 uomini in media (7), a causa delle esigenze della Libia, che nel periodo non assorbirono mai meno di 50.000 uomini. Le necessità finanziarie per far fronte alla conquista e al mantenimento dell'occupazione della nuova colonia incisero anche sul piano di riarmo studiato dai generali Pollio e Spingardi. Il progetto relativo all'artiglieria d'assedio ed a quella pesante campale fu compromesso sia per cause tecniche sia per carenze finanziarie. L'assenza di un'adeguata dotazione di fondi incise ancora più profondamente sull'approvvigionamento dei nuovi mezzi automobilistici di cui l'esercito aveva grande bisogno. Non bisogna tuttavia esagerare, come si è talvolta fatto, attribuendo alle vicende libiche tutti i ritardi del piano di riarmo italiano. Sovente i ritardi nell'approntamento di materiali non avevano nulla a che fare con le vicende belliche e con la riduzione di disponibilità finanziaria da esse provocata. Ad esempio, l'assegnazione dei nuovi pezzi da campagna in ritardo rispetto al tempo stabilito derivò p rincipalmente dalle difficoltà incontrate dal consorzio delle ditte che avevano assunto l'onere di costruire il nuovo materiale. Era infatti la prima volta che veniva intrapresa da un gruppo di aziende private la costruzione su grande scala di materiali per l'esercito, e ciò aveva creato problemi di non facile soluzione. Anche il ritardo nella costituzione di reparù mitraglieri non ha alcuna attinenza con le conseguenze della vicenda libica, ma dipese dall'inadempienza della Società costruttrice (l'inglese Wickers), che non riuscì a consegnare i materiali nei tempi prcfìssati. La campagna italo- turca influì invece grandemente e negativamente sulle dotazioni di mobilitazione che risultarono notevolmente intaccate. Ciò dipese da vari

(7) MI NISTERO DELLA GuERRA - UFFICIO STORICO, L'esa·cito italiano nella grande gut:rra 1915- 18, vol. I (Narrazione), Roma, 1()2], p. 72.

.., "!


265

fattori, tra i quali, in primo luogo il maggior costo delle nuove serie di vestiario rispetto alle precedenti. Con ogni probabilità però la necessità di dover ricorrere alle dotazioni di mobilitazione fu imposta dai ritardi, causati dall'adozione di una nuova procedura amministrativa, con la quale il Ministero della guerra impiegava le somme stanziate per le esigenze delle operazioni in Libia. Infatti alla .fine dell'esercizio finanziario 191 I- 1912, dovevano ancora essere impiegate dal Ministero della guerra ro4·965.563 lire (8) sui fondi concessi per le necessità dell'impresa; l'anno seguente 46.573.229 lire (9) e, alla data del 30 giugno 1914, l'Amministrazione militare doveva ancora spendere 46.412.381 lire (10) sugli stanziamenti per la Libia. Poiché non era certo possibile differire i rifornimenti alle unità combattenti in attesa del completamento delle pratiche burocratiche, il Ministero della guerra dové necessariamente attingere alle riserve di mobilitazione. Nonostante questi ritardi e deficienze particolarmente gravi dato che dopo la conclusione della seconda crisi marocchina tutta l'Europa stava riarmando, il programma fissato nelle sue grandi linee dalla Commissione Suprema Mista di difesa nel 1908 era stato in buona parte attuato. Questo fatto - unito alla circostanza che molti provvedimenti allora stabiliti si riferivano a un conflitto italo- austriaco mentre la situazionè determìnatasi al termine dell'impresa libica aveva prodotto un riavvicinamento tra Italia ed Austria e reso quanto mai probabile uno scontro con la Francia determinò Pollio e Spingardi a studiare un nuovo programma di lavori e di spese. Il nuovo progetto non mirava a modificare ed ampliare l'organico dell'esercito quanto a rendere pienamente efficienti le strutture esistenti ed a metterle in grado di affrontare i pericoli derivanti dalla mutata situazione internazionale. A seguito della stesura di questo nuovo programma fra il 19 e il 24 maggio 1913 fu nuovamente convocata la Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato. La Commissione deliberò a favore di una completa ristrutturazione della sistemazione difensiva al confine francese, prese in esame i problemi della difesa delle (8) CA~!ERA DEI DEPUTATI, Rendiconto generale con;untivo dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario rgiT- r2, Parte I, Roma, 1912, p. 2087. (9) CAMERA DEl DEPuTATI, Rendiconto generale consuntivo dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario r912- '3• Parte I, Roma, 1913, p. 2IJ7. (ro) CAMERA nEI DEPUTATI, Rendiconto generale consuntivo dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 1913 - 14, Parte 1, Roma, 1914, p. 1617.


coste e delle piazze marittime, decise in merito al completamento del parco artiglieria d'assedio e delle dotazioni di munizioni, esaminò inoltre i problemi relativi alla costituzione della forza aerea e si espresse favorevolmente all'aumento della forza bilanciata. In conclusione della sessione, Giolitti affermò: <' Il Governo da parte sua farà tutto il possibile. Per proprio conto ritiene che il miglior sistema sia quello di non fare assegni straordinari, ma di aumentare gradatamente quelli ordinari, poiché le leggi straordinarie danno una spinta momentanea alla quale poi succede inevitabilmente una sosta, come è avvenuto per la marina)) (u). A seguito delle decisioni della Commissione il generale Pollio studiò tre programmi denominati massimo, ridotto e minimo. Sulla base di questi studi, il Ministro Spingardi elaborò un programma definitivo che prevedeva un aumento annuale delle spese ordinarie pari a 85 milioni e tmo stanziamento straordinario di 6oo milioni. La sopravvenuta malattia del generale Spingardi impedì che questo progetto fosse discusso prima della caduta del Governo Giolitti. Una sintetica esposizione delle vicende dell'esercito italiano nell'età giolittiana potrebbe concludersi così, tuttavia essa non sarebbe completa se non prendesse in esame anche le vicende relative allo scoppio del conflitto europeo. Si è spesso affermato, infatti, che l'esercito italiano, nell'estate del r914, era assolutamente impreparato a sostenere una guerra e che le buone prove successive furono dovute a intensissima opera di preparazione svolta dal nuovo Capo di Stato Maggiore generale Cadorna. Queste affermazioni sono in realtà viziate da un chiaro intento politico di attribuire a Giolitti e al suo Governo la responsabilità della impreparazione militare italiana. Da una più ponderata riflessione non sembra .i nfatti che fra i molti e indiscutibili meriti del generale Cadorna vi sia anche quello di aver creato, quasi per magia, l'esercito italiano durante i IO mesi della neutralità. Si è cercato di attribuire valore di prova in favore della tesi della totale impreparazione italiana a quanto scrisse Ferdinando Martini nel suo Diario sotto la data del 1" agosto 1914: t< Quando noi ci presentammo alla Camera affermammo (lo affermò il Presidente nel suo discorso) che le spese militari erano state rilevanti, ma che in parte avevan doVtJto servire al rifornimento dei magazzini i quali si trovavano ora in assetto completo, cioè interamente

(11) ARClllVIo

DELL'UF FICIO

SToRico

DELLO

STATO

MAGGIOR~;

EsERCITO,

Commissione suprema mista per la difesa dello Stato, Sessio-ne del mese di maggio 1913, Verbale della 4• seduta, p. 15.


L' ESERCITO N EL PERIODO GIOLITTIANO

(1909- 1914)

ricosutum, con le loro dotazioni ordinarie, compensati di quanto fu loro tolto durante la guerra libica; insomma al completo. « Orbene, nulla di men vero: se dovessimo mobilitare l'esercito intero, i vestiti mancherebbero per più che due terzi : e occorrerebbero dodici milioni per rifarli. Il Ministro della Guerra, sulla cui fede Salandra fece quelle dichiarazioni alla Camera dice ora di aver asserito sulla fede altrui e di essere stato ingannato>> (12). La situazione era veramente quale la descrive Martini in questo brano? Si può notare anzitutto che a quell'epoca con 12 milioni era possibile acquistare solo circa IOo.ooo seri.e di vestiario e non quante ne occorrevano per due terzi dell'esercito mobilitato. La dichiarazione di Martini è quindi senza dubbio eccessiva. Per quanto riguarda la situazione dell'esercito italiano allo scoppio della grande guerra è necessario tener presente quanto scrisse il generale Adriano Alberti già Capo dell'Ufficio Storico. « Nel 1914 l'Italia aveva sotto le armi le due classi 1892 e 1893, le più numerose che essa avesse mai chiamato, in complesso 235 mila uomini, oltre 41 mila tra raffermati e car abinieri. Inoltre, per fortunata combinazione, erano stati richiamati l'II luglio per esigenze di pubblica sicurezza 76 mila uomini della classe 189 r, da poco congedati, in totale 352 mila uomini di truppa perfettamente istruiti, 50 mila dei quali in Libia. Vi erano poi sotto le armi 33 mila reclute della 2~ categoria del 1893. Mai l'esercito italiano era stato in pace più forte. « Tuttavia il Salandra afferma che noi, prima del 2 agosto, avevamo soltanto due classi sotto le armi e soggiunse che, al dire del Ministro della guerra, " ci trovavamo pressoché disarmati ". (( Come si può affermare la pretesa nostra debolezza se si erra perfino nel numero di classi sotto le armi? I nostri 350 mila uomini erano in proporzione assai favorevole coi 400 mila dell'Austria a quella stessa epoca. Il 2 agosto il ministero chiamò altre classi, due istruite, una di reclute, il che fece salire la forza dell'esercito a 628 mila uomini. « La recente guerra di Libia aveva prodotto naturalmente un consumo nelle dotazioni di mobilitazione, le quali erano però reintegrate ad eccezione del fabbisogno per una classe, all'incirca, per il quale erano stati richiesti i fondi al Parlamento, in totale una ventina di milioni! La deficienza più impressionante consisteva in 260 mila gavette, alla quale del resto si poteva supplire perché le dotazioni di mobilitazione erano previste per vestire ed equipaggiare a nuovo tutti gli uomini mobilitati, compresi quelli già sotto (12) F. MARTINJ,

Diario 191 4 - 1918, Milano, 19(}6, p. 9·


268

L' ESERCITO ITALIAN O DALL'UNITÀ ALLA ORA!\: DF. GUERRA

(1861 - 1918)

le armi, mentre non vi era inconveniente alcuno che questi partissero colla gavetta o colla mantellìna usata» (13). Nonostante questa favorevole testimonianza qualcuno potrà pensare che le condizioni complessive dell'esercito italiano non avrebbero comungue consentito una rapida mobilitazione. Il nuovo Capo di Stato Maggiore generale Cadorna, appena fu chiara la minaccia dello scoppio del conflitto, inviò una memoria al Re per chiedere l'autorizzazione a inviare sul Reno oltre ai tre Corpi d'Armata concordati con lo Stato Maggiore tedesco anche tutte le altre forze che si rendessero disponibili. Contemporaneamente fece studiare l'approntamento di ben sette (su dodici) Corpi d'Armata e di tutte le quattro divisioni di cavalleria che avrebbero dovuto essere inviate in Germania. Il 30 luglio veniva presentato al Capo di Stato Maggiore un prospetto in cui venivano indicate dettagliatamente le carenze delle dotazioni di mobilitazione di ogni singola unità. Le conclusioni complessive erano però rassicuranti : la mobilitazione avrebbe avuto luogo « con un ritardo di circa ro giorni al massimo» (14). Poiché le carenze maggiori erano relative alle unità che dovevano essere inviate in Germania in un secondo momento, si può ritenere che la mobilitazione si sarebbe svolta regolarmente come previsto. Concludendo: la vita dell'esercito italìano nell'età giolìttiana è contraddistinta da un intervento della Corona negli affari militari molto superiore a quello dei periodi precedenti. Questo intervento, discreto ma assiduo e costante, non ostacolò il Presidente del Consiglio né fu da lui ostacolato e finì con l'avere una duplice funzione. A breve termine, servì da elemento stabilizzatore del sistema giolittiano; ma determinò anche il consolidarsi d'una prassi costituzionale che sopravvisse a Giolitti e che, a lungo termine, fungerà da elemento equilibratore nella difesa dell'esercito dalle ingerenze del regime fascista. Quanto all'efficienza dell'apparato militare italiano, bisogna considerare in primo luogo che 1'1talia faceva parte di un'alleanza che disponeva del maggior concentramento di forze terrestri che esistesse allora nel mondo. Nei primi anni del Governo Giolitti, in un clima internazionale di relativa distensione, l'esistenza dell'alleanza era di per se stessa sufficiente garanzia per l'Italia. Era quindi comprensibile che in questo periodo si preferisse dare la

(13) A. A LBtRTr, Testimonianze straniere sulla guerra italiana 1915 -

'9L8, Roma, 1936, p. ro. (14) ARCHIVIO,

Cado-rna Pallanza, p. 12.


L'ESERCITO l'EL PERIODO G IOLITTJAt-.;0

-----------------

(1909- 1914)

prevalente destinazione dei fondi pubblici ad altre impellenti necessità del Paese. Quando poi, con la crisi marocchina e l'avvento di Conrad a capo delle forze annate austro-ungariche, l'orizzonte internazionale si oscurò e l'alleanza perse gran parte della propria stabilità e si rese indispensabile provvedere urgentemente alla preparazione militare, gli stanziamenti in complesso non mancarono. La Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato ebbe in questo quadro un ruolo di grande importanza, poiché in quella sede si discussero ed approvarono i piani di ristrutturazione e potenziamento delle Forze Armate, con risultati nel complesso assai positivi, garantendo, ad onta delle sue non numerose riunioni, una sufficiente integrazione fra strutture di governo ed organizzazione militare. Il piano di riarmo italiano fu peraltro compromesso dalle esigenze del conflitto libico. L'infiuenza negativa di questo sulla preparazione militare italiana non va però esagerata, poiché non fu tale da compromettere, come spesso si è detto, l'efficienza complessiva dell'esercito allo scoppio del primo conflitto mondiale. Ciò fu reso possibile dall'opera assidua e costante, prestata in situazioni non sempre facili, dal Ministro Spingardj e dal Capo di S.M . Alberto Pollio, i quali ebbero udienza presso il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, molto di più di quanto sostenuto finora.



IX. FRANCESCO MALGERI

LA CAMPAGNA DI LIBIA (1911-1912)



F RANCESCO MALGERI dell 'Università di Roma

LA CAMPAGNA DI LIBIA ( 191 l - 1912)

r. - La campagna per la conquista della Libia, nel 19II - 12, presenta elementi e caratteri particolari rispetto ad altre guerre e ad altre imprese coloniali. Ci si trova di fronte ad una realtà nella quale problemi militari, diplomatici e politici si intrecciano in un grovigìio non sempre facilmente districabile e con pesanti condizionamenti reciproci. Pur soffermandoci in questa sede essenzialmente sugli aspetti militari, occorrerà di volta in volta riferirsi anche a quei risvolti di carattere politico e diplomatico che influirono pesantemente sugli aspetti militari della guerra, sin dalla sua vigilia. Al momento dell'invio dell'ultimatum alla T urchia (26 settembre r9u) e della successiva dichiarazione di guerra (29 settembre) il corpo di spedizione non era ancora pronto per affrontare le ostilità. La decisione improvvisa di entrare in guerra colse l'esercito di sorpresa, impreparato, tanto che tutto il complesso meccanismo legato ad una spedizione militare d'oltre mare dovette essere allestito e portato a termine nel giro di pochissimi giorni. Due fatti servono a meglio chiarire questa impreparazione : le manovre militari avvenute fra la fine di agosto ed i primi di settembre e il congedamento della classe r889, avvenuto il 3 settembre. Fino al r" settembre si erano svolte le grandi manovre terrestri e tra il 5 e il 15 settembre quelle navali. E' noto come le manovre non favoriscano la preparazione ad una imminente azione bellica, anzi rappresentino un serio elemento di disturbo. Eppure, nulla avrebbe vietato il rinvio di queste manovre, tanto più che esistevano valide e sufficienti ragioni per farlo. Una epidemia di colera in Piemonte (nella provincia di Alessandria) ed jn Liguria (nella provincia di Genova), proprio nelle zone in cui si sarebbero dovute svolgere le manovre terrestri, aveva fatto nascere il problema se effettuarle o meno. Il 18 agosto, in seguito all'acuirsi dell'epidemia in alcuni centri (erano stati colpiti il II, IV, VI, VII, VIII, X e .~.


XII corpo d'armata), l'on. Brizzolesi~ con un telegramma a Giolitti. invitava il governo a soprassedere allo svolgimento delle manovre. Giolitti, che si trovava a Bardonecchia, impensierito, informava il ministro della guerra Spingardi manifestando <<grave preoccupazione >L Spingardi cercò di minimizzare l 'episodio, ed a seguito di un nuovo telegramma di Giolitti, dello stesso giorno. diretto a Peano (t), rispose perentoriamente: << le manovre avranno luogo così come il capo di stato maggiore le ha predisposte, naturalmente con ogni possibile riguardo >> (2). Il giorno successivo. 19 agosto, si inserì nella questione anche Turati, chiedendo la sospensione delle manovre e minacciando, in caso contrario, di presentare una interrogazione in Parlamento. Spingardi , ìnformandone Giolitti, osservava che il capo di stato maggiore era contrario alla sospensione e lo stesso direttore generale della sanità militare condivideva questo parere. << Quindi - proseguiva Spingardi - dal lato militare non vi sarebbero ragioni sufficienti per sospensione. Questione può assumere aspetto politico, sia per la possibilità non esclusa che possa estendersi epidemia, sia perché anche pochi casi potrebbero formare oggetto di censura » (3). Giolitti non volle interferire nelle decisioni dei militari; si limitò a dire che se vi fossero stati « casi di colera fra le truppe la responsabilità del capo di stato maggiore sarà gravissima e molto severo sarà il giudizio dell'opinione pubblica >> (4). Non possiamo sapere se Giolitti temesse per la salute dell'esercito in vista della 'possibile azione militare in Libia, o prevalessero in lui, come sembra, considerazioni di ordine politjco. Il fatto è che egli, in tutta la vicenda, non fece parola alcuna di una possibile utilizzazione dell'esercito a breve scadenza. Di fronte al telegramma di Giolitti, il capo di stato maggiore, Pollio,

ABBRLVlAZIO"I: .A.C.S.: Archi"o centrale dello Stato; .\.S. MAE: Archi, io >torico del Ministero aHari e~t.-ri: A.S. .MAI: Archivio storico del Mini;tcro dell'Africa italian3: A.B.: Archi,·io Bru,ati: C.M.: Carte Manini; D.D.F.: Docrmrmrs diplomatiquer français ( 1871- 191~/. Paris, ' 9~9- 195·1· (1) << Ricordo - ;cri,~e Giolitti in questa lettera - ~vcr osservato a Ministro della guerra che mi parev;o mollo m:•lc scelto luogo c stagion<' p~r grandi manovre . Ma or:J a me manca b po,sihilitil di dare un parere, non conoscendo né particolari dello •voi· gimenro delle m.1none , né quali truppe vi prendano parte, c non avendo wmpetenza a giudicare fino a qu,tl puntn, ccce"t,ionali calori , marce faticose c diferto di acqua possa facilitare diffusione colera fra truppe "· (Copia della letter.t in A.C.S., A.B., se. 10, f. \'!..{.36, n. :zll9). L 'estate 11)11 fu caldissima . Il 2b luglio si rel!i>trarono 38o a Milano, 38,5<> a TrC\·iso c oltre 4oo in Pu!!lia. (2) ld~m. n. 291. copia del telegramma spedito da SpingJrdi a Giolini il 18 agosto 1911. alk· ore '9·~5· (3) Idem. copia del telegramma spedito da Spingardi a Gioliui il 19 agosto 191 1. alle ore 12. (4) Idem, copia dd telegramma spedito <h Spingardi a Giolitti il 19 agosto 1911, alle ore 16. Il gcn . Bru>ati, aiutante di campo del re, annotò caus<icamentc al margine di questa frase di Giolitti: <<per eliminare fin d'ora rc>ponsabilirà minisreriali ».

l


L.\ C,\Ml'AGK"' DI

----------------

LIBJA (191I·1912)

2

75

rimase (( impressionatissimo », come si legge in una lettera di Spingardi a Brusati dello stesso 19 agosto, ed era deciso a sospendere le manovre. In una riunione svoltasi nell'ufficio di Spingardi, alla presenza anche di Tedesco, Santoliguido, gen. Ferrera, Peano e Mirabelli, prevalse infine la tesi di << lasciare dfcttuare il concentra· mento in corso » (S)· L'episodio presenta aspetti significativi per comprendere taluni limiti della preparazione militare alla guerra libica; ma ancor più significativo è il congedamento della classe 188t), avvenuto il 3 set· tembre. Basti dire che la stessa classe venne richiamata alle armi due mesi dopo, il 3 novembre successivo. Lo stesso Spingardi ebbe a rilevare J'incongrucnza di questo modo d'agire; il ministro della guerra, informando il 20 settembre l'aiutante di campo del re, sulle disposizioni ricevute da Giolitti, che lo invitava a «far presto)), esclamava : « E dire che 15 o 2 0 giorni or sono avevamo la classe da congedare e una classe richiamata alle armi : 8o.ooo uomini pronti a partire in 48 ore!!! Siamo dissipati . .. e imprevidenti » (6). Se i fatti accennati tendono a dimostrare come il presidente del consiglio nel mese di agosto e i primi giorni di settembre fosse ancora lontano dall'idea della guerra, nonostante ne avesse già discusso col ministro degli esteri, avvalora anche l'ipotesi che gli or· gani militari nulla sapessero della eventualità di una azione bellica, sta pure a non prossima scadenza, altrimenti, è per lo meno presu· mibile, avrebbero agito in maniera diversa sia in occasione delle manovre, sia nel congedamento dell a classe 1889. Il fatto è che la questione di Tripoli era diventata un problema personale ed esclu· sivo di Giolitti e di Di San Giuliano (7), un fatto politico, economico e diplomatico, in cui l 'elemento militare rappresentava un fattore secondario e di scarso peso, nella convinzione diffusa che vera guerra non vi sarebbe stata, che i turchi avrebbero facilmente ceduto e gli arabi si sarebbero subito uniti col più forte, come sentenziava Di San Giuliano. C'è da aggiungere che l'allestimento del corpo di spedizione fu ostacolato anche dalla massima segretezza che si volle dare a tutta l'operazione ; segretezza che, soprattutto per la marina, era pressoché impossibile mantenere, dovendosi procedere ad « accordi

(5) /di'm. « Ho

pass.~to

ore che non ri

dico~

• conclude\ :t Spingardi.

(t}) Idem. n. 299. "\:cll"originalc si legge: ,, dùlipnri . e imprc:,·idenri » . Abbiamo corretto . (i) Il 3 novembre Iyn così Giolitti scriveva a Fadm:tndo M:utini: « Tra San Giu-

liJno c me vi fu sempre completo accordo c abbinmo sempre

c~:~roinati

insieme (noi

dll(: so/J) in modo as•olut:tmcntc obiettivo il pro e il contro t.lcllc dh·erse parti dd pro·

blcma '' · (La lettera in A.C.S .• C ..H., b. 13, f. 6. Il corsivo è nostro).


276

L' ESERCIIO 11'AL1 :\ r-;Q nAt-L'UNTT.\ .'ILLA GR \:-IVJ:: Gl'ERR\

(1861 · 1918)

-----

per il noleggio dei piroscafi e il loro inùo all'arsenale di :'\apoli per l'occorrente sistemazione » (8). Il 22 settembre, quattro giorni prima dell'invio dell'ultimatum, ancora Spingardi informava Brusati di aver telegrafato a Giolitti, << per rappresentargli come la situazione militare vada facendosi sempre più grave, ed urga quindi uscire al più presto da questo stato di preparazio11e occulta, che mentre lega le mani a noi non raggiunge il suo scopo per le invenzioni malvagie della stampa ed aumenta le difficoltà a nostro danno ». Spingardi chiedeva poi a Giolitti ed al re di volerlo << autorizzare a procedere senz'altro alla parte esecutiva della mobilitazione del corpo di spedizione e a pubblicare al più presto il manifesto di chiamata alle armi della classe '88 » (9). Tre giorni dopo, il 25 settembre venne pubblicato il decreto, e il primo giorno di mobilitazione fu fissato per il 28 settembre. Insomma, il ritardo con cui ebbe inizio la preparaz10ne, la conseguente fretta ed il voler mantenere fino alla fine la massima segretezza furono tre importanti fattori che influenzarono negativamente l'allestimento del corpo di spedizione e di conseguenza le successive operazioni militari. Al ministero degli esteri si attribuivano alle incertezze di Giolitti le maggiori responsabilità per il ritardo nella preparazione del corpo di spedizione a cui furono legate, in gran parte, le successive difficoltà della guerra (ro). Il corpo di spedizione fu costituito da un comando di corpo d'armata, due divisioni di fanteria, due squadroni di cavalleria, un reggimento di artiglieria da campagna, una compagnia di artiglieria da fortezza, una compagnia di zappatori. Come truppe suppletive: due reggimenti bersaglieri con sezioni mitragliatrici, un reggimento d'artiglieria da montagna, un gruppo di due compagnie d'artiglieria da fortezza, un battaglione di due compagnie zappatori con parco, una compagnia telegrafisti. In totale si trattava di 35.ooo uomini, 6.ooo quadrupedi, 1.0 50 carri, 48 cannoni da campagna, 24 da montagna, con quattro stazioni radio da campo di recentissima adozione. Comandante supremo del corpo di spedizione fu il generale

(8) A.C.S., C.G. , b. 1 2 , f . 10. lenera di Spingardi a Giol in i del 19 settembre 1911. D ue >Uccessivi telegramm i di Gioliui, a Spingardi e a Lcon.udi Cattolica. de! u settembre, sono peren tori. A Sping~rdi scriveva: « Ti prego di prendere precauzioni rigorose anche nel tuo Gahi nctto poiché lunga esperienza mi insegna che al ministero della guerra il segreto non $Ì ma ntiene ~ . A Leonard i Cattolica: « Continuo avere notizie di indiscrezioni commesse dal Mini<tero della ma rina e temo $pccialmeme dal tuo gabinetto [ .. . ) . Ricorda a quanti h:mno do"ere di con:;en ·are un segreto che il mancarvi non è solamente colpevole lcggcrcz7-a ma tradimento punito da l codice penale ~ - (lbid~m). (9) A.C.S. , A.B., se. ro, f . v 1.~.36. n. 301. (10) Così Andrea T orre ad Albertini il 12 novembre ''J' ~ (cfr. L u 1c 1 ALBERTINI , Epistolario, 1911 · 1926. vol. l : Dalla guerra di Libia alla grande guerra. Milano, 19~. p. 31).


LA CA~IP.o\GNA DI LIBIA

(19II • 1912)

Carlo Caneva (u), che, col grado di colonnello, aveva g1a partecipato alla campagna d'Africa del r89é)- 97; comandanti delle due divisioni erano invece i generali Guglielmo Pecori Gira1di e Ottavio Brkcola (12). Lo stesso Ministero della guerra, in una ponderosa pubblicazione in quattro volumi sulla campagna di Libia, edita nel 1922-24, mise in risalto i difetti che avevano accompagnato l'allestimento del corpo di spedizione. Innanzi tutto, nella formazione delle unità mobilitate, le diverse classi non concorsero in proporzioni uniformi, sicché talune furono costituite quasi per intero dalla classe 1890, in altre predominava la r888, e quando fu necessario, dopo mesi di guerra e di fronte al malcontento che cominciava a serpeggiare tra le truppe, inviare in congedo una classe, alcune unità si trovarono molto scoperte o troppo rinnovate con elementi non ancora preparati allo sforzo bellico. Inoltre non si previde subito la costituzione di riserve di complemento, per colmare i vuoti prodotti da malattie e combattimenti nel corpo di spedizione; né si previde la costituzione di nuovi reparti e servizi, credendo, a torto, che il personale alle armi fosse sufficiente per far fronte a qualsiasi fabbisogno. Il ritardo con cui venne emesso il provvedimento di richiamo delle classi, provocò, poi, disguidi e nuovi ritardi, speòalmente nell'allestimento dei corpi speciali, come gli alpini, i radiotelegrafìsti, la sanità, la sussistenza, ecc. : - per gli alpini si dovettero completare i battaglioni partenti con dementi estranei ai reggimenti mobilitanti i battaglioni stessi; - per i z.appatori non fu possibile cost1turre le nuove compagnie richieste d'urgenza dai comandi mobilitati, sicché le compagnie partirono parecchi giorni dopo la richiesta [ ... 1; - per i radiotclegrafìsti si ebbe un ritardo di circa tre settimane [ ... ] ;

( 1 t) TI gcn . Caneva era nato ad U dine nel 1845, aveva quindi 66 anni; aveva incominciato la carriera neli" esercito austriaco quale sottotcnentc di artiglieria. Passato nell 'esercito italiano nel 1867 entrò nel corpo di sta w maggiore. Col gr~ do di colonnello partecipò alla campagna d'Africa del 1896 · 97. Comandò tra il 1909 ed il 1910 prima il Vll Corpo d'Armata. poi il Ili. Il ministro della guerra Spiogardi, comunicando a Brusati, il 25 sertembre 1 91T . la nomina di Caneva a capo del corpo di spediz.ione in Libia, scrisse : «Il comandante in capo è ottimo, purché lo sorregga la salute. Gli altri mi paiono buoni tuni" (A .C .S., A.B:, S<:. 10, f. v1.4·36, n. 302). Secondo il Volpe, fu dato a C:lneva il comando del corpo di spediz.ione «dopo la " ''ittoria " del suo partito contro il partito opposto nelle grandi manovre estive de-lla valle dd Po: anche il gen . Ca neva non aveva nessuna idea precisa del nuovo genere di guerra che sarebbe andato a combattere » (GIOACCHI NO Vot.~E, L'impresa di Tripoli, Roma, 1946, p. 69). (l2) Dali desunti da: Mti'."lSTERO AFFARI ESTERI, L' Italia in Africa, serie storico- militare, vol. I: L'opera dell'cscràto, tomo Il l: Avvenimmti militari e impiego. Africa settentrionale ( 191 T· 1913) . testo di MASSIMO ADOLFO VtTALE, pp. 12 • 13. Nei mesi SUC· cessivi raggiunsero il teatro di operazione altre forze, per un totale di 55.ooo uomini.


278

L'ESEltCIT O ITALIANO DALl: u :-~ITÀ ;\LLA GR:\NDE GI!E RR:\

(1861 - 1918)

- per il treno, la sanità e sussistenza, non fu possibile di costituire servizi della 3a divisione contemporaneamente alla mobilitazione della divisione stessa; - per tutti i corpi mobilitati, fu necessario effettuare la mobilitazione contemporaneamente all'arrivo dei richiamati, donde inquadramenti affrettati e deficienti ( . .. ] (13).

Ostacoli ed intralci non indifferenti si ebbero per i materiali da assegnare alle truppe in partenza. Basti ri.levare che il numero di quadrupedi dichiarati idonei al momento della precettazione fu talora al di sotto de] 20 '?~ di quelli presentati; i carretti siciliani, acquistati nell'isola, risultarono « in massima logori per il lungo uso >> e si dovette (\ incoraggiare la costruzione di nuovi >>. I fini~ menti richiesero molte riparazioni e sostituzioni di parti. Circa il vestiario e l'equipaggiamento dei soldati, gli stivaletti che si trovavano già nei magazzini erano privi di chiodi in quanto non ne era stato prescelto il tipo. In alcuni centri, le operazioni di mobilitazione furono accompagnate « dalla chiodatura a centinaia e centinaia di scarpe >>. Altre difficoltà si ebbero nell'utilizzo delle << scarpe da riposo >> per la << deficienza delle taglie piccole n. Circa gli zaini, poi, la « cattiva qualità del cuoio delle cinghie » ne rendeva impossibile l'uso: 1< presso il magazzino dell'ospedale di Ancona, su 78 zaini distribuiti se ne dovettero cambiare ben 54 per la rottura delle cinghie >>. N aturalmente la costruzione e l'affrettato acquisto del materiale difettoso costrinse i comandi a pagarlo « più del prezzo normale», senza contare « la perdita di tempo e di lavoro» . Ancor più sorprendenti sono i dati relativi all'armamento : direzioni e sezioni di artiglieria si trovarono nell'impossibilità di soddisfare le richieste di moschetti e pistole necessarie ai centri di mobilitazione. Anche presso la direz.ione d'artiglieria. di Napoli, località d'imbarco principale> si verificò questa deficienza; neanche « presso i depositi delle truppe coloniali erasi costituito alcuno speciale deposito per provvedere al fabbisogno» . Taluni complementi giunsero ai corpi con le « sciabole e baionette non arrotate )), con mitragliatrici « mancanti di parù complementari », con « fucili in cattivo stato, sì da costringere i corpi riceventi a cambiarne molti >> (14). Altre difficoltà si ebbero per la decisione di dotare del~

( 13) M tNI>TERO DEI.L., GuERRA , Campagna di Libia, Roma, 1922, vol. L pp. 15- 17. ( 14) fdem , pp. 18 - n. Le forniture per le truppe ~l f ronte furono affidate al Banco di Roma , il quale, secondo dari riportali da Guido Podrccca, av rebbe spt'culato sulle stesse : " l sacchi per le trincee del valore di 30 o 40 centesimi vengono pag~ti ~ fornitore il Banco di Roma - L. 2,50; i cammell i a nolo - prezzo medio L '5 - pagati 13; il grano macinato del comando a L, r ,50 al quintale, mentre al panificio municipale di Catania la macinazionc importava u na spesa d i L. o,6o; e la legna per le tru ppe a L. 9,30 al quintale, mentre mister T ait, console ing lese a H orn s, d a rne interpellato,


LA C.\MI'AGN\

----------------------

J)!

LIBIA

(19t1 · 1912)

279

l'equipaggiamento grigio- verde tutti i combattenti, mentre dì tale uniforme non era ancora dotato tutto l'esercito ( 15). Se questi dati non fossero emanazione diretta del Ministero della guerra ci sarebbe di che dubitare sulla loro veridicità, tanto sono sorprendenti. Ma essi dimostrano, ancora una volta, come la decisione del governo colse i militari impreparati all'azione, privi dì materiale e di organizzazione, costretti ad improvvisare tra infinite difficoltà. Il fatto che il corpo di spedizione non fosse ancora pronto allorché venne dichiarata la guerra alla Turchia, avrebbe potuto far fallire sul nascere rimpresa. Basti dire che a Tripoli rimasero, per circa sette giorni dal 5 alJ'n ottobre (giorno d 'arrivo del primo convoglio, partito da Napoli il 9) 1.732 marinai de.lle navi scuola (alcuni giovanetti di 18, 19 anni, come r icorda il Galli) comandati

13 forniva a L. 2,40 " · Circa iJ fornitura di farina per i soldati l"on. Dc Felice scrivc,·a ~ul

,, Messaggero " del 2 m,lrZO 19 12: « Al tipo generico del [eornitore dei viveri, proprio di lutti i tempi e di lutti gli eserciti. qui <e ne aggiunge uno specifico, che in questo momento è oggetto d1 tullc k con,•ersaz.ioni pri\'atc: il tipo. dico, del fornitore di farina . >:on so chi su. ripeto, né come sia fana l~ fornitura, ma so che ha fornito una farina scadente c infcr•ore, guasta e inadatta alla alimcntninne. Alcune mabnie infettl\·e, infarti, si attribui\Cono ~ll'u>o di quel!:~ brina. (;na mlta se ne occupò il comi;;lio $anitario in termini m11ho precisi ed allarmami. Il generale Sforza. a cui si deve l'organizzazione >:tnitari.l militare che ha dato uno >tato di Sdlute delle truppe più che >oddi,faccntc, giudi..:ò quella farina "inadatt:l all'alimentazione degli uonùni e dd le be>tic ". 11 cl•nsiglio 'anit~1rio perciò ne ordin·ò il sequestro: ma non si sa come e txrché l'ordine, in un:1 quc:>tione così delicata non è stato eseguito. La bestia umana, f11rnitrice della farina , ha tanta inlluenza da non far eseguire un ordine così esplicito c: preciso! Soltanto per essere esano debbo dichiarare che le farine co>i qualificate non vennero più usate nella produzione del pane delle truppe- Ma. garantita la salute delle truppe . attualmente ottima. la pe%Ìma farina viene distribuita agli arabi poveri. rientrati m ciaà sfuggendo al regime turco,, (GuDo Pool\t<'c~. Ubia. Impressioni e polemiche, Roma. 19t2.. pp. 133- 35). Cfr. le giu>tificazioni del l\3nco di Roma a queste accuse. pp. )67 - 68. (15) Co\l.,~oo OI. L Co•ro Ili ST.HO M'cctollE.. L'a:cion~ d~ll'es~ro ira/i,;mo 11~1!a K"""a italo ·turca. Roma, 1913. p. 9· Gio,·anni Mira, che 31la guerra partecipò come caporale. poi promo5ro <Ottotenente. ricorda nelle sue memorie: "La mobilitazione fu fatta alla meglio. senza tener conto dci progeni predisposti da tempo. [n quegli anni si ~ndava gradatamente sostituendo l'uniforme grigio • verde ai vecchi panni di tinte più vistose; ma la sostituzione procedeva con sa via lentezza, perché p. li amministratori volevàno fosse prima consumato fino alla fodera l'ultimo chepì di ~tile umbertino . Il mio reggimento era ancora vcstiw all'antica. Essendosi decretalo cii~: i conquista tori della Libia partissero in grigio· verde, si doveuero far venire cl'urgcn'la da <~Itri magazzini le nuove uniformi, le nuove calzature, le nuo,•e bufiettierc, cd t·~egui.rc la trasformazione alla vigilia della partcn~a. [ . .. ) quando si pa rtì s'era una ma>sa raccogliticcia di ..alda ti e di ufficiali che cominciavano appena a conosccr;i tra loro: cosa certo noll vantag1,-io;a alla solidità di un reggimento che va al fuoco. Si do,·eva partire non solo wn !J banda reggimentale. ma .lllchc con una sezione di mitragliatrici. Mentre avevamo la handa. che da sollazw di balie e fanciulli nei pomeriggi di festa ai giardini puhblici ~arcbbe divcnt~ta tarorc de1 beduini sui campi di L1b~a. non ave,·arno le mi· tragliatrici. armi del tiJtto i~note al nostro reggimento; ~icché a queoto dovette poi l)igregarsi la sezione mitragliatrici d 'un altro corpo. Molte co<e zoppica,·ano in f:mo di preparazione: ma chi3mando a soccorso le virtù nazionali clelia impro\\isazione e dd· l'adattamento. ci si trovò in :l>)Ctto con non grave ritardo e <i pocé partire,, (GlOv.•VNr l'vltR,, Memorie, prefazione di LUI<JI SAt.VAToRELLI, Vice111a, 1()(\S, pp. 52- 53).


280

L'!:.SERC!TO 11'.\LI \NO D.-\LI;tJNlT.~ ALLA GRANDE GUERRA.

(1861 - 1918)

dal capitano di Yascello Umberto Cagni, che dovettero tenere a bada, con enormi difficoltà, ben s.ooo turchi ( x6). A circa un mese e mezzo dallo scoppio del conflitto, il 19 novembre H)II, il generale Ugo Brusati redasse un pro- memoria, dal titolo Appunti relativi alla guerra itala- turca, da sottoporre probabilmente al re, nel quale vengono messi in luce i limiti che avevano caratterizzato la preparazione della guerra. L a sua requisitoria è sorprendente per la durezza c la mancanza di mezzi termini nel giudicare gli errori commessi prima dell'inizio delle ostilità. Secondo Brusati non vi era stata. o per lo meno era stata (( insufficiente la decantata preparazione diplomatica l>, tanto da fargli affermare che « i R. agenti all'estero palesi od occulti, ci hanno assai male servito)) . Ma dove la requisitoria di Brusati si fa più incisiva è sugli aspetti militari : La preparazione militare f .•. ] si limitò a predisporre la mobilitazione di un solo corpo d'armata nella duplice ipotesi di teatro d'operazione pianeggiante o montuoso. La evemualità di mobilitare altre unità fu studiata in abbozzo; così che, per provvedervi, si dovette disordinare gran parte delle unità organiche dell'esercito sul continente, specie per quanto concerne l'artiglieria e il genio. [ ... ] Entrammo in campagna, per quanto io sappia, senza un piano eli guerra ben studiato e ben ponderato: con leggerezza (la parola è dura ma rispondente a verità) ci impegnammo in una lotta della quale non si vede il fine, anche per causa delle molte riserve che ci siamo imposte. Nel quale ultimo caso apparirebbe evidente il difetto di preparazione diplomatica. L'azione combinata dell'Esercito e dell'Armata fu piuttosto casuale che prevista. Dapprincipio anzi, azione combinata non vi fu affatto e i bravi marinai corsero brutti rischi, come è noto. li Capo eli Stato Maggiore dell'Esercito era stato tenuto all'oscuro di tutto; era stato tenuto quasi in di· sparte (17). Premesso il lavorio diplomatico, stabilito lo scopo da raggiungersi, dovevasi affidare esclusivamente al Capo dt Stato Maggiore dell'Eser(16) Nella notte tnt il 9 e il 10 una guardia ùi 200 uomini trincerati ~ Ru Meliana veniva a;salita da 300 turchi. « Per far credere che fossero ass.1i più numerosi di quanti erano, Cagni aveva perfino organizzato un mo,·imento fittizio di marce e contromarce » (LUICI A1.&f.RTL'<I, V~nti anni di l'ltn politica, cit .. pa rre I, vol. Il, p. 122). Cfr. aru:h~ il diario di Carlo Galli, console it:~liaoo a T ripoli: «Il rischio fu grande - concludeva Galli il ~uo diario dd 10 ottobre - ma il risultato è perciò ancora più meritOrio [ . .. J. Certo se invece di duemila uomini. Cagni ne avesse avuti diecimila, a quest'ora non credo si parlerebbe più o.: di truppe né di Munir pa<cià » (C.\R\.0 GAU.t. Diarii l! letter~ Tripolì t')lt. Trii!JU 1918. Firenze, 1951. p. 110). Sull'occup37ione di Tripoli. operata dalla marina in contra >to con il piano predisposto da C~ neva. che prevedeva due sbarchi . uno ;ulla spiaggia di Tagiura c l'altro ad oriente di Tripoli, cfr. RouRTO B>.r<crvu'G', Saggio critico sulla nOJir<l gul!rra, Rom~. 1930, vol. l, p. 339 e CAJU.O DE BIASE, L'aquì/<1 d'oro. Stori<1 dt!llo Swto Maggiore italiano ( r86t • 1945), Milano, 1!)69, pp. 237 · 39· Su Cagni cir. GroRCIO Pl'll. Vita dt Umhl!rto Cagni. Milano, 193ì· (17) Si legge in un appunto di Brusati. d.tlato 1° giugno 1912: " La guerra [u all'inizio condotta da Giolitti e da San Giuliano i quali ~parpaglia rono le nostre navi da guerra sul litorale lihico impartendo ordini direttamente ai Com.ti in >~)!t'ordine all'insaputa dei comandanti in capo della squadra sinistra . Ed ora si paga il fio eli quel peccato d'ori:,:we. Gioliui non lo t·upiset:" (A.C.S., A.B.. se. 10. f. vr ·7·39)·


LA CAMPAGNA lll

UBJA

(19IJ • 1912)

ciro, d'accordo col Capo di Stato Maggiore della Marina, di studiarne i mezzi e le modalità. Assillati dalla impazienza di dover fa re qualche cosa, ci gettammo allo sbaraglio senza soverchia riflessione, quasi dimentichi che per condurre a buon esito una impresa guerresca la rapida esecuzione deve essere preceduta da calma meditazione. Tanto poco si previde, e si studiò, lo svolgersi probabile delle operazioni militari, che neppure si fecero riconoscere in precedenza, cosa faci le, le località che in date evenienze avrebbero potuto essere occupate dalle nostre truppe sulla costa della Tripolitania e della Cirenaica. Non si sapeva per esempio [ ... ] che Derna male si presta a difesa. Abbiamo formato un Corpo di Spedizione così come si formano i grandi reparti per le grandi manovre, disordinando, cioè, l'intero esercito per trarre qua e là gli elementi necessari r... ]. Accuratissima, ripeto, lodevolissima è stata la preparazione in quanto riguarda ordini di movimento, disposizioni di adunata, mezzi di trasporto per mare e di sbarco, mezzi logistìci (questi, tuttavia, limitati in guisa da non consentire mobilità alle truppe sbarcate). Ma tutto ciò non basta. - In quali condizioni d'efficienza è rimasto l'esercito in Patria~ La flotta all'inizio delle ostilità era allenata dal recente periodo di esercitazion i, ma il materiale, per ciò appunto, non era in perfetto assetto. Ciò che prova ancora una volta che la decisione di agire è stata presa improvvisamente, forse con insufficiente ponderazione, tenuto anche conto della stagione e della mancanza, o quasi, di sicuri ancoraggi sulla costa nord -africana, fatta eccezione, sembra, di Tobruk ( r8).

Gli « appunti>> di Brusati rappresentano una delle analisi più attente di quella che fu la preparazione militare italiana alla guerra italo - turca. Gli errori che Brusati analizza non coinvolgono solo le autorità militari, ma sono un atto di accusa soprattutto per il Governo, per la sua impazienza e la << insufficiente ponderazione >> . Brusati, dopo aver esaminato i limiti de.lla preparazione militare, cercò di trarre alcune conclusioni e tentò alcune previsioni sul futuro della guerra e sulla situazione dell'esercito italiano, inserendovi anche considerazioni di ordine politico. Circa le questioni di carattere militare, l'aiutante di campo del re intravide un difficile futuro per l'esercito italiano. La guerra con la Turchia, secondo Brusati, poneva l'esercito << forse per un tempo non breve, in condizioni di provvisoria debolezza dì fronte ad eventi che potrebbero inopinatamente svolgersi in Europa». Il timore di Brusati risiede soprattutto nella eventualità, da lui intravista con sorprendente sicurezza, di un conflitto con l'Austria, che avrebbe trovato l'esercito italiano in condizioni particolarmente svantaggiose, e nella possibilità che il «sentimento nazionalista>>, sviluppatosi in occasione della guerra libica, avrebbe potuto « in date evenienze, co-

(18) Uco B.Rt:t.-n, Appunti rt-lativi alla guerra italo · wrca, in A.C.$., A.B., se. 10, f. \'!.7·39·


stringerei nolenti a preCipitare gli avvenimenti sul continente con irriflessiva baldanza. La opinione pubblica potrebbe vincere la mano al governo, come, in parte e quasi inavvertitamente, la vinse ora ». Concludendo, Brusati analizza la situazione militare del conflitto m corso, con particolare riferimento ai suoi riflessi diplomatici. E ora mi accingo a dire, forse, grosse eresie. L'attuale impresa africana ci ha dato un ammonimento; ci ha ammo· n1t1, cioè, che, falle rare eccezioni, non soverchic sono le simpatie di cui rltalia gode. Anche coloro che ci si mostrano benevoli, sono benevoli a denti .stretti. Sarà gelosia, sarà invidia, non so. Ora sarebbe vano, sarebbe superfluo, ricercare le cause di questo fenomeno. Nel momento presente basta, pratica· menre, di constatare il fatto, non ceno lusinghiere per noi. Specie in questo anno siamo andati soverchiamente esaltando le nostre virtù, i nostri pregi passati, presenti e futuri; ciò non poteva creare un am· bieme simpatico intorno a noi. I popoli, come gli individui. debbono sapere quasi farsi perdonare le proprie virtù, i propri pregi, non debbono avere la parvenza di imporli ad altrui, quasi a titolo di superiorità. Si dice che con l'impresa tripolina abbiamo leso molti interessi e che perciò abbiamo sollevato un vespaio. Questo è un ragionamento comodo, ma non sufficiente, pt:r spiegare !"atteggiamento dell'opinione pubblica all'estero verso di noi. I go,·erni. per quanto si sappia, si sono mostrati, m massima benevoli; ma questa benevolenza parmi abbia un suo substrato di diffidenza. l nostri alleati non hanno di fatto, e non ebbero forse, sebbene a parole asseriscano il contrario, molta fiducia in noi; epperò non sono malcontenti di vederci impegnati in una lotta che per qualche tempo ci indebolirà, ren· dendoci all"evenienza, nemici poco temibili. Il gruppo della così detta triplice iTJtesa, è del pari lieto di saperci paralizzati temporaneamente, poiché così le forz.e della triplice alleanza, per terra e per mare, ne rimangono momentaneamente sminuite. l ... j La fine della guerra non sembra prossima. La Turchia seguirà verosi· milmente, nel campo militare, la linea di condotta che ha sempre seguito nel campo politico. Temporeggiare. Le truppe turco · arabe in Tripolitania e Cirenaica, si manterranno, finché è possibile. a contatto delle nostre, asse· diandole, per così dire, nelle località da esse occupate. All'a,·anzare dei nostri si ritireranno nelrimerno e vi rimarranno vettovagliate da carovane provenienti dalla Tunisia e dall'Egitto, ove le autorità locali difficilmente potranno (sarei tentato di scrivere vorranno) chiudere al transito le rispettive frontiere. Gli italiani non dispongono di mezzi logistici sufficienti per operare nell"inrerno con nerbo di forze tali da assicurare il successo, mentre, poi. probabilmente, il nemico fuggirebbe sempre a uno sccntro decisivo. Supposto che i mezzi logistici all'uopo si vogliano raccogliere, occorrerebbe tempo non breve, ed io temo che il lungo indugio valga a smorzare in patria gli entu· siasmi di cui fummo tutti testimoni. entusiasmi che raggiunsero un diapason troppo alto per potervisi mantenere. Le nostre truppe. pcrtanro, rimarrebbero in Tripolitania e in Cirenaica. in permanente stato di guerra per tempo inde· terminato. Questo ~ quanto di meglio la Turchia potrebbe desiderare. Purtroppo sembrami che l'Italia si trovi a un mal passo dal quale non sia facile uscire. se non venendo a transeazioni in contraddizione colle recise dichiarazioni precedenti e quindi con scapito di dignità. Ebbimo soverchia


L.\

C.\MPACNA DI

LIBIA (1911- 1912)

frena di proclamare il po~sesso di ciò che effettivamente non possede,·amo ancora, proclamazione fana in forma tale da precludere ogni via di accomodamento. Abbiamo abbruciato i pomi alle nostre spalle, con ardimento che male cela il timore di dovere retrocedere. L1 guerra non può avere termine, e bene lo dissero i turchi stessi, se l'Italia non riesce a colpire in un punto vitale l'avversario. Sgraziatamente i punti vitali dell'avversario sono, a t1uanro sembra, protetti, più che dagli :tpprestamenti guerreschi, dagli apprestamenri diplomatici, ciò che dimostrerebbe come ci siamo lanciati nell'impresa africana con cena quale sventatezza. Occorreva. anzitutto, meditare, concretare, elaborare in ogni sua parre un piano di guerra, così da poterlo poi fulmineamente eseguire. [ ... ] La Turchia ci vede pressoché isolati; ci vede circondati da diffidenza, da scarse simpatie. e fa sembiante di disinteressarsi, quast, di ciò che avviene sul continente africano. Aspecta. E noi pure dovremo forse aspettare, colle armi pronte, finché nelle provincie balcaniche nuovi eventi inevitabili, e forse più prossimi di quanto sembri. creino una situazione nuova, la quale, se ci \ .:verà d'imbarazzo, sarà profìttevole ad altri e farà levare alte grida in l talia ( r9).

2. - Molte delle previsioni di Brusati dovevano rivelarsi esatte; soprattutto l'ipotesi che la guerra con i turchi non sarebbe stata quella passeggiata militare che molti credevano, ma si sarebbe prolungata per molto tempo senza possibilità di soluzione, finché non fosse stata colpita la Turchia in alcuni punti vitali. D'altro canto, Brusati non si nasconde come le difficoltà incontrate nella condotta ddla guerra, sin dalle prime battute, fossero il risultato, non solo dell'affrettata preparazione mil itare, ma dell'imprevidente preparazione diplomatica, che lasciava l'Italia completamente isolata, impossibilitata a muoversi, per il pericolo di urtare suscettibilità presso le potenze della Triplice e dell'Intesa, che assistevano con diffidenza e malumore all'iniziativa italiana . Uno dei primi duri colpi il corpo di spedizione subì non tanto per rovesci militari, ma per ragioni di ordine sanitario. La solidità della compagine fu infatti in parte compromessa dall'epidemia colerica che la colpì subito dopo lo sbarco. L 'epidemia, come già ricordato, era scoppiata anche in Italia durante l'estate. A Tripoli si era già avuta un anno prima, essendo comparsa il 5 settembre 1910. Durante questo mese si erano verificati tre casi, saliti a 132 nel successivo ottobre e a 186 in novembre e dicembre. La malattia comparve di nuovo nel settembre I9II. Il 13 ottobre si ebbe il primo caso fra le truppe italiane nella persona di un marinaio. Sulla situazione sanitaria esiste una relazione del gen. Salsa. nella quale si legge tra 1' altro:

(19) Ibidem.


2R4

l-ESERCITO Ir.'\U\'10 !HLL\TNITÀ ALLA GRANDE GUERR.\

(1861 - 1918)

L'epidemia a\eva assunto proporzioni allormanti. ( ... J I locali pessl!l1J del lazzareno marittimo erano sovraccarichi di colerosi accatastati e stivati dovunque. Lo stesso era avvenuto nell'ospedale civile. Molte moschee e fonduk erano pieni di arabi dei sobborghi tripolini, internati in città per ragioni di guerra: in questi centri di agglomeramento di geme miserrima. l'epidemia mieteva moltissime vittime. Molti morti di malattia ignota erano abbandonati per le strade e gettati notte tempo nel recinto dell 'ospedale municipale (20).

La relazione di Salsa non accenna a dati sul numero di soldati colpiti dal colera, ma esiste una lettera di Spingardi a Brusati del 7 gennaio 1912 nella quale vengono forniti i dati sulle perdite subite dagli italiani. In essa si apprende che i morti per malattia nei primi tre mesi di guerra ammontarono a ben 376 (7 ufficiali e 369 soldati) rispetto ai 466 morti in combattimento (34 ufficiali e 432 soldati). lnsomma, su un totale di 84r morti circa il 40 °~ perirono per malattia. Sono cifre particolarmente significative (2r ). La situazione politica e militare era apparsa subito sostanzialmente diversa da quella che si era immaginato. Ciò che sorprese fu soprattutto l'ostilità della popolazione araba che ostacolava e rendeva insidiosa ogni azione italiana e la resistenza decisa dei turchi, anch'essa del tutto inaspettata (22). Di fronte alle difficoltà che apparvero subito evidenti si cercò di prendere possesso dei punti chiave della costa. Tobruk era stata conquistata il 4 ottobre, seguirono Derna il 18, Bengasi il 20 ed H oms il 21 ottobre. La più difficile fu la conquista di Bengasi ad opera del gen. Briccola, ostacolata dal mare agitato e contrastata tenacemente dai turco - arabi (23). (2o) Relazione mii'Of""ra compiuta dalla direzione gener11le tlei sern'r:i ciui!i e dagli uffici dipendenti a llttto il marzo 1912. Sanità pubbhca, in A.C.S., Pru. Cons. Mm . . 19IZ, f. 10. Sul geo. Salsa cfr. E. C•"E'·~u - G. Co\tt~>O, Il gro. Tommaso Salsa t: le me c11mpagne colom'ali Leuere e documenti. :-titano, '935· {2I) A.C.$., A.B .• >e. 10, f. VJ.)·3i· A fine )!Ucrra i moni per malania superarono i moni in combattimento. Scrive,·a Rarzini dd Albertini il 4 novembre 1911 : « Il colera infierisce c f.1 molte viHime. Noi tutti della •tampa ~iamo uniti in una intesa patriottica alla quale ho molto contribuito. e cerchiamo dt non nuocere al paese gettando in piazza certe verità. ma la nostra respom.abilità non ci pamene di rimanere impassibili di fronte al delitto del comando che si è n.trcoti?.zaro. Non vogliamo che possa prodursi un movimento per la pace. Basta di paci vergognose » tLl.-'tCJ At.utR1'JNJ, Epistolan·o. cir.. vol. l, p. ::8}. (22) Marsch~ll. in un colloquio con Garbasso, corrispondente di Di San Giuliano da Costantinopoli durame il periodo della guerra aveva rilevato, nell'ottobre 1911, cbc 50.000 uomini 'arehhero ~emprc- stati necessari e tmmobiliuati a Tripoli « per mante· nere la sua occupazione c la wa autorità, in un paese co'ì vasto come la Tripolitania "· L'lraiia, per l"ambaS<iatorc tcde>eo a Costantinopoli. "non poteva pretendere che il go,·crno ortomano le ~vrcbbc ceduto senz'altro i $uoi po-.sedimenti africani. Ad uno sforzo ben ma!!siore fu costretu l'Austria quando. per l'occupazione della Bosnia e della Erzego,•ina, do,·cnc mobtlitare i tre quarti del suo e><:rcito" (A.$. MAE, Scgr. gen., pa . 42, pos. 17 c, f. 643, tenera di Garbas~ a Di San Giuliano, da Terapia. 20 OH()brc 1911). (23) Preludio alla conquista di Rengasi fu lo sbarco ;ulla spiaggia della Giuliana, avvenuto il 19 ottobre.


Fu necessano un bombardamento di molte ore, a pm riprese per costringere al ritiro le forze avversarie (24). Con le conquiste dei maggiori punti costieri poteva dirsi conclusa la prima parte delle operazioni militari che dava agJi italiani il possesso di akuni centri chiave, da cui controllare quella situazione che si presentava ora difficile e con scarse prospettive di soluzione immediata. Il punto sulla situazione era fatto il 6 novembre I9II dal gen. Caneva in un rapporto al ministro della guerra, nel quale il comandante del corpo di spedizione esordiva affermando realisticamente che la «situazione politica », in cui si trovavano gli italiani dopo lo sbarco, era (< assai diversa, da quella che si sperava di trovare sbarcando su queste spiagge )) . Aggiungeva poi Caneva: Le posizioni costiere, e le più vicine dell'interno, si sono mostrate e sono, generalmente a noi ostili; ed è anche ceno, per segni non dubbi, che la loro ostilità specialmente in Tripolitania, si fonda e si alimenta sul fanatismo religioso. Per questo è ragionevole e prudente presumere che l'odierno sentimento delle popolazioni a nostro riguardo sia per essere profondo e tenace, e per costituire un dato di fatto essenziale per l'indirizzo delle nostre azioni (25).

Dopo aver rilevato l'influenza della propaganda turca sulle masse arabe (26), Caneva osservava che la situazione in cui si era (24) Su questo bombardamento il capitano Luigi .Marino, comandante del traspono truppe Catania, ha narra to questo significativo episodio: «Dal nostro bordo seguivamo coi cannocchiali a lunga portata le fasi del bombardamento : distinguevamo nettamente sull'alto di un m inarcto, un muezzin che faceva larghi gesti alla turba accalcata dinanzi alla moschea ( ... ] . Questo spettacolo non dovette sfuggire alla nave ammiraglia, la quale inviò una granata al muezzin, il proiettile colpl· nel segno: il minareto crollò tra una gran nube di fiamme e fumo sui fedeli raccolti, e quando la caligine diradò, potemmo vedere tra le macerie numerosi mort i e feriti » (cfr . P AOLO M..u.TESE, La terra promessa. La guerra italo- tflrca e la cotJquista della Libia. I91I - 12, Milano, 19(}8, p. T39). Sull a presa di Bengasi, vista dall'interno della città, sono interessanti alcune lettere inviate dal direttore (J . Ouannou) e dal contabile (G. Raad) dell'agenzia di Bengasi della Banca ottomana alia sede di Tripoli. l due, il 30 settembre, informavano, con sorpresa , che « le personnd du Banco dì Roma a laissé Jes Bureaux et est égalemcnt parti » . Il Z4 ottobre, quattro giorni dopo lo sba rco, così scrivevano: « Lcs ardbes om vìvcmcm rcsisté et pour !es maitriser !:a flotte a Jancé cles obus également pendant la nu it du 19 au 20 courant, sans aucune distincrion de direction . C'est ainsi que parmi les maisons fortement atteintes et endommagées figurcnt le Consulat d' Anglcterre, le Consu lat d 'ltalie, I'Eglise ca tholique, le nouveau l oca l du Banco di Roma, cc dernier n ·y était pas cncore installé! et la maison d 'habìtation de Mr Ouannou qui, com me il était aisé de le prevoir, est égalemcnt tombée >•. Il 31 ottobre: « Le Banco di Roma dc notre ville. voulant probabiement pro!iter de la situation a arrèté pour son compte toutes Ics maisons vidcs qui étaient habitées par Ics fonctionnaircs tu res et se mef à spéculer en Jouant Ics susditcs habitations à des prix forr onéreox "· Frequenti in queste lettere notizie relative al grave stato di allarme che regnava a Bengasi per la presenza di beduini e arabi a pochi chilometri, per il ristagno totale di tutte le attività com merciali, acuito dall 'atteggiamento del Banco di Roma che rifiutava di trattare qualsiasi operazione « tant su r piace que sur l'etranger » (lettera dd 24 novembre I9H) . Queste lettere in A.S. MAl , pos. 178/r, t. 10. Sulla presa di Bengasi, cfr. anche: GIULIAN O BoNAccr , Gli ultimi giorni di Bmgasi /tlrca. Roma, 1912. (25) Jl documento pubblicato i n MINISTERO DELLA GUERRA, op. cit., vol. l! (Roma. 1923)· pp. 225 . 229· (z6) Tale propaganda , secondo Caneva, erli « intesa a per;uadere che le nostre occupazioni non siano definitive, né mirino a sosrituire col nostro il governo ouomano, ma


286

L'ESERCITO ITALIANO DALL.UN11'.~ ALLA GRANDE GUERR,\

(1861 • 1918)

venuto a trovare il corpo dì spedizione portava alla sola « razionale» conclusione che convenisse <l dare, per il momento, la precedenza dell'azione politica su quella puramente, o prevalentemente militare)), Le considerazioni di Caneva non avevano unicamente per obiettivo la situazione immediata e contingente, ma tendevano a vedere in prospettiva il futuro della presenza italiana in Libia: Il fatto che in t}ueste popolazioni sia per essere duraturo il lievito, virtuale ed attivo del fanatismo religioso, non deve distoglierci dall'idea cardinale che noi queste popolazioni dovremo pure un giorno governare colle arti della pace produttiva e della prosperità comune, e che l'avvento di quel giorno a noi conviene, con ogni mezzo, di affrettare. Perciò, indipendentemente da qualsiasi considerazione militare, sembra chiaro che a noi convenga non coinvolgere in un'affrettata azione militare turchi ed arabi indistintamente approfondendo così inevitabilmente il solco di sangue che purtroppo ci siamo trovati già nella dura necessità di scavare fra noi e i nostri futuri sudditi, sovraeccitando così ancora il loro fanatismo religioso, saldandoli vieppiù ai turchi, facendo il preciso gioco di questi ultimi (27).

Da queste considerazioni nacque la tattica attendistica e temporeggiatrice del gen. Caneva, che esclud~va una « immediata azione militare di carattere offensivo>>. La tattica di Caneva, che incontrò tante ostilità in Italia, era motivata da ragioni di saggia prudenza. Certo dietro questa prudenza di Caneva c'era forse lo spauracchio di Adua, che dal 1° marzo 1896 tormentava i sonni delle alte gerarchie militari italiane (28). Le motivazioni, comunque, con le quali Caneva giustifica questa sua linea sembrano improntate ad un cosciente realismo e ad un alto senso di responsabilità. Con questa condotta egli riuscì ad evitare che anche la guerra di Libia potesse risolversi in un disastro ed in un massacro. Egli aveva compreso che un'offensiva in grande stile verso l'interno era non solo densa di insidie e di trabocchetti, per ]e caratteristiche deJ terreno, per la mancanza di vie di comunicazioni, per i mille pericoli che la guerriglia arabo- turca nascondeva, ma si sarebbe dimostrata del tutto inutile perché la topografia stessa del paese, « col deserto aperto ovunque», non permetteva l'occupazione di punti chiave, che sarebbero stati aggirabili da ogni lato. abbiano esclusivamente lo scopo di ont·ncrc talunc concessioni economiche c commerciali, c siano per riuscire. al massimo, ad un semplice protettorato, col qullle gli indigeni ritornerebbero sotto il diretto gove.rno dei turchi, cui dovrebbero render conw del loro atteggiamento e della loro condorra presente >•. (Ibidem). (27) Idem, p. 2~6. (z8) Ha serino Gioacchino Volpe: «Lo spettro di Adua non era ancora del tu Ho svanito : salutare richiamo alla prudenza, m:l ad una prudenza che non so quanto potesse conciliarsi con la guerra, che è: sempre, un po', impruden7-a >> (Gro.,C:CIIl>lo VoL!•F., op . ci t., p. 69). Dal canto suo 13arzini, scrivendo ad Alberrini il 4 novembre 1911, sosteneva che « il cap<> di stato ma)!giore » leggeva « Adua in ogni parola " che arrivava dal fronte (LuJcr ALBER11NI, Epistolario, cir., vol. I, p. zs).


LA CAMPAGNA DI

LIBIA

(19U · 1912)

-----------------------------------------------------------

287

Un 'azione militare di tal genere, - scriveva Caneva nel suo rapporto a Spingardi - in regioni come queste, è sempre un'impresa che vuole essere profondamente meditata e preparata, e che generalmente mal si può compiere senza il sussidio di truppe indigene, sobrie, leggere, pratiche dei luoghi , ma nelle nostre odierne condizioni, essa è degna di particolarissime riflessioni. Non è neppure il caso di indugiarsi a stabilire con cifre la colossale quantità di mezzi logistici, che fXcorrerebbe apprestare, con una avanzata offensiva di qualche portata verso l'interno, avanzata che nelle presenti condizioni politico- militari non potrebbe farsi se non con grandi forze; né di calcolare la grande quantità di forze che sarebbero ingoiate per via dalla necessità di proteggere la linea di comunicazione attraverso a popolazioni oggi a noi ostili: né di provvedere le eventualità sanitarie del corpo di truppe, che dovesse agire attraverso a queste region i, affrontando i disagi della imminente stagione piovosa, e, se si tratti di Tripoli, essendo forse anche perseguitato dalla infezione colerica, che ora serpeggia nelle truppe, infìerisce negli abitanti e miete numerose vittime nel campo nemico, con probabile inquinamento delle acque e dei luoghi per i quali dovrebbe procedere l'avanzata nostra (29).

Insomma Caneva non voleva trasformare il suo corpo di spedizione in una sorta di << invincibile armada >> dispersa e sconvolta alle soglie del Sahara; per lui era invece indispensabile rendere « inespugnabili » le basi italiane sul mare, e sorvegliare le coste, sostituendo alla guerra vera e propria, la <l lotta finanziaria col governo ottomano », costretto ad ingenti spese per provvedere al rifornimento « per vie indirette e costose )) . Comunque, per il comandante delle forze italiane in Libia, l' << inaspettato atteggiamento delle popolazioni arabe a nostro riguardo», se fosse continuato a lungo, avrebbe creato << una situazione indubbiamente grave>>, con il rischio di vedere scossa militarmente e finanziariamente «la compagine e l'efficienza della nazione per qualsiasi contingenza in Europa >> (3o). Le direttive di Caneva erano condivise anche dal gen. Briccola, comandante in capo delle operazioni in Cirenaica. Scriveva Caneva al ministro Spingard i, in un rapporto •< riservatissimo personale>> del 27 maggio 1912: « La visione della situazione che il gen. Briccola ha per la Cirenaica [ . .. ] collima esattamente con quella che io ho della situazione locale in Tripolitania e della situazione generale in Libia » (31 ). (29) .MJ:-;IsTERO DEI..LA. GI.'.ERRA, op. cit., vol. II, p. 22ì · (30) Jdtm, pp. 228- 29. Su Caneva cfr. il giudizio negativo di op. rit .. pp. 245- 50 .

C.~RLO

DE

BIASE,

(31) ld~m. p. 247· Giovanni Mira, nelle sue memorie, così ri.corda h figura di Briccola in Cirenaica: « Il gen. Ortav io Briccola era un bel vecchio, di nobile incesso, di sorriso paterno. Credo interpretasse esa ttamente le direttive che venivano da Roma circa la condotta della campagna c il governo della nuova colonia. Prudenza e pazienza innanzi nJCJ.o. 1\ssicurato il possesso dci centri costieri, fonif!carli a dovere, mantcnervi forze copiose, non arrischiare un passo verso l ' infido ret.roterra se non si disponeva di


288

1

L'ESERCITO ITALIANO DALL UKITÀ ALLA GRANDE OUI::RRA

(1861 • 1918)

Coloro che più degli altri si opposero a questa condotta della guerra, oltre naturalmente la stampa che aveva voluto la guerra ed alla quale appariva codardia il non sbloccare la situazione con azioni offensive, furono Giolitti e Di San Giuliano, preoccupati, soprattutto, da considerazioni di politica estera. Lo testimonia, a chiare note, una lettera inviata dal ministro della guerra Spingardi a Brusati il 20 novembre 1911. Spingardi era stato chiamato a Palazzo Braschi dal presidente del consiglio e lo aveva « trovato di nuovo assai eccitato contro l'inazione di Caneva '>. Giolitti parlò a Spingardi di: telegrammi da Tripoli che parlavano delle bombe che giornalmenre continuano a piovere in città, del malcontento generale, della nostra posizione di assediati, che ci rendeva ridicoli in faccia al mondo, deì 40 mila uomini tenuti in iscacco da 5 - 6 mila arabi, della nostra posizione sempre più difficile di fronte alle cancellerie estere, della pace sempre più lontana, ecc., ecc.

Giolitti parlò anche a nome di Di San Giuliano, riuscendo a impressionare notevolmente Spingardi. Scosso era pure Pollio (32). In realtà, Spingardi e Pollio, pur non lesinando critiche a Caneva, erano sostanzialmente solidali con il comandante del corpo di spedizione (33). Ciò che a loro dava particolarmente fastidio era l'ingerenza dei politici nei fatti militari, il voler trinciare giudizi senza essere al corrente della reale situazione, il ragionare con una completa incompetenza di cose militari, pressati come erano

una superiorità schiacciante. Nessuna avventura: sta r fermi piuttosto che correr l'alea d'una batosta. Il ricordo di Adua era pre>ente come un'ombra scura, c bisognava asso· lu ramente evitare la possibilità che la fiducia, il coraggio, l'entusiasmo rinati nel paese fossero mortificati da un insuccesso. A queste direttive il comandante in capo della spedizione, generale Carlo Caneva, che risiedeva a Tripoli, aggiungeva la prudenza sua propria e la inculcava ai dipe.ndenti. Fu del resto caratteristica comune a molù nostri generali, allora c poi, la paura dell'iniziativa c delle responsabilità che essa compor!<\. Tirando le somme, il più ardito tra i condottieri della guerra libica fu probabilmente il settuagenario capo del governo, Giovanni Giolitti, il quale osò ordinare l'occupazione del Dodecaneso per srringcre più da presso la Turchia c obbligarla alla resa >> (GrovANNI MIRA, op. cit., pp. 62 - 63). (32) A.C.$ .. A. B., se. lO, f. VI +36. n. 3'9· (33) Il t6 maggio 1912 scriveva Pollio a Brusati: "Come ''edi llOn c'è nulla da fare . Il G. Caneva risponde sempre con delle ragioni. Si può obiettare che egli rara· men1e parli dei vantaggi delle opernioni, ma ne mette in luce solo gll svantaggi e le difficoltà. Ma lo fa in modo che non v'è nulla da dire per controbbarrerli. Si pu'Ò discutere cd io discuto, specie per l'azione dd passato, ma chi può giudicare ciò che sarebbe avvenuto se vi fosse st<lto un altro indirizzo? E che cosa avverrebbe se oggi si cambiasse rotta' ». Allegato era il seguente teleg ramma di Caneva a Pollio, da T ripoli, senza data, ma probabilmente della prima quindicina di maggio: " [ ... ] Anzitutto è mio dovere confermare ancora che .fino :1 che perdu ra attuale unanime accanita ostilità popolazioni nme e loro efficienza bellica per generale guerrigl ia, è da proscrivere assolutamente qualunque tentativo penetmzione nosrra da qualsiasi delle nostre basi fatta soltanto eccezione per Ferua limitatamente al taglio delle vie carovaniere" (A.C.S., A.B., se. 9, b. VL3 ·35· n. 193).


l.A Ci\.\!PAGN:\ DI LIBIA (19II • 1912)

da mottvt di ordine interno ed internazionale (34). Il dissidio tra politici e militari raggiunse spesso punte di acuta tensione. Nel mese di gennaio 1912 tra Giolitti e Spingardi vi fu un'altra « discussione vivace>), nella quale si decise di chiamare a Roma Caneva per discutere sulla situazione militare. Giolitti, parlando poi col suo amico, prefetto Annaratone, avrebbe << accennato alla inettitudine di Caneva per l'alto comando affidatogli, comando che gli fu dato e che tenne perché protetto dall'alto >> . Lo stesso malumore Giolitti dimostrava nei confronti di Spingardi che non avrebbe goduto « più tutte le sue simpatie » (35). Ma neanche la venuta a Roma di Caneva, nel gennaio 1912, riuscì a convincere Giolitti e Di San Giuliano sulla necessità di continuare la tattica temporeggiatrice (36). Il capo di stato maggiore Poliio, dal suo canto, riteneva impossibile risolvere la guerra in Libia se non si compivano ai danni della Turchia atti nell'Egeo e nei Dardanelli . Le sue argomentazioni le ripeté più volte in vari promemoria nel maggio e nel giugno 1912. A Pollio sfuggiva, naturalmente, il lato diplomatico del problema, che era invece chiaro, ad esempio, a Brusati, che di tutta la campagna di Libia fu spettatore attento ed acuto. In una annotazione ad un promemoria di Pollio del 4 maggio 1912, Brusati scnveva: N .B. Il generale Pollio dice cose giuste, ma ha scordato che la mancanza di un concetto chiaro della guerra, che la soverchia ossequienza alle potenze europee, ossequìenza che per non scontentare nessuno ha scontentato tutti, che il non aver compiuto fulmineamente all'inizio della campagna atti decisivi, costringendo alleati ed amici ad accettare i fatti compiuti, costituiscono un insieme di circostanze che tuttora gravano su noi a guisa di incubo (37).

L'annotazione di Brusati rifletteva la difficile situazione in cui si trovava il governo. Il veto posto dal ministro degli esteri austriaco Aehrenthal a qualsiasi estensione del conflitto al di fuori della Libia

(3-Ù Scriveva ancora Polli o a Brusati il 2-1 maggio I~li : «L 'idea che C~neva non appena sbarcato doves•e imeguire i turchi e che abbia commesso, non iacendolo, un errore capitale, viene dal l':~lto. L 'idea che dal G harian si domula tutta la Tripolirania è di un ex min istro degli esteri (che b espose a me). L'idea di risalire le frontiere della Cirenaica <: del la Tripolitania e poi di " stringere le braccia " è anche d i un ex ministro degli esteri. Essi ed altri si dichiarano incompetenti d i cose militari, ma poi pronunziano dei giudizi c dànno dci consigl i da far rrasalirc » . (Tdern . n. 199). (35) Appunto di Brusati, s.d. [genna io 19n]. in A.C.S., A.B., se. ro, b. Vl.S -37, n. 356. (36) Sulla visita di Caneva a Ronta, cfr. lettera di T ittoni a Di Sa n Giuliano del 14 febbraio 1912, in A .S. MAE, Segr. g<:n., pa. 43· pos. '7 f., L 646. (37) A.C.S., A.B., se. 9, f. V.L3 -35, n . 193·


290

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861 • 1918)

faceva trovare l'Italia in un vero e proprio vicolo cieco. in quanto se era pressoché impossibile, secondo la tesi di Caneva e perdurando l'ostilità araba, risolvere di forza la questione libica, altrettanto impossibile era forzare la mano della Turchia, con azioni di un certo peso al di fuori dell'Africa settentrionale, se non si voleva andare incontro a complicazioni internazionali del tutto imprevedibili (38). Il giudizio negativo sull'inerzia di Caneva non fu dei soli Giolitti e Di San Giuliano. La gran parte dell'opinione pubblica, che aveva reclamato a gran voce la guerra, si sentiva tradita da quel temporeggiare. La guerra era stata vista come una bella ed eroica avventura, ed ora, sapere che i soldati italiani fortificavano le loro posizioni difensive e aspettavano in trincea che la guerra venisse risolta altrove, creava imbarazzo e disappunto e cominciarono a piovere su Caneva molte critiche (39). Soprattutto alcuni ufficiali al fronte non lesinavano al generale severi rimproveri. La preoccupazione maggiore di questi critici era determinata dal pericolo che i soldati aiJa lunga si sarebbero esauriti psicologicamente, invigliacchiti, abituati al riposo, e che al momento dell'azione ci sarebbero volute <<le piattonate >> per strapparli dal coperto (4o). Per Pompeo Campello era <<penoso con delle truppe come le nostre vedersi costretti all'inazione la più assoluta», e le trincee diventare « delle vere e proprie opere semipermanenti, alte, rinforzate con rami e munite di difese accessorie: il desiderio che tutti esprimono è che

(38) Scriveva in proposito Corrado Zoli a Brusati da Tripoli , il '4 dicembre 19TT:

" l , .. 1 intui.co che la guerra italo • turca bisogna vinccrla qui, appunto per quelle restrizioni delle quali Ella parlava nella sua lettera recente; remizioni ingiuste ed illo!,.jche finché si vuole, ma dalle quali sarebbe vano lo sperare che noi possiamo liberarci. Perché l'azione nell'Egeo non potrebbe essere che di due sorte: o blanda, ed allora la Turchia se ne riderebbe come si ride dci nostri vantaggi in Tripolitanìa; o veramente eificace cd energica, e allora andrebbe a ledere quegli interessi dei t<ni, i quali natu· ralmeme non ci porranno consentire di recar loro indireruuneme offesa "· (A.C.S .. A .B .. se. 9, f. V1.2.34, n. 14). (39) Scriveva Luigi Bar'.cìni. da Tripoli, ad Albertini il 4 novembre 1911: «Non so proprio con quale criterio sia statn scelto questo generale. Mi fa l 'effetto di un uomo inebetito, finito, annientato. Non un granello di energia, parla con un filo <li voce wmc un agonizzante, non ha un 'idea, si rammarica che il suo piano, che cnnsisreva nel decentrare turte le forze per agire in Tripolit;~nia c agire poi in Cirenaica, non sia stato accetrato. E non si orizzonta. Tutto lo sorprende. Non e~ce mai, mai, mai dal castello. Passa le notti insonni disperandosi. E' spaventato, non riesce a prendere una decisione, oscilla, rentenna, rimanda. Non è mai stato sulle posizioni . Parola d'onore se non sapessi che al tavolino vale qualche cosa (così dicono) lo prenderei per il più completo campione della imbecillità gallonata. [ . . . ] Mai si son visti 30.000 uomini aspettare notte e giorno di fronte all'ignoto. Nientel dicevano che le loro meschine rrincee erano l'idea le . Poi si sono dovuti ricredere, darmi ragione, ma era tardi. E' sommamente ridicolo essere bombardati da quattro cannoni che ci tirano sotto il naso. l turchi si di· vertono, portano dei pezzi a due passi. ci trattano come i boxers cinesi erano trattati dagli europei . Finiranno per venirei ad urina re addosso . Agli arabi dànno l 'impressione di essere i più forti. Siamo assediati, c'è poco da dire''· (Ltncr ALllERTtsr, op. cit., vol. r , pp. 25, 27)· (4o) Idem, p. 28.


LA CAMPAGNA DJ

-------

LIBJA (H)II • t912)

si faccia qualcosa» (41). Il desiderio, nel campo degli ufficiali, era quello di <l uscire dallo stato di assediati o almeno passare a quello di assediati con sortite n . Quanto alle truppe, invece nelle trincee erano 11 di buonissimo umore» e non chiedevano «che di rimanerci » (42); ciò costituiva, secondo Campello, <<una pessima scuola per il soldato, togliendo l'arditezza >> (43). Luigi Capello, che tanto farà parlare di sé qualche anno dopo, nel 1917, in occasione di Caporetto (4-4), era allora maggiore generale, comandante la zona ovest. Scrivendo al gen. Ragni, il 30 aprile 1912, criticava anche lui, con notevole calore, la tattica attendistica di Caneva. << Questo guerreggiare difensiva mente >>, aveva finito, secondo Capello, (( per atrofizzare ogni sentimento di iniziativa e di offensiva >> e sarebbe occorso « molto tempo a pace conclusa per togliere tante idee storte e ritornare ad una educazione consona all'unico sistema di guerra che possa dare la vittoria ». L'idea della difensiva - continuava C-apello - ha fatto sorgere una quantità di apostoli della << tattica di comodo>>, i quali predicano ad ogni angolo di piazza o di accampamento che, poiché ci siamo fortificati, è necessario attendere che il nemico venga a rompersi egli stesso la testa : ciò è indubbiamente molto più igienico di una tattica offensiva sia pure innestata sopra il concetto di un 'offensiva strategica (45).

In un appunto che lo stesso Capello scrisse, probabilmente nel

1913, si legge una nuova e più circostanziata critica alla tattica difensiva di Caneva e Briccola : La guerra fu militarmente condotta in quella zona [ Derna] in modo ridicolo!! Non trovo altra parola più appropriata. Non avemmo mai di fronte più di 6- 8.ooo uomini in massima parte irregolari (forse queste cifre sono pure esagerate). Il nemico non aveva che 4-6 vecchi cannoni da 87 con

(4•) A.C .S., cit., n. 9, lettua di Pompeo Campello a Brusati, da Tripoli, 19 no· vembre 191 L (42) Ibidem.

(43) A.C.S., cit., n . 53, lettera di Pompeo Campello a Brusati, da Tripoli, 20 aprile 1912. Scriveva Campello nella stessa lettera : « Da qualche tempo i reggimenti di ca valleria hanno ricevuto rassarh·o ordine di non cercare il nemico c, incontrandolo, a non impegnarsi assolutamente. Non in tendo davvero discutere ordini che hanno certamente i loro motivi, ma ccrtn che la raccQmandazione giornaliera " la cavalleria sia prudente " suona male c dispiace un poco: cavalleria e prudenza sono cose da tenersi lnntanc fra loro, giacché una ca,·allcria prudente in quesri terreni scoperti diventa faci lmente una cavalleria timida ». Il Campello poi esaltava il valore e il coraggio degli arabi: « è incredibile ed anche anunirevole il coraggio col quale quei venti o ttenra arabi vengono a farsi uccidere contro k trincee: $pes:;o lasciano ttuakhe uomo impi· glia[() nei fili di ferro con le pin<'-e alla mano' "· Cfr. Lt:ICI c.• PELLO, Caport:tto perclzé?, a cura di Rr.NZO DE FELICE. Torino, 1967· (45) A .C.S., C.P., b. 1, L 1. Nello stesso fascicolo si conserva il «diario» di Capello sulla sua campagna libica. Sono in esso schel\1aricamente ricordate le varie opera· zioni militari da lui compiute. Non presenta eccessivo interesse se non dal punto di vista militare. Mancano soprattutto considerazioni personali.

<+v


292

L' ESERCITO ITALIAN O DALL, lJKITÀ ALLA GRAN OE CHERRA (1861- T9J8)

poche munizioni scadentissime. Noi giungemmo ad avere oltre 3 0 .000 uomini con più Ji 50 - 6o cannoni di cucti i calibri fino a 149 di acciaio allungato. Non faccio commenti ! (46).

C'era, indubbiamente, in queste critiche che venivano rivolte a Caneva un fondo di verità. Ma la gran parte dei critici per lo più ufficiali, ragionava spesso con la mentalità che si era formata nei propri studi di strategia presso le Accademie militari, dove la condotta di una guerra o di una battaglia veniva im postata sugli schemi classici, tipici delle guerre europee. In Libia gli stessi schemi non si potevano riproporre; la guerra si era trasformata in guerriglia, con tutte le insidie che tale tipo di ostilità comporta, ed in più con i rischi connessi alla cattiva conoscenza delle zone, alla particolare struttura del terreno, alla animosità e al coraggio del nemico, al fatto, infine, di dover operare con il continuo sospetto che sotto ogni elemento della popolazione locale potesse nascondersi un potenziale nemico.

3· - Si è qui accennato come per Caneva il motivo fondamentale della tattica attendistica e della impossibilità di risolvere di forza la guerra in Libia fosse determinato dalla ostilità incontrata presso le popolazioni locali. Questo fu il fatto nuovo e sconvolgente della guerra italo - turca, che colse di sorpresa opinione pubblica, governo e militari e condizionò tutto l'andamento dell'impresa libica. Si può dire che i problemi relativi alla condotta della guerra e la stessa difficile situazione in campo diplomatico in cui venne a trovarsi l'Italia, la forte ostilità contro gli italiani dimostrata dalla stampa estera hanno in gran parte alla loro base l'atteggiamento ostile assunto dagli arabi contro l'esercito italiano. Fu una ostilità decisa, sotto certi aspetti veramente e difficilmente comprensibile, se non con la mentalità e con il metro del mondo arabo. L'improvvisa decisione del governo italiano di accelerare i tempi e portare a compimento la conquista della Libia alla fine di settembre del 191 I non favorì certamente una adeguata preparazione psicologica e politica presso le popolazioni dei territori da conquistare. La preoccupazione del Di San Giuliano di parare le mosse della diplomazia tedesca e austriaca fece sottovalutare al ministro degli esteri italiano l'importanza e il ruolo che avrebbe potuto giuocare durante la guerra l'elemento arabo locale. Già nella ricordata lettera a Giolitti del 3r agosto, Di San Giuliano mostrò

(46) Idem . Appunto dal titolo « Sempre •n tema d i insinuazioni "·


293

di sottovalutare eccessivamente una eventuale opposizione degli arabi: sì limitò ad avanzare l'ipotesi che l'elemento locale sarebbe stato l • col più forte ». L'idea della benevolenza araba nei con~ fronti degli italiani era molto diffusa nel paese, ed era il ritornello continuo delle corrispondenze tripoline di Bevione, di Corradini, di Piazza. Secondo Bevione, per gli arabi, l'Italia era la nazione ,, predestinata a fare del loro paese ciò che Inghilterra e Francia hanno fatto ad Oriente e Occidente » (47). Gualtiero Castellini nei suoi ricordi di viaggio in Tripolitania e Tunisia aveva scritto : '< L'arabo e l'israelita dì questi paesi non amano il turco. Gli israeliti conoscono quasi tutti la lingua italiana; gli arabi hanno una radicata antipatia per i turchi, che, com'è noto, non fanno che esigere tasse . [ . . ·l Gli arabi vedrebbero con gioia l'avvento di una potenza che sapesse far rifiorire il paese » (48). Le stesse considerazioni svolse, il 27 agosto 19II, Vico Mantegazza, uno dei più apprezzati commentatori di politica estera, che così rispondeva ad una intervista del Giornale d' Italia : « La popolazione araba [ ... J odia il turco, che in Arabia, come dappertutto, considera il turco l'usurpatore. Come simpatie le maggiori sono ancora per noi >> (4-9). Di lì a poco l'esperienza diretta avrebbe dimostrato l'inesattezza di quelle che erano semplici ipotesi e spunti propagandistici. Le prime fucilate che dalle abitazioni di Tripoli furono dirette verso i nostri marinai dimostrarono subito quali difficoltà avre~ bero creato gli (( indigeni » alla nostra occupazione militare. Lo stesso Bevione dovette ricredersi un anno dopo, allorché sulla Stampa del 27 settembre 19r2, ebbe a scrivere : <1 Un anno fa tutti credevano - meno forse l'on. Giolitti - che la Libia sarebbe stata conquistata senza un grande sforzo militare. La resistenza degli arabi distrusse tutte le previsioni [ . . ·l >> (so).

(47) Gu:sEPH Bt:VIO~E, op. cit., p p. 2 4 • 25. l co mponenti della missione Sforza. interrogati da Bcvione all a fìnc di maggio dd 191 J , alla dornand~ " Le popolnionì sono J~vorcvoli: » r isposero : « E' nostra im pressione che se sì dovesse muta r regime, le popolazioni sarebbero t utte per noi. Abbiamo inteso in un certo luogo che preferirebbero i maia li ai turchi. Ella comp rende ciò che vuoi dire un'espressione ~imik in bocca mus· sulmana . L 'italianità e idcntifìcata dagli arabi con il Banco di Roma. S i parla dd Banco di Roma <' tld suo direttore Rrc,ciuni, dovunque, con rispetto e simpatia . Le farine del m ul in<• del Banco che cominciano :1 penetrare :tll'interno, hanno u n succeS$0 gr andis>imo, e sono u n incredibile strume nto di propaganda . Se il cavalier Bresciani sì decidesse a fare un vi.1ggio nell'inte rno sarebbe ricevu to a gloria dappertutto , come uno sceriffo discendente d ì Maometto'" (Idem, p. ~) .

(4H) G u.\ LTlERO

CAST'ELLI:-<1,

Tunisi e Tripoli,

cit ..

p. 194.

(49) Vrco MA1\''CECAZZA, QueStioni di politica estera. L'impresa di Tripoli. Milano, 1<)12, p. t2 . Su i precedenti storici della T ripolitania prima della conq uista italiana cir. E1'ToRt Ross1, Storia di Tripoli e della T ripolita11ia dalla co11quisu araba al 1911 , a cura el i :Vl.•Rt.• N .,Lu!<o, Roma, 1!)68. (50) GHJsv.vr•~-: B F.VIONF., TJd ancio di dodici ml!sÌ di gul!rra. in « L~ Stampa )•, '27 5<:1temhre 1912 .


