LA MECCANIZZAZIONE DELL'ESERCITO FINO AL 1943 tomo I -parte 1

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PARTE 1



STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO U FFICIO S T ORICO

LUCIO CEVA-ANDREA CURAMI

LA MECCANIZZAZIONE DELL'ESERCITO ITALIANO DALLE ORIGINI AL 1943 TOMO I PARTE 1

NARRAZIONE

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PROPRIETÀ LETTERARIA Tutti i diritti riservati Vietata anche la riproduzione anche parziale senza autorizzazione © Ufficio Storico SME - Roma 1• Edizione 1989 23 Edizione 1994

ARTE DELLA STAMPA INDUSTRIA POLIGRAFICA - V1A P.

s. MANCINI, 13 - TEL. 3202497 - ROMA 1994


INDICE GENERALE

- Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. - Avvertenza ........ ... ................. ..... ...... .. ... ))

PARTE I.

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Dalle ongm1 alla vigilia della seconda guerra mondiale

CAPITOLO 1 - Motorizzazione e. meccanizzazione

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CAPITOLO 2 - Dalle origini all'agosto 1914 . . . . . . . . . . . . . .

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CAPITOLO 3 - Il periodo della neutralità italiana . . . . . . . . .

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CAPITOLO 4

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- La prima guerra mondiale

- Rapporti esercito-industria - I «carri armati»: a) Auto e motomitragliatrici ..... ... . .... . b) I carri d'assalto . ...... ............... . c) Gli autocannoni .. ....... ....... .... . . - Riflessioni ..... . ...... ..... ...... ..... . - Appendice al cap. 4 . ...... .... ......... . CAPITOLO 5 - La meccamzzaz10ne m Italia dal 1919 al 1921 ............................... .

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CAPITOLO 6 - Il problema tecnico e tattico dei carri armati

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CAPITOLO 7 - Le manovre britanniche nella piana di Salisbury e la loro influenza in Italia ..... ...... .

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CAPITOLO 8 - La «nostra» motorizzazione ...... .... ... . - Nomenclatura ......................... . - La motorizzazione 1930 rispetto a visioni strategiche di vertice e a visioni correnti ...... . - Le manovre del 1929 in alta val Varaita. Riflessi sul Fiat 3000 e sul reggimento carri ..... . - L'interesse per i carri inglesi: il Carden Loyd e il Vickers 6 tonner ................... . - L'industria: Moto Guzzi, 0 .T .0., Carraro (Caproni), Ansaldo, Fiat. Esperimenti e progetti. Accenni preferenziali della committenza ... - Un'opinione di Ogorkiewicz sulla libera concorrenza in tema di ideazione di mezzi meccanizzati .... ....... . ...... ...... ....... . - Avvertenza ........................... .

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CAPITOLO 9 - I carri veloci Ansaldo. Riflessi militari di vicende industriali .... . ...... . ..... ...... .... Pag. 147 - Riflesso dei tempi industriali sulla ristrutturazione del reggimento carri armati . . . . . . . . . » 148 - Compiti dei carri veloci secondo le autorità militari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 151 - La concezione del gen. Baistrocchi: carri veloci, d'assalto e di rottura. Versioni e prototipi industriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 154 · La fine della concorrenza industriale nel campo dei carri armati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157 - Il duopolio Ansaldo-Fiat . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161 - Il distacco del!' Ansaldo dalla sua acciaieria. Conseguenze sulla produzione militare . . . . . . . . » 166 · Concludendo e riassumendo . . . . . . . . . . . . . . » 173 CAPITOLO 10 - Le operazioni oltremare e la loro influenza sulla meccamzzaz10ne (1919-1939) . . . . . . . . . . . . . - La «riconquista» della Libia . . . . . . . . . . . . . . La campagna in Etiopia e la regolamentazione militare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - La guer;·a di Spagna (1936-1939). Polemiche, riflessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CAPITOLO 11 - Vicende della meccanizzazione alla vigilia del nuovo conflitto mondiale (1936-1940) . . . . . · L'evoluzione organica e regolamentare, i primi Mll . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . · La situazione di partenza . . . . . . . . . . . . . . . . · I piani di pot enziamento dell'esercito (1936-1939) . . . . .. .. . .. .. . . . . . . . . .. .. . . . - Esercito e necessità «sociali» dell'industria . . - Le manovre in Sicilia e la regolamentazione - Pariani, Soddu e Rocca . . . . . . . . . . . . . . . . . . - Riflessioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - Appendice. I carri armati francesi nella visione dei nostri servizi informativi . . . . . . . . . . . . .

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PRESENTAZIONE

L'Ufficio Storico, che finora soltanto saltuariamente aveva trattato - in opere diverse - il problema della motorizzazione e meccanizzazione dell'Esercito, affronta ora, con questo volume in due tomi, il processo di ammodernamento dell'Istituzione riferito ai mezzi motocorazzati in maniera omogenea, dalle origini (guerra di Libia) al secondo conflitto mondiale. Solamente due autori in antecedenza avevano trattato l'argomento secondo uno schema metodologico inappuntabile, anche se non sempre, e non per loro colpa, compiuto: lo statunitense John Sweet per il periodo 1925-1940, con carenze peraltro sotto l'aspetto tecnico, ed Angelo Pugnani, a sua volta con una visuale prevalentemente «interna>>, ma con l'esame della componente operativa ed industriale alquanto contenuto. Altre opere - anche numerose ed utili costituiscono una serie obiettivamente difficile da classificare identificandosi, essa, più in raccolte schedate ed in cataloghi, piuttosto che in studi scientificamente concepiti. In questo libro, invece, i due autori conducono l'analisi storica - l'uno, l'avvocato Ceva, sotto l'aspetto politico strategico ed operativo; l'altro l'ingegner Curami, sotto quello squisitamente tecnico basandosi sia sulle fonti d'archivio dell'Ufficio, sia su quelle dell'Ansaldo, della Fiat e di altre industrie a queste appoggiate per le commesse militari. Finora, comunque, lo studio del processo di concezione, progettazione e produzione dei mezzi era stato prevalentemente esaminato, come si è detto, secondo un rapporto volto dall'interno - quindi dallo Stato Maggiore - all'esterno, verso cioè l'apparato industriale. Nella presente opera, più propriamente ed in forza della vasta documentazione di sostegno degli archivi privati, il metodo d'indagine viene ribaltato: dall'esterno verso l'interno, dall'industria verso lo Stato Maggiore. E da questo confronto tra potere politico e potere industriale - costituente quest'ultimo un pesante «gruppo di pressione» nei confronti del primo - da un parte, e potere militare dall'al-


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tra, balza in evidenza che lo Stato Maggiore si è assunto talvolta, o gli sono state attribuite, delle colpe che in effetti non aveva. Le fonti esterne, soprattutto, rivelano infatti i contrasti tra i militari, i quali esigevano determinate tipologie e controlli, ed i politici, che negavano i requisiti richiesti - lasciando praticamente le grosse società ad imporre i loro prodotti - ed impedivano le verifiche di produzione da parte militare. Avvenne così che la prima commessa di «carri leggeri» L 3 - mezzi che nulla della formula d'identità carrista posse4evano configurandosi in semplici basi di fuoco mobili fu prodotta nonostante il parere contrario dei militari e soltanto perché l '.Ansaldo minacciava di chiudere. Non solo, ma non di rado si verificava che militari di elevata gerarchia e preparazione tecnica venissero promossi... e trasferiti nei canoni della più rigida legge ecclesiastica - soltanto perché si erano opposti ai moduli ed ai caratteri conferiti unilateralmente dall'industria ai mezzi militari. Lo Stato Maggiore, quindi, esce in linea di massima assolto dall'accusa di imprevidenza e di ottusità tante volte troppo facilmente attribuitagli, ed è importante motivo di soddisfazione, per un militare, che questo venga riconosciuto da due affermati storici laici. Quale conclusivo corollario - aderente alle leggi più avanzate dell'arte bellica - si de?e doverosamente aggiungere che le sconfitte non dipenqono soltanto dai Comandanti, ma anche dai materiali e dai mezzi che il Paese mette a loro disposizione. Si è reputato opportuno - in questa sede, ed allo scopo di essere il più possibile esaustivi - corredare la «narrazione», od esame storico, con un tomo contenente fonti documentali (53) ed iconografiche (396), per la massima parte inedite.

IL CAPO DELL'UFFICI(!. STORICO


Avvertenza

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AVVERTENZA Scopo di questo lavoro è documentare le vicende della meccanizzazione del nostro esercito dalle origini alla crisi dell'estate 1943. Si è cercato anzitutto di offrire, con riproduzioni integrali o le più larghe possibili, un corpo documentario scritto e fotografico. La maggior parte di questo materiale era probabilmente sin qui inedita. Non si sono però trascurati, in qualche caso riproducendoli nuovamente, quei documenti già editi che parvero utili allo sviluppo dell'indagine. Questa ha per oggetto immediato le macchine realizzate od anche solo progettate e talvolta semplicemente immaginate o proposte, il che ha comportato di ricostruirne sia l'origine, cioè principalmente il rapporto fra esercito e industrie costruttrici e tra imprese fra loro, sia la vita operativa nei suoi aspetti tanto pratici quanto teorici. Le operazioni belliche sono state perciò considerate nei limiti in cui, dando prova concreta del valore dei mezzi, esse: influirono (o mancarono di influire) sull'allestimento industriale di macchine nuove o comunque diverse; stimolarono nei combattenti l'invenzione di modi per sfruttare al meglio quel che si aveva o la creazione sul campo di armi di fortuna; provocarono il rinnovamento parziale dell'apparato teorico (regolamentazione) che era nato in base a semplici previsioni o ad insegnamenti tratti da esperienze limitate. Fra i documenti, il gruppo più numeroso e significativo è di provenienza industriale. Non sapremmo indicare una precisa ragione di ciò. Certo non si tratta di una scelta aprioristica degli autori e nemmeno del fatto che gli archivi delle industrie (quando esistano) siano tutti facilmente accessibili, chè anzi nel testo sono indicate alcune importanti chiusure, sostanziali se non formali. È tutto sommato probabile che, in argomento, l'esercito abbia scritto meno copiosamente delle sue controparti industriali.


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La narrazione, i giudizi, le illazioni del saggio, compresi gli immancabili errori ed insufficienze, fanno naturalmente capo agli autori e soltanto a loro. Si è comunque fatto il necessario, con la cura delle citazioni e dei riferimenti, perchè altri studiosi possano ripercorrere il nostro cammino così da verificarne le varie tappe. Il nostro debito verso istituzioni e persone che hanno reso possibile o comunque aiutato questo lavoro è così grande ed esteso che, prima di tentarne l'elenco, desideriamo scusarci per involon. . . . tane om1ss1on1. Prima di tutto, la nostra considerazione va all'Ufficio Storico dello S.M. Esercito il quale, accettando di pubblicare questo lavoro, dimostra una sempre maggior ampiezza di orizzonti scientifici non limitandosi al campo già vasto delle opere fondate sui propri archivi, ma allargandosi a ricerche basate anche su altre fonti e che muovono da punti di osservazione non solamente militari. Sempre nell'ambito dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore ringraziamo il suo capo attuale generale Pier Luigi Bertinaria ed i predecessori generali Oreste Bovio e Rinaldo Cruccu per la fiducia concessaci e i' tenenti colonnelli Fernando Frattolillo, Alfredo Terrone e Nicola Della Volpe e il maresciallo maggiore «A» Silvio Picciola per i continui aiuti offertici nella ricerca di documenti e fotografie. Il dottor Fulvio Miglia dovrebbe in realtà essere indicato come coautore di questo studio data l'importanza e l'insostituibilità del suo aiuto e del suo consiglio soprattutto per il reperimento di documenti, per le ricerche archivistiche nonchè per la generosità con la quale ha messo a nostra disposizione suoi precedenti studi ed esperienze. Di fondamentale importanza è inoltre risultato il contributo del CETEM, l'antico Centro Studi Motorizzazione di viale Pinturicchio, nel cui organizzatissimo archivio gli allora comandanti generale Valentino Romano e colonnello Mario Auricchio ci concessero di svolgere le nostre ricerche senza alcuna limitazione. Particolare riconoscenza dobbiamo, poi, all'Archivio Storico · Ansaldo di Genova, alle Civiche Raccolte Storiche di Milano, alla Fondazione Einaudi di Torino, all'Istituto Nazionale per la Sto-


Avvertenza

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ria del Movimento di Liberazione in Italia di Milano e all'Istituto Storico della Resistenza in Piemonte. Ricordiamo la competenza e gentilezza di questi istituti attraverso il nome dei direttori e dei responsabili coi quali abbiamo avuto maggiori rapporti: - il dottor Alessandro Lombardo dell'Ansaldo; - il dottor Marziano Brignoli delle Civiche Raccolte Storiche di Milano; - la dottoressa Stefania Martinotti Dorigo della Fondazione Einaudi; · - il dottor Gaetano Grassi dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione; - il dottor Luciano Boccalatte dell'Istituto Storico della Resistenza in Piemonte. Ringraziamo il museo storico dell'Alfa Romeo di Arese (dott. Alvarez), la filiale Alfa Romeo di Roma (ing. Gueriero), la Breda Meccanica Bresciana (ing. Nava), la Breda Ansaldo (sig. Spadaro), la Finanziaria Ernesto Breda ç il suo archivio fotografico (sigg. Carlucci), il Centro Storico Fiat di Torino (rag. Amadelli), gli archivi Isotta Fraschini di Saronno, Lancia di Torino (dott. Manganaro), Moto Guzzi di Mandello del Lario (sig. Vitali) e della società Terni di Terni (dott. Menti). · Le nostre ricerche sono state molto facilitate dal dottor Renato Grispo, direttore generale per i Beni Archivistici del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, dai dirigenti e dai funzionari dell'Archivio Centrale dello Stato e in modo particolare dal dott. Mario Serio e dal direttore della Sala di studio dott. Marina Giannetto. Nè possiamo dimenticare la biblioteca del Politecnico di Milano ed il suo responsabile signor Giovanni Reale, e l'aiuto del signor Giovanni Ghezzi, dell'Istituto di Cinematografia Scientifica del Politecnico, che ha brillantemente contribuito, sacrificando il suo tempo libero, al mantenimento ed alla crescita del nostro archivio fotografico, e della signorina Maria Teresa Bianchino. Moltissime sono le persone con le quali, in tempi diversi, abbiamo avuto la fortuna di discutere utilmente e che ci hanno aiutato


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con suggerimenti, consigli, informazioni, testimonianze e fornendo documenti. Fra esse ricordiamo: Giorgio Apostolo, Renato Artesi, Daria Banchieri (Museo Civico di Varese), Umberto Baistrocchi, Giovanni Barozzi (Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto), Bruno Benvenuti, Antonello Biagini, Carlo Bombieri, Franco Bonelli, Francesco Branduardi, Maria Fede Caproni Armani, Mario Cermelli, Antonio Cioci, Piero Crociani, Renzo De Felice, Vitaliano Emanuele, Fernando Feliciani (Associazione Nazionale Reduci e Rimpatriati d'Africa), Ezio Ferrante, Angelo Fratti, Giancarlo Garello, Roberto Gentilli, Paolo Gobetti, Luigi Goglia, Luigi Gorena, Virgilio Ilari, Mc Gregor Knox, Luigi Majno, Massimo Mazzetti, Fortunato Minniti, Gianni Perona, Ambrogio Puri, Giorgio Rochat, Rosario Romeo, Antonio Sema, Enrico Serra, Vittorio Scalise, Brian Sullivan, Pietro Tubino. A ciascuno di essi va il nostro grazie al quale aggiungiamo la precisazione, di per sè evidente ma egualmente doverosa, che nessuno di loro è responsabile dell'uso fatto dei vari contributi, dei giudizi e dei punti di vista sviluppati nello studio. Questa edizione è arricchita da una nota sulla distribuzione dei mezzi corazzati prodotti ai reparti operativi dell'esercito (p. 487) dovuta all'ambasciatore Dorello Ferrari che ringraziamo per questa preziosa collaborazione.

Gli Autori


PARTE

I

DALLE ORIGINI ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE



CAPITOLO

1

MOTORIZZAZIONE E MECCANIZZAZIONE Ancor oggi, dopo circa ottant'anni dalla comparsa del moto. . . . . . . re a scoppio, «meccamzzaz1one» e «motonzzaz1one» sono smommi che indicano in modo generico l'impiego di mezzi automobilistici da parte degli eserciti. Nel linguaggio tecnico, o almeno in quello più appropriato, invece, da '; ari decenni, queste espressioni si sono differenziate. «Motorizzazione» significa soltanto sostituire il motore animale con quello a scoppio per «il trasporto o il traino sia su strada sia in terreno vario degli uomini, delle armi, degli equipaggiamenti e dei rifornimenti ed essenzialmente delle artiglierie» (t). Ai mezzi motorizzati è insomma affidata l'incontrastata traslazione di uomini e di oggetti i quali poi - rispettivamente - combattono o sono usati in modo tradizionale e senza che il veicolo a motore sia più necessario fino al momento di una nuova traslazione. Con la «meccanizzazione» invece si affidano compiti di combattimento a mezzi mobili e armati che sfruttino le possibilità del motore tanto sulle strade quanto al di fuori di esse, così per la capacità traente come per la velocità e la forza d'urto. Sono dunque mezzi meccanizzati non solo, com'è evidente, i carri armati, le autoblindate, i cingolati da combattimento, le artiglierie semoventi ma anche veicoli più semplici nati per il trasporto, come autocarri, autovetture e motociclette purchè rechino armi o armati in grado di compiere un'azione di combattimento restando a bordo. Ad esempio un tipico mezzo motorizzato, come il motociclo, può qualificarsi meccanizzato se su di esso è in-

(1) Angelo PUGNANI, Storia della motori:aazione militare italiana, Torino Roggero & Tor-

cia 1951, p. 293.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

stallata un'arma che il motociclista può azionare restando in sella (ad esempio, la motomitragliatrice). Così ancora esemplificando, un normale camion entra nella famiglia dei «meccanizzati>> quando, grazie alla dotazione stabile di una mitragliatrice sul cassone, può effettuare azioni di fuoco, magari contraereo, senza necessità di scaricare arma e serventi. Invero le cose non andavano poi così diversamente neppure lungo i millenni in cui l'unica forza motrice per il trasporto rimase quella dei quadrupedi e soprattutto dei cavalli. L'eroe omerico scagliava dardi e colpiva con la lancia spesso senza scendere da un cocchio leggero mosso velocemente da cavalli, mentre altri cavalli trascinavano bagagli e rifornimenti su carri di tipo diverso. Il quadrupede è stato usato fino a epoca vicina a noi sia come animale da soma sia come mezzo da combattimento tendente a far corpo col cavaliere che combatte standogli in groppa. I mezzi meccanizzati coi loro equipaggi possono considerarsi uno sviluppo dei combattenti a cavallo. Il modo di combattere a cavallo aveva subìto numerosi mutamenti nel corso dei secoli. Una svolta assai importante si verificò quando si riuscì a sfruttare pienamente la velocità del cavallo anche come forza d'urto per l'arma impugnata dal cavaliere. Ancora di recente si pensava che ciò fosse avvenuto in un momento imprecisato del VII secolo con la comparsa in Europa della staffa. Ora invece ricerche storico-archeologiche tendono ad ipotizzare che tali risultati si fossero ottenuti anche prima (2). Resta però che la nuova forma di combattimento raggiunse la massima efficacia nel momento in cui il perfezionato sfruttamento della staffa collocò il cavaliere così saldamente in arcione da poter essere ricoperto da una estesa corazza e da permettergli di colpire non più con semplici lanci ma con la pesante asta che muoveva solidalmente col cavallo sfruttandone la forza e seguendone la direzione (secoli XI-XII). Qualcuno ha paragonato la più (2) Franco CARDINI, Q11e!l'aniica festa crudele, Firenze Sansoni 1982, p. 16 (e fonti citate in bib liografia) ritiene che l'effetto della staffa sia srnto anticipato con sp eciali «tecniche del corpo».


