LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA (1861-1915)

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STATO MAGGIORE DELL ESERCITO UFFICIO STORICO

MARIANO GABRIELE

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA (1861 - 1915) PIANI E STUDI OPERATIVI ITALIANI VERSO LA FRANCIA DURANTE LA TRIPLICE ALLEANZA

ROMA 2005



RINGRAZIAMENTI

È per un debito concreto di riconoscenza che desidero premettere a questo lavoro un sentito ringraziamento a coloro che mi hanno aiutato, sia con opportuni suggerimenti utili ad impostare la tematica, sia rendendo più agevoli e rapide le ricerche. Io credo che a questo aiuto ed a questa comprensione per le esigenze dello studioso debba essere riconosciuta una funzione particolarmente preziosa. Voglio ricordare anzitutto che insieme al colonnello Enrico Pino, già Capo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, ho potuto svolgere una serie di riflessioni che hanno condotto a ridefinire la stessa fisionomia del lavoro, il quale, concepito all'inizio con riferimento esclusivo al periodo della Triplice Alleanza, ha assunto l'attuale maggiore e più logico respiro temporale. La massima parte della ricerca si è svolta presso l'Archivio dell' Ufficio Storico dell'Esercito, in Roma: desidero esprimere al generale Nicola della Volpe, insieme ai suoi collaboratori di allora; la più viva gratitudine, sia per gli utili suggerimenti, sia per le facilitazioni ottenute durante la lunga e non sempre agevole consultazione delle fonti. So di avere anche altri debiti a Roma: vorrei ricordare la dottoressa Ester Pennella dell' Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, il professor Carlo M. Fiorentino dell'Archivio Centrale dello Stato, la dottoressa Stefania Bonanni del Museo Centrale del Risorgimento, i quali tutti mi hanno offerto un'accoglienza costruttiva e gentile. Non diversamente devo dire di M. Samuel Gibiat, sovrintendente agli archivi dell' Armée presso il castello di Vincennes, a Parigi, come pure della disponibilità e della cortesia dell'ammiraglio Jean Pierre Beauvois e dei suoi collaboratori del Servizio Storico della Marine Nationale. M.G.



PRESENTAZIONE

La Savoia e Nizza sono cedute alla Francia, coerentemente con l'opzione· italiana di Casa Savoia, col trattato di Torino del marzo 1860. Nasce così per il Regno di Sardegna e per quello d'Italia, proclamato un anno dopo, il problema della frontiera occidentale, sulla quale la difesa non dispone più di tutta la regione alpina per sostenersi - ed anche così nel passato non era stata impermeabile - ma solo dell'ultima catena di monti, dai quali partono le valli che sboccano nella pianura piemontese. I militari se ne preoccupano subito, anche se all'inizio la politica estera dello Stato unitario italiano pare in sintonia con quella di Parigi. Ed hanno ragione; non per niente Salisbury dice che "la politica è mutevole come il clima di queste isole": abbastanza rapidamente gli interessi italiani e francesi divergeranno e con la Francia a Tunisi si arriverà ad un 'aperta rottura. Comincia il lungo tempo della Triplice, che evolve attraverso cinque distinti accordi. L'utilità di un legame militare preferenziale con la Germania, cui si è guardato con interesse anche prima dell'alleanza, si dimostra palese poiché in esso si individua la soluzione che consentirà di sostenere un conflitto ad ovest con serie probabilità di successo. E se prima l'inferiorità italiana rispetto alla Francia animava un dibattito teso a ricercare la difesa migliore scegliendo di combattere al piano, o allo sbocco delle valli, o ad oltranza sulle cime, l'alleanza tedesca capovolge l'approccio strategico, consentendo al Comando italiano di articolare progetti offensivi. Secondo l'intuizione del Cosenz, alla.fine accettata da tutti, l'offensiva più conveniente sul piano militare e politico non sarà quella difficile e costosa sulle Alpi sempre più blindate, ma la partecipazione della terza Armata italiana all'attacco tedesco in partenza dal Reno. Ma questa trama di fondo non si svolge in maniera tranquilla, poiché la superiorità marittima francese evoca lo spettro di


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sbarchi d'aggiramento della Linea alpina o di apertura di nuovi fronti nella penisola, problema questo che comporta il dislocamento di un 'Armata per farvi fronte. E poi, l'atteggiamento di Vienna non dà la certezza di poter trasferire davvero l'Armata che deve operare in Germania. Come arrivarci, allora, attraverso la Svizzera? Questi ed altri sono i temi che l'autore, con appassionata e competente ricerca, si propone di illustrare attraverso momenti storici assai diversi, che coprono tutta la durata della Triplice Alleanza fino al suo esaurimento, che si concreterà nella decisione politica italiana di restare neutrale nel 1914 e in quella di intervenire a fianco dell'Intesa nel 1915.

IL CAPO DELL'UFFICIO STORICO Col. Massimo MULTAR!


ABBREVIAZIONI

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AEF = Service Historique de I' Armée de Terre, Archives, Paris, Chateau de Vincennes. AMF = Marine Nationale, Service Historique, Archives, Paris, Chateau de Vincennes. APC =Atti Parlamentari Camera. AUSMM = Archivio dell 'Ufficio Storico della Marina Militare, Roma. AUSSME = Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, Roma. DL = Decreto Legge. DDI = I Documenti Diplomatici Italiani. FO = Foreign Office PRO = Public Record Office, London. R = Raccoglitore. RR = Riservatissimo. S.M. = Stato Maggiore.

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Non si riportano altre usuali (es.: cap.

= capitano).


I,.,


Capitolo I

DA ALLEATI A POCO AMICI (1859-1873)

1. LA DlFESA ALPINA NEL REGNO Dl SARDEGNA FINO AL 1859 Il confine occidentale alpino che separa l'Italia dalla Francia evidenzia un versante italiano più ripido e breve di quello francese, e una curvatura concava verso occidente caratterizzata da valli che convergono verso la pianura padana e vi rendono l'accesso dal territorio francese più agevole che non il contrario. A partire dal nord esistono cinque vie naturali di penetrazione attraverso i valichi montani del Piccolo San Bernardo, del Moncenisio, del Monginevro, della Maddalena e di Tenda, cui si aggiunge, parallela al mare, la via costiera della Cornice. È consolidata opinione che questa situazione geografica presenti uno svantaggio strategico per l'Italia, benché Napoleone ritenesse che sul fronte meridionale un esercito proveniente dall'Italia, una volta passato il fiume Var, si sarebbe già trovato in Francia, mentre per entrare in Italia da Nizza bisognava superare prima il colle di Tenda o forzare la via della costa. Più a nord, un esercito francese diretto in Piemonte doveva affrontare uno dei colli - Bonaparte citava il Piccolo San Bernardo, il Moncenisio, il Monginevro, la Maddalena e l' Argentera - siti sulla linea di displuvio - la haute crete des Alpes - che potevano essere fortificati perché appartenevano all 'avversario, e costituire così l' ostacolo più difficile da superare. Bonaparte prendeva poi in considerazione le difese naturali ai confini, che potevano essere catene di montagne, deserti e grandi fiumi; così l'Italia aveva le Alpi, la Francia il Reno e l'Egitto i deserti: secondo la sua opinione "di tutti questi ostacoli, i deserti sono i più difficili da superare, le montagne hanno il secondo posto, i larghi fiumi solo il terzo" E proprio per eliminare ostacoli ai movimenti degli eserciti francesi verso l'Italia, Napoleone aveva fatto demolire le preesistenti fortificazioni alpine che coprivano il versante


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italiano, dimenticando solo quelle di Fenestrelle, forse per un difetto d'informazione. Dopo la Restaurazione, il governo di Torino le ricostruì e le migliorò, impiegando circa vent'anni (1818 -1838). L' impostazione strategica corrispondeva a quella che aveva ispirato nel secoJo XVIII la vecchia "Linea fortificata delle Alpi", destinata a coprire soprattutto le vie d' invasione centrali dal Moncenisio dove il forte dell'Esseillon costituiva una punta di lancia avanzata verso Moda ne - ali' alta valle del Chisone, recuperando alle ali il forte di Bard in Val d ' Aosta e quello di Vinadio in Val di Stura 1. Apparentemente, questa politica non si dava carico della difesa della Liguria, acquisto recente dello Stato, ma sul fronte piemontese appariva in sintonia con le valutazioni napoleoniche circa la maggiore efficacia della difesa sulle posizioni montane in territorio italiano. E infatti, pur potendo munire la Savoia e la contea di Nizza che appartenevano allora allo stesso sovrano, Tori no non scelse una difesa organizzata in profondità che si avvalesse di linee avanzate più occidentali. Parrebbe quindi che il versante italiano, nonostante il richiamato svantaggio strategico, apparisse naturalmente vocato a sostenere la linea difensiva dello Stato regionale sardo verso la grande potenza francese. Che il condizionamento politico fosse forte è testimoniato dai numerosi elementi di informazione militare (carte, statistiche, ecc.) che Torino raccoglieva sulla Francia durante quei decenni , e particolarmente nel corso degli anni ' 20 in relazione alla demarcazione della frontiera 2 . Intorno al 1850 gli studi per organizzare la difesa del Piemonte ricevettero nuovo impulso e nel 1853 il colonnello Giustiniani rilevava che "benché la Savoia e Nizza siano unite dalla loro tradizione al sistema Piemonte, si è costretti a riconoscere che queste contrade ultramontane avrebbero difficoltà, specialmente la Savoia, ad identificarsi nel sistema italico" 3 • 1

Cfr. E. Castellano, Le fortificazioni permanenti sulle Alpi occidentali, in Memorie storiche militari 1983, Roma, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, 1984, pp. 561-67. 2 Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Magg iore Eserc ito (d'ora in poi indicato con AUSSME), G 25, Studi tecnici, R. 9 e R. 13. 3 AUSSME, G 26, Studi topografici, R. 15.


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Sono noti gli sviluppi della politica cavourriana, con l' intervento sardo nella guerra di Crimea, che consentì di portare il problema italiano alla ribalta europea, e l'alleanza con Napoleone III per la seconda guerra d'indipendenza. In questa occasione, il corpo di spedizione francese poté schierarsi tempestivamente in Italia, oltre che per le esitazioni austriache, perché il porto di Genova fece miracoli e si poté evitare il trasferimento via terra di una parte notevole de lle truppe, attraverso passi che, pur in mano ad alleati che avevano un interesse vitale a rendere più spedita la marcia delle forze francesi, erano pur sempre faticosi da superare. 2.

IL NUOVO CONFfNE DEL

1860

Col trattato di Torino del 24 marzo 1860 la Savoia e Nizza venivano cedute alla Francia. Tre giorni prima il maggior generale di S.M. sardo Giuseppe Ricci firmò il suo "Parere sopra la nuova frontiera verso la Francia dalle Alpi al mare", che prendeva in considerazione la demarcazione confinaria con la contea di Nizza per "delimitare la nuova frontiera in modo che possa servire di valida barriera agli Stati di Sua Maestà" A sostegno delle proprie vedute, l'estensore riportava in appendice le osservazioni napoleoniche già richiamate. La prima linea di difesa, "che devesi collegare alla difensiva generale dello Stato è quella che scorrendo per le Alpi Marittime sino al Monte Clapier, continua pel contrafforte che separa la valle di Vesubia da quella della Roja" Le Alpi Marittime venivano considerate "una valida difesa" perché i passi tra le valli di Tinea e di Vesubia e quelle del Gesso e della Stura "non sono praticabili che alle bestie da soma od ai pedoni e quasi impossibile sarebbe il passo alla artiglieria" Tutti i colli del resto, dal Lombarda al Pourriac, "scendono superiormente al forte di Vinadio. Quelli poi che mettono nella valle del Gesso sono molto alpestri e di facile difesa, né potrebbe un corpo d'esercito traghettarvi coll'artiglieria. Si potrebbero all 'occorrenza costrurre trincieramenti in alcune località ... e questi sarebbero tali da aumentare grandemente gli ostacoli . Il contrafforte che separa la valle di Vesubia da quella della Roja presenta sulla sua destra e sulla sinistra posizioni fortissime: il centro è più debole. Infatti dal Monte Clapier sino al-


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l' Aution i monti sono assai scoscesi" e costruendovi qualche trincea "riesce assai malagevole al nemico scacciarne i difensori"; lo stesso poteva dirsi, a parere del Ricci, per il fronte che saliva dal mare all'altezza di Monaco, mentre più debole appariva la zona della valle della Bevera, che andava maggiormente munita di opere e dotata di difensori più numerosi. "Nel caso che questa linea venisse forzata al centro si potrebbe resistere più indietro appoggiandosi alla destra al castello del1' Aution; il centro sarebbe formato dal contrafforte che separa la valle di Bevera da quella della Roja e la sinistra per le roccie del Grammondo si collegherebbe al ponte di San Luigi o meglio ancora al forte di Ventimiglia" Ma la linea più forte sul fronte meridionale, come già aveva rilevato Napoleone, era quella della Roja: la destra corre dal Monte Clapier all' Aution; il centro, "formato dal tratto compreso fra l' Aution e la croce di Moriaga, presenta delle posizioni convenienti e la strada postale che traversa le gole di Saorgio si può molto opportunamente difendere. La sinistra che si estende lungo il contrafforte che separa la Nervia dalla Roja è pur essa molto forte salvo nella parte estrema verso il mare ove dovrebbe essere munita di opere di fortificazione campale. Però questa parte rimane coperta dal forte di Ventimiglia che il nemico dovrebbe espugnare prima di attaccarla seriamente onde impadronirsi della via del Littorale" Non conveniva pertanto cedere alla Francia alcuna parte delle valli della Roja e della Bevera, poiché abbandonando la valle della Roja da Breglio verso la sorgente la difesa "sarebbe più difficile e meno efficace, ed il versante del Piemonte resterebbe scoperto", con ripercussioni negative anche per la Riviera di Ponente; "Nel caso poi che tutta la valle della Roja dovesse cedersi, in allora non sarebbe che con la preponderanza delle forze che si potrebbe impedire l'avanzarsi del nemico nella Riviera, e quindi potrebbe ritenersi aperta da questo lato l'entrata negli stati. È quindi indispensabile per avere una buona frontiera militare che la cessione non si estenda oltre la valle del Varo di Tinea, Vesubia e del Paglione e che il limite dei due stati sia formato dalle Alpi Marittime dall 'Enciastraja sino al Monte Clapier, quindi segua il contrafforte che separa le valli di Vesubia e del


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Paglione da quelle di Roja e Bevera e scenda al mare tra Mentone e Monaco" 4 _ Queste considerazioni furono tenute presenti dalle autorità politiche del Regno di Sardegna, le quali nel settore meridionale conservarono sostanzialmente quella linea della Roja che il Ricci aveva indicato indispensabile, mentre per il resto del confine mantennero la linea dello spartiacque. Nel complesso, era una buona frontiera, anche se l'arretramento territoriale non poteva essere indolore. E infatti la cessione della contea di Nizza rese impossibile conservare le prime due linee di difesa indicate dal Ricci, peraltro meno importanti della terza, e nel settore del Moncenisio il forte dell'Esseillon rimase fuori dai confini sardi. Il passaggio dell'Alta Savoia alla Francia provocò le proteste svizzere. L'articolo XCIII de] trattato di Parigi del novembre 1815 aveva stabilito che i territori della regione appartenenti al re di Sardegna "faranno parte de]]a neutralità della Svizzera": tale clausola, garantita dalle potenze, prevedeva che in caso di guerra imminente le truppe sarde si ritirassero, lasciando solo agenti civili, e che la Confederazione svizzera potesse mandare propri soldati nell'Alta Savoia. Tra il 1815 e il 1860 gli svizzeri non lo avevano mai fatto, ma ora, col trattato di Torino, si trovavano al confine una grande potenza militare, dalla quale certamente sarebbe stato più difficile ottenere l'osservanza dei vecchi accordi. In effetti la Francia non avrebbe mai ascoltato le proteste elvetiche e anzi, basandosi sul fatto che le truppe francesi erano passate per l'Alta Savoia nel 1859 e nel 1870-1871, uno scrittore militare parigino avrebbe scritto che si trattava di "una stipulazione caduca senza applicazione pratica" 5 . In linea di fatto, è difficile negare che il successo della pretesa di limitare la sovranità di una entità statuale incontrava maggiori difficoltà in relazione al rango e alla dimensione di questa potenza. 4

AUSSME, G 25, Studi tecnici, R. 13. Il Ricci insisteva sulla necessità che le sorgenti della Roja non fossero considerate appartenenti al versante francese, "quantunque quei territori abbiano fatto parte del Contado di Nizza" e raccomandava di tenere conto dello spartiacque per tracciare il confine, invece che dei territori amministrativamente pertinenti ai comuni ceduti, "i quali valicano il displuvio e si estendono sul versante piemontese e quindi ne rimarrebbe pregiudicata la linea di difesa" 5 Vedi cap. E. Belvederi, La neutralità della Savoia, memoria del marzo 1894, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito R.R., R. 42.


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Anche i I colonnello Agostino Ricci, scrivendo nel 1872, avrebbe sostenuto che col trattato del 1860 non era stata tolta ali ' Italia la possibilità di difendersi sulle Alpi: le veniva riconosciuto, piuttosto, un vantaggio locale, poiché aveva conservato il possesso della linea di displuvio 6. Restava fermo che ai fini generali della difesa "in vista della massima che le Alpi si devono difendere sul Po", il ruolo del confine era quello di "ostacolo logistico", destinato a ritardare la marcia del nemico e a guadagnare tempo per radunare l'esercito in pianura 7 3. LA FRONTIERA N-0 NEL PROGE'ITO GENERALE DI DIFESA DELLA PENISOLA

Lo Stato unitario avvertì, fin dalla sua nascita, l'urgenza di affrontare problemi indilazionabili in tema di sicurezza militare. Venne istituita a tal fine, nel gennaio I 862, la Commissione permanente per la Difesa del Regno, presieduta all ' inizi o dal principe Eugenio di Savoia-Carignano, che lavorò con l'aiuto di varie Sottocommissioni e pervenne nel 1866, prima della terza guerra d'indipendenza, a delle conclusioni circa quello che avrebbe dovuto essere il piano generale di difesa dello Stato. In seguito ali ' annessione del Veneto, i lavori furono riaperti per aggiornare la parte che riguardava i nuovi confini. Nel 1866 il precedente orientamento strategico trovava conferma. Il 2 1 febbraio la Commissione ribadì che "si dovevano

6 A. Ricci, Appunti sulla difesa dell'Italia in generale e della sua frontiera N. O. in particolare, Torino, Loescher, 1872, p. 6 l. 7 Castellano, cit., p. 567 . È curioso che nel 1863 venissero esaminati anche gli ostacoli che si opponevano ad una avanzata dall' Italia: " I passaggi più importanti per i quali si può penetrare in Francia sono il colle del Simplon, del gran San Bernardo, del piccolo San Bernardo, il monte Cenisio" Vi si sarebbero opposte tre linee di difesa: la prima ancorata ai forti alpini e a Briançon, la seconda da Grenoble a Saint Tropez, la terza da Lione a Tolone, AUSSME, G 25, Studi tecnici, R. 9. Il discorso non è privo di stranezze: 2 delle supposte vie d ' invasione su 4 implicavano il passaggio attraverso il territorio svizzero, e tutte insieme parevano indicare un'operazione da condursi sulla destra dello schieramento italiano, ma poi si parlava di fronti difensivi francesi che andavano da Grenoble e da Lione al mare, che avrebbero lasciato scoperte le congiungenti per Ginevra.


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guardare tutti i varchi accessibili alle artiglierie e per un tal fine si potrà proporre un fortino permanente in ciascuna valle, il quale sia situato in posizione conveniente da sbarrare la strada", o anche una fortezza allo sbocco di due o più valli. La linea "essenziale" di difesa sarebbe andata "da Genova sul mare a Casale sul Po", scelta che comportava l'abbandono dell'idea di costruire una grande piazza nell'Alto Piemonte e, per contro, l'ampliamento della piazza di Alessandria e il rafforzamento di quella di Genova; sulle colline a levante di Torino si potevano costruire fortificazioni "transitorie" 8• Seguendo queste indicazioni e mantenendo costantemente un occhio rivolto ad evitare levitazioni di spesa lavorò la Sottocommissione incaricata di studiare il progetto generale di difesa della 1a zona (frontiera delle Alpi verso la Francia e la Svizzera, Appennino sino al colle Giovi, Riviera da Ventimiglia a Genova, valle del Po dalla sua origine a Stradella). È utile esaminarne in particolare le conclusioni. La frontiera verso la Confederazione elvetica non destava preoccupazioni, "considerando il grande interesse che la Svizzera ha a conservare la sua neutralità nelle lotte tra le potenze d'Europa, per cui difficilmente occorrerà il caso di vederla intervenire in una guerra contro l'Italia e ritenendo che avvenendo un caso consimile sarà molto più conveniente per l'Italia di invadere le regioni svizzere che sono al di qua delle Alpi per portarsi a difenderne la sommità, anziché di attendere il nemico alla sottostante frontiera, ha unanimemente opinato che non sia il caso di custodire con opere permanenti il confine svizzero" Ben diversa era la situazione lungo la frontiera francese. In Val d'Aosta bisognava "migliorare le fortificazioni di Bard ed occupare più fortemente le posizioni dominanti" Il Moncenisio era "incontestabilmente il passo più importante che l'Italia avrebbe a custodire e difendere in una guerra contro la Francia, sia perché la strada è ottima, sia perché essa fa capo per ora all'unica strada ferrata che giunga prossima ai nostri confini ... Ora egli è chiaro che lo sbarramento della strada oltre Susa assicura al difensore il possesso della più importante città di quella valle, la quale sarebbe invece abbandonata se si stabilisse lo sbarramento a S. Jorio

8 AUSSME, G 25, Studi tecnici, R. 14.


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(come altri aveva proposto), e fornirebbe risorse non disapprezzabili al nemico. Inoltre la piazza di Susa, finché resiste, non solo rende impossibile ogni attacco da tergo di Exilles, ma contribuisce anche ad impedire per un certo tempo lo sbocco del nemico dalla valle della Dora sopra Susa quando pure fosse caduto Exilles, e ciò mediante l'opera proposta sopra uno dei poggi del Giaglione, la quale dovrebb'essere d'una qualche importanza. Nessuno di questi vantaggi si hanno per la località di S. Jorio: che anzi la fortezza d' Exilles potendo immediatamente essere presa a tergo dal nemico che giunge senz'ostacolo a Susa, diverrebbe quasi inutile" Appariva anche opportuna "la costruzione di un'opera principale e armata potentemente di artiglierie sull'altura del Giaglione per battere la valle della Cenischia ed i rami più bassi della strada del Moncenisio" e di una ridotta in roccia sul versante settentrionale della valle "onde battere anche il letto della Cenischia ed i rami più bassi della strada del Monceni sio che sono nascosti al forte Giaglione"; si aggiungevano una batteria presso Venaus e un'opera aggiuntiva sul Giaglione per avere sotto tiro lo sbocco della valle della Cenischia e la strada proveniente da Exilles, le cui fortificazioni sarebbero state rese più efficaci con due nuove batterie protette ed altre opere a difesa della rotabile. Infine "la Sottocommissione, nel proporre a Susa la vera opera definitiva per sbarramento della strada del Moncenisio crede però di dover aggiungere che ad agevolare la difesa di questo importantissimo passo dovranno essere formate delle tagliate con corpi di guardia difensivi ai punti della strada che offrono miglior opportunità di fermare il nemico" Era evidente che il Moncenisio era considerato la principale via d'invasione e perciò vi si dedicava l'impegno maggiore, integrato dal potenziamento delle fortificazioni di Fenestrelle nella valle del Chisone, quasi parallela a quella della Dora Riparia nello stesso saliente verso il confine. Nella valle di Varaita era prevista la realizzazione di un forte a Casteldelfino, mentre in Val di Stura si poneva il problema di valutare se era possibile mettere il forte di Vinadio in condizioni di resistere all'artiglieria moderna, e in caso negativo studiare la ricostruzione del vecchio forte di Demonte, ancora più lontano dalla frontiera: al colle del Mulo sarebbe dovuta sorgere una caserma fortificata. Sulla strada che veniva dal colle di Tenda sareb-


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be stata costruita, a Borgo San Dalmazzo, "una piccola piazza con semplice scopo difensivo per obbligare il nemico ad intraprendere opere d'assedio", estendendone il raggio d' azione fino alla Stura, nei pressi di Gaiola. Il fronte costiero ligure, che aveva alle spalle le Alpi Marittime e gli Appennini, era considerato con una certa preoccupazione. L'incaricato dello studio di dettaglio pensava che rinforzando le fortificazioni di Ventimiglia e creandone altre all ' interno, la linea della Roja avrebbe potuto per "lungo tempo contrastare il passo ad un Esercito nemico sulla strada della riviera e conseguentemente un'invasione in Piemonte per i passi dell' Appennino" Ma " la Sottocommissione teme che una linea di difesa appoggiata a fortificazioni di non grave momento ... possa essere seriamente compromessa ali' aprirsi delle ostilità, massime se queste succedessero improvvisamente e che il Governo non avesse avuto il tempo di concentrarvi un numero competente di truppe, sulla cui azione appunto verrebbe a basarsi la principale resistenza della linea" Si prospettava quindi, come possibile alternativa, un arretramento sulla linea della Nervia, integrata da una fortezza di sbarramento della vi a litoranea, da ancorare a un contrafforte che scendesse al mare prima di Oneglia. In seconda battuta caserme fortificate di presidio si sarebbero poste sui com strategici di Nava, di S. Bernardo, di Melorio, di Cadibona, aggiungendovi " la costruzione di una piccola fortezza a Ceva... onde obbligare il nemico a procedere ad operazioni d'assedio" Approvato il rafforzamento del fronte a mare della strada di Vado, così da farne anche una possibile base d'appoggio per la flotta, la Sottocommissione si soffermava sull'importanza militare di Genova. La direzione locale del Genio, alla fine del 1863, aveva preparato un piano ambizioso, ma veniva osservato "che nel1' antico Regno di Sardegna la piazza di Genova non solo faceva parte della linea principale di difesa in qualsiasi ipotesi di avvenimenti militari, ma era ancora da una parte l'ultimo ridotto di resistenza in caso di guerra sul continente, e dall ' altra la sola piazza marittima dello Stato dove la piccola Marina Sarda aveva i suoi stabilimenti e poteva rifugiarsi contro una flotta nemica superiore di numero; che coll'annessione della Lombardia, dei Ducati e dell'Italia Centrale la sua importanza non aveva fatto che accrescersi ancora, mentre il suo compito era lo stesso e solo si era aggiunta


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la circostanza di dover tutelare gli interessi di uno Stato triplicato di forze e di territorio. Ma ora che l'Italia si raccolse in uno Stato unico dalle Alpi alla Sicilia, ha trasferito la sua Capitale al centro della penisola ed il suo arsenale marittimo alla Spezia, egli è impossibile il non riconoscere che Genova ha scemato notevolmente d' importanza dal lato militare ... In una guerra contro la Francia trovandosi essa in prima linea e quindi validamente sostenuta dalle truppe attive non è quasi ammessibile l' ipotesi che abbia a servire di ridotto finale di resistenza, oltreché in questo caso i principali e più temibili effetti sono a temersi dalla parte del mare sia per la preponderanza della Marina nemica, sia per la maggiore facilità di ottenerne la reddizione con un bombardamento" Il piano della direzione del Genio era sovradimensionato, e "avrebbe ancora l' inconveniente di doverne accrescere in tempo di guerra il presidio di sicurezza" Gli apprestamenti difensivi di Genova dovevano invece restare a livello locale, sia pure aumentando le difese dal lato di terra e di mare per porre " la piazza in grado di resistere alle moderne artiglierie, ma senza estenderne il raggio d'azione". Le opere che il Genio aveva proposto di realizzare da Arenzano a Portofino andavano quindi ridimensionate per la difesa diretta della città e del porto, sfruttando anche il vantaggio tattico offerto dalle alture retrostanti. Il pericolo veniva dal mare e per tale motivo "resta dal lato militare sommamente giustificata la proposta di riunire i tre forti Begatto, Sperone e Castellazzo per formare una cittadella in cui il difensore possa ritirarsi quando la parte bassa della città divenisse intenibile per un attacco dal mare" Altre opere e miglioramenti campali venivano poi suggeriti in località piemontesi ben all ' interno della cinta montana, al fine di ancorare meglio al terreno la linea del Monferrato intorno a Casale, ad Alessandria e a Valenza, tra il Tanaro ed il Po. Le vecchie fortificazioni dovevano essere rafforzate per poter resistere - era questa una preoccupazione costante - alle artiglierie moderne. Pareva anche opportuno aggiungere "una testa di ponte da costruirsi con opere permanenti a Chivasso, e ciò sul riflesso che per opporsi allo sbocco de l nemico dalle valli e specialmente da quella principale della Dora Riparia, potrebbe avvenire il caso che le truppe italiane fossero sorprese con forze superiori prima di essersi ritirate sulle colline a levante di Torino, ed in tal caso il pas-


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saggio del fiume di fronte ad un nemico vittorioso potrebbe riuscire disastroso per i difensori se non fosse protetto efficacemente da qualche opera di fortificazione. E siccome non sarebbe conveniente sotto nessun aspetto in somigliante ipotesi di attrarre il nemico verso Torino, né possibile di costruire ivi una semplice testa di ponte sulla riva sinistra per coprire il passaggio senza compromettere la città, così non resta altra scelta possibile che la posizione di Chivasso, la quale d'altra parte è assai conveniente sia dal lato strategico per essere nodo di due strade importanti sulla riva destra, sia dal lato tattico per la protezione che l'opera riceve dalle retrostanti co1Une" 9 Le indicazioni e le argomentazioni citate erano coerenti con le premesse strategiche definite dalla Commissione per la difesa dello Stato, ma alla vigilia della terza guerra d'indipendenza, gli studi militari verso la Francia avevano ancora una notevole componente scolastica poiché nulla pareva giustificare l'ipotesi di uno scontro con quella potenza. Malgrado infatti il fastidio di Napoleone III per qualche irrequietezza italiana riguardo a Roma ed ai Balcani, il rapporto tra i due Stati era buono, tanto che l'Italia era considerata quasi un satellite della Francia. Si può ricordare che in quel tempo Parigi si prestò a favorire intese italo-pontificie contro il brigantaggio 10 e che Napoleone III fece da tramite per il passaggio del Veneto all'Italia dopo l'infelice guerra del 1866. 4. T EMPESTA PER LA QUESTIONE ROMANA

Il 1867 cambiò le carte in tavola. L'anno non era incominciato male per l'Italia, che in primavera era stata chiamata per la prima volta a partecipare al concerto delle potenze europee, invitata da Londra per la questione del Lussemburgo. Ma già in febbraio

9 Verbale definitivo della Sottocommissione, 22 febbraio 1866, pp. 19-35,

AUSSME, G 25, Studi tecnici, R. 13. IO Il 15 febbraio 1865 il ministro degli Esteri Lamarmora informava il ministro della Guerra, Petitti di Roreto, che il governo imperiale francese era "pronto a riattivare le convenzioni esistenti prima dell'or decorso ottobre fra le autorità militari italiane e pontificie" contro il brigantaggio. Ulteriori accordi in proposito vennero stipulati anche nel 1867 e nel 1868. AUSSME, G 13, Carteggio confidenziale del Ministro, R. 13.


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sulla questione di Roma c'era stato un irrigidimento di Napoleone che aveva ammonito a non sottovalutare il peso dell'opinione pubblica francese. L'estate peggiorò i rapporti: da un lato Garibaldi minacciava di invadere lo Stato Pontificio e il governo italiano, apparendo teso a sminuire il pericolo, passava da complice; dal1' altro il generale Dumont arringava la legione di Antibo esortandola a combattere fino all'ultimo sangue per difendere il potere temporale e il rappresentante diplomatico di Napoleone a Firenze, Malaret, parlava villanamente di " stupore" per "l'imperizia" italiana. In settembre Garibaldi fu arrestato e spedito a Caprera, ma in ottobre fuggì , si recò a Firenze e ne ripartì indisturbato per assumere il comando dei volontari garibaldini. Il governo Rattazzi credette erroneamente di poter fare intervenire a Roma truppe regolari col pretesto di difendere il Papa dagli insorti. La reazione francese fu durissima: il 19 ottobre Parigi chiese, in forma ultimativa, "provvedimenti di pubblica repressione" contro il movimento garibaldino, provocando le dimissioni del governo. Il 20 Vittorio Emanuele ricevette, dal genero principe Gerolamo Bonaparte, un telegramma allarmante: "Non c'è un minuto da perdere ... non avete ben capito la gravità (della situazione). La spedizione deve ricevere ordine di partire se non accettate l'ultimatum. Si mandano a Roma 20.000 uomini ed entro 8 giorni altri 20.000. È la guerra all'Italia con conseguenze paurose e smembramento, poiché l'Imperatore si crede imbrogliato, è decisissimo e non vede compromessi" Mentre l'idea di salvare capra e cavoli attraverso un intervento misto di truppe italiane e francesi complicava ulteriormente le cose, si profilò un disastro politico: Rattazzi era dimissionario, il successore non si trovava. Il re decise di cedere, ma furono giorni terribili prima che il Menabrea riprendesse il timone dello Stato: ciò avvenne il 27 ottobre, lo stesso giorno in cui la spedizione francese partì per Civitavecchia. Il fragile Regno d'Italia si trovò improvvisamente esposto a venti di guerra. Il ministro della Marina Federico Pescetto ordinò al Riboty, comandante della squadra, di prepararsi su telegramma ad attaccare la flotta francese; ma la squadra italiana, a parte la sua schiacciante inferiorità, aveva a bordo equipaggi arrivati da poco e non abbastanza addestrati, così che l'ammiraglio dispose che in caso di scontro le navi si sareb-


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bero gettate addosso al nemico col rostro, lasciando perdere il cannone. La disperazione di questa scelta spicca ancor più ove si ponga mente che la flotta francese aveva progettato uno sbarco a La Spezia, con ]'ambizioso progetto di giungere per quelJa via all'investimento di Bologna da parte delle truppe sbarcate. Il generale Pettinengo telegrafò da Napoli il 26 ottobre al ministro della Guerra, Giovanni Thaon di Revel: "Se vero imbarco francese pensa eventualità insulto e di sbarco a Napoli, e quindi se credi provvedi a mia proposta viveri e artiglieria Gaeta e Capua"; il ministro ripose che il governo non intendeva "per ora contrastare l' adito a Civitavecchia e Roma ai Francesi; non è caso di dimostrazione ostile né tampoco di sbarco costì" Intanto il comandante della divisione di Torino, generale Driquet, chiedeva affannosamente al Comando del Corpo di S.M. carte topografiche di Moncalieri, Susa, Exilles, Colle di Tenda, Fenestrelle, Vinadio e Bard 11. La confusione era tanta. Con pessimismo Crispi scrisse a Pasquale Stanislao Mancini, il 27 ottobre: "Quando i Francesi saranno a Roma, noi senza denaro, senza esercito, senza flotta, senza una mente direttiva ... avremo dato lo spettacolo della nostra impotenza e potremo forse cadere nell ' abisso" Faticosamente, il nuovo governo Menabrea ne uscì, sebbene si trovasse esposto da un lato con la Francia e dall'altro con la maggior parte dell'opinione pubblica nazionale. Qualche modesto aiuto diplomatico inglese e russo e, soprattutto, l'isolamento in-

11 Oltre tutto, i soldati erano bersagliati da scritti sediziosi e da incitamenti a disertare per unirsi ai garibaldini, e non si può negare che questi sviluppi, i quali destavano vive preoccupazioni nelle autorità militari, fossero stati favoriti dalla condotta oscillante del governo. Tra fine ottobre ed inizio novembre, ad esempio, il prefetto d.i Bologna segnalò che studenti e richiamati in partenza per Milano erano stati " incitati a ribellarsi agli ordini che loro fossero dati per combattere i volontari garibaldini ed usare le armi contro le truppe francesi, quando queste si trovassero con le nostre sul territorio romano", che altri studenti si erano pronunciati a favore della "rivolta armata contro le truppe francesi", che un gruppo di 71 4 soldati aveva gridato "morte al Papa e a chi lo sostiene". AUSSME, G 13, Carteggio conjìdenziale del Ministro, R; 10; G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 16; A.V. Vecchj, Memorie di un luogotenente di vascello, Roma, Voghera Ed., 1897, p. 339; D. Bonamico, Scritti sul potere ma rittimo (1 894-1905), a cura di F. Botti, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1998, p. 17.


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ternazionale della Francia permjsero al governo di Firenze di superare le difficili settimane di novembre. Dopo Mentana (3 novembre) vi furono manifestazioni popolari da Torino a Napoli, mentre i francesi, imbaldanziti dal fac ile e rapido successo di Mentana, non mostravano moderazione. Prevenendo un ultimatum francese - il ministro della Guerra Bertolè Viale poté in tal modo smentirne l' esistenza al Comando del Corpo di S.M. - a mezzanotte del 4 novembre Menabrea ordinò alle truppe regolari di ritirarsi dallo Stato Pontificio, rafforzò le difese, mobilitò 5 nuove divi sioni, ma cercò la distensione con Parigi. Il 2 dicembre ci fu un ritorno di fiamma. Parlando all ' Assemblea il ministro degli Esteri Rouher pronunciò un discorso polemico verso l' Italia e a nome del governo francese dichiarò che "l'Italia non si impadronirà mai di Roma! Mai. Mai la Francia sopporterà questa violenza fatta al suo onore ed alla cattolicità" I deputati, gridando a loro volta "Mai! Mai!", acclamarono eccitati Rouher alla tribuna. Non accadde nulla di irreparabile, ma il 5 il ministro della Guerra chlese al generale Driquet di sorvegliare i "preparativi che la Francia fa in Savoia ed a Lione" e di riferirgli . Fu allora che a Londra filtrò la minaccia di Napoleone !Il di spezzare l'Italia in tre stati, come era stato nei suoi piani originari del 1859. Era un momento basso: l'ambasciatore austriaco a Londra, di passaggio a Roma, scrisse al cancelliere Beust di avere saputo che lord Clarendon aveva incontrato a Firenze i massimi esponenti italiani traendone, salvo che per Menabrea, una impressione desolante e la convinzione che l' Italia fosse "molto malata": i discorsi del Re, poi, gli erano parsi strani perché se l'era presa con tutti, compreso Napoleone Ili, al cui fianco peraltro aveva detto di essere pronto a combattere contro la Prussia 12 •

5. Lo

STUDrO DEL CAPITANO M ARCHESI SUL SETTORE CENTRALE

La tensione per Mentana, tuttavia, non si era dissolta completamente e non erano scomparse le conseguenti preoccupazioni in 12

Cfr. R. Mori, Il tramonto del potere temporale, Roma, Ed. Storia e Letteratura, 1967, pp. 125-285 e 567-69; D. Mack Smith, I Savoia Re d 'Italia, Milano, Rizzoli, 1990, p. 62; AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. I6.


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campo militare. Nel 1868 il capitano Marchesi mise a punto un documento intitolato "Studi preliminari sulla difesa italiana nel1' ipotesi di un'invasione francese" Egli partiva dal presupposto che i francesi non potevano tentare un'operazione principale contro l'Italia da Roma o dal mare, ma solo dalla frontiera terrestre. Questa, estesa per 380 km, era caratterizzata da valli divergenti verso la Francia e convergenti verso l'Italia, con contrafforti più lunghi e dolci sul versante francese e più corti e ripidi su quello italiano. Ciò determinava una situazione sfavorevole ad una offensiva delle forze nazionali, ma le favoriva per la difensiva poiché le truppe potevano "correre ad impedire la congiunzione delle colonne francesi che venissero in Italia" I passi alpini presentavano difficoltà per l'invasore, ma l'esito decisivo si sarebbe avuto nella valle del Po, dove le forze italiane dovevano condurre una guerra offensiva per linee interne, anche se gli attacchi avversari fossero venuti da più direzioni. Il Marchesi contestava le vecchie idee, secondo cui "perduta la valle del Po era perduta l'Italia", tuttavia riconosceva alla valle padana la condizione di "centro della vitalità militare" italiana. Secondo le sue valutazioni la Francia, dovendo precauzionalmente coprire Parigi e le frontiere renane, non poteva impiegare in Italia più di 300.000 uomini, di cui 50.000 al massimo per una diversione strategica, da condursi in partenza dallo Stato Pontificio contro Firenze o dal mare contro l'Italia meridionale. Da parte italiana si potevano opporre 350-400.000 uomini, che in campo aperto avrebbero dovuto assicurare la superiorità. Si poteva supporre che la Savoia e Nizza sarebbero state le teste d'invasione, i trampolini contro l'Italia, e che il concentramento delle forze francesi avrebbe avuto luogo nei piani di Guillestre e sulla linea Briançon-Mont Dauphin, sfruttando le capacità di trasporto della ferrovia parallela alla frontiera che rivestiva una notevole importanza militare. Le forze italiane non avrebbero dovuto essere sparpagliate per combattere sui passi alpini, dove invece conveniva affidare la guerriglia a giovani ufficiali ed a valligiani armati, che per la loro conoscenza dei luoghi potevano meglio molestare il nemico. Centro della difesa strategica italiana era considerato il nodo Alessandria-Valenza-Tortona, contro cui era prevedibile che sarebbero state avviate le forze francesi, una volta superata la cerchia alpina,


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lungo la riva destra del Po: se invece si fossero mosse sulla sinistra del fiume, si sarebbero allontanate dagli obiettivi ed avrebbero incontrato una successione di linee dife nsive. Per condurre battaglie manovrate, il campo di battaglia del Po poteva essere utilizzato anche in grande profond ità: il Marchesi nominava la linea della Scrivia e Tortona, ma anche Piacenza e perfino il quadrilatero delle fortezze lombardo-venete. La prima indicazione strategica partiva dalla considerazione che i francesi avrebbero scelto le vie principali, a causa delle dimensioni dell ' esercito, e il compito delle forze italiane, raccolte in grandi masse, era quello di battere separatamente allo sbocco delle valli i diversi contingenti d'invasione, prima che potessero riunirsi. Con queste premesse venivano in particolare all 'attenzione gli itinerari del settore centrale - Val di Susa e Valle del Chisone cui il grosso avversario avrebbe avuto accesso diretto dal suo punto di radunata in Savoia. Ciò poneva nella massima evidenza la via del Moncenisio, per la quale si poteva scendere verso Torino, anche se era sbarrata a Susa da una piazza-forte; peraltro, se i francesi avessero voluto puntare su Torino, era probabile che cercassero un successo più a valle, in modo di aggirarla invece di investirla. La linea difensiva in alta quota, sia per le difficoltà naturali che per le fortificazioni, appariva salda agli accessi di Bardonecchia e del Monginevro, dove era possibile trattenere il nemico sulle creste. Nemmeno preoccupava un aggiramento dalla Valle Germanasca, dove c'era solo una mulattiera che poteva essere percorsa, tutt' al più, da una colonna di fanteria; in Val Chisone, comunque, una volta giunto sul versante italiano il nemico poteva cercar di forzare il passaggio per Traverses e Pragelato, cosa che gli avrebbe consentito di restare sul teatro anche se fosse stato respinto. Gli altri valichi del settore centrale sembravano muniti di fortificazioni sufficienti a impedire il passaggio. Quanto alle ali, il Piccolo San Bernardo e la Valle d' Aosta sarebbero risultati interessanti per il nemico se avesse avuto intenzione di operare sulla sinistra del Po - e in tal caso, secondo un altro studio del 1869, ci si sarebbe dovuti dar carico anche della frontiera svizzera perché l'attacco avversario poteva utilizzare il territorio elvetico al fi ne di condurre un aggiramento da nord. Il Marchesi non si occupava del settore meridionale, ma altri ufficiali che negli stessi anni vi si dedicarono, cercarono di appro-


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fondire i movimenti più convenienti per le forze di retroguardia che dovevano gestire il ripiegamento fino all'alta valle della Bormida: esiste anche un'analisi tattica delle possibilità di resistenza locale sul torrente Uzzone in vista di una ritirata su Dego 13 . Si riscontra in generale un atteggiamento negativo non solo sulla possibilità di difendere la Liguria, ma sulla stessa opportunità di sottrarre truppe al grosso per questo fine, salvo che per contrastare un aggiramento destinato a concludersi con lo sbocco di un'ala avvolgente nemica nelle Langhe o al piano. In quel tempo le forze di terra non potevano far conto su un'efficace cooperazione della Marina, che attraversava il periodo peggiore della propria esistenza 14_ La difesa locale in Liguria e sui retrostanti monti delle Alpi Marittime e degli Appennini aveva più la funzione di ritardare la marcia del nemico che di disputargli il terreno con grande decisione e impiego di uomini. Vi era anzi attenzione a non impegnare effettivi superiori al minimo necessario per condurre l'azione di retroguardia, al fine di evitare che al grosso potessero essere sottratte forze mobili al momento deU' azione strategica decisiva, da condursi in massa su terreno pianeggiante o comunque idoneo a consentire manovre per linee interne.

6.

IL PENSIERO DELLA COMMISSIONE PER LA DIFESA DELLO STATO

E QUELLO DEL COLONNELLO AGOSTINO RICCI

Nel corso degli ultimi anni del decennio vi fu un miglioramento nei rapporti con la Francia, anche in relazione agli approcci per una triplice alleanza italo-franco-austriaca diretta contro la Prussia. Questa prospettiva avrebbe potuto comportare, nel caso 13

Lo studio del Marchesi è in AUSSME, G 26, Studi topografici, R. 15; per altra documentazione cfr. G 25, Studi tecnici, R. 14. 14 Quasi si fosse deciso di "lasciarla perire di consunzione", scrive C. Randaccio, Storia delle marine militari italiane dal 1750 al 1860 e della marina militare italiana dal 1860 al 1870, Roma, Forzani, 1886, II, p. 292. Occorre peraltro tener presente che col processo Persano la Marina aveva raggiunto la massima impopolarità; che le condizioni finanziarie del Regno erano veramente drammatiche e che la prospettiva della triplice italo-franco-austriaca, che Vittorio Emanuele perseguì con ostinazione in quegli anni, non prevedeva alcun compito per la flotta.


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più impegnativo di una alleanza difensiva-offensiva, il trasferimento in Francia di 200.000 uomini dell'Esercito italiano. Ma le trattative fallirono definitivamente alla vigilia della guerra francoprussiana. I rovesci francesi si susseguirono rapidamente e il 19 agosto Parigi ritirò la guarnigione dello Stato Pontificio_ Lo stesso giorno si discuteva nel Parlamento italiano la proposta di stanziare 40 milioni per armare l'esercito, e Pasquale Stanislao Mancini pose al governo una domanda diretta: "Volete andare a Roma, proclamata capitale d' Italia, sì o no?" Prima della fine del mese il governo Lanza decise e il 20 settembre 1870 - never say never ago le truppe italiane occuparono Roma_ "In altre circostanze" - commentò Gregorovius - "questo avvenimento avrebbe commosso il mondo, oggi non è che un piccolo episodio del grande dramma universale" La Terza Repubblica nacque conservatrice, clericale e militarista; paradossalmente, anche poco repubblicana, visto che nel gennaio 1875 la sua stessa esistenza si salvò per un voto all ' Assemblea Nazionale. Ereditando i rancori per Roma e per l'aiuto negato nel 1871, il nuovo regime francese tenne per tre anni, con grande fastidio italiano, una nave da guerra a Civitavecchia a disposizione del Papa se avesse voluto partire 15 _ I rapporti italofrancesi vennero ulteriormente raffreddati dagli scambi di visite tra i principi ereditari d'Italia e di Germania. L'Italia aveva ottenuto la sua capitale, ma gli altri problemi erano rimasti tutti. Anche dal punto di vista demografico il Regno era di gran lunga il minore tra le potenze d'Europa, contando nel 1871 26,8 milioni di abitanti di fronte ai 36,5 della Francia senza Alsazia e Lorena; la Russia ne aveva 78, la Germania 41, l' Austria-Ungheria 35, la Gran Bretagna 32. Né l'aspetto demografico, che pure incideva sulla consistenza dell'esercito, era quello più grave. Rispetto a paesi ricchi e forti come la Germania e la Francia, l'arretratezza e la debolezza economico-finanziaria del Regno d'Italia moltiplicava le distanze. In Parlamento e nell'opinione pubblica, inoltre, non mancavano divisioni laceranti: mentre Lanza e Sella avevano l'ossessione del risparmio, consapevoli

15

La fregata Orénoque venne ritirata solo nell'ottobre 1874.


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che il fallimento finanziario avrebbe indotto la fine dell'Unità, gli uomini della Sinistra sostenevano che dalla Città eterna bisognava comunque pensare in grande. Nell'agosto 1871 furono presentate le conclusioni finali della Commissione del 1862, compendiate nel "Piano generale per la difesa d'Italia" Sia nella Commissione centrale che nelle Sottocommissioni, qualificati esponenti dell'Esercito e della Marina avevano partecipato insieme ai lavori, senza però che ne uscisse una visione interforze dei problemi e delle soluzioni. L'affratellamento tra Esercito e Flotta restava ancora, più che altro, un "voto ardentissimo" 16, non per la cattiva volontà di qualcuno, ma per l'inevitabile costo da pagare alla maturazione storica delle cose. Peraltro il Piano, pur entrando solo nelle competenze del Ministero della Guerra, non ignorava la Marina, cui proponeva di affidare la difesa della Sardegna ed altri compiti; ne auspicava inoltre il potenziamento, soprattutto nella capacità di c?mbattere in alto mare. I difetti maggiori erano altri. La premessa appariva generica e condizionata dal passato: l'Italia "consta di due parti essenzialmente distinte, delle quali la prima, continentale, confina verso terra con due potenze primarie d'Europa e trovasi perciò esposta alle invasioni più poderose; la seconda, cioè la peninsulare, non trovasi in origine esposta che ad attacchi per via di mare, i quali non possono iniziarsi che con un limitato numero di forze". I costi delle opere costituivano poi un problema grave; in un primo tempo la Commissione li aveva calcolati in oltre 306 milioni - una cifra fuori della portata dell'Italia di allora - poi ridotti a 142, che il Ministero aveva ulteriormente ridimensionato a 90,3 da spendere in dieci anni; il Parlamento, che discusse il Piano dal 1871 al 1873, riportò le risorse a quasi 160 milioni, ma nel decennio 1871-1880 vennero spesi solo 66,6 milioni per le opere e 31 per l'artiglieria. Negli anni '70 gli interventi attuati riguardarono l'arsenale di Spezia, la frontiera N-0 e Roma. Le condizioni del Paese e le incertezze della dottrina inducevano anche soluzioni compromissorie. Valga da esempio il caso della difesa delle coste.

16 Ricci,

cit., p. 19.


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In Inghilterra, dopo la guerra di Crimea, si erano fronteggiate due scuole di pensiero, quella della blue water school, d' ispirazione nelsoniana, che puntava sulla potenza della flotta per tenere lontano il nemico, e quella della brick and mortar school, che confidava nelle difese fisse e nelle fortificazioni costiere; l' una e l'altra soluzione però erano realmente alla portata dei decisori inglesi che potevano contare su una potenza navale e finanziaria adeguata. C'era una terza via, ed era quella prussiana, che si avvaleva di alcuni punti fortificati costieri e di corpi mobili dell' Esercito opportunamente dislocati e pronti ad accorrere dove si profilasse una minaccia, come le legioni romane del I secolo; ma la Germania aveva un grande esercito e una dimensione costiera molto ridotta. All ' Italia erano precluse tutte e tre le soluzioni. Non aveva una flotta in grado di disputare ai francesi il dominio del mare; un'estesa politica di forti ficazioni era fuori questione per la mancanza di mezzi finanziari e forse anche della capacità di realizzare tempestivamente le opere; contando, infine, su 10 milioni di abitanti meno della Francia, le dimensioni dell'esercito non consentivano di distogliere forze consistenti dalla valle del Po per presidiare la penisola. Nel 1871 la Sottocommissione per la difesa delle coste proclamò saggiamente che "chi tutto vuol coprire non copre nulla", ma poi concluse con la proposta di fortificare ben 31 città e punti strategici del litorale 17 . Durante i lunghi studi della Commissione, erano state realizzate effettivamente ben poche opere. Le fortificazioni esistenti risalivano quasi tutte a prima dell' Unità e per le altre vi erano stati continui rinvii. Di qui il grido d' allarme lanciato da Domenico Parini il 27 maggio 187 1, tre mesi prima della presentazione alla Camera delle conclusioni della Commissione. Il deputato di Ravenna, che sarebbe divenuto in seguito presidente della Camera e del Senato, dichiarò apertamente di trovare modesto il bilancio della Guerra del 1872, del quale si dibatteva, ed ammonì: "Non debbono le considerazioni amministrative guadagnare sulle militari quel 17

Cfr. M. Gabriele, Le Convenzioni navali della Triplice, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1969, pp. 21-22; Bonamico, cit., p. 15, dove F. Botti rileva che dei 142 milioni previsti dalla Commissione, 78,5 dovevano essere destinati ali ' ltalìa peninsulare ed insulare, con 50 milioni per fortificare il litorale, e 63,5 all'Italia continentale, con 16,3 per la frontiera terrestre e 47,2 per l'arsenale di Spezia ed altri interventi minori.


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predominio che rende l'esercito improprio a fare la guerra, e che nel momento del pericolo trae lo Stato sull'orlo del precipizio" Era invece necessario "avere nel più breve tempo possibile 500.000 fucili", artiglieria e fortificazioni, che definì l'argomento più difficile: "Dal 1862 vi studia la Commissione di difesa. Con qual pro? Noi ne ignoriamo i concetti, le proposte ... Delle diciassette strade rotabili che scendono in Italia attraverso le Alpi, ed i cui nodi sono neJle nostre mani, sette sole asserragliate: Ventimiglia, Vinadio, Fenestrelle, Exilles, Bard, Rocca d' Anfo e Rivoli. Aperta la frontiera orientale, aperta la frontiera verso la Svizzera, cioè senza ostacoli naturali in nostra mano; debolissimo, dopo la dimezzata Valle della Roja, il tratto di frontiera verso la Francia, che, attraversato dalla strada della Cornice, battuta tutta dal mare, male può chiudersi, peggio è ora chiuso a Ventimiglia. Superata Ventimiglia, numerose discese, attraverso l'Appennino ligure, mettono nella Valle del Po. La difesa della Valle del Po disseminata; l'espressione, direi la confusione, dei due concetti che tuttora dividono il campo militare; piazze e bicocche sul Po per consenso alla scuola che lo reputa sola nostra base di operazione razionale; piazze e bicocche sugli affluenti della riva sinistra del Po per non disgustare la scuola opposta. Nulla sull'Appennino; nulla al di qua di questo; nulla, o quasi, se ne togliete Ancona e Gaeta, che ci metta in grado di prolungare la difesa cogli uomini, col denaro, colle sussistenze onde abbonda l'Italia peninsulare ed insulare, vale a dire circa dodici milioni di popolazione. Il solo nostro arsenale marittimo, Spezia, ... esposto ad ogni attacco ... Livorno, Civitavecchia, Napoli, Castellammare, Sicilia, Sardegna, Bari, Brindisi, tutta la costa occidentale-adriatica esposta ad un insulto. Fra le piazze, qualcuna che pure gode di certa fama, e non tra il volgo, Alessandria, il perno, il centro di tutta la nostra difesa verso Francia... incapace di resistere due giorni. Verona impotente a sbarrare la Valle dell'Adige ... Alessandria, Piacenza, Bologna, Mantova, Verona, né tracciate, né munite come ora esigono la lunga portata e la grande potenza delle artiglierie. Ebbene, signori, tutto questo è troppo ..." 18. 18

Atti Parlamentari, Camera dei Deputati (d'ora in poi indicati con APC), Sessione del1870-7 /, Firenze, Eredi Botta, 1871, III, pp. 2407, 24 11 e 2413-14.


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L'appassionata denuncia attirò l' attenzione dei politici e dei militari, che non poterono non aver presenti le parole del Farini durante le lunghe discussioni che avrebbero seguito la presentazione dei lavori della Commissione, nell'agosto del medesimo anno. Poco dopo, esaminando le condizioni della frontiera nord-occidentale, Agostino Ricci non esitava ad indicarla come quella critica per lo Stato quando di lì a qualche anno la Repubblica transalpina avesse ripreso in pieno le sue forze. Stante la sua superiorità marittima, fondata sulla flotta militare e sulle capacità di trasporto della marina mercantile, la Francia sarebbe stata in grado di portare una minaccia concreta anche lontano dalle Alpi. Ciò dava luogo all'esistenza potenziale di tre distinti teatri d' operazioni: la Valle del Po, quella dell ' Arno e del Tevere, il territorio intorno a Napoli. La flotta italiana avrebbe dovuto venire rinforzata fino ad essere sufficiente per impedire lo sbarco del grosso nemico nelle isole e nella penisola. Oltre a ciò, conveniva fortificare solo il fronte marittimo di Spezia e la zona intorno a Roma, per prevenire un colpo di mano diretto sulla capitale dal mare. Il Ricci notava c he la Commissione aveva proposto all' inizio di fortificare 97 punti, che erano stati ridotti in seguito a 77 e poi a 65, con una evidente rinuncia a certi livelli di sicurezza. La maggior parte delle opere doveva essere costruita in Piemonte per sostenere il fronte di N-0 , che veniva concepito come parte di una vasta dimensione strategica che coinvolgeva buona parte della pianura padana. La prima linea doveva seguire le Alpi e gli Appennini liguri, mentre la seconda linea, sulla quale sarebbe stato dispiegato il grosso dell' Esercito per un'azione manovrata, correva da Ivrea ad Avigliana, Pinerolo, Cuneo, Ceva, Carcare, Sassello, Ovada, Gavi, Serravalle Scrivia. Uno sbarco nemico in Liguria era considerato probabile e in tal caso si dovevano contrastare le colonne d' invasione, necessaria mente divise le une dalle altre dagli ostacoli naturali, ma "non impegnare all'interno delle valli corpi di prima linea di qualche entità" sottraendoli al grosso; una resistenza più decisa poteva essere condotta allo sbocco delle valli, dopo di che si sarebbe passati a11a fase più decisiva della difesa, attaccando a massa le fo rze avversarie nel momento della loro riunione al piano. Si riteneva che il nemico avrebbe scelto, per sbarcare, il tratto di costa tra Savona e Genova, e che convenisse dichiarare q uest'ultima città aperta, anche al costo di diminuire le difese esistenti.


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In caso di fallimento della manovra sull'Alto Po, la linea di ripiegamento più sicura era ritenuta la Piacenza-Stradella perché non si poteva avvolgere come la Alessandria-Valenza e si poteva integrare sul fianco occidentale con la piazza di Bobbio nella Valle della Trebbia 19 . Queste vedute strategico-operative si innestavano coerentemente sui precedenti orientamenti, però segnavano anche una evoluzione disegnando per la massa di manovra dell'Esercito compiti geograficamente più definiti, e definiti in maniera diversa dal passato. Lo schieramento iniziale - e quindi i punti di radunata - erano più avanzati rispetto agli elaborati della Commissione di difesa, che aveva definito ''essenziale" la linea Genova-Casale; anche rispetto a quanto aveva scritto nel 1868 il Marchesi, la linea del Monferrato-Alessandria-Valenza-Casale non pareva più il centro della difesa italiana. Descrivendo sul terreno una successione di caposaldi allo sbocco delle valli alpine e appenniniche, prima dei quali il nemico avrebbe dovuto superare difficoltà naturali, fortificazioni e difese locali, veniva suggerita una linea che copriva l'intero Piemonte; non era invece prevista la difesa del territorio ligure, dove passi e vallate dovevano servire per logorare l'attaccante e ritardarne la marcia. Dal momento che questo era il ruolo strategicotattico attribuito alla Liguria, non era così importante che le colonne d'invasione provenissero dalla Francia per un'avanzata parallela alla costa o da uno sbarco sul litorale. L'orientamento al1' abbandono della Liguria occidentale teneva conto della superiorità marittima avversaria ed offriva una soluzione che, sul teatro generale di N-0, consentiva di ridurne al minimo l'incidenza. In passato, si era pensato anche di abbandonare Torino senza combattere a fondo, fortificando tutt'al più le colline ad oriente della città per utilizzarle in azioni di logoramento e di retroguardia. Ora invece, l'indicazione di Avigliana e di Pinerolo, site allo sbocco in pianura delle valli di Susa e del Chisone, rendeva esplicita l'intenzione di dare battaglia per difendere la vecchia capitale con una massa manovrata. L' idea di impostare uno scontro impegnativo su una linea più avanzata mirava anche a trarre il massimo vantaggio possibile dalle evoluzioni operative che potevano prodursi in relazione alla prima difesa della fascia montana: 19

Ricci, cit., pp. 31-99.


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a) era possibile che le truppe avversarie incontrassero un diverso grado di difficoltà da superare neJJ a loro avanzata attraverso le valli e giungessero quindi agli sbocchi in pianura con le colonne marcianti temporalmente sfalsate; b) nella zona montana il nemico non poteva radunare forze impegnate in val li diverse; se poi avesse usato una o due vie di penetrazione, la massima forza che avrebbe potuto mettere subito in linea allo sbocco delle valli sarebbe stata costituita dall'avanguardia; c) l'esercito invasore non avrebbe potuto evitare pertanto di attraversare un momento di crisi alla fine della sua avanzata montana, quando avrebbe dovuto riunire in pianura le sue forze e portare avanti l'artiglieria, la quale, verosimilmente, non si sarebbe trovata in testa alle colonne; d) la massa di manovra italiana, già radunata e concentrabile per vie interne nei punti voluti, doveva trovarsi pronta ad attendere il nemico al piano e ad attaccarlo in condizioni di superiorità durante il momento di crisi determinato dal passaggio dalla formazione di marcia allo schieramento in campo aperto; e) tutto ciò spostava più avanti il baricentro del contrasto e recuperava importanza alla prima difesa dei passi montani e delle valli, che avrebbe dovuto essere, per J' impiego di truppe idonee e di fortificazioni, abbastanza logorante e lunga per il nemico, senza che la forza del grosso nazionale ne venisse intaccata. L' accenno ad una ritirata su Piacenza in caso di esito infausto della battaglia pedemontana - una ritirata dai costi politici elevati perché avrebbe implicato l'abbandono di Torino e la scopertura di Milano - conferma che la manovra strategica sull'Alto Po era considerata decisiva per il possesso della va11e padana occidentale. Nel 1872 venne aperta la rotabile del Piccolo San Bernardo, cui i francesi reagirono rinforzando il confine 20. Ma l'evento mi20

Belvederi, cit., in AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito RR, R 42; V.E. Da Bormida, La difesa del nostro fronte occidentale, Torino, Loescher, 1878. Vi fu un ritorno d'interesse ed un aggiornamento delle carte e delle informazioni sulle corrispondenti regioni francesi e svizzere e sulla difesa dell'Alta Savoia. Per la ricognizione condotta nell'autunno 1872 da ufficiali francesi al confine italiano e le decisioni dirette a migliorare il sistema ferroviario interessato, vedi il rapporto dell 'addetto militare a Berlino, tenente colonnello C. Rossi, al Comando Generale di S.M. del 14 novembre I 872. G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, Germania, R I.


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li tare più importante di quell'anno fu la nascita del corpo degli Alpini: la prima proposta venne dal capitano di S.M. Giuseppe Perrucchetti, il quale in un famoso articolo - "Sulla difesa di alcuni valichi alpini e l'ordinamento militare territoriale della zona di frontiera", pubblicato dalla Rivista militare italiana nel maggio 1872 - sostenne che era necessario disporre di truppe speciali addestrate alla difesa alpina e da reclutarsi in zone montane; il ministro della Guerra, tenente generale Cesare Ricotti Magnani, ritenne la proposta valida e nello stesso anno l'Esercito italiano ebbe le prime 15 compagnje di alpini 21 .

7. UN OCCHIO ALLA

GERMANIA

Se nel primo decennio di vita dello Stato unitario il problema della difesa verso la Francia era stato considerato soltanto terrestre, per una via d'invasione attraverso le Alpi - anche l'eventualità di uno sbarco in Liguria era collegato, in funzione più integrativa che diversiva, a questo scopo - all'inizio del decennio successivo vi fu nel pensiero militare italiano una evoluzione che ebbe notevoli riflessi anche di natura politica. Vi fu, anzitutto, la scoperta della penisola minacciata dal mare. La flotta francese, che nella guerra franco-prussiana non aveva avuto alcun ruolo effettivo, aveva però immaginato di condurre una operazione strategica importante sbarcando un corpo di truppe in Danimarca per attaccare la capitale nemica. Poi, le sconfitte terrestri avevano fatto rientrare tutto, ma ora quello stesso potere marittimo poteva minacciare l'Italia. In caso di scontro con la Francia, poteva diventare pericoloso continuare a ritenere l'Italia vulnerabile solo dalle Alpi, considerando il mare solamente come una difesa. Il maggior generale del Genio Giovanni Battista Bruzzo sostenne la necessità di studiare la difesa del Paese "in tutta la sua generalità, partendo non da idee impicciolite da considerazioni di attualità, ma da idee larghe, che abbraccino anche l'avvenire"; il 21

Gli elementi provenivano dalla fanteria e dai bersaglieri e conservavano la divisa della fanteria, salvo il cappello piumato e il kepì. Cfr. A.F. Biagini, La difesa della zona di frontiera, e P.G. Franzosi, L'ideatore delle truppe alpine, in Rivista Militare, maggio 1972 e marzo 1983.


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solito ritornello secondo cui arbitra delle sorti d'Italia era la valle del Po andava messo nel magazzino della roba vecchia perché la penisola e le isole potevano essere invase dal mare; la difesa nazionale doveva prendere in considerazione le Alpi e le coste: a tal fine era conveniente dividere il Paese in tre aree attrezzate - valle padana, Italia centrale e Mezzogiorno - che fossero in grado di sostenere da sole la propria difesa, così che 1' Italia potesse continuare a resistere anche se avesse perduto la capitale, "come una grande nave che non sommerge ancora quando le acque l'hanno invasa in alcune delle sue parti" L' opuscolo che conteneva queste affermazioni - Considerazioni sulla difesa generale dell 'Italia - apparve a Napoli nel 1871 e anticipò motivi e rifless ioni che sarebbero stati condivis.i in seguito da molti scrittori impegnati a sostenere non solo la difesa, ma anche l'avvenire della nazione nel Mediterraneo. Gli eventi della guerra franco-prussiana attirarono la massima attenzione dei commentatori militari. Il Ricci sottolineò che da quella esperienza si era avuta la dimostrazione che l'attacco era la difesa migliore. Enrico Cosenz, il futuro capo di S.M. dell'Esercito, studiò a fondo la campagna, dedicandovi vari scritti tra il 1870 e il 1875 e soffermandosi sulle operazioni militari che si erano svolte nel nord della Francia, in particolare la battaglia di Gravelotte-Saint Pierre del 28 agosto 1870. Rilevò il valore strategico della rapida radunata dell 'esercito, che aveva consentito ai tedeschi di dilagare in territorio nemico e pose l' accento sul fatto che le vittorie germaniche non erano dovute solo al numero dei combattenti, alla qualità delle artiglierie e alla direzione di Moltke, " ma anche alla salda disciplina". Dal canto suo, l'allora maggiore Nicola Marselli, commentando la guerra di Francia, ammoniva che gli italiani erano "scoperti alle offese" e che era vitale avere almeno " il presentimento dei nostri materiali pericoli"; all ' inizio del 1874 avrebbe scritto al Robilant che bisognava finirla con l' illusione "che le umili riverenze possano scongiurare una guerra fatale. La politica della debolezza e della superficialità porta le sue conseguenze sugli apparecchi guerreschi: noi non abbiamo le febbre che dovremmo avere, e che avremmo se pensassimo che la guerra con la Francia è inevitabile e potrebbe non essere lontanissima. Né fortificazioni, né flotta, né ordini solidi nell ' Esercito ... Non dispero dell ' Italia, anzi credo che il tempo possa rifarl a; ma se non ne avessimo il tempo?"


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Per la verità, una certa febbre l'aveva la Sinistra, e in particolare la crispina "Riforma", che non perdeva occasione per ribadire che in Europa la musica era cambiata e la forza prevaleva sul diritto; in coerenza con questi concetti il 4 febbraio 1872 Francesco Crispi disse infatti alla Camera: "per esser forti ed aver pace, bisogna armarsi, armarsi e sempre armarsi" Anche Cialdini e Lamarmora intervennero, e molti altri, mentre per convinzione generale si affermava il modello prussiano, e non più quello francese, come esempio da imitare per l'organismo militare. Il centro politico del continente si spostava da Parigi a Berlino, emancipando l'Italia da quella influenza francese che Quintino Sella aveva definito "uno dei più grandi mali che possano minacciare l'Italia" Né v'è da stupirsi che gli occhi di Roma si volgessero interessati alla Germania, le cui vittorie, dopo tutto, avevano dato il Veneto all'Italia. Ed ecco che alle visite dei principi fece seguito, nel settembre 1873, il viaggio di re Vittorio Emanuele a Berlino. Il sovrano italiano vi giunse passando per Vienna - gesto teso alla riconciliazione con l'Austria - ma l'azione politica principale era diretta ai tedeschi. Nella nuova situazione europea, le monarchie italiana, austriaca e tedesca potevano convergere su un fronte opposto a quello dei repubblicani francesi. La visita di Stato non fu priva di esiti interessanti. Il presidente del Consiglio Marco Minghetti incontrò separatamente il maresciallo Moltke e il principe di Bismarck tra il 22 e il 25 settembre. Sui colloqui col primo il Minghetti appuntò: "Io ho condotto il discorso sul tema delle fortificazioni e delJa grande spesa che avrebbero recato in Italia. Ho accennato allo sbarramento delle Alpi e ad alcune opere che mettono Roma al riparo da un colpo di mano. Il Moltke senza entrare in particolari ha sostenuto con molto vigore la tesi che non dovevamo assumerci l'impresa di molte fortificazioni", le quali costavano molto e assorbivano truppe meglio utilizzabili in una offensiva. Von Moltke era convinto che la Francia avrebbe cercato presto una rivincita e si rammaricò che nel 1870 l'Italia non avesse colto l'occasione per rivendicare Nizza. Anche nell'ultimo incontro il maresciallo tedesco si soffermò sulla utilità di una condotta offensiva: in caso di guerra "noi dovremmo darci la mano in Francia in un luogo che non precisò, ma credo nel suo pensiero sia Lyon"


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Anche in Bismarck Minghetti trovò la stessa convinzione di un nuovo conflitto non lontano con la Francia in cerca di rivincita - "non tarderà guarì a volerla" - e del! ' opportunità di portare la guerra in territorio nemico. Ma il cancelliere disse di più, e ricordando che la Germania era stata disposta alla guerra per respingere l'ingerenza religiosa fran cese in Svizzera, disse "che tanto maggiormente lo farebbe per l'Italia" E nell'incontro successivo con i Reali ribadì che "se la Francia assalisse l' Italia, l' Allemagna avrebbe preso le armi per lei" Questi appunti del presidente del Consiglio fanno comprendere come il cautissimo ministro degli Esteri Visconti Venosta potesse scrivere all'ambasciatore a Parigi, Costantino Nigra, il 2 ottobre 1873, che il "viaggio del Re ebbe un felice successo ... Non abbiamo offerto e non ci fu proposto alcun impegno form ale e scritto. Abbiamo acquistato il pieno convincimento che, nel caso la Francia attaccasse l' Italia, noi potremo contare sull'appoggio morale e anche materiale della Germania" 22. Il punto era proprio questo, l'argomento decisivo sul piano politico e militare: non trovarsi soli contro la Francia, ma avere al fianco un alleato forte. Non era una novità nella politica italiana, visto che così erano state impostate la seconda e la terza guerra dell' indipendenza, e non era neanche una novità per gli studiosi di questioni militari, visto che già il Marchesi, prima della guerra franco-prussiana, aveva fatto i suoi calcoli sulla consistenza dell'esercito che la Francia poteva destinare al fronte italiano tenendo conto della potenziale minaccia germanica. Ora però che il gioco rischiava di farsi più duro, quella prospettiva politico-militare diventava sempre più importante. Ruggero Bonghi lo scrisse nella Nuova Antologia del settembre 1873: "Noi non potremo, non dovremo por fondamento che nella nostra alleata del ' 66, nella sua (della Francia) nemica del '70" 22

li ministro degli Esteri comunicava che, mentre a Vienna era diffusa la convinzione che la Francia non avrebbe turbato la pace deU'Europa, a Berlino la si pensava diversamente e pertanto ci "si prepara". Negli incontri di Berlino era stato riconosciuto che il Regno era utile alla pace: "abbiamo avuto la soddisfazione di constatare anche in questa occasione che l'Italia ... è considerata come una potenza che costituisce uno degli elementi necessari della pace e dell'equilibrio dell'Europa". I Documenti Diplomatici Italiani (d' ora in avanti indicati con ODI), Roma, Ministero degli Affari Esteri, Serie II, V, I 979, doc. 99, I 00, 101, I 06.


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Tale era infatti il puntello d' Archimede che avrebbe permesso all'Italia di sollevarsi malgrado la sua debolezza, visto che era questo un dato per il momento immodificabile. Il governo se ne rendeva conto, ma il vincolo finanziario era una condizione reale, non una fissazione della Destra. Nel 1874 l'Italia spese per l'esercito 192 milioni, l'AustriaUngheria 225, la Gran Bretagna 378, la Germania 489, la Francia 720, la Russia 788. Di più non si poteva fare, ma ciò significava che l'Italia sarebbe scivolata ancora più indietro rispetto alle altre potenze, e che la sua politica estera ne sarebbe stata inevitabilmente influenzata, "perché era difficile giocar serrato nel gioco diplomatico quando non s' aveva alle spalle la Home Fleet o la Guardia prussiana" 23 . Tanto più quando non si era firmato ancora un trattato e la sperata alleanza restava legata a poco più di un ammiccamento, che, certo, c'era stato, ma restava sospeso in aria in balia degli eventi.

23 F.

Chabod, Storia della poli1ica estera italiana dal .1870 al 1896, I (Le premesse), Bari, Laterza, 1951, pp. 501-07.


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Capitolo II

FINO A TUNISI (1873-1881)

8.

LE RIFORME RICOTII

Il tenente generale Cesare Ricotti Magnani, comandante della divisione di Milano, successe il 7 settembre 1870 al pari grado Giuseppe Govone come ministro della Guerra del governo Lanza. Sarebbe rimasto ininterrottamente in carica fino alla caduta della Destra (marzo 1876), ed avrebbe avviato una serie di riforme destinate ad incidere positivamente sull'efficienza dell'Esercito. Che ve ne fosse bisogno risultava evidente anche solo dalle difficoltà che i capi dell'esercito avevano incontrato per mobilitare la forza d'invasione per Roma. Il vincolo delle ristrettezze finanziarie - che già aveva procurato al Govone gli attacchi del Cialdini e del Crispi - non poteva essere rimosso con un semplice atto di volontà; le cifre che Minghetti presentò alla Camera il 27 novembre 1873 erano eloquenti e drammatiche: il bilancio dello Stato accusava un disavanzo di 338 milioni nel 1868, 216 nel '69, 307 nel '70, 112 nel '71, 113 nel '72; nel 1873, stando al Répaci, sarebbe stato di 139 milioni. In tale quadro il nuovo ministro della Guerra poté far conto su una media di 157 milioni annui nel sessennio in questione, contro i 250 degli anni 1861-1865. Con questi mezzi il Ricotti doveva gestire la difesa dello Stato più debole tra quelle potenze europee nella cui comunità voleva dignitosamente vivere ed affermarsi. Ricotti trovò un esercito che formalmente contava ancora su 20 divisioni , ma con reparti ridotti di numero e di forza. Dinanzi ad una realtà finanziaria così difficile, il ministro scelse di destinare le risorse disponibili alla riorganizzazione ed al rafforzamento dell'Esercito piuttosto che ad una politica spinta di fortificazioni. In ciò non si intendeva completamente col Parlamento, nel quale vi erano diversi sostenitori delle difese fisse, ma quando nel 1874 la Camera approvò un progetto basato su un bastio-


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ne di difesa che comprendeva Genova, Piacenza, Mantova e Venezia, con alle spalle Bologna in funzione di piazza di rifugio, il Senato si mostrò talmente ostile, a motivo dei costi, che il progetto fu ritirato 1. Ricotti riordinò l'esercito in tre categorie: 1) coscritti con ferma di tre anni (cinque per la cavalleria), successiva assegnazione alla riserva e possibilità di richiamo in tempo di guerra; 2) coscritti con possibilità di chiamata per addestramento in tempo di pace ad una durata di cinque mesi ed eventuale richiamo in tempo di guerra; 3) coscritti esentati in tempo di pace, ma con possibilità di chiamata nella milizia territoriale in caso di conflitto. Venne inoltre esteso e generalizzato l'obbligo militare e riordinato il volontariato, affidandosi le operazioni di reclutamento, prima istruzione e mobilitazione ai distretti militari, di nuova istituzione. La macchina militare doveva comprendere l'esercito permanente - quasi 200.000 uomini, che con i richiami diventavano in tempo di guerra 500.000 - e la milizia mobile - altri 250.000 uomini - che formavano l'esercito di campagna. Vi era poi la milizia territoriale, composta da elementi più anziani e destinata alla difesa interna ed al mantenimento dell'ordine pubblico. La struttura permanente restava su 20 divisioni di fanteria, con 80 reggimenti di linea formati da 3 battaglioni e I O reggimenti bersaglieri su 4 battaglioni; 20 reggimenti di cavalleria su 6 squadroni; 10 reggimenti di artiglieria da campagna su 10 batterie di 8 pezzi e 4 reggimenti da fortezza su 15 compagnie; 2 reggimenti di genio con 56 compagnie complessive. Come era logico in un paese di così recente unità, il reclutamento di tutte queste forze avveniva su scala nazionale. Faceva eccezione il nuovo corpo degli alpini, istituito nel 1872, le cui compagnie venivano reclutate su base regionale. Dalle iniziali 15 compagnie si passò, già nel 1873, a 24, poi riunite in 7 battaglioni: "con questa innovazione" - scrive il Pieri - "il Ricotti mostrava di allontanarsi dal dogma fino allora indiscusso che la frontiera alpina non avrebbe potuto essere difesa sui passi o sulle strette, ma solo al margine della pianura, perché non si sa1

J. Gooch, L'Italia contro la Francia. 1 piani di guerra d(f'ensivi ed offensivi 1870-1914, in Memorie storiche militari 1980, Roma, Stato Maggiore Esercito-Ufficio Storico, 1981, p. 154.


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rebbe potuto stabilire in precedenza per quale vallata l'invasore sarebbe venuto avanti. Ora, con gli eserciti tanto accresciuti di numero e con l'intensificazione dei trasporti grazie alle ferrovie l'invasione avrebbe potuto procedere contemporaneamente per tutte le vallate, e occorrevano non solo forti di sbarramento ai passi e alle strette, ma anche truppe particolarmente idonee e addestrate alla guerra fra i monti" Dalle riforme del Ricotti usciva un esercito che in tempo di pace non risultava ingrandito, ma conservava la struttura necessaria per gestire in tempo di guerra una forza quantitativamente quadruplicata. Con ciò, ad attuazione completata delle riforme, I'Italia avrebbe avuto un nuovo strumento militare terrestre più saldo e più efficiente, orientato da un rigoroso rapporto tra spese e risorse senza concessioni alla demagogia sociale, tanto che il corpo degli ufficiali era numericamente ridotto. Tale strumento nasceva, ovviamente, con un "orientamento difensivo, cioè politica di raccoglimento intesa a conservare i risultati raggiunti e aliena da avventure belliche" 2 . Se si ha presente la lettera, già citata, del Visconti Venosta al Nigra del 2 ottobre 1873, è agevole intravedere la coerenza dell'orientamento militare con la politica estera colà descritta, e cioè che l'Italia "intende difendere ad ogni costo ciò che ha acquistato, né potrebbe lasciarlo discutere" Non si deve tuttavia dimenticare che esistono vari modi per difendersi, e che dal pulpito di Berlino si predicava che il migliore consisteva nell'attacco. 9. DA SOLI, DIFENSIVA

Il viaggio di Vittorio Emanuele II in Austria e in Germania nel settembre 1873 aprì, anche da questo punto di vista, orizzonti nUOVl.

La corrispondenza del Corpo di S.M. italiano mostrava, nei mesi di gennaio e febbraio di quell'anno, preoccupazioni difensive molto pronunciate, tenuto conto che la Francia, paese più ricco, 2

L. Ceva, Forze annate e società civile dal 1861 al 1887, in 1861-1887. Il processo di unificazione nella realtà del Paese, Atti del L Congresso di Storia del Risorgimento (Bologna 5-9 novembre 1980), Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1982, pp. 3 18-33.


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aumentava le sue spese militari ed era in grado di usare contro l'Italia le "sue risorse marittime d'ogni genere", le quali, in combinazione con l'efficiente rete ferroviaria interna, avrebbero consentito di effettuare con rapidità concentramenti di truppe nei punti voluti, specialmente sul litorale mediterraneo. Per contro, le comunicazioni viarie e ferroviarie in Val d'Aosta continuavano a costituire "un difficile problema", aggravato dal rischio che l'avversario, non troppo rispettoso della neutralità svizzera, allargasse il fronte d'attacco 3. E poi, in una situazione militare che presentava seria difficoltà per l'Italia, anche il piano strategico diretto a trattenere un poco sulle Alpi l'esercito avversario con truppe locali e fortificazioni per poi affrontarlo al piano, lasciava aperti degli interrogativi: non era detto che la tanto attesa manovra per linee interne andasse bene, soprattutto se alla spinta sulle vie d'invasione centrali il nemico avesse affiancato una seria minaccia alle ali 4 . Nel successivo inverno 1873-1874, quando il Comitato di S.M. riprese in esame, come più probabile, il caso di una guerra con la Francia, l'orientamento strettamente difensivo che aveva caratterizzato gli studi del passato non era più così assolutamente valido e vi si affiancarono ipotesi molto diverse, che tra il 1874 e il 1876 vennero riesaminate e approfondite. Contemporaneamente si cercò di aggiornare il quadro informativo disponibile. Nel caso di un conflitto senza terzi incomodi tra Italia e Francia, i francesi avevano diverse opzioni: compresa la conduzione di "un attacco terrestre, o terrestre e marittimo, dalle Alpi Marittime e dalla costiera ligure verso Savona, con l 'obiettivo di impadronirsi di Alessandria e della valle Padana, e poi procedere contro Piacenza; attacchi terrestri e marittimi dalle Alpi e dalla costiera toscana collo scopo di aggirare l'Appennino settentrionale e la valle del Po e di prendere Bologna; attacchi a nord o a sud di Roma per dividere l'Italia settentrionale dalla meridionale, coll'intento di sollevare le province meridionali" Ciò avrebbe imposto

3

T. Colonnello C. Rossi, addetto militare a Berlino, a Comando Generale

S.M., R.R., 20 gennaio 1873, AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 19; T. ColbrineUo Fesconat, La défense de la Savoie étudiée du point de vue d'une violation de la neutralité Suisse, Paris, 1873. 4 Cfr. Da Bormida, cit., dove peraltro è riconosciuto che la difesa delle Alpi occidentali, con le fortificazioni in quota volute dal Ricotti, era migliorata.


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all'Italia una guerra difensiva. Il Comitato di S.M. si aspettava un attacco che avrebbe impegnato soprattutto le ali dello schieramento, a nord verso la val d'Aosta e a sud lungo il litorale, così da convergere nella valle padana e schiacciarvi l'esercito italiano. Ai 14 corpi francesi gli italiani potevano opporre solo 8 corpi, raggruppati in tre armate: la I, con tre corpi, tra Torino e Milano; la II, pure con tre corpi, tra Savigliano e Alessandria; la III, con due corpi, tra Piacenza, Tortona e Savona-Genova. I concetti operativi prevedevano la creazione di una zona di difesa alpina sul Cenisio, il colle di Tenda e le sorgenti del Tanaro e della Bormida. Le difese montane, con le cime affidate a truppe leggere, dovevano ritardare l'avanzata del nemico, il quale sarebbe stato costretto dalle condizioni geo-topografiche a procedere con le forze divise tra le valli. Ciò poteva consentire agli italiani l'applicazione di quella condotta operativa che già il Marchesi aveva indicato, conducendo "una controffensiva a massa contro le colonne nemiche sboccanti nel piano, separate dai contrafforti del versante interno della valle del Po". Questi propositi facevano assumere importanza primaria ai tempi di radunata affinché le truppe potessero impegnarsi tempestivamente in combattimento. Per l'operazione principale d'invasione veniva attribuita ai francesi la capacità di concentrare l' esercito alla frontiera in 12 giorni, quando si valutavano necessari 2530 giorni per radunare vicino ad Alessandria gli otto corpi italiani. Pertanto era necessario che la resistenza sulle Alpi durasse almeno tre le 2 e le 3 settimane, se si voleva dar tempo al comando supremo italiano di avviare la sua manovra in tempo utile. Vi era poi la possibilità che il nemico operasse uno sbarco sulla costa ligure, con l'intento di condurre un aggiramento; in tal caso si calcolava che i francesi avrebbero avuto bisogno di 4 giorni per far scendere a terra due corpi, mentre i difensori erano ritenuti capaci di schierare i loro due corpi in soli 3 giorni, ottenendo una superiorità decisiva sul teatro 5 . Non per nulla nel novembre 1874 il colonneIIo Corsi raccomandava una "occupazione della zona alpina in tutto consentanea (adatta) al concetto generale delle operazioni nella valle del Po", e attribuiva a quella prima difesa montana il ruolo di base indi5

Gooch, cit., pp. 155-57.


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spensabile per i successivi sviluppi strategici. Quanto all ' eventualità di un'avanzata costiera francese sulla direttrice Nizza-Genova, che avrebbe evitato all'attaccante la crisi connessa ai tempi di sbarco, il Corsi prevedeva di frontegg iarla con un ripiegamento difensivo sulle Alpi Marittime e sull ' Appen ino, in modo di controllare la marcia dell' avversario e sorprendere al momento dello sbocco al piano le sue colonne provenienti da sud, così come si era pensato di operare contro le forze nemiche procedenti da ovest. Lo stesso studioso pensava poi ad Alessandria ed a Piacenza-Stradella in funzione di tappe di ritirata strategica prima di un arroccamento definitivo su Bologna 6. La questione della scelta tra difensiva ed offensiva venne dibattuta in un altro studio, che riconosceva pienamente i vantaggi materiali e morali dell'offensiva a favore di chi l'avesse assunta disponendo di forze preponderanti, ma "non sembra dover essere così quando invece di equivalenza o preponderanza, esiste palesemente un'inferiorità. Equilibrare per quanto possibile le forze è ciò che preme più di ogni altra cosa, è ciò che l' istinto stesso suggerisce al più debole. Ora, nessuno, pare a noi, può impugnare il fatto che nella maggior parte dei casi, il mezzo più sicuro, ed il più facile, per ottenere questo intento, l'offra la difensiva... Il confronto delle nostre forze di terra e di mare con quelle francesi e lo studio della nostra frontiera occidentale, ci fanno palese lo stato della nostra inferiorità e le difficoltà ingenti che si presenterebbero all 'offensiva italiana; mentre lo studio stesso ci palesa dall'altro lato condizioni strategiche relativamente favorevoli alla nostra difensiva. Ci.ò ci porterebbe a conchiudere, indipendentemente dalle premesse considerazioni generali, che, teoricamente, la difensiva strategica dovrebbe essere il punto di partenza delle operazioni dell'Ital ia impegnata da sola in una guerra contro la Francia. Questa è la conclusione teorica, ma le circostanze del momento hanno in questo ordine di cose, tal peso da mutare le previsioni le meglio ponderate ... Il trovarci pronti ad entrare in campagna quando l'esercito avversario di forze preponderanti non è ancora pronto, non è forse 6

Colonnello C., Corsi a Segretario generale del Ministero della Guerra, Firenze, 18 novembre 1874, AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 49, dove è pure il precedente lavoro del 20 giugno dello stesso.


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un caso speciale, ma possibile in cui una vigorosa offensiva darebbe il mezzo migliore per neutralizzare appunto quella superiorità di forze che ci sta contro? Comunque sia se, in una guerra in cui siano impegnate fra di loro Italia e Francia sole, l'offensiva strategica non sarà per l'Italia il punto di partenza delle sue operazioni, essa potrà essere la conseguenza di risultati favorevoli ottenuti in territorio italiano ... l'offensiva italiana sarà subordinata in modo diretto allo scopo finale della guerra che è di sconfiggere l'esercito nemico od almeno ridurlo al punto che l'avversario non giudichi più conveniente continuare la lotta" In un conflitto italo-francese, pertanto, la scelta strategica iniziale era e non poteva essere che difensiva, da parte italiana. In questa logica Cialdini scrisse a Ricotti, il 30 giugno 1874, rilevando la necessità di schierare con rapidità l'esercito sull'Alto Po e nella stessa logica il ministro della Guerra chiese al Comando generale di Torino una relazione sul1a difesa della frontiera occidentale. Torino era la città più esposta, primo obiettivo territoriale e politico dell'offensiva francese. Il Comando locale chiedeva una organizzazione difensiva capace di trattenere gli invasori sui monti per due settimane anche nel caso di una guerra improvvisa. Era necessario a tal fine rinforzare i-presidi con bersaglieri, forze mobili e alpini. Ci si attendeva che il grosso del nemico arrivasse al piano verso S. Dalmazzo, provenendo dal colle di Tenda e dalla val di Stura, col sussidio di altre colonne dal Monginevro, per cui veniva richiesto che due nuclei di truppe di prima linea, preferibilmente bersaglieri con appoggi mobili alpini, fossero impiegati per sbarrare le valli della Dora e del Chisone: l'azione di questi reparti, in manovra sui fianchi e alle spalle del nemico, sarebbe stata più efficace che non una difesa disperata di tutti i valichi, ai:iche perché avrebbe reso l'avversario incerto sulle intenzioni italiane. Il Comando torinese riteneva che in tal modo la resistenza sarebbe stata più lunga, più elastica e con perdite minori. Lo schieramento dell'esercito in pianura doveva coprire due fronti: quello occidentale dal Piccolo S. Bernardo al colle Tanarello e quello meridionale dal col1e Tanarello a Genova. Il Comando di Torino criticava senza mezzi termini le idee dominanti che prevedevano, secondo il suo modo di vedere, una difesa incerta, non manovrata nelle valli ma fissa e appoggiata ai forti, che avrebbe condotto all'abbandono precoce di buone posizioni, a perdite


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maggiori e a negativi effetti morali. "Funesta idea quella di valersi delle Alpi per trattenere solo per poco l'inimico, per poi attenderlo nel piano e confidare nella battaglia in campo aperto" E ribadendo l'esigenza di condurre nella zona montana un' azione di massima difesa, chiedeva un rinforzo di 25.000 uomini. Il tenente generale Ettore Bertolè Viale, rivedendo criticamente questo studio a Roma, ne rilevava - il 17 febbraio 1876 la difformità dalla strategia adottata dal Comando di Stato Maggiore, che considerava la resistenza alpina solo come un preludio all'azione principale, da condurre al piano con masse manovrate "avanti agli sbocchi delle valli" Torino invece non aveva una grande fiduc ia nelle operazioni in pianura e avrebbe preferito che il contrasto alpino fosse l'atto principale di difesa. Questo orientamento però avrebbe comportato la necessità di schierare molte truppe sulle Alpi e sugli Appennini liguri, motivo per cui sarebbero occorsi ben 10 corpi d' armata nell' alto bacino del Po: 2 per la difesa alpina, 1 per il fianco sinjstro, 7 per la manovra aJ piano. Ciò avrebbe reso necessaria la mobilitazione regionale e l'avverarsi della condizione che il nemico non scegliesse uno sbarco nella penisola come operazione principale. Il Comando di S.M. si fondava sull'aggressività dell'azione manovrata, Torino sulla resistenza legata alle posizioni. Quel che si poteva fare era di defi nire quanti alpini e bersaglieri sarebbero stati impiegati nella prima osservazione difensiva e quali forze potevano essere destinate, senza compromettere la strategia di fondo, alla resistenza media e massima nella zona di montagna. Vi si sarebbero destinate truppe leggere, in grado di sviluppare "lo spirito aggressivo fondamento di quel sistema di guerra" Le compagnie alpine avrebbero avuto bersaglieri di rincalzo: a tal fine il reggimento bersaglieri di stanza a Torino sarebbe stato spostato avanti sulla Dora Riparia e l'analogo reggimento di Rimini sarebbe stato trasferito a Cuneo, per sostituirvi il locale reggimento di fanteria che sarebbe stato tenuto a portata di mano per la ilifesa della linea del colle di Tenda 7 . Passando al tema dell'offensiva, la prima cosa da considerare era il carattere del terreno. "Oltrepassato il confine vi è una profonda zona alpina in cui la scarsità delle strade, la distanza e la 7 AUSSME,

G24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 48.


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mancanza di collegamento fra di loro, le difficoltà naturali del terreno accresciute da un formidabile sistema di fortificazioni, mettono l'offensiva italiana in condizioni eccezionalmente sfavorevoli. Il buon esito delle operazioni si deve ritenere qui più che mai dipendente dalla prontezza e dalla risolutezza negli atti offensivi" Esaminando partitamente le possibili vie d'invasione e di penetrazione in Francia, si rileva che'· quelle meridionali del colle di Tenda e della Cornice conducono ad un teatro separato e che le truppe che vi fossero impegnate dovrebbero percorrere circa 300 km in territorio nemico prima di ricongiungersi al grosso. Tali direttrici pertanto diventano interessanti solo per un'azione su Tolone, o una mossa diversiva o "la pura occupazione territoriale ... Rimangono quindi le quattro linee d'invasione attraverso i passi del Piccolo S. Bernardo, del Moncenisio, del Monginevra, dell' Argentiera o Maddalena. Tutte quattro conducono in direzione Nord-Ovest e quindi nella direzione di Lione e di Parigi; tutte quattro sboccano sull' Isère nel tratto Conplans-Grenoble. Le due prime (Piccolo S. Bernardo e Moncenisio) seguendo, l'una la valle dell' Are e l'altra quella dell'Isère, si riuniscono a Chamusset sull 'Isère al confluente delle due valli dopo un percorso di 90-100 km in territorio nemico. A quaranta km più a valle dell 'Isère di fronte a Grenoble e precisamente al confluente della Romanche col Drac si riuniscono le altre due del Monginevra e del colle del1' Argentiera dopo un percorso in territorio nemico di 110 km la prima e 180 km la seconda. Sotto il nome di linea del Monginevra intendiamo quella che dal Briançon pel colle del Lautaret va a Grenoble. Abbiamo denominato dell'Argentiera la linea d'invasione da Barcellonette per Gap, valle del Drac a Grenoble" Una offensiva italiana partirebbe dal controllo dell'altipiano del Moncenisio per imboccare la valle dell' Are: suo primo obiettivo la conquista del forte deU'Esseillon, costruito dai Savoia, a 26 km dal confine ed a 6 da Modane. Altra ipotesi, puntare alla val d'Isère ed alla Tarantasia dal Piccolo S. Bernardo, che molti scrittori militari ritengono essere la linea di penetrazione migliore dal Piemonte alla Savoia. Nello studio l'esame delle diverse possibilità viene condotto analiticamente e con molta cura, ma la valutazione finale circa la possibilità e convenienza per l'Esercito italiano di imbarcarsi in una avventura offensiva in grande stile pare improntato allo scet-


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ticismo, e l'ipotesi confinata al campo del mero studio, se non al regno della fantasia 8.

10. lNSlEME CON ALLEATI,

OFFENSfVA; CONDIZIONAMENTI STRATEGICI

Ben diverso sarebbe stato se Italia e Germania avessero combattuto insieme contro la Francia. Ne trattava uno studio del Corsi, di pochi giorni successivo a quello dell ' Orero. La nuova ipotesi prevedeva che il fronte germanico avrebbe assorbito la maggior parte dell'Esercito francese, il quale sarebbe stato costretto, di conseguenza, a mantenere un atteggiamento difensivo sulle Alpi, restando eventualmente affidato alla flotta il compito di attaccare l'Italia. Ma anche il rischio marittimo, nel caso considerato, diminuiva molto, perché la Marina francese non avrebbe potuto sfruttare la propria superiorità per portare a buon fine una grande operazione anfibia, venendo a mancare la disponibilità di un corpo da sbarco di tale consistenza da creare all' Italia serie preoccupazioni strategiche. Anzi, la superiorità numerica di cui avrebbe goduto l' Esercito italiano nel teatro delle Alpi consentiva di immaginare una strategia offensiva. D' intesa con l'alleato, si poteva puntare su Lione, sviluppando l'attacco dalle valli dell ' Are e dell' Isère. Sarebbe stata mandata avanti la fanteria leggera con l'ordine di non fermarsi davanti alle fortezze, ma di aggirarle procedendo oltre con rapidità. Il grosso dell'esercito l'avrebbe seguita diviso in quattro masse: la 1a armata, con tre corpi, avrebbe avanzato dal Piccolo S. Bernardo, e la 23 armata, anch'essa su tre corpi, dal Moncenisio, avendo come obiettivo comune Grenoble. La 3a armata si sarebbe mossa più a sud, facendo avanzare un corpo per il Monginevro e due per l'Argentiera. La cavalleria, divisa in due divisioni, avrebbe operato alle ali, dal Piccolo S. Bernardo e dall a linea dell' Argentiera. La custodia delle retrovie era affidata a due corpi di milizia mobile 9 Viene naturale collegare questo schema con l' appunto di Minghetti concernente l'incontro con Moltke nel 1873, quando il 8

Elaborato del maggiore di S.M. B. Orero, rivisto dal colonnello Corsi, Firenze, 6 marzo 1875, AUSSME, G 24, Corpo di S. M. Corrispondenza, R. 47. 9 Memoria del colonnello Corsi, Firenze, 30 marzo 1875, AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 49.


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presidente del Consiglio aveva creduto di leggere sulle labbra del maresciallo tedesco il suggerimento di un incontro fra le truppe italiane e germaniche a Lione. Il piano era stato concepito nella consapevolezza che un alleato tedesco avrebbe preteso dall'Italia l'adozione di una strategia offensiva - era questo, a detta di Moltke, "il miglior modo di difendersi e di obbligare la flotta francese a rientrare a Tolone" - e un attacco dalle Alpi avrebbe costretto l'avversario a dividere le sue forze. Entrando i_n tale ordine di idee, i settori del fronte più utili apparivano quello centrale e quello settentrionale, dai quali si potevano condurre operazioni coordinate e coprire il fianco sinistro dell'avanzata germanica. Assai meno interessante appariva invece l'ipotesi di un'offensiva sul fronte meridionale, in direzione di Tolone e di Marsiglia, perché avrebbe permesso ai francesi di concentrare contro la Germania tutte le loro truppe mobili, gestendo con forze ridotte la difensiva di fronte agli italiani 10 . In una continuità di pensiero che conferma come in campo militare Ja rivoluzione parlamentare del marzo 1876 non abbia inciso molto 11 , anche un nuovo studio del maggiore Orero, del luglio 1876, è ispirato alla logica della guerra coordinata. "L'alleanza colla Germania" - esordiva l'autore - "è per l' Italia causa più probabile di una guerra offensiva contro la Francia... O i due alleati tenderanno anzitutto ad unire le loro forze per procedere insieme contro quelle del comune nemico. O ciascuno dei due darà alla guerra un'obiettivo speciale proprio. Nel caso pratico la scelta non è libera" La posizione geografica dell'Alsazia e della Lorena rispetto alle frontiere italiane era tale da condizionare prospettive operative molto diverse. Una delle due regioni renane avrebbe costituito la base principale di partenza per l'esercito tedesco diretto all'invasione della Francia. Ma mentre un attacco dall 'Alsazia lasciava aperta la possibilità di una cooperazione con gli italiani, un' offensiva dalla Lorena l'avrebbe esclusa. io Gooch, cit., p. 155. Il nuovo ministro della Guerra della Sinistra, tenente generale Luigi Mezzacapo, napoletano, a parte una certa meridionalizzazione dell'esercito, fu "sostanzialmente un continuatore di Ricotti", Ceva, cit., p. 336. 11


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In questo caso infatti i tedeschi potevano, teoricamente, avanzare fino ad occupare l'altopiano di Langres, prendervi posizione fronte ad ovest e "attendere l'arrivo degli italiani per spingere la guerra a fondo" Ma partendo insieme, i tedeschi dovevano percorrere circa 250 km e gli italiani il doppio, per cui la differenza dei tempi d' arrivo sul luogo d' incontro si poteva valutare in 25-30 giorni, e questo sfalsamento temporale era talmente grande da far "credere illusoria la probabilità, nel caso d' invasione dalla Lorena, che l'Italia possa arrivare in tempo per mettere il peso della sua spada là dove si combatteranno le battaglie decisive" Tanto più che appariva inverosimile che qualche scontro in grande stile non si verificasse durante un' avanzata di 250 km e la successiva conversione a destra. Se quindi l'esercito germanico avesse sferrato la propria offensiva dalla Lorena, si doveva rinunciare al progetto di riunire sul campo le forze alleate: "1 ° - Perché tale ammi ssibilità sarebbe legata alla scelta di un piano di campagna tedesco contrario all 'obiettivo diretto di arrivare addosso il più prontamente possibile all'esercito nemico. 2° - Perché a questa perdita di tempo, di tanto maggior danno per l'offensiva in cui il far presto è essenziale elemento di vittoria, bisognerebbe aggiungere il notevolissimo indugio che subirebbero le operazioni tedesche per aspettare il concorso dell' esercito italiano. 3° - Perché l'obiettivo della riunione dei due alleati implica l' accettazione per parte della Germania di un piano di campagna che le ragioni militari non possono a meno di condannare. 4° - Perché anche trascurando queste ragioni tutto porta a supporre che non tarderebbero a sopraggiungere eventi tali che renderebbero ineseguibile il primitivo concetto" In caso invece di avanzata germanica dall'Alsazia sarebbe bastato che l' ala sinistra tedesca, per la Tronée di Belfort e la valle del Doubs, "si allungasse a sud per dar mano alle colonne itali ane che, superata la Savoia, avanzassero nella direzione di Bourg en Bresse" La zona di radunata strategica dell 'esercito tedesco variava, naturalmente, in relazione alla regione scelta come trampolino: nel caso della Lorena la radunata avrebbe avuto luogo, prevedibilmente, tra il Reno e la Mosella come nel 1870, mentre nel caso del1' Alsazia la si doveva supporre a cavallo del Reno da Strasburgo a sud. Una soluzione intermedia non era né praticabile, né utile.


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Seguivano considerazioni strategiche sul fatto che nel 1870 la vittoria germanica era stata propiziata da un atteggiamento francese di tipo offensivo, mentre dopo quella esperienza era probabile che il comando francese adottasse una condotta difensiva manovrata, "tale da permettere di dare o accettare battaglia in condizioni favorevoli o di evitarla se ne sia il caso con ritirata sicura su altre posizioni successive" Il teatro geografico francese favoriva una simile strategia, consentendo arroccamenti successivi in profondità dietro le linee dei fiumi, mentre la copertura di Parigi, tenuta indipendente, avrebbe avuto la duplice funzione di difendere la capitale e di minacciare il fianco di un invasore proveniente dalla Lorena. Ma se l' attacco strategico alla Francia fosse venuto "da Est o meglio ancora da Sud-Est", le linee fluviali sarebbero diventate " linee d'operazione con vantaggi ed inconvenienti comuni ai due avversari. La difesa perderebbe la sua profondità. Non sarebbe più indipendente da Parigi. Anzi il difensore, il quale non potrebbe più, stante la direzione dell ' attacco, ripiegarsi verso Sud, dovrebbe tendere ad operare la sua ritirata verso la capitale, colla probabilità di essere fatalmente tratto nella sorte di questa, e ciò nel caso migliore, poiché è anche possibile che l' attaccante riesca ad avvolgere la destra del difensore con manovra analoga a quella del 1870, lo separi da Parigi e dalla Francia e lo costringa da ultimo ad accettare battaglia nella condizione più sfavorevole" Andava peraltro riconosciuto che un attacco tedesco dalla Lorena non avrebbe urtato "contro seri ostacoli", mentre dall' Alsazia avrebbe avuto di fronte la linea difensiva dei Vosgi, che i fran cesi avevano organizzato da Épinal a Montbéliard, ancorandola alla piazza di Belfort. Una simile situazione di teatro poteva anche suggerire un attacco avvolgente germanico dalla Lorena. La valutazione di fondo non cambiava. "Resterebbe in favore di un piano d' attacco proveniente dall'Alsazia la considerazione già esaminata cioè che mentre l'invasione da quest' ultimo lato agevolerebbe l'esecuzione del concetto tendente alla riunione dei due alleati, l' invasione dalla Lorena sarebbe per se stessa in opposizione al conseguimento di un tale obiettivo. Ora, perché le forze dell ' Italia alleata alla Germania possano influire nella decisione della guerra in ragione del loro peso, è necessario che dette forze ne controbi-


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lancino approssimativamente altrettante di nemiche. Ma se in astratto questo risultato potrebbe essere dato sia dalla riunione al momento decisivo dei due eserciti alleati, sia dalla divisione del nemico comune in parti che siano in proporzione della forza dei due eserciti stessi, nel caso concreto speciale, ciò non si può ottenere che colla riunione delle forze alleate. Difatti assegnando a ciascuno dei due eserciti un obiettivo diverso (né, come si disse, è lecito a noi supporre altrimenti nel caso che l'invasione germanica procedesse dalla Lorena), l'azione dell'alleato minore si svolgerebbe a tale distanza da quella dell'alleato principale (la linea d'operazione italiana che dalla fronte Torino-Cuneo andrebbe, nell'ipotesi che consideriamo qui, ad incontrare la linea d'operazione germanica, misurerebbe 670 km, di cui 600 circa in territorio nemico) da permettere al nemico comune situato fra i due e padrone di parecchie linee ferroviarie, di preoccuparsene ben poco. Ma si supponga pure che la sola considerazione della distanza non debba sembrare sufficiente alla Francia per ritenersi guarentita per quel tempo che le occorrerebbe impiegando contro di noi una quantità di forze molto inferiori alle nostre. A rassicurarla maggiormente si aggiunga un'altra considerazione. L'ipotesi che l'azione dei due alleati debba avere un obiettivo indipendente esclude qualunque idea di indugio nelle operazioni offensive per parte della Germania, in quanto che questo indugio non potrebbe essere consigliato che da una mira opposta, dalla mira cioè di dar tempo all'esercito italiano di concorrere contemporaneamente all'esercito tedesco ad operazioni strategicamente comuni. Ciò posto, noi dobbiamo nel nostro caso supporre che l'iniziamento della gran guerra tra Francia e Germania coinciderà coll'iniziamento delle ostilità ed accadrà appena ultimata la mobilitazione. Tra Francia e Italia la guerra decisiva di grosse masse non potrà invece assolutamente incominciare che dal momento in cui l'esercito italiano sarà sboccato nel piano di Lione. E siccome, tenuto conto della lunghezza del cammino, e del1e difficoltà territoriali, non ci è lecito sperare di ottenere ciò in un tempo minore di 40 giorni - ed è presumibile saranno molti di più - ne consegue che la Francia avrebbe nel caso più sfavorevole almeno 40 giorni ed in media 60 giorni dinanzi a sé per disporre di quasi tutte le sue forze contro la Germania. In sostanza l' esercito francese avrebbe, in caso d'invasione dalla Lorena, lo spazio e potrebbe avere il tempo


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necessari per misurarsi dapprima coll ' avversario più temuto e minacciante da vicino; ed allora, o è vittoriosa, ed è palese la posizione critica in cui si troverebbe l'avversario meno forte, o è perdente, ed in tal caso non è fuori d'ogni probabilità che la sorte della guerra sia militarmente già decisa prima che l'esercito italiano possa entrare in azione colla massa delle sue forze. Tradotta in cifre la questione si riduce alla seguente: otto sono i Corpi d'Armata che il nostro sistema di mobilitazione permette di far trovare in Piemonte allo sbocco delle valli pronti a muovere nella terza settimana. In cifra tonda 240.000 combattenti. Dalla prima parte del presente studio risulta quanto gravi e numerose siano le difficoltà territoriali che si opporrebbero all'avanzare di questi 240.000 uomini. Se, per di più, si tiene conto essere vitale interesse francese di sostenere la difesa da questo lato col minimo di forze dell'esercito di ia linea, pare a noi che con 40.000 uomini di questo, rinforzati da altrettanti e più di milizia territoriale, la Francia potrà sperare di dare alla difesa delle Alpi verso l'Italia quel grado di resistenza che le circostanze richiedono. Mettiamo anche per maggiore guarentigia delle nostre conclusioni, che questo distaccamento tolto alle forze di 1° linea possa giungere alla cifra di 60.000 uomini, cifra che, tutto compreso, rappresenta certamente il massimo della forza di cui, per far fronte a noi, si troverebbe diminuito l'eserci to francese di fronte alla Germania. Paragonando questa cifra di 60 mila uomini con quella di 240 mila rappresentanti i combattenti italiani, si ha una differenza di 180 mila uomini . Questa differenza rappresenta a nostro giudizio e con una approssimazione che non crediamo superiore al vero, la quantità di forze che l'alleanza tedesco-italiana verrebbe per un periodo di tempo che non ci è lecito supporre inferiore ai due mesi a trascurare o poco meno, qualora i due eserciti alleati dovessero agire con obiettivo indipendente, caso questo che, ripetiamo, si verificherebbe necessariamente nell' ipotesi di invasione germanica dalla Lorena. Ora se si considera che una guerra difensiva permette più che l'offensiva di utilizzare tutte le forze di una nazione, e se si considera che il quadro di guerra dell'esercito attivo francese, escluso il Corpo d' Algeri a, è per se stesso più forte di quello germanico di circa 50.000 baionette, non sembra infondato il timore che in queste condizioni, l'alleanza italiana possa essere, durante il periodo più importante delle operazioni, neppu-


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re sufficiente ad equilibrare numericamente le forze della Germania con quelle della Francia. Se dopo tutto ciò non si può certamente escludere i comuni vantaggi reciproci di cui potrà essere feconda l'alleanza italo-germanica anche nell'ipotesi di un' azione indipendente, sembra però potersi ritenere che i frutti di essa non potranno essere raccolti in modo completo che in un periodo della guerra alquanto inoltrato e tale che, se è lecito fare assegnamento su di essi, sarebbe temerità la nostra tentare di prevedere dove, quando e come ciò potrà accadere. Ma se la riunione dei due alleati si può considerare subordinata alla condizione che l'attacco germanico proceda dall'Alsazia, non ci nascondiamo come, anche in questa ipotesi favorevole, il raggiungimento di tale scopo dipenderebbe dal buon successo di operazioni lunghe e malsicure e non in armonia con l'obiettivo dell'offensiva tedesca. Per il ché in realtà la considerazione di poter dare la mano all' alleato ha un valore dubbio e non può quindi avere per la Germania che un peso secondario nella scelta della sua fronte d' invasione" C'era una soluzione diversa, che avrebbe evitato ai tedeschi di dover affrontare la linea dei Vosgi e di effettuare subito il collegamento con i loro supposti alleati, e consisteva nell'effettuare la congiunzione in territorio svizzero, convergendo l'esercito tedesco da nord e quello italiano da sud. Se la Confederazione elvetica avesse acconsentito, tutto sarebbe andato de plano. In caso contrario "un nuovo nemico rispettabile da vincere in casa sua e la possibi lità di gravi complicazioni sono tali circostanze che invitano a tutta prima a rinunciare senz' altro all ' idea di infrangere la neutralità svizzera" Tuttavia non andava trascurata l'eventualità "che la Svizzera, invasa a nord dalla Germania, a sud dall' Italia, si limiti a protestare contro l'infrazione della sua neutralità senza venire ad atti ostili da porre serio incaglio alla marcia dei due invasori. La sua impotenza ne sarebbe la legittima scusa. La speranza della tanto agognata rettificazione della sua frontiera dal lato della Savoia, lo stimolo" Nel caso concreto, il pericolo che una delle grandi potenze garanti rimaste neutrali (Austria-Ungheria, Russia, Gran Bretagna) intervenisse, si poteva "considerare molto lontano" Si comprende che la tentazione fosse forte, dal momento che l'estensore dello studio a chiare lettere scriveva: "volendo rispettare la neutralità svizzera, non vi è piano di campagna che presenti condi-


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zioni favorevoli alla congiunzione dell'esercito italiano con quello germanico" Il maggiore Orero riassumeva in quattro punti i suoi ragionamenti: "1 ° - Che l'offensiva tedesca può pronunciarsi: dalla Lorena con direzione normale, secondo le circostanze, sia verso Ovest come verso Sud-Est; dall'Alsazia con direzione normale verso Ovest e con possibilità anche di abbracciare la direzione Nord-Ovest; dall'Alsazia appoggiata da un attacco contemporaneo dalla Lorena, con direzione generale dapprima verso Sud-Ovest, e precisamente secondo la bisettrice del rientrante formato dalla linea di confine germanico verso la Francia, e colla possibilità in seguito, riunite le masse, di procedere come nel secondo caso. 2° - Che un'invasione dalla Lorena è quella che presenta alla Germania la possibilità di entrare nel territorio nemico nel modo più facile, più sollecito, più compatto, e sarebbe per di più la migliore strategicamente nel caso che la Francia si disponesse anche dal lato suo ad un'azione aggressiva o ad accorrere verso la frontiera incontro all'invasore. 3° - Che un'invasione dall'Alsazia, pur presentando quelle difficoltà materiali che verrebbero escluse operando dalla Lorena, avrebbe il vantaggio, superati gli ostacoli del primo momento, di portare l'attacco sul fianco ed anche sul rovescio di quell'ampio sistema difensivo che appoggiato alle sue linee naturali e successive di difesa, darebbe alla Francia il mezzo di opporre la massima resistenza. Dal punto di vista dell' alleanza italiana poi, se l'invasione dall'Alsazia non porterebbe con sé una vera probabilità di riunione dei due eserciti, ridurrebbe però minore la distanza da cui si trovano forzatamente separati e potrebbe secondare quelli eventi che rendessero una tale riunione tosto o tardi fattibile e consigliabile. 4° Che l'invasione procedente dall'Alsazia combinata con quella procedente dalla Lorena mirerebbe allo stesso scopo di un'invasione dal1' Alsazia, col vantaggio di offrire un mezzo per superarne le difficoltà senza che la conseguente divisione delle sue forze possa considerarsi un vero pericolo per la Germania" In conclusione, "i nostri ragionamenti non ci permisero di dire quale dei due attacchi abbia più probabilità di essere prescelto dalla Germania. La perplessità del nostro giudizio era una conseguenza del fatto che, mentre la superiorità strategica che dovrebbe sempre avere il sopravvento sta solo eventualmente in favore di un'invasione dall'Alsazia, la convenienza dell' invasione dalla Lorena dal punto di vista logistico è assoluta.


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L'ipotesi su cui si basa la superiorità strategica di un'invasione per l'Alsazia contempla per la verità il caso di un piano di guerra che abbiamo creduto dimostrare il più conveniente cui possa attenersi la Francia nelle condizioni attuali della sua frontiera verso Germania. Ma questo piano che ha come punto di partenza la difensiva, e sembra quindi non consentaneo al carattere nazionale francese, sarà esso il prescelto? Ad ogni modo le intenzioni del nemico essendo un dato dubbioso, è egli probabile che la Germania rinunci ad un vantaggio certo, benché minore, per un vantaggio incerto sebbene di maggior peso? Né il vantaggio più incerto ancora della possibile riunione dei due eserciti alleati può modificare la conclusione: essere cioè l'attacco germanico dalla Lorena il più ammissibile. Dal punto di vista dell'alleanza tedesco-italiana, ciò è quanto dire che con tutta probabilità le operazioni delle due potenze alleate dovranno avere una direttrice strategica offensiva indipendente e poco dissimile da quella che ciascuna delle due adotterebbe qualora si trovasse sola. E siccome questa indipendenza d'azione, forse probabile anche qualora l'attacco germanico provenisse dall'Alsazia, è ad ogni modo sempre obbligatoria sino a tanto che le operazioni italiane non siano spinte al di là dell' Isère ... pur tenendo conto dell'influenza che necessariamente un attacco contemporaneo dalla Germania deve esercitare sulla difesa attiva francese contro di noi, questa influenza, per quanto riguarda la nostra direzione di marcia, non potrà realmente farsi sentire che quando si tratterà di spingere le nostre colonne oltre la fronte Grenoble-Albertville" 12. Obiettivo dell'offensiva italiana, in questo studio come in quelli della primavera 1875, era una penetrazione sul fronte centrale diretta alla valle dell'Isère attraverso la Moriana e la Tarantasia. Di là si poteva immaginare di puntare a Lione e alla valle del Rodano, ma anche di "girare verso il nord per incontrare le truppe tedesche" 13 . 12

Memoria del maggiore di S.M. B. Orero del 9 luglio 1876, AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 47. 13 Si supponeva che l'annata d' invasione non avrebbe potuto percorrere più di 8 km al giorno; se però non si fosse costruita la ferrovia della val d'Aosta - ammonì il Ricotti nell'aprile 1875 - tutto sarebbe rimasto allo stato teorico.


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Si può rilevare che le successive versioni dei piani riducevano la consistenza dei corpi d'armata che si prevedeva di impiegare nel dispositivo d'attacco: nel marzo 1875 erano 9, in aprile 8, 1' anno dopo 7. In questa ultima edizione i corpi impegnati al Piccolo S. Bernardo ed al Moncenisio scendevano a 2 per ciascun settore, forse perché si supponeva che 4 corpi fossero sufficienti per investire la linea Albertville-Grenoble, la quale, aggirato il massiccio della Vanoise e riunite le forze sull'Isère, costituiva il ]oro comune teatro operativo. Restava invece immutata la precedente destinazione di un corpo d'armata alla linea d'invasione del Monginevro e di 2 a quella dell'Argentiera, la quale "è certamente, rispetto ad un piano offensivo avente per obiettivo Lione, quella i cui inconvenienti sono a tutta prima maggiormente palesi", sia per le difficoltà naturali che per la qualità e scarsità delle vie di comunicazione 14. Nel 1876 non era escluso che alle operazioni terrestri potesse concorrere anche un corpo da sbarco: data però l'inferiorità dello strumento militare marittimo italiano, è da presumere che una simile azione sulle coste della Provenza fosse considerata possibile ed utile solo in un secondo momento. Essa non poteva infatti concorrere alla presa di Lione e poteva essere tentata, con fini di pura occupazione, solo quando il nemico fosse apparso disorientato per le sconfitte subite. Sugli"studi del triennio 1874-1876 si fondarono, fino al 1881 , a crisi di Tunisi ormai consumata, i piani militari italiani verso la Francia. Durante quegli anni, così negativamente caratterizzati dal deterioramento della posizione internazionale dell'Italia, sempre più isolata, le ipotesi offensive diventavano sempre più una mera esercitazione scolastica, mentre quelle difensive davano luogo ad una presa di coscienza preoccupante dei pericoli che correva il Paese. 11. I FIASCHI DI BERLINO

L'avvento della Sinistra al potere fu accompagnato da un attivismo politico non abbastanza adeguato alle condizioni militari 14 Vedi

la memoria Orero del 6 marzo 1875, già citata, dove è anche chiarito che "per linea d'invasione intendiamo.. . la direttrice di marcia di un Corpo d'Armata almeno".


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della Nazione 15 . Il nuovo ministro della Guerra del governo Depretis, tenente generale Luigi Mezzacapo, giudicò l'armamento dell'Esercito antiquato e scadente e si rese conto che la preparazione dell'artiglieria e della cavalleria era insufficiente rispetto alle esigenze di sostegno della fanteria. Nei due anni nei quali ebbe la responsabilità del Ministero della Guerra, egli si adoperò per migliorare la situazione che aveva trovato, chiese nuovi fondi, equipaggiò l'Esercito con i nuovi fucili Wetterley e Carcano, portò i comandi di corpo d'armata da 7 a 10, riorganizzò la rete dei distretti aumentandoli da 45 a 88 e migliorò il meccanismo di mobilitazione, in particolare per la milizia mobile: ottenne così di avere alle armi 250_000 uomini, più 20.000 carabinieri, in luogo dei precedenti 180.000 16• Mezzacapo, come poi Cosenz, concepiva l'esercito secondo il modello tedesco, come strumento della politica estera, ma la situazione reale delle forze armate, l'impossibilità di una soluzione tipo "genesi", l'inesorabilità delle scadenze politiche imposte dalla congiuntura internazionale, fecero sì che allo sforzo, pur importante, mancasse il tempo necessario per conseguire risultati adeguati 17 La Sinistra ereditava dalla Destra l' infondata speranza che la prospettiva di un ' avanzata di Vienna in Bosnia e in Erzegovina avrebbe aperto la via ad una rettifica, a titolo di compenso, della frontiera nord-orientale, così che almeno una parte delle terre irredente potesse tornare all'Italia. Per la verità, gli austriaci non avevano mai alimentato simili speranze, anzi nel 1874 avevano dichiarato esplicitamente che non avrebbero accettato senza guer15 Anche

nel discorso della Corona del 20 novembre 1876 fu fatto cenno esplicito all'urgente necessità di potenziare l'esercito e la flotta. APC, Legislatura XllI, Discussioni, I, Roma, Eredi Botta, 1877, pp. 6-7. 16 V. Gallinari, La politica militare della Sinistra storica (1876-1887), in Memorie storiche militari 1979, Roma, Stato Maggiore Eserc ito - Ufficio Storico, 1980, pp. 69-93; F. Minniti, Preparazione ed iniziativa. Il programma di Luigi Mezzacapo (1878-1881), in Memorie storiche militari 1983, Roma, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, 1984, pp. 353-63. 17 F. Venturini, Militari e politici nell'Italia umbertina, in "Storia contemporanea", 1982, 2, pp. 168-224. TI 7 luglio 1876 il Mezzacapo scrisse al presidente del Consiglio Depretis che dalle forze militari dipendevano "la sicurezza esterna e la grandezza della nazione", ma che si era "molto lungi da quel punto al quale generalmente si crede sia giunta la nostra potenza militare"


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ra la rinuncia a terra e sudditi rivendicati in nome del principio di nazionalità. Inoltre, l'Austria riarmò, rinforzando la propria posizione di fronte ad un'Italia costretta a perseguire una politica di pace sostanzialmente disarmata, che non si addiceva a velleità di espansione. Gli avvenimenti nei Balcani e nel Levante, con le sollevazioni contro i turchi, attirarono tuttavia verso oriente l' attenzione degli italiani. Ne11'estate 1876 il maggiore di S.M. Egidio Osio e il capitano di vascello Vittorio Arminjon svolsero una missione lungo la costa adriatica orientale a bordo della corazzata Castelfidardo, e sconsigliarono qualunque avventura nell'interno, ma suggerirono "di limitare le operazioni in Albania od in Epiro alla presa di possesso di qualche punto importante del littorale ... Le posizioni che corrisponderebbero meglio alle esigenze della politica italiana ed a quelle della nostra fu tura grandezza militare e commerciale sono Prevesa, Valona, Durazzo e Corfù" Una presenza italiana sulla costa orientale del Basso Adriatico avrebbe avuto la duplice funzione di mettere un punto fermo alla discesa austriaca lungo il mare e di integrarsi, ai fini del controllo del Canale d'Otranto, con le basi della Puglia. Ma in quel momento le condizioni dell ' Italia, debole e bisognosa di pace, rendevano fantasiose queste ipotesi. n 16 ottobre il ministro degli Esteri austriaco, conte Andrassy, convocò l' ambasciatore italiano Robilant e gli disse che Vienna non avrebbe tollerato rivendicazioni irredentistiche italiane, pronta, se del caso, a scatenare anche una guerra preventiva per modificare la frontiera a proprio favore. L'altolà sull' Albania venne nel giugno 1877, quando il ministro degli Esteri Melegari fece proporre dal Robilant un 'azione comune per salvare il Montenegro dall ' invasione turca. Andrassy rivendicò il diritto di intervenire se e quando lo avesse ritenuto opportuno, senza che gli italiani potessero pretendere in cambio di li mitare l'avanzata austriaca sulla costa orientale adriatica o di estendere la propria influenza in Albania. Su questo punto il barone Haymerle, ambasciatore austriaco a Roma, disse i] 31 luglio al Melegari: "noi non potremmo ammettere un cambiamento a nostro danno in Adriatico. L'impero austro-ungarico conta 36 milioni di abitanti e non ha che questo sfogo sul mare, noi non possediamo che la quarta parte delle coste, voi ne tenete la metà; non lasceremo quindi nemmeno sorgere l' idea che l'altra quarta parte


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possa passare nelle mani di una potenza che possiede già tutta la riva opposta: sarebbe tanto che strangolare l'Adriatico" Così il compenso albanese era già diventato un miraggio prima ancora che se ne parlasse nei colloqui londinesi dell'ambasciatore Menabrea e durante il viaggio di Crispi nelle capitali europee. E si può ricordare che il veto austriaco sarebbe stato ribadito ancora nel febbraio 1878, quando Andrassy incaricò Haymerle di ottenere l'assenso italiano a11'occupazione austriaca della Bosnia e dell'Erzegovina: "siamo ben volentieri disposti ad esaminare amichevolmente il desiderio dell'Italia per un compenso territoriale ... naturalmente escluso il territorio austro-ungarico ed albanese" In tale situazione, buona parte dei fondi destinati alle fortificazioni fisse, salvo quelle per Roma e Spezia dove i lavori proseguivano, fu dirottata ad opere verso il confine austriaco. Non per questo però miglioravano le relazioni con la Francia, anche se non attraversavano un momento di particolare tensione. A Berlino poi lo S.M. tedesco valutò che il peso militare dell'Italia era modesto, con la conseguenza che anche la disponibilità di Bismarck a stringere un accordo impegnativo con gli italiani si raffreddò. Nell'autunno 1876 il XVI corpo d'armata francese, di base ad Avignone, eseguì manovre verso il confine italiano, destando qualche sospetto e preoccupazione che indussero la sezione informazioni dello S.M., dalla primavera seguente, ad intensificare la raccolta di notizie sugli apprestamenti militari, il terreno e le vie di comunicazione francesi 18 . Nell'agosto 1877 il presidente della Camera Francesco Crispi fu inviato dal re a Berlino per proporre un'alleanza difensiva-offensiva rivolta contro la Francia e l'Austria, ma trovò Bismarck contrario ad ogni ostilità con Vienna e tiepidamente interessato, se mai, solo ad un'intesa antifrancese. Peraltro, stando ai documenti diplomatici francesi, proprio gli interlocutori tedeschi di Crispi fecero sapere a Parigi che gli italiani nutrivano aspirazioni sulla Savoia, in caso di successo militare. Inesperienza ed improvvisazione contribuirono a rendere fallimentare il viaggio di Crispi in Europa: nella capitale francese non fu preso sul serio 18 Cfr. rapporto del T. colonnello Racagni, da Parigi 12 dicembre 1876, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R. l; varie in G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 49 e G 25, Studi tecnici, R. 10.


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quando parlò di comuni interessi latini contro la razza germanica, a Londra la sua proposta di stringere un 'alleanza per mantenere la pace cadde nel vuoto, a Vienna il pronunciamento favorevole alJ'avanzata austriaca nei Balcani rinfocolò il sospetto che gli italiani aspirassero a compensi sgraditi. Vittorio Emanuele II morì all 'inizio del 1878. Il Congresso di Berlino sarebbe venuto presto a collaudare la validità internazionale della formula "amici di tutti", vale a dire dj nessuno. Un paese fragile e debole, esposto ad invasioni per terra e per mare, non compatto all' interno e non ancora abbastanza organizzato sul piano militare, non poteva sperare di più trovandosi in condizioni d' isolamento. L' opposizione francese costituiva una controindicazione insuperabile, in termini di forza, all a ricerca di un compenso a Tunisi per l' avanzata balcanica di Vienna. Chi diceva di non avere obiezioni a quel compenso - Austria, Germania - non intendeva certo impegnarsi per sostenere aspirazioni italiane in Africa ed era evidente che quando vi accennava lo faceva per togliersi dai piedi altre più incomode richieste di Roma per Trento o Trieste, o addirittura per prevenire qualunque ambizione italiana nell ' Adriatico meridionale. In una congiun tura internazionale sfavorevole, nella quale l' Italia perdeva la fi ducia austriaca e non acquistava quella di altri, non restava che la politica delle "mani pulite" o - come più incisivamente la definì il Salvemini - dello "sciacallo debole e sciocco" Il risultato era lo stesso ai fini di un 'affermazione imperialistica, anche di portata modesta 19 . A Berlino, ne ll' estate 1878, un ambiente internazionale dominato da i rapporti di forza, avreb be accolto ogni aspirazione italiana - e, contro ogni logica, ce n' erano - come velleità destinata a fallire. 11 ministro degli Esteri Corti, che se ne rese conto e condusse al Congresso la linea virtuosa di non pretendere niente, diceva giustamente che "gli uomini politici italiani ragionano come se fossimo un paese ricco, prospero e potente, mentre sanno benissimo che siamo deboli, poveri e appena nati" 20 . 19 M . Gabriele, la politica navale italiana in Adriatico dal 1875 al 1878. in Bollettino d'Archivio dell 'Ufficio Storico della Marina Militare, V, giugno

1991 , pp. 129-60. 20 Mack Smith, cit., p. I03.


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Ma nel paese il buonsenso non era di casa. Il conferimento ali' Austria del protettorato sulla Bosnia e sull'Erzegovina venne seguito da un'inutile campagna di stampa irredentistica, mentre altri indicavano nelle conquiste coloniali l'avvenire del Regno d'Italia come grande potenza. Proprio nel Congresso di Berlino e nella Conferenza di Bruxelles per l'incivilimento dell'Africa (1879), invece, sarebbero state poste le premesse per l'occupazione francese della Tunisia. Tutto ciò trasmetteva impulsi schizofrenici allo S.M. dell'Esercit9, che ancora nel dicembre 1879 era costretto a prendere in considerazione ipotesi di guerra tous azimuts sul fronte terrestre 21 . In quella data Vienna aveva già blindato la propria posizione politica e militare stipulando un trattato segreto con Berlino, mentre il riarmo francese, accelerato a partire dal 1877, proponeva ulteriori problemi. Dei 13 milioni destinati ad opere nelle Alpi, 5 furono dirottati per costruire intorno a Roma 15 forti siti a due km l'uno da11'altro e furono assunti nuovi provvedimenti per rendere più efficace e rapida la mobilitazione ed "assicurare il rapido schieramento dell'esercito sull'alto Po", come pure per migliorare il dispiegamento delle compagnie alpine, e sbarrare le valli. Per fronteggiare la minaccia di uno sbarco, quattro divisioni di truppe regolari, appoggiate da altrettante di milizia mobile, furono dislocate a Pisa, Roma, Napoli e Palermo. L'inferiorità marittima italiana era tale che la stessa base principale della flotta, La Spezia, si considerava minacciata e possibile obiettivo di un'operazione anfibia 22 . Giova del resto ricordare che dopo la vendita della flotta di Lissa, solo nel 1877 il Parlamento aveva approvato una legge 21

Ossia verso la Francia, la Svizzera e l'Austria. Cfr. Ettore Bertolè Viale, tenente generale comandante del corpo di S.M. alla Segreteria del Comitato di S.M. dell'Esercito, 9 dicembre 1879, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. R.R., R. 42. 22 Gooch, cii., pp. 159-60. Vedi, per i problemi della difesa di Spezia tra il dicembre 1879 e il giugno 1880, studi, quesiti e risposte del comandante del 1° Dipartimento marittimo (che si impegnava a concorrere con torpedini, vecchie navi da affondare per impedire il passaggio o da usare come cannoniere e piccole unità veloci), nonché i verbali delle 6 sedute tenute dalla Commissione ad hoc della Marina presieduta dal vice ammiraglio Ferdinando Acton; Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, Roma (d' ora in poi indicano con AUSSM), busta 110.


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navale organica, ripartita su 10 anni, e che quindi la Marina attraversava una fase di particolare debolezza, tanto più che le grandi navi, sulle quali tanto si faceva affidamento o si contestava, restavano troppo tempo sugli scali di costruzione o in allestimento. In quegli anni il Da Bormida individuava nella difesa energica e prolungata della barriera alpina, che bisognava opportunamente predisporre con opere e truppe speciali addestrate, la miglior condotta operativa iniziale da parte italiana, sia perché avrebbe consentito di ritardare e preparare meglio le operazioni campali in pianura, sia perché resistendo nella zona di confine si guadagnava il tempo forse necessario perché si producessero eventi politici favorevoli. Per un simile scopo si dovevano utilizzare anche milizie territoriali e raggruppare le valli principali in diversi scacchieri di manovra (val d'Aosta, Alpi Cozie, Alpi Marittime, riviera di Ponente), aumentando la consistenza delle truppe alpine 23 . 12. LA FRANCIA A TUNISI

È noto che durante il Congresso di Berlino Bismarck, attraverso lord Salisbury, aveva consigliato al ministro degli Esteri francese di occupare la Tunisia. Tuttavia sia il Waddington che il suo successore de Freycinet vollero dare assicurazione all'ambasciatore italiano a Parigi, Cialdini, che un eventuale intervento nella Reggenza sarebbe stato preceduto da un'intesa con Roma. Tale impegno non ebbe poi seguito quando il governo di Jules Ferry, nella primavera 1881 , preferì la politica dei fatti compiuti. A Roma intanto, poco dopo la morte di Vittorio Emanuele II, il generale Mezzacapo si era dimesso da ministro della Guerra. Gli successero, tutti per breve tempo, diversi ministri (Bruzzo, Bonelli, Mazé de la Roche, Milon, oltre ad alcuni interim) che "non seguirono la strada che Mezzacapo avrebbe percorso e si mossero con difficoltà anche nell'ambito di quei provvedimenti per il rinnovo e l'incremento del materiale e per la prosecuzione dei lavori di fortificazione intrapresi che rientravano, in gran parte, nel completamento dell'ordinamento vigente; oppure che chiedevano la copertura finanziaria alle iniziative prese dal Mezzaca23

Da Bormida, cit., pp. 143-97.


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po" 24 . Ma il Parlamento perdeva tempo, provocando interventi polemici del1o stesso Mezzacapo e del Pelloux. Venne decisa l'istituzione di un nuovo organismo di studio e di proposta per le fortificazioni. La decisione fu assunta nell'ottobre 1880 dal ministro della Guerra in carica, maggior generale Bernardino Milon, il quale assegnò al Comitato di S.M., riunito in Commissione per lo studio della difesa dello Stato, il compito di elaborare un nuovo piano di fortificazioni che aggiornasse e sostituisse quello, ormai superato, del 1871 25 . Era comunque evidente che l'Esercito - divenuto dal 3 febbraio 1879 "Regio Esercito Italiano" - e la Marina - in via di ricostituzione - non erano in grado di affrontare la difesa degli interessi nazionali contemporaneamente, in Africa contro la Francia e nei Balcani contro l'Austria. L'incerta politica estera aggravava le conseguenze dell'isolamento. Venne il 1881. L'ufficio dell'addetto militare a Parigi, che aveva seguito puntualmente le manovre francesi e svizzere e fornito informazioni sulle opere di fortificazione esistenti nella zona di frontiera, registrava con attenzione anche i segnali politici più significativi. L'8 gennaio il tenente colonnello Rossi riferì che il presidente della Camera, Léon Gambetta, aveva enunciato un programma di pace: "a dispetto di asserzioni prive di fondamento, il mondo intero sa che la politica della Francia non può nascondere né segreti progetti, né avventure" Nei due mesi seguenti però venne riportato che navi della flotta francese andavano e venivano da Tunisi 26. In aprile la Reggenza fu occupata e il 12 maggio fu sottoscritto il trattato del Bardo, che sanciva il protettorato. Questo esito fu salutato con grande entusiasmo dai giornali parigini, i quali - riferiva l'osservatorio militare italiano - "hanno insistito sulla necessità di saldamente stabilire la esclusiva preponderanza francese nella reggenza di Tunisi" Erano in certo senso istruttive anche le disposizioni prese per mobilitare le truppe di occupazione: poiché gli effettivi dei reparti 24 Minniti, cit., pp. 365-66. 25 F. Minniti, ll secondo piano

generale delle fortificazioni. Studio e progetti (1880-1885), in Memorie storiche militari 1980, Roma, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, 1981, pp. 91-119. 26 AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R. 2.


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già in Algeria erano stati ritenuti insufficienti, il comando francese li aveva rinforzati con uomini trasferiti dal territorio metropolitano, avendo cura "di non compromettere una mobilitazione eventuale verso le frontiere della Germania e dell'Italia" Così nessun reparto organico era stato tolto dalla frontiera tedesca, mentre dalle forze schierate verso quella italiana erano stati prelevati per l'Africa 10 battaglioni mobili e 6 squadroni di cavalleria. In Italia il contraccolpo fu forte. Il governo Cairoli, accusato di francofilia e di dabbenaggine per aver preso sul serio le assicurazioni che ancora il 6 aprile erano state rinnovate al Cialdini, si dimise il 29 maggio. Lo stesso giorno, sulla "Rassegna settimanale", Sidney Sonnino indicava la necessità di scelte nuove in politica estera, più idonee a garantire la difesa degli interessi nazionali italiani: erano necessari l'alleanza, o almeno l'amicizia, dell'Inghilterra e "l'accordo più stretto con i due Imperi dell'Europa Centrale" Subito dopo la "Nuova Antologia" pubblicò due scritti significativi. Nell'uno -Anni e politica - l'ex ministro della Guerra Luigi Mezzacapo denunciava l'urgenza di raddoppiare le forze di prima linea; nell'altro - Politica estera e difesa nazionale - il generale Nicola Marselli teorizzava la minore pericolosità per l'Italia della progressione austriaca verso l'Egeo rispetto a quella dell'avanzata francese in Tunisia, implicitamente proponendo una priorità militare al fronte di N-0 rispetto a quello di N-E ed una priorità politica al Mediterraneo rispetto all'irredentismo 27 . Dalla corrispondenza dell'addetto militare a Parigi risulta evidente che la frattura tra i due Paesi si allargava a tutto campo, ben assecondata dalla stampa che non risparmiava sarcasmi e contumelie reciproci. Da parte francese veniva contestata la concessione di un prestito all'Italia, "un paese che in caso di crisi europea sarebbe contro di noi": Alfonso de Rotschild, che se ne era occupato, il 15 aprile scrisse ad Emilio Padoa, suo rappresentante a Roma, che "il sentimento pubblico è stato fortemente offeso dal!' atteggiamento dell'Italia nell'affare di Tunisi e sarebbe al tempo stesso imprudente e inutile cercare, attualmente, di lottare contro questo sentimento"; e il 14 giugno lo informò "che il governo francese ha deciso di non permettere l'emissione in Francia del prestito italiano fintantoché le relazioni fra Italia e Francia non 27

Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit., p. 13.


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saranno ristabilite su un piano di completa cordialità" Da parte italiana si accusavano i transalpini di intolleranza e di gelosia per la crescente presenza di operai italiani emigrati. Se Gambetta, divenuto presidente del Consiglio, aveva sperato di recuperare "une amitié traditionnelle, naturelle" con qualche concessione sul trattato commerciale che venne firmato a novembre dopo un discorso cortese del ministro degli Esteri Bouvier, dovette disilludersi, anche perché, al di là delle parole gentili, concessioni non ce n'erano ed anzi i contestati privilegi francesi sul cabotaggio italiano venivano confermati. Dal canto suo, il console italiano di Tunisi ostentava di non riconoscere il protettorato e creava difficoltà continue, non smentito dal governo che rifiutava il trattato del Bardo, scatenando invettive furenti. In ottobre Umberto I si recò in visita a Vienna, avviando un processo di distensione coi vicini di N-E. Dapprima il significato del viaggio fu sottovalutato a Parigi, dove si pensava che "l'Italia non sarebbe stata accetta ali' alleanza nordica se non portandovi la rinuncia alle provincie irredente", cosa ritenuta improbabile; ma quando i primi sintomi del riavvicinamento italo-austriaco furono evidenti, allora il viaggio fu commentato "con dispetto e spirito poco benevolo per l'ltalia" 28 , poiché ora si temeva che Roma sarebbe stata appoggiata in Africa. La ferita di Tunisi non si sarebbe rimarginata tanto facilmente. Senza dubbio, le aspirazioni italiane si erano scontrate con quelle francesi nel campo della concorrenza imperialistica, ma questo era il costume del tempo e, dopotutto, la presenza di una forte colonia nazionale e di importanti interessi nella Reggenza avevano tenuto viva in Italia l'aspettativa, ritenuta legittima, di mettervi piede prima o poi. La ventata di avversione che si scaricava dall'Italia verso la Francia assorbiva poi anche il risentimento per la condotta di altre potenze. 11 londinese Morning Post lo riconobbe: "Abbiamo vergognosamente ingannato la nazione italiana. L'Italia venne invitata un anno fa a stringere rapporti più intimi con la Germania e con l'Austria, ma essa aveva riposto una affettuosa amicizia nella nazione inglese. Se l'Italia si fosse unita agli Imperi alleati, la marcia della Francia a Tunisi sarebbe stata 28

Vedi i rapporti dalla capitale francese dell'ap1ile-dicembre 1881, AUSSME, G 25, Studi tecnici, R. 10.


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perentoriamente arrestata dal veto di Vienna e di Berlino" 29 . Non è il caso di discutere questa interpretazione che presentava l'Italia solo come una vittima, trascurando che lo era stata anche per i suoi errori. Quel che avrebbe contato è che fra Italia e Francia, ormai, si avviava una contrapposizione di lungo periodo.

13. DALL'INFERIORITÀ NAVALE SOLUZIONI PIÙ ONEROSE PER L'EsERCITO In campo militare l'impatto fu immediato. Già nell'aprile 1881, subito dopo l'occupazione francese di Tunisi, le lezioni alla Scuola di guerra del tenente di vascello Evaristo Mesturini mostravano chiaramente quale dei due teorici nemici - Austria e Francia - preoccupasse davvero, e per motivi che un ufficiale di Marina sentiva particolarmente: "Dalla parte della Francia i pericoli sono molto maggiori, a causa specialmente dell'inferiorità della nostra flotta di fronte alla francese. Nel suo studio sul teatro di guerra italo-francese, il Perrucchetti dice che tale teatro di guerra è formato quasi ad imbuto; è largo dalla parte della Francia, dove misura oltre 400 km dalle bocche del Rodano al confine svizzero fra Ginevra e Forte l'Écluse, e si restringe andando verso oriente ... L'invasione francese avrebbe quindi carattere generale di convergenza, basata su larga fronte, e diretta per base ristretta" La costa ligure si prestava ad un'azione avversaria "cospirata per terra e per mare verso il ristretto nostro fronte", poiché una parte delle forze d'invasione poteva proceder per la via costiera, alta sul mare al punto di non poter essere insidiata dal tiro delle navi nel tratto fra Nizza e Mentone, mentre fra Mentone e Oneglia correva bassa tra i monti ripidi e il mare. "Il Perrucchetti dice che i movimenti francesi per terra sono sicurissimi. Da poi la linea litorale ha qualche punto esposto, ma i mezzi di cui disponiamo non ci permettono di offenderla" L'inferiorità della flotta italiana rispetto a quella francese ne era il motivo. "Né si può credere che in mancanza della flotta l'esercito possa essere al caso di impedire un'invasione marittima: esso potrà combattere le truppe quando, dopo sbarcate, hanno preso posizio29 Vedi A. Comandini e A. Monti, L'Italia nei cento anni del secolo XIX, Milano, Vallardi 1942, V (1871 -1900), 3 novembre 1881. Le citazioni dalle lettere di Rotschild sono in L'Italia e il sistema finanziario internazionale. 18611914, a cura di M. De Cecco, Bari, Laterza, 1990, pp. 348 e 398.


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ne verso l'interno del nostro territorio, ma non potrà contrastare ad una spedizione marittima il possesso di un tratto di costa sufficiente allo sbarco... Un corpo di spedizione francese non incontrerebbe difficoltà a costituire una buona base di operazione contro le nostre coste", ad esempio, occupando l'isola d'Elba. Il predominio marittimo francese produceva pericoli anche per la mobilitazione, che avrebbe potuto subire disturbi e ritardi da attacchi alle linee ferroviarie costiere. Nelle conclusioni tuttavia il Mesturini mostrava di fare un certo assegnamento sulle azioni della flotta nazionale: "Abbiamo poche navi di linea; ma alcune di esse rappresentano ciò che di più potente si può avere, e possono perciò seriamente contrastare le operazioni francesi" Dalla base di Spezia la squadra poteva "accorrere ove il bisogno lo richieda, e approfittare delle circostanze favorevoli che si possono presentare per eseguire qualche ardito attacco... trasportando la lotta sul convoglio" 30 . Più che proporre soluzioni, l'estensore delle lezioni cercava di riassumere, con l'ausilio di altri apprezzati scrittori militari, lo stato delle riflessioni e degli scenari ritenuti possibili. L'interesse per questa elaborazione è connessa col tempo della sua stesura, nel quale l'Italia era sola - né si sarebbe trattato di un momento molto breve, ché ancora nel luglio Bismarck avrebbe definito il "Mediterraneo sfera di espansione naturale del popolo francese" - e impotente. La spesa per la Marina militare in Francia si era più che triplicata verso il 1878-1879, raggiungendo lo stesso livello di quella britannica (l ,5 milioni di sterline), mentre in Italia il bilancio della Marina aveva toccato il punto più basso nel 1876 - milioni di lire 37 ,8 - e nei cinque anni successivi non aveva superato una media di 43,6 milioni 31 . Tuttavia è da rilevare che il rapporto di potenza 30 Lezioni alla Scuola di guerra del tenente di vascello Evaristo Mesturini, AUSMM, busta 111 . Oltre che nell'azione della flotta italiana, cui era affidato il contrasto in mare, il nemico avrebbe potuto incontrare ostacoli nelle condizioni meteorologiche e nautiche della costa, nelle caratteristiche del terreno retrostante e, in certi casi, nel clima, "come ad esempio nella campagna romana dove specialmente d'estate le febbri sono molto pericolose" 31 Cfr. A.J. Marder, The Anatomy of British Sea Power. A History of British Na val Policy in the Pre-Dreadnought Era, New York, Knopf, 1940, p. 120; G. Fioravanzo, La Marina Militare nel suo primo secolo di vita, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1961, p. 52.


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marittima, pur sfavorevole, non era considerato così disperato da inibire alla flotta italiana qualunque possibilità di azione. Nell ' aprile 1881 il Duilio era in servizio, mentre Dandolo e Italia erano state varate, anche se non erano ancora in allestimento. Resta il fatto che l'inferiorità della flotta induceva, come misura principale contro lo sbarco, il dislocamento di corpi dell 'Esercito in zone strategiche da dove avrebbero dovuto intervenire contro le forze nemiche che avessero messo piede a terra. Era, se vogliamo, una risposta di tipo prussiano allo sbarco, ma posta in atto da un Paese meno popoloso della Germania e della Francia, con minore disponibilità di truppe, conduceva a indebolire la difesa del fronte principale cui venivano sottratti effettivi. 14. LE CONCLUSIONI

DELLA COMMISSIONE DI DIFESA DELLO STATO

NEL LUGLIO E DICEMBRE

1881

11 Comitato di S.M. generale - recitava la L. 30 settembre 1873, n. 1591 (riforma Ricotti) - è il corpo consultivo del Governo nelle grandi questioni militari. Dovrà anche di sua iniziativa studiarle e richiamare su di esse l'attenzione del ministro della Guerra. Esso si compone degli Ufficiali Generali di terra e di mare che coprono i più alti incarichi militari" 32 . Si configurava quindi come un organo permanente interforze in grado di affrontare tutti i problemi tecnici relativi ad ipotesi di conflitti armati. Quando il ministro Milon lo aveva costituito in Commissione di studio per la difesa dello Stato, il consesso comprendeva gli esponenti più prestigiosi del mondo militare italiano 33 . Presieduta 32 Ceva,

cit., p. 359. Per chiarezza, sarà utile ricordare che lo S.M. generale comprendeva la categoria dei generali in servizio attivo e che il corpo di S.M. generale era formato dagli ufficiali di S.M. e da un Comando. Cfr. F. Minniti, Esercito e politica da Porta Pia alla Triplice Alleanza, parte ·I, in Storia contemporanea, 1972, 3, p. 488. 33 Nella composizione di luglio 1881 firmarono i verbali, oltre al presidente Mezzacapo, i generali Enrico Cosenz, Giuseppe Salvatore Pianell, Cesare Ricotti, Alessandro Avogadro di Casanova, in comando, rispettivamente, del I, III, IV e VI corpo; i generali Bruzzo, Bertolè Viale, comandante del corpo di S.M., Giacomo Longo, comandante del comitato Artiglieria e Genio; i vice ammiragli Federico Martini e Simone di Saint Bon. Cfr. anche Minniti, Il secondo piano, ecc., cit., pp. 93-94.