294

L'ESERCITO ITALIANO DALL'!;NITÀ ALLA GRAK!)E G\iERR.'\

(r86r • 1918)

Tuttavia, non erano mancate al governo indicazioni precise sulla situazione locale che facevano ritenere necessaria una preparazione attenta e scrupolosa, a scanso di sorprese. L'Insabato, ad esempio, nei suoi rapporti a Giolitti. aveva più volte richiamato l'attenzione del presidente del consiglio su questo aspetto del problema. Per lui era quanto mai necessario far precedere l'azione militare da una politica di avvicinamento all'elemento locale. Voglio solo far notare - scriveva Insabato a Giolitti, da Tripoli, 1'8 agosto I9II - che oggi specialmente si impone la necessità di avere amici i Senussi, non solo per ragioni commerciali ecc. ma anche in vista di una possibile occupazione. Infatti in questi ultimi anni tutta la popolazione della Cirenaica si è armata, non vi è ragazzo di 14 anni che non abbia il suo Mauser o il suo Martin i [ .. . ] . Data quindi una occupazione militare noi ci troveremmo di fronte ad una popolazione armata la quale, se ci fosse avversa, potrebbe rendere se non impossibile per lo meno difficile e sanguinosa l'occupazione (51).

Poco o nulla, invece, venne fatto alla vigilia dell a guerra per accattivarsi in q ualche modo la simpatia degli arabi; qualcosa si tentò di fare durante il conflitto, ma era troppo tardi e non sempre le strade seguite risultarono le migliori e le più efficaci. Viceconsole italiano a Tripoli era Carlo Galli, che copriva il posto del nuovo console Mercatelli, di recente nomina, avendo sostituito Pestalozza, senza, però, aver ancora preso possesso della nuova carica. Galli era stato console a Trieste dal 1905 alla fine di giugno del 1911. Di San Giuliano, ricevendolo ad Anticoli il 22 luglio, prima della sua partenza per la nuova destinazione. lo invitò a fornire l( massime informazioni su tutto » , ad agire « con prudenza, non disgiunta da severa tutela dei nostri interessi », ad evitare « attitudini provocatorie ». Di San Giuliano prospettò al Galli la sua idea anche circa la futura organizzazione amministrativa della Tripolitania; egli pensava di creare un « beylicato tipo tunisino >> a capo del quale avrebbe voluto nominare Hassuna pascià Karamanl i, sindaco di Tripoli (52). Carlo Galli giunse a Tripoli il 29 luglio 19II. Egli era stato uno dei più entusiasti sostenitori dell'impresa tripolina ed era partito da Roma con la segreta speranza di essere l' (( ultimo console italiano a Tripoli >> (53). Le sue idee politiche erano

(51) A.S. MAl, pos. 103/ :,, f. 23 . (52) CARLO GALLI, op. cit., p. 46. Lo s1e~so Galli così scrive\·a da Damasco, 1'8 giugno 1922, al suo amico ambasciatore Mario Lago: « G ià il marchese Di San Giul iano, nel decidere la conquist<l libica pensò (lo disse a me prima che partissi per T ripoli nel luglio 19ll c più ancora quando vi tornai alla fine di ottobre) di fare della famiglia dei Caramanli una specie di famiglia heylicale sol t ip<> di quella di Tunisi . Era un ecce!· kntc d isegno che ci avrebbe risp;1rmiato qualche miliardo " · (Idem, p. 403). (53) Idem , pp. 46-49, 57·


LA CAMPAGNA DI LIBIA

(191I · 1912)

295

molto viCme al nazionalismo di tipo corradiniano e del Corradini fu amico ed in stretti rapporti (54). Il vice- console italiano, fedele alle direttive del mm1stro degli esteri, non mancò di mettere subito in guardia la Consulta sulla possibile resistenza che gli italiani avrebbero incontrato da parte dell'elemento arabo locale. Scrivendo il 19 agosto a Di San Giuliano, Galli osservava che << la simpatia e la fiducia generali ed esclusive di un tempo >) da parte degli arabi, grazie all'opera svolta dieci anni prima dal console Scaniglia erano « in gran parte perdute, e per la mancata azione nostra che gli arabi attendevano sicura, e per le incertezze mostrate negli anni trascorsi, e perché le autorità turche da un lato hanno fatto il possibile per screditare il nostro nome, e dall'altro per accaparrarsi le simpatie arabe» . Ma aggiungeva che, pur ritenendo che vi fosse un atteggiamento non troppo favorevole degli arabi verso i turchi, se vi era la preordinata decisione di svolger qui un 'azione militare (che troverebbe il tempo suo propizio nel mese di ottobre per il clima temperato e le ancor buone condizioni del mare) occorrerebbe iniziare subito quell 'accorta opera sui capi e sulle masse che con la forza morale, con le buone maniere e guaiche consiglio, con molti sussidi ed aiuti pecuniari valga a far entrare negli animi degli arabi [ . . . 1 la persuasione che quando Allah avrà determinato, la loro salute verrà dall'Italia, e valga a garantirci l'incondizionato appoggio di tutti o della maggior pane dei capi influenti. [ ... ] Rimane dungue fermo che, a mio avviso, la sola difficoltà è guadagnarci prevcntivamcntc l'adesione dei capi arabi.

Galli proponeva poi quali possibili intermediari presso i capi arabi lo Smirli ed il Bresciani, « la cui azione potrebbe essere buona in guanto sempre sconfessabile e non coinvolgente la responsabilità del R. Governo>> . Entrambi, comunque, avrebbero dovuto lavorare « sotto la direzione >> del consolato (55). Qualche giorno dopo, il 29 agosto, Galli tornava sull'argomento: « Non pare sia il caso di parlare di simpatie dei senussi (mi rHerisco sempre a quelli del vilayet di Tripoli) per l'Italia. Poiché l'odio contro il turco è determinato principalmente da princìpi religiosi ·l a maggior ragione l'ostilità dovrebbe esservi contro un possibile governo cristtano il quale venisse ad occupare questi territori >) (56). Commentando nel suo diario questa nota trasmessa a Di San Giuliano, il

r..

(5~) Nel suo diario, sono la data 23 ottobre t91 r. Galli annotava: " Corradini c Federzoni fanno colazione con me. l nostri animi esultano. Comincia davvero la rina· scita auspicata il x<> marzo 1 9 10 con b formazione dd partito nazionalista? Ci porterà il domani a r isolvere la questione adriatica , come la mediterranea va oggi verso una qualche sicurezza maggiore ? " · ( Idem, p. n6). (55) A.$. MAE, Segr. geti., pa. 42, pos. li a . (. 641. Cfr. anche CARLO G~Lu. op. cit., pp. 58· 6o. Lo Smirli era l'interprete del consolato italiano. (s6) CARLo GA LLI, op . cit. , p. 61.


296

L'ESERCITO ITALJA!'JO DALL'UNITÀ A LL.~ GRANDE GUERRA

(186r- 19r8)

console italiano a T ripoli scriveva: « Per i senussi della Cirenaica dirà Bengasi la sua opinione. Ma credo difficile possa essere oggi diversa dalla mia. Insisto sulla preparazione politica locale >> (57). Il giudizio di Bengasi non era, infatti, molto diverso da quello di Tripoli. Il 6 settembre 1911, il console italiano a Bengasi, Bernabei (58), in un rapporto a Di San Giuliano, osservava: non v'ha dubbio che i principali f.attori di resistenza cui andremo inconlro in caso di occupazione sono: la forza militare turca, l'aiuto che ad essa potrebbe provenire dalla popolazione indigena e la confraternita dei Senussi, che sorregge in questa contrada l'opinione pubblica mussulmana. f ... ] La popolazione mussulmana di Bengasi e Derna è nota per essere la più fana tica dell'Africa del Nord. Non è improbabile che parte di essa ricorra alle armi per aiutare le truppe turche in caso di occupazione (59).

Il 29 settembre, il giorno stesso della dichiarazione di guerra, Galli informando sull'arrivo del piroscafo turco « Derna ))' carico di armi, illustrava chiaramente e con dettagli esatti lo stato della situazione e l'atteggiamento che gli arabi stavano per assumere

r... l disegno turco è riti rarsi interno per sostenere campagna armando popolazioni appoggiate regioni montuose Gebel; per ciò carico Derna viene febbrilmente trasportato interno; è probabile distribuzione Bengasi armi vettovaglie decida popolazione montanara appoggiare turchi, almeno da principio (6o). Di San Giuliano non diede mai soverchio peso alle raccomandazioni dei consoli a Tripoli e Bengasi, gli unici che potessero fornirgli notizie attendibili sulla reale situazione del paese. Niente fu fatto per preparare un ambiente favorevole all'arrivo della spedizione italiana nei territori da occupare, nessuna direttiva fu data (57) lden1. p. 62. Dopo oltre un mese-, il 21 scnernbre, a pochi giorni dallo scoppio della guerra Di San Giuliano chiese quale somma dì denaro occorresse a Galli. (C[r. telegramma di Di San Giuliano a Galli del 21 settembre 1911, in A.C.S .. C.G., h . 25. f. 64). Galli ri spo~c il 23 settembre, a qunuo giorni dall'invio delJ'rdtinMtum, ritenendo sufficiente la somma di lire 5.000 (cfr. A.S . .MAE, cit., telegramma di Gall i a Di San Giuliano del 23 senembre 1911). Nel mese di scnembrc venne anche Slabilito di com ponsarc ìl Bresciani, direttore del Banco di Roma a Tripoli, «fino alla somma di lire •so.ooo "· 3llo scopo di a~<Sicurarc « almeno la neutralità degli arabi colà dimoranti nel caso di una nosrra spedizione ». (Idem, leuera d i Poli io a Di San Giuliano del 2.3 ~ct­ tembrc 191I). (58} Sull'anività del console Bernabei a Bengasi, dd tutto negativo fu il giudizio espresso da Enrico l nsal)ato, secondo il quale il Bernabei si era legato a certo Osman d Encsi. ex pastore. facchino, agente segreto. ex impiegato nella socie1à di navigazione Basci. <'Onuabbandicre di armi e bestiame, che si faccv~ passare per senus.so, sirunando la sua amicizia con i l console italiano per uaffìcare con il Banco di Roma, " dando vita :>d un ginepraio di imbrogli - scriveva lnsabato da Malta il 5 agosto 191 1 - che ci f:t deridere in paese e ci mette in sospetto di fronte ai turchi . Non solo. ma questa poli· Jica di imbrogli <: di inganni minaccia di rompere dcfìnitivàmcntc le nostre amiche rela zioni coi Senussi, se Vostra Eccellenza non vi porrà rimedio ,, (A.S. MAl, pos . 10.3/ 3, f. 23). (59) A.C.S ., C.G., b. 12, f. 10, telegramma del 6 settembre. (6o) A.S. MAE, cit., telegramma di Galli a Di San Giuliano del 29 settembre I9li·


-----------------

L.\ CAMI',\Cl'A

01 LIBIA (1911 • 1912)

297

---------------------

ai rappresentanti italiani in Tripolitania e Cirenaica per rendere meno decisa l'opposizione dell'elemento locale allo sbarco e alla penetrazione italiana. Allorché la resistenza araba si fece più decisa e cominciò a disturbare e rendere sempre più difficile l'occupazione, si volle fare del console Galli il capro espiatorio, accusandolo, sembra, di aver male informato sulla situazione locale (61 ). Il Galli, che pochi giorni dopo lo sbarco di Tripoli venne inviato di nuovo console a Trieste (62), si difese da queste accuse in una lettera al conte Piero Foscari del 25 novembre 1912. Essa ci offre nuovi elementi per valutare alcuni aspetti della preparazione alla guerra di Libia. Il Galli. inviato a T ripoli il 2 9 luglio 1911. ebbe la consegna dell'ufficio dal dragomanno Saman, che, partito il 20 agosto, tornò a Tripoli il 26 settembre a pochi giorni dallo sbarco. Galli rimase per circa un mese a Tripoli completamente solo, proprio nel periodo più delicato della preparazione, il periodo nel quale era necessario informare in ogni minimo dettaglio sulla situazione locale. Lontani da Tripoli, in quel periodo erano anche i rappresentanti

(61) Di San Giuli3no tdcgr.tla,·a a Galli il 2-1 '"ttemhre. a tre 11iorni dall'invio dell'altuuatum . chiedendogli 'c mcne'a utile il ritorno dell'ex camole Pe>talozza, "arreso le ~uc relazioni pcr>onab coi capi arabi . Reninteso - proo;cguiv3 l)i San Giuliano - db rimarrebbe . tanto p•Ù che in quc>ll giorni ha sempre più meritato la fiducia dei go· verno • (A.S . MAE. cit.). Davvero sorprendente la condotrJ. della Consulta in questa circo~tanza. Si pens:tva di far tornare Pc~talozza a Tripoli perché più a conoscenza del l'.tmhicnte e quind i pi(l utile p<:r ht prep.trazione locale. Alk·r~ ptrché lo si era sostitui to appena due mc$i prim:1? E CO>a avrebbe potuto fare Pcst~ lozza nei pochi giorni che scpar,IVano l'in izio delle o'tilità ? O forse ancora Di San t;iuliano non credeva nell'imm i· ncntc conflitto ? Annotava Galli nel suo diario sotto 1:. dat~ <kl 25 settembre : « All3 Cnn,ulta per chi mi hanno preso? credono di a\'ere a che fare cnn uno dei soliti ? Non ho che un pensiero e una giob : quella dell3 mia Patria. Il re w> è ridicolo e meschino t· in mc non cape. Ma Intanto mi hanno fatto pa$sare un qua no d 'or3 di rabbia. Arrivati due telegrammi riservatissimi. decifri clb ~te'sa etc. [. . . Uno è dd ~linistro ( ... }. Il ~<:condo è di Conmrini. animato dalle migliori intenzion• \'Cr>o di me. ma che raddoppia la mia >tizza. Non ho hi'Qgno delb spinta di nc:"uno per (are cd agire anche contro di me ;e que>to comand1 Roma . Mi dice che il Ministro m• :t\eea telegrafato ave ndogli data lui " formJic a~sicuraz 1onc delle mie eccezionali doti di carattere. ~icché l:t mi.; risposta sarehhe i'pir;Ha 'olt.tnto a considerazioni degli intcre>>Ì del pa~se, senza riguarrln a formali piccole ;Hnt-izion i " . Chiude affermando che tulli hannu fiducia in me etc. Rispondo immediatamen te. Premetto che Pesta lozza ha p•·rsonali conoscenze con i capi ,,r:lbi, p uò parlare senza int<.'rprcte etc., ma :.v rebbc poc" tempo per esplicare la 'U~l azione . Affermo con intima forza cd orgoglio, che " in ho b fiducia dell3 colonia" [ ... j . Dopo aver a(fnmato che soltanto il Ministro ha gli dementi per una dcciswne chiudo con questa pn·cisa a{ferrn .•zione : " Quanto a mc sJrò sempre lieto a rinu nciare non a scupide ambizioni. che non ho mai capito, ma ali~ mia vita per l'intc· "'' >C del mio pabe.. (C~RLO G~t.Ll, Of. cit ., P· !io). (62) Il 5 ouobre. con l':~rrho dd Gmernatore Rore;< Ricc1. G.1lli venne nominato capo degli affari civili. Tornò 3 Roma alla fine di ottuhrt c il 3 no,embre ,·enne ricevuto da Di San Giuliano c Giolitti cht' gli propCJ'-CW di tornare a T ripoli <alle sole e dirette dipt·ndcnzc del mim,tero degli affari esteri ''• col quale ;l\'rcbbe dovuto corri>pondere «i n cifra » . Galli ritlutÌI questo incarico che. a suo dire. avrebbe fatto di lui .. un gio rnalista di eccezione, che per giunta non vedrà pubblicltC le sue corrispondenze, c ><lrà invece C>posto 3 !Uttc le cri tiche c gli attacchi del comando. dli qu"lc non porrà rnai difendersi ». (CARLO G'r.Lt, op. cit., p . 129).


298

l'ESERCITO ITAU ANO D\Ll'UNITÀ .\LLA GR.\NDE CL'èRRA

(r86t · 19r8)

del Banco di Roma. Bresciani e Baldari. personaggi che per la loro attività avevano una profonda conoscenza della situazione locale. Chi mi conosce - scrisse Calli nella citata lcnera al conte Foscari dovrebbe invece supporre che io vedessi la situazione nel suo giusto pumo: che mancavamo cioè di preparazione generica e speciiìca, che occorreva fare un'opera di saggio, che bisognava al più presto togliere di mezzo i turchi e perciò agire di sorpresa c rapidamente, in modo da impedire un'azione di propaganda sugli arabi e di distribuzione Ji armi. ( ... J Se anche avessi dato informazioni fa,·orevoli sugli arabi, e magari suggerite inopportune misure militari, si giustifica un mese di incertezze ed irrcsolutezze, non altro. Se per supposti errori altrui si ,·uol fondare una manchevole azione succes siva, la giustificazione ha troppo stretta base, ed allora bisogna cercarne un 'altra. Kon sta a mc il farlo (63).

Se errori vi furono, nella condotta di Galli, sono solo parzialmente imputabili a lui, scarso conoscitore di problemi africani. costretto a ricoprire una carica di particolare responsabilità, in quel momento, e del tutto inascoltato nelle sue richieste e nei suoi suggerimenti. Un quadro nitido della situazione e degli errori commessi non solo nel corso della preparazione, ma anche nei successivi rapporti con l'elemento arabo, una volta scoppiata la guerra. è chiaramente disegnato in una lettera che verso la fine del 191 1. Luigi Barzini, corri pondente da Tripoli del Corriere della Sera, indirizzò a Luigi Albertini. Noi siamo venuti qui - scrive Barzini - senza preparare l'ambiente e senza preparare noi stessi. Quando si è deline::tta la situazione che doveva condurci a Tripoli, bisognava mandare un console molto abile e profondo conoscitore dell'oriente, per esempio Carletti (64). J . . . 1 Invece si è mandato Galli, sbalzato da Trieste col pretesto che era energico, un presuntuoso. nevra· stenico, ignorante del paese (6<)). Un console che ha cene missioni deve essere soprattutto munito di oro. Bisogna saper spendere un poco prima per non dover pagar molto dopo. Trovai Galli preoccupatissimo. Gli chiesi soltanto quame centinaia di migliaia di lire in oro era autorizzato a spendere per comprare almeno i capi arabi delle vicinanze. Era autorizzato a spendere delle belle parole. Con questa preparazione siamo sbarcati (66).

(63) Idem, pp. 397 · 40c). Lo 'tc~so Giolitri riconobbe: «l rapporti dci nostri comoli , fra i quali ricordo il G~ ll i, buon giudice e cono~itur~ di <1ue1le popolazioni, non ave· vano in proposito mai creato illusioni ''· (GtovANNt G~<Jtl n 1, Memorie della mia t'Ìlll, cit., p. 238). (64) Tomma<o Carlctti era, dal 1908. govcrn~tore della Somalia. (6;) Sul Galli è invece positivo il giudizio di los~b.lto. Scrivendo a Giolitti il 12 a!(mtn 1911 da Tripoli, ossen·ava: "Il cav. Galli. benché nuovo del paese mi sembri> assai intelligente: c <.le~•dcrmo di meuersi bene al corrente della sirunione c dal suo par· lare traspare un 'ivo <cntirnento di patriottismo che gh ha conciliate le simpatie della colonia ~ . (A.S. MAI. p<•~. 10313. f. 23). (66) LuiGI ALBUTI'Il, 'EpiJtolario, cit.. vol. l. p. 74· Analoghe le osservazioni di Bevione nell'articolo Pçr fatto personale, in "La Stampa •, 2') d•cemhre 19 12. Sull'argomento cfr. anche la lcucra del gen. Tarditi aù Alfredo Fra~'ati del 20 agosto 1912 in L. FRASSATT, Un uomo un giorno/~, Roma, 1978. vol. l, parte 2, pp. 373 - 6.


LA C.~~IPAC'I\ DI

-------------------------

LIBIA ( 1911 • 1912)

2 99

La personalità araba verso cui pm attiva avrebbe dovuto essere l'azione italiana era Hassuna pascià, sindaco di Tripoli da dodici anni, amato e rispettato in tutto il vilayet, tanto che nessun altro capo arabo aveva « influenza più sicuramente estesa ed universalmente riconosciuta» (67). Era stato in precedenza Mudir dell ' Azizia per circa cinque anni e successivamente per otto anni kaimakan a Msellata, Misurata e al Garian. Considerava i turchi usurpatori di un suo diritto, anelando il giorno del riscatto. Nessun impegno preciso fu preso, nessun passo ufficiale fu fatto verso Hassuna pascià, che, nella seconda metà di settembre, fu sempre più attratto nell'orbita del comitato giovane turco <• Unione e Progresso n, portandosi lentamente verso un atteggiamento di appoggio ai turchi. Carlo Galli annotava nel suo diario, sotto la data del 22 settembre: Credo che egli [ Hassuna J si aspettasse una qualche parola da parte nostra. ] ... ] Bisogna non aucndere per cominciare quella azione che avevo chiesto a Roma. Ogni giorno perduto chiederà in seguito un lavorio maggiore c più difficile. E' pure Ja chiedersi se otterremo che Hassuna Pascià faccia a ritroso il cammino percorso fin qui, e nell'ipotesi che \'i aderisca, se potrà condurre seco gli altri capi arabi c le masse che sottostanno alla sua influenza (68).

Insomma, la errata convmz10ne che l'arabo sarebbe rimasto a guardare, anzi, avrebbe favorito il compito dell'esercito italiano, il non aver voluto prendere in considerazione i suggerimenù dei rappresentanti consolari italiani a Tripoli c Bengasi sono alla base di gran parte delle future difficoltà che la condotta della guerra avrebbe incontrato, se si pensa che le ostilità per assoggettare le popolazioni arabe dell'interno durarono venti anni, sino alla fine del 1931. Si volle lasciare tutto alla strategia militare , come se si trattasse di una guerra di tipo europeo, mentre si andava incontro (67) C'"LO G•Lu, op. cit., p. Il+ !l Galli ci dà que>to ritratto di 1-Ja,•una Pa!>eià: " l-la portamento fiero c nohilt'simo. Sh'll:trdo proiondo ed intelligente. cnn fondo di ,icura honrà ... (Ibidem). (AA) Idem, p . 76. Questo brano del diario di G:<lli ricalca la falsariga di 4uJnto lo

<tt:>Ml vice • console aveva comunicato a Roma il 23 'ettembre T91 1: << Qu&nto al contegno degli arabi, che è quello che piLo preme, ripeto cloe c>l>i >ono pian pi:1no, volenti o nolcnti, attratti nell'orbita del Conoilato giovane rurcn. llas;una Pascià tenne nl·i prim issimi ~iorni delle riunioni un contrgnu non croppo chiaro e che poteva c-.cre interpretato anche in modo a noi fdvorc:w>le. Succcssi,•:unentc egli ha accentuato pian piano il suo :megg•amento di ~PJX>ggio ai turchi . Io credo che egli si aspeuasse una qualche parola da pJrtt" nosrra, per non a,·crla ancora ricevuta CAli. ~ tutela del suo intcre,o,e, deve ritcnrre che forse anche quc>ta ~olu si rraui di un mo,·imemo della wla <tampa non seguito dal governo. PtrCÌ•Ì. poiché adessc l'E. V. mi chiede quale :-<>nlma iniziale mi sarebbe nc:cc•saria per cominciare l"opçra indicata nei miei precedenti rapporti [cfr. nota n. 57J. io credo utile non attcn.dere a cominciarla di fatto, poiché ogni giorno perduto ch iederà in seguito un hvom maggiore e più difficile . E' pmc da chiedersi se non otterremo che Hassuna Pascià façcia a ritroso il cammino percorso fin qui. c nella ipotesi che vi aderioca se potrà condurre <eco gli alui capi arabi e le ma"e che sono-ranno alb 'ua mfluenza " · (A.S. MAE. cit.).


300

L'ESERCITO I TALIANO DALL't;l'ITÀ ALL.\ CRANDE CUERM

(1861 • 1918)

ad una guerra di tipo diverso. in cui era necessario, come osservava Luigi Barzini, c• procurare che le battaglie risolvano quelle difficoltà che non si son potute risolvere altrimenti; combattere è il modo più costoso e più lento per vincere l> (6<)). L'errore di fondo fu quello di non aver compreso la mentalità araba, di averla giudicata attraverso la mentalità europea, di non aver studiato l'organizzazione sociale di quei popoli, di ignorare i nomi. la potenza, l'autorità dei singoli capi. di andare loro incontro col sorriso e col gesto amichevole, senza nulla sapere del loro carattere sospettoso. incredulo e diffidente. di averli considerati come popolazione. senza sapere che in paesi arabi gli abitanti sono un materiale di guerra >> (ìo). Del sentimento ostile degli arabi, nei confronti degli italiani, se ne ebbero prove evidenti prima e dopo lo sbarco. L'azione dei turchi era stata quanto mai tempestiva. La stampa locale, ad esempio, era divenuta nel mese d.i settembre molto violenta, specialmente a Tripoli, spronando gli arabi con affermazioni di sicura presa sui loro sentimenti: " Voi arabi - si leggeva in un giornale tripolino - che avete imperato su metà del territorio italiano. permetterete che i figli dei vostri schiavi diventino i vostri padroni? >> . E ancora: <• La!>ciate che l'Italia si impadronisca del vostro paese. e poi la vedrete carpire il vostro denaro, spogliarvi delle vostre terre, prendere i vostri figli soldati. Come potrete vivere insieme. essendo voi mussulmani, essi cani?» (71 ). Quando poi, il 26 settembre arrivò il piroscafo Derna )) dalla Turchia, carico di armi, pur senza assistere a manifestazioni clamorose, si notò che persone di ogni ceto aiutavano gratuitamente i soldati a scaricare il piroscafo: gli stessi notabili, per dar prova di lealismo, ne dettero l'esempio portando a spalla alcune casse (72). Il 30 settembre cominciò la formazione di H battaglioni volontari )) in tutto il paese; i turchi ebbero buon giuoco, trovando un terreno quanto mai adatto al loro scopo. A Zintan, ad esempio, « alcuni fanatici con un grosso tamburo giravano per il paese chiamando a raccolta i validi. L'effetto fu che di là partirono subito 5 o 6oo combattenti per Garian e Azizia » (73). Le prime occupazioni e i primi sbarchi italiani si svolsero in un clima di freddezza e indifferenza, quando non di aperta ostilità, c(

(<

(6<J) LL'IGI ALBL•n"'·

op. rit .. p. 41.

(;o) Idem. p. 43· (71) MI'<IHUO DLLLA CtrRR.\ , Campagna di LibuJ, cit.. vnl. moria T: Notizie e do1 twumti dd rompo auuertario, p. 22~. (72) ldem. pp. 222 • 23. (73} Idem. p. 229.

l,

Appet~dia :

Me-


LA CAMPAGNA DI UBJA

(191I · 1912)

30 I

~--~~------------~--

da parte degli indigeni. A Tobruk, il 4 ottobre allo sbarco delle truppe italiane si ebbe il (< vuoto>>. Dopo lo sbarco di Tripoli, un ufficiale arrivato con l'avanguardia italiana avrebbe affermato: << Il giorno dello sbarco del u Verona)), l'II ottobre, l'atteggiamento della popolazione, specie dei maggiorenti del paese, fu improntata a freddezza; quasi tutti se ne stavano seduti intorno ai tavoli dei caffè, affettando di non preoccuparsi menomamente di quanto accadeva intorno. La benevola e festosa accoglienza telegrafata dai giornali era una bugia patriottica n . Ciò fu notato anche dal comando, il quale, attraversando quattro volte al giorno la città per venire dal piroscafo e ritornarvi a prendere i pasti e a riposare, dal 12 al 19 ottobre, rilevò l'ostentata noncuranza degli arabi, che gremivano i caffè (74). L'opposizione araba non rimase limitata alla sola Tripolitania e Cirenaica. In virtù di quella solidarietà etnica e religiosa che unisce i popoli arabi e per l'abilità dei turchi nel sollecitare questo stato d'animo, le reazioni furono vivaci in tutto il mondo islamico. I turchi riuscirono a reclutare elementi anche in altri paesi posti sotto il loro dominio, come ad esempio lo Yemen, ove gran parte delle tribù fecero causa comune con la Porta (75). Nelle stesse c<r lonie italiane si verificarono episodi di ostilità. Ad Asmara, ad esempio, il giornale arabo locale Moiad, nel numero del 21 febbraio 1912, criticava aspramente la formazione di battaglioni di indigeni da inviare in Libia, operata dalle autorità italiane : Questo governo ritaliano l perfido, coi suoi uomini ha calpestato le leggi internazionali ed ha pensato di mandare i mussulmani a combattere i loro fratelli per sciogliere l'unità islamica, per seminare zizzanie, odio e inimicizia tra loro. Tutto ciò per suo vantaggio e per facilitare la sua impresa. J . • . J O fratelli, abbiate fiducia in Dio e non ubbidite agli ordini del nemico, selvaggi e perfidi (76).

Anche, in Egitto, osservava l'agente diplomatico italiano al Cairo, Grimani, la stampa arabo- egiziana era « tutta osti.le >> all'azione italiana in T ripolitania (77).

(74) Idem, p. :220 (75) « Con ogni mezzo - telegrafava il governatore italiano in Eriuea, Rubiolo, a Di San Giuliano il 2r novembre 1911 - wrchi hanno eccitato fanat.ì~mo popolazione fa· ccndo credere Italia ha dichiarato guerra contro islami~mo. lnian Jahia ed altri principali capi tribù hanno offerto loro servizi, mettendo disposizione governo migliaia arahi oltre parecchie migliaia che autorità locali mandano alla costa in rinforzo battaglione turco ,, (A.S. MAI, pos. 104/1 . f. 8). (76) Idem, l. 5· (i7) Tdcm, telegramma del 14 aprile r9u. « In tutto i' Egitto - scriveva il confì· dente del consolato d'Italia al Cairo, G. Manassè, " siriano dì sentimemi italiani" le somme sottoscritte ascendono ad un milione novecentocinquanramila franchi, compresi 1 55 mila franchi inviati telegraficamente al ministero della guerra a Costantinopoli da


302

L'ESE RC!TO lT.\LlAJ'\0 DALL'U:-IIT.~ ALLA GRANDE GUERRA

(t861 · t918)

Quando il contrarnn1iraglio Borea Ricci, il 7 ottobre 191 I, si rivolse nel suo proclama, con paterne parole, ai << cari abitanti », ai ~< generosi abitanti », ai (( nobili abitanti », ai « rispettabili abitanti », invitandoli a gridare con i loro <( fratelli d'Italia: viva il Re, viva l'Italia >> (ì8), non poteva sapere che le sue parole sarebbero cadute nel vuoto, in quanto la concezione del potere sovrano era ignorata in una società impostata ancora su basi feudali , nella quale il capo tribù è colui che governa. « Abbiamo adoperato - scriveva ancora Barzini - i mezzi di convinzione che avremmo messo in opera per creare una qualsiasi corrente di opinione pubblica in una facile provincia italiana. Ma è inutile con gli arabi sperare nell'effetto dei proclami affissi alle cantonate, contare sulla beneficenza pubblica, sulla così detta eloquenza dei fatti » (79). Altro errore nei confronti degli indigeni fu compiuto all'indomani dello sbarco, con una serie di provvedimenti inadeguati e inopportuni che contribuirono ad alienare le simpatie anche di quella parte della popolazione locale che forse guardava con fiducia l'arrivo delle truppe italiane. Furono errori dovuti ancora alla incapacità di comprendere psicologia, tradizioni e struttura politico sociale di quel popolo di antichissima origine (8o). Il 13 ottobre I9II venne nominato governatore il gen . Caneva, comandante del corpo di spedizione, (( un generale - scrive Barzini - che conosce l'Africa, questa Africa, come io conosco la Patagonia >> (81). Fu un errore credere necessario alla Tripolitania un

l7.7.et pasçià, ex S<Jtto•egretario di Stato alla guerra in Egi tto, a nome suo e delb sua famiglia ''. (A.S. MAE. Segr. gen . , pa. 43, pos. 17 d, f . 644, la relazione del Manassè venne mvtata a Roma dal vice console al Cairo Dolfini il 28 ottobr e 191 1). Il giornale egiziano << Al Lewa ,, sosteneva, nel mese di ottobre, che il " Re d 'Italia conduceva il suo esercito e la sua nazione sulla via dell'onta e della pirareria » e, riiercndosi alla condotta della guerra scriveva che « il coraggio che egli [ il re d'Italia ] dimostra in questa circostanza non è che quello di un attore di rearro (di un pulcinclla) » (dr. «La Bourse Egyptienne ,,, di Alessand ria d'Egi tto, 11 ottobre 1911). (71>) Cfr. il testo del programma di Borea Ricci in Raccolta degli alli per l' ordi11a· mento provvisorio della TripolitaiiÌa e Cirenaica, Comando del Cor po di spedizione in Tripolitania c Cirenaica. T ripoli, I 9I2, pp. 28 • 29. (79) Lu tGl At.•ERTINt , op. cit., p. 43· (So) •< Enrravano in gioco - ha osservato il Volpe - ttmi i comples>i moventi d i una umanità arrctrati>sima ma non barbara, fortemente sensibile ai richiami della sua religione e capace di un suo sentimento come nazione. che, donnicnte ;(lttO la cenere, ora si ravvivò anche per effetto del nuovo c più accorro trattamento usaw dagli ufficiali turchi verso gli arabi e berberi; una umanità che per noi, salvo una super ficiale e frettolosa informazione, riservata per giu nta a pochi notabili, più o meno infarinati d i Europa. era sempre un m istero. Da d icci anni l'Italia, il governo italiano covavano l 'uovo di Tripoli: ma non si può dire che si fossero dati tanta briga di studiare quel paese. quelle genti, quella vita religiosa, quelle soc ietà segrete e sette fanaticamente rnussulmane, i Scnussi, i Madania, i Cadria, i Saada ecc. che, con le loro zavie a Tripoli e in molte località d i Tripolitania e Cirenaica, creavano diffusi c misteriosi legami e potenti forze di resistenza » (GIOACCH INO Vot.I'E., op. cit.. p. 67). (llt) LVIG! t\LBERTJNJ, op. cit., vol. l, p. 75·


LA CAMPAGNA DI LIBIA

(1911- 1912)

303

--------------------~

governo militare mentre occorreva, come osservava ancora Carlo Galli, scrivendo il 22 ottobre a Mario Lago, <r una azione militare ed un governo civile 11 (82). La Libia non aveva bisogno di essere conquistata, ma guadagnata alle simpatie italiane. Si cercò di ristrutturare una organizzazione amministrativa che i turchi non avevano osato toccare e che era in vigore da secoli. Non si r.iconohbe l'autorità dei m udir, i capi tribù che avevano potere assoluto sulla loro gente (83). Nella prima settimana di occupazione i capi arabi erano giunti a Tripoli, aspettando le nomine, i denari ed i compensi materiali e morali, ma non ottennero nulla e se ne andarono delusi. Il Mufti , la massima autorità religiosa maomettana di Tripoli, attese invano, nelle sue visite a Borea Ricci e a Caneva un riconoscimento adeguato al suo rango. « Si aggirò anch'egli dimenticato per ]a città, finché un giorno scomparve, senza che la sua scomparsa suscitasse nelle autorità alcuna impressione>> (84). Se la guerra condotta dagli arabi contro l'esercito italiano fu anche guerra di religione, l'indifferenza usata verso il Mufti ne fu certo motivo non trascurabile. I capi arabi, in sostanza, anche i meglio disposti si sentirono spodestati, defraudati dal loro potere e si ritennero più sicuri, più protetti, più stimati al fianco dei turchi, che ne approfittarono dando loro potere, onore e ricchezza (85). Scriveva nel luglio del 1912 il feld- maresc.iallo Kolmar von der Goltz sulla Neue Freie Presse, suscitando l'indignazione del Giornale d'Italia: « Non deve essere tenuta in non cale l'elevazione che la coscienza araba ha acquistato in virtù della propria resistenza. Secondo notizie abbastanza sicure è riuscito agli ufficiali turchi di trapiantare tra le masse arabe la disciplina, l'ordine, fino a un certo punto la cultura militare euro(82) CMu.o GALU, op. cit .. p. TJ). (83) « I mudir - scriveva ancora Barzini - furono mandati da Erode a Pilato, da un ufficiale interprete ad un interprete ufficiale, uno di loro fu confermato in carica con buone pmmesse, gli ahri furono pregati di ripa:.sare più tardi. Caro signor Albcrtini, con due o tre milioni si comprava tutta la Tripolitania. Quei mudir dovevano tornarsene alle tribù con tanto di investitura in magnifici geroglifici arabi, creati funzionari dal sultano d'Italia (che Allah pro tegga) e muniti di doni cd un anno di stipendio, largo per ora, in bei marenghi, senza contare le promesse di ogni bene. Dovevano rimanere incantati del nostro arrivo. E la lumaca avrebbe tirato fuori l'altro corno. Sarebbero venuti i capi maggiori, e a quest'or a il governatore avrebbe un corteggio di potentati del Fezzan e del Gh~damcs, come il viccré delle Indie ha un correggio di rajà e marajà. 1\·fa è possibile spendere così bene il denaro italiano? Nessuno ha capito la situazione, ma se l'avc:;sero <:apita, quale governatore italiano si sarebbe ~entito autorizzato di pa· gue qualche milione così? Quale iralico governo l'avrebbe permesso? Quale corte dei conti l'avrebbe approvato? Quale C3pitolo del bilancio avrebbe ropportato una spe>a così incostituzionale' Spendere duecento o trecento milioni in una guerra difficile, questo sì. Spendcrnc due o tre per prevenirla e renderei padroni di un trrritorio. è im· possibile, assurdo >> (Lurcr ALBF.l\T!KJ, op. cit., vol. l, pp. 75 - 76). (84) Lwcr ALRERTtl<t, Venti armi di vita politica, cir., parte J, vol. Il, p. 128. (85) Cfr. Lutèt ALBEJ\TtNr, Epistolario, cit., vol. l, p. 47·


304

L·e~IORCITO rT.\LL\:-10 IJ.\LL.U:-IITÀ '\LI \ GIL\'IOE Gt:ERRA (1861 • 1918)

- -- -

pea >' (86). Dal suo canto. il gen. Trombi, a cui era affidato il comando della zona di Derna, così scriveva, con un certo stupore, al gen. Brusati il 23 dicembre 191 I : <r I turchi pagano i beduini profumatamente, hanno stabilito assegni .fissi giornalieri ai beduini assoldati e promettono sempre l'arrivo di nuovi rinforzi con armi e cannoni >> (87). Questo successo riscosso dai turchi presso gli arabi, forse inaspettato, riuscì a galvanizzare e dar coraggio alle autorità politiche c militari ottomane. Come osservava il barone Marschall, ambasciatore tedesco in Turchia, in un suo colloquio con Pansa nel maggio 1912, nei turchi si rianimarono le speranze di un'efficace difesa col concorso dell'elemento arabo: giacché quegli indigeni, dapprima inimicissimi dei turchi come rappresentanti dell'autorità c dell'odiata imposta, si erano rivoltati per fanatismo religioso c per effetto di abili incitamemi, contro l'invasore straniero: col risultato che la questione di Tripoli era risultata una questione Jell'Islam. davanti alla quale il governo, anche volcnJolo non avrebbe potuto transigere senza commettere un suicidio (88).

H governo italiano, da parte sua, stabilito che la Tripolitania era una 1< provincia» italiana, tentò di estendere subito il sistema fiscale e amministrativo vigente in Italia ai territori conquistati, burocratizzando tutta 1a vita locale, ripetendo, naturalmente con (BI>) LI turcofilia dt:l ft:ld- marnciallo t •. da Go/t::. lntollerabilt: contt:gno di ttn Il Giorn.tlc d'Italia~. 3 luglio 1912. Cfr. .lnchc .\LDOBRASDI~o gt:nua/1.' allt:aro. in MAI.\"EZZI, L.'ltalia t: 1'/s/am tn Libia, Firenze · Mii.JOn, 1913. p. 227. (87) A.C.S .. A.B. . se. 9, L '1.2.34· n. ri\. l turchi ai comblttcnti .trabi davano « un ots:.egnv mensile di lire iwliane to,8o. più una razione !!iornaliera di viveri consi-

>tcoti in un chilogrammo di brina e cente>imi TS di olio. A coloro che erano incaricati di spcciJii servizi, come portare l'a~qua, prendere i feriti c i moni, ccc. veniva corrisposto un ~oprassoldo. .\ i feriti pare si dc>Sc una gratifica di un megidi~ (L. 4.1;). A chi perdeva il cavallo Ycniva pagato il prezzo di stima stabilito da apposita commi~,ione. J •.. ] Le famiglie dei combattenti per i primi tempi non ave,·ano nulla: più tardi. quando le condizioni dei mcrc.lli dh·ennero critiche c l.t miseria prenccup3nte, si provvide al loro sostentamento con contribuzioni pc;riodiche di farina. e Oj!ni famiglia ne ebb.,, secondo alcuni, 5 o (, chilo~'l"Jmmi per quindterna, ~econdo altri un ;:-eco al mese. Qualcheduno ha dello che si dava a tutte anche un memile di ro lir<'. c a quelle dci morti in combattimento di una lira turca per O!(ni p.trente perduto » (Mt:-tlst·uo DELLI\ Gu~.RM, Campagna di Libiù, cit., vol. (, p. 245). Sewndo il parere del Khcdivé d'f.gitro « b presenza delle truppe ottomane e l'abile preparaz.ionc degli ufficiali turchi. i quali non ometteranno alcun mcz7o p~r;ua,ivo ed alcuna menzogna per far crt'dcre alle tribù che l'Italia mira esclushamcnt~: alla loro distruzione cd a quella delb loro religione e delle loro famiglie, contrihui'<:c J. far loro mantenere un atteggiamento bellicoso. Sì fatto atteggiamento ce~o.<cnì quando 1l pacsc sarà liberato dall'e>crcito onomano. ~nza però che pos,ano modificarsi i sentimenti degli arabi a no>tro riguardo e spccialmentr i beduini ttngono troppo alla loro ind1pendenza c sono uoppo refrattari a qualsia\Ì dominazione. sia ottomana od italiana, per credere che possano c'sere vinti con altTi mc--~,7i che non siano il timore c lo spiegamcnw di una forza contro cui la lotta si manifesta impossibile » (A.S . MAE. Segr. gm .• pa. 43, po~. 17 d, f. 644. lettera di Grimani a Di San Giuliano, dal Cairo, 29 ottobre 1911 ). (8ll) ,\.S. MAE, Cab., 1912, pa. 25. «Riconoscimento della snvr.mità dell'Italia sulla Tripolitania e Cirenaica ·• lcuera di Pansa a Di San Giuliano, da Berlino, 1!1 ma~gio 1912.


LA CAMPAGNA DJ

UBIA (I9Il - 1912)

305

----------------------------~~

le dovute differenziazioni, l'errore che all'indomani dell'unità venne compiuto con la piemontesizzazione del Mezzogiorno. Ancora Barzini, sia pure con una certa acredine antigio!ittiana e con un eccessivo atteggiamento polemico, ci offre una colorita immagine della situazione venutasi a creare in Tripolitania all'indomani dell'arrivo degli italiani. Stabilito in modo solenne che ~ una provincia, dato un calcio a quel disgraziato di Hassuna pascià, principe dei Caramanli, che avevano promesso di far bey, è entrato in funzione direttamente Giolitti, che ha iniziato la più fantastica burocratizzazione della T ripolitania. E' stata un'invasione di funzionari . Questo palmo di conquista è governato dal genio colonizzatore di capisezione e capidivisione. Il funzionarismo si è insediato per tutto, anche al comando, anche allo stato maggiore, con la sua imbecillirà presuntuosa e la sua mania di carta fincata. Non c'è un uomo fra questi commendatori (se si eccettua forse il Motta) che abbia un'idea pratica, che conosca un po' di mondo. Il loro ideale è di stabilire degli uffici. Abbiamo già la regia dei sali e tabacchi (addio sigarette nemiche così buone!) e un ufficio notarile di registrazione, e un' intendenza di finanza . La terza Italia è qui con tutte le sue glorie emarginate. Persino un alto funzionario di palazzo Braschi è stato spedito d 'urgenza (indovini!) ad organizzare ì . . . comuni della C irenaica. E' vero che poi ha avuto un contrordine : sfido! non trovava nemmeno la strada (89).

Tutto ciò provocava spesso incidenti « bizzarri, com1c1, deplorabili n, che aumentavano la diffidenza e il sospetto degli arabi nei confronti delle forze di occupazione (90). Le autorità militari italiane cercarono poi di appoggiarsi agli ebrei, i quali, sempre secondo la testimonianza di Barzini, approfittando della situazione fecero fucila re « tutti i loro creditori arabi » (91). Quando poi la diffidenza e il sospetto si tramutò in aperta ostilità e sfociò nella drammatica giornata del 23 ottobre, allorché a Sciara Sciat un attacco arabo - turco provocò la morte di otto ufficiali e 370 soldati italiani ed il ferimento di I 3 ufficiali e l 12

(89) Lv rc.r At.RERTll'-'1, op. cit .. vol. l, pp. 77- 78. (90) Ancora Barzini scriveva ad Albcrtini : « f ... ) Sl e lstirutt~ la questura c la questura ha bisogno di qucsturini. Il questurino, benché per abitudine ahbia poca fa mi· gliarità con la lingua italiana, non cap isce l'arabo, e scambia facilmente le vocianti contrattazioni del .Fuk per dei litigi o degli assembramenti sovversivi. Perciò egli piomba in mezzo agli affari, improvviso c severo, c sciogl ie i contràtci con un gesto imperioso. In un silenzio di stupore le parti contraenti e i loro amici sì separano e aspenano che " l'uomo \'Cstito di nero " si allonrani. ma questo ha indovinaro una imenzione di reci· diva e con un altro gesto eloquente comanda di circolare. Il contratto sospeso ambula disperatamente in fila indiana. Le guardie h3nno condotto in questura un gruppo di hamhini arabi che, vestiti a festa, eseguivano per le vie una danza sacra tradizionale. Si tran:ava di una cerimonia che preludia alla famosa festa dei marabut. I bambini erano colpcvoE di superare il numero lega le dell e persone che possono andare insieme in tempi di stato di assedio. Il silenzio c la docilità con cui ogni nostro ano è accettato -non <kb· f-ono ingannarci ». (id~m, p . 58). (91) Cfr. la lettera di Barzini ad Alhertini del 4 novembre 191I· (Idem, p . 26). 20.


306

L'ESERCITO ITALIANO D.~LL. l!NlTÀ ALLA GRAI'l>E GUERRA

(1861 • 1918)

soldati (92), tornò ad affacciarsi lo spettro dì Dogali e di Adua. Tutti allora, in Italia e al fronte, parlarono di <• tradimento arabo >> . Questo atteggiamento rifletteva la sorpresa che suscitava presso l'opinione pubblica italiana, il sapere che gli ~<amici>> arabi avevano osato attaccare i soldati italiani. Coloro poi che avevano visto la guerra come opera civilizzatrice de Il 'Italia, aprirono gli occhi, videro il carattere esclusivamente coloniale dell'impresa. Arturo Labriola, ad esempio, che pur in contrasto con le direttive del suo partito, aveva guardato con simpatia alla guerra libica, dopo Sciara Sciat rivide molte delle sue posizioni: Il paese ignorava che le armi italiane sarebbero state oppugnate non scio dai turchi, ma dagli arabi e dagli altri indigeni. La responsabilità del governo comincia da quando diviene manifesto che esso non si curò di acquistare le simpatie dell'elemento indigeno e sorpassò sui loro sentimenti. l· .. ] La rivolta degli arabi ha tolto alla guerra il suo carattere ideale e l'ha trasformata in una impresa repressiva che la nostra coscienza respinge. [ ... ] Naturalmente non sarà da queste colonne che chiameremo «trad itori » gli arabi, che respingono un conquistatore non voluto. Questa è retorica puzzolente, alla quale non ci associamo. Gli arabi sono · nel pieno diritto oppo· nendosi alle nostre armi, ed è puerile aggravarli di colpe che non hanno (93).

L'episodio di Sci.ara Sciat provocò poi, al fronte, una violenta reazione italiana contro i « traditori >> arabi. Sembra quasi, leggendo le cronache sia della stampa italiana e soprattutto dei corrispondenti esteri, come Magee del Daily Min·or, Davis del Morning Post o Bennet Burleigh del Daily T elegraph, che una specie di follia omicida collettiva, in gran parte determinata dalla paura, si ~fosse impad,ronita del corpo di spedizione, dagli ufficiali ai soldati (94). (92) Questi dari in POMPILIO SCHBRINI, l/ soldato Ìtafiano Ìn Libia (1911 • 1912), Roma, 1914, p . 9l:L (93) AA. VV., Pro e contro la guerra di T ripoli. Discussioni nel campo rivoluzionario, Napoli . 1912, p. 6J. Il patriota tremino Ergisto Bez.t-i, garibaldino, repubblicano, irre· dentista, combattente a Caf(aro, Bezzecca e Mentana. ove fu ferito, così scriveva al suo amico e biografo Giuseppe LocateIli Milesi il 24 ottobre 191 r : « Posso abbandonarvi i turchi ma non gli ar<lbi di flengasi . quelli non f:Inno che il loro dovere : difendono il loro paese, senza contare se i nuovi prc.doni abbiano molti cannoni, corazzate, ed aero· plani, se sieno in molti od in pochi. Onore a loro. che no n sono ancora civilizzati ». TI giorno dopo, 25 ottobre , ripeteva a Bruno Castiglion i gli stessi concetti: " ( ... ] questi sono i miei eroi . Essi [ ... J non sentono che un dovere, un bisogno; quello di difendere hl terra loro. l popoli moderni dicono che hanno il dovere di portare la civilizza· zione per tutto il mondo. Sarà, ma per conto mio sono dei prepotenti. E' la forza che s'impone c non la ragione; ed a questa stregua verrà un !,"Ìorno che uscendo di casa tua, se incon trerai uno più force di te, ti chiederà la borsa e se non gliela darai ti fracasserà il muso . , . , . Ancora a Locare! li il 16 dicembre: «I talcntoni dicono che la mentali m degli arabi è al disotto della nostra. ma quando dopo ques!"anni li avranno civilizzati, allora diranno che banno anch 'essi i loro impiccati , se non saranno i martiri di Belfiore, saranno quelli di Tripoli " (ERctsTo BEZZI, lrredentismo e interventismo tJelte leflere agli amici. 1903 • 1920, a cura di Tuu::-~zro GM':-~DI e BtcE Rrzzr, Trento, 1963, pp. 6 2, 63, 65). gior· (94) Sui fatti di Sciara Sciat si veda il polemico opuscolo di 'PAOLO VALF.RA, nate di Sciarasciat fotografare, Milano, 1912, pubblicato come supplemento al n, 14 del

u


LA CA~IP.\GNA DI LIBIA (19Jf- 1912)

-----------------

Vi sono delle corrispondenze di Piazza e di Bcvione, che più degli altri descrissero questi fatti, davvero sconvolgenti: La reazione Jci noslri - scriveva Bevione - quando furono cerri deJ tradimento, fu violenta. Es;i tirarono senza pietà sugli arabi sospetti che si :1.vvicinavano, freddandoli. Un maggiore dci bersaglieri che deve essere un puntatore di rivoltella cccczional~::, entrava solo nei giardin i donde partivano i colpi, con due armi in pugno e tirava su quelli che vedeva davanti a sé. L'irruzione era così veemente, i tiri così fulminei, che mancava agli arabi il tempo di reagire. Ad ogni colpo era un caduto (95).

Nei giorni successivi al 23 ottobre vi furono continui arresti e retate di arabi che venm:ro concentrati a Tripoli in attesa di esecuzione. Corradini parla di un " continuo giungere di queste mandrie legate e scortate dalle diverse strade del! 'oasi » (96), e Piazza ce li descrive (< legati tutti coi dorsi l'uno contro l'altro in una grande massa compatta, camminano sospinti dai soldati barcollandosi e abbattendosi a destra e a sinistra l> (97). Bevione osservava ancora come fossero ((indispensabili >> le esecuzioni capitali, che durarono « tre giorni,, e inviarono •< ad Allah oltre mille fedeli ». per far subentrare <l nell'animo arabo la certezza della nostra forza >, (98). ~cttimana le socialista "!.:1 Folla " di Milano. Il Valerd de>crivc anche, attraverso oumero\e foto~rafìe, gli episodi più violenti dvvenuti in occasione di Sciara Sciac e definisce CJrlo Caneva «il Gengiskan ,, della conqu ista italiana (p. 20). Scrive inoltre il Valera: .. La guerra è divcm~ta un 'c(fu~ione di sangue all"ingro~so, un omicidio generale, una esecuzione senza esempio. Per tre o quattro o dieci arabi rutti gli ar~ùi sono stati considerati colpevoli . In un paese dove tutti posseggono un coltdlo wno 'lati inviati all a morte per gli arnesi di tu ne le t<l>ehc arabe, per dei rasoi, degli Mrumcnti domestici da taglio, delle vuote cartucce trovate nelle loro abitazioni. L'ingiunzione di consegnare le ~rmi è stato un pretestO per mfìerire. Se ne trovassero o non se ne tro,·a~scro, si uccideva. Si uccidevano pnché ave,ano paura di morire, perché disubbidivano, perçhé tacevano, perch~ giuravano sulla loro innocenza. perché chiama,·ano All.1h in loro soccorso. Si uceide,·a sempre. Sono stati tutti pas,ati per le armi. E' Stato un carnevale di sangue. Pieno di orrori , di mutilazioni, di M:onciaturc, di aberrazioni. Il 24, il 25. il z6 e il 27 sono date incbe nel "ron7o, o nel m:trmo arabo . E' tutta una stona che passerà da una generazione all'altn come un marnrio della loro gente assa~sinata dal mmi mili· t.ore" (pp. li - 18). (95) GwstVPE BEVIONl'. Com~ siamo andati a Tripoli. Torino. 1<) 12. p. 333· Ha scriuo Luigi Luca te! li: '' La repressione è passata nell'oasi come una falce ~ il sangue ha pagato il ~angue ,, (LI!ICJ LucAtELLI. Il t'olto della guerra, Roma, ,,d., p. 18). (96) EsRrco CoRRA DJ l'l, LJ t'OII(jllisra di T ripoli, ci t., p. 6H. (9ì) GIUsEPPE PIAZZA, Comt! t'oiJquisrammo Tn.poli, cit., p. TJO. Ancora Piazza de'<:rive un episodio in cu i fu protagoni~ta un maresciallo al quale il suo capitano chiese notizie di uno 'Zapti(:, gu;~ rdi a locale al servizio dell'esercito italiano: «Signor capitano lo zaptiè l 'ho freddato io perché a un certo pu nto si rifiutava di SCJ.:uirmi t' mi consegnò il fucile dimettendosi dal >ervitio. - Hai fatto bene. gli risponde il capitano •• (p. 130). ((}Sl G1cs~vPE BE\10'-E, op ot., pp. 374 - 75· Alle fucilazioni ~guirono le impiccat:ioni. Ha scritro Enzo D'Armc~o: • Il giorno 5 dicembre dal maggiore Rupolo. prejlMto ali 'urficio stampa a domandarjrli se vi fossero novi Lì ed il gentile maggiore [ ... ] col 'Un <oli to e simpatico >orri>o ci disse: domani all'alba ,arann<l impiccati i t 4 arabi condannati dal tribunale di j!Ucrra per il tradimento e la rivolta dd 23 ottobre. [ . . . ] non potranno godere del paradiso di Maometto e degli eterei piaceri delle belle hurì perché gli impiccati non )::Odono delle celesti concessioni. Fu questa la ragione per cui


308

L ESERCJTO lTAL!ANO DALL'i.Jl'\lTÀ ALL,\ GRANDE GUHRA

(t86t - 1918)

Su questi episodi scnsse Caneva nella sua relazione al ministro della guerra: dovetti senz'altro ricorrere al mezzo più radicale dello sgombero dell'oasi, unico mezzo valevole a garantire la sicura percorribilità del!' oasi alle spalle delle nostre truppe. Di fronte a questa suprema necessità, se anche da parte dei soldati impegnati dal vile attacco di sorpresa a tergo si avverò talun caso isolato di eccesso nella repressione della rivolta, parmi siano da trascurarsi i commenti meno benigni di qualche corrispondente della stampa estera f ... 1 (99).

La stampa estera, come accennato, non mancò in quei giorni di stigmatizzare con violenza quanto stava avvenendo a T ripoli ( 100), calcando pesantemente la mano, parlando di « brutalità degli italiani», di «frenetica e barbara vendetta J> . Chi più insistette su questi fatti furono i giornali anglosassoni dal Daily Mù-ror al Daily Telegraph, dal Times al New York World, al Morning Post. Chi non diede, invece, eccessivo peso all'episodio fu ]a stampa francese, tanto che 1'Hutnanité, l'organo dei socialisti francesi, condannava il fatto che «solo Ja Francia >J si fosse astenuta « dal condannare le atrocità italiane J> (101). Sul Times del 2. novembre 19II, il noto storico inglese George Macaulay Trevelyan, amico dell'Italia e studioso della sua storia, ammoniva gli italiani a comprendere i motivi che spingevano gli arabi a resistere, motivi che, secondo lui, erano gli stessi che spinsero gli italiani nel loro (( 1·isorgirnento, contro l'Austria» . « Io non discuto - scriveva Trevelyan - i diritti e i torti degli italiani. L'arabo non sa nulla di questo [ ... ] . Tutto ciò che egli vede è un esercito di uomini diversi da lui per razza e religione, sbarcato per prendere la sua terra e per offrirgli una civiltà non sua >J (102). Per il Glasgow Herald, l'Italia aveva dato « al mondo maomettano la peggiore lezione possibile di quel cristianesimo che si voleva ansiosamente estendere a Tripoli >> (ro3). Giornali tedeschi come il Frank}urter Zeitung, che non avevano

alle prime condanne alla fucilazione, successero quelle all'impiccagione: lo scopo era la repressione, cd i mezz,i, per quanto ripugnanti, erano giustificati n {ENzo o· AR~IE,ANO, In Libia . Storia della conquista, Buenos Aires, r9T7, pp. 103 - 04). Sul processo che con· dannò questi quattordici arJòi cfr. PAoLo VAI.ERA, op. cit .. pp. 2R- 31 . (99) MlNISTF.JtO DULA GUEIIM, op. ci t., vol. l. p. 301. Giolitti il 29 ottobre 191T, sollecirò notizie da Caneva con questo energico telegramma: « In Italia produce impressione molto grave che non si sappia ufficialmen'e almeno il numero dei morti del giorno 23 e del 26. Anche ieri ambasòawri esteri mi facevano osserva re che tale mancanza di norizit produce all'estero grave impressione potendo far crooere o a perdite gravissime o a mancanza di organizzazione>> (Dalle carte di G. Giolitti, cic, vol. III, pp. 70 • 71). (1oo) Cfr. WrLLIAM C. ASKEW, Europ~ at1d ltal>•'s acquisition of Libya. 1911 - 12, Durham, 1912, pp. 64- 88. (JOI ) « Humanité , , 5 novembre 1911. (102) M r . Trevelyan and the italian Stat(mmt, in « The Tìmes » , 2 novembre 1911 . (103) The black side of tvar, in «Glasgow Herald », 7 novembre 1911.


LA CAMPAGNA DI UB!A {I9Tl- 1912)

ma1 visto con favore l 'impresa italiana, aumentarono i toni della

loro polemica in questa circostanza, sostenendo che (( tutta l'Europa >l aveva il diritto di <r protestare contro una tale condotta di guerra, la cui crudeltà viene da tutti i testimoni oculari ritenuta come realmente inutile» (104). Da parte turca, poi, si approfittò della situazione creatasi ed in particolare delle accuse rivolte dalla stampa internazionale all'Italia, per inviare una energica nota di protesta a tutte le cancellerie europee. In questa nota il governo turco denunciava a tutti gli Stati firmatari della Convenzione de1l'Aja del 1907 la violazione da parte italiana del principio del diritto delle genti:

i ... ] sous prétexte que quelques patriotes ottomans de la ville avaient voulu préter main- forte à l'armée liberatrice, l'Etat- Major italien a froidement décrété la terreur et la mort contre toute une population inoffensive. Il a fait et fait encore fusiller journellement et en masse, sur un simple soupçon et meme sans motif, des hommes valides avec des vieillards. Des femmes et des enfants sont tués, ou enfouis dans des cachots. Des quartiers sont livrés à la soldatesque et détruits par le feu. Des milliers de malheureux sont enlevés à leur fa mille, cles malades arrachés de leur lit et enrassés péle- mèle dans cles navires, pour ètre transportés au loin, voués à toutes les privations et à une décimatìon cerraìne (ros). Il governo italiano corse ai ripari . Smentì decisamente le notizie apparse sulla stampa estera, mise un controllo più severo sui corrispondenti italiani e stranieri al fronte (106), e preparò una Memoria in due volumi sulle atrocità commesse dagli arabo - turchi contro i soldati italiani, e sull'uso di proiettili deformabili (dumdum ). La pubblicazione era corredata di numerose fotografie nelle quali si potevano scorgere i corpi dei soldati uccisi su cui si era infierito con le più orrende mutilazioni e sevizie (107). Esiste, in proposito, anche la testimonianza di un giornalista italo - argentino, Enzo D' Armcsano, corrispondente de « La Pren-

(104) "Fr ankfuner Zeitung » . 1° novembre 19JI. (!05) A.S . Mt\E. St!gr. gen .. pa. 43, pos. 17 d, f. 644· Copia della protesta turca inviata al governo olandese venne trasmessa a Di San Giuliano d~l capo della legnione italiana ali'Aja, l ' J t no,·cmbrc •911. (to6) Venne tra l 'altro espulso Reginald Karm, corrispondente del « Timcs » c del '' Figaro» . Sulla censura a Tripoli cfr. MARIO T. CARACCTOLO, L'Ufficio Jf.llmpa c censura a Tripoli durante la gucrrtt . in "Nuova Antologia >>, 1<> ma(ZO 1914, pp. 141 - 154· (to7) MtN!Sl'.EI\0 AFFARI EsTERI, Memoria dd Govemo italiano sofJra le tltrocità commesse dagli arabo turchi in danno di Jo!dati ildbani caduti uccisi o f~:riti nei combattimmti del 23 e del 26 ottobre, sull'a.zione degli stessi arabo wrcbi contro le ambulanze e sull'impiego per parte loro di proiettili dejomwbili (dum - dum ) , Tip. del Ministero Aff:~ri Esteri, s.d. [1912], .2 voll. (una copilt di questa memoria in A.C.S., Pres. Cons . .lvfi11., 1912, " Tripolitania c Cirenaica >•. f. IO). L ' azione italiana sortì un qualche effetto, tanto che il << Times ", il 3 novembre rivide in parte il suo atteggiamentO, e il 4 novembre, il " Daily Telegraph » pubblicava una corrispondenza da Tripoli in cui si dava notizia delle smentite di Caneva alle notizie appar se sulla s1ampa estera .


310

!.'ESERCITO lT.\LIA:-.;0 D.\LL.LI;\ITÀ !.LU GR.\:-IJ)E Gl'ERR\ (1861 • 1918)

sa )} eli Buenos Aires che, così descrive, con realismo, lo spettacolo dei soldati italiani vittime degli arabo- turchi: Erano crocifissi, impalati, squartati. decapitati, accecati, evirati, sconciamente tatuati e con le membra squarciate, tagliuzzate, strappate! Ed ancera più orribile pensando che la maggior parte di questi martiri aprartene,·ano alla Croce Rossa. In un angolo di una casupola senza tetto adibita a posto di medicnione trovammo il corpo del povero tenente medico De Murtas, sconciamente mutilato, aveva. ancora sul volto decomposto i segni dell'orribile agonia sofferta! E che dire di quel grappolo umano trovato in un pozzo là presso. Erano tutti legati per i piedi e vivi erano stati gittati a capofitto in quel pozzo. Trovammo quei cadaveri strettamente legati l'uno all'altro! (108).

Dividere ragioni e torti in tali circostanze è molto difficile. Era il volto stesso della guerra che mostrava il suo lato peggiore. Questi fatti erano poi una prova evidente dell'asprezza e delle diffico.ltà che la guerra comportava per entrambe le parti, mentre svaniva definitivamente in Italia l 'idea della (( bella avventura », sognata nell'estate del 191 r. La dura repressione che seguì l'attacco arabo di Sciara Sciat. oltre a creare lo sfavorevole movimento di opinione pubblica in Europa, aumentò l'ostilità araba. Con provvedimento del 23 ottobre il gen. Caneva decretò che tutti gli indigeni residenti nelle zone di occupazione italiana, dovevano consegnare (\ le armi da guerra da fuoco e da taglio » di cui fossero in possesso (109). Pompeo Campello, che dal fronte informava periodicamente il gen. Brusati sulla situazione, con dovizia di particolari ed indiscrezioni, sosteneva che sarebbe stato più opportuno (( lasciare le armi agli arabi che fecero atto di sottomissione ed anche dar loro una certa organizzazione militare, onde possano difendersi, giacché così sono costretti a cedere alle pretese dei turchi» (uo). Venne poi emanatù un nuovo decreto, più conciliante, che invitava gli arabi a presentarsi con le armi, promettendo loro un napoleone (20 lire) e un sacco d 'orzo (II r). (to8) Emo D'A~<.,t!SANO, op. t.ù ., p. 105 . (ro9) Il testo del decreto in Naccoll<o degli alli per /'m·dinamcnto pror•t•isorio della Tripolitania e Crrcnaica. cit.. p. 7· ( u o) A.C.S . . A.B., se. 9, f. ''!.'2.34, n. 24, lettera di Pompeo Campello al geo. Bru<ali, da Tripoli, ~ gennaio HJI2. (11 1) Si legge in un pmcbma dd 7 gennaio 1012, lanciato sui campi nemici dagli aerei italiani: ",\"el nome di Dio: Indigeni e aro~l>i! L'.\ugu~to GO\·erno italiano è venuto in <Jllt~to pae~ per la tutela dci no~tri comuni intere,}i e per scacciare per ~-t:mpre i turchi nomi nemici c anche vo;,tri nemici. i quali lìngonn di e;sere vostri am ici. i <juali vi umili~>rnnn ;cm prc, uccisero i vostri grandi e i \'Ostri notabi li, vi fecero >cmprc prome5>e che pui non mantennero. [ ... J Vogliamo redimcrvi dalle rnJni dei vo>tri oppres· sori . Con noi vi troverete be11e c speriamo che sarcw riconoo.centi pex CJUCSta opera nostra. Vog liamo Ltrvi tutto il bene, mcuerc: in valore il vos1ro pae>e. che è sraw troppo abbandonato c migliorare assai i vo"ri terreni e così troveremo tutti grandissimi vantaggi "· Questo proclama era firmato dall'aiutante goYernatorc Saha. In un altro proclama, firmato


LA Ci\MPt\Gl'A DI LIBIA

(191I • 1912)

3l I

------------------------

Ciò provocò episodi quasi incredibili, stando alla testimonianza di Pompeo Campello: << credo che il servizio di riconoscimento agli avamposti lasci un poco a desiderare, perché vari arabi arrestati con le armi sono stati senz'altro fucilati, mentre sarebbe stato molto più opportuno interrogarli ed essere assolutamente sicuri che non si trattasse di gente che veniva a presentarsi: tanto più che a fucilare gente che non ha cercato neppure di reagire al momento dell'arresto non ci si guadagna molto>> (1 12).

4· - Nonostante il parere sfavorevole più volte espresso dai comandi militari (n3), il governo aveva ritenuto opportuno provvedere, dopo circa sei mesi di guerra, al richiamo di una parte delle truppe e alla loro sostituzione. 11 In aprile cominciò il congedamento dei soldati della classe 1888 di stanza in Libia, che terminò il 18 maggio; il 20 giugno fu richiamata la seconda categoria della classe 1891 e il 20 luglio 1912 venne congedata la classe 1889. Queste decisioni vennero prese proprio di fronte ad una esigenza che dovette apparire non più dilazionabile, nonostante il pericolo di compromettere le operazioni belliche. Perfino Il Giornale d'Italia pubblicò articoli e lettere di cittadini che chiedevano il congedamento della classe 1890 (prima categoria) (114).

Caneva e datato 15 gennaio 1912, si legge: " Che cosa aspettare per venire a noi? Non ~entite il bisogno di pregare nelle vostre moschee , di vivere tranquilli con le vostre fa-

miglie, di pascolare il vostro bestiame. di riprendere sicuri i vostri commerci? Noi abbiamo il libro, noi siamo religiosi e one~ti. L'Italia è vostro padre perché ha sposato la Tripolitania che è vostra madre. lo vi dico presentatevi sicuri a noi e nessun male vi sarà farro e il passato sarà dìmemicato. lo vi dico che ognuno che verrà a me col suo fucile e munizioni awà un napoleone e un sacco di grano o di orzo; i capi politici e religiosi ~aranno ricono~ciuti come tali dal governo italiano c saranno pagati. La mia parola è una so!a: Allah è grande; pregatdo che apra i vostri occhi alla verità » (MtNrsnRo DELLA GUERRA, op. àt., vol. Il, pp. 217 - JS). (112) A.C.S., cit., n. 29, P. Campello al gen. Brusati, da Tripoli, 22 gennaio 1912. (113) «Il brutto in <1uesto momento - scriveva il generale Vittorio Trombi da Derna ali 'aiutante di campo del re, gen. Brusati, il 25 aprile 1912 - è la crisi che si passa per i! congcdamcnto della classe 1888; credo che sia il primo caso nella storia militare che a truppe che si trovano in guerra e col nemico di fronte a 13 chilometri si faccia rinviare in congedo i soldati gi~ rotti ~Ile fatiche e al terreno per sostituirli con akuni giovani [ ... ]. E" tutto un lavoro di Silipo che si sarebbe potuto risparmiare. A parte la impres>ionabilità da togliere ai novellini. l'adanarnerao all'ambiente, al clima, al servizio, alla vita del campo, bisogna ricomporre reparti, rifare maestranze, studiare e conoscere i nuovi venuri ». Brusati annotò con lapis blu: « Tutto il modo col quale è ini7.iata e si sta svolgendo la guerra è strano ,, (A .C .S., //.B., se. 9, f. \'I .2.34, n. 55)· (114} Così il capo di stato maggiore Pollio scriveva a Brusaù il 31 agosto 1912, polemizzando con coloro che chiedevano il congedamemo di soldati al f ronte : « Il Giornale d'Ttalia predica offensive ed avanzate su tutta la linea, biasima i gmerali che non " penetrano " . . . E intanto accoglie un reclamo, anzi diversi reclami di persone che esigono il richiamo e anche il congedamento della classe 1~! Conseguenza sarebbe di tenere l'esercito in patria e di far la guerra con una sola classe! " (Idem, n . 227). « 11 Giornale d "Jralia » aveva pubblicato il 25 agosto 191:2 un articolo dal titolo : La soslitm:ione dci


3I 2

L'ESERCITO lTAL l>\"10 OAt.L'UNITÀ ALLA GRANDt GFER'R,\

(1861 • 1918)

Kon pochi vollero attribuire il malessere e il malcontento di una parte delle truppe al fron te all'inazione cui esse erano costrette dalla tattica attendistica c temporeggiatrice voluta dal gen. Caneva. •< L 'ozio non manca mai di produrre effetti deleteri - scriveva Barzini ad Albertini n d novembre - dicembre I 911 ·l certe voci di pace che i giornali spesso propagano trovano troppo facilmente un ambiente pronto a discuterle, creato dalla forzata inerzia» (II5). Il 4 aprile 1912, il tenente Pompeo Campello, scrivendo a Brusati, osservava anch'egli che il riposo cominciava a pesare e il lungo periodo di ozio favoriva ((un certo rilassamento nella disciplina n (u6), che si faceva sentire particolarmente nei richiamati dell'88. Incidenti si verificarono, proprio in questo periodo, specialmente nel 40° fanteria e nell'I y<> bersaglieri. Dopo il congedamento della classe 1888 si delineò una nuova agitazione presso i richiamati dell'89, che aspiravano ad essere anch'essi congedati.

r..

Dopo tanti mesi di inazione - scriveva Luigi Alberrini ad Andrea Torre il 3 maggio 1 9 12 - molti reparti vivono ancora sotto le tende come ai primi tempi, quando l'entusiasmo stesso dell'impresa rendeva romantica per un certo senso d'avventura quella vita irregolare e straordinaria. Ma il voler rendere definitivo uno stato di cose per sua natura passeggero esaurisce tutte le resistenze [ ... J. La stessa esagerata astinenza fisica turba molti equilibri del sistema nervoso cd è una delle cause maggiori per cui un 'enorme quantità di gente desidera troppo ardentemente di tornare in ltalia. Si hanno inoltre a lamentare per questa forzata astinenza dei casi di degenerazione tra i soldati ( r 17).

Ancora Albertini osservava il 7 maggio 19 12, scrivendo a Barztnt : \(le truppe si demoralizzano e la demoralizzazione arriva anche agli ufficiali » (II8). Altro sintomo della debole condizione psicologica delle truppe al fronte era l'uso sproporzionato che veniva fatto delle armi da fuoco, anche quando non se ne vedeva affatto la necessità. Era l 'indice evidente di uno stato di insicurezza, la prova che la guerriglia arabo- turca aveva non poco inciso sul morale e sulla solidità psico-

r(parti combattenti in Libia. nel quale ~i legge tra l'altro : « L.~ l'l'l:mcanza d'acqua. il sole cocente dal quale non è possibile ripararsi, le mille e mille pril'azioni cui sono state <orroposte le truppe dd gcn. Garioni come costituiscono per esse un titolo di giusto orgoglio debbono servire anche a far ritenere al Comando del corpo di spedizione l'opportunità della loro .>Ostituzionc ". (n;) L.vtcJ ALs<~n"J, Epistolario . cit .. vol. l, p . 55· (tr6) 1\.C.S.. A.B .• x;. 9· L '' t.2.34, n . -1-1 · (ui) Lnct ALBERTI:<t. op. cit., vol. l, pp. 107- 108. Scri,·c,·a il generale Briccola in una relazione del 1o giugno: " Per porre un argme ali 'impres,ionante diffondersi di mala11ie celriche, a dife~a delle truppe e dei pri,·ati ( ... ] sono <late appositamente co <tr ui te quatrro case di tolleranza: due per i mi litari di truppa, una per gli ufficiali, IJ quana per gli indigeni"· (Cfr. P AOLO MALTESE, op. d:., p. 251). ( nS) Lvrc1 ALKtRTt:->t, op. rit., vol. I, p. uo.


LA CAMPAGNA DI LIBL\ (l9ll • 1912) 3I 3 ~------------~~

logica dei combattenti ital iani . Invano si davano disposizion i sul miglior modo per fronteggiare il nemico, senza, tra l'altro sprecare inutilmente munizioni e materiale bellico. Scrivendo su questo argomento al gen. Ragni, da Derna il 30 aprile 19r2, Capello osservava:

{. .. J qui si fa un abuso straordinario del tiro di artiglieria, contro ogni gruppetto di arabi di 2 o 3 barracani che si faccia vedere a tiro o fuori tiro si tirano colpi a dozzine, salve o serie di batterie, contro ogn i lume che si crede vedere di notte a qualsiasi distanza si fanno veri bombardamenti A parte il grosso guaio dello sciupio d i munizioni che in guerra offensiva sarebbe davvero gravissimo, altri danni materiali e morali arreca questa condotta di fuoco così abnorme e contraria ad ogni buona regola. Da un lato il nemico, che aveva un sacro terrore del cannone, finirà per ridersene perché contro le loro tenuissime e poco appariscenti formazioni i risultati non possono essere che molto limitati, e dal canto nostro la fanteria, anzi le pattuglie di fanteria non ardiranno più a muoversi se non saranno sorrette dal fuoco di intere batterie (n9).

r.. .].

Lo stesso gen. T rombi, a cui era affidato il comando della zona di Derna, era piuttosto severo nel giudizio su i suoi ufficiali, alcuni dei. quali, confidava in una lettera del l 0 febbraio 1912 al gen. Brusati, erano senza spirito, senza energie, senza morale militare. Veri canonici, da mandare in coro a cantar salmi, non d'altro preoccupati che dei pericoli che si possono incontrare e della mancanza dei comodi necessari. [ ... ] H o già deferito al tribunale militare, qui costituitosi da due g iorni soltanto, due ufficiali incorsi nell'art. 92 del codice penale militare. Ma anche qui vi è il solito scoglio che la pena (fucilazione o reclusione per 2 anni) impressiona i g iudici ed allora la pietà subentra alla giustizia. Vi fosse almeno la condanna alla degradazione ! ( 1 20 ) .

Nel settembre 1912, poi, il ministero della guerra emanò un provvedimento che consentiva il rientro .in Italia per quegli ufficiali che avevano particolari motivi. Gran parte degli ufficiali al fronte salutò con entusiasmo il provvedimento e ne approfittò per rientrare in patria, ponendo in crisi la situazione militare in Libia. Questo è stato proprio un brutto affare - scriveva il 19 settembre il tenente colonnello Arturo Cittadini al gen. Brusati -. Sarà bene per carità di patria non parlarne; ma è certo che gli ufficiali i quali, sen7..a gravi motivi di salute o di famiglia, hanno prima desiderato e poi accolto con soverchio ardore il provvedimento del ministero hanno dato un poco edilìcante spettacolo dei propri sentimenti militari. Tememmo per qualche giorno se ne potesse sentire una grave ripercussione nei soldati, specie in guelli della classe r890, che costituiscono i 2/ 3 della forza di questi reggimenti prima sbarcati (r 21) . (rH)) A.C.S., C.P. , b . 1, f r . (120) A.C .S ., A.B., se. 9, f. V1.2.34, n. 8; . ( 121) Idem, n. S;.


314

L'ESERCITO lTAliA!'\0

17ALL 't;:-.'IT.~ ALLA GRANDE GUERRA

(1861 • 1918)

Severo è il giudizio che il gen. Capello espresse in alcuni suoi appunti sulla guerra libica. Osservava il Capello che la guerra aveva trovato impreparato l'esercito per il « lungo periodo di pace » e l' << abbandono)) in cui era stato lasciato. Egli notava poi come non fossero mancati t< atti di valore collettivo ed individuale)), «Ma - aggiungeva - vi furono anche degli imbelli! )), Un reggimento, che non nomino, ripiegò dal combattimento del 27 dicembre (122) talmente impressionato che nella notte successiva, nel tranquillo accampamento presso il faro, avvennero falsi allarmi e scene tragi- comiche di terrore postumo! Dovetti naturalmente intervenire severamente. [ .. :1 Parecchi altri episodi curiosi potrei citare, me ne astengo per naturale riserbo (123).

Un po' tutti, insomma, col passare dei mesi si ricredettero sul giudizio emesso nei primi giorni di guerra, nel clima eroico e patriottico creato intorno all'impresa tripolina. Allora tutti avevano salutato il comportamento dei soldati italiani con accenti lusinghieri ed espressioni di grande ammirazione . Corrado Zoli, il corrispondente del Secolo di Milano, era stato tra costoro ed aveva esaltato, nei primi mesi di guerra, il comportamento delle truppe italiane. Lo Zoli rivedeva però completamente il proprio giudizio nel 1913_, riesaminando con maggiore freddezza la situazione militare. Scrivendo a Brusati, il 15 luglio 1913 1 fece una vera e propria requisitoria sul comportamento delle truppe italiane: [ ... ) Noi abbiamo contribuito un po' tutti - e fu forse opera di pietoso patriottismo - a creare una pericolosa leggenda : <}Uella dell'eroismo dei nostri soldati. Oggi però i responsabili dell'azione militare nella colonia non devono lasciarsi ingannare dalle leggende : di eroismo per le nostre fanterie non credo sia il caso di parlarne. Le armi speciali, gli alpini e l'artiglieria da montagna, per esempio, hanno dato ottimo rendimento: ma le fanterie, ahi me! non hanno fatto che discreta figura soltanto quando erano comandate da ufficiali di ecceziO?Jale va/01·e. Quando anche l'elemento uflìciali era deficiente r.. ·l il contegno delle fanterie è stato la causa prima dei nostri insuccessi l

Zoli non negava che esistessero fattori ambientaii e moraìi sconcertanti, che influivano sulla condotta delie truppe, come « l'asprezza del clima, la ferocia degli avversari, la loro - incredibile abilità nel profittare degli incidenti del terreno, quindi la loro invisibilità durante i combattimenti, la loro spaventosa aggressività, il maggior valore che ha la vita per dei civilizzati quali noi siamo», ma tutto ciò non riusciva a giustificare alcuni comportamenti e

(r22) Combattimento avvenuto nella zona di Dcrna, nel corso dd quale da parte italiana si ebbero 42 morti e 76 feriti. (123) A.C.S ., C.P., b. 1, f. t.


L.\ {.. ·\MI'\C!';.-\ D I

- - - -- - - -

3 5 ---·- 1912)- - ------=---=-

LIBB (H)JI •

l

nulla toglieva alla constatazione 1· che di certe truppe nostre in questa guerra non ci sia troppo da fidarsi ,, (r24). Chi forse più di ogni altro si rese conto della reale situazione dell'esercito italiano durante la guerra italo · turca fu proprio Giovanni Giolitti. Il presidente del consiglio, forse preoccupato da possibili ripercussioni interne a causa dell'andamento della guerra, aveva seguito quotidianamente la campagna militare libica, sostituendosi spesso ai comandi militari. Conosceva quindi nei dettagli il comportamento di ufficiali e soldati. Il concetto che egli si formò in quell'anno di guerra non dovette essere molto positivo, se uno dei motivi del suo ncutral ismo nel 19r5 fu determinato proprio dal timore, sulla base detresperienza libica, che ufficiali e soldati italiani non fossero in grado di affrontare una guerra difficile quale si presentava il primo conflitto mondiale. Nei suoi colloqui di quei convulsi giorni del maggio 1915 il richiamo al comportamento dell'esercito durante la guerra libica è presente costantemente nelle sue parole. Le sue perplessità risiedono soprattutto sui soldati e sugli alti gradi degli ufficiali. Ne parlò con Malagodi il 9 maggio (125), ed il giorno successivo con Salandra. Giolitti dichiarò a Salandra di non volere la guerra, oltre che per motivi di ordine economico anche c1 perché i soldati fuggono, come fuggirono in Libia, costringendo Jui, Giolitti, alla fatica di inventare atti eroici, falsando i telegrammi >l (126). Le osservazioni di Trombi, Capello, Z oli e Giolitti, sorprendenti per la severità di giudizio, risentono forse di una certa animosità, determinata probabilmente dalla delusione e dalla amarezza per l'andamento delle ostilità, dopo le speranze dei primi giorni di guerra. Senza dubbio, le prime difficoltà influirono non poco sul comportamento dei combattenti; è questo un indice da non trascurare. Non è azzardato supporre che molti di essi pensassero, al momento dell'imbarco, nei primi giorni di ottobre del 191I, di (124) A.c.s., A.R.,

~c.

ro, f. ",.5·37· n . 362.

(125) • Giolitti pensa che il nostro eserctto sia poco agguerrito moralmente. Le nostre popolazioni rurali , che dovrcblx:ro darne il nerbo, non hanno piì• gli stimoli semplici ed i;tintivi del l~ guerra, com(' possono scntirli dei primitivi , clu:~li i contadini russi; e vice· ver;~ non hanno ancora acqui,tato il p<:nsiero, la co:.cienza di cittadini, come i tedeschi, i f rance'i e gli inglesi. L· educazione del cittadino cvmapevok è co>a lenta: ci vogliono del](' generazioni. Gli ufficiali r egolari non sono inferiori a nemmo per valore . e sono anche colti e preparati tccnicamtntt, c SIJ<."Cie i più giovani; ma i generali valgono poco: sono usciti dai ranghi quando >i mandavano nell'esercito i figli di famiglia più stupidi. dci quali non si o;ape' a co>a f.tre. Hanno dato il com;lndo di una armata a [Roberto ) Brusati, che bas1erebbe appena a comandare un reg~mento. Il Frugoni abbiamo do\ uto richi~marlo dalla Libia, !ante heMialità a,·e,·a fatte. Lo Zoccari non è che un elegantone. Il solo che dia fiducia di quelli che conosco è ~ava " (Our.oo 1'-hLA<>OI.>I, Con~·ersa:ioni dd/a gtterra 1914 - 1919, NJpoli, 1960, pp. 58· 59). (n6) F F.Rnii'<A"DO M.,RT!NI, Di<mo '9''1 - t918. a cu ra di C \HRILLE DE RosA, Mi· IJno, 11)66, p . 41 3.


3l6

L' f.SERCITO IT!ILl.'> :-.10

DALL 'U NITÀ ALLA G Ri\NDE GUE I\R \ ( 1861 • 1918}

- - --

andare incontro ad una bella avventura. Specie tra i quadri più elevati dovette essere diffuso questo stato d 'animo, se è vero che vi furono numerose richieste da parte di ufficiali di far parte del corpo di spedizione ( r27). Quando quella che sembrava una piacevole avventura si tramutò in vera e dura guerra mutò anche il loro stato d'animo. Di fronte ai sacrifici, alle difficoltà, ai pericoli - e oltre il pericolo della guerra si era aggiunto quello del colera che colpì il corpo di spedizione poco dopo lo sbarco, della dissenteria e di altre malattie che fecero numerose vittime - svanì l'entusiasmo iniziale c subentrò il desiderio di farla finit a al più presto e di tornare a casa. Si affievoliva, fino a scomparire, in quei pochi che erano in grado di capire e apprezzare un certo linguaggio, il ricordo delle aquile romane civilizzatrici, ricsumate dalla propaganda nazionalista, e ci si rendeva conto che la colonizzazione di terre in gran parte desertiche sarebbe stata difficile e lenta (r28). Per gli altri, per la gran parte dei soldati, non di rado analfabeti, il disagio, i pericoli della guerra, la permanenza forzata in una terra inospitale, il pensiero della famiglia lontana in difficoltà per mancanza di braccia non potevano non alimentare malumore, risentimento e stanchezza. C'è da aggiungere, comunque, che, a differenza di quello che si verificò durante la grande guerra (specialmente nella prima parte, nel periodo di Cadorna), le autorità militari il più delle volte compresero l'origine dei malumori delle truppe e cercarono, entro certi limiti, di venire incontro alle loro legittime richieste. Insomma, il soldato fu visto anche come uomo, con le sue esigenze e i suoi limiti. Basti ricordare l'avvicendamento che si verificò verso la metà del 1912 tra le varie classi di richiamati e la tolleranza nei giudizi su alcuni reati. La necessità di non eccitare gli animi oltre il necessario sta naturalmente alla base di questo atteggiamento. Lo stesso caso di Augusto Masetti - un soldato anarchico, che il 30 ottobre I9II, nella caserma Cialdini di Bologna ferì il suo colonnello che salutava i soldati i n partenza per l'Africa ( 129) - , che si preferì deferire al tribunale civile anziché a quello militare per evitare una sicura condanna a morte, è una prova di questo indirizzo.

(n;) Cfr. U<.o BRt.:SATI. Appunti relatit1 alla guerra iwlo ·turca, cit. Scri veva il gen . Luigi C:tdorna al figlio R~ffadc, da Parigi . il 4 ottobre H)1 1 : " Credo che sarà un~ spedizione da ridere c che ~i ridurrà ad una pt'CS:I di po;sesso o poco più ,. (LnGJ C~oo~"-'' LetUrt' /amigl111n . Milano, t':f>7· p. 82). (t#} Così il gcn. T rombi, dc-crive,·a, !.Cri vendo a Brusati il 23 dicembre 1911. la zona di Der.na: • Sono in un pae'c senza risorse, di scarsa popolazione. [ .. . ] Qui il cl ima è pessimo, non per salubrità . ma per vento, pioggia, freddo n (A.C.S., A .B., <c. 9. f. VJ..Z.34· n. 18). (129) Cf r. F . M ALc'JJ:Rt , Lfl gu~rra libica ( 1911 · 12), Rom~, 1970, pp. 204 ss.


L-\ CAMPAGt\.1 l)J

Llf!JA

(191!- 1912)

Sia l'azione militare che i tentativi diplomatici per giungere ad una soluzione del conflitto erano giunti, quindi, attorno al mese di marzo 1912, ad un punto morto. Era chiaro, come sin dal febbraio aveva osservato Tittoni, che l'azione militare italiana in Libia non poteva, « in nessun modo, determinare la cessazione della guerra, la quale anzi, restando noi e i turchi a guardarci di lontano, potrebbe durare all'infinito» (130). Questa condotta non poteva condurre che alla nullità assoluta di qualsiasi effetto ed alla « durata indefinita della guerra» (131). Occorreva a questo punto superare due ostacoli : vincere l'ostilità delle potenze per azioni militari al di fuori del territorio africano e trovare il modo di entrare in diretto contatto con le autorità ottomane per aprire un dialogo sincero sul tema della pace, mettendo da parte la sterile mediazione delle potenze. Già da tempo i militari e la stessa stampa (132) premevano per spostare il centro dell'azione italiana verso le isole dell'Egeo e i Dardanelli, ma l'Austria non mollava nella sua interpretazione restrittiva dell'art. 7 della Triplice. Bastò che una squadra navale italiana, il 24 febbraio, aprisse i.l fuoco contro due vecchie navi da guerra turche nel porto di Beirut, che di nuovo arrivassero le più vivaci e risentite proteste di Vienna, con l'accusa « di aver bombardata una città aperta>> (r33). Nuove proteste si ebbero dopo che, il r8 aprile., alcune unità italiane, senza precise istmzioni, forzarono i Dardanelli bombardando i forti turchi, ritirandosi poi sotto il fuoco nemico. Una svolta importante si ebbe con la visita dell'imperatore di Germania in Italia e con il suo incontro del 25 marzo a Venezia con Vittorio Emanuele III. Il re d'Italia invitò l'imperatore a far pressioni su Vienna per rimuovere l'ostilità di Berchtold, che aveva assunta la carica di ministro degli esteri dopo la morte di Aehrenthal, avvenuta il 17 febbraio 1912. Guglielmo II assicurò formalmente il re del suo interessamento (134). Era evidente l'intenzione dell'imperatore di non tirare troppo la corda per non compromet(130) A.S. MAE. Segr. gen., pa. ~3· pos. 17 f. f. 646, lettera di Tittoni a Di San Giuliano del 14 febbraio I9D -

(t3l) Ibidem. (132) Sin dal 26 - 27 ottobre «Il Mattino >> scriv'!'va: «Se si vuoi fiaccare la jattanza turca , la guerr~ deve uscire dal golfo ddle Sirti e deve colpire più a fondo, deve toccare gli organi vitali >> . (133) Grov.-~:-<t G10unr, Memorie th-1/a mia vita, ì\·filano . J<fiì, p . 251 . (134) Cfr. G .P ., XXX, 2, n. no85, pp. 364- 365, letTera di von Jenisch a Bethmann Holwegg, da Corfù 28 marzo !9ll - Con entusiasmo Di San Giuliano scriveva a Giolitti il 25 marzo 1912: « Illustre amico, giu nto ora alla Consulta trovo il seguente telegramma direttomi da S.M. il Re: " Tutto è proceduto bene in un lungo colloquio. Imperatore ha ordinato ambasciatore Jagow di intendersi con lei per quanto desideriamo" » (A .C .S ., C.G., b. T4, f. lì/l).