Motorizzazione e Meccanizzazione

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piccola unità bellica medievale, la cosiddetta «lancia)), all' equipaggio di un grande carro armato: in effetti una mezza dozzina di uomini con compiti di ricognizione, sorveglianza e aiuto, erano al servizio dell'arma principale rappresentata dal catafratto con la sua asta (3}_ Ma al di là di questo esempio suggestivo, ogni forma di combattimento a cavallo può, in senso lato, considerarsi progenitrice della meccanizzazione. Muovevano nella stessa logica le file di cavalieri che, soprattutto nei secoli XVI e XVII, eseguivano il caracollo. Cioè trottavano contro il nemico in righe successive ciascuna delle quali faceva fuoco a bruciapelo disimpegnandosi poi sui lati. Lo stesso può dirsi della più progredita cavalleria che, sull' esempio degli svedesi, ritrova nel XVII secolo l'uso della carica ossia del galoppo in massa a sciabole puntate. Invece nell'alveo della futura motorizzazione si trovano non solo, ad evidenza, i trasporti di materiale e i traini di cannoni ma an che particolari corpi militari come i dragoni concepiti per spostarsi a cavallo ma per combattere a piedi. Non sviluppiamo oltre queste similitudini perchè ai nostri fini basta aver ricordato quanto antiche fossero le funzioni che il motore a scoppio era destinato ad assolvere pur rinnovandole profondamente. Nostro tema è la meccanizzazione e in particolare quella del1' esercito italiano fino al secondo conflitto mondiale: pertanto le vicende della motorizzazione non saranno trattate. Prima però di abbandonarle del tutto sarà opportuno ricordarne molto sinteticamente l'esordio che è di poco anteriore ai primi tentativi nel campo che sarà poi chiamato della «meccanizzazione». Già qualche decennio prima dell'avvento del motore a scoppio, in vari eserciti tra cui quello piemontese, si .era presentato il problema di muovere carichi indivisibili quali le grosse artiglierie in zone non raggiunte dalle linee ferroviarie. Ed è noto che (3) Michael HOWARD, La guerra e le armi nella storia d'Europa, Bari Laterza 1978 (edizione originale 1976), pp. 7-9. Per un'acuta disamina degli antesignani del carro armato dall'antichità alla vigilia della grande guerra si veda il primo capitolo <li Basi! H cn ry LIDDELL HART, The Tanks, 2 voli., Londra Casse! l 959, I, pp. 3-16.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

durante la campagna del 1859 il parco d'assedio piemontese di 96 pezzi (molti dei quali d'acciaio e rigati, frutto di onerosi acquisti in Svezia) non riuscì a raggiungere tempestivamente l'anello attorno a Peschiera, soprattutto perchè le ferrovie non reggevano agevolmente i carichi e d'altronde i trasporti con quadrupedi e per via fluviale presentavano notevoli difficoltà. Il ritardato arrivo del parco, già di per sè grave, sembra non doversi del tutto escludere dal complesso dei motivi che indussero Napoleone III a interrompere bruscamente la guerra coi preliminari di Villafranca (4), Come che sia, non è forse un caso che proprio nel 1859 sia stata brevettata in Piemonte la prima «locomotiva a treno stradale» per uso militare, sviluppo di un precedente «landeau» a vapore per uso civile. Qualche esperimento con mezzi del genere sembra sia stato compiuto nelle guerre di Crimea (1854/55), franco-tedesca (1870/71) e poi ancora in quella anglo-boera del 1899-1902. In Italia le locomotive a vapore furono sperimentate a varie riprese dal 1873 fino all'ultimo decennio del secolo soprattutto per iniziativa del celebre generale e ministro Cesare Ricotti Magnani. Erano acquistate generalmente in Gran Bretagna ed alcune di esse trovarono utile impiego nel trasporto di materiali per costruire fortificazioni (Arsenale di La Spezia). Per altri aspetti tuttavia le locomotive non diedero i risultati sperati e lo stesso può dirsi di un paio di autocarri a vapore di costruzione francese acquistati dall'esercito italiano fra il 1899 e il 1900, anch'essi affidati come le prime alla «brigata ferrovieri» del Genio. Nel 1903 il ministero della Guerra autorizzava però l'acquisto dalla Fiat della prima autovettura con motore a scoppio da 12 hp. A partire dal 1905 il distaccamento di Roma del Genio ferrovieri venne a disporre di alcune vetture a benzina e quindi di due autocarri Fiat a benzina con ruote di ferro (portata kg 4000). Cosicché alle grandi manovre di quell'anno, in Campania, parteciparono, con tali autocarri, altre 32 vetture in gran parte di volontari automobilisti. Propu( 4) Vedi: Birgìtta EIMER, Cavo11r and Swedish Politics, Stoccolma Esseltc Studium l 978, pp. 41-42 e 61; Denis MACK SMITH, Vittorio Emanuele Il, Bari Laterza 1972, pp. 87-88 e 92; Carlo MONTÙ, Storia deU'artiglieria italiana, Roma Rivista d'artiglieria e genio, voi. fil, 1937 pp. 840-844

e passim; e anche: Emile F. FLEURY, Sorwenirs du général comte Flcury, 2 voli; II, Parigi Plon 1897-1898 p. 9 I.


Motorizzazione e Meccanizzazione

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gnatore dell'automobilismo militare era principalmente il maggiore del genio ing. Andrea Maggiorotti che non rimase del tutto inascoltato dall'allora capo di Stato Maggiore dell'esercito generale Tancredi Saletta. Proprio Saletta si era servito personalmente, durante le manovre del 1903 in Veneto, della prima vettura Fiat a benzina dell'esercito. L'anno successivo il comando del corpo di Stato Maggiore aveva dichiarato necessaria ai comandi di grandi unità l'assegnazione di «automobili a benzina da viaggio» con compiti di ricognizione e collegamento, nonchè per accelerare il servizio postale. Per questi scopi si calcolava una necessità di 287 macchine che all'occorrenza si sarebbero potute requisire fra le 2000 esistenti in Italia delle quali 700 considerate idonee ad uso militare.·Mentre gli esperimenti di automobilismo militare davano risultati sempre più convincenti alle manovre del 1907 (impiego di 76 macchine), del 1909 (46 autovetture e 29 autocarri) e del 1911 (83 autovetture, 97 autocarri e 99 motocicli) e mentre ci si avviava ormai all'impiego bellico in Libia (1911/12), si verificarono le seguenti tappe nel campo organico e regolamentare: - luglio 1906, costituzione del «nucleo macchinisti militari addetti alla condotta delle automobili», sempre presso il Genio ferrovieri di Roma; - 1° settembre 1906, costituzione della «sezione automobilistica»; - 1910, trasformazione della sezione in «battaglione automobilisti del genio»; - pubblicazione del!' Istruzione sul servizio automobilistico, uno dei primi se non addirittura il primo testo del genere in Europa (ma la data è incerta: 1905-1907); - costituzione e regolamentazione del Corpo Nazionale dei

volontari ciclisti e automobilisti {1906-1908)

(s).

(5) Le notizie sulle locomotive stradali e sull'esordio dell'automobilismo militare sono desunte da: A. PUGNANI, op. cit. pp. 17-23 e 27-37 nonchè da Andrea MAGGIOROTTI e Ubaldo PUGLIESC.HI, L'automobile a benzina e il stto impiego nell'esercito, Città di Castello Unione Arti Grafiche 1915 (1' edizione 1913) pp. 399-403; Felice PASETTI, Automobili per trasporti militari, in «Rivista d'Artiglieria e Genio» 1906, voi. II, pp. 249-274; F. PASETTI, L'automobile nei vari eserciti, idem 1909, voi. II, pp. 191-246 nonchè fonti da tali autori citate.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

Nel complesso dalle fonti potute consultare sembra che in Italia, fino al primo decennio del secolo, l'automobilismo militare fosse paragonabile a quello delle principali potenze come studi teorici, come impieghi sperimentali e come regolamentazione. Pare invece che la disponibilità nazionale di autoveicoli a benzina sulla quale poter incidere con la requisizione non fosse paragonabile a quella della Gran Bretagna che nel 1909 disponeva di circa 100.000 autoveicoli e dell'Impero tedesco che, alla stessa data, ne contava oltre 40.000 (6l. Intanto, ormai da qualche anno, erano in corso sia all'estero sia in Italia, i primi esperimenti per realizzare autoveicoli armati da combattimento. Iniziava così la storia della meccanizzazione della quale soltanto ci occuperemo da qui in poi.

(6) Per la situazione degli swdi intorno al 1906 con notevoli anticipazioni rispetto a realizzazioni success ive (ad es. in campo benzo-elettrico, vedi infra) vedi il primo dei due articoli di F. P ASETTJ citati alla nota precede nte. Per elementi di comparazione con le altre potenze, vedi soprattutto il secondo d i tali studi. Il Pasetti ricorda, inoltre, che alle manovre del 1908 l'esercito italiano sperimentò «un automob ile per metragliacrice».


Capitolo 2

DALLE ORIGINI ALL'AGOSTO 1914 Prescindiamo completamente dagli antecedenti preistorici, dai «carri falcati» del IV secolo a.C., da talune macchine da guerra del 1500, dai progetti di Leonardo, dalle vagheggiate fortezze mobili a vapore ottocentesche ed in genere da tutto ciò che in questo campo rimane estraneo all;uso del motore a scoppio (1l. Nel 1906 l'esercito francese provò una vettura Panhard 24 hp armata di una mitragliatrice Hotchkiss da 8 mm. Le valutazioni ebbero luogo durante le manovre della 1a divisione di cavalleria. I risultati furono discreti ma non sufficienti a giustificarne l'adozione. Successivi avvenimenti in Marocco suggerirono al generale Lyautey l'opportunità di utilizzare automitragliatrici. La vettura Panhard fu inviata oltremare nel 1907 insieme col capitano Genty, suo propugnatore, dove fornì risultati tali da consigliare l' ordine di altri due esemplari nel febbraio 1908 (2l. L'idea di utilizzare in combattimento autoveicoli armati e blindati trovò fieri oppositori in Italia. L'allora capitano Douhet ne negava l'utilità sostenendo che«[ ... ] per quanto l'uomo possa perfe zionare il motore, non riuscirà mai ad infondergli una

(1) Riferimenti all'antichità o comu nque a progetti più o meno realizzati anterio rmente al motore a scoppio non mancano nella copiosa pubbl icistica divu lgativa. Citiamo soprattutto per l'espressività di alcun i d isegni: Edoardo VERSÉ, / carri d 'assalto, Parma Donati 1927, pp. 7-20. Ma anche: Ettore BRAVETTA, L'artiglieria e le sue meraviglie, Milano Treves 1918, pp. 465-482, e Kenneth MACKSEY, The G1,inness Book of Tank, Londra Guinness 1976, pp. 9-23. (2) Le informazioni sono tratte da: Pierre TOUZJN , Les véhirnles blindés français 1900-1944, Parigi E.P.A. 1979, pp. 8-11 e RAMSPACHER-LA VIROTTE-LEMARIE-BEUCHON-RAPHEL, Chars et blindés français, Parigi Lavauzelle 1979, pp. 17-18; altre utili informazioni in A. MAGGIOROTTI e U . PU GLTESCHI, op. cit., pp. 411 -419.


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volontà cosciente, mentre il cavallo è una automobile quasi perfetta perchè entro certi limiti sa dove vuole e dove deve andare [... ]» (3), Il colonnello Maggiorotti, comandante il battaglione automobilisti, affermava che il mezzo blindato da combattimento era un«[ ... ] mezzo escogitato da sognatori che nella guerra paventano solo le ferite [ ... ]» (4). Nel 1901 il colonnello Ugo Allason, poi maggior generale e dal 1906 ispettore delle Costruzioni d' Artiglieria, aveva creduto di rafforzare il peso del suo parere negativo sui cannoni a deformazione dotati di scudo ricorrendo al singolare argomento che «[ ... ] alla guerra si va per morire e non per vincere» (s). Nel volume del Maggiorotti si affermava tuttavia quanto segue: [se] in modo generale i tipi precedenti [di mezzi blindati] non sembrano rispondere nella pratica allo scopo per cui sono progettaci, è certamente utile considerare l'automobile quale mezzo di trasporto, in relazione all'impiego di mitragliatrici presso riparti speciali, siano di cavalleria, siano di cidisci. ln quesco rapporto l'affidare normalmente il trasporto dell'arma ai cavalli, o anche a macchine leggere, come bicicli o motocicli tandem e simili, può non risultare conveniente a causa del peso dei materiali che costituiscono la dotazione mitragliatrice. Infatti, col munizionamento fissato a 10.000 colpi circa, e dato che cali armi, per avere un cerco effetto e valore, devono essere riunite, al meno in sezioni o coppie, con tutti i materiali di dotazione, ricambio, ecc., e col peso degli uomini che debbono essere trasportati, si raggiungono circa 2000 kg, pari al carico di un autocarro di media portata, o meglio di due leggeri. In tal senso nelle nostre manovre del 1908 si costituì una sezione mitragliatrici automobile: le armi erano trasportate nei loro cofani sugli autocarri; per il servizio eranvi otto serventi due automobilisti e un caposezione. Certamente simili macchine non sono destinate ad andare sulla linea del fuoco, ma semplicemente a porcare fin dove è possibile le armi, arrestandosi se occorre anche a 500 o 1000 m dietro la linea di fuoco per lasciare procedere le mitragliatrici, o trainate, o portate a braccia, o a cavallo, sino alla posizione necessaria. Così l'automobile resta mezzo di t rasporto, e funziona come cale e come mezzo di rifornimento delle cartucce; le armi conservano tutta la loro libertà d'azione e i loro caratteri come tali. Questa soluzione è meno originale, però appunto perciò, forse più pratica e certamente più economica delle precedenti <6>.

(3) AA.VV., Storici dei mezzi corazzati, Milano Fratelli Fabb ri J 976, vo]. I, p. 4; la notizia non

è corredata da riferimemi bibliografici. Anche all'estero l'adoz.ione del mezw meccanico.fu contestata. Un trattore Ruston, sottoposto a prove di valutazione militari, non fu accettato dall'eserc ito inglese perchè «its noise and smell in a column are intolerable and vcry few horses will pass it» (N. W. D UNCAN, Early Armoured Cars, Windsor Profile Publications, p. 2). (4) AA.VV. Storia dei mezzi ecc. cit., p. 7, la citazione non è corredata da riferimenci bibliografici. (5) Ugo ALLASON, La nuova artiglieria. campale italiana, in «Nuova Antologia», n. 16 1901, p. 220. Si veda anche C. MONTU', op. cù., vol. VII, p. 186. (6) A. .MAGGIOROTTl e U. PUGLIESCHI, op. cit., pp. 418-419.


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Evidentemente nemmeno per un ufficiale «progressista» come Douhet e per un pioniere della motorizzazione come Maggiorotti il passo verso la meccanizzazione riusciva spontaneo. Se essi non cadevano nella poco sensata retorica dell' Allason tuttavia il miscuglio dei loro contrari argomenti sembra quasi mobilitato per sostenere una negazione preconcetta. Può darsi che, come afferma Maggiorotti, i bilanci militari consigliassero soluzioni economiche, ma non è detto che queste fossero anche le più pratiche. L'economicità inoltre appare considerata come un valore assoluto e non da correlare ai risultati diversamente ottenibili e alle eventuali conseguenze in termini di spesa ove le nuove soluzioni avessero contribuito a soppiantare idee tattiche preesistenti coi relativi costi. All'epoca l'arma regolamentare era la Maxim Vickers mod. 1908 detta anche Maxim ordinaria ed ogni reggimento di fanteria, come ogni battaglione alpino e reggimento di cavalleria, aveva in organico una sezione di due armi. La mobilità della sezione era fortemente condizionata dal peso delle armi, dei treppiedi nonchè del munizionamento: con la sola dotazione di primo scaglione si arrivava ad un peso minimo di 168 kg più acqua, nastri ed accessori (7), Maggior libertà d'azione si sarebbe conseguita utilizzando l'autocarro non solo per il trasporto ma anche per il combattimento, con il vantaggio di offrire altresì miglior protezione . . a1 serventi. Esperienze condotte in quegli anni avevano infatti dimostrato che lamiere di acciaio al cromo-nichel spesse 4 mm offrivano «sicura protezione dal tiro di pallottola ordinaria eseguito da qualsiasi distanza» (8). (7) SCUOLA D'APPLICAZIONE DI FANTERIA, Dati su/Le anni da fuoco portatili e sulle mitragliat.rici in uso ed in esperimento presso vari eserciti, Parma Tipografia Coop. Parmense 1911, pp. 280-283. I pesi erano rispettivamente: Peso dell'arma .. . ..... , ... . ......... . .............. . ......... . Kg 12,10 Peso dell'arma con acqua .. ....... .................... ...... . .. Kg 16,50 Peso del treppiede . . . . ..... . ............ ...................... Kg 17,35 Peso di 1 nastro completo· ................... ..... ..... . ....... Kg 6,70 Peso di l cofano (1000 colpi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ........ Kg 36,20 (8) ACCADEMIA MILITARE (ma Luigi GUCCI), Armi portatili, 3 voll., Torino Stabilimento Tipografico Cassone 1911, parte terza, p. 187.


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Lo scoppio della guerra di Libia convinse l'Ispettorato delle Costruzioni d'Artiglieria a condurre alcuni esperimenti sugli autocarri corazzati. La primitiva idea di utilizzare senza modifiche l'autotelaio di un autocarro, dovette essere scartata e a fine giugno 1912 l' Arsenale di Costruzioni di Artiglieria di Torino si accinse allo studio di una automitragliatrice corazzata (9l. La progettazione di questo mezzo, che pur utilizzava in buona parte il telaio di un autocarro Fiat <10) in uso presso il Regio Esercito, pose il colonnello Crispino Bonagence, direttore dell' Arsenale, di fronte a notevoli problemi, alcuni dei quali rimasti insoluti. Gli inconvenienti più gravi erano posti dalla limitata potenza del motore e dalla gommatura inadatta alla marcia fuori strada e sulla sabbia. Per superare quest'ultima difficoltà si pensò di dotare le due automitragliatrici ordinate di cerchi articolati <11) del tipo in uso per i pezzi di artiglieria e denominati «rotaie a cingolo mod. Bonagente». Il colonnello Bonagente aveva infatti progettato e costruito nel 1896 un tipo di cingolo a piastre, coincidente· con un'idea già brevettata dall'inglese Richard Edgeworth nel 1770 e poi migliorata dal conterraneo John Richard Barry nel 1821 (12>. (9) Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito (d'ora in poi AUSSME), b. Libia 204

f. 10. Vedi in allegaw (doc. I) la relazione del ten. col. Bonagence in cui sono descritte le caratteristiche che doveva possedere una amo mitragliatrice ed i problemi che l'Arsenale doveva risolvere. (10) L'esame di alcune fotografie in cui appare su lla casamatta la ti pica targa Fiac di idencificazione dei telai permette di confermare quanto a suo tempo scrisse A. PUGNANI (op. cù., p. 90). Tale conferma era necessaria ìn quamo il testo del Pugnani quando non errato è impreciso. Si veda al proposito: «In questo stesso periodo di tempo la ditta Bianchi realizzò un altro esemplare [oltre quello dell'Arsenale] di autoblindata, donata dalla città di Milano all'Esercito cd inviata in Libia (???) unicamente al campione dell'arsenale di Torino». Sul problema della donnione di due autom itragliatrici da parte dell'Automobi le Club di Milano si veda più oltre. L'esame delle fotografie a disposizione giustifica l'ipotesi che il telaio utilizzato fosse quello dì un Fiat 15/20 hp (poi noto come 15 bis). Gli elementi presi in considerazione sono: - trasmissione a cardano - dimensioni dei pneumatici (870x 100 di marca Pollack di normale equ ipaggiamento per le forniture al Regio Esercito di questo modello) montati su cerchi ìn legno tipici del cosiddetto 15 Bis. (1l) AUSSME, b. Libia 204 f. 10. Riasstmto pr,aic,i autom, coraz. svolta dall'Ufficio A11tomobil. li documento è riportar<> in allegato (doc. 2). (12) M.G. BEKKER, Theory o/ L,md Locomotion, Ann Arbor University of Michigrn Press 1956, p. 33.