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dal generale Luigi Mezzacapo - già ministro, senatore e comandante del VII corpo d'armata - la Commissione si era dedicata, durante il 1880, al teatro di guerra del N-E, ma nel 1881 tutta la sua attività fu rivolta ai problemi che una guerra con la Francia avrebbe proposto. Il presidente Mezzacapo riassunse in una lettera del 27 luglio al ministro della Guerra Emilio Ferrero le conclusioni della sessione appena terminata. La lettera esordiva osservando che la Marina italiana non era in grado di dare un contributo efficace alla mobilitazione assicurando il trasporto dei richiamati, né di impedire uno sbarco del nemico, "per cui ali' esercito spetterebbe il compito di guardare non solo la frontiera terrestre, ma eziandio tutto il nostro esteso ed indifeso litorale, che quasi dappertutto si presta ad operazioni di sbarco, e sul quale i francesi, mercé l'immenso materiale da trasporto di cui dispongono, potrebbero gettare, in una volta sola, forze numerosissime" 34 . La sistemazione del fronte terrestre era in ritardo e non aveva avuto lo scopo, fino a quel momento, di arrestare il nemico, ma di ritardarne l'avanzata; una tale "condizione di cose crea la necessità che la maggior parte dell'esercito venga radunata sulla frontiera terrestre ... La Commissione ha pertanto riconosciuto la necessità di ridurre la difesa dell'Italia peninsulare alla protezione delle parti più vitali di essa" Lo schieramento dell'esercito doveva essere articolato in modo da fronteggiare anche una minaccia proveniente dalla Liguria. Alla difesa dei punti nevralgici della penisola e della Sicilia venivano destinati, "per ragioni di carattere più politico che militare", due corpi d'armata, che sarebbero divenuti "il nucleo delle forze locali" 35, e un 'altra divisione doveva presidiare La Spezia all'ini34

Sul tema degli sbarchi il Cosenz era più scettico perché riteneva che la preparazione e l'organizzazione di uno sbarco in grande stile avrebbe assorbito "molto tempo a tutto vantaggio della difesa". Gooch, cit., pp. 160-61. 35 In Toscana, 1 corpo d' armata col rispettivo reggimento di cavalleria, più 1 brigata formata da 3 reggimenti di cavalleria; a Roma, l divisione di fanteria, l reggimento bersaglieri e I di cavalleria; a Napoli, I brigata di fanteria e 4 squadroni di cavalleria; in Sicilia, 1 brigata di fanteria e 2 squadroni di cavalleria. Il concentramento di forze in Toscana era da attribuirsi alla valutazione che uno sbarco nemico in quella regione, attuato nei primi 20 giorni di guerra e seguito da una manovra d'aggiramento, poteva risultare molto pericoloso per il grosso dell'esercito.


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zio del conflitto, con la previsione di poterla ridurre ad una brigata verso il 17° o 18° giorno di mobilitazione, così da recuperare forze "per le operazioni attive"; altrettanto si contava di fare per una parte delle guarnigioni di Genova e di Roma. "La Commissione, fra i due sistemi che si possono adottare per la difesa della nostra frontiera nord-ovest, quello cioè di una resistenza ad oltranza nella zona montana, e quello della resistenza nella detta zona avente unicamente per iscopo di ritardare la marcia dell'invasore e permettere poi alla difesa di manovrare in pianura contro di esso, ha creduto doversi preferire il primo, ritenendo assolutamente inopportuno il secondo, la cui attuazione ci priverebbe del vantaggio offertoci dalla barriera alpina di poter lottare in favorevolissime condizioni contro le forze nemiche, le quali, in quel terreno, non potrebbero avvalersi della loro superiorità numerica. Del resto, vista la relativa ristrettezza e la conformazione del teatro di operazioni dell'alta valle del Po, il nostro esercito non potrebbe aspettare per entrare in azione che il nemico sbocchi da tutte le linee d'invasione nel piano, senza correre il pericolo di trovarsi in posizione avviluppata. Ne deriva quindi la necessità di arrestare la marcia di talune colonne nemiche attraverso la zona montana per guadagnare spazio e tempo necessario a gettarsi con tutte le forze disponibili contro le colonne nemiche che fossero riuscite a sboccare. Dalla qual cosa risulta sempre più evidente la necessità di una efficace difesa della barriera montana" I 7 corpi d'armata destinati alla frontiera N-0 dovevano raggiungere luoghi di radunata più avanzati rispetto al passato, da dove "la parte combattente delle truppe destinate all'occupazione della barriera alpina verrebbe immediatamente spinta... entro la barriera stessa" Non era d'accordo soltanto il generale Ricotti che avrebbe preferito, come nei vecchi piani, aspettare il nemico in pianura e manovrare, nel timore che le opere fisse condizionassero anche l' avvenire. Il piano di radunata prevedeva 2 corpi d'armata a Torino, 1 a Fossano-Cuneo, 1 a Bra-Cavallermaggiore, 1 a Carcare-Ceva, 1 ad Acqui, 1 divisione a Chivasso, 1 ad Alba: al 18° giorno questa sarebbe divenuta corpo d'armata, con l'afflusso di 1 brigata da Genova e di 1 da Spezia. Servizi e truppe suppletive dovevano affluire ad Alessandria e la cavalleria non inquadrata nei corpi ad Asti (1 divisione) e a Savigliano (1 brigata). L'esercito sarebbe


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stato suddiviso in quattro armate, con i comandi delle prime tre in Piemonte (a Torino la la, ad Alba la 23, ad Acqui la 3a) e nella penisola della 43, che doveva comprendere le forze destinate alla difesa dell'Italia centrale e meridionale. Metà delle forze disponibili in Piemonte (3 e 1/2 corpi d'armata) doveva occupare la barriera montana, mentre i rimanenti 3 e 1/2, più le forze che fossero state recuperate da un diverso schieramento iniziale, costituivano la riserva che doveva far fronte anche ad eventuali sbarchi nella riviera di ponente. "Efficacissimo mezzo poi per accrescere la riserva sarebbe quello di dare un largo ordinamento militare territoriale alle popolazioni alpine, in modo che tutta la loro popolazione valida possa sorgere prontamente in armi e concorrere efficacemente, come già nelle guerre dei secoli scorsi, alla difesa della barriera alpina" Sarebbe stato necessario provvedere al concentramento dei mezzi fin dal tempo di pace e migliorare le comunicazioni; veniva definito inoltre "di somma importanza per la difesa dello Stato" che le 4 grandi corazzate messe in cantiere negli ultimi anni (oltre a Duilio e Dandolo, anche Lepanto e Italia) entrassero in servizio al più presto per "assicurare i nostri trasporti marittimi e ... mettere ostacolo alle operazioni di sbarco del nemico". Le difese costiere del versante occidentale andavano rinforzate in alcune località strategiche - Livorno, Elba, Portoferraio, Argentario, Civitavecchia, Gaeta, Messina - con opere alte sul mare per "battere con tiri curvi il rispettivo specchio d'acqua" trovandosi fuori tiro delle navi nemiche. Il fronte a mare di La Spezia era valutato sufficientemente forte; per Genova il Mezzacapo dichiarava di non condividere "l'opinione di coloro che credono non essere conveniente difendere le piazze marittime esposte ai bombardamenti" e suggeriva di completare gli apprestamenti esistenti con nuove opere. Nuove fortificazioni si potevano realizzare anche a Napoli, ma "il vero completamento efficace della difesa ... sarebbe l'esistenza di una potente marina da guerra", obiettivo questo che si collegava anche alle sollecitazioni per l'impianto dell' arsenale di Taranto e della base della Maddalena. Infine, la Commissione sottolineava la necessità di completare presto le fortificazioni di Roma per mettere la capitale al riparo da un colpo di mano avversario. Questa evenienza richiamava l'attenzione sulla difesa delle coste tirrene e sulla necessità "che nel più breve


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spazio di tempo ... l'Italia possa essere messa in grado di disporre in ogni momento di una squadra di dieci o dodici corazzate potenti e veloci ... quando questo fosse, le forze difensive dell'Italia, di fronte alla Francia, si potrebbero considerare come accresciute di molto" 36 . È evidente che l'impegnativa politica italiana dicostruzioni navali militari degli anni '80 trovò una solida base nei deliberati della Commissione concernenti specificamente le esigenze derivanti da un conflitto con la Francia. Tra novembre e dicembre 1881 ebbe luogo una nuova sessione dedicata alle fortificazioni. Il 20 dicembre il presidente Mezzacapo trasmise al minjstro della Guerra una lettera contenente il riepilogo delle discussioni e gli orientamenti assunti: la minuta, piena di correzioni e di rifacimenti, dimostra che fu un lavoro tormentato. La possibilità, che si attribuiva ai francesi, di accedere al Piemonte da ovest attraverso le Alpi e da sud per la Liguria costringeva a prendere in considerazione un fronte molto ampio, diviso in due parti. "La parte settentrionale, compresa fra la testata della valle della Dora Baltea e quella della Vermenagna, ha il fronte rivolto ad occidente e corrisponde all'aspra zona montana costituita dalle Alpi Graie, Cozie e Marittime, attraverso le quali non possono transitare considerevoli corpi di truppa, se non nelle singole valli percorse per intero od in massima parte da strade rotabili. La parte meridionale, compresa fra la testata della valle del Tanaro e la piazza di Genova, è rivolta a mezzogiorno e fronteggia il Mediterraneo. Essa corrisponde nel suo tratto orientale all a zona costituita dagli Appennini liguri occidentali, i quali, come la E.V. ben sa, hanno carattere di basse montagne quasi ovunque praticabili" Le premesse operative erano le stesse della sessione di luglio. "L'avversario, disponendo di una forza numerica assai superiore a quella del nostro esercito e di una marina da guerra di gran lunga più potente della nostra, potrebbe attaccarci sull'uno o sull'altro degli indicati fronti o su entrambi contemporaneamente. Nel pri36 Lettera del tenente generale Luigi Mezzacapo, presidente della Commissione per la difesa generale dello Stato, al ministro della Guerra, tenente generale Emilio Ferrero, Roma, 27 luglio 1881, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 69, fascicolo III, Teatro di guerra N-0, Sessione J 1-27 luglio 1881. La copia della Marina è in AUSMM, busta 111.


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mo caso, restando noi incerti sul da fare, potremmo essere prevenuti su uno di essi in modo da perdere il vantaggio delle posizioni che coprono la valle del Po; nel secondo caso, attesa la sproporzione delle forze, ci sarebbe inibito di avvantaggiarci della nostra posizione interna, quando non potessimo appoggiarci su fortificazioni, le quali permettano di trattenere su uno dei fronti il nemico con forze limitate, mentre sull'altro si compiono le operazioni decisive colla maggior parte delle nostre forze. È evidente che questa difesa con poche forze appoggiate ad opere di fortificazione non si può ottenere in modo efficace che nelle Alpi, mentre negli Appennini liguri le fortificazioni non possono servire che come perni di manovra. La Commissione si è pertanto ispirata in tutte le sue deliberazioni al concetto, che la maggior parte delle nostre forze concentrate sulla frontiera terrestre dovesse conservarsi il più lungo tempo possibile in grado di accorrere sul fronte meridionale, essendo libera da ogni preoccupazione che nel frattempo l'avversario possa, superando il fronte occidentale, sboccare nel piano e minacciarla alle spalle. E perciò le proposte da essa fatte per le fortificazioni da erigersi nelle Alpi occidentali, anziché limitarsi al semplice sbarramento delle strade rotabili, ebbero in mira una completa sistemazione difensiva di esse. La quale sistemazione difensiva, ben lungi dall'incagliare una nostra eventuale azione offensiva da quella parte, la renderebbe anzi più agevole col darle una solida base" Come avrebbe detto il ministro Ferrero alla Camera nell'aprile 1882, veniva affermato "il concetto di non considerare le Alpi un semplice ostacolo logistico, atto a trattenere la marcia dell'invasore, ma bensì come una zona di territorio a noi eccezionalmente favorevole per esercitarvi un'attiva difesa" 37 Ne discendevano nove punti che contenevano una serie di proposte per ogni singolo scacchiere d'operazione: a) poiché il miglioramento delle comunicazioni ferroviarie francesi e il rafforzamento di Albertville rendevano più attuale questa via d'invasione, oltre ad un potenziamento generale servivano nuovi sbarramenti permanenti al Piccolo ed al Gran S. Ber37

Minniti, Esercito e politica da Porta Pia, ecc., cit., parte II, in Storia contemporanea, 1973, 4, pp. 51-52; Gooch, cit., pp. 161-62.


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nardo ed apprestamenti per la difesa mobile su questo passo e la conca di Dondena; b) valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone: le opere dovevano sostenere "una prolungata resistenza" a copertura di Susa, centro della difesa di zona; le posizioni del Cenisio, Exilles, Fenestrelle erano da rinforzare; nuove opere permanenti dovevano sorgere al Gran Serin, al Grand Pelà e al colle della Finestra; tre tronchi rotabili e una mulattiera avrebbero migliorato la viabilità delle immediate retrovie; alla confluenza delle valli della Dora e della Cenischia andava studiato uno sbarramento di seconda linea; c) valli del Pellice e della Germagnasca: sostegni alle difese mobili; d) valle della Vraita: sbarramento permanente presso Sampeyre e predisposizione dell'occupazione del colle d'Elva con truppe mobili; e) valli della Stura, di Vinadio, del Gesso e della Vermegnana: il problema centrale consisteva nella convenienza o meno di occupare il colle del Mulo, dove alla fine si risolse di costruire opere permanenti: restava l'alternativa di fortificare le alture davanti a S. Dalmazzo e di destinare alla regione del Mulo truppe mobili; ulteriori lavori miravano a sistemare lo sbarramento del colle di Tenda ed a proteggere la strada allo sbocco settentrionale della galleria; f) riviera di ponente: "Il tratto maggiormente importante ... è quello tra il colle di S. Bernardo e il colle di Altare, i quali distano tra di loro di circa 30 km. Su questo tratto dovranno necessariamente venire ad urtare sia le forze nemiche provenienti dalla strada della Cornice, sia quelle sbarcate sulla costa ... L'occupazione di esso copre la valle del Tanaro e le varie valli della Bormida, che sono collegate fra Ceva e Càrcare da una comunicazione, sulla quale dovranno di necessità essere disposte le nostre riserve in posizione da accorrere prontamente su qualsiasi punto del fronte S. Bernardo-Altare. L'offensiva di questo fronte verso la costa è favorita in modo affatto speciale dalle condizioni topografiche, e ... deve essere considerata come base della difesa e come appoggio alle operazioni controffensive" Era quindi necessario predisporre all'occupazione con truppe mobili il monte Saccarello, il colle di Tanarello e il monte Escia; completare le fortificazioni di Zuccarello e impiantare opere di difesa degli accessi di Calizzano


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e di Garessio; costruire o completare tronchi stradali e ferroviari; sistemare gli sbarramenti del colle di Melogno, di Altare e della rada di Vado, dei passi del Giovo e del Turchino; g) Genova: "i membri della Commissione furono unanimi nel ritenere che la piazza di Genova debba essere conservata", anche a costo di subire bombardamenti dal mare perché una occupazione nemica del porto avrebbe dato conseguenze nefaste; il fronte a mare andava munito con opere, artiglierie, siluri e torpedini; quello terrestre doveva essere collegato con i colli del Turchino ad ovest e della Scoffera ad est; ai fini militari sarebbe stata utilizzata la linea ferroviaria Yoltri-Alessandria a preferenza di quella della valle della Scrivia; h) riviera di levante: i passi del Bocco e delle Cento Croci sarebbero stati sbarrati con opere a doppio fronte; i) La Spezia: la piazza sarebbe stata protetta da ogni lato, appoggiando la difesa di forti, collegati da una cinta di sicurezza contro colpi di mano specie nei punti più sensibili, alla diga subacquea ed all'azione dell'artiglieria; anche le alture circostanti dal lato orientale, settentrionale e occidentale sarebbero state inserite nel sistema difensivo della piazza 38 . L'isolamento politico condizionava gli orientamenti descritti. C'era stato un tempo, qualche anno prima, in cui la convinzione di avere un amico potente aveva fatto immaginare, malgrado l'inferiorità marittima ancora più pronunciata, una condotta offensiva. Il presupposto politico-strategico di allora era consistito nel!' apprezzamento che il fronte italiano era secondario per la Francia rispetto a quello principale di N-E rivolto alla minaccia tedesca. Aveva avuto un senso, in tale scenario, un'azione militare italiana aggressiva, che incalzasse i francesi sul loro territorio. Certo, come si è visto, questi concetti facevano nascere interrogativi e problemi circa le mosse dell'alleato, tuttavia quello scenario consentiva di sfuggire alla questione, talvolta angosciosa, della difesa terrestre e marittima contro un avversario superiore. 38

Lettera del tenente generale L uigi Mezzacapo, presidente della Commissione per la difesa generale dello Stato, al ministro della Guerra Emilio Ferrero, Roma, '20 dicembre 1881, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 69, fascicolo IV, Teatro di guerra N-0, Fortificazioni. Una copia anche in AUSMM, busta 111 . Cfr. anche Minniti, Il secondo piano, ecc., cit. pp. 102-05.


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Ma dopo .il fallimento del viaggio di Crispi e il Congresso di Berlino, gli sperati legami con la Germania si erano allentati molto. Né una politica estera oscillante tra obiettivi impossibili nel Mediterraneo, in Adriatico ed ai confini austriaci poteva avere un effetto diverso da quello che ebbe, cioè esiziale, eccitando inutilmente l'opinione pubblica su temi velleitari e predestinandola a delusioni cocenti. Quando Vienna ricevette il disco verde internazionale per la sua avanzata nei Balcani e Parigi per 1'occupazione di Tunisi, il consesso che doveva definire la difesa del Regno si trovò di fron te, nella critica assenza di Berlino, ad un compito molto difficile. Non è quindi motivo di stupore se "un profondo pessimismo attanagliò alcuni membri della Commissione durante i loro studi" 39 , poiché le condizioni generali nelle quali bisognava impostare l'obbligata difesa implicavano rischi molto elevati. Col viaggio a Vienna di Umberto I il governo italiano si mosse per superarle, ma non fu tanto facile. Le trattative costrinsero Roma a riconoscere il fatto compiuto di Tunisi, ad abiurare l'irredentismo, ad accettare gli austriaci in Bosnia e in Ezegovina. A fronte di nessuna pretesa territoriale, chiaro essendo che in quelle circostanze non si poteva utilizzare la ricercata alleanza "neppure riguardo a quei legittimi nostri interessi che soffrono presentemente della condizione di cose esistente nel Mediterraneo" 40.

39 Gooch, 40

cit., p. 161.

F. Crispi, Politica estera, Milano, Treves, 1912, I, pp. 122-23.


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Capitolo III

LA PRIMA TRIPLICE (1882-1887)

15. UN'ASSICURAZIONE SULLA VITA Le trattative diplomatiche con gli Imperi centrali ebbero un'accelerazione alla fine del 1881 e proseguirono nei primi mesi dell' anno seguente. L'Italia viveva una situazione nervosa: incidenti e polemiche con i francesi erano all'ordine del giorno, mentre l'addetto militare a Parigi si affannava a raccogliere elementi di conoscenza aggiornati sulle vie di comunicazione e le fortificazioni che interessavano il confine italiano 1 . Problemi e preoccupazioni non cambiavano, anche perché era noto che alla base del pensiero militare francese continuava a dominare il concetto della guerra offensiva a massa, ereditato dalla Rivoluzione e dalle campagne napoleoniche 2 . Si temeva la sorpresa, visto che i transalpini potevano realizzare una mobilitazione più rapida di quella italiana. Inoltre le continue cure per rinnovare e rendere più moderno e più avanzato tutto ciò che riguardava l'esercito, puntualmente segnalate dall'addetto militare a Parigi, non lasciavano tranquilli. Quando le manovre francesi si svolsero verso la Svizzera, nel 1883, i movimenti militari impegnarono anche l'Alta Savoia, dove Parigi affermava di aver diritto di tenere guarnigioni, di costruire fortificazioni e di far transitare le truppe; il presidente francese Jules Ferry volle rassicurare la Confederazione, dichiarando che lo Stato Maggiore francese ne avrebbe rispettato la neutralità, ma in Ita1 AUSSME,

G 25, Studi tecnici, R. I O. Cfr. G. Zavattari, Le fasi di un 'idea militare in Francia dal 1793 al 1796, Roma, Voghera Editore, 1878. L'autore concludeva che tale era il "pensiero militare ... che abbiamo visto continuare il cammino fino a noi", e confermava la validità del principio che la forza di un esercito si valuta moltiplicando la massa per la velocità: "Così fu - così è - così sarà sempre". 2


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lia simili messaggi distensivi non ebbero alcun effetto, e si capisce perché. Gli ambienti militari germanici non davano valutazioni positive circa le possibilità italiane, sebbene il ministro della Guerra Ferrero avesse annunciato alla Camera, fin dal 26 novembre 1881, l'intenzione di rafforzare l'esercito. Primo bersaglio degli osservatori tedeschi era l'approccio difensivo. Il n. 2 della gerarchia militare tedesca, generale Waldersee, ribadì nel febbraio 1882 che "il migliore modo di difendersi è attaccare" Anche l'addetto militare a Roma, maggiore von Villaume, non perdeva occasione per ripeterlo ai suoi interlocutori italiani. Nelle capitali tedesca e austriaca si era convinti che l'Esercito italiano potesse al più difendersi, non attaccare: r addetto militare in Germania, maggiore Luigi Bisetti, riferì che gli esponenti di quello Stato Maggiore criticavano la lentezza della mobilitazione italiana, l' organico dei reparti, talmente ridotto in tempo di pace che ne sarebbe stata compromessa l'efficienza in guerra; l'inidoneità ad azioni offensive della cavalleria e del1' artiglieria. Tutto ciò non stimolava in Germania una propensione a stringere accordi, tanto più che la dirigenza militare italiana non pareva persuasa de11a possibilità di ribaltare completamente la strategia, come dimostravano le riserve de L'Italia militare. Rispose una campagna di stampa contro la "semplice difesa territoriale", che aveva autorevoli ispiratori, come il segretario generale degli Esteri Blanc e Sidney Sonnino. Il Blanc sosteneva che l'Italia doveva passare "dall'indipendenza d'esistenza all'indipendenza d'azione", espressione della necessità, condivisa da molti, di realizzare un rafforzamento strategico finalizzato a supportare la credibilità dell'interlocutore italiano nella politica estera 3. 3

F. Mìnniti, Politica militare e politica estera nella Triplice Alleanza. Dietro le trattative del 1882, in Memorie storiche militari 1982, Roma, Stato

Maggiore Esercito - Ufficio Storico, 1983, pp. 117-42. Sono significativi in proposito alcuni passi della lettera di Blanc all'ambasciatore a Vienna Robilant, del 13 gennaio 1882. In essa, dopo aver lamentato che il Presidente del Consiglio Depretis sosteneva che nessun ambasciatore avesse mai consigliato di armare e pretendeva di avvicinarsi alla Germania e ali' Austria senza assumere impegni che potessero dispiacere alla Francia, il Blanc scriveva: "Sembra comunque che le circostanze debbano decidere il ministero a seguire i consigli di armare, dati spesso dai nostri ambasciatori negli ultimi tempi.


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Così il ministro della Guerra Emilio Ferrero propose alla Camera, in aprile, di stanziare oltre 127 milioni per l'esercito, anticipando la riforma, che avrebbe portato il suo nome, del successivo giugno, che il Ceva definisce "l'atto militare fondamentale della Sinistra storica", chiaramente diretto a rafforzare il peso politico del Paese al di là della stessa alleanza. Se ne ha una conferma dalla decisione, assunta insieme all'approvazione dello stanziamento di aprile, di costituire subito i due nuovi corpi d'armata che il progetto originario prevedeva per il tempo di guerra. Il primo trattato della Triplice venne firmato il 20 maggio 1882; seguirono dichiarazioni unilaterali dei tre governi intese a chiarire che l'accordo in nessun caso poteva essere diretto contro l'Inghilterra. Esattamente osserva il Mazzetti che i rapporti di Roma con Berlino e con Vienna risultavano ben diversi tra loro poiché, se "era indubitabile l'interesse germanico ad impedire che la Francia schiacciasse l'Italia in un conflitto isolato" e quello italiano a schierarsi con la Germania se questa si fosse scontrata con la Francia, l'Austria non aveva motivi di attrito con Parigi. C'era quindi da aspettarsi che in caso di conflitto Vienna non sarebbe andata oltre la "benevola neutralità", di cui all'art. 4. Del resto, il

Sarebbe ora, invece di andare a mendicare a destra e a sinistra apparenze di successo dalla benignità altrui, sarebbe ora di chiuderci nella cura della nostra sicurezza e dei nostri reali interessi esterni, mostrandoci capaci di assicurarli secondo le nostre forze. Sarebbe più rispettabile e ci attirerebbe più fiducia da parte degli alleati che vogliamo. Ora, i progetti presentati alle Camere dal ministro della Guerra, progetti a lunga scadenza, fanno fronte alle forse prossime necessità? Fra tre o quattro anni avremo centomila uomini in più; ma i 300.000 uomini che possiamo mettere in prima linea in un mese sono organizzati per qualcosa di diverso dalla pura difesa? E se occorresse assolutamente cooperare ad una di queste operazioni offensive che sono talvolta il solo modo di difesa, ciò ci sarebbe possibile? E se ciò non è attualmente possibile, quanto tempo e quanto denaro occorrono per porre in istato di completa preparazione i nostri 300.000 uomini per una guerra anche all'esterno? Ecco delle questioni gravi sulle quali io non vedo qui che l'attenzione sia abbastanza desta. E ancora, che influenza può avere la nostra inerzia in materia d' armamento sulla freddezza con la quale le nostre aperture sono accolte a Vienna e a Berlino?". E annotava: " Da buona fonte mi si assicura che Moltke considera il nostro esercito eccellente, ma organizzato soltanto per la difesa territoriale, mentre secondo lui l' Italia con la sua topografia, le sue coste senza difesa, e la sua debole marina, non può essere difesa che portando la guerra in casa del nemico". DDI, Serie Il, XIV, 1991, doc. 464.


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casus foederis previsto dall'art. 2 - aggressione non provocata lasciava margini un po' elastici all'interpretazione, tanto più che all'art. 3 l'Italia si impegnava a soccorrere l'Austria solo se non una - la Russia - ma almeno due potenze l'avessero attaccata 4 . Nel suo complesso l'accordo pareva impegnare i contraenti ad una politica di pace, poiché prevedeva che la solidarietà scattasse per un'aggressione - come detto - "non provocata" della Francia all'Italia o alla Germania, o di attacco "senza provocazione diretta" ai danni di uno o più alleati; nel caso poi che una potenza esterna portasse una consistente minaccia al territorio di uno Stato contraente, tale da "forzarlo a fare la guerra", gli altri soci erano impegnati solo ad una "benevola neutralità" Il primo comma dell'art. 5 stabiliva la non automaticità degli impegni militari: di fronte ad un pericolo di guerra i firmatari dell'accordo "se concerteront en temps utile, sur les mesures militaires à prendre en vue d'une coopération éventuelle" Era il minimo che si potesse pretendere da un'intesa che doveva garantire la sicurezza dei contraenti. Non vi erano protocolli aggiuntivi che indicassero meno vagamente le linee della collaborazione militare. Del resto, come osserva il Minniti, lo stesso governo di Roma non si spinse a chiedere in quel momento accordi operativi precisi, preferendo non orientare l'esercito solo in funzione antifrancese e triplicista 5. In effetti, il possesso di uno strumento militare più duttile avrebbe consentito un passaggio più agevole dalla situazione precedente, sebbene i rapporti con l'Austria, pur migliorati, non fossero improntati alla massima fiducia. E infatti nel 1885, in piena vigenza del trattato, lo Stato Maggiore dell'Esercito preparò il primo importante piano di mobilitazione e di operazioni difensive ed offensive verso la frontiera di N-E 6 . In ogni modo l'accordo ebbe effetti positivi per l'Italia, consentendole un salto di qualità in tema di politica estera e di sicurezza. Un paese fragile ed esposto - ma non privo di ambizioni superava il proprio isolamento pericoloso e si ancorava ad uno 4

M. Mazzetti, L'esercito italiano nella Triplice Alleanza, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1974, pp. 27-30; Ceva, cit., p. 338. 5 Minniti, Politica militare e politica estera, ecc., cit., p. 149. 6 Cfr. M. Ruffo, L'Italia nella Triplice Alleanza, Roma, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, 1998, pp. 45-76.


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schieramento internazionale solido, cosa che giustificava talune rinunce, anche alla luce del riconoscimento della questione romana come affare interno italiano. Le prospettive della sicurezza, poi, non potevano che migliorare con l'amicizia della Germania, grande e temuta potenza che in caso di conflitto avrebbe impegnato a fondo, verosimilmente, il grosso delle forze francesi. Qualche motivo c'era per superare il pessimismo che aveva pervaso i membri del Comitato di S.M. quando l'Italia era politicamente isolata. Vi è tuttavia da osservare che in certi ambienti militari degU Imperi centrali, specie a Vienna, la sicurezza del Regno d' Italia veniva considerata nei limiti di un'assicurazione sulla vita. Questa opinione si sarebbe protratta nel tempo, almeno in quei personaggi che avevano un'estimazione più scarsa delle capacità militari italiane, e ciò malgrado le successive evoluzioni degli accordi triplicisti fossero favorevoli a Roma. Undici anni dopo la firma del primo trattato, nel luglio 1893, il capo della Marina austriaca, ammiraglio Massimiliano von Sternek, avrebbe detto all'addetto navale italiano che nella Triplice l' Italia era pur sempre lo "Stato n. 3", il socio più debole, destinato in guerra a subire una tragedia dopo l'altra - la flotta distrutta, il paese invaso, l'esercito sconfitto, forse una sollevazione nel Mezzogiorno - fino a quando i. signori della guerra di lingua germanica avessero trionfato nel conflitto e, bontà loro, compensato l'Italia dei suoi disastri facendola sopravvivere al tavolo della pace 7 . In Italia ci si rendeva conto che era necessario, finanze permettendo, dare qualche nuovo segnale. Tale fu la politica militare del ministro Ferrero, il quale, sulle orme del Mezzacapo, tendeva a rinforzare l'esercito senza doverlo rifondare. Il programma prevedeva di espandere la consistenza dello strumento militare terrestre da 480 mila uomini a 61 O mila, con la creazione di due nuovi corpi d'armata e l'aumento delle divisioni di fanteria da 20 a 24, dei reggimenti di cavalleria da 20 a 33 e di 20 nuove batterie per l'artiglieria. Il Parlamento partecipò vivamente alla discussione del progetto, che comportò una levitazione sopportabile degli stanziamenti, dai 211 milioni del 1881 ai 256 del 1883. Anche 7

Vedi il racconto dell' addetto navale a Vienna, capitano di vascello Raffaele Volpe, in Gabriele, Le convenzioni, ecc., cit., pp. 139-41.


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l'armamento venne migliorato, sia pure nei limiti di disponibilità che non consentivano l'avvio di operazioni tipo "genesi" Un aspetto importante della riforma toccò 1'organizzazione dell'Alto Comando con l'istituzione del Capo di Stato Maggiore de11'Esercito, carica alla quale fu nominato, il 1° settembre 1882, il tenente generale Enrico Cosenz. Anche se l'art. 15 della legge 831/82 poneva il Capo di S.M. "sotto la dipendenza del ministro della Guerra" cui competeva la responsabilità politica, l'innovazione era di notevole significato: il Capo di S.M. dell'Esercito non era più confinato nel precedente ruolo consultivo e gli era affidata "l'alta direzione degli studi per la preparazione della guerra" 8. Il messaggio politico travalicava lo stesso contenuto specifico della riforma: l'Italia pareva decisa a imboccare una strada che anche sul piano militare avrebbe reso più interessante la sua amicizia.

16. L'ASSILLO DELL'INVASIONE MARIITIMA Nel febbraio 1882 la Commissione per la difesa dello Stato tenne una sessione dedicata all'esame del litorale ionio e adriatico. Il presidente, generale Luigi Mezzacapo, nella sua lettera del 3 marzo al ministro della Guerra, riassuntiva dei lavori e de11e conclusioni, si soffermava in particolare su Taranto, Venezia ed Ancona. Per Taranto all'unanimità essa "riconobbe la necessità che venga con la massima sollecitudine costruito ivi un arsenale marittimo", sia per dare a11a Marina una base "indispensabile" nel Mar Ionio, sia perché vi si riconosceva il punto più idoneo e difendibile per installare uno stabilimento marittimo. La difesa della Piazza di Venezia doveva interessare la laguna - con potenti artiglierie perforanti alla bocca di Malamocco - e il fronte a terra, in appoggio ali' ala destra di un esercito che operasse tra l' Adige e il Piave; occorreva inoltre costruire galleggianti armati di cannone per la difesa locale. Ancona, pur mancando di alcuni requisiti significativi,

8 Vedi Minniti, Esercito e politica, ecc., cit., pp. 143-55; Id., Preparazione ed iniziativa, ecc., cit., pp. 367-72; Gallinari, La politica militare della Sinistra, ecc., cit., pp. 77-85; Ceva, cit., pp. 338-42 e 384-87. Questo autore critica larifom1a, intesa più a "sembrare" che ad "essere", stante il forte aumento della meno costosa fanteria senza bilanciarlo adeguatamente con artiglieria, cavalleria e genio.


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doveva essere attrezzata come base d ' appoggio della flotta in Adriatico, cercando di "ricavarne il massimo profitto. S'aggiunga che il porto di Ancona, anche nelle attuali sue condizioni, quando non fosse da noi difeso, potrebbe servire per operazioni di sbarco sul nostro territorio. Ne deriva la necessità che esso sia validamente fortificato per mare e per terra e che venga messo in condizione di potere all'evenienza accogliere la nostra squadra" 9. Parrebbe che i lavori della sessione abbiano avuto soprattutto lo scopo di completare l'esame dei problemi costieri. L'ottica con cui venivano considerati i tre caposaldi marittimi si inseriva nelJa logica della difesa erga omnes precedente al) ' intesa triplicista - i lavori delJa Commissione si erano svolti nel febbraio 1882, il primo trattato della Triplice sarebbe stato firmato il 6 maggio - nella quale la posizione strategico-marittima italiana in Adriatico era peggiorata. Dopo il Congresso di Berlino l' Austria occupava la Bosnia e l'Erzegovina e presidiava il Sangiaccato di Novi Pazar, avanzando anche in Adriatico. La concessione del porto di Antivari al Montenegro era stata accompagnata dalla proibizione al Principato di possedere unità navali militari e dall' affidamento della polizia marittima e sanitaria del litorale all'Austria; in seguito a ciò Vienna marcava un avanzamento a sud che due anni dopo - in seguito alla cessione di Dulcigno al Montenegro - diventava ancora più pronunciato, attestandosi alle frontiere settentrionali dell'Albania. L'accenno al pericolo che il porto di Ancona potesse essere usato dal nemico per uno sbarco di truppe va inquadrato in una situazione geografico-strategica talmente sfavorevole per l' Italia da farlo ritenere possibile. Parrebbe comunque che questo ipotetico sbarco fosse immaginato ad opera di forze austriache, le quali si 9 Lettera del tenente generale Luigi Mezzacapo, presidente della Commissione, al ministro della Guerra Emilio Ferrero, Roma, 3 marzo 1882. AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. V, Teatro di guerra N-0 e difesa delle coste: litorale ionico e adriatico, pp. 99-1 09. La Commissione era composta dai vice ammiragli F. Martini, G. Acton e S. di Saint Bon, comandanti dei tre Dipartimenti marittimi, e dai tenenti generali E. Driquet, comandante del Corpo di S.M.; Cosenz, presidente del Comitato di S.M.G.; Longo, presidente del Comitato d'artiglieria e genio, ed E. Bruzzone, membro dello stesso consesso; più i comandanti degli otto corpi d'armata: il presidente stesso, G. Mazé, Revel , Pianell, Ricotti, Bruzzo, Bertolè Viale e Carlo Mezzacapo.


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sarebbero avvicinate in tal modo sostanzialmente alla capitale italiana, lontanissima dalla frontiera di N-E. È più improbabile invece che si pensasse ad un'azione francese, dal momento che i transalpini avevano a disposizione migliori e più comode possibilità sulla costa tirrenica. Il 6 maggio il ministro della Marina Ferdinando Acton nominò una Commissione, presieduta dal contrammiraglio Augusto Albini, direttore generale d'Artiglieria e Torpedini, per la difesa ravvicinata delle coste. Essa doveva "concretare in modo pratico la parte che incombe alla R. Marina nella difesa litoranea del Paese", definendo "la parte in cui la R. Marina ha compito esclusivo senza bisogno assoluto o relativo dell'opera diretta o indiretta del R. Esercito" Occorreva tener conto dei contributi precedenti 10, "però convergendoli a studi definitivi per un piano generale di pratica e prossima eventualità di difesa... in osservanza delle più prossime eventualità prevedibili di guerra continentale e marittima ad un tempo. Il ministro richiamava l'attenzione sulle trasformazioni in corso del materiale, sulla "rincrescevole ... riduzione numerica" del naviglio e sulla validità dell'opinione che la Marina avesse effettivi esuberanti, i quali potevano "venire utilizzati in gran parte per la respinta da terra degli attacchi litoranei" L' Acton criticava poi gli studi già fatti perché peccavano di sproporzione tra le proposte e le risorse; non tenevano abbastanza conto dell'efficacia "vera o morale, delle armi subacquee", né della velocità delle navi moderne; infine, non avevano come scopo principale la difesa marittima 11 . Il consesso, integrato da altri membri 12 , tenne la prima seduta il 15 maggio e continuò a lavorare fino all'anno successivo. La relazione finale avvertiva che se si fosse scesi al di sotto del minimo proposto, vi sarebbe stato "molto pericolo di rendere illusoria la

IO Alludeva a precedenti studi e disposizioni del 1880, gli uni e le altre eseguiti e suggerite da Comitati misti che avevano affrontato i problemi della difesa costiera a La Spezia ed a Venezia. Cfr. AUSMM, busta 11 O. 11 AUSMM, busta I I2. 12 Oltre ali' Albini, il ministro aveva nominato il capitano di vascello Galeazzo Frigerio e i capitani di corvetta Robe1to De Luca e Raffaele Volpe; si aggiunsero poi il capitano di vascello Paolo Cottrau e il capitano di fregata Luciano Serra.


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cercata difesa", tanto più che la "lunghissima e vulnerabilissima" frontiera marittima italiana non si poteva difendere con "una intera cintura di difese passive", costosissima e inefficace. "L' uni co mezzo valevole" sarebbe stata quindi una flotta d'alto mare "potente e mobilissima", la quale "per potere seriamente adempiere al suo ufficio e sostenere una guerra" aveva bisogno di potersi appoggiare ad "alcuni punti convenientemente situati, dai quali la flotta difensiva possa, quasi per linee interne, irradiare la sua azione sopra il massimo campo" Il sostegno di arsenali e basi poteva "compensare largamente la sua relativa debolezza numerica e quindi può dirsi avere tanto maggiore importanza quanto minore è la "forza della flotta" Nella scelta delle posizioni da munire non si dovevano trascurare i siti che si prestavano a grandi sbarchi o dove sorgevano centri politici e commerciali importanti: fortificazioni in loco avrebbero consentito alla flotta "di assalire il nemico quando egli ha già dovuto disordinare e spendere parte delle sue forze nelle operazioni d'attacco" Era inoltre indispensabile " un attivo servi zio di vigilanza e di segnalazione lungo la frontiera marittima" Compito della difesa marittima ravvicinata era di rendere sicuri i depositi e le basi pri ncipali della flotta e di assicurare la vigilanza attiva del litorale. Il fine "di ritardare la presa di possesso per parte di un nemico proveniente dal mare, dei punti che potrebbero tornargli utili", doveva invece, "di fronte alle cattive condizioni finanziarie, essere il risultato di un compromesso; poiché, mentre esso è tanto più desiderabile quanto più deboli sono le forze navali, per altra parte conviene tener presente che la cura principale ha da essere rivolta ad aumentare la quantità e l'efficienza di queste stesse forze navali, sole capaci di raggiungere l'intento di una buona difesa nel modo più efficace ed economico" La scarsità delle risorse finanziarie induceva la Commissione ad escludere sia i punti della costa ai quali era impossibile fornire una efficiente difesa locale, sia quelli che avrebbero richiesto una spesa sproporzionata ai risultati; veniva poi osservato che la difesa subacquea sarebbe stata di scarsa utilità senza un adeguato appoggio di opere terrestri, ma che tuttavia anche le fortificazioni incomplete potevano produrre un favorevole effetto morale diminuendo le probabilità di attacco. Seguiva una rosa abbastanza ampia di località che "ad un primo esame generale ... parvero merita-


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re considerazione: Vado, Savona, Genova, Spezia, Livorno, Isola d' Elba, Monte Argentaro, Maddalena, Terranova, Golfo degli Aranci, Cagliari, Golfo di Palmas, Messina, Milazzo, Palermo, Trapani, Porto Empedocle, Augusta, Siracusa, Taranto, Brindisi, Manfredonia, Ancona, Laguna di Venezia" L'elenco non deve trarre in inganno. Riguardava sostanzialmente la Liguria, il triangolo Livorno-Elba-Argentario, Sardegna e Sicìlia. Roma e Napoli erano assenti perché la loro difesa era affidata all ' Esercito. Ionio e Adriatico erano presenti per Taranto, cui la Marina teneva particolarmente, e per completare il panorama nazionale. La preoccupazione vera veniva da Ovest, sia per le grandi isole, sia per gli obiettivi liguri e toscani più vicini al presumibile nemico, innominato quanto indubi tato. Eloquente è ad esempio l' analisi dei probl emi di Vado: "Sebbene la rada di Vado non sia tanto adatta a serv ire di appoggio alla flotta, non può dubitarsi che sia di grande importanza per la difesa nazionale l' assicurarne la spiaggia da uno sbarco, poiché: 1) Siffatta località, posta in corrispondenza del punto più debole della frontiera nord-ovest, e quindi sopra una linea principale d'invasione specialmente per parte di un vicino potentissimo sul mare, è inoltre a tale distanza da tale frontiera da rendere utile al nemico (stante la maggiore rapidità e facilità dei trasporti per mare) una operazione combinata. Nello stesso tempo si trova abbastanza lontana dalla piazza di Genova da non esservi facile un immediato soccorso di questa, e troppo lontana dalle maggiori basi d' operazione della flotta per essere sicuri che questa possa accorrere in tempo a contrastare lo sbarco, se pure la flotta nemica da battaglia non riusci sse a fermarla per vi a. 2) L'estensione, il fondale, la facilità di approdo, l'ampiezza e discreta bontà dell' ancoraggio rendono la rada, più che ogni altro punto della riviera ligure, favorevolissima al rapido sbarco di un ragguardevole nerbo di truppe" 13• Queste considerazioni venivano ad inserirsi, integrandoli, agli studi che la Commissione per la difesa dello Stato aveva condotto l'anno prima, confermandone le vedute sulla pericolosità di un attacco anfibio avversario in Liguria, e il motivo principale era indi13 Vedi

verbali e relazioni della Commissione in AUSMM, busta 112.


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viduato nell'allungamento del fronte che l'esercito italiano, inferiore di numero e indebolito dalla distrazione di una parte delle sue forze nella penisola, avrebbe dovuto difendere. In sostanza, la superiorità marittima francese non solo faceva incombere sulla riviera il timore di uno sbarco, ma sottraeva forze all'avversario con la sola minaccia in being di un attacco nella penisola, indipendentemente dall'attuazione di quella minaccia. Il 16 giugno il Parlamento approvò una spesa di 16 milioni per Spezia, Venezia e Taranto, in massima parte per costruire bacini negli arsenali di Spezia e Taranto ed allargare il canale navigabile della base pugliese. Era una prima razionalizzazione, e i tre centri marittimi erano gli stessi che di lì a poco anche i commentatori tedeschi del Militar Wochenblatt avrebbero indicato come quelli da fortificare. La concentrazione degli sforzi superava vecchie tentazioni dispersive e confermava la scelta della Marina di difendere le coste in alto mare. Anche le nuove torpediniere costiere furono in massima parte riunite in poche basi. La spesa per la Marina aumentò di 14 milioni tra il 1882 e il 1883, impennandosi negli anni successivi. Ma - come notava il contrammiraglio Gavino Di Suni sulla Rivista Marittima del gennaio 1883 - la quota della Marina assorbiva in Italia 1/32 del bilancio, mentre in Francia era 1/15 di una spesa statale ben più sostanziosa. L'invasione per mare era destinata a restare in Italia, malgrado ogni sforzo, un timore di lungo periodo. Ne era specchio fedele la Rivista Marittima che su questo argomento pubblicava articoli italiani e stranieri. Nell'estate '82 il Journal de Sciences Militaires trattò dello sbarco a Vado di due corpi provenienti dall'Algeria e dalla Provenza, previa distruzione della flotta italiana e devastazione delle vie di comunicazione costiere. Nel secondo semestre '83 Armée Française indicò invece Livorno come punto più conveniente per lo sbarco e nei commenti italiani si riconobbe la pericolosità dell'ipotesi per le sue ricadute strategiche in un paese che aveva il grosso dell'esercito schierato sul fronte alpino. Anche i tedeschi, del resto, concordavano sulla capacità francese di far scendere a terra sulle coste tirreniche 60.000 uomini in 48 ore. Nel gennaio 1884 sulla Rivista Marittima O. Tadolini riconosceva alla Francia la possibilità di sbarcare 40-50.000 uomini nella penisola, la cui azione poteva ri-


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sultare disastrosa per l' Italia, se fosse stata accompagnata da un insuccesso sulle Alpi; e stimava che "dopo il 20° giorno di mobilitazione, la Francia avrà a sua di sposizione i mezzi di trasporto necessari per eseguire contro la nostra costa tirrenica una spedizione marittima della forza massima consentita da qualsiasi situazione di guerra" Né si poteva trarre conforto dall 'esito delle manovre navali. Quelle del 1883 dimostrarono che era difficile prevenire e respingere un attacco sulle coste meridionali. Quelle del 1884, condotte dalla Maddalena come base avanzata, parvero consentire forse una certa copertura strategica difensiva, ma non una irruzione nel bacino occidentale del Mediterraneo. Queste ultime esercitazioni, però, piacquero poco ai francesi, che pure nelle loro manovre, formalmente difensive, sviluppavano temi di contrasto con gli italiani. Quando a fine '83 si parlò di rafforzamento italiano alla Maddalena e in Sardegna, il capo di S.M. della Marina francese, contrammiraglio Lespes, disse all'addetto militare itali ano, che cercava di sminuire il sign ificato delle opere, che la Marina italiana avrebbe avuto il proprio centro all a Maddalena se avesse voluto agire in attacco 14 . L'addetto navale italiano a Parigi, capitano di vascello Giovan Battista Mirabello, non era un pessimista e criticava quando poteva l'organizzazione, le esercitazioni e il materiale della vicina Marina, rilevando che la costru zione delle grandi unità subiva sempre dei ritardi. Ma che dire dell' Italia, dove le tre corazzate del tipo Lauria, impostate tra il 1881 e il 1882, sarebbero state pronte nel 1888, 1889 e 189 1? Così lo stesso Mirabello nel settembre 1884 scrisse al ministro della Marina che una guerra marittima con la Francia sarebbe stata fatale se non si fosse aumentata la flotta e fortificate le basi 15 . Era un' inquieta pace quella vissuta dall' Italia durante la prima Triplice. Tuttavia il generale Cosenz, coerente con quello che aveva sempre pensato, non mancava di osservare che tra il dire e il fare, in tema di sbarchi, c'era di mezzo, appunto, il mare. 14

Cfr. rappo110 del colonnello C. Marchesi al capo di S.M. dell'Esercito n. 324, senza data, ma del primo semestre 1883, e del 14 novembre 1883, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R. 3. 15 Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit, pp. 16-3 1.


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17. LA SESSIONE DELLA COMMISSIONE SUPREMA PER LA DELLO STATO DELL'AUTUNNO 1882

DJFESA

Una nuova sessione della Commissione per la difesa dello Stato ebbe luogo in autunno sotto la presidenza del generale Pianell 16. Doveva completare le proposte fatte sino ad allora, "considerando in tutta la sua ampiezza il problema della difesa interna" Lo studio non teneva conto degli accordi internazionali intervenuti e considerava l'eventualità che l'Italia dovesse sostenere da·sola una guerra difensiva con la Francia o con l'Austria. Tra le due ipotesi, la differenza sostanziale consisteva nella grande diversità della minaccia d'invasione marittima che ciascuno dei due potenziali avversari era in grado di porre in atto. Per l' Austria infatti, a parte le difficoltà e i rischi conseguenti alla sua inferiorità navale, uno sbarco non avrebbe avuto "probabilmente altro effetto che quello d'indebolire l'entità del suo attacco terrestre" Per la Francia invece la conduzione di una importante azione anfibia sarebbe stata in linea col potere marittimo di cui disponeva. Uno sbarco nelle provincie meridionali poteva creare difficoltà, ma non concorrere efficacemente allo "scopo precipuo della guerra, quello cioè della distruzione delle forze avversarie" a causa della "grande distanza alla quale le truppe sbarcate si troverebbero dalle forze operanti sulla frontiera terrestre" Un'azione sulle coste liguri, invece, avrebbe avuto "la mira di far concorrere direttamente le truppe sbarcate all'esito della lotta sulla frontiera terrestre" Le opere difensive necessarie in questa ipotesi erano già state definite nelle sessioni precedenti. Restava il litorale della Toscana e del Lazio, dal quale il nemico poteva proporsi di "raggiungere, secondo una ben nota espressione francese, lo scopo di rompere in due l'Italia". In difesa della capitale era stato previsto un sistema di fortificazioni intorno a Roma ed opere all'Elba, all' Argentario, a Civitavecchia, a Gaeta. Il punto critico era individuato nella costa tra Livorno e Viareggio: "le forze su di esso sbarcate penetrerebbero infatti in una 16 Per una indisposizione di Luigi Mezzacapo. Gli altri membri erano i tenenti generali Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale , Longo, Ricotti, Carlo Mezzacapo, Cosenz; il maggior generale Ricci; i vice ammiragli Guglielmo Acton e Ferdinando Martin i; il contrammiraglio Luigi Fincati.


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regione ricca e salubre, nodo di tutte le comunicazioni della penisola italiana colla media e bassa valle del Po, e vicinissima a quei passi dell'Appennino toscano che costituiscono quasi l' unico collegamento tra l'Italia continentale e l'Italia peninsulare; l'occupazione dei quali segnerebbe per conseguenza la separazione delle forze della difesa lasciate a guardia della penisola da quelle operanti nella valle del Po e costituirebbe una grave minaccia alle spalle di queste, specialmente quando esse fossero state costrette ad abbandonare le posizioni di frontiera ed il Piemonte, e a ripiegarsi nella Lombardia e nell 'Emilia. Ad allontanare i pericoli a cui sarebbe esposta la difesa quando fosse ridotta in una simile situazione, verranno, per ciò che si riferisce alla frontiera terrestre, le proposte fatte dalle Commissioni precedenti pel rafforzamento della barriera delle Alpi occidentali e la dislocazione della parte maggiore dell 'esercito a portata di difendere validamente la barriera stessa. Per quello poi che si riferisce alla costa compresa tra Viareggio e Livorno, le Commissioni precedenti già provvidero in parte colla proposta di dislocare forze in Toscana. Questa Commissione vi aggiunse quelle altre proposte di opere di fortificazione che ad essa parvero meglio adatte al conseguimento dello scopo di creare difficoltà alla effettuazione di grandi operazioni di sbarco ed al procedere delle truppe sbarcate verso l'interno" 17 . Quanto ai movimenti strategici legati all 'andamento delle operazioni sul fronte nord-occidentale, in caso di ripiegamento dalle Alpi al piano, si riteneva che la linea Casale-Alessandria potesse avere soltanto una fun zione di argine temporaneo perché, non ancorata ai rilievi appenninici, era aggirabile da Sud; la vera seconda linea d'arresto era quindi prevista sul Ticino e le alture vicino a Stradella; una terza linea arretrata correva poi sul sistema di difesa padano Piacenza-Cremona - utile anche in caso di guerra a N-E - che aveva alle spalle la piazza di Bologna. Si intuisce da ciò la vitale importanza di difendere i paesi del!' Appennino emiliano e toscano dalle conseguenze di "un grande 17 Lettera del

tenente generale Giw,eppe Pianell al ministro della Guerra Emilio Ferrero, s.d. (dicembre 1882). AUSSME, F 4, Ordinamento e nwbilitazione, R. 47, fase. VI, Teatro di guerra N-0. Difesa interna, pp. 233-35. Anche C. Corsi, Italia 1870-1895, Torino-Roma, Roux e Frassati, 1896, p. 273, conferma che in quel tempo le opere di sbarramento a ponente "presero corpo a poco a poco"


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sbarco francese sulle coste della Toscana, avente per iscopo di prendere da rovescio le difese della valle del Po" I membri del consesso convenivano "che una forza minima di 60 o 70 mila Francesi completamente mobilitati potrebbe sbarcare sulle coste della Toscana verso gli ultimi giorni della nostra mobilitazione ed essere raggiunta otto o dieci giorni dopo effettuato lo sbarco da una uguale forza successivamente sbarcata. Si ammise la possibilità ed anche la convenienza per la Francia di gettare sulle coste toscane fin dai primi giorni della nostra mobilitazione una forza di 20 o 25 mila uomini, composta di truppe d'Africa e di truppe dei corpi d'armata dislocati lungo le spiaggie del Mediterraneo sul piede di pace. 11 fatto già dianzi accennato, che la Toscana è il nodo di tutte le comunicazioni dell'Italia peninsulare coll' Italia continentale, ad eccezione della strada ordinaria e della ferrovia che si svolgono lungo la spiaggia adriatica e sono esse pure esposte ad essere facilmente intercettate dalla parte del mare, fa sì, che un tentativo di questa fatta, ardito sì, ma perciò stesso consentaneo alla natura della nazione francese, potrebbe perturbare in modo sommamente dannoso la nostra mobilitazione, impressionare vivamente il paese e vulnerare in modo forse decisivo la sua forza di resistenza" Contro questa minaccia veniva richiesto anzitutto l'intervento della flotta, appoggiata dall'impiego locale di mezzi insidiosi. A terra, per sostenere l'azione dell'esercito contro i movimenti del nemico appariva "indispensabile" costruire tra le foci della Magra e della Cecina una serie di opere. Livorno e la spiaggia di Viareggio erano ritenuti come i punti più adatti allo sbarco. Pertanto le alture ad Est e a Sud della città labronica dovevano essere fortificate, predisponendo anche installazioni protette di artiglieria site in modo da battere i dintorni. Per Viareggio, data la conformazione geografica della costa, non era possibile erigere ostacoli validi in vicinanza del mare, e allora si pensava ad un contenimento più arretrato che si basasse sulle fortificazioni di Lucca. Un ulteriore sbarramento a Fosdinovo doveva interdire l'accesso all'alta valle del Magra e collegare la difesa della Toscana con la Liguria. ''È evidente che, allorquando le fortificazioni proposte e l' azione delle truppe mobili non valessero ad impedire alle forze nemiche sbarcate sulle coste del Tirreno di impadronirsi della To-


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scana, e di spingersi fino ad intercettare a Firenze ed a Pontassieve tutte le comunicazioni del versante occidentale dell'Appennino con la valle del Po, esse si troverebbero in condizioni favorevoli così per opporsi ai tentativi di ritorno offensivo delle forze della difesa dislocate nella valle del Po, come pure per far sentire in modo molto efficace la loro azione sulle operazioni che in questa valle si svolgessero. Però le condizioni dell'invasore nel bacino dell'Arno non potrebbero considerarsi come pienamente soddisfacenti e alla difesa potrebbe rimanere ancora la speranza di efficaci manovre a cavallo dell'Appennino, fino a tanto che i paesi pei quali le rotabili ne attraversano la dorsale fossero in potere della difesa. D'altra parte il possesso di questi passi assicurerebbe alla difesa una base eccellente, così contro una invasione austriaca che avesse superata la linea del Po, come contro una invasione francese che avesse superata la posizione Piacenza-Stradella. E perciò la Commissione fu unanime nel proporre che tutti i passi dell'Appennino toscano ad occidente della linea Firenze-Bologna fossero assicurati sia verso nord e sia verso sud o con sbarramenti a doppio fronte, o, quando la natura dei luoghi lo renda conveniente, con due distinti sbarramenti" 18 . Aggiungendovi anche i tre passi appenninici adiacenti in direzione Est, la Commissione ritenne di aver predisposto le basi di un ritorno offensivo nazionale "dalla valle del Po verso la valle dell'Arno" La piazza di Bologna, a Nord, sarebbe diventata una regione fortificata in grado di coprire gli accessi alla catena montuosa retrostante e di integrarsi con le altre opere del versante emiliano; sarebbe stata in tal modo utile a fronteggiare un'invasione che provenisse dal N-0 come dal N-E o dalla Toscana. Il Pianell era così convinto della necessità di un grande intervento nella regione di Bologna che vi avrebbe voluto attribuire "il mas18

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. VI, pp. 23546. Nella seduta dell' 11 dicembre il generale Ricotti raccomandò di non eccedere in fortificazioni, perché avrebbero richiesto dei presidi che potevano immobilizzare inutilmente truppe lontano da dove le forze mobili avrebbero dovuto veramente combattere; il Pianell ribatté che era vero il contrario perché invece i presidi consentivano di "difendere con poche forze taluni punti ed averne un maggior numero disponibile per agire là ove si debbono decidere le sorti della guerra", ibidem, pp. 209-11. Cfr. anche Minniti, Il secondo piano generale, ecc., cit., pp. 105-08.


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simo grado di urgenza, dopo la costruzione delle difese periferiche" In questo però la Commissione non lo seguì quando il ministro chiese un piano urgente, ridotto e meno costoso. Quanto al confine svizzero: "Nell'ipotesi di guerra contro la Francia, questa potrebbe avere interesse ad invadere il Vallese per estendere il suo fronte d'attacco e dargli un carattere sempre più spiccatamente avvolgente, valendosi del passo del Gran S. Bernardo e soprattutto di quello del Sempione": per il primo, ancora mancante di una strada rotabile e comunque sito a monte del forte di Bard, poteva bastare predisporre la difesa delle truppe mobili fin dal tempo di pace; per il secondo invece occorreva costruire uno sbarramento sulla strada e veniva indicata la località di Gravellona 19 I lavori di questa sessione meritano un breve commento, che almeno in parte vale anche per la successiva, ultima serie di riunioni di studio che ebbe luogo nella primavera dell'anno successivo. La cornice nella quale i Commissari lavorarono aveva lo stesso approccio degli studi precedenti, come se la stipula del primo trattato della Triplice non fosse intervenuta. Questo certamente limita il valore delle riflessioni espresse, presupponendo un conflitto tra Italia e Francia da sole - proprio quello che il trattato escludeva, a meno che non fosse l'Italia assalitrice - o addirittura contro l'Austria alleata. Un documento dello Stato Maggiore del 1908 aiuta a capire: "Fallito il tentativo di avere fin dal tempo di pace un Capo di stato maggiore dell'Esercito (il Generale Cialdini declinò dopo pochi mesi l'incarico), gli studi per la difesa generale dello Stato furono nel 1880 deferiti a un Comitato di stato maggiore generale, presieduto prima dal Generale Pianell e poi dal Generale Luigi Mezzacapo e composto dei comandanti di corpo d'armata, del Comandante il corpo di stato maggiore, del Presidente del Comitato di stato maggiore generale, del Presidente del Comitato di artiglieria e genio e di Ammiragli. Questo Comitato di stato maggiore generale compì numerosi studi che abbracciano tutto il problema della difesa d'Italia; ma il suo lavoro non ebbe uno scopo pratico definito, ed esso funzionò solo come corpo consultivo, a richiesta del Ministero della guerra 19 AUSSME, F 4,

Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. VI, p. 248.


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sul quale rimaneva concentrata tutta la responsabilità militare, oltre che politica" 20. Se gli studi non avevano "uno scopo pratico definito", si comprende allora che potessero continuare ad essere eseguiti considerando ipotesi non completamente inquadrate nella realtà politica contingente. L' utilità degli studi consisteva nella indicazione delle esigenze di una difesa autonoma dello Stato a regime nel lungo periodo. A scala nazionale, un simile problema veniva posto per la prima volta in un paese nel quale si partiva quasi da zero, salvo nel caso dei confini alpini del Piemonte, e di qualche fortezza come Gaeta. Aveva quindi un senso compiuto continuare gli studi fino al completamento del programma iniziale, al fine di pervenire ad un panorama completo delle ipotesi strategiche ostili e del modo di fronteggiarle, con attenzione particolare alle fortificazioni. Lo avrebbe espresso con chiarezza il Mezzacapo a conclusione dell'ultima sessione del 1883, quando, riassumendo le proposte delle Commissioni che si erano susseguite dal 1880 al 1883, scriveva: "Il concetto al quale si ispirarono le dette Commissioni, quale emerge chiaramente dal complesso delle discussioni fatte e delle deliberazioni votate, può riassumersi nel modo seguente: doversi sistemare con fortificazioni il territorio dello Stato in modo da porre l'esercito in grado di far fronte ad attacchi operati simultaneamente con forze soverchianti sulle frontiere terrestri e su quelle marittime" 21 . Tornando ai lavori dell'autunno 1882, va rilevato che assai spesso gli interventi proposti non erano in linea con le risorse disponibili. Allora il governo, per il tramite del ministro della Guerra, chiedeva programmi ridotti. Quando ciò si verificò anche in questo caso, la Commissione rispose: "L'esame che a tale uopo si fece delle singole proposte di questa e delle precedenti Commissioni indusse nel convincimento, che tali proposte rivestono tutte il carattere di assoluta necessità per una efficace difesa del paese. La Commissione dovette per conseguenza ridursi a classificare 20

"Sunto degli studi compiuti e dell'azione esplicata dal Comando del Corpo di Stato Maggiore per la difesa permanente dello Stato dal 1906 ad oggi" (1908), AUSMME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 116. 21 Lettera del tenente generale Luigi Mezzacapo al ministro della Guerra Emilio Ferrero, Roma, 22 giugno 1883, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. VII, Teatro di guerra meridionale e insulare, p. I41.


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quelle proposte a seconda della maggiore o minore urgenza della loro attuazione, escludendo però affatto il concetto che le fortificazioni, di cui la costruzione venne rimandata al secondo periodo, possano considerarsi in qualunque modo come meno necessarie e quindi venire pretermesse senza grave pregiudizio delle condizioni difensive dello Stato" 22. L'affermazione risultava esatta quanto alle premesse che erano state poste al lavoro delle Commissioni, non lo poteva essere se calata nella recente realtà del patto triplicista. Ma i Commissari, ai fini del loro lavoro, non dovevano essere influenzati da fattori politici, aiutati in tale astrazione da una reale mancanza di conoscenza dei termini esatti, della durata e delle conseguenze militari della nuova alleanza. 18. LA SESSIONE CONCLUSIVA

DEL MAGGIO

1883

Tra il 1O e il 29 maggio 1883 il generale Luigi Mezzacapo presiedette l'ultima sessione della Commissione per la difesa dello Stato 23 . Oltre che completare l'esame del teatro di guerra meridionale ed insulare, il consesso si proponeva - ed era questo il compito di maggior momento - di riconsiderare tutti i lavori condotti dall'autunno 1880 per fornire indicazioni conclusive su un programma di fortificazioni valido nel lungo periodo. Le condizioni geografiche del paese presentavano tre fondamentali svantaggi: a) la forma lunga e stretta della penisola, che comportava la divisione delle truppe destinate alla difesa della valle padana e del Mezzogiorno, distanti le une dalle altre più di quanto la loro linea di comunicazione interna non lo fosse dalle coste, con la conseguenza che forze nemiche sbarcate avrebbero potuto più agevolmente tagliare quella linea; b) l'esistenza di grandi isole difficilmente difendibili contro un nemico prevalente sul mare; 22

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. VI, pp. 249-50. Parteciparono ai lavori di questa fase, oltre al presidente Luigi Mezzacapo, i membri tenenti generali Bruzzo, Sachero, P. Bariola, Bertolé-Viale, Longo, Ricotti, C. Mezzacapo, Cosenz, Pianell; maggior generale A. Ricci; vice ammiragli F. Martini e G. Acton. 23


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c) facilità per un tale nemico di effettuare sbarchi sulle coste continentali, peninsulari ed insulari. "Queste sfavorevoli condizioni farebbero specialmente sentire la loro azione nel caso di una invasione proveniente da occidente; sia perché nel versante tirrenico della penisola esistono oggettivi di molto maggiore importanza; sia perché le sue coste offrono condizioni molto più favorevoli che quelle del versante adriatico per l'effettuazione di grossi sbarchi; sia perché nell'accennata ipotesi sarebbero più direttamente minacciate le nostre grandi isole, e sia in ultimo perché la potenza della quale potremmo essere minacciati ad occidente ha forze navali di gran lunga superiori alle nostre. Per parare ai pericoli derivanti dalle accennate sfavorevoli condizioni si ritenne doversi trar partito dei grandi ostacoli geografici che si oppongono ad un'invasione terrestre dell'Italia, e principalmente di quello costituito dalle Alpi su tutta la nostra frontiera nord-occidentale e settentrionale e sulla maggior parte della frontiera nord-orientale. Rafforzando con fortificazioni questo potente ostacolo naturale, in modo che esso non serva soltanto a ritardare l'invasione terrestre, quasi a guarentigia del compimento della mobilitazione del nostro esercito, ma possa costituire un appoggio tale da permettere a forze relativamente limitate di arrestare la detta invasione per un tempo indefinito, rimarranno disponibili maggiori forze per la difesa della penisola e delle isole; diguisaché un poderoso rafforzamento delle Alpi otterrà il doppio scopo di proteggere direttamente la parte continentale dello Stato contro le invasioni terrestri e di proteggere indirettamente in modo assai efficace la parte peninsulare e insulare del Regno. Questa protezione indiretta non sarebbe però sufficiente di fronte ai pericoli di una invasione che provenisse da occidente; imperocché la grande prevalenza marittima del nemico, i colossali mezzi di trasporto per mare di cui esso disporrebbe, lo sviluppo grandissimo delle sue forze terrestri e la robustezza della sua frontiera, sulla quale le difficoltà del terreno e le numerose fortificazioni di recente costruite gli permetterebbero di coprire con limitate forze il proprio territorio contro i nostri tentativi di aggressione, lo metterebbero in grado di effettuare grossi sbarchi simultanei sulle nostre coste, seguiti da vicino da successivi sbarchi, che rafforzando le forze sbarcate ne assicurerebbero la posizione


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sul nostro territorio quando esse avessero potuto guadagnare terreno e crearsi una buona base marittima. E si noti che il rafforzamento delle Alpi, se da una parte ci permetterà di disporre di maggiori forze per la difesa della penisola e delle isole, costituirà d'altra parte un incentivo pel nemico a scegliere per campo principale della lotta il teatro di guerra peninsulare anziché quello della valle del Po" 24 . Contro questo genere di minacce il primo rimedio sarebbe stata "una potente marina da guerra", ma non sarebbe stata sufficiente, tanto che l'Inghilterra stessa, massima potenza navale del mondo, "profonde somme colossali nella sistemazione difensiva delle sue coste" Di fronte alla barriera alpina il nemico sarebbe stato probabilmente indotto a tentare aggiramenti vicini o lontani, sbarcando sulle coste liguri e toscane o su quelle romane e napoletane. L' aggiramento vicino questa volta era considerato meno pericoloso perché la difesa terrestre alpina, opportunamente fortificata, avrebbe dovuto trattenere la prima massa nemica, mentre il grosso italiano avrebbe agito "con soverchianza di forze purché si operi colla necessaria rapidità" contro la seconda massa avversaria sbarcata. Gli sbarchi lontani apparivano invece più pericolosi perché il nemico avrebbe potuto utilizzare, al fine di "rinforzarsi con successivi sbarchi e guadagnar terreno nella direzione della capitale del Regno", il tempo necessario alle forze nazionali per spostarsi sulla lunga distanza. Un grosso sbarco nemico nel Mezzogiorno, pertanto, avrebbe potuto assumere connotati di operazione principale. In tal caso le truppe italiane in loco, sfruttando ogni appiglio difensivo, dovevano contrastare con decisione le mosse dell'avversario per dar tempo al grosso dell'Esercito di accorrere e di prendere l'offensiva. Questi intendimenti rendevano necessario attrezzare il territorio per ostacolare 1' avanzata dell'invasore. In Sicilia, fortificando su entrambe le rive lo Stretto di Messina, si poteva in qualche modo "far sistema con la difesa della penisola"; ma in Sardegna le limitate forze locali avevano solo il compito di "tenere alta il più lungamente possibile nell'isola la nostra bandiera" 24 AUSSME,

F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. VU, pp. 142-43.


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La Commissione si occupava anche dello scacchiere veneto, ma la sua principale attenzione era diretta verso la Francia, come appare evidente dal numero di pagine dedicate a questa ipotesi nella lettera riassuntiva del Mezzacapo. E fermando l'attenzione al teatro di guerra di N-0, i commissari si davano carico anche della possibilità che all'estrema destra dello schieramento italiano un'offensiva francese assumesse "carattere sempre più avvolgente, valendosi del passo del Gran S. Bernardo e soprattutto di quello del Sempione". Una iniziativa del genere avrebbe condotto l'esercito transalpino ad entrare in collisione con quello svizzero e non pareva sul momento probabile, tenuto anche conto delle buone relazioni di Bema con Berlino e con Vienna. Però, in caso di conflitto con l'Austria, sarebbero stati proprio quei rapporti amichevoli a rilanciare la pericolosità della frontiera svizzera, se le truppe austriache avessero potuto passare di là. Nella realtà, comunque, non si trattava di un ' ipotesi molto credibile, come emerge dalla mancanza di proposte per costruire opere ad occidente di Edolo e dallo stesso piano difensivo-offensivo del 1885 verso l'Austria25 . Nello scacchiere veneto la barriera alpina doveva solo servire da "appoggio del fianco sinistro dell' esercito, schierato di fronte al confine aperto dell'Isonzo"; ma nel teatro occidentale era "considerata come un appoggio sul fronte dell'esercito mercè il quale fosse possibile trattenere con forze relativamente limitate l'invasione in modo che rimanesse disponibile la maggior parte dell' esercito per rivolgerla contro i tentativi di aggiramento che il nemico facesse, sia seguendo la strada del litorale ligure e sia facendo sbarchi su questo litorale o su quello della Toscana" Risultava quindi vitale un rafforzamento delle linee montane, che la Commissione proponeva recuperando gli interventi già definiti. In ordine infine alla "ipotesi di un grande sbarco nemico nell'Italia meridionale", veniva riconosciuta "l'importanza della linea del Volturno come appoggio alle truppe della difesa delle provincie meridionali e come base ai ritorni offensivi contro il nemico che si sia reso padrone di Napoli. Sulla linea del Volturno mettono infatti tutte le strade rotabili che dall'Italia centrale conducono nell'Italia meridionale, e su di essa mettono pure la ferrovia da 25

Vedi Ruffo, cit., pp. 45-79.


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Roma a Napoli per Ceprano e la diramazione della ferrovia adriatica da Foggia a Napoli per Benevento. Altre linee ferroviarie progettate ed in parte anche in costruzione aumenteranno le comunicazioni tra l'Italia centrale e la linea del Volturno, la quale presenta inoltre un ostacolo naturale di qualche importanza ed ha un corso molto limitato in pianura" La piazza di Gaeta poteva essere opposta a tentativi di sbarco a settentrione della foce. Nella situazione descritta diveniva questione "di capitale importanza per la difesa delle provincie meridionali di assicurare la possibilità di trasportare rapidamente in esse delle truppe dall' Italia centrale", motivo per cui era necessario proporre una idonea politica di infrastrutture ferroviarie: "l) Che fosse collocato un doppio binario nei tratti della linea ferroviaria Roma-Napoli compresi tra Roma e Segni e tra Roccasecca e Presenzano; 2) Che venissero allungati i binari di raddoppio in tutte le stazioni della linea Foggia-Caserta; 3) Che fosse affrettata la costruzione delle linee ferroviarie Roma-Sulmona, Avezzano-Roccasecca e Sulmona-Isemia-Caianello e che venisse raddoppiato il binario nei tratti Orte-Roma e Foligno-Terni" 26. Le Commissioni che avevano lavorato tra il 1880 e il 1883 si erano impegnate con serietà. Ma siccome ciascun ciclo di riunioni era stato dedicato ad un teatro specifico, è impossibile non riscontrare qualche differenza di toni e di accenti, benché gli interlocutori fossero quasi sempre gli stessi. Così, la preoccupazione per un possibile sbarco nemico si rivolge una volta alla Liguria, inducendo a prevedere anche un fronte rivolto a sud per la difesa del Piemonte; altra volta il pericolo maggiore viene individuato in 26 AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. VII, pp. 175

e I 90. In precedenza (pp. 154-69) erano indicate le misure da prendere per rinforzare la difesa dello scacchiere N-0. A Nord la linea di resistenza doveva essere avanzata fino al Piccolo S. Bernardo, al centro tutti i possibili fasci d' invasione andavano coperti meglio, al Sud la base difensiva della Riviera veniva individuata in un "fronte di 30 km circa compreso tra il passo di S. Bernardo e il passo di Cadibona". Genova sarebbe stata tenuta, munendo i passi adiacenti la città, come pure quelli prossimi alla difesa diretta di Spezia. Per il caso di ritirata, venivano ripetute le indicazioni già date per il potenziamento delle fortifi cazioni del Ticino, del Po e delle piazze di Stradella, Piacenza e Cremona.


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una grande azione anfibia alle foci dell'Arno, con gravi rischi strategici sullo snodo de11' Appennino tosco-emiliano; altra volta ancora è uno sbarco lontano, nel Mezzogiorno, a destare l' apprensione maggiore. A conclusione dell'ultima sessione del 1883 avrebbero dovuto essere riesaminati a fondo tutti i ragionamenti precedenti, al fine di definire, in una visione unitaria e armonizzata, una gerarchia di ipotesi e di priorità. Non fu così, o almeno non compiutamente, anche se i lavori sboccarono in un piano poliennale di fortificazioni erga omnes. Certo, taluni concetti strategici del passato, benché ancora graditi al Ricotti, erano stati superati: la resistenza sui monti non aveva più la funzione transitoria di guadagnare un po' di tempo per radunare l'esercito, ché la barriera alpina doveva costituire una difesa sostanziale e più rigida del territorio nazionale. Tuttavia i presupposti politico-strategici assunti come base degli studi e delle discussioni erano sempre quelli del tempo in cui l'Italia era isolata. Eppure nel maggio 1883, quando si concluse il lavoro delle Commissioni, da almeno due mesi tutti sapevano della Triplice alleanza perché il ministro degli Esteri Mancini ne aveva parlato alla Camera il 13 marzo, ed è in qualche misura singolare che un elemento politico di tale importanza venisse ignorato completamente 27 • In quel momento non si poteva prevedere che la nuova alleanza sarebbe durata più di 30 anni, però si sapeva che nel decennio precedente la gran parte degli studi erano stati rivolti alla difesa del Regno da un attacco francese e che in tale sede si era fatta I' ipotesi di una convergenza militare con la Germania, analizzando perfino le conseguenze delle scelte operative tedesche. In sede conclusiva il lavoro delle Commissioni appare un po ' legato a parametri astratti - suggerire le opere per realizzare una difesa dovunque - e forse è anche per questo che Luigi Mezzacapo volle ritirare i voti già da lui espressi riguardo alla classificazione dei lavori in due periodi successivi di attuazione: egli ritenne "che una simile classificazione non possa essere fatta in astrat27

Tanto più che ai primi di aprile un dispaccio Reuter da Roma e nuove dichiarazioni di Mancini al Senato sostanzialmente confermarono l'alleanza, benché il ministro si fosse illuso di uscirne "senza negare, né affermare", DDI, Serie II, XV-XVI, 1993, doc. 551, 552.


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to, attesoché ciascuna delle fortificazioni proposte per la difesa dello Stato può rivestire il carattere della massima urgenza quando si verifichi una data ipotesi di guerra. E perciò, a suo avviso, la precedenza nella costruzione delle opere di fortificazione deve essere stabilita dal Ministero della guerra, il quale, come membro del Governo, è in grado di regolarla a seconda delle esigenze della politica internazionale" 28 .

19. IL SECONDO PlANO GENERALE DELLE FORTIFICAZIONI Prese così le mosse il nuovo programma di opere, denominato "Piano generale delle fortificazioni per la difesa dello Stato presentato dal ministro della guerra Ferrero alla Commissione parlamentare nel maggio 1884" (copertina rossa). L'introduzione diceva: "Questo piano è un lavoro completo e armonico nelle sue varie parti, perché frutto di lunghe e ampie discussioni , nelle quali si è tenuto conto di tutte le condizioni geografiche del Regno, delle sue condizioni materiali e morali, e delle condizioni dell'Esercito e della Marineria. Con le fortificazioni proposte si è cercato non pure di assicurare la mobilitazione in tempo di guerra, ma di avvalorare potentemente l'azione dell'Esercito e della Flotta; offrendo a quello il modo di manovrare in buone condizioni tattiche e strategiche nei vari teatri probabili d'operazioni del nostro paese; e offrendo alla Flotta degli arsenali marittimi sicuri, dei punti di rifornimento sulle nostre coste, e delle stazioni navali, senza le quali cose le nostre navi da guerra non potrebbero avere la necessaria libertà d'azione sul mare, né potrebbe fare una guerra attiva" Il piano, che anche il Ministero aveva approvato nelle linee principali, si articolava in d~fesa delle frontiere continentali (frontiera francese e Appennino ligure, frontiera svizzera, frontiera austriaca e basso Piave); difesa del litorale peninsulare ed insulare (piazze marittime e stazioni navali, rade aperte, porti che sarebbero utili al nemico); difesa interna (Italia continentale, divisa negli scacchieri occidentale, orientale e meridionale - Appennino e Bo28

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 47, fase. Vll, "Classificazione delle proposte fatte dalle Commissioni di studio della sistemazione difensiva dello Stato in due periodi a seconda del loro grado di urgenza", p. 191.


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logna - e Italia peninsulare)_ Il contenuto, già noto nei suoi elementi essenziali, è riportato per esteso in appendice. Ma il programma originario, il cui costo tra opere ed artiglieria era vicino al miliardo, doveva subire drastici ridimensionamenti: "comunicato alla Commissione parlamentare, non potendosi attuare interamente in poco tempo, si preferirebbe comprendere in un primo aspetto difensivo generale del Regno ... : a) di completare le opere della difesa periferica, ossia la frontiera terrestre, comprensivi l' Appennino ligure da una parte e Verona e il basso Piave dall'altra; b) di costruire le più importanti fortificazioni delle coste; c) di completare la piazza di Roma e riordinare la piazza di Capua". Ne uscì un secondo documento, intitolato "Fortificazioni del piano generale di difesa dello Stato da attuarsi per le prime conforme alla proposta fatta dal ministro della guerra Ferrere nel maggio 1884" (copertina blu), che costò presso a poco la metà. Quanto al contenuto, la gran parte degli interventi previsti entravano nella logica di un conflitto con la Francia: tali erano infatti le opere da realizzare sulle Alpi occidentali e sull'Appennino ligure; le piazze marittime - sulla Maddalena era stato compiuto uno studio specifico nella primavera 1883 - e i punti fortificati della costa tirrenica; le difese di Roma e di Capua. La difesa interna veniva in massima parte abbandonata; in Sicilia e in Sardegna, per il momento, erano previsti solo "opportuni preparativi e provviste" La realizzazione del programma-stralcio sarebbe durata circa un decennio, attraverso vicissitudini politiche e finanziarie che non modificarono il quadro definito nel 1884, né il suo orientamento antifrancese: secondo il Minoiti "le fortificazioni consentirono di predisporre in condizioni di relativa sicurezza la mobilitazione, la radunata e lo schieramento (compreso il trasporto in Germania di poco meno della metà delle grandi unità) 29 . Il varo del piano, naturalmente, contribuì a peggiorare le relazioni con la Francia, già non cordiali a causa dell 'intesa con la Germania. Diffidenze e polemiche non mancarono. Ma soprattut29 AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 298, fase. I; Minniti,

Il secondo piano generale, ecc., cit., pp. 109-19. Per la Maddalena, vedi AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 30.


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to si rispose alle fortificazioni italiane con analoghe iniziative condotte con maggiore larghezza di mezzi e, stando al Corsi, "i francesi ci superarono presto nel fortificare, ed alcune delle loro maggiori opere presero carattere offensivo a vista d'occhio, noi conservammo per parecchi anni il primato quanto a milizie e a pratiche per la guerra di montagna, poi anche in ciò fummo soverchiati, almeno in grandezza e pienezza d'apparecchio" 30. Questo però non diminuisce la rilevanza delle fortificazioni italiane, dato il loro carattere difensivo: se anche la Francia voleva difendersi, ciò avrebbe aggravato per entrambi i paesi le difficoltà frapposte all'attraversamento della barriera alpina e poteva anche non dispiacere all'Italia. Una situazione bloccata sul fronte di montagna apriva in fondo prospettive diverse e migliori di quando ci si era rassegnati all'idea di combattere al piano, sul proprio territorio nazionale, un difficile scontro manovrato o di affrontare 1' esercito d'invasione allo sbocco delle valli, sperando di riuscire a trovarsi in condizioni di superiorità. Che poi la Francia si preparasse a sferrare un'offensiva non diversiva contro l'Italia in presenza dei conti aperti con la Germania e dell'alleanza triplicista, non pareva molto probabile. Anzi, il prevedibile massimo impegno dell'esercito francese in direzione di quello tedesco, avrebbe contribuito a far sì che le fortificazioni italiane fossero adeguate a guarnire le Alpi. La prospettiva di una maggiore sicurezza a N-0 apriva orizzonti nuovi: il capo di Stato Maggiore Cosenz li anticipò nel 1883, proponendo ai tedeschi di trasferire un'armata sul loro fronte. Ma i tempi non erano maturi, sebbene i germanici si rendessero conto che in una guerra la decisione si sarebbe giocata tra loro e i francesi, nelle pianure dell'Europa centrale e non sulle Alpi. In quel tempo agli occhi di Berlino l'immagine dell'Italia, militare e non, era pur sempre modesta e Bismarck reagì alla sollecitazione negando che fosse il caso di iniziare conversazioni tra i due Stati Maggiori. Non si curò nemmeno di cercare un pretesto meno puerile e offensivo di quello usato ("Temeva indiscrezioni da parte italiana nei confronti della Francia") 31 .

°Corsi, cit., p. 355.

3

31 Minniti,

p. 34.

Esercito e politica da Porta Pia, ecc. , cit., p. 52; Mazzetti, cit.,


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20.

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LE MANOVRE DELL' AUTUNNO

1883

Poiché le maggiori preoccupazioni italiane continuavano a riguardare il timore di una invasione per mare, può avere interesse fermarsi brevemente, a titolo esemplificativo, su un ciclo di esercitazioni che coinvolsero le forze navali e quelle terrestri. Il 1° giugno 1883 l'addetto militare a Parigi, colonnello Marchesi, segnalò che gli ufficiali della Scuola di guerra si applicavano a studiare un'offensiva contro l'Italia mediante una spedizione marittima; secondo il Temps il punto debole della posizione italiana ("le défaut de la cuirasse") era la zona di Napoli 32 . La Commissione per la difesa dello Stato aveva già scritto che "il compito di proteggere l'Italia contro i pericoli derivanti dalle operazioni marittime spetta principalmente alla nostra marina da guerra", argomentando che fino a quando la flotta avesse conservato la capacità di attaccare i convogli, difficilmente il nemico si sarebbe esposto 33 . Ma in ottobre Marina ed Esercito tennero le loro manovre coi quadri a partiti contrapposti sul tema di uno sbarco sulle coste napoletane e i risultati dimostrarono che lo sbarco sarebbe stato possibile malgrado l'opposizione della flotta e che le forze nazionali di presidio avrebbero dovuto impegnarsi seriamente per fronteggiare l'avanzata avversaria. La relazione che riguardava la parte navale partiva dall'ipotesi che il 15 settembre 1883 scoppiasse un conflitto improvviso, tanto che le operazioni di mobilitazione in Italia partivano solo il giorno prima. 11 17 si aveva notizia di grandi preparativi nei porti francesi e il 18 venivano segnalati incrociatori nemici nelle acque dell'Elba, come pure una corazzata tipo "Redoutable" e un avviso in ricognizione verso Genova e La Spezia. Il nemico riteneva che tutta 1~ flotta si trovasse nella base spezzina, mentre in32

Ma si parlava anche della Liguria e delle Bocche dell'Arno. Restava però da vedere sempre con quali forze si sarebbe potuta avviare l'azione anfibia, visto che secondo le informazioni del Marchesi 5 armate francesi dovevano fronteggiare la Germania ed I altra, con 3 corpi d'armata, essere schierata sulle Alpi. Lo stesso addetto militare, infatti, incontrando il generale Canrobert il 12 giugno, ne ebbe conferma che la difesa dell'Italia in tali condizioni era considerata agevole. Vedi i rapporti citati in AUSSME, G 29, Addetti militari, Francia, R. 3. 33 AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 47, fase. VII, p. 170.


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vece la 1a divisione della squadra era stata dislocata a Gaeta. Questa situazione faceva sì che un blocco di Spezia non eliminasse una capacità di opposizione italiana e determinava un rapporto di relatività per cui la squadra avversaria di scorta al convoglio, forte di un nucleo di 4 corazzate, risultasse più potente della 1a divisione italiana, ma meno potente di tutte le forze navali italiane riunite. La flotta nemica poteva essere impegnata perché costretta dalla difesa dei convogli o perché accettava o ricercava lo scontro, libera da quel condizionamento, ed era ciò che accadeva nelle acque di Fiumicino dopo diversi preliminari. L'avver.sario aveva il vantaggio di essere in grado di spingere all'urto una importante formazione da battaglia e conservare tuttavia una forza navale adeguata per la scorta dei trasporti e il sostegno dello sbarco. "Nello scontro delle forze navali nella 19a giornata nelle acque di Fiumicino le due parti soffrirono entrambe gravi danni", in seguito ai quali il partito Ovest faceva rotta verso occidente con varie unità in cattive condizioni di navigazione. Il partito Est, con la 2a divisione gravemente danneggiata dopo il combattimento, si allontanava con rotta divergente: il "Dandolo e il Flavio Gioia filando verso N riuscirono a raggiungere La Spezia in condizioni da non poter prendere il mare per qualche tempo" Così, mentre la flotta nazionale restava per quaJche tempo nell'impossibilità d'intervenire, l'armata d'invasione raggiungeva il golfo di Pozzuoli ed attuava la progettata operazione anfibia. Nelle considerazioni finali, a parte il richiamo al1'urgenza di avere un servizio efficace d'esplorazione e di superare i problemi emersi per il rifornimento di carbone, si osservava che se fosse stato possibile tenere a Gaeta la squadra, probabilmente i] nemico non avrebbe eseguito la sua spedizione. Con la squadra a Spezia, base attrezzata ma tanto lontana dal punto di attacco, la costa di Napoli era rimasta scoperta dal lato di mare 34 . Le manovre delle forze terrestri incominciarono quando, nella mattina della 24a giornata di guerra, "due convogli del partito Ovest gettavano le ancore ed iniziavano le operazioni di sbarco nel golfo di Pozzuoli e sulla spiaggia del lago di Patria, favoriti da 34 "Relazione sulle manovre coi quadri a partiti contrapposti dell'Ottobre 1883 (parte navale)", AUSMM, busta 113, fase. 5.


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una bonaccia perfetta. Uno dei due convogli (golfo di Pozzuoli) era giudicato della capacità di trasporto di almeno due Corpi d'Armata, e l'altro (spiaggia del lago di Patria) della capacità di una Divisione almeno. L'intenzione con cui era fatto questo secondo sbarco era troppo evidente perché potesse sfuggire al partito opposto. Il partito Est, il quale aveva tutte le sue forze spiegate sulla linea Baja-Poggio Reale e non disponeva di alcuna riserva, trasportava (per ferrovia le fanterie ed a celere andatura le armi a cavallo) ad Aversa la sua ala sinistra, continuando per poco nel primitivo disegno di contrastare il progresso delle truppe sbarcate nel golfo di Pozzuoli col proprio centro (Astroni-Posillipo) e colla sua ala destra (Monte Cigliano-Monte Nuovo). Ma verso le 8 1/2 a.m., quando, sotto la protezione del fuoco delle navi le truppe dell'Ovest cominciarono ad ingrossare a terra e a guadagnar terreno, il partito Est prese la determinazione della ritirata che si eseguiva su Fratta Maggiore e proseguiva quindi generale e senza incidenti da Fratta Maggiore stessa e da Aversa nella direzione di Caserta. Alla sera il partito E. si assestava a N. dei R.R. Lagni , e il partito O., occupata Napoli coll'ala destra e la flotta, coronava le alture del golfo di Pozzuoli ed occupava Aversa stringendosi colle sue forze più avanzate a 4 o 5 km dai già detti R.R. Lagni. Le forze d' invasione avanzavano verso N-E: l'ala destra veniva fermata sui contrafforti del monte Tifata; il centro investiva progressivamente Capua, attaccandola e bombardandola da tre lati (N-0-S) nel quarto giorno di combattimenti; l'ala sinistra varcava il Volturno in direzione di Teano lanciando puntate di cavalleria nella valle del Savone. Nella medesima giornata falliva a Gaeta un nuovo tentativo anfibio. Ma si delineava il contrattacco dell'armata peninsulare che si era ritirata in ordine: tra quello stesso giorno e il seguente, il centro si muoveva facendo perno sull'ala sinistra ben arroccata sulle alture casertane e avanzando sulla destra del Volturno respingeva il nemico oltre Capua, mentre per Francolise l'ala destra riprendeva il terreno ceduto a nord del fiume. Così nel sesto giorno dallo sbarco il comandante dell'armata d'invasione decideva di evacuare la destra del Volturno e di cessare l'attacco a Capua; intanto la difesa si assestava lungo una linea abbastanza solida che correva dalle alture di Caserta, attra-


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Ili

verso i1 monte Tifata e le fortificazioni di Capua, fino al mare seguendo la riva destra del fiume. Questo successo locale si inseriva però in una situazione generale densa di incognite che andavano molto al di là delle manovre terrestri italiane in Campania 35 . In Francia era ministro della Guerra il generale Campenose, considerato dai tedeschi il ministro della révanche, che portava avanti la preparazione della guerra con grande attivismo. Il 10 agosto 1884 il maggiore Incisa, addetto militare a Parigi, segnalò che in caso di conflitto i frances i avrebbero mobilitato contro i tedeschi 16 corpi d' armata, cui si sarebbe probabi Imente aggiunto l'esercito belga, dislocando sul fro nte italiano 2 soli corpi, formati da brigate miste e non da divisioni 36 . Tali notizie, malgrado l'osti li tà del Campenose, potevano essere considerate confortanti dal punto di vista italiano poiché non si aveva notizi a della predisposizione di un corpo di spedizione importante per un'azione anfibia. Tuttavia il problema delle coste turbava ugualmente i sonni dei capi militari italiani. Nel gennaio 1884 1a collaborazione tra Esercito e Marina divenne più intensa e si stabilì, tra l' altro, che il comandante di piazza marittima avrebbe avuto due capi di Stato Maggiore, uno dell 'Esercito e l'altro della Marina, e che commissioni miste di ufficiali di terra e di mare sarebbero state incaricate di studiare i progetti di difesa dei porti, restando a carico del Ministero della Guerra la costruzione 35 Vedi per queste, Corpo di Stato Maggiore, Manovra con i quadri del[' ottobre 1883, comunicazioni del direttore, maggior Generale Agostino Ricci, AUSSME, G 24, Corpo di Stato Maggiore. Corrispondenza, R 30, che contiene anche documentazione sulle esercitazioni di agosto nell'Italia centrale, dalle quali era emerso che i problemi più spinosi riguardavano la difesa dei centri costieri toscani e degli acquedotti di Roma. Ma con riferimento ad altre manovre svolte nella pianura padana, l'addetto militare francese scrisse che avevano destato un' impressione meno favorevole di quelle del 1881; pur lodando l'ardimento degli ufficiali e la disciplina della truppa, avanzava diverse critiche: alla fanteria ed all' artiglieria per aver operato troppo vicine a causa di inesperienza, alla cavalleria per come aveva condotto il servizio di esplorazione, ai comandi per avere assunto un fronte troppo esteso. Cfr. capo squadrone artiglieria Brunet a ministro della Guerra, Roma l 5 ottobre 1883, Service Historique de I' Armée de TetTe, Archives, Paris, Chateau de Vincennes (indicato in seguito con AEF), 7 N, busta 1360. 36 AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R. 3.


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delle opere e di quello della Marina l'armamento e il servizio. Altri accordi riguardarono il servizio dei colombi viaggiatori attraverso il mare, garantito dall'Esercito con la cooperazione della Marina per l'allenamento dei volatili. La pianta delle rotte, con 16 punti serviti sul versante occidentale contro 3-4 su quello orientale, riconferma ancora una volta da quale parte l'Italia si sentisse minacciata 37 • Curiosamente, sia pure in chiave di cortesia formale, complimenti per le manovre 1884 dell'Esercito e della Marina vennero proprio da Parigi. Ma le gentili espressioni del ministro della Guerra che si congratulava con l'addetto militare italiano per la disciplina mostrata dalle truppe non furono accompagnate da alcuna disponibilità dei Comandi francesi ad indicare quali difetti i loro osservatori avevano riscontrato. E quanto alla Marina, che aveva impostato dalla Maddalena le proprie esercitazioni, sebbene l'ammiraglio Aube si felicitasse con l'addetto navale Mirabello, è noto che i francesi vedevano come il fumo negli occhi la base sarda 38 . 21. VERSO UNA NUOVA FASE

In relazione al problema della difesa contro gli sbarchi strategici, presenta un certo interesse richiamare alcuni aspetti della evoluzione del pensiero militare di quegli anni sull'argomento. In Francia, sebbene fosse quello il tempo nel quale si affermava l'influenza dell'ammiraglio Giacinto Aube, caposcuola della Jeune École, vi era attenzione a mantenere anche nelle grandi unità una marcata superiorità sulla flotta italiana. Tuttavia Aube, ministro della Marina nel 1884 col governo Ferry, avrebbe preferito impiegare le navi maggiori in scorrerie e bombardamenti delle coste avversarie piuttosto che affrontare i rischi di uno sbarco. Valutava che su un litorale nemico sarebbe stato possibile trasportare non più di 30.000 uomini, così che l'azione anfibia ben difficilmente avrebbe potuto essere risolutiva, rischiando di trasformarsi in un'avventura e di lasciare l'attaccante "nell' ignoto, nel37

AUSMM, busta 113, fase. 1 e 7. Cfr. il rapporto del 2 novembre 1883 del col. Marchesi, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R. 2, e il rapporto del capitano di vascello Giovan Battista Mirabello del 23 maggio 1884, AUSMM, busta 122, fase. 2. 38


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l'indefinito, costretto a sperare nella fortuna" Questo punto di vista, però, non era condiviso da tutti in Francia, dove scrittori militari e pubblicisti non risparmiavano l'immaginazione nel descrivere le gravi conseguenze che avrebbe prodotto uno sbarco strategico per la difesa del Regno d'Italia e discutevano su quale punto del litorale fosse più conveniente realizzarlo. Nel 1884 l'allora tenente colonnello Giuseppe Perrucchetti scriveva che la difesa dello Stato in Italia era un affare complesso e doveva tener conto di una serie di fattori: "1° l'esercito; 2° la flotta; 3° le ferrovie; 4° le fortificazioni; 5° l'attitudine a un pronto impiego degli elementi accennati; 6° la configurazione geografica generale e la struttura topografica del paese; 7° la sua costituzione politica ed economica; 8° la natura delle frontiere che lo dividono dagli Stati limitrofi; 9° la potenza di questi" Lo scrittore ne deduceva che sarebbe stato più producente accontentarsi di 1O corpi d'armata e spendere di più per le costruzioni navali, opinione questa condivisa da Domenico Bonamico, il quale sottolineava la necessità "di dare alla cerchia delle Alpi il complemento di tante forze di mare da assicurare il libero impiego di tutto l'esercito sulle frontiere di terra" I due, invece, non erano completamente d'accordo fra loro circa la possibilità di valutare a priori l'entità degli sbarchi e sulla missione della flotta nazionale, che secondo il Bonarnico doveva impegnarsi solo nel contrasto degli sbarchi e non accettare la provocazione dei bombardamenti sulle città. Tutti però, come ricorda il Botti, consideravano la Francia come il nemico, per cui la questione delle costruzioni navali "si intreccia con la priorità da dare alla difesa della valle del Po, con la valutazione della effettiva possibilità di sbarchi francesi sulle nostre coste" 39 . La fallita iniziativa di Cosenz di offrire truppe alla Germania a fine 1883 nasceva dall'intento di far partecipare la bandiera italiana alle azioni - verosimilmente offensive - che avrebbero deciso la guerra, tenendo conto che le fortificazioni in corso di realizzazione su entrambi i versanti delle Alpi avrebbero creato ostacoli 39 Botti, cit., pp. 54-64. Una posizione estrema assunse A.F.J. sulla "Rivi-

sta militare italiana" del gennaio 1885, sostenendo che l'essenziale era radunare una forte massa nella valle del Po per battervi il nemico, senza disperdere forze in altre dislocazioni: in tale ottica il solo sbarco da impedire era quello sulla costa ligure.


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sempre più difficili da superare. Ma il rifiuto tedesco al concorso italiano indusse lo Stato Maggiore a riprendere in esame alcune idee precedenti per penetrare in territorio nemico. Due in particolare, all'ala destra verso la Savoia e/o attraverso la Svizzera occidentale e all'ala sinistra verso Nizza. Né l'una, né l'altra direttrice prometteva grandi cose: c'erano da attendersi molte perdite e pochi successi; d'altra parte i tedeschi chiedevano di impegnare sul fronte italiano la quantità più elevata possibile di truppe francesi. Il 23 ottobre 1884 il generale Ricotti subentrò al Ferrero come ministro della Guerra. Ricotti era difensivista, quanto il suo predecessore era stato offensivista, e considerava con pessimismo le prospettive di un conflitto armato. Sapeva che la mobilitazione italiana non era abbastanza rapida per prevenire l'iniziativa nemica, dubitava della tenuta della barriera alpina e si preparava, come ai vecchi tempi, a combattere al piano. In tale cornice, la pretesa di assumere un atteggiamento offensivo appariva irrealistica. Il ministro pensava che il pericolo di un grosso sbarco avversario fosse concreto, come pure l'invasione del Piemonte. Era convinto che lo schema generale della guerra franco-tedesca non si adattasse al fronte italiano: la Germania aveva truppe e ferrov ie; la Francia truppe, ferrovie e fortificazioni; l' Italia un po' di truppe e qualche fortezza. L'inferiorità marittima, poi, gli faceva temere in questo d'accordo con vecchie ansie di Cosenz - un attacco alla capitale mediante uno sbarco tra l'Argentario e Terracina: nel 1883 la contromanovra supposta tra Roma e Bracciano era stata un mezzo fa11imento, nel 1884 era parso inevitabile dislocare forze consistenti tra Roma e i colli Albani, nel 1885 sarebbe stata la volta di Maccarese, nel 1886 si sarebbe supposto che i francesi fossero già in possesso di Frosinone e che si attendesse un secondo sbarco a Civitavecchia. Un'altra preoccupazione era il possibile blocco di Spezia. Tutte queste ipotesi portavano a concludere che non sarebbe stato possibile trattenere il nemico al confine, ma che ci si doveva rassegnare ad avere la "guerra in casa" Nel 1885 l'attenzione dello Stato Maggiore venne in buona parte distratta dalla preparazione del piano difensivo-offensivo contro l'Austria. In quel l'anno Agostino Ricci lanciò un grido d'allarme per la Marina, che era il "punto debole" della difesa, e chiese di destinarle ulteriori fondi. A conclusione del dibattito che seguì, Brine Ricotti ottennero finalmente, nel dicembre 1886, 15


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milioni per uno. Incominciò il 1887, salutato da molti con la previsione di un conflitto "addirittura in primavera", mentre le milizie mobili italiane incominciavano ad essere equipaggiate con fucili a ripetizione 40 . Ma il 26 gennaio ebbe luogo l'infausto episodio di Dogali, che provocò, insieme a quella del settimo Ministero Depretis, la caduta del Ricotti, il quale pure non aveva mai creduto alla colonia in Africa orientale 41 . Da parte francese, la questione della difesa della frontiera alpina era stata posta in una visione di lungo periodo dal ministro della Guerra, generale Berthaut, nel febbraio 1877. I progetti ed i piani richiesti ai Comandanti del 14° e del 15° Corpo d'Armata erano giunti a Parigi nel maggio seguente, e il 3° Ufficio dello Stato Maggiore li aveva trattenuti fino al maggio 1879. Nell'estate 1880 erano pronti tre rapporti che riguardavano l'istituzione di truppe alpine, le misure per la mobilitazione e lo schieramento della sa Armata sulla frontiera delle Alpi. Tra la primaveva e l' estate 1881 erano state assunte decisioni sui primi due punti - 5 battaglioni di cacciatori a piedi erano stati definitivamente destinati al servizio alpino - ma al tempo della prima Triplice, nel 1882, il 3° Ufficio era ancora in attesa di risposte "e niente di ciò che concerne l'organizzazione difensiva della frontiera alpina è ancora risolto" 42 . Nel complesso, quella linea di confine era considerata meno sicura di quel che l'opinione corrente credesse: preoccupava l' esistenza di vie carreggiabili, al nord e al centro, che avrebbero consentito il transito all'artiglieria; inoltre la conformazione fisica

40 N. Labanca, Il generale Cesare Ricotti e la politica militare italiana dal 1884 al 1887, Roma, Stato Maggiore Esercito-Ufficio Storico, 1986, pp. 127271. Conseguenza indiretta dell'allarme fu anche, probabilmente, la decisione di Cosenz di fare un uso maggiore delle ferrovie per la mobilitazione dei richiamati e il trasporto dei materiali destinati alla difesa subacquea di Spezia e di Venezia (vedi comunicazione a Brin del 2 aprile 1886). AUSMM, busta 114, fase. 1. 4 1 Era in buona compagnia: nel 1885 Nicola Marselli disse al generale Saladino che non conveniva lasciarsi prendere nella tenaglia del Mar Rosso e anche il Brin ne diffidava, al punto da chiamarla, scrivendo al Baratieri nell' agosto 1892, "maledetta Africa". AUSSME, L 3, Studi particolari, R. 272; M. Gabriele, Benedetto Brin, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1998, p. 97. 42 Ministère de la Guerre, État-Major Général, 3e Bureau, Note au sujet des études entreprises sur la défense de lafrontière des Alpes, AEF, 7 N, busta 1865.


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della frontiera rendeva inevitabile la dispersione delle forze da Ginevra al mare. Vi era tuttavia la convinzione che la difesa della valle del Rodano sarebbe stata facilitata dall'impossibilità per gli italiani di concentrare l'attacco, essendo obbligati a suddividere tra le valli le loro colonne avanzanti. Uno scrittore mili tare francese individuava tre diversi teatri nei quali un'offensiva italiana avrebbe potuto sviJupparsi: il primo tra Ginevra e l'Isère, dal quale, in caso di sfondamento, poteva prodursi un aggiramento a sud sul rovescio del fronte alpino; il secondo andava dal bacino della Durance ali' Argentera, da dove un cedimento avrebbe portato gli italiani nel Delfinato, scacchiere centrale della difesa, e avrebbe consentito loro di minacciare a nord la Savoia, a sud la Provenza e di investire Lione, che peraltro era già un ridotto coperto dalle fortificazioni di Grenoble; nel terzo, da Tenda al mare, la posizione di partenza degli attacchi era considerata forte, per cui diventava necessario attrezzare per la difesa anche Nizza, non dimenticando che la linea del Var non era inaccessibile verso il mare e che quindi di là, in caso di successo del nemico, potevano venire nuove minacce a Marsiglia, Tolone ed al basso Rodano. In ogni caso si faceva affidamento, per la difesa d' arresto, sulle cinque fortezze costituite col decreto 12 marzo 1881: Besançon, Langres, Grenoble, Briançon e Nizza-Villafranca43. Opere e truppe alpine resero più sicura la blindatura della frontiera. Le istruzioni generali che il mini stro della Guerra impartì al comandante dell' ga Armata nel marzo 1884 rimasero sostanzialmente valide nel lungo periodo, pur con le modifiche di volta in volta apportate per migliorare la manovra difensiva o, al contrario, preparare qualche limitato movimento in avanti. Dicevano: "L'8a Armata comprende il 14° e 15° Corpo d' Armata. Nel caso di una guerra della Francia contro l'Italia, 1'88 Armata formerebbe l'avanguardia delle armate che sarebbero concentrate sulla frontiera delle Alpi. Le truppe attive dei due Corpi saranno portate il più rapidamente possibile nell'alto delle valli, al fine di occupare prima degli italiani le posizioni magistrali (= dominanti) il cui possesso avrebbe un'influenza così grande sui risultati della campagna" 43

E. Bureau, Nosfrontières, Paris, Jouvet, 1887, pp. 95-187.


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Un battaglione di cacciatori (truppe alpine) si sarebbe spinto in avanti in ciascuna valle del settore centrale e di quello meridionale (Guil, Cerveyrette, Ubaye, Tinea, Vesubia, Roja, Cornice), col compito "di disputare il passaggio alle compagnie e batterie alpine italiane"; dietro questa prima linea si sarebbero disposte le brigate attive - ogni corpo d'armata era diviso in 4 brigate - a sbarrare le valli. "Fino a quando il generale comandante del1'8a Armata disporrà solo delle forze descritte, non potrà pensare ad una invasione nella pianura del Piemonte, e l'iniziativa dei movimenti dovrà essere limitata per lui alla conquista di certe posizioni magistrali situate sul versante italiano e il cui possesso da parte delle nostre truppe aumenterebbe considerevolmente la potenza della nostra difesa. Dal Monte Bianco fino al Mediterraneo si distinguono 3 scacchieri principali corrispondenti alle grandi strade che attraversano la catena. Per le strade del Nord, della Tarantasia e della Moriana (Piccolo San Bernardo e Moncenisio), le armate italiane prenderebbero Lione per 1° obiettivo, e, per secondo obiettivo, la loro congiunzione con le armate tedesche che fossero penetrate dal fronte di Belfort-Montbéliard. Questa direttrice sarebbe la più pericolosa per noi. Lo scacchiere centrale si estende da Briançon sino alla valle dell'Ubayette. È attraversato dalle grandi strade del monte Ginevro e dell'Argentiera, che sono dominate dalle importanti fortificazioni di Briançon e di Tournoux. Data la forza di resistenza di questo fronte, è poco probabile che gli italiani lo attacchino seriamente. Questa direttrice non darebbe loro risultati immediati poiché li condurrebbe verso Grenoble lasciando a una grande distanza le armate tedesche. Lo scacchiere del Sud si estende dalla strada dell'Argentiera fino al mare. È attraversato dalle due grandi strade di Tenda e della Cornice. A Sud dell'Argentiera, tutte le vie di invasione sono dirette al Sud; le truppe italiane che vi si impegnassero avrebbero per obiettivo la Contea di Nizza. Considerando la vivacità del sentimento nazionale italiano, è prudente prevedere che un attacco serio sarebbe diretto su questa parte della frontiera. In questa ipotesi di due divergenti direttrici d'offensiva, la posizione centrale di Briançon-Guillestre offre grandi vantaggi. Se


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la Moriana fosse invasa, dal colle del Galibier e da Valloire si potrebbero prendere al rovescio le truppe vittoriose che d'altra parte sarebbero fermate frontalmente nei Bauges. Contro truppe che scendessero verso Nizza, per le valli del Var e della Tinea, un movimento a rovescio partendo da Barcellonette avrebbe un ' influenza decisiva. Quando il movimento degli italiani avrà preso forma, converrà portare nell'Ubaye una delle brigate della 14a divisione di riserva. Per l'esecuzione di queste manovre laterali, sarebbe della massima uti lità la comunicazione domina nte parallela alla fronti era da Moutiers nella Tarantasia, per il colle des Encombres, San Michele in Moriana, la strada del Galibier, Briançon, Mont Dauphin, il Colle di Vars, Toumoux, Barcellonette, Colmars sul Verdon. Riassumendo, resistere di fronte e con la più grande energia sui due scacchieri del Nord e del Sud e occupare in forze la parte centrale Briançon-Guillestre per potersi gettare sul fianco delle truppe nemiche che fossero penetrate sia nella Moriana, sia nelle valli del Var e della Tinea; tale sembra essere la manovra più efficace (manovra di Berwick) per difendere vittoriosamente le Alpi contro forze superiori" 44 . Ma a fine 1886 lo Stato Maggiore italiano non pensava tanto ad attaccare quanto a difendersi. Era stata intensificata la raccolta di informazioni in Francia e Svizzera, cosa che aveva dato consapevolezza del potenziamento in atto delle fortificazioni che l' esercito avrebbe incontrato, sia che avesse cercato di forzare il confi44

AEF, 7 N, busta 1863, dove è pure una lettera del generale governatore di Lione al ministro della Guerra del 29 ottobre I 886, nella quale si fanno 3 ipotesi sulla condotta degli italiani in caso di guerra franco-tedesca: LO Neutralità benevola, che avrebbe consentito di presidiare la frontiera con poche truppe, inviando contro i germanici anche il 14° e il 15° corpo; 2° Neutralità armala, dinanzi alla quale si sarebbe dislocato sulle Alpi il 15° corpo rinforzato, sottraendolo al fronte del nord e dell'est; 3° Ostilità con attacco nel settore meridionale, che avrebbe costretto a schierare tutta l'armata delle Alpi. Che convenisse all'inizio occupare posizioni dominanti era concetto condiviso da tutti, se mai il problema era quello di come conciliare l'idea con una tempestiva presenza in loco delle forze necessarie. Nelle conclusioni di uno studio dello Stato Maggiore Ita liano del 1874 sulla difesa delle Alpi occidentali si leggeva: "le nostre difese avanzate per essere e ffi caci e durature devono cominciare dalla frontie ra, anzi talvolta oltre la medesima" AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R. 20-21.


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ne francese, sia che avesse azzardato un colpo di mano sul Gottardo, operazione sconsigliata dai tedeschi. In più, era sempre viva la preoccupazione di un 'aggressione improvvisa alla fronti era o di un attacco francese diretto sulla capitale, specialmente quando il generale Boulanger fu ministro della Guerra (gennaio 1886maggio 1887). Venne decisa una dislocazione dell'esercito che prevedeva 6 corpi d'armata nella valle del Po con un 7° pronto a raggiungerli, 2 nella valle dell 'Amo, 1 in quella del Tevere, 1 al Volturno e 2 disponibili: nei primissimi giorni 100.000 uomini dovevano concentrarsi ad Avigliana, 100.000 a Tenda e sulla Cornice, 100.000 di rincalzo alle spalle di Vado contro l'eventualità di uno sbarco 45 . Intanto il presidente del Consiglio Depretis aveva ceduto, il 6 ottobre 1885, il portafoglio degli Esteri al tenente generale Carlo Felice Nicolis, conte di Robilant. Il nuovo ministro condivideva l' opinione, espressa da un "ex diplomatico" sulla Nuova Antologia del 16 agosto 1885, che " la rinnovazione pura e semplice da parte nostra degli accordi ora esistenti non ci pare sufficiente" Del resto molti la pensavano così in Italia, specie in quegli ambienti militari che avevano sentito sulla loro pelle la doccia scozzese degli allarmi e dei dubbi. I problemi dell 'Esercito erano abbastanza chiari e il capo di Stato Maggiore Cosenz li vedeva anche più lucidamente dei ministri della Guerra. In caso di conflitto l'Italia aveva bisogno di partecipare a una vittoria, possibilmente a quella decisiva, per trasformare in credito politico i suoi sacrifici militari. La blindatura reciproca delle frontiere italiana e francese riduceva grandemente la quantità e anche la qualità - truppe alpine a parte - delle forze necessarie sul confine per evitare l' invasione. Qualche preoccupazione continuava a venire dai tempi della mobilitazione italiana, più lenti di quelli dell 'avversario, per cui occorreva migliorare la rapidità della radunata. Ma quel che si sapeva dell'orientamento di Parigi, teso a portare sul fronte tedesco la massima quantità e la migliore qualità di truppe, sdrammatizzava in fondo anche lo svan45 AUSSME, G 25, Studi tecnici, R. 14. 1n buona parte coincide con quanto scriveva l'addetto militare germanico, il quale, però, continuava a fantasticare di intendimenti offensivi (Mazzetti, cit., p. 39), che la presenza del generale Ricotti al Ministero della Guerra rendeva improbabili.


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taggio della mobilitazione più lenta: con poche forze non si poteva impostare una grande offensiva contro l' Italia. Dal punto di vista militare, anche se il nemico avesse conseguito qualche modesto vantaggio iniziale, ciò non avrebbe pesato sull'economia generale della guerra. Dal punto di vista politico, tuttavia, sarebbe stato meglio evitare ogni scacco, specie nella prospettiva di una guerra non lunga, e soprattutto lo scacco di uno sbarco riuscito. Cosenz non credeva che l' Italia fosse minacciata seriamente da un grande sbarco strategico perché i francesi non potevano distrarre dal fronte tedesco forze consistenti; inoltre il mantenimento della testa di ponte avrebbe comportato difficoltà operative e logistiche permanenti e onerose, perché la si sarebbe dovuta alimentare costantemente. Riteneva invece possibile un'azione anfibia di dimensioni e ambizioni più modeste, ma tuttavia capace di fornire all' invasore un forte dividendo politico. Per questo motivo era stato deciso di dislocare nella penisola un 'armata che aveva il compito di fronteggiare e respingere, non di impedire, un'invasione dal mare. Nei correnti rapporti di potere navale, del resto, era quasi impossibile coprire la lunga linea delle coste italiane, e le manovre lo avevano dimostrato. Nelle circostanze descritte il capo di Stato Maggiore si sarebbe trovato con un esubero di truppe mobili di prima linea che non poteva utilizzare, a differenza di quanto si ostinava a sostenere il Ricotti, in chiave difensiva. Certo, in un conflitto con la Francia si potevano tenere di riserva nella valle del Po, o destinarne una parte maggiore a presidio della penisola e delle isole. Politicamente, però, quelle truppe non avrebbero prodotto nessun vantaggio, immobilizzate sul territorio nazionale probabilmente senza dover nemmeno combattere: la loro azione sarebbe stata soltanto passiva, dipendendo dall'iniziativa di un nemico che aveva i suoi maggiori problemi in direzione diversa e lontana. Il rifiuto tedesco di impiegare sul proprio fronte gli esuberi degli alleati costringeva entro limiti angusti, militari e politici, le possibilità italiane. Unica alternativa era un attacco sulle Alpi, col rischio di un insuccesso o di progressi limitati e lenti pagati a caro prezzo. Si capiva bene che le condizioni geografiche e le opere di fortificazione consentivano ai francesi di resistere senza impiegare altre forze che quelle previste: così, neanche questa era una prospettiva attraente.


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In quegli anni la Marina era migliorata, ma non poteva garantire il litorale da un attacco francese. Il Lloyd Universal Register, all'inizio del 1886, elencava 410 unità militari francesi contro 175 italiane; la flotta della Francia contava 44 corazzate d'alto mare 7 delle quali dislocavano più di 10.000 t - e 21 corazzate guardacoste, 3 incrociatori corazzati, 123 torpediniere, 148 corvette, avvisi e cannoniere, oltre a 45 trasporti per truppe e materiali, cui si potevano aggiungere molti piroscafi della marina mercantile che ne aveva per circa mezzo milione di t; l'Italia poteva opporre 21 corazzate, 8 incrociatori corazzati, 92 torpedniere, ed aveva in tutto 125.000 t di naviglio mercantile a vapore. Nel 1883 Benedetto Brin progettò le tre corazzate tipo Umberto, bene armate e veloci, che furono impostate tra il 1884 e il 1885, ma sarebbero entrate effettivamente in squadra, mediamente, dopo 10 anni, quando la loro protezione contro i progressi del1' artiglieria non poteva essere così efficace come al tempo in cui erano state disegnate. Il contrasto marittimo, di conseguenza, si presentava irto di difficoltà poiché sarebbe stato il più potente avversario ad imporre, con la sua iniziativa, vincoli operativi alla flotta italiana, la quale doveva cercare, oltre tutto, di non farsi distruggere o bloccare per continuare almeno a disputare al nemico il dominio assoluto del mare. In Francia le coste erano suddivise in cinque grandi circoscrizioni militari di difesa, che si valevano di truppe mobili e di impianti difensivi fissi, oltre che di torpediniere; era prevista una mobilitazione rapida che avrebbe dovuto portare gli uomini ad essere pronti all'impiego entro 24 o 48 ore. In Gran Bretagna esistevano ben 224 circoscrizioni della guardia costiera, con circa 30.000 uomini costantemente sul piede di guerra, navi stazionarie e largo impiego di armi subacquee. In Germania, dove dominava una strategia terrestre, i porti avevano una parte importante nella difesa del territorio, supportando con le loro fortificazioni le truppe di presidio, fisse a differenza dei corpi mobili che prevedevano di impiegare i francesi.L'Austria-Ungheria era su una posizione intermedia, fondata su caposaldi fissi ed opere campali sulla costa, di appoggio alla massa di manovra alle spalle, costituita da forze dell'esercito. La Spagna teneva ben distinti i compiti della flotta e dell'esercito, che assicurava la difesa costiera, mentre in


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Russia ci si affidava alla difesa mobile locale, costituita da elementi pratici dei luoghi che compivano esercitazioni ogni semestre. Anche nei paesi scandinavi - Svezia, Norvegia e Danimarca era netta la distintizione tra i ruoli delle forze navali, operanti sul mare senza preoccupazioni di difesa costiera, e di quelle miste, ma in prevalenza terrestri, che dovevano fronteggiare sul territorio un attacco proveniente dal mare. In Italia era previsto che le forze navali e terrestri operassero separate tra loro, però il compito della Marina non era limitato all'altura perché avrebbe dovuto assicurare anche la difesa costiera ravvicinata, problema insolubile nel contesto geografico italiano. Nel dicembre 1886 giunse al ministro della Marina la segnalazione che in Francia era stato costruito il bateau canon, "il più adatto strumento da bombardamento navale che siasi finora fabbricato"46; l'esagerazione è palese, ma non bisogna dimenticare che opinione pubblica e Parlamento discutevano da mesi la difesa delle coste e che si era diffusa una sensibilità particolarmente acuta per tutto quel che poteva avere riferimento ad essa. Una Commissione presieduta dal capitano di vascello Raffaele Volpe presentò al ministro della Marina Brin, il 16 dicembre 1886, una relazione intitolata "Considerazioni sull'ordinamento della difesa costiera", ne11a quale veniva posto in evidenza che le coste italiane, lunghe 10.000 km, erano aggredibili con molto maggiore facilità che non quelle atlantiche e nordeuropee, mancando per l'attaccante la difficoltà delle onde alte e fredde; che le città rivierasche italiane esposte alle offese marine erano disseminate su lunghe distanze, ciò che rendeva problematica l'efficacia della difesa, anche se fosse stato possibile un impiego elastico della flotta; che la difesa ravvicinata doveva avvalersi di un corpo speciale, formato da personale locale perfettamente a conoscenza delle condizioni idrografiche, e dipendente dal comando di zona della difesa fissa; che il concorso dei mezzi navali, almeno nella fase iniziale, sarebbe stato limitato ad unità leggere stazionarie. Non si trattava di concetti nuovi, in particolare per quanto concerne l'idea, non condivisa dal ministro, di dislocare unità di stazione lungo il litorale: già negli Stati Uniti , all'inizio del seco46

Il bateau-canon dislocava 73 te imbarcava un cannone che poteva pesare fino a 12 t; alla prova dei fatti si dimostrò un fallimento completo.


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lo, gli abitanti dei centri costieri avevano preteso di essere difesi direttamente e ne era nata la fallimentare politica delle gun boats, distribuite lungo la costa e regolarmente sopraffatte dovunque apparisse la flotta nemica 47 In Italia tutto questo venne evitato, ma non le preoccupazioni, le angosce, in certi momenti la "paura navale" E allora molti incominciarono a domandarsi come funzionasse un'alleanza che non aveva procurato al paese la sicurezza, la sperata tranquillità. Tra coloro che davano una valutazione critica c'era anche il ministro degli Esteri e durante l'estate del 1886 se ne ebbe una chiara avvisaglia. L'ambasciatore a Berlino de Launay, convinto triplicista, sollecitò una iniziativa italiana per il rinnovo dell' alleanza. Sia che fosse tutta farina del suo sacco, sia che l'ambasciatore si facesse interprete di umori tedeschi, il suggerimento venne respinto seccamente dal ministro. Robilant gli scrisse che gli italiani erano stati "più tollerati che bene accolti" nell'alleanza e che i vantaggi dell'accordo erano andati soltanto agli Imperi centrali. Per questi motivi era "più che probabile" che l'Italia non fosse interessata al rinnovo dell' alleanza; se il cancelliere Bismarck aveva diverse intenzioni, prendesse pure l'iniziativa lui: intanto l'ambasciatore si guardasse bene dall'avviare aperture.

47

Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit., pp. 26-31 .


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Capitolo IV

LA SECONDA TRIPLICE (1887-1891)

22. IL SISTEMA DI ACCORDI

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1887

La tensione italo-francese non accennava ad esaurirsi, né a livello politico-militare, né a livello dell'opinione pubblica. Alla fine della prima Triplice i risentimenti dell'Italia erano gli stessi dell'indomani del trattato del Bardo e della scelta di allearsi con Berlino e con Vienna. Del Risorgimento, ad esempio, più volentieri che i morti di Solferino veniva ricordato il ricatto morale che aveva consentito, dopo la guerra del 1859, "]'insensata delimitazione imposta all'Italia" nella valle della Roja, che nasce italiana, diventa francese e poi torna italiana. La stampa transalpina presentava con violenza, quasi come un affronto, le frustrate aspirazioni italiane a Tunisi, teorizzando che mai la Francia avrebbe potuto consentire lo stabilimento di un'altra influenza europea alle porte dell'Algeria e che quindi l'Italia, nel nutrire quelle ambizioni, si era mostrata arrogante ed ostile, atteggiamento confermato dall'alleanza con gli Imperi centrali; a leggere certi giornali, ciò aveva provocato "un grido quasi universale contro l'Italia, e quasi soltanto contro di lei" 1• Il disprezzo ostentato verso gli italiani faceva scrivere che I'Italia si era piegata a Bismarck per servilismo, ma che il governo di Roma, a causa dell'odio popolare verso tedeschi ed austriaci, "terrà, se venga l'occasione, quell'accordo come se non fosse mai avvenuto" 2 . Una tesi certamente comoda, ma inficiata dal fatto 1

C. Cadorna, La Triplice Alleanza e la stampa francese, Firenze, Ricci, J883 (Estratto dalla Rassegna di scienze sociali e politiche, 1883, VI), p. 4; A.

de la Berge, En Tunisie, Paris, Firmin-Didot, 1881, pp. 11 -12; P.L. Caire, / Comuni della valle di Roja e di Bevera annessi alla Francia, Torino, Gazzetta del Popolo, 1880. 2 C. Cadorna, La Triplice Alleanza e i pericoli interni ed esterni dell 'Italia, Roma, Bocca, 1883, pp. 7-8.


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che la stipula della Triplice imponeva alla Francia una doppia sorveglianza sul pi ano militare, concetto che molto tempo dopo Charles Roux avrebbe rappresentato con efficacia richiamando il grido del Delfino a Giovanni il Buono durante la battaglia di Poitiers: "Père, garde toi à droite. Père, garde toi à gauche!" 3. Una parte di queste polemiche erano controproducenti perché contribuivano ad aumentare l'attenzione di Bismarck nei confronti dell'Italia e la sua propensione a venirle incontro, tanto più che nel dicembre 1886 Robilant aveva denunciato l'accordo commerciale italo-francese, con ulteriore deterioramento dei rapporti tra Roma e Parigi. C'erano poi i problemi più propriamente militari che, certo, la presenza del generale Boulanger alla Guerra e dell ' ammiraglio Aube alla Marina non attenuavano. L'avanzamento alla Maddalena di una base operativa per la flotta immetteva nella strategia marittima italiana, non più solo difensiva, varianti di audacia che contrariavano i francesi. Si è già ricordato che il Capo di Stato Maggiore della Marina, contrammiraglio Lespes, se n'era lagnato con l' addetto militare italiano; a sua volta l'ammiraglio Aube accompagnò i complimenti per le manovre della base sarda con l'ammonimento che la Francia, in terra e in mare, possedeva una spada che poteva infliggere colpi mortali. Nel settembre 1886, mentre Aube era ministro, il Mirabello riferì "che la Marina lavora all'unico scopo di una guerra con l'Italia"; nel febbraio successivo il ministro non consentì al medesimo addetto navale di assistere alle manovre francesi, unendo al divieto non larvate minacce di usare senza pietà, in caso di guerra, "tutti i mezzi d'offesa e di distruzione", senza escludere attacchi alle città ed alle popolazioni indifese delle coste, anche se per farlo avesse dovuto disobbedire al governo 4. Eppure proprio questo genere di minacce conteneva un elemento militarmente rassicurante perché accennava ad attacchi locali, non ad azioni anfibie di seria portata. I francesi non pianificarono mai uno sbarco strategico; ricerche approfondite lo con3

C. Roux, les Alpes ou le Rhin, Paris, Kra, 1928, p. 235. Si tratta della battaglia, perduta nel 1356, contro Edoardo di Galles, iI Principe Nero. 4 Marchesi a Cosenz, 11 novembre 1883, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 3; Mirabello a Brin, 23 maggio 1884, 30 settembre 1886, 28 febbraio 1887, AUSMM, busta 122, fase. 2.


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fermano e lo stesso Servizio Storico della Marine Nationale scrive in proposito "che la consultazione delle corrispondenze provenienti dal Ministero della Guerra, dal Ministero degli Affari Esteri, dai Consoli e dagli archivi relativi alla guerra d'Italia, conservati al Servizio Storico della Marina a Vincennes, non ha consentito di trovar traccia di un progetto di sbarco in Italia tra il 1881 e il 1901" 5 . Del resto, fin dalla nascita della Triplice, la facile previsione che l'Esercito francese sarebbe stato concentrato sul fronte tedesco rendeva meno probabile un'azione anfibia in grande stile contro l'Italia. Sappiamo già che Aube considerava lo sbarco avventura difficile e pericolosa; nel 1893 uno studio militare francese, esaminate le esperienze del secolo sull'argomento, concluderà che "in Europa, sul territorio di una grande nazione armata, non temiamo di dire che lo sbarco ... diventa una impossibilità". Non fu posta seriamente allo studio neanche un'azione anfibia a carattere diversivo. Ma dal punto di vista italiano l'eventualità teorica, determinata dal superiore potere marittimo francese, non poteva essere ignorata, con la conseguenza di produrre elementi di dispersione nella strategia poiché costringeva l'Esercito ad assumere ulteriori gravami. Per fronteggiare l'ipotetico sbarco diventava necessario dislocare nella penisola forze non trascurabili, sottratte alla frontiera nord-occidentale, dove - riferiva l'addetto militare francese nell'autunno 1886 - sarebbero stati schierati soltanto tre Corpi per complessivi 300.000 uomini, col compito di coprire il Piemonte, non di attaccare 6. La vera minaccia dal mare consisteva nei raids, nei bombardamenti, nei colpi di mano locali per distruggere opere ferroviarie o installazioni sul litorale. Del resto, quando nel febbraio 1888 l'addetto militare francese segnalerà un'attività inconsueta nei porti militari e sulle coste, specificherà "lo scopo è di resistere solamente ad un colpo di mano"; come pure in allora le istruzioni alla flotta del Mediterraneo prevederanno, nel caso di guerra all'Italia, attacchi dal mare e incursioni di guastatori per danneggiare 5

Lettera dell' ammjraglio J.P. Beauvois, Capo del Service historique de la Marine Nationale, all'autore, dell'8 dicembre 1999. 6 Comandante Pinsonnière a ministro della Guerra, 20 ottobre 1886, AEF, 7 N, busta 1361. Già allora l'osservatore militare francese si attendeva che le restanti truppe italiane sarebbero state trasferite in Baviera.


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le ferrovie costiere della Liguria 7 Né va dimenticato che le manovre navali italiane dimostravano puntualmente che simili azioni riuscivano ad un attaccante che avesse la scelta del tempo e del luogo. In Europa si delineò una situazione che favoriva l'Italia. Saliva di nuovo a Parigi l'ostilità contro la Germania e, soprattutto, i rapporti austro-russi per i Balcani andavano assumendo una piega preoccupante col tentativo, fallito, di Pietroburgo, di imporre un proprio uomo sul trono di Bulgaria. Di conseguenza il Ministero degli Esteri italiano poté valorizzare agli occhi di Bismarck un sondaggio francese dell'autunno, diretto a stabilire un'intesa con Roma su Mediterraneo e Balcani. È difficile capire su che basi e con quale concretezza i francesi accennassero ai Balcani, ma l'approccio - correttamente comunicato al Cancelliere tedesco dal Robilant - indusse subito Bismarck ad assumere l'iniziativa per evitare sbandamenti e rinnovare l'alleanza: non pare dubbio che ciò discendesse da considerazioni di ordine generale collegate alla riacutizzazione delle tensioni internazionali. Simile contesto rese possibile per l'Italia, nel 1887, la realizzazione di quel programma di intese che il ministro degli Esteri Robilant aveva indicato con chiarezza nella nota esplicativa del nuovo trattato, il 23 novembre 1886: "nel rinnovare il trattato di alleanza e nel provvedere così alle esigenze della nostra conservazione, noi vogliamo che codesto concetto di conservazione includa anche (la difesa di) quanto rimane, a beneficio nostro, di equilibrio nel Mediterraneo" 8. n secondo trattato della Triplice, firmato a Berlino il 20 febbraio 1887, si componeva di tre strumenti diplomatici distinti: la conferma e il prolungamento fino al 30 maggio 1892 dell 'alleanza e i trattati separati tra l'Italia e ciascuno dei suoi alleati. Quello con J'Austria riguardava il versante orientale, dove gli interessi italiani ricevevano maggiore attenzione: Vienna si impegnava a mantenere lo statu quo, ma se ciò fosse risultato irnpossi7

Pinsonnière a ministro della Guerra, 29 febbraio 1888, AEF, 7 N, busta l362; vedi le istruzioni del ministro della Marina al Comandante della squadra del Mediterraneo in Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit., pp. 415- 19. 8 G. Volpe, L'Italia nella Triplice Alleanza (1882-1915), Milano, ISPI, 1939, p. 74.


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bile, "nelle regioni dei Balcani e delle coste ed isole ottomane nell'Adriatico e nel mar Egeo", ogni azione od occupazione sarebbe stata concertata preventivamente con Roma sulla base del reciproco compenso; del Mediterraneo non si parlava e quindi il rapporto dei due alleati nei confronti della Francia restava quello di prima. L' accordo italo-germanico, invece, era più ampio, includendo, oltre al mantenimento dello statu quo in Oriente, garanzie nuove per gli interessi mediterranei dell'Italia. Se la Francia avesse cercato di estendere il proprio dominio su Tripoli o sul Marocco e ciò avesse condotto l'Italia ad azioni estreme in Africa o in Europa, "lo stato di guerra che ne seguirebbe tra la Francia e l 'Italia costituirebbe ipso facto, su richiesta dell'Italia ed a carico comune dei due alleati, il casus foederis" Di fatto, se la Francia avesse tentato di impadronirsi di Tripoli e l'Italia avesse reagito con le armi, o se la Francia avesse attaccato la zona mediterranea del Marocco e l'Italia avesse cercato un compenso a Tripoli contrastato a mano armata dalla Francia, e tutto ciò avesse condotto ad un conflitto generalizzato tra Roma e Parigi - "dev'essere in gioco la sorte e l'esistenza del Regno" - Berlino sarebbe scesa in campo a fianco dell 'alleato. La differenza col 1882 era sostanziale: non più solo la garanzia della sopravvivenza e della restituzione in pristino contro un'invasione, ma un sostegno concreto alla politica estera italiana nel Mediterraneo. Vi si aggiunga il rafforzamento dell'Esercito con nuovi provvedimenti che completavano il ciclo di misure iniziato dal Mezzacapo nel 1876, e ci si renderà conto che la posizione dell ' Italia nell 'alleanza si avviava a diventare più solida. Il 12 febbraio 1887 uno scambio di note definì l'intesa mediterranea tra Roma e Londra, diretta al mantenimento dello statu quo nel Mediterraneo, fatti salvi gli interessi inglesi in Egitto e quelli italiani in Tripolitania e Cirenaica. Ma il quarto punto della nota italiana, originariamente molto impegnativo ( "L 'ltalie serait prete à se ranger à coté de l'Angleterre dans la Méditerranée dans toute guerre que cette puissance pourrait avoir avec la France, à charge de réciprocité, de la part de l'Angleterre, dans toute guerre entre l'Italie et la France"), divenne: "In generale e per quanto le circostanze lo comporteranno, l'Italia e l'Inghilterra si promettono mutuo appoggio nel Mediterraneo per ogni contro-


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versia che sorgesse tra una di loro ed una terza potenza nel Mediterraneo" La nota britannica era ancora più cauta, esprimeva il desiderio di cooperare col governo italiano - come, si sarebbe visto volta per volta - per il mantenimento dello statu quo nel Mediterraneo; se non fosse stato possibile, "entrambe le potenze desiderano che non vi sia estensione di dominio da parte di nessuna altra grande potenza su alcuna parte di tali coste" Così, fin dall' inizio, vi furono due interpretazioni dell'accordo, più impegnativo e rigido dal punto di vista italiano, più elastico e meno stringente dal punto di vista britannico. L'Italia pensava alla propria sicurezza marittima, l'Inghilterra ai propri interessi quando avessero coinciso con quelli italiani_ Il contrasto diventò palese quando, alla fine dell'agosto 1887, Crispi insistette per stipulare anche una convenzione militare, ma Salisbury non volle impegnarsi perché "la politica è mutevole come il clima di queste isole" 9 Peraltro le intese mediterranee, unite ai nuovi trattati triplicisti, diedero all'Italia una posizione internazionale ed un livello di sicurezza maggiore che non nel passato. Il Regno faceva parte di una compagine a forte connotazione monarchica, militarmente solida, che poteva garantire meglio la politica estera romana; e anche dinanzi alla prospettiva di un avvicinamento franco-russo, distrarre veramente truppe italiane per aiutare gli austriaci ad oriente non sarebbe stato mai facile 10. Quanto alla difesa marittima, si può osservare che probabilmente l'intesa con l'Inghilterra aveva fatto perdere il momento più adatto - quello delle trattative per il rinnovo della Triplice - per almeno tentare di coinvolgere gli alleati; in quel tempo, tuttavia, la potenza navale di Berlino e di Vienna era scarsa, specie ai fini di una guerra d'alto mare, e la disponibilità di usarla in favore di Roma verosimilmente ancora minore, mentre restava sempre la speranza che alla fine, davanti a una crisi, la potente flotta britannica si sarebbe mossa. Dalla rete di accordi del 1887 la Francia usciva isolata, ma ne avrebbe sofferto soltanto se avesse meditato iniziative aggressive 9 M. Gabriele, Aspetti del problema adriatico con particolare riguardo al primo rinnovo della Triplice, in Memorie Storiche Militari 1980, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito-Ufficio Storico, 1981, pp. 62-80. IO Questa eventualità poteva derivare, oltre che dagli accordi triplicisti, dall'accessione italiana del 15 maggio I 888 ali' alleanza austro-romena del 1883, di chiara intonazione antirussa.


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contro la Gran Bretagna, la Germania o l'Italia, visto che inglesi e tedeschi erano orientati alla pace. L'Italia non cercava la guerra, ma poiché il rinnovo della Triplice e gli accordi mediterranei furono accompagnati da un complessivo rafforzamento della difesa nazionale, con aumento delle spese militari, non mancarono motivi di frizione con i vicini d'oltr' Alpe. Un motivo veniva dalla prospettata valorizzazione della Maddalena, a copertura della quale era stato organizzato il presidio terrestre della Sardegna, tanto più che fonti romane affermavano che al solo apparire della bandiera del Regno i corsi l'avrebbero seguita. Un altro era dato dalle nuove unità della flotta italiana: nel settembre 1887 l'ammiraglio Alquier, Capo di Stato Maggiore, disse senza perifrasi al Mirabello che le costruzioni navali italiane davano molto fastidio. Di nuovo nei rapporti tra Italia e Francia si accentuavano elementi di ostilità, che ricevettero nuovo alimento in dicembre, quando cessò di operare il trattato commerciale tra i due Paesi, denunciato un anno prima dal Robilant perché favorevole all'armamento francese. Un clamoroso esempio della diffidenza esistente tra Roma e Parigi, acuita forse dall'andamento negativo delle trattative commerciali, si ebbe nel mese seguente. Il 21 gennaio 1888 un giornale di Londra, lo Standard, lanciò la notizia di straordinari preparativi navali nella base di Tolone. L'addetto militare britannico a Parigi comunicò che si trattava di normali lavori in vista della buona stagione, ma fonti diplomatiche italiane e tedesche fecero sapere a Salisbury che era in atto il concentramento della flotta francese nel Mediterraneo. Il premier britannico pensò di distaccare a Gibilterra 6 corazzate della squadra della Manica, malgrado lo scetticismo dell'Ammiragliato. Fu allora deciso di chiedere chiarimenti a Parigi tramite l'ambasciatore, mentre le 6 unità da battaglia venivano tenute pronte a muovere, ma non trasferite a Gibilterra. Corse anche voce di un piano francese per tentare un colpo di mano a Spezia. Una squadra inglese, al comando dell'ammiraglio Hewett, giunse a Genova il 14 febbraio, in attuazione di un precedente programma; la visita poteva servire anche a scoraggiare eventuali iniziative ostili e parve confermare l'esistenza di un' intesa italo-britannica per un'azione navale comune in Mediterraneo, benché lo stesso Hewett smentisse. Il 22, con i chiarimenti ricevuti a Parigi dall'ambasciatore inglese, lo stato d'allarme cessò. Il ministro francese della Marina, Krantz, dichiarò che si era


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solo inteso rinforzare la squadra del Mediterraneo, che ultimamente era stata ridotta a sole 4 corazzate e 1 avviso. TI 20 febbraio l'addetto navale italiano scrisse: "È ben facile comprendere che questi preparativi militari si fanno in prevenzione di una guerra con l'Italia, ma non potrei dire se collo scopo di attaccarci o per timore di un attacco da parte nostra. Dico per timore, giacché qui si ha una grande idea della nostra potenza navale e perché nella condizione deplorevole in cui trovavasi il naviglio, fuvvi realmente la credenza che avremmo profittato di quel loro stato di debolezza, che, a mio avviso, non si rinnoverà mai più" E dopo una settimana, avuto un cordiale colloquio col ministro Krantz, il Mirabello confermò a Roma che l'allarme era stato infondato: " Io sono convintissimo che si debba prestare ampia fiducia a queste dichiarazioni, come sono convinto che la Francia sui principi del corrente anno non ebbe un solo momento l'idea di attaccarci, e ciò qualunque siano le informazioni che ricevette il R. Governo e che lo spinsero ad attivare gli armamenti marittimi. Allora la Repubblica non aveva che tre sole corazzate pronte a prendere il mare e non è con questa forza che si può dichiarare la guerra anche ad una potenza impreparata" Ma la vicenda presentò un risvolto negativo per Roma - e in particolare per Crispi che l'aveva montata - poiché diede occasione al governo inglese di dichiarare alla Camera dei Comuni di non aver assunto "alcun impegno coll'Italia che richiedesse azione militare o navale" Era il contrario di quello che i dirigenti italiani desideravano o, quanto meno, avrebbero voluto far credere. E il peggio si era che la cautela di Salisbury si fondava sulle valutazioni di una Commissione dell'Ammiragliato, che aveva ritenuta modesta la.fì,ghting quality delle navi italane; il capitano di vascello Camillo Candiani, addetto navale a Londra, riferiva anche di altre critiche della Commissione, che si estendevano alla tattica e ad altri aspetti della Marina italiana, per cui concludeva: "Si può dunque prestare un benevolo orecchio alle platoniche dichiarazioni che mai l'Inghilterra permetterà alla Francia un attacco per mare contro l'Italia, ma senza farci troppo assegnamento: Timeo Danaos et dona ferentes" 11 • 11

M. Gabriele, Molto rumore per nulla, in "Bollettino d'Archivio dell' Ufficio Storico della Marina Militare", XVII, 2003, giugno, pp. 9-1 04.


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23.

LA CONVENZIONE MILITARE DEL

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1888

Fin dal tempo della prima Triplice, come sappiamo, il vertice dell'Esercito italiano riteneva che uno scontro con la Francia andasse affrontato con idee nuove circa la dislocazione delle truppe sui teatri di combattimento. A monte di questa evoluzione v' erano due motivazioni che avevano ricadute militari e politiche. Il rafforzamento del fronte francese, ormai intervenuto, rendeva problematica la conduzione di una vittoriosa offensiva italiana attraverso un terreno montuoso e fortificato, specie in assenza di un parco adeguato di artiglieria d'assedio. Per assicurare la difesa, l'Esercito francese aveva la possibilità di impegnare un'aliquota di truppe notevolmente inferiore a quella dell'attaccante; le condizioni geografiche gli consentivano, oltre ad una efficace difesa della frontiera, successivi arroccamenti su linee di resistenza robuste e ben servite dal sistema di comunicazioni interno. Era evidente che l'assalitore avrebbe pagato un prezzo di sangue elevato anche se non avesse conseguito risultati importanti: di qui la facile previsione di un impatto negativo nel Paese, non compensato da risultati politici. Era verosimile infatti che il conflitto si sarebbe deciso tra il confine tedesco e Parigi, dove una vittoria avrebbe attribuito a Berlino tutto l'utile politico del successo, anche se l'Esercito italiano si fosse dissanguato sulle Alpi. I tentativi di trovare varianti idonee alla strategia dell'attacco generale si dimostrarono inconsistenti, come l'idea di sostenere dal mare un'azione su Nizza, scartata dalla Marina e dal ministro della Guerra Ricotti nell'inverno 1885-1886. E allora, se di fronte a una barriera alpina bloccata da entrambe le parti si fosse rinunciato ad un attacco inutile, sarebbe bastato guarnirla adeguatamente per impedire iniziative del nemico e trasferire l'esubero di forze sul fronte più importante del conflitto. Politicamente la mossa sarebbe stata pagante perché l'Italia avrebbe acquisito una quota diretta del successo finale insieme ai tedeschi, mentre senza invasione avversaria nella valle del Po le eventuali incursioni della Marina nemica, se proprio non fosse stato possibile impedirle, si sarebbero ridotte a poco più che punture di spillo. Massimo Mazzetti - cui si deve uno studio assai preciso e completo sull'argomento - ricorda che le trattative per una Con-


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venzione militare fra le potenze della Triplice incominciarono dopo l'incontro di Friedrichsruhe fra Bismarck e Crispi (2 ottobre 1887). All'iniziale diffidenza germanica subentrò presto un atteggiamento più aperto, di cui è traccia nello "schizzo provvisorio" di Moltke del successivo novembre, relativo alla collaborazione militare italo-tedesca contro la Francia. Il documento partiva ancora dal concetto dell'attacco contemporaneo sui due fronti; subito i tedeschi sarebbero andati incontro all'Esercito francese con lo scopo di annientarlo, mentre quello italiano avrebbe attaccato l' armata delle Alpi: "il valore dell'alleanza per la Germania sarebbe aumentato se, nonostante tutte le difficoltà locali, si attraversasse ]a montagna". Era sempre la vecchia idea di spi ngere gli italiani ad una offensiva verso Lione, con valenza non tanto strategica quanto diversiva, per sottrarre truppe francesi al fronte tedesco. Tuttavia, verso la conclusione del documento, una disponibilità di truppe italiane esuberanti dal fronte alpino era definita "assai importante", tanto che era considerato utile un primo scambio di opinioni tra militari italiani e tedeschi 12 . Lo Stato Maggiore italiano era pronto, come testimoniano anche i ricordi del generale Saladino: "Nell'autunno di quello stesso anno 1887 1' orizzonte politico europeo si faceva sempre più scuro e torbido; in guisa da far temere non improbabile né lontana una generale conflagrazione 13 . E mentre l'opera del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito si veniva intensificando, allo scopo di ottenere che l' esercito nostro si trovasse preparato a sostenere qualunque eventualità di guerra: ecco gi ungere al Generale Cosenz l'invito del Ministro della Guerra (e ciò, come ritengo, per iniziativa del Presidente del Consiglio dei Ministri) perché fosse compilata una memoria nella quale "dovevansi prendere in esame le eventuali operazioni militari, che i due gruppi di Potenze in cui dividevasi in quel tempo l'Europa, avrebbero potuto svolgere all'inizio delle ostilità: per desumerne l'impegno che meglio potes12

Mazzetti, cit., pp. 34-63. li documento richiamato è a pp. 465-66. La tensione nasceva dalla rivalità austro-russa nell' Europa orientale, e poiché Berlino non aveva una propria politica balcanica, finì per sostenere quella di Vienna. E questo anche mal volentieri, al punto che l'ambasciatore britannico in questa capitale fece sapere che il suo collega tedesco, principe Reuss, si dichiarava disgustato della politica austro-ungarica. Phipps a Salisbury, 8 dicembre 1887, PRO, FO, 7, 119. 13


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se convenire all'esercito italiano" Si trattava di uno studio complesso da rendere disponibile rapidamente e il generale Cosenz, "con ardore giovanile e con la consueta pacatezza", lo elaborò "da solo, dedicandovisi per l'intera giornata, fino a tarda sera. Sempre curvo sulle carte geografiche e topografiche, andava segnando numerose e concise cartelle di appunti; le quali mi erano giornalmente affidate perché le sviluppassi e trascrivessi nella forma meglio adatta... Dopo 15 giorni d'intenso, ininterrotto lavoro, lo studio in parola era ultimato e consegnato al Ministro Generale Bertolè-Viale: e servì come base a scambio di idee fra gli Stati Maggiori degli eserciti alleati, e come punto di partenza per nuovi studi e lavori poderosi presso l'ufficio del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito e gli altri uffici da Lui dipendenti. E fu invero durante i primi mesi dell'anno 1888 che attese il Generale Cosenz, con cura assidua, a studiare e concretare le modificazioni alla formazione di guerra e alla radunata dell'esercito, rese necesarie dalle mutate condizioni della politica internazionale; e a studiare particolareggiatamente, che innanzi non si fosse fatto, taluni teatri di guerra, sui quali poteva eventualmente essere chiamata ad operare una parte dell'esercito italiano" 14. L' idea di trasferire in Alsazia consistenti truppe italiane scrisse Moltke a Bismarck il 28 dicembre 1887 - "corrisponde esattamente ai nostri desideri" 15 : il comando tedesco era orientato verso una duplice offensiva dalla Lorena e dal Belgio 16, per cui un rafforzamento all'ala sinistra non poteva che riuscire gradito. Per mandare avanti le trattative furono inviati a Berlino i tenenti colonnelli Matteo Albertone e Vittorio Emanuele Da Bormida, che giunsero la vigilia di Natale nella capitale tedesca. Si profilarono due problemi, l' uno relativo al modo in cui sarebbe stato possibile effettuare concretamente il congiungimento delle truppe italiane con quelle tedesche, l'altro concernente la tentazione di dirottare ad est l'intervento italiano. 14

G. Saladino, Enrico Cosenz. 1820-1898, manoscritto, pp. 33-35, AUSSME, L 3 Studi particolari, R 272. 15 Mazzetti, cit., pp. 469-70. Vi si riconosceva anche che una eventuale operazione in direzione di Nizza "comunque persegue soltanto scopi secondari". 16 A. Rovighi, Un secolo di relazioni militari tra Italia e Svizzera. 1861 1961, Avellino, Ruggiero, 1987, p. 91.


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I termini della prima questione erano solo apparentemente semplici perché il corpo di spedizione italiano poteva essere trasportato in Germania attraverso le ferrovie dell'Austria occidentale, sia pure compatibilmente con le esigenze primarie della mobilitazione di questo Paese, ma se ciò pareva pacifico - ostacoli tecnici a parte - in caso di scontro generale, ove la guerra avesse coinvolto soltanto la Francia contro Germania e Italia, l'Austria annunciava difficoltà. In effetti, consentendo il passaggio, la pretesa neutralità di Vienna avrebbe mostrato la corda e offerto alla Russia un pretesto buono per intervenire. In questo scenario, coi territori nazionali italiano e tedesco separati dalla Svizzera, gli italiani non escludevano di attraversare la Confederazione; soluzione praticabile se Berna fosse stata consenziente, ma vivamente sconsigliata dai tedeschi se vi si fosse opposta. E il governo elvetico non aveva alcuna intenzione di venir meno ai propri doveri di neutralità: davanti a un'invasione l'Esercito svizzero avrebbe difeso il territorio nazionale, e si sarebbe trattato di un nuovo consistente nemico (200.000 uomini), appoggiato a fortificazioni e montagne. C'era molto da perdere, sul piano materiale e morale. La seconda questione proveniva dall'ipotesi di una guerra generale, in cui gli austriaci avrebbero potuto contare sull'aiuto tedesco contro l'Esercito russo, ma non avrebbero disdegnato di aggiungervi anche un apporto italiano. Qualche imprudente parola di Crispi e dei negoziatori italiani fecero intravvedere una disponibilità maggiore di quella reale - l'impegno ad Oriente era meno interessante della spedizione in Alsazia - poiché Roma, ostile in quel tempo soprattutto a Parigi, non poteva considerarla davvero "molto importante" come Bismarck 17 • La memoria preliminare firmata a Berlino il 28 gennaio 1888 prevedeva che, in caso di guerra delle potenze della Triplice contro la Francia e la Russia, la maggior parte dell'Esercito italiano avrebbe attaccato sulle Alpi, mentre il resto si sarebbe riunito alle forze tedesche destinate a operare sul Reno. Il trasferimento riguardava 6 corpi d'armata e 3 divisioni di cavalleria, da raggruppare in una o due armate dipendenti dal Comandante in capo ger17

Così nel suo promemoria al ministro degli Esteri del 14 gennaio 1888; può darsi che l' orientamento dello Stato Maggiore tedesco di attaccare prima ad est in caso di conflitto generalizzato ne fosse la causa.