3I8

L.ESERC!TO ITAL!IINO DAJ..L'u:-<JT;\ ALLA GRA:-IDE GUERRA

(1861 - 1918)

tere l'esistenza stessa della Triplice Alleanza. Alla base del favorevole atteggiamento di Guglielmo II sta proprio, infatti, il desiderio di contribuire ad un rafforzamento dell'alleanza. Nella sua relazione all'incontro con Vittorio Emanuele, l'imperatore scriveva: S.M. fu molto grata della nostra promessa d'interven ire a Vienna. Osservo che, se l'Austria rinuncia alla sua opposizione, il rinnovo della Triplice non sarà soltanto agevolato, ma risulterà popolare. S.M. desidera che questo trattato venga non soltanto considerato dal suo popolo come una necessità politica, ma compreso anche nel sun spirito e che prenda radici. L1 firma deve essere apposta da tutta la nazione col cuore, ciò che avverrà senz'altro se si prenderà la via sopra indicata (135).

Sia pure a denti stretti, venne il sospirato nullaosta di Vienna, che, pur serbando «completa libertà d'azione se, causa l'operazione italiana, fosse alterato lo statu quo balcanico» assumeva un comportamento passivo di fronte ad una occupazione « temporanea » delle isole di Rodi, Scarpanto e Stampalia (136). La prima isola ad essere occupata fu Stampalia, il 26 aprile, mentre il generale Ameglio concentrava a Tobruk un corpo di spedizione (137), che all'alba del 4 maggio sbarcava nella ba.ia di Calitea e occupava Rodi. Il presidio turco si arrendeva definitivamente il 17 maggio. In breve, con nuovi sbarchi, venivano occupate tutte le Sporadi meridionali (Scarpanto, Piscopi, Nisiri, Lero, Calimno, Patmo, Coo, Simi e Calchi) (138). A Stampalia venne costituita una solida base navale e fu consolidata l'occupazione delle isole. La notte del 18 luglio, poi, cinque torpediniere al comando del capitano di vascello Millo, penetravano nei Dardanelli con l'intenzione di silurare la flotta turca ivi ancorata, ma, scoperte, furono costrette a ritirarsi sotto il cannoneggiamento turco. L'operazione fu compiuta dalla marina, senza le necessarie precauzioni atte ad impedire una nuova levata di scudi delle potenze europee. Di San Giuliano apparve molto preoccupato (139). Egli si augurava (135) G.P., XXX. 2, n. 11085. pp. 365 · 67, la relazione, datata Corfù, 27 marzo era al legata alla citata lettera di )eni~ch.

1912,

(136) Vi fu . in quei giorni un fitto intrecciarsi di telegrammi tra Roma, Vienna c Berlino. Rimandiamo ài documemi diploma:ici tedeschi, in particolare G .P ., XXX, 2 , nn. uo83, IJ086, 11091, pp. 361 e ss. ed austriaci: 6.-U. A., IV. nn . 3417,3420, 3436. 3440, 3·147· pp. 79 e ss. Cfr . anche LuJcr ALBERTtNt, llcm'amJi di vira politica, Bologna, 1951, 1ml. l , parte II, pp. 167 • 77 e G tOVANNt Gtourn. op. cìt., Milano, 1\)67,

pp.

2 52 • 53· (137) Comprendente due reggimenti di fanteria. un battaglione di alpini, un gmppo di artiglieria ed un plotone di cavaller ia. (138) Sull'operazione nel Dodccancso cfr . CAMILLO M.\l'FRONt, Guerra italo - turm, croniuoria delle operazioni navali. vol. H, Milano, 1926 e RE!":Zo SERTOLI SALts, Le isole italiane dell'Egeo dalla occupazione alla sovranità, Roma, J93\ì·

( 139) li 19 luglio da F iuggi, così Di San Giuliano scriveva a Giolitti: <<Nella nuova c1uistione dei Dardanelli. ciò che pitl importa per ora è che la prima impreuiout in Europa sia che la chiusura del)o stretto è ingiustifìcata. Perciò è bene il dubbio sulla


LA CAMl'AGNA 1>1 LlBIA (191t - 1912)

--------------------

che ~a marina avrebbe evitato in seguito questa poiitica dei raids, particolarmente pericolosa, scarsamente utile sul piano militare e dannosa su quello diplomatico. Lo stesso Barrère, del resto, aveva consigliato Di San Giuliano in questo senso (r40). Scrivendo a Ferdinando Martini qualche mese dopo, a pace conclusa, Giolitti osservava che l'occupazione delle isole aveva per l'Italia <<tanti fini uno più grave dell'altro». A noi era indispensabile - osservava Giolitti quella occupazione per evitare il contrabbando di armi diretto alla Libia e che passava di là e talora ne partiva direttamente. Ci occorreva poi la base di Stampalia per la vigilanza delle coste turche e per ogni futura azione eventuale. Era necessario avere un pegno in mano per la futu ra trattativa di pace [ .. . ] ( 14r ).

Il governo turco rispose all'occupazione delle isole con l'espulsione degli italiani residenti in Turchia ( 142). Ma, sul piano militare l'operazione non ebbe l'effetto che molti speravano. Non piegò, almeno apparentemente, la resistenza ottomana, e molti temettero che la situazione non subisse alcuna modificazione dal fatto nuovo. Avarna, ad esempio, così scriveva a Di San Giuliano il 25 maggio 1912:

Ho sempre creduto, sino dal momento in cui la questione venne posta sul tappeto che l'occupazione di isole dell'Egeo se può costituire per noi una specie di pegno per le future trattative di pace, non sia un mezzo efficace per indurre la Turchia a cedere. E questo continuo a credere anche attualmente; tale occupazione anche se estesa a tutte le isole dell'Egeo, potrebbe

prc:;cnza o meno delle nostre torpediniere in quelle acque ed è necessario che l 'Europa >appia che non avevan per iscopo d'attaccare i Dardanelli e di tentarne il passaggio, ma S<>lo di vigilare e d'attaccare le torpediniere turche che si sapeva volevano uscire per silurare le nostre navi. Se riusciamo a produrre questa impressione in Europa è probabile che o la Turchia non chiuderà i Dardanelli o le ire dd! 'Europa si svolgeranno p iù contro di Ici che contro di noi. [ ... ] Ceno si è che la Marina, al solito, oon avrà eseguito le istruzioni, che erano di non lasciarsi vedere se la riuscita non sembrava molto probabile. e mi pare chiaro che, vedendo da lontano funziOflare i riflettori non c'era motivo d'avvicinarsi e si poteva tornar indietro senza lasciarsi vedere. Ora bisogna evitare che indiscrezioni della Marina indeboliscano la nostra versione, e che almeno per un po' di tempo, essa non faccia giochi pericolosi, che senza un vantaggio corrispondente, possa peggiorare di nuovo la nostrll migliorata sintazione ioternazionale. Mi pHe quindi che k si debba ord inare d i non ripetere il tentativo fino a nuovo avviso » (Dalle carte di G. Giolitti, cit., vol. !H, p. 73). (r4o) Cfr. D.D.F. , III, 3, n. ~2~, pp. 279 · 99, Barrère a Poincaré, 25 luglio 1912: « Ma la generalità degli ita liani - ha scritto il Volpe - colpiti da quanto c'era dì avventu~"~o e <JU:lsi romanzesco in quella corsa notturna di un pugno dì uomin i contro il pericolo c la mone, :~ggiunsc questo episodio nell' albo d'oro della guerra libica e nel nuovo capitolo della politica italiana » (GIOACCiitl<O VoLPE, L'impresa di T ripoli, cit., pp. 139 - 40). (141) A.C.S., C.M . , b. 12, f. 6. lettera di Giolitti a Martini del 26 ottobre 1912. ( r42) Il decreto, emanato il 20 maggio cmrò in vigore il 12 giugno. Molti italiani rientra rono in patria . Il 23 maggio Giolitti costituì un:\ «Commissione di soccorso a favore dei profughi » dalla Turchia, con il compito di procurar loro lavoro <' raccogliere sussidi. La commissione era così composta: Giovanni Gallina, Achille De Giorgio, Angelo Pavone. Bartolomeo Ruini, Vincenzo Giuffrida e Felice Fiore.


320

L'ESERCITO 11'All.">N0 DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861- 1918)

creare certamente seri impicci, come un certo disagio economico alla Turchia ed essere anche considerata da essa come un'umiliazione, ma è da dubitare che possa indurla a ve n ire a patti con noi [ ... J. A me pare quindi che a noi convenga di intensificare nostra azione in Tripolitania e Cirenaica, spingendo operazioni militari colla maggiore possibile alacrità per affermare vieppiù nostro possesso in quelle regioni, occupando punti della costa che non furono ancora occupati ( 143).

L'ambasciatore austro-ungarico a Costantinopoli, Pallavicini, osservava a sua volta, il 31 maggio, in un colloquio con Avarna, che non scorgeva alcun mezzo atto a far cessare il conflitto. La guerra, secondo Pallavicini, non produceva gravi disagi alla T urchia, che sembrava ancora abbastanza forte da resistere a lungo. Unico modo per sbloccare la situazione era (< la reciproca concessione >> delle due parti rispetto alla rigidità delle posizioni assunte (144). Di San Giuliano si irritò molto di fronte alle dichiarazioni di Pallavicini, affermando: Se è vero che, come dice Pallavicini, guerra non produce disagi gravi alla Turchia, è evidente che essa durerà indefinitamente visto che noi non cederemo mai sulla sovranità. Perciò le potenze che g:iustamente vedono nella lunga durata della guerra un pericolo e un danno per tutti, debbono riconoscere che non hanno diritto di impedirci di far sentire alla Turchia i danni e i disagi gravi della guerra. Non avendo mai fatto sapere alla Turchia che noi non cederemo sulla questione della sovranità, Pallavicini contribuisce a mantenere la Turchia nella illusione e rende un cattivo servigio alla Turchia e all'Italia. Non si tratterebbe di dar consigli e tanto meno di far pressioni, ma solo d'informarla della verità (145).

Pallavicini rifletteva, in verità, il malumore di Vienna per lo spostamento della guerra nell'Egeo, a cui Berchtold aveva dovuto acconsentire pe~ l'intervento di Berlino; malumore accentuato dal fatto che l'Italia non aveva limitato l'occupazione alle sole tre isole indicate da Vienna. Il ministro degli esteri austriaco, sostiene Giolitti <( era perSona senza idee proprie ed asservita interamente alla camarilla aulica e militare, alla quale non sarebbe parso vero di profittare della situazione per svolgere i suoi progetti nell'Albania e nel Sangiaccato >> (146). Un giudizio severo, che sembra condiviso anche dall'addetto militare italiano a Vienna, Albricci :

(143) A.S . MAE. Segr. get1 . , pa. 44, pos . 17 k. f . 650. (144) Idem. (145) A .S. MAE, Segr. gtm., pa. 44, po$. I7 l, f . O)! , telegramma di Di San Giu· li~no ad Avarna del giugno 19.12. (146) GroVA:-.1:'•11 Gtourn, op. cit., p. 256. Proseguiva Giolitti: «Ed infatti la sua condotta diplomatica, di perpetue lagnanze e di mezze minacce verso di noi. senza che si arrivasse mai ad una conclusione; c la monotonia con cui insisteva in interpretazioni arbitrarie ed infondate dci nostri impegni, senza rnai tentare di affrontare le argomen· tazion.i contrarie del Di San Giul iano. davano l'impressione di un uomo che non aveva

,o


I.A CAMPAGNA DI LIBIA (1911- L912)

321

~------------~--

Sappia - scrive Albricci nella già citata lettera a Brusati - che questo signore l Berchtold t vale ben poco. Egli non parla mai per virtù propria. Ha sempre da dire che gli uffici studieranno, vedranno, che gli uffici non vogliono ecc. ecc. Ogni questione deve essere studiata, almeno per perdere tempo. La vecchia diplomazia austriaca avrebbe oggi un eccellente rappresentante! Il nostro ambasciatore è così prudente e riservato, eppure sono ceno, pensa esattamente come me. L'ambasciatore d' Inghilterra mi disse chiaro e netto che egli non ne ha stima che nei salon; (r47).

Lo stesso Albricci, sosteneva poi che il « timore, la spina grave » risiedeva nell'eventualità che l'Austria si ritenesse « svincolata » in seguito alla nostra azione nell'Egeo e andasse « a Durazzo ed a Valona ». Il mancato e sperato crollo militare e psicologico della Turchia di fronte all'occupazione del Dodecaneso determinò in alcuni ambienti militari italiani la convinzione che fosse necessario procedere oltre nelle operazioni al di fuori del territorio libico e colpire la Turchia in altri e più vitali interessi. Portavoce di questo orientamento fu proprio il capo di stato maggiore Pollio. Il 29 giugno 1912 Pellio inviò a Spingardi un Promemoria sulla situazione politico militare, nel quale, con vivace spregiudicatezza, affrontò i temi relativi alla guerra libica, prospettando soluzioni drastiche e definitive che erano in evidente contrasto con tutta la politica prudente e temporeggiatrice, sia sul piano militare che diplomatico, condotta .fino allora da.! governo. Dopo aver premesso che non conosceva bene la situazione (( rispetto alle potenze amiche ed alleate >>, non essendone stato informato, ed ignorava pertanto « le ragioni che paralizzavano l'azione italiana nel Mediterraneo orientale », Pollìo affermò che la situazione della Turchia era tale da rendere inevitabile uno sfacelo dell'Impero a breve scadenza. All'Italia, quindi, conveniva affrettare questo crollo per evitare il p rolungarsi di una guerra lunga e costosa. Si d ice giustamente - scriveva Pollio - che la nostra nuova ed audace iniziativa ha messo a disagio e sollevato un pericolo per tutta l'Europa. E' verissimo, però il dado è tratto ed io non so vedere .la cessazione del disagio e del pericolo mentre continuiamo a guerreggiare nella Libia, a tenere occupare le isole del basso Egeo e a tenere le nostre navi a Stampalia e nel medio Egeo. Noi siamo insomma come sospesi in attesa che si verifichi qualche evento favorevole che possa far mutare radicalmente la situazione a nostro vantaggio. Ora gli eventi favorevoli io non ne vedo che due : le vittorie in Libia e lo sfacelo della Turchia. Le vittorie non fanno nessuna impressione né liberrà né capacità d'azione, e che invece di ra1,'Ìonare con la propria testa per rendersi conro della realtà delle cose, eseguisse sempliccmcnre una parte che gli era affidata "· (lhid~m).

(147) A.C.S., A.B., se. 9, f. v1.2.34, n. 63. lettera di Albricci a Brusati, da Vienna . clel '9 maggio 1912 . 21.


322

L'ESERCITO l f.\ll.\'\0 DALL\>NIT.~ ALLA GRANDE Gt>ERRI\

(1861- 1918)

ne m Turchia né fuori. Resta lo sfacelo. Se esso deve venire. ripeto, perché non dobbiamo profinarm:r E se dovessimo noi renderlo evidente c imminente. perché si aspetta a colpire? Certo se tutte le grandi potenze fossero d'accordo e ci imponessero di fermarci, dovremmo fermarci e non sarebbe un'umiliazione il farlo, davanti a forza veramente maggiore. Però mi permetto di dubimre che uscendo da quel cerchio di ostilit?t sorda in cui esse si sono messe, vi possa ancora essere l'accordo fra di loro . .Inoltre esse hanno proclamata la loro neutralità mentre noi abbiamo promesso di rispettare la penisola balcanica come è: di fatto. Ma facendo noi la guerra alla Turchia, ci si può impedire di compiere l'impresa che a noi gioverebbe di più e che militarmente e politicamente mi sembra naturalmente indicata: la conquista

di Smirne? Sono all'oscuro, dicevo, della situazione internazionale. e perciò non posso rispondere. Ma, d'altra parte, in guerra, azione politica e azione militare si compenetrano talmente che è impossibile separarle e mi credo perciò competente a amsigliare che si pre11da Smirne. E' un'impresa seria, difficile, ma non è al di sopra dei nostri mezzi c della nostra capacìtà bellica. E' una guerra strana quella che combattiamo, ed è impossibile non ricono~cere la difficoltà con cui la nostra diplomazia deve combattere, e combattere in altra guerra piena d'insidie. Ma al punto in cui siamo c'è da temere seriamente che se noi facciamo la guerra sul serio alla Turchia le potenze occidentali ci manderanno contro le loro squadre e invaderanno l'Italia? Se non c'è questo pericolo c se vi è solo la minaccia che esse cerchino compensi. sempre a spese della Turchia, prima che esse accorrano alla << cur~e ,, andiamo avanti noi~ L'Austria- Ungheria può mirare al Sangiaccato di Novi Bazar, ma a noi che importa se vi ritorna? Può mirare all'Albania e questo sarebbe il peggio. Ma gli albanesi lasceranno tranquillamente che il loro paese serva di compenso? Io non lo credo. Si può pensare ad un intervento della Germania nel Mediterraneo quando essa dovrebbe lasciarsi alle spalle la flotta inglese? E possiamo trovarci l'Inghilterra nemica quando noi abbiamo ad essa usati tanti riguardi compreso quello di sospendere la nostra azione marittima per dare la tranquillità allo yacht reale nel suo viaggio verso l'India? V'è poi un 'altra considerazione da fare e che credo possa contribuire ad assicurarci una certa libertà d'azione. Ed è il contegno dei piccoli Stati balcanici, i quali, ne sono sicuro, non aspettano che una parola per schierarsi tosto o tardi con noi (r48).

Giolitti respinse decisamente la proposta di Pollio (149), che presentava insidie notevoli sia sul piano militare che diplomatico. A Smirne la Turchia aveva concentrato un forte contingente del suo esercito e sarebbero occorsi, secondo Giolitti, almeno centomila uomini per portare a termine l'operazione. Ma ciò che maggiormente preoccupava il presidente del consiglio era la situazione internazionale. Probabilmente Pollio era all'oscuro, come lui stesso (1~) Il promemori~ d1 Poltio in A.C.S .. A.B., <c. ro, f. '1.8.4o. (q9) Così scriYcva Spmg;~rd• a Bru>ati il 3 luglio HH2: cc Pollio ha t·olmo che io comu nicassi a Giolitti il ~10 promemoria ~u Smirne e <ull'Egcu, di cui avrai avuto copi3 e il giudizio non i: st:1to, dirò co'ì con termine parbmrntarc, favore voi~ ''· (ldnn).


LA CAMI'AGN:\ DI

-----------------

LIBIA (19!1 - 1912)

affermava, dei gravi e difficili ostacoli che le potenze frapponevano a qualsiasi estensione del conflitto. Aprire un nuovo fronte in Asia minore poteva portare, in quel momento, a gravi conseguenze sul piano internazionale, difficilmente controllabili. E' singolare come Giolitti commentò la proposta di Pollio: << Malauguramente pochi sono coloro che riescono a mantenersi immuni dall'eccitazione particolare che accompagna qualunque guerra >> ( 150). Ma l 'intenzione di Pollio è solo in parte giustificabile con l'eccitazione del momento. A bene esaminarlo, il documento rivela la malcelata intenzione di accelerare e favorire la crisi bakanica. per averne poi dei c. vantaggi e anche vantaggi grandi >> (151). A Giolitti, invece, premeva soprattutto portare finalmente a termine l'impresa, che già gli aveva dato molti più fastidi di quanti avesse previsto (152). Il colpo subìto dalla Turchia nell'Egeo non poteva essere stato interamente assorbito e non aveva ammorbidito la tenace resistenza ottomana. La stessa guerra in Libia era ora divenuta più attiva e faceva registrare qualche successo . L'S giugno 1912, con la battaglia di Sidi Abdul Geli! (detta anche di Zanzur), nella zona di Tripoli, gli italiani sferrarono un attacco contro la linea di trincee arabo- turche che minacciava la linea italiana di Gargaresc. Dopo quattro ore di combattimento le trincee turche erano in mano italiana. Il successo consentiva di dominare l'oasi di Zanzur. Tre giorni dopo, il 12 giugno la battaglia dei monticelli di Lebda (o montagnole rosse), nella zona di Homs, segnava un'altra dura sconfitta degli arabo- turchi, costretti alla fuga. Il 26-28 giugno a Sidi Said, il gen. Garìoni guidava un attacco che consentiva agli italiani di impossessarsi di una impor-

(150) GIO\"A"''' Gaoun1, op. rit., p. 294. (151) Scriveva ancora Poli io nel >UO promemoria: " [. . . nulla , ..è di più imporrante t•d ha maggior p<:~o in poli1ica che l'energiC>~ azione malit<lrc. Ed, in ultimo, ag· gtungo che se pur si do,·e~'c malauguratamente rinunciare al1"1mpre>a di Smiroe, che dovrebbe necessa riamente essere preceduta dalla presa di Chio>. è indispensabile, assolutamente, qualunque 1ia l"c~ito delle trattative diplomatiche, qualunque ~ia la sorte che ~'petta la Turchia, ch e noi 3ccrcditiamo almeno l'intenzione di prendere Smirne. l turchi ~i hanno riunita un'armata. Sarebbe proprio doloroso se, persua,i dell:a nostra inaz ione, essi mandassero qudl e truppe p. es. in Albania dove potrebbero contribui re a sanare la ~ituazione che noi non abbi:nn<) crcatn, ma che - almeno credo - non pucì che arrecarci ,•.tntaggi e anche ,·ant;aggi grand i, specie se il fuoco si prop.tga in ~bcedonia e se i picwli stati b::~lcanici incomincia~Gro ad agitarsi » . (t'F) "Noi - .crive Giolitti - ci ~ravamo proposta semplicemente l.t conquista della Libia, e a tale scopo a,·C\·amo predi<po<lo tanto i mezlli diplomaoci quanto quelli milit:tri; l'esserci riusciti senza bi-ogno dì ricc.rrerc a colpi di audaci3 che implicavano rischi corrispondenti e senza pro,•ocarc l 'apertura di altre questioni t: di altri conflitti, cons«:guendo all'ultimo precisamente gli scopi che ci eravamo ptO("lO'ti <ino dal primo giorno, iu a m1o avviso il merito ma):(giorc del go,·erno » (GtOH'I:->1 Gtotlrn, op. cit., p. 294). r,ntrtl questi limiù riteniamo vada inquadrato il giudizio po~it i' o dello Spadolini, quando <erive che la guerra libica fu " sapientcmtnte condotta " da Gioliui (Gtov.'""l SPAOOLINI, TI mondo di Giolitti, Firem'.e, 1970:, p. IO)).


tante posizione sulla Yia di Zelten e di Zuara, che consentiva il controllo eli circa 40 chilometri di costa ad est del confine tunisino. Nella stessa zona, a Sidi Ali, il r4 luglio, dopo un violento combattimen to, la divisione G arioni conquistava un 'altura a sei chilometri ad est di Sidi Said, che apriva la via alla conquista di Zuara, avvenuta il 5 agosto, quasi senza colpo ferire, dopo che erano state disperse poche pattuglie d d la retroguardia turco- araba, che opposero resistenza presso Bu Sali a. L 'operazione venne condotta da due colonne: una per mare, imbarcatasi ad Augusta (gen. T assoni), l'altra per terra, da Sidi Ali, guidata da Garioni. ll 15 agosto. sempre nella zona di Zuara. veniva occupata Regdaline. Tra la fine di agosto e i primi di settembre Giolitti decise di richiamare Caneva c di sostituirlo. Da tempo la fiducia del governo nei confronti del generale era debole. Il successo delle operazioni nei Dardanelli e l'avvio di negoziati, sia pure ufficiosi, tramite la missione Volpi, imponeva una condotta della guerra in Libia più spregiudicata, tale da fiaccare la residua intransigenza delle autorità ottomane. Il 5 settembre Caneva veniva esonerato dal comando supremo: lo sostituivano due comandi indipendenti in Trìpolitania e Cirenaica, affidati rispettivamente ai generali Ragni e Briccola. Il provvedimento venne giustificato con la necessità, di fronte all'allargamento del teatro delle operazioni, di due comandi separati. Si disse che Caneva aveva bisogno di riposo, gli furono tributati elogi ed onori e gli fu conferito il grado di generale d'esercito, il massimo grado delle gerarchie militari. In realtà Caneva pagava le colpe della sua prudenza, ma anche del suo realismo, della sua concreta visione di una situazione militare carica di rischi che la stampa e gli uomini politici si erano sempre ostinati ad ignorare, pretendendo, come ha osservato Sergio Romano, « una guerra diversa, brillante, rapida, gloriosa; e avevano finito per fare di Caneva il capro espiatorio di errori e carenze che avevano ben altra origine >> ( 1 53). Ragni e Briccola tentarono di imporre alle operazioni militari un ritmo più sostenuto. L 'episodio più importante resta la battaglia di Sidi Bila! nella zona di Tripoli (20 settembre 1912), operata nel tentativo di fiaccare la resistenza arabo- turca e conquistare l'oasi di Zanzur, che Caneva aveva sempre rimandato per i rischi che nascondeva. In effetti lo scontro fu incerto c durissimo: durò circa dodici ore con gravi perdite da ambo le parti. L'operazione venne condotta dalla divisione de Chaurand rinforzata da una brigata (•53) S. Ro'"'-0. La qu11rta spo11dJ. /.a guemz di LibiJ. I <jll • u . ~lilano, l'lìì·

p.

2~8 .


L.\

-------------------

CAM VAGNA

lll

LIBIA (1911 - 1(.112)

325

di riserva agli ordini del gen. Maggiotto e da una colonna mobile comandata dal gcn. Coardi di Carpenetto. La conquista di Zanzur e dell'altura di Sidi Bila!, che concluse al tramonto l'aspra battaglia, costò agli italiani 120 morti e 429 feriti e fu seconda solo a Sciara Sciat per il numero di pcrdite umane. Ma, ormai, la soluzione della guerra era principalmente affidata al lavoro diplomatico. Giolitti si era reso conto che solo sedendosi attorno ad un tavolo con i turchi era possibile trovare una via d'uscita. Trattative che lo scoppio della guerra balcanica si incaricò a rendere più sbrigative e favorevoli all'ltalia, c che si conclusero con la pace di Ouchy del 18 ottobre. Per una guerra che doveva essere una << passeggiata militare )> le perdite umane non furono trascurabili : 3·43 1 morti. di cui r.483 in combattimento ( r -391 soldati e 92 ufficiali) e 1.948 per malattie. l feriti furono 4.220 ( 154). La regione che pagò il più alto tributo di uomini caduti per azioni di guerra fu la Campania, 169, seguita dalla Lombardia, r68, dal Piemonte, n8, dalla Sicilia, ro2, c dal Lazio, Jor (155). In termini di costi monetari, le spese per la guerra furono molto più alte del previsto. I calcoli in questo campo sono particolarmente complessi e spesso opinabili, peccando per difetto o per eccesso a seconda delle tesi che si vogliono sostenere. Nel dibattito parlamentare che si svolse alla Camera dal 10 febbraio al 7 marzo 1914, Giolitti sostenne che la spesa della guerra era stata di soli 512 milioni, mentre Sonnino, accusando il governo di aver manipolato i dati, giuocando sulle anticipazioni di futuri bilanci, sostenne che la spesa effettiva doveva essere raddoppiata. Altri parlò di 1.300 milioni e l'ex ministro Leone Wollemborg affermò che le spese effetti"e dovevano essere calcolate intorno ai 1.700 milioni.

( 154) Cfr. P. S<t<t ""''· op o t .. p. 97· Le cifre riportate: '<>no tr.lttc: dai Bolleuini urllciali. Secondo l;l puhblicanone Jd CO~IAl'DO O i S TATO MA(,GIORt, L 'a:ionc dc/l'csucito 11111iano md/a g11erra ila/o - w re". cit .• p. jO, ''aria il numero dei morti indicato in 3.3b0 ( l ·43Z in combattimento c 1 ·'H!! pt:r m.1lattia). Jm·aria ro è il numero dei feriti . Le perdite turco- arabe ammonterebbero :1 q.8oo. ~155) Cfr. P. ScHL<RJ~J. op. cir. , pp. 106 • 7·



x. LUIGI MONDINI

LA PREPARAZIONE DELL'ESERCITO E LO SFORZO MILITARE NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE



LUIGI

MONDINI

Generale di Corpo d'Armata (c.a.)

LA PREPARAZIONE DELL'ESERCITO E LO SFORZO MILITARE NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE *

PRECEDENTI.

Nel dicembre 1914, Olindo Malagodi, direttore della (( Trihu~ na », richiamò l'attenzione di Giolitti al fatto che alcuni si domandavano come mai egli e il ministro degli Esteri dì San Giuliano, sapendo cosa bolliva nella pentola austriaca, non avessero pensato ad una preparazione militare preventiva e ne ebbe in risposta che lui, Giolitti, per l'esercito, aveva fatto sempre il possibile, che durante i suoi ministeri le spese militari erano state quasi raddoppiate, che nel 1907 aveva portato il rendimento di leva da settanta a centocinquantamila uomini. Proseguì: « La gente 11011 se ne accorJe troppo, come io appunto t;olevo, perché queste cose si der;ono fare senza troppo rumore. E' poi assurdo, concluse, pretendere che ad ogni colpo di testa austriaco noi facessimo preparazioni particolari. Saremmo stati ad ogni momento da capo, ed avremmo finito per esaurire il paese a rmoto; come pare sia capitato all' Austria stessa >> . In effetti, le ripetute mosse austriache non avevano indotto il governo italiano a potenziare le forze armate, in modo adeguato, sì da trovarle preparate ad un grave cimento, mentre l'Austria lo era pienamente. Più candidamente, Salandra ammise che i governanti, pur avendo fatto molto, superando gravi difficoltà quando sopravvenne il giorno deJla grande prova sì accorsero che si sarebbe << do~ vuto fare di più e meglio » ; egli rilevò che l'opposizione parlamentare alle spese militari aveva avuto vita efficace col crescere di numero e d'importanza dell'Estrema Sinistra e che persino Bissolati - che poi partecipò valorosamente alla guerra e rimase gravemente ii- Saggio pubblicato nel volume AA. VV., 1915- 1918. L'italia nella grande guen·a, Roma, rg68.


330

L'ESERCITO IT1\LIANO UALL' UNITÀ ALLA GRANOE GUERRA (r86r- 1918)

ferito a Monte Nero - opinava che per l'Italia bisognasse contenere gli armamenti << nelle p1-oporzioni puramente necessarie per la difesa del Paese >> e, nel 19r3, si opponeva alla « attrazione z;erso l'abisso dell'infinito aumento delle spese coloniali e militari», mentre i radicali ripetevano che « il denaro pubblico si spende in perdita, se t•iene Ì11vestito in armamenti, sempre in rin11ovazio11e e sempt·e inerti )) . Ebbe fortuna la frase: non si può andare incontro ad una Novara finanziaria per evitare una Novara militare! Per parte sua, Salandra confessò che, attratto più dalle questioni di amministrazione e di finanza, la sua attività parlamentare non s'era mai rivolta, in modo speciale, alle questioni militari. Senza bisogno di ulteriori esemplificazioni, si può affermare che le questioni militari non erano sentite adeguatamente dai « non addetti ai lavori >> e le forze armate per contraccolpo rimanevano chiuse in se stesse, rimanendo isolate, quasi avulse dalla vita nazionale; la sensazione di una scarsa efficienza bellica era abbastanza diffusa nell'opinione pubblica e Giolitti, rilevando che il popolo italiano si infiamma facilmente, ma anche più facilmente si stanca, . temeva che l'Italia non avrebbe retto ad una guerra lunga e riteneva l'esercito poco agguerrito moralmente, perché le popolazioni rurali, che avrebbero dovuto darne il nerbo, non avevano più << gli stimoli semplici ed istintivi della guerra, come possono se11tirli dei p,·imitivi, quali i contadini russi; e tliceversa 110n avez,ano a11cora acquistato il pe11siero, la coscienza di cittadini come i tedeschi, i francesi e gli Ì11glesi >>. Quanto vi fosse di vero e quanto di inesatto lo dimostrarono i fatti; desidero solo esprimere la convinzione che la massa, la grande massa dei contadini, alla quale si possono aggiungere gli abitanti dei piccoli centri, era amorfa, conformista e facilmente suggestionabi.le. Era indubbiamente portata al quieto vivere, ma finiva col seguire quella minoranza attiva che con la parola e con l'esempio esercitava un'azione di punta, si ergeva a rappresentante dei sentimenti del popolo e riusciva a trascinarla; ciò avvenne anche durante le guerre del Risorgimento. Non commento le altre affermazioni soprariportate di eminenti uomini politici, alle quali ho accennato al solo fine di mettere in evidenza l'ambiente nel quale viveva l'organismo militare, una pianta che vegetava in un terreno in verità non molto propizio. Nei quarant'anni seguiti alla liberazione di Roma (1) s'e;a avuta (r) Per questa impresa, di scarsissimo valore militare, la formazione di un corpo di spedizione di 50.000 uomini incontrò difficoltà gravissime, che misero in evidenza che l'Esercito italiano - mentre divampava la guerra


!.1\

l>REI'ARAZ!01-o<:

DELI.:ESERCITO

33 f

E LO SFORZO ~fiUTARE • • .

l'impresa abissina, che aveva interessato una piccola parte dell'esercito e che nella opinione pubblica dopo le prime facili esaltazioni, aveva provocato ripercussioni sfavorevoli e aumentato l'opposizione alle « spese improduttive >l . La guerra di Libia scrollò beneficamente il Paese, destò un vero entusiasmo, risvegliò i sopiti sentimenti patriottici, contribuì allo sviluppo dello spirito militare, fu una ventata guerresca, che cacciò via l'aria chiusa dalle caserme, dove la missione dell'ufficiale tendeva a cristallizzarsi, a essere considerata quasi una professione come tutte le altre, una sistemazione per risolvere il problema della vita. Si stabilirono migliori vincoli fra esercito e nazione, gli ufficiali fecero a gara per partire per la guerra, quelli di complemento cominciarono a dimostrare la loro grande utilità, i richiamati tornarono alle armi disciplinatamente, in combattimento si comportarono ottimamente, e fu un esempio unico di guerra coloniale combattuta con soldati richiamati dal congedo. Nel campo spirituale e morale fu, dunque, una scossa salutare, ma nel campo deJl'organizzazione militare si dovette attingere ai magazzini di mobilitazione creando vuoti, assai costosi da colmare. Per l'impresa era stato allestito un corpo di spedizione di circa 35.ooo uomini, ma in breve lo sì dovette portare a quasi roo.ooo uomini, poi ridotti a 70.000, sempre comunque il doppio del previsto e corrispondente alla metà dell'esercito metropolitano sul piede di pace, in perìod~ di forza minima. Da principio, erano stati tratti reparti da diversi corpi d'armata, e il materiale di armamento e di equipaggiamento era stato prelevato, a piccole aliquote, da diversi magazzini, ma quando le forze aumentarono notevolmente e occorreva ripianare le perdite, tenerle a numero, rifornire i materiali in misura adeguata ali' accrescimento delle necessità, venne frustrato l'intento di non intaccare la .fisionomia generale dell'Esercito. Si costituirono, allora, appositi reparti e unità per la Libia, oJtre gli organici dell'esercito metropolitano, e si diede mano al reintegro delle dotazioni di mobilitazione. Ne scaturì il vantaggio di poter rifornirsi di materiale nuovo e più aggiornato, ma - come risulta dal I volume della relazione dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore (L'esercito italìa12o nella grande guerra 1915I91 8l - Le forze belligerantt) - « altatto pratico, quello che avrebbe dot,uto essere un reale aumento dell'efficienza dell'esercito si tradusse Ìnt;ece in una diminuzione effettiva delle sue forze e delle sr.te dotazioni>>. Più diffusamente, in una nota ad un promemoria

r

franco - prussiana e s'era accennato ad un intervento dell'[tal ia - non era assolutamente in condizioni di partecipare ad un conflitto europeo.


332

!.' ESERCITO Tl'ALIAKO Dill.L, U;\l iT.~ ALLA GRAN DE G UERRA

(r861- 1918)

preparato. il 30 marzo 1914, dall'ufficio del Capo di Stato Maggiore, era detto: « Le deficienze attuali non si possono considerare certamente come diretta conseguenza della campagna libica, ma ad esse la guerra non è stata estranea nel senso che, durante la guerra tutta l'attività del Ministero dovette, naturalmente, rivolgersi specialmente alle operazioni, ed a queste furono dedicate disponibilità finanziarie, che, in condizioni normali, certamente l'amministrazione della guerra avrebbe potuto ottenere ed impiegare per lo sviluppo dell'esercito metropolitano. L'ultimo programma organico di sviluppo dell'esercito doveva svolgersi nel quadriennio 1909- 13. Logicamente, quindi, nel luglio 1913 avrebbe potuto e dovuto iniziarsi l'attuazione di un nuovo programma militare. In realtà, invece, le condizioni del tesoro non permisero di farlo, ma obbligarono, anzi, a ripartire in esercizi successivi, fino al 1917, gli assegni necessari per lo svolgimento del programma precedente» . Eppure, come rilevò anche Giolitti nelle <r Memorie della mia vita», vi fu qualcuno degli « accusati>> che dimostrò che il valore intrinseco dei materiali esistenti nei magazzini . dopo la guerra libica era aumentato di molti milioni : era una questione di contabilità, non di consistenza dei materiali! Il programma organico, al quale si accenna nella nota soprariportata, era stato preparato nel 1909, dal ministro della Guerra, generale Spingardi, e dal Capo di Stato Maggiore, generale Pollio, e prevedeva un potenziamento dell'esercito in quattro anni; il Parlamento lo aveva approvato il 17 luglio 1910, ma i mezzi finanziari erano stati concessi in misura notevolmente inferiore al bisogno, e si dovette ripiegare su un piano limitato, la cui lenta applicazione venne scompaginata dall'impresa libica. Nel marzo 1914, Salandra nel formare il nuovo mrn1stero aveva offerto il portafoglio della Guerra al generale Carlo Porro, che, edotto dal Capo di Stato Maggiore sulle condizioni dell'Esercito e delle conseguenti necessità, chiese l'assegnazione immediata di 85 milioni per spese ordinarie e .lo stanziamento di altri 6oo, ùpartito in sei ann.i, per spese straordinarie; non li ottenne e non accettò l'incarico. Se li avesse avuti non avrebbe fatto a tempo, comunque, nei quattro mesi che seguirono, a provvedere in modo adeguato ad eliminare le deficienze e le insufficienze e l'Esercito quando scoppiò la guerra si sarebbe trovato press ·a poco nelle stesse condizioni m cui lo trovò Cadorna nell'assumere la carica di Capo di Stato Maggiore. Salandra scrisse che . . . « armare si dovesse, compresi immediatamente dopo lo scoppio della conflagrazione; ma della estensione e della intensità dello sforzo occorrente io mi resi conto gradatamente, a misura che venni constatando quanto inferiore


LA l'REPARAZlONE DELL'ESERCITO

Il

LO SFORZO

MILITARE.. •

333

fosse la preparazione delle nostre forze ai fini per i quali dovevano essere adoperate. Fu penosa e angosciosa constatazione; ( ...) il mio maggior pensiero e tormento, non solamente durante i mesi della neutralità, ma anche dopo la nostra entrata in guerra ». Ferdinando Martini, che era ministro delle Colonie, scrisse nel suo diario che Salandra gli aveva confidato di aver saputo - si era nel settembre 1914 - che «!e cose dell'esercito, i magazzini, ecc. erano in condizioni spaventet,oli ~>. Qui v'è l'esagerazione di chi si vede all'improvviso di fronte a responsabilità superiori a quelle previste e deve assolutamente affrontarle. Il Martini, in altra parte del suo diario, afferma - e la sua è la parafrasi di un detto di Machiavelli - : << L'Italia non può fare la guerra e non può non la fare >l .

DEFICIENZE NELL'ORGANIZZAZIONE MILITARE.

In effetti, si andava fatalmente verso la guerra, quando il 27 luglio 1914, essendo morto improvvisamente il generale Poilio, era stato chiamato a subentrargli il generale Cadorna. Da un mese era avvenuta quella t< qualche sciocchezza in Balcania ll, presagita da Bismarck, che avrebbe scatenato la guerra in Europa. Cadorna trovò sul suo tavolo un promemoria, preparato dagli uffici dello Stato Maggiore, intitolato <<Condizioni dell'Esercito alla data dell'assunzione in carica del nuovo Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, S .E. il tenente generale conte Cadorna (luglio 1914) >>. Per l'esattezza, la memoria avrebbe dovuto intitolarsi « Deficienze nella organizzazione militare alla data ecc. >> e Cadorna annotò : " fra le molte deficienze contemplare soprattutto quelle della disciplina, la quale in questa memoria non è annoverata". Riporta il contenuto del documento, pressoché integralmente, nella sua storia della guerra (2), omettendo quanto riguarda la frontiera nord - ovest. Accenno alle principali lacune e comincio con i quadri. A vevamo in tutto circa 26.ooo ufficiali e si calcolava ne mancassero 13.000; ma se dovessimo fare il computo seguendo il metodo dello Stato Maggiore tedesco, il quale, per un primo inquadramento e per ripianare le presumibili perdite dei primi mesi di guerra, rite-

(2) Generale L t:IGl CAOORNA, La guerra alla fronte italiana fino all'arresto sulla linea del Piave c del Grappa, vol. l, Fratelli Treves Ed., Milano, 1921, pagg. da 13 a 22.


334

t'ESERCITO ITALIANO DALt.'UNlT.?.. ALlA GRANDE GUJ::RRA

(1861 · 1918)

neva che occorresse un ufficiale ogni dieci, dodici soldati, all'esercito italiano mobilitato, della forza di oltre un milione di uomini, ne sarebbero stati necessari 90.000. Fortissima era la deficienza dei sottufficiali, anche perché in Libia - oltre alle perdite - molti di essi erano stati nominati ufficiali. Per quanto concerne la truppa, la riduzione della ferma da tre a due anni, adottata nel I9IO, e la conseguente possibilità di incorporare annualmente un contingente maggiore, non aveva ancora portato i suoi frutti e le notevoli esenzioni facevano sì che, in congedo, vi fosse almeno un milione di uomini atti alle armi, privi assolutamente di istruzione militare. Fu un serbatoio al quale l'imprevisto prolungarsi della guerra consentì di attingere; ma alla mobilitazione fra le altre conseguenze, il ridotto gettito di ogni classe creava la necessità di impiegare, a seconda delle armi e dei corpi, da otto a 13 classi per raggiungere gli organici previsti e si pensi ai gravi inconvenienti che portava in ogni reparto, le disparità di età e di addestramento dei soldati, tanto più che i richiami per istruzione erano rari e di breve durata. La Milizia Mobile, che teoricamente avrebbe dovuto costituire l'esercito di 2" linea, ma che veniva impiegata insieme all'esercito permanente, era ancora da costituire: esistevano solo pochi e scheletrici « nuclei )). In fatto di armi, erano disponibili 750.000 fucili mod. 1891, e 1.30o.ooo mod. 1870- 87 (aveva il calibro 10,38 che, più tardi, fu ridotto a 6,35, cioè a quello del (( 91 », con l'introduzione di una nuova «anima» di acciaio nella canna dell'arma), per l'armamento della Milizia Territoriale. Inesistenti le dotazioni di bombe a mano. Del cosiddetto parco d'assedio, non era stato allestito nessuno dei 6 obici da 305, mancavano 6 batterie mortai da 260 e gli affusti a ruote di 8 batterie da 210. Notevoli deficienze quantitative e qualitative si riscontravano nelle artiglierie campali e pesanti campali: 96 batterie da campagna non disponevano ancora dei pezzi Déport a deformazione ed erano armate con il materiale rigido; alcune, esattamente 37, con gli 87 B, cioè in bronzo, non idonee neppure al tiro indiretto; i due reggimenti pesanti campali avevano gli obici, 28 batterie, delle quali solo la metà completa di quadri e cavalli, ma non i cannoni, 12 batterie. Sì sarebbe dovuto avere una sezione mitragliatrici per ogni battaglione di fanteria e per ogni reggimento di cavalleria divisionale e due per ogni battaglione alpini ; invece si aveva la disponibilità complessiva di 15 0 sezioni e, quindi, in media una sezione per ogni reggimento di fanteria (compresi granatieri e bersaglieri) e di cavalleria e per ogni battaglione alpini. La deficienza era dovuta alla ditta Maxim che non aveva consegnato le altre già commissionate,


LA PRF.I'.~RAZIONE

l

DELL'ESERCITO E LO SFORZO MILITARE...

335

dovendo provvedere alle necessità dell'esercito britannico e, fu attribuita a lord Kitchener, ministro della Guerra inglese, la frase: <( Prima di dare mitragliatrici all'Italia, vogliamo sapere in quale direzione dovranno sparare». Mancavano - secondo il promemoria - 2oo.ooo serie vestiario, ma da una nota manoscritta di Cadorna risulta che la mancanza fu poi constatata superiore alle 350.000. Per la Milizia Territoriale erano immagazzinate soltanto tenute di tela e niente cappotti o mantelline: la guerra avrebbe potuto farsi soltanto d'estate. Tralascio di soffermarmi sulle altre deficienze riguardanti 1 servizi (particolarmente gravi per quello sanitario), il carreggio, i quadrupedi, il materiale automobilistico (disponibili, in tutto 40 autocarri completi e 450 telai), le munizioni; arretrato era l'addestramento, non completate le sistemazioni difensive su tutte le frontiere: nord- ovest, nord, nord- est. Solo su quest'ultima erano state in gran parte apprestate le opere di fortificazione permanente. Neppure soddisfacenti erano le condizioni generali delle reti ferroviarie, specialmente nel Veneto, dove la mancanza di tronchi, di raddoppi, di addentramento nelle valli, ostacolava, oltre alle normali operazioni di trasporti di truppe, di rifornimenti, di sgomberi, quelle prevedibili di arroccamento, dì navetta potrebbe dirsi, fra i settori tridentino e friulano. L'amministrazione delle ferrovie, da parte sua, rifiutava di erogare fondi per lavori, argomentando che, trattandosi di esigenze militari, dovesse provvedervi, col suo bilancio, il Ministero della Guerra. Infine, molti reparti, che facevano parte organicamente dell'esercito metropolitano, combattevano in Libia, non v'era divisione che non vi avesse almeno un reggimento di fanteria o bersaglieri e vi si trovavano tutte le sezioni mitragliatrici; non si poteva chiamarli subito in Italia, e alla costituzione di nuovi in Italia ostavano questioni di inquadramento, di armamento, di equipaggiamento. Il quadro, evidentemente, era tutt'altro che incoraggiante, per non dire desolante, per chi era chiamato ad assumere il comando supremo dell'esercito, nel momento in cui (< nell'aere fantasmi insanguinati cercavano la guerra», tanto più che molte delle lacune, come quelle riferentisi ai quadri e all'addestramento, non erano colmabili in breve tempo, anche se vi fosse stata tutta la necessaria disponibilità di fondi finanziari . Ma prima di trarne una qualche considerazione, che contrasta con tali tinte oscure, è opportuno ricordare che quel promemoria ricakava in gran parte quello che, il 30 marzo 1914, l'allora Capo di Stato Maggiore, generale Pollio, aveva presentato all'on. Salandra, nuovo Presidente del Consiglio, che glielo aveva richiesto. Il titolo era (( Cenni su provvedimenti


336

L. I:.SI-.RCiiO TT,\LH'>;() 1:.\LL,U:--IITÀ All\ GR.\Sll.E Gv ERRA

(r86r - 1 9 Jl~)

- --

mdùpcmabili per migliorare le condizioni dell'esercito » c Salandra lo riporta integralmente (3), considerandolo c• il pu11to di partenza dal quale mosse la nostra preparazio11e alla guen·a »- Il documento così comincia: '' Se l'esercito italiano dol'(:sse essere portato all'altez za degli eserciti delle altre grandi potenze europee, pur teneudo esatto conto della differenza numerica esistetJte fra le relatit e popolazioni, occorrerebbe all' Italia compiere uno sforzo grandioso». E sforzo veramente grandioso fu quello necessario per portare l'organizzazione militare italiana al livello soddisfacente raggiunto nel maggto t~n5· Qui torna acconcio considerare che, se l'esercito lamentava indubbiamente gravi manchevolezze, si può tuttavia affermare che era pur sempre un valido strumento di guerra. che avrebbe potuto far sentire il suo peso, se gettato sul piatto della bilancia di uno dei contendenti, già nell'estate 1914. Di tale parere, nel suo intimo, doveva essere il generale Cadorna, che decisamente si pronunciò per l 'intervento in guerra, scontrandosi col Presidente del Consiglio e col ministro degli Esteri, i quali, principalmente per ragioni politiche, erano di contrario avviso. Dal rilevamento di questo contrasto, si deduce che ben ragione ebbe Croce nell'affermare che " più fortunati erano stati i popoli e i governi che la guerra, al primo momento, aveva trascinati nel suo vortice, senza dar luogo a riflettere, a ponderare e a eleggere >>. Salandra disse in Senato che <• se avessimo negoziato la nostra neutralità l'avremmo disonorata » e aggiunge nel suo libro (4) che per impiantare <• una neutralità ricattatrice, noi, oltre l'abbandono di ogni scrupolo morale avremmo dovuto avere nella Valle del Po un grande esercito pronto a rivolgersi a oriente o a occidente ( . ..) ormai tutti sanno che, nell'estate T914, non lo avevamo ». Sta di fatto che, come rileva il generale Bencivenga in un suo acuto, documentato studio (5) l'esercito italiano non si poteva definire strumento imperfettissimo come lo chiama Salandra - poiché era ordinato '' secondo i principi accettati universalmente anteguerra, nel quale le gerarchie funzionavano perfettamente, lo Stato Maggiore contava ufficiali grandemente capaci » e i quadri vantavano ottimi ufficiali; le manchevolezze nel numero, nella qualità, nell'armamento erano oggetto di recriminazione in tutti gli eserciti, (3) A:-~TONIO pag. 30r.

SAL'\NDRA.

La neutt·a!ità italialla, Mondadori Ed., Milano,

(4) A. SALANDRA, op. cit., pag. 18o. (s) RoBERl'O BENClVENG,\, Saggio critico sulla 110stra guerra, vol. I: ,, Il periodo della neutralità », Tipografia Agostiniana, Roma, 1930.

.

~j


LA PREI'AltAZlO~E

J>ELL'ESERCITO E

LO SFORZO

MILITARE • • .

3 37

compreso quello tedesco. Ludendorff lamentava il mancato aumento di fondi invano chiesto fin dal 1912. e insistentemente reclamato ancora, il 5 marzo 1913, dal generale Moltke, che pochi giorni prima dello scoppio della guerra protestava per il diniego ricevuto. Uno scrittore francese, il Monteilhet, a sua volta, critica la preparazione militare della Francia. Il generale Ricotti Magnani, che è stato uno deì più valenti nostri ministri della Guerra, si disse convinto che in periodo di pace potevano essere ridotti gli organici, poiché al momento del bisogno i mezzi per provvedere e riparare sarebbero stati senz'altro reperiti e concessi. Rag1onamento che non appare pienamente accettabile, ma il Ricotti Magnani non è stato il solo a farlo. Cadorna, nell'insistere - come meglio vedremo fra poco - perché venisse indetta senza indugio la mobili tazione generale, contava proprio su quel provvedimento, per superare la res.istenza del ministro del Tesoro Rubini; questi però aveva dichiarato che si sarebbe piuttosto dimesso, ritenendo insopportabile per l'economia italiana il peso finanziario derivante dalle necessità di una guerra; Salandra lo definì << non largo di vedute, ma di rettissima coscienza>>. Un successore si sarebbe comunque trovato e, come difatti avvenne, le assegnazioni di fondi sarebbero state concesse. La mobilitazione generale, se indetta al momento in cui le dichiarazioni di guerra si seguivano l'una all'altra, avrebbe potuto essere considerata una legittima misura precauzionale per salvaguardare la libertà d'azione dell'Italia. Ma è da tener presente che i nostri progetti di mobilitazione, detta « camoscio » (dal colore dei documenti), per guadagno di tempo, prevedevano le rel ative operazioni strettamente intrecciate con quelle per la radunata. Le unità non venivano completate nelle rispettive sedi e poi trasportate nella zona di radunata, ma vi venivano avviate appena indetta la mobilitazione e ivi ricevevano ì complementi e i servizi, per passare alla formazione di guerra. Erano operazioni delicatissime, che qualunque mutamento avrebbe scompaginato; rinforzando, ad esempio un reggimento nella sua guarnigione, bisognava approntare maggiori mezzi di trasporto, treni o navi, che sarebbero stati sottratti ad altre esigenze, d 'onde una reazione a catena. Per questo Cadorna ritenne dannoso il richiamo di due classi e l'acquisto di quadrupedi, disposti dal Governo, ai primi di agosto. Erano stati approntati un progetto di mobilitazione nord - ovest ed uno nord - est, a seconda dell'avversario. Quale dei due si sarebbe dovuto attuare? Segretissi mi erano gli accordi del 10 luglio 1902 fra Prinetti e Barrère, che legavano Italia e Francia a reciproca neutralità, nel caso che una di esse fosse stata oggetto di aggressione, diretta o 22.


338

!.'ESERCITO IT.\LJ.\''-0

DALL.UNIT.~ ALL.\

GRANDE CUeRR\

(1861 • 1918)

indiretta; ignoto, altresì, era il testo completo della Triplice AlJeanza e solo il Governo era competente a dare la giusta interpretazione dell'articolo VII e stabilire il casus foederis; esisteva il Trattato, ad esso erano connessi obblighi militari e, delineatosi un imminente pericolo di guerra, è logico che il Capo di Stato Maggiore, pur ritenendo in cuor suo eh<.: la guerra contro la Francia non si sarebbe fatta, abbia reputato suo stretto dovere mettere l'esercito in condizioni di attuarli: difesa delle Alpi Occidentali e avviamento di un'armata in Germania, per concorrere direttamente alle operazioni dell'esercito tedesco contro la Francia. Accenno appena che si trattava di un progetto impiantato nel 1888 dal generale Cosenz e rielaborato e aggiornato dai successivi Capi di Stato Maggiore dell'Esercito, $aletta e Pollio, in base al quale, giustamente ritenendo inattuabile un'oHensiva in grande stile. a carattere risolutivo, attraverso il profondo, aspro massiccio alpino, si provvedeva, condo i migliori dettami dell'arte militare , a concentrare il massimo sforzo dove era consentito dalle condizioni ambientali e, cioè, sulla frontiera franco- tedesca. Fu quindi disposto che reparti venissero avviati a fine luglio, in copertura, sul confine francese e, il 31 luglio, Cadorna inviò al Re una (\ Memoria sintetica sulla radunata italiana nord- ovest e sul trasporto in Germania della maggior forza possibile», con la quale proponeva che il previsto corpo di spedi7.ione, in Germania, l'armata del Reno, avesse forza superiore a quella prevista - da 3 corpi d'annata portata a ci nque, successivamente a sette - . Rilevo, per inciso, che Cadorna riteneva che, pur con le sue notevoli deficienze, l'esercito era in grado di adempiere al doppio compito di garantire la difesa delle Alpi Occidentali e di contribuire, con notevole peso, alle operazioni offensive sul Reno.

se-

L.o\ DICHIARAZIONE DI l"EUTRALITÀ. Il 3 agosto, la dichiarazione di neutralità lo colse di sorpresa, nessuno gli aveva dt:tto niente; andò subito da Salandra e gli chiese se quella dichiarazione significava non più guerra alla Francia e orientamento e conseguente preparazione alla guerra contro l'Austria. Salandra annuì e Cadorna ordinò immediatamente le contromisure e, cioè, arresto dei movimenti di truppe verso ovest e inizio di quelli verso oriente. Questo episodio, tutt'altro che marginale, denota l'assenza di sintonia fra Governo e autorità militare c rivela la difficoltà, che andò sempre più accentuandosi, nei rapporti personali fra Salandra


LA PREPARAZI0!\1-.

OfLI 'eSERCITO E LO SFORZO \IILITYRE...

J }9

e Cadorna. Condotta politica e condotta militare, anziché due vasi comunicanti, quali avrebbero dovuto essere, si tramutarono in compartimenti stagni e ognuno considerò indebita ingerenza ogni intervento dell'altra. In quel primo colloquio, Cadorna propose che venisse indetta senz'altro la mobilitazione generale, ritornò sull'argomento il 5 agosto, in un convegno al quale intervennero i ministri degli Esteri e della Guerra e il Capo di Stato Maggiore della Marina; insistette vivacemente 1'8 agosto, per la terza volta e, il ro, ne parlò al Re, il quale si limitò ad ascoltarlo, perché ogni decisione spettava al Governo. Seguì una serie di colloqui, dei quali ho trovato cenno in appunti che Cadorna (non risulta che abbia tenuto un diario) scriveva su biglietti volanti. Il 13, presenti il generale Porro e il ministro della Guerra, ebbe un convegno con Salandra, che <c esprime solito sentimento di quietismo c dice che ne parlerà al ministro degli Esteri San Giuliano ». Cadorna annota: <c Approfitto della circostanza per insistere un'altra volta sui pericoli della neutralità. E siccome il pericolo massimo è quello di trovarsi un giorno di fronte ad una Germania e ad un'Austria vittoriose, in accordo probabilmente colla Svizzera, consegue - io dico - che noi dobbiamo aiutare Russia e Francia a schiacciare l'Austria>>. Il 19, altra riunione, a Palazzo Braschi, col presidente del Consiglio e i ministri degli Esteri e della Guerra. <' Vengo interrogato ed espongo a lungo la situazione. Convengo con Salandra e San Giuliano che l'ordine di mobilitazione dato ora suonerebbe guerra all'Austria, ciò che non sarebbe accaduto se ordinato al primo giorno, contemporanean1ente alla dichiarazione di neutralità. Perciò il Governo non può ordinare la mobilitazione (che richiede un mese) senza esporsi ad una dichiarazione di guerra dell'Austria. Perciò è d'uopo attendere che le forze austriache siano fortemente impegnate coi Russi e che ]a bilancia penda in loro danno, per rendere loro impossibile di spostare notevoli forze verso le nostre frontiere. Tutto ciò rende evidente quanta ragione io abbia avuto di insistere fin dal 2 agosto (6) perché venisse effetn1ata la mobilitazione. Dal complesso della discussione durata due ore risulta : 1) che se si addiviene alla mobilitazione il Governo ha in mira di occupare il Trentino e Trieste per averli già in mano alla pace; 2) che esso è del tutto inconscio della impossibilità di attaccare il Trentino, irto di fortificazioni, privi come siamo di parco d'assedio; 3) che non ha alcuna idea della convenienza di fare la (6) In realtà, il 3 agosto.


340

!.'ESERCITO (TALJA:-10 D.\.LL.t.INIT.:\ ALL.\ GMNDE GUERRA

(1861 · 1918)

grande guerra nell'intento dì andare ad imporre la cessione delle province irredente nel cuore della Monarchia austro- ungarìca, d'accordo cogli alleati. Nessun pensiero di risoluzioni audaci. Piccole idee, piccoli uomini >>. Ho riportato per intero quest'appunto, oltre che per il pungente commento finale, che sottolinea lo scarso credito che il futu ro generalissimo concedeva ai governanti, perché mette in evidenza le illusioni di tutti, sull'andamento della guerra ed espone chiaramente il concetto di Cadorna sul ruolo riservato all'Italia. Vi si potrebbe scorgere un accenno di cedimento sulla convenienza di indire la mobilitazione, ma è solo motivo dialettico e forse la sintesi dell'appunto riflette imperfettamente il pensiero di Cadorna; egli riteneva infatti, che il momento fosse ancora buono e non mancò occasione per ribatterlo e insistere col ministro de!Ja Guerra e con San Giuliano. Questi gliene diede l'appiglio, dicendogli che « non possiamo partecipare alla guerra se non abbiamo il 99 % di probabilità di vittoria, perché non possiamo, come nel 1866, esporci a ricevere delle province dopo una disfatta ». Cadorna ribatté che fare la guerra quando l'Austria, sconfitta dagli alleati, non avrebbe potuto opporci un esercito ancora efficiente significava che noi avremmo fatta 11 una eroica guerra contro il vuoto, che gli alleati non sapranno che fare del nostro concorso in quel momento, epperciò non potremo reclamare di pieno diritto alcun compenso e, infine, che faremo la figura di dare all'Austria il calcio dell'asino». Fece seguire, il 27 agosto, un promemoria nel quale esponeva le <• condizioni da richiedersi ai Governi e agli Stati Maggiori delle Potenze della Triplice Intesa per l'intervento delle forze militari in favore delle potenze stesse >>. San Giuliano lo ringraziò, con un biglietto scritto di suo pugno, e promise di interessare Salandra per provocare un colloquio, e la cosa finì lì; anzi il ministro degli Esteri, il 3r agosto, rinnovò ali' Austria assicurazioni sulla nostra neutralità. In quel giorno Cadorna annotò in uno dci suoi biglietti : •< ••• siamo al 31 e non ho akun sentore di convegno. Certamente non fa piacere a quei signori sentirsi dire delle verità che non possono non riconoscere come tali, ma che contrastano terribilmente coi sentimenti imbelli che predominano nell 'animo loro ». Mi fermo, per ragioni di spazio, sugli altri interventi e tentativi di Cadorna; accenno solo a progetti di mobilitazione parziale o ridotta, proposti dal ministro della Guerra, e a un disegno di radunare due o trecentomila uomini nella Valle del Po, che potessero essere agevolmente rivolti ad occidente o ad oriente, progetti tutti energicamente respinti da Cadorna c. del resto, non graditi neppure a Salandra.


L~ t>REPARAZIOKE DELL'ESERCITO E LO SFORZO ~HLITARE. . .

34 l

11 20 seaembre, ultimo tentativo, Cadorna scrive « ... deficienze sono così gravi che se si trattasse di impegnare le nostre sole forze contro quelle di un'altra nazione qual è l'Austria- Ungheria, io non esiterei a dichiarare che non si potrebbe avere affidamento di ottenere favorevoli risultati. Ma riferendomi alla situazione venutasi a delineare ( ...) io credo che si potrebbe entrare in azione con fiducia e con buona speranza di favorevoli risultati. Se non fosse in questa fiducia io non avrei, fin dal 3 agosto, espresso la necessità di addìvenire alla mobilitazione generale ed insistito 1'8 dello stesso mese perché non si indugiasse a prendere provvedimenti)) . 11 22, in una conversazione confidenziale a quattr'occhi con Salandra, durata due ore, discute sulla situazione generale; Salandra vuoi conoscere l'efficienza dell 'esercito e se si può entrare in guerra con speranza di successo, Cadorna ribadisce quanto ha scritto, aggiungendo che a crisi superata « occorrerà smascherare coloro che sono colpevoli di avere ridotto l'Ese1·cito in questo stato e ciò ad ammonimento dei futuri ». Il 26, altra conferenza di tre ore, con Salandra, San Giuliano e i quattro generali designati d'annata, Zuccari, Brusati, Frugoni e Nava. Ma oramai è troppo tardi, una mobilitazione ordinata a flne settembre sarebbe completata un mese dopo, quando l'incombente inverno avrebbe impedito lo svolgersi di operazioni belliche a largo respiro. Merita di essere ricordato che Salandra aveva già deciso di rimandare l 'intervento a primavera, ma né Capo di S.M., né ministro della Guerra erano stati messi a parte di questo intend imen to! Il Re venne informato da Salandra il 30 settembre (7) con una dettagliata relazione. Il 25 settembre, Cadorna aveva inviato una violenta lettera al ministro della Guerra generale Grandi, sulJe condizioni dell'esercito, sulla persistente deficienza di serie di vestiario invernale, soprattutto sullo scarso spirito di collaborazione che il ministro aveva dimostrato nei suoi confronti. Il fatto è che, il giorno prima, il generale Adolfo Tettoni (da Salandra definito ('uomo laborioso, di duro e difficile carattere, ma di perfetta dirittura e integrità >> ), da poco tempo direttore dei servizi logistici e amministrativi del Ministero della Guerra, lo aveva messo al corrente delle enormi manchet,olezze esistenti nei magazzini di mobilitazione, aggiungendo che, non soltanto non erano state tenute nel dovuto conto, ma talvolta addirittura ignorate, le richieste del Capo di Stato Maggiore, e che il disordine amministrativo era tale da non consentire l'esatta valutazione degli ammanchi e, quindi, stabilire la spesa per

(7) A. S ALANDRA, op. cit ., pag. 230.


342

1

L'ESERCITO TT\LI.\~0 lJ.\Ll- UNlT.~ ALL.\ GR.\1\DE GUERRA

(r86r -1918)

eliminarli. Si pensi che il Grandi, il 31 luglio, aveva scritto a Salandra che per il reintegro ed il completamento delle dotazioni del vestiario, ed equipaggiamento sarebbero bastati 12 milioni. Ne cccorsero centinaia c il ministro si prese una severa lettera dal presidente del Consiglio; in seguito a quella ancor più dura di Cadorna, per il quale le infonnazioni di Tcttoni rappresentarono un'assai spiacevole sorpresa, ed alle ulteriori risultanze, il Grandi, 1'8 ottobre, si dimise. Salandra non se ne dispiacque: lo giudicava (( degno di ogni rispetto come gentiluomo e come soldato, ma non adatto a dominare gli uffici da lui dipendenti (...) e ad inspirare loro il fervore di vita c di fede che occorreva »; gli pareva. anzi, che c< il Ministero della Guerra fosse intento a preservare la pace piuttosto che a preparare la guerra! >> (8). Salandra, nelle sue memorie, afferma di essere stato lui a scegliere il successore nella persona del generale Zuppelli, comandante in 2 a dello Stato Maggiore, il quale lo aveva ben impressionato con una precisa relazione sulle reali necessità dell'Esercito, molto efficacemente illustrata e commentata a voce (9). In realtà, Salandra, chiese un nome a Cadorna e questi suggerì il generale Dallolio, cbe però declinò 1'offerta, e allora si ricorse a Zuppelli, il quale, prima di accettare, concordò con Cadorna, di cui era in quel momento diretto collaboratore, le condizioni, soprattutto l"assegnazione di fondi: Salandra accondiscese. Era latente la crisi al Ministero del T esoro e infatti, il 21 ottobre, dopo che il nuovo ministro della Guerra aveva esposto il piano di rafforzamento e di ampliamento del! 'Esercito, che richiedeva maggiori spese per l 'importo di alcune cenùnaia di milioni, e Salandra, pur non pronunciandosi esplicitamente, aveva mostrato di essere d'accordo, l'on. Rubini si dimise; ne seguì un rimpasto del Gabinetto con l'on. Carcano al Tesoro e l"on . Sonnino agli Esteri (il marchese San Giuliano era deceduto il 16 ottobre).

RINUNCIA A.U.'INTERVENTO E INIZIO DELLA MOBILITAZIONE .

Ormai, l'avanzata stagione, tenute presenti la struttura del teatro d'operazioni, le deficienze nell'organizzazione militare, principalissima quella degli indumenti invernal i, e la situazione militare dei belligeranti, sconsigliava di intraprendere grandi operazioni e

(8) A. S ALANDRA, op. cit., pag. 268. (9) A . SALAND1LI, op. cit., pag. 347·


LA T•REJ>ARAZIONE DELL'ESERCrTO

E LO SI'ORZO

Mll.ITi\RE...

343

sarebbe stata << follia mobilitare per rimanere colle armi al piede » ; opportunità, quindi, di utilizzare i cinque, sei mesi, che mancavano alla primavera, per proseguire nella preparazione. Ho parlato più di una volta di mobilitazione e radunata e credo non sia superfluo accennare, sia pure schematicamente, a talune nozioni di carattere generale, trattandosi di questioni d'arte militare, dì solito poco note. Mobilitazione è il complesso delle operazioni mediante il quale le unità vengono completate di uomini, armamento, materiali di vestiario ed equipaggiamento, si costituiscono nuovi comandi e nuovi reparti, previsti negli appositi progetti, sicché a mobilitazione compiuta, l'esercito dal piede d i pace è passato a quello di guerra. Può essere palese, se i richiami sono effettuati mediante manifesti e tutte le operazioni vengono effettuate alla luce del sole o quasi; occulta, se attuate col massimo segreto possibile, ad esempio, i richiamati vengono singolarmente convocati, con cartolina precetto. Con la radunata, l'esercito mobilitato viene riunito in una determinata zona, detta appunto sito di radunata, da dove è pronto a muovere verso lo schieramento per difendere i confini o per attraversarli, in caso di guerra offensiva. Richiede grandi trasporti di uomini e di materiali predisposti minuziosamente con << ordini di movimento l>, che indicano approntamento dei mezzi di trasporto, orari, composizione dei convogli, ecc. Le unità possono essere trasportate, appena indetta la mobilitazione sul sito di radunata ed ivi successivamente completate (era il sistema generalmente seguito, avanti la prima guerra mondiale e, come già accennato, anche dall'Esercito italiano), oppure essere mobilitate nelle normali sedi e poi trasportate sul sito di radunata (era il sistema adottato dalla Germania). Qualunque fosse il sistema seguito, decorreva necessariamente un lasso di tempo, più o meno lungo, per mobilitare e schierare un esercito, e compito degli Stati Maggiori era quello di renderlo quanto più possibile breve, in modo da poter prevenire l'avversario nella difesa o nell'attacco. Anzitutto occorreva assicurare l'inviolabilità del territorio di confine, perché le operazioni di mobilitazione e radunata non venissero disturbate dall'azione nemica. E' chiaro che tutto questo aveva un reale valore nel 1914 - 1915, mentre oggi, l'arma aerea e quella nucleare hanno profondamente mutato, si può dire sconvolto, i termini del problema. La prima protezione si conseguiva con la cosiddetta copertura, lo schieramento in occupazione avanzata, cioè, sul o nei pressi del confine di elementi e di reparti, già sul posto o prontamente mobi~ litati, a sbarramento di vie di irruzione o di penetrazione.


344

L' ESéRCll'O ITALI ANO IMLL\; !"!T.~ ALLA CR,\'=01' C T'ERTU

(1861- 1918)

La nostra mobilitazione nord - est prevedeva che la radunata avvenisse dietro il Piave, frapponendo tutto il Friuli e i suoi fiumi alla possibile offesa nemica. La scelta tanto arretrata dd sito di radunata era imposta, oltre che dai rapporti di reciproca forza militare, dalla rete ferroviaria: mentre l'Austria - Ungheria poteva contare su sette linee ferrov iarie adducenti alla nostra frontiera, noi disponevamo solo di quattro linee per raggiungere il fronte Verona- Legnago- Monselice che rappresentava una strozzatura, oltre la quale, per raggiungere e superare il Tagliamento, erano disponibili due soli tronchi ferroviari: Verona - Treviso- Conegliano- Udine e Monselice- Padova- Portogruaro- Latisana. Dal I9QO, gli sforzi delle autorità militari e ferroviarie mirarono ad aumentare la potenzialità giornaliera di queste linee, per le quali il doppio binario fu completato soltanto durante la guerra. Altro elemento che influiva sulla nostra radunata era la preoccupazione di proteggere il territorio dalle provenienze dalla frontiera svizzera; dovevano provvedervi tre divisioni di fanteria e una di cavalleria, che costituivano il (( Corpo di osservazione alla frontiera nord l> e dovevano dislocarsi nella zona Como - Varese - Milano. L 'XI Corpo d'Armata avrebbe dovuto rimanere in Puglia, per opporsi a possibili sbarchi nemici e costituire una minaccia verso le opposte coste dell'Adriatico, dove eventualmente sbarcare, con l'appoggio della Serbia e dd Montenegro, che si sperava avere alleati. Non era stato studiato alcun progetto di mobilitazione parziale e, nei mesi di agosto e settembre I9f4· furono presi alcuni provvedimenti parziali nel campo della preparazione militare, in deroga ai progetti regolamentari. Dal 3 al 7 agosto, dichiarata la neutralità, il Governo ordinò il richiamo delle classi r889 e r89o e la chiamata alle armi dell'aliquota del 1891, ancora in congedo, della 2 a categoria del r893; autorizzò, altresì, la precettazione di 20.000 quadrupedi e di una parte dei veicoli requisibili . Lo scopo era quello di rinsanguare sul posto i reparti e costituire una riserva di uomini militarmente addestrati; l'intendimento era lodevole, ma veniva in gran parte sovvertito quanto minutamente era stato prestabilito, da lungo tempo. La copertura avrebbe dovuto essere assicurata con lo schieramento sulla linea di confine, in occupazione avanzata (O .A.) di 52 battaglioni alpini, 7 reggimenti di bersaglieri c reparti di cavalleria, genio e della Guardia di Finanza. Ad immediato rincalzo. dovevano disporsi 28 reggimenti di fanteria, x di bersaglieri, 13 di cavalleria e reparti d'artiglieria e genio; tre divisioni di cavalleria sarebbero state spinte oltre Tagliamento, a Udine, Codroipo e Latisana.


LA

PREPARAZIONE

l)l:LL.ESERCITO E

LO SFORZO

\IILIT ~RB .. .

345

Nell'estate 1914· il fatto che l'Austria- Ungheria a\·eva già mobilitato il suo esercito, mentre noi eravamo sul piede di pace, sconsigliò l'applicazione integrale dei progetti di mobilitazione e radunata e la stessa O.A. non poté essere attuata con tutte le truppe previste, la effettuazione era resa più difficoltosa dalla circoscrizione militare territoriale alla frontiera friulana, dove erano stanziate poche unità, scarse di effettivi. Fra il 6 e l't r agosto, si procedette ad imbastire un'ossatura di O.A., costituendo i primi nuclei di copertura, con truppe da montagna, creando i comandi e i presidii di alcune fortezze, ed avviando in altre le compagnie di artiglieria da fortezza prestabilire. Dal 28 agosto, furono portati in Friuli 6 battaglioni alpini e 2 gruppi d'artiglieria da montagna, tolti dalla frontiera tridentina. Mancavano totalmente le truppe di rincalzo, non essendo stata ancora iniziata la mobilitazione. In settembre, venne chiamato alle armi il 1894; si studiò di sostituire il sistema di mobilitazione in vigore con altre norme e nacque la cosiddetta mobi/itazio12e rossa, con la quale la mobilitazione propriamente detta si compiva nelle guarnigioni di pace, separatamente dalla radunata, che veniva iniziata dopo compiuta la prima. Sarebbe andata in vigore il r" marzo 1915; offriva i vantaggi di poter chiamare gradatamente le varie classi, alloggiandole nelle caserme (e non sotto le tende nel sito di radunata), a mano a mano che se ne aveva la disponibilità, di bsciarc al Governo ampia libertà di scelta sul momento di intervento c al comandante in capo di regolare l'afflusso verso la frontiera, secondo l'evolversi della situazione, e di procedere allo schieramento in fasi successive; si aveva anche la speranza di mantenere il segreto sui preparativi militari. Sarebbe stata necessaria una perfetta intesa fra Governo e Capo di Stato Maggiore, in modo che all'azione politica corrispondesse un'adeguata preparazione militare.

iL PIANO DI GUERR.A.. Prima di proseguire nella ricostruzione dei preparat1v1, converrà fare un sommario esame del piano di guerra. Il presupposto fisso e costante che ci ~aremmo trovati soli di fronte all'impero absburgico, militarmente molto più forte di noi e notoriamente ostile, aveva indotto lo Stato Maggiore italiano a studiare piani esclusivamente difensivi, la cui esecuzione era condizionata dall' <' iniquo confine >l del 1866, con la doppia minaccia del saliente tridentino, appuntato verso la pianura veneto- lombarda.• e della v porta aper-


ta >> del Friuli. Alla prima, si ovviava con fortificazioni permanenti , a sbarramento delle varie valli, alla seconda con la cosiddetta « tenaglia del Friuli)), approntando la difesa sulle posizioni CarniaTagliamento, che trovavano appoggio alla sinistra nel << ridotto carnico)> (particolarmente solide le opere di sbarramento dell'alto Tagliamento- Fella, specie quelle di Monte Festa) e in pianura sul basso Tagliamento, con ]e teste di ponte di Codroipo e Latisana. La sistemazione difensiva era soddisfacente, ma Cadorna aveva se mpre pensato che favorevoli circostanze avrebbero potuto consentire di prendere l'offensiva e, ancora nel 1912, mentre era al comando del corpo d'armata di Genova, aveva preparato, di sua iniziativa, una memoria, <• Avanzata dall' lsonzo alla conca di Laibach >> (Lubiana) e, nel marzo, l'aveva mandata al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Pollio. Assunta, a sua volta, quell'alta carica, in un momento in cui pareva che potessero verificarsi quelle tali condizioni favorevoli, riprese alla mano il suo studio e, aggiornatolo, ne fece ]a base del nuovo piano di guerra. Da rilevare che lo Stato Maggiore austro - ungarico non aveva considerata la eventualità di dover combattere contemporanean1ente su tre fronti : russo, serbo e italiano, e non aveva preparato un conseguente piano di guerra. Iniziata la grande guerra e profìlatosi l'intervento italiano, il generale Conrad von Hoetzendorf (che avrebbe voluto assalire l'Italia durante il terremoto calabro - siculo e poi durante la guerra libica) dovette dismettere i suoi intendimenti d'offensiva, sconsigliati anche dal Capo di Stato Maggiore germanico, generale Falkenhayn, e pensare a difendersi. In breve, fra i due antagonisti vi fu un completo capovolgimento di intenzioni. Cadorna, in una visione unitaria dell'immane conflitto, vide l'azione dell'Italia inserita e coordinata con quella degli alleati, o presunti alleati, russi e serbo- montenegrini, e fu questa una delle considerazioni che lo indussero ad assumere atteggiamento difensivo nel Trentino, << mascherando » tutti gli sbocchi dal T irolo, dallo Stelvio al Cadore, ed a lanciare la massa principale dell'esercito italiano oltre l'Isonzo, verso Agram (Zagabria), in vista dell'obiettivo finale, il fronte Vienna - Budapest, che costituiva altresì obiettivo dei Russi . In Trentino, erano previste operazioni secondarie, potenziali minacce al campo trincerato di Trento, attraverso gli altopiani di Tonezza e di Asiago e lungo la Val Sugana oppure offensive parziali in partenza dal Cadore e dall'alto Cordevole verso la linea Bolzano- Franzenfeste (Fortezza)- T oblach (Dobbiaco). L a massa principale marciando fra l'impervi a catena montuosa delle Karavanke, a sinistra, e la Sava sulla destra sarebbe caduta,


LA PREPARAZIO:-JE

----

DELL'ESERCITO

E

J,Q

SFORZO

MILITARI:: • • •

3 4J

dopo Lubiana e Zagabria, alle spalle dello schieramento austriaco in Bosnia - Erzegovina contro i serbo - montenegrini e, quindi, proseguendo verso il medio corso della Drava, a valle di Marburgo, avrebbe dovuto puntare sulla zona di Varasdino- Leograd e procedere verso il fronte Vienna- Budapest. Si contava sopra un concorso dei Serbi dalla bassa Sava verso Lubiana e sull'incontro con i Russi che, varcati i Carpazi, si prevedeva sarebbero discesi nella pianura ungherese. Alle armate venivano fissati i rispettivi compiti, con le direttive del I 0 settembre 1914 (perfezionati con le varianti del r" aprile r9r5): alla r•, atteggiamento strategico difensivo attorno al saliente trentina, integrato con energiche azioni locali, per migliorare la sistemazione difensiva ; alla 2 " e alla 3\ il compito principale offensivo. La 4\ in Cadore, e la (( Zona Carnia >> costituivano cerniera fra le due ali de!Jo schieramento e dovevano rispettivamente concorrere alle azioni del Trentina e a quelle verso l'aho Isonzo; era previsto che scendessero nelle valli Rienza, alta Drava, Gai!, per tagliare la strada di arroccamento fra lo scacchiere tridentino e quello isontino. Delle 35 divisioni di fanteria, che costituivano l'esercito mobilitato (questo era il numero previsto dei vari progetti di mobilitazione e mai mutato fino ai primi mesi di guerra), 14 venivano schierate dallo Stelvio al Cadore e alla Carnia, 14 destinate all'azione principale e 7 tenute in riserva strategica. In caso di favorevole sviluppo degli avvenimenti, le truppe della (( Zona Carnia >> e parte di quelle della 4.. Armata avrebbero dovuto concorrere all'offensiva principale e rappresentare l'ala sinistra del fronte d'attacco VillachVarasdin; era adombrata la possibilità che, con l'aggiunta di altre forze, costituissero una 5" Armata. Si tenga presente che il piano, in apparenza ambizioso, aveva come fondamento basilare, indispensabile, il concorso degli eserciti russo, serbo e montenegrino. Viene a questo punto da domandarsi: sarebbe stato possibile entrare in guerra, con probabilità di successo, ancora entro il settembre r914? Perché Cadorna, dopo avere tanto insistito per l'intervento, si convinse, proprio a fine settembre, di rinviarlo alla primavera del 1915? Sono interrogativi sui quali molto si è discusso e, fra i vari critici militari, mi sembra convincente il parere del generale Bencivenga (ro), che per molto tempo prestò servizio al Co-

(10) R. europea.

op. cit., Capitolo IV: La situazione nell'autunno Lo stato dell'Esercito italiano all'inizio della guerra

B ENCIVENGA,

1914 e Capitolo V:


348

L'ESE.RCI TO IT.~L!A:--10

__

DALL' U N!T.~ ALLA GRANDE GUERRA (1861 - 191R) ...:.._....:...._

mando Supremo, in posti di notevole ìmportanza. Riduco a strettissima sintesi il suo pensiero. Egli sostiene che, nell'autunno 1914, J'intervento dell'Italia avrebbe avuto valore decisivo, anche se per deficienza di dotazioni avessimo dovuto !imitarci a mettere in campo un esercito di mezzo milione di uomini, la metà cioè di quanto previsto. La Russia - che, protettrice degli slavi, contrastò più tardi ogni nostra richiesta - allora sollecitava il nostro intervento, temendo che i Serbi non potessero resistere a lungo. A fine agosto, dopo la battaglia delle frontiere, Francesi e [nglesi, ripiegavano dal Belgio e dalla Francia settentrionale; Parigi era minacciata, venne posta in stato di difesa e il governo si trasferì a Bordeaux. Anche dopo il « miracolo della Marna », la situazione era oltremodo favorevole per valorizzare il nostro intervento, ma il nostro esercito avrebbe dovuto essere già mobilitato e le relative, reiterate proposte di Cadorna, formulate fin dai primi di agosto, come abbiamo visto, non erano state accolte. Eppure, ancora in settembre, il nostro intervento avrebbe potuto avere notevoli risultati, perché gli Imperi Centrali attraversavano un periodo di crisi, e Francia e Inghilterra non avevano forze sufficienti per ricacciare l'invasore oltre frontiera. Fin dal 24 luglio, il nostro governo aveva impostato la questione dei compensi ed era facile per tale via - che fu poi seguita nel 1915 - giungere alla guerra, superando ogni considerazione di carattere etico; ovviamente, non avremmo potuto chiedere compensi se non avessimo contribuito alla vittoria con le nostre forze militari. E le condizioni dell'Esercito? 11 Bencivenga ritiene che abbiano esagerato nella valutazione delle manchevolezze dell'Esercito, sia ]o stesso generale Cadorna, forse, sotto l'impressione del momento e anche per valorizzare la propria opera di preparazione (comunque non dovette ritenere, in cuor suo, la situazione tanto grave se insistette per l'intervento), sia il presidente del Consiglio Salandra, che si basava sul rapporto Pollio, compilato per ottenere una maggiore concessione di fondi e il Bencivenga confuta uno per uno tutti gli argomenti. E' da considerare che neppure 1'Austria- Ungheria aveva potuto adeguatamente prepararsi e si trovava di fronte al problema inedito di una guerra su tre fronti; l'ordine di provvedere all'organizzazione della difesa, sopra una linea accuratamente prescelta e che il Pieri felicemente definisce « confine militare», fu dato al generale Rohr l'n agosto : egli vi provvide egregiamente< iniziando i lavori a fine mese, ed ebbe così dieci mesi di tempo. In settembre, non esisteva che un embrione di sistemazione difensiva e non è azzardato presumere che il nostro esercito, anche con effettivi ridotti, sarebbe riuscito, per lo meno, a superare l'lsonzo in tutta la sua estensione, da Plezzo al mare,


LA PREPARAZIONE

- - -- - - - -

PE!.L.ESER<:ITO F.

LO SFORZO

~IILIT:\RE ...

349

avrebbe impedito l'impianto delle teste di ponte di Tolmino e di Gorizia, sarebbe agevolmente salito sul gradino del Carso e si sarebbe addentrato nell'altopiano. Cadorna aveva insistito, come si è visto, perché l'Italia entrasse in guerra in settembre, ma alla fine di detto mese aderì all'idea, tenacemente sostenuta da Salandra, di rinviare l'intervento alla primavera del 1915, e fondata oltre che sulla situazione militare, quale a lui risultava, sulla conoscenza di documenti riservatissimi, che però non comunicò a Cadorna (n). E, allora, perché questi cambiò la sua opinione? Nelle sue « memorie)> (r2) scrive che, dopo il 24 settembre si vide costretto a constatare che non era più il momento di scendere in campo, quando venne finalmente ~informato, con esattezza, delle gravi condizioni in cui si trovavano i magazzini vestiario ed equipaggiamento, rispetto alle esigenze della mobilitazione, e seppe che il Ministero, fino a quel momento, aveva provveduto e continuava a provvedere esclusivamente alle necessità per una campagna nella buona stagione e non era ancora entrato nel campo pratico della preparazione ad operazioni invernali. Cadorna fece mettere allo studio espedienti per entrare in guerra con un esercito a formazioni ridotte, ma li ritenne tutti inadeguati e li scartò; egli dovette anche tener conto del tempo considerevole che sarebbe occorso per trovarsi in condizioni di operare nelle Alpi e nelle zone attigue, anche d'inverno. Amaramente commentò : c< Era cosa grave dover fare una tale constatazione, ma solo allora, dopo le comunicazioni fattemi, avevo potuto farmi un'idea un po' precisa delle condizioni in cui si trovavano i nostri magazzini». I motivi suespressi sono pienamente accettabili, ma credo di poter aggiungere che la conoscenza della situazione, quale gli fu crudamente esposta dal generale Tettoni, dovette procurarglì un autentico choc; egli rimase amareggiato dall'acquisita certezza che il ministro della Guerra non lo aveva aiutato com'egli si attendeva, si sentì quasi tradito da chi riteneva dovesse essere il suo miglior collaboratore e il suo animo ne fu scosso. -Col nuovo ministro della Guerra, l'opera di preparazione procedette con più vivace impulso, secondo un programma concordato. Il 15 ottobre, egli scriveva alla figlia Maria: « ... per certuni sono divenuto un dittatore! Ma sfido io se, in momenti come questi, e quando c'è tutto da fare, non si accentra tutto nelle mani di uno

(u) A. S ,\LANDRA, op. cit., pagg. 174 e 177. (12) L. CIDORNA, op. cit ., pagg. 47 e 48.


y; O

L'ESERCITO ITALIANO nALL' t;KlTA ALLA CB!'\DE GUERRA ( r86t - 1918)

solo. Per ora mi va tutto a gonfie vele e la mia pos1z10ne sì è rafforzata e ciò è molto importante nell'interesse dell'esercito» (r3). Aveva pienamente ragione; in tempo di pace non esisteva un Comando Supremo avente potere decisionale: la Commissione Suprema Mista di difesa dello Stato aveva il generico compito di « risolvere le più importanti questioni concernenti la difesa dello Stato )), e il Capo di Stato Maggiore presiedeva un organo tecnico subordinato ali' autorità politica ed amministrativa del Ministero. Se Cadoma, con la sua forte, prepotente personalità, sostenuta da sagacia e da una non comune capacità di lavoro, non avesse preso in mano tutta la responsabilità della preparazione, stimolando e spesso scavalcando o sottomettendo il ministro, certamente non si sarebbe conseguito il risultato di avere un esercito sufficientemente pronto nel maggio 1915.

LA ((NEUTRALITÀ ATTIVA )).

Bisognava impiegare bene quei cinque mesi di neutralità attiva », come la definì Sonnino, per tradurre in atto l'idea dell a «mobilitazione rossa», acquistare armi e munizioni, oltre che vestiario ed equipaggiamento, costituire le unità previste dai piani di mobilitazione, rinunciando ad ampliamenti di organici, ai quali si opponevano difficoltà gravissime, conseguire la possibilità di mobilitare 1.500.ooo uomini. Al 1° agosto 1914, le dotazioni esistenti nei magazzini consentivano di mobilitarne meno della metà, circa 73o.ooo; ma in dicembre si aveva già una massa mobilitabile di r.r84.000 uomini ed a marzo tutto il contingente previsto. Con decreti legge, si era provveduto ai quadri accelerando i corsi negli istituti di reclutamento, sopprimendo i corsi complementari e inviando ai reparti gli ufficiali frequentatori, transitando in servizio effettivo subalterni di complemento che avevano combattuto in Libia, promuovendo sottufficiali ad ufficiali e caporali maggiori a sergenti, reclutando altri ufficiali di complemento, sostituendo, negli uffici e nei comandi, ufficiali effettivi con altri, di età avanzata, richiamati dal congedo. La quantità andò a scapito della qualità, ma era scelta forzata: dall'agosto I9I4 al maggio I~)I), l'aumento degli ufficiali fu di 9-412, dei quali 1.188 effettivi, 4·754 di complemento e 3-470 di milizia territoriale. Si ricorse ad acquisti di cavalli nell'America del Nord, fu intensificata la fabbricazione di arm1 e di munizioni (i laboratori pirotecnici di Capua e di Bol(

(13) L. C\DORNA, Lettere famigliari, Moodadori Ed ., Milano, pag. ro3.