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Alla data del 12 luglio 1912 l'Arsenale di Torino era ancora in attesa di decisioni del Comando di Corpo di Stato Maggiore in merito all'adozione delle ruote «Bonagente» (v. ancora nota 11). Nello stesso anno la Isotta Fraschini iniziò lo studio di un'altra automitragliatrice blindata ordinata insieme con una Bianchi da un comitato patriottico milanese. Progettate dall'ing. Gino Galli sfruttavano entrambe l'autotelaio di autocarri in produzione per il Regio Esercito <13l, Questi fatti ingenerarono una serie di equivoci in cui caddero non solo la stampa dell'epoca ma perfino l'Ispettorato delle Costruzioni, come ebbe a rilevare lo stesso Ufficio Automobilistico dell'Ufficio Coloniale (14>.

(13) AUSSME, Riassunto..., cit.. I disegn i complessivi della automitragliatrice Isotta FraschiILi (M. 32173-4-5) recano la data del 30 agosto 1912 e portano la firma dell'ing. G iustino Cattaneo. Secondo il brogliaccio di officina l'autotelaio uti lizzato era il GM 5 (Angelo T ito AN SELMI, Isotta fraschini, Milano Milani 1977 pp. 349-350). Un articolo del maggiore G.P. N EGROTTO (Per gli .:incrociatori del deserto» in «La Preparazione» del 29 agosto 1912) fornisce molte utili informazioni sull'origine della sottoscrizione. A seguito di u n articolo pubblicato da Luigi Brioschi su «La Perseveranza» del 6 aprile 1912, in cu i si proponeva di impiegare al più presto in Libia «automitragliere corazzate», il «Corriere della Sera» apriva una sottoscrizione popolare «giunta in breve ad una rispettabile cifra». Fu il Brioschi a coniare l'espressione «Incrociatore del deserto» e:

Valendosi poi di una fortunata combinazion.e di iniziali nelle tre parole «auto mitragliere corazzate» gli ha affibbiato il più breve e sintomatico nomignolo «amico•. Di questi «amico» brioscani il Governo ne ha fatto testé costruire due nell'Arsenale di Torino sotto l'abile direzione del colonnello Bonagente e del capitano Lualdi. Alle recenti prove nel campo di San Maurizio essi hanno dato ottimi risultati. E col frutto della sottoscrizione se ne stanno costruendo altri due in Milano presso le ditte Isotta Fraschini e Bianchi, sotto la sorveglianza dell'ingegner Gino Galli dell'Aut.omobile Club milanese. Natu· ralmente la buona riuscita di qtreste prime quattro automitragliere in Libia dipenderà molto dall'inviare con esse persone conoscitrici e pratiche del macchinario, per riparare ai primi inevitabili inconvenienti e per rendere pratici dei congegni i neofiti. Ma il Brioschi, non contento di aver ideato lo speciale tipo, ha voluto anche pensare alla migliore sua combinazione con altri mezzi offensivi moderni per accrescerne la potenza offensiva. E l'unità tattica da lui, profano di militari discipline, con perspicace intuito, sarebbe la seguente: «un aeroplano o dirigibile a due posti» per l'esplorazione lonatana in alto; «una coppia di automitragliere corazzate• per l'immediata offesa; «un certo numero di camions od autovetture blindate• adatte al deserto e cariche di truppe per appogggiare e completare l'opera distruttiva delle autornitragliere. [. ..] Q11attro solo aucomitragliatrici - concludeva G.P. Negrotto - sono troppo misera cosa. Occorre riversarne sui terreni libici in brevissimo tempo almeno una cinquantina con i relativi autocarri blindati. I mezzi di costruzùme non ci mancano e la spesa non è cosa enorme e, se anche fosse, sarebbe sempre giustificata dalla somma necessità ed utilità della nuova arma. (14) Riassunto..., cit.. Anche A. PUGNANI (op. cit., p. 90) cadde in questo errore e con lui tutti coloro che l'hanno r iscritto negli anni seguenti.


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Infatti quando fu deciso di inviare in Libia le due automitragliatrici costruite dall'Arsenale di Torino, «La Domenica del Corriere>> pubblicò una foto con la seguente didascalia: Il prìmo «Incrociatore del Deserto» o automobile corazzato costruito per sottoscrizione pubblica pronto a Napoli per partire pel teatro di guerra condotto dal caporale automobilista Diana. Ha corazza di 3mm ed è munito dì mitragliatrice Maxim. Porta 5 persone (ls)_

Ribadiva la rivista «Tripoli e Cirenaica»: Adesso l'Arsenale di Torino ha trasformato d ue potenti auto-carri in automitragliatrici corazzate - veri «incrociatori del deserto» - regalati al Comando delle truppe in Libia dall'Auto Club di Milano. Con questi incrociacori si avrà la possibilità di percorrere da 100 a 200 chilometri nel deserto, sostituendo la cavalleria che non può inoltrarsi su quelle sabbie prive di acqua e di foraggio oltre i quindici o venti chilometri dalla base. Le due auto-mitragliatrici sono corazzate, e le ruote posteriori hanno i cingoli Bonagente. L'incrociacore del deserto avrà un guidatore comandante e due inservienti. A questi due primi campioni seguirà, dopo gli esperimenti, una numerosa squadriglia. Lo stesso col. Bonagente ed il cap. Lualdi dirigono la formazione delle formidabili macchine <16>.

Malgrado gli entusiastici commenti della stampa, la Direzione di Artiglieria nutriva parecchi dubbi sul buon funzionamento delle due automitragliatrici Fiat e ne ritardò l'invio in Libia fino al 4 settembre 1912. In quella data i due mezzi furono imbarc~ti a Napoli sui trasporti «Minas» ed «Edilio» con destinazione Zuara. Il successivo 2 ottobre così telegrafava il gen. Camerana: Giu nto a Misurata autocorazzato completo con mezzi propri percorrendo solita deperita strada autocolonne in tempo normale. Seguiranno esperienze manovrabilità dopo ripassatura motore.

Le esperienze condotte non diedero buoni risultati se addirittura un giornale di larga diffusione potè affermare: [ ...) due autocorazzate (i poetici incrociatori del deserto) che nel complesso, e come veicolo e come arma, han dimostrato di non essere ancora mature al loro compito, sia per soverchio ingombro di ferraglia, sia per debolezza di molle e di motori (17)_

(15) «La Domenica del Corriere», an no XIV n. 34, p. 8. (16) «Tripol i e Cirenaica», n. 92 11 agosto 19 12, p. 729. (17) «La Lettura", 1913 p. 856. L'invio delle due automitragliatrici aveva soUcvato notevole interesse anche negli ambienti militari. Riportiamo in allegato (doc. 3) la corrispondenza sull'argomento contenuta in AUSSME, b. Libia 204.


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Indubbiamente l'uso offensivo dell'automitragliatrice veniva limitato anche dalle caratteristiche delle armi disponibili. Infatti dichiara una pubblicazione militare: 1 - Avvertenze durame il tiro

[...]

Quando il manicotto refrigerante è pieno d'acqua, questa comincia a bollire dopo che l'arma ha sparato senza interruzione 500 colpi. Di massima dopo ogni nastro (250 colpi) il servente caricatore di destra verserà una certa quantità di acqua sul rinforzatore di rinculo, in modo da raffreddarlo uniformemente. Dopo due nastri (500 colpi) conviene cambiare l'acqua del manicotto; [ ... ]. Il servente caricatore di destra, quando eseguisce il cambio dell'a~qua, procurerà di raffreddare, olcrechè il rinforzatore di rinculo, anche la testata posteriore del manicotto [ ...]. Intanto il tiratore provvederà a lubrificare abbondantemente tutti i meccanismi con uno dei due pennelli che trovansi nelle impugnature della testata posteriore, ed a visitare e rinnovare, se occorre, le due guarniture di amianto (JS)_

Nel 1913 si aggiunsero altre due automitragliatrici al parco del Regio Esercito. Nei giorni 5 e 6 maggio l'Automobile Club di Milano festeggiò il decennale della fondazione e poichè «[ ... ] l'illustre sodalizio non vuole disgiungere il proprio destino dal trionfo dell'automobilismo e dall'amore per la Patria, il primo dei festeggiamenti consiste nella consegna delle due Automitragliatrici alle Autorità militari». La Isotta Fraschini venne consegnata sul campo della Malpensa e poco dopo il Regio Esercito entrò in possesso anche della automitragliatrice su telaio Bianchi 30 hp <19). Nel giugno 1911 il Ministero della Guerra aveva istituito una Commissione mista per lo studio dei materiali destinati al tiro contro aeronavi formata da ufficiali dell'Ispettorato di Artiglieria e della Regia Marina <20). La Commissione stabilì le caratteristiche richieste al materiale antiaereo autocampale e dispose l'acquisto all'estero di alcuni pezzi da sottoporre a prove.

(18) J\CCADE1'11A MILITARE, Amti portatili ecc. cit., parte seconda, p. 316. (19) F. HEIGL, Taschenbuch der Tanks, Monaco Lehmanns Vcrlag 1935, cei l II, p. 354. Anche l'Heigl cade nell'errore già evidenziato confondendo in sovrappit1 la Isotta Fraschini con la Bianchi. (20) C. MONTU', op. cit., voi. XIII, p. 549 e sgg.


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Vi erano allora in Europa due tendenze: - quella tedesca che prevedeva l'uso di cannoni antiaerei di medio calibro (77mm) con proietti tipo «shrapnel» dotati di spolette a doppio effetto (a tempo e a percussione); - quella franco-inglese che utilizzava allo scopo mitragliatrici o cannoncini automatici che sopperivano alla m inor potenza con un maggiore volume di fuocd21l. In Italia, nell'incertezza sulla via da perseguire, si provarono sia automobili armate con una mitragliatrice Maxim installata su di un affusto a candeliere sia autocannoni. Significativo fu l'acquisto di due pezzi Rheinmetall <22l. Uno di questi cannoni era montato su un autocarro Erhardt a quattro ruote motrici mentre l'altro venne successivamente installato, a cura della Commissione, su un autotelaio Itala X a due ruote motrici. La scelta della Commissione di utilizzare un autocarro nazionale di modeste caratteristiche fuoristrada potrebbe portare oggi a giudizi erronei. Lo stesso ministero della Guerra prussiano, nell'affrontare il pr oblema della scelta fra la soluzione a due ruote motrici e quella a trazione integrale, riconobbe che gli autocarri a quattro ruote motrici presentavano un elevato peso ed un prezzo d' acquisto notevolmente superiore a quello degli autocarri convenzionali. Tali fatti, unitamente al rischio di una rapida obsolescenza nei depositi militari, suggerirono di limitare l'uso della trazione integrale a pochi aut?veicoli destinati ad impieghi speciali (23l. Dunque nell'estate del 1914 alla vigilia della crisi europea, l'esercito italiano si avviava a disporre di sei mezzi meccanizzati: le quattro automitragliatrici nel complesso poco soddisfacenti e i due autocarri per il tiro ami-dirigibili di anc~ra incerta efficacia. (21) TOURING CLUB ITALIANO, Annuario dell'aeronautica 1915, Milano Editr. Lom b. 1915, pp. 567-569.

(22) Vi è incertezza sul calibro dei pezzi Rheinmerall. Dall'esame di alcune focografie sembrerebbero dei 7,7cm L/27K, regolamentari nell'esercito prussiano. È tuttavia possibile che i due cannoni forniti all'Italia siano stati «riclassificati» da 75 - rimanendo il calibro da 77 - oppure ricubati e che il calibro fosse effettivamente 75mm come riportano il MONTU' (op. cit..) ed anche MINISTERO DELLA GUERRA, L'esercito italùmo nella grande guerra {1915-1918}, Roma Provveditorato Generale dello Stato 1927, vol. I, pp. 100-10 1. (23) Walter J. SPIELBERGER, Gepard - the Hisro,y ofGcrman Anti·Aircraft Ta.nks, Monaco Bernard & Graefe 1982, pp. 18-19. Il volume è la traduzione e riduzione di: W.J. SPIELBERGER, Die Rad - und Volketten - Zugmaschinen des Deutschen Heeres 1810·1945, Stoccarda Jv1owrbuch Verlag 1978, pp. 97-99.


Capitolo 3

IL PERIODO DELLA NEUTRALITÀ ITALIANA Gli eserciti che si affrontarono nella guerra poi passata alla storia come «mondiale» e più tardi ancora come «prima mondiale» erano notoriamente basati sulla fanteria, l'artiglieria e la cavalleria. Il loro principale sistema di trasporto restava quello ferroviario sempre più sviluppato e perfezionato. Il vero elemento di novità, maturato nei precedenti decenni di pace, era l'ingigantito sviluppo della potenza di fuoco dovuto al perfezionamento delle artiglierie e degli esplosivi nonchè alla comparsa delle mitragliatrici. Non si era tuttavia compreso che quest'accresciuta possibilità offensiva, non essendo monopolio di un solo antagonista, per un gioco di reciproche compensazioni, avrebbe finito colparalizzare il movimento sul quale si fondavano tutte le operazioni progettate. Forse uno studio più attento della guerra di secessione nordamericana (1861-1865) e russo-giapponese (1904-1905) avrebbe consentito di prevedere la situazione poi sviluppatasi, ma ciò non si era verificato <1J. Quanto alle possibilità del motore ed in particolare a quelle della meccanizzazione, un giudizio su quanto fu capito o sarebbe stato possibile capire prima e durante la guerra deve ispirarsi alla massima prudenza. Anzitutto non dimentichiamo mai che nel 1914 motori e veicoli erano ancora ai primordi e già il solo fatto che se ne fosse (1) Neppure fu tenuto conto delle esatte pcrcez.ion i del polacco Ivan Blyok noto in occidente come Jean de Bloch circa lo sviluppo delle trincee, l'aumento della potenza di fuoco, l'ampliamento dei fronti e la probabile conclusione «per sfinimento» di ogni nuova guerra. L'opera di Bloch, che aveva attirato l'attenzione dello Zar, era stata tradotta in francese e edita da Guillaumin nel 1899 (6 volumi). Essa fu in parre tradotta e pubblicata anche dall'«Economist». Durante la guerra, fu recensita su «La N uova Antologia» del 16 marzo 1916 n. 1060 pp. 295-298 da «V icwr»: Att.omo alla guerra - un premrsore della guerra moderna. La recensione sulla «Nuova Antologia» ci è stata segnalata dal dott. Marco Scardigli che ringraziamo.


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seriamente previsto l'utilizzo nel trasporto (motorizzazione) era prova di alacrità mentale e di immaginazione proiettata oltre la millenaria abitudine dei cavalli e quella quasi secolare della ferrovia. Inoltre, nell'ambito specifico della meccanizzazione ed al solo fine del giudizio d'insieme che stiamo cercando di tracciare, sarà bene distinguere tra veicoli armati ancora in gran parte legati alle strade e veicoli armati «fuori strada». Quanto ai primi, cioè alle automitragliatrici blindate, gli autocarri armati e simili, la loro utilità nei teatri europei poteva essere intuita, e in parte lo fu, nel semestre iniziale della guerra (1914) e poi ancora verso la fine della stessa nel 1918. Ali' esordio infatti la guerra.fu improntata al movimento che durò su tutto il fronte occidentale sino alla battaglia della Marna (settembre 1914) e riprese, ad auwnno inoltrato, solo verso Nord durante la «corsa al mare>>. In questo tipo di operazioni rapide nelle quali peraltro la cavalleria era messa fuori causa dalle mitragliatrici, importanti servizi potevano essere resi da armi protette e capaci di muovere speditamente anche solo sulle strade. E invero sembra proprio che alcuni successi delle automitragliatrici belghe contro le incursioni degli ulani tedeschi abbiano risvegliato l'attenzione degli stati maggiori anglo-francesi sull'utilità della nuova arma <2>. Dopodichè l'estensione dei trinceramenti e dei reticolati rese questi veicoli inservibili almeno sul fronte occidentale, mentre su quello orientale una certa mobilità rimase sempre. Non meraviglia perciò che automitragliatrici e simili tra la fine del 1914 e il 1918 inoltrato siano rimaste confinate a compiti secondari o magari adibite al tiro contraerei, salvo rare eccezioni. Può invece suscitare ragionevoli perplessità il fatto che in Italia, ancora nell'aprile del 1915 quando da sei mesi la guerra di trincea si era affermata in Francia, sia stato costituito con gravi costi un nuovo reggimento di cavalleria (30° «Palermo») che si aggiunse (2) In questo senso anche Winston S. CHURCHILL, Crisi mondialeegramieguerra 1911-1922, Milano Mondadori 1968 (edizione originale 1926) voi. I, pp. 294-295. Sulla nascita e l'impiego del Corps des Auto-Canons-Mitrailleuses belga si veda Jacques P. CHAMPAGNE, Les véhicules blindés à l'Armée Beige, Arlon Everling s.p.r.l. 1975, pp. 12-17.


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agli altri ventinove tutti assai presto destinati a lunghi turni d' appiedamento. Verso il 1918 però anche sui fronti occidentali si cominciò ad intuire la possibilità di nuove azioni di movimento. Da un lato, la situazione politico-strategica lasciava sensatamente prevedere che in un tempo non lontano i fronti sarebbero alla fine crollati: dopodichè, col superamento delle fasce trincerate si sarebbero riguadagnate le strade lungo le quali le automitragliatrici, nel frattempo perfezionate, avrebbe aiutato ad aggravare il collasso nemico. D'altro canto, recenti esperienze di ritirata (soprattutto Caporetto) avevano stimolato l'immaginazione circa il potenziale uso proficuo delle autoblindate anche per proteggere colonne in ripiegamento. Ciò spiega come mai verso il 1918 questi mezzi abbiano ricevuto un certo incremento presso tutte le potenze dell'Intesa non esclusa l'Italia. Quanto all'idea di sfruttare il motore come fattore principale di atti di guerra tendenti a produrre lo sfondamento del fronte trincerato, è provato che essa sorse piuttosto presto tanto che già nel 1916 gli anglo-francesi impiegavano i primi veicoli «fuori strada)), cingolati, protetti ed armati chiamati tank (o «carri d' assalto)); evitiamo l'espressione «carri armati)) allora usata anche per altri mezzi: vedi oltre). Senonchè per ragioni complesse ma note, e sulle quali comunque non intendiamo diffonderci ora, i tank non ottennero affatto i risultati sperati. Guadagnarono successi se paragonati a quelli della normale azione «fanteria più artiglieria)), ma non realizzarono sfondamenti risolutivi. E ciò naturalmente non aiutò l'affermarsi di quanti profetizzavano nel tank un mezzo non solo di rottura ma anche di sfruttamento del successo. In conclusione, si può dire che quanto stava divenendo parzialmente chiaro verso il terzo o quarto anno di guerra era pressochè. inimmaginabile nel 1914 allorchè l'esperienza era minima e le realizzazioni si trovavano solo all'inizio. Questo naturalmente non accadeva solo in Italia ma anche in eserciti come quello francese e inglese, espressioni di paesi a sviluppo industriale assai maggiore del nostro. Tornando all'estate 1914, per i francesi l'iniziativa venn~ dal generale Sordet che costituì a Mézières due sezioni di automitra-


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gliatrici dotate ciascuna di tre autovetture corazzate con lamiere comuni. Nel settembre 1914 furono formati i primi gruppi organici A.M.A.C. (automitragliatrici e autocannoni) ciascuno dotato di quattro automitragliatrici e sei autocannoni. Questi ultimi erano sempre le stesse macchine armate però con cannoncini a tiro rapido da 37mm prelevati dalle coffe e dalle murate delle corazzate. Al 15 dicembre 1914 l'esercito francese aveva in servizio dodici gruppi A.M.A.C. che aumentarono a diciassette nel giugno 1915 (3). Non diversamente fu per l'esercito britannico. Infatti nel settembre 1914, dopo qualche esperimento condotto dal comandante Samson, fu deciso di assegnare alcune automitragliatrici al gruppo dell'aviazione di marina con sede a Dunkerque. Queste vetture vennero impiegate per la protezione delle basi aeree, il salvataggio degli equipaggi atterrati fuori dalle linee amiche e per integrare la ricognizione aerea (4l. Tuttavia tanto le realizzazioni francesi quanto quelle inglesi erano frutto d'improvvisazione. Si utilizzavano, infatti, telai di normali autovetture limitando gli interventi alla costruzione di una camera di combattimento fatta di lamiere di acciaio comune. Il mezzo risultava quindi poco protetto e inutilmente pesante. La mobilità venne ancor più limitata dalle difese messe in atto dai tedeschi che iniziarono a scavare fossati sulle vie di comunicazione percorribili dalle au tomitragliatrici. Il palliativo inglese di dotare le macchine di passerelle per superare tali ostacoli non sortì i risultati p revisti anche per le mutate situazioni sul fronte delle operazioni: la guerra di movimento si era trasformata in guerra di trincea. Le prime esperienze belliche non fornirono altri ammaestrament1. È per esempio dubbio che i tedeschi ab biano afferrato che con affusti semoventi si sarebbero r isparmiate le fatali settimane d i ritardo dovute alle necessità di trasportare smontate le grosse artiglierie d'assedio con le quali ebbero ragione delle fortezze belghe.