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manico. Il trasporto del corpo di spedizione italiano avrebbe avuto luogo attraverso le ferrovie austriache; venivano indicati, in forma non assoluta né esclusiva, gli itinerari Cormons-ViennaPassau, Pontebba-Selzthal-Salisburgo, Ala-Innsbruck-Kufstein, con la variante per Bregenz. L'uso delle ferrovie avrebbe avuto inizio a partire dall' 11 ° giorno della mobilitazione austriaca, con una frequenza giornaliera di 10 treni sul primo e sul terzo itinerario, di 6-8 sul secondo; in Germania - con partenza dai capolinea di Bregenz, Kufstein, Salisburgo e Passau - il traffico sarebbe stato più intenso. L'Italia avrebbe pagato tutte le spese e provveduto ai rifornimenti per l'intera durata della guerra; avrebbe anche fornito il materiale rotabile, salvo quello che gli alleati avessero potuto mettere a disposizione. Se però il conflitto fosse rimasto localizzato alla Germania ed all'Italia da un lato ed alla Francia dal1' altro, il governo di Vienna si riservava il diritto di rimanere neutrale e di non consentire il transito sul suo territorio. Due accordi ferrov iari italo-austriaco ed italo-tedesco, del 1° marzo e del 14 aprile, vennero ad integrare la convenzione militare, definendo le modalità del trasporto. Restavano però in piedi l'interrogativo politico del passaggio per l'Austria e, ammesso che questo fosse stato concesso, quello militare-politico del coordinamento dei movimenti del corpo di spedizione con la mobilitazione locale. Erano questioni determinanti a restare sospese, né la diffidenza tra italiani ed austriaci, che si nascondevano a vicenda informazioni, favoriva un'aperta collaborazione. Nessuna intesa fu invece raggiunta in campo navale, malgrado le a vane es di Crispi all'ambasciatore viennese Bruck prima della "paura navale" del 21 gennaio; dopo, la speranza o l' illusione di avere al fianco la flotta britannica spostò per un po' in un'altra direzione gli sforzi italiani. Dalle carte francesi risulta, peraltro, che molti timori di azioni importanti dal mare si agitavano solo nei sospetti italiani: l'addetto militare francese a Roma doverosamente li riferiva ad una Parigi che non raccoglieva. Così era stato l'ammiraglio Guglielmo Acton ad osservare nel 1879 che ''l'isola d'Elba è un'eccellente base d'operazione del tutto indicata per un nemico che volesse tentare uno sbarco sulle coste italiane del mare Tirreno"; e fu il Piccolo di Napoli a pubblicare, nell'allarmistico gennaio 1888, uno studio sull'ipotesi di uno sbarco in Calabria di truppe nemiche (10.000-15.000 uomini) provenienti


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dall'Africa; i francesi si sarebbero presentati in veste di liberatori dai piemontesi, con l'evidente scopo di provocare una sollevazione. In realtà in quel momento il ministro francese della Marina si preoccupava degli incrociatori ausiliari britannici e triplicisti che avrebbero potuto affiancare la flotta italiana, altro che pianificare attacchi nell'Italia meridionale! 18 L'alJarmismo era di casa anche in Francia, pur se meno diffuso. Un libro uscito a Parigi nel 1887 aveva negato che la Francia avesse "la migUore flotta, la più moderna", come imprudentemente dicevano Gambetta e Boulanger, e che l'Inghilterra disponesse solo di "vecchie bagnarole", poiché i cannoni francesi da 75 terano inferiori a quelli da 100 dell' Jnflexible e dei "mostri marini" italiani. A Duilio, Dandolo, Italia e Lepanto la Marina francese non aveva nulla da opporre singolarmente, e se avesse concentrato nel Mediterraneo tutte le sue corazzate e le torpediniere, i porti del nord sarebbero stati alla mercé delle corazzate tedesche. Le cattive relazioni con l'Italia a causa di Tunisi rendevano facile la previsione che questa, se fosse stata in guerra insieme alla Germania contro la Francia, "ci lancerà contro 200.000 uomini" e "verrebbe ad attaccare la nostra squadra del Mediterraneo con le sue grosse corazzate" Né l'Esercito, né la Marina erano pronti; e quanto alle regioni perdute nella guerra contro la Prussia, il cui recupero avrebbe dovuto motivare qualunque sacrificio, erano bastate alcune rappresentazioni del "Lohengrin" per mandare in delirio quelle popolazioni. La conclusione era amara: meglio sarebbe stato accettare la situazione in Alsazia e Lorena e rendere alla Francia del 1887 un immenso servigio 19 24.

RISERVE ITALIANE

È frequente che il primario interesse politico a raggiungere un accordo finisca per precedere il puntuale chiarimento di quello 18

Pinsonnière a ministro della Guerra, 20 aprile 1887 e 20 gennaio 1888, AEF, 7 N, busta 1362. Ministro della Marina a tenente di vascello Le Léon, addetto navale a Roma, 1° marzo, 1° e 16 aprile 1888, Marine Nationale, Service Historique, Paris, Chateau de Vincennes (indicato in seguito con AMF), BB 7, busta 13. 19 Un Parisien, Paris sautera. La vérité à l'Alsace-Lorraine, Paris, Hinrichsem, 1887, pp. 72-233.


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che ciascuno vuole. Di qui precisazioni e riserve, talvolta quasi inutili, taJ altra invece sostanziali, come nel caso dei chiarimenti inglesi relativi al rifiuto di coinvolgere automaticamente proprie forze al fianco di quelle italiane, o come nel caso della libertà austriaca di non concedere il transito agli alleati se Vienna fosse stata neutrale. Di quest'ultima eventualità, la memoria sottoscritta il 28 gennaio dava pienamente atto nell'ultimo periodo del testo, mentre di altre questioni, che pure erano state illustrate durante le trattative, la convenzione non recava traccia. Il governo italiano, pertanto, volle chiarire in maniera formale portata e limiti dei propri impegni. L'esigenza di mettere i puntini sulle i veniva sia dal Ministero della Guerra che dallo Stato Maggiore: venne redatto un promemoria che il 21 marzo l'ambasciatore de Launay consegnò al cancellere Bismarck. Le riserve erano tre: 1. Le cifre indicate nella convenzione per indicare l'entità delle forze italiane da trasferire in Germania "non dovevano interpretarsi in senso assoluto", ma nel senso che l'Italia fornirà alla Germania sei o cinque corpi d'armata e tre o due divisioni di cavalleria, secondo le circostanze al momento della dichiarazione di guerra" 2. L'impegno "è sottomesso alla condizione che la Francia non prenda l'offensiva contro l'Italia con forze talmente considerevoli" da obbligare l'Italia ad impiegare tutte le sue per difendersi "da un attacco, terrestre e marittimo, diretto a liquidare J'Ita]ia per rivolgersi poi contro la Germania" 3. Il governo italiano, pur confermando che le forze italiane destinate in Germania "sono poste sotto l'alta direzione del comandante in capo delle forze tedesche", si riservava di raggruppare le proprie truppe in una o due armate "per avere libertà di scelta nella nomfoa dei comandi". Veniva poi richiesto di inviare ufficiali per 1' intendenza e gli affari logistici presso lo Stato Maggiore germanico, ma il richiamo di quest'ultima esigenza, come pure la riserva n. 3, erano inutili perché figuravano già nella convenzione di Berlino. La riserva n. 1 era solo una conferma di quanto i delegati italiani avevano fatto presente a voce durante le trattative e non sollevava problemi. Restava la riserva n. 2, che avrebbe trovato applicazione solamente se la Francia, all'inizio delle ostilità, avesse preso l'offensi-


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va contro l'Italia con 12 corpi d'armata, più di quelli che sarebbero rimasti sul suolo nazionale italiano se 5 o 6 corpi fossero partiti per il Reno. Moltke ritenne improbabile che i francesi inviassero 12 corpi d'armata per le difficili vie delle Alpi sottraendoli al fronte tedesco, e giudicò che la mossa sarebbe stata per l'Italia e la Germania "altrettanto favorevole, quanto essa sarebbe pericolosa per la Francia ... L'unica preoccupazione a riguardo di una tale offensiva potrebbe scaturire daJla strana maniera di mobilitazione dell'armata italiana, che potrebbe far sì che i francesi iniziassero un'offensiva prima che i corpi d'armata italiani fossero in grado di agire" Neanche dal mare Moltke vedeva pericoli, ma se anche "le prime corazzate del mondo" e le torpediniere costiere fossero state eliminate, uno sbarco poteva portare a terra 2 corpi d'armata al massimo, insufficienti per marciare su Roma od ottenere successi importanti. Il capo militare tedesco temeva piuttosto che gli italiani distaccassero in Lombardia, per fronteggiare un attacco che non sarebbe venuto, forze "che poi manchino alla decisione in Lorena" Erano invece i tempi a risvegliare le preoccupazioni di Moltke. Se per incominciare il trasporto delle truppe italiane si fosse dovuto aspettare che la situazione si chiarisse, c'era il rischio che l'indugio diventasse troppo lungo. Del resto informazioni attendibili davano la flotta francese impegnata, all'inizio, nel trasporto delle truppe dall'Algeria ed era escluso che, contemporaneamente, potesse attaccare l'Italia. Raccomandava piuttosto, per garantire la sicurezza del Regno, che la mobilitazione venisse accelerata, i porti militari protetti, le fortificazioni di confine ben presidiate. Il 21 marzo Crispi incontrò il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito e gli disse che nei protocolli militari bisognava inserire il diritto dell' Italia di intervenire contro la Francia anche se tra questa e la Germania fosse scoppiato un conflitto al di fuori del casus foederis, "in primo luogo perché gli interessi generali della nostra politica esigono una manifestazione della nostra potenza militare, e in secondo luogo perché nel caso in questione è estremamente importante che la Francia non risulti vincitrice. La grandezza dell'Italia e la sua posizione nel Mediterraneo possono basarsi unicamente sull'indebolimento deJla Francia, d'altro canto se questa nazione fosse nuovamente vinta dalla Germania, sarebbe per noi assai importante partecipare alla vittoria su di essa, non solo perché


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in tal modo si consoliderebbe il nostro prestigio militare, ma anche e particolarmente perché in tal caso noi avremmo diritto di partecipare alla elaborazione delle condizioni di pace e di condividere i vantaggi che otterranno i vincitori" Analoghe istruzioni il Cosenz impartì, il giorno stesso, al tenente colonnello Goiran che partiva per Berlino al fine di discutervi il trasporto delle truppe. Non era una decisione da poco. Ed era logico, in una tale propensione politica all'avventura militare, che la nota di Moltke spazzasse via quasi tutte le riserve italiane. L'ambasciatore de Launay scrisse a Bismarck il 10 aprile che non poteva essere più soddisfatto 20 _ In marzo, intanto, l'addetto militare a Parigi segnalò che in caso di mobilitazione i francesi avrebbero concentrato verso il fronte delle Alpi i corpi XIV e XV - quest'ultimo senza il 112° reggimento destinato in Corsica - oltre ai gruppi alpini, composti da 4 brigate leggere su 12 battaglioni di cacciatori di 6 compagnie. Sul XIX corpo le informazioni erano meno precise: pareva che sarebbe stato trasferito dall 'Algeria solamente in parte. Il 1itorale mediterraneo veniva armato a difesa. Alla fine di maggio l'addetto a Berlino confermò, avendole apprese dal generale Waldersee di ritorno dalla Francia, le notizie sul dislocamento dei due corpi dell'Armata delle Alpi; quanto al XIX, risultava che sarebbe stato sbarcato a Marsiglia e a Tolone ed avviato a Lione, per essere poi mandato a nord o a sud in relazione allo svolgimento delle operazioni 21 . Intanto in Italia le spese militari salivano, specie quelle dedicate alle fortificazioni ed all'armamento individuale. Nel corso degli anni '80 l'Esercito italiano passò dal modello francese (lunga ferma) a quello prussiano (ferma più breve, ma servizio 20 I documenti in Mazzetti, cit., pp. 488-93. Il conte savoiardo Edoaardo De Launay, grande sostenitore dell' intesa italo-tedesca, nel ritratto che ne fa lo Chabod - cit., pp. 619-24 - è definito "zelante, pignolo, suscettibilissimo" e "reazionario" 21 Colonnello A. Incisa a Cosenz, 2, 4 e 17 marzo 1888, AUSSME, G 29 Addetti militari. Francia, R 5. Le informazioni tedesche davano il XlV e XV corpo alla difesa delle Alpi - non parlavano del reggimento d.irottato in Corsica - e in riserva 2-3 divisioni, 2 brigate miste e 1 divisione di cavalleria; cfr. capitano Robilant a Cosenz, Berlino 31 maggio 1888, AUSSME, G 23 Scacchiere occidentale, R 2.


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militare obbligatorio), con milizie di 2a e 3a linea composte da richiamati. Ma il contingente di leva era alto rispetto alle disponibilità finanziarie e richiedeva un numero elevato di ufficiali, così che la riserva di 3a linea non poté essere inquadrata adeguatamente 22. Restava poi sempre il problema della mobilitazione, che in Italia era lenta anche per motivi strutturali, come la conformazione geografica del Paese e la scarsità delle vie di comunicazione nel Mezzogiorno. Era in particolare il tracciato delle linee ferroviarie costiere, lunghe ed esposte, a rendere i tempi di radunata incerti e comunque non rapidi, sebbene fosse prevista anche l'utilizzazione dei trasporti marittimi che, a loro volta, ponevano problemi di sicurezza durante la navigazione. In Francia, per contro, uno sviluppato sistema ferroviario interno permetteva di effettuare rapidamente i concentramenti di truppe, e quindi di incominciare le operazioni prima degli italiani. Sappiamo che era questa la maggiore preoccupazione del Comando tedesco, condivisa dallo Stato Maggiore italiano che aveva sempre presente questo problema. In novembre "il Cosenz fece preparare un altro piano di radunata per il teatro nord-ovest, in cui la I Armata di tre corpi si sarebbe concentrata su Alba e Alessandria, la II Armata, anch'essa di tre corpi, su Torino, la III Armata, di tre corpi, su Verona e la IV Armata di quattro corpi su Bologna. Una caratteristica del nuovo piano era l'importanza che dava all 'occupazione avanzata delle valli che costituivano una via di comunicazione fra la Francia e l' Italia" 23 . E un promemoria dello stesso Capo di Stato 22 Labanca,

cit., pp. 450-60. Se ne ha conferma dai dati relativi alla consistenza dell' Esercito al 30 giugno 1889, riportati in XXX., L'Italia e l'Esercito italiano nella Triplice Alleanza, Roma, Stamperia Diplomatica e Consolare, 1890, p. 67: Ufficiali Truppe Totale Esercito permanente Milizia mobile Milizia territoriale

18.946 3.584 5.778

818.248 294.665 1.6 17.243

837.1 94 298.249 1.623.021

28.308 2.730.156 2.758.464 Queste cifre danno in media 1 ufficiale ogni 43 uomini nell'Esercito permanente, I ogni 82 nella milizia mobile, 1 ogni 280 nella milizia territoriale. 23 Gooch, cit., p. 162.


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Maggiore, trasmesso al ministro della Guerra il 24 dicembre 1888 mise in moto J'idea di una chiamata anticipata e parziale, prima della mobilitazione generale, di taluni reparti e specialità che dovevano rinforzare le frontiere terrestri e le coste, predisporre i supporti e assicurare taluni servizi 24. 25. lMPLICAZIONI E

CONSEGUENZE DELL'ACCORDO MILITARE

I francesi vennero presto a conoscenza della convenzione italo-tedesca, con ulteriore peggioramento delle loro relazioni con Roma. Nuove proposte francesi affossarono le trattative commerciali perché aggravavano - scrisse Crispi a Menabrea il 28 febbraio - le condizioni per l'Italia 25: ormai si era alla guerra doganale. In luglio Parigi si inquietò per un'attività militare con movimenti di truppe in Italia, e chiese lumi aU'ambasciatore a Roma, conte de Moi.iy, ma l'addetto militare, pur dichiarando di essere "certo che il Governo italiano, sotto la pressione esercitata dai suoi alleati, si prepara alla guerra contro la Francia", negò vi fosse motivo di allarme, essendo normale che d' estate si svolgessero esercitazioni militari; come era naturale che il generale Pelloux, ispettore generale delle truppe alpine, seguisse i movimenti dei suoi uomjni durante la stagione più favorevole alle ascensioni sulle cime più alte; assicurando infine di tenere gli occhi bene aperti assieme al collega della Marina, ribadiva di non vedere " niente che possa giustificare timori immediati" Lo stesso ufficiale, a novembre, confermò le informazioni che davano un'armata italiana sul Reno, ma con una notevole sottovalutazione quantitativa: 2 corpi soli. Sul fronte alpino gli italiani si attendevano dai francesi una condotta difensiva "e non pensano di doverci combattere nelle pianure del Piemonte... Ammettono che l'azione della nostra flotta contro le loro coste immobilizzerà solo qualche divisione dell'armata permanente, le milizie mobili e ter24 AUSSME,

F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 7. Vedi la corrispondenza di gennaio e febbraio 1888 proveniente dall'ambasciata britannica di Roma in PRO, FO, 45, 606. Vedi anche Documenti diplomatici presentati al Parlamento Italiano dal Presidente del Consiglio, ministro ad interim degli Affari Esteri. Corrispondenza e negoziati per il trattamento commerciale con la Francia. Seduta del 29 febbraio 1888, Roma, Camera dei Deputati, 1888. 25


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ritoriali essendo pressoché interamente consacrate alla difesa del litorale; contano, beninteso, sulla protezione della loro flotta combinata con una parte delle forze navali della Germania ed eventualmente dell'Austria, e cercano anche di far credere - agli altri e a se stessi - che l'Inghilterra interverrebbe per paralizzare le nostre squadre" Il Pinsonnière, che riteneva possibile una spedizione italiana in Tunisia, suggeriva che i tedeschi erano interessati al trasferimento di truppe alleate in Alsazia per lanciarle subito contro i francesi, come avevano fatto con i bavaresi nel 1870, e insinuava che i soldati italiani si sarebbero trovati ostaggio dei tedeschi se, con "un colpo d'audacia delle nostre forze di terra e di mare", i francesi fossero arrivati a Torino, a Napoli o anche a Roma, e il governo del Re avesse voluto trattare 2 6 . In campo marittimo, nel 1888 l'ammiraglio Ferdinando Acton diresse importanti manovre navali nel Tirreno e una rivista a Napoli, in occasione della visita in Italia di Guglielmo II, che impressionò molto favorevolmen te l'imperatore. Nello stesso anno le istruzioni del ministro della Marina francese al Comandante della squadra del Mediterraneo evidenziarono preoccupazioni difensive per il trasporto in Francia delle truppe d'Africa, mentre le sole indicazioni aggressive riguardavano piccoli bombardamenti e colpi di mano contro le ferrovie costiere della Liguria 27 In sostanza, l'orientamento strategico francese ricalcava quello del 1886. I difetti della mobilitazione italiana facevano ritenere praticabile un ' offensiva tattica iniziale per rinforzare lo sbarramento difensivo e procurare trampolini migliori per eventuali fu turi sviluppi. Il dispositivo messo a punto dal generale Berge era comunque difensivo, fidando che le condizioni geografiche e le fortificazioni consentissero di impiegare utilmente anche truppe di 2a linea, 200.000 uomini delle milizie mobili e 115.000 delle guarnigioni territoriali. La forza centrale di combattimento e manovra era costituita dai corpi XIV e XV, riuniti nell'Vlll armata delle Alpi, che avrebbero avuto davanti le forze leggere alpine e intorno quelle di 2a linea. Il Berge riteneva questo schieramento 26

Pinsonnière a ministro della Guerra, IO luglio e 14 novembre 1888, AEF, 7 N, busta 1362. 27 M. Gabriele, Ferdinando Acton, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 2000, pp. 174-84; Id., Le Convenzioni, ecc., cit., pp. 416-19.


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sufficiente per trattenere sui monti l'Esercito italiano, mentre la Marina avrebbe condotto azioni contro le coste del nemico 2 8. In relazione all'intervento italiano sul Reno, scrittori e pubblicisti francesi prestarono grande attenzione alla Svizzera, via alternativa al trasporto ferroviario attraverso l'Austria. Il capitano Pinget considerava possibile l'aggiramento delle fortificazioni del Gottardo, e stimava "poco probabile" un attacco francese nell'alto Rodano, ma "meno inverosimile" un attacco italiano in direzione opposta. Sottostimava almeno nella stessa misura del Pinsonnière - 1 o 2 corpi d'armata - l'entità delle truppe italiane destinate in Alsazia e si chiedeva se sarebbero andate davvero o se, nell' impossibilità di utilizzare le ferrovie austriache, non sarebbero state impiegate per occupare il Canton Ticino. Nel 1891 sul Basler Nachrichten comparve l'articolo di un ufficiale elvetico, il quale consigliava agli italiani di non disperdere le forze proponendosi 1' obiettivo impossibile di difendere un litorale troppo esteso; era meglio formare 4 armate e dislocarne una intorno a Roma, da eventualmente utilizzare in Tunisia in caso di vittorie navali; due sulle Alpi per una offensiva in direzione di Lione, per trattenervi la massima quantità di forze francesi in operazioni coordinate con i tedeschi; la rimanente sul fianco sinistro dello schieramento germanico perché le battaglie decisive sarebbero state combattute tra la Mosella e la Mosa. Per arrivare sul Reno questa armata non doveva pensare alla via del Gottardo, dove avrebbe incontrato la difesa elvetica, ma alle ferrovie austriache, e una volta in Alsazia avrebbe potuto agire contro Belfort. Sull'utilità concreta del trasferimento, però, il Pinget era scettico: da Verona a San Luigi in Alsazia correvano 789 km e tra la radunata e il viaggio - calcolava per questo 4 o 5 giorni - le forze italiane sarebbero entrate in linea, al più presto, 20 giorni dopo la dichiarazione di guerra, quando con ogni probabilità le prime grandi e decisive battaglie si erano già concluse. Nel 1870 era stato così 29 28 Mazzetti,

cit., pp. 131 -34.

29 Vedi F. Pinget, Les Italiens devant Belfort, Paris-Limoges, Lavanzelle,

1892; Id., Ligne.1· de concentration des Armées de la Triple Alliance, Paris-Limoges, Lavanzelle, 1895.


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26. U N DIVERSO NEMICO? Non era ad un simile scopo che lo Stato Maggiore e il governo italiani avevano impostato sullo spostamento di una parte dell'Esercito in Alsazia la soluzione più produttiva al "problema della piena utilizzazione delle proprie forze in una grande guerra europea in cui a1la Triplice fosse contrapposto il blocco franco-russo" 30 . I reiterati sforzi diretti ad accelerare la radunata e il trasporto delle truppe in Germania, che le carte itaEane mostrano diventare quasi ossessivi dalla convenzione in poi, provano la serietà dell'offerta. Nella filosofia di Bismarck, condivisa da Moltke, "compito del comando militare è l'annientamento del nemico" 3 1, e l'accordo promosso dallo Stato Maggiore romano giungeva a stabilire, pur di ottenere un simi le scopo, l'apparente stranezza del più debole che s'impegnava ad aiutare il più forte. Sempre però che il nemico designato fosse la Francia. Tale era il senso politico dell'intervento di Crispi del 21 marzo 1888. Ma nella Triplice, come non c'era una vera parità, non c'era una piena assonanza di intenti. Bismarck ha lasciato scritto: "Malgrado la mia fiducia nella Triplice, non ho mai perduto di vista la possibilità che questa possa un giorno venire a mancare, poiché in Italia la monarchia non ha solide basi e l'armonia tra l'Italia e l'Austria è compromessa dalle terre irredente" Era vero, però non era tutto, perché c'era anche il vizio originario della posizione iniziale dell'Italia nell'alleanza, una sorta di aggregazione concessa a condizioni disuguali, dalla quale il governo di Roma aveva voluto uscire nel 1887, non sempre secondato dagli alleati; negli ambienti militari degli Imperi c'erano sottovalutazioni e diffidenze, riluttanti a sparire al di là della cordialità di maniera; e c' era un diverso nemico cui guardavano Vienna e Roma, alla Russia l'una, alla Francia l'altra. Se si fosse arrivati ad un conflitto generale, sarebbe stato il peso militare della Germania a decidere la politica di guerra del1' alleanza, e quando venne firmata la convenzione del 28 gennaio 1888, da anni lo Stato maggiore germanico considerava priorita30 Mazzetti, cit., p. 134. 31

G. Ritter, I militari e la politica nella Germania moderna, Torino, Einaudi, 1954, I, p. 263.


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rio il fronte orientale. Il Mazzetti rileva che l'arrivo delle forze italiane sul Reno consentiva il trasferimento ad est di importanti contingenti tedeschi, così che le truppe di Cosenz, immaginate lontano dall'Italia per condurre offensive e avanzate, potevano trovarsi compresse a difendere l'Alsazia. Poiché Bismarck confermò un analogo orientamento, viene il dubbio che la posizione dei negoziatori tedeschi durante le trattative per l'accordo militare potesse soffrire non solo di qualche imbarazzo, ma anche di non lealissime riserve mentali, tanto più che molte informazioni venivano celate agli italiani. In realtà, all'inizio del 1888 si profilavano a Berlino complicazioni e mutamenti che potevano indebolire certi presupposti strategici. Dietro al feldmaresciallo Moltke saliva la stella del generale Waldersee, il quale diceva che se Federico avesse avuto un cancelliere simile a Bismarck, non sarebbe diventato "Grande", e il principe Guglielmo prendeva buona nota. Tenendo conto delle ambizioni di comando del futuro monarca e della propensione di Waldersee ad impicciarsi di politica estera, si poteva comprendere che difficilmente la Germania avrebbe avuto in avvenire la stessa ordinata ripartizione di competenze politiche e militari del passato e la stessa armonia tra le due istanze. Il 3 febbraio Bismarck, nell'intento di dimostrare che Berlino aveva assunto impegni di natura solamente difensiva, pubblicò il testo del trattato segreto di alleanza con l'Austria del 1879, ma ottenne l'affossamento definitivo della vecchia politica di "controassicurazione" russo-tedesca ed una accentuazione della diffidenza reciproca. Quando poi, di lì a poco, al vecchio Moltke successe Waldersee, la situazione ad oriente peggiorò, poiché il nuovo capo militare pensava che fosse conveniente contare su Vienna e non su Roma. Alla frontiera galiziana la tensione aumentò, tanto che in primavera lo zar si lamentò a Berlino che l'Austria gli veniva aizzata contro. Non aveva torto: il 10 maggio il principe Guglielmo, spinto dal Wa1dersee, scrisse a Bismarck che in caso di guerra con la Russia, la Francia non si sarebbe mossa, mentre il contrario non si poteva prevedere, e che il momento era favorevole ad una iniziativa bellica verso est 32 . Era l'opinione dei circoli 32

O. di Bismarck, Pensieri e ricordi (1887-1891), Milano, Treves, 1922,

pp. 6-191.


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militari tedeschi, ma il cancelliere non fu d'accordo ed anche quando il principe divenne imperatore, il 15 giugno successivo, quelle valutazioni non ebbero seguito.

27.

S TUDI, PROBLEMI E POLEMICHE

Il 26 marzo 1889 il contrammiraglio Raffaele Corsi trasmise al ministro della Marina uno studio intitolato Idee generali intorno all'ipotesi di guerra con la ·Francia. Verosimilmente, la flotta francese sarebbe stata disposta in difensiva nella Manica e in Atlantico e in offensiva nel Mediterraneo. L'Italia invece avrebbe potuto condurre una guerra offensiva o difensiva a seconda delle circostanze; la discriminante era data dalla possibilità per la Francia di dirigere tutte le sue forze terrestri contro il Regno, oppure di dover sostenere due fronti. Nell' ipotesi di guerra difensiva, "genericamente parlando", il nemico poteva attaccare le ferrovie litoranee "per impedire la radunata del nostro esercito al confine N.O.", eseguire bombardamenti, effettuare sbarchi. Come nel passato, erano considerati "gravi e assolutamente pericolosi" due casi di discesa a terra del nemico: in primo luogo sulla riviera di Ponente, perché avrebbe minacciato di aggirare le difese alpine, e in secondo luogo sul litorale toscano - "meno pericoloso del precedente" perché le forze sbarcate non avrebbero potuto "far sentire direttamente la loro influenza sul teatro principale della guerra" - per marciare su Firenze e Pistoia. Sbarchi diversi erano "di un valore economicamente grave, e di grande effetto morale sulle popolazioni, ma non da compromettere la difesa del paese"; così era valutato un attacco anfibio sul litorale napoletano o su quello laziale - ritenuto meno probabile e meno pericoloso perché la capitale era protetta da una cintura di fortificazioni - o nelle isole maggiori, dove come punti interessanti erano menzionate solo Maddalena e Messina. Tuttavia, purché il sistema informativo e la ricognizione fossero organizzate e gestite bene, il Corsi non era pessimista sulla possibilità che la flotta italiana riuscisse a "proteggere nei primi giorni la mobi Iitazione del nostro esercito e, più tardi, ad impedire gli attacchi contro città marittime, ed impedire specialmente gli sbarchi ... Se la Francia dovesse dividere in due teatri di guerra le sue forze terrestri, e se alle nostre forze navali noi potessimo aggiun-


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gere altre alleate, allora poco probabile diverrebbe il grosso sbarco francese sulle nostre coste, e il compito delle nostre forze navali riunite cambierebbe carattere" Dalla Maddalena si poteva condurre una lotta offensiva contro le ferrovie della Provenza, collaborare con l'Esercito, bombardare centri delle coste francesi e algerine. L'approccio strategico riconosceva priorità assoluta allo scontro terrestre a nord-ovest: le ferrovie costiere andavano difese per assicurare la resistenza facendo arrivare le truppe in tempo; lo sbarco più pericoloso era quello in Liguria per il rischio dell'aggiramento. In caso di guerra offensiva si diceva che la flotta, riunita a quelle alleate, poteva dare battaglia al nemico e bloccarlo, ma poi queste affermazioni da blue water school erano molto temperate dalla citazione delle operazioni proposte, tutte connesse all' azione bellica su terra: "Distruggere le ferrovie della Provenza per arrestare i rinforzi terrestri, quando al nostro esercito convenisse operare contro il Nizzardo. Coordinare mediante sbarchi ed attacchi delle fortificazioni marittime le operazioni contro la regione nizzarda e la Provenza, e concorrere ad assicurare per mare il servizio d'approvvigionamento e di retrovia in genere, alle truppe operanti in quelle due regioni, ne1la seconda specialmente" 33 . Un breve commento non pare superfluo. Il quadro strategico era certamente diverso da quello che Francesco Crispi, sul punto di assumere la presidenza del Consiglio, aveva prospettato al re Umberto I il 5 agosto 1887 e che consisteva nella resistenza sulle Alpi e nell'attacco anfibio della Tunisia e dell'Algeria, concentrando per tempo le forze a Taranto, in Sicilia ed a Pantelleria 34. Allora lo statista siciliano poteva ancora nutrire illusioni sulla disponibilità di Londra a fornire decisivi supporti navali, ma si era capito presto che non era così, e questa consapevolezza sconsigliava ogni avventura mediterranea. Non mancava solo questo, però, nel documento del Corsi. Nel!' ipotesi difensiva dava da pensare quel ritorno a temi del passato, come lo spettro dello sbarco in Liguria: forse l'Italia temeva che gli alleati l'abbandonassero, a dispetto della Triplice e della Convenzione militare? o alti esponenti militari ponevano tra le evenienze possibili un attacco dell'Italia, da sola, alla Francia? Né l'una, né 33 34

Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit., pp. 420-34. F. Narjoux, Français et Jtaliens, Paris, Savine, 1891, p. 243.


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l'altra, probabilmente, ma neanche l'ipotesi che il Corsi trattasse la guerra difensiva come un caso di scuola: non le avrebbe dedicato tante pagine. Non è impossibile che la conoscenza di certi orientamenti germanici ad affrontare prima l'Esercito russo facesse temere che la Francia tentasse, nel frattempo, di regolare i conti con l'Italia. In tal caso le avrebbe rovesciato contro tutta la sua massa di manovra e l'ipotesi della guerra difensiva italiana avrebbe preso consistenza concreta quando alla frontiera tedesca, da una parte e dall'altra, ci si fosse limitati a presidiare il territorio 35. Altri motivi conosciuti riaffioravano. Nel 1889 il ministro René Goblet smentì il rafforzamento di Biserta, ma due anni dopo la convinzione opposta si diffuse in Italia e lo Stato Maggiore tedesco stimò che se i francesi vi avessero dislocato una squadra, Sardegna, Sicilia e Tirreno sarebbero stati minacciati e l'Italia avrebbe dovuto dividere le sue forze. L'Ammiragliato britannico invece non attribuiva molta importanza a Biserta e Salisbury lo seguiva, ritenendo che interessi inglesi non ne venissero toccati. In Francia la difesa costiera italiana era ritenuta debole, ma si temeva che in caso di guerra l'aiuto inglese sarebbe venuto: così aveva scritto il Times il 22 dicembre 1887 e la reticenza ai Comuni del sottosegretario al Foreign Office, Ferguson, che ancora nel 1891 rifiutava di smentire, veniva interpretata come una conferma. Per contro in Francia dava fastidio La Maddalena, dove nel giugno 1889 la 1a divisione della squadra, al comando del contrammiraglio Carlo Alberto Racchia, sperimentò il nuovo regolamento tattico rivisto da Ferdinando Acton; spia dell'inquietudine furono le insistenze del ministro della Marina Barbey che costrinsero il Ministero degli Esteri, nell ' agosto 1891, a promettere che qualche funzionario del Consolato di Cagliari sarebbe andato a vedere sul posto 36. In 35

In ogni caso, alle prime avvisaglie di un ritorno tedesco, il sistema fen-oviario francese avrebbe consentito un rapido dispiegamento a nord-est, se fosse stato necessario. Ma le esperienze del passato inducevano a credere che il fronte russo, così esteso e profondo, non sarebbe stato eliminato tanto rapidamente. 36 Cfr. G.E. Curatolo, Francia e Italia. Pagine di storia 1849-1914, Milano-Roma, Bocca, 1915, pp. 155-65; Narjoux, cit., pp. 58-59; per Ferguson, vedi Currie a Lansdowne, Roma 27 novembre I 900, PRO, FO, 800, 132; per la Maddalena, Le Léon a ministro della Marina, Roma 14 giugno 1889, AMF, BB 7, busta 13 e Massone a Comandante in 2° del Corpo di S.M., Parigi 23 aprile e 23 agosto 1891, G 29 Addetti militari. Francia, R 7.


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realtà, entrambe le basi erano più munite e più frequentate di prima, ma da questo a considerarle così formidabili e pericolose come talvolta si faceva da una parte e dall 'altra, ce ne correva. Le apprensioni non erano solo marittime. Nel giugno 1889 l' ambasciatore Menabrea scrisse a Crispi che il nuovo fucile francese Lebel era un fallimento, ma che i responsabili militari avevano deciso "un considerevole aumento d'artiglieria ... destinata a sbaragliare il terreno, distruggere gli ostacoli, assai prima che la fanteria possa mostrarsi efficace" Questa noti zia poteva essere preoccupante per un Esercito che già temeva una propria inferiorità nell' artiglieria e non aveva un parco d'assedio adeguato alle necessità del fronte; come esplosivo i francesi utilizzavano la melarùte, molto apprezzata malgrado la sua pericolosità, e il perfezionamento continuo dei cannoni terrestri e navali faceva ritenere che il loro "tiro sarà sempre più sicuro ed efficace", tanto che secondo alcuni avrebbero surrogato le torpedini . Informava poi che al XIV corpo d'armata "si fanno degli studi sul modo di attaccare l' Italia dal lato della Svizzera, cioè dalla valle del Rodano, dove sbucano parecchi valichi alpini, fra i quali iJ Gran S. Bernardo e specialmente il Sempione, che, oltre una grande strada carreggiabile, sarà in un avvenire non lontano provveduto di una ferrovi a per unire l'Italia alla Svizzera. I buoni sentimenti che attualmente la Francia manifesta verso quest'ultima dopo la minacciosa rimostranza della Germania in occasione del ricovero in quel paese trovato da alcuni anarchici tedeschi, tendono probabilmente ad inimicare maggiormente la Germania con la Svizzera ed a preparare all' uopo gli spiriti di questa alla violazione della neutralità del proprio paese con scopo ostile all ' Italia. Si può anche supporre che le fortificazioni del Gottardo oggidì tanto propugnate dai giornali francesi hanno per principale oggetto d' impedire una diversione delle truppe italiane attraverso quel passaggio" Il Menabrea esprimeva quindi "il parere che la nostra frontiera debba essere custodita non solo verso la Francia, ma anche verso la Svizzera e verso la parte neutralizzata della Savoia" 37 . Simili indicazioni riproponevano il problema della lunghezza della frontiera da guarnire a nord che avrebbe richiesto più trup37

Menabrea a Crispi, 24 giugno 1889, AUSSME, G 29, Addetti militari.

Francia, R 5.


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pe, col rischio di doverle sottrarre ai reparti destinati in Germania; allontanandosi poi la speranza di ottenere da Berna il consenso al transito se un diniego di Vienna lo avesse reso necessario, tornava di attualità l'opzione di forzare il passaggio verso l'altopiano centrale elvetico, eventualmente in coordinazione con movimenti di truppe tedesche. Anche la diffusione delle idee socia1iste creava allarme, temendosi per la coesione interna delle forze armate. Poiché erano considerate eversive, non meno di quelle anarchiche e repubblicane, vi era attenzione a reprimere in tempo ogni manifestazione "sovversiva" - scritti, manifesti, opuscoli, grida sediziose, sospetti di affiliazione a sette - che, in verità, non parevano così importanti 38 . Ma la questione che meno di tutte lasciava tranquilli era quella della mobilitazione, bersaglio perenne delle critiche di alleati e avversari. Questi ultimi fondavano proprio sulle differenze nei tempi di mobilitazione buona parte delle premesse per un 'offensiva tattica, che nel 1889 mirava a consegui re successi locali, sconvolgere le linee avanzate italiane e conquistare posizioni che avrebbero potuto essere utili in seguito, come ulteriori ostacoli a un ritorno offensivo italiano o come basi di partenza per ulteriori attacchi. Lo Stato Maggiore si adoperava in ogni modo per migliorare tempi e procedure. Nel dicembre 1889 una Commissione presieduta dal generale Napoleone Gonnet esaminò i programmi di mobilitazione e redasse un promemoria per il Capo di Stato Maggiore, nel quale proponeva la chiamata parziale e anticipata, prima della radunata generale, delle truppe alpine, di alcune cl assi di cavalleria, dell'artiglieria da campagna, del genio, delle compagnie di sanità e sussistenza; inoltre di capitale importanza appariva l'accelerazione dei tempi di disponibilità dell 'artiglieria da fortezza, dei battaglioni della milizia mobile e di quella territoriale, delle compagnie costiere. Il direttore dei trasporti riteneva tutto ciò possibi le, mentre stimava difficile attuare l'altra idea dianticipare la chiamata dei distretti settentrionali per rinforzare i reggimenti alla frontiera sfruttando la maggiore produttività delle ferrovie della valle del Po. Si potevano invece spostare dal nordest al nord-ovest i tre reggimenti alpini (5°, 6° e 7°) che vi erano schierati , a condizione che avessero i complementi al completo; 38

Per il pe1iodo 1882-1890, vedi AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 5.


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pure fattibile era la mobilitazione di 1 o 2 corpi d'armata per l'estero, se i reparti si fossero trovati presso i centri di radunata, mentre sarebbero insorte difficoltà se avessero dovuto affluire altre truppe da luoghi diversi. Un'altra Commissione, detta "dei generali" e presieduta dal Pianell, si occupò nel gennaio 1891 del reclutamento, della mobilitazione e dell'ordinamento dell'Esercito. Con 13 voti contro quello del presidente, la Commissione optò per una ferma di 3 anni, contro i 5 della Francia, per non trovarsi a disporre di forze più numerose, ma poco armate e mal vestite. E rilevò che spendendo in proporzione con la Francia e la Germania, dove il limite d'età era ugualmente fissato a 45 anni, l'Italia avrebbe potuto schierare battaglioni di 900 uomini invece che di 1.000, e composti da elementi mediamente meno giovani. Constatando che il contingente annuale italiano era inferiore a quello degli altri eserciti, si concludeva che l'avvenire militare del paese dipendeva dall'aumento del contingente di I" categoria. Queste osservazioni, che riguardavano la produttività comparata della spesa, erano più precise di quelle avanzate da XXX, che denunciava la "triste realtà" di una spesa militare sempre modesta rispetto a quella degli alleati e della Francia. Davide Menini notava infatti che la difesa alpina francese, in poco tempo, era assai migliorata, mettendo in campo un robusto schieramento di truppe da montagna e di grandi unità, sostenute da un triplice campo trincerato e da un efficiente sistema stradale 39 . Disporre subito delle truppe da montagna sulle Alpi era considerato, naturalmente, fondamentale, sia per sostenere la corsa alle cime nei primi giorni di guerra, sia perché qualunque operazione aveva bisogno di simili forze. La Commissione Gonnet, che aveva studiato i problemi della mobilitazione nel dicembre 1889, aveva stimato necessario che gli alpini si trovassero in anticipo

39

AUSMME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 7. Oltre al Pianell, altri 12 generali facevano parte della Co1runissione che da loro prese nome: Ricotti Magnani, Des Gerbaix de Sonnaz, Bariola, Brnzzo, Avogadro di Quaregna, Dezza, De Vecchi , Baccu, Driquet, D'Oncieu de la Batie, Boni, Asinari di S. Marzano. Vedi poi XXX (Studio di), L'Italia e l'Esercito italiano nella Triplice Alleanza, cit., p. 29; D. Menini, Operazioni militari alle frontiere Nord-Ovest, Memorie di escursioni alpine del 1890, Verona, Pozzati, 1891 , pp. 59-65.


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sul piede di guerra, tanto da potersi presentare ai reparti il 2° giorno di mobilitazione, indipendentemente dalla loro appartenenza aJl 'esercito attivo, alla milizia mobile od a quella territoriale. Una manovra a partiti contrapposti fu sperimentata nel giugno 1890 sul fronte meridionale, proponendo il tema di una offensiva italiana verso il Nizzardo con partenza dall'alta montagna. Risultò che i francesi all'inizio sarebbero stati in superiorità di forze, a causa della loro mobilitazione più rapida, ma che impiegando reparti alpini ad effettivi rinforzati si otteneva una buona difesa del territorio italiano; la possibilità di rovesciare la situazione tattica, passando dalla difesa all'offesa, "potrà dipendere solo dalla più o men celere nostra mobilitazione e radunata". Di queste manovre ha scritto Davide Menini, maggiore del 6° reggimento alpino. L' attacco iniziale del nemico nella regione del Colle del Mulo veniva respinto portando in quota l'artiglieria da montagna ed occupando il monte Giordano, ma poi il contrattacco non faceva progressi, "avendo l' avversario, molto pratico dei luoghi ed abilissimo, saputo con relativamente poche forze tenere in scacco tutti gli attacchi pronunciati, per modo da rendere efficace e razionale una resistenza lunga quale a primo aspetto non si sarebbe ritenuta possibile" L' autore interpretava la linea francese, presidiata da truppe da montagna appoggiate ad un triplice campo trincerato ed al fuoco incrociato di forti e batterie, come predisposta per l'attacco, e individuava tre grandi settori lungo il confine, partendo da mezzogiorno: a) Cornice-Tenda, quadrilatero di fortificazioni Nizza-Mentone-Fontan nella val Roja e S. Martin Lautosque; b) campi trincerati di Tournoux, Mont Dauphin, Briançon, con i forti di Entrevaux, Colmars e Saint Vincent di fronte ali' Argentera e al Monginevro; c) dinanzi al Moncenisio ed al Piccolo S. Bernardo la catena dei Bauges, il campo fortificato di Albertville e i forti del Télégraphe, di Modane e dell'Esseillon. L'organizzazione militare francese della zona alpina evidenziava che la prima linea sarebbe stata tenuta dalle forze di montagna, che però non erano reclutate sol o nelle valli, poiché gli Chasseurs des Alpes erano fanti speciali - buone truppe come i bersaglieri - che provenivano anche dal Rodano e dalla Corsica. Durante l'estate compivano esercitazioni e manovre a scala tattica


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analoghe a quelle degli italiani, "ma in complesso le loro operazioni non hanno la spigliatezza, l'insieme, l'ordine e l' attività che informano quelle dei nostri nuclei alpigiani" Avevano buona disciplina e buone tradizioni militari, che però non compensavano il sostanziale difetto di "essere sempre più cacciatori a piedi che soldati montanari" Di rincalzo avrebbero avuto forze provenienti dal reclutamento regionale, ma non era con queste che sarebbe stata condotta un'eventuale offensiva: "ben più poderose masse usciranno a tempo da quella terribile cinta fortificata che venne delineata sommariamente" Il Menini concludeva col suggerimento di addestrare alla guerra di montagna anche grandi unità, ma bisognava farlo per tempo, non al momento della guerra che poteva venire di sorpresa 4o. Quest'ultima battuta, riferita ad una improvvisa aggressione da cui occorreva guardarsi, illustra l'atmosfera di sfiducia reciproca esistente, da cui derivava la doccia scozzese degli allarmi e delle rassicurazioni Tra Italia e Francia non c'erafeeling. Ci si spiava a vicenda, dispetti e provocazioni erano all'ordine del giorno. L'ufficio deU'addetto militare italiano a Parigi trovò modo di mettere le mani su documenti del Ministero della Guerra, dalla quale fonte venne a sapere, ad esempio, la dislocazione degli agenti militari francesi in Italia41 . L'arcivescovo di Algeri, Lavigerie, parlava con disprezzo degli italiani e non perdeva occasione per mostrarsi ostile. La convinzione di una superiorità militare sull'Italia, diffusa e ostentata in Francia, ricevette una insperata conferma da Roma. Il generale Emilio Mattei, deputato al Parlamento, vi sostenne nel giugno 1890 che le spese militari oltrepassavano le possibilità del Paese e non solo dichiarò che tra Italia e Francia la differenza di potenziale finanziario si rifletteva senza scampo sulle forze armate, ma si lasciò andare a dire che l'Esercito gli faceva l'effetto di una colonna di bronzo con la base d'argilla e che la difesa delle coste era così poco sicura che Napoli non avrebbe potuto essere protetta dal bombardamento di una squadra nemica. 40 AUSSME, F

4, Ordinamento e mobilitazione, R 7; Menini, cit., pp. 47-68. Presenti a Roma dal 1880 al 1887, a Spezia dal 1880 al 1884, a Torino nel 1880, a Napoli dal 1882 al 1889, a Messina dal 1882 al 1883, a Palermo dal 1884 al 1889, a Bologna dal 1886 al 1889, a Genova dal 1886 al 1887. AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 5. 41


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In polemica con questo pessimismo di marca italiana e con il corrispondente ottimismo di marca francese, Félix Narjoux deplorava la sistematica e improvvida denigrazione delle forze armate del Regno. Se l'esercito italiano faceva impressione soltanto aprima vista - chiedeva - perché mai "tant nous tracasser à son endroit "? C'era da preoccuparsi invece, perché l'esercito italiano era forte e potente e credere il contrario era un errore che poteva costar caro. Le grandi manovre del 1890 tra Milano e Peschiera avevano mostrato un 'armata perfetta, con pochi difetti, guidata e inquadrata da generali e ufficiali capaci. Ammoniva che la Triplice aveva la superiorità militare sulla Francia e che i preparativi difensivi sul fronte alpino non dovevano far dimenticare che gli italiani, se necessario, avrebbero invaso la Svizzera per riunirsi coi tedeschi a Basilea e che dal territorio elvetico si poteva puntare per Ginevra a Lione. Anche la flotta italiana era forte, dotata di grandi unità a tiro rapido, e poiché Roma non aveva rinunciato a Tunisi, v'era da temere che vi dirigesse una spedizione partendo da basi più vicine di quelle francesi . Se poi gli inglesi avessero presidiato le coste italiane nel Mediterraneo e in Mar Rosso, le grandi corazzate italiane sarebbero state libere di attaccare le coste della Provenza 42. Ma gli al leati triplicisti, già propensi per conto loro a sottovalutare le possibilità militari italiane ed a sopravalutare quelle francesi, traevano conferma dei loro pregiudizi e del loro scetticismo verso il socio meridionale anche dalle affermazion i propagandistiche che venivano da Parigi. Il messaggio corrispondeva a ciò che si credeva di sapere e quindi lo si considerava valido, anche se fonte di quelle tesi così rassicuranti per l'opinione pubblica francese era la stampa, non gli alti Comandi, per la verità più seri e prudenti. 28. T RA

MARE E TERRA

Verso la fine del 1890 lo Stato Maggiore italiano era impegnato nell'aggiornamento e nel perfezionamento del vecchio pia42

L. Tioli, Bilancio storico italo-francese dal 1789 al 1888, Alessandria, Chiari , 1890, p. 136; G. Spadolini, Lineamenti di politica del Papato, in AA.VY., Questioni di storia contemporanea a cura di E. Rota, Milano, Marzorati, 1953, Ill , p. 553; Narjoux, cit., pp. 53-89. Il generale Mattei fu destituito dal Re.


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no offensivo verso Nizza e Tolone. Si pensò ad uno sbarco in Provenza, correlato con l'attacco terrestre che avrebbe dovuto partire nella prima fase delle ostilità, "uno sbarco di grandi proporzioni, quale sarebbe necessario onde girare, per così dire, le Alpi, ed avanzare poscia per le linee della Durance e del Rodano verso Grenoble e Lione dopo d'avere investito, almeno parzialmente, Tolone e Nizza" Il tenente colonnello Coriolano Ponza di San Martino, inviato dal Cosenz, incontrò nel dicembre 1890 il delegato della Marina, capitano di corvetta Augusto Aubry. Questi dichiarò subito che non era "cosa da tentarsi, non essendo la base marittima occorrente a tali forze abbastanza sicura" All'inizio di una guerra la flotta italiana avrebbe avuto di fronte la flotta francese del Mediterraneo, che poteva rkhiamare dall'Atlantico decisivi rinforzi. Nel "primo stadio delle operazioni non sarebbe quindi assolutamente il caso di pensare ad eseguire per parte nostra degli sbarchi sulle coste francesi" E anche in seguito, stretta che si fosse la flotta nemica dentro Tolone e Villafranca con l'aiuto di forze navali di altre nazioni, la discesa a terra sarebbe stata sempre operazione "malagevole e di riuscita poco probabile" per l'ostacolo dei campi trincerati di Nizza e Tolone e per la minaccia di incrociatori e torpediniere avversari che, anche a costo di pagare un prezzo elevato, potevano pur sempre "portare lo scompiglio in un convoglio di sbarco" Perplessità venivano espresse anche in ordine ad un'azione anfibia meno importante tra Nizza e Tolone, che sarebbe stata esposta alla controffensiva del nemico; c'era però uno spiraglio: a condizione che l'Esercito francese "si trovasse in gravi condizioni" sul fronte tedesco, le Marine italiana e alleate avessero il dominio del mare, "le operazioni attraverso le Alpi marittime fossero già bene avviate... egli è certo che potrebbe convenire assai di tentare uno sbarco sulla costa provenzale per dar mano alle forze scese dalle Alpi ed operare quindi contro il campo trincerato di Nizza ed isolarlo" Il Cosenz convenne che "per compiere quasi con sicurezza uno sbarco, bisogna essere padroni del mare, ossia bisogna aver battuta o paralizzata la forza avversaria" Però se la flotta nemica fosse stata sconfitta e bloccata, l'azzardo diventava ragionevole e occorreva studiarlo. Conveniva anche sull' inopportunità di lan-


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ciare un' operazione anfibia a grande distanza "dal resto dell' esercito operante sulle Alpi", perché la rete ferroviaria francese consentiva di convogliare per linee interne le "truppe che occorresse e prontamente farle ritornare donde siano venute", dopo aver respinto le forze sbarcate. Riconosceva invece "tutta la convenienza" di uno sbarco di un pajo di corpi d'armata fra Tolone e Nizza, perché la difesa strategica poteva disporre di una sola ferrovia e le truppe italiane "operanti tra l'Enciastraia e Mentone", assai più vicine, avrebbero attirato una parte delle guarnigioni locai i. In un simile quadro anche le difficoltà di natura marittima non parevano insormontabili. La Marina rispose che non si era studiata l'invasione per mare perché si era ritenuto vi fossero "pochissime probabilità ... di poter attuare l' impresa" I golfi di Fos e della Ciotat erano stati citati "perché si tenne conto delle buone condizioni che presentano sotto il punto di vista marinaresco e della difesa locale" Non v' era stata l'intenzione di suggerire una scelta strategica, considerando che anche "i golfi di S. Tropez, Fréjus, Napoule e Jouan si prestano tutti a uno sbarco, previa la distruzione delle batterie che li comandano ... Ad ogni modo siccome gli studi della Marina in fatto di sbarchi si attengono ad obiettivi più modesti", sarebbe stato utile conoscere quante forze si pensava di impiegare, tenendo presente che per trasportare 2 corpi d'armata non c'era naviglio sufficiente. Seguì, nel maggio 1891, un carteggio riservatissimo tra il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito e il ministro della Marina Saint Bon, il quale ordinò di condurre "gli studi necessari a determinare il problema di uno sbarco in grandi masse sulle coste meridionali della Francia", promettendo di tenere informato lo Stato Maggiore degli sviluppi e chiedendo all'Esercito tutte quelle ulteriori notizie "che potessero concorrere a facilitare la soluzione che si propone" Rispondendo il generale Cosenz ripetè le parole del Saint Bon, che apparentemente non escludevano un 'azione in grande stile all'inizio della guerra. Ma a 24 ore di distanza, il 14 maggio, scrisse di nuovo al ministro della Marina: "Credo opportuno, per ben fissare le idee, di esporre alla E.V., in forma riservatissima e personale, il mio modo di vedere sulla eventualità di operazioni di sbarco sulle coste francesi del Mediterraneo. Simili operazioni non potrebbero essere intraprese se non dopo che ci


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fossimo assicurati la padronanza del mare e dopo che anche le operazioni terrestri avessero preso un andamento favorevole alle nostre armi, sia nel teatro di guerra meridionale e sia in quello settentrionale. Esse non potrebbero svolgersi indipendentemente dalle operazioni terrestri, ma dovrebbero essere strettamente legate ad esse con scopo concorrente. E perciò dovrebbero eseguirsi anziché in prossimità di Tolone e di Marsiglia, in vicinanza della foce del Varo, allo scopo di prendere di rovescio le fortificazionj del Nizzardo. Affinché l'operazione possa sortire conveniente effetto, le forze da sbarcare non dovrebbero essere inferiori ad un Corpo d'armata di due o tre Divisioni, con limjtata artiglieria e pochissima cavalleria" 43 . Quando lo Stato Maggiore dell'Esercito aveva cominciato a pensare che un'azione anfibia contro le coste francesi del Mediterraneo poteva essere tentata, aveva tenuto conto, presumibilmente, anche della generica disponibilità che si poteva dedurre dallo studio del Corsi, là dove era cenno di attacchi dal mare e di sbarchi nel caso di guerra offens-iva. Ma in un primo tempo la piega presa dal discorso pareva sboccare in una ipotesi operativa a grande scala così importante, se avesse avuto come scopo l'avvolgimento del fronte francese da sud, da porre il problema della sua compatibilità con l'impegno ad intervenire sul Reno. Non era così, e il ritorno in carreggiata - subito la Marina aveva detto che mancava la base marittima necessaria - fu propiziato dal fatto che la flotta italiana non aveva i mezzi per trasportare due corpi d' armata. Di qui l'ultima lettera di Cosenz, che calibrava ad un corpo d'armata la consistenza de11a forza da sbarco e collocava l' azione in una situazione di pre-collasso dell'Esercito e della Marina del nemico. In quelle condizioni - dominio del mare e successi terrestri sui fronti italiano e tedesco - avrebbe avuto senso un attacco anfibio di carattere locale, ma politicamente importante, diretto alla conquista di Nizza. Ha qualche significato, in questa logica di pensiero, che le manovre su11a carta dell'Esercito italiano nel 1890 e nel 1891 previdero che la I e la II Armata si sarebbero disposte in difensiva sulJa frontiera, tranne che al Moncenisio, dove avrebbero cercato di avanzare verso l'Esseillon, e soprattutto nel Nizzardo, dove sa43 AUSMM,

busta 139, fase. 3.


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rebbe stata lanciata un 'azione offensiva da varie direzioni, nel presupposto che " il dominio del mare non sia della Francia" 44 . Moltke se n' era andato nel 1888; il 18 marzo 1890 fu la volta di Bismarck, in dissenso con l' imperatore: gli successe von Caprivi, che il grande predecessore considerava politicamente inadeguato e penalizzato, per la sua provenienza, dalla teori a dell'obbedienza militare ad un sovrano invadente 45 . Rispetto al passato, la tensione diminuì un poco ad occidente 46, ma crebbe ad oriente. Roma si allineò: nell'aprile 1890, in occasione del viaggio del presidente della Repubblica Sadi Camot nel sud della Francia, fu inviata a Tolone una forza navale per rendergli omaggio, come se i due paesi fossero stati amici, e fece sensazione la stretta di mano fra gli ammiragli Lovera di Maria e Petit Thouars, comandanti delle squadre navali itali ana e francese 47 Ma sulle Alpi era un'altra musica. Nel gennaio 189 1 il generale Bruzzo ammonì che se ci si fosse difesi passivamente, alla frontiera nord-ovest "ci troveremo in grandi impicci, mentre manovrando offensivamente metteremo in cattive condizioni l' avversario" Secondo il generale Pianell ciò si poteva ottenere solo rinforzando preventivamente i reggimenti di frontiera. In vista di un balzo in avanti, una delle maggiori preoccupazioni dello Stato Mag44

AUSSM E, G 23 Scacchiere occidentale, R 16- 17. Bismarck, cit., pp. J52-65 e 220-30. 46 Dopo la guerra del 1870, di cui Bismarck e Mollke erano stati i massimi artefici, i loro nomi suscitavano in Francia diffidenze anche esagerate. Cfr., ad esempio, H. Boland, La guerre prochaine entre la France et l'Allemagne; Paris, Roland, 1884, in cui si affermava che bisognava essere ciechi o miopi volontari per non accorgersi che il milìtarismo germanico era sul punto di aggredire la Francia. Citata una frase di Mollk:e - "La pace perpetua è un sogno, ma non è un bel sogno. La guerra è un elemento introdotto da Dio nell 'ordine naturale delle cose" - l' autore prevedeva che l'invasione sarebbe venuta tra la Sambre e la Mosa. In guerra l'Austria avrebbe sorvegliato la Russia. mentre l'Italia, trascinata dal gallofobo Crispi contro il sentimento popolare, "opererà una urile diversione penetrando in territorio francese dal Mezzogiorno", per riavere la Savoia e Nizza. Poi, Bismarck avrebbe tradito l' Au:;tria strappandole 7 nù lioni di tedeschi e lasciando che l'Italia rivendicasse Trento e Trieste. L' Inghilterra sarebbe stata neutrale e la Francia si sarebbe trovata sola con Annibale alle porte. 47 Billot A., La France et l'l talie. Paris, Plon, 1905, I, pp. 170-76. È forse indicativo che l'ex ambasciato re scrivesse: " Le nostre navi non fecero cattiva figura a fianco delle potenti corazzate dell' Italia" 45


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giore era l'artiglieria avversaria, su cui si chiedevano frequentemente informazioni ali' addetto militare: pareva che il XIV e il XV corpo disponessero di 14 batterie e le brigate alpine di 2 o 3 ciascuna. In Francia si riteneva che gli italiani si sarebbero limitati ad una lenta e semplice dimostrazione offensiva e che la decisione della guerra non poteva venire dalle Alpi, ma dai fronti del nord e dell'est, tra il 10° e il 20° giorno dalla dichiarazione delle ostilità. Le fortificazioni dovevano consentire alla difesa locale di resistere, così che l'Esercito francese battesse i tedeschi prima che g]j italiani potessero agire in maniera incisiva. Il generale Berge propose di creare per la difesa anche compagnie composte da elementi della milizia territoriale provenienti dai territori della 14a e lY regione, al fine di rinsanguare le forze dell'VIII armata in un momento nel quale - maggio 1891 - si parlava di schierare sulle Alpi non l'intero XV corpo, ma una sola delle sue divisioni 48 . Cercando di individuare, al di là delle luci e delle ombre, la linea di fondo seguita dalla politica militare italiana durante la seconda Triplice, se ne scorge l'approdo ad una condizione strategica di lungo periodo più efficace e tranquillizzante che nel passato. Sul piano militare come su quello politico il governo di Roma aveva compiuto passi importanti. Una migliore e più conveniente ridefinizione degli impegni politici con la Germania era stata accompagnata da una rete di accordi mediterranei che, pur non garantendo l'attiva partecipazione britannica alla difesa marittima dell'Italia, ne lasciava aperta la possibilità ed esci ude va che la flotta inglese potesse trovarsi sul fronte opposto. 11 concetto della solidarietà militare tra gli alleati aveva trovato uno sbocco concreto nella Convenzione del 1888, basata sulla strategia dell'offensiva contro la Francia partendo dai confini tedeschi; tale offensiva sarebbe stata condotta dall'Esercito tedesco, il più potente dell'alleanza, ma l'Italia, mandando un'armata a parteciparvi, avrebbe avuto la possibilità di trarvi dividendi politici. Era una strategia che sdrammatizzava alcuni problemi cronici della difesa italiana. Sulle Alpi, con ogni verosimiglianza, l'Eser48 AUSSME,

F 4 Ordinamento e mobilitazione, R 7; G 29 Addetti militari. Francia R 7 (corrispondenza del tenente colonnello Massone e del maggiore Panizzardi col comandante del 2° reparto del Corpo di S.M., 1888-1891); J. Auboeuf, Cri de guerre, Paris, Dentor, I 89 I, pp. I 63-203.


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cito francese si sarebbe attestato a difesa, cercando soltanto, all'inizio, di rinforzare le proprie posizioni con colpi di mano locali. Anche il vecchio timore del grande sbarco si allontanava: per poterlo tentare il nemico avrebbe dovuto drenare forze dai fronti decisivi della guerra, distogliendole dalla propria difesa vitale; la flotta italiana era più forte di prima e più libera da condizionamenti operativi, così che poteva dedicarsi maggiormente al contrasto offensivo, in primis dalla Maddalena; se infine il nemico avesse azzardato un'importante azione anfibia, sarebbe stato fronteggiato a terra dall'armata peninsulare. In tali condizioni l'Esercito italiano aveva il compito di mantenere sotto pressione le forze avversarie sul fronte delle Alpi, impedendo loro di muoversi per andare a puntellare le linee del nord e dell'est; quando colà il nemico avesse subito decisivi rovesci, una ulteriore pressione dalle Alpi poteva contribuire al suo collasso e spianare la via ad una avanzata diretta, oramai, più ad occupare che a superare resistenze. Due incertezze restavano tuttavia. In caso di guerra italo-tedesca contro la Francia, accompagnata dalla neutralità e dal diniego di transito da parte dell'Austria, conveniva forzare il passaggio attraverso la Svizzera procurandosi nuovi problemi ed un nuovo nemico? E in caso di conflitto generale, se gli Imperi alleati avessero dato priorità al fronte russo, era meglio trattenere in patria tutto l'Esercito per resistere contro la Francia o mantenere il programma di mandare un'armata a combattere all'estero; e in questo caso dove: contro i russi a fianco degli austriaci o sempre sul Reno per difendere 1' Alsazia insieme ai tedeschi?


Capitolo V

LA TERZA TRIPLICE (1891-1912)

29.

I L SECONDO R[NNOYO DELL'ALLEANZA: CONFERME E DELUSIONI

IN CAMPO MILITARE

Alla fine del gennaio 1891 Crispi non aveva più la maggioranza parlamentare. Gli successe un altro uomo politico siciliano, il marchese Antonio Starabba di Rudinì. [l nuovo presidente del Consiglio era un triplicista molto meno acceso e interpretava correttamente l'alleanza come strumento difensivo e di reciproca tutela, non come un'associazione utilizzabile anche pertìni aggressivi. Non era "filofrancese", come lo accusava Crispi, ma era propenso a ricercare, nel quadro accennato, relazioni meno tese con tutti. I primi atti in politica estera del nuovo governo confermarono però che solo la via triplicista consentiva di evitare l'isolamento, poiché qualche tentativo di apertura verso la Francia non trovò buona accoglienza. Con la Gran Bretagna, invece, fu possibile firmare una convenzione concernente la delimitazione delle rispettive zone d' influenza in Africa orientale. Di Rudinì non pensava ali' Eritrea come ad un trampolino di lancio per nuove conquiste: convinto che la colonia non avesse prospettive di sfruttamento economico, l'avrebbe ceduta volentieri agli inglesi, ma dopo i morti di Dogali non era politicamente possibile. Decise comunque che nessuna ulteriore iniziativa sarebbe stata assunta verso l'interno, tanto più che gli stessi militari avrebbero preferito tenere soltanto Massaua. Il 6 maggio venne firmato l'anticipato rinnovo della Triplice, annunciato in giugno - scrive Salvatorelli - "con un certo strepito" Il nuovo accordo unificava gli strumenti diplomatici; aveva una durata di 6 anni e, se non fosse stato denunciato un anno prima della scadenza, sarebbe stato prorogato per altri 6 anni. Con l'Austria non cambiava nulla, ma dalla Germania gli interessi italiani in Nordafrica e nel Mediterraneo ricevevano un ulteriore


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puntello: agli articoli X e XI, che riprendevano letteralmente gli articoli III e IV del trattato italo-tedesco del 1887, ne veniva premesso un altro contenente l'impegno reciproco a mantenere lo statu quo in Cirenaica, Tripolitania e Tunisia; se ciò fosse divenuto impossibile, la Germania si impegnava "ad appoggiare l'Italia in ogni azione sotto la forma di occupazione od altra forma di garanzia che quest'ultima dovesse intraprendere nelle stesse regioni in vista di un interesse di equilibrio e di legittima compensazione" In questo modo Berlino, sia pure attraverso procedure non automatiche 1, faceva sapere a Parigi che la guerra poteva scoppiare non solo se la Francia avesse tentato di invadere la Tripolitania o il Marocco, come nel 1887, ma anche se l'Italia avesse dovuto assumere misure preventive a salvaguardia di propri interessi legittimi, riconosciuti tali dalla Germania. È difficile ritenere che la convenzione militare del 1888 non abbia contribuito ad aumentare la disponibilità germanica. Il nuovo articolo IX del trattato stabiliva in chiusura che Italia e Germania, ove si fossero verificate le richiamate fattispecie di crisi, avrebbero cercato "di mettersi d'accordo anche con l'Inghilterra" Ma qui il tentativo di coinvolgere Londra più che nel passato a fianco della Triplice falli. La politica britannica, anzi, diventò più sfuggente e restìa ad assumere impegni precisi, pur non contestando l'eventualità di convergere con l'Italia o la Triplice, se gli interessi nazionali lo avessero richiesto. Dopo anni di relativa decadenza navale, era in corso il Naval Defence Act del 1889, che diede origine ad un programma poliennale di grande impegno: entro il 1894 sarebbero state costruite, con una spesa di 21 milioni e mezzo di sterline, 8 corazzate di 1a classe, 2 di 2\ 9 incrociatori pesanti, 25 leggeri, 4 cannoniere e 28 torpediniere. La filosofia che animava la legge navale prevedeva che la flotta britannica eguagliasse le altre due marine più potenti d'Europa (two power standard). In Mediterraneo essa contava già sulla forte catena di basi Gibilterra-Malta-Egitto-Cipro e dal 1887 poteva appoggiarsi anche ai porti italiani, ma per usare, non per essere usata. 1

L'articolo lX prevedeva: a) l'impegno diveniva effettivo dopo che Italia e Germania avessero riconosciuto "en suite d'un mur examen" l'impossibilità di mantenere lo statu quo; b) la Germania s' impegnava ad agire "après un accordformel et préalable"


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La Francia, rninacciata da un doppio fronte, cercava il rafforzamento delle forze armate e un valido alleato esterno. Il primo obiettivo venne perseguito con le leggi militari del 1889 e del 1892 che estendevano la ferma, il secondo mirando alla Russia. Nel 1890 il trattato di controassicurazione tedesco-russo non fu rinnovato, mentre venne siglato un primo accordo franco-russo contro il nichilismo; il consolidamento politico e militare della Francia indusse lo zar a considerare con favore un'intesa. Nel luglio 1890 la flotta francese si recò in visita a Kronstadt e il 27 agosto venne raggiunto un accordo diplomatico inteso a garantire lo statu quo; il 18 agosto 1891 seguì una convenzione rnilitare, e già nel dicembre 1892 negli stabilimenti francesi si fabbricavano fucili russi. Tuttavia in Francia non c'era una valutazione univoca dell'amicizia russa: i politici vi scorgevano la chiave della pace europea che giustificava i sacrifici sopportati per acquisirla e mantenerla; i militari invece non facevano grande assegnamento sull'Esercito russo e ritenevano che i risultati non compensassero i sacrifici. Ma il 13 ottobre 1893 la squadra russa del Baltico giunse in visita a Tolone, accolta da un entusiasmo frenetico che si diffuse per tutta la Francia con "effetti colossali" scrisse l'addetto militare italiano - che valsero a convertire in fiducia il precedente scetticismo degli ambienti rnilitari e a destare all'estero qualche preoccupazione 2 . Pochi mesi dopo fu stipulata l'alleanza franco-russa, pubblicata nel giugno 1895. Così, attraverso un processo di intese sempre più strette fra Parigi e Pietroburgo, la situazione politica e militare europea si modificava a sfavore soprattutto della Germania, ora minacciata concretamente da una guerra su due fronti; Bismarck aveva cercato di evitare questo pericolo, ma proprio lui aveva commesso l'errore determinante finendo a rimorchio di Vienna nella sua competizione balcanica con la Russia. 2 Panizzardi a Cosenz, 22 dicembre 1891, G 29, Addetti militari. Francia, R 7; Id., a Comandante in 2° del Corpo di S.M., 26 aprile 1895, ibidem, R 11. A Londra si sospettò che francesi e russi preparassero una guerra navale contro gli inglesi in Mediterraneo; il Primo ministro Rosebery volle rispondere mandando in visita nei porti italiani l' ammiraglio Seymour "con la flotta più forte possibile"; ma in Italia c'era un'epidemia di colera e sebbene a Taranto non si fosse manifestata, quando il 16 ottobre le navi inglesi arrivarono, i festeggiamenti non furono paragonabili neanche aUa lontana con quello che era accaduto in Francia. Fu questo il "palliativo Rosebery", come lo chiama il Marder, cit., pp. 177-205.


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Nel 1891 von Waldersee fu sostituito come Capo di Stato Maggiore dal generale Alfred von Schlieffen, che per 15 anni sarebbe stato l'interlocutore militare germanjco degli italiani. Da Roma gli fecero sapere, in autunno, che la III armata sarebbe stata composta da 5 corpi d'armata e non da 6 e che le divisioni di cavalleria sarebbero state 2 e non 3: questa decisione restava nei limiti delle precedenti precisazioni italiane alla convenzione militare, ma dietro c'era già una situazione di disagio finanziario. Poiché sul piano operativo le informazioni davano i francesi sempre orientati al massimo impegno sul fronte tedesco ed alla difensiva su quello italiano, parve logico portare avanti disegni di attacco in Val d'Aosta, al Cenisio e nel Nizzardo. Si guardava soprattutto in questa direzione e le manovre sulla carta del 1890 previdero che "dovrà l'esercito prendere l'offensiva potente verso il Nizzardo, attaccando in molte direzioni ed in forze" L' azione sarebbe dovuta partire dopo la conclusione della mobilitazione e della radunata ed avrebbe dovuto essere realizzata dalla I armata, rinforzata per l'occasione fino a contare 186 battaglioni. Ma quando nel marzo-aprile 1891 il progetto venne ripreso e approfondito, si giunse alla conclusione che nell'8 ° giorno di ostilità il nemico avrebbe raggiunto "una notevole superiorità numerica" ed avrebbe contrattaccato 3 . Schlieffen non credeva molto a questa operazione, tanto che nell'agosto 1892 pessimisticamente previde che Francia ed Italia avrebbero portato sulle Alpi una parte dell'esercito in attesa di un reciproco attacco "che in realtà nessuno ha intenzione di portare", finché lo stallo si sarebbe risolto col trasferimento delle forze francesi delle Alpi contro i tedeschi. Né lo commuoveva il miglioramento, che definiva "lentissimo", ottenuto per il trasferimento della III armata in Alsazia dall'aggiornamento dell'ottobre 1891 delle convenzioni ferroviarie 4 . 3

Il 3 aprile 1891, 9° giorno dall'inizio, il comando del partito Est comunicava: "Nel mattino i colli dall'alta Maira all'Ubaye attaccati da forze superiori che salgono da Maurin, hanno dovuto essere sgombrati. I distaccamenti che vi stavano si ripiegarono". AUSSME, F 4 Ordinamento e mobilitazione, R 7; G 23 Scacchiere occidentale, R 5, 7, 16-17. 4 Mazzetti, cit., pp. 148-51. Su richiesta italiana i tedeschi si impegnarono a fornire locomotive, materiale rotabile e personale ferroviario; una nuova tabella di marcia entrò in vigore nel 1892.


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Ma il vero problema restava, come nel 1888, la nessuna certezza che alle forze italiane fosse consentito in caso di guerra di raggiungere la Germania attraverso le linee austriache. In un conflitto che fosse divampato solo ad occidente quasi certamente l'Austria sarebbe rimasta neutrale ed avrebbe negato il transito alle truppe italiane. Da questa eventualità nasceva l'alternativa del1' attraversamento della Svizzera, destinato ad aprire una serie di problemi. Nel novembre 1891 il maggiore Panizzardi compì un viaggio nella Confederazione e riferì che l'esercito svizzero era composto da 4 corpi d'armata per complessive 8 divisioni e 48 batterie; le fortificazioni più importanti si trovavano sul Gottardo, presidiato da un corpo speciale, mentre nella valle del Rodano c'era solo qualche opera fissa. Gli elvetici sostenevano di avere eretto difese contro le minacce provenienti da qualsiasi direzione, "mentre in realtà non servono che a coprire il fronte della Svizzera contro un'invasione proveniente dall'Italia"; dopo il 1888 la Francia aveva aumentata la propria influenza nella Confederazione e di là si insisteva sul pericolo di una invasione italiana 5 . Rinnovata l'alleanza e precisati nei termini descritti gli impegni della Convenzione militare, il ministro della Guerra Pelloux e il Capo di S.M. Cosenz premettero sul presidente del Consiglio per estendere la cooperazione anche al mare. Di Rudinl la ripropose agli alleati con una lettera del 14 luglio diretta agli ambasciatori de Launay e Nigra, nella quale spiegava che si trattava "di determinare se ed in quale misura le flotte alleate avrebbero a concorrere, nelle successive e probabili azioni terrestri, alla difesa delle nostre coste, prescindendo da qualsiasi intelligenza circa il compito delle tre flotte alleate nelle operazioni di carattere esclusivamente marittimo e da svolgersi in alto mare" A tal fine il capitano di vascello Raffaele Volpe fu nominato addetto navale a Berlino e a Vienna. Qualche giorno dopo il generale Pelloux venne sull'argomento con 1' addetto militare austriaco, colonnello Forstner, e gli spiegò 5

Panizzardi al Comandante in 2•, ecc., 4 dicembre 1891; l'addetto militare proponeva inoltre di tentar di fotografare le fortificazioni sul Gottardo e di compiere una ricognizione nella valle del Rodano, ma il suo interlocutore, rispondendogli il 10 gennaio 1892, non lo ritenne opportuno. AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 7.


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che la mobilitazione italiana dipendeva in buona parte dal funzionamento delle ferrovie litoranee che bisognava proteggere. Auspicava quindi a tal fine la cooperazione della flotta austriaca in Adriatico e nello Ionio, aggiungendo, forse imprudentemente, che la cooperazione poteva estendersi fino alle coste della Sicilia, dove si sperava di avere anche unità tedesche. La Marina pensava invece ad un impegno più completo, "alla comune azione delle flotte in una guerra marittima" - scrisse il ministro della Marina Saint Bon al di Rudinì - proponendo di "addivenire alla conclusione di una convenzione marittima" Può darsi che la posizione negoziale italiana uscisse indebolita da queste divergenze, tanto più che le istruzioni date al Volpe dal presidente del Consiglio, dal ministro della Marina e dal Capo di S.M. dell'esercito non erano né omogenee, né precise. Di Rudinì si era tenuto sulle generali, Saint Bon era parso scettico, solo Cosenz aveva motivato l'esigenza di un'azione coordinata delle forze terrestri e navali alleate. Fu un duplice fallimento, sia coi tedeschi che con gli austriaci. A Berlino, dove lo stesso ambasciatore italiano de Launay accolse freddamente la proposta, menarono il can per l'aia da agosto ad ottobre e alla fine risposero negativamente; né migliore successo ottenne un nuovo tentativo, condotto personalmente dal ministro degli Esteri Brin nel giugno 1892, in occasione della visita ufficiale a Potsdam della famiglia reale italiana. A Vienna, dove il Volpe condusse una prima missione dal novembre 1891 al gennaio 1892, l'ambasciatore Nigra collaborò pienamente, ma il capo della Marina austro-ungarica, ammiraglio Sternek, si rivelò un interlocutore difficile; in ottobre l'ufficiale italiano tornò a Vienna e trovò lo Sternek invelenito perché il Saint Bon aveva eluso la sua proposta di incontrarlo a Yenezia 6 ; l'austriaco fece inoltre capire di aspirare al comando delle flotte riunite. Una iniziativa del nuovo ministro della Marina Racchia e rinnovate insistenze del Cosenz propiziarono un ultimo tentativo che si infranse contro i] generale Beck, capo di S.M. dell'Esercito e massimo esponente militare dell'Impero, che era contrario e definiva "balordo" il concetto italiano di difendere dal mare le ferrovie, e contro lo Sternek, il quale, deluso nelle sue ambizioni, inflisse al Vol6

Saint Bon propose la natia Chambéry, dove andava in vacanza; ma, certo, era un po' curiosa l' idea di andare a complottare contro la Francia ... in Francia.


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pe una sgradevole lezioncina politico-militare: durante la visita di congedo del 17 luglio 1893 gli disse che Vienna poteva "stendere una mano amichevole e fraterna al Regno confinante... più per mero sentimento di cavalleria ... che per letterale previsione di contratto"; era evidente l'offensiva opinione che l'ammiraglio aveva sul ruolo dell'Italia nell'alleanza come socio minore, quello che prende gli schiaffi, poiché "era, da sola, impotente... a salvaguardare sé medesima" 7 . 30. LO SVILUPPO DELLE FORTIFfCAZIONI

Ita1iani e francesi avevano condotto sulle Alpi, ciascuno secondo le proprie possibilità, una intensa politica di fortificazioni militari. DaU'ipotesi iniziale che prevedeva un attacco francese da soltanto ritardare sui monti per affrontarlo al piano, si era passati in Italia al concetto di una decisa resistenza sulla linea alpina, e infine alla prospettiva di un attacco italiano, già in precedenza immaginato come conseguenza di particolari combinazioni politiche. In Francia, quando con la Triplice la minaccia di un'invasione tedesca dal nord e dall'est si presentò come un pericolo reale, ci si accinse a fronteggiarlo impiegandovi quasi tutto l'esercito e disponendosi a difesa sulle Alpi. Più questo fronte fosse stato munito, meno difensori sarebbero stati necessari. Di qui il forte impegno francese a fortificare il confine, sfruttando il vantaggio dato dalla linea di frontiera e dalla maggiore profondità della regione montuosa sotto controllo, come pure quel1o logistico derivante da una rete di comunicazioni interne, viarie e ferrovi arie, assai più sviluppata, efficiente e protetta di quella italiana. Vi si aggiunga - e'est l 'argent qui fait la guerre - una possibilità di spesa da parte della Francia, potenza finanziaria di prima grandezza, assolutamente non paragonabile a que1la dell'Italia. Ed ecco allora che diventa applicabile a tutto il periodo della Triplice, specie dopo il 1887, la riflessione che il ministro francese della Guerra 7

Secondo lo Sternek, le sconfitte e sventure italiane avrebbero costituito "una fase tutta passeggera" del grande conflitto continentale, poiché le immancabili, decisive vittorie degli Imperi centrali "finivano per rimettere le cose a posto, in Italia, se non nel senso militare ed economico, certissimamente dal punto di vista politico". Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit., pp. 88-143.


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esponeva al Comandante dell'armata delle Alpi nel marzo 1913: "Con un milione non si può creare un reggimento, ma sì un'opera che consenta di portare un reggimento dalle Alpi ai Vosgi" 8. Per avere un quadro della situazione esistente sulle Alpi da entrambi i versanti, nella prospettiva degli anni '90, ci rifacciamo ad un recente, pregevole studio, che si avvale anche dell'accurata descrizione delle vie d'accesso e delle fortificazioni fatta da un contemporaneo, il capitano di S.M. austriaco Giuseppe Fornasari, il quale nel 1889 aveva visitato tutta la regione 9. "Dalla parte della Francia il terreno fra le Alpi e il Rodano costituisce una larga zona montuosa in cui alle alte catene succedono quelle di media altezza e, poiché le principali vie di comunicazione seguono il lungo e tortuoso corso delle infrapposte vallate, ne consegue che le operazioni militari per l'invasione del territorio francese riescono difficili, tanto più che, in massima, queste vallate sono divergenti. Occorrono non meno di sei o sette giorni per uscire da questa zona montuosa. Molto più ristretta è invece la zona montuosa nel territorio italiano. In molti punti la distanza dalla frontiera alla pianura del Po è di soli 30 km, e quindi con una sola giornata di marcia si può scendere per esempio dal Monviso nella pianura italiana. Di più, le vallate in cui corrono le vie provenienti dai valichi alpini sono convergenti verso la pianura del Po e per conseguenza resta facilitato il concentramento delle forze che per invadere il territorio italiano riescono a passare la frontiera in diversi punti" Questa situazione si era prodotta con la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, la quale controllava da allora la maggior parte dell'acrocoro. "Ne consegue che le operazioni offensive riescono molto più difficili all'Italia che non alla Francia, ed infatti facendo astrazione dalle fermate dovute alla resistenza delle fortificazioni e delle forze mobili, le truppe francesi possono, dopo passata la frontiera, superare in uno od al massimo in due giorni di marcia tutte le difficoltà inerenti ai terreni montuosi, mentre che un esercito italiano che abbia oltrepassato la frontiera, si troverà davanti un'estesa zo8 AUSSME,

G 23, Scacchiere occidentale, R 24-25. M. Ascoli e F. Russo, La difesa dell'arco alpino, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio Storico, 1999, pp. 110-28. 9


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na montuosa, (per) attraversar la quale occorre non meno di una settimana. La Francia ha pure costrutta favorevolmente la sua rete ferroviaria per le operazioni militari" L'esame delle fortificazioni esistenti era condotto in relazione alle linee di comunicazione che dovevano presidiare e difendere. Al Nord, la strada principale "parte dalla piazzaforte di Albertville, ad oriente di Chambéry: serpeggia nella tortuosa vane dell 'Isère (Tarantaise) ristretta fra le alte montagne e conduce al passo del Piccolo S. Bernardo (2192 metri), traversa quindi il confine e sbocca nella valle d'Aosta... Le condizioni topografiche del passo del Piccolo S. Bernardo e della retrostante valle dell' Isère si prestano poco ana difesa... Per conseguenza solo presso Conflans, ove il fiume Arly sbocca ne11'Isère, s'incontrano leprime opere fortificatorie ... e cioè: - le opere presso Conflans sull'altura compresa tra le valli Tarantaise e Beaufort; - le opere sulle alture del Tall, alla destra riva dell' Arly; - le opere al colle di Tamié, per il quale passa una strada che conduce a Faverges. Fra questi tre gruppi è situata la città di Albertville, la quale è congiunta alla ferrovia del Moncenisio per mezzo di una diramazione che passa per Chamausset" Dalla parte italiana l'imponente forte di Bard "controlla e sbarra la stretta omonima, attraverso cui si svolge l'unico passaggio che consente l'uscita verso l'Italia dalla vane d'Aosta. Eretto su di una alta e imponente massa rocciosa, questa fortezza deJle Alpi sbarrò il passo a Napoleone I nell'anno 1800... Costituito da un edificio casamattato a tre piani e da tre batterie casamattate, presentava nella versione iniziale 50 bocche da fuoco di vario calibro e specie colle quali battere a monte della valle della Dora Baltea" Va però osservato che lo storico forte di Bard costituiva la sola opera importante esistente sul versante italiano, e che sorgeva quasi alla fine della val d'Aosta, pochi chilometri prima che la valle finisse nella pianura piemontese. Aveva quindi un ruolo esclusivamente difensivo a forte distanza dalla frontiera. Altre opere minori avevano scarso significato e il quadro comparato degli apprestamenti esistenti mostrava quanto era cambiata la strategia di settore. In un primo tempo, davanti ad una penetrazione francese diretta a calare al piano al di là di Torino, si era prevista


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un'azione d'arresto sulle difese rigide del forte di Bard. Ma in seguito, quando l'Esercito italiano immaginò di adottare una condotta offensiva, sia per incontrare le forze tedesche sul suolo francese, sia per esercitare soltanto una pressione che impegnasse reparti francesi al confine, fu chiaro che le opere della val d'Aosta non sarebbero state utili a quei fini, e l' attenzione si spostò su11e difese fisse del nemico che si sarebbero incontrate provenendo dal Piccolo S. Bernardo_ Nel settore centrale, caratterizzato da alte cime ed aspre catene montagnose, le vie del Moncenisio, del Monginevro e del colle Croce apparivano munite e blindate da entrambe le parti. I francesi avevano riadattato contro le provenienze orientali il vecchio dispositivo sardo, integrandolo con due moderni forti a Modane e Fourneaux. Il forte del Telegrafo, le opere e batterie sull' Are ad Aiguebelle e Chamousset coprivano gli accessi alla Tarantasia, alla val Romanche, a Chambéry e a Grenoble. Davanti al passo del Monginevro, in territorio francese, si ergeva la piazza di Briançon: "ln relazione all'importanza strategica sono aumentate in questi ultimi tempi le opere di difesa di questa piazza, la quale ormai è di ventata la chiave del bacino della Durance e fu prescelta come punto di partenza, sia per le operazioni offensive, sia per le difensive. Situata ad un nodo di valli e strade, munita di una triplice cerchia di forti e di batterie, prende sotto i suoi fuochi una parte dei monti di confine e costituisce un potente campo trincerato, minacciante la pianura del Po quasi dalla cresta delle Alpi" Tre linee successive (Gondran, lnfernette e Croix de ToulouseCroix de Bretagne) erano state disposte tra il confine e Briançon, mentre fortificazioni e batterie incombevano anche sui passaggi minori_ Nella valle del Guil ogni linea transitabile proveniente dall'Italia era sbarrata dal forte Queyras e dalla posizione di Mont Dauphin. Le principali vie di accesso al1a pianura sul versante italiano, valli della Dora Riparia e del Chisone, non erano difese aridosso della frontiera, ma in punti più arretrati che erano stati individuati come topograficamente idonei alla installazione di opere d'arresto: così per Exilles, Susa, Fenestrelle, che un tempo avevano avuto nell'Esseillon, ora in mano ai francesi, il più importante avamposto occidentale. Nuove opere successivamente realizzate avevano rafforzato le posizioni del Moncenisio e dell' Assietta, ma più a sud, in corrispondenza dei varchi minori che immettevano


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nelle valli tra il Pellice e la Maira c'era ancora da fare. Sul fronte centrale la bilancia pareva pendere in favore dei francesi, molto ben attestati a breve distanza dal confine e appoggiati a posizioni formidabili, tanto che ben difficilmente una pressione italiana avrebbe trovato sbocco in un'avanzata. A parte la prevedibile corsa iniziale alle cime, il quadro complessivo delle opere contrapposte dando per scontato che i francesi non avrebbero attaccato e gli italiani avrebbero completato e rinforzato le loro difese 10 - poteva prefigurare una situazione di stallo reciproco. Il settore meridionale presentava tematiche diverse. I francesi dovevano guardarsi da una penetrazione dalla Maddalena e da una marcia su Nizza dal Colle di Tenda e lungo il mare. Gli italiani, oltre che dai corrispondenti pericoli in senso inverso, dovevano tener d'occhio gli accessi alla Bormida e al Tanaro dalla Liguria, se il nemico vi avesse effettuato uno sbarco. All'estremità settentrionale del settore una ipotesi poteva supporre che le forze italiane, entrando in Francia dalla valle Stura, puntassero alla Durance per effettuare un movimento aggirante verso il settore centrale; ma anche lì i francesi disponevano delle fortificazioni di Tournoux e di Saint Yincent che chiudevano la valle dell'Ubaye. Dalla strada del colle di Tenda, dominata dalla posizione strategica difensiva dell' Aution, le varianti rotabili occidentali erano contrastate dai forti di Entrevaux, Colmars, Picciarel e dalla stretta di Bauma Negra, come pure dalla chiusa di St. Jean; sulla direttrice di Nizza era stato costruito il forte Barbonnet, presso Sospel sulla Bévera. Nizza, "base naturale e logica di qualsiasi operazione offensiva" verso il Colle di Tenda e la costa ligure, "deve essere considerata il naturale ridotto per la difesa del tratto di frontiera più meridionale della Francia. Il piano generale di difesa adottato prevede che la via litoranea della Cornice e la ferrovia ad essa parallela 10 Durante gli anni ' 90, infatti, molti interventi vennero attuati nel saliente Moncenisio-Monginevro. Lo specchio riportato alle pp. 124-25 del citato volume di Ascoli e Russo colloca in quegli anni la costruzione e l' armamento di 3 nuove opere all' Assietta; di 2 a Fenestrelle, oltre all'ammodernamento di altre 4; di 2 ad Exilles; di 1 al Moncenisio; di 3 a Bardonecchia; di 3 a Cesena; di 2 a Susa: alcune implicavano interventi complessi. E pare importante che sia stato loro assegnato un grado elevato di priorità nel momento in cui il livello delle spese militari tendeva a ridursi.


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siano sbarrate dalle fortificazioni di Nizza e Villafranca e dai due forti della Turbie e della Chien, che possono agire anche rispettivamente sulle alture di monte Agel e verso il mare" Una corona di forti e di postazioni d'artiglieria tra la via del Tenda e la litoranea chiudeva a semicerchio l'accesso alle difese viciniori del capoluogo. Inoltre, per gli anni '90 era prevista la realizzazione di nuove opere. In Italia, la via della Stura era presidiata dalle fortificazioni di Vinadio, all'incrocio della strada proveniente dai valichi dell a Maddalena e dal colle della Lombarda. Al colle di Tenda era in corso dal 1880 la realizzazione di un'articolata piazza di sbarramento che si prevedeva di completare nel 1891. Sulla litoranea non c'era praticamente nulla, essendo del tutto superato il vecchio campo trincerato di Ventimiglia, ma l'attenzione era rivolta prevalentemente a fortificare le vie provenienti dalla Riviera che attraversavano l'Appennino. L'antica preoccupazione di fronteggiare un aggiramento da mezzogiorno propiziato da uno sbarco sulle coste liguri risultava evidente: le strade che da Oneglia, Albenga e Finale Ligure risalivano verso il Tanaro erano sbarrate da forti ed altre opere al colle di Nava, vicino a Zuccarello e al colle di Melogno; da Savona gli accessi alla Bormida erano sbarrati a Càrcare e ad Altare, oltre il colle di Cadibona, come pure da un altro gruppo di forti sulla direttrice del passo dei Giovi. La situazione dello scacchiere meridionale risentiva di fattori contraddittori: da un lato, di una situazione generale non proibitiva ad una offensiva italiana verso la contea di Nizza lungo le valli che scendevano al mare tra la Roja, la Tinea e il Varo; dall'altro, di un vecchio timore italiano di trovarsi aggirati da un'azione anfibia avversaria in Liguria. Fino al 1898 nessuna fortificazione era stata eretta al confine elvetico, ritenendosi che la Confederazione avrebbe difeso la sua neutralità e non avrebbe attaccato nessuno. Ma di quando in quando il sospetto di un'aggiramento francese da nord suggeriva di munire i passaggi del Sempione, del Gottardo e del saliente del Lario. In Svizzera le prime difese sul Gottardo erano state decise nel 1883; in seguito, la preoccupazione di una marcia italiana verso la conca di Coira (Chur) o su altri itinerari per riunirsi ai tedeschi e attaccare la Francia, indusse alla fortificazione del Gottardo e della regione di Bellinzona; più ad ovest, per fronteggiare una


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discesa dal Gran S. Bernardo, furono realizzati altri apprestamenti difensivi sul versante meridionale del Sempione ed a St. Maurice. La qualità delle opere, in generale, migliorò sempre più, specialmente da quando, verso la fine del secolo, il calcestruzzo e le protezioni metalliche presero ad essere usate con sempre maggiore frequenza. Entro certi limiti si riproduceva infatti, anche in tema di fortificazioni, la gara che opponeva sul mare la corazza e il cannone, così che diventava necessario sempre più di frequente adeguare le opere ai progressi dell'artiglieria, senza di che avrebbero perso buona parte del loro valore. 31. DALLA PARTE DELLA FRANCIA Nel settembre 1891 il colonnello Cardot, comandante del 111 ° reggimento di fanteria, redasse per lo Stato Maggiore un rapporto sulla guerra di montagna. Aveva girato e manovrato per anni, in lungo e in largo, il fronte alpino meridionale e si era persuaso che le condizioni geografiche vi condizionavano talmente i movimenti da rendere impossibile lo scontro risolutivo: "siccome in una regione di alta montagna non esiste un piano abbastanza largo per sopportare una battaglia, io propongo semplicemente di sopprimere questo caso particolare ... Rimane dunque da collocare l'armata di difesa su queste linee di cresta affilate, dove le cime si alternano agli abissi e si profilano all'orizzonte come gigantesche sentinelle preposte dalla natura a guardia dei passaggi" Il colonnello dichiarava di avere percorso tutte le valli, scalato tutti i monti, ma di non aver mai trovato un ripiano "sufficiente per passare l'ispezione a due compagnie in ranghi serrati. E tuttavia ho visitato solo le Alpi Marittime, Alpi manifestamente inferiori! senza grandezza e senza carattere - questo è almeno ciò che assicurano i fanatici delle grandi Alpi, gli alpini dell' edelweiss che hanno solo un sorriso di pietà per i loro modesti fratelli del rododendro e fanno una smorfia sdegnosa e molto divertente quando li si trapianta nel 15° corpo" In uno scenario simile, dove non si riusciva a far scontrare due sezioni, la manovra non era attuabile, neanche a scala di reggimento. Erano solo possibili azioni isolate e slegate tra loro, colpi di mano nei quali i subalterni avrebbero avuto la parte del leone. Ma se non era possibile, secondo i precetti napoleonici, "esse-


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re più forte su un punto in un dato momento", la grande battaglia manovrata non si poteva condurre ed era inutile anche lo stesso ruolo dello stratega Comandante in capo 11 . Queste considerazioni, pur concedendo che il colonnello ogni tanto si rendeva meno credibile andando sopra le righe per la foga, venivano ad incidere criticamente sia su qualche ipotesi strategica tradizionale, sia sull'organizzazione delle forze di difesa. Nel 1889 i francesi avevano ritenuto possibile assumere un'iniziativa tattica sfruttando i tempi più lunghi della mobilitazione italiana al fine di procurarsi ulteriori linee avanzate, ma l'intervenuto consolidamento delle posizioni avversarie, rapportato alle osservazioni del Cardot, faceva riflettere; specie perché la radunata italiana, dopo i riferiti provvedimenti, diventava più efficace di prima nella difesa al confine. Era inoltre evidente che le formazioni pesanti che operavano al piano nelle battaglie campali non erano assolutamente adatte alle caratteristiche ed alle esigenze di quel tipo di guerra particolare che derivava dalle condizioni naturali della regione alpina. Non vi furono sul momento interventi definitivi su11a strategia, ma l'armata delle Alpi si predispose soprattutto alla difesa e nel 1892 il generale Berge dovette battagliare lungamente col Ministe11

Allegato al rapporto del Panizzardi al Comandante in 2•, ecc., 11 novembre 1891, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 7. Per dimostrare che le sue affermazioni non erano campate in aria il Cardot, che doveva essere un tipo sanguigno, scriveva: "Ho percorso le valli della Roja, della Bévera, della Vesubia, del Varo e della Tinea, senza dire degli orridi la cui sequela è interminabile: la Bassera, la Maglia, la Lavina, la Madona e la Gordolasque, ecc.; seguendo il mio fronte ho scalato faticosamente le alte vette del Tournairet e del Razet, del Ferrone del!' Authion, del Ventabren e del Béolet e infine del celebre Mangiabo, che ho contemplato da tutti i lati e la cui visione mi perseguita ancora come un incubo; ho attraversato molte volte i colli più famosi ... e vi ho anche combattuto, nel senso che vi ho soprattutto ben dornùto quando ero coricato coi miei su questi fronti o nelle loro baracche col pretesto di presidiarli e difenderli; per contro, abbiamo dovuto penare molto quando abbiamo dovuto attaccarli, cioè aggirarli, e allora anche noi abbiamo scoperto passaggi sconosciuti, colli senza nome che abbiamo battezzato, per ammazzare il tempo, in memoria delle nostre promesse o delle nostre fatiche" E per essere chiaro aggiungeva che se, per ipotesi, fosse esistito sui monti un altopiano nel quale raccogliere le forze di difesa, non si poteva sperare che l'avversario desse "l'assalto al rullo del tamburo alla vostra torre Eiffel", perché quando avrà constatato che vi ci siete installati, "vi aggirerà, vi avvolgerà poco a poco e aspetterà che scendiate sulle sue baionette, o alziate la bandiera bianca"


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ro per evitare che i reparti dell'VIII armata fossero troppo impoveriti di effettivi, sottratti per il fronte tedesco 12 . Tra la fine del 1891 e il 1892 il Capo di S.M. dell'Esercito francese, generale de Miribel, decise di comporre diversamente le grandi unità in relazione alla loro destinazione. I corpi d'armata da schierare al Nord e all'Est sarebbero stati formati da 3 divisioni e non 2, con la terza divisione a formazione mista di fanteria, artiglieria e cavalleria. In tal modo ogni corpo sarebbe stato comparabile a quelli nemici recuperando forza d' urto senza perdere, grazie alla speciale composizione della terza divisione, capacità di manovra. Invece al confine italiano i corpi XIV e XV non avrebbero avuto divisioni, ma sarebbero stati "raggruppati in brigate rafforzate con altre armi... stante la difficoltà di manovra nei terreni della Savoia, Nizzardo, Delfinato, sui quali sarebbero chiamati a operare" 13 . All'inizio del 1892 l'VIII armata aveva 7 battaglioni di cacciatori alpini col XIV corpo e 5 col XV, con una sola batteria a cavallo per corpo, essendo stata la seconda richiamata sui Vosgi. L'artiglieria alpina era concentrata a Grenoble (7 batterie) e a Nizza (5 batterie), da dove avrebbe potuto contare su un rapido accesso al fronte. Quella da campagna era più distribuita, avendo reparti distaccati a Chalons e a Tour, ma gravitava in massima parte sulle sedi dei comandi reggimentali (Grenoble e Valence per i due reggimenti di artiglieria del XIV corpo, Nìmes per i due del XV). L'artiglieria da fortezza del XIV corpo schierava 2 battaglioni a Briançon ed 1 ciascuno ad Albertville, a Modane, a Marsiglia e a Mont Dauphin; quella del XV distaccava 1 battaglione ad Ajaccio e 2 a Tolone. L'armata delle Alpi usava speciali tabelle d' effettivi ed altre particolarità: ad esempio, i trasporti a ridosso della frontiera venivano serviti da muli piuttosto che da carrette come in altri teatri. Lo schieramento, comunque, non era predisposto per condurre un attacco serio, impoverito com'era di reparti e di uomini distaccati altrove. Nell'agosto 1892 il generale Berge spiegò al ministro che non poteva coprire i 120 km che correvano tra Colmars sul Verdon e Cannes con la sola 69a divisione, 12

Vedi la corrispondenza tra il ministro della Guerra e il generale Berge in AEF, 7 N, busta 1863. 13 Panizzardi a Comandante in 2•, ecc., 6 dicembre 1891 e 11 giugno 1892, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 7 e 9.


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e che quindi era meglio concentrarla verso Barréme, per muoversi da una posizione arretrata sulla direttrice d'attacco che sarebbe stata scelta dall'avversario 14• C' era qualche altro motivo di inquietudine. Il ministro della Guerra Charles Freycinet compì un viaggio nell ' alta Savoia e si convinse che esisteva il pericolo di una invasione italiana o tedesca attraverso la Svizzera, motivo per cui volle che vi si disponesse una difesa mobile e venissero migliorate le comunicazioni . A fine anno poi intervenne la rottura del trattato commerciale franco-svizzero, evento che contribuì ad acuire i timori perché per reazione gli elvetici, dopo la crisi del 1889 per via dell 'asilo concesso agli anarchici tedeschi, si riaccostarono alla Germania, tanto che nel dicembre 1893, quando il Panizzardi visitò la Confederazione, trovò l'opinione pubblica germanofila, anche se non disponibile ad abbandonare la neutralità e a consentire il passaggio di truppe straniere sul territorio nazionale 15 • Ebbero luogo le grandi manovre verso il confine tedesco, senza molto successo se la stessa stampa francese le criticò e l'addetto militare italiano giudicò che "l' impressione ricevuta... non poteva essere più sfavorevole", perché la fanteria e l'artiglieria erano apparse inferiori al loro compito e la cavalleria non aveva neanche operato 16. Con l'attenzione rivolta al Nord e all 'Est, dove si prevedevano grandi scontri di masse, vi fu un' evoluzione verso l' ingrandimento dell' Esercito, propiziato dalle norme sulla ferma lunga. Alla fine del 1892 l' Esercito francese contava 20 corpi d' annata su 3 divisioni, più 20 divisioni di riserva, e si sarebbero voluti raddoppiare i corpi attivi con altrettanti di riserva; questo programma però - costi a parte - non era attuabile per le difficoltà insuperabili che presentava un rapido adeguamento dei quadri e dei servizi; per queste ragioni il Capo di S.M. Miribel stimò possibile costituire solo "5 o al più 6 corpi d'armata, raggruppando 3 o più di 14 Panizzardi a Comandante in 2a, ecc., 11 e 26 gennaio 1892, G 29, Addetli militari. Francia, R 9; Berge a ministro della G uerra, 8 agosto 1892, AEF, 7 N, busta 1863. TI Billot cit., U, p. 31 - parlando di un pericolo di guerra nei primi mesi dell' anno, descrive i francesi ''barricati sulle Alpi" 15 Vedi rapporto Pan izzardi sul viaggio del dicembre 1893 e Memorie del capitano Belvederi, cit., in AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 41 e 42. 16 Panizzardi a Comandante in 2•, ecc .. 30 ottobre 1892, G 29, Addetti militari. Francia, R 8.


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quelle divisioni fra di loro" Con la maggiore disponibilità di uomjni si ventilò che l'armata delle Alpi, ora al comando del generale Ferron, avrebbe potuto disporre di un terzo corpo d'armata, il XIII o, più probabilmente, il XVI 17. Anche così però, e scontando che vi si potesse affiancare qualche altro reparto non inquadrato in grandi unità, come il reggimento fornito dalla Marina, mancavano sempre i presupposti per un'azione offensiva di un certo rilievo sul fronte italiano. Nel dicembre 1893 fu assunta la decisione logica. Ancora il 1° di quel mese il ministro della Guerra era stato informato che le truppe in prima linea temevano di trovarsi in uno stato di inferiorità perché gli italiani avevano trattenuto alle armi una classe. Il Consiglio Superiore di Guerra decise il 21 dicembre che "conveniva tornare ad un atteggiamento difensivo nel teatro d'operazioni di Sud-Est"; di là, se mai, si sarebbero potute prelevare forze per rinforzare le armate del Nord, tenendo conto che d'inverno, quando per la neve era impossibile attraversare le Alpi, gli italiani potevano aumentare i loro effettivi in Alsazia, da dove minacciavano l'estrema destra dello schieramento francese 18 : "da quel momento ogni idea di azioni offensive, sia pure tattiche, contro l'Italia, fu completamente abbandonata dall'esercito francese" 19 32. LA QUESTIONE DELLE SPESE MILITARI Il livello delle spese ordinarie e straordinarie per l'Esercito e per la Marina era grandemente aumentato in Italia dopo 1' adesione alla Triplice, come risulta dal seguente prospetto tratto dal Ceva 20 : Guerra 180,0 186,1 207,3 208,2 188,6 211 ,5

1875 1876 1877 1878 1879 1880

17

Marina 38,2 37,8 42,9 43,2 42,4 45,1

Guerra Totale 1881 210,9 218,2 234,1 1882 222,9 256,3 250,2 1883 25 l ,4 1884 (I° sem.) 118,8 231,0 1884-85 253,8 256,6 1885-86 253,1

Marina 44,7 49, l 63,1 29,3 77,2 84,0

Id. a Id., 11 ottobre 1893, G 29, Addetti militari. Francia, R IO. AEF, 7 N, busta 1865. 19 Mazzetti, cit., p. 165. 2 Cit., p. 361 . 18

°

Totale 255,7 283,2 319,3 148,1 330,9 337,0


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1886-87 1887-88 1888-89 1889-90 1890-91 1891-92 1892-93 1893-94 1894-95 1895-96 1896-97 1897-98 1898-99 1899-00

269,2 316,6 403, 1 305,5 285,4 261,3 246,2 253,4 232,6 342,6 272,4 263,3 246,0 240,0

95,3 114,2 157,6 123,3 113,0 105,1 101,8 100,1 95,7 96,1 103,1 102,7 103,3 115,6

364,5 430,7 560,8 428,9 398,5 366,5 348,0 353,5 328,3 438,6 375,5 366,0 351 ,3 355,7

1900-01 1901-02 1902-03 1903-04 1904-05 1905-06 1906-07 1907-08 1908-09 1909-10 1910-11 1911-12 19 12-1 3

246,1 250,8 242,0 242,7 254,1 253,1 259,5 273,9 301 ,4 339,5 369,5 472,7 637,7

126,2 122,5 119,6 119,4 123,3 121 ,2 145,4 148,5 166,0 159,0 207,8 282,0 362,0

372,3 373,3 361 ,6 362,1 377,4 374,3 404,9 422,4 467,4 498,5 577,3 754,7 999,7

Elaborando i dati per quinquennio nel lungo periodo 18721902 si ottengono le seguenti medie annuali, che vanno considerate indicative anche se si basano su dati assoluti e non su una serie storica a valore costante: anni 1872-1876 (Destra) milioni 213 anni 1877-1881 (Sinistra) milioni 249 (1 ° Triplice) milioni anni 1882-1886/87 357 ann1 l 887/88-1891/92 (2° Triplice) milioni 437 anni 1892/93-1896/97 (3° Triplice) milioni 369 anni 1897/98-1901/02 (3° Triplice) milioni 363 Benché talvolta misteriose - teoricamente le ordinarie avrebbero dovuto servire al mantenimento e quelle straordinarie al potenziamento, ma nella realtà era difficile distinguere le une dalle altre - e spesso criticate, queste spese pubbliche erano parse necessarie per la difesa del Regno, fortemente svantaggiato dalla propria conformazione geografica e desideroso di costituire un Esercito ed una Marina nazionali a livello delle ambizioni del Paese. E, a parte l' uso delle forze armate per l' ordine pubblico ed a garanzia interna della monarchia, non si può ignorare che dopo la presa di Roma le ambizioni internazionali dell' Italia fossero cresciute. Ma c' erano vari problemi, non solo i maneggi dei sovrani per destinare fondi alle forze armate e qualche oscurità amministrativa: le condizioni finanziarie dello Stato, considerato il sistema fiscale e la situazione economica della società, erano endemicamente deboli, spesso sul1' orlo del collasso, inadeguate a sostenere i costi della politica estera. E la resa delle spese militari , principalmente a causa del-


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l'arretratezza del sistema produttivo, era inferiore in Italia rispetto agli altri paesi europei. Rispetto alle entrate, tali spese erano state sempre alte nella storia del Regno, ma nel 1889 giunsero al 38%, e questo non era sostenibile a regime. Il governo di Rudinì, malgrado l'opposizione del Re, incominciò a ridurre i bilanci delle Forze armate. Sapeva nel farlo che nel 1888 era stata firmata una convenzione con la Germania che impegnava l'Italia a trasferire sul Reno un'armata, e sapeva benissimo di averne confermato ai tedeschi la composizione in 5 corpi d'armata e 2 divisioni di cavalleria. 21 Ma il rosso nel bilancio dello Stato non poteva andare al di là di certi limiti quantitativi e temporali. Così il dibattito su come affrontare il problema militare italiano tornò ad animare i periodici: chi proponeva maggiori fortificazioni al confine, chi il potenziamento del potere marittimo nazionale, chi altre cose ancora. Ma tutto aveva dei costi difficili da affrontare. I generali Marselli - che pure aveva chiesto di trovare altri mezzi per la difesa da un Paese "ferocemente tassato" - e Ricotti giunsero alla conclusione che sarebbe stato meglio avere un esercito più piccolo, ma più efficiente, e maggiori controlli sulle uscite. Caprivi disse che la diminuzione ipotizzata di un sesto dell'Esercito italiano indeboliva la Triplice, ma altri esponenti militari alleati condivisero l'idea che convenisse sacrificare la quantità a vantaggio della qualità. Le difficoltà finanziarie e la tenace opposizione di chi, come il Re, non voleva ridurre l'Esercito, condussero ad escogitare espedienti, come il congedo anticipato di classi per risparmiare. Ma questo era il contrario di ciò che aveva preoccupato i potenziali avversari poco tempo prima, e aveva l'effetto di indebolire l'esercito. Cadde di Rudinì e subentrò Giolitti, ma i problemi rimasero. In un modo o nell'altro fu inevitabile che le spese militari diminuissero. I crediti dell'Esercito, dove il tenente generale Domenico Primerano aveva sostituito il Cosenz come Capo di S.M. nel dicembre 1893, subirono una riduzione del 43% nel bilancio 1894-95 rispetto a quello 1888-89. La Marina fu trattata meglio, ma mentre fino alla scomparsa del Saint Bon (novembre 1892) era stata considerata la terza in Europa, cominciò a decadere proprio quando in Germania e in Russia cresceva la potenza navale 2 1. 2 1 Cfr.

Mazzetti, cit., pp. 152-53.


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Durante il governo Giolitti il presidente del Senato, Domenico Parini, fece notare al ministro degli Esteri Brin che se la consistenza dell ' esercito si fosse ridotta, non sarebbero stati più disponibili i 5 corpi d'armata da mandare sul Reno, ma si ebbe come risposta che l' impegno proveniva da una convenzione e se ne poteva fare un'altra, considerazione che irritò il Parini, convinto che una cosa simile avrebbe ribadito l'impotenza dell'Italia. Lo Stato Maggiore dell'Esercito era realista: quando preparò il " Programma per uno studio dell ' offensiva italiana oltre il confine N.O.", nel 1894, Jo divise in due parti, la prima dedicata alla "offensiva a fondo", la seconda alla "offensiva dimostrativa"; rispetto a qualche anno prima, ciò denunciava un certo affievolimento della filosofia strategica offensiva dipendente dalla inadeguatezza dei mezzi. Nella prima ipotesi poi il Programma prescriveva di "trattare dello svolgimento delle operazioni per conseguire gli obiettivi prossimi alla frontiera, entrando in tutti quei particolari che servono a dare un'idea abbastanza esatta delle difficoltà da superarsi, mentre le successive operazioni si esamineranno solo sommariamente", tanto poco venivano stimate probabili 22 . Quando Benedetto Brin aveva accompagnato i reali in visita a Potsdam, nel giugno 1892, Caprivi gli aveva detto di non attribuire nessuna importanza alla presenza dei francesi a Biserta, perché ogni questione si sarebbe risolta sul Reno. Neanche l' Ammiragliato britannico si era allarmato per il porto tunisino, che pure in seguito vociferazioni avrebbero indicato come base di una squadra russa. Per la verità, neppure in Francia si credeva molto al triangolo marittimo strategico Tolone-Portovecchio-Biserta, tanto sostenuto dall'ammiraglio Lockroy, e si temeva piuttosto che gli italiani sbarcassero a Tunisi venendo dalla Sicilia. Così a Biserta i lavori andavano a rilento e in Corsica non ci si sentiva sicuri: secondo il Petit Bastiais le manovre del 1893 avevano dimostrato che la guarnigione dell'isola era insuffici ente a fronteg giare un' invasione italiana. In quell'anno però anche le manovre navali italiane non andarono bene - la flotta nazionale era stata raggiunta e battuta al largo di Napoli - e furono criticate dagli osservatori tedeschi. Tuttavia quanto aveva affermato von Caprivi restava so22

D. Farini, Diario, a cura di E. Morelli, l (1891-1895), Milano, ISPI, 1942, p. 227 (18 febbraio 1893) .


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stanziai mente valido, come asseriva l'addetto militare italiano a Parigi, confermando allo Stato Maggiore che l'Esercito francese, in caso di ostilità, avrebbe dato ogni priorità al fronte tedesco, disponendosi a difesa sulle Alpi: solo in un secondo tempo, se le cose con la Germania fossero andate bene, si sarebbe pensato ad una offensiva contro l'Italia. Non mancava naturalmente chi sosteneva il contrario: l'Idea liberale di Milano previde il 18 febbraio che "la Francia ci invaderà e ci schiaccierà" 23 . Tornato al potere nel dicembre 1893, Crispi prese a governare in maniera autoritaria, ma la situazione finanziaria era così stringente che anche il successivo bilancio 1894-95 segnò una riduzione ulteriore delle spese per l'esercito. Tutto ciò mentre in Africa, dove gli italiani occuparono Kassala nel luglio 1894, si attendeva da un momento all'altro una nuova iniziativa militare contro l'Etiopia. A questo infatti mirava Crispi, intenzionato a capovolgere la cauta politica di chi lo aveva preceduto 24 , né incontrava ostacoli in un Parlamento docile che - lasciato a casa dall' 11 luglio al 3 dicembre 1894 e poi, dopo una breve sessione di una decina di giorni, di nuovo aggiornato fino al 10 luglio 1895 - si affrettò alla riapertura delle Camere a convertire i decreti-legge con cui il presidente del Consiglio aveva deciso da solo. Tuttavia nella primavera I 894 la questione delle spese militari fu ripetutamente oggetto di dibattiti parlamentari. Farini pensava che "la limitazione sarebbe una rovina" per il morale dell'Esercito, però riconosceva che il paese si trovava tra Scilla e Cariddi: "la nostra situazione finanziaria è gravissima ed è gravissima la questione militare" A giugno il ministro della Guerra Ricotti fu posto dinanzi al dilemma insolubile di dover risparmiare, ma di lasciare immutato il numero dei corpi d'armata; Crispi disse a Fa23

Panizzardi a Comandante in 2•, ecc., 11 gennaio 1894, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 42; Farini, cit., pp. 139 e 443 (1 ° luglio 1892 e 24 febbraio 1894); Gabriele, Benedetto Brin, cit., pp. 92-93. 24 11 ministro degli Esteri del governo Giolitti, Benedetto Brin, scrisse al generale Baratieri, governatore dell' Eritrea, il 15 agosto 1892, che quella colonia era "una delle spine più pungenti" che aveva e raccomandò che l'Italia vi assumesse "le minori responsabilità possibili, non cerchi nessuna espansione... cercando piuttosto di restringere la spesa" e di evitare una nuova Dogali. E nelle istruzioni a Vincenzo Filonardi, l'anno dopo, spiegò che non si dovevano assumere "oneri né finanziari, né militari in Somalia", Gabriele, Brin, cit., p. 97.


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rini che Ricotti per quadrare il cerchio voleva mantenere 12 corpi, ma togliendo a ciascuno un reggimento di fanteria, di cavalleria, di artiglieria e di bersaglieri per risparmiare 6 milioni. Ovviamente, l'Esercito si sarebbe indebolito lo stesso. Una nuova discussione in Senato, nel luglio I 895, vide in contrapposizione il ministro della Guerra e il Capo di Stato Maggiore. Primerano aveva il problema di uno scontro imminente in Africa Baratieri si era insediato ad Adua, dopo avere occupato il Tigrè da gennaio, e nel mese di giugno Crispi aveva ordinato una nuova penetrazione in Etiopia - ed espresse le sue inquietudi ni, ma Ricotti attaccò vivacemente 1'ordinamento militare esistente, "troppo superiore ai mezzi che lo Stato può e deve dare all ' esercito" I due si rimbeccarono a vicenda, ma la maggioranza del Senato era col ministro 25. I problemi che premevano il Capo di Stato Maggiore erano seri, riguardando il necessario rafforzamento della difesa nazionale che sarebbe stato interrotto, gli impegni verso gli alleati che si rischiava di non mantenere, la situazione africana che prospettava una guerra. Ma i dati statistici mostrano una diminuzione in quegli anni del reddito nazionale e dei consumi, che significava compressione del tenore di vita, malcontento sociale ed emigrazione: Ricotti si rendeva conto della pericolosità di quel miscuglio esplosivo che sarebbe sfociato nella crisi di fine secolo. Chi non se ne rendeva conto era il presidente del Consiglio, lanciato in scelte politiche incompatibili con la realtà italiana. Primerano, intanto, dovette predisporre qualche misura difensiva anche verso l'alleato austriaco, benché continuasse a riservare l'attenzione principale al Nord-Ovest. Ricevette in agosto, dal tenente generale Nicola Marselli, le conclusioni del viaggio compiuto sulla frontiera, nel saliente tra il Cenisio e il Clavière; "dopo tante ricognizioni e conferenze" risultava che, essendo stata spinta molto avanti "l'occupazione di alcuni punti, divenuti ora troppo esposti e minacciati, è d'uopo aumentarne l'efficacia e proteggerli" Era " necessaria molta avvedutezza nella scelta dei rimedi; tanto più che lo stato delle finanze italiane non consentirebbe rimedi troppo costosi", per cui nella gran parte dei casi venivano consigliati piccoli lavori (appostamenti, vie d'accesso, riservette e 25

Farini, cit., pp. 420, 487, 532, 736-38 (26 gennaio, 25 aprile e 15 giugno 1894; 18-20 luglio 1895).


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baracche) e qualche batteria d'assedio. Concetto portante era di migliorare la difesa "non più avanzando, ma innalzandoci" per avere " un maggiore sviluppo di fuoco come una minore vulnerabilità" e mettersi almeno in grado di sostenere "il duello con l' artiglieria avversaria, che nelle presenti condizioni ci riuscirebbe dannoso" Il Marselli avrebbe preferito che, invece della linea avanzata, si fosse attrezzata una forte posizione più arretrata - come il Paradiso, lo Jafferau e il Fratève - dalla quale arrestare il nemico in territorio italiano e costringerlo a svolgere sotto il fuoco dei difensori i preparativi d'attacco, "o ad opporre alle nostre artiglierie da posizione quelle da campagna. Naturalmente a tale sistema avrebbero fatto eccezione quelle posizioni prossime alla frontiera, che a nessun patto debbono lasciarsi occupare facilmente dal nemico" Il Primerano commentò questo passo: "altro che ritirarsi da tutto!" Marselli nutriva fiducia che al momento opportuno le truppe mobili avrebbero ripreso il terreno ceduto, aprendosi in più una via per l'invasione del paese nemico. E continuava scrivendo che siccome il sistema della difesa "non che avanzata, avanzatissima" era stato largamente applicato, non restava "che completarlo e rettificarlo coi mezzi ·più spicci e meno costosi" Sperava che le artiglierie italiane trovassero un esplosivo idoneo, che evidentemente non c'era ancora; ma se fossero rimaste ancora inferiori a quelle francesi, "allora varrebbe meglio avere il coraggio di abbandonare le opere più avanzate, più esposte e dominate, costituire più indietro i nuclei centrali della nostra difesa ed affidarsi, per l'offensiva, all'audacia delle truppe mobili ed agli accidenti del terreno" Considerava peraltro "grandi" le difficoltà per un'offensiva, "che diventerebbero affatto insuperabili se l'esercito italiano non fosse dotato di un adeguato materiale di parchi d'assedio" Non riteneva esclusa un'offensiva nemica: "Havvi, nel periodo della nostra mobilitazione, un momento di crisi, in cui le nostre forze mobili sono qui e là inferiori a quelle che può riunire l'avversario" e l'artiglieria insufficiente a fermare il nemico, la cui avanzata poteva compromettere le successive operazioni in senso opposto; "e pur facendo alle condizioni finanziarie del paese tutte le possibili concessioni, pur studiandosi di trovare le soluzioni meno dispendiose, rimane ferma la imprescindibile necessità di completare il materiale da parchi e di rendere più solido e più efficace il nostro assetto difensivo alla frontiera"


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In conclusione poneva di nuovo l'alternativa: "rimanere solidamente fermi nelle posizioni avanzate ... o trarsi indietro" In questa seconda ipotesi il Marselli propendeva ad aumentare il ruolo della fanteria, ma poiché riconosceva che l' investimento di Briançon, da qualunque direzione fosse stato tentato, era " una operazione dalla quale difficilmente potrà prescindersi", il ragionamento filava solo fino ad un certo punto perché le truppe mobili, se fossero partite da più lontano e avessero dovuto preventivamente riconquistare il terreno ced uto, avrebbero avuto dinanzi una serie più grande di ostacoli; restava allora in piedi solo la prima ipotesi strategica, da rendere concreta med iante interventi migliorativi sulla linea avanzata 26 . Crispi riuscì ad aumentare il bilancio della Guerra nel 189596, ma si era già accum ulato un deficit dife nsivo alle frontiere: c'era molto da fare verso la Francia, da confermare in maniera credibi le la cooperazione ai tedeschi, da tener d'occhio gli austriaci. Quest' ultima esigenza restò più indietro delle altre e venne affrontata con un certo impegno solo nel 1903. La Francia non poté realizzare l'obiettivo di sdoppiare anche i reparti alpini, ma le successive versioni del XIIl piano di mobili tazione lasciavano sempre in ansia lo Stato Maggiore italiano, attento a che qualche nuova decisione non cambiasse le carte in tavola. Esso era al corrente che nel 1893 l'VIIl armata, agli ordini del generale Coiffé che aveva il quartier generale a Gap, contava sui corpi d'armata XIV, XV e XXXIV, anche se non ad effettivi completi. Il XIV corpo risultava schierato tra il Monte Bianco e la Tinea, gli altri a seguire verso il mare, dove coprivano anche il litorale provenzale e la base navale di Tolone. L' armata aveva il compito strategico di resistere sul confine e disponeva a tal fine di queste forze: 219 battaglioni di 1000 fuci li ciascuno; 24 squadroni; 72 batterie montate o da montare; 26

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 59. li Marselli si rallegrava per l'adozione del metodo del viaggio "per la terza volta coronato da successo", ed elogiava tutti gli ufficiali che avevano collaborato, per l' abnegazione a sopportare fatiche e disagi e la volontà di lavoro: "ciò deve ingagliard ire la fede nelle virtù del nostro esercito".


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62 1/2 batterie a piedi; 28 1/8 compagnie del Genio; 22 compagnie, 13 sezioni, 13 distaccamenti di militi alpini, doganieri e cacciatori forestali; per un complesso di 481.713 uomini, di cui 7.595 ufficiali; disponevano di 46.974 equini e 6.624 carri. 11 comandante dell'armata contrastava con decisione lo stillicidio dei trasferimenti dal suo fronte al Nord-Est e nella primavera 1895 ottenne dal Ministero anche la 78a divisione di riserva; lavorava inoltre alacremente per rinforzare i battaglioni delle truppe da montagna 27 . Nell'aprile l'Esercito italiano tenne un 'ampia manovra di quadri che aveva per tema un attacco francese nella zona della Cornice: la massa gravitava su Ventimiglia, coperta da una puntata all'interno in direzione di Pigna. Questa località però restava nelle mani della difesa e il nemico era costretto a rinnovare l' attacco, che rimaneva senza successo a causa di una eccessiva dispersione. Nella conferenza tenuta ad Albenga il 29 aprile il tenente generale Saletta insistette su questo punto, sottolineando che nell'impiego delle truppe "devesi sempre mirare al loro concentramento in tempo e sito opportuno, non perdendo di vista l'importanza dei nodi stradali. Venendo meno a questo principio, si corre il rischio di perdere il vantaggio dell'azione preponderante, che anche in montagna è fonte di risultati decisivi" Durante la seguente estate 1895 il Saletta diresse un viaggio di S.M. nel settore centrale, tra il colle d' Abrie e l'Enciastraia, per studiare le possibilità degli opposti schieramenti nella difensiva e nell'offensiva. Per entrambi gli scopi la posizione francese si presentava come notevolmente più favorevole, come veniva analiticamente dimostrato punto per punto: di là si poteva attendere senza rischi un attacco o lanciare un'offensiva, anche di sorpresa; per gli italiani, invece, qualunque azione avrebbe risentito dell'inferiorità dell'artiglieria e dell'impianto logistico; un movimento offensivo, in particolare, sarebbe stato lento, difficile e di scarso risultato strategico. Il Saletta concludeva: "Nelle attuali condizioni finanziarie non sembra possibile il raggiungere nel nostro esercito in breve tempo quel grado di sviluppo, di preparazione e di potenza, che si richiederebbe per assicurare il successo di una 27 AUSSME, G 29, Ackletti militari.

Francia, R 11; AEF, 7 N, busta 1862 e 1865.


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energica offensiva_ Meno ancora il prepararsi ad un tempo tanto per l'offensiva quanto per la difensiva, analogamente a quanto fu fatto in Francia" Era in ogni modo meglio puntare sull 'offensiva, "potendosi con essa trarre maggior profitto dalle forze morali del1' esercito", piuttosto che su una difensiva "da eseguirsi colla presente inferiorità di mezzi" E chiedeva lo sbarramento permanente della val Vraita e, possibilmente, anche della val Maira; la costruzio ne di strade sui contrafforti; l'espansione fino ad almeno 100.000 effettivi delle truppe e servizi "atti alla guerra di montagna, .. .lasciando poi ai Comandanti Superiori di frontiera quella conveniente libertà di azione per l'occupazione avanzata, che consigliano la specialità del terreno su cui dovranno manovrare e le circostanze in cui si potranno trovare" 28 . Questo rapporto venne redatto in agosto, quando il Capo di S.M., reduce da un inutile scontro col ministro della Guerra al Senato, si trovava in una posizione difficile, preso tra l'incudine delle risorse e il martello delle esigenze. Né si poteva sperare di trasferire mezzi dal bilancio della Marina, condizionato a sua volta dalla indispensabilità delle costruzioni navali. Si temevano sempre gravi minacce dalla superiorità marittima avversaria, non essendo in grado di conoscere che proprio quelle ritenute più pericolose non facevano parte dei piani del nemico. Sempre ricorrente ad esempio, era, il tema del colpo di mano su Spezia, accompagnato da uno sbarco a Sestri Levante. Il maggiore del Genio P. Mirandoli ne aveva parlato agli allievi della Scuola di guerra durante le campagne logistiche del 1893 e del 1894, ponendo l'accento sull'elemento sorpresa come fattore determinante di successo. E sempre alla Scuola di guerra, nel 1894 e 1895, il capitano di corvetta Massimiliano Bagini esaminò la fattibilità tecnica e le modalità dello sbarco di un corpo d'armata tra Levante e Sestri: lo sbarco esigeva che "il corpo di spedizione possa efficacemente operare dopo sbarcato", senza venire isolato dal mare. Concludeva quindi: "O la nostra flotta sarà adeguata in numero e potenza a quella di scorta del convoglio, pur non distraendo da altri compiti importanti una parte di essa, ed in allora l' operazione di sbarco fallirà ed è anzi meglio ammettere che non verrà 28 AUSSME, G 23 Scacchiere occide11rale, R 5; F 4, Ordinamento e mobi-

litazione, R 59.


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neppure tentata; o la nostra flotta sarà in numero e potenza assai inferiori ed in allora ad essa converrà sfuggire al combattimento ineguale ed in questo caso vi ha ogni probabilità di ammettere che l'esito della guerra ne sia fortemente compromesso" 29 In generale, questo argomento dell'azione anfibia nemica era sempre considerato: nel 1894 il Bagini valutava la consistenza del corpo di spedizione in 60.000 uomini, il Bettolo nel 1895 a 70.000-80.000, il Bonamico a 4 corpi d'armata quando la difesa ne schierava due, scaglionati da Livorno a Napoli. Così stando le cose, ancora una volta l'optimum sarebbe stato un accordo concreto per ottenere la collaborazione della Marina britannica. Ma questo - scrisse l'addetto navale francese nel novembre 1895 era sempre solamente "il sogno di certi uomini politici italiani", che fantasticavano di trascinare nella lotta la Royal Navy a fronte di ipotetiche minacce russe nell'Asia centrale ai confini dell'India e turche sull'Egitto. Che fosse un sogno veniva confermato nel medesimo novembre 1895 da una lettera del duca di Devonshire, comandante della Mediterranean Fleet, a Salisbury: "Se l'Italia fosse nostra alleata, dovebbe essere preparata a difendere i suoi porti. Noi non potremmo prevedere la sorveglianza della nostra flotta da ogni parte per una difesa locale dei porti italiani. Noi non potremmo farlo per i nostri propri porti, molto meno per quelli di un'altra potenza. L'Italia potrebbe essere di grande utilità per noi se proteggesse le sue proprie acque e sorvegliasse la flotta di Tolone, e sarebbe nel suo interesse farlo, trattandosi della sola opportunità che può avere per cercare di liberarsi dalla minaccia della Francia sulle sue coste attraverso la disfatta della marina francese" 30 . Il 20 novembre 1895 il Ministero degli Esteri preparò un documento riservato che riportava opinioni espresse da esponenti del governo tedesco sulle condizioni militari italiane 3 1. 29

AUSMM, busta 153, fase. 4. Léon a ministro della Marina, 30 novembre 1895, AMF, BB 7, busta 86; Devonshire a Salisbury, 19 novembre 1895, PRO, Admiralty, 116, 3089. 31 Il generale Ricotti lo ricevette in via privata dal barone Alberto Blanc, ministro degli Esteri del passato governo Crispi, nella seconda metà del marzo 1896. Il documento venne fatto conoscere al generale Saletta, come vi è annotato sopra, con lettera del Ministero del 13 giugno 1902. AUSSME, F 4, OrdinamenlO e mobilitazione, R 11 . 30 Le


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"Si considera imprudente e dannoso nelle circostanze attuali toccare all'ordinamento dell'esercito oramai costituitosi in 12 corpi; ma si crede che potrebbero e dovrebbero almeno rientrare nei 12 corpi in un modo qualunque, e non più fare per così dire un 13° e un 14° corpo di fanteria, i 7 battaglioni di alpini ed i 12 battaglioni di bersaglieri (sul documento Ricotti corresse "reggimenti"); oltreché sono ancora in soprappiù ai 12 corpi le 12 batterie di montagna" Da Berlino si temeva che l'Italia non sarebbe stata in grado di fornire la cooperazione promessa, "non avendo abbastanza uomini istruiti per portare le compagnie in guerra a c irca 250 uomini, oltreché non possiamo con 6 squadroni a 145 cavalli per reggimento di cavalleria, avere in guerra 120 cavalli per squadrone. Il rimedio compatibile colle condizioni del nostro bilancio sarebbe stato di portare il numero delle compagnie nei reggimenti da 12 compagnie scheletri a 9 compagnie forti, ed i reggimenti di cavalleria da 6 squadroni a 5, per farne quattro in tempo di guerra. Ma non è forse più tempo. Nella scadenza che ci permetterebbe di denunziare nel maggio la triplice alleanza, le condizioni nostre per ottenere patti migliori saranno assai diverse, osserva il generale Lanza, se le nostre compagnie in pace saranno a 110 uomini anziché a 35, cifra questa che distrugge il morale e l'istruzione non solo dei soldati, ma degli ufficiali" Veniva sconsigliato di sconvolgere l'ordinamento dei distretti, dopo 25 anni dalla loro istituzione, per attribuire la mobilitazione ai reggimenti, creando una confusione che "la situazione europea non permette in questo momento" Mancavano poi sufficienti elementi di conoscenza sul materiale esistente, sulla consistenza del personale di bassa forza istruito; quanto ai comandi, non essendo stati designati i comandanti d'armata, costoro si sarebbero trovati, in caso di nomina improvvisa, impreparati al compito loro affidato, all'oscuro dei mezzi per conseguirlo e senza affiatamento coi loro collaboratori. "In una condizione mi litare che ha dato luogo a sospetti, gli ostacoli che incontra la conciliazione pur possibile del bilancio attuale coli' esistenza di una forza rispettabile, sono difficili a spiegare chiaramente e quella difficoltà stessa impedisce che possa attuarsi l'altra proposta fatta nella ricordata conferenza, che cioè il Ministro degli E steri possa invitare all 'occorrenza gli Stati


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Maggiori germanico ed italiano ad intime e teniche intelligenze per la realtà della impegnata cooperazione. Più gravi che mai sono perciò le preoccupazioni che può cagionare la possibilità di equivoci e di sconcerti militari, che sarebbero disastrosi per ]a politica estera" Un altro motivo di perplessità, nel timore che la cooperazione prevista dalla convenzione militare venisse a soffrirne, veniva dalla eventualità, di cui si era parlato durante l'anno, che un corpo di spedizione italiano potesse essere inviato in Oriente a fianco degli inglesi e degli austriaci. In relazione ad una tale possibilità, Berlino voleva sapere "in guanto tempo si potrebbe eventualmente, in caso di accordi sicuri colle Potenze amiche, imbarcare e spedire all'estero anche un solo corpo d'armata e quanti altri corpi d'armata dovrebbero essere guastati per questo scopo, mettendo probabilmente il paese nel l'impossibilità di mantenere a suo tempo gli obblighi inerenti alle alleanze e alla difesa della patria. Dalla possibilità di una nostra cooperazione con forze di terra in Oriente in caso d'azione austro-inglese dipende la cooperazione navale dell'Inghilterra alla difesa delle nostre coste meridionali. Il problema militare per l'Italia è dunque doppio", e pareva particolarmente censurabile l'idea di mettere mano ad un riordinamento su base regionale che avrebbe provocato disordine per molto tempo. Da qualunque parte la si affrontasse, la questione delle spese militari era piena di spine. Non solo il livello era troppo alto per lo Stato italiano, ma la produttività era modesta, e vi contribuivano anche inconvenienti di natura non finanziaria, come alcunj richiamati nel documento degli Esteri. La realtà italiana rendeva forse inevitabile che l'organizzazione non fosse sufficiente; è possibile che lo stile di governo di Crispi aggravasse una situazione generale troppo complessa per essere gestita personalmente da un premier di 74 anni; i precedenti Ministeri, ad esempio, avevano provveduto a designare i comandi e i tedeschi lo ricordavano bene. Dalla Germania si criticava la scelta di tenere in piedi repartischeletro con l'idea di completarli in caso di bisogno, invece di concentrare le forze esistenti in un numero minore di unità. Ma forse alla base di questo orientamento non c'era soltanto la volontà di "parere e non essere"; forse la strada italiana era obbligata inadeguata, discutibile, ma obbligata - in conseguenza di scelte


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politiche e militari di anni prima, che avevano ritenuto necessario un esercito grande. 33.

PROROGA DEL TRAITATO

Mentre Roma versava in queste ambasce, aggravate dalle notizie dei primi insuccessi africani, a Parigi si cercava in ogni modo di aumentare le truppe disponibili. Il ministro della Guerra Cavaignac lanciò l'idea di trasferire in Francia l'esercito coloniale e di allocarlo nel Gard, alle spalle dello schieramento alpino meridionale. Nel gennaio 1895 i coloniali ivi acquartierati erano passati da 1 a 4 battaglioni e si sarebbe voluto arrivare ad un corpo d'armata. Tra la ferma lunga e l'arrivo in Europa delle forze coloniali, si sperava di poter disporre di un esercito più numeroso e di formare nuovi corpi, il cui numero complessivo oscillava molto nelle valutazioni degli osservatori militari stranieri. Pareva comunque che non vi fossero dubbi su un aumento considerevole dell'esercito francese e su un conseguente rafforzamento anche dell'armata delle Alpi , nella quale altre grandi unità avrebbero potuto affiancare i corpi d' armata XIV e XV. Anche in Francia, peraltro, tra il dire e il fare c'era di mezzo il mare, se più di un anno dopo il generale Coiffé insisteva con lo Stato Maggiore per ottenere la restituzione di due reggimenti del XIV corpo mandati a Nord-Est, e pregava di averli almeno durante l' estate, quando i colli diventavano praticabili e un attacco italiano più pericoloso 32 . In Africa, nel frattempo, le cose andavano male. In primavera Baratieri aveva chiesto un piano d' azione preciso e rinforzi adeguati per attuarlo, ma gli fu risposto che non avrebbe avuto né altre risorse finanziarie né altri uomini, tuttavia non poteva ritirarsi né da Kassala né da Adua per motivi di prestigio. Dinanzi a lui, in una imprevista reazione unitaria all'occupazione italiana del Tigrè, i capi etiopici stavano radunando un esercito 1O volte più numeroso. Il conte Antonelli, che aveva vissuto 1O anni in Abissinia, spiegò inutilmente che non si poteva vincere. Il governo insistette perché si andasse avanti: due grossi eserciti mossero contro le for32

Vedi i rapporti del Panizzardi del gennaio 1895, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R I I, e la corrispondenza del generale Coiffé sino al maggio successivo, AEF, 7 N, busta 1865.


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ze italiane, cui si aggiunsero scarse truppe poco addestrate. A novembre ebbero inizio le ostilità, a dicembre gli etiopici vinsero ali' Amba Alagi, a gennaio si arrese il forte di Makallé e Menelik inviò proposte di pace che Crispi ebbe cura di vanificare controproponendo condizioni assurde. Così il 1° marzo 1896, nel disastro di Adua, morirono più italiani che in qualsiasi battaglia del Risorgimento; la calunnia che i soldati non si fossero battuti fu smentita dall'addetto militare britannico che era in Eritrea e scrisse a Londra che essi costituivano "un ottimo materiale umano, non inferiore alle migliori truppe di qualsiasi paese d'Europa", ma che il loro comandante aveva sbagliato tutto. E anche in Francia, dove pure qualche ironia della stampa era stata inevitabile, il generale Coiffé riconobbe pienamente lo sfortunato valore dei soldati italiani, in occasione di una conferenza pubblica che tenne nel mese di ottobre. Si diffuse nel paese un'atmosfera fosca; gli anticolonialisti settentrionali erano contro i colonialisti meridionali. Il peso delle spese militari schiacciava la debole struttura sociale, rendendo sempre più intollerabile la povertà. Accentuata dalla recessione, la miseria colpiva strati sempre più vasti della popolazione, con impatti pesanti sulle condizioni di vita e sul flusso migratorio; di lì alla fine del secolo il malessere sarebbe divenuto sempre più pronunciato, sfociando in agitazioni sociali, disordini, repressioni. Il panorama era così negativo che perfino gli alleati triplicisti, che in altre occasioni avevano criticato l'inadeguatezza degli sforzi italiani, fecero capire che sarebbe stato meglio abbandonare l'Africa ed accontentarsi di un esercito più ridotto. Ma quando il ministro della guerra Ricotti propose di ridurre l'esercito da 12 corpi d'armata a 8, Umberto I non volle sentire ragioni: il Re non si rendeva conto che l'insistenza su linee di spesa insostenibili conduceva al disastro sociale 33 . Anche il Capo di S.M. si dimise, contestando l'indebolimento delJ'esercito; nel mese di giugno al posto del Primerano subentrò 33

E neanche la Regina, che "faceva fuoco e fiamme per la rivincita africana", criticata per questo dal ministro della Marina, Gabriele, Brin, cit., p. 136. Per quanto precede, vedi Mack Smith, cit., pp. 155-67. L' infonnazione relativa al generale Coìffé è nel rapporto del Panizzardi del 21 ottobre 1896, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 11.


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il tenente generale Tancredi Saletta, primo Capo di Stato Maggiore piemontese dopo due di origine meridionale. Intanto di Rudinì aveva formato il suo secondo governo, cui senza soluzioni di continuità sarebbero seguiti il terzo (luglio 1896), il quarto (dicembre 1897) e il quinto (giugno 1898). La prima volta che di Rudinì era succeduto a Crispi nel 1891, aveva cercato con varia fortuna buoni rapporti con Inghilterra e Francia, pur rinnovando l'alleanza triplicista con un anno di anticipo sulla scadenza. Ereditava ora, nel 1896, un'Italia diminuita dallo scacco africano, percorsa da agitazioni, in difficoltà finanziarie e con pochi amici. Restii gli alleati ad impegnarsi troppo con l'Italia, la Francia era ostile e la nuova dottrina dell'Ammiragliato nel Mediterraneo allontanava Londra da Roma nella misura in cui l'avvicinava a Parigi. In quei frangenti, il governo italiano doveva farsi dimenticare come aggressore sfortunato, rimettere in ordine le cose di casa, mostrare ragionevolezza e modestia. In Mediterraneo, infatti, c'erano delle novità. Nel marzo 1892 i capi dei servizi d'informazione militare e navale avevano consigliato a Salisbury una nuova politica d'intesa con la Francia per tener fuori i russi da Costantinopoli, o l'alternativa di distruggere la flotta francese. La nuova dottrina non piaceva né a Salisbury, né al Foreign Office, ma dopo anni di insistenze dei mj)itari, venne adottata nei primi mesi del 1896. La base primaria della Mediterranean Fleet si trasferiva da Malta ad Alessandria per coprire Suez e difendere gli interessi britannici nel bacino orientale, lasciando ai francesi il bacino occidentale. L'operazione esigeva rapporti buoni con i francesi, non con gli italiani, e i britannici lasciarono cadere di fatto gli accordi del 1887, ormai superati dall'evoluzione in corso 34. Ritorni di fiamma, come l'improvvisa tensione per Fashoda, furono episodi passeggeri, forse anche perché, sullo sfondo, si delineava la nuova politica navale germanica. L' 11 aprile 1896 l'ambasciata italiana di Berlino segnalò che "l'Impero è sulla via di diventare una formidabile potenza marittima": ben presto, nel 34

E. Serra, L'Italia e la grande svolta della politica inglese nel Mediterraneo ( 1895-1896), in Rivista di Studi politici internazionai, XXXIII (1966), 3; Id., Ammiragliato britannico e politica estera alla fine del XIX secolo, supplemento della Rivista Marittima, luglio 2000.


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giugno 1897, il nuovo ministro della Marina von Tirpitz avrebbe lanciato un primo manifesto contro il potere marittimo britannico, cui sarebbe seguita la legge navale del 1898. Incominciava così nel corso degli anni '90 quel processo di avvicinamento graduale tra Londra e Parigi che avrebbe condotto - malgrado la violenta, ma breve crisi di Fashoda - alla "cordiale intesa". Tale ordine di problemi incise anche sulle trattative avviate dal governo italiano con gli alleati nella primavera 1896, al fine di prorogare il terzo trattato della Triplice_ Roma chiese una "dichiarazione ministeriale" comune intesa a confermare la vecchia garanzia del 1882 che il patto non potesse assumere un carattere antinglese, ma Berlino argomentò che era superflua perché l' alleanza era difensiva erga omnes, non solo nei confronti di Francia e Russia. L'Italia dovette accettare, ma chiarì bene di non essere assolutamente in grado di affrontare una guerra marittima contro Francia e Inghilterra riunite 35 . Con questa riserva unilaterale, il trattato fu prorogato per altri 6 anni, ma il problema della difesa marittima italiana era serio e se ne videro le ricadute nella distribuzione delle spese tra Esercito e Marina nei bilanci seguenti. La spesa militare complessiva diminuì costantemente sino alla fine del secolo, ma le economie ricaddero solo sulla quota dell'Esercito, mentre per la Marina le uscite si mantennero al livello che avevano. Influirono motivi positivi e negativi: in positivo, l'esito favorevole delle manovre navali del 1896 e la questione di Creta, dove iniziò nel maggio una lunga presenza che segnò un recupero di credibilità internazionale per l'Italia, cui venne conferita la presidenza del Comitato Ammiragli nella persona di Napoleone Canevaro; in negativo, la svolta della politica britannica in Mediterraneo che allontanava la speranza di avere la Royal Navy al fianco contro i francesi; inoltre circolò la notizia che una squadra russa sarebbe stata basata a Biserta o ad Ajaccio. 35 L'ambasciatore austro-ungarico a Berlino lo comunicò al ministro degli Esteri Golukowski in questi inequivocabili termini: "I ministri italiani ... non hanno voluto fare a meno di riconoscere sinceramente che l'Italia, per la sua posizione geografica e particolarmente per la lunghezza della sua costa estesa nel Mediterraneo non potrebbe sostenere in maritima la lotta contemporanea contro i due importantissimi avversari"


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Per un motivo o per l'altro, la situazione mj1itare del Regno non sarebbe migliorata negli anni di fine secolo_ Invece di concentrare in un numero minore di grandi unità il personale, sciogliendo un certo numero di reparti - l'idea per 1a quale era stato giubilato Ricotti - si preferì mantenerli nominalmente, applicando espedienti che non riscuotevano l'entusiasmo dei tedeschi. E se Ricotti ad un certo momento aveva pensato di costituire i battaglioni su 3 compagnie invece di 4, i suoi successori si spinsero abbastanza avanti su1la via dei reparti-ossatura, e il generale Pelloux, ministro della Guerra nel terzo gabinetto di Rudinì , mantenne le compagnie, ma a ranghi ridotti, da 30 a 50 uomini 36. Qualche giorno dopo la nomina di questo governo, il presidente del Consiglio chiamò Emilio Visconti Venosta al Ministero degli Esteri. Non era uomo da avventure; cauto, equilibrato, prudente, si definiva più adatto a suonare il violino che il flauto 37 . Ne1la nuova situazione internazionale, aprì a rapporti meno tesi con la Francia e questa volta raccolse una risposta positiva. Il 28 settembre venne firmato un accordo integrativo sullo statuto degli italiani in Tunisia; poi fu costituita una commissione italo-francese per esaminare i problemi del trattato di navigazione, lavoro destinato a propiziare il trattato commerciale del novembre 1898 che poneva fine a 1O anni di guerra doganale. Consapevole dei limiti del Paese, Visconti Venosta era un convinto e convincente assertore di pace, gestendo in maniera intransigente, ma senza impazienze e toni gladiatori, gli interessi e la dignità del Paese. Anche in Francia, dove l'intesa con la Russia era perseguita con decisione 38 , il nuovo stile italiano fu apprezzato - altro elemento considerato positivo fu il matrimonio del principe Vittorio Emanuele con una principessa cresciuta alla corte di Pietroburgo - e gradualmente tra Roma e Parigi si 36 AUSSME,

H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 42; F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 60; Mazzetti, cit., pp. 176-79; A. Brugioni, Piani strategici italiani alla vigilia dell'intervento nel primo conflitto mondiale, in Studi storici militari 1984, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio Storico, 1985, p. 282. 37 Chabod, cit., p. 565. 38 Nel I 896 lo zar visitò Parigi e quando l'anno dopo Guglielmo II compì un viaggio a Pietroburgo, subito il presidente francese Faure lo seguì nella capitale russa per sventare ogni tentativo tedesco di recuperare buoni rapporti con l'Impero zarista; nell'agosto 1899 l'alleanza franco-russa fu riconfermata con qualche modifica ai precedenti accordi.


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venne stabilendo un clima che avrebbe reso possibile l'accordo del dicembre 1900 per la Tripolitania e il Marocco. La presenza a palazzo Farnese del nuovo ambasciatore francese Cami11e Barrère, a Roma dal 1897, aiutava molto. 34.