LA PREPARAZIO!\E

DELL'ESERCITO

E LO SFORZO

MILITARE. . .

35 l

logna e lo stabilimento di Bardalone, nel pistoiese, lavoravano ininterrottamente, 24 ore al giorno, compresi i festivi) e si ricorse alla collaborazione dell'industria privata, opportunamente trasformata, calcolando di poter avere al I 0 luglio J9I5, una produzione giornaliera di 2.1oo.ooo cartucce. Contemporaneamente si provvedeva all'artiglieria, pezzi e munizioni, incontrando notevoli difficoltà, sia perché non era possibile rifornirsi all'estero, dove i neutrali lavor avano per i belligeranti, sia perché l'industria italiana non era attrezzata per una grande produzione; alla mobilitazione industriale si pensò con ritardo, dopo vive insistenze dello Stato Maggiore. Ho accennato a taluni dei provvedimenti che sfuggivano alla attenzione dei più, pur rappresentando una parte cospicua nell'opera di costruzione di un esercito, e vien quasi istintivo ripetere il detto di S. Paolo: « Le cose che si vedono dipendono da quelle che 11on si vedono >>. I reparti, a mano a mano che si rendevano disponibili le serie di vestiario e di armamento, venivano rinforzati avvicinando i loro organici a quelli di guerra. A tal uopo, nel gennaio 191), venne chiamata alle armi anticipatamente la classe 1895 e Je 2 e e 3e categorie di alcune classi e, dal 5 al 30 gennaio, furono costituiti i reparti di Milizia mobile (M.M.) : 52 reggimenti di fanteria, n battaglioni bersaglieri, 38 compagnie alpini, 23 squadroni di cavalleria, le cui formazioni erano identiche a quelle delle unità dell'esercito permanente come identico era previsto il loro impiego sui campi di battaglia. I comandi di brigata, dì divisione e di corpo d'armata di M.M. furono costituiti ad iniziare dal 27 aprile 1915 e con essi i previsti 13 reggimenti di artiglieria da campagna. Si diede contemporaneamente inizio alla costituzione delle unità di Milizia Territoriale (M.T.): 8 reggimenti alpini (con i battaglioni (( Valle »), r98 battaglioni di fanteria e 9 del genio, II3 compagnie presidiarie. Era in corso, e fu ultimato prima dell'entrata in guerra, il riordinamento organico dell'artiglieria da campagna, riducendo da 6 a 4 i pezzi di ogni batteria. Il I 0 marzo 1915, entrò in vigore la « mobilitazione rossa» e si intensificarono i preparativi; nello stesso mese di marzo si ebbe il timore che gli Imperi Centrali potessero tentare un'invasione del nostro territorio e, per parare all'eventuale minaccia senza destare allarme col richiamo di classi, fu rinforzata l'O.A. assegnandovi quadrupedi e carreggio già precettati, avvicinando al confine unità delle varie armi (r4), già destinate all'O.A. , ma ancora in sede di (14) Complessivamente: 12 reggimenti e IO battaglioni di fanteria, 4 reg-


pace, costituendo comandi c gruppi di sbarramento c trasferendo in zona avanzata i comandi di brigata dei reggimenti già alla frontiera. Il 15 apr.ile, la forza impegnata nell'O.A. ammontava a circa r.p.ooo uom1m. Le singole unità avrebbero dovuto, col nuovo sistema, completarsi nelle sedi di guarnigione e affluire, al momento opportuno, sul sito di radunata, secondo il piano di guerra, aggiornato con le direttive del 1" aprile. Ragioni di ordine politico, obbligarono a modificare quanto era stato prestabilito e mobilitazione e radunata. all'atto pratico, tornarono ad intrecciarsi; la prima non poté essere compiuta in periodo distinto e precedente a quello della radunata e, con una certa urgenza, molte forze furono trasportate sul sito di radunata, non ancora completamente mobilitate, mentre per altre si ebbe la contemporanea attuazione delle operazioni di mobilitazione e di radunata. La zona di radunata era stata notevolmente spostata in avanti, verso oriente; e per la 2 n e la 3a Armata fissate - dietro il Tagliamento, spingendo ciascuna un corpo d'armata al di là di questo fiume, rispettivamente nella zona di Udine e di Palmanova. Venne soppresso il <<Corpo d'osservazione alla frontiera nord)>, poiché apparve assicurata l'inviolabilità della neutralità svizzera, e l'XI Corpo dalla Puglia, nella quale non c'era più da temere uno sbarco austriaco, fu assegnato alla 3a Armata.

MoBILIBZIONE GENERALE.

Il 4 maggio, vennero effettuati altri richiami con cartolina precetto e iniziati i grandi trasporti di mobilitazione e di radunata, che durarono 43 giorni e furono infatti completati il 15 giugno. Il 22 maggio, venne indetta la mobilitazione generale col seguente decreto : <1 Sua Maestà il Re ha decretato la mobilitazione generale dell'Esercito e della Ma,·ina e la requisizione dei quadrupedi e dei veicoli. Primo giorno di mobilitazione il 2 3 corrente mese)> . Prima di esporre quale era la consistenza dell'esercito in quel giorno, torna opportuno accennare ai rapporti intercorsi fra Governo e Stato Maggiore, che non furono così stretti, come sarebbe stato desiderabile per ottenere una perfetta sintonia fra lo sviluppo dell'azione politica e il progresso della preparazione militare, in girnenti di bersaglieri e 3 banaglioni ciclisti, 4 bauerie da campagna, 7 compagnie zappatori e I compagnia telegrafìsti del genio.


LA

PREPARAZIONE DELL'ESERCITO E

LO SFORZO

MILITARE • • •

353

modo da far coincidere dichiarazione di guerra e inizio delle ope· razioni, quando le forze armate fossero già perfettamente a punto. Motivo di disaccordo era già stato lo sbarco a Valona di un reggimento di bersaglieri e di una batteria da montagna. Se ne era parlato in settembre e Cadorna aveva obiettato che sarebbe occorso almeno un corpo d'armata, il quale avrebbe finito col risucchiare altre truppe (come difatti avvenne), e, quindi dispersione di forze, <.Iuando invece ogni sforzo avrebbe dovuto essere concentrato sul teatro di guerra italiano: conseguita la vittoria, ogni questione territoriale sarebbe stata risolta al tavolo della pace. Per motivi d 'ordine politico, il Governo fece occupare, il 30 ottobre 1914, l'isolotto di Saseno e, il 29 dicembre, la città di Va!ona ; Cadorna, che era stato tenuto all'oscuro dell'operazione, protestò energicamente, ottenendo che almeno sì prescrivesse alle forze sbarcate di non allontanarsi dalla costa. Altre e più recise opposizioni, anzi netti rifiuti, dovette esprimere al richiesto invio di truppe in Libia dove la ribellione, sobillata dai Turchi e poi dalla Germania, aveva ridotto la nostra occupazione a pochi e radi presidii, isolati e soggetti a distruzione, come le carovane che avrebbero dovuto rifornirlì. l rinforzi non vennero mandati, ma Salandra e Martini, ministro delle Colonie, non gliene furono grati . Cadorna ebbe la sensazione di non essere tenuto al corrente dell'evolversi della situazione politica e, il rs febbraio 1915, inviò una lunga lettera al ministro della Guerra, con la quale annunziò che gli studi e le disposizioni per la nuova « mobilitazione rossa » erano ultimati e, quindi, il Governo per la fine di febbraio avrebbe potuto fare affidamento su di una mobilitazione indipendente dalla radunata. Proseguiva avvertendo che l'Austria- Ungheria, già mobilitata e con una rete ferroviaria migliore della nostra avrebbe potuto prevenirci; ne derivava la necessità di premunirei e di scegliere il momento opportuno della nostra entrata in azione e, una volta presa la decisione, si doveva procedere senza esitazioni e senza arresti << al corso delle oper-azioni (da me ) predisposte, perché ogni perdita di tempo per noi, costituirebbe per i nostr·i avver-sari un guadagno grandissimo l>. Dopo aver preannunciato l'inoltro di altre proposte, tendenti ad ovviare lo svantaggio del trova.rci noi non mobilitati e per assicurare una rapida ed energica azione offensiva, chiedeva di conoscere se il suo modo di vedere era condiviso dal Governo e concludeva: << Tutto sommato, parmi che in questo momento, in cui così deJicati interessi militari potranno essere in gioco, sarebbe della massima convenienza che io fossi tenuto al corrente della condotta


poliùca, per uniformare a questa la mia condotta militare n. Parole chiare e richiesta legittima, che il generale Zuppelli avrà certamente trasmesso al presidente del Consiglio, senza però ottenere risposta. Intanto. si erano invertite le parti ed era il Governo, particolarmente Sonnino. a spingere alla guerra e Cadoroa a frenare tali impulsi, consigliando di attendere almeno la metà di aprile. Però, non venne informato delle trattative svolte a Londra c neppure richiesto di un parere tecnico; fu colto di sorpresa dalla denuncia del Trattato della Triplice Alleanza, il 4 maggio (ecco il motivo per cui in tale giorno, come abbiamo visto, si diede inizio ai grandi trasporti di radunata) e, l'indomani sera, occasionalmente, seppe dall'ambasciatore De Martino, segretario generale al Ministero degli Esteri, dell'avvenuta firma del Patto di Londra e del nostro impegno a entrare in guerra entro il 26 del mese. Tale obbligo, qualche giorno dopo, fu reso di pubblica ragione dalla stampa francese e la crisi di governo ritardò ancora la possibilità di indire la mobilitazione generale. L'attenzione del prossimo avversario venne richiamata sui nostri preparativi, sicché i provvedimenti presi dal 4 al 23 maggio rimasero tutt'altro che occulti, come sarebbe stato desiderabile. Conseguenza gravissima fu che la mobilitazione generale non era completata allo scoppio delle ostilità e le operazioni in grande stiie poterono essere iniziate solo a metà giugno. 11 28 maggio, la forza complessivamente mobilitata era di circa 8oo.ooo uomini, dei quali 400.000 si trovavano alla frontiera; era un'ingente massa di armati, ma non un'armata organica; solo due corpi d'armata erano mobilitati, altri nove lo furono entro il mese e gli ultimi tre dall'8 al I2 giugno; i servizi giunsero in ritardo e, come accennato, solo a metà giugno l'Esercito italiano era pronto a prendere l'offensiva, quando oramai era andata in fumo la sorpresa, per la quale Cadorna s'era tanto adoperato. La mancanza di un'intima, continua collaborazione fra Presidente del Consiglio e Capo di Stato Maggi ore, fece in gran parte fallire lo scopo della « mobilitazione rossa », quello cioè di portare l'esercito di pace sul piede di guerra, gradatamente, con una metodica, progressiva attuaziom: del.la mobilitazione. che avrebbe consentito di avere una aliquota organica di esercito, e di forza crescente col maturare della situazione, pronta in ogni momento ad operare, e l'O.A., anziché essere rappresentata da un cordone di truppe, frettolosamente ingrossato a seconda delle necessità conùngenti, sarebbe stata organizzata come una grossa avanguardia generale . Non sia giudicato superfluo ripetere che era possibile, e vi fu il timore, che, avviate le trattative per i compensi, l'Austria- Ungheria, accertate le nostre


LA

PREPARAZIQ'It

OiiLl.'ESERCITO

E

LO SFORZO

MIJ.IT\RE...

355

reali intenzioni nei suoi riguardi, rompesse impro,·visamente gli indugi e ci attacca:.se. Ma lasciamo da parte le ,, cose che potevano essere e non furono >> e vediamo qual era l'esercito mobilitato: constava di 4 armate, della Zona Carnia (poi XII Corpo), del Corpo di Cavalleria c delle ((Truppe a disposizione del Comando Supremo)>. Complessivamente comprendeva: T4 corpi d'armata, 35 divisioni di fanteria, 1 di bersaglieri, 4 di cavalleria, 2 gruppi alpini. Ai primi di luglio, a mobilitazione ultimata, la forza dell'esercito di prima linea ascendeva a 31.037 ufficiali, r.o58.ooo uomini di truppa, I I .ooo civili militarizzati, 216.000 quadrupedi, 3.280 automezzi dei vari tipi. I mezzi di armamento erano rappresentati da 76o.ooo fucili, r7o.ooo moschetti, 618 mitragliatrici (309 sezioni), 1.797 pezzi di piccolo calibro (campagna, montagna, a cavallo~ someggiati, contraerei), 192 pezzi pesanti campali; 132 del parco d'assedio (calibro massimo 210 m/m; 6 cannon i da 305 e 24 obici da 280 erano nella Piazza di Venezia). La M.M. era stata inizialmente definita esercito di seconda linea, ma come già accennato, fu impiegata con l'esercito permanente e, per comodità di esposizione, mi riferisco anche ad essa parlando di esercito di prima linea. Per esso vennero mobilitate otto classi, dal r888 al 1895 per la fanteria e gli alpini, dieci classi, dal r886 al 1895 per i bersaglieri e gr an parte dei reparti del genio; le quattro più giovani per la cavaiJeria e sette per l'artiglieria a cavallo; undici dal 1885 per l'artiglieria da campagna e pesante campale, quattordici classi, a partire dal 1882, per l'artiglieria da montagna. Per la M.T. furono chiamate le classi dal r876 al 188I.

Lo SFORZO :'.flLITARE SI NO ALL.AUTUN>SO 1917. Lo sforzo organizzativo era stato indubbiamente poderoso ed esula dallo scopo di quesw studio soffermarsi sul peso finanziario sopportato dalla nazione; basterà a darne un'idea ricordare che il bilancio del Ministero della Guerra, che per l'esercizio 1914 - 15 prevedeva, in cifre arrotondate, 373 milioni di lire per le spese ordinarie e 86 milioni e mezzo per quelle straordinar1e, si chiuse a causa delle spese incontrate per iniziare la preparazione alla guerra - con un passivo di 4 miliardi e mezzo, e che il costo complessivo della guerra venne calcolato io oltre quattrocento miliardi di lire oro. Non mi soffermo, per rimanere nel campo strettamente militare, sulla mobilitazione industriale, alla quale ho già accennato; aggiungo, per memoria, che il generale Cadorna, fin dal


24 dicembre 1914, aveva invitato il capo dell'Ufficio Mobilitazione, nella presupposizione di dover creare nuove unità, a studiare il modo di utilizzare tutte le risorse del paese (15) e il 13 giugno 1915. richiamò l'attenzione dell'an. Salandra sulla necessità di assicurare i rifornimenti nella (( previsione ragionevole che la guerra potesse durare tutto l'anno 1916 )) (r6). Il Comitato Supremo per le armi e le munizioni fu istituito il 9 luglio 1915 ed è doveroso ricordare l'impulso dato nel campo dei rifornimenti di materiale bellico dal generale Alfredo Dallolio, sottosegretario prima e, dal 1917, ministro per le armi e le munizioni, uomo che univa, a non comune resistenza al lavoro, spiccate doti di organizzatore e di suscitatorc di energie. La realtà superò ogni previsione e vicn da ricordare quanto. nel suo Compendio di Storia Militare, aveva scritto Carlo Corsi: 1< Quando si intraprende una guerra, per quanto possa sembrare corta e facile, giova sempre supporla lunga, grossa, disastrosa, e prepararsi ad ogni evento ». Cadorna non l'aveva supposta corta e facile e, al l'inizio delle ostilità, presentò un programma di ampliamento dell'esercito, che contemplava l'aumento di 276.ooo uomini e di 450 bocche da fuoco, ma il Governo, preoccupato delle ripercussioni finanziarie, non lo accolse e così si accentuò il distacco nella preparazione totalitaria del paese fra noi e i nostri avversari, che in guerra già da un anno, procedevano con gradualità e continuità nel processo di mobilitazione di tutte le risorse nazionaJi. Si stentò a tenere a numero le unità combattenti, che subivano ingenti perdite per caduti, feriti c ammalati, e l'aumento dell'esercito fu consentito - ma in misura inferiore a quella richiesta - nel novembre 1915. Persisteva la deficienza di armi portatili (per la classe 1896, erano disponibili n6.ooo fucili e ne accorrevano 228.ooo), bombe a mano, mitragliatrici. Si era appesantita la crisi dei quadri per le forti perdi te di ufficiali, specie inferiori. che si erano esposti al fuoco con coraggio ed inesperienza; l'affrettato reclutamento di ufficiali di complemento portò alla testa dei reparti giovani entusiasti, ma pressoché privi di addestramento; con macabro umorismo vennero chiamati (<allievi cadaveri )) . Furono istituiti corsi per militari di truppa presso le unità mobilitate e obbligati a frequentare appositi corsi, in zona di guerra e in territorio, i militari di truppa in possesso di elevati titoli di studio; ambedue i provvedimenti diedero risultati non troppo soddisfacenti dal punto di vista qualitativo.

(r5) L. c.~ooRN .., op. cit., pag. 76. (16) L. CAOOR'<A, op. cit., pag. 6).


LA

PREI'ARAZTONE

DELL'ESERCITO E

LO SI'ORZO

MILITARE...

357

Grave la crisi delle artiglierie e delle munizioni, tanto che solo nel marzo 19r6 fu possibile ripianare le perdite dei pezzi di piccolo calibro, ma non si poté provvedere prontamente per quelli di medio calibro, poiché erano di fabbricazione tedesca e in Italia mancavano i macchinari; nell'ottobre 1915, erano saltati in aria per scoppi prematuri quasi la metà degli obici pesanti campali, 55 su II2 esistenti. La dotazione di munizioni era scarsa, al di sotto di quella già bassa, con la quale eravamo entrati in guerra, poiché nel 1915 il consumo, 3-340.000 colpi d'artiglieria e 26o.ooo bombe a mano e da fucile, aveva superato la produzione. In sintesi, i primi dieci mesi di guerra crearono uno stato di crisi - fenomeno del resto comune ad altri eserciti - che si riuscì a superare a fine inverno, quando la collaborazione fra Comando Supremo e Ministero della Guerra divenne strettissima e il Governo assecondò lo sforzo delle autorità militari. Furono mobilitati altri 8oo.ooo uomini, richiamate le classi dal 1882 al 1888 per l'Esercito permanente e la M.M. e le aliquote ancora in congedo di quelle dal 1876 al 1881 per la M.T., vennero altresì ritirati alcuni battaglioni dalla Libia. Furono costituiti : I9 brigate di fanteria, 3 reggimenti di bersaglieri, 26 battaglioni alpini; i reggimenti di artiglieria da campagna salirono da 49 a 52 (complessivamente 390 batterie), le batterie da montagna passarono da 50 a 82 e quelle someggiate da r8 a 76; le pesanti campali, dalle 12 iniziali, divennero 98 (40 di obici da 149, 42 di cannoni da 105, 16 di cannoni da 102). Notevolmente incrementate furono la specialità da fortezza e l'artiglieria del parco d'assedio che, nel 1916, poté disporre di 59 batterie di grosso calibro, 403 di medio calibro, 94 di piccolo calibro. La contraerea, inesistente all'inizio della guerra, poté disporre di 22 batterie, 315 pezzi isolati, 292 mitragliatrici, 4 treni blindati. Nel 1916, la guerra accentuò il suo carattere di guerra di materiale, tendendo alla sua forma estrema di guerra totale. Sul campo di battaglia, si era affermato il trinomio trincea- reticolato- mitragliatrice, una solida corazza che stroncava ogni velleità di manovra . Per sfondarla, occorreva distruggere l'ostacolo passivo, diminuire a colpi di artiglieria la capacità di resistenza della difesa aggrappata al terreno, per poi soverchiarla a colpi di battaglioni. Alla prima necessità si cercò di ovviare con un'anna avente scarsa penetrazione nel terreno e grande potere dirompente in superficie, e nacque la bombarda. Sorse una Scuola bombardieri a Susegana e il nuovo corpo ebbe inizialmente la forza di 900 ufficiali e 34.000 uomini di truppa, con 172 batterie di vario calibro (poi ridotte a 157, per eliminazione di alcuni tipi dimostratisi poco efficienti).


358

L'ESERCITO IT.\LI \NO D'\LL'UNITÀ ALL.~ CRANDE C U.ERM

(1861 - 1918)

Per l'addestramento dei mitraglieri e la costituzione di compagnie mitragliatrici, da prima destinate ai comandi di brigata e poi, cresciute di numero, assegnate ai reggimenti, furono istituiti un Reparto Mitraglieri FIAT a Brescia, con armi fornite dall'industria nazionale, ed uno Saint- Etienne a Torino, con armi di fabbricazione francese. Nel 1916, l'esercito mobilitato era articolato su 5 armate, 20 corpi d'armata, 48 divisioni di fanteria (delle quali I in Albania c 1 in Macedonia), 4 divisioni di cavalleria (2 delle quali appiedate). Nell'anno, furono sparati quasi 8 milioni di proiettili di artiglieria. 177 mila di bombarde. 4 milioni e mezzo di bombe a mano e da fucile. Le battaglie di quell'anno e quelle nel 1917, del maggio, dell'Ortigara e della Bainsizza- Carso, aprirono vuoti paurosi negli effettivi de !l 'Esercito, mentre sul nostro fronte 1'Austria- Ungheria poteva rovesciare quasi tutto il peso della sua potenza militare, libera da preoccupazioni sul fronte russo, a seguito della rivoluzione, e sul fronte balcanico, dopo la scomparsa dell'esercito serbo. Bisognava colmare quei vuoti e creare nuovi reparti; l'Italia fu letteralmente spremuta di uomini: roo.ooo uomini delle classi meno anziane vennero passati dalla M.T. all'esercito di campagna, fu abbassato il limite minimo di statura per l'idoneità, anticipata la chiamata del 1898 e chiamata alle armi la 3.. categoria di ogni classe (cioè, i giovani esenti dal servizio militare per speciali condizioni di famiglia); gli esoneri furono riveduti e limitati e vennero sottoposti a revisione i riformati; donne furono impiegate in posti ricoperti da uomini, come postini, spazzini, tranvieri . operai. anche fanciulli lavorarono nelle fabbriche. La disponibilità di uomini e di armi consentì la creazione, nella primavera del 1917. di 8 nuove divisioni, con un totale di 151 battaglioni di fanteria, 52 batterie da campagna, 44 da montagna e someggiate, 166 pesanti campali. Prima della Bainsizza, lo sforzo militare aveva dato i suoi frutti e l'Esercito italiano rappresentava veramente un formidabile strumento di guerra, anche se soffriva di una certa crisi di crescenza, specie per le persistenti difficoltà dell'inquadramento. Critiche, infatti, furono mosse alla formazione di tanti nuovi reparti, poiché alla quantità non corrispondeva la qualità, ufficiali troppo gio,·ani venivano caricati di compiti di comando per i quali non erano abbastanza maturi; si complicava il già grave problema dei complementi, poiché aumentava il complessivo bisogno di personale. Ma la stessa Commissione d'inchiesta per Caporetto riconosce che ~' l'aumento


LA

PREPARAZIONE DELL'ESERCITO E

LO SFORZO MILITARE...

359

nella misura massima compatibile con i nostri mezzi si imponeva))' date le necessità imposte dalle forme assunte dalla guerra. Il massimo sforzo di costituzione di unità, nel concetto di Cadorna, avrebbe dovuto compiersi nell'agosto 1917, in relazione col crollo militare della Russia, ormai chiaramente delineatosi. In effetti, nell'autunno 19r7, i comandi di corpo d'armata erano saliti da 20 a 26, le divisioni da 48 a 65, le brigate di fanteria da 92 a II6, i reggimenti di fanteria da r84 a 238, le brigate bersaglieri da 2 a '5 (20 reggimenti), i battaglioni alpini da 78 a 85; si erano costituite circa 2.000 compagnie mitragJiatrici (su 6 e su 8 armi); 180 batterie di bombarde e 6c; batterie contraerei; si avevano 2.933 pezzi di medio calibro e 5.000 di piccolo calibro, dopo averne sostituiti circa 4.ooo perduti, scoppiati o logorati. Anche il genio ebbe fortissimo incremento : 74 battaglioni zappatori, 8 compagnie lanciafiamme, ]6 sezioni telefonisti, 66 compagnie telegrafisti, oltre a reparti minatori, pontieri, perforatori, radiotelegrafisti. Nel 1917, fino all'ottobre, furono sparati 1 r.215.000 colpi di artiglieria, 26o.ooo di bombarde, lanciate 6.125.000 bombe a mano e di fucile. L'ingrossarsi dell'esercito e la relativa anchilosi manovriera, dovuta alla lunga permanenza in trincea e alla deficienza dell'addestramento, indussero a preparare soldati specializzati per l'assalto e la penetrazione nelle profonde fasce difensive dell'avversario. Fin dal 1916, alcuni comandanti di reggimento avevano creato proprii reparti di « arditi», essi furono i progenitori dei « reparti d'assalto», che diedero ottima prova sul S. Gabriele, nell 'agosto 1917; ai primi di ottobre ne erano stati costituiti 22, ciascuno su 2 o 3 compagnie, dotati di speciale armamento (pugnali, bombe a mano, lanciafiamme, pistole mitragliatrici, ecc.) addestrati in modo spericolato e rischioso, capaci di « arrivare nella trincea nemica assieme all'ultimo colpo di cannone della preparazione».

LA RICOSTRUZIONE l\ULITARE DOPO CAPORETTO.

La XII battaglia dell'Isonzo colpì duramente l'esercito e una grossa parte di esso si disgregò: circa 300.000 morti e prigionieri ed una massa di 350.000 sbandati all'interno. Andarono perduti 3· 152 pezzi di artiglieria, r.7_p bombarde, 3.000 mitragliatrici, 300.000 fucili, 2.000 pistole mitragliatrici, oltre a ingentissima quantità di materiali di ogni genere.


360

L'ESERCITO ITALIANO DALL'IJNlTÀ ALLA CRANDE C UERRA

(1861 - 1918) ~---

Il nuovo Comando Supremo si trovò a dover ricostituire oltre la metà degli effettivi della fanteria, dell'artiglieria e delle bombarde, organizzare la rete logistica, per far vivere e rifornire l'Esercito, ricostituendo i depositi e i magazzini , in gran parte perduti nel ripiegamento. L'opera di ricostruzione, fin dall'inizio affidata alle collaudate capacità organizzative del generale Badoglio, sottocapo di Stato Maggiore, procedette metodicamente e con soddisfacente rapidità. Si erano salvati circa 4.000 pezzi d'artiglieria, 8oo ne fornirono gli Alleati e per il resto provvide l'industria nazionale, che non aveva risentito del disastro di Caporetto; tipico il caso dell'Ansa/do, che aveva già costruito, di sua iniziativa, senza attendere le commesse, alcune centinaia di bocche da fuoco. Furono utilizzati circa 20.000 quadrupedi e 3.000 carri, affluiti ad occidente del Piave, con la massa degli sbandati, Questa massa ingentissima di uomini, che avevano perduto il senso della disciplina, che avevano rotto ogni vincolo organico, che più che ribelle o riottosa apparve opaca, inerte, apatica, rappresentava la maggiore preoccupazione. Orbene, l'opera di « rigenerazione » degli animi si ottenne con facilità e fu confortante constatare che l 'inquinamento morale non era stato profondo; già nei « campi di riordinamento >l, istituiti uno per ogni armata, in Lombardia e nell'Emilia, attorno alle paline con l'indicazione dei reggimenti dissoltisì durante la ritirata, si affollarono i vecchi soldati, miracolosamente rispuntarono le mostrine ai baveri delle giubbe. Dico subito che esclusivamente da guel serbatoio vennero attinti gli effettivi del II Corpo d'Armata, che bravamente si batté in Francia. Vennero impiantati il comando della 2 "' Armata (poi denominata 8") a Lonigo e quello della 5a (poi 9") a Borgo San- Donnina (oggi Fidenza). Quattro corpi d'armata, prontamente ricostituiti, parteciparono alla battaglia d'arresto e ne seguirono altri quattro; ne erano stati preventivati undici, ma bastò formarne otto. Alla fine di febbraio, l'opera di ricostruzione materiale e spirituale dell'esercito poteva dirsi compiuta e la 5" Armata stava già in zona di operazione, con armamento francese, poco alla volta sostituito con quello italiano. Erano stati ricostituiti 104 reggimenti di fanteria e 22 di artiglieria da campagna ed, a metà giugno, quando fu ingaggiata la battaglia del solstizio, l'esercito contava 50 divisioni di fanteria e 4 di cavalleria, di nuovo tutte a cavallo (oltre a 5 division.i francesi e inglesi e ad I cecoslovacca, non ancora impiegabile); disponeva di 7-100 pezzi d 'artiglieria, 2-400 bombarde e 500 cannoni contraerei, con una dotazione di oltre 20 milioni di proiettili. Appena da ricor-


LA

PREPARAZlO:-IE DELL'ESERCITO

E LO SFORZO

MlLITARE. • •

36 I

dare che all'Italia mancò l'aiuto dell 'esercito americano, ridotto a guello pressoché simbolico di un reggimento di fanteria. A Vittorio Veneto, l'Esercito italiano si presentò con 9 armate, che inc1uadravano 24 corpi d'annata (57 divisioni e 104 brigate di fanter ia): v'era una riduzione, rispetto alla consistenza raggiunta neLl'ottobre 1917, riduzione ben compensata, però, dal potenziamento dei reparti specializzati e dei mezzi d'armamento. Erano state costituite altre 300 compagnie mitragliatrici, con complessive 21.000 armi leggere e pesanti, le bombarde erano salite a 4.902; ulteriore incremento aveva avuto l'arma del genio, in tutte le sue specialità. Meritevole di particolare attenzione la costituzione di un corpo d'annata d'assalto su due divisioni, vera p unta di diamante di un poderoso esercito. l colpi d'artiglieria sparati, dal I 0 novembre 1917 all'armistizio, furono oltre 18 milioni, 571 mila quelli delle bombarde, p iù di r I milioni e mezzo le bombe a mano e da fucile. Fuori della Madrepatria operavano il già ricordato li Corpo d'Armata (2 divisioni) in Francia, il XVI Corpo (3 divisioni) in Albania, la 35" Divisione, con effettivi equivalenti a quelli di un corpo d'armata, in Macedonia. In Francia, con provvedimento alguanto criticato, vennero inviati 6o.ooo lavoratori, le cosiddette T.A.I.F., truppe ausiliarie in Francia, inquadrate in 4 raggruppamenti, complessivamente 200 compagnie, che accudirono allo scavo di trinceramento, alla costruzione di ricoveri, baraccamenti, linee ferroviarie, telegrafiche, stendimento di reticolati. Fornirono, altresì, circa 7 .000 complementi al Il Corpo d'Armata. Il panorama dello sforzo militare compiuto dall'Italia, nel momento in cui a Villa Giusti veniva firmato l'armistizio vittorioso, può essere sintetizzato con una sola cifra, quella degli uomini mobilitati, dagli ultraguarantenni della M.T., compresi gli alpini impiegati in prima linea, ai diciottenni del 1900, che si addestravano nei depositi, pronti ad immettersi nel turbine della guerra, qualora se ne fosse presentata la necessi tà, com 'era avvenuto per i « ragazzi del '99 >> . Quasi sei milioni di uomini.



XL ORESTE BOVIO

LE OPERAZIONI DELL'ESERCITO NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE



ORESTE

BOVIO

Colonnello f. s.SM

LE OPERAZIONI DELL'ESERCITO NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE*

Un sia pur rapido esame delle operazioni condotte dall'Esercito durante la prima guerra mondiale (r) non può iniziare senza una breve descrizione del teatro di operazione italo- austriaco perché j] condizionamento operato dal terreno nei confronti della condotta delle operazioni fu nel corso di quel conflitto addirittura determinante. La linea di confine del 1915 era quella, piuttosto sfavorevole, lasciata all'Italia dal trattato di Vienna del 1 66. Tale linea si svolgeva come una grande S maiuscola disposta sulle Alpi Venete in senso orizzontalc, facendo in modo che l'Austria penetrasse nel territorio italiano ad ovest, con un largo cuneo, avente la sua base sulla linea Stelvio- Ci ma Vanscuro (Km 160) ed il suo vertice spinto sul!' Adige fin quasi a Peri (Km r6o dal Brennero e meno di 30 da Verona). Questo largo cuneo naturalmente si traduceva in una • Rielaborazione del saggio apparso sul n. 39/ 1978 della " Revue lnternationale d'Histoire Militairc 11 . (r) La bibliografia relativa alla prima guerra mondiale è \·asussJma, qUJ verranno citate solo alcune opere riguardanti le operazioni militari nel loro complesso: ALDO VALORI, La guerra italo- austriaca, Bologna, 1921; LutGI SEGATO, L'Italia nella gut"rra mondiale, 4 voll ., Milano. 1935: MARIO C.~RAC· CIOLO, L'Italia nella guerm ·m(mdiu/e, Roma, 1935; la grande Storia della guerra italiana, a cura del generale ANGELO CABlATI, 15 voll., Milano, 19341935: RoBERTO BEKCIVENCA, Saggio critico sulla nostra guerra, 5 voli., Roma, 1930 • 1938; UFFICIO STORICo DELLO SME, L 'Esercito italiano nella grartde guerra ( 1915 · 1918 ), 7 voli., Roma, a partire dal 1927 (trattasi della Relazione Ufficiale, di complessivi 35 tomi, non ancora del tutto pubblicata l mancano ancora i tomi dedicati al secondo semestre del 1918 ed alle ope· rnioni in Albania cd in Macedonia 1, strumento indispensabile per lo storico della prima guerra mondiale). Tra le opere apparse nel secondo dopoguerra citiamo: PtERO PtERl, L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918) , Torino, 1~; AA. VV., 1915 · 1918. L'ltalia nella grande gunTa, Roma, 1970; EMILIO FALDELLA, La grande guerra, 2 voll.. Milano, 15)65.


366

L'ESERCITO lTAI.IANO OALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861- 1918)

costante e grave minaccia per il tergo delle forze italiane agenti verso est, mitigata però dalla carente potenzialità de1le strade e delle linee ferroviarie che vi adducevano dall'Austria. L'altra parte della S costituiva il saliente italiano dell'lsonzo, poco pericoloso per l'Austria perché terminava contro i primi contrafforti della grande catena delle Alpi Giulie e contro il primo gradino carsico. Nel suo insieme il teatro d'operazione poteva essere suddiviso in due zone nel senso dei paralleli, la prima a nord, prevalentemente montuosa, e la seconda a sud, pianeggiante. Tra i vari fiumi solcanti la pianura con andamento generale meridiano, il Piave era quel1o che meglio si prestava ad una rapida, economica ed efficace difesa. << Esso costituisce, infatti, un buon ostacolo passivo; offre ottime condizioni tattiche sia per i torti appoggi d'ala sia per il leggero dominio dei terreni di riva destra su quelli di riva sinistra; rappresenta, inoltre, la linea più breve che congiunge il piede delle Prealpi (Massiccio del Grappa- Prealpi Bellunesi) con la zona lagunare » (2). Poiché tutta la parte settentrionale del teatro d 'operazione era costituita da una profonda fascia montana, i cui pochi solchi erano stati inoltre sbarrati con notevoli opere fortificatorie permanenti da entrambi gli avversari, la zona che meglio sì prestava all'impiego di grandi masse era il settore dell'Isonzo. Solo verso questo settore, del resto, erano indirizzate linee di comunicazione stradali e ferroviarie dì sufficiente potenzialità per sostenere operazioni offensive di carattere strategico.

I PlANI OPERATIVI. In previsione dell'entrata in guerra il generale Cadorna aveva concepito un disegno operativo di largo respiro, che avrebbe inserito lo sforzo italiano tra quelli degli Alleati in modo veramente coordinato ed efficace. Cad orna, infatti, aveva stabilito: difensiva sul fronte trentino; offensiva a fondo sul fronte giulio in direzione di Lubiana e Zagabria; eventuali offensive concorrenti dal Cadore e dalla Carnia. Il piano, in apparenza ambizioso, si giustificava con un presupposto fondamentale: il concorso dell'esercito serbo dalla bassa Sava verso Lubiana e dell'esercito russo dai Carpazi nella pianura ungherese. (2) L'E_;ercito italiano nella grande guerra ( 1915 - t9r8 ), voL l, pag. 308.


LE Ol'Elt'\ZlONI DEtL' ESERCll'O NELLA PRIMA G UERRA MOKDIALE

367

Lo schieramento dell'esercito italiano fu attuato di conseguenza: 1" Armata: settore Trentina- Adige, dallo Stelvio alla Croda Grande;

- 4" Armata: settore Cadore, dalla Croda Grande al M. Peralba; - Zona Carnia (Comando autonomo; poi XII Corpo d'Armata alle dipendenze dirette del Comando Supremo): da M. Pera lba a M. Maggiore; 2 " Armata : da M. Maggiore a Prepotto; - 3" Armata (del Carso): da Prepotto al mare. Complessivamente, a radunata effettuata (13 giugno 1915): 5~ battaglioni, 173 squadroni, 512 batterie di cui due quinti schie-

rati a sbarramento dei 560 Km dì frontiera intercorrenti tra lo Stelvio e M. Canin, due quinti sul fronte giulio (70 Km), un quinto m nserva . Per quanto riguarda il piano d'operazione del Comando austroungarico occorre dire che il Capo di Stato Maggiore imperiale, Franz Conrad von Hoetzendorf, in un primo tempo aveva pensato ad un'azione risolutiva contro l'Italia: raccogliere una forte massa nella conca di Lubiana ed aspettarvi gli Italiani per batterli in modo definitivo. Per l'attuazione di questo piano egli aveva richiesto il concorso di IO divisioni tedesche; il rifiuto del Capo di Stato Maggiore germanico, Erich von Falkenhayn, obbligò a cambiare progetto. 11 Conrad stabilì allora di resistere sulle ottime posizioni difensive del confine per logorare le forze italiane con il minimo delle proprie, continuando intanto nelle azioni in corso contro la Russia per sfruttarne il successo. Le posizioni di confine furono quindi solidamente preparate a difesa, completando ed aumentando l'efficienza delle fortificazioni permanenti. Oltre agli sbarramenti montani furono eseguiti grossi lavori sul Rombon, su Monte Nero, alle teste di ponte di Tolmino e di Gorizia e sul Carso. L'esercito austro-ungarico alla fronte italiana, deciso quindi a tenere, almeno per il momento, un atteggiamento difensivo, si schierò così : - Armata del Tirolo, dallo Stelvio al M. Peralba; - Armata della Carinzia, dal M. Peralba all'alto Isonzo; - Armata dell'Isonzo, dall'alto Isonzo fino al mare . In complesso 234 battaglioni, 2r squadroni, 155 batterie, a cui va aggiunto l' Alpenkorps bavarese, dislocato nel Trentino anche


368

L'ESERCITO ITALJ<\NO I>ALL't:ì\" !TÀ ALLA GR\NJ>E CIIERRA (1861- 1918)

se ufficialmente non esisteva ancora stato di guerra tra Italia e Germania (3). Le forze austro -ungariche. numericamente inferiori a quelle italiane, avevano il grande vantaggio di combattere da posizioni naturalmente forti c compiutamente organizzate a difesa, con opere di fortificazione permanente e lavori campali.

lJ.. PRL\iO :\N~O DI GUERRA. Quando l'Italia entrò in guerra, il 24 maggio 191 5, il piano Cadorna era già inattuabile. I Russi , duramente battuti in Galizia, erano costretti ad una pericolosa e profonda ritirata - tanto che gli Austriaci furono in grado di ritirare da quel fronte alcune divisioni, subito schierate in Italia - ed i Serbi, che pur avevano esordito nel conflitto assai onorevolmente, erano caduti in una fase di strana ed inesplicabile inerzia. Venuto così a mancare l'indispensabile appoggio indiretto degli Alleati, le operazioni iniziali italiane ebbero lo scopo più modesto di occupare buone posizioni di partenza, idonee ad agevolare gli ulteriori sviluppi del piano operativo iniziale, al quale non si volle subito rinunciare. Nel settore tremino venne raggiunta la linea Lizzana - Castel Dante- Corna Calda; sugli Altipiani quella dei forti BelvedereCampo Luserna- Cima Vezzena; in Valsugana furono occupate Borgo e Roncegno; sul fronte giulio furono conquistate la conca di Caporetto, la dorsale tra Isonzo e Judrio, l'orlo orientale della pianura friulana ed il M. Jero. Le teste di ponte di Tolmino e di Gorizia rjmascro, però, in mano austr iaca. I combattimenti iniziali non riuscirono, dunque. a procurare gli agognati sbocchi offensivi oltre l'lsonzo e le divisioni italiane dovettero segnare il passo di fronte ad una difesa continua, praticamente insuperabile. Il generale Cadorna ripiegò allora su obiettivi molto più limitati, proponendosi per il momento l'eliminazione delle teste di ponte di Gorizia e di Tolmino, dalle quali l'esercito austro - ungarico avrebbe potuto facilmente muovere all'offensiva. Il 23 giugno ebbe inizio la 1~ battaglia deli'Isonzo che ebbe per obiettivo l'eliminazione della testa di ponte di Gorizia, ope(3) L'Italia dichiarò guerra alla Germania solmnto il Zì agosto 1916. Questa tardiva decisione servì soltanto ad alimentare negli Alleati sospetti c diffidenze.


LE OPERAZIONI DELL' ESERCITO N ELLA PRl~A GUERRA MONDIALE

369

rando in tre settori: le posizioni dì Plava, con obiettivo immediato il M. Kuk; il Carso, per conquistare il San Michele; il fronte della testa di ponte, per impegnare forze nemiche. Gorizia avrebbe dovuto cadere per avvolgimento da nord e da sud. La lotta si protrasse violenta ed accanita per quindici giorni consecutivi, ma il tentativo d i conqu istare il M. Kuk fallì ed il Podgora resisté efficacemente. Più a sud, passato l'Isonzo, gli Italiani stabilirono soltanto i primi sbocchi offensivi a Sagrado, Fogliano, Redipuglia. Fu la prima durissima, sanguinosa prova dell'esercito italiano: I ).OOO perdite, il 6 ~~ delle forze impegnate. Avrebbe dovuto apparire chiaro, dopo questa prima battaglia, che anche in Italia, come già da mesi in Francia e nelle Fiandre, la continuità del fronte, saturo di truppe, e l'equilibrio tra le forze contrapposte imponevano la guerra di posizione. Tutti, militari e politici, erano però ancora convinti di poter rompere il fronte nemico e di poter passare alla guerra di movimento. Nessuno aveva allora valutato appieno la superiorità della difesa, imperniata sul binomio reticolato - mitragliatrice. Dopo soli undici giorni di tregua, infatti, il 18 luglio, i combattimenti ripresero su tutto l'Isonzo. Concettualmente, questa seconda offensiva italiana era la prosecuzione della precedente. Lo sforzo maggiore venne esercitato nel settore della 3"' Armata e, per la prima volta, si ebbe un robusto impiego di artiglierie pesanti contro le posizioni del San Michele e di San Martino. Gli attacchi erano diretti : alla conca di Plezzo, alle teste dì ponte di Tolmino e di Gorizia, al Carso. La conca di Plezzo fu in gran parte conquistata; nella zona di Tolmino fu ampliata l'occupazione del Monte Nero e preso il Rombon. Gli Austriaci riuscirono, però, ad impedire ogni progressione in direzione di Tolmino. L 'attacco italiano si rivolse, allora, verso le alture di Santa Lucia e di Santa Maria, ma non riuscì ad occuparne le vette. Contro Gorizia si tentò di procedere da Plava verso i] Monte Santo; ma la violenza dei contrattacchi avversari arginò ogni progresso. Più a sud, sulle colline di riva destra dell'Isonzo davanti a Gorizia, gli Italiani rimasero aggrappati alle pendici del Sabotino, del Peuma, del Podgora, a strettissimo contatto con le munitissime trincee avversarie, senza riuscire a raggiungerle. Sul Carso, fu occupata la linea che dalle falde del M. San Michele, per l'orlo orientale del Bosco Cappuccio, giunge a M. Sei Busi. Enormi furono i vuoti creati da questa seconda battaglia : 42.000 le perdite itaJiane, pari quelle austro-ungariche .


3 70

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNJT.Ì. 1\LI.J\ GRANDE GUERRA ( 1861 - 1918)

Dal 18 ottobre al 4 novembre e dal 10 novembre al 2 dicembre si svolsero ancora sul fronte giulio la 3" e la 4~ battaglia dell'Isonzo. Queste operazioni, analoghe alle azioni intraprese sul fronte francese, furono decise dal Comando italiano per alleggerire la pressione esercitata dagli Austro- Tedeschi e dai Bulgari sugli eserciti russo e serbo. Il 6 ottobre era infatti iniziata l'offensiva austro- tedesca contro la Serbia e l'n la Bulgaria, alleata degli Imperi Centrali, aveva anch'essa attaccato in Macedonia, determinando il collasso dell'esercito serbo. « Si poteva star fermi quando il mondo ci guardava, la Russia e la Serbia reclamavano che, muovendoci, le sollevassimo, ed i Francesi più dissanguati di noi attaccavano? » . Così scrisse molti anni dopo il senatore Alberrini (4) smentendo coloro che attribuivano al solo generale Cadorna la responsabilità di tante offensive, auspicate invece allora non solo dagli Alleati ma anche dalla stampa e dal Governo. Le due battaglie si possono considerare fasi distinte di un unico atto operativo, tendente alla conquista del medio Isonzo e delle alture ad esso sovrastanti, con obiettivo principale Gorizia. In un mese e mezzo di lotte sanguinose (n6.ooo fu rono le perdite italiane e 70.000 quelle austriache), la 2 "" e la 3" Armata riuscirono ad intaccare il sistema difensivo avversario, ma non ad infrangerlo. Nello stesso tempo gli Italiani svolsero, con discreto successo, una serie di operazioni locali nel Trentino e nel Cadore. Di rilievo l'occupazione del Col di Lana, importante osservatorio austriaco dominante la Val Cordevole.

Le grandi operazioni italiane del 1916 furono sei : la s" battaglia dell'Isonzo, combattuta per venire in aiuto dei Francesi impegnati a Verdun; l'offensiva austriaca nel Trentino e la conseguente controffensiva; le battaglie dell'Isonzo 6", 7\ 8" e 9". Di esse rivestono grande importanza: la battaglia del Trentino e la 6" battaglia dell'Isonzo, che portò alla conquista di Gorizia . Il 1915 era stato per gli Imperi Centrali particolarmente favorevole su tutti i fronti. Ai primi del 1916 i capi militari austro tedeschi giudicarono la situazione ancora propizia per loro, tanto (4) LuiGI AtBERTINI, Venti anni di politica italiar1a, vol. U, pag. Bologna, I953·

IO),


LE OPERAZIOKl D ELL ESERCITO l'E LLA PRIMA GUERRA MO!'<))[ALE

37 I

da ritenere di poter infliggere un colpo decisivo sia alla Francia sia all'Italia. Si accordarono perciò affinché l'esercito tedesco puntasse su Verdun e quello austriaco su Vicenza. La decisione di attaccare attraverso gli Altipiani, per scendere nella pianura vicentina e cogliere alle spalle le armate italiane schierate sul fronte della Venezia Giulia, realizzava un antico progetto del Capo di Stato Maggiore austriaco, Maresciallo Conrad. Per poterlo eseguire con maggiori possibilità di successo furono richiamate dal fronte orientale le migliori unità austriache, circostanza della quale approfittò poi la Russia per attaccare gli AustroTedeschi ed infliggere loro una pesante sconfitta (Lutsk, giugnoluglio r9r6) (5). Nonostante molti segni premonitori, il generale Cadorna non volle credere ad un'offensiva austriaca nel Trentino sia per la difficoltà di far manovrare e di rifornire molte truppe su quel terreno sia perché riteneva le due linee ferroviarie del Brennero e della Pusteria insufficienti a riportare tempestivamente le forze austriache del Trentino alla fronte orientale, qualora i Russi avessero attaccatO. « Il generale Cadorna ragionò vagliando situazione, possibilità ed esigenze dal punto di vista dello stratega avversario, ma non tenne conto della particolare mentalità del Conrad, che da un'offensiva dal Trentino aveva fatto fin dal tempo di pace la creatura preferita e le attribuiva le più brillanti prospettive, insensibile anche al parere contrario del collega tedesco, il Falkenhayn, la cui opinione coincideva con quella di Cadorna )) (6). Nonostante la sua incredulità Cadorna prese le dovute precauzioni: rinforzò la 1" Armata ed emanò direttive perché venisse attuata una difesa ad oltranza sulla linea di resistenza principale, linea che avrebbe dovuto essere scelta su posizioni non a contatto del nemico e forti per natura . Soltanto nell'imminenza dell'attacco austriaco egli si decise però ad ispezionare di persona il settore minacciato. Quando si avvide che l'armata non aveva attuato lo schieramento in profondità, ne sostituì il Comandante, gen . Roberto (5) l Russi attaccarono quando l'offensiva austro- ungarica nel Trentino era ormai fallita. Il generale tedesco von Crarnmon, ufficiale di collegamento tra lo Stato Maggiore tedesco e quello austriaco, nel suo volume Quattro anni presso il Quartit:~· Generale austriaco, pag. 91 (Palermo, 1924) così scrisse: 1< Tengo per certo che non fu l'intervento dei Russi sul fronte orientale che fermò l'offensiva austriaca nel Tirolo meridionale; questa aveva raggiunto il suo punto culminante prima dell'offensiva dei Russi, ma non avrebbe potuto essere continuata che gettando numerose truppe fresche, e non ve ne erano>>. (6) EMruo FALDELLA, op. cit., vol. I, pag. r85.


372

L'ESERCJTO !T/\L!A~O D.'\LL'UN lTÀ ,\LLA GRANDE GUERRA

(1861 · 1918) ---

Brusati. con il « generale Pecori- Giraldi gentiluomo del patriziato fiorentino, spirito calmo e intelligenza vivace e pronta » (7). Ma ormai era tardi per modificare lo schieramento. Sette giorni dopo, il rs maggio, dopo una violenta preparazione di artiglieria iniziata il giorno 14, duecento battaglioni austro-ungarici, appoggiati da oltre I .)OO pezzi di artiglieria, si avventarono sulle posizioni avanzate italiane poste tra l'Adige e il Brenta. La sinistra italiana (Val Lagarina e Val Terragnolo) dové a mano a mano retrocedere fino al Pasubio- Coni Zugna, dove il 20 ogni avanzata austriaca era arrestata definitivamente, dopo continui e violenti ma inutili attacchi al Passo Buole ed al Pasubio ; così pure fu perduto l'Altipiano di Tonezza, e il nemico arrestato fra la Barcola e il N ovegno. Analogamente avvenne alla destra, in Val Sugana, che, più lentamente, ripiegò fino alla Caldiera - Monte Cima- Cima d 'Asta. Il 20, infine, gli Austriaci attaccarono il centro, fra l'Astice- e il Brenta, in direzione del Monte Verena e Cima di Campolongo; superate le prime resistenze e quelle sulla linea Portule- Mosciagh, gli Austriaci giunsero sino quasi al margine dell'Altipiano di Asiago. Ma la salda resistenza alle ali, incuneando l'attacco austriaco, ne diminuì l'impeto. Intanto il Comando italiano, mentre inviava numerose forze (circa 90 battaglioni) per rinsaldare la difesa frontale e per effettuare contrattacchi sulle ali del saliente, preparava con agile concezione una potente massa di manovra (Sa Armata, su 5 corpi d'armata e I divisione di cavalleria) in piano, con cui eventualmente affrontare il nemico, se fosse sboccato. Questo non avvenne. Dopo nuovi e violenti attacchi l'offensiva nemica si esaurì contro le posizioni più arretrate di Coni Zugna, Pasubio, Novegno, Cengio, Maso e, il 3 giugno, a 18 giorni appena dall'inizio della battaglia che avrebbe dovuto segnare la fine dell'esercito italiano, Cadorna poteva annunciare che l'offensiva era stata arrestata su tutto il fronte. Le truppe italiane passarono quindi alla controffensiva - 14 giugno - e in meno di un mese gli Austriaci furono di nuovo ricacciati ben dentro la zona montuosa tridentina, dopo aver abbandonato importanti centri come Arsiero ed Asiago. Il grande pericolo della << calata » austriaca nella valle del Po \ . era cos1 scongiurato. La difesa di quelle vitali posizioni, costata all'esercito italiano circa 75.000 uomini, fu resa possibile da una delle più brillanti manovre per linee interne di tutta la guerra. (7) Pzuo PIERT, op. cit., pag. 97·


LE OPERAZIONI DELI... ESERCITO NELL;\ PRIMA G UERRA MONDIALE

37 3

Nell'arco dì soli undici giorni, infatti, gli Italiani riuscirono a trasferire, dal fronte giulio a quello trentino, 84.. 000 uomini e 21.000 quadrupedi mediante l'impiego di 214 convogli ferroviari; altri 15.000 uomini furono fatti affluire per via ordinaria, utilizzando circa 1.000 autocarri. A questo movimento, notevole in relazione ai tempi, seguì, a distanza di giorni, quello opposto per ripristinare la situazione precedente, una volta superata la minaccia dal Trentino. 24.000 carri ferroviari e r.ooo autocarri trasportarono al fronte giulio una massa di circa 300.000 uomini, con il relativo armamento. L'offensiva austriaca provocò la caduta del governo Salandra, battuto in Parlamento dai neutralisti che avevano rialzato il capo, approfittando della delusione popolare per la guerra lunga e difficile. Il prestigio del generale Cadorna non fu invece scosso, anzi ben presto aumentò; subito dopo la strenua difesa degli Altipiani iniziò~ infatti, la 6"' battaglia dell'Isonzo (4 - 17 agosto) : la vittoriosa battaglia di Gorizia. Il concetto d'azione prevedeva due attacchi principali ai due lati del campo trincerato di Gorizia e cioè sulle alture dal Sabotino al Podgora e dalla cima del San Michele a Doberdò. Una azione diversiva fu sferrata, con adeguato anticipo, nel settore di Monfalcone. La battaglia costò perdite assai gravi: 5r.ooo Italiani e 42.000 Austriaci, ma il sacrificio italiano venne, questa volta, compensato dalla conquista di posizioni ritenute inespugnabili: il Calvario, il M. San Michele, il Sabotino ed il 9 agosto le truppe italiane entrarono in Gorizia, cogliendo un successo che elevò lo spirito ed il morale dell'esercito e della Nazione. Anche all'estero il successo della 6"' battaglia dell'lsonzo destò grande impressione, tanto che la Romania, da tempo incerta tra neutralità e belligeranza, si decise finalmente ad entrare in guerra a fianco delle Potenze dell'Intesa. Seguirono, nel breve giro di due mesi, dal r4 settembre al 4 novembre, tre consecutive battaglie che ebbero lo scopo di logorare sempre di più l'esercito austro -ungarico e che tendevano alla conquista di posizioni idonee ad aggirare da sud le alture orientali di Gorizia e da nord l'Hennada. Dal 14 al r6 settembre furono espugnate dagli Italiani le alture di San Grado; dal ro al 13 ottobre essi raggiunsero le falde occidentali del Pecinka; dal I " al 4 novembre pervennero alla conquista totale del Pecinka e del Faiti. Sui monti, due offensive sul Pasubio, nel settembre e nell'ottobre, fruttarono agli Italiani la conquista dell'Alpe di Cosmagnon,


37 4

L'ESERCITO ITALJAI'O UALl. 'u:>~ITÀ .·\LLA GRANDE. Gt:ERRA (r86r · rgr8)

mentre sulle Alpi di Fassa, con ardite scalate e brillanti azioni di sorpresa, essi conquistarono posizioni ritenute imprendibili come il Cauriol, il Gardinal, il Colbricon e la Busa Alta. Terminava così il 1916 senza che sì fosse giunti per gli Italiani a risultaù decisivi, nonostante i sempre maggiori sforzi dell'esersìto e del Paese, duramente coinvolto in una guerra sempre più divoratrice di uomini e di ricchezze. Tali risultati erano rimandati al 1917, anno nel quale, secondo quanto convenuto nella 4a Conferenza di Chantilly del novembre 19r6, si sarebbero dovute sviluppare violente offensive contemporanee su tutti i fronti dell'Intesa. Nel maggio 1917, infatti, mentre era ancora in corso, nello scacchiere occidentale, fra Soissons e Craonne, la grande offensiva di primavera, il Comando Supremo italiano decise di appoggiarla indirettamente, attaccando lungo tutto il fronte isontino. L'azione si sviluppò da.l 12 al 28 maggio, dando vita alla IO" battaglia combattuta sull'Isonzo. Due corpi della 2 a Annata attaccarono il Kuk, il Vodice e il Monte Santo. La lotta si protrasse sino al giorno 22 e sì concluse con l'occupazione dei primi due monti e delle pendici del terzo. Attratte in tale direzione le riserve austriache, la 3• Armata iniziò, il giorno 23, un violento attacco da Castagnevizza al mare. Riuscì a portarsi fìn oltre la linea di Flondar, ma il giorno 28 l'azione si esaurt.' Successivamente, dal IO al 29 giugno, l'esercito italiano condusse una operazione di attacco nel settore degli Alùpiani, la battaglia dell'Ortigara, conclusa senza alcun risultato positivo e con il passivo di gravissime perdite (26.ooo uomini), specie nelle truppe alpine. Questa battaglia mirava a migliorare la situazione sul fronte trentino, in vista del già previsto successivo sbalzo in profondità sulla Bainsizza perché, come scrisse lo stesso Cadorna, « quanto più con la nostra avanzata ci andavamo allontanando dalla pianura vicentina oltre l'Isonzo, tanto più aumentava il pericolo derivante dal saliente trentino >> . Molti critici hanno fatto carico al generale Cadorna di questa e di altre offensive, altrettanto povere di risultati. Ma queste battaglie rientravano in quella visione strategica, concordata con gli Alleati, che postulava il logoramento del!' avversario, un logoramento che solo operazioni offensive erano in grado di conseguire. Subito dopo, allo scopo di migliorare l'andamento delle posizioni sulla sinistra dell'Isonzo, fu decisa dal Comando Supremo italiano una azione offensiva (u" battaglia dell'Isonzo) che avrebbe


LE OPERAZIONI DELL.ESERCITO NELLA PRIM ... GUERRA ~IO!'<Ili:\LE

J 75

dovuto conseguire l'occupazione dell'Altipiano della Bainsizza fino al Vallone di Chiapovano e la conquista dell'Altipiano di Comen, oltre l'Hennada. L'offensiva, simultanea nei due settori, durò complessivamente dal 17 al 31 agosto e conseguì qualche risultato. La 2 " Armata varcò l'lsonzo ed attraverso estenuanti e sanguinosissimi attacchi, protrattisi per dieci giorni, riuscì a penetrare nell'Altipiano della Baìnsizza per una profondità di circa 8 Km senza, tuttavia, raggiungere il risultato di scacciarvi del tutto l'avversario. La 3a Armata ottenne, invece, solo modesti successi, spostando di poco il fronte in avanti nei pressi dell'Hermada. Fu questa, l'ultima battaglia offensiva dell'esercito italiano sul fronte isontino. Le perdite italiane erano state veramente spaventose : 40.000 morti, I08.ooo feriti e I8 .soo dispersi. L'esercito italiano si andava così sempre più logorando e nei reparti combattenti si affievoliva la speranza di poter alla fine aver ragione della barriera di roccia e di ferro che gli stava di fronte. La sproporzione tra le perdite subìte ed i piccoli vantaggi territoriali conseguiti era sempre più evidente_, tanto che nelle trincee correva un motto amaro per definire la guerra: « massimo sforzo col minimo di risultati » . Altri avvenimenti, inoltre, di carattere politico avevano contribuito nel corso del 1917 ad affievolire Jo spirito combattivo dei reparti italiani. Nell'interno del Paese era andata sempre più crescendo ia marea del disfattismo, alimentata anche da alcuni esponenti del partito socialista (8) e non efficacemente combattuta dal ministero Boselli; papa Benedetto XV il 9 agosto aveva esortato i governi deJle Potenze belligeranti a mette~:e fine alla guerra, definita « una inutile strage»; l'esempio dell'esercito russo, che in pratica aveva posto fine al conflitto rifiutandosi di combattere, suggestionava ]e masse; la crescente penuria di cibo incrementava il malcontento popolare con ripercussioni che a Torino (22 · 25 agosto) furono di eccezionale gravità. I combattenti furono scossi da questi fatti e Cadorna indirizzò al Presidente del Consiglio ben quattro lettere di protesta, senza peraltro ottenere una valida risposta ed attirandosi, per contro, l'ostilità implacabile di Vittorio Emanuele Orlando, ministro degli Interni. (8) « Il 12 luglio l'onorevole Treves dichiarava alla Carriera che i socialisti volevano pace senza annessioni né indennit~ mentre da tutte le fronti si levava una sola voce : il prossimo inverno non più in trincea. Frase che ebbe una vasta ripercussione e giunse fino alle trincee l) . PI ERO PIERI, op. cit., pag. qr.


376

L' ESERCITO IT.\ LIANO DALL'U~lT.~ ALLA GRANDE GL'ERRA

(r861- 1918)

·-- - -

Anche l'Austria- Ungheria cominciava però ad accusare seriamente il peso dei colpi che si erano abbattuti su di lei . Si sentiva ridotta a mal partito ed aveva la certezza che non avrebbe potuto ulteri.ormente sostenere, nelle sue condizioni di logoramento generale, altre offensive d.ì analoga potenza ed intensità. Il 25 agosto 1917, quando l'n"' battaglia sull'Isonzo era ancora in pieno svolgimento, il Comando austriaco decise di far appello alla Germania incaricando il generale Waldstatten di presentare ufficialmente la richiesta al Comando tedesco. Grave umiliazione per il giovane imperatore Carlo, ma egli era ben consapevole che il suo esercito non avrebbe retto ad un altro colpo d'ariete ! Maturò, così, il concorso delle forze germaniche a sostegno di quelle austriache sul fronte giulio. La inattività sullo scacchiere francese, dopo il fallimento dell'offensiva Nivelle e gli ammutinamenti che ne seguirono, ed il crollo pressoché totale dell'esercito russo, diedero luogo ad una disponibilità, sia pure temporanea, di riserve tedesche da impiegare a favore dell'Austria, nell'intento di far massa contro l'Italia e ridurla alla resa. Sette divisioni tedesche furono fatte affluire in Italia e costituirono, con 8 divisioni austriache, la 14 .. Armata, al comando del brillante generale tedesco Otto von Below. Paradossalmente, proprio le offensive italiane provocarono lo scatenarsi di un colpo tanto violento l Il generale Cadorna, informato, peraltro con poca precisione, dei preparativi austro- tedeschi rinunciò all'intenzione di effettuare alcune operazioni offensive per migliorare l'andamento del fronte e, il r8 settembre, ordinò alle annate 2 " e 3" di assumere atteggiamento difensivo: «il continuo accrescersi delle forze avversarie sulla fronte giulia fa ritenere probabile che il nemico si proponga di sferrare quivi prossimamente un attacco ... Tenuto conto di ciò, della situazione dei complementi e del munizionamento, entrambe ben note a V.A.R. (V.E.) decido di rinunciare alla prospettata operazione offensiva e di concentrare ogni attività nelle predisposizioni per la difesa ad oltranza ... » (9). Mentre il Duca d'Aosta, comandante della 3" Armata, si attenne alle disposizioni, il generale Capello, comandante della 2", credette più opportuno far mantenere alle proprie truppe uno schieramento offensivo, convinto di poter così più facilmente passare alla controffensiva. Cadorna, piuttosto scettico de] resto sull'entità dello sforzo austriaco, non si curò di controllare che quella ed altre sue diret-

r(l,

(9) Ordine n. 4470 riportato dal generale L UIGI CAPELLO in Note di guer· vol. II, pag. 305, Milano, 1920.


LE OPEMZ!O"!'I! DELL'ESERCITO NELLA PRnfA GUERRA MOKDlALE

377

tive fossero attuate e, di conseguenza, la 2" Armata fu sorpresa dall'offensiva nemica con uno schieramento del tutto inadatto (ro). L'attacco austro- tedesco iniziò il 24 ottobre, alle 2 di notte, con una violenta preparazione di artiglieria. All 'alba, la r2" divisione germanica, sboccata da Tolmino, sfondò la linea italiana e, percorrendo la valle dell'lsonzo, a tergo della difesa avanzata, raggiungeva Caporetto alle ore 15. Al seguito di questa divisione, il corpo alpino tedesco nella giornata conquistò tutta la regione orientale del Kolovrat, caposaldo della difesa di seconda linea italiana. Il movimento delle prime due unità germaniche fu immediatamente seguito da altre 5 divisioni. Alla sera del 24 ottobre era stata già aggirata la destra della r"' e 2 a linea di difesa, da Tolmino a Kolovrat, e superato il centro della 3" linea a Caporetto. L'indomani gli Austro- Tedeschi diedero ampio respiro alla loro manovra oltrepassando J'Isonzo a Saga e spingendosi verso Monte Maggiore. A nord, la 10" Armata austriaca mosse verso il Tagliamento; al centro, le truppe al seguito della I2a divisione tedesca da Capo retto raggiunsero la cresta laterale del Matajùr; l'ala sinistra del dispositivo d'attacco nemico puntò dal Kolovrat sulie strade di Cormons e di Cividale. Superate, nelJa giornata del 26, quasi tutte le posizioni difensive montane, la 14" Armata, sboccata in pianura, puntò su Cividale, mentre la ro"', a nord, raggiunse la valle del Fella. Il Gruppo · Armate Boroevic iniziò anch'esso l'offensiva sul Carso. Alle ore 2 del 27 ottobre il Comando Supremo italiano ordinò il ripiegamento generale. Era stata scelta, quale prima linea di resis tenza, quella del Tagliamento; ma poi si constatò la necessità di ritirarsi sino al Piave. Su questa linea si portarono, seguendo l'alta valle del Piave, la 4" Armata e il Corpo della Carnia. Forti e salde retroguardie e le divisioni di cavalleria diedero protezione al movimento dei resti della 2" Armata e dell'intera 3" Armata che correvano il grave pericolo di essere prevenuti ed aggirati dal nemico, incalzante sul Tagliamento. Su questa linea fu imbastita una prima difesa, che resse l'urto dal 31 ottobre al 4 novembre e una seconda resistenza fu opposta sulla linea della Livenza, tenuta sino al giorno 8 novembre. (10) Sul dissidio concettuale rra Cadorna e Capello sono stati versati fiumi di inchiostro. Cfr., per tutti, N ovELLO PAI'AFAVA : Badoglio a Caporetto, Torino, 1923; Da Caporetto a Vittorio Veneto, Torino, 1925; Recenti t·ievocazionj della battaglia di Caporetto, Padova, 1951; Comiderazio-n.i sulla battaglia di Capo-retto, Padova, 19(}1.


.Kella giornata del 9, tutte le truppe superstiti avevano rag· giunto la sponda destra del Piave, dove una parte dell'esercito ita· li ano si era schierata per far fronte all'invasore. Il Comando austriaco decise di proseguire ulteriormente l'offensiva, sino alla totale distruzione dell'esercito italiano. La battaglia d'arresto si sviluppò in due fasi: dal IO al 26 novembre e dal 4 al 30 dicembre. Nella prima gli Austro-Ungarici attaccarono lungo il Piave e il 12 novembre riuscirono a penetrare nell'ansa di Zenson, ma non poterono avanzare oltre. Il 16 novembre passarono il fiume anche a Fagarè, ma, contrattaccati, ritornarono indietro. ~el basso Piave riuscirono a far arretrare la linea difensiva a sud di Musile, lungo la Piave Vecchia, il Sile, a Cavazuccherina e Cortellazzo. Nonostante questo successo locale, l'offensiva lungo il Piave fallì e non fu più rinnovata. Durissima fu la battaglia sull'Altipiano dei Sette Comuni e sul Grappa, dal 12 novembre in poi. Sull'Altipiano un estremo tentativo di sfondare, effettuato il 22 novembre alla presenza dell'imperatore Carlo, fu nettamente respinto. Sul Grappa divisioni austro-ungariche e tedesche della 14" Armata reiterarono per più giorni violenti attacchi : esse riuscirono soltanto ad impadronirsi, dopo strenua lotta, di alcune posizioni avanzate e il 26 novembre il Comando Supremo austro -ungarico ordinò la sospensione dell'offensiva. Frattanto erano state riordinate alcune divisioni c fu possibile al Comando Supremo italiano di procedere alla sostituzione di molte delle truppe che erano state in linea nelle tragiche giornate della disperata difesa. Tra il 4 e il 5 dicembre poi alcune divisioni francesi e inglesi entrarono finalmente in linea fra il M. Tomba e il Montello, in un settore contro il quale gli Austro-Ungarici però non effettuarono più attacchi (1 1). Il 14 dicembre l' n • Armata austro-ungarica dette inizio alla seconda fase atlacc~mdo, con 43 battaglioni e 500 cannoni, le Melette, difese dalla 29" divisione italiana con 2I battaglioni e 160 cannoni, e riuscì a impadronirsene, costringendo la difesa a inflettcre la linea su Col d'Echele, Col del Rosso, Monte Va!bella. L 'II dicembre la 14" Armata austro- tedesca riprese l'offensiva sul Grappa: se con durissima lotta essa riuscì a porre piede su Col della Berretta, Col Caprile, Monte Asolone, Monte Spinoncia. non poté però sfruttare questi limitati successi e l'ultimo attacco, sfer· (x r) Le divisioni francesi ed inglesi incominciarono ad affluire in Italia sin dal 30 ottobre, ma furono dislocate, per ordine dei loro governi, sulla linea del Mincio.


LF. OPERAZI0::-11 DELL'ESERCITO NELLA PRI~A GUERRA MOKDIALE

379

rato il 19 dicembre, si infranse contro le difese italiane, rese insuperabili dal valore dei combattenti. Un ultimo sussulto offensivo si ebbe sull'Altipiano, dove si svolse la r< battaglia di Natale >>. Il 25 dicembre il lii Corpo austro-ungarico attaccò con 33 battaglioni e s6o cannoni il XXII italiano. che disponeva di 24 battaglioni e 200 cannoni. Riuscì ad impadronirsi di M. V al bella e di Col d'Echele, ma la difesa si consolidò sulla retrostame linea Cima Echar- Monte Mel ago- Pizzo Razea. La dura battaglia si concluse col confessato disappunto degli Austro- Tedeschi e con i loro primi insuccessi: già il 30 dicembre la 47"' divisione francese riconquistò la dorsale fra M. Tomba e il Monfenera ed il 31 le truppe austro-ungariche che erano nell'ansa di Zenson dovettero ripassare it Piave in fretta e furia, sotto l'incalzare dei fanti italiani. La battaglia di Caporetto costituì indubbiamente per l'esercito italiano un doloroso insuccesso, che si ripercosse, immediatamente ed in modo assai grave, sull'intera N azione. La perdita subitanea del Friuli, della Carnia, del Cadore - terre italianissime e densamente abitate - di 300.000 uomini, di 3.ooo pezzi di artiglieria e di tutti i magazzini di materiale bellico dislocati tra Isonzo e Piave, fu un colpo gravissimo. Il generale Cadoma fu sostituito, la 2 " Armata fu sciolta ed i suoi comandanti messi sotto inchiesta, incominciarono in Italia polemiche e diatribe ancora oggi, a più di sessanta anni dagli avvenimenti, non sopite del tutto. Storici e studiosi, militari e civili, ancora dissertano sulle cause della sconfitta (12). Le principali questioni che, quali ricorrenti motivi, si sono intrecciate nella storiografia della battaglia di Caporetto, sono: se le cause della sconfitta siano prevalentemente di ordine morale o di ordine militare, cioè strategico - tattico; se le prime siano essenzialmente politiche, e quindi da imputarsi al Governo soprattutto per l'insufficiente freno posto al dilagante « disfattismo » provocato e diffuso dai partiti politici contrari alla guerra, oppure disciplinari, (I2) A parte la memorialistica, molto abbondante come si può facilmente immaginare, sono fondamentali sull'argomento: il tomo terzo del IV volume della Relazione Ufficiale dell' UFFICIO STORico DELLO SME. i già citati scritti del PAPA FAVA ed il II volume dell'opera del FALnELLA . fnteressanti anche due pubblicazioni dovute a storici non professionisti : l so11zo 1917, Torino, 1965 di MARIO SrLvr;STlU e Caporetto dalla parte del vincitore, Milano, 1974 di GIULIO

F ADI N l.

ll governo, inoltre, nominò il 12 gennaio 1918 una Commissione d'inchiesta, che terminò i suoi lavori dopo un anno e pubblicò una sua relazione conclusiva in tre volumi.


ossia attribuibili all'alta gerarchia miiitare e consistenti nel malgoverno degli uomini , provocatore della stanchezza, dell'avvilimento, delle ribellioni delle truppe; se le cause strategico- tattiche siano di carattere generale, cioè coinvolgenti il Comando Supremo ed il Comando della 2 " Armata, oppure siano prevalentemente di carattere locale, ossia coinvolgenti gravi responsabilid1 dei comandanti inferiori. Con qualche insistenza si è manifestata anche la propensione storiografìca a trascurare il fatto militare e ad escludere le responsabilità dei vari disfattismi per considerare. invece, Caporetto come la massima prova della presunta debolezza italiana in confronto a tanto sforzo bellico. Ma tale orientamento storiografìco, oltre ad essere determinato dalla pregiudiziale di voler accusare di grande imprudenza coloro che condussero l'Italia a quella guerra, ha il grave difetto di non tener conto che la guerra 1915- 18 non si è chiusa con il crollo di Caporetto, ma con la vittoria di Vittorio Veneto. Obiettivi limiti di spazio non consentono un lungo discorso sull'argomento. E' possibile tuttavia affermare che le cause principali della rottura del fronte furono di carattere militare (schieramento delle truppe e delle arùglierie non idoneo alla difesa, errata dislocazione delle riserve settoriali, mancanza di adeguate riserve di scacchiere, poca reattività di alcuni comandi di fronte ai nuovi procedimenti tattici usati dalle truppe tedesche, defìcienù collegamenti del Comando Supremo) anche se non possono escludersi cause di carattere morale, presenti peraltro più nei reparti delle retrovie che nelle truppe in linea. Due punù, però, debbono essere ben chiari: - solo l'andamento geografico della linea di confine tramutò un insuccesso di ordine tattico in una sconfitta di carattere strategico; - Caporetto rappresentò per l'esercito italiano un episodio sfortunato, al quale - da solo e rapidamente - seppe porre rimedio. La ritirata al Piave, infatti, voluta e condotta con freddezza e lucidità dal generale Cadorna (fu sostituito dal generale Diaz il 9 novembre, giorno nel quale la ritirata si concluse). fu un fatto esclusivame.:lte italiano, come fu un fatto esclusivamente italiano la successiva vittoriosa battaglia d'arresto. Conclusa la battaglia d'arresto. mentre il Paese intero sosteneva, con un grande sforzo produttivo, il Comando Supremo nell'opera di totale riorganizzazione dello strumento militare, l'eser-


LE OPERAZTO!-IT DE LL. ESERC!l'O NELLA PRIMA GU ERRA MO!'J)lJ\LE

38 l

cito italiano non rimase inattivo. Poiché la linea di resistenza all'estremità orientale dell'Altipiano dei Sette Comuni dopo la battaglia di Natale era in una situazione precaria, fu organizzata una azione offensiva dal 28 al 30 gennaio, vittoriosamente conclusa con la riconquista della linea M. Valbella- Col del Rosso- Pizzo Razea. Analoga rettifica della linea di contatto fu compiuta nel maggio, nel gruppo dell'Adamello, dove furono conquistate Cima Presena, Cima Zigolon e quasi tutta la cresta dei Monticelli. Con questa « battaglia dei tre monti >> ebbe veramente inizio la ripresa italiana. Caporetto era stato soltanto un episodio. Nel marzo, infatti, iniziatasi in Francia la grande offensiva tedesca, 4 divisioni francesi su 6 e 2 britanniche su 5 poterono venir ritirate dal fronte italiano senza provocare alcun problema; anzi, al fine di dimostrare la fratellanza d'armi raggiunta tra gli Alleati, un Corpo d'Annata italiano venne inviato in Francia. L'argomento sarà ·ripreso in seguito.

LE ULTIME BATl'AGLIE.

Gli Imperi Centrali con l'offensiva dell'autunno 1917 non erano riusciti a mettere fuori causa l'Italia. Pur cercando di tenere ostinatamente in rispetto gli avversari, intuivano che il tempo giocava a favore dell'Intesa e che si imponeva, quindi, per essi una rapida risoluzione della guerra, da ricercarsi con grandi offensive strategiche. Questa la ragione determinante dell'offensiva austriaca del giugno I9I8, preparata con lar ghezza di mezzi e con ogni accorgimento in campo tecnico e morale, tanto da suscitare in capi e gregari la più assoluta fiducia nel successo. Lo stesso von Arz, nuovo Capo di Stato Maggiore dell'esercito imperiale, si era così espresso : « Come risultato della nostra offensiva, io mi riprometto lo sfacelo militare dell'Italia », e i generali austriaci avevano preparato il bastone di Maresciallo da offrire all'imperatore Carlo, a conclusione della vittoria. Il piano operativo austro - ungarico prevedeva : sforzo principale a cavallo del Brenta, tendente a sfondare rapidamente il fronte montano, raggiungere la pianura ed avvolgere le unità impegnate nella difesa del Piave; contemporaneo attacco del Gruppo Armate dell'Isonzo in direzione Treviso - Mestre, con primo obiettivo la linea del Bacchiglione. Un attacco al Tonale, accompagnato da diversioni nelle Giudicarie e in Val Lagarina, doveva precedere le altre operazioni allo scopo di fissare parte delle forze italiane.


382

L'ESERCITO ITALII\KO DALL.UNIT.~ AL LA GRA!'.'DE Gt;ERR:\

(1861 ·1918)

Piano operativo razionale, che avrebbe potuto consentire all'esercito austro - ungarico lo sbocco in piano dopo una sola giornata di combattimento, ma l'antagonismo fra Conrad, comandante del settore montano, e Boroevic, comandante del Gruppo di Armate della pianura veneta, ciascuno dei quali intendeva avere l'onore dell'azione decisiva, lo trasformò in due attacchi condotti con forze pressoché equivalenti. Le forze austro - ungariche erano cosÌ schierate : -

Gruppo Maresciallo Conrad : IO" Armata, dallo Stelvio all' Astico: IO divisioni di cui 2 in riserva d'Armata; IIs Armata, dali'Astico a Fener: 23 divisioni, di cu.i 8 in riserva d'Armata; 4 divisioni in riserva di Gruppo;

-

Gruppo Maresciallo Boroevic: 6• Armata, da Fener ai ponti della Priula: 6 divisioni, di cui 2 in riserva d'Armata; 1 divisione in riserva di Gruppo; 5~ Armata, dai ponti della Priula al ·mare: 15 divisioni, di cui 4 in riserva d'Armata; I divisione in riserva di Gruppo.

Complessivamente: 6o divisioni, di cui 50, dali' Astico al mare, destinate all'attacco e 7.500 bocche da fuoco di tutti i calibri, alle quali l'esercito italiano contrapponeva s6 divisioni di fanteria ('50 italiane, 3 britanniche, 2 francesi, I cecoslovacca), delle quali 19 in riserva; 3 divisioni di cavalleria; 7.053 pezzi di artiglieria. Le forze erano così articolate : - t Armata, dallo Stelvio al Garda : 4 divisioni; I a Armata, dal Garda a Sculazzon : 8 divisioni; - 6" Armata, da Sculazzon al Brenta: 9 divisioni; - 4" Armata, dal Brenta a Ponterobba: 7 divisioni; - 8" Armata, da Ponterobba a Palazzon : 3 divisioni; - 3" Armata, da Palazzon al mare: 6 divisioni; - 19 divisioni in riserva generale : 10 a diretta dipendenza del Comando Supremo> 9 presso le Armate; - 3 divisioni di cavalleria a disposizione del Comando Supremo. All'alba del 12 giugno si scatenò un violento fuoco di artiglieria sulle posizioni italiane della Armata. Era l'inizio di quell'azione dimostrativa ad ovest dell'Astice, affidata all'Armata del geo . Krobatin (wa), con la quale il Comando austriaco - nei tre

t


LE CPERAZIONJ Oi:.LL.'ESERCITO t'ELLA P RIMA GITERR \ MCI'Int \LE

38 3

giorni previsti dal suo piano operativo - si ripromctteva di fissare le forze italiane ad ovest del Garda c di espugnare buone posizioni per future operazioni in Lombardia. L'efficace fuoco di contropreparazione e di sbarramento delle artiglierie italiane e l'intensa reazione delle mitragliatrici stroncarono, fin dall'inizio, ogni velleità degii Austriaci, che inutilmente attaccarono anche sul fronte del Tonale il giorno successivo. L'attacco diversivo si risolvette così in un deciso insuccesso. Alle ore 3 del 15 giugno l'artiglieria austriaca iniziò il bombardamento del fronte dall'Astico al mare, con eccezionale intensità. Ma già si era scatenato. con estrema violenza, il fuoco di contropreparazione italiano. Furono gli Austro - Ungarici, che avevano ritenuto di sorprendere, a dover subire una grave sorpresa tattica e gli effetti non tardarono a rivelarsi: il bombardamento, pur di grande violenza, si dimostrò subito impreciso e disordinato, e le fanter ie, mosse all'attacco fra le 7 e le 8, non dimostrarono quell'impeto e quel mordente sui quali il Comando austriaco aveva tanto fidato. Nella giornata del rs le truppe dell'II& Armata austro- ungarica avrebbero dovuto sfondare le linee italiane, dalla Val d'Assa alla Val Frenzela, ma tutti gli attacchi si infransero invece contro la fascia di resistenza. Eguale sorte toccava agli Austriaci tra Brenta e Piave. In questo settore, inizialmente, essi riuscirono sulla sinistra ad occupare Col del Miglio, Col Fagheron, Col Fenilon e Col Moschin e, con tre poderosi attacchi al centro, riuscirono ad avere ragione della resistenza italiana a q. 1503 di M. Coston, ad espugnare M. Pertica e ad ottenere qualche risultato fra M. Solarolo e M. Medata. Ma con questi attacchi, sempre vigorosamente contrastati, l'esercito imperiale esaurì il suo impeto. A sera. il Fagheron, il Fenilon, q. 1503 di M. Coston e q . rs81, tra il Grappa e il Pertica, erano tornati in mani italiane. Nella zona del Piave, che il comando austro-ungarico aveva suddiviso in due settori, corrispondenti alle Armate ivi schierate., maggior importanza era stata conferita alla !oca lità del Montello, dove si concentrarono quasi tutte le forze della 6" Armata austrounganca. Gli Austriaci fecero largo uso di lacrimogeni e di nebbiogeni che, con la caligine del mattino, costituirono una fittissima nebbia di oltre 20 metri di altezza e riuscirono a passare sulla destra del fiume, malgrado la forte reazione della difesa. La breccia aperta permise alle truppe austro- ungariche, nelle prime ore del pomeriggio, di impadronirsi del saliente del Mon-


tello, fin quasi al ciglio meridionale di esso, mentre un tentativo di puntare da Nervesa verso i ponti della Priula fu infranto. Verso sera, comunque, l'attacco era già stato contenuto. Nell'altro settore del Piave gli Austriaci, verso le 9, riuscirono a costituire sulla destra del fiume due piccole teste di ponte, a Fagarè ed a Musile. Nel complesso, il primo giorno dell 'offensiva austro-ungarica era stato avaro di risultati. n giorno 16, l'esercito austro-ungarico tenne sul fronte montano contegno difensivo, evidentemente scosso dalle perdite subite nel giorno precedente, e sferrò nuovi attacchi sul Piave, intesi ad allargare le teste di ponte. Ma l'urto fu dovunque rintuzzato dalla reazione italiana, pronta ed efficace. Nella giornata del r;, sull'Altipiano di Asiago gli interventi furono limitaù a duelli di artiglieria. Sulla sinistra e al centro del settore del Montello, la lotta sostò; invece, sulla destra, (hvampò accanita per tutta la giornata. Sul basso Piave un poderoso attacco austriaco, partito da Zenson e dall'ansa di Gonfo, riuscì ad avere ragione della difesa ed a congiungere le due teste di ponte in corrispondenza di Ponte di Piave e S. Donà. Ma la caparbietà con la quale l'esercito austro - ungarico reiterava i suoi attacchi nella speranza di aprirsi la strada su TrevisoMestre, doveva servire soltanto a falcidiare sempre più le sue forze. Già la sera del IJ, infatti, ogni pressione era cessata sul Grappa, gli attacchi sul Montello erano stati contenuti ed il fronte sul Piave era più che mai saldamente tenuto dai reparti italiani. Il giorno 18, tuttavia, il Comando austriaco, in un estremo sforzo, impegnò le sue riserve in un rinnovato attacco che non conseguì però alcun vantaggio. L'insuccesso riportato dall'esercito imperiale nel settore montano, la sua più che manifesta impossibilità di sfondare nel settore del Piave, la grave usura subìta dalle sue forze in quattro giorni di aspra lotta, determinarono la decisione del Comando Supremo italiano di passare, il giorno 19, alla controffensiva. ei giorni successivi, infatti, la potenza di fuoco delle artiglierie e lo spirito di sacrificio della fanteria italiana provocarono il definitivo collasso dell'esercito austriaco, che nella notte sul 23 iniziò la ritirata oltre il Piave. Nei giorni seguenti l'esercito italiano sfruttò il grande successo ottenuto con una serie di azioni locali, durate fino al 15 luglio, che permisero non solo di ristabilire completamente in tutti i settori la


LE OP.ERAZION! DELL' ESERCITO NELLA PRIMA GUERR1\ .MQ~;J)(,\LE

-----

385

situazione precedente all'offensiva austriaca, ma anche di migliorada, specie sul basso Piave. La battaglia del Piave, costata agli Austriaci 150.000 uom1m e 90.000 agli Italiani, fu una grande vittoria italiana, la prima conseguita nel 1918 da un esercito dell'Intesa e preluse alla fine vittoriosa della guerra. Per gli Austriaci non si trattò soltanto di una « offensiva non riuscita)), ma di una inesorabile sconfitta, che fiaccò le loro residue energie ed infranse le Joro ultime speranze di vittoria. Sotto il profilo strettamente militare i fattori principali della vittoria italiana furono lo schieramento in profondità delle forze e ]a pronta disponibilità di sufficienti riserve oltre, naturalmente, all'efficacia del tiro di contropreparazione che represse immediatamente il bombardamento austro-ungarico infliggendo forti perdite alle truppe che si ammassavano per muovere all'attacco. L'avversario riconobbe lealmente la bontà dello schieramento italiano e scrisse « e non minore fu la nostra sorpresa nel constatare che il nemico non si impegnò a fondo nella zona avanzata, ma l'abbandonò logorando poi reiteratamente il nostro attacco nella zona intermedia, a noi non nota come fortificata . . . Tanto maggiore fu quindi la delusione quando, dopo l'assalto che già aveva richiesto risolutezza ed ardire, seguì la lotta dissolvente ed estenuante contro le mitragliatrici nascoste >> (r 3). Durante l'estate del r918, il generale Foch rinnovò più volte al generale Diaz la richiesta di effettuare un'offensiva sugli Altipiani e non mancarono pressioni dell'ambasciatore di Francia a Roma sul Governo italiano e di questo sul Comando Supremo. Diaz resistette poiché era assurdo ripetere l'errore commesso con la battaglia dell'Ortigara, mentre era opportuno attendere il momento propizio per impegnare un'offensiva che fosse risolutiva. Dalla metà di luglio il Comando Supremo tedesco aveva perduto l'iniziativa sul teatro di guerra francese e le offensive alleate costringevano l'esercito germanico ad effettuare successive ritirate, senza però perdere la sua compattezza. Fra il 16 e il 19 settembre l' « Armée d'Orient )) , della quale - come si vedrà in seguito - faceva parte la 35a divisione italiana, fece crollare il fronte tedesco- bulgaro nei Balcani e il 29 settembre fu concluso l'armistizio fra gli Alleati e la Bulgaria. Il Comando Supremo italiano vide allora la possibilità di rompere il fronte avversario in corrispondenza della zona di sutura delle due Armate austriache (5" e 6") del Piave, agendo a cavaliere (13) Circolare del Comando Supremo austriaco, Ammaestramenti trattt dalla battaglia del giugno 1918.


386

t ' ESERCITO IT.-\UA>IO D.~LL' UNIT.~ ALLA CRA>IDE GUERRA (186 1- 1918)

della direttrice di Vittorio Veneto, centro logistico di grande importanza sulla linea di operazioni della 6a Armata austro-ungarica. Effettuata la rottura e separate le due Armate avversarie, le forze italiane, puntando su Feltre, avrebbero aggirato le truppe austriache attestate al Grappa ed avrebbero dato sviluppo alla manovra dirigendosi sia per la V al Sugana su Trento, sia verso il Cadore. Finalmente una vera battaglia di sfondamento! Gabriele D ' Annunzio, con immagine bellissima la definì << il cuneo romano che taglia il fronte avversario in due tronconi convulsi >>. La manovra avrebbe dovuto avere inizio il giorno r6 ottobre, ma la piena del Piave ne fece spostare la data al 24. Questo lieve ritardo permise di perfezionare il piano d'operazione: anche la 4" Armata del Grappa ebbe ordine di agire offensivamente, concorrendo all'azione principale affidata all'8\ impegnando le riserve nemiche che avrebbero potuto ostacolare ]'avanzata su Vittorio Veneto. La battaglia fu iniziata pertanto proprio dalla 4' Armata, che protrasse i suoi attacchi sino al giorno 27, riuscendo nell'intento di richiamare ed assorbire le riserve austro - ungariche. Nella notte tra il 26 ed il 27, 1'8" Armata, la 12' Armata - comandata dal generale francese Graziani, era costituita da r divisione francese e 3 italiane - e ]a ro" - comandata dal generale inglese Cavan, era costituita da 2 divisioni ingJesi e da 2 italiane gettarono i ponti sul Piave e passarono il fiume. L'irruenza dell'attacco costrinse il Comando della 6" Armata austro- ungarica ad ordinare, il giorno 28, la ritirata sul Monticano. 11 giorno 30, 1'8" Armata occupò, con le proprie avant,ruardie, Vittorio Veneto; la 12" Armata superò la stretta di Quero verso Feltre; la 10a varcò il Monticano in direzione di Sacile. Nella serata dello stesso giorno si presentava al Comando Supremo italiano il generale austriaco Weber per trattare la resa. Le trattative però non furono spedite perché il Governo austro- ungarìco non voleva firmare una capitolazione completa, ma solo una tregua d'armi. Durante la discussione le operazioni continuarono ed il 31 le truppe austriache del Grappa cedettero, infine, all'irruenza dell'azione della 4.. Armata che mosse allora su Arsiè; la 12"' Armata si diresse su Feltre; 1'8' sboccò nella valle del Piave a Ponte delle Alpi; la ro\ affiancata dalla 3"', raggiunse la Livenza e la cavalleria il Tagliamento; si mise in moto anche la 6• Armata lungo la Val Sugana, per intercettarvi la rotabile e dirigersi verso Trento- Egna. II 3 novembre ]a ra Armata entrò a Trento, tutte le altre lumate raggiunsero i rispettivi obiettivi e, mentre la cavalleria si


LE OPERAZIONI DFLI. ,F.SF.RCITO '\'ELLA !>RIMA GUERRA MO,Dl.\Ll:.