(3) E. RAMSPACH ER ed altri, op. cic., pp. 18-19. Ed anche P. TOUZIN, op. cit., pp. 13-15.. (4) B.T. WHITE, British Tanks and Fighting Vehicles 1914-1945, Shcppercon Ian Allan 1970, pp. 89-90.


Il periodo della neutralità italiana

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Quanto all'Italia, possiamo prendere le mosse da quel che scrisse il gen. Montù in una sua notissima opera. L'attività della Commissione anti-aerei fu sospesa«[ ...] perchè al momento non vi era più il tempo per studiare e bisognava pertanto accontentarsi di ciò che era già stato fatto. Questo criterio, che sembrava dovesse riguardare non soltanto gli studi dei materiali contro aerei ma estendersi anche a tutti i mezzi bellici, non dimostrava una visione troppo chiara nè comprensiva di ciò che poteva essere una guerra moderna, ed il criterio stesso ebbe nel seguito la più clamorosa confutazione [... ]» (5). In effetti, come vedremo, varie industrie continuarono a studiare e sviluppare autonomamente nuovi progetti per tutta la durata della guerra. Mancò, forse, il coordinamento di questi studi che situazioni contingenti portarono poi alla realizzazione. Sembra che l'amministrazione della Guerra si preoccupasse maggiormente del problema del traino meccanico delle artiglierie del parco d'assedio e dell'organizzazione del servizio automobilistico lasciando invece all'iniziativa delle singole ditte la progettazione dei veicoli da combattimento (6) . I più rilevanti interventi dell'amministrazione militare su mezzi meccanizzati furono, durante la neutralità, quelli della Commissione ami-aerei. Questa diede disposizioni per adattare il cannone da 75/27 Krupp mod. 906 all'installazione su autocarro Itala X. Le modificazioni riguardarono sia la bocca da fuoco (otturatore a funzfonamento semi-automatico) sia l'affusto (a candeliere con culla a corto rinculo). Tale-pezzo venne preferito,«[ ... ] rappresentando una soluzione geniale che avrebbe consentito di unificare il materiale campale con quello contro aerei[ ... ]», a quello Rheinmetall su autocarro Ehrhardt, che «[... ] rispondeva meglio come cannone ed affusto [ ...]» (7).

(5) C. MONTU', op. cit., voi. XIII, p. 561. (6) A. PUGNANI, op. cit., pp. 71-87. (7) C. MONTU', op. cit., vol. Xlll, p . 559. l passi di questo documento sembrerebbero confermare la supposizione già avanzata sul calibro dei due pezzi Rheinmetall (77 e non 75).


La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

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Il 20 gennaio 1915 fu costituito a N ettuno il Reparto di artiglieria contro aerei, alle dipendenze della Commissione. Secondo Montù «[ ... ] fu provvida l'azione svolta da questo piccolo reparto perchè il 21 maggio 1915 esso mobilitò le seguenti Unità: -1 Sezione da 75/911 C [rectius: 75/27 Deport mod. 911], destinata all'Aerodromo di Campalto; 1 Sezione da 75 su autocarro (1 cannone da 75 Ehrahrdt [sic]) destinata ad Udine; -1 Sezione da 75 C. su autocarro (1 cannone da 75 C. [denominazione assegnata al pezzo Rheinmetall modificato nei congegni di puntamento dalla Commissione]) destinata all'Aerodromo di Bosco Mantico; [ ... ]»

(8).

Circa i rapporti esercito-industria nel periodo fra neutralità e primi tempi dell'intervento, sarà bene ricordare innanzitutto che, diversamente dalla marina, le forze terrestri avevano avuto significativi contatti con le imprese private solo a partire dal primo decennio del secolo in occasione del rinnovo delle artiglierie e in pratica limitatamente a questo. Era infatti tradizione che l' esercito fosse approvvigionato dagli stabilimenti della stessa amministrazione militare. Nell'estate 1914, quantunque in un primo momento il gen. Alfredo Dallolio (che era a capo della Direzione Artiglieria e Genio) tendesse soprattutto a potenziare gli stabili-

(8) Ivi, p. 563. Si notano delle differenze con quanto riportato in MINISTERO DELLA GUERRA (L'esercito italiano nella grande guerra ecc. cit., voi. I, p. 10 1). Secondo tale fonte infatti il«[ ... ) reparto di artiglieria contro aerei venne costituito a Nettuno il 20 gennaio 1915, alle dipendenze del 13° reggimento artiglieria da campagna. Esso, sulla base del materiale disponibile (3 cannoni montati su autocarri, dei quali 1 da 75 Ehrhardt, 1 da 75 C - nuovo tipo di bocca da fuoco da poco concretata dalla Commissione, e che alle prove aveva dato ris ultati soddisfacenti - ed J da 37, più 2 cannoni da 75/911 da campagna, con opportuni ripieghi resi idonei al tiro concro aerei, e 2 mitragliatrici montate su autocarri, delle quali 1 da 25 Maxim, 1 da 12 Hotchkiss), costituì 4 sezioni. Di esse 3 si mobilitarono il 21 maggio, e partirono, la 1• (1 cannone da 75 E, una mitragliatrice da 6,5 mm [reccius 8 mm Lcbel] Hotchkiss ed 1 proiettore) per Treviso; la 2• (1 cannone da 75 C ed I pròiettore) per Boscomantico; la 4' (2 cannon i da 75/911 trainati) per Campalto a protei.ione deJJ'aerodromo. La 3° (1 cannone da 37 ed una mitragliatrice da 25) non ancora pronta, doveva, non appena possibi.le, portarsi a Baggio (Milano), a protezione dell ' hangar». li brano che precede si ritrova tal quale in Gli eserciti del ventesimo secolo, voi. IV, .11ràglieria e motorizza. zione, a cura di Nicola PIGNATO, Roma Curcio 1980, pp. 21-22.


Il periodo della neutralità italiana

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menti militari, fu subito avvertita anche l'importanza di intensificare e rendere più agili i rapporti con l'industria privata. Tanto che con R.D. 4 agosto 1914 n. 770 le amministrazioni della Guerra e della Marina furono autorizzate a derogare alle norme sulla contabilità generale dello Stato per «le provviste, lavorazioni e trasporto dei generi e materiali occorrenti alle amministrazioni medesime in vista degli avvenimenti internazionali». Tale importantissima deroga, senza la quale non si potrebbe intendere il corso reale delle successive vicende, fu prevista per la sola durata di due mesi, ma venne poi via via prorogata sinchè il de_creto luogotenenziale 31 dicembre 1915 n. 1842 la dichiarò operante per tutta la durata della guerra <9). In concreto sia in fase di neutralità sia nei primi tempi del regime di «mobilitazione industriale» (luglio 1915), l'iniziativa era presa in genere dall'amministrazione militare che commetteva agli stabilimenti privati i materiali tradizionali e le poche novità. A questo andamento vi fu qualche eccezione: prima e più importante quella dei fratelli Perrone, proprietari dell'Ansaldo, che si adoperavano insistentemente per l'accettazione di particolari materiali e soluzioni e, in modo speciale, perchè l'esercito ordinasse loro autocannoni da 76 e da 102 <10). · Peraltro e in eguale misura anche la Direzione Generale Artiglieria e Genio si interessava ad acquisire nuovi materiali (automobili blindate o armate di mitragliatrici) come risulta dalla corrispondenza intercorsa con l'Ansaldo nel febbraio-marzo 1915 (doc. 4) (11l. Dal canto suo, l'Ansaldo stava costruendo una nuova auto-

(9) Vedi Paola CARUCCI, Funzioni e caratceristiche del ministero per le armi e munizioni (pp. 60-78), p. 64 e nota 12 in Staro e classe operaia in !ralia durante la prima guerra mondiale a cura di Giovanna Procacci, Milano Angeli 1983. (10) Vedi fra l'altro le lettere 3 maggio e 12 ottobre 1915 di Pio Pcrrone al gen. Dallolio pubblicate come allegati 4 e 5 in Massimo MAZZETTI, L'industria italiana nella grande guerra, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito (d'ora in poi USSME), Roma 1979. (11) Archivio Storico Ansaldo, Archivio Perrone, Serie Scatole Rosse (d'ora in poi A.S.A., A.P., S.S.R.) b.484 f.5 (allegato 4).


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

mobile blindata (12), ma le difficoltà erano molteplici: vi erano problemi nell'approvvigionamento dei telai e delle lamiere per la corazzatura come risulta dalla corrispondenza (doc. 5) <13). Quanto in particolare alle lamiere imperforabili, scriveva nel 1915 Carlo Ederle che «[ ... ] tali acciai speciali non può ancora procurare l'industria in lavorazione corrente ed a prezzi economici» (14), Tale apprezzamento è contenuto in un articolo oggi importante perchè illustra la probabile opinione militare di allora sulle automitragliatrici (15). L'impiego previsto non era quello vagheggiato dall'articolista di «Tripoli e Cirenaica» (sostitutivo della cavalleria) e neppure quello richiesto dalla Libia (protezione delle autocolonne) ma soprattutto l'offesa «[... ] anche contro aerei». Su queste linee, tutt'altro che originali in Europa, prendevano forma i primi tentativi italiani di meccanizzazione.

(12) Secondo Eligio JOTTI NERI (TOTTI DA BADIA POLESINE), Combattenti al volante, Milano s.e. 1941, p. 57] il progetto fu opera dell'ing. Guido Corni già ideatore (secondo la medesima fonte) della citata Bianchi 30 hp. Non esiste alcuna conferma nell'Archivio Ansaldo di rappor· ti con l'ing. Corni nel periodo in oggetto. Le prime offerte di collaborazione del Corni ali' Ansaldo avvengono nel 1918 (v. più oltre). Lo JOTTI riproduce (senza citazione di fonte) passi da MINI· STERO DELLA GUERRA (L'esercito italiano ecc. cit), relativi all'uso di autoblindomircagliarrici (cfr. p. 55 e «L'esercito italiano ecc. cit., voi. II, pp. 12-13). (13) Riportiamo in allegato 5 alcuni significativi documenti in A.S.A., A .P., Serie Scatole Nu· meri Blu (S.S.N.B.). (14) Carlo EDERLE, Artiglierie semoventi, in «Il Politecnico», anno 63, n. 20 31 ottobre 1915, pp. 609-630. (15) È significativo che ditte quali la Bianchi pubblicizzassero i propri prodotti come in grado di inseguire anche gli aeroplani.


Capitolo 4

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Categorie di mezzi Il lento e limitato processo di meccanizzazion~ interessò due armi del nostro esercito. Anzitutto la fànteria, che adottò le automitragliatrici e si preparò, verso la fine della guerra, ad assorbire i carri armati veri e propri chiamati allora carri d'assalto. Infatti, secondo definizioni proposte da una pubblicazione della Scu~la di Guerra nel 1921, sotto la denominazione «carri armati» si compresero le automitragliatrici e i carri d'assalto nonchè le motomitragliatrici e gli autocarri armati. Poi l'artiglieria «pesante», che, come informa la stessa pubblicazione, «[ ...] si accrebbe di una nuova sottospecialità e cioè dell'artiglieria autocampale (102 e 105) [ ...]». Quanto all'artiglieria contraerei, specialità che all'entrata in campagna non esisteva come tale (quantunque sappiamo che per essa era stata istituita un'apposita Commissione), precisa la medesima fonte: «[ ... ] vennero introdotte in servizio apposite bocche da fuoco atte anche a celeri spostamenti (cannone da 75 C.K. su affusto speciale) [... ]» Ol. Com'è intuitivo, le tre categorie di mezzi non si svilupparono ignorandosi l'un l'altra, ma anzi la reciproca interazione fu pressochè continua sia per la frequente identità soggettiva di chi forniva sia perchè le tumultuose necessità belliche non potevano che so. . . vrappors1 e mtersecars1.

(1) SCUOLA DI GUERRA (ma C. MANZONI e A. RJCAGNO), Evoluzione organica dell'esercito italiano prima e durante la grande guerra, Pinerolo Tipografia Sociale 1921, pp. 41, 44 e 45. ·


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Pertanto solo a fini di chiarezza espositiva tratteremo separatamente di queste tre principali categorie di mezzi: le automitragliatrici, i carri d'assalto e i cannoni autocampali o autocannoni · mentre in modo più incidentale sarà detto dei contraerei. Lungo l'esposizione, magari talvolta a costo di parziali ripetizioni, cercheremo di dare al lettore le indicazioni per i collegamenti necessari.

Rapporti esercito-industria (cenno)

Ricordiamo che con l'organizzazione della «Mobilitazione industriale» (luglio 1915), l'interlocutore militare dell'industria bellica divenne il sottosegretariato per le Armi e Munizioni dal quale dipendevano la Direzione Generale d'Artiglieria e Genio nonchè l'Ispettorato generale per Le Costruzioni d'Artiglieria, il che peraltro non impediva che contatti interlocutori e rapporti operativi si stabilissero anche con altri enti militari. Sottosegretario fu il gen. Alfredo Dallolio. Questi, che fra il luglio 1915 e il giugno 1917 era anche presidente del Comitato Centrale di Mobilitazione Industriale, divenne ministro allorchè, nel giugno 1917, il sottosegretariato si staccò dal ministero della Guerra per divenire esso stesso ministero per le Armi e le Munizioni. La struttura del nuovo dicastero si articolata in sette settori e cioè in quattro «servizi» («generali», «tecnico armi e munizioni», «mobilitazione industriale» e «amministrativo») e in tre direzioni generali («di Artiglieria», «del Genio>> e «Aeronautica»). Sembra però che in concreto tale articolazione desse luogo a non meno di una quarantina di uffici. Dallolio si dimetterà il 14 maggio 1918 a seguito di vicende che non interessa rievocare in questa sede ma che s'inquadrano nell'urto fra il generale e altri organismi statali fra cui principalmente il ministero del Tesoro, retto da Nitti e spalleggiato in questo caso dai fratelli Ferrone. Il ministero per le Armi e le Munizioni dopo un periodo in cui fu retto ad interim dal gen. Vittorio Zupelli (già ministro della Guerra nel 1914-16) sarà soppresso il 15 settembre 1918. In suo luogo verrà istituito un Commissariato Generale per Le Armi e Munizioni presso il Mi-


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nistero dei Trasporti il quale pertanto sarà ridenominato ministero delle Armi e dei Trasporti. Solo nel primo dopoguerra (24 novembre 1918) i servizi del Commissariato torneranno al ministero della Guerra (2l. Se questi, in sintesi, furono gli interlocutori militari dell'industria privata lungo i quattro anni di guerra, rammentiamo ancora una volta che le «regole del dialogo» erano state profondamente alterate ancor prima della nascita della «mobilitazione industriale)). Infatti, come sappiamo, con R.D. 4 agosto 1914 n. 770 le forniture belliche erano state sottratte al controllo della Corte dei Conti ed avvenivano normalmente con lo spicciativo sistema della «licitazione privata» o addirittura ad «economia». Osserva la Commissione parlamentare d'inchiesta per le spese di guerra: il sistema, cosl generalizzato, di non redigere contratti regolari, ma di limitarsi all'accordo anche verbale, per dar corso senz'altro all'esecuzione, se spesso potè essere spiegato e giustificato dalle necessità pressanti della guerra, indubbiamente in molti casi fu cagione di abusi e di frodi con gran pregiudizio finanziario dello Stato (3) _

A questi sensati rilievi della Commissione, va aggiunto il fatto, anch'esso riscontrabile più o meno esplicitamente nel seguito dell'esposizione, che, come scrive Luciano Segreto in un suo recente lavoro, non fu possibile ovviare alle deficienze tecniche dell'industria in quanto sia il Comitato Centrale sia i Comitati Regionali della Mobilitazione Industriale erano tenuti a «non intralciare in alcun modo il libero e retto funzionamento degli stabili(2) R inviamo, fra l'altro, a: Vittorio FR.A.NCHINI, La mobilitazione industriak dell'Icalia in guerra, Roma 1932 (raccolta della serie di articoli comparsa in «Esercito e Nazione» 1929-30); Alberto DE STEFA N I, Legislazione economica della guerra, Bari-New Haven Laterza 1932; Luigi EINAUDI, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari Laterza 1933. Fra i vari contributi più recenti ricordiamo specialmente: Alberto MONTICONE, Nitti e la grande guerra, :Milano Giuffrè 1961, pp. 200-253; Vincenzo GALLINARJ, Il generale Alfredo Dallolio nella prima guerra rnondiale in «Memorie storiche mi litari», Roma USSME, 1977, pp. 109-142; Loredana MASCOLINI, Il Ministero per le amzi e rn.unizioni 1915-1918 in «Storia contemporanea» n. 6, 1980 pp. 933-965; Luciano SEGRETO, Anni e munizioni. Lo sfimo bellico trtl speculazione e progresso tecnico in «Italia contemporanea» n. 146-147, 1982, pp. 36-65; Anna Maria FALCHERO, Banchieri e politici: Nitti e il gruppo Ansaldo-Banca di Sconto Idem, pp. 67-92; P. CARUCCI, fon· zioni ecc. in Stato e classe operaia ecc. cit. specie pp. 69-77. (3) CAMERA DEI DEPUTA TI, Relazioni della Commissione parlamentare d'inchiesta per le spese di guen·a, Roma, Tip. Camera dei deputati 1923, voi. II, p. 76.


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menti» (4)_ Norme ed avvertimenti forse indispensabili, che ebbe. ro probabilmente risultati più positivi che negativi (soprattutto se pensiamo in termini di quantità prodotte) ma ai quali va tuttavia ricondotto il fatto che, come vedremo, gli organismi militari furono troppo spesso costretti ad accettare robuste partite di mezzi di cui già conoscevano ed avevano energicamente rilevata la scarsa o nessuna idoneità.