NUOVE IDEE DEL GENERALE SALETTA

Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito riesaminò a fondo la situazione della frontiera nord-occidentale. Era inquieto anche per le economie imposte, quando in tempi di maggior larghezza non si era riusciti a modificare certi vantaggi strutturali fraricesi, specie in tema di fortificazioni e di mobilitazione. Volle approfondire così la conoscenza di ogni tratto del confine per verificare se fosse ancora valida un'impostazione strategica datata a più di 15 anni prima. Come strumento di conoscenza utilizzò molto i viaggi di S.M. che il suo predecessore Primerano aveva fatto eseguire ogni anno, e perfezionò con cura le modalità di conduzione per ottenere informazioni precise e significative su ogni settore della frontiera. Vi s'impegnava personalmente, esaminava le relazioni e i contributi degli ufficiali che avevano partecipato alle ricognizioni, teneva apposite conferenze per inquadrare i problemi nella realtà effettiva, non su programmi soltanto enunciati. Nell'ottobre 1896 il Saletta analizzò i risultati del viaggio dell'anno prima sui confini della contea di Nizza e ne confermò le conclusioni. Il nemico, partendo da una grande base fortificata che arrivava alla frontiera, poteva tentare di attraversare la montagna in due o tre tappe per portare la guerra in pianura; dalla parte italiana le difese erano minori, più arretrate e non scaglionate su grande profondità. Per questi stessi motivi un movimento offensivo italiano avrebbe incontrato maggiori difficoltà. Quanto alla direzione da dare ad un attacco, se l' aiuto della flotta fosse stato molto concreto, lo si sarebbe potuto avviare per la via della Cornice; oppure per via di terra si poteva penetrare nel Nizzardo attraverso la frontiera settentrionale della contea, "se tutti i lavori di preparazione ... fossero compiuti... e le truppe avanzate fossero costituite in divisioni leggere con sufficiente numero di artiglierie da montagna e le divisioni di rincalzo fossero pure alleggerite"; ma se dette condizioni non fossero state soddisfatte, "allora non rima-


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ne che tentare l'offensiva per la linea del Tenda, o per la bassa Roja coll'aiuto della strada Rezzo-Triora-Pigna", subito all'inizio se tutto fosse stato preparato, o agendo in un secondo tempo in controffensiva, compatibilmente con le circostanze. I numerosi dubbi sospensivi dipendevano dall'effettivo miglioramento generale delle comunicazioni, dal completamento dei lavori proposti per sostenere la difesa e l'offesa, da interventi specifici nella valle del Gesso, dall'aumento dell'artiglieria da montagna e del parco d'assedio, dalla trasformazione al someggio delle truppe. Non era poco, però non si poteva lesinare "il tempo e il danaro occorrente", altrimenti non sarebbe servito a nulla che l'Italia avesse "nel primo periodo d'una campagna di guerra, .. .la preponderanza delle forze mobili", le quali soltanto in pianura potevano spiegare compiutamente la loro efficacia 39 . A prima vista tali osservazioni non si discostavano dalle conclusioni di studi precedenti. Ma l'insistenza sulla indispensabilità di condizioni che pure altri avevano indicato; il riferimento al tempo ed al denaro quando proprio tempo e denaro parevano mancare; il richiamo alla necessità di un terreno pianeggiante per poter sfruttare adeguatamente la superiorità di una massa di manovra, avevano il significato di un richiamo severo alla realtà di un difficile teatro bellico. E, benché trattate attraverso la lente di un molto maggiore equilibrio, pareva fossero state tenute presenti anche le riflessioni del colonnello Cardot, che l'addetto militare a Parigi aveva trasmesso cinque anni prima. Il cambiamento intervenne nel 1897. II Saletta riprese in mano la relazione del generale Marselli del 1894 e tutti gli studi connessi ai viaggi di S.M., che sotto la sua direzione avevano esaminato "durante gli anni 1895-96-97 ogni singolo tratto della nostra frontiera occidentale", tenne conto anche di altre informazioni 40 , e compilò una relazione che proponeva di cambiare la strategia. A conclusione dell'ampio documento (175 pagine), trasmesso al Ministero il 3 novembre, .il Capo di S.M. riassumeva i vantaggi dell'assetto difensivo francese: 39 AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R. 59.

°

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Come quelJe trasmesse dal Panizzardi sulle fortificazioni francesi delle Alpi (dicembre I 896) e sui piani di mobilitazione del XV corpo (estate 1897). AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R. 48 e 56.


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"a) Fortificazioni più potenti delle nostre, predisposte in massima ai nodi delle comunicazioni e non distanti dal confine; b) Parchi d'assedio leggeri, pronti su ruote, per eventuali attacchi dei nostri sbarramenti; c) Decisa superiorità in truppe mobili, durante tutto il tempo della nostra mobilitazione, avendo le truppe francesi alla frontiera, fino dal tempo di pace, effettivi più forti dei nostri ed una mobilitazione più rapida; sì da permettere al XIV ed al XV corpo d'armata di entrare in azione al completo nell' 11 ° giorno; d) Artiglierie in complesso assai più potenti delle nostre, tanto per numero quanto per potenza, e specialmente poi pei mezzi esplosivi; e) Una rete stradale, opportunamente preparata tanto per la difensiva, quanto per l'offensiva" Ciò aveva un effetto permanente, poiché le truppe mobili del nemico ne avrebbero potuto ricavare "un più forte appoggio nena loro offensiva, una maggior tenacità alla loro difensiva". La superiorità dell'artiglieria sarebbe stata "un fattore costante e sicuro di superiorità... di importanza capitale" La preponderanza di truppe mobili alla frontiera, pur se temporanea, era sufficiente per sferrare un ' offensiva che, togliendo agli italiani "l'iniziativa delle operazioni, potrebbe anche acquistare valore decisivo" L'Esercito italiano poteva contrapporre: "a) Una maggior quantità di forze mobili e quindi la possibilità di una nostra offensiva strategica, a condizione però che siasi potuta compiere la nostra mobilitazione, e che la Francia non impieghi sul nostro teatro di guerra altre truppe oltre quelle della XIV e XV regione; b) La possibilità di sviluppare, in una nostra difensiva generale, forze in quantità maggiore di quelle che potrebbe sviluppare il nemico, se colto opportunamente allo sbocco delle nostre vallate, mentre le sue colonne saranno ancora impegnate nelle medesime e le nostre forze saranno già schierate e pronte per l'azione" Appariva fondamentale che la mobilitazione italiana potesse compiersi regolarmente, senza dover inviare in prima linea, durante il suo svolgimento, "una tale quantità di forze mobili che rimanga indebolita o disorganizzata la costruzione delle grandi unità, prima ancora che siano completate" E fatalmente questo sarebbe accaduto se 8 divisioni permanenti, "metà delle forze mobili destinate alla


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frontiera occidentale", si fossero trovate impegnate fin da principio "nelle peggiori condizioni che si possono dare per una truppa, e cioè quando non è ancora completamente costituita nelle sue unità di guerra, quando è deficiente nei vari servizi ed in terreni nei quali si troverà nell'impossibilità, quasi assoluta, di valersi delle proprie artiglierie campali. Si aggiunga che pel relativo ritardo nella radunata delle unità di milizia mobile e dei corpi armati non di frontiera, e specialmente poi per l'enorme estensione deJlo schieramento, non vi sarà la possibilità di eseguire i concentramenti opportuni neppure per far fronte all'invasione nemica, con truppe riunite, agli sbocchi delle valli od in posizioni acconcie in pianura; tanto meno poi manovrare per linee interne nella zona montana" 41 . Proponeva quindi una nuova organizzazione de]l' assetto difensivo alla frontiera occidentale, dislocandovi all'inizio solo truppe leggere (alpini, bersaglieri, artiglieria da montagna) e migliorando i servizi di informazione ed esplorazione. Una volta compiuta una serie di lavori necessari 42, le truppe di prima linea non dovevano resistere a oltranza, ma assicurare solo una tenace difesa preliminare, avvalendosi del terreno e degli ostacoli predisposti e ricorrendo ai rincalzi esclusivamente in via eccezionale. "Intanto il grosso dell'esercito, tenuto all'infuori della zona montana durante la mobilitazione, potrà, terminata questa, essere disponibile, sia per una offensiva strategica, sia per una difensiva attiva agli sbocchi delle valli, oppure anche per una difensiva tenace nella zona montana, quando sia ancora possibile ed opportuna" Faceva notare ancora che il Comandante in capo doveva avere il potere di modificare la distribuzione dei corpi nelle armate; e anticipava, a titolo d'esempio, che conveniva ripartire il fronte in tre settori (settentrionale, da cui due linee d'operazione convergevano 41 42

AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 1. Si trattava di interventi limitati come numero, per interruzioni stradali

(5), sistemazioni sbarramenti (2), appostamenti (2), una caserma e il tronco stradale Dolceacqua-Trucco, di cui si parlava da molto tempo. Era invece significativo il potenziamento richiesto per l' artiglieria: 40 nuove bocche da fuoco in val d'Aosta; 38 al Moncenisio; rafforzamento e sostituzioni con calibri maggiorati nelle vaJli della Dora Riparia e del Chisone; 54 nuovi cannoni nelle valli di Maira, Vraita e Stura, più artiglieria campale nella regione del Mulo; 14 in val di Gesso; batterie per sbarrare la strada della Cornice, il nuovo tronco stradale da costruire e lo sbocco della val di Nervia.


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dal Piccolo S. Bernardo e dal Moncenisio sulla Savoia; centrale, caratterizzato dalle direttrici che dal Monginevro e dall' Argentera tendevano al Delfinato; meridionale, dove dal Tenda e dalla Cornice si mirava al Nizzardo), a ciascuno dei quali destinare un'armata formata da un corpo d'armata e da due divisioni. Queste unità sarebbero state sufficienti di fronte a11e forze della 14a e lY regione, ipotesi che era alla base del discorso. Ammoniva infine: "Lo affidarsi all'idea che il nemico non si valga della superiorità di mezzi che possiede durante la nostra mobilitazione, ma ci lasci compiere questa tranquillamente, è un esporsi volontariamente ad una illusione rischiosa, che potrebbe compromettere anche le sorti del nostro paese. Ed una illusione assai pericolosa potrebbe pur essere quella di credere che il valore delle nostre truppe basti a superare il periodo di crisi, tanto svantaggioso, della nostra mobilitazione" 43 . Il ministro della Guerra Pelloux rispose il 5 dicembre, chiedendo una serie di chiarimenti che mal nascondevano la perplessità e la riluttanza a modificare così profondamente l'impostazione strategica. Qualche giorno dopo però, nel quarto gabinetto di Rudinì, gli successe il tenente generale Alessandro Asinari di San Marzano, al quale il Saletta indirizzò una lunga lettera, il 24 dicembre 1897, a chiarimento del suo pensiero e riconferma della linea portante della nuova filosofia operativa che proponeva. Il concetto della resistenza ad oltranza nella zona montana discendeva dal piano concretato dal Comitato di Stato Maggiore Generale tra il 1881 e il 1883, ma il Saletta, riprendendo in mano i lavori di quel Comitato, dimostrava che anche allora non si era pretesa una resistenza avanzatissima sulla linea del confine, ma su posizioni "relativamente arretrate" più difendibili. E dalla relazione del Marselli sul viaggio di S.M. del 1894 citava: "se veramente le nostre artiglierie fossero, in un duello con quelle avversarie, condannate a soccombere per riconosciuta inferiorità, allora sarebbe meglio avere il coraggio di abbandonare le opere più avanzate più esposte e dominate, costituire più indietro i nuclei centrali della nostra difesa, ed affidarsi, per l'offensiva, ali' audacia delle truppe mobili ed agli accidenti del terreno". Il viaggio del 1897 era pervenuto ad affermare la rinuncia ad una offensiva dal Monginevro e ad evidenziare che il problema ge43 AUSSME,

G 23, Scacchiere occidentale, R I.


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nerale della difesa alpina andava affrontato "in tutta la sua interezza ed in tutte le sue conseguenze, anziché seguire il sistema dei ripieghi, i quali se migliorano, non sanano la situazione presente; e se possono ritenersi io armonia cogli stretti limiti della nostra potenzialità finanziaria, possono non corrispondere alle esigenze della nostra difesa" Proponeva quindi l'abbandono della linea di cresta nelle conche di Cesana e di Bardonecchia e di altre opere troppo avanzate del settore centrale. Come zona di raccolta e di resistenza veniva scelta Oulx, dove era necessario costruire delle fortificazioni, fermo restando che "la vera linea di resistenza insormontabile delle due valJi di Dora e Chisone dovrà ancora cercarsi nella linea Exilles-Assietta-Fenestrelle", da rafforzare. Al Moncenisio bisognava creare un nuovo più potente sbarramento di artiglieria e truppe mobili; una volta realizzato, si potevano abbandonare i forti più avanzati. In val d' Aosta non conveniva munire, a ridosso della frontiera, il monte Bel vedere, che l'avversario poteva prepararsi a battere fin dal tempo di pace, ma era opportuno costruire lo sbarramento avanzato a Pré St. Didier, ad una ventina di km dal confine, ed eventualmente sostenerlo con "un'altra opera in prossimità di M. Colmet" Il Saletta prendeva atto dell'affermazione ministeriale, secondo la quale l'inferiorità dell'artiglieria italiana "può sparire tra qualche anno, e certamente assai prima che sia ultimato l'assetto della frontiera" e si augurava che fosse così, ma intanto faceva notare che lo Stato Maggiore doveva fondarsi "sulle condizioni di potenza attuale delle artiglierie, non su quelle che, per avventura, saranno migliori nell'avvenire" . Le riserve sulla futura palingenesi non potevano essere più chiare. Le forze mobili di difesa avanzata, che secondo il Ministero dovevano "ritirarsi appena attaccate seriamente", andavano considerate - secondo la definizione del generale Cosenz - "truppe di sorveglianza" le quali, poco numerose, avevano il compito di "stendere sulla linea di confine una linea di osservazione e di eventuale resistenza". E faceva rilevare che "il non impegnarsi a fondo davanti a forze soverchianti, non significa... procurare al nemico il vanto di facili successi, ma bensì impedire tale eventualità" L'Alto Comando - diceva infine la lettera - non ignorava che le Alpi erano state strenuamente difese dai piemontesi nei secoli passati, né dubitava che tale difesa sarebbe stata "fatta con pari eroismo dal soldato italiano, come prove di fatto indubbie fanno sperare e credere. Ma questo elemento, eroismo del soldato, non basta da solo per


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vincere, come, purtroppo, insegna la nostra storia: occorre preparare anche gli altri elementi perché esso si affermi nella vittoria" E avvertiva: "I fattori morali in guerra hanno grandissima importanza; ma non sono ponderabili negli studi positivi del tempo di pace" 44. 35. LE COMMISSIONI DI STUDIO PRESIEDUTE DAL PRINCIPE DI NAPOLI Le questioni emerse dai viaggi di Stato Maggiore e la presa di posizione del generale Saletta provocarono la nomina di diverse Commissioni, tutte presiedute dall'erede al trono, tenente generale Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli. Il Ministero della Guerra istituì per prima, il 21 novembre 1898, la Commissione speciale di difesa, di cui fecero parte il Capo di S.M. dell'Esercito e i comandanti designati d'armata. Lavorò dal 18 dicembre 1898 all'll gennaio 1899, dedicandosi all'esame dei problemi connessi all'assetto difensivo della frontiera nord-occidentale ed alla radunata dell'esercito. In val d'Aosta fu giudicata prioritaria la costruzione dello sbarramento di Testa d' Arpy, vicino a Pré St. Didier, e ne fu aggiunto un altro, minore, a St. Nico]as in val Grisanche. Prendendo in considerazione il fronte centrale dal Moncenisio alla Stura, fu riconosciuta la massima urgenza alle batterie corazzate da insediare al Paradiso ed al forte Roccia; i previsti interventi a Susa potevano andare più in là, mentre nelle altre valli era necessario rafforzare lo schieramento d'artiglieria e predisporre appostamenti; a Vinadio bisognava sistemare una batteria corazzata. Fin qui la Commissione aveva accolto i suggerimenti del generale Saletta, ma sulla scelta della linea difensiva nelle conche di Cesana e di Bardonecchia se ne discostò nettamente. L'ex ministro della Guerra Pelloux dichiarò che non era possibile, politicamente parlando, dire al Parlamento che si era sbagliata strada e che le difese tanto costate non si potevano tenere; inoltre, dal punto di vista militare, era impensabile cedere ai francesi, che ne avrebbero fatto la base delle loro operazioni contro l'Italia, la piattaforma di partenza dell'offensiva contro Briançon. Fu quindi stabilito che in corrispondenza delle due conche "si debba mantenere la linea avanzata", impegnandovi ulteriori lavori, pur senza escludere la necessità di rinforzare anche una linea più arretrata. 44 AUSSME,

F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 59.


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Nel settore meridionale fu confermato lo sbarramento della valle del Gesso; e si decise di occupare il contrafforte tra la Roja e la Nervia per coprire la Riviera. Per il resto, vennero suggerite alcune difese permanenti verso la Svizzera, al Sempione ed al Gran S. Bernardo. In pianura erano da fortificare le colline intorno a Casale, abbandonando la vecchia piazzaforte di Alessandria. In Sardegna, il campo trincerato di Ozieri venne bocciato, ritenendosi sufficiente qualche opera minore e artiglieria da campagna. In tema di mobilitazione, si parti dal presupposto che il nemico avrebbe schierato soltanto le truppe della 143 e 153 regione, ma che avrebbe mantenuto sul confine una forza maggiore sul piede di pace e avrebbe potuto contare su di una radunata più rapida. Di conseguenza Saletta previde che nel 1° giorno di mobilitazione i francesi avrebbero avuto la superiorità numerica su quasi tutta la frontiera, salvo che dalla Marta al mare; questo si sarebbe ripetuto dal 4° al 12° giorno nel settore centrale, dalla Dora Riparia al Pellice; dal 13° giorno la superiorità sarebbe passata agli italiani. Gli stessi componenti, più l'ammiraglio capo dell'Ufficio di S.M. della Marina e il presidente del Consiglio Superiore di Marina, fecero parte di una seconda Commissione, nominata il 17 marzo 1899 col mandato di studiare l'assetto difensivo della frontiera di Nord-Est e dell'Adriatico. Questo rinnovato interesse per un teatro nel quale possibile antagonista era una potenza alleata da 17 anni coincise con una certa ripresa dell'irredentismo e il miglioramento dei rapporti con la Francia. La Commissione suprema mista per la difesa dello Stato fu chiamata a operare il 19 luglio 1899. Come in precedenti, analoghe occasioni, essa riuniva gli esponenti più elevati delle Forze Armate di terra e di mare per trattare la preparazione della difesa terrestre e marittima. Acquisì le carte dei consessi che avevano indicato nel passato gli orientamenti di lungo periodo della politica militare. Nel giudicare i lavori della sessione, che rispetto a quei precedenti possono parere meno rilevanti, è opportuno tener presente quali incertezze venivano dal Paese, in piena crisi sociale e parlamentare, tra il fallito attentato a Re Umberto del 1897 e quello che lo uccise nel 1900. Le conclusioni della Commissione suprema e delle altre non furono considerate meno fondamentali e vincolanti di quelle delle sessioni precedenti, tanto che "gli stu-


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di che nei viaggi di stato maggiore furono compiuti posteriormente ai deliberati della Commissione anzidetta (dal 1901 in poi), si svolsero sempre tenendo presenti i deliberati stessi e ad essi informando le ricognizioni, in modo che queste riuscissero una efficace preparazione alla attuazione di quelle" E, a cascata, altri collegi di studio furono chiamati ad operare su temi particolari, come la Sottocommissione centrale mista per la difesa delle piazze marittime, che lavorò dall'ottobre 1900 al febbraio 1901 sotto la presidenza dell'ammiraglio Carlo Mirabello. Incertezze e contrasti, aggravati dalla scarsità di risorse, c'erano anche in campo militare. L'impostazione della difesa alpina non convinceva il Capo di S.M. dell'Esercito ed altri generali, come Marazzi e de Chaurand, erano d'accordo con lui, ma a sua volta il Saletta non convinceva completamente altri esponenti militari, come si era visto durante i lavori della Commissione speciale di difesa. Venne deciso un programma di fortificazioni, ma intervennero ripensamenti e ritardi in sede di realizzazione. A Bardonecchia proseguirono i lavori iniziati nel 1895 per le batterie del monte Jafferau, ma quelli relativi alla batteria Pramand, incominciati nel 1901, furono subito fermati dopo una spesa di 12.000 lire; pure nel 1901 cominciarono i lavori allo Chaberton, che dovevano munire Cesana, e proseguirono malgrado il parere contrario del Capo di Stato Maggiore, ma al Moncenisio quelli del Paradiso vennero fermati benché vi si fosse già investito poco meno di 1 milione; così dei lavori iniziati nel 1902, quelli per le batterie di Sampeyre nella val Vraita sarebbero andati avanti, quelli nella val d'Aosta sospesi, dopo aver speso 16.000 lire a Testa d' Arpy e 8.000 a La Balme: eppure le manovre del 1899 avevano supposto che il nemico avesse superato Bard ed occupato Ivrea, per cui il 1° corpo d'armata si era dovuto concentrare a Chivasso 45. 45

"Unica importante eccezione alla perfetta concordanza fra le proposte del Capo di Stato Maggiore e i deliberati delle superiori Commissioni di difesa si ebbe in ciò che riguarda la batteria dello Chaberton sulla linea del Monginevra, la quale fu deliberata in opposizione al parere del Capo di stato maggiore dell'esercito, parere che non è mutato neppure oggi a parecchi anni di distanza, e dopo che la batteria è pressoché ultimata. Il Capo di stato maggiore motivò allora il suo contrario avviso con la considerazione che quella posizione, come caposaldo di difesa, era troppo avanzata rispetto al confine e, nei riguardi offensivi, pur avendo una grande importanza in appoggio ad operazioni tendenti


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LA QUESTIONE SVIZZERA

Di ritorno da un viaggio nella Confederazione elvetica, il tenente colonnello Panizzardi scriveva, il 24 giugno 1896: "ci fu da noi qualche scrittore politico-militare che pubblicò alcuni articoli sull'azione nostra di conserva colla Germania in caso di guerra, ai quali si diede in Svizzera un'importanza soverchia sì da indurre il consiglio federale a prendere subito i provvedimenti per impedire che una nostra armata attraversasse il territorio della Svizzera per dare la mano all'esercito tedesco . La persona che spiegava con questi argomenti il fatto di aver fortificato soltanto la frontiera meridionale della Svizzera soggiungeva: se a quell'epoca le fer-

rovie austriache ci avessero informato, come fecero in seguito, che l'Italia provvedeva al trasporto delle proprie truppe in Germania per la via del Brennero, noi non avremmo speso un capitale così ingente per fortificare il Gottardo creando ciò che ci ostiniamo a chiamare il nostro ridotto, mentre il posto vero del ridotto centrale della difesa della Svizzera sarebbe ed è tuttora altrove. Le fortificazioni svizzere verso la frontiera italiana vennero dunque costrutte perché a quel momento, a torto od a ragione, così venne giudicata la situazione. Scartata infatti l'eventualità che la Germania e l'Austria avessero un interesse diretto a violare la neutralità della Svizzera, perché alla prima non conveniva di scegliere come linea d'invasione della Francia quella attraverso il territorio della Confederazione, ed alla seconda perché più specialmente chiamata ad agire sulla frontiera russa, rimanevano in

alla presa della piazza di Briançon, avrebbe richiesto per un tale obiettivo il concorso per parte nostra di larghi mezzi non in armonia alle nostre deficienze, particolarmente finanziarie, tenuto conto del numero e della potenza delle bocche da fuoco che armano o che potevano armare le posizioni fortificate francesi che proteggono la piazza suddetta. E infatti, non appena da noi fu occupato lo Chaberton, i francesi diedero alle loro fortificazioni tale enorme sviluppo su quel tratto di frontiera, con metodi di protezione così perfetti, da frustrare quasi anche la possibile azione offensiva che dalla posizione dello Chaberton potrebbesi esplicare", Sunto degli studi compiuti e dell'azione esplicata dal Comando del Corpo di Stato Maggiore per la difesa permanente dello Stato dal 1906 ad oggi, 1° gennaio 1908, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 116; F 9, Commissione di Difesa, R l ; G 23, Scacchiere occidentale, R I; AUSMM, busta 165, fase. 4.


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campo due sole eventualità più probabili: la violazione della neutralità da parte della Francia per ripetere l'invasione della Germania con manovre analoghe eseguite in altri tempi, e la violazione dell'Italia per dar mano alle forze tedesche. Fra queste due eventualità quella che fu giudicata più pericolosa (e) più probabile è quella che precisamente a noi si riferisce, alla stessa guisa, essi dicono, che se la Francia fosse stata alleata dell'Austria si sarebbe invece pensato a fortificare la frontiera orientale ed occidentale e non la meridionale ... Che poi verso la Francia, per quanto si fosse abbandonata l' idea di fortificare la frontiera per ragioni finanziarie, visto che una minaccia da quella parte era considerata meno probabile che non dalla parte dell'Italia, l'elemento militare abbia avuto sempre presente che conveniva tuttavia provvedere in qualche modo alla difesa di quella frontiera, basti ricordare quanto avevo l'onore di riferire in un mio precedente rapporto sul sistema di inondazione tendente ad arrestare un'invasione proveniente dalla Francia" 46 . La Convenzione militare del 1888 si basava, come noto, sul trasferimento in Alsazia della III armata italiana. Suo compito era, in caso di guerra fortunata, di costituire una riserva dell'ala sinistra tedesca e fornire le truppe per l'accerchiamento e l'assalto di Épinal e Belfort, "quando il movimento in avanti sia già pronunciato, e si sia riusciti a sboccare dall'apertura di Belfort"; in caso di guerra sfortunata, difendere la linea del Reno tra Schliengen e Strasburgo per consentire alle truppe tedesche di ripiegare oltre il fiume e poi, se necessario, "manovrare attraverso la Foresta Nera e l'alto Danubio, fino a raggiungere sulla destra dell'Iller, tra la fortezza di Ulm e le montagne del Tirolo, una nuova linea destinata a coprire validamente le comunicazioni e la ritirata verso l'Italia". Così recava il rapporto del 5 maggio 1896, conservato nell'ararmata, ma dopo 16 giorni fu introdotta una terza alchivio della ternativa, quella della situazione incerta, nella quale le forze italiane avrebbero concorso "con unità staccate" alle operazioni tedesche verso i Vosgi e presidiato col grosso i ponti sul Reno "in attesa degli avvenimenti" Anche la strategia prevista per l'andamento negativo cambiò: non più una previsione di ritirata così profonda come pri-

m

46 AUSSME,

G 29, Addetti militari. Francia, R 11 .


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ma, ma solo l'abbandono della striscia di terreno pianeggiante tra il fiume e i Vosgi e resistenza sulla riva destra del Reno fra Strasburgo e Breisach. Infine, in una situazione "decisamente favorevole ali' avanzata", con le truppe tedesche già padrone dei Vosgi, gli italiani avrebbero investito Épinal o Belfort. Altri studi trattarono argomenti particolari, come la dislocazione iniziale, lo spiegamento tra Molsheim e Colmar per muovere verso la Tronée della Mosella, gli itinerari della marcia su Belfort, lo schieramento difensivo sulla destra del Reno 47 . Però, il primo problema era di arrivarci, sul Reno. Si continuava a perfezionare la logistica: nell'ottobre 1896 i tempi di viaggio furono accorciati di un giorno, nel maggio 1898 Vienna concesse un aumento di 30 convogli per trasportare il materiale, il 5 novembre 1900 venne fissata la base di rifornimento nella Germania meridionale. Ma su tutti questi accordi continuava a pesare la spada di Damocle della neutralità austriaca di fronte a un conflitto limitato all'Europa occidentale, che conferiva al piano strategico italiano un carattere di volatilità assai negativo. Per questo Saletta rispolverò la 2a ipotesi e in uno studio del 1898 fornì indicazioni precise. Schlieffen dapprima era contrario, poi, a fine anno, si disse d'accordo, ma le difficoltà esistenti e i tempi da preventivare lo facevano dubitare dell'utilità reale dell'intervento italiano in Alsazia. Tenendo conto degli esiti dei viaggi di Stato Maggiore e delle manovre sulla carta, il Saletta volle approfondire anche le possibilità di un'azione che - per il Vallese-Faucigny-Chiablese - portasse la III armata a sbucare sulla sinistra della linea principale francese Grenoble-Albertville, da dove si poteva puntare verso Belfort; ma le manovre dimostrarono la impossibilità di avanzare attraverso la Svizzera occidentale. E questo era tanto vero che nelle lezioni alla Scuola di guerra francese del 1902 si considerò "poco verosimile" che il nemico - ossia gli italiani - si avventurasse nell'alta Savoia. L'ipotesi di attacco venne allora trasferita più ad Est, immaginando di occupare in 13 giorni Canton Ticino, Monteceneri e Bellinzona, penetrando dalla Valtellina - per la regione dello Spluga, del Maloia e del Bernina - in direzione della conca di Coira e del 47

Sunto degli studi e proposte fatte dal Generale Osio (già designato quale Capo di Stato Maggiore dell'Armata), per incarico del Generale Pelloux, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 43.


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lago di Costanza; la linea elvetica di resistenza Eglisau-Zurigo sarebbe stata aggirata da Ovest. "Fu messa in evidenza la quantità grandissima dei mezzi occorrenti e la difficoltà di farli giungere dove dovevano essere impiegati". La riunione con i tedeschi, che non prevedevano di muoversi, era ipotizzata intorno al 42° giorno dalla mobilitazione; e poiché non si trattava di occupare, ma soltanto di passare, non sarebbero rimaste aperte vie di collegamento con l'Italia. Questo piano, per la verità, presentava soprattutto i connotati di un'avventura, con molte probabilità di esaurirsi in un lungo contrasto italo-svizzero invece che italo-francese. Non.intervenendo i tedeschi - e dal loro punto di vista si capiva che non volevano disperdere forze - la Ili armata rischiava di trovarsi davanti tutto l'esercito svizzero, che ad un certo momento poteva diventare preponderante. Non solo. Un'invasione italiana poteva saldare sul campo un'intesa militare franco-svizzera con imprevedibili conseguenze; l'Allgemeine Zeitung del 23 gennaio 1902 avrebbe scritto del rischio che i francesi comparissero tra il lago di Costanza e il Giura; il giornale avrebbe interpretato come dirette contro la Triplice le fortificazioni elvetiche di Basilea, del Gottardo e di St. Maurice, e avrebbe chiesto contromisure tedesche, che vennero con la costruzione dei forti di Tuttlingen e Singen, che però avevano scopi difensivi e non avrebbero mai giovato direttamente all'operazione italiana. Verso il confine francese fu impostato un programma che prevedeva di sbarrare con opere i passaggi più importanti, predisporre baraccamenti di truppe mobili in quelli meno importanti e mettere in piedi una rete fi nalizzata di strade militari. Ma la scarsità di risorse faceva capire che i lavori sarebbero stati lenti, come lenti proseguivano quelli già in programma nella val d'Aosta, sulle coste tirreniche, alla Maddalena e a Capua. In tali condizioni non era abbastanza consolatorio sapere che le manovre francesi sul fronte germanico di quell'anno non erano andate bene 48 . 48 Durante le manovre dirette dal generale de France i corpi impegnati

avrebbero operato troppo a ridosso gli uni degLi altri e la fanteria avrebbe avuto un ruolo del tutto secondario; era apparsa tuttavia in buona tenuta, in assetto eccellente, ed aveva eseguito una marcia rapida sotto la pioggia e col freddo . Panizzardi a Comandante in 2•, ecc., 6 luglio e 27 settembre 1897, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 12. Vedi per il resto, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 139; H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 43, 45; Mazzetti, cit., pp. 173-74; Ascoli e Russo, cit., p. 147.


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Lo Stato Maggiore continuava a tenere gli occhi sulla vicina Confederazione. Durante tutto il 1899 si cercò di capire cosa avrebbe fatto Berna in caso di guerra. Preoccupava che già in tempo di pace due battaglioni alpini francesi fossero presenti nel1' Alta Savoia, sospettandosi che costituissero l'avanguardia di un corpo di spedizione destinato a penetrare nel Yallese per minacciare il Gran S. Bernardo e il Sempione. Durante l'estate fu condotto uno studio sul terreno tra Coira e la valle del Reno, ripreso in novembre al fine di individuare il percorso migliore per portare la III armata in Germania. Nel 1900 venne compiuta una ricognizione logistica della linea di marcia che le forze italiane avrebbero tenuto in territorio elvetico. Non veniva ancora escluso che la Svizzera non si opponesse. Ma si avvicinava una svolta. La stampa confederale si allertò, sorsero problemi e dubbi . Il 31 ottobre 1901 il Saletta riassunse per lo Stato Maggiore i termini del problema, avvalendosi anche di informazioni giunte dall'ambasciata di Berna. Risultava che le forze armate svizzere erano progressivamente aumentate e si erano consolidate; la difesa sul versante occidentale italiano era organizzata su due forti campi trincerati al Gottardo e a St. Maurice, ciascuno con una divisione di truppe speciali a presidio; la preparazione militare era passata al potere centrale divenendo più omogenea ed efficace. Altre notizie segnalavano che la Confederazione, "anche volendo, non potrebbe rimanere neutrale" e che esisteva il rischio che desse "libero passo... contro di noi" ai francesi provenienti dall'alta Savoia. Diventava necessario quindi garantirsi dalla Svizzera una vera neutralità erga omnes, senza compiacenze o interpretazioni capziose dell ' art. 92 del Congresso di Vienna che ammettessero il passaggio di truppe francesi attraverso il Vallese per raggiungere il Gottardo e il Sempione senza violazione della neutralità. Tali sospetti "ci consentono di sbarrare efficacemente, con opere di fortificazione, le vie del Gran S. Bernardo e del Sempione contro una eventuale invasione francese" Il generale chiedeva un'azione diplomatica per ottenere formale assicurazione svizzera di neutralità, anche in relazione al Canton Ticino così vicino a Milano; come pure per chiarire la questione della neutralità dell'alta Savoia "in modo da poterne avere norma nello studio dei problemi strategici" Sul terreno intanto era necessario dar corso senza indugio ai lavori al Gran S. Bernardo e al


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Sempione, e predisporre interruzioni stradali sugli accessi dal Canton Ticino 49 In poco tempo, la questione si era quasi capovolta, fino a far temere implicazioni offensive nella politica militare elvetica. Edoardo Ropolo, addetto militare a Berna, scrisse che bisognava "non fidarsi troppo della neutralità di un paese che lentamente, ma sicuramente, si è provveduto di armi e ha rivolto verso di noi il nerbo maggiore delle sue difese, come se da noi specialmente venisse minacciata" Dopo tutto, quella di attraversare la Confederazione per portare un'armata a combattere altrove era stata un'idea italiana, anche se era svizzera quella di impedirlo con le armi. La Gazette de Lausanne definì Une fantasie militaire la possibilità di un attacco elvetico contro l'Italia, tuttavia, come già ricordato, anche Berlino pensò a premunirsi per il caso che Berna abbandonasse la neutralità 50 . 37.

UN ACCORDO NAVALE E UN "GIRO DI VALZER"

Le questioni marittime destavano sempre grande attenzione e qualche volta allarme. Esaminate le conclusioni della Commissione suprema per la difesa dello Stato, il comandante della squadra scrisse al ministro della Marina che la protezione marittima del Paese era intimamente collegata all'"incremento delle nostre Forze mobili navali" e che era necessario "aumentare la flotta", come da anni predicava il Comitato Ammiragli. Ma le finanze pubbliche non potevano sostenere un'azione in grande stile di potenziamento navale, che si sarebbe aggiunto agli oneri per la difesa delle coste e delle piazze ed a quelli, recenti, connessi alla cooperazione con l' Esercito per le azioni anfibie. Si sviluppava in quegli anni, infatti, un duplice approccio al tema degli sbarchi. Da un lato, il vecchio spettro dell'invasione dal mare era duro a morire. Tra il 1896 e il 1899 furono studiati possibili sbarchi avversari nella valle del Tevere, a Napoli, alla foce dell'Arno, da do49

AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 42, 43, 45 . AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11; H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 43; A. Biagini, Edoardo Ropolo, addetto militare a Berna e a Pietroburgo, in Studi storico-militari 1985, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio Storico, I 986, p. 184. 50


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ve si suppose che 100.000 uomini avrebbero marciato su Pontedera e si cercò di individuare gli itinerari per i quali forze nemiche provenienti da Orbetello o dal Volturno avrebbero potuto minacciare la stessa capitale. Nel 1897 i capitani Ghionetti e Basevi approfondirono tutte le ipotesi dj attacco a Roma, e di nuovo tornò una valutazione di 100.000 francesi venuti dal mare. Una campagna logistica condotta in Toscana due anni dopo diede risultati confortanti: tra il Serchio e Viareggio il nemico sbarcava 2 corpi d'armata, comprendente ciascuno 2 divisioni e truppe suppletive e servizi, incontrando la resistenza delle forze costiere e del XJII corpo d'armata italiano proveniente da Lucca; i difensori ripiegavano ordinatamente verso Firenze, mentre intervenivano il XIV e il XV corpo d' armata che ribaltavano il rapporto delle forze in campo (da 59 battaglioni a 32 in favore del partito Ovest il 2° giorno, fino a 89 a 48 in favore dell'Est il 4° giorno) e respingevano il nemico, sferrando nel 5° giorno l'attacco risolutivo per rigettarlo in mare, prima che potesse giungere di rinforzo un secondo corpo di spedizione. Sempre nel 1899 un altro grido d'allarme venne dalla Commissione per la difesa dello Stato, la quale avvertiva che la eventuale "perdita di Genova sarebbe stato un disastro irreparabile" perché avrebbe consegnato il porto a chi avesse voluto penetrare in Italia. E si temeva per Taranto, che avrebbe potuto essere attaccata per via di terra da truppe sbarcate. Tutto ciò era privo di qualsiasi base reale. Il solo studio rintracciato nelle carte francesi, compilato dal colonnello Krebs nel 1901, riguardava genericamente una spedizione nel Mediterraneo. Doveva partire da Cette e Port Vendres, coinvolgere 36.500 uomini - non 100.000 - distribuiti in 5 divisioni ed elementi non divisionali; tutto doveva fondarsi sulla rapidità e la sorpresa per evitare l'opposizione di una squadra avversaria, condizioni che l'estensore per primo dubitava fortemente si potessero realizzare. Come destinazione venivano citati il Marocco, l'Italia, il Levante, ma si ha l'impressione che l'Italia fosse stataricordata solo per completezza. Era comunque uno studio preliminare generico, non un progetto od un piano. Del resto anche l ' addetto navale francese, pur criticando le manovre italiane del 1897, non aveva mai detto di ritenere possibile uno sbarco, ma solo difficile per la difesa evitare colpi di mano sulle ferrovie costiere. Anche in Italia ci si addestrava a compiere operazioni anfibie. Nel 1897 il generale Saletta approfondì la questione del materiale


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da sbarco, in occasione delle esercitazioni del XV corpo d'armata, e concluse che agli zatteroni di dotazione erano da preferi re chiatte capaci di portare 80 uomini ciascuna. Chiese alla Marina di eseguire a Stromboli tiri contro bersagli elevati, ritenendo che l'artiglieria navale, se bene addestrata, potesse prevalere sulle batterie costiere. Aveva in mente un attacco dal mare al campo trincerato di Nizza, esplicitamente citato insieme al ridotto est del monte Agel, in una lettera del febbraio 1898. Contemporaneamente anche il comandante Barbavara studiava l'azione dei cannoni navali contro la costa e la squadra si esercitò ripetutamente alla Tavolara e nel golfo degli Aranci. Anche la brigata "Parma" venne impegnata in manovre di sbarco e nel 1900, a Bagnoli, fu la volta del X corpo d'armata. Nel novembre 1901 fu reiterata l'i ndicazione delle coste provenzali e del campo trincerato di Nizza e nell'ottobre 1902 venne compiuta una importante esercitazione di sbarco nel golfo di Salerno 5 1. La Commissione suprema per la difesa dello Stato aveva affrontato, durante i suoi lavori dell'autunno 1899, i problemi della Marina, dedicandovi 5 quesiti. Aveva concluso che non si poteva fare sicuro assegnamento sulla flotta per difendere le ferrov ie, ma che essa poteva contrastare con efficacia gli sbarchi "fino a quando ... si conserverà atta a combattere"; non doveva a tal fine cercar di proteggere le città marittime, ma se mai le piazze fortificate; ed era essenziale che incrementasse le sue forze con nuove unità, "nei limiti consentiti dalla potenzialità finanziaria del Paese", e con il "concorso delle squadre degli alleati"

51 Nell 'ottobre 1899 il generale Saletta rilevò che la Royal Navy rispondeva "dei trasporti dalla spiaggia d'imbarco a quella di sbarco ed il Ministero della Guerra risponde solo delle cose e truppe che si imbarcano", mentre la R. Marina rispondeva solo "della linea di comunicazione fra la base e le truppe sul campo": la corrispondenza del Capo di S.M. con i Ministeri della Guerra e Marina è in G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R 47, 52, 65. Vedi poi la delibera del Comitato Ammiragli del 10 giugno 1897 e la riservatissima personale del vice ammiraglio Tomaso di Savoia al ministro della Marina del 13 ottobre 1899 in AUSMM, busta 168, fase. 7. La documentazione sugli altri argomenti è in AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 4, 7, 139; F 9, Commissione di Difesa, R 1 bis; G 23, Scacchiere occidentale, R 116. Per i francesi, cfr. Krebs a ministro della Guerra, 22 agosto 1901, AMF, busta I 894, fase. 3; Le Léon a ministro della Marina, 10 luglio 1898, AMF, BB 7, busta 86.


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Il Capo di S,M_ dell 'Esercito aveva parlato di questa necessità allo Schlieffen, che nel febbraio 1900 intervenne sugli austriaci_ Tramite l' addetto militare generale Nava, il Saletta trasmise a Vienna, il 6 giugno, una proposta formale per convocare una conferenza che trattasse la questione "soltanto nel senso dell'interesse collettivo della Triplice" Il 5 dicembre venne firmato a Berlino un accordo navale che destinava a ciascuna Marina alleata un teatro marittimo di cui avrebbe avuto primaria responsabilità. L'art. 1 le chiamava "Zone d'operazione" e le ripartiva così: "a) la zona d' operazioni germanica comprende il Mar Baltico, il Mare del Nord, la Manica e le parti dell' Oceano Atlantico che bagnano l'Europa; b) la zona d 'operazioni austro-ungarica comprende il Mare Adriatico sino al parallelo di S. Maria di Leuca; c) la zona d'operazioni italiana comprende tutto il bacino occidentale del Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra sino alla linea Capo S. Maria di Leuca-Ras el Tin. La restante parte del Mediterraneo deve essere considerata come zona d'operazioni comune tra Austria-Ungheria e Italia" L'art 2 indicava gli scopi che ciascuna Marina avrebbe perseguito nel proprio teatro e, in tema di dominio del mare, recava una nota: "La flotta austro-ungarica procurerà di coprire ambedue le sponde dell'Adriatico e di proteggervi nel migliore modo possibile lungo le coste italiane anche la mobilitazione ed i movimenti di radunata dell 'esercito italiano. Per quest'ultimo scopo saranno al più presto possibile messi a disposizione della marina austro-ungarica gl i elementi italiani combattenti destinati alla difesa di dette coste che al principio delle ostilità si troveranno nel1' Adriatico" La direzione superiore strategica competeva alla Marina cui era assegnata la zona marittima d'operazione. Dopo tanti anni di tentativi inutili, l'Italia otteneva da altre potenze un appoggio formale sul mare. L'accordo giungeva in buon punto, poco dopo che gli inglesi avevano ancora una volta mostrato inconcludenza di fronte alle avances italiane, come è agevole constatare dalla lettura della corrispondenza tra Currie e Lansdowne. Dal punto di vista militare, la Convenzione garantiva all'Italia l'accorciamento del fronte marittimo estendendo a tutto l' Adriatico la responsabilità della Marina austro-ungarica; restava tuttavia immutato il problema capitale del versante occidentale, per fron-


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teggiare il quale la flotta italiana poteva recuperare qualcosa dalle forze in precedenza destinate ali ' Adriatico, ma non per questo acquisiva la superiorità sulla flotta francese. Dal punto di vista politico, l' affidam ento a Vienna della copertura di tutto l'Adriatico poteva favorirne la politica nei Balcani, proprio quando l'ambasciatore britannico Rumboldt prevedeva che "le crescenti aspirazioni degli slavi. .. potranno un giorno sottoporre la Triplice alleanza ad un grande sforzo" 52 . In effetti, mano a mano che i rapporti con la Francia miglioravano, l'alleanza incominciava ad essere considerata a Roma in maniera diversa da prima. Si valutavano gli impegni che per sua causa gravavano sul paese e ci si rendeva conto del loro peso. Non che si negasse alla Triplice di essere ancora utile, però non la si riguardava più come una questione di vita o di morte. Nel febbraio 1901 Giuseppe Zanardelli giunse alla presidenza del Consiglio, con Giolitti all'Interno e Prinetti agli Esteri. Per tutto l'anno il governo non pose la questione del rinnovo dell'alleanza, che sarebbe scaduta nel maggio 1903, ma Zanardelli colse l'occasione di dire al New York Herald che un nuovo patto triplicista non avrebbe comportato atteggiamenti di ostilità italian a verso la Francia. In aprile il duca di Genova guidò una squadra italiana a Tolone in onore del presidente Loubet, cui conferì il collare dell'Annunziata; dal principe di Btilow, divenuto cancelliere delJ ' Impero nel 1900, venne un commento acido: disse alla suocera Laura Minghetti che l' Italia doveva "scegliere tra il matrimonio e il concubinato" Il 14 dicembre Prinetti informò la Camera dell' intesa con la Francia di un anno prima, limitatamente a Tripoli; il 26 rassicurò l'ambasciatore tedesco, ma dopo 15 giorni temperò la riassicurazione dicendogli che il rinnovo non avrebbe dovuto contenere nulla di aggressivo per la Francia. Langer afferma che a questo punto "la Triplice si sgretolava" Può darsi che lo storico americano anticipasse i tempi, ma è certo che il principe di Btilow disse al Reichstag, il 9 gennaio 1902, che 52

Gabriele, l e Convenzioni, ecc., cit., pp. 179-281 e, per il testo della Convenzione navale, pp. 490-94. Cun-ie, ambasciatore britannico a Roma, al ministro degli Esteri Lansdowne, 28 settembre e 27 novembre 1900 e risposta del 12 dicembre, in PRO, FO, 800, 132; Rumboldt da Vienna a Salisbury, 18 settembre 1900, ibidem, 7, 1299.


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un gentiluomo non aveva da rammaricarsi o da offendersi se la propria be11issima moglie faceva un giro di valzer con un brillante cavaliere 53 . Non era un complimento. Il clima era migliore negli ambienti militari. I rapporti personali tra Saletta e Schlieffen erano migliori di quelli tra Zanardelli e Biilow; i due Capi di S.M. si stimavano e cercavano di aiutarsi a vicenda, come si è visto per l'intervento di Schlieffen in favore dell'accordo navale e come si vedrà con Saletta per un pronto reintegro della forza promessa della III armata. Ma la Convenzione del 1888 veniva criticata dal Re, cui non piaceva l'idea di mandar fuori dal Paese una parte così cospicua dell'esercito. Nessuno parlò di denunciare l'accordo militare, anche per evitare di innescare effetti politici indesiderati, ma di fatto il ruolo di stella polare che esso aveva avuto in anni precedenti ne fu indebolito. In questa situazione giunse a Roma il nuovo addetto militare germanico, maggiore von Chelius, un personaggio inadatto a rinsaldare un'amicizia.

53

L. Salvatorell i, La Triplice Alleanza. Storia diplomatica 1877-1912, Milano, !SPI, 1939, pp. 241 -48; W.L. Langer, la diplomazia dell'imperialismo, Milano, ISPI, 1942, IT, pp. 516-601; Mazzetti, cit., pp. 185-96; Mack Smith, cit., pp. 241-48; Ruffo, cit. , p. 27.


Capitolo VI

LA QUARTA TRIPLICE (1902-1912)

38. RINNOVO SENZA ENTUSIASMO Così, tra un accordo navale insoddisfacente e una battuta sarcastica che gli italiani non avrebbero dimenticato, si consumò l'ultimo tempo della terza Triplice. Vittorio Emanuele - "una sfinge" secondo Philip Currie - aveva presieduto le Commissioni che avevano trattato i problemi militari e la difesa de1lo Stato, traendone impressioni non confortanti. Sulla carta l'Esercito poteva arrivare a 14 corpi d'armata, ma organici, addestramento e dotazioni facevano dubitare della sua qualità. Il processo di adeguamento storico dell'Esercito era stato fermato in itinere dalle economie, tanto che ormai anche una guerra difensiva presentava problemi seri, né si poteva adottare "il rimedio più ovvio, cioè un aumento delle tasse" per finanziare le spese militari. Il Re promosse misure per controllare e organizzare meglio le Forze armate 1, ma senza l'illusione di ottenere una soluzione completa erapida dei problemi che lo assillavano. Nel febbraio 1901 disse apertamente a von Chelius di non condividere l'idea di trasferire 5 corpi d'armata e 2 divisioni di cavalleria sul Reno - "nessuno mi può biasimare, quale re d'Italia, per questo" - perché senza quelle forze non ci sarebbe stato "da stare allegri in Italia"; sarebbe rimasto ben poco "per la difesa del paese e delle coste" E poi, tutta quell'operazione sarebbe stata inutile perché gli italiani sarebbero arrivati a cose fatte. In ogni modo, il piano di radunata dell'aprile 1902 previde uno schjeramento che copriva interamente la frontiera francese Volle rapporti quotidiani sulle forze armate, predispose un piano d'ispezione alle grandi unità e favori una prima legge, approvata nel maggio 1901, che destinava 275 milioni all'esercito. Mack Smith, cit., p. 205; A. Saccoman, Il generale Paolo Spingardi ministro della Guerra 1909-1914, Roma, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, 1995, p. 15. 1


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con due annate: la I presidiava le Alpi liguri, con Genova e i passi, Alessandria, Tenda e Vinadio; la II si concentrava su Fenestrelle, Cesana, Susa, Moncenisio e Bard. Tra la Stura e il Chisone, in corrispondenza di un tratto di confine che non si prestava ad operazioni consistenti, la disposizione delle truppe risultava più rada. In complesso, tra Piemonte, Val d'Aosta e Liguria venivano impiegati 6 corpi d'armata, 3/7 dell'esercito; gli altri 4/7 dovevano raccogliersi nel Lombardo-Veneto (III armata, con 5 corpi e 2 divisioni di cavalleria) e nell'Italia centrale (IV armata, con 3 corpi). Il Capo dell'Ufficio trasporti dell'Esercito, S. Piacentino, assicurò il 4 luglio che "le nostre ferrovie sono sempre in grado di poter eseguire in qualunque momento il trasporto di mobilitazione" per tutti i 14 corpi 2 . La composizione della III armata era esattamente quella concordata per l'intervento sul Reno, però il piano di radunata non definiva la programmazione del trasferimento. Peraltro la dislocazione della grande unità non escludeva nulla: l'armata poteva intervenire di rincalzo alle forze schierate contro la Francia, fronteggiare il confine nord-orientale, avviarsi in Germania attraverso l'Austria consenziente o la Svizzera ostile. Ma l'Italia aveva lasciato cadere la Convenzione militare, oppur no? I dubbi e le perplessità degli alleati ebbero una risposta quando, alla fine dell'estate, il generale Saletta si recò in Germania per presenziare alle manovre tedesche e si incontrò con i Capi di S.M. degli Imperi alleati. Egli mostrò di considerare la Convenzione sempre in vigore - in effetti, non era stata denunciata solo riteneva necessario un ridimensionamento dell'impegno per adeguarlo alle possibilità italiane del momento; dopo il suo ritorno in Italia ne precisò la misura nella riduzione della forza di spedizione a 3 corpi d'armata. Nel marzo precedente, del resto, il generale Schlieffen aveva dichiarato di poter fare a meno di quei 200.000 soldati italiani sul Reno, per i quali era nata la Convenzione militare; avrebbe voluto, piuttosto, essere ben certo che l' alleato meridionale trattenesse davvero sulle Alpi 150.000 frances i, che diversamente si sarebbero aggiunti alle forze schierate sul fronte tedesco. E coerentemente agli impegni ed alle posizioni di volenterosa collaborazione 2

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11.


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espresse dal Saletta, la preparazione dell'Esercito italiano al confine alpino continuò come prima. Nuove manovre svolte tra maggio e giugno avevano posto in evidenza che il Grammondo costituiva un punto critico, essenziale per la difesa da entrambe le parti. In chiave offensiva, gli italiani pensavano di aggirarlo dal mare, scendendo nel contempo dalla Roja sul monte Razet per puntare su Nizza, vero centro di gravità dello schieramento francese nel Mezzogiorno; in chiave difensiva, ci si attendeva un attacco convergente su Triora da San Remo per monte Ceppo e dal passo del Muratone. Vi si poteva aggiungere uno sbarco a San Remo, condotto anche da una forza modesta di fanteria ed artiglieria proveniente dalla Corsica, con l'obiettivo di tagliare la strada e la ferrovia costiere. La colonna proveniente dal passo del Muratone-Pigna avrebbe aggirato da settentrione l'ostacolo del Grammondo. L'esercitazione aveva dimostrato la necessità di predisporre forze di rincalzo per sostenere le difese locali che potevano assicurare una linea di contenimento efficace anche se si fosse dovuto cedere un po' di terreno, a condizione che venissero tenute le posizioni più importanti, cioè monte Bignone e monte Coppo 3. Dal canto loro i francesi secondavano ogni occasione di disgelo - nell'inverno 1902 scambiarono esemplari di armi portatili con l'addetto militare italiano, Barattieri di S. Pietro - ma senza sospendere la loro normale attività di esercitazioni anche verso la frontiera italiana. Così nel luglio 1902 il XV corpo d'armata fu schierato nella valle della Vesubia per fronteggiare un supposto investimento avversario sopra o intorno all' Authion; gli esiti dell'operazione furono tali da dimostrare, secondo l'Ufficio informazioni dello S.M. italiano che aveva visto il diario delle manovre, che l'avanzata "sarà sempre cosa assai rude", considerando l'opposizione degli "ostacoli naturali che si frappongono alla marcia, e delle opere fortificatorie sparse in questa zona a profusione... Per quanto rude, però sempre possibile, e di questa possibilità sono preoccupati i generali francesi che ogni anno fanno eseguire le manovre alpine in questa regione rappresentandosi le varie e probabili evenienze di una invasione da questa parte" 4 . Era un punto di vista che confliggeva con 3 Cfr. Relazione sulla ricognizione in Liguria del maggiore del Mayno, 28 giugno 1902, AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R 52. 4 AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 29.


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quello di taluni osservatori francesi che nel maggio l 902 avevano avanzato l'ipotesi di riunire i corpi XIV e XV in una armata da opporre alla Germania in aggiunta alle altre_ Proprio questo temeva lo Schlieffen, che tuttavia in novembre fu in qualche misura rassicurato da informazioni provenienti da Parigi, secondo le quali il trasferimento de] XV corpo d'armata a Belfort era previsto solo per fronteggiare Je forze italiane sul Reno, e sarebbe stato sostituito in Provenza da un corpo d'armata tratto dalla Marina 5. In rapporto al1a loro nuova posizione, gli italiani cercarono di ottenere qualche cambiamento al trattato in via di rinnovo; avrebbero voluto accentuarne il carattere difensivo e chiedevano agli alleati inequivocabili impegni per Tripoli ed i Balcani: in cambio della "assicurazione che l'Austria non invaderà l'Albania" venne offerto il disimpegno dalla causa irredentistica 6. Credibilità a parte, non mancavano contraddizioni, visto che le garanzie in Africa - dove Ja Marina svolgeva spesso ricognizioni, producendo nel marzo 1897 un documento intitolato "Azione offensiva contro la Tripolitania" - erano rivolte contro Parigi e quelle nei Balcani e in Albania dovevano servire a frenare la politica di Vienna. La diplomazia romana spese inutilmente la prima metà del 1902 per questi scopi, ma quando Zanardelli ebbe un brevissimo incontro con Btilow alla stazione di Verona, il 2 aprile, comprese che ]a Germania non avrebbe consentito "ad alcuna modifica del trattato" 7 . Il quarto trattato de11a Triplice venne così sottoscritto senza modifiche il 28 giugno, ma due giorni dopo la situazione internazionale del Regno fu bilanciata dagli accordi Prinetti-Barrère. La Francia rinunciava a pretendere neutralità assoluta dall'Italia, che confermava a sua volta la natura non aggressiva del patto triplicista e dava un 'interpretazione elastica della clausola di provocazione contenuta in quell'accordo. I rapporti italo-francesi migliorarono, con una migliore considerazione degli interessi economici e mediterranei di Roma, per la quale l'alleanza diventava uno 5 Barattieri

a Comandante in 2• del corpo di S.M., 11 gennaio, 16 febbraio

ed 8 novembre 1902, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 14. 6 Rumboldt, ambasciatore britannico a Vienna, a Salisbury, 18 ottobre 1900, PRO, FO, 7, 1299. 7 F. Tommasini, L'Italia alla vigilia della guerra, Bologna, Zaniche lli , 1934, I, p. 124.


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strumento solo difensivo; inoltre, il rifiuto austro-tedesco di accogliere le richieste italiane sui Balcani apriva una linea di frattura tra i soci del patto. E questo vanificava la precipitazione con la quale Btilow, il 29 giugno, fece comunicare che la Triplice era stata rinnovata immutata. Vi fu, anzi, qualche valutazione esagerata in senso opposto. Da alcune parole di Prinetti, Barrère giunse a ritenere che la convenzione militare del 1888 non esistesse più, mentre non era stata mai denunciata ed anzi vi si era aggiunto l'accordo navale. All'inizio del XX secolo tutto lo scenario internazionale era in movimento. Lontano dall'Europa salivano le stelle degli Stati Uniti e del Giappone, mentre nel vecchio continente restavano tutti irrisolti i motivi di crisi ereditati dal secolo precedente e se ne aggiungevano altri. In primis, una crescente rivalità anglo-tedesca in relazione alle iniziative berlinesi nel Medio Oriente e in campo navale. Il progetto di costruire una ferrovia per Bagdad avrebbe favorito la penetrazione germanica in un'area di interesse inglese; un iradé imperiale turco autorizzò il tracciato della linea nel novembre 1899, ma Londra contromanovrò utilizzando autorità locali per ostacolare la realizzazione della strada ferrata. Nel 1898 l'approvazione della prima legge navale di Tirpitz aveva dato il via alla costruzione di 19 navi da battaglia e a numerose altre unità entro il 1905; il tentativo di concordare un disarmo fallì all' Aja nel 1899 e l'anno dopo fallirono ugualmente negoziati diretti anglo-tedeschi. Il Reichstag anzi approvò una seconda legge navale che raddoppiava la consistenza delJa flotta tedesca entro il 1916: all'atto di proporla Tirpitz disse chiaramente che la Marina germanica doveva essere in grado di sostenere "una battaglia navale nel mare del Nord contro la Gran Bretagna" Del resto, anche la Risiko Gedanke (teoria del rischio) di Tirpitz era diretta contro Londra: bisognava costruire una flotta tale che, pur scomparendo in una battaglia di distruzione, fosse capace d'infliggere alla prima Marina del mondo perdite così consistenti da farle perdere il primato rispetto alle altre Marine. E Von Btilow rincarò: "la nostra flotta deve essere allestita tenendo d'occhio la politica britannica" 8. 8 Cfr: Tommasini, cit., I, pp. 157-59; G. Steinberg, Il deterrente di ieri, Firenze, Sansoni, 1968; L. W. Martin, Ha inizio la gara navale, in AA. VY., 20° Secolo, ecc., cit., I, pp. 167-73; Mazzetti, cit., p. 199.


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39.

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U N DOCUMENTO MILITARE TEDESCO

Il 23 giugno, qualche giorno prima della firma del nuovo trattato triplicista, il ministro della Guerra Ottolenghi trasmise al Saletta un documento segreto, di evidente provenienza germanica, che diceva: "Per il caso in cui gli sforzi delle potenze alleate per mantenere la pace europea restassero infruttuosi, bisognerebbe prendere in considerazione le eventualità seguenti: 1. Una guerra tra l'Italia e la Germania da una parte e la Francia dall'altra senza la partecipazione dell'Austria e dell' Inghilterra, nella quale si trattasse di una difesa contro la Francia. 2. La partecipazione dell 'Austria e conseguentemente della Russia dall'inizio della guerra. 3. Che la partecipazione dell ' Inghi1terra ci procura la superiorità per mare, e di conseguenza la possibilità di sbarchi delle truppe italiane in ogni punto voluto della costa francese, ed anche in quella della Russia, se la Turchia prendesse parte alla guerra. Per quanto concerne la prima eventualità, quelJa di una guerra provocata dalla Francia, è evidente che per l'Italia e per la Germania la combinazione di un piano di campagna è di grande importanza. È da prevedere che la Francia, in caso di guerra, terrà pronta un'armata nel sud, ma che riunirà la principale forza armata nel nord, dove corre un pericolo più considerevole. Nel caso in cui i francesi prendessero l'offensiva suJle Alpi, si troverebbero nella pianura del Po di fronte all'esercito italiano con tutto il suo effettivo di 15 corpi d' armata. Si scontrerebbero con la medesima superiorità in Lombardia se, violando la neutralità, avanzassero attraverso la Svizzera. In tal modo si prenderebbero a carico un nuovo nemico, la cui resistenza non è da disprezzare, e dovrebbero indebolirsi considerevolmente occupando il paese per proteggere le loro comunicazion i. È proprio la Svizzera neutrale che procura un vantaggio alla Francia separando le sfere d' operazione degli avversari aJleati ed escludendo per un certo tempo la loro cooperazione diretta; e poiché la Svizzera è perfettamente armata e decisa a difendere questa neutralità, è impossibile sottovalutarla sotto qualunque profilo. Nel mezzogiorno la Francia può tenersi sulla difensiva, tanto più che nel primo periodo della guerra non ci si possono aspettare


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colà grandi azioni decisive; mentre invece nel nord queste ultime devono prodursi immediatamente appena passata la frontiera. Protetta in tal modo contro un'invasione del proprio paese, dal lato dell'Italia la situazione diventa favorevole ad una invasione nel mezzogiorno della Francia. È vero che le strade più praticabili attraverso le Alpi occidentali, quelle del Piccolo S. Bernardo, del Moncenisio e del Monginevro sono sbarrate da potenti fortificazioni francesi e che esse conducono alla fine a Briançon e a Grenoble che sono solidamente fortificate. Ma sulla strada del monte Argentera e su qualche vicino passaggio al sud, che possono essere resi praticabili senza grandi difficoltà, si trovano due forti che potranno presentare a stento una resistenza durevole; la continuazione della marcia sia all'ovest verso il Rodano, sia al sud verso Nizza non incontra ostacoli fortificati. Allo stesso modo le fortificazioni destinate a sbarrare le strade che conducono dal colle di Tenda verso il sud e quella lungo la Riviera hanno bisogno, come i francesi riconoscono, di essere notevolmente ingrandite per conseguire il loro scopo. Le truppe delle Alpi dell'Esercito italiano, così meravigliosamente organizzate, potranno eludere la resistenza che troveranno nei diversi passaggi. Ma allora 1' esercito entrerà in un vasto paese montagnoso nel quale né l'aggressore, né il difensore potrà sviluppare le masse. Intorno alle diverse posizioni si tratterà di una serie di combattimenti più o meno grandi nei quali la superiorità numerica sarà dalla parte degli italiani, anche se avanzassero con una parte dell'esercito (divisa) in un gran numero di colonne. Secondo i nostri rapporti i francesi avevano destinato, per coprirsi contro l' Italia, due corpi d'armata, una divisione di cavalleria e circa 4 divisioni di riserva. Una cooperazione diretta delle forze tedesche e italiane non potrà aver luogo che nel corso ulteriore della guerra, quando le une e le altre prenderanno la direzione di Lione, poiché ali' inizio esse saranno separate tra loro da una distanza da 60 a 70 miglia. Il fatto che dal canto nostro dobbiamo aspettarci delle battaglie fin dall'inizio, rende impossibile fissare in anticipo un piano d'operazioni che vada al di là del tempo di questi combattimenti" Fin qui il documento aveva parlato solo della prima tra le ipotesi che aveva avanzato, e pareva che per questa fosse stato redatto, dal momento che liquidava le altre due in poche righe. Nel ca-


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so che anche Austria e Russia fossero entrate nel conflitto fin dal1' inizio, "la situazione diventerebbe tutta diversa, in quanto i corpi d'armata italiani potrebbero riunirsi all'esercito tedesco per la via del Brennero, mentre la Germania potrebbe mettere a disposizione dell'Austria i suoi corpi d'armata del Nord-Est" La terza eventualità era espressa in modo da coinvolgerne anche una quarta - "partecipazione dell'Inghilterra e anche della Turchia" - e da concludere che "entrare qui nei dettagli avrebbe condotto troppo lontano" Non se ne parlava quindi affatto. Questo non era privo di significato perché un impegno militare di Londra al fianco di Berlino non doveva parere tanto probabile, anche se non si era ancora, in Germania, al Gott strafe England (Dio punisca l' Inghilterra) di qualche tempo dopo. Nelle ultime righe del documento l' estensore metteva le mani avanti, osservando che l'orizzonte offerto da tutte le ipotesi richiamate era talmente vasto "che sarebbe stato impossibile concentrarsi per iscritto sui piani di campagna senza averli discussi a voce preventivamente" 9 . Ma ciò si riferiva alle prospettive che lo scritto non aveva esaminato, poiché quel che ci si aspettava dall ' Italia era abbastanza chiaro. Il caso dell'offensiva francese in Italia era trattato brevemente, tenendo conto dell'evoluzione strategica imposta dal Saletta che avrebbe portato gli invasori a scontrarsi al piano con tutto l'Esercito italiano; ogni altro problema, come la difesa della penisola, veniva trascurato, supponendo che tutte le forze terrestri del Regno fossero impegnate nella pianura padana per la battaglia decisiva. Era evidente che l'ipotesi dell'attacco strategico francese era stato citato soltanto come caso di scuola, per poterlo eliminare subito dal discorso: lo si considerava così improbabile che non si diceva nemmeno che cosa avrebbero fatto i tedeschi se si fosse verificato. E si veniva alla vera motivazione del documento. In coerenza con quanto da anni chiedeva lo Schlieffen, i tedeschi volevano un attacco italiano sulle Alpi per trattenervi tutte le forze francesi che fosse stato possibile. Dal punto di vista germanico solo questo era utile e l'indicazione degli obiettivi del Rodano e di Nizza aveva la funzione strumentale di impegnare l'Esercito italiano in una offens iva seria. Forse i tedeschi pensavano che gli italiani non 9

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11.


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avrebbero mai raggiunto tali località e il rinvio a tempi successivi di un concerto tra alleati per convergere su Lione potrebbe dimostrarlo. Ma non era importante l'avanzata: gli italiani compivano il loro dovere se tenevano impegnata l'armata francese delle Alpi. La decisione della guerra sarebbe venuta dalle vittorie tedesche, cui lo S.M. germanico si sarebbe dedicato con piena libertà di scelta delle mosse strategiche, senza il vincolo di andare a Lione per incontrarvi gli italiani. Nel quadro della guerra solo ad Occidente, non si parlava del corpo di spedizione italiano in Germania, mentre l'intervento italiano sul Reno veniva recuperato nella prospettiva di una guerra generale; poiché la III armata avrebbe rimpiazzato sul suolo tedesco una parte delle forze mandate a combattere contro la Russia, il suo compito non sarebbe stato necessariamente offensivo, potendo venire impiegata, verosimilmente, più per la difesa e il presidio territoriale che per investire Belfort. Emergeva dal contesto una conferma anche dell'avversione tedesca ad avventure attraverso la Svizzera; è noto che il comando germanico non era favorevole, e quando Helmuth von Moltke, nel 1906, successe allo Schlieffen, dichiarò che se la Confederazione non si fosse allineata alla Triplice, non sarebbe stato il caso di provocarla 10 . Pertanto lo scritto prendeva atto della separatezza dei teatri operativi delle Alpi e del Reno senza proporre nulla per superarla; giudicava criticamente l' eventualità di una iniziativa francese in terra elvetica, non assumendo neanche l'ipotesi di una italiana. 40.

PROBLEMI NUOVI AL CONFINE ELVETICO

Lo Stato Maggiore italiano nutriva invece inquietudini serie per alcuni aspetti della condizione di Stato neutrale della Confederazione e per la sua politica militare. Il 24 gennaio 1903 il generale Saletta scrisse al ministro della Guerra che, una volta "rinnovati i patti colle potenze centrali", era vanuto il momento di prendere in esame la situazione che si era venuta a creare in seguito ai progressi delle forze armate svizzere e ad un assetto difensivo che appariva "specialmente rivolto verso l'Italia ..." 10 Mazzetti,

cit., p. 227.


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Lo sviluppo della preparazione militare della Svizzera si è manifestato, per quanto riguarda le sue forze mobili, nell'aumento di alcune unità, nell'imminente trasformazione di tutto il suo materiale di artiglierie da campo, nella maggior durata che s'intende dare alla scuola di reclute per migliorarne la qualità, ed infine nella tendenza ad accentrare sempre più nelle mani dell'autorità federale, sottraendola alle autorità cantonali, ogni ingerenza sulle cose militari, per assicurare all'esercito unità di comando e unità d'azione. Né minor attività si manifesta nella preparazione militare del territorio, poiché, dopo aver quasi compiuto il campo trincerato del Gottardo e lo sbarramento di Saint Maurice, e sbarrate le vie del Furka e del Grimsel, la Svizzera si prepara ora a fortificare lo sbocco Nord del Sempione" Il Saletta trovava sproporzionato l'impegno profuso dagli svizzeri verso la frontiera italiana rispetto a quelle francese e tedesca, dove peraltro i paesi confinanti avevano approntato le opportune contromisure. E, riprendendo opinioni espresse anche dall' adddetto militare Ropolo, ammoniva che "il fidarsi troppo della neutralità di un paese che lentamente, ma sicuramente, si è provveduto d'armi ed ha rivolto verso di noi il nerbo maggiore delle sue difese, come se da noi specialmente venisse minacciato, non sembra prudente consiglio" Non si immaginava che la Svizzera prendesse l'iniziativa di violare la propria neutralità, ma se uno dei belligeranti fosse penetrato in territorio svizzero, "la Confederazione diverrà forzatamente alleata dell'altro", e ciò non era indifferente perché "la preparazione militare della Svi:u,era ha creato una situazione nuova" Se fosse scoppiato un conflitto, gli elvetici potevano essere trascinati a schierarsi con la Francia o contro di essa. "Nel primo caso la Francia avrebbe possibilità di riunire parte delle sue truppe nel Vallese a quelle Svizzere, e costituire un'armata d'invasione che avrebbe a sua disposizione tre grandi rotabili, indifese da parte nostra, due ferrovie ed una grande piazza d'armi nel Canton Ticino, protetta dalle opere meridionali del Gottardo; ossia condizioni tali di sbocco che non esistono migliori sulla nostra frontiera occidentale. La direzione poi di queste linee d'operazioni, che porterebbero l'invasore ad aggirare il fianco destro della nostra linea di difesa ed a minacciarne le spalle, dà loro un valore strategico tale da vincolare il successivo andamento delle nostre operazioni per la durata forse di tutta la campagna...


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Qualora invece la Svizzera si schierasse contro la Francia, questa avrebbe senz'altro il diritto d'invaderne il territorio, e ne approfitterebbe certamente, occupando il Cantone di Ginevra e quindi per l'Alta Savoia portando le sue truppe nel Vallese, a fine di potersi servire delle due linee del Gran S. Bernardo e del Sempione (quest'ultima munita di ferrovia ed entrambe indifese) per sboccare nel nostro territorio" Dal punto di vista logistico, queste possibilità operative apparivano favorite dalla nuova ferrovia di Vallorbe e dalla strada Chamonix-Martigny. C'era poi la questione della neutralità dell'Alta Savoia che dava luogo ad esiti controversi. Vecchi trattati attribuivano agli elvetici il diritto, non il dovere, di occuparla in tempo di guerra, ma dalla Francia questo diritto era stato contestato ripetutamente, assumendosi che gli impegni che vincolavano un tempo il Re di Sardegna non erano passati alla Francia con la cessione della Savoia. Ciò poneva la questione in uno stato d'incertezza che rendeva necessario da parte italiana munire la frontiera anche verso la Svizzera. Sarebbe stato opportuno ottenere dalla Confederazione "una dichiarazione esplicita" sulla condotta che avrebbe tenuto in Alta Savoia nel corso di un conflitto e sulla decadenza della facoltà che il Re di Sardegna aveva, quando possedeva entrambi i territori, di ritirare le truppe dall'Alta Savoia in Piemonte attraverso il Sempione. In proposito il Ministero degli Esteri rispose in agosto con un lungo promemoria che il Capo di S.M. chiosò con le sue osservazioni e trasmise al ministro della Guerra. Gli Esteri confermavano l'esistenza di un obbligo di neutralità per la regione, come pure della facoltà della Svizzera di occuparla in tempo di guerra; veniva ricordato che nel 1883 la Francia aveva sospeso la costruzione di fortificazioni nella zona a causa delle proteste confederali; quanto al diritto del passaggio militare attraverso il Vallese, che il sovrano sardo aveva avuto, andava considerato decaduto. Il Saletta rilevò che era irrealistico sperare che i francesi avrebbero sgomberato da soli la regione e che non ci si poteva fidare di interpretazioni ottimistiche dal momento che i diritti della Francia a fortificare l'Alta Savoia ed a transitare per il Vallese risultavano controversi. Quanto alle possibili azioni da compiere, gli Esteri giudicavano "vano e irrazionale... chiedere alla Francia un'espressa rinunzia", o


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chiederle in tempo di pace un impegno allo sgombero se fosse scoppiata la guerra; era invece alla Svizzera che bisognava chiedere di sostenere i suoi diritti, ammonendola che se non lo avesse fatto l'Italia non avrebbe tenuto conto della neutralità elvetica, e prepararsi a "procedere", invece, "per via di ritorsione di fronte a fatto compiuto" 11 Capo di S.M. non era soddisfatto, ritenendo che in caso di guerra, se la Svizzera non avesse occupato l'Alta Savoia, la regione sarebbe rimasta "in balia della Francia" e la neutralità sarebbe rimasta lettera morta senza alcun giovamento per l'Italia. Fece quindi avviare nuovi studi sull'apparato militare elvetico, che sarebbero stati continuamente aggiornati. Su un punto diplomatici e militari concordavano comunque: era opportuno esaminare la questione con gli alleati 11 . Ma da quella parte non poteva venire molto. In Germania i più filoitaliani sostenevano che politicamente conveniva mantenere l'alleanza con Roma nonostante gli accordi con la Francia 12 , ma l'assenso del cancelliere a questa linea dipendeva dal convincimento che se l'Italia non fosse stata nella Triplice, sarebbe passata dall'altra parte. Dal punto di vista militare, le nuove paure italiane infastidivano, alimentando il sospetto che fossero messe avanti per rendere incerto anche l'atteso impegno sulle Alpi. Né piaceva la girandola di proposte che venivano da Roma: un giorno era di nuovo attuale il trasferimento sul Reno della III armata in qualunque modo, ma a condizione che Londra promettesse di difendere le coste della penisola; un altro giorno veniva fuori l'idea di un'offensiva verso Ginevra per prevenire le mosse francesi. Con l'Austria andava molto peggio. Dopo le grandi manovre combinate, militari e navali, del settembre 1902 in Adriatico, a Roma si diffidava dell'alleato al punto da ritenere possibile un'aggressione. Si corse ai ripari: "quando l'Italia entrò a far parte della Triplice alleanza, la nostra frontiera orientale venne lasciata nel più completo 11

AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 16-17; H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 43. Del resto, anche qualche esponente militare elvetico - come il colonnello Weber, capo di S.M. del 3° corpo d'armata - pareva tentato di giocare la pedina dell'esercito. 12 La tesi della convenienza all'alleanza con l' Italia era sostenuta, ad esempio, da A. Blakenfeld, Il nostro alleato del Sud, Roma, Cecchini, 1903, uscito in Germania l'anno precedente; per essere un tedesco, l'autore parlava bene dell' Italia (non è "un eldorado di sudiciume") e di alcuni uomini del passato, come Brin e Saint Bon. Per il resto, cfr. Mazzetti, cit.., p. 196.


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abbandono e le poche risorse disponibili furono tutte rivolte alla sistemazione difensiva della frontiera N.O.... L'errore del suaccennato abbandono, da parte nostra, di ogni provvedimento difensivo sulla frontiera N.E. fu rilevato dal Corpo di stato maggiore dell'Esercito ripetutamente", a causa della maggiore attività spiegata dall'Austria a partire dal 1897. Tuttavia "fu solo nel 1903 che il Ministero della Guerra richiese al Capo di stato maggiore dell'esercito... una classificazione, in ordine di urgenza e di importanza, dei lavori stabiliti dalla Commissione suprema di difesa per la sistemazione difensiva verso la frontiera N.E., al fine di poter migliorare le condizioni, nei limiti dei mezzi disponibili, e rallentando temporaneamente La prosecuzione dei lavori difensivi divisati sulla frontiera N.O.", e ciò sebbene lo stesso documento dello Stato Maggiore valutasse che "sulla frontiera nord-occidentale le fortificazioni esistenti non sono in grado, salvo pochissime eccezioni, di resistere agli odierni mezzi di attacco. Si può dire che non v'ha una sola linea di operazione che sia solidamente sbarrata e talune non lo sono affatto" 13 . Per la verità, non era su questo tema che si esercitavano i .francesi, i quali sul fronte italiano badavano solo a difendersi. Le manovre di marzo presupposero un'irruzione italiana verso Nizza da St. Martin; contemporaneamente altre forze sbarcavano nella rada di Villafranca superando l'opposizione delle batterie costiere e delle truppe mobili. Poi, nel settembre, il XIV corpo (generale Granet) fu opposto al XV (generale Mathis) sulle rive del Rodano; fine dell'esercitazione era la verifica della fattibilità e dell' efficacia di una manovra di contenimento di un avversario proveniente da oriente oltre la regione montagnosa. Il XIV corpo, che aveva il ruolo del difensore, fu ricacciato indietro. Il generale Metzinger, direttore delle manovre, rilevò che queste erano state eseguite più con energia che con intelligenza e concluse che dal punto di vista tattico erano state poco istruttive; le truppe alpine comunque avevano dato buona prova, anche se erano parse meno imponenti di quelle italiane 14. È appena il caso di constatare che 13

Sunto degli studi compiuti e dell'azione esplicata dal Comando del Corpo di Stato Maggiore, ecc., cit., pp. 6-8, 33, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 116. 14 Tenente colonnello Alessio Chapperon a Comandante in 2•, ecc., 31 marzo e 26 ottobre 1903, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 14.


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la tematica assunta confermava ancora una volta l'atteggiamento difensivo dell'Esercito francese sul fronte alpino_ Con tutto ciò, quando il Saletta ripristinò le grandi manovre, nel 1903, propose teatri e temi spiccatamente difensivi: nel 1905 impegnò 2 corpi d'armata nel Napoletano, riproponendo uno sbarco avversario con forze importanti; nel 1907 le operazioni si svolsero nell'Alto Novarese, sulla direttrice d'incidenza di un esercito nemico proveniente dalla Svizzera, che veniva fermato al momento di sboccare in pianura, tra il Canavese e il lago di Orta 15 . Sappiamo che l'idea di doversi guardare da un Paese neutrale non era nuova. Nel gennaio 1905 l'addetto militare a Bema scrisse al Capo di S.M. che non poteva passare inosservato il "concetto della Svizzera libera, volendo, di prendere l'offensiva contro qualche nazione" Tale affermazione indusse il Saletta a segnalare al Ministero che la Confederazione, cui venivano attribuite aspirazioni rivendicazionistiche sulla Valtellina, "costituisce un grave pericolo per le potenze confinanti tutte, specialmente per l'Italia, date le condizioni della nostra frontiera da quella parte" Anche gli studi per la preparazione alla guerra e le misure preventive ne furono influenzati: in quell'anno cominciarono al Sempione lavori diretti a minare gli itinerari percorribili e ad interdire il fondo valle 16 . Quando il peggioramento dei rapporti con l'Austria si accentuò, col ritorno di Conrad a Capo di S.M. e l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina, i sospetti italiani presero un'altra direzione. L'addetto militare a Bema, capitano Piccione, trasmise nel febbraio 1908 la notizia che nel mese precedente Austria e Svizzera avevano concluso una convenzione militare segreta che consentiva il passaggio di truppe austriache attraverso la Confederazione. L'informazione fu confermata anche da una lettera anonima il 20 settembre 1910. Allora il "pericolo svizzero" parve davvero attuale perché in caso di guerra sarebbe stato possibile agli austriaci sbucare ad occidente dello schieramento italiano di Nord-Est. 15

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 49.

16 Ropolo a Saletta 7 gennaio 1905 e Saletta a Segretario generale del Mi-

nistero della Guerra, 12 seguente, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 43; Sunto degli studi, ecc., cit., p. 29.


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Seguirono misure diplomatiche e militari. Nel gennaio 1911 il Capo di S.M. Pollio predispose una prima copertura della frontiera con alpini, reparti territoriali locali e volontari, schierando in osservazione alle loro spalle, a settentrione di Milano, 3 divisioni di fanteria ed l di cavalleria del X corpo d'armata. Simili provvedimenti partivano dalla convinzione che la Confederazione fosse realmente ostile e nutrisse qualche ambizione in Valtellina, ma che si poteva sperare tornasse indietro dinanzi a misure evidentemente difensive, persuadendosi dell'inesistenza di una intenzione italiana di violare la sua neutralità. Naturalmente, quell'anno le manovre elvetiche furono seguite con occhio diffidente e il generale Grandi riferì a Pollio non essere vero che le esercitazioni erano più adatte alla difesa che alr offesa, rilevando che gli svizzeri mostravano maggiore cordialità agli austriaci che agli italiani. Nel verbale della riunione dei generali designati d'armata del 23 novembre successivo, tenutasi sotto la presidenza del Pollio, sotto il punto VI, Svizzera, si legge: "Si accentua maggiormente l'ostilità dell'opinione pubblica in quel paese contro di noi, specialmente dopo la rivelazione di forza da noi fatta nella guerra (contro la Turchia). Si chiedono nuovi fondi per le fortificazioni contro di noi e si accenna ora ad opere da costruire a Monteceneri e al passo di S. Iorio. L'anno scorso fu fatta da parte dello stato maggiore svizzero una vera manovra coi quadri in Italia. È annunciato l'intervento dell'imperatore Guglielmo alle manovre in settembre e si parla di una conferenza del Wille, comandante del 3° corpo, sulla grande Svizzera, da tenersi alla presenza dell'imperatore. Da parte nostra come è noto abbiamo organizzato la dislocazione di un eventuale corpo d'osservazione verso quella frontiera, ed avevamo già destinato all'assetto difensivo una parte dei 60 milioni ora votati dal Parlamento. Di fronte al saliente ticinese si stanno facendo strade e spianamenti essendosi riconosciuta l'impossibilità di fare una serie adeguata di vere opere, meno pel monte Orfano ove le condizioni locali consigliano di fare una vera opera corazzata, a cui si provvederà subito. Si sta anche studiando la maniera di usufruire i piroscafi dei due laghi di Como e Maggiore armandoli con cannoni da 75. Ad est del lago di Corno, in seguito alle risultanze del viaggio dei generali dello scorso anno si è stabilita la costruzione di altra opera corazzata a Montec-


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chio nord con appoggio di posizioni avanzate a Fuentes. Altra opera si farà per fronteggiare il saliente del Poschiavo" 17 . Così l'approccio italiano al confine svizzero subiva una evoluzione completa. Da trampolino di lancio per penetrare nella vicina nazione e forzarvi il passaggio per raggiungere la Germania, quella frontiera diventava invece una possibile via d'invasione del territorio italiano. La si temette prima da Ovest, ad opera di una Francia decisa, se le fosse convenuto, a non rispettare le neutralità dell'Alta Savoia; poi la si temette da Est, quando i rapporti con l'Austria si deteriorarono gravemente. Al di là dello spessore reale delle supposte minacce, di sicuro queste vicende complicarono ulteriormente il problema della difesa nazionale italiana, allungando sempre più ad Oriente il tratto di confine da munire. Sarebbero stati apprestati così i forti di Fuentes e di Aprica, per controllare gli sbocchi alpini dalla valle di S. Giacomo alla Valtellina, e gli sbarramenti di Colico, Tirano, Tonale-Mortirolo, Bormio, destinati a coprire gli accessi alla Lombardia. Inoltre, poiché nel 1910 un viaggio di S.M. aveva attribuito carattere offensivo alle installazioni elvetiche sul confine, l'anno successivo fu organizzato il "viaggio dei generali" dalla valle d'Aosta fino all'Adamello. Dal canto loro gli svizzeri migliorarono le vecchie fortificazioni e ne costruirono altre per opporsi alla paventata invasione italiana: St. Maurice, Sempione, Grimsel, Gottardo, Bellinzona, Luzientsteig 18.

41. L' ATIUAZIONE DELLA CONVENZIONE MILITARE: 1a E 2a IPOTESI È lecito chiedersi quali effetti ebbero simili sviluppi sui piani di attuazione della Convenzione militare del 1888 durante il primo decennio del secolo XX. Per comprenderne la sorte, è opportuna una breve premessa. Lo snodo tra politici e militari, per quanto diretto, rifletteva compiti e responsabilità di natura diversa. I governi italiani del periodo 17

Pollio a tenente generale D. Grandi, comandante designato d'armata, 23 gennaio 1911, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11, dove pure è il verbale della ri unione del 23 novembre 1911; Grandi a Pollio sulle manovre svizzere in G 23, Scacchiere occidentale, R 7; H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 45; A. Rovighi, cit., pp. 120-31. 18 Ascoli e Russo, cit., pp. 157-60.


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cercavano di gestire la politica estera anche in autonomia dall' alleanza, che pure di quella stessa politica restava pilastro inamovibile. Inevitabilmente ne derivavano contraddizioni; altre provenivano dalla volontà di essere aperti alle novità e pronti a cogliere ogni possibj}jtà di affermazione come ogni segnale di pericolo. Ma i militari non facevano politica: ricevevano missioni che traducevano in piani e preparazione, tenendosi nei limiti delle indicazioni ricevute fino a quando non fossero modificate. Il governo non aveva denunciato la Convenzione; pertanto "gli ufficiali di Stato Maggiore sapevano che, in caso di guerra, avrebbero dovuto inviare metà dell'esercito in Germania; ma erano lasciati nell'ignoranza sugli altri impegni assunti con gli alleati, così come nulla sapevano dell'accordo Prinetti-Barrère" 19 Questo aiuta a capire la cordialità di Saletta nei confronti di Schlieffen e Beck in occasione del loro incontro alle manovre tedesche del 1902. Ogni anno, nel quadro della radunata generale, la III armata riceveva istruzioni specifiche per concentrarsi nelle località di raccolta indicate per ogni reparto negli appositi "specchi" particolareggiati. Il piano di base del 1° dicembre 1904 fu revisionato nel novembre 1906, e poi di nuovo nel gennaio 1910. Ma qualche confronto e qualche considerazione sulla questione dell'itinerario non sono inutili. La prima ipotesi, per quanto gravata dalle riserve austriache, discendeva dalla Convenzione del 1888 e da successivi patti, integrazioni e varianti. Era quindi un'ipotesi molto concreta, condivisa fin dall'inizio dai tre alleati e specificamente regolata da accordi negoziati e sottoscritti. Pertanto lo Stato Maggiore 1' assunse come impegno primario, tenendone conto regolarmente nel predisporre la mobilitazione, anno per anno fino alla guerra di Libia. Ai fini della mobilitazione, la riduzione della III armata a 3 corpi non durò molto. Il progetto della primavera 1905 - "compilato nell'Ipotesi che chiameremo Prima, e cioè che la 3a Armata Italiana si trasferisca nella Germania meridionale, per ferrovia, attraverso il territorio del]' Austria, per operare da quella parte contro la Francia, a lato dell'Esercito Germanico" - prevedeva che la grande unità fosse "composta dei Corpi d'Armata V, VI, VII, VIII, XI e delle Divisioni di Cavalleria 2a e 3a"; i movimenti, previsti in anticipo fin dal tempo di pace, erano ordinati in modo da consentire un sollecito imbarco delle truppe e dei materiali nelle stazioni 19

Mack Smith, cit. , p. 234.


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ferroviarie per l'avviamento in Germania. Ai fini della mobilitazione, primo giorno era considerato quello successivo alla diramazione dell'ordine: da quel momento dovevano avere inizio "le operazioni prestabilite... e proseguire senza più intemuzione. Da quel momento, di massima, non si daranno più istruzioni e non se ne dovranno più chiedere, salvo per circostanze eccezionali; nei casi impreveduti, ciascuno dovrà supplire di propria iniziativa, e non arrestarsi, qualunque difficoltà insorga. Nelle operazioni di mobilitazione, una pronta benché imperfetta decisione è sempre preferibile all'esitazione e all'indugio" Dal piano di radunata del gennaio 1910 risulta che la III armata comprendeva in quell'anno i medesimi 5 corpi e 2 divisioni di cavalleria di cinque anni prima, più 1 battaglione ciclisti, artig1ieria d'armata, genio e servizi. L'artiglieria d'armata aveva 5 brigate; il genio era composto, oltre che da quello della III armata, da metà di quello della IV, e disponeva anche di 5 parchi aerostatici da campagna. In complesso, il corpo di spedizione contava 211 .779 uomini e 54.507 cavalli. Alle istruzioni per la radunata in Italia si aggiungevano quelle per il concentramento in Germania, dove l'armata doveva prendere posizione sul fronte Strasburgo-Breisach. Sarebbero occorsi 651 treni, che avrebbero viaggiato su tre diverse linee ferroviarie. Sul Reno le forze italiane si sarebbero schierate come segue: - a Breisach, il Quartier generale e l'Intendenza, la 2a divisione di cavalleria, l'XI corpo e parte dei servizi e truppe d'armata (artiglieria, genio); - a Kenzingen-Riege, la 3a divisione di cavalleria, i corpi V e VII, servizi e truppe d'armata; - a Strasburgo, i corpi VI e VIII, servizi e truppe d'armata. "Il trasporto dell'armata è studiato in modo che i vari elementi giungano a destinazione nell'ordine con cui s' impiegherebbero nel campo tattico. I treni vettovagliamento sono ripartiti fra tre linee, intercalati a treni di truppe, per portare in tempo le provviste pel vettovagliamento, di mano a mano che le truppe giungano sul Reno" Istruzioni e provvedimenti per le varie fasi dal1'ordine di mobilitazione in poi erano indicati particolareggiatamente 20, ponendo in evidenza che l'operazione era ormai en20 AUSSME, G 23, Scacchiere

occidentale, R 2.


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trata nella routine. I programmi di mobilitazione divennero sempre più precisi e completi, definendo, come nel caso del 1910, ogni dettaglio ed ogni aspetto dell'operazione, fino alla presa di posizione in terra tedesca. Nessun dubbio quindi che lo Stato Maggiore italiano, da Saletta a Pollio, abbia continuato a considerare valida e vincolante la Convenzione del 1888, e si sia attivamente adoperato per darvi concreta applicazione, recuperando addirittura la pienezza dell'impegno assunto il più presto possibile. E poiché tutto questo ebbe luogo anche dopo che dagli Stati Maggiori alleati erano giunti segnali di tolleranza ad una totale o parziale inosservanza, quando non addirittura un'esplicita dichiarazione di rinunzia a quel contributo militare italiano, è utile capire perché. Esclusa ogni estremizzata quanto inopportuna forma di lealismo verso gli alleati - i capi dell'Esercito italiano erano, e sapevano di dover essere, totalmente leali soltanto al governo - si può ritenere che tale comportamento discendesse da scelte politiche eseguite nella sede appropriata. I governi italiani sapevano benissimo che per trafficare a sostegno dei propri interessi la Triplice occorreva ancora. Era una base solida da cui muovere, né conveniva indebolirla per la differenza degli interessi italiani da quelli tedeschi riguardo al Marocco o nei confronti degli inglesi, né per i contrasti con gli austriaci nei Balcani e in Adriatico: allo Stato Maggiore fu detto di continuare come prima con gli alleati, almeno per quanto concerneva la Convenzione militare. D' altra parte i militari non si sarebbero mai acconciati in proprio se non fossero stati sollecitati dal governo, ad assecondare le evoluzioni della politica estera, una politica particolarmente complessa, nella quale l'Italia arrischiava ogni tanto qualche acrobazia per conseguire i suoi fini. Così il legame militare contribuì, entro certi limiti 21 , a tenere insieme la Triplice anche quando quello politico diventava più evanescente. Tutto ciò, naturalmente, trovava rispondenza prima nell'ipotesi ortodossa, quella, prevista dalla Convenzione, di un conflitto che avesse coinvolto tutti i soci della Triplice. 2 1 Spesso,

per la verità, angusti, u·a il movimentismo del governo di Roma e la sfiducia degli alleati. Se nel 1910 il Comando tedesco non contava più sull'arrivo della III armata, l'apprezzamento derivava più da elementi politici che tecnico-militari .


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Diversa era la seconda ipotesi. Essa nasceva da un'idea italiana di portare lo stesso le truppe sul Reno, anche se non si fossero potute usare le ferrovie austriache. Ossia dal tentativo di applicare la sostanza della Convenzione ad un caso non regolato dall'accordo, ma che gli italiani consideravano la più favorevole fattispecie di conflitto da affrontare: quella di una guerra della Germania e dell'Italia contro la Francia. Ciò spiega la pervicacia con la quale per molti anni la marcia attraverso la Svizzera fu riproposta agli alleati tedeschi, i quali la sconsigliavano perché si fondava sul concetto di fare una guerra per andare a fare la guerra. Che ad un determinato momento il generale Schlieffen abbia ceduto - o fatto le mosse di cedere - alle insistenze italiane, si spiega probabilmente col suo scetticismo sull'efficacia dell ' apporto che, comunque, gli avrebbe dato l'Esercito italiano e con la scarsa fiducia di vedere mai veramente la III armata in Alsazia, giungesse per le ferrovie austriache o per le strade svizzere. Desiderando un attacco italiano sulle Alpi, è possibile che abbia preferito smettere di discutere sulla 2a ipotesi, pensando che alla fine non sarebbe stata attuata, ma che la connessa radunata nella valle padana sarebbe stata comunque utile per alimentare la pressione contro la Francia. Lo Stato Maggiore italiano, invece, considerava seriamente l'alternativa. In alcuni periodi la pianificazione andò avanti con continuità, in altri a intermittenza, fino a quando il problema elvetico cominciò a suscitare preoccupazioni difensive, non velleità offensive. Queste sopravvissero negli anni - Mazzetti ritiene fino al 1907, Rovighi fino al 1912 22 - ma è lecito qualche dubbio se l'ipotesi sia mai stata perfezionata veramente fino al punto di essere pronta per venire attuata. Per quanto concerne la radunata si deve rispondere affermativamente, poiché nell'archivio della III armata si rintracciano diversi documenti che riguardano le operazioni di concentramento delle truppe e di funzionamento dei servizi in relazione alla 2a ipotesi. Per il 1902 vi sono: uno studio dell'Ufficio trasporti relativo alla nuova formazione della III armata ridotta da 5 a 3 corpi, un promemoria sul funzionamento dei servizi e uno specchio concernente le munizioni per armi portatili e cannoni; resta da capire, benché la 23 ipotesi venga indicata esplicitamente, 22

Mazzetti, cit., p. 227; Rovighi, cii., p. 117.


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come si potesse ritenere di affrontare in attacco con 3 corpi d'armata l'esercito svizzero che ne aveva almeno 8. Nel 1904 c'è un nuovo promemoria dell'Ufficio trasporti che si riferisce al precedente, ma non cambia nulla. Per il 1905, quando di nuovo la III armata dispone di 5 corpi, il progetto di mobilitazione reca 38 allegati che dimostrano una elaborazione molto avanzata della radunata, e così per il 1906. Nel 1907 lo studio dell'Ufficio trasporti appare ormai perfezionato e completo, accompagnato com'è da progetti e grafici particolareggiati di radunata e da una "istruzione generale sul concentramento della 3a armata" 23 . Sappiamo che dal 1902 l'aspetto più rilevante della radunata consisteva nella possibilità di indirizzare i reparti verso diverse destinazioni alternative ali' interno deU' arco alpino e che dal 1908 la mobilitazione teneva sempre d'occhio il Nord-Est. Non si può parlare invece di concentramenti avanzati sulle porte d'invasione della Svizzera, e tanto meno di chiare indicazioni tattiche ai comandi operativi per aggredire e percorrere definitivi itinerari di penetrazione. Se mai, è da rilevare che nel 1899 si era parlato della difesa della Valtellina contro una calata austriaca, non della sua predisposizione a trampolino di lancio per una offensiva anti-elvetica, e che nel 1900 era stata prevista la radunata di una parte consistente dell'esercito tra l'Adige e il Friuli, da dove non si va in Svizzera. Il problema della difesa della Valtellina orientale contro l'Austria, insieme a quella della val Camonica, sarebbe tornato nel 1908, in un quadro strategico di copertura che nel 1909 sarebbe stato alla base delle manovre di agosto nel Veneto, nel presupposto di una discesa austriaca ai due lati del Garda, che culminava nell'irruzione delle forze attaccanti (partito rosso) dai monti Lessini per puntare su Venezia e Mantova. Seguirono, nel 1910, altre manovre coi quadri verso la frontiera nord-orientale 24. Venendo al 1911, è certamente da escludere che Pollio mentisse a sé stesso quando, come già riferito, scriveva, il 23 gennaio, al generale Grandi che "ora quel pericolo (l'invasione italiana) non esiste per la Svizzera" e si augurava che i vicini elvetici se ne convincessero e cambiassero atteggiamento. E infatti il 14 luglio succes23

AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 4. AUSSME, F 9, Commissione difesa, R I bis; F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 13. 24


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sivo il generale Ponza di San Martino segnalava al Pollio che la III armata aveva occupato posizioni avanzate a Nord-Est 25 : quell'estate in Europa, subito dopo la crisi di Agadir, tirava una brutta aria, mentre le forze mobili italiane venivano avviate al confine austriaco, non a quello francese o svizzero. Si può concludere su questo problema affermando che la Convenzione militare del 1888 restò in vigore com'era nata, cioè per il caso in cui tutte e tre le potenze della Triplice fossero state impegnate in un conflitto generale, sola situazione che consentisse movimenti per linee interne ali' alleanza tra Italia e Germania: vale a dire nella la ipotesi. Gli italiani cercarono poi di forzare l'accordo, inventando un modo per applicarlo anche ad una evenienza che vedesse belligeranti due soli soci della Triplice, Italia e Germania, contro la Francia. Era stata questa nel secolo XIX, dopo Tunisi, la guerra italiana, lo scontro volta a volta temuto e desiderato, e in relazione ad essa i rischi e i costi della 2a ipotesi furono anche considerati sopportabili. Lo Stato Maggiore italiano, pertanto, cercò di tenere aperta questa opzione fino a quando il contrasto fra Roma e Vienna non fece addirittura temere una minaccia da quella direzione. 42.

CONTRADDIZIONI E CRISI

Le nuove aperture offrivano alla politica estera italiana un campo di manovra assai più vasto che nel passato. L'Italia puntava ad affermare interessi mediterranei ed aspirazioni coloniali che la Francia dichiarava di non contrastare; inoltre, attraverso il dialogo con Parigi si poteva mantenere o recuperare udienza anche a Londra, in via di allontanamento dalla Triplice. Il governo di Roma godeva di una rendita di posizione in campo internazionale, che gli consentiva di muoversi con maggiore disinvoltura. Lasciando la capitale italiana, l'ambasciatore austro-ungarico Pasetti la indicò lucidamente a Bi.ilow: l'Italia era debole, ma non si poteva farne a meno, "perché, nonostante tutto, era in grado di spostare l'equilibrio europeo" Se era questo il quadro, però, inutili e controproducenti risultavano talune espressioni verbali di nervosismo, come la battuta di Bi.ilow sul 25

AUSSME, F 4, Ordinamento e nwbilitazione, R l l.


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giro di valzer e quella di Goluchowski sull'Italia "mosca cocchiera" nei Balcani 26 . La libertà d'azione della politica italiana era evidenziata anche dai contatti del Re. Nell'aprile 1903 giunse a Roma il sovrano britannico Edoardo VII, ospite di Vittorio Emanuele in un contesto molto caloroso, che non si rinnovò nel maggio per Guglielmo Il quando questi, accompagnato dal Btilow, venne a sua volta a Roma e andò a visitare il Pontefice, esponendosi all'accusa di essere venuto in Italia soltanto per questo motivo. In ottobre i sovrani italiani si recarono a Parigi e nell'aprile 1904 furono ricambiati dal presidente Loubet. A Parigi Vittorio Emanuele ebbe occasione di scambiare "anche un brindisi di carattere militare come non aveva fatto a Berlino", e a Napoli, dove si tenne una rivista navale in onore di Loubet, vi furono altri brindisi allo "sviluppo pacifico degli interessi d'Italia e di Francia sotto la protezione delle loro flotte". Ma il giorno 8 di quel medesimo mese di aprile 1904 Delcassé e Lansdowne avevano stipulato l'entente cordiale. Apparentemente, i due ministri degli Esteri avevano concluso solo un accordo coloniale che poneva fine a vecchie controversie sulla base della rinuncia francese a proseguire l'opposizione in Egitto in cambio del disco verde britannico per il Marocco. In realtà, il patto definì un allineamento sempre più solido e solidale tra le due potenze. In ogni modo, dall'intesa uscivano colpite le ambizioni tedesche nel paese africano. Si avvitò la prima crisi marocchina in seguito alla clamorosa cavalcata del Kaiser a Tangeri, nel marzo 1905. Durante quell'anno l'indebolì mento della Russia, battuta dal Giappone e alle prese con moti rivoluzionari, poneva la Germania in una posizione favorevole, tanto che lo Stato Maggiore tedesco fece osservare "che dal punto di vista militare ... era il momento più favorevole per una guerra" Venne tuttavia preferita la via diplomatica, che condusse all'accordo di Bjorko; rivisse così sulla carta, per breve tempo, la vecchia alleanza tra Berlino e Pietroburgo, ma nel giro di qualche mese i russi "cominciarono apertamente a fare marcia indietro" 26 Nell'aprile J 903 il ministro degli Esteri austriaco si era irritato perché, avendo mandato una squadra navale a Salonicco col pretesto di episodi terroristici che vi si erano verificati, vide arrivare subito dopo una squadra italiana.


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All'apertura del Reichstag, il 28 novembre, Guglielmo II tenne un discorso bellicoso e minaccioso, nel quale confermò la corsa germanica agli armamenti navali e suddivise i paesi del mondo tra quelli che avevano relazioni "buone e amichevoli" con la Germania e quelli che le avevano solo ''corrette", come Francia, Gran Bretagna e Spagna. Inoltre, quando il giovane sovrano spagnolo Alfonso soggiornò a Berlino dal 6 al 12 di quel mese, l'Imperatore lo sollecitò insistentemente, "in caso di guerra franco-tedesca, a concentrare 200.000 uomini alla frontiera dei Pirenei, onde impegnare due corpi d'armata francesi nella zona di Baiona e di Perpignano" A parte l'inopportunità della proposta, vien fatto di pensare che il Kaiser avesse pensato di trovare nella Spagna un'aggiunta o una supplenza all'Italia. A Londra, intanto, l'ammiraglio Fisher era stato nominato Primo lord del mare, e subito si mosse in modo ostile alla Germania: previde la guerra, la fece studiare, progettò di sbarcare 100.000 uomini nello Schleswig; presto avrebbe preso a predicare l' aggressione preventiva alla flotta tedesca. Su iniziativa britannica, nel gennaio 1906 ebbero inizio conversazioni militari con i francesi 27. Quando Tommaso Tittoni, allora ministro degli Esteri, aveva incontrato Btilow a Baden Baden (settembre 1905), si era sentito dire che una guerra anglo-tedesca non era fatale, ma non era neanche considerata con ansia; tenendo conto della rilevanza che l'amicizia di Londra aveva per Roma, l'italiano si sentì gelare e forse anche per questo non informò compiutamente il cancelliere sul tenore degli accordi con la Francia. Ciò poté favorire l'errore di Biilow, il1uso di avere l'appoggio dell'Italia nella questione maroc27

Vedi E. Serra, Camille Barrère e l'intesa italojrancese, Milano, Giuffrè, 1950, pp. 169-71: a Roma, in occasione della visita di Loubet, si avviò l' accordo per la costruzione della ferrovia Cuneo-Ventimiglia, che per motivi tecnici andava esercitata su piccoli tratti dal territorio francese; A.J.P. Taylor, L'entente cordiale; D.C. Watt, La prima crisi marocchina; E. Serra, L'Italia tra Francia e Germania, tutti in 20° Secolo, ecc., cit., I, pp. 89-94, 158-63 e 164-68; H. Hallmann, La Spagna e la rivalità anglo-francese nel Mediterraneo (1 898-1907), Milano, !SPI, 1942, pp. 86-202. I primi approcci nelle conversazioni militari furono condotti dal generale britannico Grierson e dall'addetto militare francese a Londra: cfr. corrispondenza tra Edward Grey, succeduto a Lansdowne al Foreign Office, e l'ambasciatore inglese a Parigi Bertie, PRO, FO, 146, 3877 e 3886.


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china. Era ben difficile e alla fine contraddittorio, come rilevò l' Éclair del 16 ottobre, pretendere di resistere politicamente alla Germania, osservando nel contempo gli obblighi della Triplice. Caduto infatti il Tittoni nel dicembre, il nuovo ministro degli Esteri di San Giuliano nominò Emilio Visconti Venosta rappresentante dell'Italia alla conferenza di Algesiras. Il vecchio diplomatico si rendeva conto che tra Berlino e Londra era in atto una divaricazione crescente e che l' entente cordiale rendeva necessario ormai continuare a negoziare con la Francia, cardine di quell 'intesa e del suo collegamento con la Russia. Così ad Algesiras, sulla cruciale questione della polizia del Marocco, l' Italia votò con la Francia e con l'Inghilterra. A Berlino andò soltanto la solidarietà austriaca, per cui diventò inevitabile, sebbene il principe di Biilow riconoscesse la correttezza di Visconti Venosta, che un'ondata di risentimento si rovesciasse dagli Imperi centrali sull'Italia. Italia, Francia e Gran Bretagna firmarono in dicembre, a Londra, due convenzioni che regolavano i ri spettivi interessi in Etiopia e la comune sorveglianza per impedire il contrabbando di armi . La diplomazia occidentale manteneva l' iniziativa. Dopo un accordo tra Londra, Parigi e Madrid per la salvaguardia dello statu quo "nel Mediterraneo e in quella parte dell'oceano Atlantico che bagna le coste dell'Europa e dell'Africa" (maggio), lo schieramento dell' Intesa si definì il 3 1 agosto, con un inedito patto russo-britannico che sanciva il disinteressamento zarista per l' Afghanistan e quello inglese per il Tibet. Si completava con ciò l'accerchiamento de lla Germania, l'argine alla spinta tedesca verso il Golfo Persico si rinsaldava con l'apporto di un'altra grande potenza, veniva posta sotto scacco la Turchia. La Triplice era in crisi. Alla data prevista di fine giugno 1907, l'alleanza fu prolungata tacitamente per altri 6 anni, senza modifiche e senza entusiasmi. Il 6 aprile precedente il nuovo Capo di S.M . austro-ungarico, generale Franz Conrad von Hotzendorf, aveva già trasmesso all ' Imperatore il primo di una serie di promemoria in favore della guerra all' Italia. Aveva una sponda favorevole, salvo che per l' attacco preventivo, nell'arciduca ereditario Francesco Ferdinando, ma sia l' Imperatore che il ministro degli Esteri Aehrenthal erano decisamente contrari. Procedendo tra diffidenze e ripicche, recriminazioni e contrasti, la Triplice appariva sempre più un'alleanza sfilacciata. A Berlino e a Vienna l'idea


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dell'Italia "sorella minore" aveva lasciato il posto ad un apprezzamento dell'accordo con Roma come il minore dei mali_ Il risentimento veniva a galla cli frequente con acide e pesanti battute, come quella di Guglielmo II contro die Schlappen Italiker, quegli sfaticati di italiani. E la sfiducia pareva legittimare atteggiamenti offensivi e sleali: a fine 1907 Aehrenthal venne in Italia e scortesemente non volle recarsi a Roma, ma quando Tittoni andò ad incontrarlo a Milano, l'austriaco non gli disse dell'intenzione di espandersi nei Balcani 28 . Questi anni, così movimentati e pericolosi, non erano stati positivi per l'Esercito, costretto a ricorrere ad espedienti di dubbia efficacia per fronteggiare l'estensione dei suoi compiti in condizioni inadeguate di bilancio. Il non breve periodo nel quale il generale Saletta fu Capo di S.M. fu quasi sempre difficile, come lo era stato per il suo predecessore Primerano. Sulla Forza armata si riflettevano i gravi problemi del Paese, con l'effetto di penalizzarla pesantemente. Il ministro Pelloux aveva dovuto consolidare il bilancio ordinario della Guerra, nel 1897, a 227 milioni e sino alla fine del 1906 non ci si poté scostare significativamente da tale livello, mentre le spese straorclinarie si muovevano tra i 18 e i 25 milioni. Solo con l'anno finanziario 1907-1908, quando Giolitti si convinse che era necessario por mano allo strumento militare, vi fu un incremento delle risorse destinate alle forze di terra, ma l'accelerazione dell'inflazione lo rese più apparente che reale. Tuttavia il Saletta, attraverso una serie di provvedimenti, riuscì ad ottenere che la figura del Capo di S.M. dell'Esercito assumesse contorni più precisi. A lui, col RD 77 del 1908, furono attribuite la direzione degli studi per la preparazione della guerra in tempo di pace, la guida dell 'Esercito in tempo di guerra, la preparazione dei programmi di mobilitazione e la condotta delle operazioni, la sovrintendenza all'impiego delle grandi unità, gli indirizzi per l'addestramento, i servizi, la Scuola di Guerra e l' Istituto Geografico Militare; in tema di spesa pubblica, di concerto col 28

Cfr. B. Pellegrini, Verso la guerra ? Il dissidio fra l'Italia e l 'Austria, Roma, Voghera Ed., 1906, pp. 397-98 e 601-66; Tommas ini, cit., II, pp. 201 -19 e III, pp. 215-35; Hallmann, cit., pp. 191 -226; Serra, Camille Barrère, ecc., cit., pp. 197-227.


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ministro della Guerra, ripartiva le somme approvate e formulava nuove proposte; doveva essere tenuto informato dal governo su11a situazione politico-militare, consultato dal ministro della Guerra in ordine alle modifiche di leggi e regolamenti, partecipava di diritto ad ogni commissione destinata a fornire al governo pareri di natura militare, corrispondeva direttamente col Capo di Stato Maggiore della Marina. L'Esercito venne provvisto di nuovo materiale per l'artiglieria da campagna e di mitragliatrici per i reggimenti di fanteria e di cavalleria. Ma la scelta del cannone Krupp 75 A ad affusto rigido, effettuata nel 1900, non fu felice, trattandosi di un'arma già superata in Francia e in Inghilterra; l'errore fu corretto nel 1906, dopo anni di studi e di impegno informativo attraverso gli addetti militari, ma ormai erano state equipaggiate 120 batterie, che nel 1911 sarebbero diventate 149; comunque, riconosciuto migliore il 75 Deport, francese, se ne dotarono 80 batterie. Come mitragliatrice fu scelta la Maxim, dopo un lento processo decisionale. I piani di mobilitazione furono aggiornati tre volte, sia per il Nord-Ovest che per il Nord-Est. "La profonda crisi che aveva colpito l' esercito nell'ultimo decennio dell'Ottocento, però, non scomparve con il nuovo secolo, per alcuni versi anzi si accentuò e divenne manifesta anche agli occhi del pubblico meno informato" 29 . Non era soltanto questione di risorse finanziarie. Un osservatore militare straniero descriveva la situazione in questo modo: "L'esercito attuale, né come armamento, né come addestramento, né come stato morale ispira una fiducia completa nel paese. La Marina, al contrario, gode di tutte le simpatie, porta con sé tutte le speranze e tutte le ambizioni del popolo italiano. Il suo ruolo, nelle presenti circostanze politiche, è nettamente definito, il suo programma discende del tutto naturalmente dalla necessità di mantenere una superiorità considerevole sulla marina austriaca. La situazione finanziaria consente sforzi seri in questo senso" Non era una cosa nuova: se nel 1901 era stato possibile dire che l'Adriatico era pa,faitement négligé dalla Marina italiana, già due anni dopo un'ipotesi di conflitto in quel mare contro la flotta asburgica era diventata attuale. Nel settembre 1904 il vice Capo di S.M. della 29

O. Bovio, Storia dell'Esercito Italiano (1861-1990), Roma, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, 1996, pp. 162-66.


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Marina redasse uno studio intitolato "Confronto tra la flotta italiana e la flotta austro-ungarica"; nel 1907 poi, esaminando l'organizzazione tecnica delle forze da sbarco, lo Stato Maggiore ne previde salomonicamente l'impiego ad Oriente come ad Occidente 3°. I capi dell'Esercito erano preoccupati. Continuava la pratica di tenere in piedi reparti con una forza minima, poiché il bilancio non era in grado di sostenere di più. E non era solo questione di bilancio, visto che le norme sulla leva rendevano il gettito scarso. Il generale Saletta ottenne dal governo Giolitti un primo provvedimento nel 1904, cui un altro seguì nel 1907; l'uno e l'altro con effetti positivi sulla consistenza dei coscritti, ma, naturalmente, a tempi non immediati: nel 1905 il Ministero della Guerra ricevette la segnalazione di "gravi risultanze della manovra" di mobilitazione e di "gravissima" difficoltà nella radunata a Nord-Est. Scrittori militari invocavano maggiore disciplina argomentando, contro i pacifisti, che l'esercito doveva essere capace di combattere con efficacia. Le vecchie norme avevano consentito una quantità di esenzioni, così estesa che la forza media della compagnia era discesa a 65 uomini nominali. Al reclutamento sfuggiva circa la metà dei giovani interessati, tanto che dai 101.793 idonei che aveva dato la classe del 1877, si scese nel 1906 ai 66.836 della leva sui nati del 1886. Fu la legge 15 dicembre 1907 a ridurre drasticamente i motivi d'esenzione, facendo risalire il gettito, nell'anno seguente, a 106.000 uomini, più altri 20.000 collocati in una seconda categoria superiore 31 • Ormai lo Stato Maggiore teneva d'occhio lo scacchiere nordorientale non meno di quello nord-occidentale; nel 1904 il Saletta aumentò le forze destinate alla copertura di tutto il confine con l'Austria e riorganizzò completamente lo schieramento su quel versante. Anche la cooperazione con la flotta - un tema che il Capo di S.M. sentiva particolarmente - venne curata con riguardo a

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Vedi capitano di fregata Saint Pair a ministro della Marina, 20 dicembre 1908, e capitano di vascello Davin a id., rapporto n. 20 (settembre-ottobre) 1901, AMF, BB 7, buste 123 i e 156 e; AUSMM, busta 185, fase. 3 (pratiche K 14 e K 15); busta 200, fase. 3. 31 AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11; L. Ghersi, Attorno al problema militare, Vercelli, Gallardi, 1905; Ruffo, cit., pp. 129-34; Saccoman, cit., p. 53.


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diversi compiti e a diversi avversari, l'Austria ad Oriente e la Francia ad Occidente. Le informazioni che giungevano da questo paese suscitavano talvolta inquietudine poiché si temeva che la riorganizzazione del XIX corpo dell'Algeria mirasse ad una sua destinazione finale alla frontiera alpina. La supposizione che all'inizio delle ostilità i francesi, resisi padroni del mare, attaccassero in forze dal Nizzardo con tre corpi d'armata "(XV Corpo, Corpo coloniale, XVI Corpo con le rispettive formazioni di riserva) ... con lo scopo di aggirare l'esercito italiano che si sta raccogliendo sulle Alpi", era alla base del viaggio di S.M. del 1906 nella zona del Tenda-Turchino. Queste esercitazioni tuttavia venivano fatte soprattutto per routine, essendo in generale notorio - e continuamente monitorato per i canali disponibili - che l'attenzione primaria dei Comandi francesi era rivolta ai tedeschi, di cui era conosciuto il disegno di attaccare attraverso il Belgio. Fu proprio in relazione a questa previsione che il direttore del War Office ebbe a precisare al Capo di S.M. francese Brun che avrebbe sbarcato sul continente 100.000 uomini per far]j operare in territorio belga 32. Nei confronti dell'Italia, il nemico "ufficiale" transalpino si sentiva sempre meno tale. Uno scrittore militare francese, riproponendo per l'ennesima volta I' allarme contro la Germania, prevedeva dopo Algeciras che i corpi XIV e XV sarebbero rimasti sulle Alpi "in osservazione" e li considerava sufficienti in caso di guerra contro i tedeschi, "tanto per la comunità d'interessi e di sentimenti che ci lega attualmente all'Italia, che per il carattere particolare della nostra frontiera di S.E., dove la barriera delle Al32

Le manovre del settembre 1904 in Campania - svolte allo scopo "di esperimentare quanto si riferisce alla preparazione ed alla esecuzione di una spedizione marittima destinata a sbarcare in un paese nemico e nel tempo stesso di far funzionare sul nostro litorale gli elementi di vigilanza e di protezione costiera" - furono definite "utilissime" dal Saletta e molto elogiate in Italia, ma criticate in Francia. Cfr. Relazione della esercitazione di sbarco del 1904, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 91; Revue militaire des Armées Étrangères, n. 928, marzo 1905, pp. 193-235. Per il viaggio di S.M. del 1906 sul tema dell'offensiva francese in Liguria, vedi G 23, Scacchiere occidentale, R 22-23; G 29, Addetti militari. Francia, R 16. La nota del War Office del 18 settembre 1906 è in Documents Politiques français ( 1871-1914), serie II, tomo IO, doc. 208.


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pi si oppone all'impiego di forze numerose ed alla condotta di operazioni importanti" Alla Francia, del resto, si usavano riguardi: nel settembre 1907 3 incrociatori e 3 caccia italiani furono inviati a Marsiglia per rendere omaggio al presidente Armand Fallières che visitava la Provenza. A novembre lo Stato Maggiore deplorò che la dislocazione dei depositi e la mobilitazione dell'esercito fossero "rispondenti per ora quasi esclusivamente alle ipotesi di radunata verso la frontiera N.O.", quando era necessario pensare al N-E, rinforzando il confine e aumentando i presidi nel Veneto 33 . Tuttavia il governo italiano non aveva comunicato allo Stato Maggiore istruzioni nuove, significativamente diverse dalle precedenti. Di conseguenza l'Esercito, pur non perdendo di vista il versante orientale, continuò a lavorare all'interno del caso di partecipazione a un conflitto dalla parte della Triplice. La III armata era sempre in predicato di trasferirsi in Alsazia, le fortificazioni verso la Francia ed il Valais tornarono all'attenzione, la Marina preparò una "Memoria sulla Corsica" nella quale individuava i punti del litorale più adatti a uno sbarco. Le misure più significative riguardarono i lavori per opere difensive. Nel mese di luglio 1906 il Ministero chiese al Capo di S.M. di indicare un programma completo di lavori. Il Saletta rispose che "la sistemazione difensiva dello Stato richiede una somma non inferiore a 332 milioni", così suddivisa: a) Frontiere francese e svizzera milioni 69 b) Frontiera austriaca milioni 82 c) Piazze marittime (Venezia, Ancona, Taranto, Messina, Napoli, Spezia, Genova, Maddalena) milioni 170 d) Piazze interne (Mantova, Piacenza, 11 Alessandria e Casale, Roma) milioni Ma c'erano in tutto 12 milioni, da spendere entro il 1907, ossia il 3,6% di quanto era stato indicato come minimo, non calcolando altre esigenze che avrebbero portato il fabbisogno a 640 33

P. Baudin, L'Alerte, Paris, Chapelot, 1906, pp. 75-283; AUSMM, busta 191, fase. 4; Riassunto dei lavori svolti dal Comando del Corpo di S.M. nel decennio decorso (1896-1907), in AUSMME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 7.


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milioni. Evidentemente, mentre lo Stato Maggiore aveva redatto un piano completo da attuarsi in un ciclo di anni, il ministro della Guerra pensava ad un primo intervento d'urgenza. Il generale Saletta non lo riteneva utile. Pose l'accento sull'errore commesso nell'aver trascurato i confini nord-occidentali, sulla cui reale situazione fece un quadro allarmante: "Gli sbarramenti dell'Appennino ligure (Genova compresa) sono pressoché senza valore; nulla si ha a Ventimigl ia; Tenda manca anche di ricoveri e di polveriere; Val Gesso è indifesa; Vinadio vale poco se non si occupano la Ciandoletta e il Varirosa; Val Maira è indifesa; in Val Vraita le due opere del fondo valle non hanno valore se almeno non saranno protette dall 'occupazione di Cougn di Goria; lo Chaberton a Cesana richiede necessariamente l'occupazione di altre posizioni e particolarmente di Cima del Bosco; Bardonecchia e Exilles richiedono pure necessariamente l'occupazione del Pramand; lo sbarramento del Moncenisio non avrà alcun valore se non si completerà almeno la batteria del Paradiso; in Val d'Aosta non si è raffo rzato Bard e si sono abbandonati i lavori in iziati a Testa d' Arpi e alle Balme, mentre si è lasciata aperta la nuova rotabile del Gran S. Bernardo" Tornò inoltre sulla necessità di un programma di lungo periodo - solo per il N-E sarebbero occorsi 12 anni e 20 se vi si aggiungevano le piazze marittime - rilevando che "la somma di 12 milioni all'anno rappresenta un 'aliquota troppo al disotto del necessario" Il Ministero fece sapere che negli 11 anni 1906-1 917 non poteva "venire spesa per opere di fortificazioni una somma superiore a 80 milioni, di cui 29 milioni da destinarsi alla piazza di Venezia e L 1.200.000 per Ancona e Brindisi" Il messaggio che veniva dalla politica mostrava ora maggiore sensibilità per il versante orientale. Secondo il Saletta, però, per le opere necessarie a N-E occorrevano 127 milioni, più 5 subito per completare gli interventi in corso al Moncenisio, in val d' Aosta e al Sempione. Aumentarono le disponibilità di bilancio, ma aumentarono anche i prezzi e complessivamente, tra il 1896 e il 1908, furono spesi 24,7 milioni, di cui 5,5 per batterie alla frontiera francese. Il ricorrente problema della insufficienza delle risorse si proponeva ancora una volta: lo Stato Maggiore concluse che per affrontare la fortificazione del confine orientale in costanza delle limitazioni


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esistenti ci sarebbero voluti più di 30 anni, trascurando le altre esigenze 34_ In campo militare si verificarono due episodi significativi_ Il primo fu il fallimento delle m anovre austriache del 1906, che potè accelerare la giubilazione di von Beck e la sua sostituzione col Conrad. Mazzetti riporta che "il partito invasore era sbarcato a Ragusa senza alcun contrasto ed aveva avanzato verso l'Erzegovina senza incontrare il partito nazionale": il supposto invasore non poteva essere che italiano e la pericolosità de ll ' iniziativa prefigurata nella manovra veniva esaltata dalla prevedibile colleganza dell' avversario sbarcato con i serbi ed i montenegrini. Ne derivò la decisione di rafforzare anche la marina. Il secondo fu la preparazione di un documento segreto in Inghilterra, intitolato "Guerra con la Germania" L'estensore - comandante Slade del War College - attribuiva all'Impero tedesco una forte capacità espansiva, che poteva rivolgersi all' Olanda e al Belgio con le loro colonie, all'Austria-Ungheria, al Sudamerica. Nella prima ipotesi la Gran Bretagna avrebbe combattuto, se possibile insieme alla Francia, per evitare che il potere marittimo germanico crescesse al punto da minacciarla seriamente: nell ' estate 1908 Grey lo comunicò al Re Edoardo VII, osservando che una vittoria navale tedesca poteva portare a Londra l' esercito di Guglielmo II, mentre un successo britannico in mare non avrebbe portato gli inglesi più vicini a Berlino. Se alla morte di Francesco Giuseppe l' Austria fosse stata assorbita - pur lasciando indipendente l' Ungheria e concedendo all' Italia le terre irredente - la Germania si sarebbe affacciata in Adriatico con esiti preoccupanti, specie se si fosse impadronita della flotta austriaca; in una evenienza simile si sarebbe dovuto cercare un'intesa con l'Italia, sempre che ce ne fossero state le condizioni. Il caso del S udamerica preoccupava meno, facendosi conto sugli Stati Uniti e sulla dottrina di Monroe. Ma l' operazione fondamentale, quella che in ogni eventualità era considerata indispensabile, era la distruzione della flotta tedesca. Diventò un ' osse ss io ne a Londra, specia lmente quando il varo della prima dreadnought (1906) parve rendere di colpo obsolete le altre navi in servizio, con evidente vantaggio del34 Sunto degli studi compiuti e dell'azione, ecc.,

cit., pp. 21-33 , AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 116; Gooch, cit. , pp. 164-65.


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la Germania. Il timore di una gara navale che ripartisse quasi da zero spaventava gli inglesi. L'allarmismo dell'ammiraglio Fisher trovò alimento nei supplementi alla legge navale del 1900, approvati a Berlino nel maggio 1906 e nel dicembre 1908, che aumentavano il numero degli incrociatori da costruire e diminuivano l'età massima delle navi da battaglia; nel 1907, inoltre, i tedeschi impostarono le loro prime corazzate monocalibro, le quattro Nassau 35 . Da tempo in Italia le condizioni dell'Esercito provocavano discussioni e polemiche. La legge 287 del 6 giugno 1907 istituì una Commissione d 'i nchiesta, composta da parlamentari e da esponenti militari; essa svolse in maniera approfondita la propria indagine, di cui raccolse i risultati in un'ampia relazione in due volumi (1908 e 1910). Le conclusioni ponevano anzitutto in risalto il disagio morale ed economico degli ufficiali, non eliminato dalla legge 362 del 6 luglio 1906 che aveva aumentato gli stipendi 36 . Gooch dice che in quel periodo molti ufficiali in Europa si sentivano socialmente isolati, ma si può ricordare che Meinecke, parlando della Germania di Guglielmo II, scrive che "il tenente prussiano camminava rigido e maestoso come un giovane dio, il borghese tenente della riserva almeno come un semidio"; è vero che in Germania "il militarismo permeava tutta la vita borghese e si affiancava ... a una ingenua e presuntuosa ammirazione dello stile prussiano di vita", col risultato di diffondere "una angusta visione intellettuale e politica, ... un rigido convenzionalismo" 37 Ma in Italia, paese assai meno compatto dal punto di vista sociale, una insufficiente attenzione ai problemi dei militari indeboliva lo strumento primario della difesa nazionale e della politica estera. Di questo la Commissione si rese conto e, tra l'altro, propose 35

Per i vari argomenti vedi Mazzetti, cit., p. 233; il memorandum War with Germany di J.W. Slade è in PRO, Admiralty, 116, 1036 B; il promemoria di Grey al Re in British Documents on the Origins of the War 1898-1912, VI, appendice III, p. 779; L.W. Martin, cit., pp. 171-78; A. Santoni, Il primo Ultra Secret, Milano, Mursia, 1985, pp. 9-37. 36 Relazione della Commissione d'Inchiesta sull'Esercito, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1908 e J910. 37 Cfr. J. Gooch, La, professione militare in Europa dall 'età napoleonica alla seconda guerra mondiale, in AA.VV. Ufficiali e Società, a cura di G. Caforio e P. Del Negro, Milano, F. Angeli, 1988, p. 56; K.D. Bracher, La, Gemzania di Guglielmo Il, in AA.VV., 20° secolo, ecc., cit., I, p. 150.


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un riesame serio delle carriere degli ufficiali, che trovò compimento negli anni seguenti. I provvedimenti suggeriti affrontavano l'organizzazione del territorio e la predisposizione delle opere di fortificazione. A Nord Ovest era particolarmente necessario migliorare la rete stradale e sbarrare le valli, allocando in forti modernamente protetti presidi non numerosi, ma capaci di munire le regioni di montagna di speciale interesse militare. A Nord Est, in coerenza con i piani del Saletta 38, veniva indicata l'esigenza di rafforzare con opere la copertura delle zone strategiche e di rendere più efficienti le linee di afflusso delle truppe, che comportavano interventi sul sistema ferrov iario. La difesa marittima andava concepita su tre versanti tirreno, ionio ed adriatico - fortificando le piazze e impegnando le siluranti per difendere i centri marittimi più utili per la flotta. Occorrevano criteri nuovi per adeguare a] progresso delle armi le fortificazioni delle Alpi e degli Appennini. La Commissione stimava una esigenza di 140 milioni per le opere terrestri, cui se ne dovevano aggiungere altri 50 per quelle marittime e gli interventi nella rete ferroviaria e nei canali navigabili. Preoccupava infine la lentezza delle procedure burocratiche: i progetti particolareggiati delle opere previste negli studi del 1905 erano stati pronti a fine 1907, e mesi dopo risultavano approvati solo in parte. La Commissione suggerì modalità specifiche "per togliere siffatta causa di ritardo e meglio determinare la responsabilità nella costruzione delle opere" Il generale Paolo Spingardi era ministro della Guerra dall'aprile 1907. Nello stesso anno un primo provvedimento assegnò all'Esercito, per spese straordinarie, 60 milioni in quattro anni; venne approvata poi la legge 496 del 5 luglio 1908 che destinava all'Esercito 223 milioni fino all'anno finanziario 1916-1917: la maggior parte di questi fondi erano destinati a "sbarrare le porte di casa" al confine nord-orientale. Nel mese precedente il Saletta aveva lasciato, per limiti di età, l'incarico di Capo di S.M. al tenente generale Alberto Pellio, ma il programma restava quello che il generale piemontese aveva licenziato nel maggio. Pellio, campano di Caserta, era dotato di grande capacità organizzativa, di intelligenza acuta e di un grande fascino personale. Si 38 Ruffo,

cit., pp. 132-34.


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intese bene con il ministro della Guerra Spingardi e insieme propiziarono la rinascita dello strumento militare italiano. Furono aiutati in ciò da una maggiore comprensione politica da parte di Giolitti e da una situazione finanziaria molto migliorata. Nel 1909 il Parlamento autorizzò un nuovo stanziamento di 125 milioni su 6 anni, poi altri 10 milioni, infine altri 16, sempre per spese straordinarie. La svolta nella politica militare italiana rispondeva certamente a pregresse, inderogabili necessità, ma non le era estraneo il deterioramento della situazione internazionale, che dal l 908 subì una brusca accelerazione, coinvolgendo le potenze europee in una serie di contrasti. 43. L'ANNO "BALCANICO" Da quando il Conrad aveva fatto svolgere le manovre nel Tirolo senza invitare osservatori italiani (1906), Saletta non se ne fidava molto. Nel gennaio 1908 chiese all'addetto militare a Vienna informazioni "circa i sentimenti dai quali egli è animato a riguardo del nostro Paese e del nostro Esercito" Il capitano Vittorio Signay di S. Marzano rispose che Conrad non nutriva una "naturale avversione" verso I'Italia, di cui ammirava le bellezze, ma che aveva "poca fiducia verso i fini politici dell'Italia"; diffidava dell'opinione pubblica che si sarebbe fatta trascinare dai demagoghi irredentisti anche se il governo fosse stato leale; considerava l'esercito italiano minato da una profonda crisi morale; l'addetto militare aggiungeva che, effettivamente, il malcontento, il modernismo, le inchieste e vari casi clamorosi di insubordinazione "contribuiscono a provocare, indipendentemente dalla loro importanza reale, giudizi pessimistici sulla coesione e sulla situazione morale del nostro esercito" 39 . Ancora nel marzo, peraltro, incontrando a Venezia Guglielmo II, il Re Vittorio Emanuele aveva osservato un atteggiamento di stretto lealismo triplicista, raffreddando, o almeno temperando, qualche prematuro entusiasmo francese con la presa di coscienza che, alla resa dei conti, l'Italia poteva rivelarsi ostile 4°. 39

Signay di S. Marzano a Saletta, 25 gennaio 1908, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 61. 4 Captain Sorb, La doctrine de Défense Nationale, Paris, Berger-Levrault, 1912, pp. 188-90.

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Era d'altra parte abbastanza naturale per gli italiani, dopo lo strappo di Algeciras, esibire una certa volontà di recupero nei confronti della Germania. Era l'amicizia con questa potenza che più di tutto premeva nella Triplice: Berlino era intervenuta ripetutamente, con autorità, per migliorare i rapporti tra gli altri due alleati, e più di una volta i tedeschi lo avevano fatto in favore degli interessi italiani, come nel caso della convenzione navale del 1900. Italia ed Austria, invece, viaggiavano in rotta di collisione, e per motivi più profondi delle periodiche impazienze aggressive di Conrad. Nei Balcani - tra fine 1907 ed inizio 1908 - scoppiò la "guerra delle ferrovie", che vedeva contrapposti i progetti di due diversi tracciati. Gli austriaci propugnavano una linea che dalla Bosnia andava a Salonicco per Novi Pazar, tagliando fuori la Serbia dall'Adriatico e dalla Grecia, oltre che dal Montenegro; gli italiani invece volevano una ferrovia trasversale dall'Adriatico a Belgrado, che avrebbe convogliato il traffico connesso con gli accordi commerciali stipulati dalla Serbia con l'Italia, la Francia, la Svizzera, la Gran Bretagna e la Svezia. Ad un tale tracciato era interessata anche la Bulgaria - così disse a Parigi l'addetto militare bulgaro a quello italiano - perché una linea che da Durazzo o Valona raggiungesse Varna sul Mar Nero avrebbe coperto la via più breve tra l'Italia e la Russia, servendo gli interessi di Roma e di Sofia a discapito di Vienna 41 . In maggio si riunì la Commissione mista per la difesa dello Stato, che affrontò con impegno i problemi connessi a una guerra in Adriatico e alla frontiera veneta. Vennero all'attenzione anche i problemi di Napoli, di Genova e di Roma, però il ministro della Marina Mirabello ritenne poco probabile l'investimento nemico della capitale e propose che le spese destinate a contrastarlo fossero "comprese tra le meno urgenti" Il generale Pedotti dichiarò che "più di tutto preme il provvedere per l'ipotesi di guerra con l'Austria; e che quindi, dato l'orientamento della nostra politica e dato il principio che la nostra marina può tenere in rispetto la flotta austriaca, non si deve avere nulla a temere per le coste. Epperò tutte le spese che non riflettono la frontiera orientale (eccetto 41

Sulle opinioni del tenente colonnello Jostoff, vedi i rapporti del maggiore Vittorio Zaccone al Comandante in 2•, ecc., del 4 luglio e 19 agosto 1908, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 19.


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quelle... per lo Chaberton e il Cenisio) e quindi anche quelle per Roma, sono da ritenersi meno urgenti" Le decisioni assunte riguardarono: "a) completamento in breve tempo del nuovo armamento del1' artiglieria da campagna (cannoni ed obici leggeri e pesanti) e delle dotazioni di mitragliere, e della riforma del parco d'assedio; b) acceleramento dei lavori di fortificazione terrestri e costieri alla frontiera orientale al massimo grado consentito dai nostri mezzi di produzione, e completamento delle opere avviate alla frontiera occidentale, provvedendo anche alle principali deficienze della difesa costiera, con largo sussidio, specialmente per alcune piazze marittime, di siluranti e di sommergibili. Speciali provvedimenti per una efficace difesa del Garda, anche mediante apposita flottiglia. Completamento della rete radiotelegrafica mediante stazioni lungo l'Appennino e lungo la frontiera terrestre; c) provvedimenti necessari pel funzionamento del comando in guerra (unità di comando ed ispettorati d'annata)" Venne prevista la possibilità di destinare anche la IV armata, tradizionalmente dislocata a difesa della penisola, alla valle del Po per fronteggiare un'invasione austriaca dal Tirolo o dalla val Poschiavo; sul Piave e in Valtellina furono tracciate linee di resistenza; si decisero spese per le piazze di Venezia (10,5 milioni dalla Marina; 55,6 dalla Guerra), Brindisi (5,9 milioni dalla Marina; 3,1 dalla Guerra) e Taranto (7,5 milioni dalla Marina; 12,5 dalla Guerra). Alla copertura del confine nord-orientale era dedicato anche uno degli ultimi promemoria del Saletta, trasmesso al ministro il 14 maggio, dopo la chiusura della sessione. Nel corso dell'anno si riunì tre volte il Consiglio dell'Esercito, organo tecnico che confermò l'istituzione dell'8° reggimento alpini ed apportò modifiche nella formazione dei battaglioni bersaglieri 42. Le manovre di fine agosto in Liguria simularono che il partito rosso sbarcasse a Vado, si costituisse una base fino ad Altare e tentasse con le forze mobili di raggiungere la Bormida per scendere verso i] Po mentre attaccava con altre forze dalle Alpi Cozie. Malgrado il "vizio antico" degli attacchi poco efficaci perché non ben coordinati, l'avanzata veniva portata avanti, ma non riusciva 42

AUSSME, F 9, Commissione Difesa, R 1 bis; F 4, Ordinamento e mobi-

litazione, R 13.


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ad impedire al partito azzurro di mantenere aperta l' opzione tra ritirata e contrattacco. Dai combattimenti convenzionali parte delle fortificazioni erano uscite indenni, altre invece avevano riportato danni più o meno gravi. Ma questa volta l'insistenza su un tema ripetuto da decenni aveva soprattutto il fine di collaudare la collaborazione su scala importante tra forze di terra e di mare a fini difensivi e offensivi. La relazione sulle manovre recava: "Lo scopo della esercitazione fu di esperimentare quanto si riferisce alla preparazione ed alla esecuzione di una spedizione marittima destinata a sbarcare in paese nemico e, nel tempo stesso, di far funzionare sul nostro litorale gli elementi di vigilanza e di protezione costiera" Le valutazioni conclusive osservavano che "le manovre di sbarco ... sono riuscite utilissime", avendo consentito di sperimentare dal vivo problemi pratici e carenze nello snodo tra comandi e reparti, considerati facilmente superabili, mentre per le riscontrate deficienze di dotazione o imperfezione qualitativa dei mezzi da sbarco e del naviglio da trasporto doveva provvedere l'autorità centrale 43 . Scopo principale della rinnovata cooperazione tra Esercito e Marina era l'addestramento ad un'azione anfibia; né si può dire che dovesse essere diretta necessariamente sulle coste della Provenza, sebbene lo strumento militare francese non attraversasse un momento particolarmente felice. In quell'anno da Parigi veniva infatti segnalato un "esercito dilaniato dalla poi itica, dall'indisciplina, dall'antimilitarismo", con i servizi disorganizzati e la Marina che negli ultimi 3 anni, a detta del ministro Pelletier, " ha avuto, per accidenti varii, tante perdite di materiale e danni, come se avesse subito una disfatta". La prospettiva di una guerra con la Germania, indiziata di voler violare la neutralità belga, era considerata quasi con terrore. Vi contribuivano le intemperanze della stampa sensazionalista, mentre un problema reale veniva dalla crisi della natalità in Francia, che nel gennaio 1909 avrebbe provocato la proposta di imporre il servizio militare obbligatorio agli algerini per aumentare l'esercito francese; nel 1908 si volle rafforzare la dotazione d'artiglieria 43

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 91; S.M. Esercito, Relazione sulle manovre svolte in Liguria, Firenze, Tipografia Cooperativa, 1909, pp. 3-39.


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dei corpi d'armata che risultava inferiore a quello dei corpi tedeschi, ma dalla stampa specializzata germanica giunse l'ammonimento che in guerra era possibile solo parzialmente supplire con materiale meccanico al materiale umano 44 . L'attenzione dei Comandi francesi era sempre rivolta alla Germania, in direzione della quale venivano condotte le manovre più importanti; frequentemente per quelle esercitazioni venivano risucchiati a Nord Est anche reparti dell'armata delle Alpi. La grande estensione dello spionaggio germanico, specie lungo la frontiera, contribuiva a tenere sempre desto un certo grado di allarme. Restava immutata, invece, la strategia difensiva nei confronti dell'Italia. Come nel passato, essa era affidata alle fortificazioni, alle truppe di montagna e ai corpi d'armata XIV e XV, che dovevano coprire la frontiera alpina e la costa provenzale dal confine italiano a quello spagnolo. Le forze mobili erano dislocate in profondità nella zona delle Alpi, dove furono compiuti lavori di miglioramento della viabilità diretti a facilitare gli spostamenti per linee interne. Sul litorale, da Mentone a Port Vendres, lo schieramento era più rado, facendosi assegnamento sui presidi territoriali per fronteggiare nel primo momento un poco probabile sbarco 45 . Intanto, a luglio, la rivoluzione dei Giovani Turchi aveva posto fine al regime del vecchio sultano Abdul Hamid TI. A Londra si sperava in un nuovo liberalismo, ma principale componente ideologica del movimento si affermò il nazionalismo turco, indebolendo ulteriormente la coesione dello Stato ottomano in quanto patria comune delle nazionalità comprese nei suoi confini. A ottobre gli avvenimenti precipitarono rapidamente: il 5 la Bulgaria proclamò l'indipendenza, il 6 l'Austria-Ungheria annunciò l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina, I' 8 Creta dichiarò l' enosis (unione) con la Grecia. 44

Colonnello Alessio Chapperon a Comandante in 2•, ecc., 5 febbraio 1908; Zaccone a id., 4 e 12 settemore 1909, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 19. Per le manovre francesi, cfr. G 23, Scacchiere occidentale, R 13 e 18. 45 Zaccone a Comandante in 2•, ecc., 24 novembre 1908, AUSSME, G 13, Carteggio confidenziale del ministro, R. 29; id. a id., 28 maggio 1908; 15 gennaio, 19 febbraio e 5 giugno 1909, G 29, Addetti militari. Francia, R I 9.


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L'espansione austriaca toccava interessi italiani e russi, oltre a quelli dei paesi balcanici e della Turchia. Nel precedente mese di settembre il ministro degli Esteri di Vienna, Aehrenthal, era stato molto attivo: da lui l'omologo russo Isvolski ebbe la promessa di un appoggio per gli Stretti, mentre quello italiano Tittoni, tenuto dapprima all'oscuro delle intenzioni di Vienna, si illuse di qualche compenso. A cose fatte, sia l'uno che l'altro restarono con niente in mano: ai russi gli inglesi dissero che la Turchia era stata penalizzata abbastanza, agli italiani gli austriaci non concessero neanche l'Università a Trieste. Alla fine l'Austria pagò alla Turchia una forte indennità e il fatto compiuto dell'annessione venne accettato da tutti. In termini politici, però, il prezzo fu alto: la precedente intesa austrorussa, che aveva consentito un certo equilibrio nei Balcani, ne uscì distrutta e il risentimento russo si volse contro 1' Austria e contro la Germania, che l' aveva spalleggiata con decisione. La Triplice fu sottoposta ad una forte tensione interna; il 3 dicembre l' ex presidente del Consiglio Alessandro Fortis dichiarò tra gli applausi alla Camera: "O cessa questa condizione anormalissima di cose, per cui l'Italia non ha ormai da temere la guerra che da una potenza alleata... Ovvero non può cessare, e allora riprendiamo serenamente la nostra libertà d' azione" Il presidente in carica, Giovanni Giolitti, mantenne la calma; non voleva una "politica estera avventata", rifiutava di lasciarsi trascinare dalle emozioni; quando si giungerà ad un'intesa con la Russia, nell' ottobre 1909 a Racconigi, farà scrivere al Corriere della Sera: "J' accordo italo-russo, l'accordo italo-inglese, l' accordo italo-francese non significano punto ... accordo italo-francoanglo-russo" Sarà la conferma che Roma resterà nella Triplice, malgrado tutto. Ma con quale animo? Mentre cercava di tenere a freno l'irredentismo, lo stesso Giolitti aumentava le spese militari per rinforzare il confine orientale. Tra il 1908 e il 1909 gli osservatori militari francesi a Roma riferivano che in Veneto si costruivano nuove opere all'ingresso dell~ valli tra l' Isonzo e la Valtellina, che truppe accantonate fino ad allora alla frontiera francese venivano spostate con discrezione a Nord-Est, che la politica marittima era "diretta sempre più contro la marina austriaca" Presto si sarebbe potuto affermare che " l'Adriatico


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occupa oggi un posto d'onore nelle preoccupazioni del governo italiano" 46 . 44. GIOCHI DI GUERRA E RAFFORZAMENTO DELL'ESERCITO

A fine 1908 fu pronto lo "Studio in caso di conflitto fra l'Italia e l'Austria", che analizzava le possibilità italiane di sbarcare nell'isola di Lesina, con particolare riguardo ad operazioni nel vallone di Civitavecchia, ed alle modalità per la costituzione di una base navale provvisoria; tali obiettivi implicavano la definizione di un piano per rifornire la flotta al largo ed un esame sui problemi della difesa delle coste italiane. Quasi contemporaneament~ due importanti generali, Baldissera e Saletta, senatori del Regno, facevano pervenire al ministro della Marina uno studio del primo, che recava in calce, scritte con inchiostro rosso, le osservazioni del secondo. Il lavoro, intitolato "Il problema militare marittimo", rilevava che "l'obiettivo di una possibile, anzi probabile, guerra è mutato, e che questo non è più la Francia, ma sibbene l'Austria-Ungheria" Era quindi necessario conformarsi a questa eventualità. "Con ciò non è detto che la pace non possa durare ... ma ci conviene agire fin d'ora come se la 46 Capitano di fregata Saint Pair a ministro della Marina, 20 dicembre 1908; tenente di vascello Jousselin a id., 14 novembre 1909, AMF, BB 7, busta 123 i e busta 86, 13. Parigi considerava la questione soprattutto come un fastidio da cui potevano derivare conseguenze indesiderate, come lo Zaccone puntualizzò allo S.M. italiano: "Il governo francese fu molto sgradevolmente sorpreso dei recenti avvenimenti balcanici: 1°. Perché teme che possano dar luogo a più gravi complicazioni. 2°. Perché avrebbe voluto che la rivoluzione turca avesse potuto continuare a svilupparsi pacificamente, non tanto per sentimentalismo politico, quanto per i forti capitali francesi impegnati in Oriente e per la speranza che l'influenza franco-inglese potesse sostituire quella austro-tedesca finora preponderante. 3°. Perché la disinvoltura mostrata dalla Bulgaria, e più dall'Austria, che aveva firmato, nel violare il trattato di Berlino, è considerata come una mancanza di riguardo alle altre Potenze. 4°. Perché si vede, come al solito, dietro l'Austria l'ombra della Germania". Questo accenno alla complicità della Germania corrispondeva ad analoghe diffidenze italiane, dopo l'annessione. I francesi cercavano "di allontanare ogni causa di guerra, che qui non è soltanto non desiderata, ma probabilmente temuta" E anche questo era verosimile: in Francia non v'era "traccia alcuna di preparazione totale o parziale" in campo militare. Maggiore A. Zaccone a Comandante in 2•, ecc., AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 19.