3l:l7

spingeva fino a Palmanova, Udine. Stazione per la Carnia e Gradisca. un apposito distaccamento sbarcò a Trieste. La sera del 3 novembre fu finalmente conclu o l'armistizio di ViJia Giusti: alle ore 15 del 4 novembre 1918 vennero sospese le ostilità su tutto il fronte italiano. Nell'intento di limitare il valore determinan te della battaglia di Vittorio Veneto. alcuni critici militari hanno tentato di ridurne l'importanza, attribuendo un peso eccessivo alla crisi morale e materiale che indubbiamente scuoteva l'esercito austro-ungarico alla fine del 1918. Questa affermazione, persino offensiva per un esercito ostinato e valoroso, è decisamente smentita dai fatti. Spinto dall'odio secolare, dalla salda disciplina, dal sentimento dell 'onor militare, l'esercito imperiale si batté assai coraggiosamente anche nell'ultima battaglia, tanto che le perdite degli attaccanti furono sens ibili: 36-498 l taliani e 2-498 Alleati. In merito è opportuno riportare quanto scrisse nel 1930 il colonnello Mario Caracciolo: " La battaglia di Vittorio Veneto per i suoi risultati è certamente di importanza capitale, nel complesso della guerra. T uttavia essa fu sminuita da alcuni (naturalmente fuori d 'Italia) e da altri, in Italia, esagerata: il che è forse altrettanto male, quando è già tanto onorifica la verità così come è. E' certo che sarebbe stato preferibile che l'attacco avesse avuto inizio prima del 24 ottobre, ma di ciò non è qui luogo di discorrere. Sta di fatto che l'esercito contro cui andò a cozzare l'esercito italiano era ancor saldo e combattivo, ad onta della dissoluzione politica interna; lo dimostrano la resistenza ed i contrattacchi del Grappa dal 24 al 29 ottobre, la resistenza fra il 27 e il 30 sul Piave e, dato purtroppo inconfutabile, le perdite italiane. Ma è però giustizia ammettere che dietro alle prime linee covava il marcio. Così la lotta doveva dipendere da questo: se le forze italiane non fossero riuscite a rompere la dura crosta delle forze di prima linea, ad onta di tutte le debolezze delle rctrovie, la vittoria sarebbe stata austriaca. Viceversa, rotte .le forze della "crosta", i risultati della vittoria dovevano essere grandiosi . Così lo stato di dissoluzione politica dell'Austria non facilitò la vittoria, ma rese più largo e completo lo sfruttamento del successo » (14). ( r4) Sinte.<i politico - militare delta guerra mondmle 1914 - 1918, Torino, 1930,

pag. 201.


388

L. ESERCJTO IT\[.1,\'-'0 r:lll .U t-.I T.~ Jll L.\ G R.\:'IDf. G LIF.RR\

(186 1 - 1918)

Con la banaglia di Vittorio Veneto l'ltalia non sconfisse soltanto " uno dei più potenti eserciti del mondo l) , ma provocò il crollo totale dell'Impero degli Absburgo. Lo sforzo italiano fu immenso - 5 milioni di uomini mobilitati. 90o.ooo militarizzati nelle industrie di guerra, 68o.ooo caduti, oltre I milione di feriti e mutilati - ma il ciclo storico del Risorgimento italico si concludeva infine con la scomparsa del secolare nemico e con il raggiungimento dci confini naturali.

GLI ALTRI FRONTI. Questa breve esposizione. pur nella sua sommarietà. non può tacere il contributo che l'esercito italiano ha dato alla vittoria comune fuori dal territorio nazionale. Nella situazione di caos creatasi in Albania subito dopo lo scoppiO della guerra, l'Italia, particolarmente interessata ad impedire che la sponda orientaJe del Canale d'Otranto cadesse in mano di una qualsiasi grande Potenza, occupò dapprima l'isolotto di Saseno e subito dopo (29 dicembre 1914) Valona, sbarcandovi il T0° reggimento bersaglieri e una batteria da montagna. Gli Austro- Tedeschi iniziarono 1'8 ottobre del 1915 l'offensiva a fondo contro i Serbi, con l'aiuto dei Bulgari. Lo sbarco di un primo contingente franco - inglese a Salonicco non servì a mantenere aperta ai Serbi la via di ritirata ed essi furono costretti a cercare scampo verso i porti albanesi. L'Italia si assunse allora il difficile compito di proteggere la ritirata dei Serbi e l'imbarco dei resti del loro esercito. Fu costituito quindi un Corpo d'occupazione dell'Albania, composto di una divisione su tre brigate, una delle quali doveva portarsi a Durazzo, mentre le altre due avrebbero garantito il possesso di Valona. Dal 3 al 9 dicembre r915 la brigata « Savona l> , con una difficile marcia, da Valona raggiunse Durazzo, dove si sistemò a difesa per proteggere il riordinamento e l'imbarco dei Serbi, operazione che venne ultimata il 9 febbraio 1916; dal 23 al 26 febbraio anche la brigata « Savona >> . che aveva trattenuto gli Austriaci per altre due settimane, si imbarcava sotto la protezione di unità della flotta. Rimaneva in possesso italiano la baia di Valona. Le forze italiane in Albania vennero gradualmente aumentate, raggiungendo la consistenza di un Corpo d'Armata (XVI) di circa roo.ooo uomini, su tre divisioni. Essendosi intanto il Corpo di spedizione interalleato di Salonicco (Armata d'Oriente) spinto verso occidente, le


LE OPERAZIOI'I DELL'ESERCITO >IELLA PRIMA Gt.:ERRA ~!ONDIALE

------

389

truppe d'Albania prendevano contatto con esso ad Erseke , costituendo cos.ì un fronte continuo dall'Adriatico all'Egeo. Tentativi austriaci contro le posizioni italiane nella seconda metà del 1917 venivano respinti ; nel maggio 1918 un'azione combinata di reparti italiani e francesi sulla destra dell'Ossum e verso la Tomoritza riuscì a rendere più sicura la strada Erseke- Salonicco. Il 6 luglio 1918 venne lanciato un attacco di quattro colonne italiane, appoggiate sulla destra dai Francesi, contro le due ali della Malakastra. L'attacco riuscì sulla sinistra, la cavalleria italiana raggiunse il campo d'aviazione di Fieri e tutte le truppe poterono avanzare occupando Berat e raggiungendo la piana del Semeni. Una controffensiva austriaca determinò poi un parziale ripiegamento sulle posizioni difensive della Malakastra. Alla fine di settembre, in connessione con l'offensiva dell' Armata d'Oriente, il XVI Corpo d'Armata riprendeva l'avanzata, occupando Durazzo il 14 ottobre, Tirana il 15, Scutari il 31 ed infine Dulcigno ed Antivari il 3 novembre. Costituitasi sul finire del 1915 l'Armata d'Oriente, i Governi alleati fecero ripetute insistenze presso quello italiano affinché inviasse truppe in Macedonia. Il 9 agosto r9r6 iniziò quindi il suo imbarco a Taranto la 35a divisione (2 brigate di fanteria e 4 gruppi da montagna) che si schierò il 25 agosto sulla Krusa- Balkan, fronte di 48 Km. Ad ottobre venne rinforzata con una terza brigata e, successivamente, raggiunse la consistenza dì un Corpo d'Armata. La divisione partecipò nel settembre dello stesso anno ad una azione controffens.i va; venne quindi trasferita nel settore di Monastir dove, con l'azione della brigata 1< Cagliari» attraverso i monti Baba, aprì il 16 novembre la via di Monastir alle truppe franco - serbe. All'inizio del 19r8 la 35• divisione passò nel settore della Cerna, sostituendo in linea due divisioni francesi e una serba: in questo settore gli Italiani si trovarono a fronteggiare non più i Bulgari, ma i Tedeschi. Dopo otto attacchi tedeschi in due mesi vi fu, nel maggio, un tentativo offensivo interalleato: esso non riuscì ed i soli Italiani vi persero circa 3.ooo uomini. Il 15 settembre l'Armata d'Oriente prese l'offensiva e sfondò il fronte avversario. La 35a divisione scacciò i Tedeschi dai M. Kalabach, raggiunse Kruscevo attraverso i Baba P1anina e il 29 attaccò la posizione di. Sop, dove caddero in mano italiana 8.ooo Bulgari con II cannom.


390

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GR-\NDE GUERRA

(1861- 1918)

Nel novembre 1917, a seguito della penuria di materiali di vario genere verificatasi in Italia dopo la 12~ battaglia dell'Isonzo, venne inviato a Parigi il generale Dallolio per trattare Ja cessione di materiale bellico. Il Governo francese aderì, ma chiese, come contropartita, l'invio di ro.ooo operai italiani da adibire al caricamento dei proietti di artiglieria. Il contingente fu formato con militari permanentemente inabili alle fatiche di guerra o appartenenti a classi anteriori al 1879; organizzato in 70 centurie, prestò un ottimo servizio negli stabilimenti dipendenti dal Ministero francese delle Armi e delle Fabbricazioni di guerra. Successivamente il Governo francese chiese al Governo italiano la concessione dì 6o.ooo uomini, da adibire come lavoratori nelle sistemazioni difensive. Il Governo italiano aderì e, nel gennaio 1918, il contingente richiesto partì per la Francia. Nacquero così le T.A.I.F. (Truppe Ausiliarie Italiane in Francia); agli ordini di un generale ispettore, furono organizzate in 4 raggruppamenti, 20 nuclei, 200 compagnie. Vennero impiegate per la costruzione di opere difensive, sistemazione di campi d'aviazione, costruzione e sistemazione di strade nella zona d'operazioni, costruzioni di ferrovie, stendimento di linee teleferiche nella zona di combattimento, impianto di parchi di artiglieria e del genio. Nell'aprile l'Italia inviò in Francia il II Corpo d'Armata su due divisioni di fanteria, I raggruppamento di artiglieria, r gruppo squadroni di cavalleria e unità dei servizi. Le divisioni vennero inviate in linea ad ovest di Verdun, fra Avocourt e Boureilles. Tra l'II e il 19 giugno il II Corpo d'Armata si schierò ad occidente di Reims, su una fronte di 12 chilometri, a cavallo dell' Ardre e quindi a sbarramento della più diretta via di pene trazione su Epernay. Tra la fine di giugno e i primi di luglio si ebbero i primi scontri con i Tedeschi nella zona della « Montagna di Bligny ». Il rs luglio i Tedeschi sferrarono la loro ultima offensiva. Ad ovest di Reims attaccarono fra Vrigny e Jaulgonne, investendo il H Corpo italiano e il V francese. Dopo due giorni di accaniti combattimenti, le truppe italiane riuscirono ad arrestare sulle seconde linee l'attacco germanico. Il 2r, il Comando tedesco ordinava alle sue truppe, che più a occidente avevano varcato la Marna, di ripiegare facendo perno sul settore dell'Ardre, dove pertanto i combattimenti con le truppe italiane proseguirono fino al 24. Al termine dell'azione, durante la quale il II Corpo aveva perduto oJtre 9.ooo uomini, il Comandante della Armata francese, generale Berthelot, scriveva: « ... (il Corpo d 'Armata italiano) ha compiuto perfettamente la sua missione, sbarrando al nemico la

sa


LE OPERAZlONI DELL' ESERCITO ':'JELLA PRIMA G t.:ERRA MONDI ALE

- - - - - --

391

strada dell' Ardre . . . Il generale comandante della 5" Armata .. saluta i camerati del II Corpo italiano e rivolge loro l'espressione della più alta stima militare ... >>. Ad agosto il II Corpo, rinsanguato con altri 22.000 uomini circa, venne inviato nelle Argonne ma in settembre tornò alle dipendenze della 5" Armata francese, per prendere parte all'offensiva contro il saliente di Laon. Si schierò nel settore dell' Aisne, ad est di Soissons. Il 26 settembre aveva inizio l'offensiva alleata e il II Corpo italiano vi partecipava alle dipendenze, successivamente, delle Armate francesi 5", 103 e 3". Conquistata la formidabile posizione dello Chemin des Dames, raggiunta e superata l'Ai lette con tale slancio da meritare le immediate felicitazioni del generale Mangin, le truppe italiane pervenivano il 14 ottobre alle paludi di Sissonne. Il 4 novembre, data che segnava la fine della guerra contro l'Austria, il II Corpo riprendeva l'avanzata contro i Tedeschi, avanzata che ben presto si tramutava in inseguimento: 1' I r novembre raggiungeva la Mosa, ove veniva issata la Bandiera italiana nel momento in cui cessavano le ostilità.


392

L'ESERCITO ITALIANO DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GU:RRA

(186r- 1918)

Appendice I

UNITA' ITALIANE IMPIEGATE ALL'ESTERO (*)

l

Fronte

Reparti e forza comp!es>iv:o

Francia

)! n Co<po d' A<m"" 53.ooo

Macedonia

35• Divisione: 48.ooo

Albania .

XVf Corpo d'Armata: 95.000

Perdi re

i Corpo !tal. Truppe Ausiliarie: 6o.ooo l

Totale ..

(~) Negl i anni dal 1916 al 1920 operarono fuori d 'ltalia Corpi di Spedizione m Palesti na, Siria, Murmania cd i n Es<remo Oriente per complessivi 7.000 uomini .

Appendice 2

UNITA' ALLEATE IMPIEGATE IN ITALIA Perdi re

Reparti c forza compJcs,i va

:'\azionalirà

•8----·--

--···---·--Francese ..... .

li

6 divisioni: 120.000 dal nov. 1917 al ma r. 1918 2 divisioni : 32.000 dail'apr. 1918

d ivisioni : 110.000 dal no v.

5 feb . 1918 Britannica ..... \

9 7 al

1 1

( 3 divisioni : 62.000 dal mar. T918

Cecoslovacca

...

Americana

.....

' l l

divisione : 15 .000 dal ma g. 1918

' ~

l ~

2.872

6.097

291

rgt. f. : 3.000 dal giu. 1918

7

da 24o.ooo a 112.000

9·267

' l

Totale . . . l '

'


XII. ANTONELLO F. M. BIAGINI

I MILITARI E LA POLfTICA ITALIANA NEI BALCANI (1875- 1912)



ANTONELLO F. M. BIAGINJ dell'Università di Messina

I MILITARI

E LA POLITICA ITALIANA NEI BALCANI (1875 - 1912)

Le insurrezioni contro i turchi in Erzegovina nel luglio r875 riaprivano fatalmente la questione d'Oriente mentre nei primi mesi del 1876 le insurrezioni in Bulgaria, la dichiarazione di guerra della Serbia e del Montenegro al governo di Costantinopoli (3 luglio 1876) determinando la pesante reazione ottomana offrivano, nel 1877, il pretesto alla Russia per intervenire direttamente. Tornava cosi a riproporsi quella questione che sembrava essersi chiusa con il Congresso di Parigi del 1856 dove era stato ribadito il principio dell'integrità dell'Impero ottomano e la ncutralizzazione del Mar Nero. E' pur vero che la situazione balcanica non aveva mai cessato di essere al centro delle attenzioni e delle analisi politiche delle varie potenze europee: l'insofferenza verso il dominio ottomano, particolarmente viva in quelle zone dove l'elemento cristiano incontrava maggiori difficoltà a convivere con l 'elemento turco, la presenza di un secolare " insurrezionismo )1, l'ascesa nazionale dei vari popoli balcanici, gli interventi delle potenze europee per far valere i propri interessi a sostegno dei movimenti nazionali o preoccupate dell'integrità dell'Impero ottomano, avevano caratterizzato il ventennio tra le due crisi (1). La diplomazia zarista, ben presente nello svolgersi degli avvenimenti, aveva concluso con successo, nel marzo r87r, una convenzione per l'abrogazione delle norme sulla neutralità del Mar Nero e alla politica ufficiale accompagnava, in quegli anni, un intenso lavoro propagandistico inteso a cementare i vincoli di fraternità slava c di comunione nella ste::ssa fede. quella

(r) A. T A.I\{BORR.\, L'Europa centro· orientale nei ucoli X l X· XX ( 18oo1920), in « Storia Universale >l diretta da E. Pontieri, Milano, 1973, vol. VII, tomo TV, pp. 424 e ss.


ortodossa, di cui lo zar era il centro e il capo. La stessa scena internazionale europea era del resto sensibilmente mutata con la realizzata unità italiana che aveva posto all'Austria - Ungheria il problema di un orientamento verso i Balcani contrastata in ciò dalla Russia zarista (2). Nella opinione pubblica italiana si manifestarono simpatie per gli insorti e si sviluppò una campagna per la liberazione dci popoli cristiani dai turchi. Fu questo il periodo in cui fiorirono le pubblicazioni c< a metà fra il giornalismo e la memorialistica >> ricche di « sincera partecipazione alle vicende dei popoli slavi in lotta per la loro indipendenza nazionale, oltre tutto si tratta di una partecipazione molto spesso diretta degli autori che s.i trovarono essi stessi a combattere per quella causa negli anni della crisi del 1875 · 1878 » (3). Tuttavia se la posizione dell'opinione pubblica fu di slancio verso la causa slava e dei rivoltosi i circoli politici italiani si mostrarono più cauti. Visconti Venosta, ministro degli Esteri nel governo Lanza, aveva appoggiato le proposte di riforme varate dal ministro degli Esteri austriaco Andrassy e quindi il mantenimento dello statu quo nella penisola balcanica. Se il governo della Destra deluse in questo senso non di meno avvenne per il governo Depretis, costituitosi nel marzo T876, che vanificò ogni speranza di azione italiana nelle questioni orientali. L'eco di queste delusioni si rinviene del resto negli stessi rapporti dei delegati italiani nelle commissioni internazionali costituite dopo il Congresso di Berlino per la delimitazione dei confini: molto spesso lamentavano la mancanza di disposizioni precise di fronte ai problemi politici che da quelle delimitazioni nascevano. Il governo della Sinistra condivise in pratica l'indirizzo precedente che si ba(2) Per la bibliografia su questo perioJo dr. W. N. MEoucoTT, Th(' CongreJJ of Berlù1 and After: a Diplomatic Hinory oj the Nc-ar Eastern Settlement ( 1878 - 1880 ), Londr.:l. 1938: F. CoONASso, Storia della Questione d'Orienu, Torino, 1948: D. DJOllDJEVré, Revolution.< nat10nales des pleupleJ balcanttjues 1804 - 1<)14· Belgrado, 1g6;; A. BRECCIA, Le fonti per lo nudio della .<toria delle relazioni int<'1"nazionali dei paesi jugoslavz nel periodo 1870'945• in •< Storia e Politica», t9'JO, fase. IV e 1971, fase. 1 - 2; A. T ,IMBORRA, Gli nudi di storia dell'Europa Orientale in Italza nell'ultimo t'~ltt'ntlio, in « Atti del I Congresso nazionale di Scienze Storiche >> (Perugia, 191}7), Milano. 1970: Io.: Europa Orienta/t', in •• Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di Alberto M. Ghisalberti », vol. 111, Firenze. 1974. (3) A. PrrASSIO, Problema slavo meridionale e questione d'Oriente ( r853 · 1878) nella noriografin italiana. in •• Archivio Storico lw.liano >>, a. CXXXVI (1978), l, pp. r6rj • 194. Una puntuale ricostruzione di quella partecipazione in F. GuiDA, Marco Antonio Canini, corrispondente dal fronte di guerra russo. turca Ilei I8J7, in ({Archivio Storico Italiano», a . cxxxvn (1979), m, pp. 335 · 424.


l ~!IUT.'\.Rl E L~ l'OLIT!CA lTAl.JA:-<A NE! B.~LCANI

(1875 -1912)

397

sava sul disinteresse dell'Italia per le questioni d'Oriente mentre l'impegno che J'Austria- Ungheria andava sempre più assumendo nei Balcani avrebbe reso meno gravosa la rinunzia alle zone italiane la cui acquisizione era, in concreto, il motivo centrale della politica estera italiana dell'epoca. Calcolo, come si vedrà, infondato, poiché proprio in quel momento la monarchia asburgica, divenuta l'ago della bilancia della situazione balcanica, godeva di una posizione diplomatica estremamente solida e l 'idea di una contropartita all'Italia era totalmente destituita di fondamento. Nel marzo 1878 Luigi Corti, nell'accettare la carica di ministro degli Esteri, in sostituzione di Amedeo Melegari, nel gabinetto Cairoli, aveva imposto l'abbandono della pretesa soluz.ione del problema nazionale attraverso l'opposizione all'occupazione austriaca della Bosnia (4). Sotto il p rofilo militare la questione d'Oriente fu seguita, principalmente, dagli addetti militari a Vienna e a Berlino. Nell'agosto 1875 Majnoni informava il capo di Stato Maggiore sui particolari della mobilitazione in atto in Austria- Ungheria sin dall 'inverno precedente, poiché i moti in Bosnia- Erzegovina avevano coinvolto l'attenzione della diplomazia, « per le complicazioni che ne potrebbero nascere)), e le misure adottate dal ministero della Guerra austriaco mettevano l'esercito in grado di intervenire e occupare la Bosnia «qualora se ne presenti il destro ». Elencate le divisioni mobilitate ricordava come « la sola arma che sarà in gran parte sostituita in siffatta mobilitazione sarà l'artiglieria la quale sarà di montagna e sarà raccolta dalla Dalmazia, dal Tirolo e da Vienna >> (5). Sempre al Majnoni si deve un lungo rapporto, redatto nel

(4) F . Cl-IABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari. 1951; F. C.'\TALl.fCCTO, Problemi e sviluppi della politica ester·a italiana dal 1861 al 1918, in «Nuove questioni d i Storia del Risorgimento e dell'Unirà d'Italia>>, Milano, 19l}1; La politica estera italiana negli atti, documenti e discussioni parlamentari dal 1861 al 1914, vol. II, tomo I ( 1876 J88J), a cura di G. PERTICONE, Roma, ICJ13· (5) Majnoni a Bertolé Viale, Vienna 2 agosto r875, Stato Maggiore Esercito - Archivio Ufficio Storico (d'ora in avanti SME - AUS), Addetti Militari, busta (b.) 9· Luigi Majnoni d'Intignano (Milano r841 - Parravicino, Como, 1918). Abbandonati gli studi di matematica a Pavia si arruolò come volontario nel reggimento Cavalleggeri di Monferrato (1859). Nominato sottotenente, partecipò alla campagna del r866, frequentò poi la Scuola di Guerra e quindi nominato addetto militare a Vienna (novembre 1874- dicembre 1877). Comandante del 32° Fanteria e dei Lancieri di Novara (r884), generale di Brigata ( r85P), tenente generale ( 1897), fu nominato ( r898) ispettore di Cavalleria e generale di Corpo d'Armata. Senatore nel 1905, nel biennio 1905- 190<) fu ministro della Guerra, attribuì agli ispettori la responsabilità tecnica del-


dicembre 1876 al ritorno dalla missione in Serbia e Turchia per la delimitazione della linea d'armistizio fra i due contendenti. In quell"occasione l'ufficiale italiano si era proposto di << determinare quale fosse la forza, che, nelle circostanze attuali - scriveva nella breve premessa , l'Impero ottomano potrebbe opporre a propria difesa, nel caso possibile di un attacco per parte della Russia >>. Descritto particolan:ggiatamcntc l'ord inamento c la consistenza dell'esercito turco, ne tratteggiava i limiti operativi per la scarsa preparazione dei quadri c l'insufficiente armamento ed equipaggiamento dei soldati. Tali carenze, se non avevano influenzato lo scontro con la Serbia, conclusosi appunto favorevolmente per la Turchia, sarebbero state elemento determinante nel caso di lotta contro un esercito europeo: c. ammesso pertanto - scriveva Majnoni che le doti individuali e narurali del soldato turco, fra le quali primeggia il coraggio, la fedeltà, la frugalità e la costanza nel sopportare le privazioni c le fatiche, possano in parte compensare l'insapienza dei generali, l'ignoranza degli ufficiali, la cattiva amministrazione e la mancanza di servizi organizzati, pure è tale il divario che si osserva fra l'esercito ottomano ed un altro qualunque europeo che, anche a parità di forze, oso predire il risulrato favorevole al secondo n . Prevedendo l'inizio dell'azione militare contemporaneamente in Asia e in Europa ricordava gli accordi che si stavano prendendo con il governo romeno, la mobilitazione del l 'esercito valacco, la riunione di materiali da ponte sulle due sponde del Danubio, a Cladova e Turnu- Severin, e concludeva indicando la probabi!e linea che l'esercito russo avrebbe seguito: in quattro giorni avrebbe concentrato sul Danubio una divisione e un reggimento di Cavalleria da far marciare poi su Cuprija per arrestare l'eventuale avanzata turca lungo la Morava. Gli avvenimenti militari della guerra russo- rurca nel loro svolgersi sono sufficientemente noti . Assicuratasi la neutralità dell'Austria, la Russia dichiarò guerra alla Turchia il 24 aprile 1877 e, ricevuto il permesso dalla Romania, attraversò il confine del Principato. Mentre la flottiglia turca del Danubio tentava inutilmente il pas-

l'arma rispettiva e dispose che il Capo di Stato Maggiore fosse svincolato dalle vicende politiche del ministero. Nella risen·a ( H.P 9) fu presidente della Croce Rossa. Cfr. Enciclopdia Militare, vol. IV. p. i53· Milano, 1933 e SME- AUS, Biografit>, b. 47, fase. 110. Ettore Bertolé Viale (Genova 1829 - Torino 1892) era :1llora comandante del Corpo di Stato M:~ggiore (1874- J88t). Ministro della Guerra nel gabinetro Menabrea ( 1867 - 186g) e nel gabinetto Crispi ( 188j - t 8gr). Senatore nel 188r fu deputato dalla X alla XIV legislatura.


l MILITAR! E LA POLITICA IT.~LIANA NEf BALCANI

(1875 • 1912)

399

saggio del fiume, la Romania radunava il proprio esercito ad occidente dell'Aiuta. A metà giugno l'armata russa era pronta ad agire lungo il corso dell'Aiuta. I turchi tenevano pronto il grosso delle loro truppe a Sciumla, avevano occupato Turtukai, Rukuk, Svistov, Nicopoli ed avevano spinto un piccolo corpo nella Dobrugia. Il comandante russo fece approntare un ponte sull'Aiuta per il passaggio dei quattro corpi d'armata mentre un'avanguardia, comandata dal generale Gurko, doveva superare i Balcani e portarsi in Bulgaria per sollevarla contro i turchi. In giugno il XIV Corpo d ' Armata russo passò il Danubio a Macin mentre il XII e XIII si dirigevano su Jantra e il IX su Nicopoli. Sotto la pressione delle forze russe, il comando turco richiamò dal Montenegro le truppe di Suleiman pascià e da Vidin quelle di Osman pascià inviandole sul teatro di guerra bulgaro. Durante la marcia Osman pascià giunse, tra il 17 e il 19 luglio, a Plevna dove si attestò fortificandosi. Per due volte i russi condussero l'offensiva e dopo il 31 luglio lo zar chiese al principe Carlo di Romania la fusione dei due eserciti. Solo nell'agosto le forze congiunte russo - romene ebbero ragione della resistenza turca (6). Luchino del Mayno, assegnato all'ambasciata italiana a Berlino nel 1875, fin dal 1876 aveva preso a seguire la mobilitazione dell'esercito russo e gli avvenimenti che si svolgevano in Oriente considerandoli soprattutto attraverso le valutazioni e le opinioni degli ufficiali prussiani (7). Al centro del suo interesse si collocano le (6) A. M."JNONl, Calcolo delle forze m ilitari di terra che la Turchia potrebbe opporre alla Russia in una prossima gue1·ra, Vienna, 20 dicembre 1876, SME- AUS, Addetto militare a Vienna. Corrispondenza. b. 48. Sui problemi connessi alla guerra, la valutazione che ne veniva fatta nei circoli politici e militari viennesi cfr. i dispacci di Majnoni a Bertolé Viale, Vienna, 2J aprile 1877, n . 34, SME-AUS, Majno-ni (1875-77), b. 10 : Id ., Vienna, 3 maggio r877, n. 44, Ù1 i; Id., 10 maggio 1877• n. 50, ivi; Id ., n maggio r877, n. 51, iv i; Id., 30 luglio 1877, n. 99, ivi, informa che l'opin ione pubblica austriaca è ostile alla Russia; ld., 1 ° agosto 1877, n. 100, ivi; Id ., 7 agostO 1877, ivi, considerazioni sull'esercito russo e sulla battaglia di Plevna. (7) Del Mayno a Berrolé Viale, Berlino, 31 gennaio r876, n. 157, SMEAUS, Addetti militm·i. Corrispondenza con L. del Mayno, addetto militare a Berlino, b. 26; Id ., 12 giugno 1876, n. Il), ivi; Id., 9 gennaio 1877, n. 154, ft/1.

Luchino del Mayno (Mariano Comense, 1838- 19u). Volontario nel 18:;9 partecipò come ufficiale alla campagna del 1866. Addetto militare a Berlino (1875- r879) dopo Adua collaborò con il generale Baldissera ed ebbe la presidenza del Consiglio di guerra che giudicò il generale Baratieri. Comandò poi la Brigata <<Valtellina,, la Divisione militare <<Perugia», i Corpi d'Armata di Verona e Genova, senatore nel I905 · Cfr. Enciclopedia Militare, cit., vol. III, p. 424 e SME- AUS, Biog1·ajie, b. 22, fase. 49·


400

L'ESERCITO IHLI>.NO IJ'\LL'UNITÀ

Al.L:\

GR,\NJ)f. CUI:.RRA

(1861 ·1918)

osservazioni sull'organizzazione della campagna da parte dei russi e dei turchi. Nell'aprile del 1877 sottolineava come fosse necessario per i russi occupare la zona della Dobrugia: un'azione turca su Galati avrebbe infatti tagliato le comunicazioni ferroviarie (8). Informazioni ricevute da ufficiali russi confermavano, nell'addetto militare italiano, la convinzione che la Russia. soverchiante per forze, non avrebbe incontrato difficoltà nell'attraversare il Danubio. Queste si erano manifestate invece nel prO\·vedere al vettovagliamento degli oltre duecento mila uomini in Bulgaria. Era opinione diffma a Berlino che lo zar ricercasse la collaborazione delle popolazioni per il sostegno logistico ma intendesse rifiutare l'aiuto militare romeno: l'atteggiamento russo rimase infatti tale fino agli avvenimenti di Plevna quando infine la collaborazione dell'esercito romeno venne richiesta e sollecitata (9). Caratteristica dei primi mesi di campagna, ripetutamente sottolineata da del Mayno nelle sue lettere a Bertolé Viale, comandante del Corpo di Stato Maggiore, fu l'inazione turca da un lato e la disorganizzazione russa dall'altro: il ventilato passaggio del Danubio, studiato e programmato, veniva continuamente rimandato con grave pregiudizio per il futuro svolgimento della campagna (10). Nell'agosto 1877, registrando le conseguenze dell'insuccesso russo nel primo combattimento di Plevna, ricordava come questo fosse stato il risultato « di soverchia fiducia in se stessi e soverchio disprezzo per le attitudini militari del nemico » (11 ). La successiva mancanza di qualsiasi attività sul teatro di guerra di Bulgaria dimostrava, a giudizio dell'ufficiale italiano, che gli avvenimenti avevano preso una piega decisamente negativa per i russi e che questi non erano ancora in grado di riprendere l 'iniziativa:

(8) Del Mayno a Bc:rtolé Viale, Berlino, 23 apnle r877. n. 186. SMEAUS, Addetti mrlitari. Corrispondenza con L. del Mayno, addetto militare a Bedino, b. 26: ld., 25 aprile 1877, ivi: 29 aprile r877, n. l9CJ, ivi. (9) Del Mayno a Rcrtolé Viale, Berlino, 6 maggio 1877, n. 192, SMEAUS, Addetti mil1tari. Corrispondenza con L. dd Mayno, addetto militare a Berlino. b. 26; Id., 20 maggio r8;7, n. r!)l), it•i; Id., 27 maggio r877, n. 197, /VI.

(10) Del Mayno a Bertolé Viale, Berlino, 9 giugno 1877, n. 201, SME AUS, Addetti militan. Corrispondenza con L. ùl Mayno. addetto militare a Berlino, b. 26: Id., 13 giugno 1877, n. 204; Id., 18 giugno 1877, n. 213; Id., 9 luglio 1877, n. 218: Id., 14 luglio r877, n. 219. Idee svolte dagli ufficiali del grande stato maggiore pruuiano sulla guerra russo -turca: Id., 22 luglio r877, n. 222; Id., 29 luglio 1877. n. 223, ivi. (n) Del Mayno a Bertolé Viale, Berlino, 6 agosto 1877, n. 226, SME · AUS, o. 26, cit.


l MILITARI E LA POLITlCI\ ITALIANI\ NEI Bi\LCJ\l'\[

(1875 -1912)

401

solo dopo la caduta di Plevna, con il contributo delle armi romene, si ebbe l a certezza della vittoria ( 12). Componente delJa commissione militare che preparava i lavori cartografici per le missioni dei plenipotenziari al Congresso di Berlino, in una lettera del luglio 1878, ricordava come i lavori cartografici fossero stati eseguiti con strumenti inadatti in tempi eccessivamente brevi; ciò avrebbe aggravato gli inevitabili conflitti che sui tracciati di confine si sarebbero accesi una volta che le commissioni internazionali fossero passate alla realizzazione concreta (13). Facile profezia come si vedrà dalle relazioni dei delegati italiani nelle commissioni per la delimitazione della Romania, Bulgaria, Rumelia, Montenegro e Serbia. Contrariamente ad altri eserciti europei quello italiano non inviò osservatori propri durante lo svolgimento del conflitto : uno studio sulle operazioni militari fu condotto con ricognizioni sul teatro di guerra dal colonnello Celestino Rossi e dal capitano Tanfani. Il 6 novembre 1878 i due ufficiali italiani furono messi in contatto dal marchese Galvagna, ambasciatore italiano a Costantinopoli, «con quelle notabilità ottomane e forestiere che potevano maggiormente facilitare la missione loro affidata)) (14). Al termine delle ricognizioni e sulla base delle osservazioni effettuate e della do~ cumentazione raccoha, fu stilata una relazione riguardante la difesa di Costantinopoli, del Bosforo, dei Dardanelli e della penisola di Gallipoli. In una nota sulla Dobrugia, in quel momento al centro del dibattito tra Bulgaria e Romania, i due ufficiali indicavano le tre possibili linee di de.limitazione tenendo conto delle motivazioni economiche, politiche, etniche e militari che erano alla base delle aspirazioni dei due paesi. Il teatro d'Asia con la formazione e la dislocazione delle truppe dei due eserciti, Je operazioni militari per la presa di Ardgian e di Kars, la consistenza delle forze turche, serbe e montenegrine costituiscono altrettanti punti della lunga relazione, redatta tra il 1879 e il r88o, dei due ufficiali ( rs). (12) Del Mayno a Bertolé Viale, Berlino, I3 agosto 1877, n. 227; Id., agosto 1877, n. 231; Id., 29 agosto r877, n. 233; Id., r8 dicembre 1877; n. 251; Id., I7 marzo 1878, n . 279; Id., 25 aprile 1878, n. 293, SME-AUS, b. 26, cit. ( r3) Del Mayno a Bertolé Viale, Berlino, 9 agosto 1878, n. 332, SME • AUS, b. 26, cit. (q) Galvagna a Corti, Costantinopoli, 8 novembre I878, Ministero Affari Esteri - Archivio Storico (d'ora in avanti abbreviato MAE - AS), Rapporti in an·ivo. Tut·chia, b. 1462. (15) Guerra d'Orie'nte (1877·78). Relazioni, SME-AUS, b. 189; Studi particolari: Difesa di Odessa contro eventuali attacchi della flotta turca, ivi. 20


402

L'ESERCITO l'fALlANO D.-\LL'UNTTÀ ALLA G RANDE GUERRA

(t86I • 1918)

Nel novembre 1879 Ottolenghi, delegato italiano nella Commissione per la delimitazione del Montenegro, nella sua relazione al capo di Stato Maggio;-e riassumeva il lavoro svolto. Ricordata brevemente la partecipazione del paese agli avvenimenti bellici, sottoiineava come la Commissione avesse preliminarmente deciso di prendere le decisioni a maggioranza di voti contrariamente all'opinione espressa dal delegato russo relativamente all'unanimità sulle questioni di principio. Base dei lavori doveva essere quella carta austriaca al 300.000 sulla quale si erano svolte le discussioni al Congresso di Berlino: « Il commissario turco - scriveva a quel proposito il delegato italiano - vi si oppose, probabilmente perché non ignorava che tutti gli errori materiali de.l trattato ridondavano a vantaggio della Porta >) . Il commissario turco, alla prima decisione presa contro il suo parere, abbandonò i lavori condannando la Commissione all'inoperosità dal maggio al luglio 1879. I lavori ripresero, ricordava ancora l'ufficiale italiano, quando le potenze aderirono alla proposta italiana di tracciare linee di frontiera provvisorie. Le difficoltà, in sostanza, nascevano dall'estrema labilità del testo scaturito dal Congresso di Berlino il ·quale, eccettuate le disposizioni tassative di lasciare alla Turchia il territorio delle tribù albanesi, non offriva quale criterio direttivo principi di nazionalità, di razza o di religione. Lo stesso governo ottomano pur mostrandosi ufficialmente favorevole ai lavori della Commissione cercava di impedire le ricognizioni sul terreno, rendeva difficile l'accesso ad alcune località mentre il suo rappresentante abbandonava i la~ vori ogni qualvolta si prendevano decisioni sfavorevoli alla Turchia. La Russia, commentava Ottolenghi, << favoriva in tutto e per tutto il Montenegro, anche patrocinando in suo vantaggio concessioni non accordate od escluse tassativamente dal testo del trattato», l'Inghilterra, la Turchia, la Francia e l'Italia, « sempre imparziali, si trovarono quasi sempre d'accordo)), mentre la Germania e l' Austria avevano tenuto un contegno mutevole ma sostanzialmente fa~ vorevole agli interessi ottomani. La Turchia .finì quindi per essere favorita poiché, nella peggiore delle ipotesi, poteva sempre contare su quattro (Turchia, Austria, Germania, Inghilterra) degli otto voti della Commissione. Questa, riunitasi il 3,0 aprile 1879, iniziò i lavori veri e propri il 25 luglio con l'esame del tratto di frontiera tra l'Adriatico e Gusinje- Plav. La Commissione, ricordava ancora Ottolenghi, non poté recarsi nei territori ad est e ovest di Gusinjeb. 190; Studi particolari: Guerra d'Oriente (1877-78). Teatro di Asia, Ù'i, b. 20r: Guerm d'Oriente (1877-78). Teatri di guerra seconda,·i di Europa, ivi, b. 202; Teatro danubiano, ivi, b. 203.


I MILITARI E LA POLlTIC,\

--------

ITALII\KA NEI BALCANI (t8ì5-I9T2)

403

Plav, in quei territori, cioè, che la Turchia aveva abbandonato ma che si era rifiutata di consegnare al Montenegro. La tribù della zona « in istato di anarchia e retta da Aly bey, il quale fece disarmare e spogliare dei loro beni gli slavi ortodossi del paese, si legò con gli altri paesi dell'Alta Albania: Ipeck f Pec J, Djakovo, Prisrend f Prizren J, Di bra per respingere qualunque tentativo di annessione al Montenegro >> (16). Il problema della frontiera con l'Albania venne risolto nel 188o, dopo lunghe trattative, con la rinuncia del Montenegro alle zone circostanti Gusinje e Plav in cambio di Ulcinij . Questa città sul mare Adriatico era stata precedentemente restituita alla Turchia mentre Bar era rimasta al Montenegro con il vincolo di non costruire una propria flotta da guerra e il suo porto, per evitare che divenisse una base militare russa, chiuso alle navi da guerra di ogni paese. Un'altra relazione, di I 35 fogli, è quella redatta dal colonnello Velini sulla delimitazione della Serbia. Tralasciando i pur ampi particolari sulle vicende della Commissione, la relazione è sostanzialmente divisa in quattro parti riguardanti la delimitazione vera e propria, le conseguenze politiche, le istituzioni serbe e le condizioni militari del paese. Ricordato come la delimitazione fosse stata eseguita in circa quattro mesi (giugno- settembre 1879) sottolineava come questo tempo avrebbe potuto essere molto più breve se ogni commissario avesse avuto a sua disposizione qualche topografo e se si fosse seguito un processo più semplice, come quello di limitarsi a rilevare solo la linea di confine fissando capisaldi ben determinati. Alla Serbia erano stati annessi 12.ooo chilometri quadrati di territorio ed una popolazione di circa 300.000 abitanti. Il nuovo con1ine della Serbia, sottolineava Velini, « tracciato sommariamente a Berlino non rispondeva che incompletamente al concetto delle nazionalità, di guisa che la tranquillità della frontiera in alcuni punti è compromessa, in causa appunto di questo difetto, potrebbe dare appiglio a nuove complicazioni ll . Altro grave problema era costituito dal rimpatrio degli albanesi e sarebbe stato utile, a giudizio (t6) G. OrroLENGHI, Rapporto della Co·m mi.uione per la delimitazione del Montenegro, 25 novembre 1879, SME - AUS, Reparto opemzioni. Ufficio coloniale. Stati esteri, b. 36, p. r6. Giuseppe Ottolenghi (Sabbioneta 1838 - Torino 1904). Sottotenente di fanteria partecipò alle campagne del 1859, 186o- t86r e del 1866. Professore d'arte e storia militare presso la Scuola militare di Fanteria e Cavalleria ( 1871 - 1872), da tenente colonnello partecipò ai lavori della Commissione di delimitazione del Montenegro (1879- r88o). Colonnello (188r ), tenente generale (1895), nel maggio 1902 venne nominato senatore e ministro della Guerra, carica che ricopri fino al I903·


404

L'ESERCITO lTALT.\'10 DALL. UNIT.~ ALLA GRA'.JDE GUf.RRA ( 1861 - 1918)

del delegato italiano, che la Serbia, la Turchia e le potenze europee avessero risolto il problema per scongiurare futuri pericoli. Altre difficoltà potevano nascere dalle convenzioni ferroviarie tra la Serbia e l" Austria- Ungheria. L'Italia di fronte ai molteplici interessi che si collegavano alla questione ferroviaria nei Balcani, non doveva rimanere indifferente per la tutela dei propri interessi commerciali. Riguardo poi alle istituzioni politiche della Sc.:rbia, particolareggiatamente descritte, l'ufficiale italiano sottolineava come fossero tra le più liberali d 'Europa; curata l'istruzione pubblica, vivo il sentimento religioso, i vincoli familiari, l'attaccamento alla patria e alle tradizioni storiche. Erano questi elementi che facevano <• di quel piccolo popolo un nucleo potente attorno al quale, dati certi eventi, si verranno raccogliendo tutti gli slavi del sud >>. Ponendosi nella prospettiva risorgimentale, comune del resto a larga parte della opinione pubblica italiana, sottolineava come « il panslavismo che come uno spauracchio si fa balenare agli occhi dell'Europa dalle potenze interessate ogni volta che il loro tornaconto lo domandi, a quanto sembra, non è che un fantasma. Tutti sentiamo che la dominazione turca nei Balcani è vicina a finire; e tra i superbi e potenti colossi che si contrastano la supremazia in Oriente, tra i successori di Caterina II e gli eredi della politica del principe di Metternich che tendono ad avere un piede su li 'Egeo ed uno sul litorale Adriatico, ed il cuore a Vienna e la testa sulle Alpi, parmi più logico e più umanitario e patriottico ed anche più utile assecondare le popolazioni della penisola nella conquista della loro nazionalità ». Proseguendo nella sua descrizione Velini sottolineava come lo stato dell'industria, del commercio e dell'agricoltura fosse ancora del tutto inadeguato a causa delle continue Ione che il paese aveva dovuto sostenere per conquistare la propria indipendenza. Dal punto di vista militare ricordava come l'esercito fosse relativamente ben ordinato e in progressivo miglioramento: il soldato serbo con le sue ottime qualità militari aveva dato nelrultima campagna indubbie prove del proprio valore. A questo proposito suggeriva che gli ufficiali italiani addetti alle legazioni studiassero l'ordinamento degli eserciti di grande numero con un bilancio relativamente basso. Descritte le condizioni difensive ed offensive concludeva la sua lunga relazione delineando quelli che sarebbero stati i compiti della Serbia. Questa, infatti, avrebbe dovuto affermare le proprie istituzioni, promuovere e diffondere l'istruzione, rafforzare l'esercito, (( essere d'esempio ai figli dispersi della grande famiglia serba. e, senza provocare direttamente la trasformazione dell'Europa orientale, tenersi parati ad ogni evento, e mettersi a livello della fortuna,


l .MILITARI E LA POLITICA JHLI:\:'-11\ NEl BALCANI

(1875- 1912)

405

ed usufruire calmi e risoluti dei momenti propizii. E' cotesta, a guanto pare, una condotta saggia e feconda. Che l'Europa civile assecondi le aspirazioni della libera Serbia e che i voti italiani accompagnino nel compimento della sua nobile missione la valente avanguardia degli slavi del sud, è l'augurio ch'io faccio a quella degna nazione nel suo interesse, e nell'interesse deli'eguilibrio d'Europa» (17). L'azione del rappresentante italiano, colonnello Baldassarre Orero, in seno alla Commissione europea per la delimitazione dei confini, costituita dopo il Congresso di Berlino, è nota alla storiagrafia dei rapporti italo- romeni. Se ne sono occupati infatti, studiando il problema del nuovo assetto balcanico, G. Bibesco, Histoire d'une frontière, Parigi, 1883 e B. Ci al dea, La politica estera della Romania nel quarantennio prebe!lico, Bologna, 1933, pp. 102- 103. La documentazione conosciuta è essenzialmente quella contenuta in Documente ofù.:iale ditJ corespondita diplomatica . . . presentate corpuriìor legiitoare in sesiunea anului z88o- 1881, Bucuresti, 1882, pp. 2 03 - 204 (due rapporti del rappresentante romeno a Costantinopoli, 22 e 29 agosto 1879) e in Politica externa a Romdniei intre anii I 873- 1 88o prìvitii dela agentia diplomatica din Roma, a cura di R. V . Bossy, Bucuresti, 1928, pp. r8r- 185 (due rapporti del rappresentante romeno in Italia, 29 ottobre 1878, 10 febbraio 1879; un dispaccio del ministro degli Esteri Campineanu al rappresentante romeno in Italia, 5 febbraio 1879). Ma l'azione del colonnello Orero può essere meglio determinata grazie alla documentazione offerta dagli archivi italiani; in particolare seguendo i rapporti che egli inoltrava al ministero degli Esteri tramite la legazione a Costantinopoli e ai protocolli ufficiali delle sessioni della Commissione per la delimitazione dei confini. Si tratta di sette rapporti, redatti a Costantinopoli e a Silistria dal 4 ottobre al 17 dicembre 1878, contenuti nell'Archivio Storico del ministero degli Affari Esteri, Rapporti in arrivo, Turchia, buste 1462 e 1463; i protocolli, invece, si trovano nella busta 1463 dello stesso fondo. Si conserva, inoltre, nell'Archivio dell 'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio coloniale, Reparto operazioni, Stati esteri, busta 32, fa-

(r7) A. VELINJ, Note sulla delimitazione della Serbia, Roma, gennaio 188o, SME- AUS, Reparto operazioni. Ufficio coloniale. Stati esteri, b. 36, pp. 1 35· Attilio Velini (Tradate 1839 - Como 1906). Volontario nella campagna del r859 fu l)Ominato sottotenente nel 186o e partecipò alla campagna del x866. Colonnello (r884), maggior generale (1903), fu deputato dalla XIII alla XV! legislatura per i collegi di Appiano e Como.


406

L'ESERCITO ITALIANO DALL'U:-<ITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861 • 1918)

scicolo 3 e busta 25, fascicolo n, la relazione finale di Orero, composta di due quaderni rispettivamente di 40 e 108 fogli. La prima parte della relazione riguarda il periodo settembre- dicembre r878, durante il quale la Commissione europea condusse a termine i lavori per la delimitazione del confine tra Romania e Bulgaria; la seconda, invece, riguarda il periodo marzo- luglio 1879 impiegato per delimitare il confine della Rumelia. Il colonnello Orero (Novara r841 - 1914), ufficiale di formazione piemontese e risorgimentale, fu attore non secondario di alcune vicende di storia italiana, mostrando costantemente una spiccata personalità. Entrato nell'Accademia Militare di Torino nel r865 e nominato sottotenente dei bersaglieri, partecipò alla seconda guerra d'indipendenza, alla campagna del r86o- 1861 dove collaborò con il generale Cialdini e alla presa di Roma nel r87o (r8). Trasferito allo Stato Maggiore nel 1872, fu inviato tre anni dopo, guale osservatore italiano alle grandi manovre russe a Pietroburgo. Dopo aver lavorato alla delimitazione dei confini in Dobrugia e in Rumelia, ebbe nel r889, il suo incarico di maggior rilievo, quando fu chiamato a sostituire il generale Bald.issera "in Africa. Si trovò allora a organizzare l'amministrazione della colonia Eritrea e a svolgere, di fatto, le funzioni di governatore . Assertore della necessità di pacificare il Tigrè e di estendere l'influenza italiana su quelle popolazioni per sottrarle alla propaganda dei due ras ribelli, Mangascià e Alula, eluse gli inviti alla prudenza forniti da Crispi alla sua partenza dall'ltalìa e si pose in contrasto col rappresentante italiano, conte Antonelli. Promosse quindi una spedizione verso Adua per non lasciare alle truppe di Menelik il compito di pacificare il Tigrè; ma il risultato militar mente e strategicamente positivo della spedizione non sanò il contrasto, ormai aperto, con Crispi

(t8) Nel 188r pubblicò le proprie memorie sui lavori della Commissione, fermandosi piuttosto sugli aspetti di colore che su guelli politici, col titolo Note di viaggio nella penisola dei Balcani (Novara, 1881). Sulle esperienze fatte durante le guerre per il Risorgimento e l'Unità Orero ha lasciato una vivace testimonianza nel volume Da Pesaro a A4essina (Torino, 1905), sulle operazioni nell'Italia centrale e l'assedio di Gaeta. Conclusa l'esperienza in Africa, Orero comandò la Brigata «Parma >> ( 18901892), la Divisione militare di Brescia (1892- 1895) e infine, promosso tenente generale nel 189(5, guella di Roma. Nel x898 fu nominato comandante del Corpo d'Armata di Bari e nel 1902, lasciato il servizio attivo per limiti d'età rientrò nella nativa Novara dove prese parte attiva alla vita e alla amministrazione della città . Cfr. EtJciclopedia Militare, vol. V, Milano, 1933, p. 666; E . SARTORtS, Generale Baldassarre Alessand1·o Orero, in << Bollettino Storico per la provincia di Parma >>, a . UV (1963), pp. t - 30.


l MIUTARI .E LA POLITICA ITALIANA ~El BALCA:-•JJ

(T8j')- I9I2)

407

e soprattutto con il conte Antonelli. alla cui politica Orero era dichiaratamente contrario. Nell'aprile 1890 rinunciò all'incarico, sottolineando polemicamente come fosse « necessario che il governo si pronunci chiaramente, riponendo tutta la sua fiducia nel Comando superiore o tutta nel conte Antonelli ... )) (19). Vico Mantegazza, nella sua narrazione delle guerre africane, contrappose le virtù militari e civili di Orero alle incertezze governative e ai maneggi della diplomazia, incarnata dal conte Antonellì . « La storia del periodo breve nel quale Orero rimase nell'Eritrea - concludeva perentoriamente - non è che la storia di questo dissenso » (20). Nominato nell'agosto 1878 delegato italiano nella Commissione europea per la delimitazione dei confini (21) fu convocato al ministero degli Esteri dove il conte Corti , giusto alla vigilia della sua uscita dal ministero Cairoli, aveva raccomandato all'ufficiale una condotta equa e una fedele applicazione degli accordi di Berlino e lo aveva informato particolareggiatamente intorno ai problemi relativi al confine romeno- bulgaro e alla città di Si!istria (22). Ricevuta una lettera di istruzioni, Orero si imbarcò a Brindisi il 3 settembre e, giunto a Costantinopoli il 9, fu il primo fra i delegati a raggiungere il suo posto. A causa della prolungata assenza dei suoi colleghi, rappresentanti delle altre potenze, e del ritardo con cui la Porta nominò il proprio rappresentante, i lavori iniziarono solo il 21 ottobre r878 con un ritardo di trentasette giorni . Inutilmente Orero se ne stupì e, come altri suoi colleghi, se ne dolse con il pieni(19) E . SMnORlS, art. cit., p. 27. Sull'attività di Orero in Africa cfr. Storia politico - militm·e delle colonie italiane, Roma, 1928 e Storia militare della colonia Eritrea, Roma, 1936, voll . 2, entrambe a cura dell'Ufficio Storico del Corpo di Stato Maggiore, Ministero della Guerra. Anche dell'esperienza africana l'ufficiale italiano ha lasciato una efficace memoria nei Ricordi. d'Africa, in «Nuova Antologia l>, a. XCL (1901), fascicoli 65)8- 699, pp. 193- 210 e 500 - 522. (2o) V. MANTEGAZZA, La gunra in Africa, Firenze, 18<}6, p. <Jl· (21) Il ministero della Guerra al ministero degli Esteri, 24 agosto 1878, n. 293- MAE - AS, Rapp01'ti ÙJ arrivo. Tu,·chia, b. r462. Oltre a Orero il ministero della Guerra aveva nominato il capitano Felice Gola per la commissione speciale della Serbia e Giuseppe Ottolenghi per guella del Montenegro. Il Gola fu poi al centro di un singolare caso : dichiarato disperso, il suo bagaglio fu poi ritrovato intatto escluso il pacco di documenti che avrebbe dovuto inviare a Roma, MAE- AS, Rappo-rti in arrivo. Romania, b. 1396· Sulla presenz-a di Orero a Costanrinopoli cfr. Galvagna a Corti, Costantinopoli, 8 settembre t8j8, n . 1261, MAE- AS, Rapporti in at·rivo. Turchia, b. 1462. (22) Orero a Corti, Costanti 11opoli, 4 ottobre 1878, rapporto n. r; Id ., Costantinopoli, 22 ottobre 1878, rapporto n. 2, MAE- AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1462.


408

L ' ESERCITO IT:\LIANO DALL'U::-<I'f.~ ALLA GRANDE GUERRA

(1861- 1918)

potenziario italiano presso la Sublime Porta, conte Galvagna. Questi gli confermò che il ritardo era dovuto a una precisa tattica della diplomazia ottomana, volta a far decantare la situazione. Infatti nelle riunioni informali che i rappresentanti europei avevano tenuto a Costantinopoli, si era perfettamente delineata la posizione del delegato russo, il quale, in sintonia con le istruzioni ricevute da Pietroburgo, tendeva a favorire la Bulgaria a danno della Romania, mentre si dichiarava autorizzato a trattare per i soli confini della Dobrugia, escludendo il problema della Rumelia (23). Il periodo di forzata inattività fu usato da Orero per prepararsi ulteriormente ai lavori, per conoscere la capitale ottomana e studiare a fondo l'organizzazione militare turca: la crisi di quell'esercito, che pure aveva contato nella guerra contro la Russia oltre 740 mila uomini, non poteva essere arrestata, a suo giudizio, dall'immissione di ufficiali stranieri. Ne!Je prime pagine della sua lunga relazione il colonnello Orero ricordava come il congresso di Berlino avesse voluto creare in Europa una pace stabile e duratura, affidando alle tre potenze estranee (Germania, Francia e Italia) un compito di mediazione tra le parti interessate. Tuttavia il bilancio del congresso sembrava deludente: l'Europa, in definitiva, aveva sanzionato esigenze derivanti dall'interesse parti_colare di alcune potenze e con ciò aveva costruito una pace precana. Il 21 ottobre 1878, con la nomina del delegato ottomano, generale di brigata Tahir pascià, la Commissione, definite le questioni di metodo e di principio, decise eli iniziare le operazioni col determinare la frontiera romeno - bulgara tra Silistria e il Mar Nero (24). Fissato il 2 novembre quale data di riunione a Silistria, il 28 ottobre la Commissione, preceduta dal delegato russo e dagli ufficiali topografi inglesi, si imbarcò per Varna, ove giunse il mattino del 29. Da Varna raggiunse Ruscuk in ferrov ia, e da Ruscuk scese per il Danubio fino a Silistria. Durante il viaggio l'ufficiale italiano fu urtato dal comportamento degli ufficiali russi che, come scrisse più tardi, << poteva predisporre l'animo ad una opinione non troppo favorevole sul conto loro», mentre in merito ai rapporti russo- romeni scriveva : « Indipendentemente dai dissapori creati dalla condotta poco generosa della Russia verso la Romania, esisteva un'altra causa la quale ren(23) Gatvagna a Corti, Costantinopoli, 23 settembre 1878, n. 1268; Id ., 26 settembre 18;8, n . 1270; Id., 1" ottobre 1878, n. 1277, MAE- AS, Rap('orti in arrivo. Turchia, b. 1462.

(24) Orero a Corti, rapporti nn. r e 2, cit.


t

~IIUTARI E LA POLITICI\ ITALIA:'-IA NEl BALCANI (r875- 1912)

409

deva sempre sensibile l'avversione reciproca tra i due eserciti ... Cuoceva all'amor propòo degli ufficiali russi la parte abbastanza considerevole avuta dall'esercito rumeno nella vittoria finale; epperciò si valsero del malcontento e delle proteste del loro alleato per ia retrocessione della Bessarabia come di un pretesto plausibile a liberarsi del peso della riconoscenza e dar sfogo al ferito sentimento di alterigia che era in loro>>. Fin dai primi scambi di opinione con il delegato russo, colonnello Bogoljubov, Orero intravide il disaccordo assai pronunciato che si sarebbe verificato nella scelta del punto sulla riva destra del Danubio da cui doveva partire la frontiera che assegnava alla Romania quel territorio ricevuto a compenso della Bessarabia. Questo disaccordo si fece palese fin dal primo giorno in cui la Commissione si riunì a Silistria in seduta ufficiale. Le indicazioni fornite dall'articolo II del trattato di Berlino per la scelta di quel punto, come in genere per il tracciato di tutta la linea di frontiera dal Danubio al Mar Nero, erano alquanto indeterminate. Il testo riferentesi a quella parte di confine, affermava che la frontiera doveva lasciare la riva destra del Danubio (( a un punto da determinare dalla Commissione europea all'Est di Silistria >> e di là dirigersi verso il Mar Nero a Sud di Mangalia. In astratto qualunque punto scelto dalla Commissione sulla riva destra del Danubio e all'Est di Silistria avrebbe soddisfatto la condizione fissata nel testo. Già con le stipulazioni di S. Stefano era stato stabilito in linea di massima di assegnare alla Romania il delta del Danubio. Con ciò, secondo Orero, il principato, da un lato, prendeva piede sulla riva destra del Danubio, entrando in possesso di impor tanti sbocchi sulla costa del Mar Nero, e dall'altro_, portava il suo confine al Prut e al Danubio, presentando così il vantaggio di ottenere una lunga linea di frontiera tracciata in modo certo. Orero tuttavia, valutava pienamente i motivi di carattere nazionale che suscitavano la reazione della Romania: questa perdeva, infatti, una provincia abitata da una popolazione in maggioranza romena, in cambio di una dove l'elemento etnico era meno cospicuo (25). L'orientamento generale della Commissione fu quindi quello di far partire il confine da un punto situato ad 8oo metri dalla cinta di Sil istria, dal quale fosse possibile gettare un ponte sul Danubio. (25) Su questo particolare problema l'ufficiale italiano esponeva il proprio punto di vista affermando che la Romania avrebbe dovuto fare del problema Dobrugia - Bessarabia una questione nazionale « senza tener conto della probabilità di vittoria disporsi a sostenere colle armi i suoi diritti » soprattutto se riteneva inaccettabile il barattO tra la Bessarabia e la Dobrugia.


4lO

L'J::ScRCI ro ITALIANO D.\tL'UN!TÀ ALLA GRANDE G U ERRA

(r86r- 1918)

Questa vicinanza alla città, che in pratica assegnava alla Romania le posizioni militari situate a sud - est della fortezza, fra cui Arab Tabia, incontrò la vince opposizione del rappresentante russo interessato a difendere e a favorire la Bulgaria. Il 6 novembre 1878 la Commissione incluse quindi la fortezza di Arab Tabia nel territorio romeno. La decisione, presa a maggioranza di sei voti, toglieva a Silistria la sua importanza come piazzaforte e sanzionava di fatto quanto era detto nel trattato, e cioè che tutte Jc fortezze situate nel territorio del principato bulgaro dovevano essere distrutte (26). Dal 7 novembre, per dodici giorni, la Commissione viaggiò per determinare sul terreno la linea di confine e molti dei commissari. compreso il colonnello Orero, dovettero ricredersi circa la Dobrugia ritenuta, a torto, « un paese piano c paludoso, povero e insalubre, senza strade c senza villaggi, abitato da una popolazione di diverse razze, rada c nomade in gran parte )). Molte pagine della relazione sono dedicate alla descrizione dei luoghi visitati, delle difficoltà incontrate nei rapporti con la popolazione e non mancano interessanti considerazioni sulla presenza economica italiana in qucJle regioni: questa era, a giudizio di Orero, progressivamente scaduta per la concorrenza vittoriosa della navigazione a vapore su quella a vela dell'antico Piemonte e delle Due Sicilie e, in quel periodo, per il disinteresse e l'inerzia del governo italiano verso questi problemi (27). Ultimati i lavori la Commissione si sciolse dandosi appuntamento a Costantinopoli entro otto giorni, tempo necessario per la preparazione degli atti e documenti da firmare e da inviare ai rispettivi governi. La maggior parte dei commissari si diresse a Varna per imbarcarsi sul battello austriaco e rientrare così a Costantinopoli; Orero e il commissario tedesco preferirono usare quel tempo per recarsi a Bucarest dove l'ufficiale italiano non mancò di osservare come la città fosse un '' misto bizzarro >l di lusso, comodità e

(26) Orero a Cairoli, Silistria, 6 novembre 1878, rapporto n. 3· Cfr. anche protocolli n. 1 (21 ottobre 1878), n. 3 (24 ottobre 1878), n. 4 (3 novembre 1878), n. 5 (4 novembre 1878), n. 6 (5 novembre 1878). n. 7 (6 novembre r878); MAE · AS, Rapporti in anùo. Turchia, b. 146·3. In realtà nessuna delle antiche fortificazioni turche, poi bulgare venne distrutta. (27) Orero deline:l\·a anche quelle linee di penctrazione economica nel mondo balcanico ricostruite da A . T>u\lBORJu, T he Rise of Italia n lndu.<try and the Balkans ( 1900- 1914)• in << Journal of Economie History », 1974. n. r, vol. 3· pp. 87- 120. Cfr. anche M. VERK-\SSA, Opinione pubblica e politica esrera. L'interessammto italiano nei confronti ddì'area balcanica ( 1897 · 1 <JO3), in " Rassegn3 Storic3 del Risorgimento >l. a. LXHI ( 1976), III, pp. 338-364.

'

!

j


l MILIT ARI E L1\

POLrTIC.~ !T:\U i\ Kt\ NEI

BAJ.Ct\NT

(1875 · 19 12)

41 [

conforto delle più grandi città europee insieme a vie fangose e povere abitazioni in legno e come fosse ben presente una sorta di deprecabile sudditanza psicologica e di costume verso tutto ciò che era francese. Dopo una sosta di tre giorni, durante i quali fu ricevuto dal principe Carlo che gli mostrò la propria riconoscenza per l'opera svolta in favore della Romania, Orero partì da Bucarest per rientrare a Costantinopoli dove il 26 novembre la Commissione riprese le sue sedute. Il colonnello Bogoljubov si mostrò irremovibile e attaccò, con termini violenti, l'operato della Commissione. Il 17 dicembre 1878 l 'atto diplomatico, le carte e i documenti che descrivevano la linea di frontiera tra Silistria e Mangalia vennero firmati da sei commissari e inviati ai rispettivi governi senza la firma del commissario russo (28). Il contrasto tra l'ufficiale italiano e quello russo, in sintonia del resto con la politica dei propri governi costituì, in pratica, una costante per tutto il periodo dei lavori della Commissione. L 'oggetto della vertenza, se comprendere o meno Silistria nel territorio romeno, era di estrema importanza politica e militare, come si vide nel gennaio 1879. L'importanza strategica di Arab Tabia, e quindi di Silistria, era fuori discussione. Fortificazione avanzata di Silistria, possederla rendeva possibile il controllo delle comunicazioni con la Dobrugia . Per questo fu al centro delle vertenze dei primi mesi del 1879. In gennaio i romeni avevano occupato il forte Arab Tabia e premevano affinché le potenze europee risolvessero senza indugio il problema. Depretis riteneva, e cos~ si era espresso in un colloquio diretto con il rappresentante romeno a Roma, Obedenaru, che la vertenza dovesse essere risolta con un accordo diretto tra la Russia e la Romania mentre il governo italiano invitava il principato ad una magg1ore prudenza nella sua politica (29). (28) Orero a Cairoli, Costantinopoli, 26 novembre r878, rapporto n . 4; Id., 4 dicembre 1878, rapporto n. 5; Id., I I dicembre 1878, rapporto n. 6; Id., t7 dicembre 1878, rapporto n. 7; MAE - AS, Rapporti in arrivo. Turch ia, b. J463· (29) Depretis a Fava, Roma, 10 febbraio t879, MAE · AS, Registt·o copialettere in partenza, n. 120 2, pp. 146 · q8. Depretis informava il console ita· liano a Bucarest dell' incontro avuto con il console di Romania a Roma. Il governo italiano, scriveva allora Depretis, di fronte agli avvenimenti di Arab Tabia, non poteva nascondere all'amica Romania la propria preoccupazione per la piega presa dagli avvenimenti . L'agente romeno aveva comunque precisato non essere intenzione della Romania occupare più territori di quelli attribuiti dal Congresso di Berlino. L'occupazione del forte era stato un passo


412

L'ESERCITO IT\1.1 ,\ NO DALL'UKITÀ AllA GRAKDE CLlRR\ (1861- 1918)

Le truppe romene si ritirarono da Arab Tabia sul finire dd febbraio 1879; il governo di Bucarest yoiJe tuttavia precisare essere quello un atto di buona volontà nei confronti delle potenze e non una rinuncia al diritto (30 ). Gli inviti alla prudenza espressi al governo romeno durante gli avvenimenti di Arab Tabia non modificarono le posizioni assunte dall'Italia al Congresso di Berlino e nei lavori di delimitazione. Il r3 aprile r879, alla vigilia della convocazione della Commissione, Depretis, ministro degli Esteri, nell'inviare precise istruzioni al colonnello Orero sul comportamento da tenere nei lavori relativi alla delimitazione della Rumelia ricordava all'ufficiale essere ferma intenzione del governo italiano mantenere la linea politica elaborata al Congresso di Berlino dove <\ l'accordo unanime dei plenipotenziari poté conseguirsi mercé l'adesione del plenipotenziario russo, conte Schouvalow l Suvalov l, a che, conformemente al voto della Commissione tecnica, il confine abbia a dipartirsi dal Danubio in tale località dove sia possibile la costruzione del ponte >l (31 ). Che questa località fosse un punto vicino a Silistria era, a giudizio di necessario in quanto la Romania si era \·ista minacciata dalla Russia. Questo punto in Depretis a Fa\'a, 14 febbraio 1879, MAE - AS, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 149-150. Sulla presenza russa in Dobrugia e sui difficili rapporti russo- romeni cfr. anche Maffei a Fava, 25 novembre 1878, n. 194, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 117- t 18; Fava a Cairoli, Bucarest, 6 dicembre Jl:\78, n. 928, MAE- AS, Rapporti i11 arrivo. Romania, b. 135)6; Deprctis a Fava. 1° febbraio 18ì9, n. 205, MAE - AS, Registro copialettere in partenza, n . 1202, pp. r35- r36 e 140- 142: Torniclli a Fava, 3 febbraio r879, n. 208, MAE - AS, Registro copialettere in pm·tenza, n. 1202, pp. 140 · 142. Tornielli informava Fava dei passi compiuti a Roma dall'agente romeno in vista della nuova convocazione della Commissione per la delimitazione dei confini. Fava a Depretis, 21 febbraio t879, n. <ft;, MAE- AS, Rapporti in arrivo. Romania, b. 1396· Per questi problemi cfr. D. CAcCA.\10, L'Italia, la questione d'Oriente e l'indipendenza romt"na nel carteggio del consolato italiano a Bucarest ( r870 - 1879), in (( Storia c Politica », a. XVIII ( 1979), T, pp. 6;- 124. (3o) Fava a Depretis, 20 febbraio 1879, n . 963, MAE- AS, Rapporti in arrivo. Romania, b. 1396. Cfr. inoltre Fava a Depretis, 22 febbraio 1879, n. 967, MAE- AS, Rapporti in arrivo. Romania,, b. 139(5. Informava che da un punto di vista strategico il possesso di Arab Tabia era necessario per le comunicazioni con la Dobrugia. Con il possesso di quella fortezza i bulgari avrebbero potuto impedire ogni transito verso la regione. Fava concludeva scrivendo che essendo Arab Tabia una fortificazione a vanz~ta di Silistria, le potenze firmatarie degli accordi di Berlino avrebbero potuto esigerne lo smantellamento. Fava a Depretis, 26 febbraio 1879• n. 98<>. MAE- AS, Rapporti in arrit1o. Romania, b. 139<>· (31) Depretis a Orero, 13 aprile 1879, n. 220, MAE · AS, Regùtro copialettl'Te in partroza. Turchia, n. 1234, pp. 233- 244.


l MILIT ARI E I, A POLIT ICA JTALlAI'A NEI BALCANI ( t875 - 1 912)

4I 3

Depretis, un fatto incontestabile: se opposizione doveva esserci questa doveva manifestarsi nella sede idonea e cioè nella riunione dei p1enipotenziari prima delle decisioni definitive. La Commissione di delimitazione, organo essenzialmente tecnico, non aveva il potere di modificare le decisioni di Berlino e bene aveva fatto il delegato italiano ad attenersi fedelmente alle istruzioni ricevute a suo tempo dal ministero degli Esteri. Il problema della frontiera bulgaro- romena fu risolto comunque solo nel 188o dopo una trattativa tra Austria- Ungheria e Russia: il forte di Arab Tabia fu assegnato alla Romania mentre la Bulgaria fu compensata con una rettifica della frontiera che passava in prossimità di Silistria (32). Relativamente più semplici furono i lavori per la delimitazione della Rumelia sia perché in parte già svolti dalla sottocommissione formata l'anno precedente sia per la rinuncia da parte ottomana al diritto, pure riconosciuto dal congresso di Berlino, di erigere posti fortificati al confine tra la Bulgaria e la Rumelia orientale. La determinazione di questo confine voluto dalle potenze europee per dare alla Turchia una buona frontiera difensiva ora che era stata privata del confine danubiano, non era, a giudizio di Orero, affatto semplice ed esulava dai compiti generalmente affidati ad una commissione di delimitazione (33). Dal punto di vista militare, infatti, « un esercito padrone della Bulgaria può avanzare su Adrianopoli e Costantinopoli per tre linee d'operazione diverse>> e precisamente da Sciumla a Varna, da T1rnovo a Sipka, e da Sofia, per Filippopoli, ad Adrianopoli. Il confine rumelo- bulgaro in conclusione non aveva, sia considerato nelle sue tre parti sia nel suo complesso, <( quelle condizioni che sarebbero necessarie per renderlo atto alla difesa di uno Stato ». Non potendo inglobare Varna e Sciumla nell'Impero ottomano e non potendo quindi tener fede al dettato del congresso di creare per il sultano una frontiera difendibile, il lavoro della Commissione veniva ad essere enormemente semplificato in quanto assumeva un carattere meramente formale se i delegati, componenti Ja Commissione, si fossero accordati preliminarmente conciliando la condizione di difendibilità con quella indicata espressamente dal Congresso, di seguire in alcune parti la << cresta » dei Balcani ed in altre la •<catena » principale. E proprio su li 'interpretazione di questi due termini tornò a manifestarsi l'inconciliabilità tra le posizioni del delegato russo, colonnello Boga-(32) B. CIALDEA, La politica utera della Romania nel quat·antennio prebellico, Bologna, r933, p. IlO. (33) A. B. ORERO, Relazione .. . , cit., parte II.


4l4

L.HERCI'f() ITALIANO DALL't;r-;ITÀ ALLA GRAl'iDE GL'ERRA

(1861 • 1918)

ljubov, con quella degli altri componenti. Rassicurato sull'interpretazione imparziale dei principi una volta che i lavori si fossero trasferiti sul terreno ed evitata una pericolosa questione posta dal delegato ottomano, appoggiato da quello francese, circa la sistemazione deìle fortificazioni, la Commissione poté dal 13 maggio, e in cinquanta giorni, compiere la ricognizione sul terreno. A conclusione dei lavori Orero sottolineava come ormai fosse irreversibile la .fine del potere turco in Europa. Il problema, a suo giudizio, era che in una eventuale lotta tra turchi e russi l'Austria- Ungheria, eventualmente coalizzata con la Gran Bretagna, potesse estendere la propria presenza nei Balcani. (( In mano di chi cadrà Costantinopoli? - si domandava perentoriamente l 'ufficiale italiano -. Piuttosto che terra britannica io penso essere molto meglio per noi appartenga alla Russia. Per l'Italia mi sembra obiettivo suo dover essere quello di farla città ellenica o meglio città libera e neutrale n. Con questi termini l'ufficiale italiano tornava a sottolineare la necessità di una po!itica balcanica più attiva da parte dell'Italia confortato in ciò dalle opinioni raccolte tra i residenti italiani nelle regioni attraversate e in particolare a Filippopoli dove la colonia italiana, pur considerevole come numero, mancava di un proprio rappresentante ufficiale (34). La sistemazione raggiunta con il Congresso di Berlino, lungì dal soddisfare le legittime aspirazioni dei popoli balcanici aveva creato quelle situazioni che di lì a pochi anni avrebbero messo in discussione quel tipo di equilibrio che pure il Congresso aveva cercato di stabilire. Delusi i serbi e i greci dalla pol itica russa che aveva puntato sulla creazione, con il trattato di Santo Stefano, di una grande Bulgaria quale avamposto della propria politica nei Balcani; delusi i bulgari che dal Congresso erano stati ridimensionati nelle loro aspirazioni nazionali e mentre Serbia e Grecia finivano inevitabilmente per avvicinarsi all'Austria e all'Inghilterra, tradizionali avversarie della politica russa nei Balcani, la Bulgaria .finiva per legare sempre più i propri destini ali' assistenza tecnica, .finanziaria e militare della Russia. L 'attivismo della politica bulgara, seguita con attenzione da Belgrado e Atene, .finì per deteriorare progressivamente le relazioni tra la Serbia e la Bulgaria, accusata quest'ultima di fomentare le ribellioni e aiutare gli oppositori del re Milan Obrenovié. La costante politica di espansione territoriale di Battemberg terminò nel 1885 con la proclamazione dell'unione con la Rumelia Orientale e la conseguente guerra con la

(34) A. B. Ou"Ro, Relazione ... , cir., parte H, p. r8.


l ~H!.lTART E LA POLITICA ITALIANA KE! BALCAKJ

(187) • 1912)

415

Serbia nel novembre 1885 (35). L 'intervento delle potenze europee e le successive trattative di pace riconobbero dì fatto l'unione rimanendo i due paesi formalmente separati (36). Lo svolgersi della guerra fu particolarmente seguito daglì addetti militari a Pietroburgo e a Vienna. La guerra infatti, provocata dalla Bulgaria, aveva suscitato vivaci reazioni in Russia e lo zar aveva ordinato l'immediato rimpatrio degli ufficiali russi al servizio del principe di Battemberg ed jnvocato la destituzione dello stesso. A giudizio dell'addetto militare a Pietroburgo, maggiore Giuseppe Dogliotti (Bordighera, 1850 - 1923), l'atteggiamento russo non nasceva da sentimenti con trari alla Bulgaria quanto dal fatto che la politica estera di Pietroburgo era in quel momento particolarmente impegnata in Asia e specificamente nella questione dell'Afghanistan. Mentre si svolgevano infatti i lavori di delimitaz.ione del confine importanti provvedimenti erano stati presi per rinforzare le truppe. Tale intensa attività in Asia « mi conferma nell'opinione - scriveva Dogliotti - ( ... ) che se la Russia accettò J'accordo con l'Inghilterra non lo fece già con l'intenzione di rinunciare per sempre alle sue mire suli 'Afghanistan, o forse meglio ancora quello di ottenere uno sbocco al suo commercio dell'Asia sull'Oceano lndiano, ma bensì nel solo intento di poter guadagnare tempo per prepararsi meglio in quell'impresa)) (37). La guerra pur nel suo rapido svolgersi aveva rimesso in discussione l'intero equilibrio balcanico e messo in luce la superiorità dei bulgari nei confronti dei serbi e solo l'energica nota dell'Austria minacciante l'intervento austriaco a fianco dei serbi, con possibile ingresso dei russi in Bulgaria, indusse Alessandro di Battemberg a deporre le armi e ad avviare le trattative per la conclusione di un armistizio. Fu formata allora una Commissione internazionale che

(35) Sulla guerra cfr. i due interessanti lavori di E . B ARBARICH, La guerra serbo - bulgara nel T88). Le operazioni nei Kodza- Balkan, Torino, 1894, pp. 239; e Io., Considerazioni sulla guerra serbo- bulgam nel 1885. Opemzioni per l'investimento e a.rsedio di Vùldino, Roma, r898, pp. 8;. (36) Cfr. A. TAMBORRA. La crùi balcanica del T885- 1886 e l'ltalia, in «Rassegna Storica del Risorgimento>>. a. LV (1~9), Iii, pp. 371- 3SJ6· Inoltre, oltre alle opere già cit., cfr. V. MANTEGAZZA, La Grande Bulgaria 1878 1942, Sofia, 1943; !storia na Bulgarùa, a cura dell'Accademia Bulgara delle Scienze, volumi 2, Sofia, 1945 - 1955· (37) Dogliotti a comandante in 2 " del Corpo di Stato Maggiore, Pietroburga, 8 novembre (27 settembre) r885, prot. n . 94 rùervati.uimo, oggetto : Situazi01le politico- militare della Russia, SME- AUS, Pietroburgo. Corrispondenza degli addetti militari italiani (agosto r884- dicembre 189]), b. 1.


416

L'ESERCITO lTALl '<NO DAL.L\Jl\ITÀ ALLA GRM'WE Ct:f.RRA (t8(>I- 1918)

il r8 dicembre r885 tenne la sua prima riunione. All'unanimità fu eletto presidente il tenente colonnello Alberto Cerruti in quanto rappresentante della potenza che aveva preso l'iniziativa. In quattro giorni e con sci sedute i commissari portarono a termine il loro lavoro stabilendo la durata dell'armistizio: dal 21 (9) dicembre r885 al I marzo (17 febbraio) r886; l'evacuazione dei territori occupati; le norme per l'ordine pubblico nelle zone interessate dall'armistizio; la fascia di territorio neutrale tra le due armate, lo scambio immediato dci prigionieri c la nomina dei delegati per i negoziati di pace (38). Le relazioni di Salaris (39) e di Trombi (40) riguardano invece la Grecia proprio all'indomani di quella guerra con la Turchia (febbraio r897) alla quale avevano partecipato con slancio ed entusiasmo i volontari garibaldini italiani. La Grecia, che fin dalla crisi d'Oriente del 1875- 1878 aveva cercato di riscattarsi dal dominio ottomano, sorretta dalla spinta irredentistica di ricostituire l'antico Impero bizantino, era uscita dal1a guerra notevolmente indebolita ed era stata salvata solo dall'intervento delle potenze europee le quali imponendo l'armistizio (maggio r897) e la pace (dicembre 0

(38) Cerruti a Cosenz, comandante del Corpo di Stato Maggiore, Vienna, 30 dicembre •885, prot. n. 126, oggetto: Mission~ per l'armistizio fra la Serbia e la Bulgaria; Id., Ct:lndizioTJi di armistizio t1·a le truppe bulgare e serbe, SME- AUS, Corrisrondenza con l'addetto militare {l Vienna, b. 4· Alberto Cerruti (Alessandria d'Egitto 1840 - Genova 1912). Sottotenente di Artiglieria (1859) partecipò alla campagna del 1866 c insegnò presso l'Accademia militare di Torino. Addetto militare a Vìenna, maggior generale (1894) comandò la Brigata << Savona» e la Scuola di Guerra (1897). Tenente generale (1899) comandò la Divisione di Genova (r900). In posizione ausiliaria (1904), mentre era sindaco di Genova, fu nominato senatore (1905). Cfr. Enciclopedia Militare, cit., vol. II, p. 864. (39) E. s.~li'.RtS, N ore sulla Grecia, sul suo esercito e sui ,·ec~nti avt,enim~nti. Impressioni di viaggio, Atene- Firenze, 1897, p. 35, SME • AUS, Stati BalcaTJici, b . 29, e pubblicata in ''Rassegna Nazionale))' I 0 ottobre 1897. Ufficiale di complemento nel 1897 seguì le operazioni della guerra greco· turca. Diresse successivamente la rassegna « Il bibliolìlo militare » e collaborò alla << Rivista di Cavalleria ». (40) V. TROMBt, Delimitazione della frontiera di Tessaglia, anno 1897· Estratto del giornale di viaggto, e In., C<1mpletamento dei lav<lri di fr(mtit:ra in Tes.<aglia, Terapia, 9 giugno r8<)8, n. 25, SME · AUS, Reparto operazi<llli. Ufficio coloniale. Stati esteri, b. 38. Vittorio Trombi (Modena 1854 - Capannori 1 934), sottotenente d'artiglieria ( 187:;), colonnello ( r899) comandò per due anni le rruppe in Africa. Maggior generale (rgo:;), fu aiutante di campo del re (t9<X)- 1911) e partecipò alla guerra di Libia. Generale di Corpo d'Armata nel 1924.


l ~I LITARl E LA POLITICA IT :\LIANA !'lEI BALC.~:'·Il

(1875- 1912)

4I7

1897), avevano permesso alla Grecia di conservare la Tessaglia (41). Il tenente colonnello Trombi, membr o della Commissione per la delimitazione dei confini di T essaglia nel trasmettere le sue relazioni precisava che (( sebbene i nostri obiettivi probabili non siano diretti a detta regione, tuttavia penso che gli appunti presi possano giovare a completare presso codesto Comando i dati geograficomilitari che già possiede e a dare un'idea esatta delle difficoltà più o meno grandi che si dovettero superare nella recente campagna greco- turca » (42). Alcuni mesi dopo gli accordi di Murzsteg (2- 3 ottobre 1903) il maggiore Rubin de Cervin, addetto militare italiano a Sofia e buon esperto dei problemi balcanici (43) in un lungo rapporto al capo di Stato Maggiore esprimeva nettamente i propri dubbi sulla validità delle riforme imposte al sultano per la Macedonia. Ribadita, infatti, la complessità della questione balcanica in generale e della macedone in particolare, sottolineava come la ribellione delle popolazioni della provincia fosse mantenuta viva <C dalle potenze che sovra essa vantano diritti e covano desideri di conquista )> e dalla comprensibile esigenza delle popolazioni cristiane di affrancarsi dal giogo ottomano che soffocava ogni libertà e iniziativa di progresso. La strada intrapresa dalla diplomazia, quella appunto delle riforme , si sarebbe rivelata priva di valore giacché era impossibile <<modificare il vieto e tradizionale regime turco» mentre la riorganizzazione della gendarmeria, che costituiva lo strumento per riportare l'ordine nella regione, 1< anche riuscisse ottima (e la cosa è incerta, date le contrarietà e le meno occulte che da ogni parte la minano) non sarà mai sufficiente a procacciare l'ordine materiale in una regione alpestre, difficile, con scarse comunicazioni e

(4r) Sulla Grecia cfr. c. CESARI, Le truppe italiane nell'isola di c,·eta ( 1897- 1906 ), Roma, 1919; N. SvoRoNos, Histoire de la Gt·èce moderne, Parigi, 1953; J. D o TKOWSKI, L'occupation de la Crète 1897- 1909, Parigi, 1 953· (42) Trombi a comandante in 2 "' del Corpo di Stato Maggiore, Costantinopoli, 30 gennaio r8~, prot. n . 6, SME- AUS, Reparto operazioni. Ufficio coloniale. Stati esteri, b. 38. (43) Gustavo Rubin de Cervin (Ferrara 1865 - Pordenone r9re). Sottotenente di Cavalleria (r883), compiuti i corsi della Scuola di Guerra da capitano, venne trasferito nel Corpo di Stato Maggiore (1889). Maggiore (1903), aiutante onorario di campo del re (1905), fu collocato a disposizione del ministero della Guerra e fu addetto militare a Sofia (1904- 1910). Comandante del reggimento Cavalleggeri di Padova (19rr), colonnello (r9r2), maggior generale (1915), assunse il comando della 4" Divisione di Cavalleria prima e della 13" Divisione di Fanteria poi.


418

L ' ESERCITO JTAUANO ))AlL\: NlT.\ AllA GRAN DE GUERIL>\

(r861 - 1918)

nella quale sono in lotta ogni sorta di interessi, di razza, di religione e dì lingua » (44). La Macedonia, infatti, pur essendo una regione economicamente povera (gli abitanti che nel 1900 assommavano a tre milioni, erano in costante regresso a causa dell'emigrazione, del brigantaggio e della miseria) costituiva l'area dove maggiormente si scontravano le direttrici di espansione delle potenze. La stessa posizione geografica, al centro della penisola balcanica, ne faceva il punto di incontro e di conflitto degli interessi bulgari, greci, serbi e romeni, tutti in opposizione al dominio ottomano risalente alla seconda metà del secolo XIV (45). Le contese sulla Macedonia presero maggior vigore nel momento stesso in cui si pose il problema nazionale, il problema cioè del passaggio da nazione a Stato nazionale. Dopo il r87o la Bulgaria, con il riconoscimento da parte delle autorità ottomane dell'esarcato autocefalo, aveva ottenuto la giurisdizione di coloro che si dichiaravano slavi: il nucleo etnicamente più omogeneo venne così ad essere quello bulgaro e dal 1878 l'irredentismo macedone costituì, in Bulgaria, l'idea nazionale per eccellenza. L'aiuto del principato ai macedoni si conCretizzò con l'apertura di scuole, con il patrocinio di organizzazioni culturali per la diffusione e lo studio della lingua e della cultura bulgara, con il finanziamento delle associazioni filo - bulgare, con la concessione della nazionalità agli esuli macedoni, con la formazione di comitati bulgaro- macedoni la cui principale attività era costituita dalle insurrezioni armate che dal r899 ebbero un carattere costante ripetendosi puntualmente ogn i anno alla fine dell'inverno. Altra comunità etnicamente rilevante era costituita dai serbi, in netta preponderanza nell'alta valle del Vardar. Questi: pur non avendo una vera e propria organizzazione, erano p resenti e attivi attraverso Je iniziative dei consolati e delle scuole. Inoltre gli albanesi, gli ebrei, gli armeni e i cutzovalacchi, pastori della regione del Pindo, sostenuti nelle loro rivendicazioni dalla Romania, costituivano il vasto e complicato mosaico macedone, nel quale ben sì inseriva l'abile politica onomana di riconoscimenti e concessioni diverse al fine di impedire il collegamento e l'unità tra i macedoni, la quale, se realizzata, avrebbe portato ad un diverso sviluppo politico della regione.