I <(Carri armati» a) Auto e motomitragliatrici Dalla documentazione già citata (doc. 4) nonchè da varia corrispondenza successiva (doc. 5, vedi soprattutto lettera Ansaldoministero del 14 giugno 1915), risulta che, ancora prima dell' inizio delle ostilità, l'Ansaldo aveva in preparazione trenta automitragliatrici di cui solo venti coperte da ordinazione ministeriale. Le «automobili corazzate» in costruzione non differivano nell'aspetto da quelle già viste. Adottavano anch'esse il telaio di un autocarro già in servizio presso il Regio Esercito (il Lancia lZ) su cui veniva installata una camera di combattimento fatta con lamiere piane imbullonate. L'armamento era costituito da tre mitragliatrici Vickers Maxim 1911 disposte in due torrette sovrapposte indipendenti per garantire la difesa su ampi settori di tiro. Anteriormente vi erano due lunghe lame taglia-reticolati, mentre due parafanghi blindati che coprivano buona parte delle ruote, proteggevano i pneumatici anteriori. Taluni di questi dispositivi crearono più problemi di quanti non ne risolvessero. I parafanghi blindati, ad esempio, erano di ostacolo nella marcia su terreno fangoso e furono eliminati o sostituiti presso i reparti con altri di tipo convenzionale. Inoltre, l'inusitata sistemazione delle torrette elevava inutilmente il baricentro del mezzo peggiorandone la stabilità trasversale.

(4) L. SEGRETO, Armi e munizioni, ecc. cit., pp. 35-36.


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La modesta fornitura subì parecchi ritardi sia per la mancanza di mitragliatrici sia per inconvenienti sorti nei trattamenti termici delle lamiere blindate. A metà giugno 1915 si prevedeva il seguente piano di consegna: [...] n. 2 automobili entro giugno n. 3 automobili entro 10 luglio n. 5 au tomobili entro 25 luglio n. 10 automobili entro 10 agosto, subordinatamente afla tempestiva consegna dell'armamento [...) (doc. 5) <5>.

Nel contempo Pio Perrone aveva dato ordine di «[ ...] preparare l'automobile in soprannumero blindandola con le lamiere da mm. 6,5 del tipo invulnerabile che è l'ultimo trovato [...]» (6) delle acciaierie. La vettura era stata richiesta dal generale Dallolio e Pio Ferrone supponeva che fosse destinata ai «capi supremi». Sempre in tema di automitragliatrici, è molto interessante quanto scrisse il comandante del deposito del 1° reggimento di artiglieria da fortezza al comando di artiglieria di Genova. Il ten. col. Malvicini, nell'imminenza della consegna delle prime quattro macchine Ansaldo ed «[... ] avendo già una parte del personale qui aggregato a questo scopo ricevuta l'istruzione preliminare per l'impiego delle stesse [...]» (7), suggeriva di far seguire le automitragliatrici durante !.'impiego «[...] da un camion ogni due. Questo Comando [sic ma camion] oltre ai materiali di consumo su accennati (olio, benzina, gomme ecc.) dovrà servire da vero cassone trasportando le munizioni». Il Malvicini, dopo aver sottolineato come gli autocarri già in servizio non potessero essere «proficuamente adoperati», proponeva di far costruire dei mezzi studiati secondo i seguenti criteri: 1) dotarli di una velocità eguale a quella delle automicragliat rici per poter sempre mantenere il contatto e<l accorrere ad esse ad un semplice richiamo; 2) ridurre al minimo il trasporto dei pezzi <li ricambio, costruendoli dello stesso tipo e della stessa marca delle automitragliatrici, dimodochè in caso di bisogno urgente possa il camion cedere i pezzi necessari sacrificandosi se occorre;

(5) A.S.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 5. (6) A.S.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 7. (7) A.S.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 3. Un errore di stampa è presente in MINISTERO DELLA GUERRA L'esercito italiano ecc. cic. vol. Il, p. 19 ove si legge che l'istruz ione del personale fu affidata al comando del deposito del 1° reggimento di artigl ieria da campagna. La scessa fonte, che peraltro reca calune ·notevoli imprecisioni, informa che il personale istruito proveniva dall'artiglieria.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano 3) proteggerlo con fianchi blindati per permettergli di raggiungere, nel caso di bisogno, l'automitragliatrice impegnata ed impossibilitata a muoversi portandole quei soccorsi d'uomini e di rifornimento che potessero occorrerle.

È importante sottolineare come alcuni militari già intendessero l'impiego tattico dell'automitragliatrice: pur nei limiti tecnologici dell'epoca si iniziava a pensare a quello che oggi si definirebbe «sistema d'arma» autonomo, ovvero ad un'arma che richiede, per l'ottenimento di un risultato tattico, l'appoggio «dedicato» di al. . tn mezz1. La capacità offensiva del mezzo era limitata dalla corazzatura costituita con lamiere per «calderai», cioè acciaio comune trattato termicamente così da aumentarne un poco la resistenza alla perforazione. Peraltro abbiamo già visto che era stata studiata l'utilizzazione di piastre di acciaio legato al nickel-cromo ben altrimenti resistenti. Il 30 giugno 1915 cinque automobili blindate di tal tipo furono offerte dall'Ansaldo alla Direzione delle officine costruzioni artigJieria al non trascurabile prezzo di L. 40.000 ciascuna: [ ... ] ar mamento, rifornimento e pezzi di ricambio esclusi. La consegna verrà effet tuata: per la prima macchi na, dopo due mesi dalla firma del contratto, e le rimanenti quattro nei 20 giorni successivi. Tali date sono subordinate al fatto che ci siano fornite subito le pallottole affusolate di acciaio, già da tempo richieste, destinate alle prove delle lamiere <8>.

Le vetture proposte erano identiche nell'aspetto alle venti in costruzione ma a fronte di un aumento di peso di circa 1000 kg potevano resistere al tiro di una pallottola affusolata sparata a 100 m da un fucile mod. 1891 ed erano invulnerabili alle pallottole ordinarie. Dopo le esperienze condotte in Francia ed in Prussia alla fine degli anni '90, anche in Italia si erano adottati proiettili dalla forma tronco conica ogivale, detti «appuntiti» o «affusolati», nel tentativo di migliorarne la penetrazione negli scudi riducendo la resistenza incontrata dalla pallottola nell' aria.

(8) A.S.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 11. MINISTERO DELLA GUERRA L'esercito italiano ecc. cit. vol. II,. p. 123 presenta i dati tabulari di questa versione (costru ita nel 1917 come vedremo) attribuendoli ai mezzi in dotazione nel 1915.


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Il successivo 20 luglio 1915 la Direzione Generale di Artiglieria e Genio autorizzava il Comando d'artiglieria da fortezza di Genova a prendere contatto con l'Ansaldo per la progettazione e la costruzione dei camion blindati di supporto alle automitragliatrici. Il cap. Gherardi, aiutante_maggiore del 1° reggimento, riceveva l'incarico di collaborare con i tecnici della ditta nella stesura del progetto <9>. Intanto, la costruzione delle prime venti automitragliatrici procedeva a rilento: ai problemi già visti si aggiunse quello della mancanza dell'armamento. Data la nota scarsità di armi automatiche (io) l'amministrazione militare offrl all'Ansaldo, in tempi successivi e come vedremo, delle mitragliatrici Maxim_Dreyse che erano state sequestrate a bordo del piroscafo «Bayern» e poi delle Fiat Revelli, le une e le altre in luogo delle Maxim 1911 previste in contratto. Ricordiamo che le Vickers Maxim 1911 utilizzavano il medesimo proiettile del fucile mod. 91 come le Fiat Revelli, mentre le Maxim Dreyse erano di calibro 6,8mm. La risposta dell'Ansaldo non si fece attendere: [...] per guadagnare tempo ci permettiamo suggerire di chiedere alla Regia marina le mitragliatrici Maxùn 1911 occorrenti consegnandole in cambio queUe del Bayern il che permetterebbe di avere un munizio namento unico per le venti automitragliatrici identico a quello della fanteria ( t 1). ·

Un successivo tentativo del ministero della Guerra di far utilizzare le Maxim Dreyse o le Fiat Revelli cadeva nel vuoto. Facendo riferimento al contratto, l'Ansaldo ribadiva che [ ...] all'art. III si parla precisamente di mitragliatrici Maxim 1911 [ ...) mentre ora l'adattamento di altre ar mi richiede non lievi lavori i quali oltre a presentare un carattere di ripiego importano una spesa no n indifferente che naturalmente non potrebbe restare a nostro carico. Delle due mitragliatrici indicateci Fiat Revelli e Maxim Dreyse la Maxim Dreyse richiede minori modificazioni rispetto al tipo attuale ma per converso restano inutilizzati i treppiedi di tali armi superiori certamente ai l'vfaxim, gli apparecchi di puncainento ottico e tutte: le casse ed astucci contenenti i pezzi di ricambio e di riforni mento. Inoltre cali rnicrag]iacrici avendo calibro 6,8 richiedono un munizionamento speciale ciò che porta a degli inconvenienti d i ordine tattico e logistico sui qua li non siamo competenti a pronunciarci ma che ci sembrano ad ogni modo assai gravi. La Fiat Revelli richiede per il suo adattamento non

(9) A.S.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 3. (10) MINISTERO DELLA GUERRA, L'esercito it.aliano ecc. cit. voi. I bis allegati 31 e 33. Con le 618 mitragliatrici esistenti si erano potute armare solo 309 sezioni delle 623 previste. (11) A.S.A., A.P. 5.5.R. b. 484 f. 13.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano solo la completa modifica degli affustini ma ancora quella delle torri[...). Tali difficoltà sono state facce presenti al Comando Supremo in occasione della consegna in Udine della prima aucomitragliatrice. L'ufficio tecnico di cale comando convinto della serietà delle obiezioni da noi mosse ha fatto sua la proposta di passare alla R. Marina le mitragliatrici del «Bayern» [...] ottenendone in cambio altrettante Maxim. Ci risulta che S.E. Cadorna ebbe a con.ferire in tal senso con S.E. Thaon de Revel ma ignoriamo le decisioni prese ( ...) (doc. 6) (12).

Queste argomentazioni dell'Ansaldo, di per sè non illogiche e apparentemente ispirate solo a lodevoli sensi di economia patriottica (non rompere l'unità del munizionamento, non essere costretti ad aumentare i prezzi per lavori extra, evitare la dispersione di pezzi di ricambio, astucci e apparati ottici delle armi Dreyse) si colorano anche di significati diversi se messe in rapporto con quanto emerge da altri documenti. Le armi Fiat non erano gradite, oltrechè per le ragioni esposte alla Direzione genovese d'artiglieria (doc. 6), anche per il seguente motivo esternato tre giorni dopo da Pio Perrone al proprio stabilimento: (... ] in proposito deb bo farvi notare che la Fiat desidera forse far applicare le sue mitragliatrici e con una scusa q ualsiasi mandare qualche rappresentante per conoscere bene a fondo le nostre automobili. State attenei a questo riguardo; sarebbe anzi bene insistere per ottenere le mitragliatrici Maxim [...] ( 13).

Del resto è già nota agli studiosi l'opinione espressa in una lettera del 3 agosto 1915 dal ministro della Guerra gen. Zupelli al Comando supremo secondo la quale l'attivismo dei Perrone non era frutto di un giusto dosaggio tra interessi imprenditoriali e patriottismo: La ditta Ansaldo e C. ha adottato un sistema che è quello di mandare dei promemoria a quattro o cinque alte autorità compresa Casa Reale per uno stesso argomento - dopo aver parlato negli uffici del Ministero, tanto per darsi maggior importanza, per cui il Ministero mentre sta provvedendo riceve da tutti i lati raccomandazioni, comunicazioni, preghiere, inviti - e l'argomento è sempre lo stesso - spesse volte già esaurito. Il sistema del comm. Perrone se fosse seguito[...] porterebbe ad inconvenienti gravissimi sui q uali non è il caso di insistere [... ] inoltre il tentativo di volersi creare una situazione privilegiata tipo Krupp, Schneider, Skoda no n è da approvarsi tanto più conoscendo i metodi pei quali ha incl ina:L.ione. [ ... ] Per esempio circa le mitragliatrici mod. 1911 leggere, il comm. Perrone sapeva be-

(12) A.S.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 13. R iportato in doc. 6. (13) A.S.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 13.


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nissimo che non ce ne erano disponibili, tuttavia ne ha parlato, ha scritto al Ministero, ed ha fatto arrivare da diversi lati la stessa corrispondenza per avere sempre la stessa risposta ( ... ) (14)_

Astraendo dagli apprezzamenti del ministro della Guerra, l' Ansaldo aveva tutte le ragioni di preoccuparsi della concorrenza che già allora, anche nel ristretto campo delle automitragliatrici, era 1 • ,,en attiva. Infatti la Fiat aveva allo studio una automitragliatrice sul telaio di autocarro 18M <15). Mentre alla Z ust l'ing. Fuscaldo aveva progettato una originale «autoblinda sul principio a rombo)) circa la quale l'inventore scriverà anni più tardi che «la Zust non seppe presentarla all'autorità Militare» (16l. La Bianchi aveva costruito una nuova automitragliatrice e sullo stesso autotelaio il barone De Marchi ne aveva progettata un'altra cui aveva posto il nome di «Pallanza». Così scriverà il De Marchi nel 1918: Il sottoscritto[ ...) nell'a nno 1915 e precisamente nel mese di giugno, quantunque senza obblighi di leva, appartenendo alla classe 1875, venne dal!' America in Italia per arruolarsi nel Corpo dei volontari automobilisti. Nel contempo ideò la costruzione di un'automitragliera per poter con essa prestar servizio. Infatti, esposta la idea al Sottosegretario per le Armi e Mu nizioni S.E. il Generale Dallolio ne ottenne la approvazione e gli fu facilitata dal medesimo la compera dalle Acciaierie di Terni delle lamiere d'acciaio al nichelio per la costruzione del prefato ordigno di guerra. Gli furono pure date in consegna 2 mitragliatrici Maxim e una dotazione di 30.000 cartucce [...] (i7)_

Tornando alla fornitura Ansaldo, solo ai primi di settembre la casa genovese inoltrò l'offerta per i 1O «autocarri blindati» sollecitati, come si ricorderà dal col. Malvicini. Dopo aver lamentato «[...] l'aumento notevolissimo per tutti i materiali (ad esempio i ferri profilati costano oggi il 100% di più di quanto costavano 6 mesi fa)[ ... ]» e che «[ ...] la acuitasi deficienza di manodopera ne ha diminuita l'efficienza ed aumentato il (14) Jv!. MAZZETTI, op. cit. all. n. 7, attribuisce la lettera firmata «Zupelli,, al gen. Dallolio. (15) Archivio Centro Storico F iat (d'ora in poi A.C.S.F.), album fotografici. Esistono immagini fotografiche del modello «al vero» del veicolo. (16) Così si esprime l'ing. Fuscaldo in un promemoria del 1942 relativo all'autoblindo «Vespa» Caproni, ma nel quale sono ricordate le vicende dei suoi precedenti progetti. Archivio Musco Caproni Roma (d'ora in poi A.M.C.Ro.) busta «Fuscaldo, l'autoblinda «Vespa» Caproni. (17) AUSSME, O.M. b. 239.


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costo [... ]», la ditta concludeva che non le era possibile offrire i camion richiesti ad un prezzo inferiore alle 27.000 lire, con consegne a partire da tre mesi dalla firma del contratto. Gli autocarri avrebbero utilizzato lo stesso telaio delle automitragliatrici così come per la blindatura si sarebbero impiegate lamiere di tipo identico a quelle Ansaldo 1Z. Mancava tuttavia l'impianto elettrico (dinamo, fari e messa in marcia automatica) per cui era previsto un sovrapprezzo di 1.400 lire <18) . Il col. Laurenti, vicedirettore delle Officine Costruzioni di Artiglieria, apportò alcune modifiche sia al mezzo proposto sia allo schema di contratto e solo a fine novembre venne presentata l'offerta definitiva per 10 autocarri C.P.l (Camion Protetto 1) (19l. Un analogo mezzo veniva adottato in Libia. A Bengasi in occasione della rivista dell' 11 novembre 1915, sfilavano le due automitragliatrici Fiat Arsenale assieme ad almeno un Fiat 15 Ter protetto per trasporto truppe <20>. Non è noto se la trasformazione fosse stata effettuata direttamente in colonia. Comunque, e incidentalmente tutto ciò prova che soprattutto in Libia era sentito il problema della meccanizzazione (21>. A fine 1915 l'Ansaldo aveva consegnato solo 7 automitragliatrici, mentre le rimanenti 13, prive di armamento, dovevano essere dotate di armi Fiat. Alla richiesta della ditta per un maggior compenso in relazio(18) A.S.A., A.P . S.S.R. b. 484 f. 3. (19) A.5.A., A.P. S.S.R. b. 484 f. 1. (20) Le d ue autom icragliacrici sfoggiavano una nuova torretta. Non crova con ferma quanto scrive i'ENCICLOPEDIA MILITARE (voce autoblindomitragliatrice) sostenendo che «in Italia furono dapprima usaci autocarri 15 cero 18 BL. muniti di scudi e recanti una o due mitragliatrici che sparavano attraverso feritoie praticate negli scudi». È questo l'un ico esempio trovato e l' impiego fu solo in colo nia. (21) Qualche anno dopo «[ ...J il comitato nazionale invenzioni d i guerra ist ituito a '.Mi lano con le adesioni delle LL.EE. il ministro Del Bono, l'on. C. Nava ed il ten. gcn. C leto Angclucci, pubblicava queste parole nella sua «relazione programma»: «Se il governo italiano avesse fatto costruire delle aucomitragliatrici corazzate più leggere delle due regalategli da Milano, come le auromitraglitrici inglesi a Solu m, avrebbe avuto il domin io del deserto, risparmiato centinaia di mil ioni, migliaia di vite umane e forse ev itata la ribellione in Libia (... J,,. Così Decio SCOGNAMJGLIO,

Auromobile blindata leggiera armaca sua convenienza ed uso in servizio delle truppe celeri e nell'azione coloniale in relazione alla sitr.tazione politica militare odic>rria, l 5 nov. 19 18 manoscritto in A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 562 f. 8. Un mezzo bl indato per uso colon iale veniva presentato dalla Chiribiri alla (segue nota)


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ne agli adattamenti da apportare alle torrette, la Direzione della officìna di costruzione d'artiglieria comunicava il 13 gennaio 1916 che «[...] le automobili blindate ancora sprovviste di armamento dovranno essere armate con mitragliatrici mod. 1911 tipo Maxim [...]» e che quindi non occorreva più la stipulazione di un contratto addizionale <22). Alla esigua dotazione di mezzi blindati si aggiunse la Bianchi «Pallanza» che venne donata ali' esercito il 20 gennaio 1916 «[ ... J essendo stata in tale data benedetta da S.E. il cardinale Ferrari di Milano, nei locali dell'Automobile Club, in presenza di S.E. il comandante il Corpo d'armata di Milano [...]» (23l. Le automitragliatrici vennero in buona parte adibite alla difesa controaerei di alcune città con risultati non noti, ma presumibilmente molto modesti (24l. Solamente il 6 giugno 1916 il Comando supremo decideva di radunare le automitragliatrici esistenti e di inviarle in zona di guerra. Erano a disposizione a quell'epoca le 20 Ansaldo, l'Isotta Fraschini e la Bianchi regalate a suo tempo dall'Automobile Club di Milano ed altre due Bianchi (la «Pallanza» e l'altra costruita nel 1915). Fu così disposto di costituire tre squadriglie: [...) la 1• (5" armata), composta da 6 macchine Ansaldo (3 sezioni) ed una di r iserva tipo Libia la 2a e la 3• (1 • armata), composte ciascuna di 6 macchine Ansaldo (3 sezioni) ed una di riserva. segue noca (21) mostra aeronautica di Tal ideo del 1919, così descritto dall'ingegner Pier Carlo BERGONZI sulle colonne della rivista «Nel cielo» (anno III , n. A 14, 25 luglio 1919, p. 218): «Che esponesse motori ci aspettavamo la casa Chiribiri di Torino. Invece questa Casa, che è veramente una delle glorie. della nostra pezzente aviazione d' ancegurra, dello sfortunato lavoro di quel ccmpo, non espone che alcune brutte fotografie e fa strabiliare il pubblico con la esposizione di un Tank d 'assalto per ardici, trasformata in autocolonialc blindata che p er il pubblico ci sembra un po' il canard delle automobili». (22) A.S.A., A.P., S.S.R., b. 601 f. 4. (23) AUSSME, O.M.b. 239 cit.. Ma anche ~L'illuscrazi<me italiana,,, anno XLlll n. 5, 30 gennaio 1916, p. 110. (24) La «Pallanza», ad esempio, fu adibita alla difesa di Milan.o e di Cassano d'Adda dal l 0 aprile al 31 maggio 1916 (AUSSME, O.M.b.239 cit.).