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guerra col vicino Impero dovesse scoppiare da un momento al1' altro" Il Baldissera era per "dare alla possibile guerra un carattere assolutamente offensivo", almeno sul mare; il Saletta era più cauto, date le condizioni geografiche sfavorevoli del bacino, e voleva la "possibilità di cogliere il momento favorevole" Baldissera riteneva che all ' inizio del conflitto convenisse acquisire una base sulla costa dalmata per integrarla con Venezia e Brindisi; Saletta era favorevole invece a tempi più lunghi, quando fosse stato ben chiaro dove era opportuno tentare l'azione anfibia. Lo studio, comunque, era centrato sull'azione della Marina e anche l'idea dello sbarco in territorio nemico era collegata e limitata all'ottenimento di una base per la flotta. Nel marzo 1907 il Capo di S.M. dell' Esercito propose un tema più ambizioso: trasportare attraverso l' Adriatico una forza da sbarco di almeno un corpo d'armata. Bloccata o distrutta la squadra nemica, l'operazione avrebbe potuto dirigersi al golfo di Trieste o ad una località della costa dalmata. Venivano indicati quattro punti idonei "per capacità nautiche e per linee di comunicazione con l'interno" a ricevere il corpo di spedizione: "Trieste, con l'attigua baia di Muggia, per un corpo destinato a concorrere ad una avanzata dell'esercito italiano oltre il confine orientale. Spalato, per operare una diversione, la quale, per le difficoltà naturali, per l'incertezza dell'obiettivo e per le comunicazioni che circoscrivono la larga zona in cui si dovrebbe operare, sembra di assai difficile attuazione. Gravosa (Ragusa), per operare al sud dell'Erzegovina specialmente in concorso di un' azione concomitante dai confini della Serbia e del Montenegro. Cattaro, come obiettivo di un'azione combinata con la flotta che si prefigga di sottrarre alla flotta austro-ungarica quell'importante base di rifornimento" Quando a dicembre il Bettòlo tornò al Ministero della Marina, i piani adriatici furono riformulati: prevaleva l'intonazione offe nsiva, pur tenendosi conto di possibili incursioni avversarie contro le ferrovie costiere o di un colpo di mano fra Civitanova e Cattolica. In quel medesimo anno un nuovo piano di mobilitazione e radunata a Nord-Est previde 23 giorni per completare il concentra-


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mento e il Piave come linea di riferimento in pianura. Per impulso del Pollio e del Conrad furono avviate, ai due lati della frontiera, opere fortificate sempre più numerose. Nel 1910 - confermava l'addetto navale francese - "si costruiscono dunque forti all'imboccatura di tutte le valli delle Alpi orientali, si installa un campo trincerato nel Friuli, si costruiscono linee ferroviarie che consentono di trasportare rapidamente nel Veneto i due corpi d'armata che devono servire da copertura, mentre il concentramento si farà vicino a Treviso" A Vienna il Conrad continuava periodicamente a presentare la proposta di sistemare i conti con l'Italia: fu particolarmente odioso che lo facesse in occasione del terremoto di Messina. Anche la politica navale era diretta contro l'Italia, la quale si poneva come ostacolo all'irruzione della flotta austro-ungarica nel Mediterraneo, auspicata nelle "parole liberatrici" pronunciate alle manovre del 1906 dall'arciduca Francesco Ferdinando. Può parer singolare tanto fervore di ipotesi operative contro una potenza alleata, ma occorre aver presente che questa volta, dinanzi all'avanzata austriaca nei Balcani, la diffidenza e la sfiducia di Roma non era stata temperata da alcuna comprensione tedesca, essendo Berlino concorde con Vienna nel rifiutare all'Italia garanzie per il futuro nei Balcani. Così a Racconigi, quando lo Zar restituì (ottobre 1909) una precedente visita a Vittorio Emanuele, venne concluso un accordo che impegnava l'Italia e la Russia a mantenere lo statu quo nei Balcani; vi si parlava di sviluppo pacifico nel rispetto del principio di nazionalità, quanto mai inviso a Vienna; Roma e Pietroburgo, infine, si promettevano reciproca benevolenza sugli interessi russi negli Stretti e quelli italiani in Libia. La Triplice, a questo punto, appariva veramente allo sbando e non l'avrebbe rinsaldata la destituzione del generale Asinari di Bernezzo per alcune parole imprudenti 47 . Il sottosegretario permanente del Foreign Office, Hardinge, era convinto che Germania 47

Il generale, che comandava il 3° corpo d'armata, tenne a Brescia, nel novembre 1909, un discorso antiaustriaco e Giolitti ne ottenne il collocamento a riposo dal Re, "non considerando l'effetto dell'atto all' estero, ma considerando tale atto come una pubblica dimostrazione contraria alla politica estera del governo e così come atto di insubordinazione". G. Giolitti (dalle carte di), Quarant'anni di politica italiana, documenti inediti, II (Dieci anni al potere), a cura di G. Carocci, Milano, Feltrinelli, 1962, doc. 703.


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ed Austria considerassero ormai la Triplice utile solo ad evitare che l'Italia passasse apertamente con l'Intesa e prevedeva che Roma sarebbe rimasta neutrale dinanzi a un conflitto franco-tedesco. La politica militare delle potenze dell'Intesa, però, continuava a basarsi sugli schieramenti formalmente esistenti. I francesi erano particolarmente attivi nel promuovere il coordinamento marittimo: il presidente del Consiglio Clemenceau riunì i ministri degli Esteri e della Marina e l'addetto navale a Londra (18 dicembre 1908) per discutere sul controllo delle flotte italiana ed austriaca; si stabilì di richiedere agli inglesi precisi impegni, in primis circa la protezione del trasporto in Francia delle truppe d' Africa all'inizio delle ostilità 4 8. Per l'Ammiragliato britannico il primo nemico era la Germania: nel 1908 una conferenza, tenuta a Londra, sulla limitazione degli armamenti navali, diede qualche risultato, ma la più importante proposta britannica fu respinta da Guglielmo II e la convenzione non fu mai ratificata. La gara per la flotta si arricchiva di sempre nuovi capitoli: nel 1908 i tedeschi impostarono 4 navi da battaglia monocalibro (dreadnoughts) contro 2 degli inglesi; nel 1909, 3 contro 2. Dal 1910 il vantaggio passò ai britannici in maniera crescente: nel 1914 la Royal Navy avrebbe allineato 29 navi da battaglia contro 17 della Marina tedesca, mentre la superiorità negli incrociatori da battaglia sarebbe stata di 9 contro 7. Scomparso il compito, tradizionale per secoli, di difendere contro la Francia la propria costa meridionale, le preoccupazioni inglesi erano rivolte ad Est e a Nord, con la necessità di prevedere nelle Oreadi e in Scozia le basi principali. Ma le pressioni francesi ottennero che la squadra della Manica, forte di 8 navi da battaglia, venisse spostata sulla cerniera di Gibilterra, con la possibilità di gravitare in Atlantico e nel Mediterraneo, dove la Mediterranean Fleet aveva altre 8 unità pesanti. L'Ammiragliato rispondeva così concretamente alle sollecitazioni francesi, predisponendo uno schieramento diretto contro la Triplice e quindi, in Mediterraneo, contro l' Italia e l'Austria. Un promemoria intitolato "Mediterraneo" venne redatto nel 1909, allo scopo di prevedere le possibilità d' azione del nemico; Malta 48

Picar, ministro della Marina, a comandante Mercier de Lostend, 17 dicembre 1908, AMF, SS, ES, busta 10, fase. France-Angleterre.


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poteva essere un obiettivo per gli italiani, ma difficilmente gli austriaci li avrebbero seguiti; meno probabile ancora appariva un'invasione delle Marine tripliciste in Egitto, distante più di 1000 miglia. Considerando poi le cattive relazioni italo-austriache, "ciascun alleato si sforzerà di usare le sue forze in maniera soprattutto vantaggiosa per sé", quindi gli italiani non avrebbero abbandonato la difesa delle grandi isole e gli austriaci quella delle loro coste. "Tutto sommato, sembrerebbe la cosa più probabile che la flotta italiana rimanga davanti alle sue coste occidentali per difendervi i suoi interessi. La flotta austriaca rimane in Adriatico a difendere i suoi interessi colà, mentre entrambe potrebbero distaccare incrociatori per intercettare il commercio francese e britannico. In queste circostanze la flotta francese avrebbe il compito di controllare la flotta italiana. La flotta britannica basata a Malta sorveglierebbe l'ingresso dell'Adriatico. La Francia proteggerebbe il commercio ad Ovest di Malta. La (Marina) britannica proteggerebbe il commercio ad Est di Malta" 49 . Le manovre navali francesi del 1910 ebbero a tema il trasporto in Provenza del XIX corpo d'armata dall'Africa. Il convoglio partiva da Algeri e da Orano e arrivava, scortato dai caccia, a Port Vendres, il più lontano possibile dalla frontiera italiana. La squadra da battaglia forniva una copertura ad Oriente della rotta, rientrando poi a Tolone. Dal resoconto delle manovre emergeva, al di là di fantasiose ipotesi di attacco tedesco dall'Atlantico o austriaco dall'Adriatico, che la vera preoccupazione veniva dalla Marina italiana "testardamente" volta a dominare il Mediterraneo: erano temute in particolare le siluranti basate alla Maddalena. Naturalmente, la pianificazione del trasferimento in Francia del XIX corpo d'armata inquietò gli italiani, ma a torto, perché i francesi volevano allora portare sui Vosgi anche il XIV e XV corpo d'armata. In caso di guerra breve sarebbe bastato sostituirli con formazioni di 2a linea che, aggrappate alle fortificazioni ed alle asperità naturali, potevano tenere provvisoriamente il fronte, se le forze francesi in Lorena avessero conseguito un successo rapido. Se invece le cose fossero andate per le lunghe, sarebbe diventato necessario dislocare sul fronte alpino effettivi seri, perché 49

Gabriele e Friz, La politica navale italiana dal I 885 al 1915, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1982, pp. 161 -74.


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l'Italia non poteva strappare il trattato della Triplice mettendosi a rischio di rappresaglie terribili se gli Imperi centrali avessero vinto il conflitto. Due pericoli sembravano temuti particolarmente in Francia: l'attacco marittimo italiano al trasporto delle truppe dal1' Africa e un'occupazione prolungata di suolo francese da parte tedesca, che ne avrebbe tratto grande vantaggio morale 50 . Gli inglesi avevano stipu lato una convenzione militare coi belgi e avrebbero voluto coinvolgere anche la Danimarca per aumentare i problemi della Germania. li War Office caldeggiava uno schieramento che in territorio belga seguisse la Mosa, fiducioso di insidiare il fianco destro tedesco; dei russi invece non faceva gran conto, malgrado le loro enormi risorse di uomini. Al tempo di Agadir, "con la franchezza del soldato", il generale Wilson scrisse: "La Russia ha soltanto 70 divisioni e molte di esse sono di dubbia mobilità. Io assegno 40 divisioni alla frontiera polacca ... la Russia si trova in questo momento senza formazioni di seconda linea, a corto di ufficiali e di sottufficiali, con i trasporti ed i servizi di rifornimento in stato insoddisfacente, e scarsa di fucili, cannoni ed equipaggiamento per formazioni fresche. Io non penso, pertanto, che 40 divisioni siano una stima troppo bassa" 51 . I tedeschi invece non trascuravano il fronte orientale, conducendovi continuamente manovre in chiave offensiva anche quando non contarono più sull' arrivo in Alsazia degli italiani. Spesso insieme ai germanici operavano gli austro-ungarici, che però tenevano d'occhio anche altre frontiere, come quando fecero affluire verso l'Italia e la Bosnia, nel novembre 191 O, truppe che avevano manovrato in Moravia 5 2 . 50

Sorb, cit., pp. 188-344. Lo scrittore annotava diligentemente l'opinione del vice ammiraglio Bresson, secondo cui non si poteva spostare il XIX corpo dall'Africa per timore di una sollevazione musulmana, però insisteva sulla necessità di conseguire subito un successo contro i tedeschi, per il contraccolpo morale, ben diverso da quello che si poteva conseguire resistendo compressi da un'invasione. 51 J. Wilson (War Office) a ministro dell'Interno, 29 agosto 1911, PRO, Admiralty, 116, 3474. Anche l' Ammiragliato, nel citato promemoria sul Mediterraneo, aveva paventato l'arrivo di un nucleo navale russo dal Mar Nero, poiché "la Francia e noi stessi sentiremmo senza dubbio il dovere di salvarlo dalla distruzione" 52 Avarna a di San Giuliano teleg. 23 novembre 1910, AUSSME, G 29, Addetti militari. Vienna, R 15.


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Ad impulso del Capo di Stato Maggiore Pollio e del ministro della Guerra Spingardi in Italia si era cominciato a fortificare la frontiera di Nord-Est, dapprima "con molta lentezza, per non suscitare sospetti nel governo austriaco", poi in maniera accelerata, quando anche il Parlamento sollecitò che si sbarrassero le porte di casa. A fine 1909 lo Spingardi propose di trovare i mezzi necessari per nuovi interventi in Friuli "con corrispondenti economie ricavabili mediante modificazioni dei progetti di altre opere, specialmente della frontiera occidentale" Non c'era dubbio sull'ordine delle priorità; lo stesso Spingardi lo confermò al collega del Tesoro Francesco Tedesco nell'ottobre 191 O: "veggo la situazione nostra di fronte ali' Austria non sicura: ottimi, forse, i rapporti diplomatici, ... ma la tensione esiste nel paese e, ciò che è più grave, nell'esercito: una scintilla, la morte del vecchio imperatore, l'assunzione del nuovo che ci è apertamente ostile, possono detenninare una conflagrazione" Ai lavori in corso il generale Pollio, nel 1911, volle aggiungere altre opere verso il confine svizzero, temendo una collusione con l'Austria. Gli investimenti non riguardavano solo opere di fortificazione, ma nuove postazioni di artiglieria, tronchi ferroviari, l'inizio della motorizzazione dell'esercito. In campo militare cominciava una grandiosa azione di potenziamento e di preparazione, la più importante realizzata fino ad allora in Italia. Dopo le misure già ricordate per aumentare il contingente di leva, la forza chiamata alle armi aumentò, permettendo allo Stato Maggiore di organizzare, tra il 1908 e il 1910, i nuclei costitutivi dei reparti di milizia mobile, in misura significativa (324 battaglioni di fanteria, 22 di alpini, ecc.). La legge n. 515 del 17 luglio 1.910 fissò un nuovo ordinamento per l'esercito; suoi criteri guida furono "l'aumento generale del numero delle unità e il miglioramento del rapporto tra la fanteria e le altre unità e il miglioramento del rapporto tra la fanteria e le altre armi, soprattutto l'artiglieria" Questa volta si batteva una strada ben diversa da quella, obbligata, dei tempi peggiori della lesina. In base alla nuova legge "l'esercito avrebbe dovuto contare, a mobilitazione avvenuta, 725.000 uomini, di cui 14.000 ufficiali in servizio permanente, 16.000 ufficiali di complemento, 17 .000 sottufficiali, 25.000 cara-


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binieri e 653.000 uomini di truppa", più 303.000 uomini della milizia mobile; e 365.000 di quella territoriale. Vi si affiancarono l'artiglieria campale pesante, il corpo automobilistico, l'aviazione. I comandi delle 4 armate furono operativi dal tempo di pace, in modo di evitare il rischio di una crisi organizzativa proprio ali' inizio delle ostilità. Altre norme riordinarono i servizi logistici e amministrativi. L'artiglieria, che era stata un punto debole del1' apparato militare italiano, fu interessata da un "vasto programma di potenziamento" affidato al generale Alfredo Dallolio, nominato direttore generale di Artiglieria e Genio nel maggio 1911. Anche l'addestramento dei quadri e delle truppe venne curato particolarmente, aggiornando i programmi della Scuola di Guerra e preparando gli uomini al combattimento 53 . Frequenti manovre ed esercitazioni simulavano operazioni difensive contro ipotesi di invasione da fronti diversi. Nel maggio 1911 venne supposto che, scoppiata la guerra ad Occidente, il nemico (partito rosso) sbarcasse due corpi d'armata nel bacino dell'Amo e si volgesse verso la capitale. Affrontato da un' armata proveniente da Roma, veniva respinto con perdite gravi in una battaglia durata due giorni nel Lazio settentrionale (14 e 15 maggio) e ripiegava sulla linea Cetona-Radicofani-Monte Amiata; la ritirata però non avveniva in condizioni favorevoli perché i due corpi invasori erano separati dal monte Cetona e dal fiume Orcia, riuscendo ad entrare in contatto soltanto fra Pienza e Montepulciano; rinforzi arrivavano a Siena. Il partito azzurro era in condizioni migliori: "morali, per il successo conseguito il 14-15 e per trovarsi in territorio nazionale; tattiche per avere le truppe più riunite; strategiche per avere le truppe già gravitanti sulla direzione più efficace: Arcidosso-Buonconvento" Sulla destra il partito rosso era in difficoltà e doveva correggere la propria posizione, mentre "l'azzurro non aveva che a persistere nell 'esecuzione" dell' avanzata. I rossi ripiegavano su Montalcino-S. Quirico-Pienza, appoggiandosi a sinistra su Montepulciano che dovevano poi abbandonare per sfuggire ali' aggiramento; all'altra estremità decidevano di tenere a oltranza Montalcino per evitare di essere tagliati 53

Cfr. V. Ilari, Storia del servizio militare in Italia, Roma, Centro Militare Studi Strategici, 1990, II, p. 188; Saccoman, cit., pp. 40-52; Bovio, cit., pp. 180-87.


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fuori dal mare. La fine della manovra li coglieva in ripiegamento alla sinistra e al centro, facendo perno sulla loro destra 54 . Nel mese seguente venne ripresa una esercitazione del settembre 1910 sul fronte di Nord-Est. Un corpo d'armata composto da 2 divisioni, attestato sulle alture di S. Daniele, veniva attaccato da un altro corpo, forte di 3 divisioni , che proveniva da Codroipo. Gli attaccanti conquistavano la posizione, ma non erano in grado di proseguire, e potevano solo molestare la ritirata avversaria col fuoco dell'artiglieria e lanciando la cavalleria contro i reparti sbandati che ripiegavano a Nord 55 • In quella estate la tensione salì di nuovo tra Roma e Vienna. Da una parte l'Italia, almeno a sentire l'ambasciatore britannico Rodd, pensava e parlava come se fosse alleata dell'Intesa. Dall'altra il generale Conrad, già in dissenso col ministro della Guerra Schonaich che voleva porre un limite agli armamenti ed alle fortificazioni verso il Veneto, valutò che l'Italia avrebbe completato la preparazione militare entro la primavera 1912 e che quindi era sempre più urgente attaccarla prima. 45. AGADJR,

LA LrnrA, ]L DODECANESO

La "politica" mondiale" tedesca esigeva che la Germania fosse almeno la seconda potenza coloniale del mondo, non la terza, e la rivolta delle tribù ribelli, cominciata dal gennaio in Marocco, diede occasione per riaprire la partita tra Parigi e Berlino, momentaneamente definita ad Algeciras. La seconda crisi marocchina esplose con l' arrivo ad Agadir della nave da guerra tedesca Panther, il 1° luglio. Trattarono a lungo, per le due parti, il ministro degli Esteri tedesco Alfred Kiderlen-Wachter e l' ambasciatore francese a Berlino Jules Cambon: il primo non si trovò sempre d' accordo col Kai ser e col nuovo cancelliere Bethmann-Hollweg, che l'aveva nominato; il secondo, abilissimo diplomatico, ebbe un efficace aiuto dal fratello Paul, ambasciatore a Londra. La Germania era disposta a riconoscere gli interessi francesi in Marocco, ma esigeva compensi in Africa. La posizione britannica fu durissima, andando al di là del prevedibile appoggio all'alleata Francia. Il Foreign Office era convin54 AUSSME, 55

F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 99. AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11.


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to che la Germania volesse soggiogare la Francia; si trattava di "una prova di forza. Concessione non significa soltanto perdita di profitti e di prestigio. Significa disfatta con tutte le sue inevitabili conseguenze" Venne sfiorata la guerra, la stampa ne parlò apertamente, forze di terra e di mare furono poste in allarme. La Russia si schierò con l'alleata e l'Austria-Ungheria confermò lealtà ai tedeschi, ma scongiurò di non arrivare alle armi; l'Italia spiegò che doveva appoggiare la Francia per i suoi interessi mediterranei. Alla fine fu evitato il conflitto armato; la Francia ebbe il Marocco, la Germania compensi in Congo. Ma Berlino rimase furiosa con Londra e il sospetto di essere oggetto di un piano di accerchiamento si trasformò in certezza. A loro volta gli inglesi trassero dalla vicenda la riprova che la Germania mirava ali' egemonia in Europa e si strinsero ancora di più ai francesi 56 . Anche a livello militare: in una riunione del 3 luglio a Londra vennero assegnati i settori di competenza operativa delle Marine alleate in Mediterraneo; alla Marine Nationale spettava il bacino occidentale da Gibilterra allo Jonio, alla squadra britannica di Malta il bacino orientale e l' Adriatico. Prendeva forma, in linea generale, quella divisione di compiti su cui si sarebbero fondati i successivi patti: l'impiego della Marina francese era previsto contro gli itabani, quello della Mediterranean Fleet contro gli austriaci. L'intesa fu confermata in un nuovo incontro a livello degli Ammiragliati nel settembre 1911 57 ln agosto, passato il momento più critico, nuove manovre italiane a Nord-Ovest supposero un'offensiva generale avversaria dalle Alpi; nelle valli di Vermenagna, Gesso, Stura, Maira e Varaita veniva fermata, ma aveva successo tra la val d'Aosta e il Po. Dal Monviso i rossi oltrepassavano Susa e dal Nord Ivrea, convergendo su Torino. Falliva invece uno sbarco a Savona e gli azzurri ripiegavano in ordine sul Ticino e inondavano la Lomellina per restringere il fronte d'attacco. I rossi puntavano allora verso Voghera e Genova, ma venivano arrestati nel Monferrato, tra Asti e Ottiglio. Per la verità i francesi avevano ben altri pensieri, come 56 W.L. Mendlicott, La, crisi di Agadir, in AA.VV., 20° Secolo, ecc., cit., I, pp. 510-15. 57 Comandante Gignot, addetto a Londra, a ministro della Marina, 11 settembre 1911, e rapporto Saint Seine, allegato alla lettera del colonnello Guichard del 20 gennaio 1937, AMF, SS, ES, busta 10, fase. France-Angleten e.


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dimostravano le loro esercitazioni: come contrastare l' investimento nemico di Belfort e lo sviluppo di una puntata offensiva verso Montbéliard e la Porta di Borgogna 58 . Giolitti era tornato al governo nel marzo 1911. Rendendosi conto che i francesi erano in procinto di acquisire definitivamente il Marocco, decise di agire in Libia il più presto possibile, prima che il trascorrere del tempo rischiasse di far diventare obsoleti gli accordi. Appena il pericolo di guerra generale conseguente alla crisi di Agadir parve superato, partì la preparazione diplomatica. In linea di principio, Roma aveva già via libera da Parigi e da Pietroburgo; doveva ottenerla da Londra e dagli alleati. Il ministro degli Esteri di San Giuliano avvertì l'Inghilterra, il 26 luglio, delle intenzioni italiane e il 30 agosto il Foreign Office fece sapere alla Turchia che la Gran Bretagna comprendeva il punto di vista italiano. Contemporaneamente, attraverso la solita via tedesca, venne comunicato agli Imperi centrali che l'Italia era disposta a rinnovare senza modifiche il trattato della Triplice, anche in anticipo sulla scadenza dell'8 luglio 1914, e verso la fine di settembre gli ambasciatori italiani a Berlino e a Vienna lo comunicarono ufficialmente. Già in precedenza, di San Giuliano aveva detto agli austriaci che una libera espansione italiana in Tripolitania veniva resa impossibile dai turchi. Il 29 settembre fu dichiarata la guerra. La fase diplomatica fu accompagnata da esternazioni contraddittorie che asseveravano sospetti di intervento a Tripoli da parte dei francesi e dei tedeschi 59, forse destinate ad aumentare la confusione e a preparare la scelta italiana dei fatti compiuti. I tempi politico-diplomatici non vennero correlati, però, con quelli militari, tanto che il 3 settembre, al termine delle consuete 58

Vedi, per le manovre italiane, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11; per quelle francesi, G 29, Addetti militari. Francia, R 13. 59 Vittorio Emanuele avrebbe detto ai tedeschi di temere un'invasione francese a Tripoli e ai francesi di temerne una tedesca (Mack Smith, cit., p. 242). È comunque certo che il 20 ottobre Giovanni Amendola scrisse a Gaetano Salvemini che il governo era andato a Tripoli "non sospinto dalla montatura nazionalistica, poiché sapeva come stanno in realtà le cose... ; ma sospintovi da una necessità politica alla quale non poteva sottrarsi. È ormai certo, infatti, che fra un anno, al più, la Tripolitania sarebbe stata tedesca: la qual cosa un governo italiano aveva il dovere di evitare" Gaetano Salvemini. Carteggio, I ( 1895191 I), a cura di E. Gencarelli, Milano, Feltrinelli, 1968, p. 536.


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manovre estive, 80.000 soldati furono smobilitati. Non pare fosse una ruse, perché il governo decise solo a metà settembre e il Re ne fu informato il 17. Così però lo Stato Maggiore dell'Esercito fu costretto ad affrontare una corsa contro il tempo, mentre la Marina era già a Tripoli con poche forze da sbarco; in brevissimo tempo, comunque, fu pronto a partire un primo corpo di spedizione di 35.000 uomini con 72 cannoni. In seguito, nel corso del conflitto, l'Esercito giunse ad impegnare 100.000 uomini. Nella prima settimana di ottobre Vienna si indispettì per le azioni della Marina italiana in Adriatico, al punto che fece accompagnare le proteste diplomatiche dal minaccioso spostamento a Cattaro della 1a divisione della flotta, ma venne prontamente placata dal rinnovato - ed osservato - impegno del governo italiano a non compiere operazioni militari in Europa. Così Aehrenthal, il 22 ottobre, scrisse a Francesco Giuseppe che la diplomazia viennese auspicava da decenni che l'Italia andasse a Tripoli perché sarebbe entrata in competizione con le altre potenze mediterranee e avrebbe dovuto "rinunciare ad altre aspirazioni, come ad esempio quelle sull'Albania" Seguì un riavvicinamento tra le due alleate, fino alle dimissioni del generale Conrad alla fine di novembre, interpretate come una sconfitta del partito italofobo - Conrad aveva rappresentato 4 volte in 53 giorni l'opportunità di attaccare l'Italia - e premessa di maggiore amicizia. Berlino era ancora impegnata nella trattativa con la Francia che si concluse il 4 novembre. Il 5 novembre, unilateralmente, l'Italia proclamò la propria sovranità sulla Tripolitania e sulla Cirenaica, rispondendo alle proteste degli alleati con l'argomento estremo che la dinastia sarebbe stata in pericolo senza l'annessione. Salvo forse i russi, furono critici tutti. Cominciò un periodo difficile nelle relazioni internazionali dell'Italia, che Giolitti definì "ballo sulle uova" Fallì il tentativo di avviare un'intesa mediterranea italo-franco-britannica, mentre il contrabbando di guerra in favore degli arabo-turchi dilagava dalle frontiere egiziana e tunisina. Nel gennaio 1912 vi furono screzi con la Francia per il fermo del Carthage e del Manouba. Giolitti ridimensionò la questione ad "una causa di pretura" , ma Poincaré, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri francese, volle montare la faccenda, forse per motivi di politica interna. Cavalcando il più vieto nazionalismo, il 22 gennaio pronunciò davanti all'Assemblea un discorso provocatorio, facendo salire la tensione alle stelle. Se-


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condo il Figaro in quella circostanza si era sfiorata la guerra; il ministro italiano del Commercio, Francesco Saverio Nitti, scrisse nei suoi ricordi che "tutto era stato predisposto· per respingere ogni possibilità di attacco della Francia e per due notti a Spezia le navi da guerra rimasero coi fuochi accesi. Il mio collega ministro della Guerra Spingardi aveva anch'egli preso tutte le misure opportune alla frontiera delle Alpi"6o. I lavori di sbarramento da quel versante, specie al colle di Tenda, al Moncenisio, a Vinadio, erano andati avanti e l' attenzione era sempre desta. Nel gennaio 1911 c'era stato un carteggio tra il tenente generale Luigi Cadorna, comandante del IV corpo d'armata di Genova, e il comandante della Il armata in relazione allo schieramento più opportuno da adottare per manovrare meglio sull' Appennino ligure e la Cornice. Tuttavia, fino al 1911, era stata la frontiera opposta ad attirare prevalentemente l'attenzione. Nella riunione dei generali designati d'armata del 23 gennaio si era parlato della impossibilità di completare nell'anno la pianificazione della radunata a Nord e a Nord-Est, procrastinandola al marzo 1912. In quella circostanza il generale Pollio disse che "come linea di base intenderebbe prendere l'offensiva colle armate 1a e 4a La 4a potrà specialmente esercitare azione efficace sia verso nord penetrando verso nord nella Pusteria, sia verso ovest verso Bressanone e Bolzano a tergo di Trento. Le armate 2a e 3a si troveranno, specialmente la 3\ ad avere di fronte la massa maggiore delle forze avversarie, dovranno perciò da principio restare sulla difensiva, protette dalle fortificazioni del medio e basso Tagliamento; però la 3a armata, specialmente colle divisioni di cavalleria, dovrà tentare arditi colpi di mano contro le località di radunata delle masse nemiche" Un altro problema veniva dal fatto che non tutti i corpi d'armata italiani avevano "sul proprio territorio le rispettive aliquote di artiglieria e cavalleria; le armi speciali sono raggruppate in pochi centri da cui debbono ripartire le aliquote destinate alle varie grandi unità" 61 . Come si vede, le questioni delicate e complesse da affrontare non mancavano. 60

M. Gabriele, La Marina nella guerra italo-turca, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1998, pp. 133-34. 61 AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 12, 42, 52; il verbale della riunione del 23 gennaio è in F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11.


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La fiammata innescata dal discorso di Poincaré, a parte le richiamate misure d'emergenza, ebbe ripercussioni di più lungo periodo anche in campo militare. Il verbale della riunione dei generali designati d'armata del 23 febbraio 1912 osserva che "le gelosie francesi ci obbligano a riportare la nostra attenzione sulla frontiera occidentale da parecchi anni abbandonata a sé stessa. Pur troppo il lungo abbandono ha reso l'assetto difensivo da quella parte assolutamente deficiente: noi non abbiamo da quella parte di batterie moderne che lo Chaberton anch'esso incompleto e del tutto isolato. Fortunatamente la frontiera è forte per natura, e le ottime qualità delle nostre truppe supplirebbero in unione al terreno alla deficienza di opere moderne. Per ora sarebbe impossibile chiedere nuovi fondi per tale frontiera, non avendo ancora il Parlamento votato i 30 milioni che il Governo autorizzò ad aggiungere al programma del quadrienn io fino al 1913 per la frontiera orientale e settentrionale. Per ora bisogna accontentarsi di fare strade e spianamenti con spesa limitata per permettere l'impiego e la manovra delle truppe mobili. S.E. Pollio riprenderà in esame lo studio fatto da S.E. Cadorna per la sistemazione difensiva del1' Appennino ligure e darà impulso a tale sistemazione. Per Genova non sarebbe possibile fare di più oltre alle due batterie potenti e moderne alle ali di C. Ersel e M. Moro; al rimanente deve provvedere la marina coi suoi mezzi come ha promesso" Per la verità "la Francia poco fece verso di noi in questi ultimi anni. Da parte nostra stiamo ora riprendendo il lavoro verso quella frontiera, ma occorrerà dopo ultimata la sistemazione in corso sulla frontiera orientale di destinare maggiori fondi da richiedersi poi al Parlamento per rinnovare tutta la sistemazione verso occidente, che è ormai antiquata e insufficiente. Per ora intanto si provvederà a fare le strade di accesso alle posizioni, e a tale concetto le autorità territoriali dovranno informare le loro proposte", ma solo dopo che la sistemazione del confine a NordEst sarà stata completata. Pollio notava infatti che, sostituito il Conrad dal generale Schemaa, "il programma militare dell' Austria è rimasto immutato, anzi si può dire che si è accentuato il carattere di decisa preparazione non più difensiva, ma offensiva verso di noi ... Siamo alleati, ma il suo contegno non è certo quello di un amico": in Galizia infatti gli austriaci , secondo Pollio, facevano poco, mentre "dalla parte nostra è un crescendo continuo di


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opere, di nuove guarnigioni, proprio come se fossimo alla vigilia di una guerra" L'assetto militare austriaco verso il confine italiano travalicava largamente la sicurezza difensiva. Si aveva notizia che il Comando della flotta austriaca, "impressionato della rivelazione di forza, di ardire fatta dalle nostre forze navali nella attuale guerra", aveva optato per la difensiva in caso di scontro con l'Italia; ciò toglieva " la preoccupazione dell'attacco immediato sulle coste adriatiche e sulle piazze di Taranto e Brindisi", facendo ritenere che le misure assunte per la difesa costiera fossero sufficienti. Il Capo di S.M. valutava che solo nel 1915 l'Austria avrebbe raggiunto gli obiettivi proposti da recenti provvedimenti in campo militare: fino ad allora si potevano prevedere carenze sia quanto alla forza delle singole unità, sia quanto all' artiglieria che era in via di rinnovamento. Venne fuori un' altra questione: "nell e presenti condizioni, con quasi tre corpi d' armata in Libia, l'Italia non potrebbe essere tenuta a mantenere il suo obbligo di inviare 5 corpi d'armata al Nord in caso di radunata a N.O. Vi farebbe ostacolo anche la questione del munizionamento che abbiamo impegnato in forti proporzioni per la spedizione (in Libia). S.E. Pollio osserva inoltre che pel rinnovo della Triplice alleanza dovrà rappresentare al Governo la poca convenienza per noi di mantenere quell' obbligo. Preferirebbe piuttosto destinare una parte delle forze ad operare uno sbarco verso il Basso Rodano, tenuto conto della possibilità che l'enorme sviluppo assunto dalle forze navali germaniche consenta di tenere immobilizzate nell' Oceano le forze navali francesi, lasciando alle flotte italiana ed austriaca riunite una relativa padronanza del Mediterraneo. I Comandanti d'Armata annuiscono a tale concetto. Intanto per ora la nota Armata resterebbe in Itali a, ciò che consente di aggiungere fin d'ora alle Armate 13 e 2a verso la frontiera un nuovo corpo d' Armata come già era stabilito una volta; più precisamente si disporrà che il IX passi alla la ed il X alla 2a Armata. Le disposizioni sono in corso. Circa la radunata e l' impiego delle truppe della nota Armata, S.E. Pollio si riserva di dare disposizioni in base agli studi in corso" A conclusione dell ' importante riunione, confermata la necessità di mantenere viva l'attenzione e l'attività militare sui confini ori entali e occidentali, vennero impartite le direttive concernenti le due frontiere:


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"Per la N.O. occorrerà certamente di rimettere sul tappeto la grossa questione dell'invio di un'armata oltre i confini, ma è molto difficile prevedere se le conseguenze politiche e di opportunità permetteranno di sollevare tale questione. Certamente nell' eventualità in cui l' Austria non ci accordi il passo nel suo territorio, bisognerà rinunciare all'invio fuori territorio della nota armata, e di fatto noi abbiamo da tempo abolito la cosiddetta 2a ipotesi. In quel caso il nostro intervento fuori territorio si potrà presumibilmente fare per via di mare tentando uno sbarco sulle coste francesi. Per la N.E. fino a che le fortificazioni del medio e basso Tagliamento non saranno compiute, ci troveremo nella necessità di ricorrere a ripieghi. Intanto si sono definite recentemente alcune questioni importanti, cioè: - La delimitazione tra la 2a e 3a armata consolidata a M. Maggiore. - La ripartizione della zona fortificata del Tagliamento in due parti distinte assegnando l'alto Tagliamento alla 2a e il basso Tagliamento alla 3a - La decisione di mantenere la difesa iniziale della Carnia. - La assegnazione alla 2a armata del ponte di Pinzano, e la determinazione di procedere alla costruzione delle strade sulla destra del Tagliamento a monte di Pinzano" 62. Il dibattito e le decisioni di quella riunione risultano interessanti, sia per le conferme che per le anticipazioni. Le conferme riguardavano: - l'impossibilità di allentare la vigilanza verso l'Austria e la necessità di seguire passo passo i suoi apprestamenti militari; - l'abbandono, avvenuto "da tempo", della 2a ipotesi relativa al trasferimento della III armata in Germania attraverso la Svizzera. Le anticipazioni si riferivano alla collaborazione militare con i tedeschi: - a causa della guerra di Libia, non si poteva mantenere più l'impegno di mandare un'armata a combattere fuori del territorio nazionale: agli alleati sarebbe stato comunicato formalmente verso la fine dell'anno; - in compenso, veniva lanciata l'idea di uno sbarco in Provenza con la collaborazione delle Marine alleate, che sarebbe sboccato in uno studio specifico nel 1913. 62

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Correvano tempi destinati a segnare nuovi passi verso la guerra europea. La riluttanza turca a riconoscere la sconfitta in Libia si alimentava della speranza che le gelosie e i contrasti delle potenze l'aiutassero a trarsi d'impaccio; in tal modo però in Tripolitania e Cirenaica proseguiva lo stato di guerra, con tutti i suoi inconvenienti. Ciò generava una situazione intricata, nella quale ogni iniziativa italiana si sarebbe incrociata con altri problemi: l' antagonismo anglo-tedesco, le ambizioni francesi, i Balcani in subbuglio. I Capi di S.M. dell'Esercito e della Marina, Pollio e Rocca Rey, avevano firmato un promemoria congiunto, il 9 novembre 191 l: vi osservavano che si sarebbero potute attuare molte azioni combinate nelle isole turche, ma che ne sarebbero derivati altri sospetti e gelosie. Considerazione ragionevole, ma col trascorrere del tempo il presidente del Consiglio Giolitti prese a preoccuparsi perché, impaniata l'azione diplomatica e quella militare in una situazione di stallo, non si scorgeva la soluzione finale della guerra. Il 25 marzo Vittorio Emanuele incontrò a Venezia Guglielmo Il e si garantì un intervento tedesco per migliorare i rapporti con l' Austria. Roma aveva promesso il rinnovo del trattato triplicista, cui erano interessati i tedeschi: intervennero così su Vienna e ottennero che gli austriaci - bon gré mal gré - attenuassero la loro ostilità. La contrapposizione tra Berlino e Londra, nel frattempo, si arricchiva di nuovi capitoli. Il 9 febbraio lord Richard Haldane fu inviato in Germania nel tentativo di diminuire la tensione e interrompere la gara navale, ma i tedeschi pretendevano addirittura la rinuncia all'entente cordiale e i negoziati fallirono. Il Reichstag approvò un emendamento che espandeva ancora la flotta. Il primo lord dell'Ammiragliato, Winston Churchill, dichiarò in febbraio che quella tedesca era una flotta "di lusso", mentre quella inglese era una necessità, e il 18 marzo annunciò ai Comuni che per difendere il territorio nazionale era vitale per la Gran Bretagna mantenere la superiorità nel mare del Nord, dove occorreva concentrare le forze migliori: di conseguenza la squadra del Mediterraneo sarebbe stata ridotta e trasferita da Malta a Gibilterra. La decisione modificava una politica secolare ed ebbe un impatto enorme. Gli italiani cominciarono ad occupare le isole dell'Egeo: il 28 aprile Stampalia, il 4 maggio Rodi; subito l'allarme si diffuse, specialmente a Parigi e a Londra, dove si temeva che l'equilibrio politico e militare della regione cambiase a loro svantaggio se gli


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italiani avessero reso permanente la loro occupazione. Il Foreign Office si dichiarò pessimista: due promemoria del diplomatico Eyre Crowe (30 aprile e 8 maggio) previdero che il ritiro della squadra da Malta avrebbe spinto l'Italia nelJe braccia della Germania, e forse anche a sbarcare nell'isola; tuttavia - concludeva il secondo promemoria - "queste conseguenze potrebbero essere allontanate, entro certi limiti, se il posto della squadra britannica del Mediterraneo fosse efficacemente preso da una potente flotta francese" Venne chiesto un parere tecnico aJl' Ammiragliato: la risposta (20 giugno) mise in evidenza che l'abbandono di Malta avrebbe fatto cadere il punto strategico che aveva consentito nel passato il controllo del Mediterraneo orientale contro qualsiasi flotta che avesse dovuto partire da un migliaio di miglia ad Ovest; l'Egitto era esposto ad "una minaccia senza precedenti"; una situazione che non avesse consentito contemporaneamente la preponderanza nel mare del Nord e la difesa degli interessi britannici in Mediterraneo sarebbe stata "aggravata dallo stabilimento di una base navale ostile nell'Egeo", cui bisognava "opporsi strenuamente'' Anche a Parigi, con qualche eccezione in quegli ambienti nazionalisti che sognavano di fare del Mediterraneo un lago francese, prevalse la preoccupazione perché la Triplice avrebbe potuto costituire una forte coalizione navale; dagli ambienti della Marina partì una campagna diretta a potenziare la flotta. Il 4 luglio si riunì a Malta, alla presenza del Primo ministro Asquith e di Churchill, il Comitato per la difesa imperiale, che decise di lasciare nell'isola una squadra forte di 4 incrociatori da battaglia e di 4 incrociatori corazzati. Il 16 venne firmata una Convenzione navale franco-russa. Intorno al 20 ebbero inizio conversazioni tra le Marine occidentali, sulla base di una ripartizione del Mediterraneo lungo la linea Capo Passero-Malta-Tripoli; gli interessi di entrambi i Paesi sarebbero stati sostenuti ad Ovest dai francesi, ad Est dagli inglesi. Durante l'estate il conflitto italo-turco prese ad avviarsi verso la sua logica conclusione. Il problema era sempre lo stesso: indurre la Turchia a riconoscere la sconfitta. Alla fine di giugno il generale Pollio, visto che "le vittorie non fanno nessuna impressione, né in Turchia, né fuori", propose di provocare "lo sfacelo (dell'Impero ottomano) con la conquista di Smirne" Giolitti obiettò che sarebbero occorsi 100.000 uomini e che si sarebbe


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accelerata la crisi nei Balcani, dove già c'erano moti. Finalmente i due contendenti - l'uno e l'altro disillusi, per motivi opposti, dalle mediazioni internazionali - si accordarono per colloqui diretti, che durarono più di tre mesi ma condussero alla pace, firmata il 18 ottobre. La pace però, pur sancendo l'accettazione turca dello stabilimento coloniale italiano, non assicurò la consegna all'Italia di tutto il territorio libico. Erano state occupate le maggiori città costiere, ma ancora c'era molto da fare, per cui le isole del Dodecaneso non furono restituite e rimasero a mo' di pegno sotto occupazione militare italiana. Nella madrepatria, intanto, la frontiera francese tornava di attualità. Vennero intensificati i lavori agli sbarramenti del Moncenisio, di Sampeyre in val Varaita e di Vinadio nella val di Stura. Lo schieramento francese non presentava sostanziali modifiche, però in autunno l'addetto militare segnalò la presenza in Francia di consistenti aliquote di truppe coloniali: parlava di 1Oreggimenti, più altri 2 da formare, con adeguato sostegno d'artiglieria. Come in altre occasioni, sospetti troppo insistiti erano fuori luogo: il XIV corpo era disposto a ridosso delle fortificazioni sulla linea Lione-Grenoble-Albertville; il XV più a Sud. Le grandi manovre francesi dell'autunno ebbero luogo nel Sud-Ovest, dove si potevano simulare le pianure del Nord, non le montagne delle Alpi. L'aspetto forse più interessante, da un punto di vista generale, fu l'esame critico delle esercitazioni dell'anno prima, che il Capo di S.M. Joffre fece precedere all'inizio delle manovre; rilevava una serie di deficienze che ne affievolivano l'utilità in vista della preparazione al combattimento. In particolare, Joffre deplorava la tendenza degli attaccanti ad allargare sempre più il fronte per inseguire l'aggiramento, col risultato di assottigliare lo schieramento; notava che nei comandi "il collegamento dal basso in alto lascia molto a desiderare"; la fanteria "non attacca più sotto lo specioso pretesto di manovrare, e la sua azione è molle ed esitante"; la "pessima" tendenza a ripartire a priori l' artiglieria portava a conoscere poco l'azione a massa; la cavalleria veniva spesso impiegata male. Il fatto che queste osservazioni fossero state tradotte e stampate in un buon numero di copie dal reparto operazioni, scacchiere occidentale, del Comando del Corpo di Stato Maggiore mostrava un grado elevato di interesse, non tanto per diffondere la conoscenza dei problemi dell ' Esercito


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francese, quanto per controllare in che misura quelle osservazioni potevano applicarsi anche a quello italfano 63 . "Il 1O settembre scoppiò una bomba. Il Matin annunciava che la Francia concentrava le sue forze navali nel Mediterraneo, spostandovi dalla Manica anche la 3a squadra. Indipendentemente da accordi formali ancora non intervenuti fino a quel momento, la mossa francese indicava con chiarezza che a Parigi si considerava praticamente certo un impegno britannico a copertura del mare del Nord. Può darsi ci fosse anche l'intenzione di forzare un po' la mano, ma non era questo il primo scopo di una decisione che anticipava la sostanza di future intese: il concentramento della flotta evidenziava l'esistenza dello strumento per affermare l'egemonia francese nel Mediterraneo. La Francia coglieva l'occasione per rilanciare - come si auspicava dai giornali nazionalisti - una propria politica di potenza al servizio di un destino di grandezza. Perché questo era l'aspetto centrale della nuova politica francese nel Mediterraneo, non la salvaguardia degli equilibri e delle vie di comunicazione, come era stato per la presenza navale britannica. Lo S.M. della Marina francese faceva politica... muovendosi prima ancora di ricevere l'ordine del governo, che peraltro non appariva scontento della decisione" 64. La concentrazione navale era evidentemente diretta contro l'Italia e la Triplice. Roma, che si sentiva minacciata, e Vienna, che già non aveva gradito l'accordo navale franco-russo, si apprestarono a compiere un passo indietro nel loro antagonismo adriatico. Quella rivalità aveva avuto una funzione rilevante nel precedente equilibrio marittimo, che gli inglesi avevano gestito con delicatezza, ma che ora il nuovo evento aveva distrutto. Vi concorse il Temps, il quale il 16 settembre scrisse che l'Italia, se avesse continuato nella doppia politica del1e alleanze - con la Triplice nel continente, con l'Intesa nel Mediterraneo - non doveva preoccuparsi. La stampa tedesca reagì, e il governo di Roma si convinse "che l"unica via da seguire era quella di appoggiarsi strettamente alla Triplice" 65 . 63 AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 52; Chapperon a Coman-

dante in 2°, ecc., rapporti da ottobre a dicembre 1912, G 29, Addetti militari. Francia, R J 4; Osservazioni del Capo di Stato Maggiore francese alle manovre d'autunno del 1911 in. Francia, G 23, Scacchiere occidentale, R 13. 64 Gabriele e Friz, cit., p. 213. 65 G. Andrè, L'Italia e il Mediterraneo alla vigilia della prima guerra mondiale, Milano, Giuffrè, 1967, p. 94.


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Sulla National Review del 12 settembre 1912 apparve un articolo del conte di Percy, Alcune lezioni della guerra per Tripoli. L'autore notava che il popolo italiano aveva dimostrato resistenza morale e disciplina; le forze armate avevano risposto bene, il servizio aereo era stato organizzato in maniera eccellente, i comandi avevano mostrato capacità, i soldati coraggio 66, la Marina si era mossa bene. A Rodi gli italiani avevano messo a terra 8.000 uomini in due ore; se i tedeschi avessero fatto lo stesso sulle coste inglesi, il corpo di spedizione britannico non sarebbe potuto partire per il continente. Percy lamentava che Londra non si rendesse esattamente conto di quanto i suoi interessi collimassero con quelli italiani, errore che avrebbe gettato l'Italia a fianco della Germania. Era inevitabile infatti che Roma cercasse a Berlino quell'appoggio che non trovava a Londra. Durante l'autunno vi fu un tentativo britannico di rilanciare l' intesa mediterranea con l'Italia, ma quando anche la Francia entrò nel gioco proponendo un accordo politico troppo impegnativo che avrebbe inciso sui rapporti interni della Triplice, Roma si tirò indietro: non si fidava più. A dicembre era tutto finito. Austria, Germania, Russia e Gran Bretagna avevano riconosciuto la conquista italiana della Libia il 18 ottobre, ma non la Francia, che immaginò per un momento di lucrarne qualcosa nella delimitazione dei confini con la Tunisia; poi, a novembre, si rassegnò ed avviò il tentativo di compromettere l'Italia agli occhi dei suoi alleati mediante le nuove proposte sull'accordo mediterraneo, con l'esito già ricordato. A novembre venne costituita la divisione tedesca del Mediterraneo, di base a Gaeta, col Goeben e incrociatori minori. Il 22-23 del medesimo mese uno scambio di note Grey-Cambon diede una 66

Anche il comandante militare turco della Cirenaica lo riconosceva; nel gennaio 1912 annotò: "ammiro i loro ufficiali che si sacrificano"; e il 5 marzo successivo: " meritevole di riconoscimento è stato il comportamento degli ufficiali italiani", Enver Pascià, Diario della guerra libica, Bologna, Cappelli, l 986, pp. 34 e 39. Braves, ardent.1·, conflants, era il giudizio sintetico su ufficiali e soldati del giornalista francese René Pichon, che il generale De Cbaurand definì "uno dei nostri più accaniti avversari", F. Botti, Note sul pensiero militare italiano dalla fine del secolo XIX all'inizio della prima guerra mondiale, I, in Studi storico-militari 1985, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito Ufficio Storico, 1986, p. 95.


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prima veste formale alla collaborazione mediterranea delle Marine francese ed inglese. Il 24 novembre 1912 un promemoria del1' Ammiragliato britannico confermò le direttive: la flotta francese avrebbe avuto come impegno primario il bacino occidentale, la difesa dei convogli di truppe provenienti dall'Algeria, la neutralizzazione delle forze italiane; la squadra britannica avrebbe controllato il bacino orientale, bloccato gli austriaci in Adriatico e li avrebbe attaccati se avessero tentato di uscirne. La preoccupazione maggiore veniva dai veloci incrociatori corazzati italiani che potevano minacciare il trasporto delle truppe, tanto che per difendere i convogli anche la squadra di Malta, nella prima settimana di guerra, si sarebbe spostata a Occidente, gravitando tra la Sardegna e Biserta 67 . Il 1912 si avviava in tal modo alla fine, in un quadro di rinnovata contrapposizione fra Triplice e Intesa.

67

A.J. Marder, From the Dreadnought to Scapa Flo w. The Royal Navy in. the Fisher Era, I (The road to War), London, Oxford University Press, 1961, pp. 300-08.


Capitolo VII

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46.

CONVENZlONE CHE VA, CONVENZIONE CHE VIENE

La conclusione della pace con la Turchia non aveva risolto i problemi militari in Libia, dove la guerriglia turco-araba, specialmente in Cirenaica, continuava a creare difficoltà e a tenere impegnate aliquote significative di truppe. Il conflitto, inoltre, aveva consumato una aliquota notevole di mezzi, 3 classi (1888-18891890) ne erano risultate depauperate, col risultato che a fine autunno 1912 non c'era più quella esuberanza di forze disponibili nell'Esercito italiano che aveva costituito il presupposto per il trasferimento di una grossa armata italiana in Germania. Come si ricorderà, il Capo di S.M. italiano lo aveva previsto fin dai primi mesi dell 'anno e ne aveva parlato ai generali designati d'armata. Firmata la pace ed avviato il riconoscimento internazionale della conquista coloniale, venivano a cadere le motivazioni che avevano indotto il governo italiano a procrastinare il rinnovo dell'alleanza. Ma il 22 novembre 1912 in vista di questo passo Helmuth von Moltke disse al colonnello Calderari, addetto militare italiano a Berlino: "Visto l'imminente rinnovamento della Triplice Alleanza e le eventualità che possono nascere dall'attuale situazione politica, mi sembrerebbe opportuno che i due stati maggiori italiano e germanico si mettessero in comunicazione fra loro. La pregherò perciò di voler proporre a mio nome a S.E. il tenente generale Pollio che o un suo delegato venga a Berlino o che uno mio vada a Roma per trattare sulle questioni di interesse militare dipendenti dal Trattato di Alleanza" Il Capo di S.M. tedesco disse anche al Calderari che il momento era molto grave: se in un conflitto austro-serbo si fosse intromessa la Russia, la Germania lo avrebbe considerato casus foederis per scendere in campo a fianco dell 'al leata. E infatti, 1'8 dicembre successivo il Kaiser tenne una specie di consiglio di guerra con i capi dell'Esercito e del-


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la Marina, discutendo nei particolari la prospettiva di un conflitto, che sarebbe scoppiato se la Russia avesse appoggiato la Serbia; Moltke espresse l'opinione che "la guerra era inevitabile, e quanto prima fosse scoppiata, tanto meglio" Pollio mandò a Berlino il colonnello Zupelli per spiegare al Moltke la nuova situazione mj}jtare italiana, che non permetteva più di mandare truppe in Germani a, promettendo in cambio di impegnare forze francesi con movimenti offensivi dall ' Italia. Il 4 dicembre Zupelli telegrafò che Moltke voleva un accordo formale che precisasse gli impegni dell'esercito italiano in un conflitto. Il Capo di S.M. tedesco non insistette per l' invio dell'armata italiana sul Reno, pur ritenendo che il suo arrivo sarebbe stato vantaggioso per l'Italia, perché "la Germania intende con massima parte sua forza fare subito vigorosa offensiva contro Francia limitandosi difesa contro Russia" A suo giudizio, questo avrebbe facilitato una discesa di forze italiane sul rovescio dell'Armée des Alpes, mentre vedeva "lunga e difficile" un'azione offensiva condotta dalle truppe italiane attraverso le Alpi marittime. L'offensiva tedesca avrebbe anche impedito ai francesi di distrarre forze considerevoli per tentare uno sbarco, motivo per cui sarebbero rimaste sempre disponibili per il Reno una parte delle truppe destinate ad opporsi a uno sbarco, peraltro "poco probabile anche per scarsità efficacia flotta francese" Zupelli aveva l'impressione che un concorso italiano sul Reno, anche ridotto, sarebbe stato gradito. Lo confermò il giorno successivo il Calderari, che riferì al Capo di S.M. italiano dell 'atteggiamento bellicoso di Berlino e di Vienna e della fiducia tedesca nei propri piani di guerra: "almeno nelle alte sfere militari questa fiduci a esiste intiera e ad un punto che, avendo io detto non doversi noi troppo deprezzare il nemico, ebbi per risposta che, pur non deprezzando il nemico, la Germania riteneva avere molta probabilità di successo"; anche all'addetto militare Moltke ripetè che un attacco italiano "proveniente da Nord alle spalle delle truppe francesi alle Alpi sarebbe relativamente facile e di esito rapido", raccordandosi con l'avanzata tedesca, "mano a mano" che questa avesse avuto luogo. La tradizionale tenacia tedesca coglieva ogni occasione per battere lo stesso chiodo. Il 7 Pellio aveva chiesto informazioni sull'atteggiamento della Svizzera e il 9 Zupelli gli telegrafò quanto gli aveva detto il Capo di S.M. germanico: la Confederazione


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sarebbe rimasta neutrale, ma in ogni caso favorevole alla Triplice, "mai" alla Francia, cui avrebbe dichiarato guerra se avesse varcato il confine. Anche senza l'intervento della III armata italiana, i tedeschi avrebbero lasciata sguarnita la frontiera elvetica, considerandola un appoggio sicuro. Moltke era stato così reciso che Zupelli e Calderari avevano ritenuto che la sua opinione fosse "basata su qualche cosa di più che semplice convincimento" Il capo militare germanico aggiunse non doversi credere che, quando la Germania si fosse rivolta verso la Russia, l'esercito itaUano sarebbe stato lasciato solo davanti alla Francia: era stato previsto "anche il caso di sottoporre al Comandante italiano corpi d'armata germanici" Questa era una cosa nuova e fu accompagnata dalla conferma di essere sempre favorevole all'invio della III armata ed a sperare che Pollio riprendesse in esame la questione 1. Il 5 dicembre 1912 era stato firmato il rinnovo dell' alleanza; questa volta l'àdesione dell'Italia era stata più convinta, grazie alle diffidenze ed alle gelosie delle potenze marittime occidentali. Inoltre la vittoria sulla Turchia e la tensione internazionale rafforzavano la posizione negoziale dell'Italia, che ebbe modo di far valere con gli alleati le sue esigenze militari e navali. La rinuncia alla Convenzione del 1888 venne infine accettata, anche se il Conrad nelle sue memorie non mancò di criticarla, scrivendo che "l'Italia, senza preoccupazione di sorta, annunciava che in caso di guerra non avrebbe seguito i suoi impegni di alleata" Moltke non condivise i suoi sospetti e ben lo si vide nell'avvio delle trattative per una nuova Convenzione navale della Triplice. Il 21 dicembre Pollio scrisse a Moltke: chiariva le ragioni che lo avevano indotto alla decisione di trattenere in Italia la III armata e ribadiva che in caso di guerra tutte le forze di terra e di mare italiane avrebbero attaccato la Francia; proprio per questo però chiedeva di rivedere la Convenzione navale triplicista del 1900, "sia per lo sviluppo continuo della flotta austriaca, sia in seguito alla nostra 1 Calderari a Pollio, 22 novembre e 5 dicembre 1912; Zupelli a id., 4 e 9 dicembre, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 45 ; "Studio del generale Alberti. La convenzione militare della Triplice (gennaio 1888)" ibidem, R 12. 1. Geiss, Gli uomini che volevano la guerra, in AA.VV., 20° Secolo, cit., I, p. 542. A Parigi si pensava che l'Austria cercasse la guerra nei Balcani e che ciò avrebbe offe1to alla Germania l'occasione di muoversi, Zaccone a Comandante in 2°, ecc., 12 dicembre 1912, G 29, Addetti militari. Francia, R 21.


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conquista della Libia, sia infine per la nuova dislocazione della flotta francese" Nella lettera il Capo di S.M. germanico rispose dichiarandosi soddisfatto per l'assicurazione che nel casusfoederis l'Italia avrebbe condotto "una energica offensiva con tutte le sue forze contro la Francia"; pur rammaricandosi che la situazione non consentisse di trasferire la III armata in Germania, Moltke sottolineava l'importanza che l'Italia attaccasse la frontiera delle Alpi "le plus tot possible" e chiedeva quali forze sarebbero state impiegate. Poiché l'attacco attraverso le Alpi non era il solo obiettivo italiano, il Capo militare tedesco riteneva che "più presto l'Italia comincerà lo sbarco ... sulle coste mediterranee della Francia, più efficacemente la Germania sarà aiutata" Ciò riportava alla questione della supremazia marittima nel Mediterraneo, in rapporto alla quale il generale Pollio aveva sollecitato la revisione della Convenzione navale vigente per ottenere un'azione comune delle flotte alleate. Secondo Moltke dipendeva dall'atteggiamento dell'Inghilterra, quali forze la Marina tedesca avrebbe potuto inviare in Mediterraneo; un'intesa tra le flotte italiana ed austriaca, cui certamente si sarebbero aggiunte unità germaniche, avrebbe avuto la maggiore influenza sul comune obiettivo strategico, e sarebbe stata sufficiente per impedire il trasporto in Francia del XIX corpo d'armata dell'Algeria e delle truppe marocchine, complessivamente circa due corpi d'armata. "L'Austria e l'Italia così potrebbero influire efficacemente su una felice conclusione del combattimento tra la Germania e la Francia, ... decisivo per la conclusione definitiva della guerra generale europea" Subito i tedeschi informarono gli austriaci, sottolineando la necessità di impedire alla Francia di trasferire 100.000 uomini in Europa, ciò che avrebbe consentito di destinare al fronte orientale "forze germaniche più considerevoli" Era un argomento adatto a sensibilizzare Vienna. Nella memoria del 21 gennaio l'ammiraglio Montecuccoli diede via libera, dichiarando che la "intera flotta austro-ungarica... può essere chiamata ad agire contro il nemico"; lo stesso Conrad approvò "con entusiasmo" la cooperazione della flotta 2. 2 Moltke a Pollio, 9 gennaio 1913 e promemoria Montecuccoli del successivo 21, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 45; Capitano di corvetta Gerolamo Colloredo Mannsfeld all'I.R. Ministero della Guerra - Sezione Marina, 11 gennaio 19 13, in Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit., pp. 526-28.


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Per gli italiani si trattava di una necessità. Lo si evince anche dal rapporto di fine 1912 dell'addetto navale francese a Roma: "la flotta italiana non potrebbe pensare di impegnarsi contro la flotta francese senza correre a un disastro: 1°, perché le unità sono materialmente inferiori come valore e come numero; 2°, perché l' addestramento del personale è peggiorato nel corso di quest'anno, dal momento che la preparazione alla guerra navale è stata sacrificata ad operazioni di secondo ordine, il cui successo ha falsato la mentalità; 3°, perché Taranto non è ancora in condizione di giocare il ruolo di base unica e che per questa ragione vi saranno molte probabilità di sorprendere le forze italiane frazionate tra La Spezia e Taranto. Aggiungerei che La Spezia può essere facilmente bloccata e Taranto facilmente aggirata" Si preoccupava però che il ministro Leonardi Cattolica avviasse "l'impostazione di una nuova serie di unità... Se ciò si realizza, la marina italiana potrebbe diventare un ostacolo serio", motivo per cui suggeriva "un'intensificazione del nostro programma navale" Il problema era stato avvertito anche dal Capo di S.M. dell' Esercito. Il Pellio lo aveva affrontato in suoi appunti manoscritti, nel quadro della parte dedicata alla guerra offensiva. La collocazione temporale del documento pare da riconoscere nei due mesi che intercorsero, durante l'autunno 1912, tra il concentramento della flotta francese nel Mediterraneo (settembre) e la costituzione nello stesso mare di una divisione navale tedesca (novembre). Lo scritto prevedeva l'aiuto diretto deJla Marina austriaca, purché i russi restassero in Mar Nero. La squadra imperiale e regia si sarebbe concentrata a Cattaro, per portarsi poi al Faro (Messina) ad operare insieme agli italiani. Gli austriaci avrebbero pensato anche alla "piccolissima squadra francese d'Oriente (composta di una corazzata, un incrociatore, una cannoniera e un avviso)", se fosse stata a portata di mano. La divisione navale tedesca - prendendo esempio dai francesi che avevano effettuato in tempo di pace i movimenti necessari per assicurarsi la disponibilità della loro massima potenza marittima là dove ritenevano di averne bisogno per la guerra - avrebbe dovuto essere considerata "permanente", e dislocarsi quindi in Mediterraneo dal tempo di pace, evitando il rischio di dover forzare il passaggio obbligato di Gibilterra, una volta iniziate le ostilità: secondo Pellio, riunite, la squadra austriaca e la flotta italiana "avrebbero tale qualità di forza da poter


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ben contrastare la preponderanza che la francese avrebbe sopra la sola nostra squadra" Dopo la richiesta di revisione della Convenzione navale del 1900, la Marina preparò uno studio ("Azione comune delle flotte alleate nel caso di guerra della Triplice"), che l'ammiraglio Rocca Rey trasmise il 28 gennaio al collega dell'Esercito, Pollio, per l'approvazione. Il punto centrale dello studio affermava che "obiettivo principale del1e flotte alleate non può essere altro che la flotta principale del nemico" Una dispersione degli obiettivi avrebbe provocato un indebolimento generale. Successive elaborazioni portarono alla Memoria n. 1 del 28 marzo 1913, che doveva servire da base per le trattative. Le flotte riunite italiana ed austro-ungarica erano valutate come equivalenti alla flotta francese. Una vittoria navale all'inizio delle ostilità avrebbe eliminato la minaccia di sbarchi nemici e reso possibili quelli italiani; le truppe dell'Africa non avrebbero potuto più essere trasportate in Europa. Quanto agli aiuti navali che avrebbe potuto ricevere il nemico, nella memoria di marzo vi sarebbe stato cenno della possibilità d'intervento del1a flotta russa dal Mar Nero, eventualità considerata "pericolosa", che si proponeva di fronteggiare sfruttando il fattore tempo, ossia battendo con un' azione fulminea la flotta francese prima che quella russa potesse raggiungerla; si calcolava di avere almeno una settimana. È curioso che in questa prima fase non venisse preso in considerazione l'ago vero della bilancia: la squadra britannica di Malta; forse si trattava di un riflesso psicologico portato da vecchie illusioni dure a morire. Eppure non era un mistero l'ostilità di Londra per la Germania, e quindi per i suoi alleati, aggravata dalla sgradita presenza italiana nel Dodecaneso. Così il governo britannico e l'Ammiragliato, dopo lo scambio di note Grey-Cambon del novembre 1912, premuti dai francesi, si indussero a concludere l'accordo navale anglo-francese del 10 febbraio 1913, che impegnava formalmente l'Inghilterra a quella cooperazione che era già stata largamente definita con la Marina francese. Gli inglesi non vollero accettare di estendere l'accordo anche ai russi, ma ce n' era abbastanza. Il Memorandum relativo all'Azione combinata nel Mediterraneo, che faceva parte di un gruppo di tre documenti riguardanti la cooperazione tra le due potenze marittime occidentali anche nella Manica e in Estremo Oriente, era articolato in 1Opun-


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ti, nel primo dei quali si leggeva: "Il mare del Nord sarà il teatro decisivo delle operazioni navali e per il successo finale del complesso delle operazioni è assolutamente necessario che la Gran Bretagna conservi la libertà completa di concentrare su questo teatro d' operazioni quelle forze che sono necessarie per battere il nemico. Il governo britannico non può di conseguenza ammettere nessun accordo, il quale specifichi che la flotta inglese del Mediterraneo sarà mantenuta in maniera permanente ad un effettivo determinato. Ma scopo della politica britannica sarà, in linea di principio, di mantenere nel Mediterraneo, in tempo di pace come in tempo di guerra, una forza tale che sia in condizione di combattere, con ragionevoli probabilità di successo, la squadra austriaca se questa uscirà dall'Adriatico" In un certo senso, gli inglesi erano stati trascinati a firmare la Convenzione, in contrasto con la loro tradizionale politica di riservarsi libertà d'azione, ma la costituzione della divisione navale tedesca del Mediterraneo pareva già una minaccia concreta ai trasporti di truppe dall'Africa. A marzo fallì una nuova offerta di Churchill per una vacanza navale che ponesse fine alla "stupida" gara delle costruzioni. Nello stesso mese i tedeschi ebbero sentore degli accordi franco-britannici per il Mediterraneo e forse non è un caso che la successiva edizione di aprile della Memoria italiana sull'azione comune delle flotte tripliciste ne tenesse conto 3. Le trattative tripliciste si conclusero a Vienna il 23 giugno 1913; nei due mesi successivi i vertici delle Marine interessate misero a punto il testo finale, che fu ratificato il 14 ottobre edentrò in vigore il 1° novembre. Comprendeva la "Convenzione per il 3 Tenente di vascello d'Huart a ministro della Marina, 30 dicembre 1912,

AMF, BB 3, busta 126, fase. g; AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 61; AUSSM, busta 295, fase. I, C.N. 2 (Azione comune, ecc.), C.N. 3 (Memoria n. 1 a S.E. il Capo di S.M. della Marina circa il modo come si presenta il problema di una cooperazione dellafl.otta austroungarica), C.N. 4 (Memoria n. 2, ecc.). Marder, From the Dreadnought, ecc., cit., pp. 308-14. In base a indiscrezioni dello scrittore militare britannico Repington, lo Zaccone aveva trasmesso in Italia, subito dopo la firma della convenzione anglo-francese, queste informazioni: "La flotta inglese assicurerebbe la difesa delle coste francesi, terrebbe in rispetto l'Italia, specialmente dopo che questa si è lanciata in Africa, e permetterebbe alla Francia di utilizzare la sua eccellente Armée des Alpes e di rimpatriare tranquillamente le sue truppe da Algeria e Tunisia", Zaccone a Comandante in 2°, ecc., 14 febbraio 1913, G 29,Addetti militari. Francia, R 21.


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Mediterraneo", la "Convenzione addizionale per il Mediterraneo" e un Annesso I, intitolato "Distribuzione delle forze marittime della Triplice per operazioni in comune" L'accordo prevedeva che le migliori unità delle flotte italiana ed austriaca, più la divisione tedesca del Mediterraneo, avrebbero operato offensivamente nel bacino occidentale. Alla difesa dell'Adriatico, con gravitazione operativa sulla porta d'accesso del Canale d'Otranto, sarebbero state destinate le unità italiane ed austriache meno recenti, appoggiate alle basi di Brindisi e di Cattaro. Il punto di riunione tra le squadre da battaglia italiana ed austriaca era previsto nella zona di Messina, ed era una scelta felice perché diminuiva per gli austro-ungarici i rischi di una lunga traversata da soli e consentiva agli italiani di intervenire nello Ionio se la forza britannica di Malta avesse tentato di attaccare la formazione austro-ungarica durante la navigazione dall'Adriatico al Tirreno. Questo piano accorciava i tempi della radunata navale e metteva la flotta riunita in grado di muovere subito contro la flotta francese e i trasporti dal1' Africa. Messina avrebbe costituito il punto di concentramento delle forze navali italiane, Augusta di quelle austro-ungariche, Gaeta di quelle tedesche. In un secondo tempo la squadra italiana poteva basarsi a Spezia e quella austro-ungarica alla Maddalena. La grande novità consisteva nel fatto che la flotta di Vienna usciva dall'Adriatico e si impegnava a fondo nel bacino occidentale del Mediterraneo, rendendo possibile sul mare una politica di guerra triplicista di carattere offensivo, unitariamente condotta. L'accordo per il comando designava l'ammiraglio austriaco Anton Haus a Capo supremo delle flotte per l'anno 1914, lasciando impregiudicato il tempo successivo. Era la concessione minima, che veniva fatta ad una Marina che si assumeva sacrifici e rischi per venire a combattere in un teatro marittimo considerato sempre di solo interesse italiano. Come già visto, i probabili avversari erano orientati a fronteggiare separatamente - i francesi contro gli italiani, gli inglesi contro gli austro-ungarici - le flotte tripliciste. La Convenzione mirava a superare una tale situazione sfavorevole, affrontando tutti gli inevitabili rischi; ma quanto di avventuroso e di temerario si poteva rintracciare nei piani connessi all'accordo navale, dipendeva dalla situazione geografica e militare del Mediterraneo, che imponeva l' accettazione di una quota d'azzardo elevata


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per cercare di mettere in atto una condotta audace. Certamente l'Italia traeva beneficio più di tutti dalla nuova filosofia marittima unitaria, però anche l'intera alleanza se ne giovava. Di questo Moltke aveva dato atto a Pollio fin dalla primavera, dichiarando che un'azione comune delle flotte alleate nel Mediterraneo andava incontro "ai nostri desideri" e che anche l'Imperatore e il Capo della Marina tedesca erano d'accordo. Nella nuova strategia comune era presente un elemento qualificante, che si lasciava alle spalle molte incomprensioni del passato: l' adozione, anche sul mare, di una condotta offensiva, come i tedeschi avevano sempre sostenuto. Da decrittazioni o da una fonte tedesca al servizio dei russi, i francesi seppero quasi subito che le potenze tripliciste avevano "sottoscritto un'intesa navale chiaramente rivolta contro la Francia" e se ne adontarono, ravvisandovi "la riprova più evidente dell'incredibile duplicità" del governo italiano, che dal 12 ottobre trattava di nuovo con loro per un accordo mediterraneo; errando, ritennero che la Convenzione navale fosse stata introdotta nel trattato di rinnovo dell' alleanza, mentre era venuta dopo. Scontato un simile equivoco, tuttavia, è in qualche misura singolare che proprio la Francia si sentisse in diritto di montare sul cavai d'Orlando. Una potenza che aveva fatto quanto poteva, nel settembre 1912, per allarmare italiani ed austriaci, perseguendo prima e dopo con insistenza una minacciosa politica navale antitriplicista, coinvolgendo sempre più gli inglesi fino alla Convenzione navale del febbraio 1913. Una potenza la cui Marina ostentava ad ogni occasione un atteggiamento aggressivo, spavaldo e provocatorio: il 10 dicembre 1912, con chiara intenzione politica, "la squadra francese appariva al largo di Ventimiglia e negli stessi giorni sommergibili e siluranti francesi evoluivano ostentatamente presso Pantelleria"; l'ammiraglio Lapeyère volle sulla nuova corazzata-simbolo France la statua di un legionario romano in catene con la scritta "Vae victis" e qualche mese dopo, nel maggio 1913, dichiarò che per aggredire "un nemico di riconosciuta forza inferiore" non avrebbe aspettato che il Capo dello Stato dichiarasse la guerra; a novembre, dopo che le manovre annuali erano state dirette con evidenza contro l'Italia, una squadra francese sfilò davanti a Rodi guardandosi bene dal salutare il duca degli Abruzzi che era in porto con la sua divisio-


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ne: rispose soltanto al saluto che il duca, cortesemente, fece fare per primo 4 . 47. GLI APPUNTI DEL GENERALE POLLIO PER L' OFFENSIVA A

NORD-0VEST

Nel gennaio 1913 il generale Waldersee era a Roma per uno scambio di idee sull'impiego dell'esercito germanico e di quello italiano in caso di conflitto. Pollio gli aveva illustrato i termini della radunata della III armata, che per 4 dei 5 corpi restava nei medesimi centri già prima previsti (il VI a Bologna, il VII a Padova, l'VIII a Firenze, l'XI a Venezia), così se si fosse deciso di impiegarli altrove non si sarebbero dovuti rifare i progetti di trasporto; solo il V corpo si sarebbe concentrato a Milano per agire di rincalzo alle truppe operanti sulle Alpi. Non veniva escluso che la III armata potesse infine essere inviata in Germania, "ad esempio se le cose non andavano bene colà, oppure in Albania e Balcani, o in Galizia" Altre possibilità d'impiego consistevano in un'azione anfibia a Nord-Ovest o nell'opposizione ad operazioni del nemico sulle coste. Non pareva utile spingere l'armata - salvo il V corpo verso le Alpi, in una zona già congestionata da truppe ed armamenti. "La guerra sulle Alpi è per sua natura lenta, quindi si avrà tempo sufficiente per far accorrere la dserva anche se lontana inizialmente" Dopo Roma, Waldersee prevedeva di recarsi a Vienna per conferire con il Conrad, tornato di nuovo, in dicembre, a guidare lo S.M. austro-ungarico. Pollio se ne preoccupò e volle che il generale Zupelli andasse anch'egli nella capitale austriaca "per riferire direttamente al Conrad quale è la dislocazione della IIl Armata, riserva strategica, senza dirgli quale è il nostro progetto di azione sulle Alpi. Ciò perché l'Austria, sempre diffidente verso di noi, non si impressioni quando saprà o vedrà l'invio di corpi d'armata verso la sua frontiera. Lo stesso Waldersee prospettò la possibilità 4

Moltke a Pollio, 4 aprile 1913, AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 45. Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cit., pp. 324-98; André, cit., pp. 232-38 e 302-03; G. Almagià ed E. Zoli, La Marina italiana nella Grande Guerra, l (Vigilia d'armi sul mare. Dalla pace di Losanna alla guerra italo-austriaca), Firenze, Vallecchi, 1935, pp. 20 e 398.


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di tale diffidenza" E aveva ragione, perché il Conrad, venuto a conoscenza della disdetta italiana dell'impegno sul Reno, subito deplorò che non si fossero sistemati in tempo i conti con Roma. Pollio, inoltre, si rendeva conto che l'accordo navale richiesto sarebbe passato per Vienna e contava sull'appoggio tedesco: al tempo del generale Schemaa, Moltke gli aveva suggerito di non lasciare un solo uomo verso l'Italia in caso di conflitto ad Est. Prima che il ministro della Guerra gli assicurasse il contrario, il 25 dicembre 1912, il Capo di S.M. italiano "ignorava se nel trattato della Triplice fosse contenuta qualche clausola militare"; risolto questo dubbio istruì lo Zupelli di impostare il rapporto con Vienna sulla necessità di concordare il nuovo piano di guerra del1' alleanza, sia per il caso che l'Italia fosse impegnata subito nel conflitto, sia che intervenisse più tardi. A tal fine sarebbe stato opportuno "far conoscere a Vienna, direttamente, tutto ciò che diciamo a Berlino" Ma Pollio disse a Zupelli: "credo Moltke sincero, non altrettanto il Conrad", quindi voleva evitare di scrivergli: mandava Zupelli a fare delle comunicazioni verbali. Nella sua missione a Vienna lo Zupelli doveva giustificare la rinuncia all'invio in Germania della III armata e ripetere al Conrad quanto era stato comunicato al Waldersee circa la radunata in Italia della grande unità; sostenere la revisione della convenzione navale del 1900 e rinviare a trattative segrete; fornire informazioni generali circa gli orientamenti italiani sul fronte nord-occidentale. Sulle Alpi sarebbero state impegnate 16 divisioni; si pensava "di agire per tutti i colli delle Alpi, collo scopo di paralizzare la maggior quantità possibile di forze francesi, anzi di richiamare ivi una parte di quelle truppe che i Francesi intenderebbero far affluire contro i Tedeschi credendo di poterci tenere a bada sulle Alpi con poche forze appoggiate dalle fortificazioni. Noi agiremo più fortemente per la nostra destra nel P(iccolo) S. Bernardo e nel Monginevra, anche violando la neutralità della Savoia se occorre. Ciò perché da tale parte le fortificazioni francesi sono meno recenti e quindi meno temibili": con ciò pur tenendo conto della distanza che separava gli italiani dai germanici, il Capo di S.M. italiano riteneva che "riusciremo ad esercitare una seria minaccia pei Francesi, a vantaggio della sinistra tedesca" E faceva notare che facendo radunare a Milano anziché a Verona il V corpo d'armata, le sue 2 divisioni sarebbero state di rincalzo a quelle delle


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Alpi così che su detto fronte sarebbero state dislocate complessivamente 18 divisioni. I Tedeschi sarebbero stati "pronti colla massa ad agire al 12° giorno", per operare di concerto con loro, "considerando che in montagna le forze che trovano impiego utile sono limitate, non occorre attendere che tutta la mobilitazione sia compiuta. Faccio conto che il 12° giorno avrò pronta una massa sufficiente per iniziare convenientemente le operazioni. Si tratta di giungere sulle posizioni opportune, donde procedere poi all'attacco delle fortificazioni. Intanto giungeranno le altre forze" 5. Ogni attenzione era rivolta all'offensiva e ad una offensiva che presentasse interesse per gli alleati. Del resto, anche la richiesta di revisione della convenzione marittima era stata motivata da questo fine. Quando Pollio aveva approvato il promemoria della Marina sui criteri dell'azione comune delle flotte Tripliciste, il primo obiettivo strategico che aveva definito riguardava l'attacco ai trasporti di truppe francesi dall'Africa, assegnato alle flotte riunite. In quei mesi tutti gli uffici del Corpo di Stato Maggiore, specie quelli dello Scacchiere occidentale, si dedicarono alla preparazione di documenti e di studi relativi ad operazioni offensive sulla frontiera francese. Dopo la revoca dell'impegno a mandare in Alsazia la III armata, si trattava di una necessità politica e militare. I precedenti appunti di Pollio recavano già delle indicazioni. Le direttive generali per il caso di una offensiva consideravano che in caso di guerra su due fronti i francesi avrebbero portato la maggior parte delle loro forze contro i tedeschi, dove, malgrado le fortificazioni, "la frontiera è molto più accessibile alle grandi operazioni in aperta campagna" Là si sarebbero decise le sorti, e, se le cose fossero andate bene per loro, i francesi avrebbero pensato in seguito a risolvere il conflitto con l'avversario meridionale. Alla "frontiera italiana sia per la natura del teatro di guerra, sia per le 5

Appunti del generale Zupelli, 22 e 24 gennaio 1913, relativi ai colloqui con i generali Pellio e Brusati ed alle istruzioni ricevute dal Capo di S.M. dell'Esercito. AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 45. Non era solo PolJio a fidarsi poco del Conrad, ché l'addetto militare a Vienna, quando il Capo militare austriaco gli chiese la dislocazione delle riserve italiane, si insospettì: il colonnello Albricc.i si domandava cosa avesse in mente il Conrad, visto che aveva molte truppe in Dalmazia e i militari a lui vicini si lamentavano che l'Imperatore fosse troppo pacifico. Ibidem.


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favorevoli condizioni del terreno, sia per avere sbarrato con numerose fortificazioni i pochi varchi, la difesa potrà... essere sostenuta per molto tempo con forze relativamente piccole" Le stimava in 12 battaglioni di cacciatori, di 6 compagnie ciascuno, con 12 batterie da 72 e nei corpi d'armata XIV e XV; vi potevano essere aggiunti 2 corpi d'armata territoriali e una brigata di cavalleria. Dalla parte italiana erano schierate due armate ed è curioso che negli appunti di Pellio la loro dislocazione fosse invertita, ponendo la 2a più a nord, di fronte alla Savoia fino a Briançon e la 1a più a sud, dinanzi al Delfinato ed alla Provenza fino alle Alpi marittime e al mare. "Nella la zona, lasciando osservato Briançon il cui assedio imporrebbe grande perdita di tempo, impiego di molto materiale, l'obiettivo della 2a armata son le valli dell'Arco e dell'Isère, avendo per obiettivo primo importante il fronte di Albertville-Chamousset sul medio lsère. Occupato quel fronte le direttive successive verranno piegate secondo che si svolgeranno le operazioni dell'esercito alleato e le operazioni nell'altra zona. Nella 2a zona l'obiettivo dell'offensiva della 1a armata dovrà essere la conquista del Nizzardo e di Tournoux. Ottenuto questo obiettivo, prendere per base il Nizzardo per marciare verso la media Durance" I due teatri d'operazione andavano considerati indipendenti l'uno dall'altro, essendo separati da 150 km, ciò che impediva comunicazioni tra loro, almeno all'inizio. Un'azione comune "sarebbe solo possibile se si potesse contare nel corso della campagna su di una preponderanza costante (e) immutabile di ciascuna delle nostre armate sull'armata avversaria" Le direttive per la 2a armata riguardavano la Tarantasia e la Moriana. In Tarantasia le truppe schierate in difesa avanzando avrebbero avuto una divisione di rincalzo, con artiglieria, genio, servizi e animali da soma in numero sufficiente per il vettovagliamento e il munizionamento in alta montagna. "L'obiettivo principale da raggiungere ... è quello di impadronirsi dello sbocco di Albertville"; bisognava quindi occupare i colli del Piccolo S. Bernardo, compresi quelli laterali tatticamente rilevanti. "Procedere indi in forze per la valle dell'Isère", fiancheggiati a sud e a nord da colonne di copertura in quota che potevano ricevere rinforzi dal grosso in marcia nella valle. Rafforzata la colonna del fianco settentrionale, sarebbe stata portata in linea la sezione del parco d 'assedio da montagna attraverso la strada rotabile di fondo valle


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e si sarebbero investite le fortificazioni di Albertville utilizzando gli studi della Commissione interarmi presieduta dal generale Sironi, che aveva approfondito il tema. L'operazione maggiore sul fronte della 2a armata si sarebbe dovuta svolgere in Val Moriana. Le truppe di prima linea avrebbero ricevuto il rinforzo di un intero corpo d'armata, con artiglieria, genio ed eventualmente anche distaccamenti da altri reparti. "L' obiettivo principale della offensiva in Moriana sarà quello d'impadronirsi della posizione che sbarra la strada di Chamousset su Chambery" Occupati i colli del Cenisio, del piccolo Cenisio e del Lautaret e la punta di Bellecombe, si sarebbe lanciato il grosso nella valle dell' Are, assicurandogli ai lati la copertura di colonne in quota. Dalla conca di Bardonecchia si faranno occupare in forza i colli del Fréjus" e circostanti; poi, "con sufficienti forze ... da poter marciando al nord verso l' Are rendere impraticabili la strada ferrata e la strada ordinaria" si sarebbe completato da sud l' investimento della linea francese alle spalle del confine. Per l'assedio delle fortificazioni Pollio rimandava anche qui agli studi del generale Sironi, valutando che sarebbero cadute. Restavano il forte e le batterie del Telegrafo, che pure bisognava attaccare, eventualmente con compagnie alpine che per via montana "cadessero sul colle del Galibier per intercettare le comunicazioni con Briançon e con Grenoble ___ Caduto il forte del Telegrafo si proceda all'altezza della posizione di Aiton", guardandosi bene il fianco sinistro da possibili attacchi portati da forze provenienti da Briançon o da Grenoble. Le direttive per la I armata riguardavano "la zona a sud di Briançon, cioè dal colle della Tourette al mare... Un primo obiettivo che ci proponiamo conseguire in questa zona è la conquista del Nizzardo, per prenderlo poi come base della nostra offensiva sulla media Durance. Attesa in tal caso, la nostra presunta superiorità di forze, e l'asprezza e povertà dei luoghi e la scarsità di strade per non dire l' assenza che solcano il paese, tutto ciò non permette un troppo grande ammassamento sulle poche strade ordinarie da cui è solcato quel paese; è nostro intendimento perciò d'iniziare la offensiva in tutte le direzioni possibili, cioè da Nord verso sud e da est verso ovest" A tal fine l'attacco andava portato infiltrandosi per "strade, cammini, sentieri, mulattiere, per conquistare il paese garantendo da prima sulla testata di Stara, di fronte a Tour-


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noux, per garantirci il nostro fianco destro": tra la Val di Stura e il co11e della Maddalena sarebbe stato impiegato il corpo d'armata schierato in difesa avanzata; questo corpo doveva coprire la marcia diretta al Nizzardo controllando i colli dalla Maddalena al Gaytron e occupando in forza il col del Pourriac e del Serra, così da dare sicurezza alle altre forze d'attacco che dovevano scendere in Val Tinea e spingersi verso il Varo fino ad occupare Benil. In un secondo tempo, conclusa la manovra di copertura, quello stesso corpo d'armata avrebbe assediato le fortificazioni di Tournoux, per cui sarebbe stato dotato di una sezione di parco d'assedio da montagna con le rispettive truppe tecniche; Tournoux sarebbe stata raggiunta per la valle dell' Ubayette, avendo le basi di rifornimento in territorio italico nei villaggi di Argentera e di Bersezio: le modalità d'assedio erano già state messe a punto dalla Commissione Sironi. L'attacco principale sulla Val Tinea doveva venire dai bacini del1a Stura e del Gesso con base logistica a Vinadio. "Siccome da valle di Stura si distaccano quattro mulattiere che portano in Val Tinea e passano per i colli di Morgan, Colla Lunga, S. Anna, Lombarda, incanalare per dette mulattiere 4 brigate rinforzate di Alpini e Bersaglieri, ma con molta artiglieria di montagna e poca di campagna e con someggi per le altre truppe... Scopo di questo Corpo d'Armata sarà quello di occupare taluni punti del massiccio Alpino tra Tinea e Varo ... e di impadronirsi del massiccio tra Tinea e Vesubia e più specialmente di Toumefort operando d' accordo con le colonne che agiranno per valle del Gesso e far cader le difese di Barre Noire" Dalla Val di Gesso due altre mulattiere conducevano oltre frontiera, l'una dai Bagni di Valdieu per il colle Ducros a Pont lngolf e l'altra da Entracque per il colle della Finestra a S. Martino; attraverso queste vie si poteva avviare un altro Corpo d'Armata rinforzato da Alpini, con modesta aliquota di artiglieria da campagna e qualche batteria da montagna. Tale Corpo avrebbe avuto la possibilità di scendere a sua volta in Val Tinea, o dirigersi verso Utelle o, scendendo la Vesubia, occupare il contrafforte tra questo fiume e la Bévera. Anche questo corpo avrebbe avuto una sezione di parco d'assedio da montagna. Sul versante orientale del saliente nizzardo il corpo dislocato dal Tenda alla val di Roja doveva respingere la difesa mobile nemica, occupare Saorgio (Saorge) e rivolgersi contro l' Authion,


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col concorso di colonne provenienti dalla val di Gesso. "Occupati il colle di Brouis e il Mangiabò, si poteva risalire la Bévera fino a Moulinet per incontrare alla Peira Cava forze amiche arrivate dalla valle della Vesubia e insieme a loro battere le truppe della difesa attiva, espugnare il forte di Barbonnet e procedere da nord all'investimento del campo trincerato di Nizza attaccato nel medesimo tempo da est ad opera di una colonna in marcia lungo la Cornice. Quest'ultima appartiene al Corpo che conduce l'invasione da Ventimiglia che avrebbe inviato un distaccamento per Airolo e il Colle dell'Olivetta a collegarsi con le forze che discendevano la Roja; coperto così il fianco destro, avrebbe avuto inizio l'investimento del campo trincerato anche dal lato orientale incominciando dalla Tete de Chien; la sezione del parco d'assedio e le sue truppe tecniche assegnate al corpo d'armata per questo fine sarebbe stata portata in linea per battere le fortificazioni. Dal punto di vista temporale, i movimenti offensivi in partenza dalla linea montana di confine a Nord e a Nord-Est del Nizzardo dovevano precedere l'avanzata lungo la direttrice costiera; il felice andamento delle operazioni in val di Roja la condizionava sul piano tattico. Così l'attacco sarebbe stato condotto da tre direttrici, cui in un secondo tempo se ne sarebbe aggiunta una quarta; all'inizio il fronte era ampio - da S. Stefano in Val Tinea a Fontan in Val Roja correvano circa 60 km in linea retta - ma dopo due o tre giorni si sarebbe ridotta a 32-35 km, che non era "enorme se consideriamo che si agisce in montagna, senza strade e in paese senza risorse. Non bisogna dimenticare che in montagna gli attacchi frontali sono difficilissimi anco con grandi superiorità di forze, perché queste sovente non si possono spiegare e fare agire. E per questa ragione bisogna attaccare anco di fianco o girar le posizioni che ci minacciano di fronte" Il Capo di S.M. sottolineava che ogni colonna doveva concorrere alle operazioni della collaterale sostenendola con attacchi sul fianco del nemico; "tutto il magistero della marcia innanzi è fondato sullo scambievole aiuto che si debbono prestare le varie colonne per conquistare le varie posizioni". E notava la necessità di "un grande cameratismo, ...di un vero amore per la riuscita delle cose della guerra", fine che richiedeva da tutti "il massimo impegno alla concorrenza, sempre e ovunque ali' attacco del vicino"


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Queste raccomandazioni finali non avevano un valore retorico poiché le direttive per l'offensiva, in tutta evidenza, si fondavano sulla compartecipazione continua dei reparti impegnati per superare gli ostacoli che si paravano loro davanti 6. 48. GLI STUDI DELL'UFFICIO SCACCHIERE OCCIDENTALE

Una serie di approfondimenti e di studi specifici, condotti da tutti gli Uffici dello Stato Maggiore e segnatamente da quelli che si occupavano del settore occidentale, confluirono in una memoria operativa del febbraio I 9 I 3, che definiva le linee delle operazioni previste, in caso di guerra, sul fronte nord-occidentale. Soccorre in proposito, nella grande quantità di contributi esistenti in diversi fondi dell'Archivio dello S.M. dell'Esercito, un importante e preciso lavoro del colonnello Maurizio Ruffo, dove i problemi operativi sono esaminati per singolo teatro, con l'ausilio di grafici chiari sui probabili rapporti di forza tra le due parti nelle prime due settimane di guerra. In appendice l'Autore pubblica la lettera con cui il Pollio, durante la 1a guerra balcanica, mobilitò le menti più illuminate dell'Esercito, coinvolgendole nella preparazione degli studi operativi e, integralmente, la II parte dello studio, dedicata alle operazioni successive alla radunata, che recava la firma del tenente colonnello Giuseppe Pennella, dell'Ufficio Scacchiere Occidentale, ed era datato Roma, 21 febbraio 1913 7 . Due giorni prima lo stesso Pennella aveva siglato la prima parte dello studio, che riguardava le operazioni nel periodo della mobilitazione e della radunata. Era considerato questo il momento più critico, poiché si prestava ad una offensiva tattica nemica. "Verosimilmente le operazioni francesi tenderanno dapprima al possesso dei colli e delle posizioni di confine e poi delle testate delle valli e delle nostre difese di prima linea, traendo profitto della migliore organizzazione della frontiera, della più rapida mobili6

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 61. M. Ruffo, L'Italia nella Triplice Alleanza. Studi sulle operazioni militari alla frontiera N.O. 1913, in Studi Storico-Militari 1995, Roma, S.M. dell'Esercito-Ufficio Storico, 1997, pp. 193-254. La documentazione usata dall'Autore è tratta da AUSSME, H 6, Piani operativi, R 1. Altre copie delle stesse carte, progress, contributi e studi sugli stessi argomenti e periodo sono in F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 84 e G 23, Scacchiere occidentale, R 24-25 e 40. 7


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tazione e della temporanea superiorità numerica delle forze della repubblica rispetto a quelle italiane ... Tale offensiva tattica mirerà a rendere lenta e difficile all'Italia la sua offensiva strategica e possibilmente a paralizzarla in modo da potere anche, occorrendo, spostare parte dell'Armée des Alpes verso la frontiera tedesca" La radunata francese era prevista in 3 periodi: nel primo (dal I O al 5° giorno) il nemico poteva puntare solo "all'occupazione dei colli di confine o al più di qualche posizione ... entro il nostro territorio, ma ad immediata vicinanza della frontiera"; nel secondo (dal 5° al 10° giorno) poteva "tentare atti offensivi più energici ... , ma pur sempre verso le testate delle valli, non essendo i servizi ancora completamente mobilitati e mancando alle truppe operanti convenienti riserve nonché i parchi d'assedio"; nel terzo (dal 10° al 15° giorno) invece affluivano 4 divisioni di riserva e si completava la mobilitazione dei servizi, per cui l'avversario si sarebbe trovato "nelle condizioni migliori per intraprendere energici atti di offensiva tattica spinti a qualche distanza entro il nostro territorio" Tutto il fronte era diviso in 5 settori, per ciascuno dei quali, in estrema sintesi, vengono esposte di seguito le previsioni dello studio. Nel 1° settore (Monte Bianco-Colle d'Iseran), una irruzione francese in Val d'Aosta, anche se non condotta in profondità, avrebbe potuto disturbare notevolmente i piani d'attacco italiani e ritardare il recupero delle basi di partenza; tuttavia, un sintetico progress del marzo 1913 stimava che gli italiani avrebbero mantenuto le posizioni di confine al Piccolo S. Bernardo e verso gli sbocchi dei colli de la Seigne e du Mont, da dove si poteva anche metter piede in territorio francese. Il 2° settore (Colle d'IseranColle de11e Traversette) appariva come terreno privilegiato per offensive tattiche francesi, verso l'altopiano del Moncenisio, la conca di Bardonecchia, quelle di Cesana-Ulzio adiacenti al Monginevro, e le valli del Pellice e Germagnasca: al Moncenisio si contava di riuscire a resistere; nelle conche di Bardonecchia e CesanaUlzio si potevano prevedere ripiegamenti tattici; nel Pellice e Germagnasca si valutava che attacchi francesi non avrebbero avuto esito. La situazione naturale e delle fortificazioni del 3° settore (Colle delle Traversette-Colle Lunga) favoriva i francesi , ma "dalla parte italiana vi è - a cominciare dal 2° giorno di mobilitazione - una rilevante superiorità numerica, che impedirà probabilmente ai francesi di penetrare nel nostro territorio"


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Ammessa una superiorità numerica delle truppe mobili ed una migliore organizzazione del terreno da parte del nemico all'inizio della guerra, nel 4° settore (Colle Lunga - Colle Sabbione) si riteneva probabile di dover cedere i massicci del Pauperin e del San Salvatore, ma da quei colli non "adducon in territorio italiano, che sentieri e mulattiere di percorso lungo e malagevole" Nel 5° settore (Colle Sabbione-Mare), non valeva più la limitazione temporale imposta alle operazioni dalla cattiva stagione (da maggio-giugno ad ottobre), almeno neff area più prossima al mare; "i francesi, notevolmente superiori in forza lungo il confine e protetti formidabilmente dall' Authion sulla fronte nord ... potranno agevolmente spostare la maggior parte delle forze mobili sulla Francia sud-orientale e ... probabilmente riusciranno a impadronirsi delle posizioni del Grammondo ed a preparare l'attacco del contrafforte fra Roja e Nervia"; anche la perdita di Ventimiglia andava messa in preventivo. Lo S.M., pertanto, stimava "che, tranne nel 3° settore (Col Traversette-Colle Lunga) i Francesi, nei primissimi giorni di mobilitazione, sarebbero stati in grado di occupare le principali posizioni di confine pur con possibilità, da parte italiana, di riconquistarle, nel periodo immediatamente successivo, ad eccezione della Conca di Bardonecchia dove la difesa italiana si sarebbe dovuta arroccare sulla posizione Jafferau-Vin Vert e nel 5° Settore dove era da ritenersi pressoché certa la perdita del Grammondo" Nota giustamente il Ruffo che in questo scenario andavano inseriti due ulteriori elementi peggiorativi, l'uno morale per essere subito attaccati e dover ripiegare, 1' altro materiale a causa della forte differenza di organici immediatamente operativi nei reparti dei due avversari: una compagnia di fanteria italiana contava 50 uomini, una francese 100; una compagnia alpina italiana 120 uomini, una francese 125-160. Le contromisure preventive proposte dallo Stato Maggiore si articolavano nel rafforzamento dei presidi di frontiera e nell'attuazione di una speciale mobilitazione e radunata che consentisse, secondo idee e studi di cui si è già parlato a suo tempo, di avere immediatamente disponibili al confine taluni reparti indipendentemente dalla mobilitazione generale, inevitabilmente più lenta. L'occupazione delle linee avanzate alla frontiera avrebbe dovuto contare su tutte le truppe alpine (23 battaglioni), finanzieri (10


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battaglioni), e bersaglieri (15 battaglioni), dislocati nel territorio dei rispettivi corpi d'armata; queste forze sarebbero state sostenute da batterie da montagna e da campagna; in caso di assoluta necessità, vi si sarebbero aggiunti altri reparti di fanteria (16 battaglioni al massimo), tratti dai reggimenti attestati alla frontiera 8. Per la radunata con fronte a Nord-Ovest, le forze dell'Esercito erano distribuite come segue: I e II armata (6 corpi, 16 divisioni di fanteria) lungo la frontiera francese, con 2 divisioni di cavalleria alle spalle tenute a disposizione del Comando Supremo. I 5 corpi della Ili armata, che in precedenza doveva trasferirsi in Alsazia, tra il novembre 1912 e l'estate 1913 vennero dislocati nella valle de] Po e in Toscana; la IV armata (2 corpi, 6 divisioni di fanteria) nella penisola; la difesa della Sicilia era affidata al XII corpo d'armata (2 divisioni di fanteria) e quella della Sardegna alla S3 divisione. In vista del rinnovo della Triplice si era pensato di togliere alla III armata due corpi e di destinarli, l' uno ad Alessandria come riserva del Comando supremo; 1' altro a rinforzo della IV armata. Fin dal giugno 1910 era stato deciso che la I armata avrebbe tenuto il fronte del Piccolo S. Bernardo al Monginevro e la II armata da11' Argentera alla Cornice. L'azione strategica difensiva, loro affidata all'inizio, mirava a salvaguardare le prospettive di una offensiva. A tal fine era prevista "un'attitudine di difesa militare attivissima" 9 per evitare invasioni delle linee di penetrazione del Monginevro e del Moncenisio, e la predisposizione di quanto possibile per le successive iniziative italiane verso la Savoia e il Nizzardo. La III armata avrebbe compiuto la propria mobilitazio8

Ruffo, Studi, ecc. 1913, cit. pp. 197-228; Le operazioni allafrontiera N.0. (marzo 1913), Le operazioni nel periodo della mobilitazione e radunata, AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 24-25. 9 "Le truppe dell'occupazione avanzata non dovranno essere distese a cordone, ma raccolte in posizioni adatte dalle quali abbiano modo con una condotta vigile ed attivissima di assicurare il regolare svolgimento della mobilitazione e radunata. Con piccoli reparti adatti converrà cercare di disturbare la mobilitazione e radunata del nemico. Inoltre, per talune linee lungo le quali si prevedono azioni offensive, converrà impadronirsi di posizioni oltre c9nfine, il cui possesso possa riuscir utile alle successive operazioni: non sono perciò da escludersi nei primi giorni parziali atti offensivi tattici, là dove offrano possibilità di buon esito" Cfr "Direttive per i Comandanti d' Armata durante la mobilitazione e radunata N.O.", p. 9, AUSSME, G 29, Scacchiere occidentale, R 24-25.


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ne interna per trasferirsi poi nello scacchiere cui sarebbe stata destinata. La IV armata e le forze della Sicilia e della Sardegna avrebbero sorvegliato le coste e difeso le piazze marittime, pronte ad intervenire contro eventuali sbarchi. Nella primavera 1913 il compito strategico dell'Italia nel quadro di una comune azione triplicista, compito più che mai ineludibile dopo la sospensione del trasferimento di un'armata in Alsazia, non poteva consistere che nell'offensiva strategica. E andava condotta in territorio francese, col fine specifico di neutralizzare completamente i disegni dello Stato Maggiore avversario, "impedendo ad una parte, sia pure minima, delle forze dell'Armée des Alpes, di accorrere sul Reno" Occorreva attuare una "offensiva generale lungo tutte le linee di penetrazione, imposta dalla necessità di incatenare entro il massiccio alpino tutte le forze dell'Armée des Alpes; l'offensiva italiana sulla frontiera N.O. dovrebbe essere generale ed avere per caratteristiche fondamentali: il vigore, la prontezza, la contemporaneità 10 . Questa affermazione era preceduta dalla considerazione che la Francia attraversava una crisi di "anemia" a causa della caduta demografica, mentre la nazione tedesca viveva una crescita impetuosa della popolazione, per cui era in grado di schierare in tempo di pace effettivi del 35% superiori a quelli dell'Esercito francese. Ogni tentativo di recupero-abbassamento dei requisiti nei coscritti, ricorso a forze coloniali indigene, ecc. - si era dimostrato un palliativo. L'unica misura che pareva di qualche utilità era il ritorno alla ferma di 3 anni, di cui si dibatteva a Parigi nei mesi iniziali del 1913 e che, quando nel giugno il Reichstag decise nuove tasse per raddoppiare la potenza dell'Esercito, sarebbe stata approvata il 13 luglio 11 . Ruffo, Studio sulle operazioni, ecc. 1913, cit., p. 234. Cfr Zaccone a Comandante in 2°, ecc., 17 e 21 febbraio, 27 aprile 191 3, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 21. M. Baumont, La Francia prima della tempesta, in AA.VV., 20° Secolo, ecc., cit., I, p. 536. Dopo una violenta battaglia socialista di opposizione, i voti a favore alla Camera furono 358 contro 204. L'argomento agitato dalla maggioranza e dal Consiglio superiore di guerra era che bisognava rinforzare le truppe di copertura per sostenere l'urto formidabile della Germania, che avrebbe investito la Francia prima che la lenta mobilitazione russa consentisse un serio soccorso dall'alleato. Per avere più uomini, i comandi francesi avevano pensato a tutto, anche ad un'Armée Noire coloniale, progetto cui però gli arabi si opponevano. IO

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Da più di 40 anni i francesi fortificavano la frontiera italiana così che la disponibilità di adeguati parchi d'assedio ed una idonea organizzazione dei servizi diventavano condiciones sine qua non per attuare l'offensiva. A seconda del periodo di costruzione, le opere difensive venivano distribuite in tre gruppi, e il criterio scelto per attaccarle privilegiava l'impiego delle bocche da fuoco pesanti: "in montagna la maggior potenza deve sopperire al numero relativamente limitato delle artiglierie che possono agire" Le linee dell'offensiva prendevano le mosse dalle direttive scritte dal Pollio nell'autunno precedente, con qualche ulteriore precisazione specialmente per il fronte centrale. Le conclusioni dello studio lo dicevano esplicitamente: "sembrerebbe necessario procedere sin dall'inizio, e su tutto il fronte, ad una vigorosa offensiva che si proponesse, secondo i concetti già espressi da S.E. il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, di spingere innanzi il più presto possibile le sue ali; la destra per la Tarantasia e per la Moriana, la sinistra per l'alto e basso Nizzardo le cui fortificazioni sarebbero attaccate frontalmente da est e da nord-est, a cavallo della rotabile del Tenda, ed aggirate da nord e da ovest procedendo dalle alte valli della Stura e del Gesso verso Vesubia e verso Tinea (M. Mounnier-Toumairet-Authion). Tale offensiva subirà naturalmente un arresto più lungo al centro, ove maggiori sono le resistenze opposte dal campo trincerato di Briançon ed ove si trovano valli secondarie (Guil, Ubaye ed Ubeyette) che menano ad obiettivi di non molta importanza" Il tenente colonnello Pennella tornava sulla questione delle artiglierie d'assedio necessarie, che comportavano nuovi, non eccessivi investimenti. Se poi non fosse stato possibile attuare neanche questi, "potrebbe forse essere soluzione conveniente quella di concentrare tutti i mezzi esistenti lungo due sole linee d'invasione e là, con schiacciante superiorità di mezzi, procedere ad un'offensiva, più che vigorosa, violenta. Le vallate che meglio si presterebbero a questo scopo, per la minor forza delle loro difese, sono quelle dell'Ubayette-Ubaye e quella dell'Isère (Tarantasia)" Veniva ricordata poi la necessità d'adeguare l'organizzazione dei servizi - le salmerie andavano raddoppiate rispetto alla dotazione - e della difesa avanzata, per evitare che a causa della esistente circoscrizione territoriale i diversi reparti avessero a com-


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pletare i loro effettivi "a contatto o quasi con l'avversario alla frontiera" 12 . Lo studio, insieme agli allegati, fu sottoposto il 17 aprile ali' attenzione dei più importanti esponenti militari, che in linea di massima concordarono. Di particolare interesse è la risposta del tenente generale Luigi Cadorna, comandante designato della 2a armata, che il Mazzetti ha pubblicato. La lunga lettera, databile al medesimo mese di aprile e indirizzata al Pollio, trattava diversi argomenti. 11 Cadorna condivideva sostanzialmente la prima parte del documento, salvo qualche osservazione, la più importante delle quali riguardava la dislocazione iniziale delle truppe, concepita fino ad allora sulla base dell'ipotesi difensiva, mentre se si aveva in mente una prospettiva di attacco, sarebbe stato opportuno modificarla facendo gravitare in posizione più avanzata le forze destinate a movimenti offensivi. Quanto alla seconda parte, giudicato "pur sempre assai mediocre" il risultato di trattenere sul fronte italiano l'Armée des Alpes (8 divisioni, di cui solo 4 di prima linea), evidenziava gli ostacoli che si opponevano al conseguimento di tale obiettivo (mobilitazione italiana più lenta, difficoltà logistiche e tattiche allo sp"iegamento delle forze, fortificazioni nemiche, difficoltà e tempi lunghi per i movimenti dei parchi d'assedio nelle valli) e si mostrava dubbioso sulla idoneità della condotta strategica proposta a conseguire il suo fine nel quadro politico militare della guerra; scriveva esplicitamente di temere che "tutto il nostro esercito sarebbe tenuto a bada da pochissime forze ed il nostro concorso ai risultati generali della guerra sarebbe nullo. E siccome l'utile da ricavarsi alla conclusione della pace non può essere che proporzionato al concorso prestato, emerge da tutto quanto si è detto che questo efficace concorso non lo si può prestare che sul teatro principale della guerra, a meno che l'ottenuto dominio del mare non ci consenta di eseguire grossi sbarchi sulla spiaggia mediterranea, tra Marsiglia e Tolone" Infine, tenendo conto della scarsità di artiglieria d'assedio, criticava la proposta soluzione di ripiego di attaccare ne11e valli di UbayetteUbaye e in Tarantasia: là si prospettava un "giro troppo largo attraverso un paese montuoso e scarso di strade", qui "le difficoltà 12 Ruffo, Studi sulle operazioni, ecc. 1913, cit. appendice, documento 2, pp. 231 -47.


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del terreno sono grandissime" Proponeva quindi in conclusione che se non fossero stati disponibili tutti i parchi d'assedio necessari, si attaccasse a nord per la Moriana-Tarantasia per puntare alla linea Chambéry-Annecy e a sud, "della fronte Colle del FerroVentimiglia, con obiettivo Nizza" 13 . A parziale conferma delle vedute del Cadorna, l'addetto militare a Parigi segnalava in maggio che i reggimenti 17° e 97° venivano trasferiti dal XIV corpo al fronte tedesco e sarebbero stati sostituiti da brigate regionali. Durante il dibattito sull'estensione della ferma, poi, il deputato radical-socialista Chautemps affermò essere di comune dominio che in caso di guerra i corpi delle Alpi marcerebbero subito verso la frontiera dell'Est; e dallo stesso Capo di S.M. venne la conferma a quel che si sapeva da tempo, "essere cioè intenzione dei Francesi di trattenere le forze italiane sulle Alpi con i soli gruppi alpini e gli elementi di riserva e territoriali, corrispondenti ai corpi d'armata XIV e XV, appoggiati alle numerose fortificvazioni esistenti" 14 . 49.

G ENOVA CITIÀ APERTA? UN PIANO PER INVADERE IL NIZZARDO

Pollio prese buona nota delle osservazioni del Cadorna, ma in maggio, durante la sessione della Commissione mista per la difesa dello Stato, i due si trovarono in contrasto. La Commissione, presieduta da Giolitti e composta dai massimi esponenti militari dell'Esercito e della Marina, affrontò nella 1a seduta (18 maggio) le questioni relative alla frontiera occidentale e approvò le proposte del Capo di S.M. dell'Esercito concernenti le linee d' operazione del Piccolo S. Bernardo, del Moncenisio, del Monginevro, dell'Argentiera e del Tenda; passando poi ad esaminare le piazze marittime, la Commissione si spaccò: a Savona-Vado Polli o voleva conservare e potenziare le fortificazioni della costa, ma Cadorna propose di abbandonarle in favore di 13 Mazzetti, cit., pp. 537-42. Lo scetticismo di Cadorna risulta ancora più pronunciato nella sua lettera a Spingardi del maggio successivo, in cui prevede che "i francesi ci romperanno la testa e non tratterremo neanche il XIV e XV corpo" 14 Zaccone a Comandante in 2°, ecc., 13 maggio e 5 giugno 1913, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 21. Le esercitazioni francesi sulle Alpi, del resto, venivano considerate confortanti ai fini della tenuta della frontiera.


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quelle appenniniche retrostanti, proposta che prevalse con 4 voti .contro 3. Il giorno dopo, nella 2a seduta, vennero all'esame le decisioni da assumere per la piazza di Genova, le cui difese apparivano obsolete; Pollio avrebbe preferito irrobustire con 5 nuove batterie il fronte a mare, disposto ad affrontare il rischio del bombardamento navale pur di evitare quello dello sbarco, da lui ritenuto gravissimo; Cadorna invece opinava che per difendere Genova occorrevano investimenti tali e così urgenti da rendere conveniente l'abbandono del centro abitato, dichiarandolo città aperta: ciò comportava lo smantellamento delle difese esistenti e, in cambio, il rafforzamento delle vie d'accesso agli Appennini. E dopo una cinquantennale esperienza di interventi "a spizzico", dichiarò che, se non si provvedeva "subito in modo completo", era meglio "abbandonare la piazza di Genova": tempi e mezzi mancavano, quindi la conclusione era chiara. Un altro argomento a favore della smilitarizzazione della capitale della Liguria fu il rischio di una rivolta se la città fosse stata bombardata, ciò che, specialmente di notte, non si poteva impedire. Pollio temeva più lo sbarco del bombardamento e per questo motivo era contrario alla proclamazione di Genova città aperta, ma la votazione finale lo vide soccombente per 6 voti a 3. Fece allora presente che il piano di mobilitazione verso la frontiera di N.-0. ne usciva sconvolto e che ci sarebbe voluto almeno un anno per fronteggiare la nuova situazione. All'inizio della seduta successiva, il 21 maggio, venne ricordato che a Genova erano in allestimento 4 nuove corazzate, mentre Thaon di Revel, Capo di S.M. della Marina, disse che all'inizio del conflitto, in base agli accordi interalleati derivanti dalla Convenzione navale, la flotta italiana si sarebbe concentrata lontano dalle coste liguri, per incontrare la flotta austriaca, e quindi le popolazioni costiere dovevano persuadersi che in quel periodo non potevano essere difese dalla forza navale; doveva ricordare, infine, che a Genova, massimo porto commerciale del Regno, si trovava "la maggior parte delle nostre navi da commercio": se la città fosse stata difesa il nemico, al massimo, poteva tentare di distruggerle, ma in caso contrario poteva catturarle ed usarle per i suoi fini. Sugli sbarramenti appenninici non venne presa decisione alcuna e nell' ultima seduta della sessione, il 24 maggio, Giolitti si


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limitò a prendere atto a verbale della proposta di Cadoma di trasferire sull'Appennino i cannoni del fronte a mare. Quanto agli altri punti all'ordine del giorno (piazze marittime, Roma, frontiera orientale, parco d'assedio, aeronautica forza bilanciata), la Commissione concordò con il Capo di S.M. dell'Esercito, che si era inteso con quello della Marina 15 • Dei due voti che avevano visto in minoranza Pollio, è più agevole capire quello relativo a Savona-Vado, per cui lo stesso Capo di S.M., citando le manovre del 1908, aveva affermato "che il terreno è tanto favorevole al difensore da non doversi avere molte preoccupazioni anche di fronte ad uno sbarco già avvenuto" Per Genova la questione è più complessa; Cadorna, che vi aveva comandato il corpo d'armata di base, era coerente con sue precedenti idee, che già nel 1911 lo avevano indotto a dissentire sulla collocazione e l'armamento di una nuova batteria; Pollio però ricordava che nel 1899 la Commissione presieduta dal principe di Napoli aveva valutato "che la perdita di Genova sarebbe stata un disastro irreparabile" e di recente, con l'adesione della Marina, aveva concluso "che integrando i mezzi di terra con quelli di mare si può giungere ad una soluzione soddisfacente per attenuare il bombardamento", pur se, fino a quando non si fosse disposto di un potere marittimo preponderante, "impedirlo in modo assoluto era ed è tuttora impossibile" Il voto finale su Genova significava che si temeva più il bombardamento dello sbarco, presumibilmente a causa della preoccupazione politica che la cittadinanza, davanti al mancato intervento della flotta, desse luogo a disordini o addirittura a una sollevazione. Può darsi che la proclamazione di Genova città aperta scongiurasse questo pericolo, sebbene in guerra - si ricorderanno le intenzioni e le minacce dell'ammiraglio Aube - non si potesse mai far conto assoluto sulfair play del nemico e sul suo rispetto di regole che potevano avere interpretazioni diverse. Inoltre, poiché era noto che primo compito della flotta francese sarebbe stato il trasporto delle truppe dall'Africa, mentre primo compito delle flotte tripliciste in Mediterraneo era di attaccare i convogli e cercar di battere la flotta francese condizionata dalla loro copertura, poteva darsi che i primi eventi della guerra marittima allontanassero la minaccia dal porto ligure. 15

Vedi i verbali della sessione in AUSSME, F 9, Commissione D(f'esa, R I bis.


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Si continuò comunque a dialogare sull'argomento. Il 31 maggio, il Capo di S.M. espresse ai Comandanti d'armata il timore che il disarmo di Genova, oltre ad avere "conseguenze di molta portata nella nostra predisposizione per la radunata verso la frontiera di N.O.", implicasse anni di tempo per attrezzare l'Appennino, dove pensava di schierare uno dei corpi su 3 divisioni della ID armata: ci voleva però un mese dall'ordine di mobilitazione. Il generale Caneva replicò il 9 giugno, sostenendo che 1 sola divisione poteva bastare. Cadorna, nella sua risposta del giorno precedente, affermò che la Francia, opposta alla Triplice, "non potrà impiegare in una guerra contro di noi che una forza limitata, epperciò non avrà uomini disponibili da far sbarcare sulle coste liguri"; e proponeva per il momento solo una sistemazione provvisoria per una prima difesa dell'Appennino: sarebbe bastata 1 divisione dislocata "tra Serravalle Scrivia e Gavi", traendola dalla I Armata che al principio delle ostilità non avrebbe potuto, a causa delle fortificazioni avversarie, far entrare in azione tutte le sue forze al Moncenisio e al Piccolo S. Bernardo. Ma il Capo di S.M. non era convinto, e il 28 giugno rilevò che la situazione internazionale era soggetta a svolte impreviste; chi ci dice che la Francia non avrà abbastanza uomini? bisognava prospettarsi le ipotesi più sfavorevoli; la minaccia su Genova appariva ben più grave e preoccupante di quella sulla Riviera, poiché il suo porto avrebbe consentito l'accesso ai trasporti: ecco perché voleva un intero corpo d'armata a Genova. Due giorni dopo Cadorna ricordò che se si fosse puntato sulle batterie costiere, sarebbero occorsi 3 anni per averle, il che significava che per tutto quel tempo si sarebbe stati esposti sia allo sbarco che al bombardamento; e cercò di sdrammatizzare affermando che anche se Genova fosse andata perduta, ci sarebbe stato il tempo, disponendo di sistemazioni provvisorie, di fare affluire truppe sull'Appennino 16 . Simili inquietudini di natura difensiva, comunque, non cambiavano il fatto che l'Italia sarebbe stata di qualche utilità alla Germania soltanto se avesse attaccato. Di questo tutti si rendevano conto, ma al principio dell'estate 1913 non c'era unità di vedute sul come. Pollio era riuscito a ricostituire sostanzialmente la III armata, che poteva tornare ad essere la soluzione principe del problema politico-militare, se le fosse stato assegnato un idoneo impiego strategi16 AUSSME,

H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 12.


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co; ma esitava a riproporne il trasferimento in Germania, sapendo che il ministro della Guerra, generale Spingardi, era contrario. Cadoma criticava le vedute del ministro col suo amico Roberto Brusati, 1° aiutante di campo del Re, definendo "gravissime" le conseguenze del mancato avvio all'estero della grande unità. Poiché infatti qualche cosa si sarebbe dovuto fare alla frontiera francese per impegnarvi forze distolte dal fronte tedesco, Cadorna temeva che sarebbe diventata inevitabile quella offensiva generale sulle Alpi che aveva già sconsigliato, prevedendo tempi lunghi, costi elevati e risultati scarsi o inesistenti. Apprezzava invece l'idea, pure delineata dal Pollio nelle sue direttive, di un'offensiva locale contro il Nizzardo, dove l'attacco, condotto nel settore di fronte più lontano da queUo tedesco, poteva costringere il nemico ad impegnare forze difficilmente recuperabili per lo scontro principale. A giugno l' orientamento era che 1'azione della 2a armata sarebbe stata attuata partendo dalla zona montana Colle Puriac-Colle Tenda e coprendo in difensiva le testate delle valli più a Nord. A dicembre Pollio confermò 1'obiettivo e la linea d'attacco, accompagnata da movimenti dimostrativi alle testate delle valli ed, eventualmente, dalla presa di Tournoux, come aveva già previsto negli appunti sulle direttive di offensiva oltre un anno prima. Per la direttrice da Est, Cadoma istruì il generale Tullio Masi, comandante il IV corpo d'armata, perché le truppe non si logorassero sul Grammondo, ma lo aggirassero appena espugnate alcune fortificazioni 17. Nell'aprile 1914 il progetto prevedeva di impiegare 3 corpi d'armata: "Concetto generale: Mascherare il campo trincerato di Tournoux e di Serre des Fourches e tenersi sulla difensiva alla testata della valle di Vraita, Maira e alta Stura. Prendere l'offensiva tra il colle del Ferro ed il mare: col II e X corpo d'armata tra il colle del Ferro ed il colle del Tenda (compresi col IV corpo della fronte Marta = Ventimiglia). Modalità dell 'offensiva: L'offensiva si inizierà contemporaneamente sull'intera fronte dal Colle del Ferro al mare, senza impegnarsi a fondo, in modo da immobilizzarvi le forze avversarie. 17

AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 24-25; la corrispondenza del Cadorna è in H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 12; Mazzetti , cii., p. 337; Gooch, cit., p. 166.


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L'offensiva a fondo del II e X corpo avrà per primo obiettivo la fronte costituita dai nodi montani di m. Mounnier, Toumairet ed Authion. Il II corpo sboccherà in Tinea e Vesubia con 4 colonne: la 1a dai passi tra quello del Ferro e quello di Collalunga (compresi) e dal colle di S. Anna; la 2a dalla Baissa del Merlier e da Mollières; la 3a dal colle di Fremarnorta; la 4a dai colli della Ciriegia e delle Finestre. Il X corpo sboccherà dai colli cli Tenda e dal Sabbione. Il IV corpo si schiererà offensivamente sulla dorsale fra Nervia e Roja, tra la Marta ed il mare, preponderando verso il mare se ne abbiamo il dominio: in caso contrario, poche forze saranno lasciate a Ventimiglia ed il grosso delle rimanenti occuperà fortemente i punti principali della dorsale dell'Arpetta fino all'altezza di Camporosso, tenendo le riserve in val Nervia, tra Pigna, Dolceacqua. Il IV corpo attaccherà quindi a destra le posizioni della Cima du Bosc e della Congoule, in concorso col X corpo; a sinistra il nodo di m. Grammondo ed al centro il m. Grazian. Tra il colle del Pouriac e la testata di val Vraita, saranno costituiti due settori difensivi: i colli del Pouriac e dell' Argentera, delle Munie e di Sautron saranno fortemente occupati per mascherare il campo di Serre des Fourches e la piazza di Tournoux. Circa gli effettivi, i reparti sono considerati ridotti di 1/4, degli elementi cioè non validamente resistenti ai disagi e alle fatiche di montagna: le forze delle colonne attaccanti raggiungono tuttavia la cifra di 87 .000 uomini e 26.000 quadrupedi, esclusi i due settori difensivi fra Val Vraita ed il Colle del Pouriac" 18 • 50. RINASCE LA COOPERAZIONE MILITARE DIRETTA

L'estate 1913 fece maturare diverse cose. Gran parte dei problemi originati dalla guerra libica erano superati e tornava cli attualità la questione della più proficua destinazione in guerra di forze italiane esuberanti rispetto alle necessità della frontiera alpina e della difesa delle coste. In luglio il Pennella preparò una "Breve memoria sull'impiego della III armata" 19. Si riproponevano vecchi problemi. Come già ricordato, Cadorna aveva sottolineato a Pollio che per avere un utile alla conclusione della pace era necessario 18 AUSSME, 19 AUSSME,

G 23, Scacchiere occidentale, R 24-25. G 23, Scacchiere occidentale, R 40.


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procurarselo sul fronte tedesco o sbarcando nella Francia meridionale. L'una e l'altra di queste scelte avrebbe evitato l'inutile spargimento di sangue che un'offensiva generale sulle Alpi rischiava di provocare; la partecipazione ai combattimenti in partenza dal Reno significava condivisione diretta della vittoria, e sul terreno, se ne fosse seguita un'avanzata a sud, l'attacco previsto all'ala destra italiana verso Albertville poteva assumere un senso strategico; lo sbarco in grande stile tra Marsiglia e Tolone, poi, poteva sposarsi con 1'offensiva sul Nizzardo dell'ala sinistra italiana. Il Capo di S.M. dell'Esercito aveva individuato in due divisioni di cavalleria i primi reparti che avrebbero potuto essere trasferiti all'estero, per combattere insieme agli alleati, ma in agosto non era stata assunta ancora nessuna decisione. Contemporaneamente i] Pollio aveva incaricato il comandante Augusto Capon, distaccato dalla Marina presso lo S.M. dell'Esercito in qualità di ufficiale di collegamento, di studiare aspetti e modalità per uno sbarco importante in Provenza. Il Capon, neo-promosso capitano di fregata il 13 luglio, vi si dedicò con grande impegno, redigendo una serie di progress che sarebbero sfociati alla fine in un ampio lavoro composto da 9 fascicoli. Il presupposto strategico che l'Esercito francese sarebbe stato impegnato con quasi tutte le sue forze contro i tedeschi, ricevette di lì a poco una nuova conferma dalle grandi manovre francesi che Joffre fece svolgere quell'anno tra Tolosa e Pau, nel Sud-Ovest della Francia, dove il terreno si prestava a riprodurre il teatro operativo dell'Est e del Nord, non certo quello delle Alpi 2°. Il Capo di S.M. tedesco, Helmuth von Moltke, invitò i Capi di S.M. degli eserciti alleati, Conrad e Pollio, ad assistere a11e manovre tedesche. In settembre, i colloqui diretti del massimo esponente militare italiano con i suoi omologhi e con l'Imperatore, riaprirono la via della cooperazione militare diretta dell'Italia. Due promemoria personali riservatissimi, del Pollio al Ministro della Guerra Spingardi, informarono esaurientemente il governo 20

AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 13. Non tutto era andato bene nelle manovre: l' osservatore italiano criticò in particolare la supposizione che i tedeschi avanzassero con tutte le forze in linea, ciò che avrebbe consentito ad uno schieramento difensivo disposto in profondità di tentare manovre di avvolgimento.


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dei colloqui che si erano svolti. I due documenti - uno di seguito all'altro (protocollo n. 103 e 104), anche se distanziati di una settimana tra loro - recavano lo stesso oggetto: "Convenzione militare colla Germania" 21 • La prima memoria, del 12 ottobre 1913, diceva: "Nel tempo da me ultimamente passato in Germania, ho avuto più volte l' occasione di parlare di una futura eventuale guerra della Triplice, prima col solo Generale de Moltke, capo di S.M. dell'Esercito germanico, e poi anche col Generale Conrad di Hotzendorf, Capo di S.M. delle forze armate di Austria-Ungheria. In Salzbrtinn, nell'ultimo giorno passato in Germania ebbe poi luogo una specie di conferenza plenaria, a cui presiedeva S.M. l'Imperatore. Il Generale Conrad parlò della necessità di attirare la Romania nell'orbita della Triplice, dalla quale pareva fosse sfuggita durante l'ultima campagna nella penisola balcanica. Le 15 divisioni della Romania nello scacchiere estremo orientale possono avere un peso decisivo nell'andamento delle operazioni, e possono, secondo il Conrad, almeno immobilizzare tante forze russe da permettere l'offensiva austro-ungarica contro la Russia. L'offensiva germanica sarebbe in tale caso combinata con quellaA.U. Però, faceva notare il Gen. Moltke, i Tedeschi hanno rispetto ai Russi poca cavalleria ed il Gen. Conrad diceva che un invio di forze italiane nel teatro d'operazione franco-germanico avrebbe permesso alla Germania di destinare maggiori forze alla frontiera russogermanica, con che si sarebbe facilitata l'offensiva comune del1' Austria-Ungheria e della Germania contro l'Impero moscovita. Riappariva così la questione dell'impiego della nostra 3a Armata, su cui già avevamo parlato nei giorni decorsi, da soli col capo di S.M. germanico. Diceva l'Imperatore: 'Sono sempre stato convinto che l'Italia, allorché prese l'impegno di mandare un' armata verso il Reno aveva la ferma intenzione di fare onore ai suoi impegni. Ricordo che a Venezia (probabilmente il '97 o '98) il Re Umberto presentandomi il Generale Luigi Pelloux mi diceva: Voilà le Commandant de l'Armée du Rhin' Il Generale Moltke fece osservare che ci si doveva essere grati di aver detto la verità. Se nelle condizioni dell ' anno scorso e nelle 2 1 L'uno

e l'altro in AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 45.


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condizioni attuali colla guerra di Libia e le minacce d'Albania, l' Italia non avesse potuto mantenere il suo impegno, la Germania si sarebbe trovata in una situazione molto difficile per quanto riguardava l'ala sinistra del suo schieramento verso Francia. Presi allora io la parola e ripetetti riassumendo e accentuando i fatti principal i, le ragioni per le quali avevo creduto di consigliare l'annullamento della convenzione riguardante l'impiego della 3a Armata, facendo soprattutto presente che avevamo allora la forza di tre corpi d' armata impegnati nella Libia ed Egeo, ed un altro corpo d'armata pareva dovesse formarsi per la spedizione d'Albania. Se mandavamo cinque corpi in Germania, non rimaneva per una guerra alla frontiera alpina e per la difesa della penisola che la forza di tre corpi d'armata permanenti (12-9). Non avremmo potuto mantenere l'impegno, mentre il primo dovere, dissi, quando si è alleati è di essere onesti! Feci anche notare le enormi deficenze che esistevano allora di materiale d'ogni specie, affrettandomi però a soggiungere che le condizioni attuali erano ben diverse, perché poco per volta, ma in tempo relativamente breve, si erano riforniti tutti i materiali consumati o inviati in Libia, anche in quantità e qualità maggiore e migliore delle deficenze riscontratesi. Comunque, basandomi anch 'io su quanto aveva detto il Generale Moltke aggiunsi essere persuaso che in una guerra la Triplice deve agire come uno Stato unico, trattandosi di questione d'esistenza, poiché la guerra sarà terribile. Osservando poi che l'Itali a, in caso di una guerra della Triplice ha sovrabbondanza di cavalleria, rilevai che, per parte mia, due Divisioni di quest'arma potrebbero essere messe a disposizione della Germania - bene inteso dopo che ne avessi avuto il consenso del nostro Augusto Sovrano. Avevo già parlato di queste due divisioni col Gen. Moltke, appunto in vista della scarsa quantità della cavalleria tedesca rispetto a que lla russa. D' altra parte io, come ho già scritto nel tempo in cui fu annullata la convenzione, ho avuto sempre l'intenzione di riservarmi di tornare sull'argomento allorché le cose fossero mutate. Ed è anzi presumibile che fra non molto si potrà riparlarne, perché io sono persuaso che la stagione per operare nelle Alpi è breve (meno che nel Nizzardo), che non è possibile impiegarvi moltissime forze per le difficoltà logistiche e tattiche, e che visto che la Francia in modo


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assoluto non potrà impiegare notevoli forze per operazioni di sbarco, si impone l'opportunità di dare altro impiego ad un terzo almeno delle nostre forze mobili. Aggiunsi che appunto per agire colla massima potenza avevo immaginato un'operazione di sbarco (in corso di studio) per prendere a rovescio le difese delle Alpi e richiamare truppe francesi verso il basso Rodano, dove lo sbarco avverrebbe. Non mi nascondevo però che l'operazione, essendo subordinata ad una completa vittoria sul mare, era da considerarsi come aleatoria, cioè non doveva legare tutte le rimanenti forze in previsione di un faustissimo avvenimento. Riconoscevo pienamente che, secondo i principi più sani dell'arte della guerra, e visto che l'impiego delle truppe della Triplice era da considerarsi come problema militare, io ero disposto a riprendere in esame l'impiego della 3a armata; in proporzioni però ridotte, fermo rimanendo il progettato invio immediato delle due Divisioni di cavalleria. Questa mia dichiarazione fu accolta con grandissimo favore da S.M. e dagli altri personaggi, che mi ascoltavano. Io aggiunsi però che desideravo, prima, essere sicuro della Svizzera. Il Generale Moltke mi dichiarò, annuente l'Imperatore, che in caso di guerra della Triplice, la Svizzera, per lo meno, sarebbe stata neutrale. Non parlai dell'Austria, ma già in passato il Generale Conrad aveva dichiarato che si poteva fare pieno assegnamento sulla lealtà della Monarchia. Come ho già sopra rilevato, nulla osta, secondo me, nei riguardi del nostro interesse militare, ali' invio in Germania delle due divisioni di cavalleria suddette, in quanto che esse non potrebbero assolutamente trovare impiego, in caso di guerra della Triplice, che nella pianura del Po, nel caso che i Francesi avessero tante forze per invadere il nostro territorio, ciò che è assolutamente impossibile; oppure neJla Valle del Rodano, in caso di sbarco riuscito. Ma in questo caso ritengo che le due altre nostre Divisioni basterebbero. Allorché parlai per la prima volta di tali Divisioni, io dissi al Generale Moltke che erano solo quaranta squadroni e quattro batterie, oltre ai ciclisti e servizi; ma, aggiunsi: notre cavalerie est bonne. Ed egli replicò: meme très bonne! Da principio si disse di impiegarla in Slesia, ma, dopo, tanto il Gen. Moltke che S.M. ritennero fosse meglio impiegarla verso il Reno. Anziché formare un corpo di cavalleria, si preferirebbe


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lasciare le due divisioni indipendenti; con che si eviterebbe di formare nuovi stati maggiori e nuovi organismi. Le Divisioni che ritengo più adatte a partire per la Germania sarebbero quella del Friuli e quella del Veneto. Il Gen. Conrad mi disse che poteva mettere a nostra disposizione le ferrovie del Tirolo dopo il 10° giorno - e forse prima. La riunione si sciolse dopo che ciascuno dei tre capi ebbe fatte le più ampie dichiarazioni di solidarietà, di calda fiducia reciproca e di unità di vedute. Inoltre credo opportuno ripetere che in tutte le conversazioni avute, del resto anche in tutte le corrispondenze che ho avuto collo Stato maggiore germanico, io ho trovato da quella parte la massima sincerità, la massima lealtà, la fiducia massima nel nostro Esercito. Al mio ritorno dalla Germania, io riferii quanto sopra, per iscritto, a S.E. il primo aiutante di campo generale di S.M. il Re. Ed ora, facendo seguito a quanto verbalmente ho già fatto conoscere all'E.V. in via riservata e personale, rivolgo la presente a V.E. per competenza, in attesa delle decisioni che vorrà parteciparrni circa l'invio in Germania delle due suddette divisioni di cavalleria, in caso di guerra della Triplice. Al riguardo mi permetto soggiungere che, ritenendo la cosa non solo opportuna, ma necessaria per la importanza che essa ha, sono d'avviso che converrebbe concretarla in breve tempo. Quanto poi alla destinazione di un'Armata di due Corpi, che dovrebbe andare in Germania, io per ora mi limiterei a mettere la questione allo studio, qualora nulla osti in proposito. In ogni modo è certo che, se un'Armata deve andare a combattere fuori della Patria, si deve avere prima la certezza che sia fornita di tutto e in formazione completa; la quale cosa, appunto, è da mettere allo studio, specie dopo che avrò saputo in quale regione essa dovrebbe operare. Avverto però che la più grave deficienza è naturalmente quella dell'Artiglieria pesante, di cui noi siamo molto sforniti. Il Generale Moltke, però, mi ha promesso che la darebbe la Germania" Il promemoria recava un post-scriptum: "Prima di disporre per 1' attuazione delle convenzioni da farsi per l'invio e per la destinazione eventuale delle due Divisioni di cavalleria, e prima di mettere allo studio l'invio eventuale di due corpi d'armata, avrei bisogno dell 'assentimento del R. Governo, che invoco dall' E.V."


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La seconda memoria, in data 19 ottobre 1913, recava: "A maggiore chiarimento e ad illustrazione di quanto ho esposto nel mio foglio n. 103 Ris.mo Pers.le a V.E. diretto, ho l'onore di rappresentare che il Generale di Moltke, nella riunione tenuta presso S.M. l'Imperatore di Germania in Salzbrlinn il 10 settembre u.s., parlando dell'impiego delle forze militari della Triplice in caso di guerra comune, ebbe a dire: 'Il faut agir camme un seul Etat' Con questo egli ripeteva e confermava ciò che io stesso gli avevo detto nei frequenti colloqui tenuti con lui. E difatto tanto egli, che io, siamo profondamente convinti che un'alleanza è solo potente quando gli alleati concorrono con tutte le loro forze all'obiettivo comune, e non si lasciano distrarre da obiettivi particolari e non si lasciano fuorviare dal loro interesse particolare. Verificandosi il 'casus foederis', la potenza della Triplice si esplicherà colla massima efficienza solo se gli Alleati impiegheranno tutte le loro forze, tutte le loro energie, per operare secondo un piano prestabilito e secondo accordi derivanti dallo studio del problema dell'impiego, considerato come problema militare. Ora è evidente che il teatro principale d'operazioni sarà quello del Reno: e questo per ragioni geografiche immutabili. La Germania pure avendo nemica la Russia, che si ripromette di contenere con fortezze di aumentata efficacia (come mi fu detto e dimostrato) e con una parte delle sue forze, mentre l'Austria-Ungheria prende l'offensiva contro quella Potenza con tutte le forze disponibili cercherà di agire colla massima forza possibile verso la frontiera francese, e - spera - che l'Italia attragga la maggiore possibile forza francese, per impedire al nemico di rinforzare le sue armate dell'Est. La Francia, è noto, è cinta da quella parte da una formidabile cintura di fortificazionj, ma lo Stato maggiore germanico spera di sfondare quella cintura, di passare oltre e di far guerra terribile, ma breve. Ora se la guerra scoppia nella bella stagione, anzi al principio della bella stagione, noi abbiamo davanti alcuni mesi buoni per operare nelle Alpi, ma dato il forte assetto difensivo francese e l'asprezza dei luoghi, unica in Europa - è vano illudersi - poco potremo progredire, e saremo forse colpiti dal rigore della stagione, anche se vittoriosi, prima di sboccare nella Valle del Rodano. Che se invece, la guerra scoppiasse verso la fine della bella stagione, o durante la cattiva stagione, qualche cosa si farà, e da anni


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si sta provvedendo per poter operare anche di inverno, sia pure con limitate forze, ma molto non si può fare, e non sarà possibile impiegare più di 1/5 o di 1/4 delle nostre forze, mentre i rigori dell'inverno renderanno bensì penose, ma non impossibili le operazioni militari nelle altre parti del teatro d' operazioni, cioè tra Francia e Germania, Russia e Austria, come la storia militare ci dimostra. È anche evidente, perciò, che noi dobbiamo trovar modo di impiegare altrimenti che sulle Alpi, una parte delle nostre forze, che sarà più o meno grande, a seconda della stagione. E questo, sia nell'interesse dell'Alleanza, sia specialmente nel nostro interesse, perché aumentate le probabilità di vittoria, e conseguito il buon successo, più larga sarà la nostra parte; e, sotto altro punto di vista, grandemente attenuate saranno le probabilità di sconfitta, se gettiamo risolutamente nella bilancia quella porzione delle nostre forze, che resterebbe inattiva se non uscissimo, per combattere, dai confini d'Italia. Era quindi logico e strettamente giusto dal punto di vista militare, l'impiego di un'Armata italiana nel teatro d' operazioni principale, insieme colle Armate tedesche. A V.E. è noto, invece, che al rinnovarsi della Triplice alleanza, io feci tutto il possibile per sollevare il nostro Esercito dall' obbligo contratto colla Germania. E spiego subito la contraddizione. Allorché fu rinnovato il patto della Triplice (novembre 1912), avevamo la forza di tre Corpi d'Armata nella Libia e nell'Egeo, un Corpo di armata doveva tenersi pronto per l'intervento in Albania (che pareva sicuro e che non è ancora escluso), l'Esercito intero era scompaginato, i quadri in sofferenza, il materiale da guerra 'divorato' dalla guerra, il materiale d'assedio appena sufficiente per un paio di linee di operazioni nelle Alpi, e assolutamente insufficiente per le operazioni ossidionali che avremmo dovuto eseguire nel teatro d'operazioni dell'Europa centrale. La guerra pareva allora, almeno ai nostri alleati, imminente, e noi non avevamo equipaggiamento adatto per l'inverno per circa 200.000 uomini (3a Armata). Scarso soprattutto per il munizionamento per la fanteria e difficile assai ne pareva il rifornimento. Ma, oltre a queste ragioni di carattere prettamente militare, altre ve n'erano di carattere politico-militare, cioè: 1°) Il contegno della Svizzera. Ora non v'è ragione alcuna di dubitare - almeno per quanto a me risulta - di ciò che il Generale


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Moltke e S.M. l'Imperatore di Germania mi hanno assicurato; cioè che, in caso di guerra della Triplice, la Svizzera sarà almeno neutrale; 2°) Il contegno dell'Austria-Ungheria. È evidente che questa potenza, a malgrado dell'astio di alcune sue manifestazioni verso di noi, nel caso di guerra della Triplice, avrà tanto da fare verso Russia e verso gli Stati balcanici, che non metterà un uomo contro di noi, neppure a scopo di osservazione (assicurazione del generale Conrad), e non penserà a tagliare la strada alle nostre truppe che agissero coll'alleata Germania. Nei colloqui avuti a Freiburg, il Generale Conrad insisteva con me per l'invio di truppe italiane nel teatro principale, altrettanto quanto il collega Germanico. 3°) Il modo con cui la Germania ci avrebbe trattati. Posso dire con pienissima coscienzia, dopo le prove avutene nel mio viaggio, che i Tedeschi ci tratterebbero come fratelli d'arme. Il Generale Moltke mi ha poi dato ogni specie di assicurazione in quanto ai materiali, e mi ha promesso l'artiglieria pesante, di cui abbiamo bisogno, e che non potremmo mandare in Germania, non avendone ancora neppure a sufficienza per le Alpi. Certamente le nostre unità sarebbero sotto il comando dei Tedeschi; ma questo è naturale che capiti nelle Alleanze; ed ha il suo compenso, per modo di dire, nell'eventuale comando, fra non molto, delle flotte riunite nel Mediterraneo. Assicurate così le cose, almeno per quanto è prevedibile, conviene osservare che le condizioni del nostro Esercito ora - ottobre 1913 - sono ben diverse da quelle del novembre 1912, poiché molte forze della Libia le abbiamo ricuperate e le ricupereremo fra poco, perché i quadri sono aumentati e aumenteranno ancora fra breve, e perché i materiali da guerra sono stati in gran parte riforniti e sono in continuo incremento. La questione quindi dell'impiego di truppe italiane in caso di guerra della Triplice, nel teatro principale di operazioni, può essere ripresa in esame. Un altro modo di impiego delle nostre forze esuberanti è quello di uno sbarco sulle coste meridionali della Francia. Come ho avvertito, il problema è in istudio, ma non nascondo che più progrediscono gli studi, minori mi sembrano le probabilità di buona riuscita, pure ammettendo che nel caso di buon successo, l'effetto sarebbe enorme.


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Ma, in ogni caso, è evidente che l'impresa può essere tentata solo quando avessimo battute le squadre francesi. Lo sbarco, cioè, è subordinato ad una grande vittoria sul mare, vittoria che - è inutile illudersi - se la Francia ha il concorso dell'Inghilterra, non sembra molto probabile, e che non sarebbe in nessun caso completa, perché sarà impossibile snidare e distruggere le duecento circa - siluranti, ed i novanta - circa - sottomarini, che la Francia avrà fra non molti anni, e che potrebbero fare immensi danni ai convogli di truppe, ad onta dell'abilità e del valore delle scorte. E questo tanto più, perché non è nemmeno supponibile che si possa sbarcare in un Paese come la Francia con meno di una grossa armata (120-150 mila uomini). L' operazione, quindi, si potrebbe fare solo a scaglioni, cioè successivamente, e le probabilità di attacchi di siluranti e sommergibili aumenterebbero in conseguenza. Comunque, se manca la grande vittoria navale, una gran parte delle nostre forze, mentre l' altra si logorerebbe nelle Alpi, rimarrebbe come suol dirsi, coll'arme al piede. Ho già scritto che io domando solo, per ora, di riprendere in esame la possibilità di impiego di alcuni nostri corpi d'armata nel teatro principale. Ma una cosa domando fin d'ora di poter combinare. Ed è l'impiego di una parte della nostra cavalleria. Organicamente noi abbiamo 145 squadroni. (Forse alcuni di più, se il governo considererà, provvidamente, come organici quelli che rimpatrieranno dalla Libia). Formiamo 28 squadroni di milizia mobile in guerra. (E in caso di guerra colla Francia, che si attarderà sulle Alpi, avremo tutto il tempo di farlo). Sono in tutto 173 squadroni. Nelle Alpi poca cavalleria potremo impiegare. Il buon impiego di cavalleria in montagna è piuttosto idea scolastica che pratica. Ne potremo destinare al massimo 5-6 brigate, cioè 50 op(pure) 60 squadroni. Un'altra parte può essere impiegata lungo le coste più minacciate da uno sbarco, benché sia evidente che in caso di guerra della Triplice, cioè quella che consideriamo, la Francia non avrà assolutamente forze per eseguire sbarchi importanti. Per tale impiego sono appunto da preferire gli squadroni di Milizia Mobile, di formazione locale. Comunque rimarranno 90 bellissimi squadroni - circa - senza impiego di sorta, oltre agli squadroni assegnati ai corpi che agi-


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scono nelle Alpi, che, come ho accennato, sarebbero impiegati possibilmente in servizi di importanza secondaria*. E questo mentre i nostri alleati si troveranno di fronte alla Russia e a11a Francia con una notevole inferiorità di cavalleria. L'Austria-Ungheria, di fatto, n. 11 ha Divisioni Cav.ria indipendenti n. 11 La Germania Totale n. 22 n.23 La Russia forma Divisioni Cav.ria indipendenti (oltre a molti altri riparti minori) n. 10 La Francia ne forma Totale n. 33 Un rinforzo di cavalleria nostro non ristabilirebbe certo l'equilibrio numerico. Conviene però avvertire che la Russia difficilmente potrà riuscire in tempo a formare valanga colla sua cavalleria, e che questa, se non è esatto che 'non val nulla', come m'assicurarono il generale Moltke e il generale Conrad, non val molto certamente. Tenendo per base ciò che ho esposto sopra, se pure noi consideriamo necessarie due divisioni di 40 squadroni per un'eventuale operazione di sbarco, avremo per sempre una sicura disponibilità di 50 squadroni, che formati su due divisioni, potrebbero andare a rinforzo degli eserciti alleati, nel teatro principale d' operazioni. Ho già detto che non ho preso, né potevo prendere naturalmente nessun impegno, ma avendone io parlato al Generale Moltke prima e poi a S.M. l'Imperatore, è parso naturalissimo che impegnando una guerra nelJe Alpi ed avendo, come abbiamo, un'ottima cavalleria, si cerchi di impiegare questa dove il terreno lo permette, e non la si lasci assolutamente inattiva. A S.M. l'Imperatore, soprattutto, piacque l'idea, attuando la quale diamo, credo, una prova tangibile che in data eventualità siamo anche noi fermamente decisi a 'marciare' Io domando, quindi, l'autorizzazione di riprendere in esame l'invio di un' armata in Germania in determinate eventualità, e di

* L' eventualità di impiegare la cavalleria nella pianura del Po contro le truppe francesi sboccate dalle Alpi è inammissibile, perché date le relazioni di forza, i Francesi non possono assolutamente aver ragione delle nostre truppe, tanto superiori in numero - che impiegheremo nelle Alpi.


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disporre, senz'altro, per le due divisioni di cavalleria (50 squa. . droni)" I due documenti possono essere considerati unitariamente, segnando insieme il momento in cui il Capo di S.M. dell'Esercito propose di ritornare ad una cooperazione diretta sul campo con i tedeschi, trasferendo in Germania forze italiane per combattere insieme con loro. Si può riscontrare tuttavia una qualche differenza di tono raffrontando le conclusioni di due promemoria: nel primo Pollio esprimeva il proprio parere favorevole ad inviare in Germania due divisioni di cavalleria e proponeva di porre allo studio una analoga destinazione per un'armata composta da 2 corpi; nel secondo sollecitava di essere autorizzato a "disporre, senz'altro", la destinazione delle due divisioni ed a "riprendere in esame l'invio di un'Armata in Germania" Seguendo il suo temperamento concreto, il generale Pollio tendeva, con ogni evidenza, a far seguire i fatti alle parole. Sapeva di non avere davanti una strada in discesa perché fin dal 3 ottobre il generale Brusati gli aveva scritto da S. Rossore che al Re non piaceva l'idea di un'armata in territorio tedesco, mentre per le 2 divisioni di cavalleria forse si poteva sperare in una risposta affermativa. Fin dall'inizio il Capo di S.M. italiano aveva fatto capire di preferire che i suoi uomini fossero impiegati in Francia, non in Slesia, e infatti su questa base veniva avanzata la proposta al Re. Il Mazzetti ricorda che il generale Waldersee aveva confermato al Pollio che una avanzata sull'ala sinistra tedesca poteva giungere a mettere in crisi lo schieramento francese, facilitando l'offensiva italiana sulle Alpi. Gli austriaci furono subito cointeressati perché il trasporto delle forze italiane avrebbe dovuto aver luogo sul loro territorio; Conrad valutò che, in caso di guerra, la Germania "attaccherà la Francia con il grosso delle sue truppe e si volgerà poi verso l'Oriente, l'Italia invierà 5 divisioni nella Germania del Sud e con le altre forze avanzerà contro la Francia"; in realtà Pollio aveva parlato soprattutto di cavalleria, pur dichiarandosi "disposto a riprendere in esame l'impiego della 3a Armata; in proporzioni però ridotte" rispetto al passato, se il governo fosse stato d'accordo 22 . L'autorizzazione reale al trasferimento in Germania giunse alla fine di novembre. Intanto era stato effettuato il viaggio dei 22 La lettera di Brusati a Pollio,

ibidem; vedi anche Mazzetti, cit., pp. 352-54.


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generali del I 913, nel presupposto di un attacco nemico nei primi 1O giorni di guerra sul fronte centrale. L'azione superava la prima resistenza nazionale al Moncenisio, mentre alle ali due armate ita]jane procedevano offensivamente verso la Savoia e il Nizzardo. Il nemico (partito rosso) attaccava con una armata, che aveva di fronte (partito azzurro) il X corpo d'armata, la 1r divisione e un gruppo alpino, ma accorreva a sostegno il XV corpo d'armata dislocato tra Santhià ed Ivrea, con altri reparti minori. La manovra si svolgeva ostacolata dalla nebbia che danneggiava più gli attaccanti che i difensori, contribuendo a impedire il conseguimento di risultati decisivi da parte dei rossi, sebbene le forze delJa difesa fossero inferiori di numero ed avessero ancora indietro una parte delle loro artiglierie. Così il successo iniziale rosso non sfociava in una ulteriore avanzata verso Torino, ma in un ripiegamento che aveva luogo dal Moncenisio al Monginevro nella 9a e 10a giornata. A questo punto i comandanti dei due partiti "dimostrarono una certa disposizione ad interrompere l' azione, quasi a prendere i quartieri d'inverno ... mentre - diceva la relazione del Capo di S.M. - sarebbe stata più conforme ad uno dei non ultimi scopi di questa manovra eseguita in montagna ed in autunno inoltrato, di continuare ad agire" per prepararsi a superare le difficoltà della stagione, pur considerando che "l' inverno in montagna è precoce e lungo". Ed è interessante che queste osservazioni non traessero motivo soltanto da eventuali operazioni alpine durante la cattiva stagione, ma dal fatto che gli alleati avrebbero potuto combattere d'inverno "in regioni più facili, ma forse egualmente fredde de11e nostre montagne", e che bisognava essere pronti 23 . Ed era forse questo il motivo primo dell'esercitazione, visto che i francesi non pensavano certo ad una offensiva sulle Alpi a novembre; anzi, sul confine italiano e in particolare nel settore centrale, essi avevano portato a termine un programma di fortificazione particolarmente importante ed esteso, nella evidente speranza di portare contro la Germania anche il XIV e XV corpo d'armata. Proprio questo si aspettava il Moltke, il quale, per avviare ad attuazione il piano Schlieffen con una fortissima ala destra, aveva bisogno di munire adeguatamente gli altri settori del fronte. 23

AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 22-23.