(44) G. Ru sm DE CERVCN, Questione Balcanica, Torino, 28 dicembre 1<)04, pp. 14, p. 2, rapp. n . 2, destinatario il generale Tancredi $aletta, Roma;

SME - AUS, Addetti Militari, b. 81 . (45) R . RISTEIHtJEBER, Storia di paesi bah-anici, Rocca di San Casciano, 1970, pp. 274- 288.


l

~ULITARI E LA POLI TICI\ IT:\LTANi\ NE! BI\LCA:-Jl ( 1875 - 1912)

419

ln grado di contrapporsi realmente alla presenza turca nella regione, fu l' << Organizzazione rivoluzionaria interna macedone » o VMRO dal nome bulgaro VntreJna Makedonska Ret'Olucionarna Organizacija, che in breve tempo era riuscita a darsi una struttura militare agendo con metodi di vera e propria guerriglia partigiana (46). La situazione macedone, così come si era venuta sviluppando sin dal 1900, era stata ampiamente seguita dall'Ufficio coloniale (Ufficio dello scacchiere orientale) dello Stato Maggiore italiano attraverso i dati originali desunti dalla corrispondenza degli addetti militari, dalle relazioni dei viaggi compiuti nella regione dagli ufficiali italiani e dalle notizie degli informatori. L'importanza che lo Stato Maggiore italiano annetteva alle questioni balcaniche ed ai problemi della Macedonia intorno ai primi anni del secolo, si inseriva nel contesto della stessa politica estera italiana, determinata ad acquisire un proprio peso politico nei Balcani (47). La questione macedone, in particolare, non poteva essere eliminata dalle competizioni internazionali e il problema - come aveva scritto il Rubin - era duplice : sottrarre le popolazioni cristiane al dominio turco e sistemarle secondo il principio dì nazionalità. La situazione internazionale aveva determinato un capovolgimento delle influenze nei Balcani; l'Austria appoggiava ormai la Bulgaria, mentre la Russia sosteneva la Serbia. L'Italia, la cui politica nei Balcani si era andata sviluppando già dal 1896 con il matrimonio del principe ereditario Vittorio Emanuele con la principessa Elena del Montenegro, intensificò con il ministro degli Esteri Tittoni la propria azione economica e culturale ne.lla penisola, interessandosi particolarmente dell'Albania (48). (46) Sulla Macedonia dr. L. LA.\!OUCHE, Histoire de la Turquie, Paris, 1934, pp. 331 - 344; Io., Quinze an.; d' lzistoire bai kanique ( 1904 - 1918), Paris, 1928, p. 766. Nwnerose le opere, i saggi sulla situazione macedone; sinteticamente cfr. • i . I oRe A, H istoire d es Ezats balcaniques à l' époque moderne, Bucarest, 1914; A. PER><ICE, Origine ed evoluzione storica delle ruv zioni balcaniche, Milano, 1915; J. lvANov, Les Bulgares devant le congrès de la paix, Berne, 1919; G. B.~JDARov, La questione macedone, Roma, 1928; D. DAKrN, The Greek struggle in lvfacedonia 1887- I9IJ, Salonicco, 1~6; D . DJoRDJEVIé, Revolutions mltionales ... , cit. Cfr. inoltre l'ampia sintesi di A. TAMBORRA, L'Europa centro- orieTJtale nei secoli XIX e XX ( 18oor92o), cit. (47) Ufficio coloniale, Ufficio dello scacchiere orientale, Promemoria, generalmente anonimi, avevano la funzione di riassumere i principali avvenimenti. SME - AUS, Stati Balcanici, b. 3· A questo proposito cfr. anche L. SAL· vsro.REu.r, La Triplice Alleanza, Milano, 1939, p. 263 ss. (48) Cfr. sull'atteggiamento dei milirari di fronte all'indipendenza albanese A. BIAClNI, La lotta per 1'indipmdenza albanese nei t·apporti degli ad-


420

L ' ESERCITO ITAL!.\NO D....LL\INITÀ ALI.,\ GRo\NDE G UERR\ (d~61- 1918)

Nel 1903, dunque, la situazione macedone con le rivolte del febbraio e del luglio (ri,·olta di Sant'Elia del 20 luglio), tornò ad aggravarsi sollecitando indirettamente gli accordi di Miirzsteg il cui programma prevedeva la nomina di agenti civili austro- ungarici e russi presso l'ispettore generale turco della Macedonia, il riordinamento della gendarmeria da affidare ad ufficiali europei al servizio del sultano e, infine, un definitivo assetto dei distretti amministrativi. Il ministro Tittoni ottenne, in cambio dell'appoggio italiano al programma delle riforme, la nomina di un ufficiale italiano in qualità di comandante della r iorganizzazione della gendarmeria (49). In base a questo accordo nel gennaio del 1904 venne nominato il generale Emilio de Giorgis che il mese successivo giunse a Costantinopoli per assumere ufficialmente il comando della gendarmeria (so). Nonostante l'evidente successo diplomatico, negli ambienti militari non si nascondevano le perplessità .i n merito alla reale efficacia delle progettate riforme. Una nota dell'Ufficio coloniale, redatta dal capitano Zarnpolli (51), sottolineava come il progetto austro- russo, non rispondesse (( a ciò che pretendevano gli insorti bulgari, i quali volevano essere bulgari, uniti o no alla Bulgaria», e non fosse attuabile nel giro di pochi anni poiché le insurrezioni si sarebbero ripetute a breve scadenza: « la propaganda dei

dmi militari italiani ( 1911- 1912) , in (( Shcjzat >> (Le Pleiadi), uumero dedicato a E . Koliqi, s.a. (ma '978), pp. 251 -261. (49) F. VER!{EAU, La queJtimu: d'Oriente. Dal Truttato di Berlino (1878) ai giorni nostri, Bologna, 1959, pp. 140- 158. Cfr. anche XXX [A. CANT.\LUPI]. li gennale de Giorgis in Macedonia, in « Nuova Antologia ))' vol. CXCIII, 15 gennaio 1<)04, pp. 349- 354· (so) Giovanni Banista Emilio de Giorgis (Susa 1844 - Roma 19::>8). Sottotenente del Genio (1867) combatté contro l'Austria. Colonnello comandò il 46° Fanteria (1891), insegnante presso l'Accademia Militare di Torino fu promosso generale nel r89lS. Passato a disposizione del ministero degli Esteri (1904) fu inviato in Macedonia con mandato internazionale per assumere il comando della riorganiz7.azione della gendarmeria. Cfr. V. ELIA, Il generale dt: Giorgis a Costantinopoli, Costantinopoli, 5 febbraio 1907, rapp. n . 9, SME- AUS, Stati Balcanici, b. 31. A pag. 7 l'addetto militare scriveva intorno ad un episodio che può maggiormente far luce sulla personalità del generale italiano: (( ... Sei mesi dopo che il generale de Giorgis, giunto col grado di generale di divisione, era promosso biringi ferik, gli venne comunicato, che il suo stipendio era aumentato di 50 lire turche (in totale I.I)O franchi) e che gli arretrati di sei mesi erano a sua disposizione. Il generale ringraziò ma rispose, che, con l'aumento di grado, non intendeva accettare alcun aumento di stipendio ».

(5r) 1\ 'ote pt>r il genera/t' dt> Giorgis redatte con il concorso del capitano Zampa/li, minma manoscritta, s.d., ma presumibilmcnte del gennaio 1904, p. 6, SME- AUS, Stati Balcanici, b. 3·


l MILITARI E LA POliTI CA lTALlA!';A NEl BAlCANI

(1875- 1912)

42 l

comitagi continua, l'organizzazione delle bande si va perfezionando con regolamenti emanati dai comitagi, e divulgati in tutti i paesi, con coscrizioni, usi militari, con tasse percepite anche dai più poveri per l'armamento e arruolamento degli insorti . .. )) . Proseguendo nella sua analisi lo Zampolli affermava che non era sufflciente l'aver affiancato al governatore della Macedonia, Hilmi pascià, due alti funzionari (uno austriaco e uno russo) che pure avrebbero avuto pieni poteri di controllo su tutto ciò che riguardava l'amministrazione e la giustizia (52). L'accordo - secondo il giudizio espresso più tardi da Rubin de Cervin - non poggiava su basi solide: la Russia, impegnata contro il Giappone, era interessata al mantenimento dello statu quo anche se vedeva « con rancore svanire il sogno di avere nella Bulgaria uno Stato pressoché vassallo», mentre il comportamento austriaco lasciava trapelare l'intenzione di una penetrazione in Macedon.ia: « i consoli vanno propiziandosi le popolazioni mediante protezioni e soccorsi in denaro, vengono di sottomano osteggiate le riforme che, quando ottenessero buona riuscita, allontanerebbero vieppiù il raggiungimento delle note mire su Salonicco. Aiuti sono poi forniti ai comitati perché viva possa essere mantenuta l'agitazione>). Citati alcuni fatti, a prova di quanto sostenuto, l'ufficiale italiano concludeva il suo rapporto affermando che l'Austria avrebbe approfittato dei torbidi per intervenire in Macedonia (53)Compito non facile, quindi, quello che si presentava al generale de Giorgis sia per la situazione internazionale che per quella interna. La gendarmeria costituiva infatti un corpo tra i meno efficienti dell'apparato militare turco e comprendeva ben 71 reggimenti, suddivisi in 133 battaglioni, i gendarmi erano reclutati per arruolamento volontario con ferma non minore a due anni, i sottufficiali provenivano dalla truppa mentre gli ufficiali erano reclutati in parte tra i sottufficiali e in parte dalle altre armi, ricevendo come compenso il passaggio ad un grado superiore poiché entravano a far parte di un corpo di minor prestigio e di servizio oneroso. L'istruzione militare era inesistente, mentre l'amministrazione era caratterizzata dalla incuria nella distribuzione e nella manutenzione dell'equipaggiamento, dalla irregolarità nei pagamenti degli assegni spettanti al corpo : in pratica i gendarmi turchi, c1 malvestiti, non pagati, strumenti di un governo quanto mai arbitrario)), non godevano di alcun prestigio con conseguenze negative sullo

(52) lvi, p. 4· (53) G . RuBIN DE CuviN, Questione . . . , cit., pp. II - 13.


422

L.ESERCITO IT\Ll \l'O OALt.\:"-ITÀ ALL:\ CRA!\l>J, Gli:.RR.\

(t86t · 1918)

~pirito e sulla disciplina.

Il risultato era un scn·tzJo estremamente approssimativo: nelle campagne e nei villaggi è ai gendarmi che sono da imputarsi molti dei furti, e non di rado essi si abbandonano isolati od a gruppi :.td atti di vero brigantaggi.o >> (54). Il programma di M1irzstcg stabiliva di riorganizzare la gendarmeria aumentandone l'organico, migliorandonc il trattamento economico ed ammettendovi gli elementi di religione cristiana. Il governatore generale incaricato dell'applicazione delle riforme, Hilmi pascià, u sia per la sottile mala volontà in che son maestri i turchi)), sia per le difficoltà oggettive. non ottenne altro che l'aumento dei gendarmi da diecimila a circa ventimila - il che era poi un pretesto per armare dei turchi in funzione anti bulgara - e l'arruolamento di circa settecento cristiani. reclutati tra gli clementi peggiori: nessun cristiano che avesse (' miglior mestiere >) poteva infatti sentirsi attratto da una •< posizione )l che lo esponeva all'odio e alla vendetta dei colleghi musulmani, in particolare albanesi, ostili alle riforme e dei correligionari (55). I primi due anni di attività furono impiegati dal generale de Giorgis e dai suoi collaboratori a porre le basi per un reale ed efficace funzionamento della gendarmeria: congedo degli elementi peggiori, scuole per allievi gendarmi e per ufficiali a Salonicco, Monastir e Uskub (Skoplje), progetti per la costruzione di nuove caserme - ostacolati da Hilmi pascià -, arruolamento degli elementi cristiani. L'attività degli ufficiali europei procedeva lentamente e con difficoltà per la sotterranea opposizione delle autorità ottomane e per l'endemica lotta che opponeva le bande bulgaro- macedoni e quelle greche, spesso incoraggiate e finanziate dalle stesse autorità turche (56). Sempre più spesso il generale de Giorgis doveva ricorrere all'appoggio delle ambasciate per ottenere l'essenziale al buon andamento della gendarmeria. Una serie di richieste presentate personalmente dall'ufficiale italiano al governo ottomano e <(

(54) I 133 reggimenti di gendarmi comprendevano 420 compagnie a piedi, 234 a cavallo c due con cammelli. Il numero di battaglioni variabile e la forza media di ogni battaglione di circa So uomini. Cfr. La gendarmeria nei tre vilayers di Sa/onicco. Kos.rovo e Monastir prima dellt' rifarme chiestr dall'A ustria e dalla Russia, promemoria s.d. dell'Ufficio coloniale, pp. 12. p. 3 e 4· SME- AUS, Stati Balcanici. b. 3· (15) /l'i, p. 6. Cfr. anche C. Lutot:CHE, Quinze a11s ... , cit., pp. 33-36. (56) Cfr. i rapporti di G. RuBIK DE CERVJN, Ufficiali bulgari che fanno parte di organizzazioni macedoni, Sofia, 5 aprile 1905, fogli 4; Bande in Macedonia, Sofia, 16 giugno !5)06, o. 10, fogli 5· SME- AUS, Addetti Militari, b. 81. Io., Situazione in Macedonia, Sofia, 27 mar7.0 19o6, n. 3, fogli 4, SME- AUS, Stati Bah-anià, b. 34·


l MI UT.~RI E LA POLITICA ITALI.~NA !';El BALCA;\;1

- - ---

(187) · 191 2)

423

un memorandum del febbraio 1907, testimoniano lo stato di disagio che accompagnava l'azione degli ufficiali europei (57). La gendarmeria era stata sempre considerata un corpo al dì fuori dell'esercito, strumento della volontà delle autorità civili locali; ora, il primo articolo del regolamento, prevedeva che la gendarmeria entrasse a far parte integrante dell'esercito e ciò costituiva uno dei punti più difficilmente accettabili da parte delle autorità locali e dagli stessi ufficiali della gendarmeria, i quali , « ignoranti, privi di senso morale e di amor proprio, invecchiati in un mestiere che teneva del birro e della spia » (58), si assoggettavano facilmente al mutevole volere delle autorità civili . Con la riforma, gli ufficiali uscivano dalle scuole preparati secondo il costume e lo stile europeo ed erano appoggiati, contro i soprusi delle stesse autorità ottomane, dal generale de Giorgis. La nuova dignità produsse effetti diversi: alcuni mantennero i giusti limiti del rispetto reciproco con i funzionari governativi, altri, invece, furono animati da un sentimento di rivalsa nei confronti di quelle stesse autorità dalle quali, fino a poco tempo prima, erano stati umil iati. Questo - ricordava il tenente colonnello Elia, addetto militare a Costantinopoli (59) - forni ai funzionari ottomani il pretesto per depreca re l'influenza europea, la validità delle riforme e per formulare l'ipotesi che una gendarmeria riorganizzata da ufficiali europei costituisse << l'avanguardia di una armata europea che, un giorno o J'altro, poteva essere mandata ad occupare la Macedonia >> (6o). Altro motivo d'intralcio per la riorganizzazione era costitui to dall'elemento ellenico, << potente in Costantinopoli e a Palazzo per il denaro e le aderenze di cui dispone >> e che in quel momento trovava naturale allearsi con l'amministrazione ottomana per distruggere in Macedonia qualsiasi influenza bulgara, serba o cutzovalacca. Lo stesso generale de

(57) Requétes présentées par le général de Gio1·gis, copia allegata al rapporto del 5 febbraio 1907 del colonnello V. Elia, pp. 5 e memorandum di pp. 2 . (58) V. E LIA, Il generale de Giorgi.> .. . , cit., p. 2. (59) Vittorio Elia Montiglio (r859 - 1944). Sottotenente dei bersaglieri (r888), in Africa (1900 - 1902). aiutante di campo onorario del re (r<)OO). Addetto militare a Costaminopoli (1907 - I9Io), colonnello (1909) prese parte alla g uerra libica ed alla prima guerra mondiale. Maggior generale ( 1914) comandò la Brigata « Marche >> . Sottosegretario di Stato per la Guerra (1914- 1916), generale (1915), comandò il Cor po d'occupazione dell'Egeo e il Corpo di spedizione nel Mediterraneo orientale (1917 - 19) meritando la Croce dell"Ordine Militare di Savoia. Generale di Divisione ( r923) fu collocato a riposo nel 1929. (6o) V. E LII\, Il generale de Giorgis . . . , cit., p . 3· ~


4 24

L'ESERCITO lTALi t\ :-10 DAl..L' UNlT.~ .~LLA Gll~!'IDE G UERRA

(1861 · 1C}l8)

Giorgis aveva incontrato a Costantinopoli numerose difficoltà per farsi ricevere dal sultano e presentare le proprie richieste. Solo l'in· tervento congiunto dell'ambasciatore italiano a Costantinopoli, marchese Imperiali, e del capitano Romei Longhena, in quel momento aiutante di campo del sultano (61), evitarono che la situazione giungesse ad un punto di rottura. Al momento del rinnovo del mandato del gener::de de Giorgis e degli ufficiali europei fu posto il problema di un ampliamento dei poteri degli organi delle riforme (62), così come l'esperienza dei quattro anni precedenti aveva dimostrato essere necessario al fine di eliminare l'attività delle bande greche e bulgare (63). Nel 1907 l'Italia aveva intanto ottenuto che un ufficiale italiano, il colonnello dei carabinieri Tomassi, fosse incaricato della riorganizzazione della gendarmeria nel vilayet di Aidin (64). Nel 1908, alla morte del generale de Giorgis (65) venne nominato il generale Mario Nicolis di Robilant (66): « Quando Vostra (6r) lvi, pp. 6- ro. Giovanni Romei Longhena (Brescia r865- 1944) fu aiutante di campo del sultano (1904- 1909), capo della missione militare italiana in Russia (1914 - 1918) e addetto militare italiano in Polonia (1919- 21). Cfr. A . BrAGINI, Una relazione del generale Giovanni Romei Longhena mila rivoluzione del febbraio 1917, in cc Rassegna Storica del Risorgimento>>, a. LXVI (1979), II, pp. 179 • r89. (62) V. ELIA, Abbo,·camento del regio Ambasciatore con il gmerale de Gi01·gis, Terapia, 24 agosto 1907, rapp. n. 79, pp. 3, SME- AUS, Stati Balcanici, b. 31, fase . II · 4B, sottofasc. 3· (63) V. EuA, Bande elleniche in Macedonia, Costantinopoli, 30 luglio 1907> rapp. n. 68, pp. 4, b. e fase. cit. Trombi a Brusati, Sanremo, ro ottobre 19:>7, Archivio Centrale dello Stato (abbreviato ACS), Ugo Brusati, b. 9, fase. V-2-31. (64) V. Eu.~, Riassunto della situazirme politico· militare attuale della Tu1·chia e dei pr()Vvedimenti militari adottati dall'ottobre 1907 ad oggi, Costantinopoli, 26 febbraio I5)08, rapp. n. g, pp. 24, SME- AUS, Stati Balcanici, b. 35a. Io., Riorganizzazione della gendm·meria nel t'ilayet di Aidin, Smirne, ro maggio I<)07, rapp. n. 47, pp. 15, SME • AUS, Stati Balcanici, b. 31 · (65) Sulle critiche all'operato di de Giorgis in Macedonia cfr. E. MAsERATI, l comitati <<Pro Patria» e il Consiglio albanese d'Italia nelle carte di Ricciotti Garibaldi, in <C Rassegna Storica del Risorgimento», a. LXVI (1979),

IV, PP· 461 • 471. (66) Mario Nicolis di Robilant (Torino r855 • 1955). Sottotencnte di artiglieria (1873), colonnello ( 1898), maggior generale (1907), tenente generale (19:>8) a disposizione del ministero degli Esteri, fu inviato in Macedonia per sostituire il generale de Giorgis. Rientrato in Italia (r9n) comandò la Divisione « Piacenza >> (19n • '14), la Divisione «Torino>> (1914), il XII ('.,orpo d'Armata (1914 • '15) e il IV Corpo d'Armata (r915). Membro del Com itato ccnsultivo interalleato di Versailles (1918), comandante dell'S" Armata (1919), generale d'Armata (1925).


I MILIT ARI E

L.~ POLITICA ITALI.~:-JA NEl BALCANI

(1875- 1912)

425

Eccellenza - scriveva a questo proposito il colonnello Elia al capo di Stato Maggiore, Tancredi Saletta - pensi alle difficoltà d'ogni genere che accompagnarono la nomina e l'insediamento del generale de Giorgis quattro anni fa vedrà quale cammino abbia fatto la nostra influenza in questo tempo >> (67). Il ro maggio 1908 il generale di Robilant giungeva a Costantinopoli: Je manifestazioni di simpatia del corpo diplomatico, dei funzionari ottomani, dello stesso sultano il quale lo aveva ricevuto in udienza il 15 maggio, assicurandogli la massima collaborazione per la riorganizzazione della gendarmeria, testimoniavano la validità della scelta italiana (68). Nel 1908 si svilupparono sostanziali avvenimenti nella situazione balcanica : in particolare la rivoluzione dei Giovani Turchi, l'annessione della Bosnia - Erzegovina da parte dell'Austria e la dichiarazione di indipendenza della Bulgaria. Dei tre avvenimenti indubbiamente il primo fu il più importante e costituì la causa che mosse gli altri due. 11 movimento dei giovani ufficiali - capeggiati da Enver bev, brillante ufficiale che avrebbe assunto notevole importanza nelia successiva storia della Turchia (69) - favorito dalle potenze, prese il via a Salonicco dove maggiore era il conta~to con i rappresentanti europei e dove maggiore era il numero degli ufficiali che avevano studiato nelle scuole europee e quindi sensibili all'urgenza ed alla necessità di un rinnovamento degli equilibri di (67) V. ELIA, lnt(tl'nO alla nomina del generale di Robilant come riorganizzat(tl'e della gendarmeria rumeliota, Costantinopoli, 24 marzo 1908, rapp. n . 2, pp. 7, SME - AUS, Stati Balcanici, b. 35a. (68) V. EuA, Il generale di Robilant riorgctnizzatore della gendm·meria in Rumelia, Costantinopoli, r6 maggio 1908, rapp. n. 4, pp. 8, loc. cit. Cfr. anche di Robilant a Brusati, aiutante di campo del re, Costantinopoli, 16 maggio 1908, fogli 6; Id., Salonicco, 1° e 6 giugno 1908, ACS, Ugo Brusati, b. 9, fase . V - t - 30. (69) Enver bey poi Enver pascià (Istambul r88r - Turkestan 1922) terminò la Scuola di Guerra ( 1899) e l'Accademia Militare ( 1903). Fu tra i membri fondatori della società « Unione e progresso>> e tra gli ufficiali che costrinsero Abd tÙ Hamid a proclamare la costituzione. Ispettore per la Macedonia, quindi addetto militare a Berlino, si distinse particolarmente come condottiero militare nella guerra dì Libia. Nominato ministro della Guerra (1915) persuase il governo ad entrare in guerra a fianco della Germania. Dopo la disfatra militare Enver lasciò la Turchia, passando per Odessa si recò a Berlino e da qui a Mosca. Nel 1920 partecipò al congresso dei popoli d'oriente riunito a Bakù . Mcssosi a capo delle forze irrego~ari insorte nel Turkestan contro il governo di Mosca mod in combattimento. Cfr. S. S. AYDEM!R, Makedonya'dan Orta Asya'ya Enver pasa, lstambul, s.d .; L. FlsCHER, l sovieti tze!la politica mondiale, Firenze, 1957, trad. it., volumi 2, vol. I, pp. so- 6o.


42 6

L'ESERCITO I T Al.! ANO DALL'UNITÀ ALLA GRAKL>E Gt:ERM

(186r · J 918)

potere all'interno dell'Impero al fine di salvarne l'esistenza. Fu chiesto il ripristino della costituzione del 18ì6, proclamata l'uguaglianza nei diritti e nei doveri verso lo Stato indipendentemente dalla razza e dalla confessione religiosa di appartenenza. Il movimento dei Giovani Turchi rappresentò in pratica, con i suoi aspetti liberaleggianti, costituenti una obiettiva novità nel (( sistema >> ottomano, l'ultimo tentativo messo in atto per salvare l'esistenza stessa del vetusto impero travagliato dalle lotte intestine delle varie nazionalità. Tentativo generoso che giungeva troppo tardi e che finì, in un certo senso, per produrre effetti contrari agli intendimenti dei promotori. La politica nazionalistica dei Giovani Turchi provocò immediate ripercussioni che trovarono il loro riflesso naturale nell'annessione della Bosnia- Erzegovina da parte dell'Austria- Ungheria, e la dichiarazione di indipendenza da parte della Bulgaria. In politica interna i Giovani Turchi conobbero poi il fallimento della politica di ottomanizzazione, di quella politica cioè volta a creare un comune sentimento nazionale ottomano (e non turco!), che tuttavia contrastava con Ja valorizzazione dell'elemento turco il quale, a causa dell'ingerenza delle potenze europee, era venuto a trovarsi con minori diritti rispetto alle altre componenti razziali dell'Impero. Ma dove maggiormente si infranse il sogno di un Impero cos6tuzionale fu nel tentativo di laicizzazione dello Stato: intuizione profonda resa vana dall'opposizione interna dell'elemento turco poiché il sultano aveva, oltre al carattere pubblico, quello eminentemente religioso. I Giovani Turchi, del resto, non ebbero il coraggio di portare alle estreme conseguenze il movimento costituzionale mettendo in discussione lo stesso presupposto monarchicoreligioso dell'Impero. Questa contraddizione - propugnare un impero liberale senza però intaccarne i presupposti monarchici e religiosi che ne facevano uno Stato teocratico - non permise ai Giovani Turchi quella vera e propria rivoluzione quale era stata formulata nei programmi (7o). « Fin dai primi giorni - scriveva a questo proposito l'addetto militare a Costantinopoli - del nuovo regime si capì di quanto poche simpatie godessero gli organi delle riforme in Macedonia sia agli occhi del comitato Unione e Progresso, la cui parola d'ordine era ed è la Turchia ai turchi, sia a quelli dell'esercito il quale, .. . , vedeva con amarezza la posizione privilegiata della quale godevano i camerati europei che indossavano la stessa uniforme .. . ». (7o) Cfr. a questo proposito A. BIAGI NT, La rivoluzio11e dei Giovani Turchi nel carteggio degli adderti militari italiani, in (( Rassegna Storica del Risorgimento))' a. LXI (1974), IV, pp. 562- 591.


l MILITARI E I.A POUTICA ITALIANA l'El BALCA!'l

(1875 • 1912)

427

Non solo, ma la posiz1one dei Giovani Turchi in merito alle riforme non peccava di logica: queste, infatti, erano state formulate in base all'esigenza di proteggere i cristiani dai soprusi dei musulmani dominanti ma ora (( che la costituzione dava ai musulmani, ai cristiani, agli israeliti uguali diritti e uguali doveri, ora che i componenti della nazione ottomana, fossero essi di razza turca o greca, bulgara o serba, albanese o valacca, erano uguali di fronte alla legge>> (71), tutti i programmi di riforma, tutte le ingerenze risultavano superflue e dannose alla vita dell'Impero. La riorganizzazione della gendarmeria doveva continuare non più sotto l'egida delle potenze europee ma sotto quella de] governo ottomano e doveva estendersi a tutto l'impero escluso lo Yemen (72). L'attività degli ufficiali italiani proseguì validamente per tutto il biennio 1909- 1910. Luci ed ombre di questa attivi tà venivano puntualmente registrate nei rapporti del generale di Robilant soprattutto per quanto riguardava i rapporti, non sempre facili, con le autorità ottomane (73). Ancora nell'aprile del I9II il nuovo addetto militare a Costantinopoli, tenente colonnello Prospero Marro (74), scrivendo al capo

(7r) V . EuA, Richiamo in Italia degli ufficiali del regio esercito: maggiore di cavalhria R()ffleÌ, capitano dei carabinieri reali Tornassi e tenente Mazza. Gli ufficiali europà e la riorganizzazione rumeliota, Terapia, 9 settembre 1908, rapp. n. 9, pp. r6, destinatario il generale Pollio, Capo di Stato 1--iaggiore; lo., Intorno alla permanenza del generale di Robilant al servizio ottomano, Costantinopoli, 22 novembre 1908, pp. 5, SME- AUS, Stati Balcanici, b. 3sa. (72) V. EuA, Arrivo in Co.;tantinopoli del generale di Robilant, Costantinopoli, 28 novembre 1908, rapp. n. xzr, pp. 2; In., Ritorno a SalO"TJicco del

generale di Robilant. Schema per la 1·iorganizzazione della gendarmeria ÙJ tutto l'Impero. Gli ufficiali italiani del servizio di riorganizzazione, Costantinopoli, 22 dicembre 1908, rapp. n . 130, pp. ro, SME- A US, Stati Balcanici, b. 35a; Io., Ufficiali italiani per la riorganizzazione della gendarmeria, Costantinopoli, I 0 marzo 1909, rapp. n. 25, pp. 2; In., Ufficiali per la riorganizzaziO"TJe della gendm·meria ottomana, Terapia, 19 giugno 1909, rapp. n. 87, pp. z; In., Rim·ganizzaziO"TJe della gendarmeria nell'lmpero, Terapia, I I giugno 1909, rapp. n. 81, SME- AUS, Stati Balcanici, b. 37· (73) M . Ntcous DI RoBtLANT, Ri01·ganizzazione della gendarmeria ottomana, Salonicco, 30 luglio 19ro, pp. 7, SME- AUS, Stati Balca11ici, b. 38. V . ELIA, Incidente accaduto ad un ufficiale del regio esercito al servizio ottomano, Costantinopoli, 25 gennaio 1910, rapp. n. 9, pp. 3, ivi, b. 39· (74) Prospero Marro (Garresio r854 - Roma 1938). Sottotcnente di artiglieria (1872) fu in Eritrea (1895 - 91)) c durante la guerra di Libia capo del servizio informazioni istituito ad Atene. Addetto militare a Costantinopoli (1911), colonnello (1912), membro della commissione per la delimitazione dei confini dell'Albania. Maggior generale ( 1915), fu addetto militare in Serbia


428

l .• ESERCITO TTALIA!'<O DAT.L'U:-i!T.~ ALI,A Glt~:-JDE GUERRA

(r861 - 1918)

di Stato Maggiore, generale Alberto Pollio, confermava che la Turchia avrebbe avuto tutto l'interesse a mantenere gli ufficiali stranieri nella riorganizzazione (75), Il 27 settembre 191 r il generale di Robilant riceveva dal governo italiano l'ordine di rimpatriare con tutti glì ufficiali a causa dell'inasprimento dei rapporti italo- turchi e del.l'invio dell'ultimatum dell'Italia alla Turchia. 11 28, giorno della dichiarazione di guerra, la delegazione italiana lasciava Costantinopoli. (< Pochi giorni prima - scriveva a questo proposito il generale di Robilant a Brusati - nessuno vi avrebbe creduto, e confesso che io pure ero stato tratto in inganno sulle vere intenzioni del governo dal congedamento della classe, dalle grandi manovre della flotta e dall'annunziato arrivo del nuovo ambasciatore» (76).

l e comandò, durante la prima guerra mondiale, l'artiglieria del VI Corpo d"Armata. Generale di Divis.ione (1923). (75) Marro a Pollio, Costantinopoli, 1° aprile 1911, pp. 5, SME- AUS, Stati Balcanici, b. 25 j bis. (76) Di Robilant a Brusati, Roma, r6 ottobre 19II, pp. 5, ACS, U go Brusati, b. ro, fase. VI - 4 - 36, p. r.


XIII. PIERO DEL NEGRO

LA LEVA MILITARE DALL'UNITA' ALLA GRANDE GUERRA



~

l

PIERO DEL NEGRO dell'Università di Padova

LA LEVA MILITARE DALL'UNITA' ALLA GRANDE GUERRA*

Fu soltanto nel 1863 che in Italia si poté c< finalmente esigere il tributo del militare servizio sopra i giovani nati nello stesso anno, cioè nel 1842, dalle Alpi al Lilibeo, e colle nonne di una stessa Legge )} (1). La leva del r863 suggellava un processo di unificazione militare, che i governi e i parlamenti italiani (spettava infatti al parlamento indire ogni anno la leva) avevano perseguito in chiave rigidamente piemontese, limitandosi ad estendere alle regioni annesse la legge sul reclutamento. che il parlamento subalpino aveva approvato nel 1854· Tuttavia alcune cause di forza maggiore avevano talvolta indotto a conservare temporaneamente le disposizioni in materia di leva vigenti prima dell'unificazione: avevano beneficiato di questo gradualismo a denti stretti, in tempi e per motivi affatto diversi, la Lombardia, la Toscana e la parte continentale dell'ex- regno delle Due Sicilie, vale a dire alcuni tra c• i paesi educati», guale più quale meno, (( alla coscrizione rrùlitare », mentre le Romagne. le Marche, l'Umbria e la Sicilia, tutte

l

l l l

;

l

• R ielaborazione del saggio pubblicato dall'autore nel volume c, Esercito, Stato, Società >>, editore Cappelli, Bologna, I979·

(t) Relazione al Sig. Ministro della Guerra mlle leve eseguite in Italia dalle anne.--sioni delle varie provincie al JO settembre 186g, Torino- Firenze, 1864, p. 295. La fonte principnlc di questo saggio sulla leva militare consiste nelle relazioni che la direzione generale delle leve e della truppa del ministero della guerra (nei primi anni dopo l'unità la direzione era chiamata cc delle Leve, Bassa -forza e Matricola >l ; più a vami la dizione fu modificata in « delle Leve e Bassa - forza ))) pubblicò, con scadenza per lo più annuale, a partire dal 1864 fin dopo la prima guerra mondiale (Torino - Firenze, 186471; Roma- Firenze, 1872 - 73; Roma, 1874; Roma- Firenze, 1875- 8o: Roma, 1881 - 1915 e 1920- 31). Nel 1920- 31 furono pubblicate le relazioni concernenti le leve delle classi 189.3 • 1900. Il titolo standard delle relazioni successive a quella edita nel 1864 fu: Ddla leva (a partire dal 1909 fu specificato:


432

!:esERCITO !T.\LI \l'O VALJ.... U:-IlTÀ .\LLA GR\:-JOE G l1 fRR~

(rR61- 1918)

regioni completamente c· nuove alla medesima l>, avevano paradossalmente subito senza alcun temperamento l'impatto con il sistema piemontese (2). La prima leva unitaria fu tenuta sulla base di una legge che ricalcava quella del 1854· Gli anni della ferma rimasero cinque (3). Furono scrupolosamente conservati i tradizionali privilegi concessi alla borghesia c al clero: gli « alunni ecclesiastici » continuarono ad essere dispensati, per lo meno quando il loro numero non risultava superiore ad un tetto fissato dal parlamento, dagli obblighi di leva, mentre i benestanti potevano ottenere dallo Stato la completa liberazione dal servizio oppure farsi sostituire da altri, i cosiddetti surrogati, che compissero il servizio militare al loro posto. Inoltre, poiché i coscritti abili, che non fossero esentati per motivi di famiglia, erano divisi a seconda del numero sorteggiato durante le operazioni di leva in due categorie, delle quali la prima, il cui contingente era stabilito di anno in anno dal parlamento, era soggetta alla ferma quinquennale, mentre la seconda poteva essere costretta a subire, almeno in tempo di pace, tutt'al più quaranta giorni di istruzione, al borghese che non poteva permettersi di sborsare le cifre cospicue richieste dalla liberazione o dalla surrogazione, rimaneva quale estrema possibilità guella dì contrattare lo scambio del numero con un coscritto meno abbiente e più fortunato. Il parlamento italiano, mentre mantenne intatte le norme classiste della legge piemontese, si preoccupò di incrementarne l'efficacia nei confronti delle masse popolari, stabilendo che i coscritù, una volta arruolati in prima categoria, fossero immediatamente

di tm·a) sui gioz,ani nati nt>ll'anno __ _ (con l'aggiunta: e delle vicende dell'esercito dal . _. al ... nelle relazioni stampate tra il 186] c il 19:>2), Relazione a S. E. il Ministro della Gut'rra. Per un inquadramento e per ulteriori informazioni bibliografiche concernenti il periodo di storia militare qui affrontato rinvio a G. RO<:HAT- G. MAsSOIIRto, Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al '943· Torino, 1978, un libro particolarmente importante sia per la novità Jel taglio della ricerca che per la linea interpretati va che sviluppa : d'altronde questo saggio sulla leva deve moltissimo ai suggerimenti, di metodo e di contenuti, offerti dalla Breve storia de!l'l'Sercito italiano. (2) Ll've . _. dalle annessio-ni _. . al _.. 186], ed . 1864, p. 49· Per quel che riguarda la Sicilia si veda la relazione Fanti (la legge 1834 sul reclutamento nel già Reame di 1apoli non ebbe mai reale applicazione in Sicilia). cit. in R. MAGK\Nt, Organica militare. Appumi .<ulla costituzione organica del R. Esacito e della R. Marina dal T86T al 1911, Roma, 1911, p. 15. (3) Salvo che per la cavalleria: gli arruolati in quest"arma dovevano compiere sette anni di ferma. La cavalleria fu pareggiata alle altre armi sotto il profilo della ferma soltanto nel r895.


.LA

1

LEVA MILITAR"E DALL UNIT.~ ALI.--\

GM!'IDE G UERRA

4 33

inVlatt ai corpi. Si trattava ovviamente di una reazione « tecnica » ad una rivolta meridionale, che stava raggiungendo vertici sempre più alti . Ma la leva del 1863 non va esaminata unicamente sullo sfondo del cosiddetto brigantaggio. Essa presenta infatti dei dati, come quello concernente la renitenza, che non si limitano a sottolineare i focolai insurrezionali e le aree al di fuori del controllo governativo. Nelle relazioni sulla leva il tasso di renitenza è usualmente calcolato in rapporto al numero degli iscritti nelle liste d'estrazione e raggiunge, per l'anno in questione, l'u,5%. Ma questa percentuale disegna in realtà un'immagine riduttiva del fenomeno. E questo perché, mentre da un lato non tiene conto della renitenza borghese, la quale si manifestava per lo più attraverso gli istituti, pienamente tutelati dalla legge, ai quali è stato accennato in precedenza, dall'altro mette direttamente in relazione i renitenti con l'universo degli iscritti, senza prendere in considerazione l'opportunità di sottrarre a quest'ultimo dato i cancellati dalle liste dopo l'estrazione (tra l'uno e il tre per cento del totale), gli esentati (fino al 1876 più o meno un quarto degli iscritti), i riformati e i rivedibili (in questo periodo tra il 30 e il 34%), nonché altre categorie quantitativamente poco rilevanti (dai soldati volontari agli allievi negli istituti militari e ai dispensati), ma che sicuramente non provavano attrazione per la renitenza. Tutto sommato, è probabile che ]'indice effettivo del fenomeno debba essere quasi il doppio di quello fornito dalle statistiche ufficiali e ripreso in questa sede. Una mappa dell'Italia militare costruita sulla base degli indici di renitenza rilevati in occasione della leva del r863 restituisce un paese percorso da fraglie molto p rofonde. Un alto tasso di renitenza, vale a dire, in questo caso, un indice superiore una volta e mezza alla media nazionale, si registra in aree molto diverse: nella Liguria centro - orientale, comprese alcune propaggini in Garfagnana e nella Val di Taro; in una compatta area centrale che, par~ tendo da Rimini, comprende Je Marche e l'Umbria, nonché alcuni circondari abruzzesi e campani confinanti con lo Stato pontificio; a Napoli e in altri tre circondari campani contigui all'ex- capitale borbonica; a Bari e a Taranto; a Tempio Pausania, in Sardegna; infine, nella quasi totalità della Sicilia. Invece un basso indice di renìtenza, ritenendo tale un indice inferiore a metà della media nazionale, contraddistingue, se si esclude qualche circondario, il Piemonte, la Lombardia e gli ex - ducati emiliani. Questa quasi compatta area padana trova consistenti appendici nell'Italia centrale : quasi tutta la Toscana, più di metà della Romagna e quasi metà della Sardegna (dove la leva era stata introdotta soltanto nel 1848). Al di fuori del centro~ nord soltanto qual-


434

L.f-'SERC:ITO ITALIANO DALL'UNIT.h. ALLA GRANDE GUERRA

(1861 - 1918)

che avamposto, collocato sempre in zone rurali: tre circondari della Puglia e della Campania, due abruzzo- molisani e uno calabrese. E' evidente che la linea di divisione più importante passava ancora, nel 1863, tra le regioni più o meno « educate » alla coscrizione e quelle affatto ineducate: il rifiuto della leva esprimeva, prima di tu ~to, una fuga istintiva dall'istituzione, un antimilitarismo « se~­ vaggio » radicato in misura diversa e che non sempre trovava uno sbocco politico. All'Italia dei refrattari possiamo opporre l'Italia (( integrata» dei volontari, l'Italia propensa a riconoscersi, anche a livello popolare, nell'istituzione militare. Nel 1863 gli appartenenti alla leva in corso che erano già entrati come volontari nelle file dell'esercito, furono più di duemila, vale a dire il 5 ~~ del contingente dì I categoria. Soltanto 35 circondari segnavano percentuaii superiori alia media nazionale: un terzo di essi apparteneva al Piemonte e altri dieci all'area lombardo- tosco- emiliana. L'elenco comprendeva quattro dei 54 circondari situati nelle zone ad alto tasso di renitenza : Genova, Ancona, Ascoli e Pesaro; il meridione era rappresentato da Sulmona e Caserta. Il fenomeno del · volontariato sottolineava il ruolo delle grandi città, soprattutto di quelle settentrionali. Ma anche in provincia la professione militare attirava soprattutto gli strati urbani : un dato che invita a riconsiderare il significato che deve essere attribuito ai bassi indici di renitenza registrati nelle zone rurali delle regioni (un'eccezione va fatta però per il Piemonte, dove l'attrazione e il consenso per l'esercito erano diffus.i a tu tti i livelli) meglio educate a.lla coscrizione. La renitenza e il volontariato consentono di misurare in qualche modo le reazioni delle masse popolari italiane di fronte al processo di unificazione militare - se non al processo di unificazione tout cou.rt - , dal momento che in un contesto politico caratterizzato da un suffragio ristretto i dati consegnatici dalle relazioni sulle leve rappresentano, una volta accuratamente analizzati, una fonte quanto mai significativa (forse la più significativa) per uno studio dei rapporti tra la società e lo Stato. L'atteggiamento delle classi dirigenti emerge invece dalle cifre concernenti, da una parte, gli allievi in età di leva presenti nei collegi militari e, dall'altra, le liberazioni, Je surrogazioni e gli scambi di numero, vale a dire gli istituti della renitenza borghese . Se il totale degli aspiranti ufficiali, 41 in tutto il regno, non permette, a causa della sua esiguità, una analisi soddisfacente (4), i dati relativi al.l'assenteismo militare delle (4) Sul reclutamento degli ufficiali dall'unità alla prima guerra mondiale : P. DEL NEG.RO, Ufficiali di carrit:ra e ufficiali di complemento 11el-

l l


LA LE\".\ MILIT.IRE D.\l.L'lJNITÀ ALLA GR:\:-JI)~ C\tERR.\

435

classi dirigenti offrono un utile complemento al quadro fin qm delineato. Nel 1863 ebbero luogo 1.654 surrogazioni e 26 scambi di numero, mentre furono concesse 1.030 liberazioni. In totale una cifra pari all'r,2~ ~ degli iscritti e al 6 ~~ del contingente di J categoria. C he questa seconda percentuale dia un'idea più appropriata della renitenza borghese, è una conclusione a cui si approda sommando alle considerazioni avanzate in precedenza a proposito della renitenza popolare un dato che.: riguarda specificatamente le liberazioni. Queste ultime non pote,·ano essere superiori ad un tetto fissato dal ministero della guerra c corrispondente al numero degli affidati, cioè dei volontari che erano disposti a sottoscrivere una nuova ferma c quindi riempivano, sulla carta, i vuoti causati nel contingente di r categoria dai liberati. Oltre alle r.o3o liberazioni concesse, nel 1863 ve ne furono altre r.789 negate: includendo le domande respinte, l'indice della renitenza borghese raggiungerebbe il IO ~'o del contingente di I categoria. Quando si pone mente al fatto che in quegli anni l'elettorato politico spettava al 4 c e quello amministrativo all'So: della popolazione maschile, risulta in tutta la sua ampiezza la fuga di gran parte della classe dirigente davanti alla prospettiva di pagare quello che veniva chiamato il tributo militare. Gli evasori del tributo erano soprattutto i <<galantuomini\) meridionali. Appartenevano infatti alle regioni che avevano fatto parte del regno delle Due Sicilie 1 quattro quinti dei circondari che registravano una percentuale superiore alla media nazionale. Le circoscrizioni con un indice molto basso comprendevano Torino (meno di metà della media), Genova, Firenze, Bologna, Brescia e Parma: un'ulteriore testimonianza. questa volta a live1lo di élites, di un fenomeno già sottolineato in sede di analisi della renitenza e, soprattutto, del volontariato. Fin qui si è cercato di ricostruire, a grandi linee, l'atteggiamento della società italiana verso la leva; ma è anche possibile tentare di valutare l'impatto della leva - e, in una certa misura, del servizio militare - su.lla società. Accennerò per ora soltanto a due aspetti del problema. Uno di essi riguarda il peso militare, vale a dire la suddivisione del contingente di I categoria tra i circondari (c, all'interno dei circondari, tra i mandan1enti) del regno. Il riparto del contingente l'esercito italiano dt'lla grande guerra: la pravt'nienza regionale, relazione presentata al LI colloguio internazionale di storia militare (Verdun, 6-8 giugno

x98o).


436

t .' ESERCTTO TTALlA~O DALL. UNIT.:\ ALLA GRANDE GUERRA

___

(1861 -__:.........:. 191Ì:Ì)

avveniva attribuendo ad ogni circoscrizione un effettivo proporzionale agli iscritti. Ma l'irregolare dispersione nel paese di renitenti, riformati, rivedibili e esentati faceva sì che ogni anno si registrasse un deficit in un numero più o meno alto di mandamenti e quindi di circondari. Nel 1863 la c< deficienza >> - così era battezzata nelle relazioni - fu di quasi duemila uomini sui 45 mila del contingente di l categoria. Ne beneficiarono in modo particolare le aree con alti tassì di renitenza, prima fra tutte la Sicilia. L'altra questione concerne il tasso di militarizzazione dell'Italia, vale a dire l'indice che misura il rapporto tra gli arruolati in I categoria e gli iscritti. V a precisato, a scanso di fraintendimenti, che tale indice si limita a prendere atto della « capacità » dell'istituzione militare, una <<capacità » sulla quale pesavano naturalmente molteplici condizionamenti (finanziari e politici, ideologici e sociali), di arruolare i giovani di leva, di far loro varcare il confine tra la società e l'esercito. In questa accezione militarizzazione non implica un giudizio di valore, né equivale affatto a militarisrno, anche se è ovvio che il nesso tra i due fenomeni debba essere piuttosto stretto. Nel r863 un iscritto su cinque fu arruolato in I categoria. Tale proporzione segnava un certo incremento rispetto alle leve del r86o- 62 tenute in base alla legge piemontese. E ra un fenomeno reso necessario, per un certo verso, da un mutamento delle strutture militari, al quale non è mai stato dato il dovuto rilievo (5). Nei primi anni r86o l'esercito italiano era arrivato a contare una quota molto elevata di professionisti: al 30 settembre r863, quando probabilmente era già iniziato un certo regresso, l'ordinanza (vale a dire i volontari con ferma di otto anni) rappresentava ancora i due quinti dell'intera bassa forza (6). I bilanci militari in continua espansione avevano consentito un'imponente professionalizzazione delle forze armate: ma il trend ascensionale stava terminando e la leva diventava (o ritornava ad essere) la fonte principale del reclutamento. Mi sono sofferrnato sulla prima leva nazionale sia per meglio illustrare i problemi, relativamente complicati, posti da un'utilizzazione in chiave socio- politica delle statistiche ufficiali sulla leva,

(5) La tes i più diffusa (P. PIER!, Le fon:e armate nel/et età della Destra, Milano, 19(52, p. 30) sostiene che la legge piemontese del r854 aveva ridotto " ai minimo gli uomini d'ordinanza>> (un « piccolo nucleo d'ordinanza » nell'esercito italiano degli anni r86o anche per F. B.wA BECCARts, L' esercito italiano, sue origini. mo successivo ampliamento, suo stato attuale, in Cinquanta anni di storia italiana, 186o- 19JO, I, Milano, 1911, p. 50, n. 4). (6) Leve ... dalle annessioni . . al .. . 1863, ed. 1864, pp. 12- 13.


LA

LEVA ~!ll!TARE J)ALL,UNTT.~

437

ALLA GRAI'>DE G U ERRA

sia per analizzare in maniera il più possibile approfondita le due Italie che l'unificazione militare fa emergere, l'Italia del consenso e della rassegnazione e l'Italia del rifiuto e della rivoJta. Nel 1864 prese l'avvio un rapido processo di assorbimento dello choc provocato dall'unificazione, i confini tra le due Italie cominciarono a stringersi. Vi fu, innanzitutto, una drastica riduzione della renitenza. Il tasso ufficiale scese dall'rr,s del r863 al del 1864 per poi toccare, l'anno seguente, il 4,8%. La guerra del 1866 lo fece risalire al 5,2, ma con la leva successiva si tornò a puntare verso il basso facendo registrare un 4,2%. Si mantenne intorno a questa percentuale .fino al r87r, anno in cui scese per la prima volta sotto la soglia del 4%. Un bilancio della renitenza degli anni r86o è offerto da una tabella pubblicata nel r8p e che raccoglieva i dati relativi ai renitenti delle classi di leva 1839 - r849, registrando anche quanti fra essi erano ancora considerati tali al 30 settembre 187r. Se il totale dei renitenti delle undici classi di leva in questione ammontava a quasi 138 mila, l'arresto, la presentazione spontanea, la morte ed altre cause che davano luogo alla cancellazione dal libro nero avevano fatto scendere il numero dei renitenti a poco più di 78 mila. Mentre la distribuzione dei renitenti sul piano regionale ricalca in gran parte le linee emerse in sede di analisi della leva del 1863 (dopo le annessioni del 1866 l'area della bassa renitenza abbracciava anche Mantova e il Veneto), offre invece nuovi, interessanti elementi di informazione l'indice di latitanza. In particolare quest'ultimo fa emergere tendenze estremamente contrastanti soprattutto all'interno delle aree che denunciavano un alto tasso di renitenza. I circondari liguri e Como ostentavano indici elevatissimi: contJ:o una media nazionale di 56 contumaci su 100 renitenti, Savona e Albenga si permettevano il 96 e Como il 90%. Non molto diversi i tassi dei circondari sardi di Sassari e di Tempio Pausania, mentre Napoli registrava un 8r %. Al contrario la Sicilia tendeva a collocarsi sotto la media nazionale, mentre l'area centrale si rivelava una vera e propria calamità per i renitenti : il caso limite era rappresentato da Cittaducale, che vedeva risparmiati soltanto 13 renitenti su roo. La Sardegna settentrionale e, in minor misura, Napoli offrivano evidentemente dei santuari in grado di assicurare la sopravvivenza dei renitenti. Nel caso della Liguria e di Como i santuari si trovavano al di fuori dei confini nazionali: erano i paesi dove i refrattari emigravano (7).

s.8

(7) Censimento degli italiani all'estero (JI dicembre lBJI ), Roma, 1874·


Infine, in Sicilia e, ancor di più, nelle Marche e nell'Umbria la repressione governativa, aiutata da una maggior rassegnazione delle popolazioni, era riuscita a circoscrivere, se non a distruggere, le << riserve >> dei disertori (8). Come era stato sottolineato in una relazione del ministro della guerra pubblicata nel r867, l< quella renitenza, che [aveva] origine o dalla ripugnanza dei popoli dove la Leva fu recentemente introdotta o da cause politiche, l andava J manifestatamente spegnendosi nelle Provincie continentali, più lentamente in Sicilia», mentre era stazionaria « quella che s'ingenera dalle cause consuete e comuni alle varie Provincie del Regno>> (9). Quali fossero le « cause consuete», il ministro non riteneva opportuno rìvelarlo. Più loquace, una relazione sulla leva indicava, qualche anno più avanti, l'emigrazione (i circondari liguri più Como e Sondrio); l' (( ignoranza brutale>> di molti italiani; l' « avversione per la leva di terra, come negli abitanti delle isole » campane comprese nel circondario dì Pozzuoli; infine, alla Borges, « molteplici altre cause » ( ro). La soluzione del problema della renitenza era affidata ai tempi lunghi, ad un'efficace azione pedagogica: le rdazioni insistevano sulla necessità di << far persuasi i giovani », << con la istruzione e con la educazione n, che « l'aborrire dalle armi vuol dire aborrire dall'onore l> (1 r). Implicitamente si tendeva ad imputare la diminuzione della renitenza ad una presa di coscienza patriottica. In realtà le cause del fenomeno erano molto più complesse e, tra esse, il fascino dell'ideologia nazionalista presso le masse popolari giocava un ruolo affatto secondario. Un peso maggiore va attribuito al sensibile incremento dell'efficacia della repressione governativa, resa più agevole, tra l'altro, dall'annessione del Lazio. Ma, oltre alla coercizione, bisogna dare uno spazio adeguato anche al consenso, in larghissima misura prepolitico, che circondava la leva e, indirettamente, il servizio militare. Nella cultura popolare, e in particolar modo in quella contadina, di vaste aree dell'Italia la leva aveva acquistato, o andava acquistando, Jo status di un rito di passaggio collocato ai confini tra la giovinezza e la maturità, tra la famiglia e la società, il << mon-

(8) Sulle operazioni dì rastrellamento dei renitenti m Sicilia nell'estate del 1863 RocH11T- MASsOBRIO, Breve storia ..., cic., pp. )T· 52. Ad un'operazione analoga in Umbria si accenna invece in Leva ... 1848, ed. 1871, p. 58. (9) Dell'amministrazione della gut'rra nel 1865. Relazione ras.>egnata a Sua Maestà, Torino, r867, p. 64. (10) Leva . . . 1847, ed. r87o, p. 64. (u) Leva ... 1849, ed. 1872, p. 44·


LA Ll::\' -\ M!LIT\R{!

------------------

0.\Ll\' KITÀ ALLA GRA:'-I(;l CLLRR.\

439

do '' • un rito accompagnato e legittimato spesso da feste e. comunque, vissuto in una dimensione col1etti\·a (la classe d 'età, il vi!laggio). In quanto iscritta nel rito, la leva possedeva un significato che andava ben al di là dell'ambito militare. <<Chi non è buono per il re, non è buono neanche per me)), cantavano le ragazze. ((Scarto dc leva'' era un'ingiuria da lavare con il sangue (u). Di qui il terrore di molti contadini di essere riformati e. di conseguenza, il loro massiccio afflusso davanti ai consigli di leva: non era affatto raro il caso di circondari in grado di vantarsi di segnare uno zero sotto la voce renitenti per più anni di seguito (ad esempio, lungo le prime r6 leve nazionali Rocca S. Casciano ottenne tale risultato ben I I volte, Crema 7· Casalmaggiore. Lugo e Forlì 6, e così via). Per di più la leva si presentava travestita da lotteria, da ruota della fortuna, e come tale era mitizzata nella memoria collettiva. Non solo l'estrazione di un numero alto consentiva, come abbiamo visto, di evitare la lunga ferma della I categoria, ma a chi toccava il numero più <• grosso''· la cosiddetta << rosa >> - narra una leggenda ancora diffusa nel Cuneese - era concesso l'esonero dal servizio militare (13). ~el suo duplice carattere di prova da superare (la visita medica) e di appuntamento con la fortuna (l'estrazione a sorte) la leva rimaneva spesso profondamente scolpita nel ricordo dei coscritti e diventava una delle tappe più importanti di ciascuna storia individuale (14). Tuttavia non si deve neppure sopravvalutare l'efficacia di tali condizionamenti sui coscritti. Se le strutture politiche c socio- antropologiche erano in grado di impedire, per lo meno nell'Italia centro- settentrionale, che la renitenza trovasse un saldo retroterra collettivo. è anche vero che la prospettiva di cinque anni di ferma sollevava ben raramente degli entusiasmi. Erano ~< ben pochi gl'inscritti atti al servizio che si present [avano] lieti e giulivi >> davanti ai consigli di leva : il sentimento dominante era la rassegnazione (15). E' questo il sentimento che informa uno dei primi, se non il primo canto italiano sulla (contro la) coscrizione, il toscano Partire, par-

(12) R. LEnH, l canti popolari italiani, Verona, (r~) N. REYELL!.

1973· p. l]O.

Il mondo dei l'imi. r, Torino, !Cfl7· p. XJL'\V!II, n. l.

Le testimonianze raccolte da Revelli seno indispensabili per comprendere quale ruolo ricoprissero la )C\' :l e il scn·izio miJit:He nella cultura popolare dell'Ottocento e del primo Novecento. (1.~) lbid.. 1, pp. XXXVTTI. 30 e 38; TI, pp. 13, 16, 24, 45 e 141. (15) L. ToMELLINI, Delle malattie più frc>quentemcllfe simulate o provoeMe dagli inscritti. Memoria, Roma, 1875, p. 2.


440

L'ESERCITO IT!\LlANO DALL'UNIT.~ ALLA GR.\NDE GUERRA

(t86J - 1918)

tlro, partir bisogna: « Ah, che partenza amara, j Gigina cara, m1 convien fare. j Sono coscritto, e mi convien marciare» (16). « Fare il soldato » era generalmente ritenuto « un triste mestier ))' una vita grama (17). « La paga l'è poca», diceva una canzone, poche decine di centesimi ai giorno quasi tutti destinati ad acquistare la razione regolamentare, mentre i cinque anni di ferma non solo <<col p [ivano l in un modo, che si potrebbe dire decisivo, qualunque professione o mestiere che non lfosse J prettamente manuale» (come sosteneva Felice Sismondo) (r8), ma anche per i lavoratori manuali rappresentavano spesso un periodo critico, dopo il quale non era facile tornare alla vita di un tempo: « mio padre era del r841, è andato a vent'anni da soldato, è tornato che ne aveva venticinque, arrivato a casa da soldato non era più capace ad attaccare le brigJie al carro, i cinque fratelli lo schernivano, allora lui ha deciso di andare in America» (19). Come doveva riassumere efficacemente Paulo Fambri, il coscritto degli anni 186o <• era un vero e proprio mercenario senza mercede>> (20). « La carriera delle armi [era l incomparabilmente più dura di pressoché tutti i mestieri civili 1> (21 ). Il reclutamento nazionale in vigore in Italia esigeva che le reclute fossero incorporate in reggimenti, che avevano la sede lontana centinaia di chilometri dai paesi d'origine dei coscritti. Per di più il loro impatto con l'esercito, o meglio con i vecchi quadri dei depositi destinati alla prima istruzione delle reclute, era particolarmente brutale (22). Non a caso era proprio nei mesi di marzo, aprile e maggio, mesi che coincidevano « col tempo delle prime istruzioni impartite alle classi nuove >1 , che si riscontrava il tasso di mortalità più elevato (23). La situazione igienico- sanitaria, gli stress derivanti dalla privazwne delJa libertà, i rigori della disciplina facevano precipitare

(16) ll pove1·o soldato, I, I dischi del sole, DS 7· (17) A fare il soldato, in ll povero soldato, cit., DS 13; REVElLl, Il mondo ... , cit., II, p. 24. (r8) F . S!sMoNDo, Appunti di organica militm·e, Torino, 1879, p. 43· (19) REVEL.Ll, ll mondo . . . , cit., I, p. 5· (2o) P. FAMBRI, La società e la Chiesa a proposito della nuova legge di reclutamento, in 11 Nuova Antologia l>, X (1875), fase. V, p. 141. (21) F. B.>.ROFFlO- A. QuAGLJOTTl, Alimentazione del soldato, Torino,

186o, p. 981.

(22) A. RrcCT, Introduzione allo studio dell'Mte milita1·e, Torino, r863, pp. 119- 133· (23) G. SoRMANt, Mortalità dell'esercito italiano. Studi di statistica sanitaria e di geografia medica, in « Annali del Ministero di agricoltura, indu-

stria e commercio 1>, r877, II semestre, p. 21.


T.,\

LEVA

MIUT.~RE DALL'UNTTÀ ALLA GRAKOE GUERRA

44 I

la bilancia a vantaggio della vita civile: benché i coscritti fossero il prodotto di una selezione fisica relativamente rigorosa (da un terzo alla metà degli iscritti furono, lungo l'Ottocento, i riformati o dichiarati rivedibili), ciononostante si poteva registrare tra essi un indice di mortalità superiore di quasi il doppio a quello dei loro coetanei risparmiati dalla leva (24). Bisogna peraltro rammentare che questi aspetti della vita militare riguardavano soltanto marginalmente i borghesi. Nel 1864 le domande di liberazione toccarono la vetta di 5-IOI, una cifra pari al 9~~ del contingente di I categoria. Ma a causa della crisi del volontariato le liberazioni autorizzate furono soltanto 2.254· Nel luglio del r866, in piena guerra, un decreto venne ulteriormente incontro alle classi agiate prive di una decisa vocazione per la vita militare: la liberazione fu ribattezzata affrancazione e, quel che più importa, ne fu estesa l'efficacia eliminando il vincolo posto dal numero degli affidati e concedendo che potesse essere ottenuta ai corpi, vale a dire una volta che il sorteggio avesse stabilito chi doveva appartenere al contingente di l categoria (25). n punto più alto del (( disimpegno )) militare dei borghesi fu comunque raggiunto nel 1869, quando affrancazioni, surrogazioni e scambi di numero raggiunsero una cifra corrispondente al 7 ~/, del contingente. Nell'esercito era diffusa l'opinione che «la coscrizione non invia rva l che l'infimo ceto della società a riempire i vuoti )> che si creavano nella bassa forza (26). Perfino tra i deputati vi era chi era disposto ad ammettere che « alle classi agiate » era concessa la facoltà « di sottrarsi a!Je fatiche e ai pericoli del servizio militare >> (27) e che, pertanto, i « quattro quinti della bassa forza, per non dir tutti cinque, [uscivano] dalle classi inferiori )) (28).

(24) BAROFFIO- Qu,\GLIOTTJ , Alimentazione del soldato, cit., p. 177. Nei decenni successivi lo scarto tra i due indici di mortalità (civile e militare) d im inuì a vantaggio del secondo: Antropometria militare. Risultati otte-nuti

dallo spoglio dei fogLi sanitarii dei militari delle cla.rsi 1859- 63 eseguito dall'ispettorato di Sanità per ordine del Ministero delta guerra, a cura di R. Ltvt, Parte II, Dati demografici e biologici, Roma, I90), j)· 87. (25) Ler-·a ... 1846, ed. 1869, p. 54; SrsMONDO, Appunti . .. , cit., p. 31. (26) C. F. M tAGLIA, Sull'ordinamento delle forze militari del Regno d'Italia . Pemieri, Ancona, r868, p. 2II . (27) Discorso di Domenico Farini alla camera (17 giugno r87r), cit. in SmwNDO, Appunti . . . , cit., p. 28. (28) F.~MDRI, La società ... , cit., p. I44· Cfr. C. F. FERRARIS, L'imposta militare, in «Nuova Antologia )l , XVIII (1883), fase. VI, p. 338 (« prima dell'attuazione del servizio obbligatorio universale era permesso di riscattarsi dalla prestazione militare mediante denaro : or bene allora nessun genitore,


Tuttavia gli istituti che priYilegiavano in maniera così impudente la borghesia e il clero presentavano lo s\·antaggio di far parte di un sistema militare, ispirato. tutto sommato, al modello francese (29), che stava perdendo credibilità sia sul piano interno che. soprattutto, su guello internazionale (30). La prima breccia nel sistema fu aperta rompendo l'anello in guel momento più debole: l'istituto della dispensa a vantaggio del clero. Nel r869 gli alunni ecclesiastici furono privati del privilegio, del guale avevano fino allora b::neficiato. in media, 8oo aspiranti sacerdoti per leva. L'abolizione delle dispense fu la prima avvisaglia di un Yero e proprio terremoto legislativo e amministrativo, che avrebbe fatto a pezzi, di lì a poco, il sistema del r854· Ma da tempo l'esercito di qualità, imperniato sulla salvaguardia del cosiddetto spirito militare e di fatto tendente a professionalizzare il più possibile i propri membri, era in crisi. L'ordinanza continuava a perdere terreno: 2j5 della bassa forza nel 1863, ma 1/3 nel 1865 e r / 5 a partire dagli ultimi anni sessanta. Inoltre era completamente fallito il tentativo di controbilanciare questo treud mediante un incremento del tasso di militarizzazione: se nel 1864 il contingente di I categoria era stato portato a 55 mila uomini, l'anno seguente si era stati costretti a scendere a 46 mila. Nonostante le annessioni del 1866, sul finire del decennio la sempre più grave crisi finanziaria aveva imposto di ri-

che fosse in grado Ji farlo, sì rifiutò mai di sborsare b somma necessaria J>) e O. FRERI -E. BESSO'IE , Trattato di organica, Torino. L914, p. 25 ((\ in ultima analisi erano soltanto le classi meno abbienti che davano aib patria il tributo del sangue>>). (29) Il sistema militare piemome~e (e italiano, fino alle riforme Ricotti) si distinse in ogni caso dal sistema francese per più versi, pur rimanendo sempre parecchio lontano dal modello prussiano: 1) la durata della ferma (sette anni oltralpe fino al 1868): 2) J"istituzione della II categoria (introdotta in Francia nel 1868); 3) il peso dell"ordinanza (in Francia i professionisti rappresentavano i tre quarti della forza dell'esercito); 4) i rapporti tra l'esercito e la società (in halia l'esercito era «la più bella rappresentazione della nostra odierna unità ec.l eziandio il di lei più efficace fattore» : C. M ARIA]'. l, L'esercito italia11o nel passato c nell'avvenire, Milano, t8il, p. 7). (3o) Prima della guerra del 1866 il modello francese era pressoché universalmente stimato il mi!-(liore, mentre si riteneva che !"esercito prussiano (a ferma biennale fino al 1859• poi triennale) fosse militarmente debole e. soprattutto, politicamente poco affidabile. La \'ittoria di Sadowa spostò la bilancia a favore del mcdcllo prussiano : la stessa Austria- Ungheria ne adottò i punti gualificanti, mentre la Francia accolse i principi ispiratori della va· riame italiana (ferma quinquennale e II categoria).

l

l l

J ~


I.A !.EVA MII.ITARE DAT.L'UNfT.~ AI,L/1 GRA;-.lf.E C U ERRt\

443

durre il contingente a 40 mila uomini. Conseguentemente il tasso di militarìzzazione, dopo aver sfiorato nel r864 il tetto di un arruolato ogni quattro iscritti, era precipitato con le ultime leve a uno su sette. La ferma di cinque anni non era più rispettata: il contingente della classe del 1845 fu congedato nel 1870 dopo «soli >> tre anni e dieci mesi dì servizio militare. Non era più possibile continuare a limitarsi a gestire, in maniera sempre più affannosa, la crisi: bisognava tracciare una nuova rotta, tenendo conto delle tre necessità che erano sottolineate dal più autorevole teorico militare di quegli anni, Niccola Marselli: « necessità di avere un esercito numeroso e bastevolmente istruito, necessità economiche, necessità sociali >> (3 r). Chi assolse questo compito con lungimiranza ed energia, ispirandosi al modello prussiano, fu Cesare Ricotti Magnani, dal 1870 al r8;6 ministro della guerra. La legge 19 settembre r87r (( aboliva le surrogazioni ordinarie, l'affrancazione totale dal servizio, modificava le ferme militari nel nome e nella durata, istituiva i volontari di un anno », creava « i Distretti militari, base e perno a mobilitare l'esercito », prevedeva la costituzione di un esercito di riserva, la milizia provinciale (32). In particolare, con il nuovo ordinamento la ferma temporanea scendeva da cinque a quattro anni; l'affrancazione consentiva sol-tanto il passaggio dalla I alla II categoria. mentre il volontariato di un anno, anch'esso a pagamento, avrebbe dovuto favorire, oltre alla formazione dei quadri della milizia provinciale, una maggiore integrazione tra la borghesia e i militari. Questi ultimi provvedimenti obbedivano sia al timore che i privilegi militari (( attizz [assero l sempre più la già ardente questione sociale», sia, soprattutto, alla convinzione, rapidamente maturata alla luce dell'esperienza traumatica della Comune di Parigi, che occorreva «una borghesia non imbelle per sapersi difendere forse dalle troppo pressanti aspirazioni che l venivanol dal basso» (33). Il pericolo doveva essere stornato, facendo sl che « le gerarchie morali e sociali ere assero J le militari )) : (( nel tempo che il figli o del contadino diventa un buon soldato, è naturale che il figlio del

r

(31) N. MARSELu, La guerra e la sua storia, l, Milano, 187;, p. r8-). (32) Leva .. . 1849, ed. 1872, pp. IX · X. (33) Interventi di D . Farini e di Clemente Corte alla camera dei deputati, cit., rispettivamente, da SrsMONDO, Appumi .. .. cit., p. 28 e F. MrNKITI, Esercito e politica da Porta Pia alla T riplice Alleanza, in « Storia contemporanea », Ili (1972), pp. 474 -75·


444

L' ES:!RC ITO n'ALIANO DALL\:;<o;ITÀ M .LA GRAKJ)E Gl'ERRA

(1861- 1918)

castaldo diventi un buon caporale e quello del fattore, dell'ingegnere, del proprietario, un buon sergente >> (34). Ma il volontariato di un anno possedeva << una causa immanente di debolezza, di inferiorità, che consisteva nella continua e deleteria concorrenza mossagli dall'affrancazione ». Mentre il volontariato di un anno riusd a reclutare, lungo i primi anni r87o, una media di millequattrocento <<soldati distinti>> all'anno, nello stesso periodo gli affrancati si mantennero intorno alle duemila unità (35). D'altra parte, quando nel 1875 una seconda legge Ricotti soppresse l'affrancazione, la scomparsa dell'ultimo schermo legale della renitenza borghese non ebbe alcuna ripercussione positiva sul volontariato di un anno. Era stato previsto che i « soldati distinti » avrebbero dovuto essere cinquemila all'anno: in realtà essi furono, nella seconda metà degli anni I8JO, poco più di mille (36). Anche nei decenni successivi il volontariato di un anno, un istituto che era stato inizialmente adottato in antitesi all'affrancazione, finì per dimostrarsi un surrogato di quest'ultima, mentre dal punto di vista militare diede sempre un contributo quantitativamente esiguo e qualitativamente scadente (37). Tuttavia, nonostante o, meglio, proprio a causa del suo evidente carattere di << privilegio al censo n, il volontariato di un anno sopravvisse ad ogni attacco fino al 1920. L a borghesia non solo seppe efficacemente difenderlo, ma anche sfruttarlo fino in fondo, come quando riuscì a fare escludere i << soldati distinti )) dal sorteggio dei militari destinati alla guerra contro Menelìk (38). Nello stesso tempo le classi dirigenti furono in grado di stornare un'altra minaccia presente in un progetto di legge redatto da Ricotti nel 1874 : la cosiddetta tassa militare. Partendo dalla constatazione che 1<la prestazione personale militare e la prestazione pecuniaria dell'imposta costituiscono i due massimi doveri del cittadino moderno nell'Europa continentale >> e che « fra essi esiste [va] un legame indissolubile, si complet[avanol l'un l'altro» (39), i

(:~4) F AMBRT, La società . .. , cit., p. 143· (35) Smml'oo, A ppunti ... , ci t ., p. 46. (36) [L. PEuouxJ, Appu11ti sulle nostre condizioni militari, Roma, 1879,

pp. 52 - 53· (37J C O:\IMISSIONF. o ' INc:HIF.STA PER L'EsERCITO, Quarta relazione concernente i temi: La ferma sotto Le armi ... Volontariato di un anno ... , Roma, 1909· pp. 94 - 95· (38) G. FERRe'RO, Il militarismo. Dieci conferenze, Milano, 1898, p. 357· (39) FERRARts, L'impo..-ta militare, · cit., p. 323.

1

l ,

ll


LA LEVA ~ULlTARE DALL' UN ITÀ ALL.~ GR,\~J: E G U ERRA

- -----

445

sostenitori deUa tassa affermavano l'opportunità di colpire sotto il profilo finanziario tutti o in parte coloro che erano esentati dal servizio militare. L'imposta militare comportava un duplice pericolo per la borghesia : da una parte alcuni tra i fautori dell'imposta proponevano che assumesse un carattere progressivo (sarebbe stata la prima imposta ad avere tale carattere in Italia), dall'altra la polemica circa la sua legittimità conduceva inevitabilmente a porre in discussione i criteri, che avevano retto fino allora le esenzioni. Non era difficile accorgersi, ad esempio, che « le stesse esenzioni derivanti dall'intima essenza del servizio miìitare, quelle per ragioni sanitarie, l avevano] in sé molto dell'arbitrario >l (<~p) . Le numerose variazioni apportate agli elenchi delle malattie e delle infermità che davano diritto alla riforma o alla rivedibilità e le direttive, più o meno severe, date ai medici militari lasciavano ampi margini alla discrezionalità: mentre la classe del r886 contò al proprio interno oltre il 52% di riformati e di rivedibili, i ragazzi del 1899 poterono « vantarsi» di un indice inferiore al 22%. In particolare, le « infermità >> più discutibili erano « la deficienza dello sviluppo toracico e la debolezza di costituzione », <• difetti >> che, non a caso, « più comunemente riscontr [ avansi] e per lor colpa nelle classi agiate » (41 ). Se i criteri sanitari potevano essere considerati in una certa misura arbitrari, ancor meno difendibili erano quelli che presiedevano alla concessione delle esenzioni per motivi familiari. Tra il 1863 e il 1875 la percentuale degli esentati si aggirò intorno ad un quarto degli iscritti. Più dei nove decimi delle esenzioni spettarono a coscritti in possesso di uno dei seguenti titoli : « unico figlio maschio » (la motivazione più usuale : poco meno di due quinti del totale delle esenz ioni), « figlio unico o figlio primogenito, od in mancanza di figli, nipote unico o primogenito di madre od avola tuttora vedova, ovvero di padre od avolo entrato nel 70" anno di età >> (tre decimi), « ìnscritto avente un fratello consanguineo al servizio militare dello Stato >> (un quarto). Come sottolineavano gli esperti in organica militare (42), la normativa in vigore in Italia prevedeva una casistica, che non of-

(4o) lhid., p. 32:>· (41) E . ARlllll, L'm·dinamento dell'e,·ercito e la leva del 1869, in (< Nuova Antologia >,, XXVI (1891), fase. V, p. 130. (.,p) C. CoRTICELI..I- V. GARIO~I, Organica militare. Parte dottrinale o teorica, Torino, 1904, p. s8 c ssg.; FRER1- B ESSONE, Tmttato . . . ' cit., p. 36.


.l friva alcun spazio al potere discrezionale dell'amministrazione: di qui un'apparente superiorità sugli altri ordinamenti europei, i quali invece adottavano in materia criteri più o meno elastici. In realtà, la rigidità del ~istema italiano era il frutto di una singolare concezione, di tipo <<sentimentale Il, della famiglia, che tutelava solo indirettamente e occasionalmente quegli interessi economici, che altrove erano al centro delle preoccupazioni del legislatore. Inoltre, se le esenzioni in genere apparivano <• infette d'arbitrio)), in particolare quella 1c dci figli unici si presenta (va] indubbiamente come molto più giovevole alle classi agiate che non alle lavoratrici » (43). In questa situazione l'introduzione della tassa militare avrebbe dovuto essere un' H opera di giustizia », una riforma intesa a ridare credibilità all'intero sistema militare, senza tuttavia metterne in crisi i principi ispiratori: << se vuolsi davvero imprimere un carattere di idealità all'obbligo militare agli occhi delle masse l', era una delle argomentazioni di Carlo F. Ferraris, il più autorevole propagandista dell'imposta militare, <<vi si contrapponga una prestazione pecuniaria, e si riuscirà nell'intento meglio che con tutte le prediche sui doveri civili » (44). Si trattava, tuttavia. di una linea strategica troppo eccentrica rispetto al tipo di gestione del potere, che la borghesia italiana tendeva a conservare. Nel 1874 Ricotti dovette abbandonare il suo progetto e nei decenni seguenti altri ministri della guerra, da Perrero a Pelloux e a Moccnni, fallirono nel tentativo di introdurre l'imposta . Fu soltanto nel corso della prima guerra mondiale che fu applicata « una specie di imposta militare a coloro che si trovavano in determinate condizioni>> (45). Ad ogni modo nel 1875 Ricotti ottenne che fosse affermato «il principio c l'applicazione dell'obbligo generale e personale al servizio militare di tutti i cittadini atti alle armi )) (46). Di conseguenza gli esentati dichiarati abili furono arruolati in una III categoria destinata a essere chiamata alle armi in caso di guerra. Inoltre la seconda legge Ricotti ridusse la ferma a tre anni. Ma quest'ultimo provvedimento non faceva altro che riconoscere una situazione di fatto: era già un paio d'anni che le classi di leva più

(43) FERRARIS, L'imposltl militare secondo nuot•i studi e disegni di legge, in « Kuova Antologia l>, XXXH (1897). fase. XI. pp. 40:; •.p8 e 430 n. r. (44) FERRARIS, L'imposta nulirare . . , cit. (1883), pp. 330 e 334· (45) C. M ANZONI, Sommari di o1·ganica. fase. IL Gli obblighi dei cittadini, Torino, 1924. p. 95 · (46) Let•a ... 1854, ed. 1876, p. IX.

l '


LA

LEVA

MILITARE

J)AL!.' UN!T.~ ALl-A

GRA:-.IP.E GUERR A

447

fortunate erano congedate dopo un servizio di due anni e dieci mesi (47). Mentre l'esercito di Alfonso La Marmora, il padre della legge piemontese del 1854, tendeva a porsi come un'istituzione separata e separante rispetto alla società civile, l'esercito di Ricotti doveva rappresentare, come scriveva un suo apologeta, « la cittadinanza che difende se stessa ll, doveva fare in modo che « la Caserma» fosse: come in Germania, « al servizio della Civiltà » (48). I nuovi ordinamenti (( rispond fevano l allo sviluppo naturale e progressivo di una società democratica» (49). Non più privilegi per il censo, né oneri esorbitanti per ]e classi popolari. In prospettiva, un 'armoniosa integrazione tra esercito e società: « il nostro paese ha bisogno di militarizzarsi e disciplinarsi come il nostro Esercito di coltivarsi» (50). In altre parole, un progetto dalle forti venature autoritarie, la cui ispirazione « democratica n apriva la strada alla proposta di militarizzare le masse; sullo sfondo giganteggiava la Nazione armata: non l'istanza dei Cattaneo e dei Macchi, ma il disegno, affatto prussiano, del generale Colmar von der Goltz (51). Il tentativo di <<coltivare » l'esercito, vale a dire di immettervi l'elemento borghese, non fu coronato, come abbiamo visto, da molto successo. Contemporaneamente il progetto di militarizzare il paese urtò contro forti ostacoli, primo fra tutti, dal punto di vista dei militari, quello finanziario. Ricotti e i suoi immediati successori, dovendo fare i conti con bilanci relativamente esigui (non bisogna tuttavia dimenticare che le spese per la difesa non furono mai inferiori ad

(47) La camera si era pronunciata a favore della ferma triennale già nel 1871 (Leva . .. 1849, ed. 18]2, p . 3). (48) MARSELLI, La guerra . . . , cit., I, p. 164; Mr.RSELLI, Gli avvenimenti deli8 JO ·JT. Studio poLitico e militare, I. Torino, 1871, p. r6. (49) MARSELU, La vita del reggimento. Osse1·vazioni e ricordi, Firenze,

r889, p. IJl. (so) Mr.RSELLI, Gli avvenimenti ... , cit., I, p. 140. (51) M r. RSELJ.l, La vita del reggimento ... , cit., pp. 11 e 162 n. 2. La prima edizione di Das Volk in Waffen apparve nel 1883: è probabile che Marsellì, ottimo conoscitore della cultura tedesca, l'utilizzasse nel corso della prima stesura (1883- 84) della Vita del reggimento. Ciò che più importa, in ogni caso, è il fatto che Marselli traducesse Das Volk in Waffen con Nazione armata, suggel lando in tal modo un rapido processo di appropriazione, da parte dei militari e dei politici fautori di un « esercito popolare regio >> alla prussiana, di un sintagma, che fino a qualche anno prima era stato adope· rato esclusivamente per etichettare il modello militare propagandato dalla sinistra.


L'ESERCrfO fTAU:\NO D .... LL' U NIT.~ ALLA GRANDE GUERRA

(r86r · 1918)

un <)Uinto del bilancio statale), optarono per un contingente di I categoria non molto elevato. Dal 1872 al 1881 esso fu di 65 mila uomini: nel corso del decennio andò sotto le armi da un quarto ad un quinto di ogni classe di leva. L'amministrazione Ricotti segnò sotto più aspetti un sensibile miglìoramento nei rapporti tra i militari e la società. Tra l'altro il ministro lasciò cadere la legge del 1862 che prevedeva l'immediata partenza degli arruolati in I categoria per i corpi : una decisione presa allo scopo di poter organizzare meglio l'istruzione delle reclute, ma che significava anche che il congedo provvisorio tra la visita di leva e la chiamata ai distretti non più considerato, da entrambe le parti, un invito implicito alla diserzione. Inoltre l'istituzione dei distretti militari introdusse un importante temperamento nel sistema del reclutamento nazionale, al quale, del resto, Ricotti inferse un altro colpo con la creazione del corpo, a reclutamento territoriale, degli alpin.i: il distretto permetteva che il primo mese della vita militare dei coscritti avesse luogo in località più o meno vicine alla famiglia. Un altro provvedimento di rilievo fu la concessione ai soldati in congedo illimitato di sposarsi senza permesso. Non potendo avere un esercito particolarmente numeroso, si puntò sulla qualificazione dei coscritti. « Il soldato >>, sentenziava Marselli, « deve persuadersi co' fatti che nella vita militare esso è sottoposto ad un regime educativo, che lo rende migliore, allarga il suo orizzonte, eleva il suo animo>> (52). Certo, una verifica dei risultati ottenuti dal << regime educativo » auspicato da Marsellì non è tra le più agevoli. Un 'eccezione può comungue essere fatta per quella che veniva chiamata «la redenzione degli analfabeti che avviene nell'esercito>> (53). Le statistiche presentate dalle relazioni sono, soprattutto lungo gli anni 1870, estremamente lusinghiere per i militari : ad esempio, la classe del r8,:t-9 venne restituita alla vita civile con un tasso di analfabetismo del 9 ~~ contro un 57% denunciato in sede di visita di leva. Non mancarono allora, e non mancano oggi, contestazioni nei riguardi di dati così rosei (54). Va tuttavia osservato che una lettura dei risultati dei primi censimenti post -unitari avvalora in una certa misura la tesi della redenzione (55).

.;

;j

. i

(52) lbid ., p. 98. (53) Leva . . 1854, ed . r876, p. 67. (54) RoCH.n - MAssoaRIO, Breve storia . cit., p. 103 n . 20. (55) C. M. CiPOLLA, Istruzione e sviluppo. ll declino dell'analfabetismo nel mondo occidentale, Torino, HJ7I, p. go cab. 16. Sulla validità delle statistiche militari sull'analfabetismo si veda in ogni caso la polemica tra i redattori

.'


LA

LEVA MTLJTARE

OALt.'UKITÀ

ALLA

GRANDE

Gt:ERRA

449

Gli anni 1870 furono contrassegnati da una graduale riduzione dell'indice di renitenza: dopo essere sceso nel 1871 sotto la soglia del 4%, varcò quella del 3% nel 1883, per raggiungere l'anno seguente il minimo assoluto nella storia dell'Italia liberale: 2,87%. Cogliere il significato politico e sociale di questo trend non è facile, anche perché è la risultante di più linee di tendenza. E' pitl che probabile che la progressiva riduzione della ferma abbia favorito in notevole misura Ja diminuzione del tasso di renitenza. In ogni caso gli anni 1870 segnarono una brusca diminuzione dello scarto che separava gli indici ufficiali della renitenza da quelli effettivi del fenomeno. Da un Jato fu pesantemente ridimensionata la renìtenza legale, dall'altro la renitenza popolare divenne sempre meno un <<indizio d'avversione al servizio militare» e sempre più una << riprova del disagio economico delle nostre campagne » (56). Intorno al 1875 l'emigrazione giunse ad occupare il primo posto tra le cause della renitenza. Nella fase a cavallo tra gli anni 1870 e 188o nove delle sessantanove province del regno presentavano un tasso di renitenza superiore ad una volta e mezza la media nazionale: erano Genova (più di quattro volte la media), Napoli, Palermo, Messina, Cosenza, Potenza, Salerno, Catania e Livorno. Di queste province cinque esibivano indici più o meno alti di emigrazione : le due del centronord e il triangolo Salerno- Potenza- Cosenza. Napoli e le tre province siciliane erano invece gli ultimi robusti ridotti rimasti a testimoniare il << grande )) rifiuto meridionale: al sud la renitenza era, almeno nelle sue manifestazioni più clamorose, un fenomeno urbano. Nello stesso periodo trentasei province vantavano indici di renitenza inferiori a metà della media nazionale : l'area da esse occupata andava, senza alcuna soluzione di continuità, da • ovara, l'ultimo baluardo rimasto in un Piemonte segnato da forti correnti migratorie, alla Puglia, passando attraverso cinque province 1ombarde, altrettante venete, l'intera Emilia, gran parte della Toscana, le Marche, l'Umbria, l'Abruzzo (meno Chieti) e Benevento. La svolta politica del r876 non si era ripercossa in maniera immediata né sulla politica militare italiana, né, in particolare, sulla gestione della leva. Ma questo risultato andava imputato non alla dei volumi sul censimento del 188r (Censimento della popolazione del regno d'Italia al 31 dicembre z88z . Relazione gerlerale e confronti internazionali, Roma, r885, pp. r44- 45) e la direzione generale delle leve (Leva . . . 1863, ed. 1884, pp. 63-64). (56) ARBIB, L'ordinamento dell'esercito . .. , cit., p. 132.


450

!: ESERCITO TTALTA:-<0 D,\LL. UNTT.~ ALLA GRANDE GUERRA

(1861 - 1918)

latitanza di nuovi propositi, ma alla permanenza di quei vincoli posti dal bilancio, che in precedenza avevano frenato lo stesso Ricotti. Con le riforme di quest'ulùmo ci si era avvicinati, affermava uno degli astri nascenti del firmamento militare, Luigi Pelloux, c< per quanto possibile alla patriottica idea della nazione armata>> (57), ma ora bisognava procedere oltre, era necessario che l'Italia , come scriveva Oreste Baratieri, non fosse munita soltanto della corazza e dello scudo garantiti dall'ordinamento Ricotti, ma anche della spada, vale a dire di un esercito in grado di << varc [are J le frontiere e di dirige [re l il colpo al cuore del nemico l>. Una politica di « pura e passiva difesa >>, ammoniva il futuro eroe coloniale, significava la rinuncia di « qualsivoglia legittima influenza all'estero>> (58). La nuova parola d'ordine, che riprendeva in chiave imperialistica i presupposti <(democratici » di Marselli, era : una nazione armata imperniata su un esercito costruito per l'offensiva. Si trattava, in realtà, di una proposta profondamente debole e contraddittoria. Le condizioni politico- economico- sociali dell'Italia imponevano che si scegliesse uno dei due programmi che il garibaldinismo di Stato dei Crispi e dei Baratieri pretendeva di fondere insieme: o un esercito offensivo (una riedizione, aggiornata, di quello lamarmoriano) o la nazione armata, la quale, per il modo stesso in cui era articolata, presupponeva invece un assetto largamente difensivo. Ciò che si ottenne, fu di fatto una serie di compromessi, che di volta in volta privilegiavano l'uno o l'altro versante della politica militare auspicata dalla Sinistra. Nel 1882 le contrastanti esigenze che trasparivano dalle proposte dei politici e dei militari trovarono una soluzione generalmente giudicata soddisfacente nell'ordinamento Perrero. Per quel che riguarda la leva, l'ipotesi « esercito offensivo» fu salvaguardata mantenendo il principio dei tre anni di ferma, mentre la linea « Nazione armata >> ottenne che parte del contingente di I categoria, secondo un'aliquota da stabilirsi anno per anno, compisse una ferma (57) fPnLOux], Appunti . . . , cit., p. 8. (58) O. BARATIEIU, Le nuove leggi militari in Italia, in << Nuova Antologia ))' XVI (r88r), fase. II, p. 322. Va ricordato che l'accusa più <c grave l> che molti militari rivolgevano all'ordinamento Ricotti era proprio quella di essere difensivo (C. CoRSI, Italia I87o- 1895, Torino, r&fi, p. 165). Si trattava, in realtà, di una caratteristica che rifletteva non tanto la linea politico militare di Ricotti (il quale, quando passò all'opposizione, non perse occasione per chiedere l'aumento del bilancio militare e, una volta ritornato ministro della guerra, patrocinò l'espansione coloniale in Africa) quanto dalla neccssid di contenere, nel quadro della politica anti- deficit di Sella, le spese per l'esercito.


LA LEVA MILITARE DALL' UNITÀ ALLA G~\!'JllE GUERRA

4S l

di due anni. Tuttavia, allo scopo di assorbire questa concessione senza che fossero pregiudicati i piani degli « offensivisti >l, il contingente fu portato a 76 mila uomini. Un altro provvedimento adottato da Perrero fu invece ispirato dalla logica della Nazione armata: a partire dal r88r (59) furono richiamati alle armi, per periodi più o meno brevi (dalle due alle quattro settimane, di solito) una o più classi in congedo. I richiami costituivano <<un temperamento che equivale [va] di fatto ad un aumento della ferma sotto le armi », erano <<un vero correttivo delle ferme brevi>> (6o). Sempre nel 1882 si decise di suddividere il contingente di I categoria tra i circondari del regno tenendo conto non degli iscritti, come si era fatto fino al1ora, ma della media degli idonei registrati negli anni precedenti. Questo provvedimento condusse ad una distribuzione fortemente ineguale del peso militare a tutto svantaggio delle regioni centro - settentrionali: agli inizi degli anni 1890, mentre l'Umbria e l'Emilia registravano un arruolato ogni tre iscritti, nel caso della Sardegna tale rapporto era inferiore ad uno su cinque. Nel corso degli anni r88o la congiuntura internazionale e finanziaria rese irreversibile la tendenza all'aumento del contingente di I categoria, che si arrampicò fino a 83 mila uomini, una quota conservata dal r888 al 1890. La conclusione della Triplice Alleanza, i primi passi in campo coloniale, i bilanci militari sempre più pingui avevano, a titolo diverso, richiesto o consentito un aumento della forza bilanciata e, conseguentemente, del contingente (6r). Questo trend ricevette un nuovo impulso negli anni 1890: se nel 189r il contingente fu portato a 95 mila uomini, l'anno seguente il governo e il parlamento decisero di far proprio quel «concetto di categoria unica, già da oltre vent'anni proposto e sostenuto>> alla camera, sopprimendo quella larva che era diventata la II categoria, la quale, sempre più stretta tra gli incrementi degli esentati, dei rivedibili e del contingente di I categoria, si era ridotta a qualche migliaio di arruolati. Vi fu chi salutò la categoria unica come una vittoria dell'idea della Nazione armata (62). In realtà si era trattato (59) lbid., p. 274; Leva ... 1861, ed. 1883, pp. 97 e 102.