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano Nel luglio si cominciaro no ad allestire due altre squadriglie, la 4" e la s•, composte di due sezioni ciascuna ed una macchina di r iserva, e che vennero assegnate rispettivamente alla 2• e 4• armata. Fino al termine del 1916 non furono costit uiti altri reparti (25).

Nell'agosto 1916 iniziarono le trattative per una nuova fornitura di altre 17 automitragliatrici da parte dell'Ansaldo. La ditta si affrettò a comunicare che [ ...] nel merito dei risultati di commessa conseguiti con la costruzione de!Je prime venti automitragliatrici, ci pregiamo di confermare che la valutazione delle dette aucomitragliatrici fatta in sede di contratto è da ritenersi assolutamente erronea. L'errore - dovuto in gran parte al presupposto che la lavoraz ione delle lamiere scudo sino allora a noi assolutamente sconosciuta non fosse dissimile da quelle delle lamiere ordinarie - -condusse la nostra ditta ad un disimborso di L. 300.000 (...] <26}.

Al che rispose il gen. Dallolio: [...] l' ufficio aministrativo del Sottosegretariato alle Armi e Munizioni [...] fa conoscere che crede di avere argomenti sufficienti per contestare a codesta ditta le proprie deduzioni in ordine ai prezzi delle lamiere scudo delle automitragliatrici commesse [ ...] <27J.

Nonostante l'accordo economico fosse ancora lontano i Perrone diedero egualmente ordine di preparare le 17 automitragliatrici. Questa nuova serie di mezzi manteneva la soluzione a due torrette, ma erano stati modificati i parafanghi (di tipo normale non blindato) e la corazzatura del radiatore e del cofano. Per ovviare alla mancanza di armi l'Ansaldo si rivolse alla inglese Coventry-Laird ottenendone tuttavia un rifiuto. Le armi così richieste erano di calibro .303, ovvero 7,7mm, e ciò fa pensare che la necessità di unificazione già suggerita dall'Ansaldo non fosse considerata importante. Quando però in ottobre la Coventry offrì 50 mitragliatrici, di cui 20 pronte alla consegna, furono questa volta i Perrone a r ifiutarle (28 ). (25) MINISTERO DELLA GUERRA, L'esercii.o ita/ùmo ecc. cit., voi. II tomo 1° p. 20. La Isotta Fraschini viene indicata come tipo Libia nei diari storic i della 3 a squadr iglia auto mitragliatrici. Con tale denominazione vennero poi chiamate d iverse aucomitragliatrici coloniali quali le Fiat Arsenale. Si riportano in doc. 7 le circolari n. 24437 e n. 29500 che stabiliscono l'organico delle squadriglie (da COMANDO SUPREMO, Raccolta delle disposizioni in vigore per l'esercito mobiliiato, terzo gruppo circolari di tarattere organico, s.l. Laboratorio Tipo!itografico del Coman· do Supremo s.d.). (26) A.S.A., A.P., S.S.R., b. 601 f. 4. (27) lvi. (28} A.S.A., A.P., S.S.R., b. 601 f. 7.


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Gli stabilimenti dell'Ansaldo, ed in particolare le «Fonderie ed acciaierie)), erano carenti di ossigeno per il taglio dei bidoni necessari per la costruzione delle lamiere scudo. Con i metodi già lamentati dal gen. Zupelli, furono fatte pressioni al sottosegretariato Armi e Munizioni, all'Arsenale di Torino, alla Direzione tecnica d'Aviazione di Torino, alla Commissione Requisizione O ssigeno di Milano e anche alle ditte produttrici per ottenere la quantità di gas occorrente. A nulla valse il richiamo della Società Italiana Ossigeno che ricordava come le assegnazioni di materie prime venissero stabilite dalla Commissione militare di collaudo. Dalla corrispondenza intercorsa tra i direttori degli stabilimenti Ansaldo e i fratelli Ferrone, si apprende che si iniziarono a fare presso la Commissione di collaudo «vive ed insistenti pratiche per essere riforniti in misura sufficiente» <29l. L'Ansaldo si proponeva di soddisfare la nuova fornitura di automitragliatrici utilizzando in buona parte i telai giacenti presso i propri stabilimenti. Infatti con la circolare 29500 (doc. 7) si stabilì di utilizzare dei normali autocarri Lancia lZ per i rifornimenti, annullando la commessa per i 10 C.F.1. Così Pio Ferrone si rivolgeva al gen. Dallolio in data 25 settembre 1916: [ ...] 10 di queste [macchine ordinate] verranno momace sugli chassis ri nforzati destinati ai camions protetti ord inatici a suo tempo dall'On. Direzione officine costruzione artiglierie di Genova, 5 sugli chassis destinati ad altrettante aucomitragliatrici richiesteci a suo tempo da codesto On. Soccosegretar iaco: due su chassis di riserva dei quali disponiamo presentemente.

[...] In merito al prezzo di q ueste automobili bli ndate non può per ovvie ragioni assumersi come base quello p~ttuito per Je prime 20 da noi costruite. Rammenterà !'E.V. che per queste ultime ci fu dall'E.V. indicato il prezzo d i aggiudicazione siccome quello che avremmo dovuto accettare perchè codesta On. Amministrazione potesse indursi ad affidarc i la commessa. Q uel prezzo accettammo per deferenza verso I' E. V. se non chè sino allora noi ignoravamo le difficoltà pertinenti alla lavorazione delle lamiere scudo, in quanto rammenterà ]'E.V. che il primo esemplare da noi costruito fu costruito con lamiera ordinaria. Le risultanze della prima commessa furono purtroppo disastrose: tanto che essa si chiuse con una perdita di oltre 300.000 lire. In considerazione delle ragioni esposte e di q uelle che riflettono l'aumento, verificatosi per t utti i materiali ed in special modo di quelli speciali richiesti dalla cost ruzione in parola [lamiera scudo] di cui è universai meme noto la fantastica scesa [sic] di prezzo, noi offriamo le 12 automobili blindate al prezzo di lire 65.000 cadauna e le cinque su chassis rinforzato al prezzo di lire 66.000 cadauna[ ...] (3o)_ (29) A.S.A., A.P., S.S.R., b. 601 f. 4. (30) Ivi.


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Non sono note le conclusioni dell'ennesima disputa economica fra Ansaldo e il Sottosegretariato tuttavia le 17 automitragliatrici vennero costruite e consegnate prima di Caporetto. In tre anni di guerra il Regio Esercito si era, quindi, dotato di 39 automitragliatrici (20 Ansaldo + 17 Ansaldo + 2 Bianchi di cui una donata dal De Marchi). Il moderato entusiasmo del Comando supremo nei confronti di questi mezzi può trovare molteplici spiegazioni; ne ricorderemo alcune: - le mutate caratteristiche della guerra; - gli intrinseci limiti dei mezzi adottati (scarsa protezione, sagoma troppo vistosa e «possibilità di movimento fuori dalle strade limitata a pochi casi favorevoli») (31); - l'adozione da parte degli avversari di adeguati ostacoli lungo le strade. L'esercito austro-ungarico stesso ritenne di scarsa utilità l'uso di mezzi blindati sul fronte italiano. Non sappiamo quale reale influenza abbia potuto avere l'avversione verso questi mezzi attribuita all'imperatore Francesco Giuseppe da alcuni autori di lingua inglese (32). Tuttavia sembra che nel 1917 l'esercito austriaco disponesse sul fronte italiano di solo 4 automitragliatrici (2 Junovicz, una Romfell ed una Austin di preda bellica), (33) ma non ci è noto il loro utilizzo. Si diffuse l'opinione che l'uso delle automitragliatrici fosse vantaggioso nelle sole operazioni di polizia od in quelle coloniali. Contribuirono non poco i successi ottenuti dalle batterie inglesi L.A.M. (Light Armoured Motor) nella campagna d'Egitto e di Palestina. (3 1) L'opinione è condivisa da tutti gli autori del periodo. Riprendiamo la frase da Arnaldo MAZZA, Armi-Esplosivi-Artiglierie Puntam~nr.o e tiro, Torino Tipografia Sociale Torinese 1929,

p. 333. (32) Al proposito si veda Christopher F. FOSS, Tanks and fighting vehicles, Londra Salamander 1977, p. 10 e Barth H. VANDERVEEN, Army vehicies directory to 1940, Londra Warne 1974 p. 25. Sembra che alla presentazione della automitragliatrice Ausrro-Daimler dei cavall i si imbizzarrissero disarcionando alcuni generali. Tutto questo avven iva nel 1906 e si dice abbia causato l'abbandono di questa vettura a quattro ruote motrici di concezione molto avanzata. (33) W.J. SPIELBERGER, Kraftfahrz.euge und panzer des osterreichischen heeres 1896 bis heute, Stoccarda Motorbuch Verlag 1976, pp. 340-341. Anche lo Spielbergcr ricorda l'incidente avvenuto durante le manovre imperiali del 1906 all'autom it ragliatrice Austro-Da_imler.


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Ad esempio Pio Perrone era rimasto impressionato da queste operazioni coloniali. «[ ... ] Cinquantatre automobili e 200 uomini hanno battuto il Senusso andandolo a scovare all'oasi di Giva [sic, rectius Siwa] [... dopo] che nel primo giorno la colonna fece 220 chilometri» scriveva Ferrone all'ing. Turrinelli, rappresentante del1'Ansaldo. Richiedendo la stesura di un progetto di automobile corazzata per il deserto, così proseguiva: Badi bene che io penso che la quescione della velocità possa essere essenziale

[...] è necessario saltare fuori con una mezza dozzina di esse armate di t utto punto [ ••• ] (34)_

Perrone aveva ragione. Il successo era dovuto alla maggior mobilità delle automitragliatrici rispetto agli 800 uomini del Senusso attestati nell'oasi con alcune mitragliatrici e due cannoni da campagna. Stringente era pure la necessità del Regio Esercito di mezzi idonei all'impiego in Libia ove la rivolta continuava ad ottenere successi. Per ovviare alle carenze accennate furono acquistate dalla Gran Bretagna due automitragliatrici Lanchester ed alcuni autocarri su autotelaio Ford T armati di una mitragliatrice. Furono inoltre poste in costruzione (probabilmente anche presso la Terni: vedi oltre nota 45) alcune automitragliatrici leggere su telaio Fiat 15 ter dette «Fiat tipo Tripoli». L'esame di alcuni documenti fotografici mostra come i primi prototipi di questo mezzo utilizzassero una torretta identica alle Lanchester e alle Rolls Royce usate dagli alleati inglesi. L'ing. Turrinelli dell'Ansaldo progettò due vetture che utilizzavano il medesimo sistema propulsivo dei «carri armati» che allora andava studiando. Si riprendeva un'idea cara all'ing. Ferdinand Porsche, progettista di alcuni trattori d'artiglieria dell'esercito austro-ungarico: la difficoltà di trasmettere alle ruote elevate potenze con giunti e differenziali veniva superata azionando ogni ruota con un motore elettrico. L'alimentazione dei motori elettrici era fornita da una dinamo mossa da un motore a combustione interna e la trasmissione prendeva così il nome di benzo-elettrica.

(34) A.S.A., A.P., S.S.R., b. 601 f. 3., Perro·ne a Turrinelli 23 apri.le 1917 e 4 maggio 191 7.


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Sempre nel settembre 1917 i Perrone fecero studiare un'automitragliatrice del tipo più semplice possibile che utilizzasse i 24 autotelai acquistati per una commessa poi annullata di autocannoni da 105. A tutto vantaggio dell'economicità si dovevano utilizzare solo lamiere piane per la blindatura. L'ing. Spiller, direttore dello stabilimento artiglierie, fece notare che«[ ... ] per questo genere di costruzioni si presterebbe assai meglio il tipo di chassis Lancia essendo assai più celere potendo raggiungere sino 70 km all'ora mentre quello Spa non va oltre 30 km - e possedendo l'automobile Lancia la messa in moto senza bisogno di scendere dal seggiolino [ ... ]». Pio Perrone acconsentì a sostituire gli Spa con i Lancia, ma trovò eccessive le 4 mitragliatrici poste ad ogni angolo della camera di combattimento per ovviare alla mancanza della torretta, evidentemente troppo costosa (35). Anche questo progetto non ebbe seguito forse perchè, come ricorda il Pugnani, «l'impiego di questa nuova arma risultò, nel complesso, di scarsa efficacia nella guerra di posizione» (36l e gli interessi del Comando supremo si rivolsero ai carri d'assalto, arma che la guerra sul fronte occidentale aveva dimostrato di una qualche utilità contro le trincee avversarie. Le automitragliatrici furono utilizzate soprattutto in operazioni di ordine pubblico assieme cogli squadroni ·di cavalleria che la scarsità di quadrupedi aveva ridotti a una forza di soli 100 cavalli. Si hanno notizie di un loro impiego congiunto nella repressione di episodi di ammutinamento presso la brigata «Catanzaro)> (10-11 maggio 1917) e dei fatti di Torino (22-25 agosto 1917) (37)_ Con gli avvenimenti-dell'ottobre-novembre 1917, la guerra sul fronte italiano mutò fisionomia. Citiamo un passo della relazione della Commissione d'inchiesta su Caporetto: Il nostro precipitoso ripiegamento aveva avuto alme no questo benefico effetto: il nemico privo di cavalleria e di fort i nuclei di ciclisti e impossibilitaro a far sboccare grandi masse per inseguire le nostre colonne in tu tte le direzion i, dovette ricorre· re a ripieghi che furono veramente ge niali e redditizi. Costitul nuclei leggeri e mobili

(35) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 1161 f. 8. (36) A. PUGNANI, op. cit., pp. 175-176. (37) RELAZlONE DELLA COMMISS10NE D'INCHIESTA, Dall'Isonzo al Piave, voi. II, Roma Stabilimento tipografico per l'am ministrazione della guerra 19 19, p. 367 e passim.


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di arditi, ciclisti e di motociclisti mitraglieri e li lanciò al tergo delle nostre tru ppe con l'ordine preciso di non attaccare le code delle colonne, ma di infiltrarsi tra colonna e colonna, allo scopo di togliere il contatto tra i nostri reparti e aggirarli. Dopo un periodo di ere an ni d i guerra, nel quale il soldato aveva combat tuto a contatto di gomiti, era da prevedere quale effetto disgregatore avrebbe avuto siffatta manovra. E i r isultati furono, a nostro danno purtroppo, veramente eccezionali. [ ...] Vi furono bensì qua e là azioni a cavallo arditissi me [da parte della cavalleria italiana], ma tutto ciò fu frutto di lodevoli iniziat ive personali, talvolta sembra in contraddizione agli ordini ricevuti; e tali atti isolati non potevano dare, come non dettero, grandi risultat i <3s>.

Aggiunge il gen. Segato in un suo libro sulla prima guerra mondiale: anche nella recente guerra, la nostra cavalleria soddisfece in modo degno della sua stor ia gloriosa, al compito nobilissimo di sacrificarsi, durante le ritirate, per disim·pegnare le altre armi, ed i nomi di S. Daniele e di Pozzuolo del Friuli resteranno scritti a lettere d'oro nella storia de lla cavalleria italiana. È però dubbio se all'entità del sacrificio e del danno su bito abbia potuto corrispondere il risultato tattico conseguito: reparti di citlisti con automitragliatrici probabilmente avrebbero conseguito r isultati maggiori con mi nori sacrifici (39).

Tale opinione fu indubbiamente condivisa dal Comando supremo e un nuovo lotto di 101 autoblindomitragliatrici fu costruito dall'Ansaldo. Questi mezzi differivano dai precedenti per l'abolizione della torretta superiore sostituita da una mitragliatrice posta in ritirata con un limitato settore di tiro. Per la blindatura dello scafo si usarono piastre di acciaio al molibdeno, a causa della mancanza di nickel e di cromo, e le armi Vickers furono sostituite con delle Saint Etienne di calibro 8 mm. A fronte di una minore corazzatura, la vettura risultò così più armata. Alla data del 10 novembre 1917, l'esercito italiano disponeva ancora di 28 automitragliatrici che furono riunite in quattro squadriglie dopo aver provveduto alle più urgenti riparazioni presso il deposito di Arcella (+0J. «In seguito all'impiego fattone dagli austro tedeschi}) si decise inoltre di costituire 100 sezioni di motomitragliatrici Frera cam-

(38) Ivi, p. 195. (39) Luigi SEGATO, L'lca/ia nella guerra mondiale voi. II, Milano Vallardi 1927, p. 482. Non trova conferma quindi quanco scritto dal PUGNANI (op. cit., pp. 174-175) sull'impiego italiano di auto e moto-mitragliatrici a protezione della ritirata. (40) AUSSME, Circ. racc. 5 cart. 5.


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pali e contro aerei simili ai motocarrelli ami-aerei prodotti, come vedremo, nel 1916 dalla R. Fabbrica d'Armi di Brescia. Ogni sezione era costituita da «due motocarrelli di servizio pel trasporto dei complementi in personale, cartucce ed acqua» e la caratteristica principale era «quella di portarsi rapidamente in determinati luoghi dell'azione e sollecitamente disimpegnarsene esercitando nel contempo un'azione di fuoco sia da fermo sia in moto, tanto in avanzata che in ritirata ed infine anche contro aerei» (41 ). Durante la ritirata di Caporetto alcune automitragliatrici erano cadute in mano austro-ungarica. Fra queste sicuramente un'Ansaldo dell'ultima serie e l'Isotta Fraschini che, dalla base di Udine, iniziarono ad essere impiegate contro gli italiani dopo essere state prontamente riarmate con mitragliatrici M7 /12 (42l. Per ostacolare le azioni delle poche autoblindate austriache (probabilmente non più di sei ) si utilizzarono anche da parte italiana «profondi e lunghi fossi (10 m larghezza, 6m profondità). Questo mezzo fu da noi adottato, ad esempio, nel fondo di Val Brenta, interrompendo la rotabile, in una piccola stretta nelle vicinanze della Grottella (N. di Valstagna) nel giugno 1918» (43) _ Solo nel giugno 1918 furono formate le prime 25 sezioni di motomitragliatrici Frera mentre dall'aprile l'Ansaldo aveva iniziato a consegnare i primi esemplari delle autoblindate ordinate. Ad ottobre fu quindi emanata la prima circolare italiana sull'impiego delle autoblindomitragliatrici e delle motomitragliatrici che riportiamo integralmente in allegato (doc. 8) (44). Analizzando la circolare si nota come le caratteristiche tecniche dei mezzi ne consigliassero l'impiego solamente per azioni diurne lungo la rete stradale. Si suggeriva l'azione di più mezzi con

(41) AUSSME, O.M. b. 239. (42) W.J. SPIELBERGER, Krajifahrzeuge ecc. cit., pp. 339-341. L'autore ipotizza che durame la ricirata siano stace catturace da 2 a 3 Bianchi ma nelle d idascalie di p. 338, come molti altri, confonde la Bianchi con l'!socca Fraschini commentando una bella foto d i una Isotta Fraschini austriaca. (43) Salvatore PAGANO, Evolwàone della tar.tica durante la grande guerra, T orino Schioppo s.d. (e.a. 1930), p. 299. (44) AUSSM E, S.P . b. 266/5. Ma anche MfNJSTERO DELLA DIFESA, L'esercì.o italiano

ecc. cit., voi. VI tomo 2, pp. 495-501.