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RIPRISTINO DELLA CONVENZIONE MILITARE

Il 18 dicembre Pollio riunì a Roma i generali designati d'armata (Luigi Cadorna, Carlo Caneva, Emanuele Filiberto di Savoia, duca d'Aosta, e Luigi Zuccari) per esaminare la situazione militare alla luce dei risultati degli studi sulle prospettive delle operazioni a Nord Ovest e dello sbarco in Provenza. All'unanimità, i massimi esponenti dell'Esercito si pronunciarono per una strategia che, recuperando la linea della Convenzione militare del 1888, prevedesse l'impiego di un'armata italiana sul fronte tedesco. Vi erano state in proposito ulteriori pressioni germaniche, ma era ormai evidente che i francesi continuavano ad essere orientati ad un contenimento verso il confine italiano ed al concentramento del massimo sforzo possibile verso il Reno; se invece avessero inviato maggiori forze sulle Alpi, avrebbero indebolito l'azione contro la Germania a vantaggio dei loro avversari, senza pericolo per l'Italia, visto che si era in grado "di impedire una invasione francese nel nostro territorio'' Decisiva era stata la constatazione che un attacco alle linee fortificate francesi delle Alpi si presentava sempre più impervio e che l'altra soluzione strategica, quella di uno sbarco in forze sulle coste della Provenza, era di aleatoria fattibilità e dipendeva da una preventiva vittoria navale che garantisse il dominio del mare 24 . Nello stesso mese Pollio avrebbe precisato le istruzioni per riaprire le trattative con i tedeschi. Intanto il comandante Capon aveva messo a punto uno studio completo per l'ipotesi della spedizione marittima, articolato in 9 fascicoli (1 - Composizione della spedizione marittima, divisione in scaglioni. 2 - Quadri d'imbarco. 3 - Scelta dei porti d'imbarco. 4 - Scelta del punto di sbarco. 5 - Mezzi necessari in relazione al punto prescelto per lo sbarco. 6 - Riunione dei piroscafi, preparazione della spedizione. 7 - Navigazione, protezione del convoglio. 8 - Sbarco del primo scaglione e spedizione dei successivi. 9 Conclusioni). Lo studio era impostato su un obiettivo importante: un'azione anfibia di valenza strategica che aveva il fine di sbarcare un'armata alle spalle delle linee nemiche. Il corpo di spedizione sarebbe stato composto da 4 o 5 corpi d'armata, più due divisioni di cavai24

Il verbale della riunione in AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 12.


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leria e congrue aliquote di servizi, che corrispondevano agli effettivi della III armata. Si trattava in totale di 5.200 ufficiali; 172.000 sottufficiali, graduati, uomini di truppa e assimilati, con 50.000 cavalli, 600 muli, 500 automezzi, 500 motociclette e un migliaio di biciclette. Questa imponente forza di sbarco sarebbe stata suddivisa in 4 o 5 scaglioni con imbarco contemporaneo a Spezia, Livorno e Genova. Come punti più idonei della costa, sui quali si sarebbe dovuto arrivare all'alba, venivano esaminate diverse alternative, concludendo che "nei riguardi della sicurezza delle operazioni di sbarco, sia dal punto di vista nautico che da quello tattico la migliore e forse l'unica località adatta sarebbe il golfo di S. Tropez" E se lo si fosse dovuto scartare per motivi strategici, il Capon proponeva che prima di ripiegare su Fos, si esaminasse piuttosto se non era il caso di attaccare direttamente Marsiglia, distruggendone col fuoco delle navi le fortificazioni definite di "scarso valore", ottenere la "resa della città, per usare poi il suo magnifico porto come base di operazione per lo sbarco delle truppe e la seguente avanzata lungo la valle del Rodano" Per 1'operazione era previsto il concorso della flotta austriaca; la scorta dei trasporti era affidata a 5 reparti navali italiani (forti di 15 navi da battaglia e 7 grandi incrociatori), che avevano in avanguardia 3 grandi e veloci unità italiane ed erano fiancheggiati a Nord e a Sud da crociere di incrociatori e di esploratori italo-austriaci; il grosso della squadra austriaca doveva bloccare i porti di Marsiglia, Tolone, Nizza ed Ajaccio; la flotta impegnata comprendeva anche 80 cacciatorpediniere. Malgrado una tale mobilitazione navale, il problema della protezione dei convogli in mare veniva affrontato con qualche perplessità, considerato che attacchi nemici avrebbero potuto rinnovarsi durante la marcia e all'arrivo di ciascuno scaglione. "Le intere flotte italiana ed austriaca riunite sarebbero appena sufficienti a tale scopo nella loro completa integrità; ma dopo una lotta accanita quale si dovrà sostenere per strappare ai francesi il dominio del mare, le forze navali alleate avranno subìto delle notevoli perdite, la cui entità non si può prevedere, ma che certamente sarà tale che esse non potranno fornire il numero di navi necessario per la protezione del convoglio in navigazione. È da osservare che questo numero non è funzione del numero di unità efficienti rimaste al nemico, ma piuttosto, entro certi limiti, dell'entità e costitu-


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zione del convoglio. È inutile ritornare sulle conseguenze che potrebbe avere un fortunato attacco di siluranti nemiche al convoglio: i danni, materiali e morali, potrebbero essere enormi e tali da consigliare forse la rinuncia definitiva all'impresa" C'era poi da tener presente che sarebbe stato impossibile mantenere il segreto "durante il lungo periodo di tempo (30 giorni) necessario per la riunione e preparazione dei piroscafi e per l'imbarco delle truppe", circostanza che avrebbe reso impossibile la sorpresa e consentito al nemico di organizzare la resistenza. Ma l'elemento decisivo per accantonare il progetto di sbarco veniva dalla considerazione dei tempi necessari per realizzarlo, anche se tutto fosse andato bene. E nella fattispecie i tempi avevano una valenza militare e politica di carattere fondamentale: "il 1° scaglione non potrebbe partire dalle basi di imbarco che 25 giorni dopo l'emanazione delle prime disposizioni per la riunione dei piroscafi e l'intera Armata non sarà sbarcata se non due mesi e mezzo o tre mesi (secondo la località scelta per lo sbarco) dopo l'inizio del concentramento dei trasporti. A questo periodo va aggiunto il tempo necessario per la conquista del dominio del mare, tempo che non è possibile stabilire a priori, ma che, trattandosi di combattere contro una Marina come la Francese, in condizioni pari, se non inferiori, non sarà, nella più fortunata de11e ipotesi, minore di un mese. Possiamo quindi affermare che in ogni caso l'avanzata de11e truppe invadenti non potrà essere spinta con efficacia che quattro mesi dopo l'apertura delle ostilità. In questo periodo è assai probabile che le sorti della guerra abbiano già preso sul Reno la piega decisiva ed allora le nostre forze esuberanti alle operazioni sulle Alpi, non avranno avuto nessun peso sulle operazioni generali, probabilmente neanche quello di distrarre dal teatro principale qualche reparto di truppe francesi. E ciò malgrado rischi enormi e spese grandissime, che non verrebbero probabilmente ricompensate da risultati tangibili. Supponendo infatti che la Germania sia vittoriosa sul Reno, e che le nostre truppe sulle Alpi abbiano pure avuto dei successi (certo non è prevedibile che siano riuscite a sfondare completamente le linee di difesa nemiche, aprendosi la via alla valle del Rodano) l'Italia non avrà contribuito all'esito della guerra che in


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minima parte, ed in proporzione a tale concorso verremo trattati nella conclusione della pace. E bisogna ricordare che il tempo calcolato è il minimo e presuppone continua calma di mare e nessun incidente nell'andamento delle operazioni, ciò che è vano sperare, specialmente trattandosi del bacino settentrionale del Tirreno e Golfo del Lione, ove il tempo, anche in estate, è assai variabile. Insomma sembra che adottando questo progetto una parte così importante del nostro Esercito rimarrebbe quasi senza influenza sull'andamento generale delle operazioni per un lungo periodo di tempo e si potrebbe giungere alla conclusione della pace prima che il corpo stesso abbia potuto contribuire, in modo adeguato alla sua entità, all'esito finale della guerra. È evidente che non sarà possibile mantenere il segreto delle nostre intenzioni durante il lungo periodo di tempo (30 giorni) necessario per la riunione e preparazione dei piroscafi e per l'imbarco delle truppe. Un tale concentramento non può rimanere occulto, e l'entità di esso sarebbe sufficiente indice dell'obiettivo fissato, non essendo presumibile che una così imponente spedizione sia stata preparata nei porti settentrionali italiani al solo scopo di invadere la Corsica, ovvero per impossessarci dei possedimenti francesi nel1' Africa del Nord. Il nemico avrebbe dunque tutto il tempo per organizzare la resistenza, tanto più che le località dove a priori potrebbe ritenere possibile lo sbarco sono molto poche ed è relativamente breve la distanza fra di esse. Inoltre gli ottimi servizi di navigazione aerea posseduta dai francesi potranno scoprire la rotta del convoglio ed indicare così con certezza al Comando delle truppe il punto prescelto per lo sbarco" 25 . Per impiegare al meglio le forze dell'Esercito italiano tornava dunque di attualità la vecchia soluzione del Reno, che un tempo non era piaciuta al Re, ma della cui inevitabile attualità Pollio si era reso conto fin dal suo soggiorno in Germania nel settembre 1913. Le informazioni che giungevano da Parigi parevano incoraggiarlo ulteriormente a procedere su quella strada: in Francia prevalevano idee "risolutamente offensive" contro la Germania in 25

AUSMM, busta 295, fase. 7.


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caso di guerra, mentre nel passato si era pensato solo di resistere, e questo "cambiamento radicale", sostenuto dal generale Pau talmente a spada tratta da provocare le dimissioni del vecchio Capo di S.M. generale Michel, implicava che l'Esercito francese avrebbe tenuto sulle Alpi un impegno minimo, anche se, come pareva, non avrebbe distolto i corpi XIV e XV; anche il XIX corpo d'armata dell'Algeria sarebbe stato avviato verso il Reno, mentre venivano smentite le voci allarmistiche sul possibile intervento di truppe spagnole o britanniche nello scacchiere di Nord-Ovest 26. In una serie di incontri a Vienna, tra dicembre 1913 e febbraio 1914, gli alleati triplicisti presero accordi per il trasporto ferroviario attraverso l'Austria delle due divisioni rinforzate di cavalleria; vennero pure esaminate le condizioni per l'instradamento di 3 corpi d'armata: simili aspetti logistici tornavano ad assumere una grande rilevanza. Le istruzioni di Pollio al generale Zuccari, comandante designato della III armata, prevedevano che, verificatosi il casus foederis, una parte delle forze italiane si sarebbero unite a quelle "germaniche destinate ad agire oltre il Reno, allo scopo di concorrere con queste alle operazioni attive contro la Francia ... Le forze italiane ... saranno riunite in una armata e comprenderanno tre corpi d'armata e due divisioni di cavalleria ... (Essa) riceverà direttamente istruzioni dal Comando Supremo dell'esercito germanico. Essa opererà riunita agli ordini del generale d'armata italiano, rimanendo escluso di massima che singole grandi unità di guerra italiana possano essere assegnate ad armate germaniche" Il trasferimento si sarebbe fatto attraverso l'Austria per almeno 3 linee ferroviarie e accordi tra tecnici avrebbero fissato il mo26 Zaccone a Comandante in 2°, ecc., IO gennaio e I 8 febbraio 1914, AUS-

SME, G 29, Addetti militari. Francia, R 34. I francesi tenevano "enormemente ... al più pronto possibile trasporto in Europa delle loro truppe d' Africa che godono di speciale considerazione e colle quali si propongono di compensare in buona parte la loro inferiorità numerica"; e temevano il "serio pericolo che per l'ingente trasporto potrebbe rappresentare anche la semplice rrùnaccia di siluranti italiane appoggiate alla Maddalena, sul fianco ed a poca distanza dalla linea di operazione Algeri-Marsiglia". Secondo l'addetto rrùlitare, il concentramento della flotta in Mediterraneo era dovuto "anzitutto alla necessità che esiste per la Francia di assicurare le sue comunicazioni colle colonie Nord-africane"


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vimento dei treni, l'uso del materiale ferroviario, la predisposizione delle stazioni di sosta e il vettovagliamento degli ospedali. In territorio tedesco sarebbe stata fissata una "zona di alimentazione" collegata per ferrovia con l'armata italiana e i tedeschi avrebbero predisposto magazzini per viveri e derrate; anche i rifornimenti di benzina sarebbero stati tratti dal territorio alleato. Se le forze italiane avessero dovuto "essere impiegate in operazioni d'assedio, le truppe tecniche ed i materiali d'assedio sarebbero forniti dal Governo germanico" Come nel 1888, tutte le spese sarebbero state a carico del governo italiano, mentre quello austro-ungarico "si riserva di mantenersi neutrale e di non accordare il passaggio sulle proprie linee ferroviarie nel caso in cui la guerra fosse limitata fra la Francia, da una parte, e la Germania e l'Italia dall'altra" 27 . Il trasferimento della III armata era accompagnato in patria da uno schieramento che prevedeva una difesa tous azimuts delle coste e delle piazze marittime; misure particolari erano previste per il controllo degli approdi della Sardegna e della Liguria e problema che continuò ad assorbire attenzione e sforzi fino a settembre - delle ferrovie costiere, il cui funzionamento era vitale per la mobilitazione e la radunata 28 . La delegazioni italiana (generali Zuccari e Calderari, tenente colonnello Montanari) e quella tedesca (generale Waldersee, tenenti colonnelli Tappen e Groener) si incontrarono il 10-11 marzo a Berlino e concordarono 12 punti, che sono riportati di seguito nella traduzione italiana del Corpo di S.M. dal verbale originale scritto in lingua tedesca: "1 °) Le due divisioni di cavalleria italiana in arrivo dovranno anzitutto essere trasportate in ferrovia a Strasburgo in Alsazia e qui - o più avanti - essere scaricate verso il nemico. Successivamente dovranno essere impiegate dal Comando Supremo tedesco. Non appena arriverà l'armata italiana, almeno una delle due divisioni di cavalleria - possibilmente la più forte - dovrà essere spinta davanti al fronte dell'Armata italiana. Anche l'altra divisione - non appena fattibile - dovrà essere inviata all'Armata italiana. 27

AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 45. F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 2.

28 AUSSME,


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2°) Viene concordato che a partire dal 1° aprile 1914 le teste dei tre Corpi d'Armata italiani dovranno arrivare il 15° giorno di mobilitazione alle stazioni di transito del confine italo-austriaco. Il Comando Italiano seguirà, con la massima sollecitudine possibile, le divisioni di cavalleria. Successivamente esso dovrà essere trasportato per ferrovia a Strasburgo in Alsazia. Con l'inizio dell'anno di mobilitazione 1915/16 è prevista un'adunata, anticipata di 5 giorni, dei tre corpi d'Armata italiani presso i posti di transito italo-austriaci. 3°) L'Armata italiana, in relazione alla situazione verrà scaricata dal treno sull'ala sinistra dell'esercito tedesco, a immediato contatto con quest'ultimo. Essa riceverà dirette istruzioni dal Comando Supremo tedesco. Il modo in cui essa sarà impiegata dipenderà dalla situazione militare del momento. 4 °) Vennero messi in rilievo vari casi circa le possibili operazioni e il movimento in avanti dell'Armata Italiana e si presero accordi in merito. In modo particolare fu stabilito che il compito temporaneo della collaborazione di detta armata italiana in Germania sarebbe quello della comune sconfitta dell'esercito francese. 5°) Al Signor Generale Zuccari venne consegnato un promemoria riservato che è stato elaborato per un eventuale attacco tedesco oltre l'Alta Mosa fra Épinal e Belfort. Se l'armata italiana dovesse avanzare per i Vosgi in direzione dei forti di sbarramento dell'Alta Mosa, da parte del Comando Supremo tedesco verranno poste tempestivamente a sua disposizione otto batterie di mortai da 210 mm con equipaggio da traino. 11 problema di una assegnazione di obici è stato rimandato ad altra discussione. 6°) In qualsiasi caso di una avanzata dell'Armata Italiana verso la Francia, truppe tedesche si assumeranno la protezione del suo fianco meridionale e dei suoi collegamenti col tergo, in territorio tedesco. Truppe d'occupazione tedesche rimarranno nelle fortificazioni dell'Alto Reno. La neutralità della Svizzera dovrà essere severamente rispettata. I passaggi del Reno situati eventualmente sul tergo dell'armata italiana rimarranno occupati e custoditi, da parte dei tedeschi.


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In caso di bisogno a detta armata verrà inviato materiale da parte tedesca per il fiume Reno. 7°) È stato deciso di iniziare senza dilazione alcuna l'elaborazione del movimento dei trasporti. Il Comando del Corpo di Stato Maggiore verrà informato immediatamente, in via transitoria, che nell'anno di mobilitazione iniziantesi il 1° aprile 1914 è da presupporre che il trasporto in transito dei tre corpi d'Armata italiani si inizierà il 15° giorno della mobilitazione stessa; e che: il Corpo di S.M. italiano inizierà al più presto possibile le trattative sulle varie particolarità di esso (ulteriormente discusso, l' 11 marzo 1914). 8°) Il comando dell'armata italiana non appena arrivato, riceverà un quadro d'insieme sulla situazione del momento presso il nemico e sulla situazione della guardia tedesca al confine nel prevedibile settore d'operazione della Armata italiana e verrà mantenuto permanentemente al corrente sui dati suddetti; 9°) Il Signor Generale Zuccari, ha portato in discussione il desiderio del Comando Italiano perché anche durante le operazioni in guerra di movimento vengano messi a disposizione dell'armata italiana, materiali da obice. A questo desiderio il Comando Supremo tedesco andrà incontro a seconda delle possibilità. Ma da parte sua si affretta a chiarire che a causa del periodo avanzato, per quanto riguarda l'iniziantesi anno di mobilitazione 1914-15 non potrà trattarsi che di improvvisazioni. In modo particolare, è necessario, che carreggio italiano possibilmente autocolonne - per il trasporto delle munizioni venga portato seco, dall'Italia. All'atto dell'arrivo del Comando dell'Armata Italiana, sarà comunicato al Comandante in quale quantità e località saranno a sua disposizione le unità di obici. I maggiori dettagli sono rimandati, per la loro precisazione, ad una nuova Conferenza da tenersi non appena necessario (anche per altre questioni, come ad esempio: vitto, trasporti, scarichi, zona d'adunata, determinazione del primo giorno di mobilitazione). Dopo che - prevedibilmente nell'autunno di quest'anno - saranno stati presentati da parte dello Stato Maggiore Italiano i dati precisi sul trasporto dei 3 corpi d'Armata (con un anticipo di al-


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meno tre giorni), da parte tedesca sarà stabilita e comunicata, per l'anno di mobilitazione 1915/16 (e seguenti), una situazione precisa circa la ripartizione e distribuzione di obici ai tre corpi d'armata italiani. 10°) Ad una richiesta del Signor Generale Zuccari relativa alle forze di combattimento ed ai mezzi relativi, in caso di avanzata verso i forti di sbarramento dell'Alta Mosa, si risponde da parte tedesca che non appena si presenterà il problema di una siffatta avanzata, il Comando Supremo tedesco determinerà quali mezzi siano necessari - in relazione alla situazione - per ottenere lo sfondamento e conseguentemente metterà a disposizione le forze belliche mancanti all'Armata Italiana, e ciò a sensi del promemoria messo a disposizione del Signor Generale Zuccari (Vedi paragrafo n. 5). 11 °) Il Signor Generale Zuccari dichiara che per quanto fino ad ora sia stato elaborato solamente il trasporto di tre corpi d'armata italiani verso il Reno, il Comando Supremo Italiano si riserva di far seguire ad essi, altri corpi d'Armata. 12°) Infine, quale concorde desiderio di tutti i convenuti si stabilisce di addivenire non appena possibile a più dettagliata discussione delle varie particolarità, di quanto non sia stato esposto finora nelle presenti convenzioni, riservandosi di compilare in seguito nuovamente dette convenzioni di dettaglio, chiamando a parteciparvi - per quanto necessario - anche il Comando dello Stato Maggiore Austriaco" 29 Anche il Brugioni valuta il nuovo accordo analogo a quello dal Cosenz 30. In entrambi i casi, infatti, constatata la blindatura intervenuta dai due lati delle Alpi, si stabiliva che forze organiche italiane, esuberanti alle esigenze dell'Esercito in patria, sarebbero state impiegate in Germania. Certo, nel marzo 1914 i reparti interessati da questa decisione erano meno che nel 1888, però abbiamo appena visto che il generale Zuccari "dichiara che per quanto fino ad ora sia stato elaborato solamente il trasporto di tre corpi d'armata italiani verso il Reno, il Comando Supremo Italiano si riserva di far seguire ad essi altri corpi d'Armata" Questa convinzione era comune ai vertici militari italiani~ Cadorna andava anche 29 AUSSME, 30 A.

F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 45. Brugioni, Piani strategici italiani ecc., cit., p. 279.


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oltre: in calce alla lettera del 2 aprile al Capo di S.M. dell'Esercito, relativa al piano di offensiva verso il Nizzardo per la quale chiedeva almeno 20.000 muli, aggiunse che mandava a Roma il Capo di S .M. dell'Armata, generale Bertotto, per far presente che se non poteva assicurargli i mezzi richiesti "(come è certo) è d'uopo che il Comando Supremo rinunzi ali' offensiva. Ed allora più che mai si impone il concetto da me più volte esposto, cioè: costituire a somiglianza della Francia una Armata delle Alpi, la quale, appoggiandosi sopra un massimo di fortificazioni, abbia un minimo di forze, e col grosso dell'Esercito si vada in Lorena, dove si svolgeranno le azioni decisive" Ma era lo stesso Pollio ad essere sempre più convinto che 1' esistenza del massiccio alpino consentiva di spostare le truppe dove la loro azione era più efficace 31 . I tedeschi calcolavano di avere a disposizione le divisioni di cavalleria italiane dal 10° giorno di mobilitazione, così da poterne avere il contributo in una grande battaglia risolutiva che avrebbe avuto luogo, prevedibilmente, entro la 3a settimana di guerra, mentre i corpi della Ili armata non sarebbero giunti in Germania prima della 4a settimana. A parte questo sfasamento, però, i tedeschi cercavano di avere anche "molta fanteria" italiana sul loro fronte, avendo intenzione di impiegarla in operazioni significative, che indicarono al generale Zuccari in un loro studio intitolato "Progetto di impiego 1914-1915"; e assicuravano, se gli italiani avessero attaccato gli sbarramenti sul1' Alta Mosella o le fortezze di Belfort ed Épinal, di fornire 8 batterie di mortai da 210 e la copertura di unità germaniche. Si aggiungeva a ciò la garanzia della neutralità svizzera, che Berlino, in buoni rapporti con Berna, era certa di poter assicurare. Si cominciò a pianificare un acceleramento dei tempi di trasporto delle forze italiane che avrebbe dovuto essere realizzato nell'anno seguente. 52.

CADORNA SUCCEDE A POLLIO. L'ITALIA NEUTRALE

Fino a questo punto la rinnovata Convenzione militare del marzo 1914 aveva avuto un seguito coerente; ma gli austriaci cominciarono a sperare, o ad illudersi, o forse solo a chiedere, altre truppe italiane per il fronte orientale 32 . Questa ipotesi non era 31 32

AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito, RR, R 12. Mazzetti, cit., pp. 388-400.


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contemplata nella convenzione appena conclusa e non era popolare in ltalja, dove si era sempre considerato conveniente un impegno militare sul fronte principale contro la Francia, non contro la Russia. Del resto, sul piano militare gli austriaci traevano già un beneficio da11'accordo del marzo, se l'arrivo di forze italiane in Germania avesse consentito di rinforzare i contingenti tedeschi destinati all'Europa orientale. Nel giugno 1914 il Capo di S.M. italiano dovette prendere in esame l'eventualità di dirottare ad oriente l'armata destinata all'estero. Il 16 scrisse una nota lettera al generale Zuccari: "In quanto all'impiego verso la Russia de11a 3a Armata, io non escludo che eventi di guerra possano giustificarlo e, a guerra dichiarata, assumersi anche la possibilità di tale impiego. Però, se posso consentire che se ne parli ora, non posso, nell'attuale situazione politico-militare trattarne col Governo e invocare la relativa autorizzazione di inserirla nella Convenzione. Posso soltanto accettare uno scambio di idee senza ratifica ufficiale" 33 . Questo atteggiamento - neanche parlarne ancora all ' autorità politica, cui comunque spettava la decisione - e il breve interva11o intercorso tra la data di questa lettera e quella della morte improvvisa di Pollio (28 giugno) rende assai poco probabile che si fosse potuta concretare l'esistenza di "quegli accordi, che ho intavolato verbalmente ed in forma riservatissima colla defunta Eccellenza Pollio", come scriveva il Conrad a Cadorna, nuovo Capo di S.M. dell'Esercito, il 1° agosto. E proseguiva: "Questi accordi consistono in ciò che l'Italia - oltre ad inviare a diretto appoggio della Germania quelle forze già state fissate con accordi - per la guerra della Triplice altre forze ancora rende disponibili, e queste essa prepara a diretto appoggio del1' Austria-Ungheria. Prego volermi cortesemente partecipare quali forze V.E. a ciò destinerebbe, quando e dove esse potrebbero essere pronte, e prego inoltre di concedere che, per la riunione ed il trasporto di queste forze, siano subito presi i necessari concerti fra i due stati maggiori, nello stesso modo, come già fu fatto riguardo alle forze messe a disposizione della Germania. 33 AUSSME, F

4, Ordinamento e mobilitazione, R 45.


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Mi permetto di pregare V.E. di inviare senza indugio a Vienna un delegato coi necessari pieni poteri". Il generale Alberti, nel suo studio sulla Convenzione militare, ritiene che Conrad dica il falso 34 : se non fosse così, bisognerebbe immaginare un equivoco dagli improbabili contorni: un Pollio che, contrariamente a come si era sempre condotto, assume impegni importanti, ma talmente misteriosi da non lasciar traccia, senza informare il governo, pur scrivendo il contrario al Comandante della III armata; un Conrad che, dopo la nomina del generale Cadoma al posto del Pollio, aspetta un mese per parlarne con lui malgrado una situazione di gravissima tensione internazionale, e lo fa tre giorni dopo la dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria alla Serbia. Ma torniamo agli ultimi giorni di Pollio. Il 23 giugno rispose alla lettera del 2 aprile di Cadorna per dirgli che approvava i concetti "opportuni e rispondenti alla situazione", cui il comandante designato della 2a armata aveva informato le sue direttive. Faceva però alcune osservazioni circa la successione delle azioni offensive dei corpi d'armata II e IX, che gli parevano troppo legate, dovendosi svolgere secondo una sequenza che faceva "dipendere l'esecuzione di ciascuna di esse dalla riuscita della precedente", mentre, dati i caratteri della guerra di montagna, conveniva lasciare "maggiore libertà d'azione alle varie colonne per la conquista delle posizioni montane loro assegnate", senza "stabilire una rigida successione" Quanto alla salmeria, "il numero dei muli richiesti è ingentissimo" e si sarebbero dovuti raccogliere nell'Italia meridionale con notevole perdita di tempo, per cui era necessario ridimensionare le richieste: a tal fine, considerando che la situazione inizialmente più favorevole ai francesi non avrebbe consentito tanto presto il successo delle prime operazioni offensive, il Capo di S.M. confidava che si sarebbe avuto il tempo di "ridurre a carreggiabili" alcune mulattiere, così da poter supplire una parte dei muli con carreggio leggero ed autocarri, "tanto più che, in·territorio francese, la rete di rotabili è assai più ricca che da noi, giunge in più punti fino alla frontiera e potrà così venire prontamente e pienamente utilizzata"; occorreva pertanto dar mano ai

34

AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito, RR, R 12.


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lavori necessari al più presto, visto che per questa via si poteva "ridurre notevolmente il numero dei muli occorrenti" 35 . Il 24 il Capo di S.M. ebbe ad esprimere preoccupazioni per lo stato della preparazione militare italiana verso il confine austriaco e indicò la necessità di nuovi stanziamenti e di un maggiore impegno in quella direzione 36, che inevitabilmente sarebbe stato sottratto alla preparazione sulla frontiera nord-occidentale. Le notizie che venivano dalla Francia, peraltro, non tendevano ad enfatizzare particolarmente i pericoli provenienti da quella parte. In aprile una squadra francese aveva forzato di notte la baia di Villafranca, durante una manovra, ma probabilmente l'esercitazione aveva carattere difensivo, collocandosi in un contesto nel quale apparivano prevalenti preoccupazioni per iniziative italiane sulle coste della Tunisia e della Corsica e per il trasporto delle truppe dall' Africa. Sullo scacchiere terrestre, nel maggio e nel giugno reparti dei corpi XIV e XV vennero trasferiti, mentre il XV corpo rinunciava a svolgere nel Nizzardo le manovre verso la frontiera italiana, assumendo anzi uno schieramento più arretrato. Il XIV corpo avrebbe sospeso in luglio le proprie manovre in Moriana e Tarantasia 37 . 35 Si può immaginare con quanta soddisfazione questa lettera sia stata accolta dal destinatario che, più anziano del Pollio, se lo era visto preferire come Capo di S.M. nel 1908, forse perché Cadorna aveva posto come condizione di avere il comando effettivo dell'esercito in caso di guerra. Il nuovo Capo di S.M., secondo Leonida Bissolati, era portato più al monologo che al dialogo, e sopportava male ogni contraddizione. Cfr L. Mondini, Cadoma, in AA.VV., Secolo 20°, ecc., II, pp. 69-70. Anche nel contrasto con Pollio per la difesa di Genova Cadorna si accaniva più del necessario, come dimostra la sua corrispondenza col Brusati, dimenticando che il Capo di S.M. lo teneva in buona considerazione e ne approfondiva idee e punti di vista, non di rado sposandoli. Il 31 maggio 1913 Cadorna dipingeva un Pollio talmente "esasperato" per la decisione della Commissione su Genova, da "perdere la testa". Il 20 aprile 1914 scrisse: "chiaro emerge il rio proposito che (Pollio) cova in seno", ossia di far modificare la decisione assunta inducendo due generali a cambiare parere; per scongiurare questo pericolo chiedeva aiuto al Brusati, il quale fece leggere la lettera al Re e rispose all'ansioso generale suggerendogli, in caso di necessità, di far leggere il verbale della Commissione: "Servirebbe a creare, in certo modo, una pregiudiziale, impedendo di dire nero a chi prima ha detto bianco". AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 12. 36 Mazzetti, cit., pp. 409-13. 37 Vedi la corrispondenza da Parigi dello Zaccone, AUSSME, G 29, Addetti militari. Francia, R 34.


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A quel tempo il generale Pollio era già scomparso, stroncato da un infarto mentre conduceva un'ispezione lungo il confine occidentale il 28 giugno 1914, lo stesso giorno dell'attentato di Sarajevo. Gli successe il tenente generale Luigi Cadorna, a 64 anni di età, nelle condizioni più difficili. Fedele allo slogan che compendiava i principi dell'obbedienza militare secondo lo spirito del tempo - ''Far guerra ovunque sia dal Sovrano indicato" - il nuovo Capo di S.M. considerava la disciplina come essenza della tradizione militare italiana: "il nostro esercito ha sempre posseduto, dai capi più eccelsi ai gregari più umili, la prima delle virtù militari, quella di non voler comandare, ma di saper ubbidire al paese" 38 . Il Paese però, nella persona delle autorità competenti, non gli rese più facile il compito, visto che, pur essendo stata decisa la sua nomina il 6 luglio, passarono tre settimane prima che diventasse effettiva con tutti i crismi. Cadorna si mise subito al lavoro con tutte le sue grandi energie e capacità organizzative. Valutava grave la situazione dell' armamento nell'Esercito, la cui milizia mobile disponeva di circa 1,5 milioni di fucili moderni, ma aveva ancora 1,2 milioni di vecchi Watterly (1880-1887) per mezzo milione dei quali era stato necessario annullare la vendita al fine di fornire la milizia territoriale; la dotazione di pezzi d'artiglieria campale per corpo d'armata, inoltre, era in Italia di soli 96 cannoni, a fronte dei 120 francesi e dei 144 tedeschi. Di altre manchevolezze avrebbe fatto cenno nella memoria trasmessa al Re il 31 luglio. Ma prima ancora assunse una serie di decisioni di prima urgenza che gli parevano indispensabili. Il 29 luglio si premurò di prevenire l'attesa offensiva tattica francese con una serie di provvedimenti diretti a procedere all' occupazione avanzata delle linee e delle fortezze alpine, chiedendo il rientro dalla Cirenaica di 4 battaglioni alpini. Diede ordine di sospendere ogni esercitazione in corso e di procedere alla "mobilitazione occulta" in tempo utile, richiamando ai reparti gli ufficiali assenti e facendo rientrare dalla Libia il massimo numero possibile di ufficiali e sottufficiali. Cercò con misure speciali di aumentare rapidamente il numero dei subalterni, di rinforzare gli organici del 38 Studio del generale Alberti sulla convenzione militare, ecc., cit., AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 12.


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tempo di pace, di trasportare artiglieria dal N-E al N-0. Per Genova, sollecitò la radiazione della città ''dal novero delle piazze forti", come dalla sua nota proposta e il trasferimento a Navi ed a Spezia "delle principali risorse che sono concentrate in quel porto (specialmente grano, petrolio, carbone)" 39 . Le sue direttive per la radunata a Nord-Ovest si fondavano su 5 punti: "l. -Attuare l'occupazione avanzata com'è prevista dai documenti vigenti e tutte le disposizioni ad essa connesse, comprese que11e riflettenti l'esecuzione dei lavori di fortificazione campale. 2. - Qualora tal une posizioni prossime al confine cadano in mano al nemico prima che l'occupazione avanzata sia attuata, ripiegare su posizioni retrostanti ed in ultimo sulle posizioni che si appoggiano alle opere di sbarramento permanenti ed eventuali, che devono essere difese ad oltranza. 3. - Attuare al più presto la messa in istato di difesa delle fortificazioni, rafforzandole e completandole con le opere eventuali e lavori che saranno giudicati opportuni. Completare l'armamento secondario delle opere con artiglierie da campagna e da montagna. 4. - Aperte le ostilità, eseguire parziali atti offensivi, dove si ritengano di probabile riuscita, sia per impossessarsi di punti del territorio nemico in vicinanza della frontiera che possano facilitare l'ulteriore nostra offensiva (per la quale verranno dati ordini), sia per riprendere posizioni di frontiera eventualmente perdute. 5. - Radunare più indietro il IX ed il X corpo; il IX a Piacenza, anziché a Chivasso-Ivrea, il X ad Alessandria-Navi (in modo da essere a portata immediata dei valichi dell'Appennino ligure) anziché a Ceva-Mondovì" 40. Come appare evidente da questi provvedimenti - segnatamente dallo spostamento di artiglieria dal confine orientale a quello occidentale - Cadoma si muoveva in una logica di massima lealtà triplicista, poiché fino ad allora nessuna indicazione diversa gli era pervenuta dal governo o dal Re. Nel medesimo ordine di pensiero, il Capo di S.M. preparò in quei giorni la "Memoria si ntetica sulla nostra radunata a Nord Ovest e sul trasporto in Germania della maggiore forza 39 Mazzetti, cit., pp. 559-61. 40 AUSSME, G 23, Scacchiere

occidentale, R 24-25.


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possibile" Questo conosciuto documento fu trasmesso al Re il 31 luglio 1914 e il 1° agosto fu approvato dal Sovrano con lettera del Primo Aiutante di campo. In esso Cadorna ricapitolava la storia delle intese militari con la Germania, dall'iniziativa di Cosenz del 1888 alla ripresa degli impegni nel 1914 ad opera del Pollio, dopo che si era constatato di dover scartare, come principale programma della guerra offensiva italiana, sia l'attacco generalizzato attraverso le Alpi, sia lo sbarco in Provenza della III armata. Non restava che tornare al trasferimento della grande unità in Germania ed era "intima persuasione" dell'estensore della memoria che fosse interesse italiano dare la massima visibilità alla spedizione. "Ritengo, in altri termini, che si debba non soltanto tornare ad assegnare 5 corpi d'armata (oltre alle divisioni di cavalleria) all'armata da inviare in Germania (ciò che d'altronde era già nel desiderio e nei propositi del compianto generale Pollio), ma che si debba tendere ad inviare su quello che, nel conflitto, rappresenterà il teatro principale e, perciò, decisivo della guerra, tutte quelle maggiori forze che saranno per risultare esuberanti ai nostri bisogni alla frontiera N.O. e nell'interno" Cadorna quindi voleva lanciare contro la Francia, dal Reno, la massima forza che l'Esercito italiano poteva rendere disponibile, visto che la zona alpina appariva saldamente chiusa, sul lato francese, da "estesissime regioni fortificate ... grandiosi campi trincerati... e (da un plurimo) ordine di forti o gruppi di forti". Nell'interesse della Triplice, quindi, convenjva contrapporre all'Armée des Alpes una proporzionale forza italiana e concorrere con la Germania allo scontro decisivo sul fronte principale della guerra. E aggiungeva: "L'interesse nostro non può non collimare con l'interesse generale del gruppo di alleanze al quale partecipiamo. Il gioco di equilibrio delle forze ... tende a divenire instabile a danno della Triplice alleanza; il non compiere da parte nostra il massimo sforzo per concorrere a ridargli stabilità tornerebbe esiziale all' interesse generale ed a quello nostro in particolare" Era quindi necessario considerare le forze armate della Triplice come appartenenti ad un solo esercito ed impiegarle "con un concetto direttivo unico", che privilegiava il decisivo scacchiere settentrionale, cui non si doveva sottrarre il concorso anche di una sola unità non indispensabile altrove. Seguiva l'indicazione della


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necessità di riorganizzare l'esercito e di renderlo più saldo e preparato alla guerra: se ne è già parlato prima 41 . Questo era il programma - combattere con tutte le forze mobilitabili a fianco della Germania contro la Francia, non a fianco del1' Austria contro la Russia - dell'uomo che l'ambasciatore austriaco a Roma avrebbe accusato presto di francofilia 42. In realtà il barone Macchio non si rendeva conto che Cadorna non solo non decideva contro quale nemico marciare, ma che di tale ruolo subordinato alle autorità di governo - qualunque opinione avesse degli uomini politici - si faceva un vanto. Ma non fu gratificato di molta sollecitudine nell'essere informato puntualmente dell 'evolvere della situazione. Nell'estate 1914 l'autorità politica non gli disse nulla dei propositi di neutralità che bollivano in pentola, né glielo disse il Re, che pure sapeva dal 2 agosto, come il presidente del Consiglio Salandra e il ministro degli Esteri di San Giuliano, che la neutralità era "cosa fatta" 43 . Cadorna marciò sulla via del lealismo triplicista fino all'inizio di agosto. Ma il 3, mentre da tutte le parti fioccavano dichiarazioni di guerra e "l'esercito si avviava verso la Francia", vi fu il colpo di scena della proclamazione della neutralità italiana. Cadorna fu colto di sorpresa: "immediatamente vado da Salandra. Gli dico: la neutralità che ha dichiarato significa che la guerra con la Francia non si farà mai più? Mi risponde: Sì" 44. 41

Il promemoria è pubblicato quasi integralmente in L. Cadorna, Altre pagine sulla Grande Guerra, Milano, Mondadori, 1925, pp. 15-23; integralmente - compreso il periodo che riguarda l'ipotesi del passaggio per la Svizzera della ID armata - dal Mazzetti, cit., pp. 562-67. Copie sono in AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 12. 42 L'ambasciatore Karl von Macchio, a riprova della "fervente francofilia" del Cadoma, ne citava, ai primi di gennaio 1915, una sua pretesa opinione tecnica, secondo cui l'esercito francese era superiore ed alla fine avrebbe vinto. I sospetti sul Cadoma erano acuiti da suoi presunti buoni rapporti con militari britannici e dal fatto che si sarebbe sbilanciato col governo in favore della liberazione delle terre irredente, pur senza convincere né il presidente del Consiglio Antonio Salandra, né il ministro degli Esteri Sidney Sonnino. Cfr il rapporto da Vienna dell'addetto militare del 13 gennaio 1915, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R45. 43 B. Vigezzi, L'intervento dell'Italia, in AA.VV., 20° Seco!,o, ecc., cit., II, p. 61. 44 A. Gatti, Un italiano a Versailles, Milano, Ceschina, 1958, pp. 438-39. Per la verità, al racconto del Gatti si potrebbe obiettare che il "Corriere della Sera" di sabato 1° agosto 1914 titolava su rutta la prima pagina: "La guerra europea sta per scoppiare. L'ultimatum tedesco alla Russia e alla Francia. L'Italia resterà neutrale"


EPILOGO

Così, nel giro di tre giorni, il programma stabilito da Cadorna era superato. Anche se quel programma, come si è detto, aveva una valenza tecnica, non c'è dubbio che il repentino evolvere degli eventi sorprese il Capo di S.M. dell'Esercito. La Marina, forse, lo fu un po' meno. Nell'aprile 1913, prima della conclusione della seconda Convenzione navale della Triplice, la Memoria n. 2 dell'Ufficio del Capo di S.M. di quell'Arma aveva posto l'interrogativo "se, nel caso dell'Italia, sia la politica nostra che non è in armonia con il nostro apparato militare marittimo, o se sia quest'ultimo discorde dalla politica nostra, ed incapace di assumersi tutti quegli obblighi vitali e supremi di cui il paese, nella sua inconscia fiducia, ama di immaginare investita la propria potentissima Marina" E concludeva: "O cambiare la Marina, mettendola in relazione alla politica; o cambiare la politica, mettendola in relazione con la Marina" 1. Era seguito il secondo accordo navale triplicista, certamente il massimo che ]'Italia potesse ottenere, il quale però non poteva rovesciare i rapporti di potere marittimo esistenti nel Mediterraneo, pur proponendosi di fronteggiare la situazione con un piano audace e pieno di rischi, sul cui successo si poteva scommettere, non contare. Le manovre previste per l'autunno 1914 ne scontavano l' applicazione: preparate da esercitazioni di artiglieria e di lancio di siluri, esse ruotavano intorno al tema dell'attacco a un convoglio di trasporti avversari nel Mediterraneo occidentale 2. Lo scoppio della 1 AUSMM,

busta 295, fase. 1, CN 4. Per i particolari delle manovre - che prevedevano una dislocazione iniziale del partito Rosso (nazionale) alla Maddalena e a Messina e di quello Azzurro (nemico) a Favignana-Trapani, il primo col compito di "catturare o distruggere" il convoglio in navigazione a ponente della Sardegna, il secondo di impedirlo; l'uno e l'altro di conseguire il dominio del mare - vedi la "Relazione generale sull'opera svolta dal 10 aprile 1913 al 1° ottobre 1915" dall'Ufficio del Capo di S.M. della Marina, Roma, I O ottobre 1915, pp. 134-35. AUSMM, busta 2391, fase. 4. 2


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guerra impedì che venissero eseguite talune decisioni che erano in condizione di essere immediatamente attuate. Il 27 luglio, quando il presidente del Consiglio convocò i ministri della Guerra e della Marina per parlare loro della "possibilità di una immediata mobilitazione delle nostre forze armate . .. Il ministro della Marina ... rispose senz'altro di essere pronto" E infatti partirono immediatamente gli ordini per richiamare le navi lontane e il 28 luglio le due squadre da battaglia furono dislocate ad Augusta. Tale concentramento sarebbe stato utile se l'Italia fosse entrata in guerra e la Convenzione navale del 1913 avesse trovato applicazione, ma anche se il Paese fosse rimasto neutrale; nel primo caso la flotta si disponeva ad incontrare gli alleati che uscivano dall'Adriatico; nel secondo, come poi accadde, la sua gravitazione sullo Jonio marcava il distacco dai belligeranti, i cui confini marittimi toccavano l'Italia nel Mar Ligure-Tirreno e nell'Adriatico. Ai primi di agosto, le acque territoriali furono estese da 3 a 6 miglia e lo Stretto di Messina divenne zona chiusa ai belligeranti 3• Le reazioni alla decisione dell'Italia di restare neutrale furono significative, sul piano militare e politico. Da Vienna fu segnalato un impatto furioso sui militari, Conrad trovò la conferma delle sue diffidenze; si disse che la Germania non avrebbe mai perdonato, Helmuth von Moltke restò fortemente deluso. Sul piano strettamente militare, l'autorevole opinione del Mazzetti propende a ritenere che la Francia abbia evitato catastrofi per la neutralità itaUana: si potrebbe tuttavia osservare che l'attacco risolutivo germanico, nell'estate 1914, venne da destra (piano Schlieffen), e che il 2 agosto, dopo tutto, Moltke scrisse al cancelliere che gli occorreva una sola divisione di cavalleria italiana per rinforzare l'ala sinistra, e che non importava se dall'Italia non fosse giunto un notevole contingente di truppe 4 . Gli austriaci, dal canto loro, non trasferirono verso il confine italiano aliquote particolarmente significative delle loro forze schierate contro russi e serbi, tanto che il 12 settembre Cadorna avrebbe valutato, dal punto di vista 3 Cfr. Alrnagià e Zoli, Vigilia d'armi sul mare, ecc., cit., pp. 181-203, do-

ve è cenno anche del ritorno a Messina del Goeben e del Breslau dopo l'infruttuoso raid a Philippeville e a Bona, come pure della loro successiva fuga a Costantinopoli eludendo la caccia inglese. 4 Mazzetti, cit., pp. 420-53.


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tecnico-militare, che se si volevano rovesciare le alleanze era quello il momento migliore per entrare in guerra 5. Dal punto di vista politico c'è da osservare che Vienna e Berlino non denunciarono la Triplice Alleanza per la defezione di Roma: non essendo probabile che riconoscessero ]e sue ragioni, si deve ritenere che sperassero di recuperarla. Il governo austriaco prese a trattare sui compensi reclamati dall'Italia in territorio irredento e albanese, prima col San Giuliano e poi, dopo la morte di questi avvenuta in ottobre, con Sidney Sonnino, che gli era succeduto al ministero degli Esteri nel secondo gabinetto Salandra. Ma i negoziati, che si protrassero inutilmente per 5 mesi, non furono affrontati da Vienna con molta disponibilità verso le richieste italiane, e accadde che trascorressero settimane, discutendo palmo per palmo sul territorio di una vallata del Trentino, senza che si facesse un passo avanti. Ben diverse, naturalmente, furono le reazioni sul versante dell'Intesa. Scorrendo la corrispondenza degli addetti militari italiani a Parigi, si incontrano episodi di esultanza e di fraternizzazione alla frontiera. L' 11 agosto la popolazione e le autorità di Modane fecero "conoscere pubblicamente la loro riconoscenza per l'Italia", ma alcune tenenze dei carabinieri al confine avevano segnalato già il 3 che i francesi, vedendo sfumare il timore della guerra, riscoprivano la memoria del Risorgimento e parlavano di una grande simpatia reciproca per l'Italia che induceva a riconoscersi fratelli. Più concretamente, lo S.M. parigino approfittò degli eventi per avviare contro i tedeschi reparti attivi tratti dal fronte delle Alpi e sostituirli con forze di 2a e di 3a }jnea; il 26 agosto la guarnigione di Nizza era formata da 7 battaglioni di fanteria territoriale e 4 di cacciatori alpini, ma di questi l solo era di 1a linea, 2 erano della riserva, I territoriale. Le truppe migliori venivano trasferite a Nord-Est, mentre lo schieramento difensivo francese ]ungo il confine alpino, come pure in Tunisia, diventava sempre più modesto. Il 3 dicembre un rapporto riferì che "non ci sono 5

Mack Smith, cit., p. 264. L'Autore aggiunge che il Re considerò "frettolosa" la proposta. Può darsi, anche se questa uscita di Cadorna, malevolmente ed erroneamente definito "campione della Triplice Alleanza", parrebbe contrastare con la necessità di avere il tempo di riorganizzare l'esercito, su cui tanto aveva insistito il Capo di S.M. italiano.


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quasi più truppe nel Nizzardo" 6. Sul mare poi la neutralità italiana significò la caduta di quasi ogni pericolo per le operazioni iniziali della flotta francese, anzitutto per iJ trasporto delle truppe dall'Africa. Giunse intanto conferma del l'atteggiamento neutrale della Svizzera, che fu accolto con soddisfazione da Cadorna, convinto che fosse questa la situazione più conveniente per l'Italia riguardo alla frontiera settentrionale 7 Le avances politiche dell'Intesa cominciarono subito. L' 8 agosto, incontrando Clemenceau, il tenente colonnello Zaccone si sentì dire che un'auspicata combinazione politica con l'Italia sarebbe stata accolta con entusiasmo indescrivibile in Francia 8. Non va sottovalutato che tutto era reso più faci le dal fatto che i nemici degli Imperi centrali non rischiavano nulla di loro. I documenti degli archivi segreti russi, pubblicati dal governo rivoluzionario, fanno conoscere che già il 5 agosto, "se l'Italia portasse nella guerra attuale il suo concorso alla Russia, all'Inghilterra e alla Francia, il governo francese accetterebbe volentieri che nella sistemazione finale ... l'Italia ottenesse iJ Trentino e Valona" Il giorno dopo si delineò la posizione britannica: "Grey ... crede che bisogna assolutamente aggiungere Trieste" Il 1O inglesi e francesi aderirono alla proposta di Sazonov, ministro degli Esteri russo, che prevedeva Trento, Trieste e Valona all 'Italia, se avesse acceduto alla Triplice Intesa 9. È evidente che tutto ciò avrebbe reso più agevoli, a suo tempo, le trattative con Roma. Intanto però il conflitto andava avanti. Una guerra - accolta non dai popoli, ma da intellettuali delle diverse parti quasi con giubilo 10 - che aveva illuso molti di essere breve e poco costosa. Mostrò invece immediatamente il suo volto arcigno e irriducibile quando i fran6 AUSSME,

G 23, Scacchiere occidentale, R 34 e 40 Cadorna a Grandi, ministro della Guerra, 13 agosto 1914. AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazìone, R 45. 8 Zaccone a Comandante in 2°, ecc., 9 agosto 1914, AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 40 9 Vedi L'ìntervefllo dell'Italia neì documentì segreti dell'Intesa, Roma, Rassegna Internazionale, 1923, pp. 2-5. IO Federico Meinecke ricordò quel momento "come un attimo di gioia profonda", il poeta inglese Rupert Brook scrisse versi intitolati "Grazie a Dio quest'ora", Sigmund Freud senti che tutta la sua "libido" era per l'Austria-Ungheria. Solo pochi mesi prima, il 16 gennaio 1914 a Monaco, lo storico tedesco Erich Marcks aveva detto che tutti guardavano "con piena fiducia e stima" ai capi politici della Germania, convinto che "tutti auspicano la pace"! 7


EPILOGO

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cesi persero 300.000 uomini negli attacchi frontali alla baionetta dell'estate, e tuttavia dopo il successo della Marna presero ad ostentare ottimismo e fiducia 11 . Da parte loro i tedeschi si preparavano ad impegnare nuove risorse umane, portando a 40 anni il limite anche per i militi della Landsturm; un osservatore militare italiano scriveva: "le risorse in uomini della Germania sono ben lontano dall'essere esaurite e le nuove formazioni che sorgono hanno tutte quell ' impronta militare, quella alta efficacia e quella ricchezza di dotazioni, che certamente mancano alle nuove formazioni russe, e, molto probabilmente, anche a quelle di Francia e d 'Inghilterra" 12• Lo stato d'animo dei francesi pareva così fortemente ottimista, che il tenente colonne11o Albricci, all' inizio dell'aprile 1915, se ne preoccupò, argomentando che induceva un senso di superiorità enorme, al punto che "ci renderebbe oltremodo difficile l'intendersi con quell'esercito qualora si dovesse addivenire ad accordi militari. Essi pretenderebbero assai probabilmentle dei sottoposti o quasi. Non v'è italiano che non si ribellerebbe a tale pretesa ed è perciò bene essere prevenuti contro tale evenienza" 13 . Forse anche per questo il 25 aprile successivo il ministro della Guerra Zupelli scrisse al colonnello Montanari, che trattava a Londra per lo Stato Maggiore del!'Esercito italiano: "Sono da escludere a priori gli invii di truppe italiane fuori dal teatro di guerra italo-austriaco" 14 . La precisazione giungeva in buon punto, dopo che 1' ottimismo francese aveva talmente contagiato l'ambasciatore italiano a Parigi, Tittoni, da fargli scrivere al Sonnino, il 5 marzo precedente, una lettera molto positiva sulle prospettive militari dell 'Intesa ("La situazione politico-militare si è in questi giorni nuovamente delineata sfavorevolemente per la Germania e l' Austria-Ungheria") e non priva di previsioni azzardate quanto fallaci: "l'azione anglo-francese nei D ardanelli si delinea sempre più con probabilità di successo ... Salvo le sorprese, ... essi dovrebbero essere a Costantinopoli verso il 25 marzo" 15 • 11

Vedi rapporto dell 'addetto militare a Parigi del 2 ottobre 1914, AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 34. 12 Tenente colonnello Bongiovannì al Comando del Corpo di S.M., Berlino, 2 marzo 1915, AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 11. 13 Addetto militare a Parigi a Comando del Corpo di S.M., Parigi, 3 aprile 1915, AUSSME, G 23 , Scacchiere occidentale, R 22. 14 AUSSME, H 5, S.M. Regio Esercito. RR, R 45. 15 AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 22.


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Ma non è compito di questo lavoro seguire gli avvenimenti occorsi durante la neutralità italiana, né le trattative su due tavoli che giunsero a un punto fermo con la firma del Patto di Londra il 26 aprile 1915 e i conseguenti accordi militari 16• Il 14 marzo i negoziati italo-austriaci erano falliti definitivamente, anche se un' imprevista e sospetta offerta austriaca di compensi nella valle dell'Adige aveva tentato di rilanciarli il 27: a Roma questa mossa parve solo un espediente per guadagnare altro tempo. Il 3 maggio 1915 il ministro degli Esteri Sonnino denunciò il trattato della Triplice Alleanza con Vienna. Dopo aver accusato l'Austria di aver violato, con l' ultimatum alla Serbia del luglio 1914, i principi morali che l'avrebbero impegnata a consultare preventivamente l' Italia, Sonnino attribuiva a quell'atto la responsabilità di avere sconvolto i Balcani. E ricordava che i negoziati per i compensi "non riuscirono ad alcun risultato apprezzabile" a causa dell ' intransigenza austriaca sull'Albania e l' insufficienza della disponibilità sul Trentino, aggravate dalla pretesa di rinviare tutto ad epoca indeterminata, alla fine della guerra. "È parimenti inutile mantenere all' alleanza un 'apparenza formale che non sarebbe destinata se non a dissimulare la realtà di una sfiducia continua e di contrasti quotidiani. Perciò l' Italia, fidente del suo buon diritto, afferma e proclama di riprendere da questo momento la sua intera libertà, e dichiara annullato il suo trattato di alleanza con l'Austria-Ungheria" 17 . Terminava in tal modo, nove mesi dopo che lo Stato Maggiore italiano aveva messo a punto il suo ultimo programma ostile verso la Francia, una lunga vicenda che aveva visto per mezzo secolo italiani e francesi antagonisti. Come era emerso dal ricordato colloquio del 3 agosto 1914 tra Salandra e Cadorna, la guerra alla Francia, studiata per tanto tempo, non si sarebbe fatta.

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Come la Convenzione navale italo-franco-britannica del I O maggio

J9 15, che fissava i comandi di teatro e i rinforzi di naviglio che sarebbero ve-

nuti agli italiani, e la Convenzione miJitare italo-russa del 21 seguente, che stabiliva attacchi simultanei nei Carpazi e nelle Alpi orientali da parte dei due alleati, indicando per l'Esercito italiano anche l'obiettivo di collegarsi con i serbi sulla propria destra. 17 G. Caprin, / trattati segreti della Triplice Alleanza. Bologna, Zanichelli, 1922, pp. 159-61.


APPENDICE

A. Parere sopra la nuova frontiera verso Francia dalle Alpi al mare, del maggior generale di S.M. G. Ricci, Torino, 21 marzo 1860 (estratto). Fonte: AUSSME, G 25, Studi tecnici, R 13. CONSIDERAZIONI MILITARI

Accennate le condizioni topografiche della Contea di Nizza, mi rimane a presentare alcune considerazioni intorno alla convenienza di delimitare la nuova frontiera in modo che possa servire di valida barriera per gli Stati di S.M. Non sarà quindi inutile gettare un rapido sguardo sulle guerre per l'addietro combattute in questo paese. La prima considerazione che si affaccia si è che nelle guerre passate, trovandosi la riviera di Genova indipendente perché sottoposta al Governo della Repubblica e perciò da doversi rispettare, i Reali di Savoia svolsero soltanto il loro studio a difendere i passi che mettono nel bacino del Po. Quindi la linea più forte eh' essi occupavano si estendeva soltanto nella parte media e superiore della valle della Roja. Un caso solo ci presenta la storia, il quale possa maggiormente paragonarsi colle condizioni presenti, e si è quello del 1747 e 1748, cioè, quando per avere la Repubblica di Genova parteggiato per la Francia e la Spagna col trattato di Aranjuez nella guerra di successione all'Impero d'Austria, dovettero le truppe Sarde ed Imperiali difendere, contro il Generale Maresciallo di Belle-Isle ed il Marchese di Lasminas, ]e comunicazioni col Piemonte e colla Riviera. Prima linea di difesa. La linea militare di difesa che si presenta la prima e che devesi collegare alla difensiva generale dello Stato è quella che scorrendo per le Alpi marittime fino al Monte Clapier, continua pel contrafforte che separa la valle di Vesubia da quella della Roja. Accenneremo più dettagliatamente ciascuna parte.


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Le Alpi marittime presentano contro il nemico che rimonta le valli di Tinea e Vesubia una valida difesa. I passi che comunicano da queste valli in quelle di Stura e di Gesso, non sono praticabili che alle bestie da soma od ai pedoni, e quasi impossibile riuscirebbe il passo alle artiglierie. D 'altronde tutti i colli che abbiamo enumerati, cominciando dal colle di Pourriac sino alla Colla Lombarda scendono superiormente al forte di Vinadio. Quelli poi che mettono nella valle del Gesso, sono molto alpestri e di facile difesa, né potrebbe un corpo d'esercito traghettarvi coll'artiglieria. Si potrebbero all'occorrenza costruire trinceramenti in alcune località opportune che già vennero particolarmente studiate e questi sarebbero tali da aumentare grandemente gli ostacoli. Poche truppe bastano a tale scopo. Il contrafforte che separa la valle di Vesubia da quella della Roja presenta sulla sua destra e sulla sinistra posizioni fort ificate: il centro è più debole. Infatti dal Monte Clapier sino ali' Aution i monti sono assai scoscesi. Costruendosi trinceramenti ai colli di Raus e di St Veran e sulle alture dell' Aution, riesce assai malagevole al nemico lo scacciarne i difensori. I fatti succedutisi nel ' 93 e '94 ne porgono sufficiente prova. Le posizioni di Mt Randon Agel, della Turbia e di Eza che formano la sinistra di questa linea sono esse pure assai forti massimamente se avvalorate da ben intesi trincieramenti di campagna. La parte centrale, cioè quella che segue per le alture di Monte Ciarmetta, Monte Rorcaglion, colle di Breus e Monte Avelan è meno forte e dovrebbe quindi essere munita maggiormente con lavori d'arte e guardata da un maggior numero d' uomini. Nel caso che questa linea venisse forzata al centro si potrebbe resistere più indietro appoggiandosi alla destra al Castello dell' Aution, il centro sarebbe formato dal contrafforte che separa la valle di Bevera da quella della Roja e la sinistra per le roccie del Grammondo si collegherebbe ad al ponte di S. Luigi o meglio ancora al forte di Ventimiglia per Castel d'Appio. Questa sinistra sarebbe fortissima, tanto più se si trincerasse la località del campo di Castellar che fu oggetto nel 1831 di uno studio accurato. Linea della Roja. Una linea più forte presentasi in seguito, ed è quella conosciuta col nome di linea della Roja. Questa linea prende origine al Monte Clapier e segue fino ali' Aution la linea già indicata. Dall' Aution scende verso l'Est per la serra di Carran


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e la cima di Marta al Castello di Malamort: passa la Roja al ponte di Gemion inferiormente alle gole di Saorgio, rimonta sino alla croce di Moriaga il contrafforte che separa la Bendola dalla Roja e quindi per i monti di Fourquin, Madonna della Neve termina al mare alquanto indietro dell'abitato di S. Agostino. Questa linea è molto forte: già abbiamo indicato la destra che si estende dal Monte Clapier sino ali' Aution. Il centro che è formato dal tratto compreso fra l' Aution e la croce di Moriaga, presenta delle posizioni convenienti e la strada postale che traversa le gole di Saorgio, si può molto opportunamente difendere. La sinistra che si estende lungo il contrafforte che separa la Nervia dalla Roja è pur essa molto forte salvo nella parte estrema verso il mare ove dovrebbe essere munita di opere di fortificazione campale. Però questa parte rimane coperta dal forte di Ventimiglia che il nemko dovrebbe espugnare prima di attaccarla seriamente onde impadronirsi della via del Littorale 1. Dalle considerazioni dianzi esposte, risulta che nella cessione alla Francia onde non danneggiare la difesa dei rimanenti stati, non dovrebbersi comprendere che le valli le quali versano le acque loro nel Varo, cioè quelle del Varo di Tinea e della Vesubia. Si può aggiungere quelle del Paglione intermediane tra la valle del Varo e quella della Roja, ma non certamente alcuna parte di quest'ultima né del suo affluente la Bevera. Se la parte media e superiore della Roja venisse ceduta, cioè da Breglio verso la sorgente, in allora la nostra difesa sarebbe più difficile e meno efficace, ed il versante del Piemonte resterebbe scoperto. D'altronde anche la difesa della Riviera di Ponente sarebbe di molto pregiudicata, poiché nel caso che si conservasse Ventimiglia le Artiglierie e Salmerie potrebbero con poca difficoltà condursi sul letto della Bevera quasi asciutto in estate ed investire da ogni lato Ventimiglia. Nel caso poi che tutta la valle della Roja dovesse cedersi, in allora non sarebbe che con la preponderanza delle forze che si potrebbe impedire l'avanzarsi del nemico nella Riviera, e quindi potrebbe ritenersi aperta da questo lato l'entrata negli stati. È quindi indispensabile per avere una buona frontiera militare che la cessione non si estenda oltre la Valle del Varo di Tinea, Ve1

Napoleone riteneva la linea della Roja come la migliore e più efficace per coprire il Piemonte e la riviera di Genova.


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subia o del Paglione, e che il limite dei due Stati sia formato dalle Alpi marittime dell'Enciastraja sino a] Monte Cl apier, quindi segua il contrafforte che separa le valli di Vesubia o del Paglione da quella di Roja e Bevera e scende al mare tra Mentone e Monaco. Dando pure la più larga interpretazione alle parole Versant Français non si possono in esse comprendere. le sorgenti della Roja, quantunque quei territori abbiano fatto parte del Contado di Nizza. Si è indicato con una linea di colore Rosso il limjte della Contea di Nizza; con altra linea in Verde il confine tra la parte abbandonata alla Francia, e quella che dovrebbe far parte degli Stati del Re, con linea Gialla si è tracciata per maggior chiarezza la direzione della linea di difesa detta della Roja. È da avvertire che nella Delimitazione non si dovrebbero indicare per confine di Stato i lirmti dei territori dei comuni da cedersi con quelli rimanenti, ma sibbene le linee di spartimento delle acque, poiché vi sono molti comuni Nizzardi, i quali valicano il displuvio e si estendono sul versante Piemontese e quindi ne rimarrebbe pregiudicata la linea di difesa.

B. Verbale definitivo della Sotto Commissione incaricata di studiare il progetto generale di difesa della penisola Italiana, 22 febbraio 1866 (estratto). Fonte: AUSSME, G 25, Studi tecnici, R 13. La Sotto Comrmssione ha compiuto ogni possibile sforzo per rispondere nel modo più "ampio e conveniente che le fosse possibile a questi varii quesiti del Ministero siccome quelli che valgono a fornirle gli elementi di giudizio di cui abbisogna per regolare il ramo importante di Amministrazione che gli è affidato, ed assicurare agli interessi militari il concorso più largo possibile di tutti gli altri rarm d'Amministrazione dello Stato" ... 1° Zona. Frontiera delle Alpi verso la Francia e la Svizzera Appennini sino al colle Giovi - Riviera da Ventimiglia a Genova Valle del Po dalla sua origine fino a Stradella - Frontiera delle Alpi verso la Svizzera. Il Rapporto del Membro incaricato dello studio di dettaglio propone l' occupazione con opere permanenti delle seguenti posizioni: Fuentes al capo settentrionale del lago di Como; Varese sul lago di tal nome; Feriolo o Gravellona per intercettare la strada del Sempione.


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Osserva però che le opere permanenti costruite a Fuentes e Varese sarebbero di poco effetto per impedire un'invasione dalla Valtellina alla Val Trompia pel colle d' Ajorica. La Sotto Commissione riconosce in massima l'opportunità di tutte le designate proposte nello scopo soprattutto di seguire le istruzioni della Commissione di difesa di cui al § 5; ma considerando il grande interesse che la Svizzera ha a conservare la sua neutralità nelle lotte tra le Potenze d'Europa per cui difficilmente occorrerà il caso di vederla intervenire in una guerra contro l'Italia e ritenendo che avvenendo un caso consimile sarà molto più conveniente per l'Italia di invadere le regioni svizzere che sono al di qua delle Alpi per portarsi a difenderne le sommità, anziché di attendere il nemico alla sottostante frontiera, ha unanimamente opinato che non sia il caso di custodire con opere permanenti il confine svizzero. Frontiera delle Alpi verso la Svizzera-Valle d'Aosta. La Sotto Commissione si associa alle proposte che vengono fatte per migliorare le fortificazioni di Bard ed occupare più fortemente le posizioni dominanti, cioè: Costruire un'opera permanente sull'altura di Albard di Bard collo scopo di battere un'insenatura della valle distante 2500 a 3000 mt. Costruire. un Corpo di Guardia difensivo al passo di La Con; Costruire un Corpo di Guardia difensivo con ponte levatoio al bivio formato dalla vecchia colla nuova strada. Strada del Moncenisio. È questo incontestabilmente il passo più importante che l'Italia avrebbe a custodire e difendere in una guerra contro la Francia, sia perché la strada è ottima, la più diretta verso il cuore di quello Stato, sia perché essa fà capo per ora all'unica strada ferrata che giunga prossima ai nostri confini. La Sotto Commissione ha riconosciuto che le proposte contenute nel Rapporto parziale della 1a zona, le quali tenderebbero a chiudere il passo allo stretto della valle della Cenischia presso Susa, potevano bensì raggiungere il loro scopo; ma sulla proposta di un altro Membro, il quale crede che lo stesso scopo si sarebbe potuto ottenere con spesa meno ragguardevole, e forse anche con migliori condizioni difensive, in qualche altro punto della valle della Dora a valle di Susa e più di proposito a S. Iorio, una deputazione di 3 Membri della Sotto Commissione veniva dal Presi-


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dente incaricata di visitare quest' ultima località e riferire sull' insorta questione. Da questa visita, a cui per ragioni particolari intervennero soltanto due dei nominati Membri della Deputazione, venne a risultare che nella località di S. Iorio la natura scarpata dell e alture formanti la riva sinistra della Dora si presterebbe ottimamente per appoggiarvi il fianco destro della linea di trinceramenti con cui si dovrebbe sbarrare la valle: che parimenti la larghezza di essa compresa fra i piedi delle alture sarebbe ivi assai limitata, e forse più ristretta che in altro sito, ciò che vantaggerebbe anche la difesa, ma che per contro le alture della riva destra della Dora sono accessibili ovunque e si distendono a grandi distanze con un dominio ognora crescente, per cui tutte le opere che si erigerebbero a difesa della valle e per impedirne l'occupazione al nemico verrebbero sempre ad essere dominate da altri punti anteriori che il nemico partendo da Susa potrebbe raggiungere al sicuro a ridosso di alture. Eppertanto se in quella località di S. Iorio si volesse erigere un complesso di opere il quale rispondesse pienamente allo scopo si incorrerebbe in una spesa non molto inferiore a quella che sarebbe richiesta per l'attuazione del progetto di fortificazioni attorno Susa quale viene svolto nel rapporto della 1a zona. Eliminata la questione della spesa e quella tattica di posizione per le quali le condizioni non sono abbastanza diverse per dar campo a pronunciare un giudizio definitivo sulla migliore località a scegliersi, la Sotto Commissione si faceva a considerare le ragioni strategiche che possono prevalere piuttosto per l'una che per l' altra località. Ora egli è chiaro che lo sbarramento della strada oltre Susa assicura al difensore il progetto della più importante Città di quella valle, la quale sarebbe invece abbandonata se si stabilisse lo sbarramento a S. Iorio, e fornirebbe risorse non disapprezzabili al nemico. Inoltre la Piazza di Susa, finché resiste, non solo rende impossibile ogni attacco a tergo d'Exilles, ma contribuisce anche a impedire per un certo tempo lo sbocco del nemico dalla valle della Dora sopra Susa quando pure fosse caduto Exilles, e ciò mediante l'opera proposta sopra uno dei poggi del Giaglione, la quale dovrebb' essere d' una qualche importanza. Nessuno di questi vantaggi si hanno per la località di S. Iorio: che anzi la fortezza d'Exilles potendo essere immediatamente presa tergo dal nemico che giunge


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senz' ostacolo a Susa, diverrebbe quasi inutile. Per queste ragioni la Sotto Commissione si pronunzia definitivamente per la scelta di quest'ultima località ed approva le singole proposte che all'uopo sono fatte nel rapporto sulla 1a zona, le quali sono: 1° La costruzione di un'opera principale e armata potentemente di artiglieria sull'altura del Giaglione per battere la valle nella Cenischia a grandi distanze e la strada del Moncenisio ne' suoi rami più importanti venendo dal Mollaretto al basso. 2° La costruzione di altra ridotta casamattata e ricavata nella roccia stessa, se possibile, alla costa di Bosconero sulla pendice del Rocciamelone onde battere anche il letto della Cenischia ed i rami più bassi della strada del Moncenisio che sono nascosti al forte Giaglione. 3° Una batteria all'estremità più avanzata verso Venaus del poggio della Brunetta per battere lo sbocco della valle della Cenischia. 4° Un'opera di qualche importanza sopra un poggio conveniente del Giaglione per battere la strada proveniente da Exilles. La Sotto Commissione nel proporre a Susa la vera opera definitiva per sbarramento della strada del Moncenisio crede però di dover aggiungere che ad agevolare la difesa di questo importantissimo passo dovranno essere formate dalle tagliate con Corpi di guardia difensivi nei punti della strada che offrono miglior opportunità di fermare il nemico con questo lieve ostacolo, e uno di essi anche alle sommità della vetta del Moncenisio. Valle della Dora. La Sotto Commissione approva le proposte fatte per il miglioramento e l' ampliazione delle fortificazioni nel forte di Exilles nella valle della Dora Riparia, cioè: Costrurre una batteria sul piazzale a sinistra della Torre o fortino Serre-la-garde ed un'altra sul piccolo poggio a destra; Costrurre un Corpo di guardia difensivo a difesa della strada dove già esisteva anticamente un blokaus. Valle del Chisone. La Sotto Commissione approva le proposte fatte per l' ampliazione delle fortificazioni di Fenestrelle, cioè: Costruzione di un fortino con potente batteria d'artiglieria nella posizione dove sorgeva la ridotta di Andorno. Valle di Varaita. La Sotto Commissione approva le proposte fatte per la difesa dell'alta valle di Varaita, cioè: Costruzione di un forte a Castelfino situato ad un dipresso a cavaliere del]' abitato.


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Valle di Stura. Le considerazioni svolte nel rapporto su1le attuali condizioni del forte di Vinadio hanno vivamente impressionato la Sotto Commissione; la villa della Stura essendo uno dei passaggi che si giudicano importanti a difendersi, crede opportuno che sia ben studiata la possibilità o meno di ridurre l'attuai forte in condizione da resistere contro le moderne artiglierie ampliandone le fortificazioni in caso affermativo coll'occupazione con opera permanente della posizione di Podio superiore; in caso negativo propone si abbia a studiare la ricostruzione dell'antico forte di Demonte dove la posizione sembra sotto tutti i rapporti preferibile. In entrambi i casi poi si dovrà sempre occupare il colle del Mulo colla costruzione di una Caserma fortificata. Strada del Colle di Tenda. La Sotto Commissione si associa alle proposte di costruire a S. Dalmazzo una piccola piazza con semplice scopo difens ivo per obbligare il nemico ad intraprendere opere d'assedio; il suo raggio d'azione dovrà però estendersi altresì dalla parte della Stura ed essere ivi rinforzata da opere di campagna al ponte dell'Olla presso Gaiola. Valle del Tanaro. La Sotto Commissione approva le proposte fatte nel rapporto cioè: La costruzione di una piccola fortezza a Ceva da studiarsi nel miglior modo secondo le condizioni locali onde obbligare il nemico a procedere ad operazioni d'assedio; Costruzione di caserme fortificate al colle di Nava, al colle di S. Bernardo, al colle di Melonio e a Cadibona. Confine francese tra gli Appennini ed il mare, ossia linea dalla Roja a Nervi. II Membro incaricato dello studio di dettaglio della 1a zona ritiene che ampliando e migliorando convenientemente Ventimiglia coll'occupare in modo permanente le alture di Monte Appio, coll'aggiungere qualche batteria della pendice verso la Roja sotto il forte S. Paolo, e col migliorare le sue offese verso il mare, occupando inoltre Colle Bassa ed altro punto fra la Bevera e la Roja, il colle Muraton ed il passo di Stafforio con una Caserma difensiva le due prime posizioni, e la terza con un fortino, si avrà una linea assai conveniente di difesa verso la Francia tra gli Appennini ed il mare, per cui si potrà lungo tempo contrastare il passo di un Esercito nemico sulla strada della riviera e conseguentemente un'invasione in Piemonte per i passi dell'Appennino.


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La Sotto Commissione teme che una linea di difesa appoggiata a fortificazioni di non grave momento, situata a tanta prossimità del1a frontiera di un grande Stato e così facilmente accerchiabile da tutte parti potrebbe essere seriamente compromessa all' aprirsi delle ostilità, massime se queste succedessero improvvisamente e che il Governo non avesse avuto tempo di concentravi un numero competente di Truppe, sulla cui azione appunto verrebbe a basarsi la principale resistenza della linea. Non si di ssimula inoltre come nella Piazza di Ventimiglia le condizioni del terreno siano tali da rendere molto instabili le opere fortificatorie già esistenti e quelle che si vorrebbero accrescere. Essa quindi ritiene che ove con una spesa non molto superiore si potesse trasportare la linea di difesa sulla Nervia e costruire una fortezza di sbarramento della strada della riviera all'incontro di taluno dei successivi contrafforti degli Appennini col mare prima di Oneglia, il sistema difensivo sarebbe preferibile. Propone quindi che la scelta fra questi due mezzi sia dedotta da uno studio comparativo dei due sistemi di difesa or ora accennati. Rada di Vado. La Sotto Commissione approva tutte le proposte che si fanno per assicurare alla flotta questa porzione di mare, cioè: Riformazione dei fronti a mare del forte di Savona sgombrandolo dalla reclusione militare; Erezione di una forte batteria fra le fornaci e la villa Gavotto; Ampliare il forte al Capo di Vado, rendendolo capace di artiglieria, occupandone la vetta; Ampliare il forte di S. Lorenzo rendendolo capace di artiglieria. Piazza di Genova. Circa la piazza di Genova la Commissione di difesa nelle sue istituzioni si era limitata a prescrivere che verso terra (§ 2 delle Istruzioni) venisse completata in modo a porla in grado di resistere contro le moderne artiglierie e verso il mare (§ 17) che si avvisasse ad estenderne notevolmente le difese utilizzando soprattutto i recenti prolungamenti al molo nuovo del porto. Vuolsi però notare che successivamente all'incarico che la Commissione di difesa ricevette dal Ministero della Guerra di studiare un progetto generale di difesa del Regno, cioè con Dispaccio 8 Marzo 1865 N. 2048, lo stesso Ministero comunicava alla Commissione un piano direttivo della difesa e delle fortificazioni di Genova, poco tempo prima compiuto dalla Direzione locale del


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Genio, invitandola ad esaminarlo ed a pronunciarsi segnatamente se "nelle sue generali disposizioni corrispondeva all'ufficio ed al grado di importanza che nell'ordinamento della Difesa generale del Regno poteva spettare alla piazza di cui si trattava" Naturalmente lo studio di questa parziale questione essendo stato affidato alla Sotto Commissione come parte del suo mandato generale ed essa avendone incaricato il Membro che perlustrò la 1a zona, questi ne formava oggetto di accurata disamina sul sito si e come apparisce dal suo rapporto speciale che figura con tutti gli altri annesso al presente verbale ed intitolato: "Esame del progetto di un piano direttivo della difesa di Genova in data 23 Dicembre 1863" Prima di accingersi alla disamina del piano direttivo ora detto e del rapporto speciale cui aveva dato luogo, la Sotto Commissione volle discutere a fondo l'importanza militare della piazza di Genova nelle nuove condizioni del Regno ed a tal fine si osserva: Che nell'antico Regno di Sardegna la piazza di Genova non solo faceva parte della linea principale di difesa in qualsiasi ipotesi di avvenimenti militari, ma era ancora da una parte l'utilizzo ridotto di resistenza in caso di guerra sul continente, e dall'altra la sola piazza marittima dello Stato dove la piccola Marina Sarda aveva i suoi stabilimenti e poteva rifugiarsi contro una flotta nemica superiore di numero; Che coll'annessione della Lombardia, dei Ducati dell'Italia Centrale la sua importanza non aveva fatto che accrescersi ancora, mentre il suo compito era lo stesso e solo si era aggiunta la circostanza di dover tutelare gli interessi di uno Stato triplicato di forze e di territorio. Ma ora che l'Italia si raccolse in uno Stato unico dalle Alpi alla Sicilia, ha trasferito la sua Capitale al centro della penisola ed il suo arsenale marittimo alla Spezia, egli è impossibile il non riconoscere che Genova ha scemato notevolmente di importanza dal lato militare. Infatti in una guerra contro l'Austria, che è pur sempre la più probabile, non è più che molto remota l'ipotesi in cui Genova abbia a trovarsi nella direzione generale delle operazioni militari e trovarsi apposta ad un assedio. In una guerra contro la Francia trovandosi essa in prima linea e quindi validamente sostenuta dalle Truppe attive non è quasi


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ammissibile l'ipotesi che abbia a servire di ridotto finale di resistenza, oltrecché in questo caso i principali e più temibili effetti sono a temersi dalla parte del mare sia per la preponderanza della Marina nemica, sia per la maggior facilità di ottenerne la reddizione con un bombardamento. Ora ben considerato il piano direttivo compilato dalla Direzione locale del Genio si osserva che esso venne accuratamente studiato e soddisferebbe completamente allo scopo nell'ipotesi appunto che la piazza di Genova avesse tutta la maggiore importanza che si possa attribuire ad una grande piazza nella Difesa di uno Stato. La Sotto Commissione non potendo per le ragioni suesposte entrare in queste viste e considerando come, oltre alla spesa assai rilevante che occorrerebbe alla sistemazione progettata, si avrebbe ancora l'inconveniente di doverne accrescere in tempo di guerra il presidio di sicurezza, ha deliberato che sia da mantenersi completamente per questa Piazza il deliberato dalla Commissione di difesa nelle sue istruzioni riferite sul principio di questo Verbale, cioè che si accrescano con tutti i mezzi possibili le difese da mare e dalla parte di terra si ponga la piazza in grado di resistere alle moderne artiglierie, ma senza estenderne il raggio d'azione oltre i limiti a cui accennano le attuali fortificazioni. A questo scopo saranno anzitutto a sopprimersi tutte le opere permanenti che sono proposte tanto a sostegno della prima linea difensiva da Arenzano sulla riviera di ponente, ai Monti Dente e Gallazzi sugli Appennini ed a Portofino sulla riviera di levante, quanto a sostegno della seconda linea difensiva da Voltri a ponente al monte della Guardia e S. Cipriano a nord, e monte Fassio a levante, limitando così le nuove opere ad occupare nel modo che viene proposto a ponente la costiera dell'Incoronata ed a levante la linea della Sturla, il tutto allo scopo di tener lontane le batterie nemiche e sottrarre la piazza dagli effetti d'un bombardamento che colle fortificazioni attuali sarebbe possibile. Inoltre saranno da introdursi nel piano direttivo tutte le modificazioni proposte nel rapporto speciale del Membro che ne procedette allo studio particolareggiato, cioè: Abolire la cinta marittima per San Pier d'Arena riducendola a due sole batterie; Limitare la nuova cinta di terra in valle Polcevera al tratto da San Pier D'Arena al forte Belvedere;


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Abolire il trinceramento ai Due Fratelli. Infine sarà a studiarsi, se possibile, più accuratamente ancora la Difesa a mare del1a Piazza vedendo modo di moltiplicare il numero delle batterie che debbono impedire l'entrata ne] porto, e salvare la Piazza dagli effetti di un bombardamento procurando ad ogni modo poi di supplire alla loro posizione non abbastanza avanzata in mare con un armamento il più potente ed efficace. Con siffatte riduzioni la spesa del progetto sarà ridotta probabilmente a 14 milioni, e la Sotto Commissione ritiene che la Piazza potrà soddisfare all ' ufficio che gli è affidato nelle ipotesi probabili di avvenimenti militari; ma se avesse ad esprimere un dubbio sulla sua resistenza, non sarebbe certamente verso terra che essa lo esprimerebbe, bensì dalla parte di mare dove sarà difficile sottrarla agli effetti di un bombardamento, motivo per cui resta dal lato mi litare sommamente giustificata la proposta di riunire i tre forti Begatto, Sperone e Castellazzo per formare una Cittadella in c ui il difensore possa ritirarsi quando ]a parte bassa della Città divenisse intenibile per un attacco a mare. Alessandria e Casale. L a Sotto Commissione conviene nelle conclusioni contenute nel rapporto parziale, cioè che le ampli azioni di Alessandria e di Casale vogliono essere oggetto di studio speciale e di proposte per parte di Ingegneri militari; essa crede però di dover accennare, a base di detti studi, che le fortificazioni per la prima di dette Piazze avranno ad estendersi ai punti de1la co1lina di Monte Castello sulla riva sinistra del Tanaro le quali divennero pericolose per la Piazza colle nuove artiglierie, e per la piazza di Casale dovranno occuparsi Il poggio di Montalbano; La sommità della Banina presso la Torre Gajona; Qualche punto sulla strada di Ponte Stura; Il trivio form ato alla sinistra del Po dalla strada di Trino, di Terranuova e le ferrovie. Monti presso Valenza. Sebbene la Commissione ne lle sue istruzioni avesse indicato le due posizioni di Valenza e Bassignana per la costruzione di una testa di ponte sul Po quale posto avanzato di Alessandri a, tuttavia la Sotto Com missione per le ragioni espresse nel rapporto parziale sulla 1a zona si associa alla proposta di costruire invece detta opera a Monti per coprire il ponte sul1a ferrovia e di erigerla con sistema di fortifi cazione permanente.


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Testa di ponte sul Po a Chivasso. Sebbene la Commissione di difesa nelle sue istruzioni non abbia fatto menzione di alcuna opera permanente da costruirsi a difesa del passaggio del Po a monte di Casale e si fosse anzi espressa a grande maggioranza di avviso contrario alla costruzione di qualsiasi punto di appoggio per le operazioni attive delle Truppe nelle pianure dell'alta Valle del Po che precedono la linea difensiva Alessandria e Casale, tuttavia la Sotto Commissione non ha potuto a meno di riconoscere come utilissima la proposta di una testa di ponte da costruirsi con opere permanenti a Chivasso, e ciò sul riflesso che per opporsi allo sbocco del nemico dalle valli e specialmente da quella principale della Dora Riparia, potrebbe avvenire il caso che le Truppe italiane fossero sorprese con forze superiori prima di essersi ritirate sulle colline a levante di Torino, ed in tal caso il passaggio del fiume di fronte ad un nemico vittorioso potrebbe riuscire disastroso per i difensori, se non fosse protetto efficacemente da qualche opera di fortificazione. E siccome non sarebbe conveniente sotto nessun aspetto in somigliante ipotesi di attrarre il nemico verso Torino, né preferibile di costruire ivi una semplice testa di ponte sulla riva sinistra per coprire il passaggio senza compromettere la città, così non resta altra scelta possibile che la posizione di Chivasso, la quale d'altra parte è anche assai conveniente sia dal lato strategico per essere nodo di due strade importanti sulla riva destra, sia dal lato tattico per la protezione che l'opera riceve dalle retrostanti colline. La Sotto Commissione propone quindi la costruzione con opere permanenti di una testa di ponte a Chivasso, ma riducendone l'importanza al solo scopo di coprire un passaggio eventuale in ritirata. C. Offensiva tedesco-italiana contro Francia. Considerazioni generali, del maggiore di S.M. B. Orero, 9 luglio 1876 (estratto). Fonte: AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R 47. L'alleanza colla Germania è per l'Italia la causa più probabile di una guerra offensiva contro la Francia. Abbiamo detto ... che in questo caso: i due alleati tenderanno anzitutto ad unire le loro forze per procedere insieme contro quelle del comune nemico, o ciascuno dei due darà alla guerra un obiettivo speciale proprio. Nel caso pratico la scelta non è libera.


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Suddivisione in due della zana di confine Germanico verso la Francia. Teniamo conto della neutralità belga e svizzera. La zona di confine tedesco verso Francia si presenta spiccatamente divisa in due. La prima (Lorena) ha aperta avanti a sé verso Sud-Ovest e verso Ovest una fronte d' invasione di 140 km dal confine belga ai Vosgi. La seconda (Alsazia) fronteggiante ad Ovest ha per limite la cresta dei Vosgi dalle sorgenti della Sarre al confine svizzero, 120 km. L'invasione della Lorena esclude la riunione dei due eserciti, dall'Alsazia lascia la possibilità. Un' invasione germanica procedente dalla prima di dette due zone, cioè dalla Lorena, è in opposizione al concetto di dare alle operazioni dei due eserciti alleati un' obbiettivo comune, almeno per quel periodo della guerra oltre il quale sembrerebbe affatto illusorio spingere i nostri calcoli. Diffatti nell' ipotesi di un'invasione germanica dalla Lorena, l'esercito tedesco agirà con obbiettivo proprio senza mirare direttamente alla sua riunione coll'esercito italiano ed allora basta la considerazione della distanza per escludere qualunque calcolo fatto sull'eventualità di una tale riunione; od il piano di campagna germanico avrà questa mira ed allora la condizione più favorevole per tradurla in atto, sarebbe quella, evidentemente, che l'avanzare dei Tedeschi procedesse all' incontro dell 'alleato, cioè verso Sud mantenendosi nel bacino della Sa6ne. In questo caso il primo obbiettivo dell'esercito germanico potrebbe e, sembra a noi, dovrebbe essere l'occupazione dell 'altipiano di Langres. Questo altipiano sarebbe la posizione di convegno ove l'esercito tedesco schierato fronte ad Ovest, dovrebbe attendere l'arrivo degli Italiani per spingere insieme la guerra a.fondo. La distanza che l'esercito italiano dovrebbe percorrere in territorio nemico per portarvisi sarebbe in media di 500 km, quella che dovrebbe percorrere l' esercito tedesco sarebbe invece di circa la metà. Quindi, riguardo la distanza, si può ritenere che qualora i due eserciti alleati iniziassero le loro operazioni offensive lo stesso giorno, l'esercito tedesco si troverebbe al posto di convegno quando l'esercito italiano avrebbe ancora da percorrere 250 km. Tenendo poi conto delle difficoltà territoriali inerenti alla traversata delle Alpi, in confronto della facilità che le condizioni territoriali offrirebbero all'avanzata dell' esercito tedesco, questa differenza che si può valutare di una ventina di giorni, diverrebbe cer-


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tamente non minore di 25-30. Sono pertanto circa trenta giorni di indugio che per effetto solo della distanza e delle difficoltà territoriali, l'idea della congiunzione dei due eserciti alleati apporterebbe, nell'ipotesi di invasione dalla Lorena e nel caso più favorevole, a11e operazioni decisive per parte dei tedeschi. Un tale indugio, sia che si voglia ottenere mantenendo l'esercito tedesco a cavaliere del Reno e altrove in posizione d'aspetto, sia che si presuma possibile coll'arrestarne le operazioni dopo incominciate, è evidentemente legato a supposizioni di ordine politico e militare così anormali che, sembra a noi, non sia lecito considerarlo fra le cose ammissibili. Ma non è solo la questione di un indugio tanto considerevole nelle operazioni tedesche che ci fa credere illusoria la probabilità, nel caso d'invasione dalla Lorena, che l'Italia possa arrivare in tempo per mettere il peso della sua spada là dove si combatteranno le battaglie decisive. Vi sono, a nostro giudizio, altre considerazioni di un valore non inferiore che ci spingono alla stessa conclusione. Perché l'esercito germanico movendo dal Palatinato e dalla Lorena possa raggiungere l'obbiettivo accennato bisognerebbe nel caso concreto, supporre un'avanzata dalla fronte che potrebbe essere p. e. Metz-Sarrebourg alla fronte Langres-Vesoul e poscia una grande conversione a destra che lasciando ferma a Langres l'ala che qui si trova, portasse l'ala opposta a schierarsi dinanzi a Dijon. Per poco che si consideri la situazione in cui verrebbero a trovarsi in questo luogo frattempo i due eserciti avversari appare l'inammissibilità per parte della Germania di un simile piano di guerra. Diffatti sarebbe una marcia di fianco di oltre 250 km, senza essere coperta da alcun ostacolo, che l'esercito tedesco dovrebbe anzitutto eseguire. Ma supponiamo anche che non esista questa inammissibilità. È egli presumibile che una si lunga marcia, durante la quale la Francia minaccerebbe da vicino il lato destro dell'esercito tedesco, possa eseguirsi senza che i due avversari vengano ad urtarsi? Ora, se sarebbe forse illusorio fare dei calcoli in previsione delle probabili conseguenze di questo urto, è però lecito ritenere che desse debbano essere tali da rendere impossibile per parte della Germania, vinta o vincitrice, la continuazione del primitivo piano, cioè dell'unico piano cui è legata - nell'ipotesi di invasione germanica dalla Lorena - la lontana probabilità


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della riunione dei due eserciti alleati, e ciò almeno durante i primi atti della guerra combattuta, atti che ragionevolmente e per asserzione stessa del Maresciallo Moltke segnano il limite oltre il quale sarebbe, ripetiamo, chimerico spingere le nostre indagini. In realtà dunque si può dire che l'invasione germanica dalla Lorena si oppone per se stessa alla ammissibilità di qualunque calcolo attendibile che abbia per punto di mìra la riunione dell'esercito italiano e di quello tedesco. 1° Perché tale ammissibilità sarebbe legata alla scelta di un piano di campagna tedesco contrario all'obbiettivo diretto di arrivare addosso il più prontamente possibile all'esercito nemico. 2°. Perché a questa perdita di tempo, di tanto maggior danno per l'offensiva in cui il far presto è essenziale elemento di vittoria, bisognerebbe aggiungere il notevolissimo indugio che subirebbero le operazioni tedesche per aspettare il concorso dell'esercito italiano. 3° Perché l'obbiettivo della riunione dei due alleati implica l'accettazione per parte della Germania di un piano di campagna che ragioni militari non possono a meno di condannare. 4 ° Perché anche trascurando queste ragioni tutto porta a supporre che non tarderebbero a sopraggiungere eventi tali che renderebbero ineseguibile il primitivo concetto. Nell'ipotesi invece di invasione dall'Alsazia, il piano di campagna che avesse per obbiettivo la riunione dei due eserciti alleati risentirebbe assai meno gli inconvenienti di cui ai n.i 1 e 2 e sarebbe esente dall'eventualità di cui al n. 4 ed anche dal difetto di cui al n. 3 poiché in questo caso il concetto della riunione non implicherebbe più l'eseguimento di una lunga marcia di fianco in condizioni sfavorevolissime, ma richiederebbe solo che l'ala sinistra tedesca per la Tronée di Belfort e la valle del Doubs si allungasse a Sud per dare mano alle colonne italiane che, superata la Savoia, avanzassero nella direzione di Bourg en Bresse. Supposizione di una zona di radunata strategica in ambedue i casi. Per quello stretto rapporto che, in causa delle grandi masse destinate ad agire e dell ' impiego delle ferrovie, esiste oggidì fra un determinato piano di campagna e la scelta della zona di radunata strategica emerge: che nel primo caso, cioè l'invasione dalla Lorena, la radunata strategica dell'esercito germanico dovrà, a si-


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militudine di quanto fatto nel 1870, essere compresa nella zona di territorio tedesco che ha per limiti ad est il Reno da Coblenz a Strasburgo, ad ovest la Mosella da Coblenz a Metz colla fronte di schieramento spinta in Lorena il più innanzi possibile; che nel secondo caso, cioè d'invasione dall'Alsazia, la radunata strategica dell'esercito tedesco avrà luogo nel territorio compreso tra la Foresta Nera ed i Vosgi e precisamente lungo e a cavaliere del tratto di Reno da Strasburgo ad Huningue. Supposizione di una zona di radunata strategica che si presti ai due casi. La supposizione che la Germania possa, nell' ipotesi che consideriamo di guerra offensiva in alleanza coll'Italia contro la Francia, radunare il suo esercito a cavaliere del Reno in situazione strategica tale da permetterle di scegliere in seguito a seconda degli eventi, la linea direttrice d'operazione più opportuna, non sembra a noi supposizione ammissibile. La linea del Reno da Huningue a Coblenz che a tale intento si dovrebbe occupare misura oltre 400 km. Una radunata strategica non può certamente avere una fronte di schieramento così estesa poiché in questo caso al momento di avanzare bisognerebbe anzitutto procedere al concentramento delle Armate verso Sud qualora si chiarisse opportuno di far gravitare l'invasione verso l'Alsazia e verso Nord qualora questa opportunità si manifestasse per la Lorena. In ambedue i casi il tempo necessario per compiere lo spostamento laterale che ne conseguirebbe per l'esercito tedesco, sarebbe circa il doppio di quello che l'esercito stesso dovrebbe impiegare per portarvisi direttamente dai centri di formazione dei Corpi d'Armata. Ciò per la considerazione che trattandosi di movimenti per ferrovia la sollecitudine non è in ragione della minore distanza da percorrere ma in ragione del numero maggiore di linee, circostanza questa che naturalmente è tutta a vantaggio dei movimenti dall'interno della frontiera. Quindi, come ben si capisce, volendo indugiare sarebbe assai più vantaggioso per la Germania trattenere la massa del suo esercito ai rispettivi centri di Corpo d'Armata, anziché darle un primitivo schieramento strategico a cavaliere del Reno tale che possa in seguito prestarsi ai vari casi d'invasione. La radunata strategica a cavaliere del Reno che da alcune informazioni sembra nelle mire possibili del Grande Stato Maggiore Prussiano non può, a nostro giudizio, interpretarsi che


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nel senso di uno schieramento sull'alto Reno con obbiettivo prestabilito d'invasione per l'Alsazia. Vantaggio per l'offensiva germanica di una radunata strategica nella r zona. Il vantaggio della radunata dell'esercito germanico nel Palatinato e Lorena e conseguente invasione da questa parte è stato sanzionato dalla guerra del 1870-71 pubblicata dal Grande Stato Maggiore Prussiano. Ora è certo che quelle stesse considerazioni che facevano già prima del 1870 ritenere al Maresciallo Moltke come opportunissima la radunata dell'esercito in quella zona tra Reno e Mosella, hanno aumentato il loro peso dopo l'annessione dell'Alsazia e della Lorena. Difatti mentre la conquista della Lorena colla padronanza di Metz allontana per la Germania il pericolo prima esistente di spingere successivamente le sue forze in un territorio aperto di frontiera, la conquista dell'Alsazia la garantisce contro un possibile colpo di mano della Francia oltre il Reno. Il vantaggio strategico di una invasione dell 'esercito germanico della Lorena è eliminato nel! 'ipotesi di un piano difensivo per parte della Francia. Se non che il vantaggio per la Germania di un'invasione dalla Lorena perderebbe dal punto di vista strategico la sua importanza in una eventualità che prenderemo in considerazione. Nel 1870 sì la Francia come la Germania avevano una mira strategica aggressiva. Il Maresciallo Moltke prevedeva che il suo obbiettivo, ossia la massa dell'esercito nemico, anziché sfuggirgli, gli sarebbe andato incontro e l'avrebbe raggiunto al di là della frontiera. Ma se nel 1870 la velleità nazionale, la ragione di Stato e la speranza di staccare dalla Prussia le piccole potenze della Germania del Sud, imposero, si può dire, alle prime disposizioni francesi un'intenzione offensiva indipendentemente da qualunque altra considerazione, fra cui quella di non essere a ciò preparati, si può anche supporre che la mente direttrice delle operazioni francesi non debba in una prossima guerra contro Germania sottostare a simili fatalità. Dalla citata memoria del Maresciallo Moltke appare in quali condizioni difficilissime e d'inferiorità rispetto al1' offensiva Germanica si trovasse già nel 1870 l'offensiva francese. La giustezza dei ragionamenti ivi contenuti è fuori di contestazione. I fatti la sanzionano. Ciò ammesso, non si potrebbe dire che le condizioni in cui già si trovava la Francia nel 1870 erano tali da consigliarle la di-


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fensiva? Avendola dovuta subire imposta dal nemico, gli eventi dimostrarono quanto meno che questo partito sarebbe stato per lei fin d'allora meno dannoso di quello che prese. Una difensiva prescelta e non imposta dai primi insuccessi, manovriera e non passiva, sarebbe a nostro avviso il partito migliore cui la Francia possa appigliarsi in una nuova guerra contro Gennania. L'obiettivo della difensiva francese deve essere in opposizione all'obbiettivo dell'offensiva germanica. E poiché cercare la massa principale del nemico ed attaccarla ovunque si trovi, tale fu e tale sarà l'obbiettivo dell'offensiva germanica, disporsi in posizione strategica minacciosa e convenientemente indietro per non essere pericolosa, tale da permettere di dare ed accettare battaglia in condizioni favorevoli e di evitarla se ne sia il caso con ritirata sicura su altre posizioni successive, sembra a noi possa definirsi in massima l'obbiettivo della difensiva francese. In altre parole, la Francia non deve obliare che la condizione essenziale della vittoria finale in favore della difensiva per una nazione come lei cui non mancheranno mai gli uomini e i mezzi, sta nel1' essere in grado di sostenere la guerra lungamente e di saperlo fare con metodo. Un tale sistema difensivo, piuttosto interno che spinto alla frontiera, è consigliato inoltre alla Francia dalla natura del suo confine verso la Germania che non le dà il mezzo, come lo darebbe ad esempio all'Italia la sua zona di frontiera alpina, d'impedire anzitutto la riunione nel suo territorio delle forze invadenti. E le è consigliato infine dalla considerazione che la mobilitazione dei Corpi d'Armata francesi in una prossima guerra richiederà presumibilmente maggior tempo di quella dei Corpi tedeschi. Il raggiungimento dell'obbiettivo francese sarà tanto più agevole, quanto più vasto e profondo sarà il territorio che il difensore avrà alle spalle e quanto più saranno numerose le sue linee di difesa. A questa condizione di cose nessun teatro d'operazione in Francia, potrebbe soddisfar meglio di quella parte massima di territorio francese che limitato verso Nord dalla linea Marna-Senna comprende il versante dell'Oceano e della Manica. Colla fronte volta a Nord-Est, cioè di contro o sul fianco dell'invasore che avanzasse dalla Lorena, colla ritirata perpendicolare alla fronte, colla convessità verso il nemico, coi fianchi assicurati, cioè nelle condizioni geografiche-strategiche le più favorevoli, il difensore


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avrebbe sul bacino della Senna e quello della Loira, da Vitry a Bourges (280 km), sette linee fluviali di cui giovarsi come linee successive, di difesa per se, di ostacolo al nemico, senza tener conto delle linee secondarie intermedie, le quali, se non tutte possono essere opportune linee difensive, tutte possono servire d'inciampo all'avanzata del nemico, di appoggio ad un'abile controffensiva. Né alla Loira ed affluenti si arresta la possibilità pel difensore di manovrare in opposizione all'obbiettivo tedesco. Nello spazio dalla Loira alla Garonna avrebbe egli ancora dietro di se un vasto territorio, la cui profondità di 350 km in linea retta, da Bourges a Bordeaux si presterebbe a protrarre il sistema difensivo proposto in condizioni territoriali favorevolissime. È da notarsi per di più che sin a tanto che il difensore non sia respinto al di là della Loira, la capitale resta molto protetta per questo modo che minaccia da vicino il fianco dell'invasore che volesse avanzare su Parigi di quello con una difesa diretta, ed il vantaggio è tanto più sensibile in quanto che, oltre le maggiori difficoltà che si opporrebbero ai Tedeschi per arrivare alla Loira che non a Parigi, questi avrebbero in loro sfavore anche la distanza che è maggiore da Metz (punto più avanzato dalla loro frontiera) alla Loira che da Metz a Parigi_ Ma un tal piano difensivo verrebbe a trovarsi sconvolto qualora l'attacco invece di essere frontale, di venire cioè direttamente dalla Lorena, venisse da Est o meglio ancora da Sud-Est. Da Est si pronuncierebbe naturalmente l'offensiva qualora l'esercito germanico sboccasse da]l' Alsazia colla possibilità, superati i Vosgi, di allungarsi a sinistra, nella direzione cioè del suo alleato italiano, e di avanzare da Sud-Est. Quelle stesse linee fluviali che nell'ipotesi di un attacco diretto dalla Lorena sarebbero state per la Francia altrettante linee di difesa si convertirebbero allora in linee d'operazione con vantaggi ed inconvenienti comuni ai due avversari. La difesa perderebbe la sua profondità. Non sarebbe più indipendente da Parigi. Anzi il difensore, il quale non potrebbe più, stante la direzione dell'attacco, ripiegarsi verso Sud, dovrebbe tendere ad operare la sua ritirata verso la capitale, coJla probabilità di essere fatalmente tratto nella sorte di questa, e ciò nel caso migliore, poiché è anche possibile che l'attaccante riesca ad avvolgere la destra del difensore con manovra analoga a quella del 1870, lo separi da Parigi e dalla Francia e lo costringa da ultimo ad accettare battaglia nella condizione più sfavorevole.


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Né si vede come la Francia potrebbe, nel caso d'invasione procedente dall'Alsazia, adottare un piano difensivo diverso e migliore di quello che avrebbe per prima base la difesa dello sbocco dei Vosgi e per conseguenza necessaria, in caso d' insuccesso, la difesa del bacino della Senna fatta trasversalmente a partire dalla sua origine dal Plateau di Langres a Parigi. L'invasione dalla Lorena presenta in confronto di quella dal['Alsazia facilità maggiore. Ma se, ammessa la convenienza per la Francia di un piano difensivo e ammesso in questo caso come suo preferibile teatro d'operazione, il territorio a Sud della linea Marna-Senna, risulterebbe da quanto si disse la superiorità strategica di un'invasione procedente dall'Alsazia, esiste però una ben nota considerazione d'importanza primaria la quale schierandosi pur sempre in favore di un'invasione dalla Lorena rende per lo meno perplesso il nostro giudizio. Questa considerazione è che mentre operando dalla Lorena l'esercito tedesco potrebbe entrare in Francia in ordine di battaglia senza urtare contro seri ostacoli, non sarebbe così operando dall'Alsazia. La Francia, prestandosi ivi la natura dei luoghi, si è costituita di fronte ai Vosgi una potente linea di difesa che si potrebbe chiamare di sbarramento, la quale appoggiata alle nuove fortificazioni di Épinal ed alla ricostituita piazza di Belfort si trova completata dai forti di Saint-Loup, Luxeil, Lure e Montbeillard. Opportunità di un attacco contemporaneo dalla Lorena in sussidio di un attacco dall'Alsazia. Anzi oseremmo credere che, qualora la Germania si decidesse a pronunciare il suo attacco da questo lato, possa trovare conveniente di avvolgere il difensore sboccando con buona parte delle sue forze dalla Lorena, e precisamente dal rientrante che le due zone di confine formano alla loro intersezione. Difatti, mentre l'intervallo fra i due attacchi convergenti non sarebbe sufficiente per dare speranza alla Francia di trattenere con piccola parte del suo esercito il nemico invadente dai Vosgi e gettarsi in massa contro la parte operante dalla Lorena, una tale manovra dell'esercito francese potrebbe, con vantaggio forse maggiore e più certo per la Germania, avere per risultato una battaglia decisiva data alla frontiera. Ciò varrebbe per la Francia quanto il rinunciare a quel sistema difensivo che, come si disse, sembra a noi debba essere suo interesse seguire, sia perché in opposizione


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all'obbiettivo nemico, sia perché le condizioni strategiche del suo territorio di confine non gliene permettono uno più favorevole_ Ultima considerazione in favore di un 'invasione dall'Alsazia. Resterebbe in favore di un piano d'attacco proveniente dall' Alsazia la considerazione già esaminata cioè che mentre l'invasione da quest'ultimo lato agevolerebbe l'esecuzione del concetto tendente alla riunione dei due alleati, l'invasione dalla Lorena sarebbe per se stessa in opposizione al conseguimento di un tale obbiettivo. Ora, perché le forze dell'Italia alleata alla Germania possano influire nella decisione della guerra in ragione del loro peso è necessario che dette forze ne controbilancino approssimativamente altrettante di nemiche. Ma se in astratto, questo risultato potrebbe essere dato sia dalla riunione al momento decisivo dei due eserciti alleati, sia dalla divisione del nemico comune in parti che siano in proporzione della forza dei due eserciti stessi; nel caso concreto speciale, ciò non si può ottenere che colla riunione delle forze alleate. Difatti assegnando a ciascuno dei due eserciti un obbiettivo diverso (né, come si disse, è lecito a noi supporre altrimenti nel caso che l'invasione germanica procedesse dalla Lorena) l'azione dell'alleato minore si svolgerebbe a tale distanza da quella dell'alleato principale 1 da permettere al nemico comune situato fra i due e padrone di parecchie linee ferroviarie, di preoccuparsene ben poco. Ma si supponga pure che la sola considerazione della distanza non debba sembrare sufficiente alla Francia per ritenersi garantita per quel tempo che le occorrerebbe impiegando contro di noi una quantità di forze molto inferiore alle nostre. A rassicurarla maggiormente si aggiunga un'altra considerazione. L'ipotesi che l'azione dei due alleati debba avere un obbiettivo indipendente esclude qualunque idea di indugio nelle operazioni offensive per parte della Germania, in quanto che questo indugio non potrebbe essere consigliato che da una mira opposta, dalla mira cioè di dar tempo all'esercito italiano di concorrere contemporaneamente coll'esercito tedesco ad operazioni strategicamente comuni. Ciò posto, noi dobbiamo nel nostro caso supporre che l'iniziamento della gran guerra tra Francia e Germania coinciderà con l'ini1

La linea di operazione italiana che dalla fronte Torino-Cuneo andrebbe nell'ipotesi che consideriamo qui, ad incontrare la linea d'operazione germanica misurerebbe 670 km, di cui 600 circa in territorio nemico.


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ziamento delle ostilità ed accadrà appena ultimata la mobilitazione. Tra Francia e Italia la guerra decisiva di grosse masse non potrà invece assolutamente incominciare che dal momento in cui l'esercito italiano sarà sboccato nel piano di Lione. E siccome tenuto conto della lunghezza del cammino e delle difficoltà territoriali, non ci è lecito • sperare di ottenere ciò in un tempo minore di 40 giorni - ed è presumibile saranno molti di più. Ne consegue che la Francia avrebbe nel caso più sfavorevole almeno 40 giorni ed in media 60 giorni dinanzi a se per disporre di quasi tutte le sue forze contro la Germania. In sostanza l'esercito francese avrebbe in caso d'invasione dalla Lorena lo spazio e potrebbe avere il tempo necessari per misurarsi dapprima coll'avversario più temuto e minacciante da vicino; e allora, o è vittoria, ed è palese la posizione critica in cui si troverebbe 1'avversario meno forte; o è perdente, ed in tal caso non è fuori d'ogni probabilità che la sorte della guerra sia militarmente già decisa prima che l'esercito italiano possa entrare in azione colla massa delle sue forze. Tradotta in cifre la questione si riduce alla seguente: otto sono i Corpi d'Armata che il nostro sistema di mobilitazione permette di fare trovare in Piemonte allo sbocco delle valli pronti a muovere nella terza settimana 2. In cifra tonda 240 mila combattenti. Dalla prima parte del presente studio risulta quanto gravi e numerose siano le difficoltà territoriali che si opporrebbero all'avanzare di questi 240 mila uomini. Se, per di più, si tiene conto essere vitale interesse francese di sostenere la difesa da questo lato col minimo di forze dell'esercito di la linea, pare a noi che con 40 mila uomini di questo rinforzati da altrettanti e più di milizia territoriale, la Francia potrà sperare di dare alla difesa delle Alpi verso l'Italia tutto quel grado di resistenza che le circostanze richiedono. Mettiamo anche per maggior guarentigia delle nostre conclusioni, che questo distaccamento tolto dalle forze di 1a linea possa giungere alla cifra di 60 mila uomini, cifra che, tutto compreso, rappresenta certamente il massimo della forza di cui, per far fronte a noi, si troverebbe diminuito l'esercito francese di fronte alla Germania 3 • 2 Ammettendone

di più la nostra conclusione sarà tanto più manifesta. ... le considerazioni riguardanti questo punto della quantità presumibile di forze di l• linea che la Francia impiegherà alla difesa della sua frontiera SudEst subordinatamente ai due fattori di cui si deve tener conto e che agiscono in senso opposto, cioè: interesse francese di non indebolirsi di contro la Germania, ed impossibilità di far fronte ai primi eventi verso le Alpi con truppe dell'esercito territoriale. 3 Veggasi


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Paragonando questa cifra di 60 mila uomini con quella di 240 mila rappresentante i combattenti italiani, si ha una differenza di 180 mila uomini. Questa differenza rappresenta a nostro giudizio e con una approssimazione che non crediamo superiore al vero, la quantità di forze che l'alJeanza tedesco-italiana verrebbe per un periodo di tempo che non ci è lecito supporre inferiore ai 2 mesi a trascurare o poco meno, qualora i due eserciti alleati dovessere agire con obbiettivo indipendente, caso questo che, ripetiamo, si verificherebbe necessariamente nell'ipotesi di invasione germanica dalla Lorena. Ora si considera che una guerra difensiva permette più che l'offensiva di utilizzare tutte le forze di una nazione, e se si considera che il quadro di guerra dell'esercito attivo francese, escluso il Corpo d'Algeria, è per se stesso più forte di quello germanico di circa 50.000 baionette, non sembra infondato il timore che in queste condizioni, l'alleanza italiana possa essere durante il periodo più importante delle operazioni, neppure sufficiente ad equilibrare numericamente le forze della Germania con quelle della Francia. Se dopo tutto ciò non si può certamente escludere i comuni vantaggi reciproci di cui potrà essere feconda l'alleanza ItaloGermanica anche nell 'ipotesi di un'azione indipendente, sembra però potersi ritenere che i frutti di essa non potranno essere raccolti in modo completo che in un periodo della guerra alquanto inoltrato e tale che, se è lecito fare assegnamento su di essi, sarebbe temerità la nostra tentare di prevedere dove, quando e come ciò potrà accadere. Ma se la riunione dei due alleati si può considerare subordinata alla condizione che l'attacco germanico proceda dall'Alsazia, non ci nascondiamo come, anche in questa ipotesi favorevole, il raggiungimento di tale scopo dipenderebbe dal buon successo di operazioni lunghe e mal sicure e non in armonia col]' obiettivo dell'offensiva tedesca. Per il che in realtà la considerazione di poter dare la mano all'alleato ha un valore dubbioso e non può quindi avere per la Germania che un peso secondario nella scelta della sua fronte d'invasione. Infrazione della neutralità svizzera come unico mezza per la riunione dei due eserciti tedesco e italiano. E qui il pensiero viene dalla forza delle cose portato all'idea di fare questa congiun-


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zione passando attraverso il territorio svizzero. Ed allora, volendo prendere in considerazione anche l'ipotesi meno probabile o la Svizzera acconsente e la cosa riesce facilissima, ed il modo più semplice sembrerebbe quello che l'esercito italiano per i passi del Sempione, del Gottardo e dello Sp]uga andasse a riunirsi ali' esercito germanico; o non acconsente, e allora un nuovo nemico rispettabile da vincere in casa sua e la possibilità di gravi complicazioni sono tali circostanze che invitano a tutta prima a rinunciare senz' altro all'idea di infrangere la neutralità svizzera. Può però, anche in questo caso, verificarsi un'eventualità favorevole che sembra opportuno prendere in considerazione. Questa eventualità è che la Svizzera invasa a nord dalla Germania, a sud dall'Italia, si limiti a protestare contro l'infrazione della sua neutralità senza venire ad atti ostili da porre serio incaglio alla marcia dei due invasori. La sua impotenza ne sarebbe la legittima scusa. La speranza della tanto agognata rettificazione della sua frontiera dal lato della Savoja, lo stimolo. Circa le complicazioni possibili, ossia circa l'intervento di una delle grandi potenze garanti, diremo solo che nel caso concreto di una guerra di Germania ed Italia contro Francia, questo pericolo si può considerare molto lontano. Difatti, pur ammettendo come soltanto spettatrici le altre tre grandi potenze europee (Russia, Austria ed Inghilterra) è certo che il desiderio e 1' interesse di ciascuna sarà per la vittoria di una piuttostoché dell'altra parte. Anzi è presumibile che le due alleate si saranno prima assicurata la benevolenza di almeno una delle due grandi potenze continentali, cioè di quelle che realmente potrebbero dar pensiero; e siccome questo desiderio, questo interesse, questa benevolenza saranno sempre al di sopra di un obbligo morale inerente a vecchi trattati già più volte infranti, e saranno abbastanza forti da condurre ad una guerra europea qualora una grande potenza spettatrice di sentimenti contrari all'alleanza italo-germanica si credesse vincolata da tale obbligo, il pericolo in realtà resta eliso. Ciò appare tanto più esaminando nel caso pratico le conseguenze di una conflagrazione europea. O la potenza dapprima neutrale favorevole all'alleanza tedesco-italiana è l'Austria, e allora il problema non più della congiunzione di due alleati ma di tre si troverebbe sciolto da se stesso e nel modo migliore. O è la Russia col-


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l'Austria contraria, e allora questa sarebbe certamente abbastanza occupata verso la sua frontiera Nord-Est per non rinunciare all'idea di mandare delle forze ad Ovest in difesa della violata neutralità svizzera. Opportunità dell'invasione del territorio svizzero anche da nord e necessaria conseguenza. Onde però la rinuncia della confederazione svizzera a combattere le sia vieppiù imposta dalla forza delle cose, appare la necessità che l'invasione del suo territorio venga eseguita anche da Nord, d' onde riescirebbe di gran lunga più imponente, più facile e più sollecita. Ciò porterebbe naturalmente alla riunione dei due eserciti alleati nel territorio stesso della Svizzera anziché in quello germanico. Corollario circa le condizioni per una riunione dei due alleati. A suo tempo daremo sviluppo all'ipotesi di un piano di campagna basato sulla invasione del territorio elvetico, per ora basta a noi aver affermato che volendo rispettare la neutralità svizzera, non vi è piano di campagna che presenti condizioni favorevoli alla congiunzione dell'esercito italiano con quello germanico. RIASSUNTO

Esclusa pure l'ipotesi di una violazione per parte della Germania del territorio belga, violazione cui ella non si troverebbe spinta da un interesse che controbbilanci lo svantaggio che ne avrebbe, possiamo conchiudere: 1° Che l'offensiva tedesca può pronunciarsi: dalla Lorena con direzione normale, secondo le circostanze, sia verso Ovest che verso Sud-Ovest; dall'Alsazia in direzione normale verso Ovest e con possibilità di abbracciare anche la direzione Nordovest; dall'Alsazia appoggiata da un attacco contemporaneo dalla Lorena, con direzione generale dapprima verso Sud-Ovest, e precisamente secondo la bissettrice del rientrante formato dalla linea di confine germanico verso Francia, e colla possibilità in seguito, riunite le masse, di procedere come nel secondo caso. 2° Che un'invasione dalla Lorena è quella che presenta alla Germania la possibilità di entrare nel territorio nemico nel modo più facile, più sollecito, più compatto e sarebbe per di più la migliore (strategicamente) nel caso che la Francia si disponesse an-


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che dal lato Sud ad un'azione aggressiva o ad accorrere verso la frontiera incontro all' invasore. 3° Che un 'invasione dall'Alsazia, pur presentando quelle difficoltà materiali che verrebbero escluse operando dalla Lorena, avrebbe il vantaggio, superati gli ostacoli del primo momento, di portare l'attacco sul fianco ed anche sul rovescio di quell'ampio sistema difensivo che appoggiato alle sue linee naturali e successive di difesa, darebbe alla Francia il mezzo di opporre la massima resistenza. Dal punto di vista dell 'alleanza italiana poi, se l'invasione dall'Alsazia non porterebbe con se una vera probabilità di riunione dei due eserciti, ridurrebbe però minore la distanza da cui si trovano forzatamente separati e potrebbe secondare quelli eventi che rendessero una tale riunione tosto o tardi fattibile e consigliabile. 4° Che l'invasione procedente dall 'Alsazia combinata con quella procedente dalla Lorena mirerebbe allo stesso scopo di un'invasione dall'Alsazia, col vantaggio di offrire un mezzo per superarne le difficoltà senza che la conseguente divisione delle sue forze possa considerarsi un vero pericolo per la Germania. CONCLUSIONE

I nostri ragionamenti non ci permisero di dire quale dei due attacchi abbia più probabilità di essere prescelto dalla Germania. La perplessità del nostro giudizio era una conseguenza del fatto che, mentre la superiorità strategica che dovrebbe avere sempre il sopravvento sta solo eventualmente in favore di un' invasione dal)' Alsazia, la convenienza dell'invasione dalla Lorena dal punto di vista logistico, è assoluta. L' ipotesi su cui si basa la superiorità strategica di un'invasione per l'Alsazia contempla per verità il caso di un piano di guerra che abbiamo creduto dimostrare il più conveniente cui possa attenersi la Francia nelle condizioni attuali della sua fronte verso Germania. Ma questo piano che ha per punto di partenza la difensiva, e sembra quindi non consentaneo al carattere nazionale francese, sarà esso il prescelto? Ad ogni modo le intenzioni del nemico essendo un dato dubbioso, è egli probabile che la Germania rinunci ad un vantaggio certo, benché minore, per un vantaggio incerto sebbene di maggior peso? Né il van-


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taggio più incerto ancora della possibile riunione dei due eserciti alleati può modificare la conclusione: essere cioè l'attacco germanico dalla Lorena il più ammissibile. Dal punto di vista dell'alleanza tedesco-italiana ciò è quanto dire che con tutta probabilità le operazioni delle due potenze alleate dovranno avere una direttrice strategica offensiva indipendente e poco dissimile da quella che ciascuna delle due adotterebbe qualora si trovasse sola. E siccome questa indipendenza d' azione, forse probabile anche q ualora l'attacco germanico provenisse dall'Alsazia, è ad ogni modo sempre obbligatoria sino a tanto che le operazioni italiane non siano spinte al di là dell' Isère, così nelle considerazioni che verremo di mano in mano svolgendo riguardanti l' offensiva italiana, pur tenendo conto dell'influenza che necessariamente un attacco contemporaneo dalla Germania deve esercitare sulla difesa attiva francese contro di noi, questa influenza, per quanto riguarda la nostra direzione di marcia, non potrà realmente farsi sentire che quando si tratterà di spingere le nostre colonne oltre la fronte Grenoble-Albertviille. Ripartizione dell'esercito italiano in quattro colonne invadenti. Quattro linee d 'invasione. Dalle considerazioni svolte ... risulta: 1° Che delle sei strade rotabili per le quali l'esercito itali ano può superare il confine italo-francese, quattro soltanto sono in massima da ritenersi come linee d'invasione, cioè: Piccolo S. Bernardo Moncenisio Monginevro Argentiera e due da escludersi: Cornice Colle di Tenda. 2° Che il concorso alle nostre operazioni terrestri per parte di un Corpo di sbarco, è cosa da doversene tener conto. Reparto dell'esercito fra le quattro linee. 11 reparto dell 'esercito fra le quattro linee che, daH ' esame fatto di ciascuna di esse, emerge come migliore, sarebbe: 2 Corpi d' Armata, per la linea del! ' Argentiera del Monginevro 1 id. id. del Moncenisio 2 id. id. del Piccolo S. Bernardo 2 id. id.


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D. Verbali delle sedute del Comando di S.M. Generale riunito in commi~ione per lo studio della difesa dello Stato. Fascicolo m - Teatro di guerra N-0. Lettera riepilogativa delle disc~ioni fatte e delle deliberazioni prese, del Tenente Generale Luigi Mezzacapo, presidente della Commissione, a S ..E. il Ministro della guerra, Roma, 27 luglio 1881. Fonte: AUS-

SME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 69. Ho l'onore di trasmettere all'E.V. copia dei verbali delle tredici prime sedute della Commissione riunitasi al Comitato di Stato Maggiore Generale, in conformità a quanto codesto Ministero prescriveva col suo dispaccio del 28 giugno 1881 (Segretariato generale, divisione Stato Maggiore, sezione 2a) N. 228 riservatissimo. Nelle dette sedute la Commissione, trovatasi sempre al completo di tutti i suoi membri, prese ad esame i quesiti indicati dai dispacci di codesto Ministero in data 4 luglio 1881 N. 215 riservatissimo e 10 luglio 1881, N. 277 riservatissimo. Per rendersi conto delle esigenze, cui deve soddisfare la radunata del nostro esercito sulla frontiera nord-ovest, la Commissione dovette esaminare le rispettive condizioni militari dell'Italia e della Francia, allo scopo di formarsi un concetto della migliore disposizione iniziale che in caso di guerra contro quest'ultima potenza converrebbe dare alle nostre forze, sia per proteggere la mobilitazione e la radunata dell'esercito, sia per assicurarci il possesso di quei punti, la caduta dei quali in mano del nemico potrebbe avere dannose conseguenze nel seguito delle operazioni. E prima di tutto la Commissione dovette constatare il fatto gravissimo che la nostra marina da guerra, nelle condizioni in cui è attualmente, non sarebbe in grado, stando alle dichiarazioni dello stesso Ministro della marina, di assicurare il trasporto verso l'alta Italia per l'Adriatico delle truppe di stanza in Sicilia e dei richiamati in congedo appartenenti alla detta isola. Ne risulta la necessità che questo passaggio venga effettuato attraverso lo stretto di Messina, ove nelle condizioni attuali, secondo quanto dichiararono gli ammiragli che fanno parte della Commissione, non lo si potrebbe proteggere se non per mezzo dell' impiego di siluri. Per l'attuazione di questo mezzo sarebbe desiderabile che il Ministero della guerra prendesse fin d'ora concerti con quello della marina.


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Ad ogni modo questo non sarebbe se non un ripiego di dubbia efficacia. Converrebbe quindi di affrettare per quanto possibile il passaggio delle truppe e dei richiamati dal congedo, in modo che esso si compia prima che una squadra nemica venga a stabilirsi nello stretto; il che non si potrebbe attuare, se non accelerando la chiamata degli uomini in congedo appartenenti alla Sicilia. L'attenzione della Commissione dovette inoltre fermarsi sul fatto, asserito dagli ammiragli che ne fanno parte, che la nostra marina non sarebbe ora in condizione da opporsi efficacemente alla effettuazione di sbarchi nemici sulle nostre coste; per cui ali' esercito spetterebbe il compito di guardare non solo la frontiera terrestre, ma eziandio tutto il nostro esteso ed indifeso litorale, che quasi dappertutto si presta alle operazioni di sbarco, e sul quale i francesi, mercè l'immenso materiale da trasporto di cui dispongono, potrebbero gettare, in una volta sola, forze numerosissime. A soddisfare pienamente a questo compito, sono affatto insufficienti le nostre forze terrestri; che, come l' E.V. ben sa, sono di gran lunga inferiori alle forze francesi, non solo in modo assoluto, ma anche in relazione alla popolazione dei due stati. D'altra parte nella sistemazione della frontiera terrestre si seguì finora il concetto di ritardare l'avanzare del nemico e non quello di arrestare l'invasione. S'aggiunga che le opere in costruzione sulle due più minacciose linee d'invasione, che sono quelle del Moncenisio e del Tenda, non potrebbero attualmente essere di considerevole giovamento alla difesa. Questa condizione di cose crea la necessità che la maggior parte dell'esercito venga radunata sulla frontiera terrestre, e non lascia disponibili per la difesa della penisola e della Sicilia se non poche forze dell'esercito permanente, che non potranno essere rinforzate da truppe di milizia mobile se non dopo trascorso quasi un intero mese dal principio della mobilitazione. La Commissione ha pertanto riconosciuto la necessità di ridurre la difesa dell' Italia peninsulare alla protezione delle parti più vitali di essa. Gli sbarchi che il nemico trattasse di operare sulle nostre coste sarebbero tanto più pericolosi per noi, quanto più direttamente potrebbero influire sull'andamento delle operazioni principali nella valle del Po. E perciò grandemente pericolosi sarebbero gli


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sbarchi effettuati nella riviera di ponente. A parare ai pericoli provenienti da questi sbarchi, la Commissione ha creduto si dovesse provvedere mediante la disposizione delle forze radunate sulla frontiera terrestre. Assai gravi sarebbero pure le conseguenze di uno sbarco nemico sulle coste della Toscana, sia per la perturbazione che ne deriverebbe nella effettuazione della mobilitazione, quando venisse tentato nei primi 20 giorni, sia pel fatto, che quando il nemico riuscisse ad impadronirsi di quella regione ed a spingersi fino ad occupare i passi montani che la mettono in comunicazione colla valle del Po, le nostre forze operanti in questa valle sarebbero separate dalla penisola e costrette a combattere rivolgendo le spalle alle Alpi. In una situazione di questa fatta, le conseguenze di un rovescio potrebbero assai facilmente essere irreparabili. Per queste considerazioni la Commissione è stata concorde nel concetto, che in Toscana si dovesse fin dal principio radunare una quantità di truppe, che fosse bastante, anche sul piede di pace, a mandare a vuoto piccoli tentativi di sbarco aventi per iscopo di turbare la nostra mobilitazione, e potesse nel seguito, sia mercè l'aumento di forza derivante dal passaggio sul piede di guerra, sia mercè il concorso di truppe della milizia mobile, opporsi alla effettuazione di sbarchi maggiori, e, non riuscendo ad impedirli, ritardare almeno la marcia delle forze nemiche verso i passi appenninici, in modo da dar tempo al Comando Supremo di effettuare quelle manovre che gli venissero suggerite dalla situazione del momento. La Commi'ssione giudicò inoltre necessario che a Roma venissero lasciate truppe dell'esercito permanente in numero sufficiente per assicurare, anche colla loro forza di pace, la città da colpi di mano durante il periodo della mobilitazione. Quanto ad una efficace difesa della Sicilia e delle provincie meridionali, la Commissione, benché non ne sconoscesse l'importanza, dovette rinunciarvi, essendo convinta che, attese le condizioni attuali della nostra marina, la mancanza di difese fisse lungo le coste e l' insufficienza numerica del nostro esercito, questo scopo non si potrebbe ottenere se non diminuendo oltre misura le forze disponibili sul teatro principale delle operazioni e disseminando così i nostri mezzi di resistenza in modo da essere deboli dappertutto. Però, per ragioni di carattere più politico che militare, la Commissione fu concorde nel ritenere conveniente la disposizio-


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ne già contenuta nel progetto di radunata comunicato da codesto Ministero, di lasciare una brigata dell'esercito permanente in Sicilia ed una a Napoli, destinandole a diventare il nucleo delle forze locali. In complesso le forze dell'esercito permanente che, a seconda del parere della Commissione, converrebbe assegnare alla prima difesa della penisola e della Sicilia, corrisponderebbero a due corpi di armata così ripartiti: In Toscana_- 1 corpo d'armata, col rispettivo reggimento di cavalleria; 1 brigata di 3 reggimenti di cavalleria. A Roma: l divisione di fanteria; I reggimento bersaglieri; I reggimento di cavalleria. A Napoli_· 1 brigata di fanteria; 4 squadroni di cavalleria. In Sicilia: l brigata di fanteria; 2 squadroni di cavalleria. L'assegnazione di una brigata di 3 reggimenti dì cavalleria alle truppe della Toscana venne fatta in base alla considerazione, che, pell' attuazione del sistema difensivo che alla Commissione pare preferibile venga adottato sulla frontiera terrestre, non occorrerebbe l'impiego di molta cavalleria; mentre quest'arma troverebbe utilissimo impiego pel servizio di esplorazione nel teatro di guerra peninsulare. Attuando la proposta disposizione, nessuno dei 6 reggimenti di cavalleria, aventi stanza nella penisola nel tempo di pace, verrebbe trasportato nella valle del Po. Considerata poi l'importanza della piazza della Spezia e le sue condizioni presenti di fronte ad attacchi dalla parte di terra, i quali potrebbero essere tentati fin dai primi giorni da poche forze sbarcate alle foci della Magra, la Commissione ha creduto indispensabile, che a presidiarla durante il periodo della mobilitazione venisse destinata un' intera divisione dell'esercito permanente. Il presidio della detta piazza potrebbe verso il 17° o 18° giorno essere ridotto ad una sola brigata, per effetto dell'aumento di forza delle unità in conseguenza del richiamo delle classi. Questa diventerebbe poi essa pure disponibile per le operazioni attive, una volta costituite le truppe di milizia mobile. Lo stesso può dirsi pella guarnigione di Roma, la quale, ultimata la formazione delle


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truppe di milizia mobile, potrebbe essere costituita nel modo indicato nel progetto ministeriale. Nello stesso modo diventerebbe successivamente disponibile il presidio della piazza di Genova, che la Commissione ritenne sarebbe necessario venisse portato, durante il periodo della mobilitazione, ad una divisione rinforzata da un reggimento bersaglieri. Per stabilire quali. fossero i luoghi di radunata più convenienti per le truppe dei sette corpi d'armata destinati ad essere immediatamente portati sulla frontiera terrestre, la Commissione ha dovuto rendersi conto del sistema difensivo che maggiormente converrebbe adottare sulla frontiera stessa; giacché, stante la maggiore prontezza colla quale si opera la mobilitazione dell'esercito francese, la nostra radunata sulla frontiera nord-ovest non può essere subordinata unicamente alle convenienze amministrative, ma deve informarsi soprattutto a quelle di carattere militare. La Commissione, fra i due sistemi che si possono adottare per la difesa della nostra frontiera nord-ovest, quello cioè di una resistenza ad oltranza nella zona montana, e quello di una resistenza nella detta zona avente unicamente per iscopo di ritardare la marcia dell'invasore e permettere poi alla difesa di manovrare in pianura contro di esso, ha creduto doversi preferire il primo, ritenendo assolutamente inopportuno il secondo, la cui attuazione ci priverebbe del vantaggio offertoci dalla barriera alpina di poter lottare in favorevolissime condizioni contro le forze nemiche, le quali, in quel terreno, non potrebbero avvalersi della loro superiorità numerica. Del resto, vista la relativa ristrettezza e la conformazione del teatro di operazioni dell'alta valle del Po, il nostro esercito non potrebbe aspettare per entrare in azione che il nemico sbocchi da tutte le linee d'invasione nel piano, senza correre il pericolo di trovarsi in posizione avviluppata. Ne deriva quindi la necessità di arrestare la marcia di talune colonne nemiche attraverso la zona montana per guadagnare spazio e tempo necessario a gettarsi con tutte le forze disponibili contro le colonne nemiche che fossero riuscite a sboccare. Dalla qual cosa risulta sempre più evidente la necessità di una efficace difesa della barriera montana. Muovendo da questo concetto, riesce evidente la necessità d'una immediata e robusta occupazione di quelle posizioni fortissime che costituiscono la chiave dei vari scacchieri montani, nelle quali posizioni sarebbe dannosissimo per la difesa lasciarsi preve-


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aire dal nemico, che assai probabilmente tenterebbe impadronirsene con dei colpi di mano, fatti anche con truppe sul piede di pace_ La maggioranza della Commissione ha creduto che fosse conveniente affidare l'incarico di questa prima occupazione a quelle stesse truppe cui spetterebbe poi nel seguito fare la difesa dei singoli scacchieri, e ciò tenuto conto sopra tutto della grande importanza che ha nella guerra di montagna la conoscenza dei luoghi; conoscenza che i comandanti delle truppe e gli ufficiali tutti avrebbero campo d'acquistare nei giorni che procederebbero l' attuazione dell'invasione nemica fatta con grandi forze. La Commissione si è però reso conto delle difficoltà, forse insuperabili, di eseguire le operazioni della mobilitazione di interi corpi d'armata entro la zona montana; epperciò è stata concorde nel ritenere necessario che, mentre la parte combattente delle truppe destinate all'occupazione della barriera alpina verrebbe immediatamente spinta, così come si trova sul piede di pace, entro la barriera stessa, fossero loro assegnate per tutte le operazioni della mobilitazione delle località situate più indietro. In queste località si costituirebbero tutti i servizi delle rispettive truppe e verrebbero dalle varie unità lasciati dei distaccamenti incaricati di compiere le operazioni della mobilitazione e di ricevere i richiamati dal congedo per avviarli ai rispettivi corpi. Questi luoghi si potrebbero pertanto considerare amministrativamente come località di radunata dei rispettivi corpi la cui parte combattente non vi dovrebbe però sostare, ma essere immediatamente portata entro la zona montana. Per provvedere ai bisogni delle truppe fino a tanto che i rispettivi servizi non siano in grado di funzionare, sarebbero indispensabili speciali disposizioni di carattere permanente per tutto quello almeno cui non si può provvedere sul momento. Secondo il concetto della Commissione la radunata sulla frontiera nord-ovest si dovrebbe pertanto effettuare nel modo seguente: 1 divisione (di cui la parte combattente sarebbe immediatamente spinta nella valle d' Aosta) ......................... Chivasso 2 corpi d'armata (la parte combattente di uno dei quali, rinforzata dal reggimento bersaglieri dell'altro, sarebbe immediatamente spinta nelle valli della Dora Riparia e del Chisone) ................................................................... Torino


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1 corpo d'armata (di cui la parte combattente sarebbe immediatamente spinta nelle valli della Stura di Vinadio, del Gesso e della Vermenagna) ........................ Fossano-Cuneo 1 corpo d'armata ..................................Bra-Cavallermaggiore 1 divisione (con tutti i servizi e le truppe suppletive di un corpo d'armata) ................................................................Alba 1 corpo d'armata (di cui la parte combattente sarebbe immediatamente spinta alla testata della valle del Tanaro e sulle posizioni più importanti della linea di displuvio apenninica fino a Genova) ................................... Carcare-Ceva 1 corpo d'armata .............................................................Acqui Nel 18° giorno la divisione di Alba verrebbe rinforzata con una brigata tolta dal presidio di Genova e con altra brigata tolta da quello della Spezia, e portata così alla forza di un corpo di armata completo. In Alessandria si farebbe la radunata dei servizi e delle truppe suppletive di un corpo d'armata, meno il reggimento bersaglieri (assegnato temporaneamente al presidio di Genova). Ultimata la formazione della milizia mobile, le truppe dell'esercito permanente ancora rimaste alla Spezia ed a Genova raggiungerebbero questo nucleo di corpo d'armata. I sei reggimenti di cavalleria che si avrebbero in più di quelli assegnati ai corpi d'armata, costituirebbero una divisione in Asti ed una brigata a Savigliano. La Commissione riconobbe l'opportunità che i reggimenti armati di moschetto, che stanziano in tempo di pace in vicinanza della frontiera, siano assegnati ai corpi di armata destinati alla prima occupazione della zona montana; e ciò allo scopo che questi corpi dispongano immediatamente di qualche riparto di cavalleria. I due corpi d'armata di Torino e la divisione di Chivasso costituirebbero la prima armata con quartiere generale a Torino; i corpi d'armata di Bra e Fossano, nonché le truppe radunate ad Alba, costituirebbero la seconda armata con quartiere generale ad Alba; e la terza armata sarebbe costituita dai corpi di Acqui e di Carcare, ed avrebbe il quartiere generale in Acqui. Dal Comando della terza armata dipenderebbero inoltre le truppe suppletive radunate in Alessandria, nonché la piazza di Genova. Sembrò pure conveniente alla Commissione che tutte le truppe incaricate della difesa della penisola dipendessero da un unico comando e costituissero una quarta armata.


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Come l'E.V. rileverà da1l'esame del sin qui esposto, la Commissione ritenne che non meno della metà delle truppe dapprima radunate sulla frontiera terrestre è necessaria pella occupazione della barriera montana. Una riserva di soli tre corpi di armata e mezzo potrà parere scarsa, specialmente se si tien conto della possibilità di sbarchi nella riviera di ponente. Convien però notare che al termine della mobilitazione le truppe che durante questo periodo costituirebbero il presidio della piazza di Genova e della Spezia, ed in parte anche quelle del presidio di Roma, andrebbero ad aumentare di oltre un intero corpo di armata le forze tenute in riserva. Questa riserva poi potrebbe essere anche maggiormente accresciuta, allorquando la barriera alpina venisse sistemata in modo completo, ed invece di limitarsi a dei forti di sbarramento, aventi per iscopo di ritardare soltanto per qualche giorno la marcia del nemico, si preparassero a difesa le posizioni più importanti, come dal canto loro non ommisero di fare, in questi ultimi anni, i nostri vicini e come, nei secoli scorsi, hanno fatto i principi della Casa di Savoia cogli scarsi mezzi di un piccolo stato. Questa preparazione permetterebbe di fare una efficace difesa della zona montana, impiegandovi una minore quantità di forze. Efficacissimo mezzo poi per accrescere la riserva sarebbe quello di dare un largo ordinamento militare territoriale alle popolazioni alpine, in modo che tutta la loro popolazione valida possa sorgere prontamente in armi e concorrere efficacemente, come già nelle guerre dei secoli scorsi, alla difesa della barriera alpina. Questo mezzo essendo, fra tutti quelli che avrebbero per effetto di aumentare le nostre forze, il più prontamente attuabile e il meno costoso, sarebbe sommamente desiderabile che si provvedesse alla sua attuazione colla massima sollecitudine, in modo che già nella prossima ventura primavera ci potessimo trovare in condizioni migliori delle presenti. Intanto, in attesa di una più completa sistemazione della barriera alpina, sarebbe desiderabile che fin d'ora venissero riuniti in Susa il materiale e le bocche a fuoco necessarie pel pronto armamento della tagliata del Moncenisio, la quale sola potrebbe al presente dare qualche appoggio alla difesa mobile, quando venisse a quest'uopo preparata. Così pure sarebbe desiderabile che a Cuneo venissero riuniti il materiale e le bocche da fuoco necessarie per supplire con opere


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occasionali alla mancanza di opere permanenti a difesa del Colle di Tenda. Sarebbe poi urgentissimo che venissero costruite quelle opere stradali che si richiedono per portare artiglierie e rifornimenti nelle posizioni più importanti delle Alpi, quali sono i trinceramenti del Principe Tommaso nella valle di Aosta, la posizione dell' Assietta fra le valli del Chisone e della Dora e quella del Tanarello alla testata della valle del Tanaro. In queste posizioni, ove converrà nel seguito erigere solide opere permanenti, si dovrebbero fin d'ora preparare spianati pel collocamento dell'artiglieria e fare tutti quegli altri lavori che possano renderne agevole ed efficace la difesa fatta dalle truppe mobili, permettendone la permanenza sui luoghi. Da tutte le discussioni fatte nel seno della Commissione è risultato manifesto, come le difficoltà maggiori che si dovrebbero superare per opporre un'efficace resistenza ad una aggressione francese deriverebbero dal fatto della impotenza nella quale si trova al presente la nostra marina da guerra. Già di molto migliorate sarebbero le nostre condizioni, sol che la nostra flotta, senza ancora essere forte abbastanza da potersi cimentare in battaglia colla flotta nemica, fosse almeno in grado di assicurare i nostri trasporti marittimi e di mettere ostacolo alle operazioni di sbarco del nemico sulle nostre coste. Questo scopo, da quanto ebbero a dichiarare gli ammiragli che fanno parte della Commissione, si potrebbe, date le condizioni attuali della marina francese, conseguire al presente, e per un certo numero di anni ancora, quando fossero disponibili le quattro grandi corazzate messe in cantiere da alcuni anni. Sono perciò da rimpiangere i ritardi che si verificarono nella loro costruzione, e sarebbe di somma importanza per la difesa dello stato che, posto da banda ogni ulteriore indugio, la nostra marina si sforzasse con ogni mezzo di mettere nel più breve tempo possibile la Lepanto e l'Italia in grado di concorrere alla difesa del paese. Dopo esaminata la trattazione delle questioni che si riferiscono alla radunata, la Commissione prese ad esame i quesiti posti dal Ministero relativamente alle difese delle coste del mar Tirreno, di Messina e di Roma. Essa ammise il principio che là ove non si tratta di coprire stabilimenti marittimi o di preparare luoghi di rifugio e basi di manovra per la squadra, ma soltanto di impedire alle navi nemiche di stazionare nelle rade, si debbano di prefe-


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renza costruire opere alte, aventi per iscopo di battere con tiri curvi il rispettivo specchio d'acqua. Queste opere, essendo così sottratte ai fuochi delle navi nemiche, non richiederanno quelle ingenti spese, mercè le quali soltanto sarebbe possibile metterle in grado di sostenere non troppo svantaggiosamente la lotta colle navi. Esse dovrebbero nondimeno essere chiuse alla gola e tali da poter resistere ad attacchi dalla parte di terra che il nemico tentasse operando piccoli sbarchi in prossimità della rada. In questo modo la Commissione credette fosse necessario ed urgente sistemare la rada di Vado, la cui importanza per grandi sbarchi nella riviera di ponente è ben nota all'E.V.. La Commissione non si occupò della piazza di Genova come quella che già esiste. Il sottoscritto però crede suo dovere esporre all'E.V. come, a suo avviso, sarebbe necessario mettere il fronte a mare di questa piazza in grado di resistere agli attuali mezzi d'attacco; giacché egli non divide l'opinione di coloro che credono non essere conveniente difendere le piazze marittime esposte ai bombardamenti, e ciò per le ragioni che ebbe occasione di svolgere nel seno della Commissione a proposito di Napoli nella seduta del 22 luglio. Il sottoscritto crede inoltre, stante la grande importanza strategica della piazza di Genova, che sarebbe urgente completarla anche dalla parte di terra per mezzo di nuovi forti staccati. Questa questione, alla quale si allude qui di passaggio, verrà trattata nelle successive riunioni della Commissione. Quanto alla piazza della Spezia, la Commissione non se ne è occupata a proposito della difesa costiera, essendo ormai in buone condizioni il suo fronte a mare. Però dalle discussioni fatte a proposito della radunata, risultò manifesta l'estrema necessità di sollecitare il suo completamento dalla parte di terra per sottrarla ai pericoli derivanti da colpi di mano del nemico tentati mediante sbarchi in prossimità della piazza stessa. La Commissione ha per contro esaminato la convenienza di fortificare Livorno, ed è venuta alla conclusione che le gravi spese, che a quest'uopo si richiederebbero, non sarebbero compensate da corrispondenti risultati. L'importanza dell'isola d'Elba, come base ad operazioni di sbarchi nemici sulle coste della penisola, venne sempre più messa in


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luce dalle discussioni della Commissione, la quale emise il parere che convenisse costruire delle opere alte, aventi per iscopo di battere gli specchi d'acqua delle rade di Porto Longone e Porto Ferraio. Il sottoscritto crede però, che riducendo in questi limiti le fortificazioni dell'isola d'Elba, si raggiungerebbe soltanto imperfettamente lo scopo di contrastarne efficacemente il possesso all' avversario; a raggiungere completamente il quale scopo occorrerebbe che venissero eziandio costruite delle opere destinate a battere con tiri curvi gli altri golfi esistenti nella parte centrale dell'isola. Ed infatti il nemico, operando piccoli sbarchi in questi golfi, potrebbe nel seguito far cadere le opere sovrastanti le rade di Porto Ferraio e di Porto Longone ed acquistare la facoltà di valersi di queste rade. Quanto al Porto di Talamone, avendo gli ammiragli che fanno parte della Commissione asserito che quella rada non si presta a costruire una buona base marittima perché vi dominano i venti di libeccio, la Commissione ha creduto conveniente di non fare proposte al riguardo. Essa propose invece che venissero costruite al monte Argentare delle opere alte, chiuse alla gola, e capaci di resistere ad attacchi dalla parte di terra, per battere la rada di Porto Santo Stefano. Eguali opere non sono necessarie per battere la rada di Porto Ercole, non potendo questa rada presentarsi per le sue condizioni nautiche a servire di base marittima. Essendo poi la Commissione passata ad esaminare la questione di Civitavecchia, essa si accordò nel proporre che siano occupate le sovrastanti alture con opere chiuse, armate di pezzi a lunga portata e destinate a battere con tiri curvi lo specchio d'acqua del porto, e preparati i mezzi atti ad ostruire all'evenienza l'entrata de] porto stesso. Essa si pronunciò inoltre sulla necessità che vengano al più presto distrutte le fortificazioni ora esistenti in quella piazza, acciò in nessun caso il nemico possa giovarsene e trovarvi ricovero e difesa. Quanto a Gaeta, ]a Commissione riconoscendo l'importanza della sua rada, sia come punto di sbarco del nemico sia come luogo di rifornimento della nostra squadra, espresse il parere che convenisse costruire sulle alture comprese tra Gaeta e Torre di Mola delle opere chiuse destinate a battere con tiri curvi ]o specchio d'acqua della intiera rada ed impedire così che le navi nemi-


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che vi si stabiliscano. Essa si pronunciò inoltre sulla necessità che si costruiscano a Gaeta opere destinate a coprire efficacemente i depositi di carbone e di altri materiali occorrenti alla squadra, nonché a proteggere questa contro tentativi nemici. Procedendo sempre dal nord verso il sud, la Commissione esaminò la convenienza di fortificare la rada di Baja. Questa rada si presterebbe assai bene come luogo di rifugio della flotta; ma oltre che sarebbe poco discosta dalla rada di Gaeta, si richiederebbe a quest'uopo la costruzione di una vasta piazza. Quando poi vi si costruissero alcune opere alte allo scopo soltanto di impedire che le navi nemiche vi possano stazionare, il risultato che si otterrebbe sarebbe assai meschino, presentando il golfo di Napoli molti altri punti di cui potrebbe egualmente vantaggiarsi la squadra nemica. Eppertanto la Commissione, posta nell'alternativa di proporre la costruzione di una grande piazza, come l'avrebbero desiderato gli ammiragli che ne fanno parte, o di proporre che questa eccellente rada venisse lasciata indifesa, deliberò di sospendere ogni determinazione fino a tanto che non fosse stabilito il da farsi nell'intero golfo di Napoli. La Commissione passò nel seguito ad esaminare la questione della difesa di Napoli. Parecchi membri opinarono che questa città non si potesse efficacemente difendere dalla parte del mare. Però tutti riconobbero la necessità di conservare alcuni punti vicini a quella popolosa città in cui si possa tenere alta la nostra bandiera, non solo per scopi politici ma eziandio per favorire un nostro ritorno offensivo avente per iscopo di scacciarne lo straniero. A quest'uopo la Commissione fu unanime nel proporre che venisse posto in istato di difesa il Castel S. Elmo e costruita un'opera ai Camaldoli. Nondimeno il sottoscritto avendo fatto notare il vantaggio grandissimo che risulterebbe dall'essere noi in grado di rispondere alle provocazioni del nemico e la possibilità di costruire sulla spiaggia opere capaci, se armate di potente e numerosa artiglieria, di compensare ai danni che una squadra nemica potrebbe recare alla città, infliggendo alla squadra stessa danni rilevanti e costringendola forse a ritirarsi, la Commissione deliberò di riservare la soluzione della questione alle posteriori sue sedute. A questo proposito gli ammiragli che fanno parte della Commissione dichiararono che, allorquando venisse preparato a difesa il fronte a mare di Napoli, sarebbe possibile accrescere la sua forza difensiva mediante l'impiego di mine subacquee.