(6o) CoRTICELLI- GARIONI, Organica militare . .. , cit., p. 119. (61) «Conseguentemente» fino ad un certo punto, a dire la verità, perché era sempre possibile ricorrere, allo scopo di incrementare la forza bilanciata, ad un aumento dei volontari (il che del resto avvenne.• ma non in misura tale da modificare i rapporti tra i professionisti e i soldati di leva in vigore dalla fine degli anni sessanta). (62) Leva . .. 1872, ed. 1894, pp. 2-3 e 28- 29; G . BoMPIAKl, La categoria unica, ossia la nazione armata, Roma, 1891.


452

L' ES ERCITO ITAU AKO DALL't: l'ITÀ ALLA GRAI'DE GVERRo\

( 186I- 19r8)

---

di un provvedimento imposto, innanzitutto, dalla forza delle cose: i nuovi aumenti richiesti dalla politica di espansione coloniale potevano essere ottenuti soltanto raschiando il fondo del barile. Con la categoria unica il tasso di militarizzazione si mosse anch'esso alJ'insù: dopo essere rimasto lungo gli anni 188o tra il 22 e il 25%, nel 1891 raggiunse il 25,9, per toccare l'anno seguente il 26,8%. Nel frattempo anche l'indice della renitenza aveva intrapreso una lunga marcia ascensionale. Nel 1885 ritornò sopra il 3% e nel 1889 sopra il 5 ~~ . Quest'ultimo incremento fu dovuto non tanto ad una rapida crescita dell'emigrazione, della quale, in ogni caso, la renitenza continuava a rimanere sotto molti aspetti una variabile dipendente, quanto dalla decisione del ministro della guerra di includere nelle liste degli iscritti (( i giovani ritenuti come sconosciuti >> (in pratica, individui di cui si erano perse le tracce dopo la nascita). L'aumento e le nuove caratteristiche dell'emigrazione italiana ed anche, sia pure in misura minore, l'inclusione degli « sconosciuti >> concorsero nel ridisegnare la mappa della refrattarietà. Negli anni intorno al 1890 essa conobbe, rispetto alla carta tracciata dieci anni prima, significative modificazioni: l'area contraddistinta da bassi indici dì renitenza fu amputata di Benevento e di ben nove province centro - settentrionali, mentre acquistò Sassari; lo stesso trend rimodellò l'area ad elevata renitenza, dalla quale uscì Catania, mentre vi entrarono Belluno, Treviso, Torino e Roma.

L'ultimo decennio dell'Ottocento vide l'esercito italiano attraversare una crisi gravissima, dalla quale riemerse del tutto soltanto nel secondo periodo, quello a pronunciata vocazione imperialistica, dell'età giolittiana. Una crisi finanziaria, in primo luogo, che costrinse i ministri della guerra ad una tormentata politica della lesina. A sua volta la crisi finanziaria incise sensibilmente sull'espansione coloniale, la quale, come è noto, incontrò ad Adua una traumatica battuta d'arresto. Alla sconfitta africana seguì una fase quanto mai convulsa, caratterizzata dal tentativo di un blocco reazionario, che faceva perno sulla monarchia, di stroncare l'opposizione politica e, soprattutto, sociale: proprio ad uno dei maggiori leaders dell'esercito, Pelloux, fu affidato il compito d.i garantire, gettando sulla bilancia il peso dei militari, il successo dell'operazione. Ma la regia di Pelloux si rivelò soltanto in parte all'altezza della situazione: la svolta Zanardelli- Giolitti segnò l'emarginazione politica dei militari e li restituì ad una fase di passività, dalla quale uscirono soltanto a partire dal 1906, grazie anche alla copertura di una formale sotto-

.l

.,

'·!


LA LEVA .\UU T ARE DALL ' UNIT.l.. ,\LLA GRA:--<I>E G UERRA

453

missione al potere civile (nel 1907 fu istituita una commissione d'inchiesta sulresercito e, per la prima ed unica volta nella storia del regno dall'unità alla grande guerra, il portafoglio della guerra fu concesso ad un ministro, che non era un militare di carriera). Quando la crisi finanziaria costrinse il governo a calare la mannaia anche sui bilanci del ministero della guerra, la politica militare continuava a procedere imperterrita sul doppio binario dell'esercito offensivo alla Baratieri (un esercito, peraltro, che invece di prendere, come si era lasciato capire dieci anni prima, la strada di Vienna o di Parigi, era invischiato nella pania abissina) e della Nazione armata. Pelloux, ministro della guerra dal r89r al I893, apparteneva, a detta dei militari tradizionalìsti, alla « scuola nuova o giovine», che voleva « l'obbligo della milizia esteso a tutti quanti i cittadini validi sino allo estremo limite >> e la « territorialità militare >> : era uno che << a molti par l eva] consenziente coi Radicali nel concetto della Nazione armata >> (63). Tuttavia Pelloux voleva anche conservare, mantenendosi nell'alveo del militarismo « aperto>> alla Marselli, un esercito <<con quadri larghi per poter, occorrendo, incorporare tutti gli uomini validi istruiti>> : in una fase di bilanci relativamente assottigliati tutto ciò comportava necessariamente <( una riduzione della ferma allo stretto indispensabile per dare agli uomini una istruzione sufficiente » (64). La soluzione più ovvia consisteva nell'adozione della ferma biennale per tutto il contingente: ma, dal momento che la « dottrina dei tre anni » rimaneva sempre, anche se oramai applicata con una certa flessibilità, un articolo di fede, Pelloux ricorse, allo scopo di diminuire le spese militari, a tutta una serie di ripieghi. La riduzione della ferma fu conseguita di fatto mediante un'esasperazione del sistema tradizionale « di espedienti, di congedi anticipati e di ritardi nelle chiamate » (65). In particolare fu allungato a sei mesi il periodo della cosiddetta forza minima, periodo che venne a comprendere i mesi da ottobre a marzo . Inoltre, quando nel 1893 la categoria unica fece salire il tasso di militarizzazione alla quota primato, per l'Italia ottocentesca, del 27,4 %, degli oltre centomila arruolati un quinto fu inviato in congedo illimitato provvisorio ed un altro quinto incorporato con ferma biennale. Il limite maggiore di questa politica era, dal punto di vista delle classi al (63) CoRSI, Italia ... , cit., pp. 375 - 76. (64) G. GoJRAN, Questioni militari. Il reclutamen&o, in «Nuova Antologia », XXXI (185)6), fase. II, p. 266. (6s) ARlns, La ferma del soldato in tempo di pace, in « Nuova Antologia », XXV (1890), fase . XIII, pp. 77 e roo.


454

l'ESERCITO ITi\Ui\NO DALL'Ul"JTÀ ALLA GRANDE Gt;ERRA

(1861- 1918)

vertice della piramide soòale, l'incerta tutela dell'ordine pubblico durante il periodo della forza minima. I moti del 1893 in Sicilia e nella Lunigiana sottolinearono che tale preoccupazione era lungi dall'essere infondata e una delle cause che provocarono la caduta del governo fu proprio il fatto che l'esercito di Pelloux aveva assolto con poca diligenza il ruolo, primario per i borghesi, di tutore dell'ordine sociale. Il successore di Pelloux, Stanislao Mocenni, intervenne con maggiore fermezza contro i pericoli insurrezionali: alla fine del 1893 furono richiamate alle armi per servizio d'ordine pubblico due classi di leva. Le cifre di questa « mezza mobilitazione >> (66) diedero ragione al governo: il tasso di diserzione fu del 4,2%, va.le a dire una percentuale di pochissimo superiore a quella fatta segnare qualche mese prima da 47 mila richiamati per un breve periodo d'istruzione; evidentemente il sistema militare era in grado di funzionare senza che emergessero particolari difficoltà anche in presenza di gravi crisi sociali. E' probabile che lo stesso Mocenni fosse giunto a conclusioni di questo tenore, perché nel 1895 presentò un progetto che introduceva nell 'ordinamento militare italiano uno dei pilastri della Nazione armata modello prussiano: il reclutamento territoriale. «Ma il Parlamento non volle rinunciare al più potente mezzo di italianizzazione » (67), al sistema nazionale; in altre parole la maggioranza dei rappresentanti della borghesia italiana (ivi compresi alcuni tra i più autorevoli leaders militari), riparandosi dietro lo schermo della fedeltà alla tradizione risorgimentale, dimostrarono in realtà di non condividere l'ottimismo politico - sociale che era alla base del progetto Mocenni e quindi di preferire, una volta di più, un esercito più costoso e meno facilmente mobilitabile all'alea di una sfida suf terreno dei rapporti tra esercito e società. In Germania il blocco di potere junker - borghesia si riconosceva direttamente nell' «esercito popolare regio » alla Guglielmo I, espressione e strumento della vittoria dello Stato e delle classi dirigenti, vecchie e nuove, sulle classi inferiori e sulla società; invece in Italia la borghesia, essendo <( neghittosa, disgustata, piena di rancon acerbi e diffidenze verso lo Stato >> (68) e nel contempo incapace di esercitare una salda egemonia sulle classi subalterne, pun(66) C. VoN DER GOJ:rz, La nazione armata. Libro Ju!l"organizzazione deglì eserciti e la condotta della guerm dei tempi nostri, Roma, 18~2 , p. 177 (nota del traduttore, il cap. P. MEoMARTIKo). (67) L. VINCENZOT'fl, Manualetto di organica militare per gli allievi ufficiali di complemento, Roma, T<)04, p. 78. (68) FERRERO, Il militar·ismo . .. , cìt., pp. 356- 57·

·'

l


LA LEVA MILITARE DALL'lJNJT,~ ALL,~ GRANDE GUERR.'I

4))

tava su un esercito regio, che le garantisse 1< dall 'esterno>> il controllo sociale. Se la politica militare d.i Pelloux era fallita sul fronte interno, quella di Mocenni naufragò contro lo scoglio abissino. Dopo Adua ritornò alla testa del ministero della guerra Ricotti, il quale soppresse la categoria unica e stabilì che l'aliquota del contingente di I categoria con ferma biennale fosse del 50%. Inoltre la leva della classe 1876 vide salire di quasi un terzo la percentuale dei riformati: un indice ulteriore della tendenza di ridimensionare la Nazione armata dei « nurneristi » Pelloux e Mocenni. Tuttavia le riforme di Ricotti urtarono contro l'opposizione del re, ostile ad un accantonamento della tesi, osteggiata dal vecchio generale, dei quadri larghi. A Ricotti successe Pelloux, che ripristinò immediatamente la categoria unica. La gestione Pelloux, non tanto come ministro guanto come presidente del consiglio, fu assorbita principalmente dal prob:ema della repressione dei moti di fine secolo. La prova del fuoco si ebbe nel 1898, allorquando i richiami per motivo d'ordine pubblico raggiunsero la vetta di 130 mila: il tasso di diserzione si collocò poco sopra il 2,5%, una percentuale anch'essa record, ma che trova in parte una giustificazione nel fatto che fu questa la prima volta che le famiglie bisognose dei richiamati ricevettero un soccorso pecuniario da parte del governo. Nell'ultimo scorcio del secolo l'indice di renitenza, sotto la spinta di un fenomeno migratorio sempre più imponente, aveva continuato la sua ascesa, oltrepassando nel 1891 il 6 e nel 1898 il 7%. Negli anni a cavallo tra Otto e Novecento, in una fase in cui emigrazione settentrionale e emigrazione meridionale stavano per equivalersi, le aree ad alta e bassa renitenza erano così ritagliate: alti indici di refrattarietà contraddistinguevano il Veneto (Treviso, Padova e Rovigo), Genova, Livorno, Mantova, Campobasso, gran parte della Campania, Potenza, Cosenza e Palermo, mentre all'estremo opposto si collocavano, oltre al blocco centrale, i cui vertici erano costituiti da Bologna, Teramo, Grosseto e Piacenza, anche Milano, Brescia, le Puglie, la Sardegna e Siracusa. Il boom dell'emigrazione dal Sud favorì una distribuzione del peso militare sempre meno uniforme. Nel 1901 ai due capi della catena regionale si trovavano il Veneto e la Basilicata: contro un tasso nazionale di militarizzazione del 22,9%, il primo segnava il 28,8 e la seconda il 14>4 0,.~ . Fino agli ultimi anni 188o i problemi posti dall 'emigrazione, anche perché resi meno evidenti dai bassi indici di renitenza, erano stati in larga misura trascurati dai militari. A partire dal 1891 furono adottati importanti provvedimenti


456

t'ESERCITO IT.\Lii\NO Di\LL,UKITÀ AlLA GRANDE GliERR\

(1861 • 1918)

•t a favore dei cittadini residenti all'estero » : tra l'altro, fu istituito l 'arruolamento per procura in I categoria. Nel 1893 « i nazionali indigenti residenti all'estero l> , che avevano intenzione di rientrare in Italia per presentarsi alla visita di leva o per compiere il servizio militare, acquisirono il diritto di essere rimpatriati gratuitamente sulle navi della Navigazione Generale Italiana (69). La strategia dell'attenzione nei riguardi degli emigrati conseguì risultati notevoli: negli anni intorno al 1907 oltre il I0° o degli arruolati in I categoria risultarono rimpatriati dall'estero.

La legge 15 dicembre 1907 divide l'età giolittiana, dal punto di vista della gestione della leva, in due fasi nettamente contrapposte. A partire dal 1899 il tasso di militarizzazione aveva puntato decisamente verso il basso : 26,3 % nel 1898, ma 20,7 nel 1904; la curva discendente toccò il nadir nel 1906. raggiungendo il 18,2%, un minimo che in precedenza era stato oltrepassato soltanto negli anni di profonda crisi che ave\·ano preceduto le riforme Ricotti. Il declino dell'indice di militarizzazione fu in qualche modo neutralizzato da una diminuzione dell'aliquota della I categoria a ferma biennale, la quale scese dal 50,2 del r902 al 25°, del r9o6- OJ. Non si poté tuttavia evitare una dilatazione del periodo di forza minima. <l La chiamata straordinaria di una classe di leva avvenuta nell'autunno del 1904 per ragioni d'ordine pubblico, dimostrò come, tanto sotto i riguardi economici quanto sotto quelli organici, non fosse consigliabile il tenere per oltre sei mesi dell'anno la forza assottigliata al punto da essere a mala pena sufficiente al disimpegno dei servizi territoriali » (70). La legge del 1907 aprì la strada ad un pieno ricupero del modello prussiano mediante una drastica riduzione del numero dei titoli, che davano diritto all'arruolamento nella III categoria. Fu ripristinata la 11 categoria, il cui periodo d 'istruzione fu stabilito dapprima in tre, poi in sei mesi; ad essa furono assegnati i coscritti in possesso di alcuni dei titoli, che in precedenza avevano assicurato l'esenzione. Nel r907 gli esentati erano stati oltre il r9%: nel 1908 la Il categoria incluse il 5,9 e la IU il 6,6°'o degli iscritti. Conseguentemente il tasso di militarizzazione ritornò sopra la soglia del 25'\, , con un progresso di quasi un terzo rispetto all'anno precedente. (69) Leva ... 1874, cd. t85)6, p. 2. (70) BAVA BECCARIS, L'esercito italiaTJo . . . , cit.. p. 73·

ll .

;•

l


l.;\

!,EVA M!LJTARE

DALL' UNITÀ

ALLA

G RA:-Jr:;E G U ERRA

4'17

Nel 1909 furono approvati nuovi elenchi delle infermità e delle malattie: ne conseguì una drastica riduzione del nwnero dei riformati e dei rivedibili. L'indice di militarizzazione si portò poco sotto il 30 ~~ , per oltrepassare nel 1910 il 33 ~~ - Sempre nel 1909 fu introdotta di fatto (la sanzione legislativa tenne dietro nel giugno dell'anno seguente) la ferma biennale. Le cause di fondo della decisione furono, con tutta probabilità, da una parte la necessità di fare qualche concessione al parlamento e all 'opinione pubblica in cambio dell'approvazione dei cospicui bilanci militari, che il ministro della guerra e gli alti ufficiali esigevano, e, dali' altra, le pressioni indirette della Commissione d'inchiesta sull'esercito. Se la maggioranza della Commissione s'era pronunciata per il mantenimento delle ferme scalari, un'esigua minoranza di progressisti e, ciò che più contava agli occhi del ministro della guerra, la quasi totalità degli ufficiali interpellati s'erano pronunciate per la fe rma biennale. Inoltre tutti i membri della Commissione meno uno avevano energicamente insistito sulla necessità di sostituire il reclutamento nazionale con quello territoriale, un sistema che si voleva tuttavia temperato da quei provvedimenti che ne potevano diminuire i rischi (si suggeriva, ad esempio, di « distribuire fra Corpi diversi le recl ute e i riservisti deLle grandi Città))) (7r). Il ministro della guerra Spingardi, optando per la ferma biennale e respingendo le indicazioni della C'Ammissione a favore del reclutamento territoriale, da un lato ribadì l'indipendenza del potere militare da quello politico e dall'altro procedette con decisione lungo la strada di una Nazione armata di marca t• offensivista ». La guerra di Libia fu favorita, sotto il profilo militare, da una congiuntura analoga a quella verificatasi a metà degli anni 188o: bilanci sempre più generosi e indici di militarizzazione in crescendo e comunque tali da garantire che la Nazione armata partorisse senza gravi rischi l' « esercito offensivo>> imperialista. A sua volta la guerra rese irreversibile quel trencl, che l'aveva resa possibile. Le leve dal 1912 al 1914 segnarono indici di militarizzazione in costante progresso : dal 32, r del 1912 al 34,5% dd

(7!) CoMMISSIONE

o'rNcHIESTA PER L'EsERCITO,

Quarta relazione .. . , cit.,

pp. 7 - 40 e 78 - 79; Io.. Settima relazione concernente i temi: Questioni rela-

tive all'applicaziotle della ferma biennale .. . , Roma, 1910, pp. 9 e 43- 44· La commissione proponeva, di fatto, il reclutamento territoriale alla francese (cfr. Eserciti d'Europa. Reclutamento, ordinamento, circoscrizione. Con un cenno delle forze militari marittime, Roma, 1897 e C. CoRTTCELU, Manuale di organica militare. Eserciti italiano, germanico, austro· u11garico, fraT/cese, russo e svizzero, Torino, I9<JI 2, p. 237).


___

458

...;...;.... ·

L' ESERCITO lTi\U.'\NO D.' ILL'lH'OTÀ .~LLA GRAN LJE GUERRA

(1861- 1918)

1914. Il fatto che nel giro di pochissimi anni il rapporto arruolati in l categoria - iscritti fosse passato da uno a cinque (media degli anni 1904- 07) ad uno a tre (media del quinquennio 191.0- 14) non ottenne molta attenzione. Dal momento che lungo gli anni della grande guerra la percentuale degli arruolati in I categoria si collocò sotto il 47 ~;;, , se ne r1cava che l'indice dì milìtarizzazione della classe del 1894 sfiorava i tre quarti del livello massimo, cbe il sistema militare italiano, con tutti i suoi condizionamenti, politici e sociali, economici e istituzionali, era in grado di permettersi. Ma va anche tenuto presente che nell'aprile del 1914 fu approvato un nuovo elenco delle « imperfezioni ed infermità esimenti dal servizio militare}): la classe del 1895, la prima a subire, durante i mesi della neutralità italiana, l'impatto del nuovo elenco, vide scendere la percentuale dei riformati e dei rivedibili dal 41 al 28,8% e, correlativamente, il tasso di militarizzazione raggiungeva il 45 %. In altre parole, ancor prima di Sarajevo, l'Italia, spronata dagli impegni in Libia (che immobilizzava circa un quinto dell'esercito) e dalla corsa europea agli armamenti e agli arruolamenti, era entrata di fatto, almeno per quel che riguardava la leva, in un regime di guerra. Senza dubbio il conflitto avrebbe comunque comportato un salto di qualità . Tra l'altro la guerra avrebbe pareggiato sotto ogni aspetto la II alla I categoria. Ma si può anche ricordare che già nel I9I3 Spingardì aveva compiuto un passo in questa direzione, tentando di far portare il periodo d'istruzione della II categoria da sei a dodici mesi (72). Benché questo progetto fosse naufragato contro l'ostilità del parlamento, tuttavia il bilancio complessivo delle amministrazioni militari dal 1907 al 1914 indicava che l'obiettivo << numerìsta >> de1la Nazione armata era stato sostanzialmente raggiunto. Nell'ultima fase dell'Italia giolittiana le speranze di Marselli s'erano in gran parte realizzate: la ferma di due anni e l'alto indice dì militarizzazione avevano indubbiamente favorito una maggiore integrazione tra l'esercito e la società civile, ma, se la società aveva « coltivato >> in misura trascurabile l'esercito, sicuramente l'esercito era riuscito a militarizzare e a disciplinare il paese, contribuendo in tal modo ad aprire la strada, nelle strutture e nelle masse, prima che nelle élites, ad una evoluzione autoritario- « democratica>> dell 'Italia. La sempre più massiccia pressione dell'istituzione militare sul paese pesò iri misura notevole soprattutto sulla Valle Padana. Il Ve-

(72) L'esercito italiano nella grande guerra ( 1915- 1918 ), I, Le forze belligeranti (Nanazione), Roma, 1927, p. 74·


LA LEVA MILITARE D ALJ... U:-<liÀ ALLA

GRA!\"DE

GUERRA

459

neto non solo rimase la regione più prodiga di arruolati in I categoria, ma incrementò il distacco nei confronti delle rivali, raggiungendo nel 1912- 14 un tasso di militarizzazione del 43,3%. Mentre Emilia~ Lombardia, Toscana e Piemonte segnavano tassi tra il 34 e il 37%, il meridione e le isole continuavano a registrare indici largamente inferiori alla media nazionale (unica eccezione gli Abruzzi): il primato spettava alla Sardegna, ferma ad un tasso del 23,8%. La causa principale dell'approfondirsi del fossato che separava le due Italie era stata l'emigrazione, in questa fase prevalentemente meridionale e siciliana, così come era l'emigrazione a conùnuare a spingere verso l'alto l'indice di renitenza, che nel 1908 varcò la soglia del1'8 %, nel 1909 oltrepassò il 9 e nel I9II il ro%. Il punto più alto della curva prebellica fu raggiunto nel 1914: 10,44%. Le modifìcazioni quantitative e qualitative subite dai flussi migratori fecero sì che alla vigilia della grande guerra la mappa della renìtenza recuperasse in parte i lineamenti, che aveva posseduto negli anni dell'unificazione. Nel 1912 - 14, mentre soltanto 6 delle 42 province centro- settentrionali segnavano indici superiori alla media nazionale, al contrario nel meridione e nelle isole soltanto 4 province su 27 si collocavano sotto la media. La crescita vertiginosa dell'emigrazione favorì anche una divaricazione, sempre più rilevante a partire dai primi anni del nuovo secolo, tra il numero degli arruolati in I categoria e quello degli effettivamente incorporati, una divaricazione che è anche possibile interpretare come una reazione popolare nei confronti di una pressione militare .in continuo aumento: i « mancanti alla chiamata senza giustificato motivo » della classe del 1894 furono quasi 17 mila, vale a dire l'n,5% degli arruolati in I categoria. Uno degli interrogativi principali, ai quali una ricerca sulla leva dovrebbe tentare di offrire una risposta, concerne l'atteggiamento dell'istituzione militare nei confronti delle classi sociali: in quale misura i criteri selettivi della leva penalizzavano o favorivano le diverse classi sociali e, conseguentemente, su quali classi veniva a ricadere in misura maggiore l'onere del servizio militare? A questa domanda non è possibile dare una risposta esauriente, a causa delle carenze della documentazione offerta dalle relazioni, se non limitatamente alle ultime leve prebelliche. Benché i raggruppamenti professionali adottati dalle relazioni presentino qualche difficoltà ad una traduzione immediata in classi sociali, ciò non impedisce in ogni caso di raggiungere alcune conclusioni di fondo: r) nel loro insieme i filtri istituzionali, che permettevano agli iscritti di evitare la I categoria, privilegiavano net-


460

J_.f!SJ::RCITO ITALIAr-;O DAL L' U:-ll'd ALLA GM:-lDE G UERRA

..

-

(186! · 1918)

tamente la città rispetto alla campagna, la borghesia e le classi medie nei confronti della classe operaia e del sottoproletariato urbano; 2) l'incremento del tasso di militarizzazìone, che si ottenne nella seconda parte dell 'età giolittiana, pesò in misura più che proporzionale sulle classi inferiori. Se gli arruolati in I categoria furono nel 1907 il 21,5 e nel 19r4 il 38,5% degli iscritti visitati alla leva, per la borghesia e le classi medie (nel lessico delle relazioni: i proprietari, gli impiegati, i commercianti, i liberi professionisti e gli studenti) le percentuali scesero, rispettivamente, al r8 ,2 e al 31°/o, mentre il sottoproletariato urbano (uomini di fatica e servitori) segnò tassì del 23,8 e del 42,9%. Meno clamorosi, ma sempre evidenti gli scarti tra i contadini (agricoltori, pastori, cavallanti) e gli operai: i primi sempre collocati sopra la media nazionale (nel 1907 il 22>4 e nel 1914 il 40,8%), i secondi situati sotto la media (21,2 e 37,r%). Certamente si può sempre ritenere una mera coincidenza il fatto che la <t severità >> della selezione militare fosse così significativamente correlata al posto occupato da una classe nella gerarchia sociale: quel che è certo è che la selezione sanitaria non riusciva ad evitare che il tasso di mortalità sotto le armi fosse per i borghesi largamente inferiore alla media e per i contadini il più elevato (73).

Uno dei primi provvedimenti, con i quali il governo italiano annunciò alle coalizioni in guerra e al paese che non era sua intenzione rimanere a lungo alla finestra, fu la decisione, presa sul finire dell'ottobre del 1914, di chiamare alla visita di leva la classe del r895 a partire dal 1" novembre successivo, in deroga alla norma, in vigore dal 1882, che prescriveva che la visita avesse luogo nel ventesimo anno d'età degli iscritti. Tuttavia l'entrata in guerra dell'Italia, forse perché i criteri sanitari approvati nell'aprile del 1914 erano ritenuti adeguati al regime bellico, più probabilmente perché, su un piano più generale, l'istituzione militare era in larga misura impreparata, ideologicamente e materialmente, ad una guerra di massa, non fu accompagnata da una svol ta brusca nella gestione della leva : se la chiamata della classe del 1896 fu anticipata al settembre del I9I), furono nel contempo assegnati obiettivi modesti al tentativo di ricuperare, mediante nuove visite, i riformati delle classi già visitate (in tutto il 1915 gli arruolati in seguito alla revisione furono poco più di 77 mila).

(73) Antropometria militare . .. , cit., II, p. 94·

i

'·.~l

,. )


LA

LEVA MILfTA"RE

DALL' L':>~ITÀ ALLA GRAI'f>E GUERRA

461

Il fallimento della strategia offensiva di Cadorna con la conseguente trasformazione del conflitto italo- austriaco in una guerra di logoramento, destinata a creare larghi vuoti nelle truppe al fronte, costrinse il ministero della guerra a percorrere fino in fondo la strada della mobilitazione totale. Nel 1916 si puntò soprattutto sul ricupero dei riformati delle classi anziane : ne furono arruolati, in tre ondate successive, per un totale di 565.490. Nel 19r7 la necessità di alimentare il Moloch bellico indusse le autorità militari ad adottare provvedimenti radicali: se la chiamata della classe del 1897 era stata anticipata all'aprile del 1916, quella della classe del r898 ebbe luogo nel gennaio del 1917; ad essa seguì nel febbraio quella dei giovani nati nel primo quadrimestre del r899, mentre per i nati negli altri mesi del 1899 la chiamata avvenne nel maggio. Nell'aprile del 1917 un decreto luogotenenziale abbassò il limite minimo di statura da 154 a 150 centimetri; nel luglio fu approvato un nuovo elenco di malattie e di imperfezioni esimenti dalla chiamata alle armi, elenco con il quale si riconobbe << per la prima volta la inabilità assoluta alle fatiche della guerra e l'assegnazione ai servizi sedentari in modo permanente» . L'inasprimento dei criteri sanitari consentì un'ulteriore, più severa revisione dei riformati: il gettito dell'operazione fu di oltre 226 mila arruolati. Quando sopraggiunse Caporetto, la pressione del sistema militare sul paese aveva raggiunto livelli altissimi, praticamente invalicabili. Sia per questa ragione, sia anche perché i successori di Cadorna alla guida dell'esercito optarono per una strategia difensiva, nel 1918 non furono prese misure eccezionali : un'ennesima revisione dei riformati diede poco più di 150 mila arruolati (vale a dire la metà del numero dei prigionieri italiani a causa della rotta di Caporetto), mentre la chiamata della classe del 1900 ebbe luogo nel febbraio di quell'anno. Come reagirono i giovani in età di leva di fronte alla prospettiva di un servizio militare, che non si risolveva più, come era stata la regola prima della guerra, in qualche anno -di ferma, ma che ora esigeva, in una misura ignota al passato, « il tributo del sangue »? Una risposta a questo interrogativo richiede un'analisi delle informazioni, che si posseggono, grazie alle relazioni sulla leva, circa i due punti critici del reclutamento : la chiamata alla visita di leva e la chiamata ai corpi, in altre parole, rispettivamente, la renitenza e la diserzione tra l'arruolamento e l'incorporamento. L'andamento della curva della renitenza è particolarmente istruttivo. Come sappiamo, l'ultima leva che fu tenuta prima di Sarajevo fu quella della classe del r894 : in questa occasione l'indice di renitenza raggiunse la quota del IOA%· Quando fu chia-


462

t.'ESERCITO TTALIANO DALL't;:--~JTÀ ALLA GM:><DE GUERRA

(186r - 1918)

mata, sul finire del 1914, la classe successiva, molte frontiere erano già state chiuse in faccia all'emigrazione italiana e l'indice tornò sotto il 9,8 %. Con la prima leva di guerra (classe del 1896; settembre del 1915) balzò al 12,1 ~<, , benché il numero degli emigranti fosse sceso dal quasi mezzo milione del 1914 a meno di 150 mila. A questo exploit seguì una fase di lenta, ma costante diminuzione sia del contingente degli emigranti che del tasso di refrattarietà (12 ~<, con la classe dd 1897; II,1 ~~ : 1898; ro% : r899; 8,7% : 1900). Nel 1919 le frontiere furono riaperte ad oltre 250 mila emigranti, che nel 1920 salirono a più di 6oo mila. Nell'agosto di questo ultimo anno fu chiamata alla visita di leva la classe del 1901 : l'indice di renitenza tornò a portarsi sopra il ro,7%. Per spiegare il trend della curva della refrattarietà è necessario chiamare in causa almeno tre fattori: l'emigrazione «corrente » (altissima prima e dopo il conflitto, quasi trascurabile durante la guerra), l'emigrazione già « capitalizzata}) (i ragazzi che avevano abbandonato l'Italia negli anni del grande esodo e che vennero inutilmente chiamati alla visita di leva tra il 1915 e il 19r8) e il rifiuto, comunque motivato, della guerra. Dato il ruolo affatto se~ condario ricoperto dall'emigrazione <<corrente n, il peso che va attribuito al fenomeno del rifiuto risu.lta, in una certa misura, in~ versamente proporzionale alla valutazione che si dà delle dimen~ sioni dell'emigrazione <<capitalizzata». Tenendo conto soprattutto dell 'indice di renitenza relativo al1a classe del 1895, una classe chiamata alla visita in una fase jn cui l'Italia era ancora neutrale e il flusso dell'emigrazione «corrente » era già stato drasticamente ridotto, si può affermare da un lato che l'emigrazione «capitalizzata >> contava parecchio (ovviamente è un « parecchio » che sarebbe presuntuoso voler quantificare), ma anche che, dall'altro, senza il sostegno di un'emigrazione «corrente » all'altezza delle performances dei primi anni I9IO, l'emigrazione <<capitalizzata)) non solo non era in grado di spingere l'indice della refrattarietà sopra i livelli raggiunti prima della guerra, ma anche tendeva << naturalmente » a perdere quota. Da tutto ciò si ricava, tra l'altro, che lo scarto tra i tassi di renitenza relativi alle classi del 1895 e del 1896 (rispettivamente, 9,8 e 12,1%) deve essere messo in conto principalmente alla rea~ zione negativa del paese nei riguardi della guerra. D'altronde non appare del tutto corretto considerare l'emigrazione << capitalizzata» completamente priva di radici e di motivazioni contrarie alla guerra: anzi l'intensa attività di propaganda che il governo italiano promosse presso gli espatriati, induce a ritenere che molti italiani al-

t

, l


L1\

1.-E\'A MILITARE

DALL'U>!IT.~ ALl-A GRAI'DE G UERRA

46 3

l'estero si rifiutassero di tornare proprio perché non volevano fare << quella >> guerra (74). Gli oltre 250 mila refrattari della grande guerra testimoniano in ogni caso che nel 1915 - 18 l'area del dissenso e dell'estraneità nei confronti dello Stato unitario, un'area a sua volta riconoscibile come la punta di un icebet·g di atteggiamenti dettati dalla passività e dalla rassegnazione, ricuperò tutta l'importanza, anche se non le particolari caratteristiche eversive, della rivolta degli anni I86o. L'ipotesi della guerra come un retlival delle tensioni e delle fratture che avevano contrassegnato gli anni dell'unificazione militare, è confortata da una lettura della carta della renitenza. Il conflitto accentuò al massimo grado quella divisione tra le due ltalie, centro- nord contro il sud e le isole, che le ultime vicende dell'emigrazione avevano già sottolineato. L'area caratterizzata da alti tassi di refrattarietà rimase circoscritta entro i confini dell'ex regno borbonico, mentre, parallelamente, soltanto una provincia meridionale, quella di Lecce, continuò a far parte della zona della bassa renitenza. Ricomparvero sulla mappa della refrattarietà alcuni dei << santuari » tradizionali : le grandi città sici.liane (in modo particolare Palermo e Messina) e meridionali (Napoli su tutte), le aree particolannente impervie, le zone a ridosso delle frontiere << amiche » (non a caso Como e Sondrio furono le sole province lombarde a rimanere fuori dell'area della bassa renitenza). Tuttavia va tenuto presente che, se le reazioni popolari riproposero, almeno a grandi linee, l'Italia degli anni r86o, al contrario l'atteggiamento delle classi dirigenti fu contraddistinto da un radicale rovesciamento del quadro ottocentesco. Mentre il processo di unificazione aveva visto in prima fila la borghesia centro - settentrionale, la guerra del 1915- 18 condusse alla ribalta le élites meridionali e insulari: furono infatti queste ultime, che pure non avevano mai dimostrato una particolare propensione per la carriera militare, a fornire i più consistenti contingenti di ufficiali di complemento di fanteria (75). Come è stato in precedenza sottolineato, il fenomeno della cosiddetta mancanza senza giustificato motivo alla chiamata ai corpi aveva raggiunto nel corso dell'età giolittiana dimensioni considerevoli, raggiungendo con la classe del r894 il tetto dell'II ,5% degli incorporati. Con la classe del 1895 l'indice crolJò all'r,x % : indubbiamente dovette avere il suo peso il blocco quasi totale dell'emigrazione, ma la precipitosa discesa della percentuale è imputabile, (74) REVELU, Il mondo . .. , cit., II, p. 26. (75) DEL NEGRO, Ufficiali di carriera . . . , cit.


prima di tutto. alle lacune della documentazion<.:, al fatto cioè che, a partire dalla relazione concernente quest'ultima leva. le statistiche relati\·e agli incorporati non offrano informazioni circa la sorte del w- 20 ~'o degli arruolati. La prima leva di guerra riportò i disertori tra l'arruolamento e J'incorporamento sopra la quota del 2 ~~ ; la tendenza al rialzo dell'indice ufficiale continuò nel corso della guerra: 2,8% con la classe del 1897 c 4,2°., con quella del r898 (i6). Se le carenze e le incognite della documentazione impediscono di considerare le percentuali riguardanti gli incorporati un test. in base al quale sia possibile costruire una curva rigorosa delle reazioni dei giovani di leva verso la guerra, è anche vero che un'analisi comparata degli indici a disposizione (renitenza e diserzione tra l'arruolamento e l'incorporamento) consente di individuare con sufficiente precisione le linee di fondo del fenomeno. Da un lato, l'entrata in guerra dell'Italia ampliò in misura notevole l'area del «rifiuto militare»; il rigetto popolare della linea interventista assunse proporzioni tali da irrigidire i rapporti tra lo Stato e la società, tra la classe militare e i soldati di leva : in Italia l'asse di tali relazioni divenne più che mai la coercizione, mentre altrove, in Francia per esempio, la guerra ottenne, per lo meno in un primo momento, risultati opposti (77). Dall'altro. l'area del \( rifiuto militare l> si allargò ulteriormente nel corso del conflitto (raggiungendo, forse , la massima estensione nel 1917): questo, per .lo meno, il trend in Italia, mentre è probabile che il patriottismo degli emigrati abbia invece tratto ulteriore alimento dal proseguimento della guerra. Se le statistiche concernenti fenomeni come la renitenza e la diserzione tra l'arruolamento e J'incorporamento possono essere considerate una spia attendibile di atteggiamenti diffusi in tutta la società, non è possibile attribuire un'analoga rappresentatività ai dati sui rendimenti regionali e, soprattutto, professionali delle leve di guerra. Bisogna infatti ricordare che gli arruolamenti in sede di leva fornirono meno di un quarto degli effettivi, che l'esercito italiano annoverò nel corso del conflitto; inoltre circa un settimo degli arruolati fu esonerato o dispensato o assegnato agli stabilimenti militari e di costoro non conosciamo né l'età, né la provenienza regionale, né, salvo un numero limitato, la professione. Tuttavia, in mancanza di indagini più approfondite, anche le informa(76) Le relazioni non offrono dati circa le due ultime classi di leva chiamate durante la guerra. (77) G. RtTTER, l militari e la politica nella Germania moderna, I, Tori· no, rg67, p. 383 n. 14.


LA LEVA MILITARE

DALL'UNITÀ Al.LA GRANDE GUERRA

465

zioni che riguardano la distribuzione del peso mil itare possono rivelarsi, pur con i loro limi ti, di una certa utilità. Sul piano nazionale il tasso di arruolamento balzò dal 33,5% (media degli arruolamenti in I categoria delle classi 1892- 94; tenendo conto anche della II categoria l'indice sale al 41 ~~ ) al 61 ,51, (media degli arruolati nelle tre categorie delle classi 1896- 99: ho escluso dal computo la classe del 1900 sia perché ebbe luogo durante l'occupazione austriaca di parte del Veneto, sia, soprattutto, perché la relazione, che si riferisce ad essa, adotta un criterio di classificazione professionale diverso da quello precedentemente impiegato). Il passaggio dal regime di pace a quello di guerra colpì in modo particolare l'Italia centrale e, in misura minore, quella settentrionale. Naturalmente furono le regioni meridionali e insulari ad offrire una maggiore resistenza: su questo fronte il primato spettò alla Basilicata. I diversi ritmi di avanzamento allungarono più che mai la catena regionale: in testa Umbria e Veneto (quasi 73 arruolati su IOO iscritti), seguite da Lombardia, Emilia, Toscana, Piemonte e Lazio (tassi tra il 70 e il 63%); in coda Basilicata e Sardegna (indice inferiore al 48 %), precedute da Campania, Calabria e Sicilia (dal 5 r al 54%). Mentre la frattura oramai tradizionale tra le due ltalie fu approfondita dalla guerra, quest'ultima influenzò invece la selezione professionale e sociale in una direzione opposta, attenuando cioè in una certa misura i distacchi della fase prebellica. La maggiore pressione militare risparmiò soprattutto il sottoproletariato urbano, mentre pesò notevolmente sui borghesi (e in modo particolare sugli studenti e sui liberi professionisti). La contrazione degli scarti tra le diverse classi sociali va addebitata principalmente alla drastica diminuzione, in seguito all'entrata in vigore del decreto del 1914, delle infermità e delle malattie ad alto tasso di discrezionalità : se la classe del 1894 aveva registrato, tra le cause principali di riforma, la deficienza toracica (2,97% dei visitati), la debolezza di costituzione (2,17), le ernie (r,6s) e la oligoemia (r,19%), quella del 1B96 promosse al primo posto le ernie (r,54%), assegnando le posizioni d'onore alla debolezza di costituzione (o,66), alle malattie di cuore (0,44) e alla oligoemia (0,35%). Tuttavia, nonostante queste variazioni, i rapporti tra le classi sociali continuarono ad obbedire, anche nel corso della guerra, alla logica gerarchica di sempre: contro un tasso medio di arruolamento di poco inferiore al p %, i borghesi vantarono un 68>4% e gli operai rimasero, sia pure di poco, sotto la media nazionale. Oltrepassarono invece tale livello i sottoproletari urbani (sopra il 72%) e i contadini (al di là del 74 ~lo ) . JO.


•l

5

.l


XIV. LUIGI DE ROSA

INCIDENZA DELLE SPESE MILITARI SULLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO


. !

' .

i


LUIGI DE ROSA dell'fstituto Universitario Navale di Napoli

INCIDENZA DELLE SPESE MILITARI SULLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO*

1. - Sull'incidenza dei problemi della difesa sullo sviluppo economico italiano la letteratura esistente è assolutamente scarsa. Nei cento anni e più di storia unitaòa l'Italia ha combattuto la terza guerra d'indipendenza, due grandi guerre mondiali, alcune guerre coloniali; ha inviato propri corpi di spedizione in Cina, in Spagna, ecc.; ha provveduto alla preparazione di una difesa per il tempo di pace, che fu spesso turbato da tensioni internazionali. Di tutto questo travaglio, anche se ovviamente contrassegnato da momenti di maggiore o minore drammaticità e di maggiore o minore impegno, si può dire che solo quello relativo alla prima guerra mondiale abbia ricevuto adeguata considerazione, anche se, forse, più per iniziativa straniera che per iniziativa italiana. Com'è noco, gli studi condotti intorno agli effetti di quella guerra in alcuni fondamentali settori economici furono stimolati, in Italia come in molti altri Paesi (europei e no), dalla Fondazione Camegie per la pace internazionale. Per quanto concerne l'Italia, gli studi, tutti di autori italiani e tutti di eccezionale valore, riguardarono: x) la salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra (Mortara) (r); 2) il Piemonte e gli effetti della guerra sulla sua vita economica e sociale (Prato) (2); 3) la legislazione economica della guerra (De Stefani) (3) ; 4) l'alimentazione e la politica annonaria in Italia (Bachi) (4); 5) il rifornimento dei viveri deli 'esercito italiano (Zingali) (5); 6) la guerra

* Relazione presentata al Primo Convegno di Storia Militare tenuto a Roma dal 16 al 19 marzo 1~9· (r) Laterza, Bari, 1925, pp. XXIV - 577· (2) Laterza, Bari, 1925, pp. XVI- 241. (3) Laterza, Bari, 1926, pp. XXXIV- 544· (4) Laterza, Bari, 1<)26, pp. XXVII- 66o. (5) Appendice al volume di cui alla nota precedente, pp. 5'3- 647.


470

L'ESERCITO ITALIANO DALL' U~ITÀ ALLA GRAt'f>F, Gt:ERRA

___

(r86r • 1918) :___:

e il sistema tributario italiano (Einaudi) (6); 7) la guerra e le classi rurali italiane (Serpieri) (7); 8) la condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana (Einaudi) (8). Oltre questi ci furono poi gli studi che singoli studiosi, come fu nel caso del Ricci, del Prato, del Graziani, del Répaci, di altri (9), vollero, di loro iniziativa, dedicare all'analisi di questo o di quell'aspetto degli effetti economici di quella guerra. Ma per quanto concerne i problemi della difesa e della guerra relativi agli altri periodi manca una qualsiasi analisi specifica e sistematica ed essi hanno ricevuto qualche considerazione soltanto negli studi sul bilancio italiano. Tra questi studi, i più importanti, sono quelli del Répaci e del Pedone. Il Répaci si è occupato del problema dell'incidenza delle spese militari sulla finanza dello Stato italiano in due sintesi. La prima apparve nel r937 (10), e studiava il bilancio dello Stato dall'unità al 1934 - 35; la seconda, notevolmente più ampliata, vide la luce nel 1961, e portò l'analisi .fino al 1<}50 (n). Quanto al Pedone, egli ha esaminato in un lungo articolo i rapporti intercorrenti tra il bilancio dello Stato e lo sviluppo economico italiano tra il 186r e il 1963, soffermandosi solo incidentalmente sulle spese militari (12). Oltre questi studi, accenni di rapporti tra spese militari e finanza pubblica e tra spese militari e politica economica dello Stato possono trovarsi in scritti e saggi dedicati allo sviluppo economico in generale o settoriale d eli 'Italia. In conclusione manca quindi una specifica distinta trattazione della storia economica d'Italia sotto il profilo delle spese militari. Purtroppo, devo dire che neppure questa relazione è destinata a colmare tale lacuna. Piuttosto essa, anche perché ho ritenuto di dovermi uniformare ai fini che hanno ispirato questo Convegno, ha un valore introduttivo. Tende a sottolineare l'importanza dell'argomento, e a suggerire di allargare lo studio dei problemi economici della difesa militare dal campo più strettamente finanziario (6) Laterza, Bari, 1927, pp. XX- 505. (7) Laterza, Bari, 1929, pp. XVI- 503. (8) Laterza, Bari, 1933, pp. XXXII- 444· (9) Cfr. G. PMTO, Ciò che n011 si vede del costo della guerm, in Rifles.<Ì .<torici dell'economia di guerra, Laterza, Bari, 1919, p. 157 e sgg. (ro) F. A. RÉPAcr, Il bilancio dello Stato italiano dalla unificazione ad oggi ( 1862- '934 / 35), in «Rivista di Storia economica», 1937, pp. 138- q8. (n) F. A. RÉl'ACI, La finanza pubblica italiana nel secolo 1861- 1g6o, Zanichelli, Bologna, 1g61. (12) A. PEDONE, TI bilancio dello Stato e lo sviluppo economico italiano, in <<Rassegna economica », Banco di Napoli, rg67, pp. 285- 341.


INCWE!'ZA DELL E SPESE MILITARI SULLO SVILUPPO ECONO~IICO TTALJMJO

47 l

a quello economico. Questo nella convinzione che non solo un tale approfondimento possa contribuire a meglio conoscere la storia economica del nostro Paese, ma anche che, una volta conosciuti con tollerabile approssimazione i rapporti intercorrenti fra difesa ed economia del Paese, possa meglio provvedersi ai problemi di quella senza danneggiare i progressi di questa.

2. - Assegnati questi fini allo studio dei rapporti fra problemi della difesa e sviluppo economico, per sottolineare come questi problemi economici della difesa possano trarre maggiore chiarimento dal loro inserimento nel contesto storico del Paese, dividerò la storia d'Italia in alcuni grandi periodi di tempo e, nell'ambito di ciascuno di essi, mi sforzerò di accennare alla natura e all'efficacia degli effetti derivanti dai problemi della difesa. Ovviamente, trattando dell'Italia, ritengo non sia possibile ignorare i problemi militari del suo processo di unificazione, in quanto essi ebbero una parte importante sulle condizioni in cui il Paese iniziò la sua vita unitaria, tanto importante che finì con l'incidere seriamente anche sulle vicende dei primi anni del giovine Regno. In effetti, l'Italia, non essendo mai approdate al concreto le proposte federaliste, ed essendo anche falliti, nel 1847, i tentativi di unificazione doganale di alcuni dei suoi più importanti Stati, poté pervenire all 'unità solo dopo aver combattuto alcune guerre e portato a compimento la spedizione garibaldina : cioè dopo aver dedicato alla preparazione militare una notevole parte delle risorse nazionali.

3· - Il p roblema della preparazione militare dell'unificazione fu innanzi tutto di carattere finanziario. Questo aggravio finanziario per ragioni militari riguardò tutti gli Stati della Penisola, i piccoli come i grandi. In generale, si cominciò ad avvertire dopo il 1848 l'effetto delle rivoluzioni che intorno a quell'anno si erano manifestate e del conseguente intervento dell'esercito austriaco in alcuni di questi Stati per restaurare le dinastie abbattute. Così nel piccolo Ducato di Parma e Piacenza, questo appesantimento del bilancio per ragioni militari ebbe due momenti acuti. Il primo si verificò nel 1849, quando la rivoluzione e l'occupazione austriaca si tradussero in una forte spesa, che portò, il 9 luglio r849, all 'imposizione di un prestito forzoso al quale furono chiamati a sottoscrivere proprietarii, commercianti e industriali. Il secondo si registrò nel 1859, in occasione degli avvenimenti che portarono all'annessione del Regno alla Sardegna. In quella circostanz.1 si dovette votare un


472

l_: ESERClTO ITALI ANO D ALL' UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

(1861 - 1918)

cospicuo prestito volontario. E tuttavia nel caso del Ducato di Parma e Piacenza gli sforzi compiuti dal Governo dopo l'ascesa al potere

di Maria Luisa attenuarono di molto le conseguenze di questo indebitamento. Altrettanto accadde, com'è noto, nel minuscolo Ducato di Modena, dove, tra il r848 e il 1849, per i noti avvenimenti rivoluzionari, fu necessario ricorrere ali 'imposizione di prestiti volontari e forzosi. Anzi, nel Ducato di Modena la situazione fu anche più grave di quella di Parma e Piacenza, in quanto il Duca Francesco V non poteva mantenersi che appoggiandosi ad una forza militare che superava di gran lunga le risorse dello Stato. Questo è ben evidente nei gravi disavanzi dei bilanci del r8so e r8sx , che portarono al lancio di nuovi prestiti. La situazione fu ulteriormente aggravata dal fatto che nel r859 il Duca, fuggendo, portò via una ingente somma del Tesoro, e saccheggiò le casse pubbliche a Modena e a Reggio. Alle ripercussioni finanziarie degli avvenimenti risorgimentali non sfuggirono neanche gli Stati pontifici. Basti . dire che con la proclamazione della Repubblica il disavanzo del bilancio, già notevole, aumentò ulteriormente ed, inoltre, la circolazione fu gravemente danneggiata. Il successivo intervento delle truppe straniere per restaurare il dominio del Papa e il loro permanere negli Stati pontifici per alcuni anni a difesa del Pontefice fecero aumentare il deficit, per far fronte al quale furono contratti, tra il 1850 e il 1857, numerosi prestiti pubblici e si aumentarono anche le imposte . L'equilibrio che si riuscì a raggiungere nel bilancio, nonostante il forte carico d'interessi per il servizio del debito pubblico di cui era gravato, fu tuttavia nel 1859 rapidamente sconvolto dagli avvenimen ti di quell'anno e dell'anno successivo . Il governo pontificio fu costretto a battere a parecchie porte - fu lanciato persino un (( prestito cattolico n - per raccogliere fondi che gli consentissero di sostenere le spese di guerra, che si andavano moltiplicando. Ma, nonostante questi sforzi, anche perché la perdita della Romagna gli aveva sottratto cospicue entrate, il disavanzo del bilancio salì in pochi anni, tra il r859 e il r86z, ad ingenti cifre. Anche il Granducato di Toscana, che pure aveva perseguito una politica liberistica di limitata pressione fiscale avverti gli effetti delle vicende politiche del r848 . La Toscana, è noto, costretto il Granduca a fuggire all'estero, partecipò, a fianco del Piemonte. alla guerra contro l'Austria. Ma non fu soltanto questa partecipazione militare a compromettere le finanze toscane. Nell'aprile 1849 la restaurazione del Granduca avvenne mercé la presenza d.i un esercito di occupazione austriaco, forte di oltre ro.ooo soldati, le cui


INCIDENZA DELLE SPESE ~HLIT.\Rl SULLO SVJLt:PPO ECONOMI CO ITALI AKO

47 3

spese, per quelJ 'anno c successivamente, fino al I R52, per un ammontare che fu valutato ad oltre 30 milioni di lire toscane, dovettero essere sostenute dalla Toscana. Tra il r848 e il 1849, in effetti, la situazione del bilancio statale si aggravò notevolmente, e per far fronte all'aumento del deficit, che si manifestò anche nei bilanci degli anni seguenti, almeno fino al 1856, fu necessario ricorrere ad una politica di prestiti pubblici a condizioni spesso assai onerose. E quando, nel 1857 c nel 1858, le condizioni del bilancio, pur gravate del notevole fardello delle quote da pagare per il ~erYizio del Debito pubblico, apparvero migliorate. gli avvenimenti del 1859 rovesciarono la situazione. Il 25 gennaio 186o il Governo pronisorio toscano, che si era schierato a fianco del Piemonte. lanciò un prestito di 50 milioni per finanziare le spese di armamento delle truppe toscane, prestito che tuttavia non fu utilizzato. Situazione non meno grave è da lamentare per il Regno delle Due Sicilie. Qui l'aggravio finanziario derivante dalle esigenze militari era cominciato anche prima degli avvenimenti del 1848. La rivoluzione che scoppiò a Napoli e in Sicilia nel 1~20 richiese, per essere soffocata, l'intervento delle truppe austriache, la cui occupazione durata fino al 1827, costò. secondo una valutazione abbastanza obiettiva, 10 milioni per anno, e gravò, com'è noto, sulle finanze dello Stato, costringendo a ricorrere, tra il 1821 e il 1824, a prestiti assai onerosi. Negli anni che seguirono, tuttavia, gran parte delle risorse dello Stato, trascurando le grandi opere di carattere civile di cui il Paese avvertiva la profonda esigenza, furono destinate all'ammortamento del debito pubblico, e a questo fine fu assegnato anche il provento di una gravosa imposta sulle maggiori relribuzioni decretata nel 1830. Nel giro di pochi anni. in effetti, il gettito fiscale fu notevolmente aumentato, e fu possibile anche operare, come nel r844, qualche conversione della rendita pubblica dal 5 al 4 ~~ - Questo processo venne interrotto con la rivoluzione del I847, quando la Sicilia insorse, e soprattutto con la rivoluzione del 1848 che durò fino al maggio del 1849· Com'è noto, Napoli partecipò alla 1• guerra d 'ind ipendenza finanziando un suo corpo di spedizione. Tutti questi avvenimenti, rivoluzionari e militari, si tradussero in un grave salassa finanziario, che annullò gli ammortamenti di debiti in precedenza effettuati e caricò il bilancio di nuovi, onerosi debiti pubblici, che assorbirono, come per il passato, una parte cospicua delle entrate delJo Stato, ]asciando assai poco per le spese di carattere economico e produttivo, e trascurando soprattutto i grandi lavori pubblici che in un Paese come era allora il Regno delle Due Sicilie, povero di infrastrutture civili c con una struttura agraria arretrata, sarebbe stato necessario realizzare . Risultato di


questa politica fu il notevole miglioramento del bilancio, e l'alta considerazione che circondò la rendita pubblica napoletana. spesso quotata al di sopra della pari. Infine, l'incidenza della organizzazione militare fu notevole anche nel Regno di Sardegna. Qui essa fu anzi ancora più cospicua. Anim~t del movimento d'indipendenza italiano, il Regno Sardo aveva impiegato, in vista dell'inevitabile confronto che prima o poi l'avrebbe opposto all'Austria, assai prima del 1848, una parte cospicua delle risorse dello Stato nella preparazione militare, fornendo l'esercito di armi più efficienti e di cavalli, e rafforzando il sistema di fortificazioni difensive. A questi sacrifici non indifferenti bisogna aggiungere quelli della lunga e costosa guerra con l'Austria del 1848- 49, che recò lo strascico del pagamento di una indennità ali' Austria di 75 milioni di lire. Queste sole spese di guerra, indennità inclusa, ammontarono a 226 milioni di lire, ma bisogna aggiungere anche le spese indirette, sostenute tra il 1848 e il 1849, che furono valutate in 276 milioni di lire. Tale sforzo militare si tradusse ovviamente in un notevole disavanzo di bilancio, per fronteggiare il quale si dovette far ricorso a un cospicuo indebitamento. Tra il r848 e il r8sr il debito pubblico aumentò infatti di 422 milioni. Ma la situazione si presentò anche più critica, considerando che la spesa militare, esercito e marina, assorbiva circa il 40" dell'entrata, né nella situazione del Regno di allora era pensabilc si potesse ridurre. Posto di fronte a questo stato di cose, Cavour, ministro delle Finanze dal r851, preferl, non volendo limitare la spesa per le esigenze dello sviluppo economico del Paese, rinunciare a ridurre il debito, e non insistere in una politica di pareggio finanziario. Così operando il Piemonte seguì una politica completamente opposta a quella del Regno delle Due Sicilic. Non sacrificò né la preparazione militare né il progresso civile, ma ovviamente trascinò con sé un enorme debito pubblico, che andò aumentando considerevolmente negli anni seguenti. In effetti, ad accrescere questo debito pubblico contribuì anche la partecipazione alla guerra di Crimea, che si tradusse in un aumento straordinario delle spese militari di oltre 53 milioni di lire. Ma la necessità di provv<.:dere alle spese militari recò non solo un aggravio al bilancio statale. ma rappresentò anche uno stimolo ad un ammodernamento della struttura civile c sociale del Paese in quanto spinse ad abolire, come con la legge Siccardi del r8so e altre successive, taluni privilegi del clero, a sopprimere le corporazioni religiose, che non si occupavano di istruzione pubblica o di assistenza ai malati, e ad alienarne i beni a profitto dello Stato. Dopo la guerra di Crimea, ad ogni modo, le spese militari non si ridussero. Anzi, tra il 1856 e il 1857,


J'JCJ))E)IZA DELLE SPESE MILITARI SL'LLO SVHXPPO ECONOMICO ITALIANO

475

10 conseguenza

delle complicazioni sorte nei rapporti con l'Austria fu necessario provvedere a nuove e più consistenti spese, con il risultato che il disavanzo finanziario aumentò, e con esso il debito pubblico. Non è necessario aggiungere che, nel 1859, la seconda guerra d'indipendenza, con il costo che comportò e con le indennità che occorse pagare all'Austria per il materiale militare che essa lasciava in Lombardia, e alla Francia per la sua partecipazione alla guerra, e con l'assunzione del debito pubblico della Lombardia, il tutto per un ammontare di circa 400 milioni, la situazione si aggravò (13).

4· - Fu Valentino Pasini a mettere in evidenza come nel decennio precedente il r86o il dissesto finanziario si fosse accentuato, e come le vicende del rivolgimento politico avessero contribuito ad accrescerlo notevolmente (14). Pasini riunì i dati frutto delle ricerche compiute in un prospetto (15) che sottolineò come lo sbilancio finanziario dell'insieme degli Stati italiani, più che dal disavanzo tra le uscite e le entrate, emergeva chiaramente dal moltiplicarsi del debito pubblico. Ma questo suo convincimento che sul dissesto finanziario degli Staù italiani avessero soprattutto influito le vicende politiche e militari che portarono all'Unità trova la sua più patente conferma al momento dell'unificazione nella situazione finanziaria dello Stato di Sardegna - lo Stato che aveva perseguito c, in un certo senso, gu id ato e sofferto il processo di unificazione -, lo Stato il cui bilancio era oberato non solo da un debito pubblico pauroso, più elevato di quello degli altri ex- Stati italiani, ed equivaltnte a più della metà del totale dell'intero volume del debito pubblico, redimibile e consolidato, su di essi gravanti, ma anche da un ingente disavanzo, che non soltanto contrastava con gli avanzi che si registravano nei bilanci della Lombardia, delle terre degli antichi Stati pontifici e del Regno delle Due Sicilie, ma rappresentava da solo quasi i nove decimi del complessivo disavanzo di tutti gli ex- Stati italiani ( r6). Di fronte a questo aumento del debito pubblico e del disavanzo del bilancio i singoli Stati non rimasero immobili, ma cer( 13) l. SACH S, L'ltalie. Se.i finanus et son développemmt économique d("fiUÌs l' unifica~ion du Royaume 1859- 1884, Guillamin, Paris, x88;. pp. 434- 443· (14) Cit. in E. MoRPURCO, La finan;;(l italiana dalla fonda:ione del Regno fino a questi giorni, estrano dall'Italia economica nel 187 3· p. 4; cfr. anche F. A. RÉPACI , La finanza pubblica rtaliana ecc., cit., p. 1 15. (rs) Vedi prosperro in appendice 1. (t6) Cfr. nota precedente.


476

L'ESERCJ1'0 ITALIANO DALL'UNIT.\ ALU GIL\NDF. GUF.RR\

(1861 · ll)t8)

carono di accrescere le entrate, aumentando la pressione fiscale. Questo si verificò in tutti gli Stati pre- unitari, ma fu maggiormente evidente nel Mezzogiorno d'Italia c soprattutto nel Piemonte. Pur ammettendo l'aumento di reddito conseguito dal Paese a cagione dello sviluppo economico, è fuor di dubbio che in Piemonte l'aggravio fiscale derivante dal rafforzamento c dallo sforzo militare fu notevole. Se ci si limita solo ad un confronto degli anni fra il r8so e il I 857, si rileva che, pur adottando una politica economi ca d'ispirazione liberistica, com'è dimostrato dalla diminuzione dei dazi, delle gabelle, del sale, ecc., furono aumentate tanto le contribuzioni dirette quanto la tangente gravante sul gioco del lotto e l'imposta sui tabacchi, e l'aumento non fu insignificante ( 17). Ma ancor più notevole tale aumento fu negli anni che precedettero immediatamente la seconda guerra d'indipendenza. Tutte le contribuzioni, anche i diritti di dogana, quelli relativi al sale ed alle polveri, ecc., furono allora sottoposte ad un aumento del ro~~ (18).

5· - Senza dubbio ad accrescere nel Piemon te com<: negh altri Stati italiani la spesa miìitare, c quindi la sua incidenza sul processo economico e finanziario, contribuì anche il fatto che l 'Italia - come rilevò un uomo politico di parte radicale, Napoleone Colajanni - nel periodo immediatamente precedente all'unificazione, come mancava delle infrastrutture economiche (strade, ferrovie, ponti, porti, telegrafi, ecc.) e civili e sociali (scuole, ospedali , organizzazione amministrativa, ecc.). così mancaYa di infrastrutture militari (fortezze, artiglierie, navi, soldati, ecc.) (19). E, naturalmente, tutte queste infrastrutture non operavano a se stanti, l'una specie distinta dall'altra. A parità di dotazioni militari, la capacità di difesa era senza dubbio maggiore in quegli Stati che possedevano migliori infrastrutture civili. E non è un caso che lo Stato italiano militarmente più forte fosse proprio quello di Sardegna, dove, a fianco di una decisa politica di rafforzamento militare, soprattutto dopo l'esito sfortunato della prima guerra d'indipendenza, si era manifestato, si è detto, un attivo e cospicuo intervento nel settore delle opere pubbliche, specie in quello delle vie di comunicazione. Sta di fatto che, nel decennio precedente l'unificazione, lo Stato (17) P. ~ORSA- M. DA Pozzo, lmposu e tasse in Piemonte durante il periodo cavourriano, Museo Nazionale del RisorgimentO, Torino, •96r, p. 67(18) Ibidem, pp. 65 - 66. (19) N. CotAJANKI, Il progresso economico, Bontempelli editore, Roma, 1913, p. 58.


___ l NCWENZI\ DE !.LE SPESE MILITARI" Sl:Ll.O SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO

4 7]

sabaudo fu quello che costruì il maggior numero di strade, di canali, di ferrovie (20). Se l'organizzazione della difesa risulta rafforzata in rapporto al grado di sviluppo delle infrastrutture del Paese, bisogna anche aggiungere che non raramente le infrastrutture venivano decise in rapporto appunto alle esigenze della difesa. Si consideri, per esempio, la cura che il Governo del Regno sabaudo pose nel deliberare il tracciaro delle linee ferroviarie da costruire. Come giustamente osserva il Guderzo, con l'opposizione al progetto << che rischiava di legare troppo strettamente Genova alla Lombardia, isolandola dal Piemonte, ed escludendo quest'ultimo dai benefici delle nuove comunicazioni l>, cos.ì come con la decisione di subordinare la diramazione verso il confine lombardo a.lla costruzione delle linee per Torino e per il lago Maggiore, << non si sarebbero potuti esprimere più chiaramente i motivi che stavano alla base della tradizionale politica piemontese delle grandi vie di transito internazionale >> (21 ). E certamente furono motivi militari quelli che consigliarono allo Stato borbonico non solo di deliberare, ma anche di riservare a sé, la costruzione, nel 1840, di una linea da Napoli a Caserta; e di prolungare questa linea, nel 1842, fino a Capua e, nel 1845, fino ai confini degli Stati pontifici, anche se poi il completamento di questa linea si ebbe solo dopo la costituzione del Regno d'Italia (22). Ma le necessità della difesa influirono anche sullo sviluppo industriale dei singoli Stati pre- unitari, e specialmente di due fra essi, il Regno Sardo e il Regno delle Due Sicilie. Si prenda, per esempio, il Regno Sardo. E' stato già scritto che l'opposizione ai privilegi richiesti dalla Ditta Balleydier per stabilire a Sampierdarena una fonderia si poté vincere perché fu sottolineato che ne1l'altoforno progettato si sarebbero potuti fondere cannoni di ferro di ogni specie (23), e perché fu detto che i bisogni del R. Corpo di Artiglieria avrebbero avuto la precedenza assoluta (24). Questo avve-

(20) Su questo problema cfr. G. G u DERZO, Vie e mezzi di comunicazione m Piemonte dal 1831 al 1861, Museo Nazionale del Risorgimento, Torino, r9()r. (2r) Ibidem , p. 66. Sui motivi politici e militari esistenti alla base delle scelte dei tracciati ferroviari cfr. anche M. B ERRUTI, La politica finam:iaria del Re Carlo Alberto nell'anno 1848, Cedarn, Padova, 1958, p. 120 e sgg.; M. ABRATE, L'industria sidere1rgica e meccanica in Piemonte dal I8JI al 1861, Museo Nnionale del Risorgimento, Torino, r9()r, p. r8x e sgg.

(22) A. CRisPO, Le ferro-v ie italiane. Storia politica ed economica, Giuffrè, Milano, 1940, pp. 23 - 24. (23) M. ABRA'tE, L'indu,·tria .(iderurgica ecc., p. II3· (24) Ibidem, p. 124.


478

L'ESERCITO ITALIANO OAtL'UKITÀ ALLA GRANDE CUERRA (r86r · 1918)

niva nel 1840: venti anni dopo lo Stabilimento Balleydier di Genova- Sampierdarena era uno dei maggiori del litorale ligure. Analogo peso le esigenze della difesa, in particolare della Marina, esercitarono, nel 1846, sulle origini e sullo sviluppo dell'Ansaldo di Genova (25), l'officina meccanica sorta sotto il nome di TaylorPrandi (26), e presto ùestinata a diventare la più importante industria meccanica non solo del Genovesato, ma di tutto il Regno di Sardegna (27). Questi sono i due esempi più significativi riguardanti il Regno di Sardegna. Ma esempi non meno significativi possono riferirsi relativamente al Regno delle Due Sicilie. Ho già scritto altrove che l'industria metalmeccanica del Mezzogiorno venne in parte stimolata dall'esigenza per le forze armate - la Marina soprattutto di disporre in patria di un'attrezzatura industriale adeguata almeno per i lavori più urgenti (28). E certamente legate alle esigenze della difesa erano sia le fabbriche d'armi, d'impianto e gestione statale, come la Manifattura della Rea! Montatura d'Armi di Torre Annunziata, che produceva armi bianche d'acciaio, e la Rea! Fabbrica d'Armi di Torre Annunziata, dove si producevano pistole, fucili. sciabole; sia lo Stabilimento o ferriera della Mongiana, dedito in prevalenza alla preparazione del ferro per k Reali Fabbriche d 'Armi; sia soprattutto la nascita e lo sviluppo dell'Officina di Pietrarsa: uno stabilimento che, al momento dell'unificazione, divideva con l'Ansaldo di Genova il primato del settore in Italia (29). Questa influenza delle esigenze della difesa sullo sviluppo dell'industria metalmeccanica si allarga ancora quando si considerano i cantieri e gli arsenali marittimi. Basti pensare ai due arsenalicantieri del Napoletano - a apoli e a Castellammare - , ai due del Genovese - a Genova e alla Foce -, a quelli di Livorno e di Ancona (3o) per rendersi conto come, dato l'arretrato sviluppo industriale italiano, ancora indugiante in gran parte su tecnologie artigianali, e la pres~oché inesistente meccanizzazione dell'agricoltura, le esigenze della difesa, di terra e di mare, rappresentassero, alla vigilia dell'unificazione, un volano per lo sviluppo industriale ita(25) Cfr. E. GAzzo. l cento anni dell'Ansa/do, Genova, 1953• n. fry. (26) M. ABRAn;, op. cit .• p. 190 e sgg.; L. BuLFhRETTI. Fortunato Prandi esule del 1821 e imprenditore, in •< Rassegna economica '' (Banco di Napoli). t~, p. 731 e sgg.

(27) M. ABRATE, op. cit., p. 197. (28) L. DE RosA, lniziotÌtJO e capitale straniero nell'mdusrria metalmec· conico del Mezzogiorno ( 1840- 1904), Giannini, Napoli, t$)68, p. 8. (29) Ibidem, p. 63. (3o) Ibidem, pp. 66 • 67.

! }


INCIDEKZ.~

DELLE SPESE ~llLITARl SULLO SVtLUPPO ECOKOMICO ITALIANO

4 79

liano. E va aggiunto, e lo dico qui, per non ripetenni in seguito, che tanto le fabbriche d 'armi quanto i cantieri e gli arsenali marittimi, quanto, più tardi, le apparecchiature aeronautiche, di volo e di terra, recarono un altro prezioso contributo al progresso economico, sollecitando la preparazione di maestranze e tecnici specializzati, molti dei quali poterono poi trovare sistemazione nelle industrie e nelle attività civili. Ma in tale campo questo non fu il solo contributo dell'organizzazione militare allo sviluppo economico del Paese. Le forze armate, specie la Marina, e più tardi l' Aviazione, ebbero proprìe scuole che non mancarono di fornire anche all'attività civile maestranze spesso altamente specializzate e temprate alla disciplina e alla operosità.

6. - I primi anni di vita del Regno, com'è noto, e come sì è già accennato, non ridussero le necessità militari. Il problema della frontiera con l'Austria era sempre vivo, e viva e pressante era la questione della liberazione di Venezia (3r). Importante, per le implicazioni internazionali, soprattutto nei confronti della Francia, era anche la difesa di Roma dalla pressione dei Garibaldini che intendevano sottrarla al Pontefice e restituirla all'Italia. E spese militari non trascurabili richiedeva anche la lotta al brigantaggio che sì era diffuso largamente nelle regioni montuose del Mezzogiorno. C'è di più. Data la lunga estensione costiera che il nuovo Regno presentava, bisognava potenziare la flotta di guerra con nuovo più veloce e possente naviglio, e rafforzare le difese costiere. Conseguenza di tutte queste esigenze fu il cospicuo aumento delle spese militari, e nonostante tra il r864 e i primi del 1866, per la crisi economica in atto, fosse necessario adottare alcune economie (32), dal marzo 1866 in poi la preparazione per la imminente campagna contro l'Austria riprese slancio e vigore. Per avere un'idea dell'incidenza delle spese militari sulla finanza dello Stato, ho tratteggiato i seguenti prospetti, utilizzando i dati pubblicati, a suo tempo, dalla Ragioneria generale dello Stato (33). Risulta come si vede da

(31) F. BAVA BECCARIS (Esercito italiano, sue orzgtnz, suo successivo ampliamento, stato attuale, in Cinquanta an11i di st.oria italiana, a cura dell' Accademia dei Lincei, Hoepli, Milano, 1911, vol. I, p. 37) scrisse che «tra il r86o e il r866 fu supremo scopo del governo e del popolo italiano prepararsi alla guerra, sia di difesa sia di offesa, contro l'Austria, quando la buona occasione si presentasse». (32) Ibidem , p. 38. (33) Cfr. M rNTSTERo DEL TESORO • RAGIONERIA GENF.Rt\LE DELLO STATO, !l


48 0

I..ESf.RCITO ITALIANO !)ALL'UNITÀ ALLA GR.\NTIE GUElUL\

(1861 · 1918)

queste tabelle, che, tra il 1862 e il r866, le spese militari ordinarie e straordinarie - per la guerra, per la marina, per la guardia nazionale assorbirono oltre il 30°, dell'intero volume di spese statali (3 4) c, in media, oltre il so"c dell'intero volume di tutte le entrate dello Stato (35). Certo ci furono anni in cui queste percentuali furono anche maggiori. Per esempio, nd triennio r862- 1864, probabilmente per il concorso delle spese sostenute per reprimere il brigantaggio meridionale; ma soprattutto nel 1866 certamente a motivo della guerra con l'Austria, quando le spese militari assorbirono il 43 % della spesa pubblica effettiva, ordinaria e straordinaria, e ben il 93 ~~ della entrata effettiva ordinaria e straordinaria. Questi sono dati di per se stessi eloquenti, e suggeriscono da soli quale pressione i problemi della difesa esercitarono sul meccanismo del risparmio nazionale, e come essi costituissero una delle maggiori spinte all'aumento del fiscalismo, alla moltiplicazione del debito pubblico e al turbamento dell'intero sistema finanziario e monetario del Paese. Perché. è ben noto, che quelli tra il 186-2 e il r866 rappresentarono anni appunto in cui furono considerevolmente aumentate le entrate effettive dello Stato, sia ordinarie che straordinarie (36): imposte dirette, tasse sugli affari, tasse sul consumo, gettito delle privative (37), tutto fu aumentato, e non tutto seguendo un criterio giusto e razionale. Aumentò così il gettito dell'imposta fondiaria, ma soprattutto crebbe, anche perché fu estesa a regioni, come il Mezzogiorno d'Italia, che fino all'Unità ne erano esenti, l'imposta di R.M. (38). Per accrescere queste entrate si vendettero inoltre beni demaniali i quali inclusero anche tronchi ferroviari costruiti dagli ex - Stati sia nel Nord che nel Centro e nel Sud. Ancor più cospicuo fu il ritmo d'incremento del debito pubblico. Tra il 1862 - quando pure il debito pubblico del nuovo Stato unitario, eredità degli antichi Stati, era enorme, tanto che il suo ammortamento. di capitali e d'interessi, assorbiva circa il 30 ~~ dell'intera spesa effettiva ordinaria dello Stato e quasi la metà dell'entrata ordinaria effettiva - e il r866, il totale del debito pubblico aumentò dell'Bo%, con il conseguente incremento del peso delle

bilancio italiano nel primo cinquantennio dell'ulllficazionc del Regno, Bertero, Roma, 191 1. (34) Vedi prospetto in appendice 2. (35) Vedi prospetto in appendice 3· (36) Vedi prospetto in appendice 4· (37) Cfr. MINISTERO DEL TtsoRo, Il bilancio ecc., cit., pp. 74 · 75· (38) lbiùm, pp. 32- 33·


1'\CIOE:-;zA DELL!-. SPESE !\ULITARI St LLO SVILUPl'O ECO~OMICO lT\LI .\:-10

481

quote di ammortamento. Va detto, d'inciso, che questo pauroso aumento non fu tutto dovuto all'incremento delle spese militari, ma ~ certo che queste esercitarono una parte noteYolc in tale aumento. E, finalmente, furono i problemi del grave disavanzo del bilancio, che né .l'aumento del fiscalismo né l'aumento del debito pubblico riuscirono a colmare, a contribuire, in una con la guerra con l'Austria e con le gravi spese c i seri pericoli che essa comportò, a determinare la svolta nel modello di sviluppo dell'Italia unitaria, sostituendo alla politica di progresso senza inflazione che il Paese fin allora si era sforzato di seguire quella di una crescita con inflazione. In verità, come fu riconosciuto anche dai più accaniti avversari della proclamazione del corso forzoso, come, per esempio, l"ec~r nomista liberale Francesco Ferrara, a precipitare la circolazione m~r netaria italiana verso il corso forzoso, e quindi verso l'inflazione, fu appunto Ja guerra con l'Austria. Sono, infatti, fin troppo note le parole di Antonio Scialoia, con le quali egli spiegò come si fosse dovuto rassegnare, lui contrario, suo malgrado, a quella proclamazione nel timore che la guerra imminente rendesse ancor più precaria la condizione di crisi commerciale c finanziaria in cui era allora l'Italia. Questa preoccupazione risultò anche più fondata se si considera il costo della guerra del 1866, valutato in 357 milioni di lire, oltre gli stanziamenti di bilancio (39), e l'incidenza che essa ebbe sul debito nazionale, che si accrebbe di altri 40 milioni di rendita annua. Si è considerato finora l'aspetto negativo della organizzazione della difesa. Si sono viste le spe~e militari come capitali sottratti sia al meccanismo di accumulazione che all'investimento privato. Questa presentazione è però incompleta, in quanto considera solo uno degli aspetti della questione. La spesa per la difesa militare esercitò in realtà anche uno stimolo non infecondo di risultati positivi ai fini dello sviluppo economico del Paese. E certamente il primo e più importante di questi risultati fu la raggiunta unità nazionale, che, in termini economici, significò soprattutto la realizzazione del tanto invocato « comune mercato))' inteso come possibilità di creare un più ampio territorio di produzione, di scambi commerciali, di consumi, e quindi di più intensa occupazione, di incentivi al progresso tecnologico, di maggiori redditi e salari e di più intensa forma-

(39) Cfr. E.

CoRBINO.

Annali clc-ll'economia iwliana, Città di Castello,

1931, vol. I, p. 242; c anche BAVA BECCARIS (che discorre di 330 milioni), op. cit., p. 85. 31.


zione di capitali, ecc. (4o): premessa prima di un più cospicuo e rapido sviluppo economico. fn questi anni di intensi preparativi militari bisogna distinguere una spesa ordinaria ed una straordinaria. Quella ordinaria era assorbita in generale dall'amministrazione del personale e del materiale, dallo Stato Maggiore, dall'Esercito, dai Carabinieri, dagli Istituti militari, dal personale esterno dell'amministrazione della guerra. dal servizio sanitario, dal vettovagliamento e dai foraggi. Questo per quanto riguardava il Ministero della Guerra. Per quanto concerneva quello della Marina, l'erogazione era più complessa. Oltre l'amministrazione centrale del personale e del materiale, il Ministero della Marina doveva, con la spesa ordinaria, provvedere ad un notevole numero di sen ·izi, che andavano dagli armamenti navali (navi in armamento e in disponibilità), alla Marina militare (Stato Maggiore, Corpo del Genio navale, Commissariato generale della re::gia marina, Corpo sanitario militare marittimo, Corpo reale equipaggi, Corpo reale fanteria marina. vettovagliamento, ecc.), al servizio del materiale (legnami, canape, cavi, materie grasse e resinose, macchine, metalli. artiglierie, carbon fossile, mercedi agli operai, riproduzione del naviglio, ecc.); ai servizi diversi (scuole di marina, servizio scientifico, spese di giustizia, ecc.); alla marina mercantile (corpo della capitaneria dì porto, ecc.). Le cospicue somme destinate ordinariamente alle esigenze della difesa di terra e di mare alimentavano, dunque, una serie di attività, non tutte fini a se stesse; alcune, come il corpo delle capitanerie, anzi, di notevole rilevanza cìvi.le. Ma tutte mettevano in mo~o certamente una serie di attività indirette e collaterali. Del resto, notevole era anche l'attività suscitata dalla spesa straordinaria militare (41). Le somme al.l'uopo stanziate furono -in minima parte assorbite dal pagamento del soldo ai militari, che pure trassero, specie quelli delle regioni meridionali e interne del Paese, preziosi stimo.li di esperienza e di apertura dal periodo di servizio militare . . Tella gran parte queste somme furono destinate all'acquisto di vestiario, di scarpe, di cavalli, di artiglierie, alla costruzione di caserme, di fortificazioni, ecc. Le leggi di finanziamento che si susseguono in questi anni riguardarono soprattutto l'approntamento di materiali da guerra. Nel 1861, per esempio, fu autorizzata una spesa per il completamento del polverificio di Fossano (42); nel 1862 (40) Cfr. E. SER.ENI, Capitalismo e mercato nazionale, Editori Riuniti, Roma, 1ç)66. spec:c da p. 53 e sgg. (41) Cfr. i bilanci del Ministero della Guerra c della Marina e loro allegati. (42) Cfr. legge 30 giugno 1861, n. 194.

l :'


1!'-:CJDE.NZA DELLE Sl'ESE MiliTARI SL:LLO SVILUPJ>O ECONOMICO IT.'\ LIANO

48 3

si stabilì di provvedere, in via straordinaria, alla costruzione di magazzini a ricovero del materiale di guerra (43); nello stesso r862, sempre in via straordinaria, si decise di destinare notevoli somme al servizio di artiglieria (44); cospicue somme furono erogate, tra il r863 e il r864, per provvista di effetti di casermaggio (45) e per restauri, ampliamenti e fitti di locali ad uso militare (46); sempre nello stesso 1863, cd ancora in via straordinaria. somme ancor più cospicue furono assegnate alla costruzione di materiale di artiglieria (47), materiale del Genio per piazze forti ('18); materiali per ospedali ed effetti di casermaggio per il corpo fanteria rea! marina (49); nuove caserme in Piacenza, Bologna, Ancona ed osp<.:dale militare a Piacenza (5o); di materiale di armamento dell'esercito (5r), di grossa artiglieria (52). Né l'elenco termina qui. Nel 186s, per esempio, si acquistò un 'officina per costruzione di canne da fucile nel Comune di Gardone (53); si costruì a Livorno un fabbricato ad uso militare (54); si acquistò nuovo materiale di artiglieria (55); e poi materiale di dotazione di ospedali militari (56); ecc. Queste ed altre erano tutte spese straordinarie, che riguardavano esclusivamente il Ministero della Guerra, cioè l'Eserciw. Somme non meno importanti, in aggiunta a quelle comprese nel relativo bilancio minìstcrialc, furono poi stanziate, in via straordinaria, per la Marina da guerra. Tra queste spese straordinarie si deve includere la costruzione di un arsenale marittimo tra la città di La Spezia e l'abitato di San Vito (57); l'impianto di un nuovo cantiere militare nel porto di Livorno (58); l'impianto di off1cine negli stabilimenti marittimi (59); la costruzione di una barca- porta (43) Cfr. legge 15 maggio r862, n. 6~1. (44) Cfr. legge IS maggio 1862, n. 610. (45) Cfr. legge 24 aprile r863. n. 1236. (46) Cfr. legge 24 aprile 1863, n. 1235. (47) Legge 24 aprile 1863, n. 1237. (48) Legge 12 luglio 1863, n. q48. (49) Legge 30 luglio 1 64, n. I8jo. (5o) Legge 25 luglio 1864, n. 18;o. (51) Legge 26 giugno 1864, n. 1814. (52) Legge 25 luglio 1864, n. r!!sr. (53) Legge 8 maggio 1865, n. 2272. (54) Legge 7 maggio 186), n. 2270. (55) Legge 7 maggio 186;, n. 2269: e n maggio 186;, n. 2278. (56) Legge 1 r maggio r865, n. 2277. (57) Cfr. la legge 28 luglio 186r, n. 136. (58) Cfr. la legge 18 dicembre 1862, n. ro;6. (59) Cfr. la legge 18 dicembre 1864, n. 2057·


di ferro per il bacino di raddobbo nell'arsenale militare marittimo di Napoli (6o); la costruzionè di cannoniere, batterie corazzate, zattere da sbarco e barche a vapore (6r); la costruzione di due fregate corazzate, dì due corvette ad eliche e di quattro cannoniere corazzate (62); ecc. Non tutte queste spese si tradussero in uno stimolo all'attività produttiva del Paese. A parte i casi in cui era esplicitamente detto che gli acquisti andavano fatti all'estero, come ad esempio per i grossi piroscafi onerari autorizzati dalla legge 1" maggio 1864 (n. 1768), vi furono moltissimi altri casi in cui per esigenze e considerazioni di vario genere il materiale occorrente alla difesa. Yuoi di terra vuoi di mare, veniva, sia pure in parte, ordinato in Paesi stranieri. Sappiamo per certo che questi primi anni di vita unitaria l'Italia importò per la sua difesa non solo cospicue quantità di carbone e di ferro di varia qualità, ma rilevanti quantità di materiali, macchine e parti meccaniche. Così, tra il r86o e il r864, importò 230.000 tra fucili da munizioni e pistole; e, negli anni r859r864, ben 500 cannoni di ghisa per uso della marina, allo scopo di armare navi e corvette, costruite nei nostri arsenali (63). Ma il grosso delle importazioni fu costituito dalle navi da guerra, oltre che mercantili. Tra il r86o e il r864, cioè in un periodo di cinque anni, furono acquistate all'estero due corvette o batterie (il Terribile e il Formidabile) di 2.8oo tono. e 4 corvette ed un ariete di 4.200 tono. : tutte con scafo di ferro; inoltre due fregate americane con scafo di legno, cui erano state applicate particolari corazze . Al tempo stesso, si dovette far ricorso aLl'estero anche per macchine navali, e solo queste macchine, in uno con le loro caldaie, destinate alla flotta corazzata e agli avvisi e trasporti militari, si erano tradotte in una spesa di oltre 3 milioni di lire del tempo. Nd complesso, le importazioni dall'estero per esigenze della difesa toccarono i 50 milioni di lire. Ma quel che più conta sottolineare è che, secondo l'opinione comune dei competenti e dei tecnici, le spese militari da effettuare all'estero (64) avrebbero dovuto essere in futuro ancora maggiori. Questa situazione non era soltanto deplorevole per gli effetti negativi che produceva c nella nostra bilancia dci pagamenti, già

in

(6o) Legge 30 giugno 1866, n. 3033. (61) Il pronedimento fu approvato il 16 dicembre 1864. (62) Legge 18 maggio 186s, n. 23o6. (63) Cfr. F. GIORDANO, l11dustria del ferro in lta!ltl, relazione per la Commissione delle ferriere istituita dal Ministero della Marina, Torino, 1864, p. 6. (64) Ibidem, pp. 6- 7·

·-~


J;:-..CIDDiZA DELLE. Sl'tSE MILJT \RI SULLO SVIL UPPO EçC)'IQMIC:O IT>\tl \ :-<0

485

precaria, e nel meccanismo produttivo del Paese. la cui ancor mal~ certa industria Yeniva privata così di uno stimolo importante. ma soprattutto per Ja stessa sicurezza dello Stato (65). Di questo erano consapevoli le autorità governative, e il segno di questa preoccupazione è ben evidente nella proposta, del luglio r86r, del ministro della Marina, Menabrea, per la costituzione di una Commissione delle ferriere, con l'incarico di suggerire provvedimenti, atti a sal~ vare rindustria siderurgica messa in crisi dall'estcmione a tutto il Paese della tariffa liberistica piemontese. Con queste misure il Paese doveva, in sostanza, mirare a H rendersi per quanto è possibile indipendente dalle ferriere estere, sopratnmo nella evenienza di guerra pei bisogni dei suoi arsenali di terra e di mare, delle vie ferrate e della costruzione delle navi per Je quali più che mai si fa [ceva] palese la convenienza di farle interamente di ferro>> (66). Tanto più erano urgenti questi provvedimenti, quando si aveva presente lo stato della nostra industria utilizzabile a fini militari. Basti dire che in tutta Italia al r861 non esistevano cantieri per le costruzioni in ferro, e che quasi tutte le navi in ferro venivano dai cantieri esteri, da quelli inglesi per lo più (67). Al di fuori di Pictrarsa non esistevano nemmeno fabbriche di rotaie. E solo a Pietrarsa e nell'Ansaldo di Sampierdarena si costruivano in gran numero locomotive e tenders. Ed erano questi due del resto i soli stabilimenti industriali che vantassero da 700 a 1.000 operai. Vi erano, poi, nel campo ferroviario, alcune grandi officine di riparazione o di fa~ bricazione di macchine e pezzi di vario genere a Torino, Genova, Milano. Nel complesso, gli addetti agli stabilimenti metalmeccanici privati si facevano ascendere ad oltre 7.000 e ad 8.500 includendovi quelli delle ferrovie governative (68). Ma se si considera che gli arsenali, di terra e di mare, e i cantieri militari marittimi, pur con i loro limiti tecnici ed organizzativi, assorbivano 6.650 operai, di cui 2.000 nell'arte fabbrile c meccanica, si può ben rilevare che i problemi della difesa rappresentassero uno dei più grandi stimoli industriali del Paese, e un'occasione importante per la preparazione tecnica delJe maestranze (69). Alla sopra citata Commissione delle ferr iere, dopo aver esaminato vari provvedimenti adottabili, parve pertanto che «il solo mezzo di aiuto e d'incoraggiamento che po [ tcva allora l suggerire al Governo [fosse] quello indiretto delle (6s) Ibidem, pp. Xi - XII. (66) Ibidem. (67) Ibidem, p. 1c 2. (68) Ibidem, p. 34i· (69) l bidem, pp. 73 - 74·


486

L'eSERCITO IT\LIAN() DALL, \,1\"ITÀ ALLA GR.\l'WE Gl'ERRA

(r86t - l',)J8)

- -- -

commesse di lavoro » (7o). Negli anni 186o - 1866 sebbene non nella misura in cui sa!"ebbe stato auspicabile, in quanto molte andarono all'estero, queste commesse ci furono - il solo Ministero della Marina concesse lavori a parecchie officine industriali per circa 16 milioni di lire (71) - e rappresentarono un prezioso aiuto per la nostra industria metalmeccanica in crisi (72).