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il favore della sorpresa sfruttando la velocità. Sembra quindi che la lezione tattica tedesca sul fronte italiano sia stata ben compresa dal Comando supremo. Non ricorderemo qui 1contributi dati dalle automitragliatrici nelle ultime fasi della guerra, contributi che richiederebbero una documentazione meno controversa per poter essere valutati. Ci limiteremo solo a riportare la situazione delle squadriglie di autoblindo e moto-mitragliatrici a fine conflitto, come risulta dagli archivi consultati (45l: Squadriglie autoblindomitragliatrici a disposizione esercito mobilitato 2 a P Arm. (3a e 1P) 1 a 3a Arm. (7a) 2 a ga Arm. (1 a e 16a) 2 a Gov. Dalmazia (12a e 13a) 2 a C. Occup. Inter. Fiume (4a e sa) 1 a Com. Sup. F.I.B. (2a)

Compagnie rnotomitragliatrici a disposizione esercito mobilitato 1 a Corpo Occupazione Interalleato di Fiume (2a)

Squadriglie automitragliatrici attualmente in Paese o alle dipenden· ze ministero guerra C.A. Milano - 1 sezione a Bologna C.A. Genova C.A. Roma - 1 Sezione a Firenze C.A. Napoli - 1 sezione a Bari Libia Compagnie motomitragliatrici attualmente in Paese 6a ....... . ga ....... . 9a 10a

P ........ 3a • • • . • . . .

C.A. T'Orino C.A. Bologna

(45) AUSSME, S.P. b. 266/6. T uttavia quelle di cui abbiamo parlato non furono le sole auto· blindomitragliatrici costruite allora in lca lia. Ne allcstÌ sicuramente anche la Tern i come risulca da una foto (in Archivio Autori, M.) io cui si vedono tre macchi ne in avanzato ap prontamento. Vi è una annotazione a mano «Prime tre auto,.n ob ili blindate per Tripoli da fornire sull'ordi nazione 585 dell'anno 1918» nonchè un timbro a data (17 maggio 1918) «Soc. Tern i Stabilimenti Sidernrgici, fotografia n. 1368,,.


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4a . . . . . . . .

5a

. . •. . .•.

C.A. Roma C.A. Milano

b) I carri d'assalto L'impiego dei primi tank inglesi nella battaglia della Somme (15 settembre 1916) non fu ignorato dal sottosegretariato Armi e Munizioni retto dal gen. Dallolio. Pio Perrone, il 5 ottobre 1916, scrivendo all'ing. Gino Turrinelli, suo agente nonchè progettista, avvisava: Credo utile informarla che S.E. Dallolio mi disse questa mattina che in fatco di automobili blindate sta preparando qualcosa di nuovo e di importantissimo (46l.

Si trattava della cessione di un carro Schneider da parte della Francia. Sembra però che la Pavesi avesse già preparato un suo tank. Ma qui prima di procedere oltre, dobbiamo ricordare che scopo

di questo studio non è quello di stabilire a chi spetti il primato dell'invenzione, bensì di informare, nei limiti risultanti dagli archivi potuti consultare, quanto accadde in Italia nel campo dei tank come in qualunque altro relativo alla meccanizzazione. Concentriamo perciò nell'appendice al presente capitolo alcune notizie offerte da quanti ritennero l'esistenza di un primato italiano, avvertendo che analoghi primati sono asségnati da altri pubblicisti ad altre nazioni: in ogni caso con argomenti del pari incontrollabili e perciò al di fuori dei nostri interessi. Ci sono di conforto le parole dell'austriaco Gunther Burstyn, progettista già nel 1912 di un cannone a motore su cingoli, pubblicate anche sulla rivista «Esercito e marina)): L'idea di avvicinarsi al nemico, evitando di avere perdite, è perlomeno altrettanto vecchia che la guerra. Macchine belliche costruite a tal intento furono usate già nell'antichità e nel Medioevo. Di Leonardo da Vinci si conosce un disegno di un carro da guerra e se questo genio universale avesse avuto a disposizione il motore a benzina, egli avrebbe certamente inventato non solo l'aeroplano ma anche il moderno veicolo di combattimento. Una specie d i tank, benchè goffo e malpratico, fu usato già nella guerra della Crimea e già da molto tempo apparecchi simili si adoperano per tirare carichi su

(46) A.S.A ., S.S.R., b. 601 f. 8.


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terreni. Si può dunque asserire che l'idea di blindare ed armare un simile veicolo fosse quasi nell'aria, e quindi non si può parlare d' una priorità dell'invenzione in senso assoluto. lo non ricevetti perciò il brevetto per il mio carro di combattimento, ma soltanto per il dispositivo da me inventato, coll'uso del quale il carro può superare gli ostacoli del terreno. È risibile dunque che gli inglesi si incapriccino a cercare l'invento re, tanto più che proprio i tanks inglesi erano dei cassoni troppo voluminosi, troppo pesanti e troppo lenci. Simili a quello da me progettato sono invece i piccoli e snelli carri di combattimento francesi e furono questi che portarono lo scompiglio fra le truppe germaniche, non già gli inglesi <47)_

A metà gennaio 1917 l'ing. Turrinelli aveva terminato i progetti di due «Testuggini corazzate». Caratteristica comune dei suoi progetti era l'utilizzo della già ricordata trasmissione benzoelettrica. L'Ansaldo stava pure sviluppando il progetto di un «Fortino mobile» su idea del magg. Magrini; anche in questo caso la trasmissione era benzo-elettrica. Il 26 gennaio la Direzione generale del genio comunicava al1' Ansaldo ch e: l'ing. Turrinelli ha presencaco a codesta Dire:iione un progetto corredato dalle caratteristiche principali e dai disegni di una Testuggine corazzata tipo AnsaldoTurrinelli. Volendo confrontare questo progetto con quello del magg. Magrini, di cui si conoscono solo le caratteristiche, pregasi voler inviare al più presto i disegni di quest'ultimo corredaci da tutte le indicazioni necessarie. Con ciò non si sospende alcuna delle decisioni per la sommin istra:iione dei materiali che eventualmente abbia già preso o stia per prendere il Sot tosegretariato delle Armi & Munizioni, ma si vuol giudicare se convenga esperimentare anche il tipo ANSALDO-T UR-

RINELLI <•s>.

Negli stessi giorni il Comando supremo invitava il comando del genio della 3 a armata ad interessare il comando della 3 a armata ad autorizzare il Turrinelli a recarsi in prima linea per esaminare il «terreno reale di applicazione» della «Testuggine» che doveva «cooperare l'azione della fanteria nell'avanzata sulle linee nemiche» <·19) . Sia le due «Testuggini» sia il «Fortino» sfruttavano il treno di rotolamento del trattore semi-cingolato Soller in uso nel nostro esercito. T ale sistema di sospensioni era di chiara derivazione arne-

(47) Riportiamo la citazione da L. SEGATO, op. cit., voi. II, p. 830. Il passo è ripreso da «Esercito e Marina.• del 27 febbraio 1923.

{48) A.S.A., A.P., S.S.R., b. 605 bis f. 12. (49) A.S.A., Teswggine Ansaldo T11rrinelli, album non catalogato.


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ricana, rappresentando una sottile critica del sistema usato nei trattori agricoli Holt. Ciò preoccupò non poco i Perrone nel dubbio di«[...] aver aperto alla ditta Soller un campo che ci apparteneva, lasciandoci portar via un sistema che è nostro e per il quale abbiamo già fatto tanti sacrifici [...]» (doc. 9) (50>. Intorno alle vicende dell'esemplare di carro Schneider giunto in Italia all'inizio del 1917, così informava il magg. Alfonso di Paola, in un suo articolo del 1935: [ ...)Avendole prove eseguite con esso [lo Schneider] su terreni accidentati dato buoni risultati, s'iniziarono le pratiche col governo francese per ottenere la cessione di un certo numero di carri di quel tipo: trattative, che non giunsero, però, ad una fel ice conclusione. In seguito a ciò l'allora Commissariato per le armi e munizioni [rectius: sottosegretariato] prospettò al Comando supremo l'opportunità di allestire in Italia i carri di tipo Schneider: ma per circostanze varie, tale allestimento non potè effettuarsi [...) (si) _

In realtà, il 13 marzo 1917, Pio Perrone aveva proposto al cav. Agnelli di costruire insieme gli Schneider, pensando che«[ ... ] sarebbe forse nel vostro e nostro interesse che la costruzione di questo materiale non andasse a finire in altre mani, e tanto più che il Comando Supremo ha in proposito dei rapporti favorevolissimi[ ... ]». La risposta di Agnelli può essere desunta dalla replica di Perrone del 22 marzo: Ella ha ragione di preferire che la Fiat costruisca le tanks su propri disegni, dato, come auguro, che l'esemplare in costruzione dia ottimi risultati. Tuttavia le tanks fra ncesi, pure avendo dei difetti, hanno alcune caratteristiche interessanti: ad esempio il modo come sono snodate <52>.

(50} A.S.A., A.P., S.S.R., b. 605 bis f. 12. In allegato 9 è riportata un'interessante lettera di Turrinelli in merito al problema Soller. (51) Alfonso DI PAOLA, I primi carri armati in Italia, in •Rivista di fanteria» 1935, n. 7-8, pp. 1071-1075. Non diversamente A. PUGNANI, op. cii., pp. 180-182. Al riguardo esiste anche uno scritto del capitano conte Alfredo Bennicell i intitolato «Pro memoria per $.E. il Ministro» [cioè il gen. Da llolio) in data 10 gennaio 1918 su cana intestata del Ministero per le Armi e Munizioni Commissione Benzina in Archivio Museo Centrale del Risorgimento ( d'ora in poi AMCR) carte Dallolio, 947, 63. Il documento (d'ora in poi P rom . Bennicelli) no n sembra del tutto attendibile: ad esempio si parla di un viaggio in Francia del cap. Bennicelli per esaminare i carri francesi ed inglesi addirittura nel maggio 1916 ... tre o quattro mesi prima della loro apparizione sul fronte. È anche falso che al 7 luglio 1916 fosse iu costruzione il Fiat 2000 dato che, co me si è visto, i pri mi abboccamenti fra Perrone e Agnelli risalgono al marzo 1917 (v. retro all'i nizio della sezione b) I carri d'assalto}. Una lettera del presidente del consiglio Paolo Boselli, in risposta ad una interrogazione dell'onorevole Francesco Rota, accen na che al 9 agosto 1917 erano in costruzione sia il Fiat 2000 sia un carro su progetto del colonnello del Genio ing. Cantano nelle officine romane del medesimo (cfr. Francesco ROTA, Ricordi della vita politica, Roma Tipografia della Carnera dei deputati 1919, p. 61}. (52} Entrambi i documenti in A.S.A., A.P., S.S.R., b. 605 bis f. 11. È poco chiaro dove fossero snodati gli Schneider.


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La Fiat S. Giorgio aveva infatti in costruzione due esemplari del cosiddetto Fiat 2000. Le esperienze condotte poi su questo carro daranno ragione allo scetticismo del Perrone. Tuttavia l'Ansaldo era stata incaricata di curare la corazzatura dei due Fiat 2000 or. . ma1 pronti. Per la blindatura furono utilizzate le lamiere al vanadio preparate per la corazzata Cristoforo Colombo mentre per l'armamento furono richiesti due cannoncini da 65 mm e 20 mitragliatrici Fiat Revelli (53). Evidentemente anche il Comando supremo non nutriva molta fiducia nei confronti del Fìat 2000. Di Paola informa che, dopo aver fatto eseguire delle ricognizioni sul fronte«[ ...] per stabilire la possibilità d'impiego dei carri, per definire quale fosse il tipo più adatto, e conseguentemente, il quantitativo necessario [... ]», nel settembre 1917 fu stabilito il seguente programma: [...] a) acquisto di 100 carri Renault e di 20 carri Schneider dalla Francia (senza personale); b) oppure allestimento del complesso dei carri da parte di fabbricane{ francesi, facendone eseguire il montaggio in Italia; c) se ciò non fosse stato possibile, ottenere dalla Francia i 20 carri Schneider e fare allestire dall'industria metallurgica nazionale i tipi Renault su modelli e piani di costruzione forniti dalla Francia; d) predisporre per il pronto impiego i carri nei campi di istruzione non oltre il 1° marzo 1918, assieme ai materiali vari occorrenti per i loro servizi; e) ottenere intanto dalla Francia due carri Renault, destinandoli assieme allo Schneider già in nostro possesso, alla preparazione della scuola - che doveva sorgere a Tricesimo - di un primo nucleo d'istruttori (20 ufficiali, 50 graduaci e soldati). Ma, arretrata, dopo l'ottobre del 1917, la nostra fronte di battaglia al Piave.ed al Grappa, furono abbandonate le pratiche iniziate per l'attuazione di tale programma, avendo esso perduto ogni valore, in quanto esso era stato determinato in vista di un impiego di carri sul Carso e nella zona di Gorizia (54)_

(53) A.S.A., A.P., S.S.R., b. 601 f. 2, Perrone a Sottosegretariato Armi e Munizioni 7 maggio 1917. (54) A. DI PAOLA, I primi carri armaci ecc. cit. In verità già 1'11 settembre 1917 Cadorna in un telegramma cifrato al generale Dallolio, considerata la d ifficoltà di ottenere la cessione di carri dal «governo inglese», aveva comunicato: «visto andamento pratiche stesse et tenuto conto che tanks non si potrebbero avere in tempo per operaz,ioni previste per anno corrente prego rinunziare ulteriori trattative al riguardo stop se del caso esse potranno· essere riprese primavera ventura». (AMCR, carte Dallolio, 947, 63). P iù che d i una sospens.ione sembra invero trattarsi d i una rinuncia dato che, per quanto poco si sapesse dei nuovi mezzi, a un generale esperto come Cadorna non poteva sfuggire che dal momento della cessione degli ordigni a quello della formazione di equipaggi capaci di usarli e della costituzione dei relativ i reparti, sarebbero dovuti trascorrere mo lti mesi.


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La costruzione dei Fiat 2000, tuttavia proseguì, e come risulta dalla corrispondenza, la sua blindatura causò qualche disputa fra l'Ansaldo e la Fiat. A seguito delle intese verbali passate tra il vostro avv. Cavalli ed il nostro signor Bruzzone ci pregiamo informarvi che non esiste un regolare contratto t ra la società Ansaldo ed il R. Esercito per la lavorazione ed il montaggio delle corazze per l'automobile d'assalto Fiac, ma semplicemente la fornitura delle lamiere contornate. Cade perciò la vostra asserzione che il lavoro di finitura e di montaggio debba essere a nostro carico [...] (55).

L'intervento di Mario Perrone pose fine alla situazione incresciosa. Il gen. Dallolio si era impegnato a consegnare le due automobili d'assalto il più presto possibile, ma la Fiat non poteva terminarle in quanto non attrezzata per la finitura delle lamiere che per di più non spettava a lei compiere. L'interesse del Comando supremo per gli «autocarri blindati francesi» non sfuggì a Pio Ferrone che il 6 ottobre così si rivolgeva all'ing. Spiller in merito al Renault: [ ...] dalle ultime mie informazioni risulterebbe che le tanks sono il solo ed unico mezzo che pern1ecce agli inglesi di avanzare. Le nostre Autorità vorre bbero farne costruire anche in Italia, ma, con la solita mentalità, pensano di ordinarne soltanto cento, mentre i governi alleaci invece le ordinano a migliaia. Io credo che, ad un dato momento, questi strumenti nuovissimi di guerra verranno dall'America[... ].

Il carro Renault, al pari dello Schneider, era caratterizzato da un treno di rotolamento in cui i rulli erano collegati allo scafo tramite degli elementi elastici. Lo scopo di tale accorgimento era quello di garantire sempre il contatto dei rulli con il suolo e quindi di ripartire il più uniformemente possibile, in tutte le condizioni di marcia, la pressione fra cingolo e terreno. Ma il Ferrone, al pari dei suoi contemporanei, non dimostrava di aver capito i vantaggi offerti da questo tipo di sospens,oni che egli chiamava «a molle»: questa disposizione sembra che risponda perfettamente allo scopo di attutire i sobbalzi della marcia. [ ... Tuttavia] se si prende impegno di costruirle [le tank] il ministero Armi e Munizioni può avere dalla Francia tutti i disegni e noi crediamo possibile di fare le cento tanks desiderate dalle autorità militari ripartendo opportunamente il lavoro fra tutti gli stabilimenti [ ...]. Da 18 mesi che i canks esistono ed hanno fatto la loro comparsa, il nostro Comando supremo non ha che desiderarle, ma non si sono mai decisi ad acquistarle. (55) A.S.A., A.P., S.S. N. B., b. l 158 f. 14.


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Ora le domandano affannosamente. E dire che il colonnello Conso non le volle perchè la guerra, diceva lui, stava per finire. Noi lo conosciamo bene questo colonnello, che ora, però, è stato allontanato dall'Ufficio Tecnico del Comando Supremo [ ... ] (56),

Pochi giorni dopo Pio Perrone confermava che il generale Dallolio aveva espresso il desiderio che l'Ansaldo costruisse le «tank di tipo francese» (57) e Mario Perrone, rispondendo al fratello, affermava che «[ ... ] sarebbe bello poterne costruire almeno cento e dovremmo farlo a tutti i costi» (58). L'.esortazione di Mario non convinceva Pio Perrone, che valutando gli oneri che avrebbe dovuto sopportare l'Ansaldo, così ri.spondeva: Per iniziare una costruzione di quesco genere 100 autocarri sono pochi e non ne vale la pena; però sto studiando la cosa (;9)_

Questo «non ne vale la pena» va quasi certamente inteso nel senso che l'esiguità numerica della commessa la rendeva antieconomica, tanto più considerando che molti dei congegni da riprodurre ed eventualmente da realizzare erano nuovi e complessi. Escluderemmo invece si sia voluto dire che un così piccolo numero di mezzi sarebbe stato bellicamente inefficace: tale preoccupazione invero non si concilierebbe con il già documentato insistente interessamento dell'Ansaldo per ottenere altrettanto modeste commesse di autoblindomitragliatrici, peraltro di meno complessa realizzazione. I rovesci militari dell'ottobre o le perplessità dell'Ansaldo fecero diminuire l'interesse del Comando Supremo per i 100 tank Renault. Ricorderemo, tuttavia, che, dopo Caporetto, fra gli aiuti decisi dagli alleati in favore dell'Italia vi erano«[ ...] 40 tanks armate con personale inglese e facenti parte della forza inglese [...]» <60l. Solo nel maggio del 1918 il Comando supremo tornò ad affrontare il problema dei carri d'assalto. Si era infatti riunito a Ver(56) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 1161 f 7. Non è noto chi fosse il colonnello Conso e neppure i motivi dell'astio di Ferrone nei suoi confronti. (57) Ivi, Pio Perrone a ing. Soria, 8 ottobre 1917. (58) Ivi, Mario Perrone a Pio Perronc, 9 ottobre 1917. (59) lvi, Pio Perrone a Mario Perrone, 27 ottobre 1917. (60) W.S. Churchill, op. cit., voi. l(J, p. 352.