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Qualunque siano però le determinazioni che si prenderanno relativamente a Napoli, sarà sempre sommamente urgente di trasferire altrove l'arsenale marittimo ivi esistente, nel quale una parte del materiale della nostra marina è esposto ora a cadere facile preda del nemico fin dal principio della guerra, e potrebbe sempre, anche quando Napoli fosse fortificata, essere distrutto dal fuoco delle sue navi. Lo stesso dicasi pel cantiere di costruzione di Castellammare. L'accennata necessità fa sentire l'urgenza che venga senz'altro indugio posto mano alla costruzione dell'arsenale di Taranto. Il vero complemento efficace della difesa di Napoli, come del resto di tutte le nostre coste, sarebbe l'esistenza d'una potente marina da guerra, la quale non dispenserebbe però dalla necessità di preparare le difese fisse, giacché la conservazione di una città così importante come è Napoli, sia come la più popolosa delle città italiane, sia come capitale di una cospicua parte del regno, non potrebbe essere subordinata alla possibilità che una parte rilevante delle nostre forze marittime si trovi al momento opportuno in grado di proteggerla. Qualora lo sviluppo delle nostre forze marittime ci mettesse in grado di fare assegnamento sulle navi da guerra per concorrere alla difesa di Napoli, diventerebbe importante di avere nella rada di Baja una stazione in cui queste navi possano essere al coperto dalle minaccie nemiche. La Commissione passò quindi ad esaminare la questione delle fortificazioni di Messina. Essa fu unanime nel riconoscere la necessità che questa piazza ci assicuri la padronanza dello stretto e provveda alla difesa della città e del porto in modo da costituire ad un tempo un luogo di rifugio e di rifornimento pella nostra marina, un ridotto per le truppe assegnate alla prima difesa della Sicilia ed una testa di ponte mediante la quale sia possibile portarvi, all'occorrenza, truppe dal continente per prendere le mosse alla riconquista dell'isola. La Commissione credette necessario di esaminare anche la questione della convenienza di sistemare il bacino della Maddalena come luogo di rifugio, di rifornimento e di riparazione della nostra squadra, acciò esso possa servire di base strategica alle operazioni. Mentre riconobbe la convenienza di _questa sistemazione, non essendo essa in grado di apprezzare l'entità dei lavori che a quest' uopo si richiederebbero, credette opportuno limitarsi


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per ora a proporre che venissero sollecitamente intrapresi degli studi a questo riguardo. Riconoscendo poi la necessità che in tutti gli studi che si riferiscano alla difesa costiera concorra l'elemento marinaresco come quello che è più in grado di conoscere la potenza offensiva e difensiva delle navi nemiche e le esigenze della nostra squadra, la Commissione fu unanime nel proporre che a questi studi vengano sempre associati peli' avvenire degli ufficiali della regia marina. La Commissione prese in ultimo ad esame la questione della convenienza che le fortificazioni di Roma siano al più presto ultimate; e riconobbe la necessità che vengano colmate le lacune ancora esistenti nella sua sistemazione difensiva, acciò si abbia la certezza che essa sia al coperto d'un colpo di mano del nemico proveniente dal mare e sia in grado di opporre una resistenza abbastanza prolungata da darci il tempo di portare forze sufficienti in suo soccorso. Ultimato così l'esame dei vari quesiti sottoposti d'urgenza alla Commissione dall'E.V., il sottoscritto la invitò, in obbedienza a quanto Ella prescriveva col suo dispaccio in data 1O luglio n. 277 riservatissimo, a proporre un ordine di precedenza nella costruzione delle opere aventi per iscopo la difesa delle coste del mar Tirreno. Dopo matura discussione la Commissione fu unanime nel riconoscere che ciascuna di queste opere dovendo soddisfare ad un urgente bisogno della difesa, non sarebbe possibile stabilire questa precedenza in modo assoluto. Epperciò, affennando la necessità che a tutte queste opere venga posto mano il più presto possibile, si limitò a proporre che la loro costruzione sia intrapresa immediatamente per quelle di cui esistono gli studi e successivamente per le altre, man mano che i relativi studi saranno compiuti. Nel por termine a questo riassunto delle prime sedute della Commissione che ho l'onore di presiedere, credo mio dovere di insistere ancora sul fatto, che una difesa veramente efficace della penisola e delle isole non si potrà ottenere se non quando disporremo di una potente marina da guerra. È perciò supremo interesse, pell' onore e pella integrità nazionale, che nel più breve spazio di tempo richiesto pella costruzione di una potente nave rispondente alle esigenze della odierna guerra marittima, l'Italia possa essere messa in grado di disporre in ogni momento di una squadra di dieci o dodici corazzate potenti e veloci.


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Credo di essere il fedele interprete del modo di vedere della intera Commissione nel dichiarare alla E.V., che quando questo fosse, le forze difensive dell'Italia, di fronte alla Francia, si potrebbero considerare come accresciute di molto. In ultimo mi faccio lecito esprimere all'E.V. il mio convincimento che, stante la insufficienza numerica del nostro esercito permanente e la poca probabilità che si possano ottenere i fondi che occorrerebbero per aumentarlo, sarebbe necessario che esso potesse ricevere un maggiore sussidio che non gli altri eserciti dalle forze di 2a linea. E perciò da noi la milizia mobile dovrebbe essere più numerosa e più solidamente costituita che non le corrispondenti truppe degli altri stati. E. Id. Fascicolo IV. Teatro di guerra N-0. Fortificazioni. Lettera riepilogativa delle discussioni fatte e delle deliberazioni prese, del Tenente Generale Luigi Mezzacapo, presidente della Commissione, a S.E. il Ministro della guerra, Roma, 20 dicembre 1881. Fonte: AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 69.

Nell'esaminare la nostra frontiera nord-ovest la Commissione tenne presente il fatto, che questa frontiera consta di due parti fra loro ben distinte, sia per la direzione generale secondo la quale si svolgono, e sia per le condizioni topografiche che a ciascuna di esse corrispondono. La parte settentrionale, compresa fra la testata della valle della Dora Baltea e quella della Vermenagna, ha il fronte rivolto ad occidente e corrisponde all'aspra zona montana costituita dalle Alpi Graie, Cozie e Marittime, attraverso le quali non possono transitare considerevoli corpi di truppa, se non nelle singole valli percorse per intero od in massima parte da strade rotabili. La parte meridionale, compresa fra la testata della valle del Tanaro e la piazza di Genova, è rivolta a mezzogiorno e fronteggia il Mediterraneo. Essa corrisponde nel suo tratto orientale alla zona costituita dagli Appennini liguri occidentali, i quali come la E.V. ben sa, hanno carattere di basse montagne quasi ovunque praticabili. L'avversario, disponendo di una forza numerica assai superiore a quella del nostro esercito e di una marina da guerra di gran lunga più potente della nostra, potrebbe attaccarci sull'uno o sull'altro degli indicati fronti o su entrambi contemporaneamente. Nel primo


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caso, restando noi incerti sul da fare, potremmo essere prevenuti su uno di essi in modo da perdere il vantaggio delle posizioni che coprono la valle del Po; nel secondo caso, attesa la sproporzione delle forze, ci sarebbe inibito di avvantaggiarci della nostra posizione interna, quando non potessimo appoggiarci su fortificazioni, le quali permettano di trattenere su uno dei fronti il nemico con forze limitate, mentre sull ' altro si compiono le operazioni decisive colla maggior parte delle nostre forze. È evidente che questa difesa con poche forze appoggiate ad opere di fortificazione non si può ottenere in modo efficace che nelle Alpi, mentre negli Appennini liguri le fortificazioni non possono servire che come perni di manovra. La Commissione si è pertanto ispirata in tutte le sue deliberazioni al concetto, che la maggior parte delle nostre forze concentrate sulla frontiera terrestre dovesse conservarsi il più lungo tempo possibile in grado di accorrere sul fronte meridionale, essendo libera da ogni preoccupazione che nel frattempo l'avversario possa, superando il fronte occidentale, sboccare nel piano e minacciarla alle spalle. E perciò le proposte da essa fatte per le fortificazioni da erigersi nelle Alpi occidentali, anziché limitarsi al semplice sbarramento delle strade rotabili , ebbero in mira una completa sistemazione difensiva di esse. La quale sistemazione difensiva, ben lungi dall'incagliare una nostra eventuale azione offensiva da quella parte, la renderebbe anzi più agevole col darle una solida base. Prendendo le mosse da questi concetti fondamentali, la Commissione esaminò i vari fasci d'invasione del tratto occidentale della nostra frontiera nord-ovest, fra i quali principali sono: quello costituito dalle valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone, e quello costituito dalle valli della Stura di Vinadio, del Gesso e della Yermegna; e secondari, quantunque importanti essi pure, quello della valle della Dora Baltea e quello della valle della Vraita. Valle della Dora Baltea. Fu da prima esaminata la sistemazione difensiva della valle della Dora Baltea. La Commissione riconobbe in massima la convenienza delle proposte fatte dalla Commissione riunita nella scorsa estate sotto la presidenza del generale Cosenz pel rafforzamento dello sbarramento di Bard, mediante la costruzione d'una nuova opera a Macaby superiore. Essa riconobbe pure l'opportunità delle preparazioni proposte a monte d'Aosta dalla Commissione stessa, allo scopo di rendere più efficace la difesa mobile degli accessi della valle.


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La Commissione rivolse però la sua attenzione al fatto, che questa linea d'invasione va ogni giorno più acquistando importanza, sia pella costruzione ad Albertville di una vasta piazza da guerra, avente carattere non solo difensivo ma ben anche offensivo, sia per la costruzione della ferrovia che, risalendo l'alta valle dell'Isère a monte della detta piazza, farà capo fra breve a poca distanza dal piccolo S. Bernardo. Ne deriva che alla valle di Aosta dovrà darsi per l'avvenire un'importanza maggiore di quella che le si attribuì finora come linea d'invasione; tanto più se si consideri che l'inconveniente notato dell'essere il suo sbocco nel piano assai discosto dagli sbocchi delle più importanti linee d'invasione, sarà ampiamente compensato, quando per essa possa operare un grosso corpo di truppe, dal fatto che una volta giunto ad Ivrea questo corpo di truppe si troverà dietro al fianco destro del fronte della difesa e minaccerà da vicino le nostre vie di ritirata che si svolgono sulla sponda sinistra del Po. Per tutte queste considerazioni la Commissione ritenne che il solo sbarramento di Bard non costituirebbe una sufficiente guarentigia e non corrisponderebbe abbastanza al concetto generale di sopra indicato. Si aggiunga che esso si trova in posizione molto ritirata e quindi vicina allo sbocco che il nemico potrebbe prontamente raggiungere, non lasciando tempo alla difesa di parare a questo pericolo, quando le opere di Bard cadessero in suo potere. S'aggiunga ancora che la maggior parte dell'estesa valle d'Aosta è ora esposta a cadere nelle mani del nemico; ad impedire la qual cosa la difesa dovrebbe spingere verso la sua testata considerevoli forze le quali vi rimarrebbero immobilitate; mentre, quando a monte d'Aosta esistesse un altro sbarramento, da un lato sarebbe possibile ritardare più lungamente con poche forze l'arrivo del nemico sotto Bard e dal1' altro non si richiederebbero forze numerose per guarentire alla valle d'Aosta quella protezione, che, ogni qualvolta non sia io opposizione cogli interessi generali della difesa, deve essere accordata alle popolazioni dello Stato. La Commissione, dopo avere riconosciuto la necessità che, per tutte le ragioni addotte, questo sbarramento avanzato venisse fatto mediante la costruzione di opere permanenti anziché colla sola preparazione della difesa mobile, com'era proposto dalla Commissione presieduta dal generale Cosenz, si divise nell'apprezzare la convenienza che tale sbarramento dovesse compren-


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dere soltanto la linea rotabile del piccolo S. Bernardo oppure estendersi anche a quella mulattiera, ma non malagevole, del gran S. Bernardo, che, come a tutti è noto, diede accesso per il passato, anche in stagione poco propizia, a numerose forze. La maggioranza della Commissione, pur riconoscendo che non converrebbe fidarsi ciecamente sul rispetto della neutralità della Svizzera, sul quale gli stessi svizzeri non fanno grande assegnamento, come lo dimostra l'opinione che fra essi va sempre più estendendosi della necessità di meglio assicurarlo con opere di fortificazione, ritenne, che il fatto che la nostra frontiera è più vicina al colle del gran S. Bernardo che non lo sia la frontiera francese, dandoci la possibilità di prevenirvi l'avversario non appena si abbia notizia della violazione del territorio neutrale, costituisca una sufficiente guarentigia, quando però anche su questa linea vengano fatti fin dal tempo di pace i preparativi occorrenti per rendervi più efficace la difesa mobile. Questo concetto, ispirato principalmente dal desiderio di non aumentare di troppo le opere permanenti, fu combattuto dalla minoranza, alla quale appartenne pure il sottoscritto, ritenendo essa che la non grande economia che in questo modo si otterrebbe sarebbe ben lungi dal compensare il grave inconveniente di dovere immobilitare maggiori forze in un punto così lontano dal più probabile teatro delle operazioni decisive. Non essendo però riuscita a far prevalere le sue idee nel seno della Commissione, la minoranza si associò alla deliberazione che sulla linea del gran S. Bernardo dovessero almeno farsi i preparativi aventi per iscopo di mettere in buone condizioni la difesa mobile. In ultimo la Commissione fu unanime nel riconoscere la convenienza che venisse preparata la difesa mobile dell'alta valle di Champorcher o conca di Dondena, l'occupazione della quale, una volta che la testata della valle di Aosta sia caduta in potere del nemico, avrebbe un'influenza grandissima sulla ulteriore difesa di essa e quindi anche sulla durata della resistenza delle fortificazioni di Bard. Riassumendo, le proposte votate dalla Commissione relativamente alla valle d'Aosta furono: 1.0 "Costruzione di un nuovo sbarramento permanente sulla linea del piccolo S. Bernardo a monte d'Aosta" (Approvata ad unanimità).


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2.0 "Costruzione di un nuovo sbarramento permanente sulla linea del gran S. Bernardo a monte d'Aosta" (Respinta con 6 voti contrari e 4 favorevoli). 3_0 "Preparazione della difesa mobile sulla linea del gran S. Bernardo a monte d'Aosta" (Approvata ad unanimità). 4_0 "Costruzione di una batteria a Macaby superiore a complemento del forte di Bard" (Approvata ad unanimità). 5.o "Preparazione della difesa mobile della conca di Dondena" (Approvata ad unanimità).

Valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone. Le valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone formano, come già venne dianzi indicato, un solo fascio d'invasione e debbono per conseguenza essere comprese in una sola sistemazione difensiva; ciò non esclude però che ciascuna di queste valli debba avere il suo speciale sbarramento costituito in modo da offrire le massime guarentigie di una prolungata resistenza. E perciò la Commissione espresse il voto che venissero maggiormente rafforzati gli sbarramenti del Cenisio, di Exilles e di Fenestrelle, secondo le proposte della Commissione presieduta dal generale Cosenz. L'importanza che alle opere del Cenisio sia data la massima forza di resistenza risulta sia dalla grande potenzialità logistica della linea che esse sbarrano, sia dal fatto che, trovandosi molto avanzate, non riuscirebbe facile sostenerle immediatamente colle truppe tenute in riserva più indietro, tanto più che queste, una volta che fossero portate sull'altipiano del Cenisio, si troverebbero impegnate in una direzione divergente. Quanto alla valle della Dora Riparia, la Commissione ha ritenuto che le fortificazioni di Exilles potranno costituire un vantaggioso sbarramento avanzato di essa, qualora vengano completate colla costruzione delle due opere proposte dalla Commissione presieduta dal generale Cosenz a Fenils ed ai Sappé. In ultimo la Commissione riconobbe la convenienza che le fortificazioni di Fenestrelle venissero completate con un 'opera da costruirsi a Ser-


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re Marie, per l'azione che questa opera avrebbe sul terreno del1' attacco del forte. La Commissione presieduta dal generale Cosenz, nell'intento di collegare le difese della valle della Dora Riparia con quelle del Chi sone, propose che venisse preparata l'occupazione e la difesa del Grand Serin con truppe mobili, e che questo monte venisse messo in comunicazione colle fortificazioni di Fenestrelle mediante una strada che dal forte del1e VaJli salga presso il colle della Finestra e quindi, svolgendosi a prossimità della cresta, raggiunta il Grand Serin. La Commissione, riconoscendo la grande importanza dello scopo cui mirava questa proposta e la sua convenienza trattandosi di una affrettata sistemazione difensiva, ritenne fosse urgente, in una completa sistemazione della difesa della nostra frontiera nord-ovest, impiegare per raggiungerlo mezzi anche più efficaci; e perciò propose che le posizioni del Grand Serin e del colle della Finestra vengano rafforzate con opere permanenti in modo da assicurarne il possesso stabile alla difesa, e che si aprano le strade rotabili occorrenti per mettere in comunicazione fra loro queste posizioni, nonché la valle della Dora con quella del Chisone attraverso il colle della Finestra e Meana colla Serra d' Amau passando per la Madonna della Losa, la quale ultima strada dovrebbe essere, secondo il concetto della Commissione, prolungata dalla Serra d' Arnau al Grand Serin mediante l'apertura d'una comoda e larga mulattiera. In ultimo la Commissione propose che si costruisse sulle falde meridionali del Grand Pelà, altura che sorge ad un chilometro circa a sud-est del Grand Serin, un'opera destinata, sia a rafforzare la difesa di questo, concorrendo coi suoi fuochi a battere il terreno dell'attacco, sia a battere di rovescio il fondo della valle del Chisone e la strada che lo percorre fra Pourières e Fenestrelle, in modo da rendere, se non affatto impossibile, almeno improbabile l'attacco delle fortificazioni di Fenestrelle prima della caduta del Grand Serin e del Grand Pelà, anche indipendentemente dall'azione delle truppe mobili. Una simile sistemazione, mediante strade ed opere permanenti, del contrafforte compreso fra le valli della Dora Riparia e del Chisone, darebbe la possibilità di operare in modo efficacissimo a cavallo delle due valli e per conseguenza ne rafforzerebbe grandemente la difesa.


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La Commissione, considerando poi nel suo complesso l' intero scacchiere costituito dalle valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone, ha riconosciuto che Susa è il centro della sua difesa. Fino a tanto che questo punto rimarrà in nostro potere la caduta del Cenisio e di Exilles non avrà una grande influenza sugli ulteriori progressi del nemico. Certamente, anche quando Susa sia occupata dal nemico, la sistemazione proposta pel rafforzamento del contrafforte compreso fra il Grand Serin e il colle della Finestra permetterà alla difesa, quando essa disponga di sufficienti truppe mobili, di contrastare gli ulteriori progressi del nemico nella valle della Dora Riparia, minacciandolo continuamente di fianco ed alle spalle. Ma per ciò fare la difesa dovrebbe basarsi sulla valle del Chisone, le cui comunicazioni colla pianura sono esposte ad essere intercettate per le valli del Pellice e della Germagnasca. Inoltre la gran quantità di forze che può procedere per la strada del Cenisio permetterebbe al nemico di mascherare le posizioni del Grand Serio e del colle della Finestra e proseguire, col rimanente delle sue forze, nella valle della Dora, nel qual caso le truppe della difesa concentrate nella valle del Chisone sarebbero compromesse e forse costrette ad abbandonarla; mentre, d'altra parte, finché la difesa rimarrà in possesso del nodo di Susa, delle alture del Grand Serin e del colle della Finestra, essa sarà sempre in grado di impedire l'attacco di Fenestrelle. S'aggiunga che una volta padrone del Cenisio e di Exilles il nemico, non trovando ulteriori ostacoli a Susa, avrebbe facoltà di riunire le sue forze provenienti dal Monginevra e dal Moncenisio e di procedere quindi all'attacco del Grand Serin e del colle della Finestra. S'aggiunga ancora che una volta fossero cadute le fortificazioni di Exilles, il nemico, spingendosi su Susa, minaccierebbe le comunicazioni delle fortificazioni del Cenisio coll'interno del paese e colle fortificazioni di Fenestrelle. In conseguenza di tutto ciò la Commissione riconobbe la utilità di costruire intorno a Susa un secondo sbarramento delle valli della Cenischia e della Dora Riparia, utilità che, a mio avviso personale, assume il carattere di assoluta necessità, giacché, risolvendosi alla costruzione del limitato numero di opere che si richiederebbero per costituire il detto sbarramento, si otterrebbe assai probabilmente il risultato che l'avversario, prevedendo di incontrare in questo fascio principalissimo d'invasione ostacoli quasi insupe-


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rabili, rinuncierebbe assolutamente a valersene, con quanto vantaggio della difesa non occorre accennare all'E.V.. Finalmente la Commissione rilevò la capitale importanza della interruzione della galleria del Fréjus, quale necessario complemento della sistemazione difensiva dello scacchiere costituito dalle valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone. Per effettuare siffatta interruzione, anche quando tutto sia stato predisposto fin dal tempo di pace, occorreranno parecchi giorni; e perciò il fatto che la conca di Bardonnecchia è aperta a facili, pronte e convergenti offese dalla parte del nemico, potrebbe assai facilmente compromettere la riuscita di questa importantissima operazione. La Commissione riconobbe per conseguenza la necessità che venga costruita nella conca di Bardonnecchia un 'opera permanente, che abbia per iscopo di dare la sicurezza che i colpi di mano del nemico contro l'imbocco sud della galleria non potranno impedirci di effettuare le occorrenti distruzioni nell'interno di essa. Riassumendo, furono dalla Commissione votate le seguenti proposte relativamente alle valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone: 1.0 "Rafforzamento delle posizioni del Cenisio, di Exilles e di Fenestrelle secondo i concetti della Commissione presieduta dal generale Cosenz" (Approvata ad unanimità). 2.0 "Costruzione di opere permanenti al Grand Serin, al Grand Pelà ed al colle della Finestra" (Approvata ad unanimità). 3_0 "Costruzione delle rotabili: a) Fenestrelle-Pian de l'AlpeGrand Serin; b) Fenestrelle-colle della Finestra-Meana; e) Meana-Serra d' Arnau; e di una larga e comoda mulattiera dalla Serra d' Arnau al Grand Serin" (Approvata ad unanimità). 4_0 "Studio di uno sbarramento permanente di seconda linea presso il confluente delle valli della Dora e della Cenischia" (Approvata ad unanimità). Valli del Pellice e della Germagnasca. La Commissione passò quindi all' esame delle valli del Pellice e della Germagnasca, per le quali l' avversario potrebbe cadere sul rovescio di Fenestrel-


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le. Non si disconobbe il vantaggio che dall'esistenza di qualche opera permanente deriverebbe alla difesa per impedire questo aggiramento. Però, considerando che esso non potrebbe essere eseguito se non con limitate forze di fanteria e di artiglieria da montagna, le quali si troverebbero poi in posizione intermedia fra le fortificazioni di Fenestrelle e le nostre riserve tenute in pianura, e quindi in una situazione molto compromessa, e tenendo conto eziandio delle difficoltà dei luoghi, la Commissione fu unanime nel limitarsi a proporre: "Che nelle valli del Pellice e della Germagnasca vengano fatte le preparazioni occorrenti acciò la difesa mobile di esse possa effettuarsi in buone condizioni" Anche questa deliberazione fu suggerita dal desiderio di limitare per quanto possibile le opere di fortificazione permanente. Io debbo però dichiarare che le ragioni addotte in favore di tale deliberazione non valsero a dissipare in me il dubbio che questa non sia per avventura la miglior soluzione.

Valle della Vraita. Sebbene la valle della Vraita non sia per intero percorsa da una strada rotabile, essa ha non poca importanza pel fatto che la rotabile che la risale fino a Casteldelfino dista di poco da quella che sul versante francese si avanza fino a Fontgillarde, mentre l'interposto colle dell'Agnello offre tali condizioni di terreno, che non riuscirebbe difficile all'invasore di adattare la mulattiera che lo valica per passaggio dell' artiglieria da campagna. Per queste considerazioni e pel fatto che il nemico potrebbe valersi de)]a valle della Vraita per stabilire, al momento dello sbocco in pianura, un collegamento fra le truppe sboccanti dalla valle del Chisone e quelle sboccanti dalla valle della Stura di Vinadio, la Commissione fu unanime nel riconoscere la convenienza che venga costruito in quella valle uno sbarramento permanente a prossimità di Sampeyre. Le opere di questo sbarramento dovranno, per la condizione dei luoghi, protendersi a nord fino alla Cima di Crosa, dalla quale sarà possibile esercitare un'azione controffensiva nell'alta valle del Po, in modo da impedire le operazioni che il nemico vi potrebbe tentare con poche forze. La Commissione propose inoltre di preparare l'occupazione con truppe mobili del colle di Elva (o Sampeyre), pel quale sul davanti del proposto sbarramento si scavalca il contrafforte com-


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preso fra la valle della Vraita e quello della Maira. Questo colle ha importanza rilevante non solo perché da esso le truppe dell'avversario, che fossero penetrate nell'alta valle della Vraita, potrebbero scendere in quella della Maira per concorrere poi alle operazioni nella valle della Stura di Vinadio, ma eziandio perché il terreno pianeggiante, che nel versante meridionale della valle della Vraita si trova ad esso sottoposto ed è da esso completamente dominato, è appunto il solo pel quale l'avversario potrebbe procedere all'attacco dello sbarramento proposto presso Sampeyre. Mentre la maggioranza della Commissione opinò che la proposta preparazione per occupazione con truppe mobili fosse sufficiente a raggiungere lo scopo di contrastare così il passaggio nella valle della Maira, come l'attacco dello sbarramento della valle della Vraita, la minoranza, della quale faceva parte il sottoscritto, fu d'avviso che convenisse occupare l'indicato colle con qualche opera permanente, il cui attacco, per le condizioni dei luoghi, riuscirebbe difficile; mentre l'esistenza di esse opere assicurerebbe alla difesa la possibilità di operare offensivamente così dalJa valle della Maira verso quella della Vraita, per impedire l'attacco delle opere stesse e quindi quello dello sbarramento di Sampeyre, come dalla valle della Vraita verso quella della Maura, per mandare a vuoto i tentativi che il nemico potrebbe in quest'ultima fare con limitate forze. S'aggiunga che allorquando esistessero queste opere e si aprisse, come venne da taluno proposto, una comunicazione rotabile fra il colle di Elva ed il colle del Mulo, alla quale si allaccerebbe sul fondo della valle della Maira la rotabile ora in costruzione che risalirà quest'ultima valle sino a Prazzo, le valli della Maira e della Vraita sarebbero collegate a quella della Stura in modo molto opportuno per la difesa; di guisa che esse diventerebbero quasi un accessorio della difesa delle valli della Stura di Vinadio e della Vermenagna. Nella maggioranza però della Commissione prevalse anche qui il concetto che si dovessero per quanto possibile economizzare le opere di carattere permanente; epperciò il concetto della costruzione della indicata strada venne esso pure abbandonato. Riassumendo, furono dalla Commissione votate le seguenti proposte relative alla sistemazione difensiva della valle della Vraita: 1,0

"Costruzione di uno sbarramento permanente presso Sampeyre" (Approvata ali' unanimità).


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2.0 "Costruzione di opere permanenti al colle d'Elva (o di Sampeyre), anche quando queste opere non siano riconosciute necessarie per completare lo sbarramento della valle della Vraita" (Respinta con 6 voti contrari e 4 favorevoli). 3_0 "Preparazione del colle d'Elva (o di Sampeyre) per una occupazione eventuale con truppe mobili" (Approvata ad unanimità). Valli della Stura di Vinadio, del Gesso e della Vermegnana. Relativamente allo sbarramento della valle della Stura, la Commissione si associò in massima alle proposte fatte dall'altra Commissione riunita nella scorsa estate sotto la presidenza del generale Cosenz pel rafforzamento delle fortificazioni di Vinadio; il quale rafforzamento si otterrebbe mediante la costruzione di una batteria sul fondo della valle tra il forte ed il fiume, la costruzione di spianati sul davanti del forte di Neghino, l'apertura di una strada che conduca dal fondo della valle alla Sersiera, la costruzione in quest'ultima località di una batteria in barbetta e di spianamenti pel collocamento di bocche da fuoco ed in ultimo la costruzione di un corpo di guardia difensivo a Cima delle Sources per proteggere la Sersiera dalla fucileria della fanteria nemica. La Commissione esaminò quindi la convenienza della occupazione della regione del Mulo, la quale, quando fosse caduta in potere dell'attaccante, gli permetterebbe di scendere pel vallone dell'Arma a rovescio delle fortificazioni di Vinadio, che, come la E.V. ben sa, sono assai deboli alla gola e quindi potrebbero essere compromesse dalla effettuazione di un simile aggiramento. Molto disparate furono le opinioni che si manifestavano nel seno della Commissione relativamente a questa questione. Il generale Cosenz espresse l'opinione che convenisse abbandonare la regione del Mulo, portando più indietro le difese al massiccio delle roccie di Serour ed occupando artche le alture del colle di Neraise sul davanti di Vinadio e quelle del Pian del Corso di Cavallo sul contrafforte tra l'Arma e la Stura. Così facendo si sarebbe, a suo avviso, in grado di proteggere il forte di Vinadio sul davanti e contro gli aggiramenti pel vallone dell 'Arma, evitando gli inconvenienti che sarebbero inseparabili da una occupazione della regione del Mulo pel fatto della sua ampiezza e della possibilità che venga


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attaccata da molte parti, nonché per le sue poco favorevoli condizioni climateriche e per la deficienza di acqua e di combustibile. Altri opinarono che l'abbandono della regione del Mulo non sarebbe consigliabile, perché toglierebbe alla difesa della valle della Stura la possibilità di far sentire la sua azione nelle valli della Maira e della Grana e di impedire così, non solo gli aggiramenti vicini del forte di Vinadio, ma eziandio quelli più larghi che potrebbero essere tentati dal nemico per le sopraindicate valli. Questo concetto fu ammesso dalla grande maggioranza della Commissione, che però si scisse nell'apprezzamento del modo col quale l' occupazione della regione in parola si dovrebbe sistemare. Alcuni membri ritenevano che questa sistemazione si dovesse limitare alla sola preparazione della difesa attiva. Altri, e fra essi il sottoscritto, furono d'avviso che una tale preparazione non fosse sufficiente, tenuto conto della importanza della regione del Mulo e della convenienza di conservarne il possesso senza immobilitarvi le molte forze che si richiederebbero per farvi una efficace difesa attiva. Quest'ultima opinione ebbe la maggioranza. Senonché essendosi posteriormente, come si dirà a suo tempo, deliberato di proporre la costruzione di opere di fortificazione permanente a Borgo S. Dalmazzo, la maggioranza della Commissione opinò che, qualora queste fortificazioni vengano erette, si potrà prescindere dalla sistemazione difensiva del colle del Mulo con opere permanenti. Nel seguito la Commissione, considerando che la difesa della valle della Stura di Vinadio è intimamente legata con quella delle valli della Vermenagna e del Gesso, prima di procedere oltre nel suo esame, volle essere informata delle proposte già inoltrate al Ministero da una Commissione presieduta dal generale Cosenz per la sistemazione difensiva del colle di Tenda, e si associò con voto unanime a queste proposte. Essa fu pure concorde nel parere che debba essere conservato a spese del Ministero della guerra il tratto di strada rotabile esistente fra il colle e lo sbocco nord della galleria. Essendo stata fatta la proposta che fosse parimenti conservato a spese del Ministero della guerra il tratto di strada compreso fra il colle e lo sbocco sud della galleria allo scopo di favorire le nostre eventuali operazioni offensive nella valle della Roja, nella votazione di questa proposta si ebbero 3 voti favorevoli, 3 contrari e 3 astensioni.


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Quindi venne presa in esame la convenienza di fare uno sbarramento permanente nella valle del Gesso, la quale valle, benché secondaria, esercita, per la sua posizione intermedia fra quelle della Stura e della Vermenagna, un'azione importante sulla difesa di queste due valli. L'opportunità di un simile sbarramento, e la convenienza di costruire a tergo degli sbarramenti di Vinadio e del colle di Tenda un secondo sbarramento delle valli della Stura e della Vermenagna, analogamente a ciò che si propose per le altre principali linee d'invasione della frontiera nord-ovest, indusse la Commissione a riconoscere la necessità che venissero costruite alcune opere permanenti sulle alture che stanno davanti a Borgo S. Dalmazzo. Assicurando a questo modo alla difesa il possesso del detto punto, si otterrà il risultato rilevantissimo di sbarrare ad un tempo le tre valli della Stura, del Gesso e della Vermenagna; di rafforzare gli sbarramenti avanzati di Vinadio e del colle di Tenda, giacché la caduta di uno di essi più non scuoterebbe come al presente la difesa deII' altro; ed in ultimo di guarentire alla difesa il possesso della posizione di sbocco di Borgo S. Dalmazzo, anche quando momentaneamente le sue riserve fossero state spostate in altra direzione. Di guisa che, quando lo svolgimento delle operazioni permettesse di portare forze considerevoli verso Borgo S. Dalmazzo, queste avrebbero la certezza di non esservi prevenute dall'avversario. È bensì vero che l'estensione della posizione di sbocco di Borgo S. Dalmazzo richiederebbe di costruire un numero rilevante di opere, quando si avesse in mira di costituirvi uno sbarramento assoluto, avente per iscopo d'impedire che anche limitate forze avversarie possano penetrare nella pianura prima di averlo in parte espugnato; la Commissione però riconobbe non essere necessario proporsi un tale scopo. Quand'anche il nemico, dopo espugnate le fortificazioni di Vinadio e del colle di Tenda, possa spingere nella pianura attraverso le opere di Borgo S. Dalmazzo qualche distaccamento isolato, ciò non sarà di alcuna conseguenza pella difesa, giacché, trattandosi di opere chiuse, questi distaccamenti non potrebbero affrettarne la caduta e si troverebbero in una posizione molto compromessa al sopraggiungere delle nostre riserve. La maggioranza della Commissione ritenne per conseguenza che la proposta sistemazione difensiva della posizione di Borgo S. Dalmazzo possa essere fatta con un numero limitato di opere co-


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struite sui punti che costituiscono i capi saldi della posizione stessa, e disposte in modo da rendere impossibile al nemico di avanzare per le strade rotabili che l'attraversano. Riassumendo, furono dalla Commissione votate le seguenti proposte relative aJla sistemazione difensiva delle valli della Stura di Vinadio, del Gesso e della Vermenagna: 1.0

"Costruzione di opere permanenti nella regione del Mulo" (Approvata con 6 voti favorevoli e 4 contrari). 2.0 "Sistemazione dello sbarramento del colle di Tenda secondo le proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Cosenz" (Approvata ad unanimità). 3_0 "Conservazione a spese del Ministero della guerra della strada dal colle di Tenda allo sbocco nord della galleria" (Approvata all'unanimità). 4_0 "Conservazione a spese del Ministero della guerra della strada dal colle di Tenda allo sbocco sud della galleria" (3 voti favorevoli, 3 contrari e 3 astensioni).

5.o "Costruzione di opere di fortificazione permanente sulle alture che stanno davanti a Borgo S. Dalmazzo" (Approvata con 8 voti favorevoli ed 1 contrario).

6.o "Possibilità di prescindere dalla costruzione di opere permanenti nella regione del Mulo, quando vengano fortificate le alture che stanno davanti a Borgo S. Dalmazzo" (Ammessa con 6 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astensioni). 7_0 "Convenienza che, qualora si prescinda dalla costruzione di opere permanenti nella regione del Mulo, questa venga preparata per una difesa eventuale con truppe mobili" (Ammessa con 8 voti favorevgli_ ed I contrario).

Riviera di ponente. La superiorità marittima della Francia ci obbliga a tener conto nella parte meridionale della nostra frontiera nord-ovest non solo degli attacchi provenienti per la strada della


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Cornice, ma eziandio di quelli che potrebbero essere eventualmente operati mediante sbarchi contro il tratto dell'Appennino ligure che corre fra la testata della valle del Tanaro e Genova. Il tratto maggiormente importante di questo fronte è quello compreso tra il colle di S. Bernardo e il colle di Altare, i quali distano tra loro di circa 30 chilometri. Su questo tratto dovranno necessariamente venire ad urtare sia le forze nemiche provenienti dalla strada della Cornice, sia quelle sbarcate sulla costa compresa fra la frontiera e Savona e più particolarmente nella rada di Vado. L'occupazione di esso copre la valle del Tanaro e le varie valli della Bormida, che sono collegate fra Ceva e Carcare da una comunicazione, sulla quale dovranno di necessità essere disposte le nostre riserve in posizione da accorrere prontamente su qualsiasi punto del fronte S. Bernardo Altare. L'offensiva da questo fronte verso la costa è favorita in modo affatto speciale dalle condizioni topografiche, e può essere resa anche più efficace mediante l'apertura di nuove strade e la costruzione di opere di fortificazione. È per conseguenza evidente che il fronte S. Bernardo Altare deve essere considerato come base della difesa e come appoggio delle operazioni controffensive nella riviera di ponente; il che non implica però che si debbano necessariamente abbandonare quelle posizioni più avanzate che permettano d'arrestare od almeno di ritardare la marcia del nemico lungo la strada della Cornice. Fra queste posizioni le più convenienti sono quelle costituite dai due contrafforti che racchiudono da sud e da nord la valle del1' Arrosia. Ambedue questi contrafforti scendono dal tratto della dorsale appenninica corrispondente all'alta valle del Tanaro obliquamente verso la costa, talché la possibilità di conservarne il possesso è strettamente collegata al possesso dell'alta valle del Tanaro; il quale acquista poi sempre maggiore importanza pel vantaggio che da esso deriverebbe alla difesa, quando questa fosse in grado di procedere ad una generale controffensiva nella riviera di ponente. La Commissione incominciò per conseguenza ]o studio della sistemazione difensiva di questa parte della nostra frontiera nordovest da quello dell'alta valle del Tanaro. La testata della valle del Tanaro è militarmente, non meno che orograficamente, divisa in due parti distinte. Quella che sta a nord del monte Bertrand e corrisponde alle sorgenti del Negrone e


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del Rio Freddo interessa più direttamente la difesa del colle di Tenda; mentre quella che sta a sud del detto monte e corrisponde alle sorgenti del Tanarello, della Taggia e della Levenza, costituisce più particolarmente la destra della prima delle due posizioni avanzate che vennero dianzi indicate. Quest'ultima parte della testata della valle del Tanaro esercita essa pure un'azione non meno efficace, quantunque meno diretta, sulla difesa del colle di Tenda per la valle della Levenza. Molto opportunamente perciò la Commissione che si riunì nella scorsa estate sotto la presidenza del generale Ricotti propose che si preparasse l'occupazione, con poche truppe mobili, dei passi che stanno più a nord del monte Bertrand, e che si preparasse l'eventuale concentramento di forze relativamente considerevoli a sud del detto monte, o meglio alla testata del vallone del Tanarello, mediante una strada rotabile che, partendo dal colle di Nava e svolgendosi in prossimità della cresta apenninica fino al colle di S. Bernardo di Mendatica, penetri nel vallone del Tanarello e quindi, seguendo a metà costa il versante settentrionale del monte Frontè e del monte Saccarello, si protenda fino al colle del Tanarello. La Commissione, mentre riconobbe l'opportunità di questa proposta, esaminò se per avventura non fosse più conveniente rafforzare la testata della valle del Tanaro con opere di carattere permanente. La maggioranza, ispirandosi sempre al concetto che si debba fare il maggior risparmio possibile di fortificazioni permanenti, opinò per la semplice preparazione della difesa attiva, tanto più che nessuna strada rotabile attraversa attualmente quella regione. La minoranza invece, alla quale appartenne il sottoscritto, fu d'avviso che converrebbe vietare al nemico l'uso dei colli che attraversano la testata della valle del Tanaro con qualche opera di carattere permanente, sia perché in questo modo ne sarebbe maggiormente assicurato il possesso, sia perché siffatto risultato si potrebbe ottenere immobilitando un minor numero di forze mobili. Il sottoscritto è anzi d'avviso che una volta fossero costruite le accennate opere, sarebbe conveniente prolungare dal colle del Tanarello a Briga la rotabile che la Commissione presieduta dal generale Ricotti propose di costruire fra il detto colle e quello di Nava, in modo che essa costituisca un nuovo sbocco offensivo della difesa nella valle della Roja, aumentando così sempre più l' effica-


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eia del concorso che dalla occupazione della testata della valle del Tanaro può essere prestato alla difesa del colle di Tenda. Una volta che il nemico si fosse impadronito delle alture del fianco destro della valle dell' Arrosia, esso potrebbe avanzare verso la valle del Tanaro per le rotabili Oneglia-Pieve-colle di NavaOrmea ed Albenga-colle di S. Bernardo-Garessio; ne risulta quindi la necessità che queste due rotabili siano permanentemente sbarrate. Per ciò che si riferisce allo sbarramento quasi ultimato del colle di Nava, la Commissione osservò che le opere delle quali esso si compone, oltre allo scopo di arrestare la marcia del nemico da Oneglia ad Orrnea, debbono soddisfare eziandio allo scopo di costituire l'appoggio di destra della eventuale occupazione del contrafforte di sinistra dell' Arrosia. Certamente quando, dopo caduto il contrafforte di destra dell' Arrosia, la testata della valle del Tanaro fosse tuttavia in nostro potere, le fortificazioni di Nava non avrebbero nulla da temere da quella parte, ed in ciò il sottoscritto ravvisa un'altra ragione perché alla sistemazione difensiva della testata della valle del Tanaro si dia il carattere di fortificazione permanente. Una volta però che la testata della valle del Tanaro fosse caduta in potere del nemico, questo potrebbe penetrare a tergo delle fortificazioni di Nava, intercettare le comunicazioni con Garessio e quindi scuoterne la difesa. Ad evitare questo pericolo si presta opportunamente l'occupazione del monte Escia, il quale, restringendo colle sue propagini settentrionali la valle del Tanaro a monte di Nava, costituisce quasi una seconda testata della valle stessa. L'opportunità di una tale occupazione, già riconosciuta dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti, venne unanimamente ammessa dalla Commissione, la quale però si scisse nella scelta delle modalità della occupazione stessa. La maggioranza, ispirandosi sempre al desiderio di limitare al puro necessario le opere di fortificazione permanente, fu d'avviso che, analogamente alle proposte già inoltrate dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti, la sistemazione difensiva del monte Escia dovesse ridursi a prepararne soltanto la occupazione con truppe mobili; mentre la minoranza, di cui fece parte il sottoscritto, ritenne che questa sistemazione dovesse essere fatta con opere permanenti, allo scopo sopra tutto di realizzare nella sua difesa una economia di forze mobili. S'aggiunga che col fortificare in modo permanente il monte Escia si afforzerebbero le fortificazio-


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ni di Nava, sia perché il nemico non potrebbe da esso battere la torre di Possanghi e sia perché, anche quando questa venisse da altre parti battuta e rovinata, il nemico non potrebbe stabilirsi sulI'altura ove essa sorge per battere le opere principali del colle di Nava senza essersi prima impadronito del monte Escia, il quale, se solidamente fortificato, potrebbe opporre una resistenza assai prolungata. Quanto allo sbarramento della strada da Albenga a Garessio, la Commissione si .associò con voto unanime alle proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti pel completamento delle fortificazioni di Zuccarello, esprimendo il parere che la costa di Semeggio debba essere fortemente occupata con opere permanenti. La Commissione passò in seguito ad esaminare la sistemazione difensiva del fronte S. Bernardo-Altare che, come già ebbi l'onore di accennare alla E.V., essa ritenne doversi considerare come la base della nostra difesa nella riviera di ponente. Questo fronte sarebbe esposto ad essere aggirato sulla destra, quando il nemico fosse riuscito a penetrare nella valle del Tanaro. Allo scopo di premunirsi contro un tale pericolo, la maggioranza della Commissione fu d'avviso che si dovessero costruire opere sul contrafforte che separa la valle del Tanaro da quella della Bormida di Calizzano, le quali opere, appoggiandosi alla Cianea sulla dorsale degli Apennini, avrebbero anche azione sulla strada del colle S. Bernardo, una volta che il forte di Zuccarello fosse caduto nelle mani del nemico, e dominando la Colla Bassa costituirebbero lo sbarramento di una rotabile di cui la Commissione credette proporre la costruzione tra Calizzano e Garessio per la detta Colla. Mercè l'esistenza di queste fortificazioni e della strada Calizzano-Garessio, la difesa, dopo la caduta dei forti di Nava e di Zuccarello, sarebbe in grado non solo di proteggere il fianco destro del fronte S. Bernardo-Altare, ma eziandio di compiere operazioni offensive contro il nemico che si arrischiasse di scendere la valle del Tanaro per avvolgere con più largo movimento la detta linea. Le fortificazioni della Cianea e della Colla Bassa, e la strada Calizzano-Garessio, potrebbero inoltre permettere di operare offensivamente dalla valle del Tanaro in quella della Bormida di Calizzano contro le forze nemiche che fossero riuscite a penetrare nella conca di Bardinetto; di guisa che esse costituirebbero, se non un secondo sbarramento assoluto delle


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strade di Nava, di S. Bernardo e di Melogno, un perno per le manovre della difesa dopo che alcuni degli sbarramenti avanzati di queste linee fossero caduti in potere del nemico. La minoranza della Commissione, alla quale appartenne il sottoscritto, pur riconoscendo il vantaggio che deriverà alla difesa dalla esistenza delle fortificazioni della Cianea e della Colla Bassa, avrebbe preferito la costruzione di un secondo sbarramento diretto delle strade di Nava e di S. Bernardo a monte di Garessio. Questo duplice sbarramento, comprendendo le strette di Garessio ed il colle di S. Bernardo, avrebbe bensì richiesto un qualche maggiore sviluppo di opere; esso avrebbe però costituito un più solido appoggio dell'ala destra del fronte S. Bernardo-Altare, e conservandoci il possesso del colle di S. Bernardo ci avrebbe messi in migliori condizioni controffensive, vietando in modo assoluto all'avversario di stabilirsi così su questo colle come alle strette di Garessio, in modo da impedire od almeno contrastare i nostri ritorni offensivi sia nella direzione di Zuccarello, e sia verso l'alto Tanaro. La proposta che venga costruito il detto sbarramento della valle del Tanaro a monte di Garessio essendo stata respinta dalla maggioranza della Commissione, questa esaminò la convenienza di proporre, che oltre le opere sopra indicate da erigersi alla Cianea ed alla Colla Bassa, venga costruito uno sbarramento permanente a valle di Garessio; la maggioranza della Commissione escluse anche questo secondo sbarramento. Allo scopo poi di agevolare sempre più le operazioni offensive dall'ala destra del fronte S. Bernardo-Altare verso la costa, la Commissione fu unanime nel proporre che venga autorizzata l' apertura di una strada rotabile tra Bardinetto e Toirano, alla condizione però che, contemporaneamente alla costruzione di essa, vi si eriga uno speciale sbarramento. Per lo stesso scopo la Commissione fu pure unanime nel proporre che venga sollecitato il compimento della strada Calizzano-Murialdo-Millesimo. Relativamente alle strade che valicano la dorsale apenninica ai colli di Melogno e di Altare, la Commissione, avendo avuto dal generale Ricotti comunicazione delle proposte fatte dalla Commissione da lui presieduta per la erezione di uno sbarramento a Melogno e pel completamento dello sbarramento di Altare, si associò in massima a queste proposte con voto unanime.


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La Commissione ebbe poi dal generale Longo comunicazione delle proposte inoltrate al Ministero per la costruzione di batterie da costa nell a rada di Vado in base al voto da essa emesso nello scorso luglio, e le riconobbe opportune. Essa ritenne però fosse conveniente proteggere da rovescio queste batterie e collegarle colle opere dello sbarramento di Altare mediante la costruzione di un forte al monte Giuto. Il generale Ricotti avendo poi espresso l' avviso che colla costruzione di questo forte si potrebbe risparmiare la costruzione di un' opera proposta verso Cadibona dalla Commissione da lui presieduta, la Commissione adottò essa pure questo parere. Quantunque io mi sia associato a tale opinione degli altri membri dell a Commissione, non parendomi assolutamente necessaria la costruzione di un' opera a Cadibona quando ne esista una a monte Giuto, tuttavia è rimasto in me il dubbio che l'abbandono dell ' opera di Cadibona non sia scevro di inconvenienti. Colla sistemazione proposta del fronte S. Bernardo-Altare si avrà un buon appoggio di questa linea sull 'ala sinistra nonché buone condizioni difensive e controffensive davanti al fronte; ma, a mio avviso, sarà insufficiente l'appoggio dell'ala destra e non si avranno condizioni molto favorevoli per la controffensiva sull 'ala stessa. La Commissione ebbe poi partecipazione dal generale Ricotti delle proposte fatte dalla Commissione da lui presieduta per lo sbarramento delle rotabili che attraversano la dorsale apenninica fra il colle di Altare e quello della Bocchetta, e si associò a queste proposte, sia per ciò che si riferisce al colle del Giovo e sia per ciò che si riferisce al colle del Turchino, raccomandando la sollecita costruzione dello sbarramento del passo del Giovo, atteso l' intimo legame esistente fra questo passo e il fronte S. BernardoAltare. In ultimo la Commissione fu unanime nell'esprimere il voto che venga sollecitata la costruzione dei tronchi ferroviari Ceva-Garessio e Mondovì-Cuneo. Riassumendo, furono dalla Commissione votate le seguenti proposte: 1.0 "Occupazione con opere permanenti delle posizioni del monte Saccarello e del colle di Tanarello" (Respinta con 5 voti negativi e 4 affermativi).


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2.0 "Preparazione della eventuale occupazione con truppe mobili delle posizioni del monte Saccarello e del colle di Tanarello" (Approvata ad unanimità). 3_0 "Costruzione di opere permanenti al monte Escia collo scopo di completare la difesa del colle di Nava" (Respinta con 8 voti contrari ed una astensione). 4_0 "Costruzione di opere permanenti al monte Escia collo scopo di rendere difficile al nemico la discesa per la valle del Tanaro" (Respinta con 6 voti contrari e 3 favorevoli).

5_0 "Preparazione della eventuale occupazione con truppe mobili della posizione del monte Escia" (Approvata ad unanimità).

6.o "Completamento delle fortificazioni di Zuccarello secondo le proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti" (Approvata ad unanimità). 7_0 "Occupazione con opere permanenti delle posizioni a monte di Garessio fra la Trappa e la Cianea per rafforzare l' ala destra della linea generale di difesa dell' Apennino ligure e per facilitare la controffensiva" (Respinta con 8 voti contrari, 3 favorevoli e 2 astensioni).

8.o "Costruzione di opere permanenti nelle posizioni della Colla Bassa di Garessio e della Cianea per proteggere di fianco le strade che menano dalla riviera ligure a Calizzano ed a Garessio" (Approvata con 12 voti favorevoli ed una astensione).

9_0 "Sbarramento della valle del Tanaro al disotto di Garessio" (Respinta con 8 voti contrari e 5 favorevoli). 10. 0 "Opportunità che venga aperta una rotabile tra Bardinetto e Toirano, a condizione che contemporaneamente sia su di essa costruito uno sbarramento e che nel suo tracciato si tenga essenzialmente conto dell'interesse militare" (Approvata ad unanimità). 11.0 "Opportunità della costruzione di una strada rotabile tra Ca-


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lizzano e Garessio, alla quale, quando occorra, il Ministero della guerra dovrebbe concorrere con sussidii, vista la sua grande importanza militare" (Approvata ad unanimità). 12. 0 "Convenienza che venga sollecitato il compimento della strada Calizzano-Murialdo-Millesimo" (Approvata ad unanimità). 13_0 "Convenienza che venga sollecitata la costruzione dei tronchi ferroviari Ceva-Garessio e Mondovì-Cuneo" (Approvata ad unanimità). 14. 0

"Sistemazione dello sbarramento del colle di Melogno secondo le proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti" (Approvata ad unanimità). 15. 0 "Sistemazione delle fortificazioni di Altare e della rada di Vado secondo le proposte delle Commissioni rispettivamente presiedute dai generali Ricotti e Longo, sostituendo però all'opera proposta a Cadibona un'opera al monte Giuto, la quale batta il terreno su cui avrebbe dovuto sorgere quella, protegga da rovescio le opere della rada di Vado e colleghi queste opere colle fortificazioni di Altare" (Approvata ad unanimità). 16. 0 "Sistemazione dello sbarramento del passo del Giovo secondo le proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti, invitando il Ministero a sollecitare l'attuazione delle proposte stesse in vista della importanza militare del passo del Giovo" (Approvata ad unanimità). 17_0 "Sistemazione dello sbarramento del passo del Turchino secondo le proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti" (Approvata ad unanimità).

Genova. La Commissione prima di procedere ali' esame della questione del completamento delle fortificazioni di Genova, prese conoscenza del dispaccio Ministeriale in data 23 ottobre 1881 N. 353, Segretariato Generale, Divisione Stato Maggiore, Sezione 2\ col quale era invitata ad esaminare se, tenuto conto della impossibilità di impedire in modo assoluto, per mezzo di difese fisse, che


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la città di Genova possa essere bombardata dalle navi nemiche, fosse conveniente conservare quella piazza; e se, quando si voglia conservare, non sarebbe conveniente ridurre le difese alla sola occupazione del fronte di terra, abbandonandone il fronte di mare. Quando poi la Commissione si fosse chiarita favorevole alla conservazione del fronte a mare, essa era invitata ad esprimere un parere sulla convenienza o meno che la sistemazione di questo fronte abbia per iscopo di battere il mare largo, oppure soltanto di difendere l'entrata del porto e di battere gli ancoraggi. La Commissione veniva in ultimo invitata ad esprimere il suo parere sulla convenienza che le fortificazioni dei fronti di terra siano ordinate in guisa da poter·resistere eventualmente anche ad un attacco regolare proveniente dalla stessa Genova, qualora questa fosse caduta in potere del nemico. Si esaminò da prima la questione, se il fatto che una città può essere esposta a subire un bombardamento, quando sia fortificata, si debba considerare come una ragione sufficiente per abbandonarne la difesa, e si osservò che questo non si può ammettere ogni qualvolta si tratti di importanti posizioni militari, la cui caduta in potere del nemico possa recar pregiudizio alla difesa dello Stato. Ora non v'è dubbio che l'occupazione di Genova per parte del nemico sarebbe cosa di assai maggiore gravità che non quella della rada di Vado; sia perché il porto di Genova costituirebbe una base marittima assai migliore; sia perché Genova giace appunto in quel tratto della costa ligure che maggiormente si avvicina al Po, e per conseguenza il nemico, una volta che ne fosse padrone, si troverebbe a brevissima portata delle linee di ritirata delle forze concentrate dalla difesa sulla frontiera terrestre; sia ancora perché le posizioni del fronte verso terra di Genova essendo naturalmente fortissime, quando si abbandonasse completamente questa piazza, il nemico avrebbe facoltà di sbarcarvi truppe e stabilirsi in quel punto importantissimo del nostro territorio in modo tale che assai difficilmente la difesa potrebbe riuscire poi a cacciarnelo. Per queste considerazioni i membri della Commissione furono unanimi nel ritenere che la piazza di Genova debba essere conservata. La questione se colla sistemazione del fronte marittimo di Genova si debba persistere nell'idea di battere il mare largo venne risolta in senso affermativo. Il voto della maggioranza della Com-


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missione si ispirò al concetto che la difesa del fronte a mare di Genova non potrebbe essere sistemata nel modo adottato per la difesa della rada di Vado. A questa rada corrispondono un ancoraggio ed una spiaggia quasi interamente sgombri; di guisa che il suo specchio d'acqua può essere senza inconvenienti battuto con tiri di sfondo da opere collocate ad una certa distanza dalla costa, e le truppe che dal nemico venissero sbarcate sulla spiaggia potrebbero essere battute esse pure senza inconvenienti dai fianchi delle opere stesse con tiri diretti. A Genova, invece di una rada non frequentata dalle navi del commercio, si ha un porto abitualmente ingombro da un gran numero di esse, ed invece di una spiaggia aperta si ha la principale città marittima del regno. Ne risulta che un tiro di sfondo sullo specchio d'acqua del porto e un tiro diretto contro le truppe che dal nemico venissero sbarcate recherebbero grave danno alla nostra stessa marina mercantile ed alla città. Si sarebbe per conseguenza nell'alternativa o di non contrastare al nemico il possesso del porto e della città, lasciandogli la facoltà di avvantaggiarsi di questo stato di cose nell'attacco delle fortificazioni di terra, o di bombardare noi stessi la città ed il porto, arrecando loro danni maggiori di quelli che sarebbero per avventura prodotti da un bombardamento effettuato dal nemico a grande distanza. Si aggiunga che la città, oltre a subire questi danni, rimarrebbe esposta a pagare taglie di guerra, la cui entità sarebbe probabilmente molto maggiore di quella dei danni stessi. E poiché non è ammissibile che la difesa possa lasciare al nemico il tranquillo possesso della città e del porto, ne viene la conseguenza che, abbandonando il fronte a mare della piazza di Genova, si esporrebbe la cittadinanza a danni materiali ed a sacrifici pecuniarii assai maggiori; tanto più se si considera che coll'accennato abbandono del fronte a mare assai probabilmente non si raggiungerebbe lo scopo di sottrarla al pericolo di un bombardamento per parte del nemico, giacché questo avrebbe ragione di effettuarlo come mezzo di ottenere la capitolazione delle opere entro terra, non potendosi considerare la città come indifesa. Anzi, abbandonando nella sistemazione del fronte a mare il concetto di battere il mare largo e rinunciando per conseguenza ad obbligare le navi nemiche a collocarsi a grande distanza dalla città, il bombardamento da esse effettuato produrrebbe danni assai più rilevanti di quelli che potrebbero essere arrecati quando, mercè la esistenza di batterie armate di potente artiglieria nei punti


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più avanzati della costa, si costringessero le navi nemiche a stare ad una distanza maggiore. A queste batterie sarà poi possibile dare, mediante corazzature, una robustezza tale da metterle in grado di lottare vantaggiosamente colle navi nemiche, la cui potenza difensiva è necessariamente vincolata alla soluzione di questioni neutiche, e quindi non può essere indefinitamente accresciuta come quella delle batterie. In base a questi concetti la Commissione si associò in massima alle proposte fatte dall'altra Commissione riunita nella scorsa estate sotto la presidenza del generale Ricotti pella sistemazione. del fronte a mare della piazza di Genova tra Erselli e Vagno, proposte che lo stesso generale Ricotti riconobbe conveniente venissero parzialmente modificate in seguito all'adozione di nuovi calibri pella difesa delle coste. Essa espresse inoltre il parere che convenga allargare il braccio meridionale del nuovo molo di ponente; che la difesa del fronte a mare debba essere completata coll'impiego di torpedini, di siluri e di tutte le difese accessorie che la marina stimerà conveniente di adoperare; e che si dispongano bocche a fuoco potenti in modo tale che, essendo sottratte alla vista del largo, possano battere con tiri diretti le navi nemiche, qualora queste, superando tutte le difese del fronte a mare, fossero riuscite ad entrare nel porto. La Commissione si associò pure alle proposte fatte dalla più volte ricordata Commissione presieduta dal generale Ricotti, pel rafforzamento della piazza di Genova sul fronte di terra mediante opere staccate, ritenendo che non occorra la costruzione di nuove opere per mettere questo fronte in grado di resistere ad un attacco regolare proveniente dalla stessa Genova, qualora questa fosse caduta in potere del nemico. In ultimo la Commissione espresse il parere che convenga prolungare per cresta fino al colle del Turchino la strada che la Commissione Ricotti propose di aprire da Genova per Madonna delJa Guardia a monte Penello. Quanto allo sbarramento dei colli della Bocchetta, dei Giovi e della Scoffera, si ritenne che esso non sia per ora necessario, essendo i detti colli coperti dalle fortificazioni di Genova. Però, considerando che si sta ora costruendo una rotabile, la quale da Chiavaci, seguendo la valle di Fontana Buona, raggiungerà il colle della Scoffera passando fuori · dell 'azione delle fortificazioni di


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Genova, la Commissione espresse il parere che, quando venga aperta questa nuova comunicazione, sarà necessario proteggere il colle della Scoffera con opere permanenti. Finalmente la Commissione fu d 'avviso che nell'interesse militare sia molto utile la ferrov ia da Veltri ad Alessandria pella valle dell'Orba, e che questa ferrov ia si debba, sotto tale punto di vista, preferire a qualunque altra succursale dei Giovi che metta direttamente su Genova. Riassumendo, furono dalla Commissione votate le seguenti proposte:

1.0 "Conservazione della piazza di Genova" (Approvata all' unanimità).

2.0 "Sistemazione del fronte a mare della piazza di Genova in modo che si possa battere il mare largo" (Approvata con 12 voti favorevol i ed 1 contrario).

3.o "Convenienza che il fronte a mare della piazza di Genova sia riordinato ed esteso da Erselli a Vagno" (Approvata ad unanimità). 4_0 "Convenienza che venga allargato il braccio meridionale del molo nuovo di ponente" (Approvata ad unanimità).

s.o

"Impiego di torpedini, di siluri e di tutti i mezzi accessori che la marina stimerà conveniente di adoperare per completare la difesa del fronte a mare delJa piazza di Genova" (Approvata ad unanimità).

6.o "Convenienza che vengano collocati alcuni pezzi potenti in modo da poter battere con efficaci tiri diretti le navi nemiche che fossero penetrate nel porto" (Approvata ad unanimità).

7.o "Sistemazione della piazza di Genova dalla parte di terra secondo le proposte fatte dalla Commissione Ricotti" (Approvata ad unanimità).

8.o "Prolungamento per cresta fino al colle del Turchino della strada proposta dalla Commissione Ricotti fra Genova e monte Penello per Madonna della Guardia" (Approvata ad unanimità).


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9_0 "Costruzione di uno sbarramento a] colle della Scoffera, quando venga aperta la comunicazione rotabile dalla Scoffera a Chiavari per la valle di Fontana Buona" (Approvata ad unanimità).

10.0 "Convenienza che, sotto il rispetto dell'interesse militare, venga preferita la linea Voltri-Alessandria alla succursale della ferrovia dei Giovi per la valle della Scrivia" (Approvata ad unanimità). Riviera di levante. La Commissione passò quindi all'esame delle nuove comunkazioni già aperte o che si apriranno fra breve attraverso il tratto di Apennino corrispondente alla riviera di levante. Essa riconobbe l'importanza di queste comunicazioni considerate sotto il punto di vista delle operazioni che il nemico potrebbe tentare, sia dalla costa verso la valle del Po mediante sbarchi nella riviera di levante, oppure dopo la caduta della piazza di Genova, sia dalla valle del Po verso la costa allo scopo specialmente di investire la piazza della Spezia, e fu unanime nell'ammettere: "La convenienza che vengano sbarrati con opere permanenti a doppio fronte i passi del Bocco e delle Cento Croci" Spezia. Venne in ultimo discussa la questione della piazza della Spezia, sia per ciò che riguarda il suo fronte a mare, sia per ciò che si riferisce ai suoi fronti rivolti verso terra. Rispetto al fronte a mare la Commissione si associò in massima alle proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti. Taluni membri però opinarono non essere queste proposte sufficienti per garantire l'arsenale della Spezia contro i pericoli di un bombardamento; i quali pericoli devono essere qui presi in maggior considerazione che non a Genova, essendo quello della Spezia il nostro principale arsenale marittimo, nel quale si dovrà di necessità ricoverare la maggior parte delle nostre navi in costruzione ed in cui sarà di suprema importanza si possano spingere alacremente i lavori di allestimento e di riparazione del naviglio da guerra. Ora la diga subacquea essendo discosta di soli 4 chilometri dall'arsenale, e le più potenti bocche a fuoco non potendo avere effetti perforanti a distanze sensibilmente maggiori ai 2000 metri, ne risulta che le navi nemiche potrebbero bombardare l'arsenale ad una distanza di poco superiore ai 6000 metri. Senza


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dubbio colla proposta sistemazione del fronte a mare sarà possibile eseguire contro di esse dei tiri di sfondo. Ma, secondo quanto asserirono gli ammiragli che fanno parte della Commissione, il nemico potrebbe bombardare l'arsenale anche ad una distanza di 9 o 10,000 metri, ricorrendo a ripieghi. Quando le navi nemiche si collocassero a tale distanza dall'arsenale, l'efficacia dei nostri tiri di sfondo sarebbe assai poca, sia perché questi tiri si eseguirebbero contro bersagli molto discosti e sia per la vastità dello specchio d'acqua. Per queste considerazionj fu messa innanzi nel seno della Commissione la proposta di ritornare al primitivo progetto, in cui la scelta della diga mediana a preferenza di quella foranea era stata subordinata alla condizione che venissero costruite in mare sul davanti della diga delle opere armate di potente artiglieria, mercè l'esistenza delle quali fosse reso impossibile al nemico di stare impunemente a distanza di bombardamento dall'arsenale. Alcuni membri della Commissione si chiarirono contrari alla adozione di questa proposta, adducendo il tempo considerevole che si richiederebbe per la costruzione delle accennate opere e la non lieve spesa che le opere stesse richlederebbero. La proposta essendo stata messa ai voti venne approvata con 8 voti favorevoli, 4 contrari ed una astensione. Il generale Longo dichiarò che, quantunque egli sia d'avviso che si debbano aumentare le difese del fronte a mare della Spezia, diede voto contrario alla proposta di costruire opere in mare, perché ritiene che si possa con altri mezzi ottenere questo risultato. Per contro i generali Driquet, Mazé e Bertolè-Viale dichiararono che, nel dare voto favorevole alla deliberazione proposta, non intesero escludere che il rafforzamento del fronte a mare della Spezia possa ottenersi anche coi mezzi ai quali accennò il generale Longo, e che anzi, quando mercè questi mezzi sia possibile raggiungere lo stesso risultato con minore spesa, essi ne preferirebbero l'attuazione alla costruzione di forti davanti alla diga. Senza dubbio la soluzione accennata dal generale Longo, di costruire batterie avanzate sulla costa e di armarle di artiglierie potenti, migliorerebbe le condizioni del fronte a mare della Spezia. A mio avviso però, essa non risolverebbe interamente il grave problema di una efficace protezione dell' arsenale. Considerando poi che il bombardamento dell'arsenale potrebbe essere fatto, sebbene in modo molto meno efficace, da navi ne-


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miche che stiano esternamente al golfo presso la costa compresa tra Rio Maggiore e Portovenere e facciano scavalcare ai proietti le alture che separano la detta costa dall'arsenale, la Commissione propose che venga studiato il modo di avere azione sopra queste navi con tiri di sfondo, armando a tale uopo di obici le opere del Muzzerone e della Castellana e, se occorre, anche altre opere da costruirsi appositamente. Venendo poi alla sistemazione dei fronti di terra della piazza della Spezia, la Commissione fu unanime nel riconoscere che a questi fronti si debba dare una forza di resistenza corrispondente alla grande importanza della piazza e che tale forza di resistenza debba basarsi in massima sui forti staccati, riducendo il mandato della cinta alla sola protezione del corpo della piazza contro colpi di mano. In base a questo concetto la maggioranza della Commissione ritenne doversi colmare la grande lacuna che, secondo gli ultimi progetti fatti, rimarrebbe tra i forti staccati del monte Albano e di Canorbino; la quale lacuna permetterebbe al nemico di avvicinarsi in modo all'arsenale da poterne effettuare in buone condizioni il bombardamento. E perciò, essendo stato messo ai voti il quesito se i forti di monte Albano, di Val di Lochi e di Canorbino bastassero a proteggere la piazza della Spezia dal lato orientale, la maggioranza della Commissione rispose negativamente; ed in questo modo si associò alla opinione, espressa da parecchi dei suoi membri, che il fronte orientale della piazza della Spezia dovesse essere completato colla costruzione di nuovi forti staccati sulle alture che sorgono ad occidente della valle delJa Magra. Essa espresse inoltre il parere che, a meglio assicurare da rovescio le opere del fronte a mare che stanno sulla costa orientale del golfo, si dovessero occupare con opere permanenti le posizioni del monte Branzi e del monte Rocchetta. Rispetto al fronte occidentale le opinioni furono discordi nel seno della Commissione, taluni ritenendo conveniente che questo fronte, analogamente a quanto fu proposto negli ultimi progetti, non venga spinto più innanzi della linea monte Parodi-Vessegi, ed essendo altri d'avviso che convenga meglio costruirlo secondo il primitivo progetto del colonnello Nicolis, nel quale la difesa avanzata era spinta fino al monte Verugoli ed al monte Bermego. L' abbandono del monte Bermego venne giustificato coli' osservazione che questo monte è dominato con slivello di 120 metri dal


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monte Capri, il quale dista da esso di 1750 metri. Convien però notare che, quando per questa considerazione si voglia escludere l'occupazione del monte Bermego, a maggior ragione non si dovrebbe fortificare il monte Parodi, il quale è dominato di circa 70 metri dal monte Verugoli ad una distanza di 1200 metri; di guisa che l'angolo di dislivello essendo pressoché eguale nei due casi, rimarrebbe sempre a danno del monte Parodi il fatto che esso è dominato a tiro di fucileria. Abbandonando poi il monte Verugoli e sostituendo ad esso un'opera costruita a monte Parodi, si perderebbe il vantaggio di aver vista ed azione sulle acque della costa di Rio Maggiore. S'aggiunga che il monte Parodi dista soltanto di due chilometri e mezzo dalla cinta dell'arsenale, e quindi risponde molto insufficientemente allo scopo di tener lontano il nemico quanto basti per impedire un efficace bombardamento di esso. Adottando la linea monte Parodi-Vissegi pel fronte occidentale dei forti staccati, questi si troverebbero per conseguenza molto vicini all'arsenale, mentre quelli del fronte orientale ne disterebbero di 5 o 6 chilometri, e si noti che se il fronte orientale può essere in taluni casi esposto ad attacchi formali, è assai più probabile che questi attacchi siano rivolti di preferenza sul fronte occidentale. Tenendo conto di tutto ciò, il sottoscritto sarebbe d'avviso che converrebbe spingere fino al monte Capri l'occupazione mediante forti staccati. Quando al monte Capri fosse costruita un' opera robusta, la quale avrebbe esteso dominio sul davanti e proteggerebbe l'occupazione di monte Bermego, la piazza della Spezia sarebbe anche sul fronte occidentale in grado di impedire un efficace bombardamento dell'arsenale dalla parte di terra. Allora basterebbe costruire al monte Verugoli un'opera di minore importanza, destinata principalmente a battere con tiri curvi il mare esterno presso la costa di Rio Maggiore. Però nel seno della Commissione essendo prevalso ad ogni altra considerazione il concetto di limitare lo sviluppo della linea dei forti esterni per la tema di rendere necessario l'impiego di un eccessivo personale, la maggioranza si associò alla proposta fatta dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti circa i fronti nord ed ovest, quando però vi si aggiungesse un altro forte da costruirsi al monte Paradiso. Si passò in seguito ad esaminare la questione della cinta. La Commissione si trovò di fronte a quattro proposte concrete, delle


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quali una, ideata dal Comitato d'artiglieria e genio ed in parte studiata nei suoi particolari dalla Direzione del genio della Spezia, secondo la quale la cinta partendo dalla batteria dei Cappuccini salirebbe al forte del Castellazzo, collegando tra loro tre batterie costruite a Ca Rossa, Isola Bella e Ca Busotto; quindi collegherebbe tra loro le opere di Castellazzo, di Marinasco, di Vissegi, della Foce e di Sommovigo, dal quale ultimo punto potrebbe poi con un muro di minor resistenza racchiudere la città e l'arsenale scendendo sul golfo presso Marola; un'altra, preferita alla precedente dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti, secondo la quale la cinta corrisponderebbe ad essa nel tratto fra la batteria dei Cappuccini e Ca Busotto, ma giunta a Ca Busotto discenderebbe verso sud-ovest e racchiuderebbe con minore sviluppo la città, l'arsenale e lo stabilimento di S. Vito; una terza messa innanzi dall'ammiraglio di S. Bon, secondo la quale la cinta, seguendo da Castellazzo a Sommovigo ed a Marola il tracciato proposto dal Comitato d'artiglieria e genio, se ne scosterebbe sul fronte orientale scendendo dal Castellazzo per monte Arso fino alla Dorgia Vecchia e seguendo poi il corso di questa fino alla sua foce; ed una quarta infine dal generale Pianell, secondo la quale la cinta si ridurrebbe a racchiudere soltanto l'arsenale. La Commissione, prima di prendere una decisione relativamente a queste varie proposte, avendo riconosciuto la convenienza della costruzione di batterie sul contrafforte compreso fra Castellazzo e la batteria dei Cappuccini, come quelle mercè le quali si potrà battere lo spazio piano che sta dietro i forti staccati del fronte orientale, deliberò di proporre che, indipendentemente dal tracciato che verrà dato alla cinta, sia attuata la costruzione di queste batterie. Essa deliberò inoltre che gli stabilimenti staccati dall'arsenale debbano essere messi al coperto da colpi di mano con speciali cinte di sicurezza. Fu quindi esclusa dalla Commissione la proposta che la cinta di sicurezza della piazza si limitasse alla sola protezione dell' arsenale. La proposta dell'ammiraglio Di S. Bon diede luogo ad una discussione fra quelli tra i membri della Commissione che la ritenevano conveniente, perché favorevole allo sviluppo avvenire della città, dell'arsenale, nonché degli stabilimenti militari che si dovranno costruire per fare della Spezia un'importante piazza da guerra, e quelli che credevano non fosse conveniente preoccuparsi ora di


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questi bisogni avvenire e doversi invece dare alla cinta una maggiore forza di resistenza, facendole seguire sul fronte orientale la cresta del contrafforte Castellazzo-Cappuccini, anziché farla svolgere nel piano in posizione dominata. Alla quale obiezione si rispondeva che, dovendo la cinta unicamente proteggere il corpo della piazza contro colpi di mano e non servire come seconda linea di resistenza dopo caduti i forti staccati, il fatto di essere o no dominata non aveva importanza; mentre, quando si faccia la cinta più ristretta, si potrà fra pochi anni essere costretti dallo sviluppo della città e dell'arsenale a farne una seconda più avanzata con duplice dispendio. Non ostante queste ragioni, la maggioranza della Commissione respinse la proosta dell'ammiraglio Di S. Bon. Rimasero così di fronte le proposte del Comitato d'artiglieria e genio e della Commissione presieduta dal generale Ricotti. Fra esse la maggioranza della Commissione preferì quest'ultima, facendo prevalere a qualsiasi altra considerazione il vantaggio che deriverebbe dal dovere sorvegliare un minore sviluppo di cinta. Nella votazione colla quale venne adottata la proposta della cinta ristretta il sottoscritto si astenne. Finalmente la Commissione, in conseguenza della sua deliberazione relativa alla cinta, fu unanime nel riconoscere che le opere di Castellazzo, Marinasco, Vissegi, Costa Macè e Sommovigo, non essendo più collegate dalla cinta stessa, dovessero essere costruite come tutti gli altri forti staccati. Riassumendo, i voti emessi dalla Commissione relativamente alla piazza di Spezia furono: 1.0 "Convenienza che venga in massima sistemato il fronte a mare della Spezia secondo le proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti" (Approvata ad unanimità). 2.0 "Convenienza che vengano fatti gli studi occorrenti per raffozare la diga subacquea mediante opere da costruirsi in mare sul davanti di essa, allo scopo di guarentire il più che sia possibile 1' arsenale marittimo da un bombardamento" (Approvata con 8 voti favorevoli e 4 contrari). 3_0 "Convenienza che venga studiato il modo di avere azione con tiri curvi sullo specchio d'acqua corrispondente alla costa di Rio Maggiore" (Approvata ad unanimità).


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4_0 "Necessità che la piazza di Spezia venga fortificata dalla parte di terra in modo corrispondente alla sua grande importanza" (Approvata ad unanimità). 5_0 "Convenienza che la difesa efficace della piazza di Spezia sia in massima affidata a forti staccati, e che la sua cinta abbia soltanto per iscopo di preservare il corpo della piazza dai colpi di mano" (Approvata ad unanimità). 6.o "Insufficienza dei forti progettati a monte Albano, Val di Lochi e Canorbino per proteggere efficacemente la piazza della Spezia sul fronte orientale" (Approvata con 1O voti contro 2). 7_0 "Necessità che nella sistemazione del fronte orientale della piazza della Spezia venga compresa l'occupazione di monte Branzi e del monte Rocchetta" (Approvata con 7 voti contro 5).

g_o

"Sistemazione dei fronti nord e ovest della piazza della Spezia secondo le proposte della Commissione Ricotti, aggiungendo però alle opere proposte un forte da costruirsi a monte Paradiso" (Approvata con 8 voti contro 4).

9_0 "Convenienza che le posizioni del contrafforte compreso fra il forte di Castellazzo e la batteria dei Cappuccini vengano occupate colle tre batterie già progettate" (Approvata con 11 voti contro 1).

10.0 "Costruzione di cinte speciali di sicurezza intorno agli stabilimenti staccati dall'arsenale della Spezia" (Approvata ad unanimità). 11.0

"Sistemazione della cinta di sicurezza della Spezia in modo che essa non racchiuda che il solo arsenale" (Respinta con 11 voti contrari ed una astensione). 12. 0 "Sistemazione della cinta della Spezia in modo che essa si estenda sul fronte orientale dal forte Castellazzo per monte Arso fino alla Dorgia Vecchia, seguendo poi questa fino alla sua foce" (Respinta con 8 voti contro 4).


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13_0 "Sistemazione della cinta della Spezia secondo il tracciato: batteria dei Cappuccini-Ca Busotto-Castellazzo-Marinasco-Vissegi-Sommovigo-falde orientali del monte Parodi-Marola" (Respinta con 8 voti contrari, 3 favorevoli ed 1 astensione). 14. 0 "Sistemazione della cinta della Spezia seguendo il tracciato precedente fino a Ca Busotto, e discendendo poi verso sud-ovest in modo da racchiudere colla ferrovia, coll'arsenale e collo stabilimento di S. Vito il maggior spazio fabbricabile che sia possibile" (Approvata con 8 voti favorevoli e 4 astensioni). 15. 0 "Convenienza che le opere di CastelJazzo, Marinasco, Vissegi, Sommovigo e Costa Macè siano chiuse alla gola come tutti gli altri forti staccati" (Approvata ad unanimità).

F. Id. Fase. VI. Difesa interna. Lettera riepilogativa del Tenente Generale Giuseppe Pianell, Presidente della Commissione, a S.E. il ministro della Guerra, Roma, s.d. (dicembre 1882). Fonte: AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 47. Ho l'onore di trasmettere aJJ'Eccellenza Vostra i verbali delle sedute della Commissione convocata con dispaccio di codesto Ministero in data 26 settembre 1882, divisione Stato Maggiore, N. 748 riservatissimo, diretto al tenente generale Mezzacapo cav. Luigi, e della quale l'Eccellenza Vostra mi affidava temporaneamente la presidenza con successivo dispaccio 23 ottobre 1882, divisione Stato Maggiore, N. 801 riservatissimo. Compito della Commissione era quello di completare le proposte fatte fin qui per la sistemazione difensiva dello Stato, considerando in tutta la sua ampiezza il problema della difesa interna. Essa dovette per conseguenza rivolgere il proprio studio ali' esame delle condizioni in cui l'Italia si troverebbe, nel caso di una lotta difensiva con una delle grandi potenze confinanti, per effetto della sua situazione geografica e del rapporto delle sue forze terrestri e marittime con quelJe delle dette potenze. Tutti i membri della Commissione furono concordi nell'ammettere, che la differenza sostanziale fra una aggressione austriaca ed una aggressione francese consiste-


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rebbe soprattutto nel diverso grado di probabilità che siano tentate dal nemico grandi operazioni di sbarco sulle nostre coste, e nella diversa entità della minaccia costituita da siffatte operazioni nelle due ipotesi. Ed infatti l'Austria, per la minore importanza del versante orientale dell' Apennino sotto il rispetto politico e sotto quello strategico, non avrebbe un grande interesse a tentare operazioni di sbarco, le quali del resto sarebbero per essa rese assai difficili e rischiose dalla inferiorità delle sue forze navali e dalle non favorevoli condizioni delle coste italiane dell'Adriatico, e non avrebbero probabilmente altro effetto che quello di indebolire l'entità del suo attacco terrestre, il quale per le condizioni geografiche potrebbe agevolmente svolgersi con grandi forze, specialmente sul tratto orientale della frontiera. Ladd_ove la Francia, sia per la grande importanza politica e strategica del versante occidentale della penisola italiana, sia per le facilità che le coste liguri e tirrene offrono alla effettuazione di grandi sbarchi, sia per la grande superiorità del suo naviglio da guerra e da trasporto e sia infine per le stesse condizioni della frontiera terrestre sulla quale non potrebbe essere utilmente impiegata che una parte delle sue forze mobili, sarebbe indotta ad interpretare, contemporaneamente alle operazioni terrestri, ed in concorrenza con esse, delle grandi operazioni di sbarco sulle nostre coste. Allorché questi sbarchi si effettuassero nella parte meridionale della penisola, l'azione di essi non potrebbe essere combinata con quella della invasione terrestre per effetto delle grandi distanze che separarerebbero le forze impegnate nelle due distinte operazioni. Uno sbarco neUe provincie meridionali potrebbe avere lo scopo di occupare determinati punti e di creare grandi difficoltà all'Italia, ma non potrebbe mirare al conseguimento dello scopo precipuo della guerra, quello cioè della distruzione delle forze avversarie. Senza dubbio sarà necessario premunirsi anche contro questi sbarchi; ma essi non sono né i più pericolosi né quelli che più probabilmente verranno tentati, per il fatto che la grande distanza alla quale le truppe sbarcate si troverebbero dalle forze operanti sulla frontiera terrestre, le metterebbe in grave pericolo di essere sopraffatte dalla difesa. Operando sbarchi sulle coste liguri, l'invasione avrebbe in mira di far concorrere direttamente le truppe sbarcate all'esito della lotta sulla frontiera terrestre. A parare a questa eventualità già provvidero le precedenti Commissioni, sia colla proposta della sistema-


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zione dell ' Apennino ligure e della piazza di Genova e sia colla proposta della dislocazione delle truppe destinate a compiere la propria radunata nell'Italia continentale. In ultimo i Francesi potrebbero operare sbarchi sulle coste della Toscana e del Lazio collo scopo di raggiungere gli oggettivi importanti di Firenze e Roma e, intercettando il maggior numero delle comunicazioni stradali e ferroviarie fra la parte settentrionale e la parte meridionale dello Stato, raggiungere, secondo una ben nota espressione francese, lo scopo di rompere in due l'Italia. Ai pericoli che da un simile sbarco potevano derivare per la sicurezza della capitale, già si è quasi completamente provvisto colle fortificazioni di Roma, cui le precedenti Commissioni proposero di aggiungere al monte Argentaro ed a Civitavecchia alcune fortificazioni aventi unicamente per iscopo di contrastare al nemico il libero possesso di quei punti della costa sui quali esso troverebbe le condizioni indispensabili per lo stabilimento della base marittima delle forze che mettessero piede sul suolo della penisola con oggettivo a Roma. Così pure le precedenti Commissioni proposero di fare analoghe fortificazioni all'isola d'Elba, le cui rade offrirebbero una buona base marittima a forze sbarcate con oggettivo così a Roma come a Firenze. Rimaneva ancora da premunirsi contro gli sbarchi sulle coste toscane comprese tra Viareggio e Livorno. Un tentativo di sbarco su questo tratto di costa, specialmente da poi che Roma venne fortificata, si deve considerare come l'operazione marittima più probabile e più temibile cli quante possono mirare alla parte peninsulare dello Stato. Le forze su di esso sbarcate penetrerebbero infatti in una regione ricca e salubre, nodo di tutte le comunicazioni della penisola italiana colla media e bassa valle del Po, e vicinissima a quei passi dell' Apennino toscano che costituiscono quasi l'unico collegamento tra l'Italia continentale e l'Italia peninsulare; l'occupazione dei quali segnerebbe per conseguenza la separazione delle forze della difesa lasciate a guardia della penisola da quelle operanti nella valle del Po e costituirebbe una grave minaccia alle spalle di queste, specialmente quando esse fossero state costrette ad abbandonare le posizioni di frontiera ed il Piemonte, e a ripiegarsi nella Lombardia e nell'Emilia. Ad allontanare i pericoli a cui sarebbe esposta la difesa quando fosse ridotta in una simile situazione, varranno, per ciò che si riferisce alla frontiera terrestre, le proposte fatte dalle Commissioni prece-


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denti pel rafforzamento della barriera delle Alpi occidentali e la dislocazione della parte maggiore dell'esercito a portata di difendere validamente la barriera stessa. Per quello poi che si riferisce alla costa compresa tra Viareggio e Livorno, le Commissioni precedenti già provvidero in parte colla proposta di dislocare forze in Toscana. Questa Commissione vi aggiunse quelle altre proposte di opere di fortificazione che ad essa parvero meglio adatte al conseguimento dello scopo di creare difficoltà alla effettuazione di grandi operazioni di sbarco ed al procedere delle truppe sbarcate verso l'interno. Dovendosi però ammettere anche il caso che, nonostante la loro efficacia, siffatte difese periferiche siano superate dai Francesi ed essi riescano a penetrare, sia nella valle del Po e sia in quella dell'Amo, come pure dovendosi ammettere che gli Austriaci possano riuscire a superare la nostra resistenza nel Veneto nonostante l'appoggio che il nostro esercito vi troverà nei grandi ostacoli topografici e nelle fortificazioni che le Commissioni precedenti proposero di erigervi per accrescere appunto l'efficacia di questi ostacoli, la Commissione ha preso in esame quali proposte si dovessero sottoporre alla Eccellenza Vostra circa le fortificazioni da costruirsi nell'interno del territorio per agevolare il raccogliersi, il riordinarsi ed il ricostituirsi delle nostre forze ed offrir loro appoggi e perni di manovra per le successive riprese offensive. Essa riconobbe soprattutto l'importanza di assicurare alla difesa il possesso dei passi del1' Apennino toscano, sia per la ipotesi che si verifichi, in una lotta contro la Francia, la situazione dianzi accennata nella quale le operazioni delle forze dislocate nell'Italia continentale e quelle de1le forze dislocate nella penisola eserciterebbero una grande influenza le une sulle altre appunto per i detti passi, sia per la ipotesi di una invasione austriaca, la quale, superate le difese del Veneto e la linea del Po, tendesse a penetrare oltre nella penisola............................... ..

··············································································································

Nel seno di questa Commissione, ed ancor più in quello delle Commissioni precedenti, venne ripetutamente e lungamente discussa la questione della entità degli sbarchi simultanei che i mezzi marittimi della Francia le permetterebbero di operare sulle nostre coste. Taluni, basandosi sul complesso del naviglio a vapore da guerra e di commercio della Francia, asserirono che 200 mi la uomini ed una forza anche maggiore con tutto il materiale ed i


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quadrupedi corrispondenti potrebbero essere gettati in una sol volta sulle nostre coste. Altri, pure accettando questi dati di fatto circa la quantità del naviglio a vapore francese, dimostrarono che di questo naviglio una parte soltanto potrebbe essere disponibile, almeno per un tempo abbastanza lungo, dovendosi dedurre tutte le navi in grande raddobbo, quelle in disarmo, quelle naviganti in mari lontani ed infine non potendosi, per parecchie settimane, fare assegnamento che sul materiale esistente nel Mediterraneo. A queste ragioni, ricavate dalle condizioni del materiale marittimo, altre di diversa natura se ne aggiunsero per limitare l'entità degli sbarchi simultanei. Le difficoltà di questi sbarchi crescono a dismisura col crescere della forza, poiché si tratta di una operazione delicata, che richiede il massimo ordine, nella quale è necessario il perfetto accordo fra gli elementi di terra e queUi di mare e che, in ogni modo, costituisce un periodo di crisi per le truppe sbarcate; periodo la cui durata è tanto più grande, quanto è maggiore il numero delle forze stesse. Ad ogni modo si riconobbe da tutti, che una forza minima di 60 o 70 mila Francesi completamente mobilitati potrebbe sbarcare sulle coste de11a Toscana verso gli ultimi giorni della nostra mobilitazione ed essere raggiunta otto o dieci giorni dopo effettuato lo sbarco da una uguale forza successivamente sbarcata. Si ammise pure la possibilità ed anche la convenienza per la Francia di gettare sulle coste toscane fin dai primi giorni della nostra mobilitazione una forza di 20 o 25 mila uomini, composta di truppe d' Africa e di truppe dei corpi d'armata dislocati lungo le spiagge del Mediterraneo sul piede di pace. Il fatto già dianzi accennato, che la Toscana è il nodo di tutte le comunicazioni de]] 'Italia peninsulare coll'Italia continentale, ad eccezione della strada ordinaria e della ferrovia che si svolgono lungo la spiaggia adriatica e sono esse pure esposte ad essere facilmente intercettate dalla parte del mare, fa sì, che un tentativo di questa fatta, ardito sì, ma perciò stesso consentaneo alla natura de11a nazione francese, potrebbe perturbare in modo sommamente dannoso la nostra mobilitazione, impressionare vivamente il paese e vulnerare in modo forse decisivo la sua forza di resistenza. A rendere impossibile un simile tentativo e problematica qualsiasi operazione di sbarco sulle nostre coste, i membri di questa e delle precedenti Commissioni furono unanimi nel riconoscere richiedersi una


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potente marina da guerra. Quantunque le condizioni della nostra marina siano al presente troppo inferiori a quelle della marina francese, pur nondimeno essa costituisce fin d'ora la maggiore nostra protezione contro gli accennati pericoli, sia perché coll'impiego di mezzi subacquei e di torpediniere potrebbe rendere insidiosa la costa toscana tra Viareggio e Livorno, e sia perché fino a tanto che le sue navi solcheranno le acque del Mediterraneo assai difficilmente il nemico arrischierà di affidare ad un convoglio navale forze ragguardevoli. E per conseguenza questa Commissione, non altrimenti che ]e Commissioni precedenti, riconobbe la necessità che la nostra marina da guerra non si lasci trascinare, almeno durante l'effettuazione della mobilitazione dell'esercito, ad impegnare contro la marina francese una battaglia, la quale, in ragione della sproporzione dei mezzi, potrebbe avere per conseguenza la distruzione delle nostre forze marittime; ciò che, assicurando aU'avversario l'assoluta padronanza del mare, gli darebbe intera facoltà di operare grandi sbarchi sulle nostre coste. Non si può nonpertanto sconoscere, che questa linea di condotta prudente e proficua si potrebbe difficilmente mantenere di fronte alla pressione della pubblica opinione, allorquando il nemico, allo scopo appunto di trascinare le nostre forze a battaglia, infliggesse ad una delle nostre grandi città marittime i danni di un bombardamento. Se si possono far voti affinché coloro sui quali peserà la responsabilità della guerra abbiano autorità e fermezza bastante per resistere, almeno fino al compimento della mobilitazione, alla corrente che trascinerà forse fatalmente la nostra marina a fare generoso ma inutile sacrifizio di sé, sarebbe però imprudente fare su di ciò intero assegnamento. E perciò riesce tanto più indispensabile di erigere sulle coste della Toscana, tra le foci della Magra e quelle della Cecina, quegli ostacoli, i quali creino difficoltà alla effettuazione di grandi sbarchi ed impediscano alle forze sbarcate di costituirsi, sul tratto di costa in questione, una base marittima, analogamente a ciò che già precedentemente venne proposto per impedire la costituzione di siffatte basi marittime lungo la costa che si svolge tra le foci della Cecina e quelle del Tevere. Dopo maturo studio la Commissione deliberò di proporre a quest'uopo l'occupazione del1e alture che sorgono a est e a sud di Livorno e il completamento, con poche opere staccate, delle fortificazioni già esistenti a Lucca. Sul1e coste comprese tra le foci della Magra e le foci della Cecina, due tratti si prestano allo sbarco di numerose forze e sono la


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spiaggia di Viareggio ed il porto e la rada di Livorno. Il porto e la rada di Livorno presentano poi condizioni favorevoli per la costituzione di una base marittima, sia perché sotto la protezione delle secche della Meloria un numerosissimo naviglio potrebbe stare al sicuro contro i fortunali, e sia perché il porto di Livorno offrirebbe sempre, qualunque fosse lo stato del mare, facilità d'imbarco e di sbarco di materiali e personale. Per impedire al nemico di valersi del porto e della rada di Livorno come base marittima, sarebbe certamente desiderabile potervi costruire, come si propose per altri punti della costa, delle opere destinate a battere con tiri di sfondo lo specchio d'acqua di essi. Alcuni membri della Commissione sollevarono però dei dubbi sulla possibilità di attuare un simile concetto stante la distanza che corre fra le alture di Livorno e il suo porto e la sua rada. La Commissione ritenne però che, anche quando dalle alture di Livorno non si possa battere lo specchio d'acqua del porto e della rada, e ciò non sia possibile ottenerlo neppure colla costruzione di batterie basse protette da opere su11e alture, la sola esistenza di queste ultime opere, il cui fuoco avrebbe azione sul piano circostante alla città, e che vieterebbero al nemico l'occupazione delle alture stesse, basterebbe così ad impedire l'effettuazione di un grande sbarco a Livorno come a rendere impossibile al nemico sbarcato di costituirvi la propria base marittima. La costruzione de11e indicate opere, potendosi esse collocare in modo da essere sotratte all'azione del tiro delle navi, non presenterà le difficoltà rilevanti che si devono vincere per la sistemazione delle fortificazioni costiere. Non sarà necessario dare ad esse un grande sviluppo perché, specialmente se appoggiate da una competente forza di truppe mobili, esse soddisfacciano al loro compito. In ultimo, costruendo ne11a parte settentrionale e meno elevata delle alture qualche opera protetta da quelle erette sulla sommità delle alture stesse, si potrebbe avere efficace azione sul terreno intersecato da canali che si stende a nord ed a nord-est de11a città, attraverso il quale il nemico potrebbe senza di ciò comunicare con Pisa e coll'interno nella Toscana. L'importanza delle accennate fortificazioni di Livorno non sfuggirà certamente all'Eccellenza Vostra, come pure non le sfuggirà l'urgenza della costruzione di esse, a11a quale la maggior parte dei membri della Commissione attribuì tale importanza da ritenere fermamente che, quando sia compiuta, assai difficilmente il nemico si attenterebbe ad operare uno sbarco pres-


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so le foci dell'Arno. E perciò il sottoscritto non può a meno di esprimere il voto che gli studi già iniziati al riguardo vengano al più presto compiuti e senza dilazione si ponga mano ai lavori, affinché al più presto si aggiunga una nuova e necessaria guarentigia alla sicurezza dell'effettuazione della nostra mobilitazione; poiché, di tutti i pericoli cui sarebbe minacciata l'Italia in caso di guerra contro la Francia, il maggiore, giova ripeterlo, sarà sempre quello della riuscita di un grande sbarco nemico in Toscana ..................... .. È evidente che allorquando le fortificazioni proposte e l'azione... delle truppe mobili non valessero ad impedire alle forze nemiche sbarcate sulle coste del Tirreno di impadronirsi della Toscana, e di spingersi fino ad intercettare a Firenze ed a Pontassieve tutte le comunicazioni del versante occidentale dell' Apennino colla valle del Po, esse si troverebbero in condizioni favorevoli così per opporsi ai tentativi di ritorno offensivo delle forze della difesa dislocate nella valle del Po, come per far sentire in modo molto efficace la loro azione sulle operazioni che in questa valle si svolgessero. Però le condizioni dell'invasore nel bacino dell'Arno non potrebbero considerarsi come pienamente soddisfacenti e alla difesa potrebbe rimanere ancora la speranza di efficaci manovre a cavallo de11' Apennino, fino a tanto che i passi pei queli le rotabili ne attraversano la dorsale fossero in potere della difesa. D'altra parte il possesso di questi passi assicurerebbe alla difesa una base eccellente, così contro una invasione austriaca che avesse superata la linea del Po, come contro una invasione francese che avesse superata la posizione Piacenza-Stradella. E perciò la Commissione fu unaxµme nel proporre che tutti i passi dell' Apennino toscano ad occidente della linea Firenze-Bologna fossero assicurati sia verso nord e sia verso sud o con sbarramenti a doppio fronte, o, quando la natura dei luoghi lo renda conveniente, con due distinti sbarramenti. Qualche dissenso si produsse rispetto alla convenienza di sbarrare i passi più orientali dell' Apennino toscano. Ma la Commissione credette di dover proporre anche lo sbarramento di questi passi, compreso quello di S. Godenzo, per cui la strada da Forlì a Dicomano valica la dorsale apenninica, in considerazione della influenza che in caso di invasione austriaca siffatti passi potrebbero esercitare sulla importante valle del Sieve ...................................... ..


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La Commissione rivolse anche la sua attenzione al tratto della regione peninsulare compreso tra la valle dell'Amo e Roma, allo scopo di stabilire se oltre le fortificazioni periferiche già precedentemente proposte per l'isola d'Elba, pel monte Argentaro, per Civitavecchia e per Ancona, altre fortificazioni interne fosse opportuno costruirvi come appoggio alla difesa, sia contro invasioni terrestri provenienti dal nord e sia contro sbarchi operati sull'una o sull'altra costa. La grande varietà delle combinazioni che si potrebbero verificare in questo teatro di guerra, accessibile da più parti al nemico, e la mancanza di linee topografiche aventi vero valore militare, hanno indotto la Commissione nel convincimento che, mentre sarebbe difficile indicare quali punti convenga meglio fortificare affinché la difesa a queste fortificazioni si possa in ogni occorrenza appoggiare, l'efficacia di esse sarebbe poi resa anche minore dalla mancanza di quel coefficiente grandissimo d ' importanza che deriva alle fortificazioni daJl' intima loro relazione colle linee naturali di ostacolo. Senza dubbio a taluni punti, quali Arezzo e Perugia, non si può negare una rilevante importanza militare, come nodi delle principali comunicazioni. Ma mentre il primo di questi punti non si potrebbe sistemare con fortificazioni senza dare ad esse uno sviluppo affatto sproporzionato alla importanza che avrebbero, il secondo presenta tali condizioni topografiche, che le truppe mobili della difesa, anche con sole fortificazioni occasionali, potrebbero assicurarsene il possesso qualora l'andamento delle operazioni lo richiedesse. Si riconobbe per conseguenza, che nella indicata parte della regione peninsulare converrà affidare interamente la difesa alle operazioni delle truppe mobili. Nello svolgersi di questa discussione la Commissione fu naturalmente condotta a riconoscere di bel nuovo la capitale importanza delle fortificazioni di Roma; e perciò essa volle con apposita deliberazione far voto che queste fortificazioni fossero al più presto completate e che senza ritardo si provvedesse alla sistemazione della cinta di sicurezza della città, resa qui indispensabile, più che in qualsivoglia altra piazza da guerra, dalle condizioni particolari del terreno che si frappone fra la città e la linea dei forti .............................................................................. ..


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La Commissione rivolse in ultimo la sua attenzione al tratto di frontiera terrestre corrispondente al territorio svizzero .............. . Nell'ipotesi di guerra contro la Francia, questa potrebbe avere interesse ad invadere il Vallese per estendere il suo fronte d' attacco e dargli un carattere sempre più spiccatamente avvolgente, valendosi del passo del Gran S. Bernardo e soprattutto di quello del Sempione. Quanto al Gran S. Bernardo, le Commissioni precedenti già ebbero occasione di occuparsene. Esse riconobbero che le condizioni topografiche opporrebbero considerevoli difficoltà a sbarrare l~ provenienze da questo passo alpino a monte di Aosta. Tale fatto, unito al1a considerazione che il passo del Gran S. Benrardo non è finora valicato da una rotabile, che le provenienze da esso sono più a valle sbarrate dal forte di Bard ed infine che la grande vicinanza della frontiera dal colle permetterebbe alla difesa di occuparlo al primo annuncio della violazione della neutralità svizzera per parte del nemico, le indussero ad astenersi dal proporre uno speciale sbarramento pel Gran S. Bernardo, esprimendo però l'avviso che la difesa mobile di questo passo dovesse essere apparecchiata fin dal tempo di pace. L'importanza della strada del Sempione per una invasione francese risultò manifesta nel corso delle discussioni fatte da questa Commissione relativamente alle operazioni che, dopo l' abbandono del Piemonte, si svolgerebbero a cavallo del Po e sul Ticino. È difatti manifesto che le forze francesi basate unicamente sui passi occidentali delle Alpi, che penetrassero in Lombardia varcando l'alto Ticino di fronte alle nostre forze stabilite sul tratto del Ticino e del Po compreso tra Pavia e Cremona, si troverebbero in una posizione rischiosa, e una battaglia perduta potrebbe risolversi per esse in un disastro. Non così quando si fossero assicurata una eventuale linea di ritirata verso nord per la strada del Sempione; il possesso del1a quale rese appunto possibili nel 1800 le manovre del generale Bonaparte verso la Lombardia contro gli Austriaci che occupavano il Piemonte. Per questa considerazione la Commissione propose la costruzione di uno sbarramento della strada del Sempione, il quale sbarramento potrebbe forse erigersi nella località di Gravellona già prescelta dalla Commissione permanente di difesa ............................................................................... .


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G. Id. Fascicolo VII. Teatro di guerra meridionale e insulare. Lettera riepilogativa dei verbali, delle sedute e delle deliberazioni prese, del Tenente Generale Luigi Mezzacapo, presidente della Commissione, a S.E. il Ministro della guerra, Roma, 22 giugno 1883 (estratto). Fonte: AUSSME, F 4, Ordinamento e mobilitazione, R 47. Ho l'onore di rassegnare alla E.V. i verbali delle sed ute della Commissione nominata con dispaccio m inisteriale in data 2 8 aprile 1883, divisione stato maggiore, n. 424 riservato, per lo studio della difesa dello Stato. In obbedienza a quanto era prescritto nel citato dispaccio mi faccio debito di riassumere nel tempo stesso le proposte delle varie Commissioni alle quali fu da codesto Ministero affidato negli anni 1880-81-8283 lo studio della sistemazione generale della difesa dello Stato. Il concetto al quale si ispirarono le dette Commissioni, quale emerge chiaramente dal complesso delle d iscussioni fatte e delle deliberazioni votate, può riassumersi nel modo seguente : doversi siternare con fortificazioni il territorio dello Stato in modo da porre l'esercito in grado di far fronte ad attacchi operati simultaneamente con forze soverchianti sulle frontiere terrestri e su quelle marittime. La conformazione geografica del nostro paese offre, come quella di tutti gli altri paesi, talune condizioni favorevoli e talune condizioni sfavorevoli alla soluzione del problema di una soddisfacente sistemazione difensiva. Alle Commissioni, cui codesto Ministero affidò il mandato di studiare questa sistemazione, incombeva pertanto il compito di trar profitto dalle condizioni favorevoli offerte dalla conformazione del territorio dello Stato per neutralizzare gli svantaggi derivanti da quelle sfavorevoli ad una buona sistemazione difensiva. Queste ultime derivano principalmente: 1° Dalla forma lunga e stretta della penisola. Questa forma ha per conseguenza che le truppe destinate alla difesa della parte meridionale dello Stato si troveranno necessariamente molto più discoste dalle truppe della d ifesa operanti nella valle del Po di quello che la linea di comunkazione fra esse disti dai punti delle coste del Tirreno e dell'Adriatico in cui potranno effettuarsi gli sbarchi nemici. Ciò renderebbe possibile alle forze sbarcate dal nemico di raggiungere in breve l'importantissimo risultato di intercettare le comunicazioni fra la parte settentrionale e la parte meridionale dello Stato.


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2° Dall'essere una parte considerevole dello Stato costituita da grandi isole, il conservare il possesso delle quali presenterebbe gravi difficoltà di fronte ad un nemico prevalente sul mare. 3° Dalle facilità grandissime che presentano le nostre coste alla effettuazione cli grandi sbarchi, così nella parte continentale e in quella peninsulare come nella parte insulare dello Stato. Queste sfavorevoli condizioni farebbero specialmente sentire la loro azione nel caso di una invasione proveniente da occidente; sia perché nel versante tirreno della penisola esistono oggettivi di molto maggiore importanza; sia perché le sue coste offrono condizioni molto più favorevoli che quelle del versante adriatico per l'effettuazione di grossi sbarchi; sia perché nell'accennata ipotesi sarebbero più direttamente minacciate le nostre grandi isole, e sia in ultimo perché la potenza dalla quale potremmo essere minacciati da occidente ha forze navali cli gran lunga superiori alle nostre. Per parare ai pericoli derivanti dalle accennate sfavorevoli condizioni si ritenne doversi trar partito dei grandi ostacoli geografici che si oppongono ad un' invasione terrestre dell'Italia, e principalmente di quello costituito dalle Alpi su tutta la nostra frontiera nord-occidentale e settentrionale e sulla maggior parte della frontiera nord-orientale. Rafforzando con fortificazioni questo potente ostacolo naturale, in modo che esso non serva soltanto a ritardare l'invasione terrestre, quasi a guarentigia del compimento della mobilitazione del nostro esercito, ma possa costituire un appoggio tale da permettere a forze relativamente limitate di arrestare la detta invasione per un tempo indefinito, rimarrano disponibili maggiori forze per la difesa della penisola e delle isole; di guisaché un poderoso rafforzamento delle Alpi otterrà il doppio scopo cli proteggere direttamente la parte continentale dello Stato contro le invasioni terrestri e di proteggere indirettamente in modo assai efficace la parte peninsulare ed insulare del Regno. Questa protezione indiretta non sarebbe però sufficiente di fronte ai pericoli di una invasione che provenisse da occidente; imperocché la grande prevalenza marittima del nemico, i colossali mezzi di trasporto per mare di cui esso disporrebbe, lo sviluppo grandissimo delle sue forze terrestri e la robustezza della sua frontiera, sulla quale le difficoltà del terreno e le numerose fortificazioni di recente costruite gli permetterebbero di coprire con limitate forze il proprio territorio contro i nostri tentativi di aggressione, lo


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metterebbero in grado di effettuare grossi sbarchi simultanei sulle nostre coste, seguiti da vicino da successivi sbarchi, che rafforzando le forze sbarcate ne assicurerebbero la posizione sul nostro territorio quando esse avessero potuto guadagnare terreno e crearsi una buona base marittima. E si noti che il rafforzamento delle Alpi, se da una parte ci permetterà di disporre di maggiori forze per la difesa della penisola e delle isole, costituirà d'altra parte un incentivo pel nemico a scegliere per campo principale della lotta il teatro di guerra peninsulare anziché quuello della valle del Po. Ne deriva pertanto la necessità di opporsi con altri mezzi alla riuscita delle operazioni marittime del nemico. Importantissimo fra questi mezzi sarebbe una potente marina da guerra; e appunto per ciò venne ripetutamente espresso il voto che alla nostra marina fosse dato un maggiore sviluppo. Ma anche indipendentemente dalla considerazione che la Marina per potere esplicare la sua azione ha bisogno di punti di appoggio sulle coste, non sarebbe prudente affidare unicamente allo sviluppo della nostra marina da guerra la protezione delle nostre coste; sia perché questo sviluppo, in quanto si riferisce al materiale e forse più ancora per ciò che riguarda il personale, non potrà a meno di essere lento; sia perché questo sviluppo provocherà necessariamente un maggiore sviluppo delle forze marittime dei nostri possibili avversari, i quali disponendo di mezzi finanziari molto superiori ai nostri, potranno senza difficoltà mantenere inalterato il rapporto ora esistente fra le loro forze navali e le nostre; sia infine, perché quand'anche questo rapporto potesse modificarsi a nostro vantaggio, sarebbe cosa oltremodo imprevidente lo abbandonare la sicurezza dello Stato alle eventualità dell'esito di una battaglia navale, come lo prova il fatto che l'Inghilterra, nonostante la sua grande potenza marittima, profonde somme colossali nella sistemazione difensiva delle sue coste. È per conseguenza indispensabile che alla difesa della penisola si provveda mediante fortificazioni aventi per iscopo di creare difficoltà agli sbarchi col vietare al nemico l'uso di quegli specchi d'acqua dei quali esso potrebbe valersi per costituire buone basi marittime alle sue forze sbarcate, e col mettere ostacolo al loro avanzare dalla costa verso l'interno. Le operazioni marittime dirette contro la penisola si possono considerare, nel complesso delle operazioni del nemico, come manovre aggiranti il cui scopo sia di far cadere la resistenza della dife-


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sa senza essere costretti a superare l'ostacolo costituito dalla barriera alpina. Simili operazioni, trattandosi di un'aggressione proveniente da occidente, costituiranno aggiramenti vicini se operati mediante sbarchi sulle coste liguri e toscane, oppure aggiramenti lontani se operati mediante sbarchi sulle coste romane e napolitane. Lo scopo a cui mirerebbero gli aggiramenti vicini sarebbe quello di far sentire direttamente la loro azione sul fianco ed alle spalle delle truppe destinate alla difesa della frontiera terrestre. Questi aggiramenti non sposterebbero per conseguenza il teatro della guerra, e la difesa vi potrebbe parare con manovre contro le due masse in cui si troverebbe necessariamente diviso il nemico; ad agevolare le quali manovre è necessario procurare alla difesa appoggi tali che le permettano di trattenere con poche forze l'avanzare di una delle masse nemiche per rivolgersi colla maggior parte delle truppe ad affrontare l'altra. E poiché le forze sbarcate non potrebbero costituire la massa maggiore del nemico, risulta che, quando la frontiera terrestre sia stata fortificata in modo da assicurare le spalle delle forze della difesa che si rivolgano contro le truppe sbarcate, queste potranno essere assalite con soverchianza di forze purché si Operi colla necessaria rapidità. Gli aggiramenti vicini non costituirebbero per conseguenza, a mio avviso, un pericolo molto grave per la difesa, qualora, giova ripeterlo, le Alpi siano rafforzate con fortificazioni veramente robuste e siano stati preparati nello scacchiere ligure e toscano quegli appoggi di manovra che valgano a rivolgere in prò della difesa le condizioni del terreno. Io ritengo che gli aggiramenti più pericolosi diventeranno allora quelli lontani, quelli cioè che si operassero nelle provincie meridionali; giacché per opporsi ad essi non basterebbero più semplici manovre della difesa, ma questa dovrebbe spostare le sue forze da una all'altra estremità dello Stato, spostamento che richiederebbe un periodo non breve di tempo, durante il quale il nemico potrebbe rinforzarsi con successivi sbarchi e guadagnar terreno nella direzione della capitale del Regno. Un grosso sbarco che si operasse nelle provincie meridionali, anziché il carattere di una operazione semplicemente accessoria dell'invasione terrestre, assumerebbe quello di operazione principale. Per mandare a vuoto siffatta operazione è indispensabile preparare in quelle provincie ostacoli tali che permettano alle truppe in esse dislocate di trattenere l'avanzare del nemico verso


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la capitale di tanto da dar tempo al grosso delle forze nazionali di sopraggiungere mentre si trovino ancora in possesso della difesa buone posizioni per prendere l'offensiva con vantaggio. Appena occorre accennare, che il rafforzamento delle Alpi e dei successivi ostacoli geografici costituiti dalle linee fluviali e dall' Apennino toscano riuscirebbe efficacissimo anche nel caso più favorevole per la difesa di una invasione unicamente terrestre; come pure le difese preparate nell'Italia meridionale potrebbero riuscire in questa ipotesi mezzi efficaci per prolungare fino all'ultimo la lotta, quando essa ci fosse riuscita men favorevole sul principio, e forse pennettere alla difesa di rivolgerla a suo vantaggio, in grazia delle condizioni sfavorevoli in cui si trova un esercito che si sia inoltrato molto avanti in un paese nemico la cui difesa sia stata ben preparata e abbia contro di sé un esercito che sia ancora in grado di fargli fronte. Quanto alle isole, già s'è fatto cenno delle difficoltà che la difesa di esse presenta di fronte ad un nemico prevalente sul mare. Queste difficoltà si possono, se non sopprimere, attenuare almeno per ciò che si riferisce alla Sicilia, in grazia della grande sua vicinanza alle coste di Calabria, col costruire sulle due sponde dello stretto delle fortificazioni, che, mentre costituiscano come una doppia testa di ponte, vietino alle navi nemiche di stazionare nello stretto e assicurino per tal modo il passaggio delle nostre forze dalla Calabria in Sicilia e dalla Sicilia in Calabria. Mercè queste fortificazioni la difesa della SiciJia potrà far sistema colla difesa della penisola. La difesa della Sardegna dovrà invece far sistema da sé e le truppe ad essa destinate potranno essere soccorse soltanto eventualmente ed in misura limitata rompendo od eludendo il blocco di cui senza dubbio il nemico cingerà l'isola quando voglia farne o già ne abbia fatto scopo delle sue operazioni. La sistemazione difensiva della Sardegna dovrà per conseguenza ridursi a procurare appoggi di manovra alle limitate forze cui sarà affidata la difesa dell'isola, mercè i quali appoggi le dette forze possano validamente opporsi alle operazioni di secondaria importanza che venissero fatte dal nemico, e di fronte ad operazioni tentate con forze soverchianti esse possano almeno tenere alta il più lungimirante possibile nell'isola la nostra bandiera ................... ·-····················· Lo studio della sistemazione difensiva dello scacchiere occidentale della valle del Po venne fatto a più riprese da varie Com-


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missioni. Quella riunita nel luglio 1881 sotto la mia presidenza si occupò soltanto della sistemazione difensiva della rada di Vado. Quella riunita nel novembre dello stesso anno, e di cui io ebbi pure la presidenza, si occupò della sistemazione delle Alpi occidentali e dell' Apennino ligure. Finalmente la Commissione che si riunì nei mesi di ottobre, novembre e dicembre del 1882, la presidenza della quale, stante una mia indisposizione, venne assunta dal tenente generale conte Pianell, studiò la sistemazione interna dello scacchiere in parola, nonché la sistemazione dell' Apennino toscano e dello scacchiere costituito dalla valle dell'Arno, il quale, per le ragioni che già precedentemente esposi, ha strette relazioni collo scacchiere occidentale della valle del Po. Quest'ultima Commissione esaminò pure il tratto della frontiera terrestre corrispondente al territorio svizzero di cui in parte già s'era occupata la Commissione riunita nel novembre 1881 in occasione dello studio da essa fatto della sistemazione difensiva della valle d'Aosta. Riassumerò brevemente le proposte fatte da tutte le accennate Commissioni, ordinando queste proposte non già a seconda del1' ordine col quale vennero fatte, ma seguendo quello che viene suggerito dalle ragioni geografiche e militari. E prima di tutto debbo rappresentare alla E.V. che le due Commissioni le quali si occuparono del tratto della nostra frontiera terrestre corrispondente al territorio svizzero, furono concordi nell'ammettere che l'essere la neutralità di questo territorio sancita dai trattati non si possa considerare come sufficiente guarentigia contro aggressioni da quella parte; poiché la storia dimostra che simili neutralità non sono rispettate dalle potenze cui riesce utile violarle. D'altra parte non sarebbe da escludere in modo assoluto che in una conflagrazione europea la confederazione svizzera, travolta nella lotta, si facesse essa stessa assalitrice. In una guerra contro l'Italia, la Francia avrebbe interesse ad invadere il Vallese per estendere il suo fronte d'attacco e dargli un carattere sempre più spiccatamente avvolgente, valendosi del passo del Gran S. Bernardo e soprattuto di quello del Sempione. Quanto al passo del Gran S. Bernardo la maggioranza non credette di dover proporre uno speciale sbarramento permanente; e ciò in considerazione che questo passo non è fino ad ora valicato da alcuna rotabile; che le provenienze da esso sono sbarrate più a valle del forte di Bard; che le condizioni topografiche creerebbero delle


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difficoltà alla erezione di uno sbarramento efficace di questo passo alpino a monte di Aosta, e finalmente in considerazione che la grande vicinanza della frontiera al colle permetterebbe alla difesa di occuparlo al primo annuncio della violazione della neutralità svizzera per parte del nemico. Rimanendo per tal modo affidata alle truppe mobili la eventuale difesa del passo del Gran S. Bernardo si propose che questa difesa venisse apparecchiata fin dal tempo di pace mercè quelle opere che meglio valgano ad agevolarla. L'importanza che in caso d'invasione francese avrebbe pel nemico l'uso della strada del Sempione emerse chiaramente durante le discussioni fatte intorno alla difesa interna della valle del Po; per cui venne proposta la costruzione di uno sbarramento di questa strada in quella località che verrà riconosciuta conveniente in seguito agli studi che si faranno sul luogo. Questo sbarramento della strada del Sempione fu la sola opera di fortificazione permanente proposta per la sistemazione della nostra frontiera verso la Svizzera, essendosi considerato che nel caso d'invasione austriaca una violazione della neutralità svizzera condurrebbe le forze avversarie in Valtellina e nella conca di Chiavenna, donde, per procedere verso la pianura padana, esse dovrebbero seguire la strada del colle di Aprica e della Valcamonica che verrà sbarrata dalle fortificazioni di Edolo, oppure la strada che per Colico e Lecco corre lungo la costa orientale del lago di Como racchiusa in una lunga stretta formata dal lago stesso e dalle aspre montagne della Euribia; nella quale stretta per impedire l'avanzare del nemico riuscirebbero molto efficaci le distruzioni stradali; per cui la maggioranza non credette di accettare la proposta fatta da alcuni membri di sbarrare anche questa strada con opere permanenti. In ultimo non si credette proporre fortificazioni a difesa del tratto di frontiera compreso tra il lago di Como ed il lago Maggiore, per la considerazione che, penetrando questo tratto di frontiera molto addentro nel territorio italiano in una regione collinosa, per sbarrare tutte le strade che lo traversano si richiederebbe un estesissimo sviluppo di opere. Questo sviluppo di opere non sarebbe giustificato, sia perché di tutta la frontiera svizzera questo è per l' appunto il tratto dal quale una invasione nemica è meno probabile; sia perché la difesa potrebbe forse premunirsi efficacemente contro un simile pericolo mediante una pronta invasione del Canton Ticino e la occupazione della posizione del monte Ceneri; sia


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in ultimo perché la ricca rete ferroviaria della valle del Po permetterebbe alla difesa di operare pronti concentramenti su questo tratto di frontiera e la metterebbe per conseguenza in condizioni favorevoli di fronte alle forze avversarie; le quali, per raggiungere il nostro territorio, sarebbero state costrette a prolungare la loro linea di operazione attraverso una estesa zona costituita dalle più alte montagne del continente europeo. Mentre nello scacchiere veneto la barriera alpina venne considerata come un appoggio dal fianco sinistro dell'esercito schierato di fronte al confine aperto dell'Isonzo, nello scacchiere piemontese la barriera alpina doveva essere necessariamente considerata come un appoggio sul fronte dell'esercito, mercè il quale fosse possibile trattenere con forze relativamente limitate l'invasione in modo che rimanesse disponibile la maggior parte dell' esercito per rivolgerla contro i tentativi di aggiramento che il nemico facesse sia seguendo la strada del litorale ligure e sia operando sbarchi su questo litorale o su quello della Toscana. Ne derivava la necessità di proporre per le Alpi occidentali un robusto sistema di fortificazioni, mercè le quali quei monti, che in ogni tempo costituirono uno dei più formidabili ostacoli alle operazioni militari, diventassero per l'Italia quasi uno scudo impenetrabile che, proteggendola dai colpi diretti del suo potente vicino di occidente, lasciassero )jbere le forze della difesa per parare ai colpi rivolti contro i suoi fianchi. La sistemazione difensiva delle Alpi occidentali deve necessariamente raggrupparsi intorno ai fasci d'invasione che le traversano. Il più settentrionale di questi fasci è quello costituito dalla valle della Dora Baltea, la quale è fin d'ora sbarrata dal forte di Bard. Una Commissione speciale riunita nell'estate del 1881 sotto la presidenza del tenente generale cav. Cosenz avendo proposto di costituire una nuova opera a Macaby superiore per rafforzare questo sbarramento, la Commissione riunita sotto la mia presidenza nell' autunno dello stesso anno si associò a tale proposta. Quest'ultima Commissione però ritenne che, in considerazione dell'aumento d'importanza della valle della Dora Baltea quale linea d'invasione, derivante dalla costruzione ad Albertville di una vasta piazza da guerra avente carattere non solo difensivo ma benanche offensivo, e dalla costruzione della ferrovia che risalendo l'alta valle dell' Isère a monte della detta piazza farà capo fra


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breve a poca distanza dal colle del Piccolo S. Bernardo, il solo sbarramento di Bard, anche rafforzato nell'indicato modo, non costituirebbe una sufficiente guarentigia e non corrisponderebbe abbastanza al concetto generale di sopra indicato. Ed infatti la posizione di Bard è molto ritirata e quindi vicina allo sbocco in pianura, che il nemico potrebbe prontamente raggiungere non lasciando tempo alla difesa di parare a questo pericolo, quando le opere di Bard cadessero in suo potere. La posizione di Bard lascierebbe inoltre esposta a cadere nelle mani del nemico la maggior parte della estesa valle della Dora Baltea, ad impedire la qual cosa la difesa dovrebbe spingere verso la testata di essa considerevoli forze, che vi rimarrebbero immobilitate; mentre quando a monte della città di Aosta esistesse un altro sbarramento, sarebbe possibile ritardare più lungamente con poche forze l'arrivo del nemico sotto Bard e non si richiederebbero forze numerose per guarentire alla valle della Dora Baltea quella protezione, che, ogni qual volta non sia in opposizione cogli interessi generali della difesa, dev'essere accordata alle popolazioni dello Stato. Venne per conseguenza proposta ad unanimità la costruzione di un nuovo sbarramento permanente sulla linea del Piccolo S. Bernardo a monte della città di Aosta. A completare questa sistemazione della testata della valle della Dora Baltea fu proposto, come già ebbi l'onore di accennare antecedentemente, che venisse preparata la difesa mobile della linea del Gran S. Bernardo a monte della città di Aosta. Debbo però accennare qui al fatto, che una forte minoranza, della quale io pure faceva parte, avrebbe preferito sostituire a questa preparazione della difesa mobile alcune opere di fortificazione permanente ritenendo che la maggior spesa cui per tal modo si andrebbe incontro sarebbe largamente compensata dalla maggiore sicurezza e dal vantaggio di non essere costretti di immobilitare forze considerevoli in un punto così lontano dal più probabile teatro delle operazioni decisive. In ultimo la Commissione fu unanime nel proporre che venisse preparata la difesa mobile della testata del vallone di Champorcher o conca di Dondena, la cui importanza nella difesa della valle della Dora Baltea venne da tutti riconosciuta. Principalissimo tra i fasci d'invasione attraverso le Alpi occidentali è quello costituito dalle valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone. Ad affrontare la difesa di questo fascio


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d' invasione, la Commissione speciale presieduta dal generale Cosenz aveva proposto di aumentare la forza delle opere in costruzione sull'altipiano del Cenisio, di completare le fortificazioni di Exilles colla costruzione di due opere a Fenils e ai Sappè e di completare le fortificazioni di Fenestrelle colla costruzione di un'opera a Serre-Marie. A collegare poi le difese della valle della Dora Riparia con quelle del Chisone, la detta Commissione aveva proposto che fosse preparata l'occupazione e la difesa del Grand Serin con truppe mobili e che questo punto venisse messo in comunicazione colle fortificazioni di Fenestrelle mediante una strada che dal forte delle Valli salga fin presso il colle delle Finestre e quindi svolgendosi a prossimità della cresta, raggiunga il Grand Serin. Siffatte proposte miravano allo scopo di migliorare al più presto la sistemazione difensiva del fascio d'invasione in parola. La Commissione da me presieduta, associandosi interamente al concetto che aveva ispirato queste proposte, ritenne fosse urgente, per raggiungere lo scopo a cui si deve mirare nella sistemazione delle Alpi occidentali, di impiegare mezzi anche più efficaci; e perciò propose che le posizioni del Grand Serin e del colle delle Finestre venissero rafforzate con opere permanenti in modo da assicurarne il possesso stabile alla difesa e che si aprissero le strade rotabili occorrenti per mettere in comunicazione fra loro queste due posizioni, nonché la valle della Dora con quella del Chisone attraverso il colle delle Finestre e Meana colla Serra d' Arnau passando per la Madonna della Losa. Quest'ultima strada dovrebbe poi essere, secondo il concetto della Commissione, prolungata dalla Serra d' Arnau al Grand Seri n mediante 1' apertura di una comoda e larga mulattiera. A rinforzare poi sempre maggiormente lo sbarramento della valle del Chisone, la Commissione propose che si costruisse sulle falde meridionali del Grand Pelà un'opera destinata sia a rafforzare la difesa del Grand Serin, e sia a battere di rovescio il fondo della valle del Chisone e la strada che la percorre tra Pourrières e Fenestrelle, in modo da rendere, se non affatto impossibile, almeno improbabile l'attacco delle fortificazioni di Fenestrelle prima della caduta del Grand Serin e del Grand Pelà anche indipendentemente dall'azione delle truppe mobili. Se si considera nel suo complesso il teatro di operazioni costituito dalle valli della Cenischia, della Dora Riparia e del Chisone, si riconosce facilmente essere Susa il centro della sua difesa.


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Quando il possesso di questo punto venisse assicurato alla difesa, rimarrebbe sempre chiuso al nemico l'adito verso il piano anche quando fossero cadute le fortificazioni del Cenisio e di Exilles. Si verrebbe così ad ottenere anche in questo fascio d'invasione, come in quello della Dora Baltea, due successivi sbarramenti; imperocché nella valle del Chisone non potendo il nemico intraprendere l'assedio di Fenestrelle prima di essersi impadronito del Grand Serin e del Grand Pelà, l'accesso a] piano non gli sarebbe concesso anche per questa valle se non dopo avere espugnato due successive posizioni fortificate permanentemente, espugnazione che riuscirebbe difficile, giacché le posizioni anzidette potrebbero essere efficacemente sostenute dalle riserve stabilite a Susa. La Commissione fu per conseguenza unanime nel proporre che venisse studiato uno sbarramento permanente di 2a linea presso il confluente delle valli della Dora Riparia e della Cenischia, l' importanza del quale sbarramento è tale, secondo il mio avviso personale, che probabilmente, quando esistesse, il nemico rinuncierebbe affatto a valersi di questo fascio d'invasione. Ciò costituirebbe un grande vantaggio per la difesa, essendo il fascio d'invasione di cui si tratta per l'appunto quello che sotto molti aspetti offrirebbe le più favorevoli condizioni all'attaccante, sia per la esistenza della piazza di Briançon e sia per la esistenza della ferrovia de11a Moriana e della ferrovia che tra breve risalirà la valle della Durance fino a Briançon. A completare poi la sistemazione difensiva del fascio d' invasione in parola la Commissione riconobbe essere indispensabile assicurare l'interruzione della galleria del Fréjus con un'opera permanente nella conca di Bardonnecchia, la quale opera abbia per iscopo di vietare al nemico di stabilirsi ali 'imbocco sud della galleria stessa prima che siano effettuate le distruzioni occorrenti nell'interno di essa. Finalmente ad agevolare il compito delle truppe che dovranno impedire al nemico di cadere sul rovescio delle fortificazioni di Fenestrelle per le valli secondarie del Pellice e della Germagnasca, la Commissione propose che venissero fatte le preparazioni occorrenti acciò la difesa mobile di queste valli possa effettuarsi in buone condizioni. Questa deliberazione fu suggerita dal desiderio di limitare per quanto possibile le opere di fortificazione permanente. Io debbo però dichiarare che è rimasto in me il dubbio se non sarebbe forse più prudente provvedere con opere di fortificazione


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permanente anche allo sbarramento delle valli del Pellice e della Germagnasca, tanto più che nello stato attuale delle comunicazioni stradali non si tratterebbe qui di far opere di grande importanza. Un terzo fascio d'invasione, molto meno importante del precedente, ma pur tale da non doversi trascurare, è quello costituito dalle valli della Vraita e della Maira. Queste due valli non sono percorse per intero da strade rotabili. La rotabile che risale la valle della Vraita fino a Casteldelfino dista però di poco da quella che sul versante francese si avanza fino a Fontgillarde, mentre l'interposto colle dell'Agnello offre tali condizioni di terreno che non riuscirebbe malagevole all'invasore di adattare pel passaggio dell'artiglieria da campagna la mulattiera che lo valica. La Commissione propose pertanto che venisse costruito in quella valle uno sbarramento permanente in prossimità di Sampeyre. Ad accrescere la forza di resistenza dello sbarramento della valle di Vraita e ad estenderne l'azione anche nella valle di Maira, una parte della Commissione avrebbe desiderato che si proponesse di costruire qualche opera di carattere permanente al colle d'Elva (denominato anche colle di Sampeyre). La maggioranza però della Commissione, nell'intento sempre di ridurre per quanto possibile le opere di carattere permanente, volle limitarsi a proporre che venissero fatti al colle d'Elva quei lavori che valgano a prepararne l'occupazione eventuale con truppe mobili. Debbo dichiarare che questa soluzione non mi pare pienamente soddisfacente. Un quarto ed importantissimo fascio d'invasione è costituito dalle valli della Stura di Vinadio, del Gesso e della Vermenagna. A rafforzare lo sbarramento già esistente nella valle della Stura, la Commissione presieduta dal generale Cosenz aveva proposto di erigere una batteria sul fondo della valle tra il forte di Vinadio ed il fiume, di costruire spianati sul davanti del forte di Neghino, di aprire una strada che conduca dal fondo della valle alla Serziera, di costruire in quest'ultima località una batteria a barbetta e farvi spianamenti pel collocamento di bocche da fuoco, ed in ultimo di costruire a Cima delle Sources un corpo di guardia difensivo avente per iscopo di proteggere la Serziera dal fuoco della fucileria nemica. A queste proposte si associò la Commissione da me presieduta. Essa si associò pure alle proposte che erano già state inoltrate da un 'altra Commissione speciale presieduta pure dal generale Cosenz per lo sbarramento della valle della Vermenagna


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al colle di Tenda. A completare la difesa della valle della Stura la maggioranza della Commissione fu poi d' avviso si dovesse occupare con opere permanenti la regione del Mulo, allo scopo di impedire direttamente gli aggiramenti delle fortificazioni di Vinadio pel vallone dell' Arma ed indirettamente gli aggiramenti più larghi per le valli della Maira e della Grana. In ultimo la Commissione propose a grande maggioranza che, a sbarrare la valle del Gesso ed a costituire un secondo sbarramento delle valli della Stura e della Vermenagna veni ssero costruite delle opere di fortificazione permanente sulle alture che stanno davanti a Borgo San Dalmazzo. L' estensione della posizione di sbocco di Borgo San Dalmazzo richiederebbe che vi si costruisse un numero assai rilevante di opere quando si avesse in mira di impedire che anche limitate forze del nemico potessero, dopo la caduta delle fortificazioni antistanti, penetrare in pianura prima di averle espugnate. La Commissione riconobbe però non essere necessario proporsi un tale scopo. Quand' anche il nemico, dopo espugnate le fortificazioni di Vinadio e del colle di Tenda, potesse spingere nella pianura attraverso le opere di Borgo San Dalmazzo qualche distaccamento isolato, ciò non sarebbe di alcuna conseguenza per la difesa; giacché trattandosi di opere chiuse, questi distaccamenti non potrebbero affrettarne la caduta e si troverebbero essi stessi in una posizione molto compromessa al sopraggiungere delle nostre truppe mobili. La maggioranza dell a Commissione ritenne per conseguenza che la proposta sistemazione difensiva della posizione di Borgo San Dalmazzo possa esser fatta con un numero limitato di opere, costruite sui punti che costituiscono i capisaldi della posizione stessa e disposte in modo da rendere impossibile al nemico di avanzare per le strade rotabili che l'attraversano. La maggioranza della Commissione però, dopo aver proposto la sistemazione con opere permanenti della posizione di Borgo San Dalmazzo, credette dover modificare il voto dato dapprima per la sistemazione della regione del Mulo nel senso che, quando vengano erette le fortificazioni di Borgo San Dalmazzo, si possa prescindere dal sistemare con opere permanenti la regione del Mulo sostituendovi la sola preparazione per una eventuale difesa attiva. A questa modificazione, ispirata essa pure al desiderio di diminuire per quanto possibile le opere di fortificazione permanente, io non potrei per parte mia acconsentire, come


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quella che avrebbe per effetto di indebolire la forza di resistenza passiva delle Alpi e richiederebbe per conseguenza l'impiego in questa difesa di una maggiore quantità di truppe mobili, contrariamente al concetto che servì di base generale alla sistemazione difensiva delle Alpi occidentali. Ultimata così l'esposizione delle proposte fatte pel rafforzamento della frontiera delle Alpi occidentali, passerò ad esporre alla E.V. le proposte relative al fronte dello scacchiere occidentale della valle del Po costituito dall' Apennino ligure. Come è noto alla E.V. i monti di questa regione hanno un carattere assai diverso da quello delle Alpi occidentali. Essi sono molto più accessibili e vanno ogni giorno coprendosi di strade rotabili, talché costituiscono una zona in cui possono svolgersi operazioni ragguardevoli. Il rafforzamento di questa zona non si può per conseguenza informare al concetto di arrestare il nemico specialmente mercé le difficoltà del terreno e le opere di fortificazione difese attivamente con forze limitate. Qui l'elemento principale della difesa deve essere l'azione offensiva delle truppe mobili e le fortificazioni non possono avere altro scopo che quello di agevolare ad esse questo loro compito. La parte più importante del teatro d'operazione ligure è la Riviera di ponente, cioè quella parte della Liguria che è compresa tra Genova e la frontiera; sia perché in essa possono operare di concerto forze nemiche provenienti dalla strada litoranea e forze sbarcate sulla costa e sia perché l'azione di queste forze può essere più :facilmente collegata a quella delle forze avversarie operanti sulla frontiera alpina. La Commissione da me presieduta partì dal concetto che la base della difesa della Riviera di ponente dovesse essere costituita dal fronte di 30 chilometri circa compreso tra il passo di S. Bernardo e il passo di Cadibona; poiché mentre questo fronte copre l'origine delle valli del Tanaro, della Bormida occidentale e della Bormida orientale e alle sue spalle corre la rotabile Ceva-Millesimo lungo la quale potranno :favorevolmente disporsi le nostre riserve, contro di esso dovranno necessariamente andare ad urtare le forze nemiche provenienti dalla strada litoranea nonché quelle sbarcate sulla costa ad occidente di Savona e più probabilmente nella rada di Vado che è il tratto della costa ligure che più favorevolmente si presta a grandi operazioni di sbarco. Ciò non toglie però che la difesa non debba vantaggiarsi delle posizioni più avanzate che sono offerte dai due contrafforti entro i


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quali si racchiuse la valle dell' Arosia, per trattenere ed anche arrestare l'invasione, o, quando le circostanze lo permettano, procedere da esse ali' offensiva. La prima delle due indicate posizioni è traversata dalla rotabile che da Oneglia per Pieve di Teco mette ad Ormea in valle del Tanaro. Essa appoggia la sinistra al mare presso Albenga e la destra ai monti che costituiscono la testata della valle del Tanaro ed è rafforzata da tergo dai forti di Nava e di Zuccarello costruiti di recente allo scopo di sbarrare le strade che dalla costa mettono nella valle del Tanaro ad Ormea ed a Garessio. La seconda, accessibile alle estremità per le anzidette due rotabili, appoggia le sue ali appunto ai forti di Nava e di Zuccarello. I monti della testata della valle del Tanaro costituiscono per conseguenza la chiave della prima delle accennate posizioni; e poiché il nemico che ne fosse padrone potrebbe, penetrando nella valle del Tanaro a tergo delle fortificazioni di Nava, isolarla dal resto del paese, e stabilendosi sul monte Escia affrettarne la caduta, ne deriva che la testata della valle del Tanaro costituisce la chiave di ambedue le posizioni avanzate dalla valle dell' Arosia. Se si tien conto poi della influenza che il possesso della testata della valle del Tanaro esercita eziandio sulla difesa del colle di Tenda, non si può a meno di riconoscere la grande importanza militare di essa. Una Commissione speciale, riunita nel corso dell'estate nel 1881 sotto la presidenza del generale Ricotti, riconoscendo l'importanza militare della testata della valle del Tanaro, già aveva proposto che se ne preparasse l'occupazione con truppe mobili e si aprisse una rotabile che partendo dal colle di Nava conducesse al colle del Tanarello e rendesse così possibile l'eventuale concentramento di forze relativamente considerevoli in vicinanza di quest'ultimo colle. La Commissione da me presieduta riconobbe la convenienza di queste proposte ed esaminò se a meglio assicurare il possesso della testata della valle del Tanaro non convenisse proporre la costruzione di qualche opera di carattere permanente. Una debole maggioranza, ispirata sempre al concetto di limitare più che sia possibile le opere di fortificazione permanente, respinse questo concetto. Debbo però dichiarare che, a mio avviso, la semplice preparazione della difesa con truppe mobili della testata della valle del Tanaro pare affatto inadeguata all'importanza militare di essa, la quale richiederebbe qualche opera di carattere permanente.


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Esistendo queste opere, converrebbe prolungare dal colle del Tanarello a Briga la rotabile che la Commissione presieduta dal generale Ricotti propose di costruire fra il detto colle e quello di Nava, in modo che essa costituisca un nuovo sbocco offensivo della difesa nella valle del Roja, aumentando così sempre più l'efficacia del concorso che dalla occupazione della testata della valle del Tanaro può essere prestato alla difesa del colle di Tenda. Circa la seconda posizione della valle dell' Arosia, è da notare che le fortificazioni di Nava, alle quali essa appoggia il fianco destro, potrebbero essere, come già accennai, seriamente minacciate quando il nemico si fosse impadronito della testata della valle del Tanaro e penetrando in questa valle minacciasse le comunicazioni del forte con Ormea. A parare a questo pericolo, la Commissione presieduta dal generale Ricotti già aveva proposto di preparare l'occupazione con truppe mobili del monte Escia, il quale domina da occidente il colle di Nava e colle sue propagini settentrionali rinserra la valle del Tanaro in modo da costituire quasi una seconda testata di questa valle. Anche a proposito del monte Escia, la Commissione da me presieduta si scisse in una maggioranza che si associò al le proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti ed in una minoranza che avrebbe desiderato che al monte Escia fossero costruite delle opere permanenti allo scopo soprattutto di realizzare nella sua difesa una economia di forze mobili. La Commissione da me presieduta si associò nel seguito con voto unanime alle proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti pel completamento delle fortificazioni di Zuccarello, esprimendo il parere che la costa di Semeggio debba essere fortemente occupata con opere permanenti. Per rafforzare l'ala destra del fronte principale della difesa (colle di S. Bernardo-Altare) la Commissione propose poi di costruire sul contrafforte che separa le valli del Tanaro e della Bormida occidentale delle opere permanenti le quali appoggiandosi alla Cianea sulla dorsale apenninica, avrebbero anche azione sulla strada del colle di S. Bernardo una volta che il forte di Zuccarello fosse caduto nelle mani del nemico, e dominando la Colla Bassa costituirebbero lo sbarramento di una rotabile di cui la Commissione credette proporre la costruzione tra Calizzano e Garessio per 1' accennata Colla. In questo modo la difesa, dopo la caduta dei forti di Nava e di Zuccarello, avrebbe il suo fi anco destro ap-


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poggiato ad opere permanenti e sarebbe in buone condizioni per agire offensivamente contro il nemico che si arrischiasse a scendere la valle del Tanaro per avvolgere con largo movimento il fronte colle di S. Bernardo-Altare. La Commissione si associò poi con voto unanime alle proposte fatte dalla Commissione speciale presieduta dal generale Ricotti per la erezione di uno sbarramento al colle di Melogno e pel completamento dello sbarramento già esistente al colle di Altare. Essa si associò parimenti alle proposte inoltrate a codesto Ministero dalla Commissione speciale presieduta dal generale Longo per la costruzione di batterie da costa aventi per iscopo di battere con tiri curvi lo specchio d'acqua della rada di Vado in modo da impedire alle navi nemiche di stazionarvi e di costituirvi una base per le loro truppe sbarcate, in base al voto emesso nelle sue precedenti riunioni. Per collegare meglio le opere dello sbarramento di Altare con quelle della rada di Vado, essa propose però di sostituire ad un'opera che, secondo il progetto della Commissione speciale presieduta dal generale Ricotti, si doveva costruire a Cadibona, un'opera al monte Giuto, la quale protegga di rovescio le batterie da costa o batta il terreno sul quale avrebbe dovuto sorgere 1'opera di Cadibona. Allo scopo poi di accrescere l'attitudine offensiva del fronte colle di S. Bernardo-Altare si fu unanimi nel proporre che venga autorizzata l'apertura di una strada rotabile tra Bardi netto e Toirano, alla condizione però che contemporaneamente alla sua costruzione essa venga sbarrata con opere permanenti. A migliorare le comunicazioni a tergo del fronte, la Commissione fu pure unanime nel proporre che venga sollecitato il compimento della strada Calizzano-Murialdo-Millesimo. Colla sistemazione proposta del fronte colle di S. BernardoAltare, si avrà un buon appoggio di questa linea sull'ala sinistra, nonché buone condizioni difensive e controffensive davanti al fronte; ma, a mio avviso, sarà insufficiente l'appoggio dell 'ala destra, e non si avranno condizioni molto favorevoli per l'offensiva su11'ala stessa, a correggere il quale difetto alcuni membri della Commissione, ed io fra essi, ritenevano si dovesse preferire al le fortificazioni della Cianea e della Colla Bassa un secondo sbarramento diretto delle strade del colle di S. Bernardo e del colle di Nava a monte di Garessio.


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A completare la sistemazione difensiva della Riviera di ponente, la Commissione si associò in ultimo alle proposte fatte dalla Commissione presieduta dal generale Ricotti per lo sbarramento del colle del Giovo e del colle del Turchino, raccomandando la sollecita costruzione delle opere del Giovo, atteso lo stretto legame esistente fra questo passo ed il fronte colle di S. Bernardo-Altare. La E.V. con dispaccio in data 23 ottobre 1881 aveva incaricato la Commissione di esaminare, se, tenuto conto della impossibilità di impedire in modo assoluto per mezzo di difese che la città di Genova venga bombardata dalle navi nemiche, fosse conveniente conservare quella piazza; e se, quando si creda che essa si debba conservare, non sarebbe conveniente ridurre le difese alla sola occupazione del fronte di terra, abbandonandone il fronte a mare. Quando poi la Commissione si fosse chiarita favorevole alla conservazione del fronte a mare, essa era invitata ad esprimere un parere sulla convenienza o meno che la sistemazione di questo fronte abbia per iscopo di battere il mare largo oppure soltanto di difendere l'entrata del porto e di battere gli ancoraggi. La Commissione veniva in ultimo invitata ad esprimere il suo parere sulla convenienza che le fortificazioni dei fronti di terra siano ordinate in guisa da poter resistere eventualmente anche ad un attacco regolare proveniente dalla stessa Genova, qualora questa fosse caduta in potere del nemico. Questi vari quesiti vennero accuratamente dibattuti dalla Commissione, la quale fu unanime nel ritenere essere tale l'importanza militare della posizione di Genova, e tanto il pregiudizio che ne verrebbe alla difesa dello Stato quando essa cadesse in potere del nemico, che il fatto della impossibilità di impedire in modo assoluto il bombardamento della città non si potrebbe in alcun modo considerare come ragione sufficiente per abbandonarne la difesa. Per ragioni non meno gravi la Commissione ritenne non doversi abbandonare il fronte a mare della piazza e fu quasi unanime nel proporre che la sistemazione di questo fronte venisse fatta in modo che si possa battere il mare largo. In base a questo concetto la Commissione si associò in massima alle proposte inoltrate dalla Commissione speciale presieduta dal generale Ricotti per la sistemazione del fronte a mare della piazza di Genova tra Erselli e Vagno, proposte che lo stesso generale Ricotti riconobbe conveniente venissero parzialmen-


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te modificate in seguito all ' adozione di nuovi calibri per la difesa delle coste. E ssa espresse inoltre il parere che convenga allargare il braccio meridionale del nuovo molo di ponente; che la difesa del fronte a mare debba essere completata coll 'impiego di torpedini, di siluri e di tutte le difese accessorie che la marina stimerà conveniente di adoperare; e che si dispongano potenti bocche a fuoco in modo tale che, essendo sottratte alla vista dal largo, possano battere con tiri diretti le navi nemiche, qualora queste, superando tutte le difese del fronte a mare, fo ssero riuscite ed entrate nel porto. La Commissione si associò pure alle proposte fatte dalla più volte ricordata Commissione presieduta dal generale Ricotti pel rafforzamento della piazza di Genova sui fronti di terra e specialmente su l fronte occidentale mediante la costruzione di opere staccate sulle alture dell ' Incoronata, ritenendo che non occorra la costruzione di nuove opere per mettere i detti fronti in grado di resistere ad un attacco regolare proveniente dalla stessa Genova, qualora questa fosse caduta in potere del nemico. In ultimo la Commissione espresse il parere che convenga prolungare per cresta fino al colle del Turchino la strada che la Commissione presieduta dal generale Ricotti propose di aprire da Genova per Madonna della Guardia a monte Pennello. Quanto ai colli della Bocchetta, dei Giovi e della Scoffera, si ritenne che non sia per ora necessario sbarrarli essendo i detti colli coperti dalle fortificazioni di Genova. La Commissione fu però unanime nell 'ammettere la necessità che venga sbarrato il colle della Scoffera quando sarà aperta la comunicazione rotabile dal colle stesso a Chiavari per la valle di Fontana Buona. Procedendo poi al1 'esame delle nuove comunicazioni già aperte o che si apriranno tra breve attraverso il tratto di Apennino corrispondente alla Riviera di levante, si riconobbe l'importanza di queste comunicazioni considerate sotto il punto di vista delle operazioni che il nemico potrebbe tentare, sia dalla costa verso la valle del Po mediante sbarchi nella Riviera di levante oppure per terra dopo la caduta della piazza di Genova, e sia dalla valle del Po verso la costa, allo scopo specialmente di investire la piazza della Spezia, e si fu unanimi nell 'ammettere la convenienza che vengano sbarrate con opere permanenti a doppio fronte i passi del Bocco e delle Cento Croci.