7· - Senza dubbio, gli anni che si chiusero con la terza guerra d'indipendenza e con la proclamazione del corso forzoso furono quelli in cui la pressione dei problemi della difesa raggiunse il punto culminante. Dopo di allora, a partire cioè dal r867. le spese militari cominciarono ad essere contenute. In parte perché il Governo impegnò tutte le sue energie nella cosiddetta l< battaglia del bilancio » per il raggiungimcnto del pareggio, in parte perché, soffocato finalmente il brigantaggio meridionale, trovato, dopo l'annessione del Veneto e di Venezia, un modus t'Ìt•endi con l'Austria. e, placata, dopo qualche anno, nel 1870, senza grandi spese, grazie alla guerra franco- prussiana, l'aspirazione di avere Roma a capitale d'Italia, le stesse esigenze della difesa erano diminuite. Occorre precisare però che a ridursi non furono tanto le spese effettive ordinarie, che subirono lievi flessioni. ma soprattutto quelle straordinarie (73), segno appunto che le circostan:r.e eccezionali che avevano accompagnato i primi anni di vita del Regno erano terminate. Nel complesso, tra il 1867 e il 1876, l'anno che segnò la fine del Governo della Destra storica, le spese militari passarono, come incidenza sulle spese effettive, ordinarie c straordinarie, dal.l'oltre 30% del periodo 1862- 67, ad una percenntale che andò oscillando tra il 1868 e il 1876. tra il 17,10" ~ e il 20,35 °~ (74). E, quanto all'incidenza sul volume delle entrate effettive, dall'oltre il 50 ~o che rappresentarono negli anni 1862- 66, esse andarono diminuendo a circa il 28 ° ~ nel 1868 e a circa il 25°; nel 1870. l'anno della presa di Roma, fino ad assestarsi tra il 19 e il 20"~ (75). (;o) Ibidem, p. 40<). (71) Cfr. Osst-rt'azioni e giustificazioni del Ministero della Marina sulla Relazione d'inchiesta sul materiale della R. Marina, Firenze, 1868, pp. XXVIII e sgg. (72) Cfr. L. DE RosA, Iniziativa e capitale straniero nell'industria metalmeccanica ecc., cit., p. 8r. (73) Vedi prospetto in appendice 5· (74) V cdi prospetto in appendice 6. (75) Vedi prospetto in appendice 7·

..·'


I"'CtnE.'IZA DELLE ST•ESE MILI TARI St:LU) SVILUI'PO ECONOMICO !TAL!.~NO

48 7

Questa diminuita incidenza delle spese militari sulle entrate e sulle spese in generale. se contribuì ad allentare la pressione sul bi lancio statale, costituendo un aspetto fondamentale di quella battaglia per il pareggio del bilancio cui accennavo, non incise notevolmente sullo sviluppo industriale del Paese . dal momento che, come si è visto, abbastanza modesto, tutto sommato. era stato il ricorso nel periodo precedente alrindustria italiana. Tuttavia jl venir meno progressivamente anche di quel sostegno, per modesto che fosse, acuì, già subito dopo la fine della 3' guerra d'indipendenza, il malcontento che già da tempo serpeggiava nella classe industri ale italiana interessata al settore. E se ne fece autorevole e vibrato portavoce nel J !:168 un deputato settentrionale, il Robecchi. Lo Stato italiano. accennò il Robccchi, <• ciò che non poteva fabbricare nelle proprie officine commetteva di preferenza all'estero», e mentre praticava << all'interno le aste pubbliche, gli appalti onerosi, le controllerie più rigorose, all'estero l commetteva ·1 ordinazioni per decine di milioni senza a ta, senza concorrenza, senza effimere controllcrie ». E sottolineava come si fosse verificato addirittura il caso che taluni industriali italiani « onde non perire rileva [ssero l contratti fatti dal Governo con negozianti esteri, dando ad essi un premio » (]6). Naturalmente lo Stato, e specie il Ministero della Marina, che più di quello della Guerra era costretto a far ricorso ai costruttori stranieri, si difendeva affermando, in primo luogo. che le mag2:iori ordinazioni all'estero avevano avuto luogo nei primi anni dopo l'Unità, quando il Governo non aveva altra scelta, perché, come si è accennato, prima del 1865 non esisteva in Italia alcuno stabilimento (77) atto alla costruzione di scafi di ferro, e solo in quell'anno cominciò a sorgere lo stabilimento Orlando a Livorno. Di conseguenza, nessun danno era venuto da queste ordinazioni all'industria nazionale. In seguito, dopo il 1866, la Marina militare aveva fatto minore ricorso alrestero. attrezzandosi per costruire sia scafi in legno che scafi in ferro, a ciò costretta in parte perché l'industria privata non si era adeguata a questo scopo, ma anche perché tutte le marine militari - persino quella inglese, che pure vantava una potente industria navale privata - possedevano propri arsenali in cui costruivano anche le navi più grandi, e questo perché le riparazioni, l'allestimento e la costruzione si facevano meglio negli (/ 6) G. R osECCHt, L'industria del fe"o in Italia e l'Officina Gliscnti a Carcina, Politecnico, Milano, 1868, p. 86. (n) Cfr. Inchiesta parlamenttm: sulla Marina me~·cantife ( 1881 - 1882), Tip. Eredi B()tta, Rom a, 1883, vol. l. p. 442·


488

l'!:.SI:RCI1'0 ITALIANO lMLL'UNITÀ ALLA CRANDE <:Uf.RRI\

(J86r -1918)

- --

stabilimenti del Governo. per la maggior libertà che l'amministrazione militare aveva di effettuare modifìcazioni ed aggiunte durante il corso della co~truzione. Sta di fatto che negli stabilimenti statali furono costruite, tra il 187o e il 1876, numero:.e navi , sia di prima che di seconda e di terza classe, oltre che alcune navi sussidiarie o locali, occupandovi intorno a 6-7.000 tra operai e garzoni (78). Sennonché, se le costruzioni e le riparazioni e gli allestimenti di navi fossero state esclusivamente riservate agli arsenali e cantieri militari, esse avrebbero pur rappresentato un'occasione di progresso, sotto il profilo tecnico, della preparazione professionale e dell'occupazione, per il sistema industriale, e quindi per lo sviluppo economico del Paese. Al contrario, il Governo non poté evitare di fare ricorso all'estero e, quantunque non mancò di accordare ordinazioni all'industria privata nazionale - e si decise fìnanco ad assegnarle, tra il 1870 e il 1873, la costruzione di due scafi in ferro leggeri, uno all'Ansa 1do di Genova e l'altro al cantiere Orlando di Livorno (79), e nel 1876, a quest'ultimo, anche la costruzione di una grossa nave quale la Lepanto (8o) - gli ordinativi più cospicui andarono all'industria straniera, specie a quella inglese (81). Di questo maggiore ricorso all'industria straniera erano ovviamente consapevoli gli industriali italiani. I quali, dopo la presa di posizione del Robecchi, non cessarono di protestare, e l'occasione in cui questi lamenti s'intensificarono fu offerta dall'Inchiesta industriai~ cominciata nel 1870 c destinata a veder la luce nel 1874· Molti dei proprietari e direttori degli stabilimenti intervistati dichiararono di aspettarsi dal Governo, specie dal Ministero della Marina. stimoli e ordinazioni, criticando ancora una volta vivacemente la condotta del Governo, che mentre assegnava senza molte .>

(78) E cioè: 1870 1871 r872

J8i3

7.009

6.034 6.og8

6.2)5 18/4 6.423 1875 7.!88 1876 Cfr. Ibidem, p. 482. (79) lbidem, pp. 452 - 454· (So) Ibidem, p. 456. (81) Per le somme spese dalla Marina Militare in ordinazioni varie presso l'industria privata vedi prospetto in appendice 8. (Ibidem, pp. 451 - 459); (Ibidem, pp. 467 - 477).

(! ·l

~: .,,

.~


r JNCmENZ\ DELLE'. SPESE \Ul.IT"Rl StiLLO SVILUPPO EGO:"'O~!tC.O !T.\LIA!\0

489

garanzie ai costruttori stranieri commesse anche cospicue, era pieno di esitazioni e rigori per quelle assegnate agli stabilimenti nazionali. " Dagli Stabilimenti nazionali - si diceva - essi esigevano cauzioni gravissime. si fissar va l brevissimo tempo, s'impone rvano] penalità e multe severissime, si formul [ av l ano capitolati di dubbia interpretazione, si fa l ceva l soffrire ritardo dannosissimo nella restituzione delle cauzioni date, facili differimenù nei pagamenti per ragioni lievissime )) (82). Si esprimeva, insomma, l'opportunità di una radicale riforma della sostanza dei capitolati d'appalto e di una agevolazione nei pagamt:nti. Si chiedeva che si estendesse anche al Ministero della Guerra la norma già adottata da quello della Marina, secondo la quale gli aspiranti ad una commessa statale dovevano provare di possedere nello Stato un opificio atto alla costruzione del macchinismo oggetto della commessa (83). Si domandava ancora che in tema di commesse governaùve fossero offerti agli opifici nazionali i vantaggi che si offrivano a quelli esteri: questi, infatti, venivano pagati in anticipo ed in oro.

8. - Nel ,·entennio che si inaugurò con la caduta della Destra storica e con l'ascesa al potere, nel 1876, della Sinistra era destinata ad accrescersi relativamente, come verremo via via illustrando, l'incidenza delle spese militari sullo sviluppo economico del Paese. In questo ventennio si debbono distinguere almeno due periodi. 11 primo copre l'ultima fase sfavorevole del ciclo economico che si concluse nel r879 c i primi anni, a congiuntura favorevole, del nuovo ciclo economico fino al 1882. Questo primo periodo va, insomma, dalla caduta della Destra fino all'abolizione del corso forzoso. e segna, in sostanza, sotto il profilo dello sforzo militare che il Paese dovette sostenere, la continuazione deJla politica precedente. Le spese militari assorbono intorno al 19 - 21 " del totale delle spese effettive, ordinarie e straordinarie (84.), e tra il 19 c il 21 % del totale delle entrate effettive ordinarie e straordinarie. Diversa è. la situazione nel periodo successivo. Tra il 1883 e il 1889 vi è un cospicuo aumento delle spese militari, aumento che subisce un arresto dopo il 1889, quando su di esse incide la graYe crisi economica che tra\'agliò il Paese a partire dal 1888, e che si intensificò negli anni successivi. In effetti, rispetto alle entrate, du(82) Cfr. Atti del Conwato d'inchiesta industriale. Deposizioni scritte, Roma, r873, vol. Ill, p. 61. (83) ibidem . pp. 57, 6o. (84) Cfr. la nota 74·


t rante questo periodo le spese militari vennero ad assorbire gradualmente il 23 '?" circa tra il 1883 e il 1886, il 2) 0 o nel 1886, il 28°~ nel 1887, circa il 38G" nel 1889, il 28" ~ nel r89o. il 25°~ nel 1891. per scendere al 20°o nel 1894, c al 23°" nel 1896 (85). Questo processo non è però altrettanto evidente se si considcra l'incidenza delle spese militari sulle spese in generale, in quanto vi fu un contemporaneo notevole incremento delle spese anche per le opere pubbliche. Questa incidenza appare comunque superiore a quella del periodo precedente, giungendo, nel 1887 e nel 1888, a toccare rispettivamente il 28 e il 33 o~ e nel 1889 e 1895 a toccare, rispettivamente, il 26 e il 25°. del totale delle spese effettive ordinarie c straordinarie (86). L'aumento delle spese militari che si registra in questo periodo - in genere imputato al mutamento di politica estera intervenuto nel Paese dopo l'intervento francese in Tunisia, all'adesione al Trattato della Triplice e all'intensificarsi dell'espansione in Africa (87) è generalmente ritenuto corresponsabile del ritorno del disavanzo nel bilancio statale, di un ritorno dell'inflazione, c quindi della ricomparsa dell'aggio dell'oro e della graduale ripresa di un corso forzo o di fatto, in ultimo quasi imposto per sentenza di tribunale (88). Questo aumento delle spese militari costituì, dunque, una causa di turbamento del meccanismo finanziario e monetario del Paese. Ma, dall'altro lato, rappresentò anche un'iniezione di domanda nel mercato, e quindi uno stimolo produttivo non trascurabile. Non tutto l'aumento deUe spese militari fu destinato ali' acquisto di materiali. Una parte si tradusse in un aumento dei quadri e del numero di soldati in armi . Il fatto fu già sottolinea~o dal Bava Bc.:ccaris per gli anni posteriori al 1882 (89). Il Bava Beccaris spiegò che l'esercito che uscì dalle riforme del 1882- 1884 era numericamente forte, \' ma con una proporzione relativamente scarsa di cavalleria e d'artiglieria » (9o). Questo, ovviamente, non significò che l'aumento della forza armata non aveva comportato un aumento nel numero, nella qualità e potenza delle armi, ma che questo

(85) Cfr. la nota 75· (86) Cfr. la nota 74· (87) Cfr. B Av\ BECCARtS, op. cit. (88) L. DE RosA, !l Hanco di Napoli e la crisi economicr1 del 1888- 1894, in << Rassegna economica » (Banco di 1apoli), 19()3- 19(}5. (89) Cfr. F . B.wA B r:ccARIS, op. cir . (90) Ibidem , p. 67 e sgg.


I KCIDE:-:ZA I>ELLE SPI.S l MILITARI SULLO SVII..l' PPO ECO'O\!I CO IT.\llA:-.10

49 I

aumento non era stato proporzionato all'incremento del numero dci reggimenti e dei corpi d'armata. In effetti, come riconosce lo stesso Bava Beccaris, nel periodo 1876- 188o si prov,·ide •< a continuare la fabbricazione del .nuovo fucile modello 1870, alla costruzione di una fabbrica d'armi a Terni, all'asst;tto difensivo della città di Spezia, dello stretto di Messina e della frontiera alpina, alla fabbricazione di cannoni campali e di gran potenza, all'ampliamento della fonderia di Torino, alla provvista di oggetti di mobilitazione e ai la\'Ori per la carta topografica generale d'Italia )) (91). Ma ancor di più fu fatto dopo il 1882, quando si mise mano alla fabbricazione di armi portatili, alle fortificazioni a difesa delle coste. alla creazione di sbarramenti , alla costruzione del campo trincerato di Roma e di molti fabbricati militari, fra cui quello del Ministero della Guerra. Inoltre, si trasformò il fucile modello 1870 a ripetizione e si iniziò la confezione della balistite, impiantando il polverificio di Fontana Liri. Ma un nuovo impulso alle costruzioni militari venne con i provvedimenti approvati nel 1887, che stabilivano un aumento delle armi a cavallo e dei pezzi per ogni corpo d'armata (92); ed, inoltre, 82 milioni furono assegnati al Ministero della Guerra per la costruzione di ferrovie strategiche (93). Quanto si è detto riguarda il Ministero della Guerra. Il quale per le costruzioni dei materiali ad esso occorrenti disponeva di una serie di suoi stabilimenti, approntati lungo gli anni considerati, in parte nati dall'ampliamento e dal miglioramento di quelli esistenti, in parte creati ex not1o. In effetti, trascurando le officine delle varie Direzioni territoriali di artiglieria numerosi erano gli stabilimenti amministrati e diretti da personale del Ministero della Guerra. Vi erano, innanzi tutto. due arsenali di costruzione: uno a Torino ed un altro a Napoli. Quello di Torino, che disponeva di motori a vapore e idraulici c di un forno a riverbero, e di una fonderia per la produzione dei masselli in ferro, dava lavoro a 447 operai, fabbricando affusti, sott'affusti, carreggi, giberne, cinturini, bandoliere, ecc. Quello di Napoli, su una superficie di 13.000 mq., con 6o fucine, un forno alla Cortese, 3 magli a vapore di due tonnellate complessivamente, 2 generatori a vapore di 30 HP cadauno, 72 macchine per la lavorazione dei metalli, una macchina a vapore fissa, della potenza di 6o cavalli, ecc., dava lavoro a 218 operai, costruendo affusti per artiglierie c carri in genere per uso delresercito.

(91) lbidem, p. 86. (92) Ibidem, p. 67 e sgg. (93) Ibidem, p. 87.


492

L.tSERCI1"0 ITALIANO D..\LL'liN !T.~ ALLA G R.\NnE GUlRRA

(1861 • 11}!8)

Quattro erano le fabbriche d'armi di cui disponeva il Ministero della Guerra, ed erano situate a Brescia. a Terni. a Torino c a Torre Annunziata. Quella di Brescia aveva registrato un notevole progresso dopo il r889, quando vi si fece l'impianto della luce elettrica. Occupando 329 operai, e con varie macchine a vapore c a turbine, produceva ogni giorno, oltre a lavori secondari, roo fucili. Quella di Terni. con una forza di r .ooo HP, 6 (orni, di cui 2 a rÌ\'erbero. 2 a crogiuolo e 2 girevoli, 15 magli, ecc. e 568 operai. suscettibili di aumento, produceva oltn: 200 fucili al giorno, con sciabolebaionette, assortimenti ed accessori. Qudla di Torino, con 292 operai e vari motori a vapore e idraulici, fabbricava armi da fuoco, da taglio e da punta. Quella di Torre Annunziata, infine, con macchine a vapore e idrauliche c 325 operai, produceva giornalmente 250 fucili nuovi dotati di sciabola- baionetta e di tutti gli accessori, e riparava una notevole quantità d'armi sia da fuoco che bianche. Non meno importanti erano le tre officine di costruzioni di artiglierie operanti a Genova, a ~apoli, a Torino. Quella di Genova, su un'arca di 37.800 mq., 16.ooo dci quali .coperti da tettoia, articolata su vari reparti, dotata di macchine e di strumenti moderni e adeguati, con 272 operai occupati, produceva proiettili di ghisa, di ogni calibro c specie, carreggio da campagna, affusti e sott' affusti per cannoni da costa, coperte impermeabili c materiali diversi pel servizio di artiglieria. Quella di Napoli, con 240 operai e varie macchi ne e forni, fabbricava cannoni ed altri oggetti in bronzo, in ghisa, ecc. Quella di Torino, con 493 operai, e parecchie macchine a vapore e forni a riverbero, a cupola, ecc., fabbricava bocche da fuoco di diverso calibro coi rispettivi accessori e parti di ricambio. Inoltre. lo Stato possedeva a Roma, dove era stato trasportato da Torino, un importante laboratorio di precisione, in cui si fabbricavano alzi, quadranti, misuratori di ogni genere, telemetri, cannocchiali, nuove spolette, ecc. Possedeva poi due laboratori pirotecruci, uno a Bologna e un altro a Capua. Quello di Bologna, con varie macchine a vapore e vari strumenti, e con 322 operai, fabbricava cartucce di vari calibri, specie per fucili e pistole dell'esercito, scatole a mitraglia, spolctte, ecc. Quello di Capua, con 332 operai e varie macchine e forni, fabbricava cartucce per armi ed altre munizioni ed artifìzi da guerra. Erano anche di proprietà dello Stato due polverifici : uno a Fossano ed un altro a Fontana Liri . Quello di Fossano, con 8o operai circa e diversi motori e turbine, produceva nitro raffinato, carbone per polveri, polveri e casse per polveri. Quello di Fontana Liri,


INCIDENZA DELLE SPESE ~fii.TTI\Rl SUI.LO SVILt:J>PO ECOl\OMTCO ITALIANO

493

entrato in funzione nel r892, produceva polveri senza fumo, e aveva liberato lo Stato dalle forniture delle fabbriche private. Bisogna ancora ricordare: 1) l'Officina della Direzione territoriale di artiglieria a Piacenza, che, con 142 operai e parecchie macchine e utensili, fabbricava carreggi per il servizio delle varie armi dell'esercito; riparava affusti, bocche da fuoco, armi portatili; produceva proiettili di carta per tiri a salve con cannoni; 2) l'Officina di costruzione del Genio di Pavia, che, con 130 operai circa e varie macchine, costruiva, curandone anche la manutenzione, i parchi mobili del genio e le biciclette dell'esercito (94). Da gueste numerose e, almeno talune, complesse officine emerge abbastanza chiaramente la funzione di propulsione che il Ministero della Guerra era andato svolgendo. Esso aveva, innanzi tutto, come si disse, emancipato l'Italia « daLl'antica tributarietà verso l'industria estera l); aveva creato delle specializzazioni professionali e stimolato il progresso tecnologico; assicurato lavoro costante e remuneratìvo a numerose schiere di operai, vuoi ordinari che avventizi; aveva inoltre alimentato un complesso movimento di affari, di scambi e di trasporti, garantendo guadagni a numerose categorie di persone (95). Un discorso assai più complesso occorre fare sul ruolo svolto dalla Marina militare, non solo perché essa aveva maggiori occasioni e necessità dell 'esercito per fare ricorso all'industria privata; ma anche perché la produzione dei materiali occorrenti alla marina necessi tava, a differenza di guelli dell'esercito, di imponenti attrezzature industriali. Si comprende agevolmente, pertanto, come da un lato avrebbe dovuto essere notevole l'interesse della Marina militare, non potendo provvedervi direttamente, a veder sorgere grossi e progrediti complessi industri.ali, e come, dall 'altro, per ]a creazione di questi complessi industriali, fosse determinante l'azione di stimolo e di sostegno che la Marina militare avesse voluto esercitare. In effetti, il primo piano organico per un potenziamento del naviglio venne approvato dal Parlamento con la legge I " luglio 1877, n . 3960. Si assegnò una somma di 20 milioni in aggiunta al normale stanziamento di bilancio, per poter raggiungere l'organico di naviglio previsto. Per dare inizio al programma si erano già impostate, nel corso del 1876, due navi gemelle la Lepanto e l'Italia, rispettivamente assegnate al cantiere Orlando di Livorno e a quello di Castellammare. Nella costruzione di queste due corazzate fu per (94) Cfr.. E. TREVISANl, Rivista industriale e commerciale di Roma e dell'Umbria, Capriolo e Massimino, Milano, 1899, pp. 117- 123. (95) Ibidem, pp. u6- 117.


494

L.hSERCITO ITALIMW lMLL.U);ITÀ AlLA GJ\1\M)E Gt: F.RRA

---

·- --------

(1861 • 1918) .

--

la prima volta impiegato l'acciaio per gli scafi, innovazione che fu poi adottata per qualunque nave da guerra o mercantile. A queste due navi, seguì poi, oltre alcune minori. la costruzione della Lauria. del Morosini e del Doria, la prima a Castellammare, la seconda a Venezia, la terza a Spezia. Le prime due furono impostate nel r88 r e la terza nel 1882. In seguito si pose mano alla costruzione di altre n<l\'i dello stesso tipo, quali l'Etna, lo Stromboli e il Ve.Htvio, rispettivamente nel Regio cantiere di Castellammare, in quello di Venezia e nel cantiere Orlando di Livorno. Come si può vedere, la grande maggioranza di queste navi fu costruita nei cantieri ed arsenali dello Stato: scarso vantaggio derivò insomma all'industria privata. In effetti, lo Stato, ciò che non poté costruire nelle sue officine continuò a farlo costruire a preferenza nelle officine estere (96), e poiché anche le compagnie di navigazione mercantile facevano altrettanto era opinione abbastanza diffusa che fosse stato compromesso lo sviluppo di una industria cantieristica e meccanico- navale nazionale. Anzi proprio intorno al 1879 la crisi dell'industria cantieristica italiana apparve a tutti manifesta (97), al punto che fu sollecitata da varie ·parti un'inchiesta su Ila marina mercantile, che venne approvata dal Parlamento nel marzo 188r. L'inchiesta lunga e laboriosa venne completata e pubblicata nel 1883. Impossibile ovviamente riferire in questa sede, sia pure per sommi capi, tutto il contenuto dei 7 grossi volumi; mi limiterò a riferire che da parecchie parti fu chiesto che lo Stato affidasse all'industria privata nazionale la costruzione degli scafi in ferro delle navi da guerra, riservando ai propri arsenali le riparazioni e la costruzione di navi speciali; che si cedessero ai privati i cantieri statali, che si trovavano separati e staccati dagli arsenali militari; che il Ministero della Marina incoraggiasse c sviluppasse gli stabilimenti meccanici, affidando all'industria nazionale la costruzione di macchine a vapore marine; che si provvedesse alla costruzione di bacini di carenaggio nei principali porti del Regno; che l'Opificio di Pietrarsa (Napoli) fosse destinato alle industrie meccaniche navali (98), ecc. La pubblicazione de li 'inchiesta sulla Marina mercantile non rimase un fatto isolato. A darle forza contribuì anche l'iniziativa del Ministero della Marina, che, sin dal maggiO 18~3. aveva pro(g6) Per conferma vedi prospello in appendice 9· Cfr. lnchie;-ta parlammrare sulla .\.farina mercantile ( 1881 - 1882 ). cit., vol. l. p. 46o e sgg. (97) Cfr. L. DE RosA, Iniziativa e capitale straniero ecc., cit., pp. 122 - 123. (98) Ibidem , p. 124-


1:'/C:WEKZA DELLE ~PE~ E ~l! L ITARI SIJLLO Snl.-t:l'PO ECOI\ OMI CO IT\1.1\NO

495

posto al Re la nomina di una Commissione presieduta dall'on. Brin, con l'incarico di studiare attentamente le condizioni nelle quali versavano i principali opifici meccanici atti alla produzione di macchine marine, indicando quelli ai quali convenisse, (< nell'interesse generale dell'industria nazionale))' accordare speciale protezione governativa mediantt: l'assegnazione, secondo le rispettive attitudini. della costruzione di macchine marine di varia importanza, ecc. La Commissione doveva altresì studiare le condizioni dei cantieri per la costruzione di navi metalliche ai quali la Marina militare avrebbe potuto affidare la costruzione sia di scafi di grandi dimensioni che di na,·i inferiori. Come ho già particolareggiatamente riferito altrove, nel maggio 1883 la Commissione prontamente nominata dal Re chiese innanzi tutto di ampliare i suoi compiti fino a comprendere anche gli stabilimenti siderurgici strettamente legati a quelli meccanici e navali, e, tra il 1882 e il 1884, visitò praticamente tutti gli stabilimenti del settore del Paese. E' il caso di sottolineare come i lavori di questa Commissione e l'azione dell'on. Brio impressero una svolta importante alla politica economica e industriale fin allora seguita. Il Brin da tempo andava sottolineando che il Paese non aveva la possibilità di riservarsi il risultato delle costose esperienze che intraprendeva in materia militare. Così era accaduto, per esempio, con le esperienze fatte nel 1876 col più potente cannone del tempo, quello di 100 tonnellate; queste esperienze erano costate una somma ingente, ma si erano tradotte a vantaggio anche di altri Paesi, che si erano affrettati, preparandole per noi, ad adottare anch'essi le piastre d'acciaio risultate superiori a quelle in ferro, fin allora ritenute le uniche possibili. Per queste considerazioni il Brin appoggiava la fondazione delle Acciaieòe di Terni, e la Commissione, informata appunto dal Brin del capitolato d'appalto, da stipularsi con la Società Terni per la costruzione di un grande stabilimento per la fabbricazione delle piastre di corazzatura, non solo approvò, ma anzi sollecitò il Governo a (( concedere una qualche protezione alla Società che a suo rischio e pericolo si accinge [va] a tale impresa » (99). Non è qui il caso di seguire le vicende che portarono negli anni successivi alla costruzione del grande Stabilimento Terni, anche se questo avvenimento non mancò di esercitare un notevole peso sulla struttura e sull'andamento dell'industria metalmeccanica italiana, e quindi sullo sviluppo economico del Paese. (99) Relazione della Com missione per le industrie meccaniche e navali, Roma, 188), p. 46. Sulla Terni cfr. F. BoNELLI, Lo sviluppo di una grande i m presa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Einat1di, Torino, 19ì5·


4 96

t \;SFRCITO IT\1. 1 \ '."0 DA LL·\', ITÀ ALU G!lAl\ DE Gl ' F.RR \

( 1861- 19 11$)

Qui piuttosto è il caso di sottolineare che la nascita delle Acciaierie di Terni è da collegare al problema della difesa e a quello delle spese militari. Al termine dei suoi lavori, la Commissione concluse che fare lavorare gli stabilimenti meccanici navali nazionali avrebbe implicato due vantaggi : un loro progresso tecnico ed una diminuzione di costi. Ma aggiunse che il perseguimento di un tale obiettivo avrebbe richiesto notevoli sforzi. Fino ad allora, infatti, e per oltre venti anni, i ministri della Marina italiana che ~i erano succeduti, si erano sforzati di assicurare lavoro ai nostri opifici meccanici, adottando <( il procedimento di far copiare gli apparecchi motori che dovevano servire per navi uguali da quelli che si acquistavano in 1nghilterra dalle primarie case>> (100). E , in tal modo, copiate da quelle del Messiua , era stata affidata allo Stabilimento Ansaldo la costruzione delle macchine deJla corazzata Conte Verde; quella delle macchine delle corazzate Palestro e Principe Amedeo - ricavate dai disegni delle macchine della corazzata Roma, fornite dalla Maudslay & Fieid di Londra - rispettivamente ali'Ansaldo e a Pietrarsa, ecc. (1o1). La Commissione era dell'avviso che tutto ciò non bastava, specie se si considerava che la nostra Marina mercantile non affidava agli industriali italiani che le riparazioni delle macchine delle sue navi e la costruzione delle sole nuove caldaie di ricambio, mentre salvo rare eccezioni, di apparecchi motori per battelli, armatori e società di navigazione si rifornivano all'estero, acquistandovi al tempo stesso scafi e macchine (102). Pertanto, a giudizio della Commissione. la sola via per far progredire la nostra industria meccanica navale appariva quella di rompere con le vecchie abitudini e dare maggiore fiducia all'industria nazionale. Per affrettare i termini di una tale svolta, la Commissione suggerì al Ministero l'opportunità di cominciare a valersi dell' industria nazionale anche per la costruzione di macchine originali per navi di una certa potenza. Di qui la decisione del Ministero della Marina, in seguito al parere del Comitato dei disegni , di aprire, per la prima volta nella storia della meccanica nazionale e della Marina da guerra italiana. un concorso fra le Ditte menzionate per un progetto di macchine ad eliche gemelle della forza di 6.ooo HP nominali per una nave oneraria. Non si richiedeva un semplice progetto di massima, ma un progetto completo, corredato dei disegni di ( 100) Rd azionc-

della Com misnone per le industrie m eccaniche e navali,

cit., p. 22. ( JOI) l bidem,

pp. 22- 23.

(ro2) Ibidem, p. 2r.


INCIDENZA DELLE SPI:SI: Mll.IT.\Rl St:LLO SVILUP PO 1-.CONOMICO 11'.\Ll \:-<0

-----

497

esecuzione e tale da paterne giudicare il valore tecnico sotto tutti i rapporti. Al concorso arrise notevole successo. Anzi il suo felice esito convinse la Commis~ionc che vi erano ampie possibilità di creare in Italia un'efficiente industria meccanica navale. Ma non disponendo la R. Marina di sufficiente lavoro per alimentare tutti gli stabilimenti meccanici esistenti e nessun aiuto sperandosi per allora dalla Marina mercantile che avrebbe continuato a fornirsi ;d i'estero, dati i minori prezzi praticati, occorreva evitare di disperdere le ordinazioni. Contrariamente a quanto si era fatto negli ultimi venti anni, in cui si era ~uddiviso il lavoro senza peraltro risolvere il problema della creazione di una industria meccanico- navale efficiente, bisognava ora ((specializzare e scegliere uno o due al massimo dei migliori rstabilimenti] per esclusivamente adoperarli a questo genere di lavoro» (ro3). L'inchiesta sul.la Marina mercantile e quella sulle industrie siderurgiche, meccaniche c navali., esercitarono, per vie diverse, tma azione di pressione sul Governo sì da affrettare i tempi dei provvedimenti allo studio riguardanti la Marina mercantile e la Marina da guerra (104). Si ebbero così due leggi, che stanziarono notevoli somme a titolo di incentivo per costruzioni navali e per il rafforzamento della flotta da guerra. Va da sé che questi nuovi stanziamenti finanziari poco avrebbero significato per lo sviluppo della nostra industria metalmeccanica se il Governo, e in particolare il suo ministro della Marina, on. Brio, accentuando un indirizzo che si stava profilando da alcuni lustri, non avesse esplicitamente dichiarato che era (( intenzione del Governo di profittare, nei limiti del possibile, di tutti i mezzi che l'industria nazionale po [ teva) fornire per i lavori della marineria ». Ed aggiunse che •< stabilimenti ce ne [erano] molti ; ... e l ra J quindi necessario che [le commesse l si distribuì [ ssero l in modo che ne [avessero l un po · tutti » ( 105). Le nuove leggi per il rafforzamento della difesa marittima, e soprattutto lo spirito nuovo che sembrava animare il Governo, sospingendolo a potenziare l'industria metalmeccanica nazionale come condizione prima e contributo essenziale ad un elevamento della potenza militare del Paese, non mancò di avere i suoi effetti su tutta Italia. In primo luogo, si devono collegare a questo nuovo indirizzo della politica economica governativa le trattative che si iniziarono

(103) Ibidem, p. 59· (104) Cfr. L. DE RosA, lnizìtJtiva e capitale straniero ecc., cit., p. 136 e sgg. (105) Ibidem, pp. 137- 138. )2.


verso la fine del 1884 tra il Governo, il Comune di Pozzuoli e la notissima Casa inglese Armstrong, Mitchel & C., di Ncwcastleupon- Tyne, una delle più antiche e assidue ditte britanniche fornitrici di materiale da guerra per il Ministero della Marina. Evidentemente questa Ditta, prevedendo che il Governo italiano avrebbe d'ora innanzi limitato le sue ordinazioni fuori del Paese, ritenne opportuno, per non essere esclusa in futuro. del tutto o <juasi, dalle forniture, di aprire una sua filiale in Italia. Com'è noto, <jualche tempo dopo, il cantiere e la fabbrica d'armi, costruiti, entrarono in funzione, e diventarono con gli anni uno dci più grossi complessi industriali del Mezzogiorno. Riflessi della nuova situazione si ebbero anche sul Cantiere ed Opificio C. e T.T. Pattison, di Napoli, il quale dovette provvedere a taluni ampliamenti ed ammodernamenti per fronteggiare l'incarico della costruzione di quattro torpediniere di I a classe e di altri strumenti c locomobili, ecc. Anche la Gttppy & Co., di Napoli, ricevendo grosse ordinazioni dal Ministero della Marina, fu costretta a trasformarsi, e si associò con la Hawtltorn- Leslie di Newcastle - upon- Tync, che era stata fin allora uno dei maggiori fornitori de1la Marina italiana, ed ora, dopo i provvedimenti legislativi citati, temeva, come l'Armstrong, Mitchel, ecc., di vedersi esclusa dalle forniture. Nacque così la Società hufustria/e Napoletana Hawthorn- Guppy, che rinnovò attrezzature e macchinario, e divenne, come riconobbe lo stesso ministro della Marina. uno stabilimento " in tali condizioni da rivaleggiare coi più rinomati d'Italia». Anche nel settore siderurgico si ebbero rapidi progressi tanto che già nel 1899 come ho illustrato in altra sede più ampiamente (106). al Ministero della Marina si riconosceva che, <l grazie all'iniziativa dei nostri industriali le fabbriche nazionali produc [eva Jno acciaio Martin- Siemens in quantità abbondanti per le provviste della Marina ». E tra le numerose fabbriche nazionali citate il posto d'onore si dava alla neo- istituita Società Terni, capace di fabbri~ care le grosse piastre di corazzatura in acciaio, ritenute come il prodotto più difficile dell'arte siderurgica (ro7). Oltre queste società metallurgiche e siderurgiche, anche molte di <juelle meccanico- navali registrarono notevoli progressi . Dì alcune si è già detto. Bisogna aggiungere che a Napoli aveva preso notevole slancio anche lo Stabilimento dei fratelli De Luca; e, (xo6) l bidem, pp. 151 - 152. ( 107) Relazi071e a S.E. i{ Ministro della Marina sulle flttuali condiziom delle mdustrie metallurgiche, meccaniche e navali, Roma, 1889> p. 9·


INCIDENZA nELLE Sl' l:.SE ~!ILIT \lU SULLO SVILl"T>PO ECO!'OMI CO lT1\UAl\O

4~9

mentre si erano notevolmente sviluppati gli arsenali di Kapoli, La Spezia e Venezia, soprattutto i due cantieri di Castellammare c di Taranto - quest'ultimo creato dopo l'Unità - per le cospicue costruzioni di scafi in ferro c in acciaio cui erano stati adibiti, era stato creato intorno al J ~Hq a Venezia il siluriiì.cio della Ditta L. Schwartzkopff e si erano enormemente ampliati c perfezionati gli stabilimenti e cantieri Ansaldo, Odero, Cravero, Orlando, ecc. (108). Anzi era accaduto che lo sviluppo di questi stabilimenti impegnati direttamente in lavori per la difesa del Paese aveva stimolato. specie nell'Italia settentrionale. una varietà di piccole e medie fabbriche, che producevano pezzi c parti occorrenti ai cantieri c alle officine più grandi (109). A stimolare ulteriormente questo sviluppo venne poi la legge 30 giugno r887, n. 4646, che. sopra una spesa di 85 milioni per la Marina da guerra, ne riservò 37, sia pure ripartibili in 9 anni, alle costruzioni di naviglio. Con questo stanziamento il piano organico del naviglio subì, rispetto a quello stabilito dalla legge del 1877, una rad icale trasformazione, raddoppiandosi in parecchi settori (IIo), c dando grande impulso alla costruzione delle torpediniere. Questo costituì, senza dubbio, il momento culminante nello sviluppo della Marina da guerra italiana, e coincise, occorre dirlo. con il periodo in cui ministro della Marina fu l'on. Brin. I sette anni in cui rimase al governo, e che corsero dal 1884 al 1891, <c segnarono - come fu detto - un periodo ver~unente brillante; essi costituirono . . . il periodo d'oro della nostra Marina, la cui flotta era stimata la seconda del mondo >> ( r II). Ma, come si è detto, poco dopo che fu approvata la legge del 1887 cominciarono ad avvertirsi in Italia i sintomi di una grave crisi economica, crisi che si aggravò specie dopo la rottura commerciale con la Francia, precipitando sempre più .fino agli scandali e ai grossi fallimenti bancari del 1893- 1894 (n2). Si trattò di una cns1 lunga e dura, e tale, comunque, da sconsigliare di destinare altri fondi agli armamenti navali. Sta di fatto che, oltre gli stan-

( ro8) L. DE RosA, l nn:;ùuil'a e capitale straniero ecc., ci t., pp. r6o- r61. (109) Ibidem, p. 162 e sgg. (110) Vedi prospetto in appendice ro. Cfr. R. TIU.VISA::--11, Rivista indu;tria e commercio di Roma e deli'Umbria, cit., pp. 45- 46; cfr. anche G. Bozzo:-.1, Marina militare e costruzioni navali. in Cinquanta anni di storia italiana,

a cura della Reale Accademia dei Lincei, Hoe pii, M ila no, 1911, vol. L p. 21. (nr) Cfr. G. BozzoNr. op. cit., p. 28. (112) Su questa crisi cfr. L. DE RosA, Il Banco di Napoli e la crisi economica del 1888- 1894, cit., c dello stesso, lniziatù•a e capitale stt·aniero ecc., cit.


500

L.t.SERCITO ITALI.\l\0 DAL.L\. l\JTÀ ALLA CRANDE Gt-HRA (d~6I · 19r8)

ziamentì normali di bilancio. ci furono, dopo lo scoppio della crisi . e quando Brin era ancora ministro, solo due autorizzazioni a spese straordinarie: una di un milione e mezzo per l'acquisto di munizioni di nuovo tipo ( 1 13) e l'altra di 3.soo.ooo per l'acquisto di carbone. Poi, quando, trascorsi i nove esercizi per i quali era stato stabilito si dovesse provveden.: al rinnovo dd n~lViglio, c fu presentato nel dicembre 1896 un progetto per un 'autorizzazione straordinaria di 7 milioni di spesa per una nuO\'a riproduzione di naviglio, questo progetto non fece molta strada, e si arenò. Ma, intanto, l'evento dell'emancipazione dell'industria navale italian a dall'estero si era già registrato, c si erano creati a Terni, Pozzuoli e Venezia stabilimenti capaci .fin d'allora di fabbricare in Italia corazze, grosse artiglierie, siluri e lanciasiluri; inoltre erano sorti parecchi grossi stabilimenti meccanici per la costruzione degli apparati motori delle nostre più grandi navi , mentre i cantieri si erano attrezzati per le costruzioni dei grandi scafi in ferro. Negli anni successivi alla grande crisi economica del r888r894, ed almeno fino al 1910, l'incidenza della spesa militare si ridusse, venendo ad aggirarsi intorno al 20- 22% delle spese effettive ordinarie e straordinarie ( u4) e intorno al 19- 22" delle entrate effettive ordinarie e straordinarie ( 11 5). La situazione cambiò successivamente, dopo che l'ltalia s'imbarcò nell'impresa di Libia e poi nella grande guerra. La stazionarietà di quest'incidenza non deve trarre, però, in inganno. Dopo il 1896 le spese militari furono ridotte nel r897- 98, anche r,er i disordini interni che si verificarono in quegli anni , a cagione anche dei cattivi raccolti, ma ripresero subito dopo, e furono consolidate con le leggi del 1901. Sennonché, apparve ben presto evidente che le cifre consolidate erano insufficienti ad assicurare un'adeguata difesa del Paese. Come fu notato, i corpi d'armata erano andati impoverendosi per il crescente costo dei generi, per l 'incremento dei servizi, per i perfezionamenti tecnici, che assorbivano somme sempre crescenti. Pure eliminando le spese non strettamente necessarie, e destinando le economie realizzate a soddisfare le esigenze indifferibili il Governo non poté evitare a lungo di aumentare gli stanziamemi del bilancio della Marina con la legge 2 luglio 1905, n. yo e successive, e quelli della Guerra con legge 14 luglio 1907, n. 496; e poi ancora

(n3) Legge 30 marzo r89o, n. 6757· (114) Cfr. nota 74· ( 115) Cfr. nota 75·

..•ill


ll'\CJI)ENZA DELLE SPFSL \HLITARl SULLO SVILI.:l'l'O ECONOMICO IT.\LIANO

50 l

con la legge 5 luglio 1908, n. 361 e successive. In effetti, dopo il loro consolidamento del 1901, e la breve contrazione tra il 1902 e il 1903, le spese militari ripresero a salire nuovamente, tanto che nel 1909 avevano raggiunto un livello che era stato solo una volta ( 1888) superato in passato. In realtà, l'incidenza delle spese militari sulle entrate e sulle uscite non aumentò, perché contemporaneamente aumentarono sia le entrate che le uscite ( r r6). Ma un nuovo impulso dO\'evano ricevere le spese militari con la guerra di Libia e con la corsa agli armamenti che diventò più frenetica specie quando scoppiarono le guerre balcaniche del 19121913 e con i progressi tecnici che si registrarono sia nel naviglio che nelle artiglierie, con gli inizi dell'aeronautica e il crescente ricorso ai trasporti automobilistici militari, costringendo le autorità militari a compiere intensi sforzi per mantenere l'apparato difensivo del Paese aggiornato (u7). Si è visto che gli aumenti di bilancio riguardarono sia le spese dell'esercito che quelle della Marina da guerra. Per quanto riguarda 1'esercito, è noto che una parte dei fondi ad esso assegnati furono destinati, così come era accaduto nel periodo precedente, quando il Paese era stato impegnato nella politica di espansione coloniale, al pagamento delle truppe e alle esigenze dell'occupazione e della difesa delle regioni dell'Africa orientale sotto bandiera italiana, ed anche al finanziamento della spedizione militare italiana in Cina, la quale, da sola, assorbì oltre 12 milioni di lire (rr8). Ma, a partire dall 'esercizio finanziario 1900- 1901, si cominciò a prestare maggiore attenzione al rinnovamento del materiale, e ben 6o milioni furono destinati con la citata legge del r907 alla sostituzione di quello campale; e nuovi c più cospicui contributi a questo riguardo furono previsti poi con la legge del 1908 e con altre successive. Questi programmi di rafforzamento recarono certamente uno stimolo alla produzione di guerra, e in effetti sia le officine dirette dal Ministero della Guerra sia le industrie private, anche quelle aeronauùche e automobilistiche, si dovettero aggiornare tecnicamente per rispondere alle rinnovate esigenze militari, il che rappresentò uno stimolo notevole allo svjluppo del Paese .

(116) Su questo incremento di spese cfr. RAGio:-;tRJA GtNEMl.E DELLO STATO, Il bilancio del Regna d'ltalta m•gli esercizi finanziari dal 1862 al 1912, Roma, 1914, pp. 328 e sgg., 336 e sgg. (u7) Cfr. E. CoRBINO, A nnoli dell'economia italiana, ci t., vol. V, p.

349 e sgg. (118) Cfr. BAVA BEcCARJS,

op. cit., pp. 5)6- 97·


501

L' f.SERCI.TO ITALIANO OALT.' uNITÀ ALLA GRANDE CUERRA

(r861- l<Jl8) ~--

Anche la Marina da guerra, con le nuove costruzioni di naviglio, imposte dai perfezionamenti tecnici, con la preferenza accordata agli incrociatori corazzati, dei quali se ne costruirono in pochi anni parecchi, impresse un notevole impulso sia all'industria cantieristica che a quella dei motori marini. Basti pensare che, solo tra il 19 00 e il 1910, la forza delk macchine delle navi militari passò da 688.854 a 1.186.270 HP (u9).

Si è cercato di rm:ttere finora in evidenza lo sforzo compiuto Jal Paese per organizzare la sua difesa, e soprattutto per organizzarla secondo il principio che (\ l'indipendenza militare ravrebbe l po [ tutol dirsi completa ed assicurata soltanto quando la nazione ravesse potuto J produrre da se stessa tutù quei materiali che alla costruzione degli ordigni occorrenti all'armata e all'esercito l erano l necessari; e tutto il materiale che alla viabilità ferrata occor [ reva l pei trasporti dei corpi d'esercito dall'un capo all'altro della penisola )) (I 20). Si vuole ora accennare ad un altro aspetto: cioè al fatto che lo stimolo creato dalle spese militari vuoi attraverso la costruzione e la manutenzione del materiale, vuoi attraverso la dislocazione stessa dell'esercito nel Paese non si tradusse in una spinta produttiva uguale per tutte le regioni italiane. Il problema fu brillantemente posto e dimostrato dal Nitti per il periodo fino al r898. Nitti aveva rilevato che la distribuzione dell'esercito non poteva obbedire a criteri regionali ma dipendeva dalla politica e dalla necessità ddla difesa ; l'esercito cioè veniva concentrato là dove esisteva il pericolo. Ora questo pericolo si manifestò fra il 186o e il r88o nella parte nord e nord- est d'Italia e dopo il 188o, e almeno fino al 1913 nel nord -ovest; dopo il 1913 e per tutta la durata della prima guerra mondiale di nuovo nelle regioni del nord e nord -est d'Italia: in altri termini, il centro dell'attività militare era rimasto sempre il bacino del Po. Di conseguenza era accaduto che l'Italia settentrionale aveva sempre avuto, nel corso della storia unitaria, un numero di soldati. che era stato, rispetto alla popolazione, sempre più del doppio, e, rispetto al territorio, anche più grande . Analogo discorso è da farsi per le scuole militari, tutte, anche dopo la pubblicazione del libro del Nitti, ed almeno fino alla fine

(u9) Cfr. G. BozzoKI, op. cit., p. 21. (r2o) Cfr. C. CIGLIANO, La di/t'sa naz io11ale e l'industria sidt7urgìca m /&alia, estratto da << Il Bersagliere ))' nn. 26, 28, ::..:9, 32 e 34·


INClDEI'ZA nELLE SPESE MILITARI SULLO SVJJ,UPPO f.COKO~liCO ITALIAKO

503

della prima guerra mondiale dislocate nell'Italia centro- settentrionale (Livorno, Torino, Modena). E bisogna aggiungere che gli anni che seguirono la pubblicazione del libro del Nitti non modificarono le sue conclusioni relative alla distribuzione della spesa militare. Nitti aveva scritto che circa i due terzi degli stanzìamenti militari, tra il 1862 e il 1896 - 97· erano stati spesi nella valle del Po, <( contribuendo non poco ad accrescere i consumi locali, a sviluppare la formazione di ricchezza in piccole città e a rendere possibili facili impieghi anche in piccoli centri» (121). In effetti, dopo il 1897, il fenomeno fu assai lontano, anche per il verificarsi delle guerre balcaniche e poi soprattutto per la guerra mondiale, dall 'accennare un mutamento di tendenza. Né la situazione risulta diversa se si considerano le spese per la Marina. Ancor più dopo la presa di posizione di Nitti, « il maggior numero delle navi da guerra erra l d'ordinario nelle acque della Liguria, ed e [ra l tra Spezia e Genova che si concentra [va l la più grande attività navale» , e questo significava che vi erano marinai e ufficiali di ogni grado che vi spendevano i loro guadagni. << Concentrare quasi tutta l'operosità della marina militare in un punto significa - spiegava il Nitti, e la spiegazione ha valore gener ale - determinare in una sola regione un afflusso di parecchi milioni all'anno» (122). Questo squilibrio Nitti lo notava anche nella distribuzione delle scuole di marina e nelle relative costruzioni e personale, ogni cosa concentrata nella parte settentrionale d'Italia da Livorno in su : squilibrio, d'altra parte, rimasto anche dopo nella vita italiana. Finalmente, fatto non meno grave, itti notava l'esistenza di analogo squilibrio anche nella distribuzione delle spese per la manutenzione e per la riproduzione del naviglio, riguardo sia agli arsenali e cantieri dello Stato sia all'industria privata. Alla fine del secolo, secondo Nitti, infatti, « all'incirca due terzi delle spese dello Stato per costruzioni navali si fa fceva l no dunque nell'Italia settentrionale >> ( 123) : tma situazione che era anche più grave se si considerava l'industria privata, la quale, in Liguria, assorbiva quasi tutte le forniture della Marina militare ( 124). Purtroppo, gli anni che seguirono non fecero che confermare, aggravandolo, questo giudizio. (r2r) F . S. Nnn, Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1896- 97· Laterza Ed., Bari, r958, p. 20ì. (122) Ibidem, p. 210. (123) lbidem, p. 215. (124) lbidem, p. 219.


504

L'ESE'RC ITO ITALIANO Di\LL' t;l'I'J'À ALLA GRANDE CUERRi\

(r86I · 1918)

9· - La mia esposizione si ferma qui. Ho lasciato fuori la ~~ guerra mondiale come la 2" e le vicende militari che la precedettero perché si tratta di argomenti che da soli, come fu nel caso della 1 .. guerra mondiale, meriterebbero non una parte di relazione, ma parecchi \·olumi. E mi fermo qui anche a ragion veduta per sottoli neare ancora una volta quanto dicevo agli inizi, e cioè che questa relazione ha solo lo scopo d'introdurre un discorso. Il più essa lo attende dagli studi che verranno, e la cui importanza, sono convinto, questo congresso ha sottolineato.


Appendice 1

Sta t i

Entrate

l

Spese

l ------· Disavanzo

Avanzo

Debito pubbl iro L<:ggc 4 - 8 . t86l Rendita iserina

--

Redi mihil e

--1-

3I dicembre r86r

Consolidata - .... _

l

91 .010 .8~3·97

8.914 -558,22

54-1)21 .65)6,83

28.350.602,40

-

l -996-992, l l

5·534·193·42

36. UI.571,22

26-430-412,51

-

235·074· 15

1. 169-914,22

14·478.1 I I >30

12.8g6.663,62

1.581.447>68

-

S.959.642,22

5·348-199, t8

3.61 L443,04

-

l2I.500,--

-

l .845·784,-

4-020.000,-

355·257·50

25.64S-376,-

Regno Sub.

391. l 90·510,47

482.20t.344,44

-

Lombardia

80.794-320,39

52·443-717,99

Emilia*

62.54I.SJ83,73

Marche Umbria

'

l•

31 dicembre 186o

l

Toscana

43·370-494·73

Napoli

ro9.429.o6s,s6

' i 100.493·766,24 j 8.935 ·299·32

47-644·750,-

50-433-067,44

Sicilia

57 .690-9]0,2)

758-408.878,40

797.619-300,38

4·320-475·5 2

-

·----··

Totale

l

2.788.317>44 i ·-

68.909-204·95

-

6.8oo.ooo,-

l

108.u 9.626,93 l r:H69.16),98

·-.

Disavanzo : 39-210.421,98 • Parma, ]'vfodena e Romagna.

l

g8.094-180,47 ~·

Totale: I l f ·563.346,45

Vl

o

VI


506

t ' ESiiKCITO JTAL!J\NO D'\LL' U.'IlT,Ì. <\LLA GRANDe GUERRA

(t86r •1918) Appendice 2

l

l Totale \f>C'C ~cncrali

•\nno

.

,.

Total<: ~pc'e rnilitJri

- - --- - - -- -

'

o

1862

926·7164~9,13

385.]18.38;,6o

4I

1863

<)06.)21.0)8,88

344·5°8.o2g,6o

38

r864

944.oo8.ow,-

325·57l.392·ll

r86;

9r6.3!)6.org,o6

24o.895.6;6,r6

26

1866

l·338.;78.2;o,83

579·226.688,80

43

r867

928.6oo.641,26

194.666.661,02

20

;.g6o.82o.9(lg,t6

2.0]o.;86.8r3,29

34

- 294.002.215·53

- I2).723·798,r;

42

Residui da detrarre

ll

l

34


INCIDENZA DELLE SPESE M!Ll1'ARI Si.:Ll.O SVILUPPO ECONOMICO ITALI.'\NO

507

Appendice 3

l Totale en trate efienivc

Anno

Totale spese m ilitari

l l

%

- ··-·

t862

48o.254·0)2,3I

385-718.38),60

8o

r863

524.183.246,73

344·508.025),6o

~

1864

576·451·376,20

325·57 1 ·392>Il

s6

l~

645 .682.341,53

240.895 .6s6, r6

37

1866

6t7.13L071,8r

579.226.688,8o

93

714-453 ·756.69

194.666.66! ,02

27

3·558.155 -845,27

2.070-)86.8q,29

58

r867

it

l 1

'

Appendice 4

j

Anno

l

E ntra te

effettive

l

-·M..- ·

Entrate ord inarie

T orale

Entrate straordinarie

.--. . - - -

r862

479·058-302,99

LI9) -749>32

480.254·052,31

1863

52o.r 72.928,55

4-0I0ji8,r8

524.18J-246,J3

r864

572.03J ·326,70

4·420.049·50

576-451 ·376,20

186)

645·561 .266,42

12!.075·11

64)-682.341·53

1866

6o3.9!3o.6o3,68

13.T50-468,I3

617.13 I.071,8I

186]

706.527·745·47

7·926.ou,22

7r 4-453·756,69

3-527-332.1]3,81

30.823.671,46

l

3·558.r5s·845,27


508

(1861- 1918) - - - - - - ---- - -

L'ESERCITO !TAl Tt.NO !)AL!.' UNITÀ ALLA CR.<\:-.!DE Cl ' tRRA

·-- - - - -

. \ n~o

- -- - - ~pcoe

1868 t86g 1870 187r 1872 1873 1874 1875 t876 !877 1878 1879 188o 1881 1882 r883 r884 l sem. r884185 r885 / 86 I886j 8] T88]f 88 1888/ 89 1889/ 90 1890/ 91 r89r / 92 1892/ 93 !893/ 94 rB94/ 95 1895/ 96 t8cfi/ 97 1897/ 98 I8fJ8/ 99 t899/ 900 rgooj o1 1901 / 02 1902/ 03 1 903 / 04 1 904/ 05 1905/ o6 rgo6fo7 1907/ 08 r908/o9 Igr.x) j iO

orrlina rié

rso.o66.492,6g c37-91 o.300,03

17/.190·340,22 '·42·9'7-222,00 151.977-82o,oo rs6.I09.006,f2 165-722.581·53 16; .62g.62),)6 r64.622.o8o.63 171.949·005,17 I 70.814.699,39 173·78o.ss6,39 191.613.244.18 r87.205·784,50 l 90·079·436, 73 1 99·330·993·54 l07.266.345,29 206.6)0.027,77 20g.884 ·527,36 2lj.6o2.691,6) 240.62].08s,J6 250·349·042·42 257.8 I 3.620,66 252.890·999,20 243-298·743,04 233·253·771·24 238.06.).927>77 21 7·422.255·54 326.8o7.132,15 255·537·5 21,30 245·'66·455·65 227·590·998,48 223.235·870,75 223-329·5)0,21 230.062.6o4,23 223·373·0'fi,75 223·570.837.6! 235·376.175,81 228.5s5.rr8,29 234·4 I9.782,38 236.031 .222,39 247.917·05o,85 266. rg6.o2o,55

Guerra

.ll

l l l

l

l l l

l l

l l l l l

l l

----Totale - - - - - ---Spr'e stnw rdinanc

I 7.27o.687,50 11.619-7·13·13 5·795·995>97 8.159·410,00 14-083·439>40 20-567·456,66 1/-503.226,06 14-355·648,21 21.) 03.68],87 35·345·489.30 37·350-9B8.69 l +80).g88,94 19.862.749>46 23-726.666,66 44-041 .666,66 56·931.666,68 ll.518.gt 2,27 47.1I T.400,00 43-205.000,00 5!.644·403,24 75·930.000,00 152·790.000,00 47·684-459·95

~2 ·548-926,)4

t8.or8.41 2,25 I2·993·551,7J 15-376.109,69 15.229.229,92 15-767.1 84·95 16.874·747,44 18.17].734>63 r8.399·079,63 r6.8o3. 390·42 22.730-409,26 20.737·501,91 18.647·307,]7 I9·1) 2.522,73 r8.6J9.9t8,42 24·491.935·41 2).0)8.9)8,2I 37·864.16g,42 53·666.064>48 73·303.6J2,g6

167·337-180,19 '49·530.049>16 x82.g86.336,19 151-076.632,00 x66.oor.259,40 l 76.676-463,08 J!:l3.225.807>59 179·985·273>77 T86.125·768,5o 207.294·494>47 208.r65.688,o8 ,ss.586·545·33 21 1·475·993.64 210.932-451,r6 234-121.J03,39 2)6.262.66o,22 l 18.78).257·56 253·761 ·427,]7 253·089-527,36 269.247.094>89 316.)57-08),76 403. 139·042·42 305·498-o8o,6I 285 ·439·925·74 261.317.155>29 246.247·323,01 253·440.037>46 232.6)1.485,46 342·574-317,10 2]2-412.268,74 263.344· r90,28 245 ·990·0f8,I I 240.039·261,17 246·059·959·47 2)0.800.100, 14 242.020.404,52 242.723.360,34 2)4·0)6.094,23 2)3-0]7.053·70 259·478·740·59 273·895·391 ,81 30!.583.115,33 339·499·653>5 l


509

lt"CIDF.KZ\ DF.U.F. SPF.Sf. MILIT.•\Rl SULLO SVILUPPO ECONOMICO ITr\ LIMo!O

Appendice 5 M ari n,\

- - - - - -- - - -

Tot.tl~

generale

Sp::sr urdin:trie

26.5<]6.888>35 2-t.8o2-467,27 27·450-709..~0 22.9(57·340,68 27·763-729,99 3f.46L04j,l8 32.814-084>]4 33-036·795·75 36.670·532.25 41.818.139> lJ 40-462.01/,13 39·974-628,49 4I ·788.011 ,38 41.745·787,22 46.o6o.7 19·93 57·427-160,21 26.336·41),66 ss.82;.s89,82 66.043·488.49 75-157.628,45 90-063.639,29 94·032·546.67 108.699.27315I 102.877·410,9) 99·09<J.26o,24 97·912.122,<)8 (}6.1)1.071,27 92·672·793·42 94-009.692,84 IO I.57 I .867,93 IOI.3IS·730>48 ro4.221.(}l38, 45 114.278. r84,37 IIO.I28. 146,67 102.771.657·94 104-427·728,67 105.152.62)100 IOJ-717·550,36 I l O. T57·055>39 Il3.844·863,76 u8.463·459,14 r32.g23.s 75 ,62 140-3U.889,37

8.263.890·55 10.387·345·95 4·632·334>90 3.867·9•3>34 3·030.6q,5I l .!28.453·09 1 .052.o86,oo 5.1 81 .000,00 T·327.926,09 J.oyr.8s 5,o4 2.784·548,9() 2.743·617,13 3·.H0.4o6,oo 2.976.6oo,oo 3-017.000,00 s-6s8.288,5i 2·955·90),65 2r.J29·46s,5o 1/-914.000,00 20.103.000,00 24·090·69),65 63·6os·78J·99 l 4·6s3-767,z8 10.150-/03,97 6.o48.8or,47 3·846.287,]3 3·925·259·36 3-003.682,92 1 .46o.ooo,oo l ·522.687,44 T.348·751,22 I. l 19·305•73 1.374·955·75 t6.o65 ·449,84 •9.689.71 r,So '5·13!.274·10 l4.27t.88o,44 15.617-569,20 I 1.067·734>16 31.593-456,o3 30.030·543·59 33.o68.s47·98 18.704.866,38

.H.86o. 778,90 3;.r8g.8r3,22 32.o83.044·20 26.8_rp)4,02 30·794·344>50 32-589·)00,27 33·866.170 74 38·217·795·75 37·998·458·34 42·909·994·17 43·246-566,09 42-718.245·62 45-128.4!7.}8 44·722.387,22 49·077·7 1 9·93 63.08).448,74 29.292-321.}1 77· 1 57-055·3 2 83·957 ·488,49 9).200.628,45 l 14· 154·334·94 157·638·332.66 I 23·353.040,79 II3.028. II4,92 IO). 139·061,/I IOI .7)8.4IO,JI TOO.OJ6·330,63 95·676·476·34 g6.o69.69:z,84 !03.094·555,37 102.664·481 ,70 J0)·34L294,I8 l T).6)3.I40,12 126.193·5g0,51 1 22 -461 ·369,74 l 19·559-002,77 lt9-424.)o6,o4 I23·33) ·1l9,)6 121.224·789,55 145·438·319,79 I 48·494·00 2,73 165·997·423·00 159.ot6.755>75 1

202.197·959,09 184·719.862.~8

21 5·o69·38o,Jg 177.91 T.886.02 r9().85s-6o3,90 209.26).9(5;.35 217.091.978,33 218.2o3.o6g,52 224.124.226.84 2)0.204-488,64 251.412.254·17 231.304·790·95 256.6o4.4 r r,oz 2)5·654·838,38 283.1SJ8.823·32 319·348.ro8,<}) 148.077·578,87 330·918.483,09 337·047·015,85 364·507-723>34 430·71 1.420,70 500·777·375·08 428.8)1.121,40 398·468.040,66 366·456.217,00 348·00)·733·72 353·516.368,og 328.327.961 ,So 438.644·009·94 375·)06.824,11 366.oo8.671 ,98 35T.33T ·372,29 355-0g2-401 ,29 372·253·555·98 373.261 ·475,88 361.579·407,29 362. r47.866,38 377·391 .213,79 374·3or .1!43>25 404.917 .o6o,38 422-389·394>54 467-s8o.s38,g3 498-st6.4og,26


)IO

L'ESERCITO IT-\ll,\~0 DALL.tl"'JT\ ALLA GR \KDE GUI:.RRA

(1861 - 1918) Appendice 6

l

Anno

-l

J868 r869 r87o 1871 1872 r873 I874 r87s !876 r877 1878 1879 I88o t88r 1882 !883 1884 I sem. t884;s5 r88s/ 86 r886 /87 1887/ 88 t888f89 !889/ 90 1890/ 91 1891 / 92 1892/ 93 1893/ 94 1894/ 95 1895/96 !89(}/ 97 1897 ' 98 1898/ 99 1899/ 900 ICJJ0/01 I90I / 02 1902/ 03 1903 /04 1 904/ 05 1905/ 06 1906/o7 I90J/08 l()o8 /o9 1909/ IO

Totale $)X'>C cfknivc

TotJk 'pc<e miÌÌl;lrÌ

T •01 4·354-433•95

202.197 ·959,09 I 84. 719.!!62.38 215·o69-38o,39 177.9I I .886,02 t9(}.855·6o3,go

1·019-567·474·65 t.o8o.74/·I I8,95 1.013.286.422.24 1.093·761-405,15 r.1 36.248.589,o3 1·090·499·5 17• 25 l .o82·449·403· 25 l. 102.632.466•52 !.207·954-135>97 I.I75·079· 1 55·19 l. I79·957·J36,91 l · 194·404·535· 1 4 1.224·761.515,)2 r.293··P6.671 ,36 1.329·948.209,96 666.793·094>95 I .408.688.827,98 l-432.00).787·9) 1.461 ·490·672.82 l.5j2.855·I 37,81 1-736.212.457,28 1.637.003· T99>03 J .617-241.09(>,34 1.571. I66.501.56 I -569·385.520,77 I .616.551 ·577•85 1.00o.354-369,62 1.699.074-222,4) l .624.029.898.6o I.620.032.100,69 1.626.r61.j68,67 I.633 .099.746,04 1.6;2.365.oo6,g6 T.679.8;8.6oo,;8 1.695·977-038,92 1pj.625·989·32 I-767·445·756.87 I .800-)14.249>.)1 I.856·31I.J02,36 1.884.681.97 4·50 2.098.616.309>54 2.204.g6t.222,33

209· 2~·963,35

2Ij.091.978.33 218.2o3.o6g,;2 224. 12.p26,84 250.204-488,64 2)1·412.2)4,17 231 :~04-790·95 2)6.6o4-41 I,02 255·654·838-38 283.!98.82J,32 3T9-348. 1o8,g6 148·077·578,87 JJ0.9T 8.483,09 337·047-01),8; 364-507-723>34 4~0.71 1.420,70 500·777·375,08 42s.s5 r. 121.4o 398-468.040,66 366·456.217.00 H8·00S·i33·72 353·516.368,09 328.3274>1 ,So 4_3!l.644-009·94 375·506.824, I I 366.oo8.67I ,\)8 351·331 ·372,29 355·692-40 l ,29 372.253·)5541 373·261.47),88 361.579·40],29 362.147·866,38 )77·391 ·213,79 374-301 .843,25 404·9•7-000,38 422J89·394·54 467.s8o.;38.g3 498·516-4og,26

<t

/ 0

1

9•94 r8,n 19·97 '7·56 I7.IO I8,47 19,gll 20,17 20,35 20,86 21,46 19,71 21,57 20,10 21,11 24,16 22,13 23,6g 23·75 24,13 27,00 32,51 26,32 24,10 23,)0 22,27 21,14 20,82 25,I3 23,19 22,96 21,98 21.12 22,87 22,36 21,)4 20,t6 21,62 20,21 21,15 22,77 22,)8 22.13


INCIDENZA DELLE SPESE MILITARI SULLO SVILU PPO ECO:-IOMICO

IT.1LIAN0

51 l

Appendice 7

l

l

Anno

l

l 1868 1869 1870 187r 1872 1873 ;' i I874 1875 : !876 1877 1878 1879 r88o x88r r882 I883 1884 I sem . 1884/85 188sf 86 r886f87 x887j 88 x888 j 8g r889/ 90 1890/9r x8grjgz 1892/93 1893 / 94 1894/95 I89) fg6 r896/ 97 1897/ 98 18g8/ 99 1899/900 rgoof or 1901 / 02 HJ02/ 03 1903/04 1904/05 1905/06 I9fl6f o7 1907/ 08 1908(o9 1909/ ro

Tota le entr.ne dfcttivc

l

0/

T11wle >pese mi litari

/0

748·557·777,6) 8;o.693·302,57 86s.98o.244,58 g66.x82.2)2,97 I.OIO. I 82. l 89,28 I.047· 240·357,03 r.on.r rs.6r6,54 I.Og6JI9.804,04 1.123-328.540,23 l .242·556.8,5;,10 1.191 .625-3)6,04 1.222.886-383,68 I .221 .23 I .624,45 1.278.023.739,29 1.299·325·481,47 Ij32.89J.118,19 6s8.02l .595,23 I .413.280.382,83 1.409.097 .018, I 5 1.453·482.]48, 12 I ·499·926·297> 25 r .soo.843-748.6s t.562.)87 .6J7,99 l-)40.001.590, I l 1.)28.092-724,72 r ·550.009.654>84 1.)17.!20.429,54 L569.912.J04,76 I .633.601.697,59 [.614.82)·934,63 1.629-493·095, 14 r .658.8r8.464,92 1.67r .523·347,68 J·720.736.625>48 I ·743·477·740,72 1-794·749·688,47 1.786.355·524,12 1.842.9<)2.971 ,66 !.945·955-181,73 1-954·558.609,)7 ' ·946-424-711 ,03 2.I33·9Q6.30I,76 2.237·262.547·59

i ''

l l l

l

l

202.197·9)9,09 r84.7J9.862>38 215.069-J80,39 I77·9IL886,02 Ig6.8,ss .6o3,90 209- 26).9()3,35 2 IJ.091 ·978>33 2r8.2o3.o69,52 224.124.226.84 2)0.204-488,64 2)1.412.254·17 23 1 ·304·790·95 256.604.4 I T,02 2)).6)4-838,38 283.198.82_3,32 319-348.ro8,g6 148·077·578,8] 330-918.483,09 337-047-015,85 364-507-723·34 430-71 1.420,70 s6o·777·37s,os 428.851.121,40 398-468.040,66 366.4)6.217,00 348.005·733·72 353-516.368,09 328.3274)r.8o 438.644·009,94 375 ·506.824,1 I 366.oo8.6] I ,98 351 ·331-372,29 355·692-401 ,29 372.253·555·98 373-261 ·475>98 361.579·40].29 362.147·866,38 377·391 .213,79 374-301 .843>25 404·9'7·06o>38 422.389·394>54 467 .')80.)38·9.3 4<)8.5 r6.4o9,26

l

i

'

il :

;'

i

l

l l

! !

' l

. ~

' 'l

'

27,87 21,18 24,72 x8,39 19,49 19,!0 20,16 1 9·99 19,TO 20,16 2I,II r8,1r 21,14 20,50 21,10 23,!2 22,33 23,)8 23,12 25,11 28,ro 37>54 27,69 25,13 23,14 22,68 23>45 20,14 26,13 23>40 22,75 21,29 21>46

21,10 21,71 20,26 20,48 20,87 19·45 20,14 21,13 21,19 22,63


Appendice 8

.\nno

l l

Ordinari;~

l

in lt,1lia

__

,

Orc!in.m.a all'e-t<"r<>

- ~-

1870 t871 1872 !873 r8].1 I87s 1876

817-249·59 .o8r .8o8,24 3·133-063-29 972 -09),47 707·458,oo 1.410.6o6+l 3·442 -044•3 r

·990·93°·94 438.1 6q.9f$ 7·496-821 ·32 1.157·139·45 6.157-828,00 91 I.774·g6 7·438.888,61 l

l

I

l

l

Appendice 9

pas~ate

Ord i nazioni

alla:

.\nno

- ------ - - l- - - - - - - - -Industria itJiiana

Industria >l raniera

1

t87] r878 r879 r88o

rr.ooo.r88,13

1.500-786·34 '-353·28r,67 B94-536,go 2-775-118,9)

6s 1 ·798·8o 1.722.209,77 7.224.620,92

Appendice J O l

Tip o di

nave

ll\77

r6

16

)l

IO

20

))

20

40

2

4 4 8

Navi da guerra x" classe ))

)\ )l

" ))

)l

2~

))

3"' r•

,,

))

2.

)>

))

3"

)>

onerarie

di uso locale Torpediniere

!887

4

8

))

12

l

-

26 rgo


INDICE DEI NOMI DI PERSONA

33·


·,·

if


INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Acton Ferdinando, 138. Aehrenthal Alois Lexa von, 281.1, )'7· Agos Tafari, ras, 192. Airaghi Cesare, 213, 214. Alberti Adriano, 267. Albertini Luigi, 25)8, 312, 370. Albertonc Matteo Francesco, 192, 194, 195. rg6, 1<}8. 199, 200, 204, 205,

206, 208, 209, 2IO, 2Il, 2J3. 215. Albricci Alberico, 320, 32T. Alula, ras, 406. Aly. bey, 403Amadei Luigi, cjj, 97· Ameglio Giovanni, 210, 318. And rassy Gyulo, 3<;6. Annaratone Angelo, 289. Antoncll i Pietro, 406, 407. Arimondi Giuseppe. 189, 191, 192, 194, refi, 199, 200, 203, 204, 205, 208. 209, 210. Arz Arturo Straussemburg von. 381. Asburgo Alberto d', 26, 64. 6), 66. Avarna di Gualtieri Giuseppe, 3' 9· Avezzana Giuseppe, 137, r64. Bachi Riccardo, 469. Badoglio Pietro. 36o. Baldari Ugo, 25)8. Baldissera Antonio. 48, 188, 214, 216, 406. Baratieri Oreste, 141, 157, 185, r88, 189, 191. 192, 194, 195, 197, 200. 203, 20), 208, 209> 210, 211, 212, 213. 214, 215. 216, 217, 450, 453· Barone Camille, 247, 319, 337· Barzini Luigi, 25)8, 300, 302, 305, 312. Battaglia Roberto. 195, 212. 214. Battemberg Alessandro di, 414, 415. Bava Beccaris Fiorenzo, 229, 490, 491. Bellavita Emilio, r88, 199, 211, 212, 213. Below Otto von, 376.

Bencivcnga Roberto, 336, 347• 348. Benedetto XV, papa, 375· Bennet llurkigh, 306. Berchtold Lcopold, 317, 320, p1. Bernabei, 2cjJ. Benhelot Henri, 390· Benolé Vi:tle Ettore, 67. 69, 70, 71,

75· 94· 100, 10]. !31, 151, 164. 400. Bertotti Emilio, 226, 227, 235. Bevione Giuseppe, 293, 307. Bibesco C., 405. Bissolari Lconida, 238, 329. Boggio Pier Carlo. 57· Bogoljubov, 409> 4II, 413. Bonelli Ces:tre, 137> 1j8, rsr. Borea- Ricci Raffaele, 302, ~03. Borelli Giovanni, 235, 238, 240. Boroevic Svetosar von Boyl13, 377, 382. Boselli Paolo. 375· Bossy R.V., 405· Brazzà Pietro Savorgnan di. 187. Bresciani Enrico, 295, 298. Briccol:t Ottavio, 277, 284, 287, 291, 32 4· Brignone Antonio, 126. Brio Benedetto, 495• 497, 499• 500. Brizzolesi Enrico, 274. Brusati Roberto, 341, 372. Brusati Ugo. 209, 248, 259, 262. 275· 276, 2Ho, 281, 282, 283, 284, 288, 289, 304, 310, 3I2, 313, 314, J2l, 428. Bruzzo Giovan Battista, 137, 146, 147· Ij6, 2)9, 266, 268. 316, 332, 333· 335· 336, 337· 338, 339· 340, 34 1 • 342> 346, 347> 348, 349· 3)0, 353· 354· 355> -~56. 359.• 366, 368. 370. 371, 373· 374· 375> 376, 379· }80, 461.

Cadorna Luigi,


Cadorna Maria, 349· Cadorna Raffaele, r6, 70, 72, 133. Cagni Umberro, 280. Cairoli J3~nedetto, 136, 137. 145, 153, 397· 407. Campello Pompeo, 290. vo, 311, 312. Campineanu Joan. 405. CaneYa Carlo, 277, 285, 286, 287, 288, 289, 2QO, 291, 292, 302, 303, 308, 310. 312, 324· C'..apello Luigi. 291, 3 13, 314, 315, 376. Caracciolo Mario, 387. Carcano Paolo, 3 42. Carietti T ommaso, 2~. Carlo, principe di Romania, 399· 41 r. Carlo l, imperatore d'Austria, 376, 378, 38!. Casana Severino, 236, 252, 254, z6o. Castellini Gualtiero, 293. Caterina Il, imperatrice di Russia, 404. Cattaneo Carlo. 447· Cavalloni Felice. 188. Cavan, t·~di Lamban of Cavan . Cavour Camillo Benso di, 23, 28, r86, 474· Cerroti Filippo, r 12. Cerruti Alberto, 416. Chabod Federico, 48, 123. Chiala Luigi, 6). Cialdea Basilio, 405· Cialdini Enrico, 13, 44. 55· 6.3, 6 4. 6), 66, 133· 141, 163, 316, 406. Cisotti Ludovico, 124. Cittadini Arturo, 313. Clausewitz Karl von, 244. Coardi di Carpenetto Luigi. 325. Colajanni Xapoleone, 476. Conrad von Hoetzendorf Franz, 173• 2)1, 252, 2)3, 254· 269, 346, 367, 371, 382. Corradini Enrico, 293, 295, 307 . Corsi Carlo, 19, 31, 32, 34· 35· 36, 45, 51 • ;6, 6), 71 > 91 • 98, l24 . 137, l 39· 141' 240, 3;6. Corte Clemente, 100, 1o6• l 09, 1 Ij, II9. Corti Luigi. 397· 407. Cosen7, Enrico, 48, II2. 141, 143, 164, 166, 107, r68, 338. Cossu Giuseppe, 205.

Cri~pi Francesco, 151, 188, 190. 191,

192, 194, 216, 21J, 406, 450. Croce Benedetto, 336. Cugia Elisio, 55, 68, 94· Dabormida Vittorio Emanuele. q8, '49· 150, 151, 157· 192, 194· 19)· ry(i. 1<)8, 199, 200, 203, 204, 208, 209, 210, 2u, 212, 213, 214, 215. D'A)·ala Mariano, ~Dallolio Alfredo, 342, 356. 390D'Annunzio Gabriele, 31:!6. D'Armesano Enzo, 309. Davis, ~o6. De Amicis Luigi, 208, 213, 214. De Bono Emilio, 13, 46. De Broglie Jacques- Victor Albert, 1 47· De Chaurand de Saint'Eustache Felice, 324. De Cristoforis T ommaso, Il! . De Genova di Pettinengo Ignazio, 52· 6o, 61, 67. De Giorgis Emilio, 420. 421, 422, 42 3· 42 4· 42 5· Della Rocca. vedi Morozzo della Rocca. Della Rovere Alessantlro, 52, 57· De M:mino Giacomo, 354. De Merocle, 101. De Murtas Amerigo, 3IO. Depretis Agostino, 8x, 113, I25, 127, 1 33· 1 37> 145· 146, 1 51, 153· '57· 35)6, 411, 412. 413De Rossi Eugenio, 251. De Sonnaz. vedi Gerbaix dc Sonnaz. De Stefani Alberto, 469. De Vito Ludovico. 213. Diaz Armando. 380, 385. Di Giorgio Antonino. 232. Di San Giuliano Antonino, 262, 275, 288, 289, 290, 292, 294, 295, 25)6, 3 18, 319. 320, 329> 339, 340. 341,

342·

Di Revel. t edi Thaon t! i Revel. Dogliotti Giuseppe, 4 r;. Dreyfus Alfred, 227.

Elena, regina d'Italia, 419. Elia Montiglio Vittorio, 423, 425.


INIJICE DEl

NOMI DJ

Ellena Giuseppe. 192. 194, 11}6. 203, 204, 206, 20S). 210. Einaudi Luigi, 470. Enver. bey, 425.

Falkenhayn Erich von, 346, 367, 371. Fambri Paulo. 97, 440. Fanti Manfredo, 13, 16, 18, 27, 28, 40. 41, )I, 52 • 53• 57· Farini Domenico, 23, 79· 100, 105, IOS).

121.

Federico III, re di Prussia, 244· Ferrara Francesco, 481. Ferraris Carlo F., 446. Perrero Emilio, 138, 141, 142, 145, 152, '53· 154> '57> l 66, 446, 450,

451. Fcrrcro Guglielmo. 222. Ferrcro Ugo, 275. Ferri Enrico, 228. Finzi Aldo, 116. Foch Ferdinand, 385. Fortunato Giustino. 39· Foscari Pietro, 297, 298. Francesco Il, re delle Due Sicilie, 24. Francesco V, duca di Modena, 472. Frugoni Pietro, 341.

Galli Carlo, 279- 294, 295, 21}6, 297, 298, 299, 303. Calliano Giuseppe, 209. Galvagna, 401, ~· Gamerra Giovan Battisra, 205. Gandolfi Antonio, 129- 130, '42· 151, 1 57· Garibaldi Giuseppe. 16, 17, 21. 28, 30, 55, 62, 66, 67. Garioni Vincenzo, 323, 324. Gatti Angelo, 253. Gerbaix de Sonnaz Maurizio. 53, 71. Giolitti Giovanni, 234, 240, 24!.l, 250,

'·'

PERSONA

Go\·one Giuseppe. 46, 6o. 71, 94· Grandi Domenico. 341. 342. Graziani Alessandro, 470. Graziani Jcan - Césarc:, 386. Grimani, 301. Guarnieri Armando, 18. 23. Guderzo G., 477· Guglielmo I, imperatore di Germania, 454· Guglielmo 11. imperatore di Germania, 317. 318. Guicciardi Enrico. 63. Gurko Vasili. 399·

Haymerlc Alois von, •34· Hassuna, Karamanli pascià, 294, 299, 3°5· Hilmi, pascià, 421. 422. Hohenzollern - Sigmaringen Carlo di, vedi Carlo.

Imbriani Manco Renato. 188. Imperiali di Francavilla Guglielmo, 42 4· lnsabato Enrico, 294.

Kitchener Orace Erbert, 335 · Krobatin Alessandro, 382. Lambart Frederic Rudolph of Cavan. 386. Labriola Arturo, 306. Lago Mario, 303. La Gorcc Paul Marie de. cfi. La Marmora Alfonso Perrero de, t8, 2 4· 40, 44· 47, 52, ss, ss, 6r, 63, 64, 65, 66, 73• 76. 93, 101, IO), 133,

42 7·

2)1, 254· 255· 261, 262, 263. 266, 268. 269, 274, 275, 276, 288, 289, 290, 292, 293· 294• 30), 315, 319,

Lanza Giovanni, 8r, 93· u7, 127, 128. 153· 39(5. Lojola Ignazio ùi, 237. Lucca Carlo, 205· Ludcndorff Erich, 377·

320, 322, 323, 325. 329, 330- 332, 45 2 · Giovanni IV, negus, 189, 190. Golz Kolman von der, 303, 447· Gordon Carl George, 187.

Machiavelli iccolò, 333· Macchi, 447· Mac Mahon Marie Edme Patrice, l47·


Magee, 306. Maggiotto Giovanni, 325. Magliani Agostino, xsr, 153· Mack- Smith Denis, 214. Maconncn. ras, 212. Malagodi Olindo. 315, 329. Mnldini Galeazzo, 152, t55· Mancini Pasquale Stanislao, n7. Mangasci3, ras, H)O. 19-1, 406. Mangin Charles, 391. Mnntegazza Vico, 293, 407· Maria Luisn, duchessa di Parma, 15. 47 2 · Marschall von Hieberstain Adolf, 3°4· Marselli Niccola, 39· 130, 131, 139· 141, 1)1, 1 57· 240, 241. 443· 448, 4)0, 453· 4)8. Martini Ferdinando, 266. 20/. 3 1 9> ~33·

353·

Marro Prospero, 427. Masetti Augusto, 316. Massaia Guglielmo, 186. Mayno Luchino del, 399· 400. Maynoni d'b1tignano Luigi, 255, 397,

398·

Mazé dc La Roche Gustavo, 95, T37·

Moltke Helmuth Guglielmo von. B7· Montani Berardo, 241, 2-i 2, 243· Monteilhet Jacqucs, 337· Montevecchia Rodolfo Gabrielli di,

'3·

Mordini Antonio. 57· Morozzo della Rocca Enrico. 112. Mortarn Giorgio, 469. Motta Giacinto. 305. Napoleone r, imperatore. 109. Kava Luigi, 210. 341. Negri Cristoforo, r86. Nicotera Giovanni, 117, r r8, 119, 151. Nitti Francesco Saverio, 122. 502. so~ . Nivelle Robcrt George. 376.

Obedenaru, 41 r. Osman, pascià, 399· Orero Baldassarre Alessandro, 405, 406, 407, 4o8· 409. 410, 411, 412,

4 13·

Orlando Vittorio Emanuele, 3i5· Ottolenghi Giuseppe. 172. 402.

1')1.

Mazzetti Massimo, 259. Medici Giacomo, 59· 66, 67. Mcnabrca Luigi Federico, 69. 94, 100, 112, 48). Melegari Amedeo, 397· Menelik JT, negus, 1 8g, 1 go, 191, 192,

195, 2o6, 216, 217, 406, 444· Metternich Clemente di, 404. Mercatclli Luigi, 294. Mczzacapo Carlo. 109. Mezzacapo Luigi, r6, 17. 47, 48, 81, 109, II7, 12 1, 132, 133· q4, 136, 137, 142, 147, 1)4• I)), 164, r65. Milan (Obrenovié), re di Serbia, 414. Millo Enrico. 318. Milon Bernardino, 138, 152. Minghctti Marco, 81. IJ7, 127, 128, t 53· Minniti Fortunato, 162. Mirabelli Roberto. 275. Mocenni Stanislao, 446, 454• 455· Molfese Franco. 22, 23, 3r. Moltke Helmuth Karl Beruhard von. 19).

Pais - Serra Francesco, 254· Pallavicini johann, 320. Pansa Alberto, 304. Pantaleoni Maffeo, 227. Pasini Valentino. 475· Pa\·esi Angelo, 213. Peano Camillo, 274, 275. Pecori Giraldi Guglielmo. 277, 372. Pedone A., 470. Pedoni Ettore, 22-7, 228, 230. Pdloux Luigi, q8, 142. 446, 450, 452, 453: 454· 455· Perrone di San Martino Ettore, 118. Perrucchetti Giuseppe. 129, 149, r:;o, 1

5 1 • l'54· 1 57·

Pe~talozza

Giulio, 294. Petitti Bagliani di Roreto Agostino, )2, 57• )H, 59, 6o, 112, 133· Pettinengo, vedi De Genova di. Pianell Giuseppe Salvatore, 44, 48, 65. 112, T65, 166. Piazza Giuseppe, 293, 30j. Piea Giuseppe, 56. Pieri Piero, 31, 348.


INJ)(CE DEl

:-<OMI DI PERSONA

Pinellì Ferdinando, 53· Pio lX, papa, 72. Pol lera Alberto, 211 . Pollio Alberto, 65, 173, 174, 175, 176. 259, 260, 262, 264, 26'j, 266, 269, 274, 2S8, 289, 321, 322, 323, 332, 333· 335· 338, 346, 348. 428. Ponza di San Martino Coriolano, 228, 2 47· Porro Carlo, 332, 339· Prato Giuseppe, 469. 470. Primerano Domenico, 138, 168, 169. Prìnetti Giulio, 337·

Ragni Ottavio, 213, 2.91, 313, 324. Raineri Temistocle, 214. Ramorino Girolamo, 13. Ranzi Fabio, 22.1, 222, 223, 224, 225, 226, 22], 228, 230, 23J, 232, 233· 235· 236, 237· 238, 239· 240, 241, 242, 243· 244. Rattazzi Urbano, 30, 69, 94, 133. Répaci Francesco Antonio, 263, 470. Ribatti Ignazio, rs . Ricasoli Betrino, 63. Ricotti Magnani Cesare Francesco, Il, 45· 46, 48, 7 2 • 74· 76, 77> 78, Sx, 83, 84, 86, 87, 88, 93, 99> roo, 105, IO'J, II4, 117, n8, 121, 128, 132, 134, 136, 142, 155> 164, 260, 337· 443· 446, 447> 448, 450, 455· 456. Ricci Agostino, u6, 125, 127, 157· Ricci Leonardo, 470. Robecchi Giuseppe, 487, 488. Robilant Giovan Battista Nicolis d i, I6'j. Robilant Mario Nicolis di, 424, 425, 427, 428. Rochat Giorgio, ro6, 217. Rohr Franz, 348. Romano Sergio, 324Romei Longhena Giovanni, 424· Romero G iovanni, 210. Roselli Pietro, r6, 17. Rossi Celestino, 401 . Rubin de Cervin Gustavo, 417, 421 . Rubini Giulio, 337, 342. Rudinì Antonio Starabba di, 117, u8, 190, 216.

Salandra Antonio, 267, 315, 329, 330, 332, 333· 335· 337· 338, 339· 340, 34'' 342> 348, 353· 3)6, 373 · Salaris Emilio, 416. Saletta Tancrecli, r6T, r6g, r;o, 173, I 88. 248, 249, 2)0, 252, 253, 254, 255· 259· 338, 42). Salsa Tornmaso, 208, 216, 283, 284. Salvatorelli Luigi, 135· Saman, dragomanno, 297. Santini Ruggero, 228. Santoliquido Rocco, 275. Sapelli Alessandro, 205. Scaniglia Arturo, 295. Scialoia Antonio, 481 . Schouvalow, 412. Sebath, ras, 192. Sella Quintino, 87, u7, u8, 123. Serpieri Arrigo, 470. Siccardi Giuseppe, 47+ Simon Jules, 147· Sighele Scipio, 238. Sirtori Giuseppe, 29, 106. Sismondo Felice, 440. Smirli Mohamed, 295. Sonnino Sidney. 325, 342, 350, 354· Spingardi Paolo, 174, 175, 237, 240, 260, 26r, 264, 26), 266, 269, 274, 275· 276, 284, 288, 289, 321, 332, 457· Stanley John Rowland, 187. Stevani, 209. Suleiman, pascià, 399·

Tahir, pascià, 408. Taitù, regina, 206, 210. Tanfani, 401. Tassoni Giulio Cesare, 324. Tedesco Francesco, 275. Tettoni Adolfo, 341, 342, 349· Thaon di Revel Genova Giovanni, 69, 75· 94· 100. Titroni Tommaso, 254, 317, 419, 420. T ornassi, 424Torre Andrea, 312. Torre Federico, 83. Toselli Pietro, 190. Trevelyan George Macaulay, 308. Trornbi Vittorio, 304, 3r3, 315, 416, 41 7.


)20

L'ESERCITO ITALIANO DIILL,UNTTÀ ALI.A GRA:-JJ)E Gl;ERRA (1861 • 1918)

Turati Filippo, 223, 274. Turino Domenico, 204, 205.

Ulloa Girolamo, r;, r 12. Umberto I, re d'Italia, 226.

Valenzano Giovacchino, 192, 195. 208. Valfrè di Bonzo Leopoldo, r 12. Valli Giulio Luigi, 205. Velini Attilio, 403, 404. Veroggio Benedetto, 124, 127, 129,

131, 156.

Visconti Venosta Emilio, 39l'· Vittorio Emanuele Il, re d'Italia, 15, 28, 63, 64, ji, 93·

i

l l

l l:

i

l

Vittorio Emanuele III. re d'Italia, 247· 249> 2)9, 317, 3 1 8, 4'9· Viganb Ettore, 2_)1, 232. Volpi di Misurata Giuseppe, 324.

\Valdstiitten Alfred, 3j6. Weber Vittorio von Webenau, 386. \Vhiuam John. 217. Wollemborg Leone, 325.

Zampolli Isidoro, 420, 421. Zanardclli Giuseppe, 452. Zingali Gaetano, 469. Zoli Corrado. 203, 314, 3'5· Zuccari Luigi, 341. Zuppelli Vittorio, 342, 354·


Finito di stampare

il 20 novembre 1980 presso la Tipografia Regionale in Roma


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.