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Lo studio della sistemazione difensiva della Liguria venne uttimato coll'esame della piazza della Spezia. La Commissione non poté a meno di preoccuparsi grandemente del fatto che questa piazza, la cui importanza deriva principalmente dall'essere in essa racchiuso il nostro principale arsenale marittimo, mentre ha raggiunto un certo grado di sviluppo nelle difese contro gli attacchi dalla parte del mare, è tuttora interamente indifesa sul fronte rivolto a terra; diguisaché uno sbarco nemico eseguito nei primi giorni della mobilitazione alle foci della Magra ci farebbe correre il pericolo di perdere la base delle operazioni della nostra marina da guerra nel mare Ligure e nel mar Tirreno. È perciò cosa della massima urgenza che il fronte a terra della Spezia venga sistemato in modo corrispondente alla sua grande importanza. La Commissione, mentre fu unanime nel riconoscere ciò, lo fu eziandio nell'ammettere la convenienza che la difesa efficace della piazza di Spezia sia in massima affidata a forti staccati e che la sua cinta abbia soltanto per iscopo di preservare il corpo della piazza da colpi di mano. Quanto al tracciato di questa cinta, la Commissione, dopo matura discussione, propose che venisse adottato quello già proposto dalla Commissione speciale riunita nell'estate del 1881 sotto la presidenza del generale Ricotti; tracciato che partendo dalla batteria dei Cappuccini salirebbe fino a Cabusotto e scenderebbe da questo punto verso sud-ovest in modo da racchiudere colla ferrovia, coll'arsenale e collo stabilimento di S. Vito il maggior spazio fabbricato che sia possibile. A protezione poi degli stabilimenti staccati dell'arsenale della Spezia, la Commissione fu unanime nel riconoscere la convenienza che venissero costruite cinte speciali di sicurezza. Essa fu poi quasi unanime nell'ammettere la convenienza che le posizioni del contrafforte compreso tra il monte Castellazzo e la batteria dei Cappuccini vengano occupate colle tre batterie che erano state progettate quando si aveva in animo di far percorrere alla cinta l ' intero contrafforte. Circa il tratto del fronte a terra della Spezia rivolto a oriente, la maggioranza della Commissione ritenne che esso non si potrebbe considerare come sufficientemente protetto colla costruzione delle accennate batterie del contrafforte dei Cappuccini e colla costruzione dei forti progettati a monte Albano, Valdilochi e Canorbino, ritenendo essa indispensabile che il fronte orientale della


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piazza della Spezia dovesse essere spinto innanzi fino ad aver vista nella valle della Magra. Per assicurare poi da rovescio le opere del fronte a mare che stanno sulla costa orientale del golfo, la maggioranza della Commissione espresse il parere che si dovessero occupare con opere permanenti le posizioni del monte Branzi e del monte Rocchetta. Per ciò che si riferisce ai fronti nord e ovest della piazza della Spezia, la maggioranza della Commissione si associò alle proposte già inoltrate dalla Commissione speciale presieduta dal generale Ricotti, aggiungendovi però un'opera al monte Paradiso e riconoscendo la convenienza che le opere di Castellazzo, Marinasco, Vissegi, Sommovigo e Costa Macè, le quali in seguito al nuovo tracciato proposto per la cinta sarebbero da essa separate, siano chiuse alla gola come tutti gli altri forti staccati. Con questa sistemazione dei fronti a terra della piazza della Spezia, essa sarebbe senza dubbio in buone condizioni contro attacchi da oriente e da nord. Però le sue condizioni contro attacchi da occidente sarebbero, a mio avviso, assai poco soddisfacenti; imperocché mentre le opere staccate dal fronte orientale disterebbero di 5 o 6 chjlometri dall'arsenale, non spingendo quelle del fronte occidentale al di là della linea monte Parodi-Vissegi, esse disterebbero dal1' arsenale soltanto di due chilometri e mezzo e quindi risponderebbero in modo insufficiente allo scopo di tener lontano il nemico quanto si richiede per impedire un efficace bombardamento dell'arsenale stesso. Per questa ragione ed anche perché un 'opera costruita a monte Parodi, mentre sarebbe dominata a tiro di fucileria da monte Verugoli, non avrebbe vista ed azione sulle acque di Rio Maggiore (dalle quali le navi nemiche potrebbero bombardare l'arsenale facendo scavalcare ai proietti le alture che racchiudono da occidente il golfo della Spezia), e tenuto conto eziandio che colla occupazione del monte Verugoli si avrebbe questa azione, non pochi membri della Commissione furono d'avviso convenisse meglio costruire il fronte occidentale secondo il primitivo progetto fatto dal colonnello Nicolis, nel quale la difesa avanzata era spinta da questa parte fino al monte Verugoli ed al monte Bermego. Secondo il mio avviso personale l'occupazione mediante forti staccati dovrebbe anzi essere spinta anche più lontano fino al monte Capri, riducendo l'occupazione di monte Verugoli alla co-


APPENDICE

449

struzione di un'opera di minore importanza, destinata principalmente a battere con tiri curvi il mare esterno presso la costa di Rio Maggiore. La Commissione prese eziandio conoscenza delle proposte fatte dalla Commissione speciale presieduta dal generale Ricotti pel completamento del fronte a mare della Spezia e si associò con voto unanime a queste proposte. La maggioranza della Commissione, preoccupandosi però della possibilità che avrebbero le navi nemiche di bombardare l'arsenale nonostante l'esistenza della diga subacquea e tenendo conto del fatto che la scelta della diga mediana a preferenza di quella foranea venne subordinata alla condizione che fossero costruite in mare sul davanti della diga stess~ delle opere armate con potenti artiglierie, mercè l'esistenza delle quali fosse reso impossibile al nemico di stare impunemente a distanza di bombardamento dall'arsenale, credette conveniente proporre che vengano fatti gli studi occorrenti per la costruzione delle indicate opere. In ultimo la Commissione fu unanime nel proporre che venga studiato il modo di avere azione con un sufficiente numero di tiri curvi sullo specchio d'acqua corrispondente alla costa di Rio Maggiore, allo scopo di impedire, per quanto possibile, che il nemico vi stazioni per bombardare l'arsenale con tiri che scavalchino le alture della Castellana. Quando fossero sistemate secondo le proposte che ebbi l' onore di sottoporre alla E.V. le difese periferiche dello scacchiere occidentale della valle del Po, assai probabilmente il nemico, quantunque superiore numericamente, non riuscirebbe a superarle. Non sarebbe però cosa prudente basarsi su una simile speranza, per quanto essa possa essere fondata, per trascurare la preparazione di quelle difese interne, che quando le sorti della guerra ci riescano contrarie da principio, possano concorrere a rendere fecondi gli ulteriori sforzi delJ' esercito e della nazione per resistere al1' invasione nemica e per ricondurre la vittoria sotto le nostre bandiere o salvare almeno l' onore delle armi. E perciò la Commissione riunita nell'ottobre del 1882 sotto la presidenza del tenente generale conte Pianell studiò e propose le difese interne da costruirsi nello scacchiere occidentale della valle del Po non solo, ma eziandio il rafforzamento del grande ostacolo costituito dall' Apennino toscano contro le invasioni provenienti


450

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

così dalla frontiera nord-ovest come dalla frontiera nord-est. Essa studiò inoltre la sistemazione difensiva della valle dell'Arno, la quale, come già ebbi l'onore di accennare alla E.V., ha stretti rapporti collo scacchiere occidentale della valle del Po. Riferirò qui in seguito le considerazioni in base alle quali la detta Commissione concretò le sue proposte. Essa si preoccupò anzitutto delJe condizioni in cui si troverebbero le nostre forze le quali dovessero ripiegare dalla frontiera alpina e dalla Riviera ligure di ponente in seguito a rovesci toccati. La maggior parte delle nostre forze trovandosi necessariamente sulla destra del Po, dovrebbe iniziare da quella parte il suo movimento di ritirata. Senonché il terreno di manovra compreso tra il Po e l' Apennino, esteso quasi 100 chilometri tra Chivasso e ~.fondovì, va restringendosi mano a mano si procede verso oriente in modo che all'altezza di Stradella, tra Varzi e Portalbera, non misura più di 30 chilometri di terreno collinoso ed in parte anche montano. Ne deriva che, secondo il concetto della Commissione, in un simultaneo ripiegamento deJle nostre forze, esse non potrebbero effettuare per intero il loro ripiegamento sulla destra del Po ma sarebbero costrette a passare parzialmente sulla sponda sinistra del fiume. Che anzi il risvolto che il corso del Po fa tra Frassinetto e Valenza, nel qual tratto corre perpendicolarmente alla direzione della eventuale ritirata dell'esercito, renderebbe, a parere della Commissione, affatto indispensabile il passaggio di una parte di esso dalla sponda destra alla sponda sinistra del fiume una volta che fosse arrivato all'altezza del fronte Casale-Alessandria. Una simile operazione dovendosi compiere in ritirata sotto la pressione del nemico incalzante, la Commissione ritenne che potrebbe avere funeste conseguenze pel nostro esercito qualora questo non trovasse sul detto fronte degli appoggi che gli permettessero di compierla colla necessaria sicurezza. A queste ragioni altre si addussero nel seno della Commissione per attribuire una speciale importanza militare ad Alessandria nel caso di una ritirata nelle nostre forze dall'alta valle del Po. La maggior parte delle strade che dall'alto Piemonte e dalla Riviera ligure sarebbero seguite dalle nostre forze non solo, ma eziandio da quelle dell ' invasore, si rannodano ad Alessandria o passano a breve distanza da essa. Quivi affluiranno per conseguenza le nostre forze e quivi mireranno necessariamente quelle del nemico; per cui l'assicurar-


APPENDICE

451

si il possesso di questo punto è per la difesa una necessaria guarentigia dell'ordinato proseguimento della sua eventuale ritirata. S'aggiunga che l' Apennino ligure, sul quale più probabilmente avrebbero luogo i grandi scontri il cui possbile esito infelice provocherebbe la ritirata generale delle nostre forze, trovandosi a minore distanza da Alessandria di quello che Alessandria si trovi dalla zona alpina, allorquando questo punto fosse indifeso e le forze nemiche sboccate dall' Apennino ligure l'occupassero, sarebbe compromessa la ritirata della maggior parte delle nostre forze impegnate nella.zona alpina e nell'alto Piemonte. D'altra parte la Commissione, nella considerazione che il fronte Casale-Alessandria non si trova appoggiato all' Apennino, e che per conseguenza l'esercito, qualora si sostasse per riordinarsi, potrebbe essere staccato dall' Apennino stesso e quindi dalla sua naturale linea di ritirata per la destra del Po, ritenne che l'importanza militare dell'anzidetto fronte sia di carattere transitorio. La Commissione fu per conseguenza unanime nell'ammettere la necessità che venissero sistemate le fortificazioni di Alessandria, senza però dar loro uno sviluppo maggiore di quel1o strettamente indispensabile per contrastare all'invasore il possesso di questo punto; che si conservassero le fortificazioni di Casale, introducendovi soltanto quei miglioramenti che per avventura si reputino strettamente indispensabili per metterle in grado di soddisfare al loro compito transitorio, ed in ultimo che si occupasse l'altura di Monte con un'opera di fortificazione permanente che concorra colle fortificazioni di Casale e di Alessandria a proteggere l' eventuale ritirata dell'esercito attraverso il tratto del Po compreso tra Casale e Bassignana. Senza entrare a discutere questa proposta della Commissione presieduta dal generale Pianell, mi limito a dichiarare che, mentre mi associo alla convenienza di conservare le fortificazioni di Alessandria e di Casale, non potrei ammettere, particolarmente per Alessandria, le idee restrittive colle quali venne considerata l'importanza di questa posizione, che per me ne ha una molto più larga. Quale vera posizione di raccolta dell'esercito, in cui esso possa riordinarsi e rifarsi delle perdite subite per tentare un pronto ritorno offensivo, la Commissione fu unanime nell'ammettere doversi prescegliere e sistemare con opere di fortificazione la posizione costituita dalle alture che dal monte Penice scendono sul Po presso Stra-


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

della ed è prolungata verso oriente dal corso del Po fino a Piacenza e Cremona. Ad accrescere poi l'attitudine offensiva di tale posizione, si riconobbe doversi rafforzare con fortificazioni la parte inferiore del corso del Ticino e la parte inferiore del corso dell'Adda. La detta posizione essendo fortemente collegata alla catena apenninica. non riuscirebbe al nemico di staccare l'esercito, che vi fosse stabilito, dalla sua linea naturale di ritirata senza averlo prima sloggiato dalla posizione stessa. Imperocché a sud di essa farebbero ostacolo agli aggiramenti del nemico una zona impervia di aspre montagne facilmente difendibile con poche truppe e la piazza di Genova; e per aggirarla da nord il nemico sarebbe costretto a dividersi in due masse separate dal corso del Po, delle quali una dovrebbe rimanere sulla destra di questo fiume per fronteggiare le fortificazioni di Stradella e la piazza di Genova e coprire le comunicazioni colla Francia, e l' altra operare per la sponda sinistra, varcare il Ticino, penetrare in Lombardia ed esporre per lungo tratto il proprio fianco ai ritorni offensivi della difesa. Compiute le quali operazioni, il nemico si troverebbe pur sempre di fronte alla forte linea del Po, in posizione assai pericolosa, perché le sue linee d'operazione sarebbero gravemente compromesse. La difesa per contro potrebbe rivolgere la maggior parte delle sue forze contro l'una o contro l'altra parte dell'esercito nemico con probabilità di felici successi, senza correre alcun pericolo di essere tagliata dalla sua linea naturale di ritirata. A concretare questo concetto, la Commissione presieduta dal generale Pianell fece, parte ad unanimità e parte a maggioranza di voti, le seguenti proposte: 1° Che si sistemi a difesa con carattere controffensivo il contrafforte che staccandosi dalla cresta apenninica presso Torriglia si dirige verso il Po presso Stradella, costruendo opere permanenti sul tratto compreso tra Casa Zanolo ed il Po, e sbarrando le rotabili che scavalcano il detto contrafforte a sud di Casa Zanolo; 2° Che si prolunghi l'anzidetta linea di difesa sulla sinistra del Po lungo il corso del Ticino: a) costruendo a Pavia una doppia testa di ponte con opere capaci di resistere anche se abbandonate a loro stesse; b) costruendo a Vigevano una testa di ponte sulla destra del Ticino con opere per le quali non si richiede il grado di resistenza suddetto; 3° Che si completi la piazza di Pizzighettone sulle due sponde dell'Adda in modo che questa piazza sia capace di resistere


APPENDlCE

453

anche se abbandonata a sé stessa e costituisca una doppia testa di ponte sull' Adda; 4° Che si costruisca una testa di ponte sulla sinistra del Po nel tratto compreso tra Stradella e Piacenza all' altezza del passo di Parpanese ........................................................................................ . L'ipotesi di un grande sbarco nemico sulle coste dell'Italia meridionale venne studiata dalla Commissione che tenne le sue sedute sotto la mia presidenza nello scorso mese di maggio. Essa riconobbe l'importanza della linea del Volturno come appoggio alle truppe della difesa delle provincie meridionali e come base ai ritorni offensivi contro il nemico che si sia reso padrone di Napoli. Sulla linea del Volturno mettono infatti tutte le strade rotabili che dall'Italia centrale conducono nell 'Italia meridionale, e su di essa mettono pure la ferrovia da Roma a Napoli per Ceprano e la diramazione della ferrovia adriatica da Foggia a Napoli per Benevento. Altre linee ferroviarie progettate ed in parte anche in considerazione aumenteranno le comunicazioni tra l'Italia centrale e la linea del Volturno, la quale presenta inoltre un ostacolo naturale di qualche importanza ed ha un corso molto limitato in pianura. L'esistenza in Gaeta di fortificazioni che vietino al nemico, che sia padrone di Napoli, di operare sbarchi considerevoli a nord della foce del Volturno per far cadere questa linea con attacchi da tergo e per interromperne le comunicazioni con Roma ne accresce ancora l' importanza. Per tutte queste considerazioni la Commissione propose che venisse rafforzata la linea del Volturno col completare la piazza di Capua mediante forti staccati sulle due sponde del fiume, la cui cerchia si appoggi convenientemente alla cresta dei monti Tifata ed a quella dei monti di Bellona e occupi la gola di Triflisco in modo da agevolare lo sbocco delle truppe della difesa da questa gola verso Caiazzo. La Commissione propose in ultimo che l' attuale cinta di Capua venisse ampliata particolarmente sulla destra del Volturno e di preferenza a levante delJa città ............................ . La Commissione che si riunì nel novembre del 188 1 per lo studio della difesa periferica del teatro di guerra nord-ovest emise i seguenti voti: 1° Che venga sollecitata la costruzione della ferrovia CevaGaressio;


454

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL' UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

2° Che venga sollecitata la costruzione della ferrovia Mondovì-Cuneo; 3° Che venga costruita una ferrovia da Voltri ad Alessandria per la valle dell' Orba. La Commissione riunita nell'autunno del 1882 per lo studio del teatro di guerra interno emetteva il voto che venisse collocato un secondo binario tra Piacenza ed Alessandria, ed in ultimo la Commissione riunita sotto la mia presidenza nello scorso mese di maggio, considerando come cosa di capitale importanza per la difesa delle provincie meridionali di assicurare la possibilità di trasportare rapidamente in esse delle truppe dall'Italia centrale, emetteva i seguenti voti: 1° Che fosse collocato un doppio binario nei tratti della linea ferroviaria Roma-Napoli compresi tra Roma e Segni e tra Roccasecca e Presenzano; 2° Che venissero allungati i binari di raddoppio in tutte le stazioni della linea Foggia-Caserta; 3 ° Che fosse affrettata la costruzione delle linee ferroviarie Roma-Sulmona, Avezzano-Roccasecca e Sulmona-Isernia-Caianello e che venisse raddoppiato il binario nei tratti Orte-Roma e Foligno-Temi.

Classificazione delle proposte fatte dalle Commissioni per lo studio della sistemazione difensiva dello Stato in due periodi, a seconda del loro grado d'urgenza N.B.: Il generale Mezzacapo Luigi, dopo matura riflessione, ha dichiarato che intende ritirare i voti da lui dati per la classificazione in due periodi di attuazione delle proposte fatte per la sistemazione difensiva dello Stato, poiché ritiene che una simile classificazione non possa essere fatta in astratto, attesoché ciascuna delle fortificazioni proposte per la difesa dello Stato può rivestire il carattere della massima urgenza quando si verifichi una data ipotesi di guerra. E perciò, a suo avviso, la precedenza nella costruzione delle opere di fortificazione deve essere stabilita dal Ministro della guerra, il quale, come membro del Governo, è in grado di regolarla a seconda delle esigenze della politica internazionale.


Membri della Commissione INDICAZIONE delle fortificazioni

che votarono per l'assegnazione al IO periodo

Bard (Batteria al Ma- Ammiragli Fincati, Martin-Franklin, Accaby superiore). ton. Generali Ricci, Bruzzo , Sachero, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell, Berto!è-Viale.

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

DICHIARAZTONl della Commissione o dei singoli membri di essa

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Moncenisio, Exilles Come sopra. e Fenestrelle (raffor-

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zamenti proposti dalla Commissione presieduta dal generale Cosenz).

Grand Serio, Gran Come sopra. Pelà, colle delle Finestre.

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INDICAZIONE delle fortificazioni

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Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al l O periodo

Strade militari nella Come sopra. zona compresa fr a Fenestrelle, il Grand Serin e Meana. Forte allo sbocco Come sopra. sud della galleria del Fréjus.

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

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DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Sbarramento in Val- Ammiragli Fincati, le di Vraita. Martin-Franklin, Ac-

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ton. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, Longo, Ricotti, Mezzacapo, Carlo, Cosenz, Pianell, Berto!è-Viale.

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INDICAZIONE delle fortificazioni

Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al IO periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

Zuccarello (compie- Come sopra. tamento delle opere secondo le proposte della Commissione presieduta dal Generaie Ricotti). Colla Bassa di Ga- Generali Bruzzo, Generali Ricotti, Rie- Ammiragli Fincati, ressio e Cianea. Bertolè-Viale, Longo, ci, Sachero. Martin-Franklin, AcMezzacapo Carlo, ton. Cosenz, Pianell. Melogno.

Il generale Ricci non avendo preso parte alla votazione di queste fortificazioni, dichiara che, esistendo le fortificazioni di Nava, Zuccarello e Melogno, e tenuto conto della forza naturale dei luoghi, egli non ne crede urgente la costruzione.

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Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, BertolèViale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell. Ammiragli Fincati, Martin-Franklin, Acton.

Altare e Monte Giu- Come sopra. to.

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INDICAZIONE delle fortificazioni Vado.

Giovo di Sassello.

Turchino.

Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

Ammiraglio Fincati. Ammiragli Acton, Generali Ricci, Bruz- Marlin-Franklin. Gezo, Sachero, Bertolè- nerale Ricotti. Viale, Longo, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell. Ammiragli Fincati, Martin-Franklin, Acton. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero , Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell. Come sopra.

Genova (front.e a ma- .Come sopra. re). Genova (fronte a ter- Come sopra. ra).

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

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DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fo1tificazioni

che votarono per l'assegnazione al l O periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

Spezia (fronte a ma- Come sopra. re). Spezia (fronte a ter- Come sopra. ra).

Monte Bastione (o Ammiragli Fincati, colle della Spolverina Martin-Franklin, Acpresso Fosdinovo). ton . Generali Ricci, Bruzzo, Bertolè-Viale, Ricotti.

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L'ammiraglio Martin-Franklin dichiara che, a suo avviso, la cinta della Spezia si dovrebbe mettere nel 2° periodo. La Commissione crede necessario rappresentare al Ministero i pericoli grandissimi cui sarà esposta la piazza della Spezia fino a tanto che non sarà protetta in modo efficace sul fronte verso terra, almeno contro un colpo di mano.

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Generali Sachero, Longo, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell.

Alessandria.

Ammiraglio Acton . Generali Ricci, Sa- Ammiragli Fincati, Generali Bruzzo, chero, BertoIè-Viale, Martin-Franklin. Longo, Mezzacapo Ricotti. Carlo, Cosenz, Pianell.

Casale.

Come sopra.

Come sopra.

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

Come sopra.

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fortificazioni

che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Monte (sl!lla destra Generali R . icci, Bruz-1 Generali Sachero, IAmmiragli Fincati,

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del Po tra Casale e zo, Longo, Mezzacapo Bertolè-Viale, Ricol- Martin-Franklin, Acton. Valenza). Carlo, Cosenz, Pianell. ti.

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Stradella (fronte di- Ammiraglio Martin- , fensivo tra monte Pe- Franklin. Generali Ricnice e Po). ci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell.

Ammiragli Fincati, Acton.

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Testa di ponte di Generali Ricci, Bruz- 1General i Sachero, Ammiragli Fincati, zo, Bertolè-Viale, Ri- Longo. Martin-Franklin, AcParpanese. colli, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell.

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Piacenza.

Generali N agle, Bruzzo, Bertolè-Viale, Brignone, Longo, Revel, Ricotti, Mezzacap_o Carlo, Cosenz, Pianell, Mezzacapo Luigi.

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fortificazioni

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che si astennero dal votare

DICHlARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

Mantova e Governo- Come so lo (sulla sinistra del Mincio). Linea dell'Osone.

Generali Ricotti, Brignone, Nagle.

Generali tolè-Vial, vel,Mez: Cosenz, zacapo L

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Generali Ricotti, Brignone.

Generai Bruzzo, le, Lor Mezzac Cosenz Mezzaca

Verona (riva sinistra Generali zo, Berte verso est). gnone, l Ricotti, Carlo, O Mezzaca poLmg1

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INDICAZIONE delle fortificazioni

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Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

Verona (verso nord). Generali Nagle, Bruz- Generali Cosenz, Rizo, Longo, Revel, cotti, Brignone, BerMezzacapo Carlo, Pia- tolè-Viale. nell, Mezzacapo Luigi. Legnago.

Come sopra.

Mestre.

Come sopra.

Venezia.

Ammiragli Fincati, Martin-Franklin, Acton. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo Cosenz, Piane!!.

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Generali Nagle, Bruzzo, Bertolè-Viale, Brignone, Longo, Revel, Ricotti, Mezzacapo Carlo. Cosenz, Pianell, Mezzacapo Luigi.

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La Commissione dichiara che non tutte le fortificazioni da erigersi a Venezia potranno essere egualmente urgenti. Quali saranno quelle cui si dovrà accordare la precedenza risulterà dagli studi e dalle proposte della Commissione speciale nominata dal Ministero sotto la presidenza del generale Piane!!.

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fortificazioni

che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

Cisa.

Ammiraglio Martin- Generali Sachero, Ammiragli Fincati, Franklin. Generali Longo. Acton. Ricci, Bruzzo, Bertolè-Viale, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell.

Cerreto.

Ammiraglio Martin- Generali Sachero, Come sopra. Franklin. Generali Longo, Cosenz. Ricci, Bruzzo, Bertolè- Viale, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Pianell.

Radici (tra Pievepe- Come sopra. lago e Castelnuovo di Garfagnana). Abetone.

Come sopra.

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Come sopra.

Ammiraglio Martin- Generali Sachero, Ammiragli Acton, Franklin. Generali Bertolè-Viale, Longo. Fincati. Ricci, Bruzzo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz. Pianell.

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INDICAZIONE delle fortificazioni

Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

Monte Oppio e Pia- Ammiraglio Martin- Generali Bruzzo, Sa- Ammi ragli Fincati , stre (S. Marcello). Franklin. Generali chero, Bertolè-Yiale, Acton. Ricci, Ricotti , Mez- Longo. zacapo Carlo, Cosenz, Pianell. Collina (tra Pistoia e Come sopra. Porretta).

Come sopra.

Montepiano (tra Pra- Come sopra. to e Cast igl ion dei PepoU).

Come sopra.

Futa.

Come sopra.

Come sopra.

Livorno.

Ammiragli Fincati, Generale Ricotti. Martin-Franklin. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Longo, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell.

Come sopra. Come sopra.

~ DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Come sopra. Ammiraglio Acton.

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fortificazioni

che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

Lucca.

Ammiragli Fincati, Generali Bruzzo, Sa- Generale Longo. Martin-Franklin. Ge- chero, Ricotti , Pianerali Ricci, Bertolè- nell. Viale, Mezzacapo Carlo, Cosenz.

Isola d'Elba.

Ammiraglio Fincati. Ammiraglio Acton. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, BertolèViale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Piane!!.

Monte Argentaro.

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

Ammiraglio Martin- Il generale Bertolè-Viale dichiara che la sistemazione dell'isola d'Elba sarebbe affatto insufficiente, a suo Franklin. avviso, se delle varie opere progettate si costruisse soltanto quella di monte Castello.

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Ammiragli Fincati, Ammiraglio Acton. Martin-Franklin. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Piane!!.

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INDICAZIONE delle fortificazioni Civitavecchia.

Gaeta.

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Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

Ammiragli Fincati, Acton. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Piane!!.

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Come sopra.

Ammiraglio MartinFranklin.

che si astennero dal votare

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Ammiraglio MartinFranklin.

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Capua.

Messina.

Ammiragli Martin-Fnm- klin, Acton. Generali Ricci, Bruzzo, Bariola, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell.

Generale Mezzacapo Luigi.

Ammiragli Fincati, Martin-Franklin, Acton. Generali Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Cru'lo, Cosenz, Pianell.

Generale Ricci.

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fort ificazioni

che votarono per l'assegnazione al I O periodo

Sbarramento della strada del Sempione.

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

che si astennero dal votare

Ammiragli Fincati, Martin-Franklin, Acton. Generali Ricci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Piane!!.

Sbarramento del Piccolo S. Bernardo (a monte d'Aosta).

Come sopra.

Borgo S. Dalmazzo. -

Come sopra.

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che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

Bocco (tra Chiavari e , la valle d' Aveto).

Come sopra.

Cento Croci (tra Vare- , se Ligure e Borgotaro).

Come sopra.

Piave.

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Membri della Commissione

INDICAZIONE delle fortificazioni

Albaredo, Badia, , Cavarzere, Borgoforte, S. Benedetto.

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DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Generali Ricotti, Bri- Generali Bruzzo, Bergnone, Nagle. tolè-Viale, Longo, Revel, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell, Mezzacapo Luigi.

Verona (sulla riva, destra).

che si astennero dal votare

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Generali Nagle, Bruzzo, Bertolè-Viale, Brignone, Longo, Revel, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell, Mezzacapo Luigi. Come sopra.

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fortificazioni

che votarono per l'assegnazione al I O periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

S. Maria Maddalena. Generali Pianell, Co- Generali Nagle, Bruzsenz, Brignone. zo, Berto Iè- Viale, Longo, Revel, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Mezzacapo Luigi. Cremona.

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Nagle, Generali Bruzzo, Bertolè-Viale, Brignone, Longo, Revel, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell, Mezzacapo Luigi.

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Pizzighettone.

Ammiraglio Martin- Generali Ricci, Bruz- Ammiragli Fincati, zo, Sachero, Bertolè- Acton. Franklin. Viale, Longo, Ricotti, Mezzacapo Carlo, Cosenz, Pianell.

Pavia.

Come sopra.

Come sopra.

Come sopra.

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Come soora. p1

Come soora. p

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INDICAZIONE delle fortificazioni Bologna.

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Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

che si astennero dal votare

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Generali Longo, Ammiraglio Martin- Am miragli Fincati, Mezzacapo Carlo , Franklin. Generali Acton. Cosenz, Piane!!. Ricci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Ricotti.

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Membri della Commissione INDICAZIONE delle fo1tificazioni

che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa associano alla dichiarazione del generale Bertolè-Viale circa la convenienza che le teste di ponte di Santa Maria Maddalena e di Cremona siano assegnate al primo periodo.

Sbarramento delle Generali Mezzacapo strade che dalle valli Carlo, Cosenz. del Lavino, della Samoggia e del Panaro mettono sulla strada della Porretta. Sbarramento delle Generali Longo, strade che dalle valli Mezzacapo Carlo , dell'ldice e del Sila- Cosenz, Pianell. ro mettono sulla strada della Futa.

IAmmiraglio Martin- i Ammiragli Fincati , Franklin. Generali Acton. Ricci, Bruzzo, Sacbero, Bertolè-Viale, Longo, Ricotti, Pianell.

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Ammiraglio Martin- Ammiragli Fincati, Franklin . Generali Acton. Ricci, Bruzzo, Sachero, Bertolè-Viale, Ricotti.

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Sbarramento della Generale Mezzacapo Generali Ricci, Bruz-1 Ammiragli Fincati , zo, Sachero, Bertolè- Acton, Martin-Franstrada che dalla val- Carlo. Yiale, Longo, Ricotti, klin. le del Santerno metCosenz, Pianell. te sulla strada della Futa al Covigliaio.

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.,,. INDICAZIONE delle fortificazioni

Membri della Commissione che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

Giogo (tra Firenzuola Ammiraglio MartinFranklin. Generali e Scarperia). Ricci, Ricotti, Mezzacapo Carlo.

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

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DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

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Generali Bruzzo, Sa- Ammiragli Fincati , chero, Bertolè-Viale, Acton. Longo, Cosenz, Pianell.

Casaglia (tra Faenza Ammiraglio Martin- Generali Bruzzo, Sache- Ammiragli Fincati, e Borgo S. Lorenzo). Frankl in. Generale ro, Bertolè-Viale, Lon- Acton. go, Ricotti, Mezzacapo Ricci. Carlo, Cosenz, Pianell.

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S. Godenzo (tra Forll Come sopra. e Dicomano). Ancona (fronte a ma- Ammiraglio Fincati. re). Generali Ricci, Bruzzo , Bertolè-Viale, Mezzacapo Carlo.

Come sopra.

Come sopra.

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Ammiragli MartinFraokJin, Acton. Generali Sachero, Longo, Ricotti, Cosenz, Pianell.

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Membri della Commissione

INDICAZIONE delle fortificazioni Hrindisi.

che votarono per l'assegnazione al 1° periodo

che votarono per l'assegnazione al 2° periodo

che si astennero dal votare

DICHIARAZIONI della Commissione o dei singoli membri di essa

Generali Bertolè-Via- Ammiragli Martin- Generale Mezzacapo le, Longo, Mezzaca- Franklin, Acton. Ge- Luigi. po Carlo. nerali Ricci, Bruzzo, Bariola, Ricotti, Cosenz, Pianeti. ;;,

N.B.: Non formarono oggetto di votazione per assegnazione al 1° o al 2° periodo: 1° Gli sbarramenti della zona alpina della frontiera nord-est e le fortificazioni di Roma, perché già sono disponibili i fondi necessari per condurle a compimento senza interruzione; 2° Le fortificazioni di Taranto e gli sbarramenti del colle della Scoffera e della strada proposta da Bardinetto a Toirano, dovendo le prime essere costruite contemporaneamente alla costruzione dell'arsenale di Taranto, lo sbarramento del colle della Scoffera contemporaneamente all'apertura del prolungamento della strada di Fontanabuona al colle stesso, e lo sbarramento della strada Bardinetto-Toirano contemporaneamente alla costruzione di questa strada; 3° Le fortificazioni della regione del Mulo, dovendo queste costruirsi soltanto nel caso in cui non si erigano le opere proposte a Borgo S. Dalmazzo; 4° Le fortificazioni della Maddalena, essendo ancora dubbio che gli scopi che con essa si avrebbero in mira si possano raggiungere senza incontrare spese eccessive; 5° Le fortificazioni di Napoli e quelle da costruirsi nell'interno della Sicilia, essendosi la Commissione riservata di emettere un voto definitivo a loro riguardo quando saranno fatti gli studi di massima sul terreno; 6° Le fortificazioni da erigersi nell'interno della Sardegna, essendo la costruzione di esse subordinata alle determinazioni che verranno prese rispetto alla Maddalena.

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474

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL' UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

H. Corpo di S.M. Manovre con quadri dell'ottobre 1883 (Comunicazioni del direttore della manovra, Maggior Generale Agostino Ricci, ai due partiti). Fonte: AUSSME, G 24, Corpo di S.M. Corrispondenza, R 30.

I° Comunicazione. Caserta, 5 ottobre 1883_ Nella 24a giornata (7 antimeridiane) due convogli del Partito Ovest gettavano le ancore ed iniziavano le operazioni di sbarco nel Golfo di Pozzuoli e sulla spiaggia del Lago di Patria favoriti da una bonaccia perfetta. Uno dei due convogli (g_fo di Pozzuoli) era giudicato della capacità di trasporto di almeno due Corpi d'Armata, e 1' altro (spiaggia del Lago di Patria) della capacità di una divisione almeno_ L'intenzione con cui era fatto questo secondo sbarco era troppo evidente perché potesse sfuggire al partito opposto. Il Partito Est il quale aveva tutte le sue forze spiegate sulla linea Baja-Poggio Reale e non disponeva di alcuna riserva, trasportava (per ferrovia la fanteria ed a celere andatura le armi a cavallo) ad Aversa la sua ala sinistra, continuando per poco nel primitivo disegno di contrastare il progresso delle truppe sbarcate nel Golfo di Pozzuoli col proprio centro (Astroni-Posillipo) e colla sua ala destra (Monte Cigliano-Monte Nuovo)Ma verso le 8 1/2 a_m., quando sotto la protezione del fuoco delle navi le truppe dell'Ovest cominciavano ad ingrossare a terra e guadagnar terreno, il Partito Est prese la determinazione della ritirata, che si eseguiva su Fratta Maggiore e proseguiva quindi generale e senza incidenti da Fratta Maggiore stessa e da Aversa in direzione di Caserta_ Alla sera il Partito Est si assestava a N _dei RR Lagni, e il Partito O., occupata Napoli coll'ala destra e la flotta, coronava le alture del golfo di Pozzuoli ed occupava Aversa, spingendosi colle sue forze più avanzate a 4 o 5 km dai già detti RR Lagni. 2° Comunicazione. Caserta, 6 ottobre 1883. L'armata di sbarco muoveva all'alba della 25a giornata dalle posizioni occupate la sera precedente, e si prefiggeva un doppio scopo: A) di procedere all'investimento della sinistra del Volturno e speditivo bombardamento della piazza di Capua, impiegando a tal scopo la massima parte deJla propria artiglieria da Campo; B) di tagliare le due ferrovie che da Ceprano e da Benevento mettono a Capua.


APPENDICE

475

L'armata peninsulare, non ben certa sugli intendimenti nemici, si concentrava nelle fortificazioni di Capua e di Monte Tifata, mentre con forti distaccamenti occupava i trinceramenti eseguiti a Cancello Arnone e Brezza, nonché lo sbocco della valle di Maddaloni e Monte Sarchio. L'armata di sbarco ritardata nella sua marcia dalla distruzione di una gran parte dei ponti sui RR. Lagni raggiungeva coll'ala sinistra verso la una pomeridiana Cancello Amone ed era respinta in un 1° tentativo fatto per impossessarsi di quel passo del Volturno. Frattanto il suo centro raggiungeva il suo oggettivo (Grazzanise), e l'ala destra si trovava inopinatamente di fronte alle batterie recentemente costrutte avanti S. Leucio. 3° Comunicazione. Caserta, 7 ottobre. L'armata di sbarco sboccava dai ponti di Cancello-Amone e di Grazzanise-Brezza dirigendosi convergentemente su Pizzone S. Andrea, mentre che un forte distaccamento da Brezza prendeva la direzione di Capua. Restavano sulla sinistra del Volturno le forze reputate sufficienti per conservare l'investimento di Capua, cioè il 1° Corpo. La parte dell'armata peninsulare già raccolta in Capua iniziava contemporaneamente un atto controffensivo sboccando da una parte (da S. Leucio) contro la destra e dall 'altra (fra le batterie esterne di Foresta e S. Tommaso) contro il centro delle truppe d' investimento. In questo frattempo le truppe che andavano successivamente arrivando per ferrovia occupavano le alture di Francolise. L'atto controffensivo dell'armata peninsulare dopo un lieve successo ali' ala sinistra si spuntava contro la pronta raccolta delle truppe d'investimento e la soverchiante artiglieria di queste. Bastava invece lo spiegamento dell'armata di sbarco di fronte alle alture di Francoli se e una grave minaccia di aggiramento per Nocelletto e Caivani per obbligare le truppe occupanti le dette alture ad evacuarle e a ripiegarsi verso Nord oltre Teano. Alla sera le posizioni delle due parti erano le seguenti: - Armata di sbarco: stabilita sulle alture a Sud della linea Pietramelara-Rocca Mon fina con un forte distaccamento a SanzaCannella a Ovest di Capua e sulla linea S. Maria la Fossa-S. Maria di Capua investendo la piazza di Capua sulla sinistra del Volturno. - Armata peninsulare: in parte a Nord della linea Rocca Monfin a-Pietramelara e in parte a Capua e adiacenze a Est. Nulla di variato nella valle di Maddaloni e nella valle Caudina.


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

4° Comunicazione. Nella 27a giornata l'armata di sbarco, dopo aver compiuta la distruzione della ferrovia fino alla stazione di Cajanello, si ripiega verso il Volturno ed investe la piazza di Capua anche sulla destra del fiume sul fronte Piglialarmi-C. Sanza. La parte dell'armata peninsulare che si era ripiegata il giorno precedente verso Presenzano, prosegue nelle prime ore del giorno il suo movimento retrogrado, ma informata poi del ripiegamento del nemico verso il Volturno, ripiglia il movimento verso Sud fino ad occupare colla destra Roccamorfina, colla sinistra la stazione di Cajanello e spingendo cavalleria verso il fronte Teano-Riardo. Sulla riva sinistra del Volturno, mentre l'artiglieria dell'armata di sbarco, rinforzata da parecchie batterie di pezzi da 14 retrocarica della Marina, apre il fuoco contro le opere esterne di Capua, e specialmente contro quelle di Foresta e di S. Tammaro, una forza dell'Est valutata a una divisione all' incirca proveniente da S. Angelo e da S. Leucio occupa S. Maria di Capua, punta su Marcianise e accenna ad attaccare la destra della linea d' investimento, nel mentre che altre forze uscendo dalla piazza si stabiliscono sulle alture di Gerusalemme a difesa della stretta di Triflisco. Ma ora l'attacco viene sospeso dietro le di sposizioni difensive del Corpo d'investimento, e le truppe che hanno fatto quel tentativo, si ripiegano verso la Stretta di S. Leucìo. In questo frattempo truppe del Patito Est partite dai ponti della valle si erano impadronite di Maddaloni e si dirigevano quindi su Marcianise; ma avvertite del fallito tentativo d'attacco si ripiegano su Maddaloni, unitamente ad un distaccamento proveniente da Nola che si era aggiunto a loro. Nel pomeriggio, quando il fuoco delle opere esterne di Capua era affatto cessato, tutta l'artiglieria delle truppe d'investimento, sia di riva destra, che di riva sinistra, si era rivolto contro la città di Capua con effetti abbastanza visibili senza però provocare dalla parte della Piazza atto alcuno che accennasse ad una resa. In conseguenza la posizione rispettiva delle due parti alla sera è la seguente: - l'Armata di sbarco accerchiante Capua da N., da O., e da S. con distaccamenti sorveglianti gli sbocchi di Maddaloni e di Valle Caudina ed occupazione delle alture a S. di Teano con cavalleria fin o al fronte Teano-Riardo; - l'Armata dell'Est concentrata in parte fra Monte Gerusalemme, Capua, Monte Tifata e S. Leucio, in parte a Nord della


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stazione di Cajanello, con forte distaccamento a Maddaloni ed altro minore a Cancello. Nelle ore antimeridiane giungeva altresì la notizia che una forte squadra dell'Ovest avendo attaccate le difese di Gaeta verso mare le aveva ridotte al silenzio, ed aveva quindi preso possesso della rada e del porto, ma che era riuscito vano il tentativo fatto mediante compagnie da sbarco di stabilirsi a terra. 5° Comunicazione. Sparanise, 11 ottobre. Alle 5 antimeridiane della 28a giornata la parte dell'Armata peninsulare che si trovava a Nord della linea Teano-Riardo proseguiva il movimento verso Sud iniziato nel giorno precedente, marciando in 3 colonne sulle direttrici Rocca Monfina-Caivani, Cajanello stazione-Teano, Cajanello stazione-Taverna Torricella. L'ultima delle colonne ora dette era la prima ad incontrare il nemico, che dalle alture di Monte Naro la arrestava col cannone a N. della ferrovia. Succedeva lo stesso poco dopo de11a seconda colonna, e si impegnava quindi un combattimento temporeggiante di artiglieria fra le due parti. Infrattanto la 1a colonna preceduta da Cavalleria sboccata da Teano raggiungeva verso mezzogiorno il bivio di Caivani e occupava senza ritardo l'altura di Francolise, che la cava11eria le avea segnalato sgombra. Ma il Partito Ovest non tardava a prender le disposizioni per ripigliare Francolise, dove la rottura dei ponti sul Savone impediva al Partito Est di portare artiglieria. Dopo qualche incidente l'altura rimaneva al Partito Ovest, rinforzato a tempo da una riserva giunga da Sud. In questo frattempo dalla stretta di Triflisco, e dalle alture di Gerusalemme movevano truppe dell'Est minaccianti quelle dell'Ovest stabilite alla destra del Volturno per l'investimento di Capua. Ma tal movimento non conduceva ad alcun forte impegno, e le cose rimanevano da quella parte come prima. L'artiglieria del Partito O. proseguiva nella giornata il bombardamento della città di Capua senza maggior risultato del giorno precedente, mentre si preparavano sulla linea del1e opere avanzate di Capua, state evacuate, nuove batterie per battere la Piazza. Sul resto del fronte verso Sud scontri di cavalleria insignificati e rafforzamento reciproco delle posizioni occupate dai due Partiti. In conseguenza, nella sera della 28a giornata le 2 parti erano dislocate come nel1a sera precedente, colla differenza che la parte


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

dell' Armata peninsulare a Nord aveva raggiunto la linea CaivaniMasseria Piana-Ferrovia, con cavalleria a Pizzone S. Andrea. 6a Comunicazione. All'alba della 29a giornata, il Partito Ovest attacca i ponti di Giamprisco collo scopo di farli saltare se riesce a prenderne possesso; ma l'attacco non riesce, e dalle 6 antimeridiane in poi s' impegna in quel punto un combattimento senza carattere deciso, che si prolunga per parecchie ore. In questo frattempo si accentua sulla destra del Volturno un movimento generale controffensivo del Partito dell'Est che ha per oggettivo principale l'altura di Francolise ed i ponti di Piglialarmi. La perdita del primo, e l'impossibilità di mantenersi sul secondo decidono il comandante l' armata di sbarco ad evacuare la riva destra del Volturno ed a cessare l'attacco di Capua. In conseguenza nella sera della 29a giornata il Volturno (sul quale il partito Ovest conserva i suoi ponti) separa i due partiti da Foresta a valle, mentre sotto Capua, sul Tifata e sul resto del fronte le posizioni rimangono quali erano prima.

I.

Istruzione "très confidentielle" del ministro della Guerra francese per il generale comandante 1'8a armata, per il caso di un concentramento sulla frontiera delle Alpi. 1884 (estratto). Fonte: AEF, 7 N, busta 1863.

La ge Armée comprend les 14e et 15e Corps d' armée. Dans le cas d' une guerre de la France contre l'Italie, la ge Armée formerait l' avant-garde des arrnées qui seraient concentrées sur la fron tière des Alpes. Les troupes actives des deux Corps seront portées le plus rapidernent possible dans !es hautes vallées, afin d'occuper avant !es ltaliens les positions magistrales dont la possession aurait une influence si grande sur les résultats de la campagne. Dans chacun des deux corps, des bataillons et des batteries ont été organisés au point de vue spécial de la guerre dans les Alpes, et le corps d'arrnée été fractionné en quatre brigades actives, munies chacune de tous !es services accessoires pour une action dans le Queyras (vallées du Guil et de la Corveyrette) le 4e bataillon de Chasseurs (Embrun); dans la vallée de l'Ubaye, le bataillon alpin du 5ge de Ligne (Avignon);


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479

dans les vallées de la Tinée et de la Vésubie, le 7e bataillon de Chasseurs (Marseille); dans la vallée de la Roya et à la Comiche, le 24e bataillon des Chasseurs (Villefranche). Brigades actives En arrière de ce premier rideau de troupes dont la mission sera de disputer le passage aux compagnies et batteries alpines italiennes, les brigades actives des deux corps d'armée viendront se concentrer en seconde ligne dans les conditions suivantes: 14e Corps: La, 54e brigade à Bourg-St Maurice dans la Haute-Isère avec un bataillon détaché à Beaufort; La, 53e brigade, à St Miche], dans la Maurienne; La, 56e brigade dans le Briançonnais; La 55e brigade à Guillestre, au confluent du Guil et de la Durance. Les éléments non embrigadés seront tenus en réserve à St Pierre d' Albigny, avec le quartier général du Corps d'armée 15e Corps: La, 59e brigade à Tournoux, dans l'Ubaye; La 6(.Y brigade dans les vallées de la Tinée et de la Vesubie; La, 57e brigade dans les positions de l' Authion et de Bro'is, sur la route de Tende; La 53e brigade moins le régiment de Corse, sur les positions de la route de la Comiche, à Pont-St Louis et à Menton deux bataillons de la garnison de Nice, mis temporairement à la disposition du commandant de cette brigade en attendant l'arrivée du régiment de Corse, occuperont Sospel pour la défense de la coupure de la Bevera et du Col de Bro'is. Le quartier général du Corps d' Armée sera à l'Escarène, avec une batterie à cheval et la réserve du génie; il y sera rallié par le régiment de Corse. La cavalerie, avec les parcs, sera tenue dans la vallée du Var, vers St Laurent... pour éviter toute perte de temps, le matériel en provenance des 14e et 15e régions sera dirigé directement pour chacune d'elles, de la station point de départ d'étapes sur la station tete d'étapes de guerre correspondante sans passer par la station magasin. Tant que le général commandant la se Armée ne disposera pas de forces autres que celles énumérées ci-dessus, il ne pourra songer à une invasion dans la plaine du Piémont, et l'initiative des


480

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

mouvements devra etre limitée pour lui à la conquete de certaines positions magistrales situées sur le versant Italien et dont la possession par nos troupes augmenterait considérablement la puissance de notre défensive. Depuis le Mont-Blanc jusqu'à la Méditerranée on distingue 3 échiquiers principaux correspondant aux grandes routes qui traversent la chai'ne. Par les routes du Nord, de la Tarentaise et de la Maurienne (Petit St Bemard et Mont-Cenis) les armées Italiennes prendraient Lyon pour I er objectif, et, pour second objectif leur jonction avec les armées allemandes qui auraient pénétré par le front de BelfortMontbéliard. Cette direction serait la plus dangereuse pour nous. L'échiquier central s'étend depuis Briançon jusqu'a ]a vallée de l' Ubayette. Il est traversé par les grandes routes du mont Genèvre et de Largentière, lesquelles sont cornrnandées par les fortifications importantes de Briançon et de Toumoux. En raison de la force de résistance de ce front, il est peu probable que les ltaliens l'attaquent sérieusement Cette direction ne leur donnerait pas de résultats immédiats puisqu'elle les condurait sur Grenoble en les laissant à une grande distance des armées allemandes. L'échiquier du Sud s'étend depuis la route de Largentière j usqu' à la mer. Il est traversé par les 2 grandes routes de Tende et de la Comiche. Au Sud de Largentière, tous les sentiers d'invasion sont dirigés vers le Sud: les troupes Italiennes qui s'y engageraient auraient pour objectif le Comté de Nice. Eu égard à la vivacité du sentiment national ltalien, il est prudent de prévoir qu ' une attaque sérieuse serait dirigée sur cette partie de la frontière. Dans cette hypothèse de deux directions divergentes d'ojfensive, la position centrale de Briançon-Guillestre offre de grands avantages. Si la Maurienne était envahie, par le Col du Galibier et Valloire on pourrait prendre à revers les troupes victorieuses qui d'ailleurs seraient arretées de front dans les Bauges. Contre des troupes qui descendraient sur Nice, par les vaJlées du Var et de la Tinée, un mouvement à revers partant de Barcelonnette aurait une influence décisive.


APPENDICE

481

Lorsque le mouvement des Italiens sera dessiné, il conviendra de porter dans l'Ubaye une des brigades de la 14e division de réserve. Pour l' exécution de ces manoeuvres latérales la communication qui règne parallèlement à la frontière depuis Montiers dans la Tarentaise par le col des Encombres, St Michel en Maurienne, la route du Galibier, Briançon, Mont Dauphin, le Col de Vars, Toumoux, Barcelonnette, Colmars sur le Verdon, serait de la plus haute utilité. En résumé, résister de front et avec la plus grande énergie sur les deux échiquiers du Nord et du Sud et occuper enjòrces la partie centrale Briançon-Guillestre pour etre en mesure de se jeter dans le flanc des troupes ennemies qui auraient pénétré soit dans la Maurienne, soit dans les vallées du Var et de la Tinée, telle paraft etre la manoeuvre la plus efficace (Manoeuvre de Berwick) pour défendre victorieusement les Alpes contre des forces supérieures. Approuvé, sous la réserve que la présente instruction ne contient que des indications générales et qu'elle n'enchaine en rien l' initiative du commandant de la ge armée.

L. Rapporto confidenziale n. 152 del comandante Pinsonnière, addetto militare francese a Roma, al ministro della Guerra, 10 luglio 1888 (estratto). Fonte: AEF, 7 N, busta 1362. Le comte de Mouy m'a communiqué ces jours demiers une dépeche dans laquelle le Ministre des Affaires étrangères français signale una activité toute particulière des autorités militaires italiennes, coi"ncidant avec des mouvements de troupes considérables dans différentes régions du Royaume, et lui demande de controler et de compléter autant que possible ces renseignements. Notre Ambassadeurs a répondu à ce sujet à M. Goblet et m'a invité à vous donner directement, de mon c6té, les informations que je jugerais utiles. Il est certain que le Gouvernement italien, sous la pression exercée par ses alliés, se prépare à la guerre contre la France. C'est sur notre frontière et le long des c6tes du Royaume qu'il accumule ses travaux défensifs et les opérations à exécuter en cas de guerre contre la France tiennent la plus large piace dans les études de l'Etat major général. Ces faits sont d'ailleurs connus de tout le monde et il n'y a pas à y insister. Je ne crois pas, d' autre part, qu'il y ait lieu de s'alarmer outre mesure des mouvements de troupes et des voyages d'inspection


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GU ERRA

que l'on a pu constater ces temps demiers. C'est à cette époque, en effet, que tous les ans, en Italie, on groupe les Régiments d'Infanterie et de Bersagliers en Camps de Brigade et de Division avec un certain nombre de Batteries et d'Escadrons, et que l' on réunit successivement les batteries de la plupart des Régiments d' artillerie sur différents polygones pour terminer l'instruction annuelle. On a pu également remarquer, en mai et en juin, des prises d' armes donnant lieu à une animation militaire tout spéciale dans la région où elles avaient lieu, prises d' armes correspondant aux périodes d'instruction de différents contingents de l'armée territoriale 1; j ' ai donné un certain nombre de renseignements précis à ce sujet dans mon rapport n. 127. C' est aussi pendant les mois d' été, que les troupes alpines exécutent ce que l'on appelle les Grandes excursions dontj ' ai eu occasion de parler précédemrnent dans mon rapport n. 18 (20 juin 1886). Enfin, il faut reconnaitre que les voyages d'inspection qui ont lieu sur divers points, et notamment dans le voisinage de notre frontière, n'ont rien d'anormal et prouvent seulement que les officiers chargés de ces missions remplissent leur devoir. Il est, par exemple, tout nature} que le général Pelloux, lnspecteur général des troupes alpines, suive les exercices de ces troupes, pendant la saison la plus favorable aux courses dans les bautes montagnes. Il faut ajouter que le dédoublement des R ég iments d'artillerie 2, opération qui sera probablement terminée au mois de novembre prochain, a donné lieu à des études qui ont pu attirer l'attention. Le colone! Stevenson, directeur du Personnel de l' artillerie au Ministère de la Guerre, me disait hier qu ' il venait de visiter presque toutes les gamisons d'artillerie, afin de se rendre compte sur place des difficultés dont on se préoccupe pour le dédoublement en question. Il est d'ailleurs évident que l'envoi d' une nombreuse escadre à Barcelone et l' exécution des grandes manoeuvres navales ont dO 1

Appels de 20.000 hommes environ, à repartir entre !es périodes suivantes: du 6 au 20 mai, du 15 au 30 mai et du 4 au 18 juin. Voir mon rapport n. 127, du 20 avril 1888. 2 Voir la Revue militaire de l'Etranger - 2 e Sem. 1887, page 232 et suivantes (n. 677).


APPENDICE

483

imprimer une grande activité dans les arsenaux maritimes et dans différents ports du Royaume. En résumé, je ne vois dans tous ces déploiements de forces, rien qui puisse justifier des craintes immédiates; mais ils peuvent donner lieu à des inquiétudes réelles de la part de voyageurs peu habitués à voir ces appareils militaires, et provoquer des comptes rendus alarmants chez des correspondants à la recherche d'occasions pour fai re valoir leur zèle. Quoiqu'il en soit, il est certain qu' il faut veiller, sans s'exagérer le péril, et c'est là la préoccupation joumalière de mon collègue de la Marine et aussi la mienne. Du reste, nous sommes aidés dans cette tache, par nos consuls établis dans les principaux ports de la cote; le comte de Moily leur a envoyé il y a quelques mois, à ce sujet, d'excellentes instructions auxquelles mon collègue de la Marine a été appelé à collaborer en ce qui concerne la partie technique. La liste des camps d' instruction établis chaque année se trouve dans les documents que reçoit directement le 2 e Bureau de l'Etat major général. Voici d'autre part l'énumération des polygones d' artillerie du Royaume, où l'on envoie successivement les différentes batteries des Régiments à partir du mois d' Avril: 1° San Maurizio, non loin de Cirié en Piémont (Lombardore); 2° Somma Lombarda, dans le Milanais; 3° Spilimbergo, sur le Tagliamento, non loin d'Udine; 4 ° Gossolengo, sur la Trebbia, non loin de Plaisance; 5° Porto Corsini, près de Ravenne; 6° Ceccìna, sur le littoral Toscan, non loin de Livoume; 7° Colfiorito, près de Foligno; 8° Nettuno, sur le littoral entre Rome et Terracine; 9° Persano, dans la province de Saleme; 10° Barcellona, en Sicile, sur la cote septentrionale, non loin du port de Milazzo età une quarantaine de kilomètres de Messina. Actuellement, c 'est le polygone de San Maurizio qui a la plus grande importance; il comporte des établissements permanents mis à la disposition de la Comrnission d'expériences. Mais on va précisément transporter à Nettuno tous ces établissements et créer en ce point une école normale de tir; le voisinage de la mer permettra d'y faire des études et de donner l'instruction, en ce qui concerne la défense des cotes.


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Le polygone de Barcellona sert seulement aux batteries détachées en Sicile, batteries qui sont actuellement au nombre de cinq. On remarquera qu'il n'y a sur le territoire du XI corps d'armée (Bari) ni polygone, ni détachements d' artillerie, ni escadrons de cavalerie. Cette région de l'Italie - sauf la Calabre, trop accidentée pour etre parcourue facilement par les troupes à cheval est relativement dépourvue d'eau et l'on éprouve les plus grandes difficultés, me dit le colonel Stevenson, pour y faire mouvoir des colonnes comportant un grand nombre de chevaux ou de mulets. Ce renseignement ne paraìt pas dépourvu d'intéret.

M. "Idee generali intorno all'ipotesi di guerra con la Francia", del contrammiraglio R. Corsi, 26 marzo 1889. Fonte: AUSSM, busta 135, fase. 2 1• Nell'ipotesi di guerra tra la Francia e l'Italia, sia questa sola od anche alleata colla Germania e l'Austria, il concetto direttivo, secondo il quale la Francia impiegherà le sue forze marittime, sarà certamente quello di mantenersi sulla difensiva nella Manica e nell'Atlantico, e operare offensivamente nel Mediterraneo; e che tali possano essere gli intendimenti della Francia, ce lo prova il fatto d'aver essa concentrato in quest'ultimo tempo nel Mediterraneo, la parte principale delle sue navi da combattimento. L'Italia invece può contro la Francia compiere una guerra difensiva od offensiva, secondo le possibili combinazioni politiche. Ipotesi di guerra difensiva Data questa ipotesi ci occorre studiare la specie ed importanza delle operazioni che la Francia può tentare contro il nostro littorale, e il modo di prepararci affinché il Comandante in Capo le nostre forze navali possa sventarle o respingerle. Non è mia competenza l'analizzare tutte le modalità e le combinazioni con le quali la Francia può attaccarci . Essa è in condizioni di tentare il raggiungere di un suo obiettivo con varii mezzi, e da potere in varie guise obbligarci ad una battaglia nava1 Cfr.

M. Gabriele, Le Convenzioni, ecc., cìt., pp. 420-34.


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le, affine di avere libero il mare e di restare padrona di operare come crede sui punti del nostro littorale che più le convengono. A sventare tali imprese noi dobbiamo sacrificare qualunque riguardo, qualunque considerazione. Il modo però di contendere al nemico questo scopo è compito assoluto di chi comanderà le nostre forze navali. Indipendentemente quindi da tutto ciò che entra nel piano strategico che sarà creduto più opportuno per le nostre operazioni marittime, io esamino soltanto le operazioni generiche ma principali, che il nemico potrebbe compiere contro di noi, per dedurre quelle proposte che hanno carattere di preminenza e di preparazione. Genericamente parlando, le operazioni che la Francia può tentare contro il nostro littorale sono queste: - aggressioni e danni alle nostre ferrovie per impedire la radunata del nostro esercito al confine N.O.; - sbarchi e bombardamento di città marittime. Contro questi obiettivi è necessario prepararci, e tratterò separatamente e prima della protezione delle nostre ferrovie littoranee, la cui distruzione potrebbe essere impresa principale del nemico appena dichiarata la guerra.

Della protezione delle ferrovie littoranee Oltre i modi che saranno giudicati necessari alla difesa delle nostre ferrovie littoranee dal Comandante in Capo di tutte le forze marittime, è utile il determinare fin d'ora, ed armonizzare con linee generali, il servizio degli altri elementi della difesa costiera, cioè torpediniere, semafori, compagnie costiere rinforzate da guardie di finanza, dalle Stazioni Carabinieri, dai presidi delle città marittime e da tutti gli elementi di forza militare che si troveranno in prossimità dei punti minacciati. Tutte le torpediniere debbono in tempo di guerra essere assegnate alla forza navale e dipendere direttamente dal Comandante in Capo, il quale ne potrà, come di tutte le navi, disporre a suo giudizio. Pure ad ordinare l'immediato loro servizio alle prime voci di guerra, cioè anche prima della dichiarazione, conviene, nell'interesse della nostra difesa costiera, dividerle, almeno temporaneamente, secondo le vedute che andremo qui svolgendo. La conoscenza dei siti nascosti, atti ad essere rifugio temporaneo di torpediniere, e dai quali alcune di esse, possano all'occor-


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renza tentare delle sorprese, può certamente essere di non poca utilità, anche in tempo di guerra; ma è necessario che la conoscenza di simili posti sia completa, affinché vi si possa liberamente entrare od uscire anche di notte. Le presenti disposizioni dunque intorno alle stazioni torpediniere, od anche altre che agevolino il conseguimento di questo scopo saranno perciò sempre convenienti. Ma per determinare le basi di operazione delle torpediniere, o i loro centri d'irradiamento pel tempo di guerra, si debbono tenere presente le seguenti circostanze: 1) in condizioni ordinarie di tempo, quanto più grande è il numero delle torpediniere che attaccano una o più navi, tanto più probabile è per esse 1a riuscita dell'attacco; 2) è necessario il tener radunate le torpediniere per ottenere a tempo debito ]'efficace loro concorso nella difesa, in numero sufficiente e sotto la protezione della difesa subacquea e dei cannoni di una piazza marittima, perché il grado di sicurezza di una stazione produce alle torpediniere maggiore libertà di azione, e perché se le torpediniere si suddividessero in piccoli gruppi per molti punti indifesi, potrebbero essere esse attaccate separatamente e battute. In tempo di guerra perciò più sicuri debbono essere, anziché molti , i centri di irradiamento delle torpediniere; dai quali all'occorrenza, questi mezzi mobili di difesa sortirebbero in gruppi, più o meno numerosi, per perlustrare la costa compresa sotto la propria giurisdizione, o per accorrere sui punti ove fossero chiamati, e ritornarvi, che dia agio di rifornirsi, senza correre il rischio di essere a loro volta sorpresi. In considerazione di ciò è necessario stabilire pe1 tempo di guerra, e specialmente, quali debbano essere questi centri di radunata delle torpediniere. Considerando il nostro littorale e le piazze marittime convenienti a queste radunate, le nostre ferrovie littoranee rispetto alla loro importanza ed estensione e la divisione del littorale per dipartimenti marittimi, si è condotti a stabilire questi centri nei seguenti punti. Giurisdizione delle torpediniere in tempo di guerra: Maddalena: pel servizio di tutta la Sardegna; Spezia: dal confine a Monte Circello; Gaeta: da Monte Circello a Capo Invero; Messina: da Capo Invero a Cotrone e da Messina a Catania;


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Taranto: da Cotrone a Capo S. Maria; Ancona: Costa Adriatico. Considerando però la lunghezza di questo littorale orientale d'Italia, sarebbe necessario trovare un altro punto che, mentre ponesse al sicuro, per quanto è possibile, le torpediniere da un attacco di sorpresa, fosse pure vicino alla ferrovia littoranea da proteggere. Però, a causa dello scarso numero delle torpediniere, non si crede pel momento poterlo designare, ma allorquando il numero di esse sarà aumentato, questo punto potrà essere Brindisi. Le stazioni d'irradiamento così stabilite rispondono principalmente alla importanza della costa e delle ferrovie littoranee necessarie all'esercito nel caso della sua radunata alla frontiera terrestre N.O. Infatti esaminando i tratti di ferrovia esposti, e larispettiva importanza, si ha: a) Il tratto presso Salerno. Pochissimi i chilometri di ferrovia esposta, ma di grande importanza, perché vi transitano tutti gli elementi provenienti dalla Sicilia, dalle Calabrie e dalla Basilicata. Le torpediniere di Gaeta debbono sorvegliare questo punto nei primi giorni della mobilitazione generale. Il loro numero dev'essere proporzionale alla importanza del passaggio. b) I1 tratto Falconara-Rimini-Cervia sul quale si ha un movimento intenso in tutto il periodo della mobilitazione. Un nucleo di torpediniere distaccate da Ancona per sorvegliare questo tratto troverebbe un posto sicuro e di rifornimento, anche in tempo di guerra, a Porto Corsini oltre che ad Ancona. Porto Corsini è un canale tortuoso, lungo circa 11 chilometri, e con un fondo di tre metri almeno, se non più, per tutta la sua lunghezza. Il canale finisce nel piccolo porto di Ravenna. Il tratto di ferrovia tra Falconara e Rimini è lungo 85 chilometri. e) Il tratto Termoli-Ancona che interessa i movimenti di una parte del VII, X e XI Corpo di Armata. Tratto lungo 236 chilometri. Il numero delle torpediniere per la protezione di questi due ultimi tratti deve essere proporzionale all ' importanza del passaggio ed all 'estensione della ferrovia esposta. È bene però l'osservare che quantunque questi tratti di ferrovia sieno di grande importanza, pure questa può variare secondo le probabilità di essere attaccati su questa costa.


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E la probabilità è subordinata alle combinazioni politiche, e poi alla convenienza, per parte del supposto nemico, di distaccare gruppi di navi per obiettivi così lontani. d) I tratti di Reggio di Calabria-Metaponto-Messina-CataniaSiracusa che interessano essenzialmente i movimenti fra la Sicilia ed il continente. Più che 200 chilometri di ferrovia pel primo tratto e 95 pel secondo. Ma Messina ha doppia importanza, come piazza terrestre per collegare, quasi testa di ponte, la Sicilia con l'Italia peninsulare, e come base di operazione marittima nel Tirreno e nel Jonio in certe possibili eventualità. Il numero delle torpediniere a Messina deve essere quindi stabilito in base a tutte queste vedute. e) Il tratto Pisa-Sarzana, circa 89 chilometri, interessa in parte i movimenti dell ' VIII Corpo d'Armata. È sorvegliato dalle torpediniere e dalle navi a Spezia. La sorveglianza dei suddetti tratti di ferrovia è importantissima durante i primi giorni della mobilitazione del nostro esercito, e perciò è necessario in questo primo periodo un servizio attivissimo anche per parte delle torpediniere. Ma affinché questo servizio riesca più efficace, importa coordinarlo con quello dei semafori. Un Ufficiale Superiore Comandante la difesa marittima dev'essere destinato in ogni piazza marittima per dirigere la difesa. Ma per istudiarla e stabilirla occorrerebbe che il detto Ufficiale vi fosse destinato con precedenza. Semafori e Compagnie costiere

La carta semaforica n. l , che si unisce a questo studio, dimostra il numero e l'ubicazione dei posti semaforici in servizio, i quali sono destinati non solo ad uso delle navi militari ma pure delle mercanti li. Per quest'ultima ragione importante, e in certi punti di convenienza anche internazionale, la posizione del1e stazioni semaforiche permanenti dev'essere pubblicamente nota. Il numero però dei semafori in servizio, come si può rilevare dalla carta, è scarso e non sufficiente per un servizio rigoroso ed efficace in tempo di guerra, e quindi esso dev'essere aumentato. Nel progetto dell'aumento bisogna tener presente due essenziali condizioni per l'impianto di nuovi semafori, o posti di vedetta che sieno; e in queste condizioni sono, massima sollecitudine nello


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impianto e segretezza circa l'ubicazione. Il semaforo dovrebbe poter sorgere ed essere attivato nel momento opportuno. Se alle due si aggiungesse una terza condizione, quella dell'economia, si avrebbe un altro vantaggio certamente accettabile. Rispondono alle prime due condizioni i semafori eventuali, o le cosiddette stazioni di vedetta. Prontezza d'impianto purché s'abbiano pronti in quantità sufficiente i casotti mobili coi relativi accessori, e segretezza di posizione, ecc. Risponde a tutte e tre le condizioni qualunque casa, torre, fabbrica, capanna che possa facilmente adibirsi a tale ufficio, e collegarsi per via di telegrafo, anche da campo, con un centro qualunque di comunicazione. E meglio ancora se il punto designato a stazione di vedetta fosse abbastanza vicino ad una stazione di ferrovia con la quale potesse comunicare a voce, con segnale a mano, ecc. o fosse la stazione stessa, la quale semplificherebbe in massimo grado il problema, offrendoci senza spesa una prontissima funzione. Ma oltre alla sistemazione di questi punti di vedetta lungo il littorale, è necessario regolare il loro servizio, armonizzandolo cogli elementi militari destinati ad impedire i colpi di mano, i danni sulle nostre coste. Il dovere di un semaforo in tempo di guerra consiste principalmente nel dare avviso alle autorità competenti delle comunicazioni che riceve dagli esploratori, da ogni nave amica, intorno ai movimenti dell'avversario; nel sorvegliare esso stesso 1' orizzonte e riferire di qualunque movimento che dal mare accenni ad un'aggressione, di ogni nave o numero di navi che gli dieno sospetto; nel dare l'allarme alle nostre navi di crociera, indicando il punto dell'aggressione. Sia però per ragioni speciali di posizione, sia perché un'aggressione potrebbe avvenire di notte, devesi prevedere anche il caso in cui il semaforo è esso che non vede quello che può accadere sulle spiagge vicine. Per una tale eventualità, non difficile ad avverarsi, e che perciò richiede previdenti disposizioni, è necessario che concorrano alla sorveglianza delle coste le compagnie costiere, le guardie doganali, i carabinieri, ecc., cioè gli elementi già destinati alla difesa littoranea, con secondarie stazioni di vedetta, le quali debbono poter, nel più breve tempo, diffondere l'allarme, comunicandolo


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ai semafori vicini, affinché questi richiamino, con speciali segnali, anche di notte, l'attenzione delle nostre navi da guerra in crociera, e loro indichino il punto ove è necessario accorrere. Le comunicazioni tra le stazioni secondarie di vedetta ed i semafori dovrebbero essere fatte per mezzo di telegrafo o telefono. La sorveglianza della costa sarà così più completa, ma per ottenerla è necessario preparare due studi pratici, cioè quello intorno ai segnali convenzionali specialmente di notte, da stabilire tra i semafori e le navi, base del quale studio potranno essere i pochi segnali già stabiliti dal nuovo Vocabolario telegrafico; e l'altro intorno all'ordinamento delle proposte stazioni secondarie. Il mezzo proposto, per compiere sollecitamente la sorveglianza costiera, supplisce, temporaneamente se vuolsi, al progetto, in corso di studio, di tutte le altre stazioni semaforiche permanenti. Sbarchi Nell'ipotesi di uno sbarco è opportuno il notare che i danni risultanti sono di due specie, secondo l'obiettivo del nemico, cioè: o gravi e assolutamente pericolosi per noi, o di un valore economicamente grave, e di grande effetto morale sulle popolazioni, ma non da compromettere la difesa del paese. L'attacco perciò sulle nostre coste avrà una importanza variabile, e però il compito delle nostre forze navali potrà variare anch'esso, ma sarà sempre principalissimo quello di impedire al nemico l'operazione che contro noi sarebbe più grave. I tratti del nostro littorale che più probabilmente potrebbero essere obiettivo di un grosso sbarco nemico sono: 1) fra Oneglia e Genova, 2) fra Spezia e Livorno, 3) fra Gaeta e Salerno, 4) fra Monte Argentaro e Porto d'Anzio, 5) Sicilia e Sardegna. Questi obiettivi sono segnati in ordine d'importanza, anzi i primi due sono da porre tra gli obiettivi della prima specie, gli altri tre tra quelli della seconda. 1° Infatti uno sbarco nella riviera di Ponente, sia che tenda ad agevolare l'avanzarsi di un Corpo movente dal Nizzardo, per concorrere insieme ad attaccare le posizioni dell'Appennino ligure,


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ed a girare così le stesse difese alpine, sia che abbia per iscopo di far cadere la piazza di Genova, e servirsene quindi come base per operazioni concorrenti con quelle delle altre truppe, che, superate le difese alpine fossero già sboccate nella pianura subalpina, esso costituirebbe sempre per noi un fatto gravissimo, pericoloso, il quale farebbe sentire direttamente la sua influenza sullo stesso teatro principale d'operazioni e, riuscendo, faciliterebbe di molto il passaggio delle nostre frontiere occidentali alle masse nemiche che a valanghe potrebbero scendere nel piano. 2° Uno sbarco sul littorale toscano sarebbe, esso pure, una grave minaccia, perché il nemico che si fosse impadronito di Livorno e Pisa, potrebbe di là muovere su Firenze e Pistoia, e quasi tagliare in due l'Italia. Ad ogni modo, però, non potendo le truppe sbarcate dar la mano alle altre operanti nella Valle del Po, e fare quindi sentire direttamente la loro influenza sul teatro principale della guerra, questo sbarco sarebbe meno pericoloso del precedente, e noi potremmo guadagnare il tempo necessario per concentrare in Toscana forze tali da intraprendere con probabilità di successo una controffensiva. Questi due sbarchi, però, sebbene non sieno egualmente gravi, sono principalmente entrambi da sventare per le loro possibili funeste conseguente. 3° Conseguenza di notevole importanza avrebbe uno sbarco sulle coste napoletane, ma la importanza massima sarebbe economica e morale, perché, militarmente parlando, col dividere il nemico le sue forze in due lontani teatri d'operazioni, più difficilmente potrebbe coordinare l'azione delle sue due masse, mentre noi avremmo tempo e modo di riunirgli contro la maggior parte delle nostre forze dell'Italia peninsulare, e mediante una controffensiva mandargli a vuoto l'impresa. Per le conseguenze morali però di valore non trascurabile assegnerei ad uno sbarco sul littorale napoletano maggiore importanza che a quello sul romano. 4° Uno sbarco sul littorale romano sembra poco probabile, perché essendo Roma, (obiettivo di tale impresa), protetta da fortificazioni contro un attacco di viva forza, il nemico dovrebbe impiegare un tempo relativamente lungo per conseguire lo scopo mediante assedio, ed allora si avrebbe agio di contrapporre forze preponderanti per respingerlo sul littorale.


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5° Meno pericolo sarebbe poi uno sbarco in Sicilia, perché mentre esso non potrebbe pregiudicare la difesa diretta dell' Italia peninsulare, noi per il contrario avremmo modo, mercè il collegamento che la piazza di Messina assicura fra il continente e l' isola, d'inviarvi a suo tempo i rinforzi occorrenti per operare offensivamente contro il nemico sbarcato nel caso che le truppe destinate alla difesa dell' isola non fossero riuscite a farlo sole. Quanto allo sbarco in Sardegna, esso costituirebbe un fatto isolato, indipendente dal resto d'Italia, e la cui influenza sulle operazioni principali non sarebbe sensibile che dal punto di vista morale. Può interessare però la Marina il possesso della Maddalena. Consegue da questa breve analisi che dei possibili sbarchi , che il supposto nemico può operare sul nostro littorale, i più temibili e pericolosi per noi sono, quello tra Oneglia e Genova e quello fra Spezia e Livorno in secondo luogo.

Bombardamento Passando all 'altra specie di operazioni che il nemico potrebbe compiere sulle nostre coste, cioè al bombardamento delle città marittime, osserviamo che, salvo quando si tratti di Arsenali e di piazze strategiche, e quindi di punti necessari alla vita organica ed alle operazioni della nostra flotta, i danni che ne possono derivare, se all'attacco non tien dietro un grosso sbarco, hanno un grande valore, ma soltanto economico e morale. I centri strategici marittimi, cioè Spezia, Maddalena, Gaeta, Messina, possono mettersi facilmente in condizione da mandare a vuoto un attacco nemico, e le città quindi che più probabilmente possono essere obiettivo d'attacco per parte della flotta nemica sono Genova, Livorno, Napoli e Palermo. L' impedire il bombardamento perciò di una città marittima, per la nostra flotta costituisce un compito, ma da subordinarsi ad altro principalissimo a quello d'impedire un grosso sbarco. Considerando ora le nostre forze terrestri e marittime rispetto alle francesi, risulta che, nel caso di guerra difensiva, non sarebbe difficile l' avverarsi delJ ' ipotesi di grossi sbarchi sulle nostre coste; e le nostre forze navali dovrebbero tenersi pronte ad accorrere ed impedirli. Ma ad esse sono necessarii dei punti sulla costa da servire quali eventuali basi d'operazione.


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Una base d'operazione per la flotta deve offrire i seguenti requisiti: 1) distanza, rispetto ai diversi obiettivi da difendere, da essere facilmente percorsa dalla flotta, che deve accorrere e giungere in tempo per impedire l'operazione al nemico, sia uno sbarco, sia un bombardamento; 2) sicurezza ed ampiezza proporzionale al numero delle navi; 3) carbone ed approvvigionamenti; 4) ospedali; 5) mezzi per riparare avarie; 6) protezione mediante fortificazioni da costa e difese subacquee, sicché né un bombardamento dal largo, né una sorpresa sarebbero da temere; 7) difficoltà di restare bloccati. Escludendo, come troppo eccentrici, i porti del Jonio e del1' Adriatico, rimangono Genova, Porto S. Stefano, Gaeta, Messina, Maddalena e Spezia. Genova, indicata per impedire un'operazione sulla costa ligure, sarebbe troppo lontana per la difesa delle coste peninsulari ed insulari. Troppo ingombra, non protetta contro un bombardamento dal largo. Porto S. Stefano, indicato per la difesa delle coste peninsulari e della Sardegna, ma senza risorsa, aperto e non protetto. Gaeta, opportuna per la difesa del littorale romano, napoletano e siculo, ma troppo lontano dal ligure e dal toscano. Non ha mezzi di riparazione. Non la necessaria sicurezza per le navi contro un attacco vigoroso della flotta nemica malgrado le fortificazioni. È però buon punto di rifornimento e quando sarà convenientemente fortificata, potrà essere anche buona base almeno di una parte della flotta. Messina, è difficile a bloccarsi perché a cavaliere di due mari. Non può avere difese subacquee, ma le sue fortificazioni potranno raggiungere quel grado di potenza da impedire al nemico di forzare lo stretto. Nella ipotesi di guerra con la Francia, e che noi dovessimo tenerci sulla difensiva, Messina, che è vicina all'Italia meridionale, e potrebbe, in date eventualità, essere punto di riunione di una parte della flotta, sarebbe troppo eccentrica, rispetto al littorale ligure, toscano e romano: essa dista dai vari punti di


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questo littorale, assai più che non Tolone, base di operazione del supposto nemico. Maddalena, difficile ad essere bloccata; facile a noi il forzare il blocco. Ma non è ancora pronta, mancando di parecchi requisiti. Spezia, piazza marittima che riunisce quasi tutte le condizioni per essere base di operazione della flotta in caso di guerra tra la Francia e noi. Oltre le sue qualità intrinseche, essa possiede il requisito della posizione rispetto ai vari obiettivi. Quasi al centro del littorale ligure-toscano, dista 90 miglia da Oneglia, 65 da Vado, 50 da Genova, 40 da Livorno, 110 da S. Stefano. La stessa Maddalena dista notevolmente di più da questi punti, cioè 190, 192, 193, 149, 111 miglia. Ma Tolone dista da Oneglia 120 miglia, da Vado 155, da Genova 175, dalla Spezia 205, da Livorno 220, da S. Stefano 255, dalla Maddalena 195; dunque la Spezia è situata più favorevolmente che la Maddalena in caso di guerra difensiva, perché la nostra flotta, qui riunita, avvertita dai suoi incrociatori rapidi, provvisti di piccioni viaggiatori, potrebbe prevenire l'avversario in tutti i punti da Vado a. S. Stefano, come anche ad Oneglia, mentre esso è in marcia, o quando incominciasse il grosso sbarco, che, anche nelle migliori condizioni idrografiche e di tempo, richiede molte ore per essere compiuto. La nostra flotta quindi sarebbe in condizioni da Spezia di sorprendere il nemico quando è più opportuno l'attacca.re il convoglio, per porvi lo scompiglio, distruggerlo, mandare a vuoto 1'impresa. Le nostre navi da combattimento hanno la velocità di 14 o 15 miglia, e percorrerebbero la distanza tra Spezia ed Oneglia, ad esempio, in sei ore, mentre il convoglio nemico impiegherebbe, con una velocità media che non può essere più di 8 o 9 miglia, circa 14 ore, cioè noi avremmo quasi otto ore di vantaggio sul nemico, rispetto al punto per noi più sfavorevole. Un piccione viaggiatore percorre 30 miglia all'ora, e perciò dopo poche ore potrebbe un nostro incrociatore mandare avviso alla Maddalena ed alla Spezia. Certamente da Gaeta le navi sarebbero in posizione più favorevole per difendere il littorale romano ed il napoletano da uno sbarco, ma anche dalla Spezia possono accorrere e trovarsi in tempo; perché da Spezia a Civitavecchia corrono 150 miglia, e


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300 miglia da Spezia a Napoli, mentre che da Tolone ne corrono 330 e 470. La Sardegna e la Corsica sono una naturale barriera a difesa della costa occidentale d'Italia. Esse obbligano un nemico ad un più determinato passaggio nel suo avanzarsi aggressivo. Pochi incrociatori tra Capo Corso e Tolone, tra Cagliari e Trapani debbono riuscire ad avvistare ed avvertire in tempo utile l'avanzarsi del1' aggressore. Corrono 275 migha da Cagliari a Napoli, ma osservando che il nemico non dovrebbe rasentare il Capo Spartivento di Sardegna per non farsi scoprire, ma si deve mantenere più al largo, dobbiamo dedurre che esso dev'essere dai nostri incrociatori avvistato almeno ad una distanza di 300 miglia dal littorale napoletano, cioè alla stessa distanza che corre tra Spezia e Napoli. Ma un convoglio scortato non ha i movimenti facili e la velocità di una flotta libera; ma un grosso sbarco non si potrebbe compiere che in parecchie ore; se dunque ripetiamo per questo caso un computo comparativo, come abbiamo fatto pel caso di uno sbarco ad Oneglia, noi troviamo che pure da Spezia le nostre forze navali possono accorrere in tempo verso il littorale napoletano ed impedire lo sbarco del corpo nemico, sorprendendolo, forse, anche in marcia. Importante soltanto preparare in precedenza ed ordinare un servizio attivo degl'incrociatori, i quali dovrebbero, appena dichiarata la guerra, spingersi fin nelle acque nemiche, schivando a qualunque costo d'accettare battaglia, pure di riuscire nell'intento di una vigile sorveglianza, di esplorare le mosse nemiche e comunicarle al nostro Comandante in capo, senza interrompere il proprio servizio. Occorre per questo stabilire senza indugio delle colombaie a Spezia, a Trapani, a Palermo, le quali con quelle già esistenti di Maddalena, Civitavecchia e Cagliari, e con qualche altra da stabilirsi in qualche altro punto utile, come Genova ecc., renderanno importanti servizi in guerra. La Spezia però che parrebbe il più indicato posto di riunione e la più opportuna base delle prime operazioni delle nostre forze navali, presenta due inconvenjenti. Alla Spezia la nostra flotta può facilmente essere bloccata. Quivi riunita tutta la massa delle nostre forze navali perderebbe, a


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cagione del gran numero di navi, quella mobilità che è un requisito importante, specialmente per noi. La Francia potrebbe tentare un grosso sbarco sulle nostre coste, scortando il suo convoglio con tutta la sua poderosa flotta, ma potrebbe anche con la maggior parte di essa tenere in osservazione le nostre forze navali, e con l'altra compiere qualche operazione sul nostro littorale. La scelta però di una o più basi di operazioni dipende dalla forza della flotta avversaria, dalle informazioni che si possono avere circa i movimenti e le intenzioni del nemico, dalle condizioni speciali della guerra, e da quelle del proprio littorale e dal giudizio soprattutto del Comandante in capo le nostre forze navali il quale formula e concreta il suo piano di guerra. E la scelta delle basi d'operazioni entra nel piano strategico che deve mirare a proteggere nei primi giorni la mobilitazione del nostro esercito, e più tardi ad impedire gli attacchi contro città marittime, ed impedire specialmente gli sbarchi. L'Ammiraglio che avrà il comando delle nostre forze navali, avendo piena libertà d'azione, potrà tenerle riunite o divise, secondo il suo giudizio, in porto od in movimento, secondo che stimerà miglior modo, per poter paralizzare l'avversario, ed utilizzare la maggior velocità delle nostre navi. Le esplorazioni che egli avrà disposte sono indispensabili, ma intorno alle intenzioni del nemico ed alle mosse ed operazioni che esso prepara sono a lui necessarie tutte le informazioni che, anche per vie indirette, gli si potranno procurare. È da un buon servizio di questa specie di informazioni, che c'è molto da promettersi. Con esse e con le nostre esplorazioni marittime, noi potremo tenerci pronti con quella maggiore libertà di azione, che ci è tanto necessaria, e più difficilmente ci potremmo far distogliere da dimostrazioni e da inganni. Risulta intanto dall'esame delle nostre piazze marittime che quelle le quali si debbono tener pronte, come possibili basi di operazioni, oltre la Spezia, sono la Maddalena, Gaeta e Messina, le quali dovrebbero essere tutte messe in condizioni di poter rendere efficace servizio nelle operazioni della guerra marittima, dovrebbero cioè essere provvedute di viveri, carbone, acqua, materie consumabili, ecc., e di convenienti fortificazioni ed altre difese.


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Ipotesi di guerra offensiva

Se la Francia dovesse dividere in due teatri di guerra le sue forze terrestri, e se alle nostre forze navali noi potessimo aggiungere altre alleate, allora poco probabile diverrebbe il grosso sbarco francese sulle nostre coste, e il compito delle nostre forze navali riunite cambierebbe carattere. Noi potremmo avere allora un obiettivo anche offensivo, ed in tal caso la Maddalena sarebbe indicatissima come base delle prime operazioni, sia che queste abbiano carattere difensivo od offensivo. Essa dista da Genova 193 miglia, da Livorno 149, da Napoli 240, da Palermo 262, da Tolone 196, da Marsiglia 230, da Algeri 450, da Bona 308, da Biserta 240. Messina sarebbe utile punto intermedio. Data la sola alleanza fra Italia, Germania ed Austria, il compito delle forze navali francesi, resta lo stesso nell'Atlantico e nella Manica, e può anche in Mediterraneo diventare difensivo. Ma circa questa ipotesi c'è da sollevare dei dubbi; non pertanto essa dev'essere tenuta presente perché le operazioni delle flotte alleate vanno svolte secondo le varie situazioni possibili della guerra generale. Le forze però sulle quali noi potremmo fare assegnamento sono tutte le nostre, tutte le austriache, e una parte solo delle germaniche, perché la sola Germania non può del tutto sguarnire il Baltico ed il Mar del Nord. Potrebbero riunirsi alle forze alleate le navi germaniche che, come ora, si trovassero eventualmente in Mediterraneo o in India e in Africa orientale. La flotta austriaca, alla dichiarazione della guerra, dovrebbe premunire l'Adriatico e possibilmente Taranto, assicurando le ferrovie littoranee, le comunicazioni dalle incursioni nemiche. E qui è da tener presente la Divisione che la Francia tiene ordinariamente in Levante. Compiuta la mobilitazione dell'esercito italiano, la flotta austriaca con la germanica si riunirebbero per Messina alla flotta italiana, o opererebbero sopra altri punti per altri obiettivi, lasciando maggiore libertà di azione alla flotta italiana secondo il piano prestabilito.


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Ammessa possibile l'ipotesi di guerra offensiva le ulteriori operazioni possono essere queste: Dare battaglia alla flotta francese e bloccarla. Distruggere le ferrovie della Provenza per arrestare i rinforzi terrestri, quando al nostro esercito convenisse operare contro il Nizzardo. Coordinare mediante sbarchi ed attacchi delle fortificazioni marittime le operazioni contro la regione nizzarda e la Provenza, e concorrere ad assicurare per mare il servizio d'approvvigionamento e di retrovia in genere, alle truppe operanti in quelle due regioni, nella seconda specialmente. Bombardare Nizza, Marsiglia, Tolone, Cette, Algeri, Bona e cercare colla presenza delle nostre navi di fomentare insurrezioni nell'indigeni contro i francesi sulle coste algerine e tunisine. Conclusione

Formulo, per tutto ciò che ho detto, le seguenti conclusioni pratiche, le quali, mentre hanno per base la necessità di preparare ed utilizzare nel miglior modo i soli mezzi che oggi possediamo, hanno avuto pure principalmente in vista la altra necessità di non apportare, per veduta economica, alcuna variazione al bilancio.

10 Dividere il numero delle torpediniere per i tre Dipartimenti, in modo che, alla dichiarazione di guerra, si trovino pronte e prossime ai posti loro assegnati. Il numero delle torpediniere riunite sotto le piazze marittime designate, deve essere proporzionate all'importanza ed all' estensione della costa da proteggere, ed in relazione naturalmente del numero di torpediniere che resta disponibile, tenuto conto di quelle assegnate alla forza navale, e delle altre che non fossero in condizioni di prendere il mare. Le torpediniere che oggi abbiamo sono: 52 di alto mare 38 da costa di 1a classe 21 idem di 2a classe 111 Queste ultime possono essere utili più specialmente per porti, dove convenisse in sostituzione di qualche batteria lanciasiluri,


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come a Genova, alla Maddalena, a Spezia, e forse a Gaeta, pure; ed a Messina possono essere un'aggiunta alla difesa mobile, e sulla costa adriatica anche, specialmente tra Ravenna e Falconara, tratto solcato da parecchi e poco profondi canali. Propongo quindi che queste torpediniere di 2a Classe sieno così suddivise: 9 al 1° Dipartimento 6 al 2° Dipartimento 6 al 3° Dipartimento È necessario l'assegnare un certo numero di torpediniere alla nostra forza navale, ed è anche logico che esse siano di alto mare. Togliendo per questo scopo 30 torpediniere, cioè 1O squadriglie o sezioni di torpediniere di alto mare dalle 52 che si hanno, ne restano 22 di questa specie e 38 da costa di 1a classe per la difesa littoranea nei primi giorni della mobilitazione. I tratti di costa che hanno maggior bisogno di essere protetti debbono avere, come si è detto, sei centri d'irradiamento ed in questi il numero delle torpediniere deve essere in proporzione non solo della importanza, ma pure di qualunque altra difesa mobile prossima al punto da proteggere. In vista di queste considerazioni propongo quindi che le torpediniere che oggi abbiamo sieno così divise: A

3° Dip.to

2° Dip.to

ec1. za CI.

Ancona Oltre le 6 torpediniere da costa di 2• Classe

-

12

-

-

-

6

Taranto Messina Gaeta Oltre le 6 torpediniere da costa di 2• Classe

-

6

9 9

3 3

-

-

-

6

Spezia e Genova Maddalena Oltre le 30 di alto mare assegnate alla forza navale Oltre le 9 da costa di 2• Classe

-

5 9

-

Totale n.

4

-

-

-

52

38

21

30

Tot.

}18

)36 )51

9 111


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

Le torpediniere assegnate al 3° Dipartimento e quelle di Taranto, potrebbero al caso concentrarsi in posizione opportuna per impedire il breve passo del Canale di Otranto.

20 Regolare il servizio in tempo di pace delle torpediniere di stazione, informandolo al principio della difesa costiera.

30 Nominare per tempo i Comandanti delle piazze marittime. Questo provvedimento è importante, ed il Capo dello Stato Maggiore dell 'Esercito insiste su di esso, ritenendo indispensabile che una sola autorità presieda ed abbia la responsabilità intera della difesa delle piazze.

40 Porre le piazze marittime di Spezia, della Maddalena, di Gaeta e Messina in condizione di poter rendere efficace servizio nelle operazioni della guerra marittima; sollecitare cioè il compimento delle opere di difesa, provvedere l'acqua in quelle piazze ove manca, stabilire e depositarvi quantità di carbone, di viveri, di munizioni, di materiali consumabili, di galleggianti, tutto in rapporto del servizio al quale queste piazze possono essere chiamate. Uno speciale lavoro a questo scopo è già in corso di compilazione presso il mio Ufficio. Ed oltre a ciò, stabilire anche un sistema affinché in tempo di guerra non venga a mancare, a causa di personale, il servizio d' imbarco di tali generi.

50 Scegliere i punti opportuni di stazioni di vedetta secondaria. Casotti speciali o capanne, torri, stazioni ferroviarie, case doganali, ecc. Questa scelta potrà essere fatta dall'Ufficio medesimo della preparazione alla guerra, il quale potrà far compiere il giorno intorno alla penisola da una piccola nave o anche da una torpediniera S, messa a sua disposizione, comandata da propri Ufficiali.

60 Destinare i Comandanti delle difese marittime, necessari per lo studio della difesa littoranea e della costa di propria giurisdizione. La costa di ogni singola giurisdizione è quella medesima assegnata pei centri d' irradiamento. Regolamento circa il servi-


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zio, le attribuzioni, la dipendenza dei Comandanti le difese marittime. Questo Regolamento potrà essere compilato presso l'Ufficio di preparazione alla guerra, dopo che sarà compiuto il giro indicato nell'articolo precedente, per la scelta delle stazioni di vedetta.

70

Regolare il servizio delle stazioni secondarie di vedetta lungo il littorale, armonizzandolo con quello dei semafori, e col servizio degli elementi militari e costieri. Questo regolamento può essere fatto dall'Ufficio di preparazione alla guerra, o da quello centrale di difesa costiera, di accordo con lo Stato Maggiore dell'Esercito, ma per imprenderne la compilazione con più esattezza di criteri, si dovrà aspettare che sieno stati scelti i punti di vedetta ecc., dei quali tratta l' articolo 5°

go

Determinare i segnali convenzionali tra i semafori e le navi, e studiare se convenga, in quei punti ove sia possibile il farlo, un mezzo di comunicazione con cavo elettrico tra semafori e navi. Il cavo del semaforo potrebbe assicurarsi ad un gavitello fisso in acque calme.

90 Stabilire una colombaja a Spezia ed una a Trapani e Palermo ed in qualche altro punto utile, e determinare degli esperimenti tra incrociatori, la Maddalena, la Spezia, Genova, Trapani, Palermo, Civitavecchia, ecc. 100 Coordinare le azioni complesse delle operazioni navali, cioè stabilire con precedenza le linee generali del reciproco concorso delle forze alleate; la modalità del loro concentramento; definire la questione del Comandante in Capo; stabilire i segnali, i porti di rifornimento per le navi austriache e tedesche, ecc. 11 o

Determinare con legge che l'Ufficiale Ammiraglio Comandante in Capo dell'Armata abbia le stesse attribuzioni che il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito in tempo di guerra, cioè Comando Generale di tutte le forze marittime, e dipendenza assoluta dal Quartiere Generale.


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

N. L.F. Menabrea, ambasciatore d'Italia a Parigi, a F. Crispi, presidente del Consiglio, 24 giugno 1889. Fonte: AUSSME, G 29,Addetti militari. Francia, R 5. Stimo opportuno di f'clSsegnare a V.E. alcune informazioni militari che confermano quelle raccolte dall'egregio nostro addetto militare Colonnello Massone in un viaggio che egli fece ultimamente nel Belgio, e che si riferiscono ali' armamento della fanteria francese. Questa faceva molto assegnamento sul fucile Lebel e sul nuovo esplosivo; ora da un ufficiale francese, addetto alle esperienze sulle nuove armi, mi venne detto che il riscaldamento del fucile Lebel, dopo tre o quattro colpi sparati col nuovo esplosivo, è tale che l'arma non può essere tenuta in mano. Per altra parte il meccanismo del caricamento è congegnato in modo che il tiro rapido, dopo i primi colpi, diventa difficile. Per questa ragione si tratterebbe di mutare o per lo meno di modificare sostanzialmente il fucile Lebel, di cui esiste già un grandissimo approvvisionamento ed in conseguenza incontrare nuove ed ingenti spese. Io credo che a questa ragione de11a scemata fiducia nell'efficacia del fucile Lebel si debba attribuire il considerevole aumento di artiglieria ordinato per l'esercito. Da quanto mi riferiva l'ufficiale accennato, che si occupò specialmente di esperienze di artiglieria, si ha al contrario gran fede sugli effetti di quell'arma tanto per l'esercito che per la marina. Per l'esercito essa è destinata a sbaragliare il terreno, distruggere gli ostacoli, assai prima che la fanteria possa mostrarsi efficace. La melenite di cui sono carichi i proiettili, dei quali vi ha una grandissima provvista, fa prova finora di non scomporsi nelle condizioni ordinarie di temperatura; ma alcuni temono anzi che quella sostanza, accumulata nelle navi in luoghi mantenuti ad un'alta temperatura, in vicinanza dei focolari delle macchine, possa scomporsi, dar luogo a pericolosi scoppi, come già avvenne non ha guari. Alcuni credono che le torpedini possono con vantaggio essere surrogate coi nuovi cannoni, il di cui tiro sarà sempre più sicuro ed efficace di quello delle torpedini stesse. Ho saputo ancora da persona, che si è trovata in contatto cogli ufficiali, che appartengono al corpo d'armata, di cui una delle divisioni è stanziata in Savoia, che si fanno degli studi sul modo di attaccare l'Italia dal lato della Svizzera cioè dalla valle del Rodano, dove sboccano parecchi valichi alpini, fra i quali il Gran S.


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Bernardo e specialmente il Sempione, che, oltre una grande strada carreggiabile, sarà, in un avvenire non lontano, provveduto di una ferrovia per unire l'Italia alla Svizzera. I buoni sentimenti che attualmente la Francia manifesta verso quest'ultima dopo la minacciosa rimostranza della Germania in occasione del ricovero in quel paese trovato da alcuni anarchici tedeschi, tendono probabilmente ad inimicare maggiormente la Germania con la Svizzera ed a preparare all 'uopo gli spiriti di questa alla violazione della neutralità del proprio paese con scopo ostile all'Italia. Si può anche supporre che le fortificazioni del Gottardo oggidì tanto propugnate dai giornali francesi hanno per principale oggetto d'impedire una diversione delle truppe italiane attraverso quel passaggio. Senza voler entrare a discutere la difesa del nostro paese, esprimo il parere che la nostra frontiera debba essere custodita non solo verso la Francia, ma anche verso la Svizzera e verso la parte neutralizzata della Savoia.

O. Opinioni germaniche sull'organi12azione dell'Esercito it.aliano (documento redatto dal Ministero degli Esteri il 20 novembre 1895, consegnato dal già ministro degli Esteri A. Blanc al generale C. Ricotti nella seconda metà del marzo 1896 e fatto conoscere al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale T. Saletta, con lettera del ministro della Guerra del 13 giugno 1902). Fonte: AUSSME, F 4, Ordinamento e nwbilitazwne, R 11. Presso governi amici vennero raccolte, circa le nostre condizioni militari, opinioni espresse in via affatto riservata, non potendosi domandare né ricevere consigli e neppure pareri in via sia ufficiale che ufficiosa, per ovvie considerazioni di convenienza. Si considera imprudente e dannoso nelle circostanze attuali toccare all'ordinamento dell' esercito oramai costituitosi in 12 corpi; ma si crede che potrebbero e dovrebbero almeno rientrar nei 12 corpi in un modo qualunque, e non più fare per così dire un 13° e un 14° corpo di fanteria, i 7 battaglioni di alpini ed i 12 reggimenti I di bersaglieri; oltreché sono ancora in soprappiù ai 12 corpi le 12 batterie di montagna. 1

Così nella correzione a mano del Ricotti, mentre il testo dattilografato degli Esteri recava "battaglioni"


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

Mentre non abbiamo evitato spese che alla Schlachtfertigkeit sono inutili, come le chiamate delle milizie territoriali ed altre simili, l'opinione competente trasmessa da Berlino al Generale Lanza è che non possiamo fornire la cooperazione effettiva cui siamo impegnati verso gli alleati, non avendo abbastanza uomini istruiti per portare le compagnie in guerra a circa 250 uomini, oltreché non possiamo con 6 squadroni a 145 cavalli per reggimento di cavalleria, avere in guerra 120 cavalli per squadrone. Il rimedio compatibile con le condizioni del nostro bilancio sarebbe stato di portare il numero delle compagnie nei reggimenti da 12 compagnie scheletri, a 9 compagnie forti, ed i reggimenti di cavalleria da 6 squadroni a 5, per fame quattro in tempo di guerra. Ma non è forse più tempo. Nella scadenza che ci permetterebbe di denunziare nel maggio la triplice alleanza, le condizioni nostre per ottenere patti migliori saranno assai diverse, osserva il Generale Lanza, se le nostre compagnie in pace saranno a 110 uomini anziché a 35, cifra questa che distrugge il morale e 1' istruzione non solo dei soldati, ma degli ufficiali. Ed appunto perché non bisogna toccare all'ordinamento delI' esercito nelle attuali circostanze, apparisce alle Potenze amiche necessità abbandonare apertamente per ora perfino la preparazione del progetto di sconvolgere l'ordinamento dei distretti, di sottrarre cioè da essi la mobilitazione per attribuirla ai reggimenti; ponendo così per un lungo periodo di transizione l'esercito nella confusione e nell'incognito, con allontanamenti dei reggimenti dai loro depositi, con cambi di guarnigione ecc. ecc. e conseguenti spese gravi ed attuali, cui fa dubbio compenso una futura ipotetica economia. I distretti si sono consolidati da 25 anni, e oramai funzionano bene; il paese vi è avvezzo; ogni soldato conosce il suo distretto. La situazione europea non permette in questo momento quello sconvolgimento. Venne proposto in una recente conferenza riservata in Roma che si facesse dal Ministro della Guerra un inventario: 1° degli elementi immediatamente disponibili come materiali nei magazzini, 2° del personale di bassa forza istruito, e 3° del personale adatto al comando. Questi sono tre argomenti sui quali le più alte convenienze impediscono ogni verificazione di concerto con l'alleato; tanto maggiore è la responsabilità che pesa su di noi, spe-


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cialmente per l'omissione inesplicabile della designazione dei Comandanti degli eserciti in cui saranno ripartiti i 12 corpi; designazione che non era stata omessa da nessuno dei Ministeri precedenti; mentre il presente Ministero si è esposto a dover domani forse nominar improvvisamente Comandanti di eserciti che non conosceranno né i loro Capi di Stato Maggiore né i loro Capi d'intendenza, che non avranno studiato il compito affidato loro, né avuto possibilità di assicurarsi personalmente dei mezzi necessari a compierlo. È noto che ai Comandi dell'Italia superiore sono preposti generali che la Commissione competente ha escluso dai Comandi di corpo d'esercito. In una condizione militare che ha dato luogo a sospetti anche pubblicamente manifestati, gli ostacoli che incontra la conciliazione pur possibile del bilancio attuale coll'esistenza d'una forza rispettabile, sono difficili a spiegare chiaramente e quella difficoltà stessa impedisce che possa attuarsi l'altra proposta fatta nella ricordata conferenza, che cioè il Ministro degli Esteri possa invitare all'occorrenza gli Stati Maggiori germanico ed italiano ad intime e tecniche intelligenze per la realtà della impegnata cooperazione. Più gravi che mai sono perciò le preoccupazioni che può cagionare la possibilità di equivoci e di sconcerti militari, che sarebbero disastrosi per la politica estera. Gli ultimi incidenti della politica internazionale avendo dato occasione ad un Ammiraglio inglese di porre, in via affatto personale e confidenziale un'altra questione, quella della possibilità eventuale di uno sbarco di truppe italiane in Oriente, ed avendo il Ministro degli Esteri fatto le dovute investigazioni segrete circa l'opinione dei nostri amici sulla cooperazione che essi abbiano eventualmente in mente per parte del nostro esercito, gli venne la dichiarazione seguente: è urgente e indispensabile anzitutto che il Ministro degli Esteri sappia dal Ministero della Guerra o dal Capo di Stato Maggiore in quanto tempo si potrebbe eventualmente, in caso di accordi sicuri colle Potenze amiche, imbarcare e spedire ali' estero anche un solo corpo d'armata e quanti altri corpi d'armata dovrebbero essere guastati per questo scopo, mettendo probabilmente il paese nella impossibilità di mantenere a suo tempo gb obblighi inerenti alle alleanze e alla difesa de11a patria. Dalla possibilità di una nostra cooperazione con forze di terra in Oriente in caso d'azione austro-inglese dipende la cooperazione na-


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL' UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

vale dell'Inghilterra alla difesa delle nostre coste meridionali. Il problema militare per l'Italia è dunque doppio, e apparisce agli alleati essere compromesso dall'attuale riordinamento a base regionale. È stretto dovere del Ministro degli Affari Esteri richiamare, a scanso di gravi responsabilità, tutta l'attenzione del Ministro della Guerra e del Capo di Stato Maggiore Generale sul vitale argomento. P. Conclusioni finali del generale T. Saletta sui viaggi di Stato Maggiore 1895-96-97. Ottobre 1897. Fonte: AUSSME, G 23, Scacchiere occidentale, R 1. Dopo aver studiato durante gli anni 1895-96-97 ogni singolo tratto della nostra frontiera occidentale, conviene ora riassumere i caratteri generali, considerandola nel suo insieme, in relazione ali' entità ed all'impiego delle forze già preparate di lunga mano per difenderla fino dall'inizio delle ostilità. Confronto dell'assetto difensivo delle due frontiere francese ed italiana. Se si confronta l'assetto difensivo delle due frontiere francese ed italiana, sia sotto il punto di vista delle difese artificiali di cui furono rispettivamente munite (fortificazioni, rete stradale, interruzioni, ecc.) e sia sotto quello delle loro difese mobili, si rileverà che stanno a vantaggio della frontiera francese: a) Fortificazioni più potenti delle nostre, predisposte in massima ai nodi delle comunicazioni e non distanti dal confine; b) Parchi d'assedio leggeri, pronti su ruote, per eventuali attacchi ai nostri sbarramenti; c) Decisa superiorità in truppe mobili, durante tutto il tempo della nostra mobilitazione, avendo le truppe francesi alla frontiera, fino dal tempo di pace, effettivi più forti dei nostri ed una mobilitazione più rapida; sì da permettere al XIV ed al XV corpo d'armata di entrare in azione al completo nell' 11 ° giorno; d) Artiglieria in complesso assai più potenti delle nostre, tanto per numero quanto per potenza, e specialmente poi per mezzi esplosivi; e) Una rete stradale, opportunamente preparata tanto per la difensiva, quanto per l'offensiva. L'influenza di questa generale superiorità di mezzi si farà sentire durante lo svolgimento delle operazioni militari in vario modo, e cioè:


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Il maggior sviluppo ed il miglior assetto dati alla rete stradale ed alle fortificazioni forniranno in modo permanente all'azione delle truppe mobili francesi un più forte appoggio alla loro offensiva, una maggior tenacità alla loro difensiva; I parchi d'assedio leggeri, pronti su ruote, imprimeranno un avviamento più rapido al loro eventuale impiego contro i nostri forti di sbarramento e quindi all'azione generale; Gli effettivi maggiori, fin dal tempo di pace, in forze mobili alla frontiera e la maggior rapidità nella mobilitazione, renderanno possibile ai francesi un'offensiva con superiorità di forze, prima che sia terminata la nostra mobilitazione. Questo vantaggio avrà bensì un carattere temporaneo; ma, potendo togliere subito a noi l'iniziativa delle operazioni, potrebbe anche acquistare un valore decisivo; Infine, la maggior efficacia delle artiglierie francesi sarà un fattore costante e sicuro di superiorità in ogni operazione di guerra di qualche rilievo: fatto questo di un'importanza capitale. Di fronte a questi vantaggi, noi potremmo contrapporre: a) una maggior quantità di forze mobili e quindi la possibilità di una nostra offensiva strategica, a condizione però che siasi potuta compiere la nostra mobilitazione, e che la Francia non impieghi sul nostro teatro di guerra altre truppe oltre quelle della XIV e XV regione; b) La possibilità di sviluppare, in una nostra difensiva generale, forze in quantità maggiore di quelle che potrebbe sviluppare il nemico, se colto opportunamente agli sbocchi delle nostre vallate, mentre le sue colonne saranno ancora impegnate nelle medesime e le nostre forze saranno già schierate e pronte per l'azione. Condizioni necessarie per usufruire dei vantaggi della nostra preparazione. Ma, affinché questi due vantaggi sussistano, occorre che la nostra mobilitazione si possa compiere regolarmente, e che, terminata la medesima, il grosso dell'esercito sia nella possibilità di concentrarsi e combattere ove si desidera. Vale a dire, occorre che la frontiera sia così forte per sé, da coprire la nostra mobilitazione, senza esigere, durante la medesima, una tale quantità di forze mobili per la sua difesa, che rimanga indebolita o disorganizzata la costruzione delle grandi unità, prima ancora che siano completate. Deriva da ciò la necessità di modificare il concetto che fino ad ora predominò, cioè quello di impiegare la massima parte delle


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GU ERRA

nostre forze dentro la zona montana, spingendole in gran quantità già durante la mobilitazione, sebbene non ancora costruite sul piede di guerra. Come abbia preso corpo questa idea, è cosa inutile investigare. È certo però che essa si sviluppò poco alla volta, e senza lasciare traccia alcuna che indichi l'azione di una mente unica direttrice: essa fu anzi il risultato di lunghe discussioni fra molti pareri discordi. Ciò si rileva dai verbali delle sedute dell' 11 , 15 e 16 luglio 1881 della Commissione per lo studio della difesa dello stato. Prima che si radunasse quella Commissione (v. verbale della seduta dell' 11 luglio) nella zona montana si doveva esercitare soltanto una prima difesa. Il che indica, che s' intendeva impegnare, da bel principio, poche truppe in quella zona, mentre si riteneva che queste truppe, appoggiate naturalmente agli ostacoli offerti dal terreno ed ai lavori di difesa occasionali, fossero in grado di dar tempo alle forze retrostanti di mobilitarsi e raccogliersi. Nel seguito delle discussioni questa idea però si trasformò, assumendo il carattere che ha tuttora, cioè non più quello di una prima difesa, bensì di una difesa ad oltranza, impegnando nella zona montana la massima parte delle nostre forze. Nacque così la convinzione, che tutta la zona montana si dovesse difendere, quasi a palmo a palmo, in tutta la sua estensione periferica; e, dato lo sviluppo di questa (km 450 sulla linea di confine) si fu condotti a disseminare su larghissimo fronte le truppe assegnate all'occupazione avanzata. Naturalmente queste risultarono scarse in relazione ai compiti loro richiesti, i quali poi invece di limitarsi ad una benintesa vigilanza della frontiera ed al servizio informazioni, si vollero estesi: "A contrastare osti natamente l' invasione nemica sulle vie principali, ostacolarla sulle secondarie, in modo da ritardarne i progressi ed obbligare le masse nemiche a permanere e sostare nella zona montana. A manovrare per linee interne ed attaccare con forze preponderanti le colonne nemiche, prima che si riuniscano allo sbocco delle valli" Si prescelse in conseguenza di ciò un grande numero di posizioni e si preordinarono a difesa, sia nelle valli e sia sui contrafforti intermedi: donde necessità di forti rincalzi per occuparle e di fenderle convenientemente; urgenza di farveli accorrere sul


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piede di pace, attesa la vicinanza alla frontiera delle posizioni medesime. Quanto sia debole un simile assetto difensivo, e grande il rischio per la frontiera di essere sfondata, specialmente verso il termine della mobilitazione francese, e mentre dura tuttora la nostra, non è chi non veda, dopo quanto si è detto sopra. Ed è così che la metà delle forze mobili destinate alla frontiera occidentale (8 divisioni permanenti) si potrà trovare impegnata, fin da principio, nella zona montana nelle peggiori condizioni che si possono dare per una truppa, e cioè quando non è ancora completamente costituita nelle sue unità di guerra, quando è deficiente nei vari servizi ed in terreni nei quali si troverà nell'impossibilità, quasi assoluta, di valersi delle proprie artiglierie campali. Si aggiunga che pel relativo ritardo nella radunata delle unità di milizia mobile e dei corpi d'armata non di frontiera, e specialmente poi per l'enorme estensione dello schieramento, non vi sarà la possibilità di eseguire i concentramenti opportuni neppure per far fronte all'invasione nemica, con truppe riunite, agli sbocchi delle valli od in posizioni acconcie in pianura; tanto meno poi manovrare per linee interne nella zona montana. Ciò posto, non pare occorra aggiungere molte parole per dimostrare come, non potendo l'Italia mettersi prontamente in misura di equilibrare i vantaggi che ha la Francia, essa debba almeno porsi in grado di non perdere quei soli che essa possiede, e perciò assicurare anzitutto, come condizione indispensabile, la mobilitazione delle proprie truppe. Riorganizzazione dell'assetto difensivo della frontiera occidentale. Nello stato attuale delle cose, dopo il lavoro lungo e complicato che condusse ali' attuale assetto difensivo, non è certamente possibile un mutamento radicale. Converrà, dunque, limitarsi ad aumentare artificialmente la forza di resistenza della nostra frontiera di tanto che bastino, per la sua difesa, durante il periodo della nostra mobilitazione, le sole truppe leggere (alpini, bersaglieri, artiglieria da montagna) sostenute eventualmente dal minimo numero di truppe di rincalzo. Le proposte contenute nel seguente specchio tendono appunto a tale scopo, ed è quindi sulla pronta esecuzione di esse che si basa tutto l'edificio del nuovo assetto difensivo, che si dovrebbe dare alla nostra frontiera nord-ovest.


5 IO

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

Indicazione dei lavori proposti a) Sbarramento avanzato (Pré St Didier) 1. Batteria Testa d' Arpi Sup. (per 6 cannoni da 15; 2 mortari da 15) 2. Batteria Testa d' Arpi Inf. (per 4 cannoni da 15 o da 12) 3. Batteria Monte Cormet (per 4 cannoni da 15 o da 12, 2 mortari da 15) 4. Lavori ed interruzioni stradali 5. Provvista di 6 cannoni da campo per armare eventualmente la posizione di S. Nicolas b) Sbarramento arretrato (Bard) 6. Batterie a Tete de Cou e Serra di Biel (complessivamente per 18 cannoni da 15 e 4 mortari da 15) 7. Lavori ed interruzioni stradali

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1. Batteria corazzata a Le Court (per 8 cannoni da 15) 2. Batteria corazzata al Paradiso (per 8 cannoni da 15) 3. Batteria corazzata al Roncia (per 6 cannoni da 15) 4. Batterie di mortai (in posizioni coperte da deterinarsi: 8 mortai da 15; 8 mortai da 21)

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a) Conca d 'Outx 1 1. Batterie nelle posizioni di Pramand, Monfol (Serra del Crine) e Monte Genevris (per artiglierie di medio calibro) 2. Caserma difensiva a protezione della batteria al Pramand b) Exilles 1 3. Batterie a rinforzo della linea avanzata dell'attuale sbarramento (per artiglierie di medio calibro)

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Annotazioni

Compresa la sistemazione della strada d'accesso alla posizione di cui al n. 5

Utilizzando le artiglierie vecchie esistenti nelle opere vecchie della piazza

Le bocche da fuoco sarebbero provviste da quelle esistenti nello sbarramento

Utilizzando i mortai dello sbarramento

Utilizzanto parte dell'attuale armamento delle batterie del P. Vallon e degli appostarnenti di Monte Gasparre e Tre Croci (da disarmarsi) Utilizzando parte dell'armamento delle vecchie opere del corpo di piazza

La postazione, la strettoia, gli obiettivi, l'armamento, etc. delle batterie dovranno venire precisate in seguito a speciali ricognizioni locali.


APPENDICE

Indicazione dei lavori proposti

511

Annotazioni

c)Assietta

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4. Sostituzione dei cannoni da 15 agli attuali cannoni da 12 nelle batterie di Mottas e G. Costa 5. Occupazione di M. Pelir con una batteria semi-permanente per cannoni da 12

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6. Nuova sistemazione dello sbarramento: batterie al Serret della Rosa, a Prà Catinat ed eventualmente a R. a del Laux (per batterie di medio calibro)

Utilizzando parte dei cannoni delle batterie G. Costa e Mottas Utilizzando le artiglierie delle opere vecchie del corpo di piazza

a) Valli di Vraita e Maira

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1. Batteria Becetto (per 6 cannoni da 15) 2. Batteria Collet (per 4 cannoni da 12) 3. Batteria Chiotto (per 4 cannoni da 9) 4. Batteria Congu di Goria (per 6 cannoni da 12; 2 mortai da 15) 5. Batteria Ansoleglio (per 6 cannoni da 12; 2 mortai da 15)

Non indispensabile

b) Regione del Mulo 6. Batteria del Pulpito (per 6 cannoni da 12) 7. Provvista di artiglieri e campali per batterie eventuali alla Reg. del Mulo

e) Valle di Stura 8. Batteria Lubiera (per 6 cannoni da 12) 9. Batteria Beccorosso (per 6 cannoni da 9) 10. Batteria della Ciandoletta (per artiglieria di medio calibro) 11. Lavori ed interruzioni stradali e lavori accessori nelle tre vallate

Sbarramento presso Valdieri

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1. Batteria M. Corno Orientale (per 4 cannoni da 15; 2 mortai da 15) 2. Batteria M. Como Occidentale (per 6 cannoni da 15; 2 mortai da 15) 3. Lavori ed interruzioni stradali

Nella relazione del viaggio di Stato Maggiore del 1896 si fa parola di due serie di lavori a scopo difensivo e offensivo. Lo sbarramento di Valdieri soddisfa solamente al primo di detti scopi.


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

Indicazione dei lavori proposti :;i::, C1>

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Annotazioni

Lavori occorrenti per preparare uno sbocco offensivo 1. Strada Dolceacqua-Trucco 2. Batteria a sbarramento di detta strada, di quella della Cornice e dello sbocco di V. Nervia 3. Appostamenti a protezione del fianco destro dell'occupazione avanzata con truppe mobili del contrafforte fra Nervia e Roia 4. Lavori ed interruzioni stradali

Vedi relazione del viaggio di Stato Maggiore dell'anno 1896

Sbarramento di Nava e Zuccarello

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1. Miglioramento agli sbarramenti

I miglioramenti per lo sbarramento di Nava si possono desumere dalla Relazione delle manovre d'assedio attorno a Nava; quelli per ZuccarelJo, appena accennati nella Relazione del viaggio di Stato Maggiore del 1896 dovranno venire completati in seguito a speciali studi locali.

Note: a) Da calcoli preventivi fatti presso l'ufficio tecnico del Comando in Capo, risulta che la spesa totale presunta necessaria per l'esecuzione dei lavori indicati nel presente specchio ascenderebbe a L. 17.500.000. b) Per maggior ragguagli circa le spese presunte per ogni singola opera o per maggiori particolari intorno ai lavori occorrenti, vedasi specchio trasmesso al Ministero della Guerra con elenco del 3 novembre 1897 n. 240 Riservato Speciale.

Attuate queste proposte, sarà poi facile cosa semplificare e stabilire le modalità d'impiego delle truppe nella zona montana durante la mobilitazione, riflettendo che, anzitutto, se ne dovrà trarre partito pei servizi d'esplorazione e d'informazione (specialmente dove non potrebbero giungere gli altri mezzi per ciò stabiliti) e poscia servirsene secondo le circostanze, sempre però con forze riunite, o come prima tenace resistenza nelle poche posizio-


APPENDICE

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ni che assicurano il possesso delle linee d'operazione, o nei primi atti d'offensiva tattica. In ogni caso, la tenacia della difesa del massiccio alpino, dovrà essenzialmente consistere nel valersi opportunamente del terreno e degli ostacoli naturali, ma non nel farvi accorrere subito dei rincalzi. Potrà darsi bensì il caso che nelle posizioni, che assicurano il possesso delle linee di operazione, e già predisposte a difesa fin dal tempo di pace, occorra eventualmente, secondo il grado al quale saranno giunti i lavori dell'assetto difensivo, e secondo l'entità degli attacchi nemici, di aumentare le truppe d'occupazione; ma a questa misura si ricorrerà, quando non se ne possa fare a meno, e solo per potere mantenersi nelle posizioni stesse fino a mobilitazione compiuta. Intanto il grosso dell'esercito, tenuto all'infuori della zona montana, durante la mobilitazione, potrà, terminata questa, essere disponibile sia per una offensiva strategica, sia per una difensiva attiva agli sbocchi delle valli, oppure anche per una difensiva tenace nella zona montana, quando sia ancora possibile ed opportuna. Circa la ripartizione delle armate alla frontiera occidentale. Allo scopo poi di rendere più efficiente l'azione degli alti comandi, è naturale debba essere riservata al Comando in capo la facoltà di modificare, all'occorrenza, la ripartizione in armate dei corpi d'armata che opereranno alla frontiera occidentale. Che la ripartizione dell'esercito in armate sia fatta fin dal tempo di pace, è cosa, più che utile, indispensabile. Da ciò però non deve derivare che tale ripartizione debba rimanere immutabile durante tutto lo svolgimento d'una campagna e qualunque sia il concetto delle operazioni del comandante in capo. Ond'è che, a seconda degli obiettivi da raggiungere, le armate dovranno poter subire delle modificazioni, sia nella loro forza, sia nella loro composizione. E così, ad esempio, se si considera che delle sei linee d'operazione di detta frontiera le due più settentrionali, cioè quelle del P. S. Bernardo e del Moncenisio, convergono sul fronte AlbertvilleAiton e mirano alla Savoia; che le due linee del Monginevra e del1'Argentera tendono al possesso delle direttrici immediatamente a nord e a sud del massiccio del Pelvoux e quindi al possesso del Delfinato; che infine quelle del Tenda e della Cornice mirano alt' invasione ed alla presa del Nizzardo, potrebbe apparire cosa op-


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portuna, che, occorrendo, fossero tre i comandi d'armata alla frontiera, uno cioè per ognuna delle coppie di linee e per ogni obiettivo territoriale suddetti. In tal modo, sopra ciascheduna linea d'operazione potrebbe agire un corpo d'armata a due divisioni. Ignorandosi l'entità e la ripartizione delle forze che la Francia potrà o vorrà opporre alle nostre, si prese come punto di partenza, ch'essa intenda d'impiegare contro di noi soltanto le truppe della XIV e XV regione. Se non si tenesse conto di tale restrizione, ma si considerasse invece il massimo delle forze che la Francia potrebbe impiegare contro l' Italia, e che le direttrici di marcia le concederebbero, le conseguenze per noi sarebbero molto più gravi. Ma non è qui il caso di prendere in esame tale eventualità. L'affidarsi all' idea che il nemico non si valga della superiorità di mezzi che possiede durante la nostra mobilitazione, ma ci lasci compiere questa tranquillamente, è un esporsi volontariamente ad una illusione rischiosa che potrebbe compromettere anche le sorti del nostro paese. Ed una illusione assai pericolosa potrebbe pur essere quel1a di credere che il valore delle nostre truppe basti a superare il periodo di crisi, tanto svantaggioso, della nostra mobilitazione. La presente situazione di cose è conseguenza di criteri, dei quali il sottoscritto ha creduto suo dovere mettere in evidenza gli inconvenienti, sufficientemente in tempo, perché vi si ponga riparo, secondo le proposte contenute nella presente Relazione, non senza notare che, finché permane detta situazione, essa vincola a quei criteri la Libertà d' azione del Comando in Capo.


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b) Fotografiche Quasi tutte le illustrazioni provengono dall' AUSSME, Fototeca; quando non è così, la fonte è riportata nella didascalia.


L'andamento della frontiera dal Sempione al mare.


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Tenente generale Tancredi Saletta, Capo di S.M. dell'Esercito (1° ottobre 189627 giugno 1908).


Tenente generale Alberto Pallio, Capo di S.M. dell'Esercito ( / 0 luglio 1908-1° luglio 1914).


Tenente generale Luigi Cadorna, Capo di S.M. dell'Esercito (10 luglio 1914-8 novembre 1917).


Considerazioni militari del maggior generale G. Ricci sul segmento meridionale della nuova frontiera da stabilire con La Francia in seguito alla cessione di Nizza e della Savoia, Torino, 21 marzo 1860,frontespizio (AUSSME, G 25, R 14).

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Generale Agostino Ricci.


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Documento riassuntivo del 2° piano generale delle fortifica zioni per la difesa dello Stato, 1884. Pagina iniziale (AUSSME, F 4, R 298).


Teatro di guerra francese: ponte di Gueydan (valle del Varo),.

Vista di Tonet de Beuil (valle del Varo).


Teatro di guerra francese: valle della Vesubia.

Grandi manovre terrestri in Umbria, 1892. Accampamento di artiglieria.


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Teatro di guerra francese: valle della Vesubia.

Veduta di Fontan (valle della Roj a).


Grandi manovre terrestri in Umbria, 1892. Carreggio del IX Corpo d'Armata a Campello.


Veduta di Sospel (val Bevera).

Strada della Cornice dal forte di Revere: sono indicate le batterie di Cap Ferrat ( 1), Montborrone (2), Beaulieu (3) e S. Ospizio (4).


Teatro di guerra francese: gole di Dolais (valle del Varo).

Teatro di guerra francese: valle della Vesubia.



Manovre del 1907 in Piemonte: pallone frenato.

Teatro di guerra francese: la Bolline e la catena del Tournairet.


Vista di Mentone da Ponte S. Luigi: sono indicati il colle Caragna, dove era in progetto l'installazione di batterie avversarie ( 1), e il forte Testa di Cane, dotato di proiettori elettrici (2).

Manovre del 1907 in Piemonte: artiglieria da campagna.


Teatro di guerra francese: Entrevaux (valle del Varo).

Si prova un'arma (manovra del 1907).


Agosto 1909: tiri contro il forte Varisello (Moncenisio) "allo scopo di constatare la resistenza delle murature e la possibilità di ottenere effetti concreti nel complesso dell'opera, nonché l'efficacia dei singoli colpi di quelle bocche da fuoco "; "effetti impressionanti" telegrafò il 22 agosto il generale Pallio.


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Minuta del promemoria del 12 ottobre 1913 del Capo di S.M. dell'Esercito, generale Alberto Pollio, al ministro della Guerra, generale Paolo Spingardi, pagina iniziale (AUSSME, H 5, R 45).


Progetto di offensiva nel Nizzardo compilato dal Comando della 2a Armata (aprile 1914). Fonte AUSSME, G 23, R 24-25.



INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Abdul Hamid n, sultano, 255 Accinni E. , 541 Acton F., 64, 88, 144,150,519 Acton G., 87, 93, 99, 137, 455, 456,457,458,459,460,462, 463, 464, 465, 466, 467, 469, 470,471,472,473,519 Aehrenthal A., 241,242, 256, 268 A.F.J., 113 Alberti A., 281,331,333,517 Albertone M., 135 Albini A., 88 Albricci A., 290, 341 Alfonso XIII, re di Spagna, 240 Almagià G. , 228,338,517 Alquier, 131 Amendola G., 267 Andrassy G., 61, 62 Andrè G., 276,288,517 Annibale, 160 Antonelli P. , 192 Archimede, 39 Arminjon V., 61 Ascoli M., 170, 173, 209, 232, 517 Asinarì di Bernezzo F., 259 Asinari di San Marzano A., 153, 201 Asquith H.H., 274 Aube H ., 112, 126,127,304 Auboeuf J., 161., 517 Aubry A., 157 Avarna di Gualtied C., 262 Avogadro di Casanova A., 7 Avogadro di Quaregna L., 153

Baccu, 153 Bagini M., 188, 189 Baldissera A., 257, 258 Baratieri O., 115, 183, 184, 192 Barattieri di San Pietro V., 219, 220 Barbavara E., 213 Barbey E.P.I., 150 Bariola P., 99, 153, 473 Barrère C., 197, 220, 221 , 233, 240,522 Basevi, 2 12 Baudin P., 246,517 Baumont M., 299 Beauvois J .P., 127 Beck F., von, 168, 233, 248 Belle-Isle C.F., 343 Belvederi E., 15, 34, 178 Berge A., de la, 125, 144, 161 , 176, 177, 178,517 Berthaut, 115 Bertie, 240 Bertolè Viale E., 24, 48, 64, 71 , 87, 93,99, 135,412,455,456, 457,458,459,460,461,462, 463, 464, 465, 466, 467, 468, 469,470,471,472,473 Berwick J., 118 Bethmann-Hollweg T., 265 Beust F.F., 24 Bertotto E., 329 Bettolo G.B., 189,258,519 Biagini A.F., 35, 211,517 BillotA., 160,178,517 Bisetti L., 82


550

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

Bismarck O., von Bismarck Schonau sen , 37, 38, 62, 65 , 70, 107, 123, 125, 126, 128, 134, 135, 136, 139, 141, 146, 147, 160, 165, 51 7 Bissolati L., 332 Blakenfeld A., 228,517 Blanc A., 82,189,503 Boland H., 160 Bonamico D., 23, 30, 113, 189, 517 Bonaparte G., principe, 22 Bonaparte N., vedi Napoleone I Bonelli C., 65 Bonghi R., 38 Bongiovanni A., 341 Boni A., 153 Botti F. , 23, 30,1 13,277, 517 Boué de Lapeyère, 287 Boulanger G., 119, 126, 138 Bouvier, 68 Bovio O., 242, 264,5 18 Bracher K.D. , 249 Bresson, 262 Brignone A., 461,462, 468, 469 Brin B., 114, 115, 121, 122, 168, 182, 184, 185,228, 519 Brook R., 340 Bruck K.L., 137 BrugioniA., 196,328,518 Brun, 245 Brunet, 111 Brunialti, 518 Brusati R., 290, 306, 318, 332 Bruzzo G.B. , 35, 65, 71 , 87, 93, 99, 153, 160, 455, 456, 457, 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465, 466, 467, 468 , 469, 470,471,472,473 Bruzzone E., 87 Biilow B. , von, 215, 216, 220, 221,238,239,240,241 Bureau E., 116,518 Cadorna C., 125, 518

Cadorna L. , 269, 270, 301 , 302, 303, 304, 305, 306, 307, 320, 328, 329, 330, 33 1, 332, 333, 334, 335, 336, 337, 338, 339, 340,342,518,531 Caforio G. , 249, 518 Caire P.L., 125, 518 Cairoli B., 67 Calderari L., 279,280,281,325 Cambon J., 265 Carnbon P., 265, 277, 284 Campenose, 111 Candiani C., 132 Caneva C., 305, 320 Canevaro N., 195 Canrobert C., 108 Capon A., 308,320,321 Caprin G., 342,518 Captivi L. , von, 160, 182 Cardot, 175, 176, 198 Carnot S. , 160 Carocci G., 259,521 Castellano E., 12, 16, 5 18 Cavaignac, 192 Ceva L., 43, 71, 83, 84, 86, 179, 518 Chabod F., 39, 141,196,518 Chapperon A. , 229, 255, 276 Chaurand F., de, 277 Chautemps, 302 Chelius O., von, 216, 217 Churchill W., 273, 274, 285 Cialdini E. , 37, 41, 47, 65, 67, 97 Clarendon G., 24 Clemenceau G., 260,340 Coiffé, 186, 192, 193 Colloredo-Mannsfeld G., 282 Comandini A., 69, 518 Conrad F. von Hotzendorf, 230, 241, 248, 251, 252, 259, 265 , 268,270,281,282,288,289, 290, 308, 309, 31 1, 312, 315, 317, 330, 33 1, 338,546 Corsi C., 45, 46, 50, 94, 107,518 Corsi R., 148, 149, 150,159,484


INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Corti L., 63 Cosenz E., 36, 60, 71, 72, 86, 87, 92, 93, 99, 107, 113, 114, 115, 119, 120, 122, 126, 134, 135, 141, 142, 147, 157, 158, 159, 165, 167, 168, 181, 202, 328, 335, 386,387,389,390,392,395, 396,398,435,437,455, 456, 457, 458, 459,460,461,462, 463 , 464, 465, 466, 467, 468, 469,470, 471 , 472, 473,527 Cottrau P., 88 Crispi F., 23, 37, 41, 62, 79, 130, 132, 134, 136, 137, 140, 143, 149, 151, 160, 163, 183, 184, 186,189,193,194,502,518 Crowe E., 274 Curatolo G.E., 150, 517 Currie P.H., 150,214,215,217 Da Bormida V.E., 34, 44, 65, 135, 518 Dall' Olio A., 264 Damocle, 208 Davin, 244 De Cecco, 69 Delcassé T., 239 Delfino, principe ereditario di Francia, 126 Del Negro P., 249, 517 De Luca R., 88 Depretis A., 60, 82, 115, 119 Des Gerbaix de Sonnaz M., 153 De Vecchi C., 153 Devonshire, of, 189 Dezza G., 153 Di Rudinì Starabba A., 163, 167, 168,181,194,196, 201 Di Suni G., 91 D'Oncieu de la Batie P., 153 Driquet E.V., 23, 24, 87,153,412 Dumont J.E., 22 Dussieux L., 519 Edoardo di Galles, 126

551

Edoardo VII, re d'Inghilterra, 239, 248 Enver Pascià, 277,519 Fallières A., 246 Parini D., 30, 32, 182, 183, 184, 519 Faure F., 196 Federico II, re di Prussia, 147 Ferguson J., 150 Ferrero E., 72, 75, 76, 78, 82, 83, 85,87,94,98, 105,1 14 Ferron, 179 Ferry J., 65, 81, 112 Fesconat T., 44 Filonardi V., 183 Fincati L., 93, 455, 456, 457, 458, 459, 460, 462, 463, 464, 465, 466,467,469,470,471,472 Fioravanzo G., 70, 519 Fisher J.A., 240, 249, 278 Fomasari G., 170 Forstner C., de Billau, 167 Fortis A., 256 France, de, 209 Francesco Ferdinando, 241, 259 Francesco Giuseppe, imperatore d'Austria, 248, 268 Franzosi P.G., 33,519 Freud S., 340 Freycinet C., 178 Freycinet de Saulces L., 65 Frigerio G., 88 Friz G., 261, 276, 519 Gabriele M., 30, 63, 67, 85, 92, 115, 123, 128, 130, 132, 144, 149, 169, 183, 193, 215, 261 , 269,276,282,288, 484, 519 Ga11inari V. , 60, 86, 519 Gambetta L., 66, 68, 138 Garibaldi G., 22 Garnier, 520 Gatti A., 336, 520 Gavotti G. , 520


552

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

Geiss I., 281 Général X, 520 Gencarelli E. , 267, 519 Genova, duca di, vedi Savoia Tomaso Ghersi L., 244, 520 Ghionetti, 212 Gignot, 266 Giolitti G ., 181, 182, 183, 215 , 242, 244, 251, 256, 259, 267, 268,273,274,302,521 Giovanni II, re di Francia, 126 Giustiniani E.G., 12 Goblet R., 150, 481 Goiran A., 141 Goluchovski A., von Goluchowo, 195,239 Gonnet N., 152, 153 Gooch J., 42, 45, 51, 64, 72, 79, 142,248,306,520 Govone G., 41 Grandi D., 231,232,237,340 Granet 229 Gregorovius F., 28 Grierson, 240 Grey E. , of Fallodon, 240, 248 , 249,277,284,340 Groener, 325 Guglielmo, principe di Prussia, 147 Guglielmo II, imperatore di Germania, 144, 196, 231,239,242, 248, 249,251,260,273 Guichard 266 Haldane R., 273 Hallman H., 240, 242, 520 Hanotaux G., 520 Hardinge C.H. , of Penshurt, 259 HausA., 286 Haymerle H. , 61, 62 Hewett W.N.W., 131 Huart, d', 285 Ilari V., 264, 520 Incisa A., 111 , 141

Isvolski A., 256 Joffre C.I., 275, 308 Jostoff, 252 Jousselin, 257 Kiderlen-Wachter A., von, 265 Krantz, 131, 132 Krebs,212,213 Labanca N., 115, 142,520 Lamarmora A., 21, 37 Langer W., 215, 216,520 Lansdowne H.K., 150, 214, 215, 239, 240 Lanza G., 28, 41 Lanza di Busca, C., 190,504 Lapeyère, vedi Boué de Lasminas, 343 Launay E., de, 123, 139, 141, 167, 168 Lavigerie, 155 LeLéon, 138,150,189,213 Leonardi Cattolica P. , 283 Lespes, 92, 126 Lockroy E. , 182 Longo G. , 71, 73, 99, 404, 406, 412, 455, 456, 457 , 458, 459, 460, 461 , 462, 463, 464, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 471, 472, 473 Loubet E., 215, 239, 240 Lovera di Maria G ., 160 Macchio K., von, 336 Mack Srnith D., 24, 63, 193, 216, 217, 233,267, 339,520 Malaret J., 22 Mancini P.S., 23, 28, 104 Marchesi C. , 24, 25, 26, 27, 33, 38, 45, 92, 108, 112, 126 Marcks E. , 340 Marder A.J., 70, 165, 278, 285, 520 Marselli N., 36, 67, 115, 181, 184, 185, 186, 198,201


INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Martin L.W., 221,249 Martin-Franklin E.M., 455 , 456, 457, 458, 459, 460, 462, 463, 464,465,466,467,469,470, 471,472,473 Martini F., 71, 87, 93, 99 Masi T., 306 Massone E., 150, 161, 502 Mathis, 229 Mattei E., 155, 156 Mayno C., del, 219 Mazé de la Roche G., 65, 87, 412 Mazzetti M., 83, 84, 107, 119, 133, 134, 141, 145, 146, 147, 166, 179, 181, 196, 209, 216, 221, 225, 228, 236, 248, 249, 301, 302, 306, 318, 329, 332, 334,336,338,520 Meinecke F., 249,340 Melegari L.A., 61, 62 Menabrea L.F., 22, 23, 24, 62, 143,151,502 Mendlicott W.L., 266 Menelik, negus d'Etiopia, 193 Menini D., 153, 154, 155, 520 Mercier de Lostend, 260 Mesturini E., 69, 70 Metzinger, 229 Mezzacapo C. , 87, 93, 99, 455, 456 , 457 , 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465, 466 , 467, 468, 469, 4 70, 471,472,473 Mezzacapo L., 51, 60, 65, 66, 67, 71, 72, 74, 75 , 78, 85, 86, 87, 93, 97, 98, 99, 102, 104, 129, 371, 375, 418, 428, 454, 460, 461, 462, 466, 468, 469, 473 , 521 Miche!, 324 Milon B., 65, 66, 71 Minghetti L., 215 Minghetti M., 37, 38, 41 Minniti F. , 60, 65 , 71, 76, 78, 82, 84,86,96, 106,107, 520

553

Mirabello C. , 205, 252 Mirabello G.B., 92, 112, 126, 131, 132 Mirandoli P., 188 Miribel, de, 177 Moltke H.J., von, 225, 279, 280, 281,282,358,360 Moltke W.L., von, 36, 37, 51, 83, 134, 135, 140, 141, 146, 147, 160, 287, 288, 289, 308, 309, 310, 311, 312, 313, 315, 317, 319, 338, 546 Mondini L., 332 Monroe J., 248 Montanari U., 325, 341 Montecuccoli R., degli Erri, 282 Monti A., 69,517,521 Morelli E., 182, 519 Mori R., 24,521 Motiy C.J., de, 143, 481,483 Nagle, 461, 462,468 , 469 Napoleone I, imperatore, 11, 14, 345,427 Napoleone III, imperatore dei Francesi, 13, 2 1, 22, 24 Narjoux F., 149, 150, 156, 521 Nava L. , 214 Nicolis, 413 Nigra C., 38, 43, 167, 168 Nitti F.S., 269 Orero B., 50, 51, 57, 58, 59,355 Orlando, 287 Osio E., 61, 208 Ottolenghi G., 222 Padoa E., 67 Panizzardi A., 161, 165, 167, 176, 177, 178, 183, 192, 193, 198, 206,209 Pasetti M. , von Friedenburg, 238 Pau G., 324 Pedotti E., 252 Pellegrini B., 242, 521


554

LA FRONTfERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

PeJletier, 254 Pelloux L.G., 66, 143, 167, 196, 201,203,208,242,309,482 Pennella G., 295, 300, 307 Percy, of, 277 PerrinM.,521 Perrucchetti G., 35, 69, 113 Persano C., di Pellion, 27 Pescetto F., 22 Petit Thouars, 160 Petitti C., di Roreto, 21 Pettinengo I., de Genova, 23 Phipps, 134 Piacentino S., 2 18 Pianell S., 71, 87, 94, 97, 99, 153, 160, 415, 417, 433, 449, 451 , 452, 455, 456, 457, 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 471, 472,473 Picar, 260 Piccione, 230 Pichon R. , 277 Pieri P., 42, 521 Pinget 145,521 Pinsonnière, 127, 128, 138, 144, 145,481 Poincaré R., 268, 270 Pollio A., 231, 232, 235, 237, 238, 250, 259, 263, 269, 270, 271, 273 , 274, 279, 280, 281, 283,284,287,288,289,290, 291, 292, 295, 300, 301, 302, 303,304,306,307,308,3 18, 32~ 323, 32~ 329, 330, 331, 332,333,335,539,545,546 Ponza C. , di San Martino, 157, 238 Primerano D. , 181, 184, 185, 193, 197, 242,528 Principe di Napoli, vedi Vittorio Emanuele Principe Nero, vedi Edoardo di Galles Prinetti G., 215, 220, 221, 233

Racagni F., 62 Racchia C.A., 150, 168 Randaccio C., 27, 521 Rattazzi U., 22 Répaci L. , 41 Repington, 285 Reuss, E. , principe di , I 34 Revel, vedi Thaon di, Genova Riboty A., 22 Ricci A., 16, 27, 29, 32, 33, 36, 93, 99, 111 , 114, 455 , 456, 457, 458, 459, 460, 462, 463, 464, 465,466,467,470,471,472, 473,474,521,533 Ricci G., 13, 14, 15,343,532 Ricotti Magnani C. , 35, 41, 42, 43,44,47,51, 58, 7 1, 87, 93, 96, 99, 104, 114, 115, 119, 120, 133, 153, 181, 183, 184, 189, 190, 193, 196, 400, 401 , 402,403,404,405,406,409, 410, 4 11, 414, 415, 416, 417, 442, 443 , 444, 445, 446, 447, 448, 449, 455, 456, 457, 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 471 ,472, 473,503, 520 Ritter G., 146,521 Robilant C.F., Nicolis di, 36, 61, 82, 119, 123, 126, 128, 131 Robilant M. , Nicolis di, 141 Rocca Rey C., 273, 284 Rodd J.R., 265 Roland H., 521 Romagny C., 521 Ropolo E., 211,226,230,517 Rosebery A.P., of, 165 Rossi C., 34, 44, 66 Rota E. , 156, 517 Rotschild A., de, 67, 69 Rouher E., 24 Rousset L., 522 Roux C., 126, 522 Rovighi A., 135, 232, 236, 522


INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Ruffo M., 84, 102, 244, 250, 295, 297,298,299,301,522 Rumbold H., 215, 220 Russo F., 170, 173, 209, 232, 522 SaccomanA., 217,244,264,522 Sachero G., 93, 99, 455, 456, 457, 458, 459, 460, 462, 463, 464, 465, 466, 467, 469, 470, 471, 472 Saint Bon S., di, 71, 87, 158, 168, 181,228,415,416 Saint Pair, 244, 257 Saint Sei ne J ., 266 Saladino G., 134, 135 Salandra A., 336, 339, 342 Saletta T., 187, 189, 194, 197, 198, 201, 202, 203, 208, 210, 212, 213, 214, 2 15, 216, 218, 219, 222, 224, 225, 226, 227, 230, 233, 235, 242, 244, 245, 246, 247, 250, 251, 253, 257, 258, 506,529 Salisbury R.A., 65, 130, 131, 132, 134,150,189,194, 220 Salvatorelli L., 163,216,522 Salvemini G., 63,267,519 San Giuliano A., 241, 262, 267, 336,339 Santoni A., 249, 522 Sarti T., 522 Savoia, Casa di, 343, 378 Savoia, Emanuele Filiberto di, duca d'Aosta, 320 Savoia, Luigi di, duca degli Abruzzi, 287 Savoia, Luigi Tommaso di, principe, 379 Savoia, Margherita di, regina d'Italia, 193 Savoia, Tomaso di, duca di Genova, 213,215 Savoia - Carignano, Eugenio di, principe, 16 Sazonov S.D., 340

555

Schemaa B., von, 270, 289 Schlieffen A., von, 166,208,214, 216, 218, 220, 224, 225, 233, 319,338 Schonaich F., 265 Sella Q., 28, 37 Serra E. , 194,240,242,522 Serra L., 88 Seymour M.C., 165 Signay di San Marzano V., 251 Sironi G., 292,293 Slade J.W. , 248, 249 Sonnino S., 67 , 82,336,339,341 , 342 Sorb,251,262,522 Spadolini G., 156 Spingardi P., 217, 250, 251, 263, 269,302,306,308,546 Steinberg G., 221, 522 Sterneck Daubeblsky zu Ehrenstein, M., von, 85, 168, 169 Stevenson, 482, 484 Tadolini O., 91 Tappen, 325 Taylor J.P. , 240 Tedesco F., 263 Thaon di Revel Genova G., 23 , 87,461,462,468,469 Thaon di Revel P., 303 Tioli L., 156, 522 Tirpitz A., von, 195,221, 522 Tittoni T., 240,241,242,256, 341 Tommasini F., 220,221,242,522 Umberto I, re d'Italia, 68, 79, 149, 193,204,309 Un Parisien (pseudonimo), 138, 522 Vecchj A.V., 23 , 522 Venturini F., 60, 522 Vigezzi B. , 336 Villaume, von, 82 Visconti Venosta E., 38, 43, 196, 241


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LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

Vittorio Emanuele, principe di Napoli, 196, 203 Vittorio Emanuele II, re d'Italia, 22, 27,37,43,63 Vittorio Emanuele III, re d'Italia, 217,239,251,259,267,273 Volpe G., 128,523 Volpe R., 85, 88, 122, 167, 168, 169 Waddington W.H., 65 Waldersee A., 82, 147, 166, 288, 289,3 18, 325 Watt D.C., 240 Weber, 228

Wille, 231 Wilson J., 262 XXX, 523 Zaccone V., 252, 255, 257, 281, 285,299,302,324,332,340 Zanardell i G., 215, 216, 220 Zavattari G., 81 , 523 Zoli E., 288, 338, 517, 523 Zuccari L., 320, 324, 325, 326, 327,328, 329,330 Zupelli V., 280, 281, 288, 289, 290,341


INDICE

Premessa (Ringraziamenti, avvertenze, abbreviazioni) ...

5

Presentazione . .. .. .... ... .... ... ..... .... ... .... .... .... ... .... ..... ... ... ..... ....

7

Capitolo I - Da alleati a poco amici (1859-1873).. ..... .. .. .. . 1. La difesa alpina nel Regno di Sardegna fino al 1859 .... 2. Il nuovo confine del 1860 ... .. .. .. . .. .. ... .. .. .. .. .. .. .... .. ... .... .. .. 3. La frontiera N-0 nel progetto generale di difesa della penisola ... ... .... ..... .. ..... .. ... ... .. .. .... .... ... ..... . .. .... ....... . 4. Tempesta per la questione romana................................. 5. Lo studio del capitano Marchesi sul settore centrale..... 6. Il pensiero della Commissione per la difesa dello Stato e quello del colonnello Agostino Ricci........ 7. UnocchioallaGermania...............................................

11 11 13 16 21 24

27 35

Capitolo II - Fino a Tunisi (1873-1881)............................. 8. Le riforme Ricotti.......................................................... 9. Da soli, difensiva........................................................... 1O. Insieme con alleati, offensiva; condizionamenti strategici......................................................................... 11. !fiaschi di Berlino ... .... ... .... ... .. .. .. .. .. .. ... .. .. . ... .. .... .... ..... .. 12. La Francia a Tunisi . .. .. .. .. .. . .. ..... . .... ..... ..... .. .. . .. .... ...... ... . . 13. Dall' inferiorità navale soluzioni più onerose per l'Esercito.................................................................. 14. Le conclusioni della Commissione per la difesa dello Stato nel luglio e nel dicembre 1881 ....................

50 59 65

Capitolo III - La prima Triplice (1882-1887) .. .. ... ... .. ... . .. . 15. Un'assicurazione sulla vita............................................ 16. L'assillo dell'invasione marittima..................................

81 81 86

41 41

43

69 71


558

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL' UN!TÀ ALLA GRANDE GUERRA

17. La sessione della Commissione suprema per la difesa deJlo Stato dell'autunno 1882........................................ 18. La sessione conclusiva del maggio 1883 ....................... 19. Il secondo piano generale delle fortificazioni................ 20. Le manovre dell'autunno 1883 ...................................... 21. Verso una nuova fase . ... ..... ... .... .... .... .... ... ..... .... ... .... .... ..

93 99 105 108 112

Capitolo IV - La seconda Triplice (1887-1891) ................ 22. Il sistema di accordi del 1887 ........................................ 23. La Convenzione militare del 1888 ....... .... .... .... .... ....... ... 24. Riserve italiane.............................................................. 25. Implicazioni e conseguenze dell'accordo militare........ 26. Un diverso nemico?....................................................... 27. Studi, problemi e polemiche.......................................... 28. Tra mare e terra..............................................................

125 125 133 138 143 146 148 156

Capitolo V - La terza Triplice (1891-1902)....................... 29. Il secondo rinnovo dell'alleanza; conferme e delusioni in campo militare........................................................... 30. Lo sviluppo delle fortificazioni ..................................... 3 1. Dalla parte della Francia................................................ 32. La questione delle spese militari.................................... 33. Proroga del trattato........................................................ 34. Nuove idee del generale Saletta..................................... 35. Le Commissioni di studio presiedute dal principe di Napoli.................... ....................... ................... .......... 36. La questione svizzera..................................................... 37. Un accordo navale e un "giro di valzer"........................

163

Capitolo VI - La quarta 'Iriplice (1902-1912) .................. 38. Rinnovo senza entusiasmo............................................. 39. Un documento militare tedesco........................ ............. 40. Problemi nuovi al confine elvetico................................ 41. Attuazione della Convenzione militare: · · ........................ ........... ............ .................. . l a e 2a 1potes1 42. Contraddizioni e crisi .................................................... . 43. L'anno "balcanico" ....................................................... . 44. Giochi di guerra e rafforzamento dell ' Esercito ............ . 45. Agadir, la Libia, il Dodecaneso ................. ................... .

163 169 175 179 192 197 203 206 211 217 217 222 225 232 238 251 257 265


INDICE

Capitolo VII - La quinta Triplice (1912-1915) .................

559

279 279

46. Convenzione che va, convenzione che viene................. 47. Gli appunti del generale Pollio per l'offensiva a Nord-Ovest.................................................................. 48. Gli studi dell'Ufficio Scacchiere occidentale................ 49. Genova città aperta? Un piano per invadere il Nizzardo ... .... ......... ..... ... .... ........ ... .... .. ..... .... ... ..... ....... 50. Rinasce la cooperazione militare diretta........................ 51. Ripristino della Convenzione militare ........................... 52. Cadoma succede a Pollio. L'Italia neutrale...................

302 307 320 329

Epilogo.................................................................................

337

Appendice............................................................................

343

A. Parere sulla nuova frontiera verso Francia dalle Alpi al mare, del generale Ricci Torino, 21.3.1860 ............... B. Verbale definitivo della Sotto Commissione incaricata di studiare il progetto generale di difesa della penisola, 22.2.1866 ... .. ..... .... .. ... .. .. .... .. ... ... .... ..... ... .... ... .. .. .... .... .. .. . C. Offensiva tedesco-italiana contro la Francia, del maggiore di S.M. B. Orero, conclusioni, 9.7.1876........ D. Comando di S.M. Generale riunito in Commissione per lo studio della difesa dello Stato. Teatro di guerra N-0. Lettera riepilogativa del presidente, Gen. Luigi Mezzacapo, al ministro della Guerra, 27.7.1881 ······································································· E. Id. Fortificazioni, 20.12.1881 ........................................ F. Id. Difesa interna. Lettera riepilogativa del presidente, Gen. Giuseppe Pianell, al ministro della Guerra, s.d. (dicembre 1882) ....................................... ............... G. Id. Teatro di guerra meridionale e insulare. Lettera riepilogativa del presidente, Gen. Luigi Mezzacapo, al ministro della Guerra, 22.6.1883 ............................... H. Corpo di S.M., Manovra con quadri, ottobre 1883........ I. Istruzioni riservatissime del ministro della Guerra francese al Comandante dell'8a armata, in caso di concentramento sulle Alpi, 1884 ............................... L. Addetto militare francese a Roma a ministro della Marina, 10.7. 1888 . ...... . ... ... ... ..... ... .... ... ..... .. ..... ... ..

288 295

343

346 355

371 385

4 18

428 474

478 481


560

LA FRONTIERA NORD-OCCIDENTALE DALL'UNITÀ ALLA GRANDE GUERRA

M. CA R. Corsi, Idee generali intorno all'ipotesi di guerra contro la Francia, 26.3. 1889 .......................... ................ N. Menabrea, ambasciatore a Parigi, a Crispi, presidente del Consiglio, 24.6.1889 ............... ................... .... .......... O. Opinioni germaniche sull'organizzazione dell'Esercito italiano (documento redatto dagli Esteri), 20.11.1895 ... P. Gen. Tancredi Saletta, Conclusioni finali sui viaggi di S.M. 1895-1896-1897, ottobre 1897 .........................

484 502 503 506

Fonti

a) Archivistiche.................................................................. b) Fotografiche...................................................................

515 515

Bibliografia..........................................................................

519

Illustrazioni .........................................................................

525

Indice dei nomi di persona.................................................

549




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