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sailles il Comitato interalleato delle tank. Il ten. gen. De Robilant, rappresentante l'Italia in quel consesso, inviava al Comando supremo una relazione in cui si illustravano le prime decisioni prese. Riportiamo in allegato (doc. 10) il documento (61) che è fonte di alcune informazioni di notevole interesse. Si apprende infatti che l'Italia aveva avanzato la richiesta di 25 tank complete di parti di ricambio, senza tuttavia precisarne il tipo. Un'ulteriore domanda di SO carri Renault era stata avanzata durante la seduta dei Rappresentanti militari permanenti, ma De Robilant si mostrava pessimista sull'esito di entrambe le richieste. A nulla serviva l'intervento del gen. Dallolio presso il ministro francese degli Armamenti, Louis Loucheur per ottenere i SO carri domandati. Il gen. Foch, a quell'epoca comandante supremo delle forze interalleate, si oppose a tale richiesta in quanto si trattava di cedere dalle unità tattiche complete «[ ... ] di personale, munizioni, servizi accessori ecc. per poter essere adoperate in brevissimo tempo [ ... ]» (6 2} . Si riuscì ad ottenere solo la promessa di 7 carri Renault da utilizzare a scopo d'istruzione. Il Comando supremo aveva anche richiesto due squadriglie di carri inglesi anch'esse al completo. A tal proposito telegrafava al Comando supremo, il brig. gen. Mola: Seguito mio 714 R.P. di ieri e precedenti comunicazioni ricevo da War office lettera che ho consegnato Ministro N itti e che spedirò anche direttamente costÌ, con cui conferma assoluta impossibilità fornire yprit.e, proiettori Livens, proiettili a gas, autocarri, sidecars, motociclette, benzina, mitragliatrici con cartucce e cavalli, pur manifestando migliori intenzioni appena possibile. Proseguono invece spedizioni proiettili obici, bombe Stokes e maschere che si spera di fornire completamente nonchè costruzione catene. Per tanks sebbene non ne sia stato direttamente incaricato (61) AUSSME, O.M.b. 239 da ten. gen. dc Robilant a Comando supremo 19 maggio 1918. Secondo Promemoria Bennicelli cit., che in questa parte, sembra attendibi le, il gen. DalloliCJ avrebbe proseguito i contatti con l'industria, indipendentemence dallo scetticismo mostrato dal Comando supremo e dal disinteressamento dello stesso nei mesi immediatamente successivi a Caporetto. L'Ansaldo e l'Orlando (gruppo Vickers Terni) si sarebbero dichiarate p ronte per la fornitura di armi e corazze. Per i telai, l' Isotta Fraschini avrebbe risposto negativamente. La Fiat avreb be accettato d i iniziare la costruzione di «un modello leggero» purchè le venissero proporzionalmente dimir:uite le commesse di materiale automobi listico e di motori aerei. (62) Ivi, da sottosegretario di Stato per le armi e munizioni a capo di Stato Maggiore A. Oiaz, 24 giugno 1918.


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risultami Ministro NiLti avere ottenuto concessione affidamento quasi completa, ma tipo pesante, previo invio qui di ufficiali e truppa per addestramento.

Riportiamo i commenti del gen. A. Diaz: Ma non credo che queste tanks ci possano servire(...). I tanks pesanti credo che per noi non servano. Se servono per l'istruzione può farsi qui con pochi istruttori inglesi tan to più che il maggiore Bennicelli conosce il materiale (63l.

L'unica possibilità rimaneva quindi quella di costruire i carri Renault su licenza ed in tal senso si stava muovendo l'Ansaldo. Il 23 giugno 1918 Pio Perrone inviava una circolare ai direttori dei vari stabilimenti del gruppo Ansaldo, il quale, fra l'altro, avendo da poco acquisito la Fiat San Giorgio (divenuta Ansaldo San Giorgio), disponeva ora in proprio di un completo stabilimento per la produzione di motori e rimaneva, insieme con la Terni, una delle due industrie italiane attrezzate per la blindatura dei veicoli terrestn: [...) Vorrei che, intanto, [voi della San Giorgio] teneste una riunione con i nostri direttori per prospettare ad essi l'insieme ed i particolari di costruzione del carro d'assalto che già avete costruito [il Fiat 2000] e porta il nome Fiat dalla quale non sarebbe certamente difficile avere motori, cambi di velocità ed altri elementi. L'ing. Soria, alla prossima occasione di un suo viaggio a Genova, potrà tenere tale riunione per istudiare il problema. Il Ministero armi e munizioni desidera altresì che sia riprodotto un piccolo carro d'assalto francese costruito da Renault, che è a Piacenza, dove bisogna andarlo a vedere, forse per questi carri si potranno avere i motori, i cambi di velocità ed altri elementi da Renault stesso, dico forse: mentre tutto il resto potremmo facilmente costruirlo nei nostri stabilimenti. Il Ministero armi e munizioni desidera che i nostri ingegneri vedano le macchine agricole americane che sono concentrate alle Capannelle (Roma) per ricavarne delle idee circa la soluzione del problema del traino delle artiglierie e dei differenti automotori a ca· terpillar, per permettere ai cannoni di superare gli ostacoli, come fanno le tanks (64>.

Per la costruzione di artiglierie semoventi l'Ansaldo era entrata in contatto con la Schneider, ma 1'11 agosto 1918 Pio Ferrone così scriveva all'ing. Spiller: La ditta Schneider ha delle pretese per i suoi «Caterpillers» non tanto sull'ammontare della cifra quanto sulla volontà precisa di legarci anche per il dopo guerra. Questo mi preoccupa seriamente. Ma, dico io, non potremo [sic] noi trasformare, modificare, adattare il tipo Renault al trasporto di artiglierie pesanti? Prepariamoci

(63) Ivi, da brig. gen. Mola a Comando supre mo, 31 luglio 1918. Bennicclli, secondo Prome· moria cit., sarebbe andato in Francia e in Gran Bretagna per esaminare i carri leggeri nell'estate 1917. (64) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 770 f. 3.


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subito; io credo che Segala può istituire un ufficio speciale destinato esclusivamente a questo lavoro. Lo studio del trasporto di artiglierie su camion si impone, come quello su carri tipo tank per le artiglierie maggiori, 149 pesante, 210, ecc. ecc. Pare a me che, noi, dal tipo Renault, potremo trarre tutte le derivazioni volute, unito al vantaggio di una grande uniformizazzazione di organi per la costruzione dei quali molte officine nazionali si stanno attrezzando, mentre da soli non arriveremmo a fare t utto (65>,

La Schneider aveva infatti proposto all'Ansaldo la costruzione di «cannoni da 220 su tank e carri trattori». Ma come si può vedere dal testo (doc. 11 ), il contratto sottoposto alla casa italiana era «un vero tranello» secondo il giudizio espresso da Pio Perrone nella corrispondenza (66l: in pratica la Schneider si sarebbe assicurata una sorta di «esclusiva» su qualsiasi veicolo a motore cingolato sia militare sia civile sia durante sia dopo la guerra. I rapporti con la Schneider vennero quindi interrotti ed il 17 agosto la direzione dell'Ansaldo comunicava ai vari stabilimenti del gruppo la decisione di costruire al più presto «mille carri d'assalto» del tipo Renault (67l. Come conferma il verbale della riunione tenuta il 13 settembre 1918 in A~saldo, verbale che riportiamo integralmente in allegato (doc. 12), le commesse di carri erano co. . s1' npart1te: -

350 carri con motori Fiat e gruppi cambio - differen-

ziale di produzione Romeo (denominazione all'epoca del-

1' A.L.F.A., in seguito Alfa Romeo); - 500 carri completi con motori e gruppi cambio - differenziale di produzione Ansaldo;

- consegna delle blindature necessarie per 250 carri alla Breda. Mentre le blindature per la Breda sarebbero state consegnate in ragione di 35 assortimenti al mese a partire dal novembre 1918, gli 850 carri di produzione Ansaldo sarebbero stati prodotti alla cadenza di 145 al mese a partire dal gennaio 1919. Da un successivo

{65) Ivi, b. 816 f. 18. {66) Ivi, b. 816 f. 17. (67) Ivi, b. 624 f. 22.


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documento 10 ottobre 1918 dell'«Ufficio dati & statistiche» del ministero Armi e Munizioni in data 10 ottobre 1918, risulta che a quest'ultima data la commessa di carri d'assalto Renault per il 1919 era stata aumentata nel seguente modo: gennaio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . febbraio .................... marzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . aprile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . maggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . gmgno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . luglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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105 155 200 225 235 235 245 1400 (GS)

Tuttavia la cifra di mille carri risulterebbe confermata da questo telegramma inviato dal Comando supremo al gen. De Robilant il 19 ottobre 1918: [...] Non esistono presso nostro esercito carri assalto in distribuzione. Soltanto alcuni esemplari giunti recentemente servono per istruzione personale che dovrà in seguito impiegare tali macchine. Fu data commessa a ditte costruttrici italiane di mille esemplari dei quali una metà dovrà essere pronta per fine marzo 1919 e rimanenti per fine giugno. Generale Badoglio (•9) _

I dati offerti dai documenti ultimi citati e dall'allegato 12 si accordano solo in parte con quanto pubblicato sinora in argomento. Si legge in genere di una commessa di 1400 carri del tipo Renault modificato e ridenominato Fiat 3000, ordinazione che poi, sopravvenuta la fine delle ostilità, sarebbe stata ridotta a circa un centinaio di esemplari costruiti dalla Fiat assai più tardi (a partire dal 1921). Ora il verbale 13 settembre 1918 parla di un totale di 1100 carri e non di 1400 e limita la parte della Fiat ai soli motori di 350 di essi, mentre all'Ansaldo sarebbe spettata la costruzione integrale di 500 carri (motori compresi affidati all'Ansaldo San Giorgio) nonchè la blindatura di tutti i 1100 veicoli, dal momento che non è nominata la Terni cioè l'altra ditta attrezzata per blindare (68) Per il verbale Ansaldo: Ivi. Il documento 10 ottobre 1918 dell'«Ufficio dati & statistiche»

è in A.C .S., Mi nistero armi e munizioni b. 16. (69) AUSSME, 0.M.b. 239, da Comando supremo a Ministero della guerra, 19 ottobre 1918.


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oltre all'Ansaldo. Evidentemente la commessa fu successivamente aumentata di 300 carri, ma non sembra che questo possa aver conferito una particolare preminenza alla Fiat nell'ambito della fornitura. Quanto poi ai Fiat 3000, allestiti dalla Fiat a partire dal 1921, essi - come vedremo più avanti - non hanno nulla a vedere con la commessa originaria a più industrie del settembre 1918 (vedi oltre doc. 19). La commessa del settembre-ottobre 1918 (1100 carri poi aumentati a 1400) doveva comunque essere già stataridotta prima del 12 ottobre successivo. Infatti un interessante documento interno dell'Ansaldo in quest'ultima data (doc. 13) lamenta il drastico calo delle ordinazioni ministeriali per il 1919. Quanto ai carri si afferma esservene «in ordinazione soli 350)): mentre stando al verbale di un mese prima (doc. 12) si sarebbe dovuto trattare di 500 completi più la blindatura di altri 600, oltre probabilmente un ulteriore numero di esemplari in relazione all'aumento della commessa totale fino a 1400. Ma ben altri «scoperti)) si lamentano: di 5310 per i cannoni (a fronte di un'ordinazione di appena 660); di circa 4.400.000 per i proietti (contro ordinazione di solo 1.600.000) e in fine totale mancanza di commesse per i bossoli. Questo documento sembra di qualche rilevanza tanto sul versante politico-militare quanto su quello militare-industriale per evidenti ragioni che trascendono l'argomento carri d'assalto. Circa il primo aspetto, se già il 12 ottobre l'Ansaldo lamentava la contrazione delle ordinazioni e se già a tale data dopo la modesta commessa del 25 settembre non erano stati richiesti altri cannoni, ciò indica probabilmente che in seno all'amministrazione militare, e pertanto nel governo stesso, la convinzione di non poter concludere la guerra avanti la primaveraestate del 1919 era tramontata prima di quanto generalmente si pensa. Ricordiamo che, intorno al 25 settembre, il Comando supremo resisteva ancora alle pressioni del governo che lo esortavano all'offensiva (quantunque in segreto ad Abano fosse già iniziata la preparazione dell'operazione poi conosciuta come la battaglia di Vittorio Veneto). Tuttavia l'arresto degli ordini all'industria dimostra come già in quel torno di tempo, il crollo della Bulgaria, l'evidente crisi della compagine austro-ungarica, i successi allea-


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ti nel Medio-Oriente e quelli invero ancora stentati e modesti sul fronte Occidentale, dovevano aver generato nel nostro vertice politico la persuasione che, con o senza l'offensiva nel Veneto, la partita non si sarebbe piu protratta fino al 1919. Sul versante militare-industriale, il fatto che l'Ansaldo si riferisca non tanto a mancate ordinazioni quanto a «scoperti» di produzione, induce a ritenere che in realtà il problema della casa genovese non fosse (o non fosse soltanto) quello di rimanere senza lavoro nell'immediato futuro quanto piuttosto quello, ancor più subitaneamente grave, di non poter esitare una produzione già effettuata in toto . .' . . o m parte o quantomeno g1a economicamente concretatasi con pesanti immobilizzi in materie prime, manufatti, loro parti ecc. Tra Ansaldo e governo i rapporti di forza lungo quaranta mesi erano probabilmente stati tali per cui quell'industria poteva permettersi di produrre ciò che, lungi dall'essere stato formalmente ordinato, aveva formato oggetto di affidamenti verbali o magari neppure di questi, con la pratica sicurezza di poter poi imporre alle forze armate le proprie realizzazioni senza pericolo di obiezioni quanto meno sulla quant'ità. Ma probabilmente le ultime settimane del settembre e le prime dell'ottobre 1918 segnano la svolta per cui il committente riguadagna una posizione di forza e, dal canto suo, il costruttore vede svanire il tempo dei profitti di selvaggia entità per imboccare il cammino che lo condurrà a quella crisi che, fra le industrie ingigantite dalla guerra, era destinata a colpire soprattutto quella dei fratelli Perrone. Comunque, tornando ai fatti, la caduta delle ordinazioni era certo divenuta totale nei primi giorni di novembre, allorchè ormai il fronte in Veneto era crollato e l'Austria cercava di affrettare una resa che la parte italiana si studiava di procrastinare. In particolare la commessa relativa ai carri d'assalto era già stata annullata alla data del 2 novembre, come si desume da quanto scrisse Pio Perrone agli ingegneri Spiller e Segala: Il maggiore Bennicelli mi ha telefonato che il ministero accetta la nostra proposta di approntare 12 carri d'assalto armati di cannoni [i semoventi Renault prima accennati]; ma prima vuol conoscere il preventivo[...] allo scopo di rendere possibile la trasformazione analoga di tutti i carri d'assalto che ci hanno ordinato, altri-


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano menti, avremo l'ordine di sospendere la costruzione. [...] Pare che il Comando Supremo abbia l'idea di fare dei reggimenti d'artiglieria con carri d'assalto a cannoni, per renderne meno costosa la conservazione; inoltre ne manderemo in Libia (7o) .

Nonostante il Regio Esercito abbia concluso la guerra .senza una decisione definitiva sul tipo di carro d'assalto da adottare, l'idea si era ormai radicata nel Comando supremo. Ne siano d'esempio la nota informativa pubblicata sui giornali il 17 luglio 1918, in cui si sosteneva che i tank erano oggetto di studio anche in Italia ed un modello, «altamente apprezzato da tecnici nostri ed alleati)), era stato costruito. Poichè la questione tecnica era già stata risolta, si assicurava che qualora il Comando supremo avesse ritenuto opportuno l'utilizzo di carri d'assalto, essi sarebbero stati prontamente costruiti. Inoltre, malgrado la modestia delle nostre forze corazzate che ammontavano allo Schneider e a quattro Renault usati per l'addestramento presso il 1° parco t rattrici di Verona, il 19 settembre 1918 veniva pubblicata la circolare 691 dal titolo Impiego tattico dei carri d'assalto nella azione offensiva (doc. 14) che riprendeva analoghe regolamentazioni alleate. Il 20 aprile 1918 era stata pubblicata anche la circolare n. 40763 dal titolo Note relative alla difesa contro le tanks (71) che era null'altro che «un estratto· da un'istruzione provvisoria emanata dallo stato maggiore britannico}}. Su queste rrprmative non possiamo comunque pronunciarci dal momento che nella guerra italiana 1915/18 mancò qualunque verifica concreta. c) Gli autocannoni Il Regio Esercito fece largo uso durante la prima guerra mondiale di pezzi di artiglieria installati su autocarri. Si cercò in tal modo di rendere più rapido il trasporto e la messa in batteria sia di pezzi antiaerei, come già visto, sia di pezzi pesanti campali. (70) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 816 f. 17. (71) Al proposito si confronti: COMANDO SUPREMO, in «Notizie militari», n. 4 28 giugno 1918, pp. 33-38 e pp. 44-47 con MINISTERO DELLA GUERRA, L'esercito italiano ecc. cit., voi. VI tomo 2, allegato n. 90, pp. 419-427.


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Accenneremo qui alla loro evoluzione assieme con quella di altri mezzi meccanizzati addetti a compiti antiaerei che propriamente non rientrebbero nella categoria degli «autocannoni». Intendiamo con questo parlare dei sidecar e degli autocarri su cui venivano installate mitragliatrici dotate di affusti atti al tiro contro velivoli. Già nel giugno 1915 si erano formate tre sezioni di motomitragliatrici Frera, non dissimili da quelle che abbiamo visto adottate nel 1918. Munite di una mitragliatrice Vickers mod. 911, questi sei mezzi furono assegnati al Comando supremo <72l. Con l'inizio della produzione degli autocannoni da 75 C.K. presso l'arsenale di Pozzuoli, si poterono armare le prime batterie auto-campali. Alla fine del 1915 ne erano state costituite sei, numerate da 1 a 6, di cui le prime tre già in zona di operazioni: - la P con sede a Udine e dotata dell'Ehrhardt e dell'autocannone da 75 C; - ·1a 2 a con sede a Cervignano e armata con quattro 75 Mod. C.K.; - la 3 a con sede a Casarsa e con una dotazione eterogenea (due 75 Mod. C.K., un autocannone da 37 mm e una automitragliatrice da 25 mm). Le rimanenti tre batterie erano armate con i 75 Mod. C.K. (due pezzi la quarta e quattro pezzi rispettivamente la quinta e la sesta). A fine 1915 il Regio Esercito poteva quindi disporre di 16 75 Mod. C.K., 1 75 E, 1 75 C e di due autocannoni di circostanza (73). Nel frattempo la già ricordata offerta dell'Ansaldo per gli autocannoni da 102/35 era stata accolta e si proponeva di ordinare 36 camion - pezzo per armare 18 batterie di due pezzi ciascuna. Il 19 giugno 1915 il col. Stampacchia, direnore della Officina di (72) C. MONTU', op. cir., voi. XIII, p. 563. (73) MIN ISTERO DELLA GUERRA, L'esercito italiano eci:. cit., voi. 2 bis, p. 23. Nella tabella vi è un errore di trascrizione; infatti la prima batteria, formata con la fusione delle già citate sezioni di Udine e di Bosco Mamico, e"a dotata di un 75 Ce non di un 75/911 C, denominazione del pe:ao Déporr campale modificato per il tiro contro-aerei dalla Commissione.


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Costruzione d'Artiglieria di Genova, scriveva all'Ansaldo chiedendo informazioni sui tempi di consegna dei cannoni e delle automobili. Nella lettera si richiedèva anche di conoscere i termini di consegna degli autoveicoli di servizio e soprattutto delle munizioni che l'Ansaldo sembra si fosse impegnata a fornire (74)_ Le richieste del col. Stampacchia crearono non pochi problemi alla direzione dello stabilimento per la costruzione delle artiglierie del gruppo Ansaldo. Come si può apprendere dalla corrispondenza fra l'ing. Manzitti e i Perrone, vi era solo un accordo verbale per la fornitura di 20 cannoni da 102/35 tipo R. Marina installati su autocarri. Tali pezzi sarebbero stati prelevati dalla fornitura di 47 cannoni per i cacciatorpediniere allora in costruzione. Con una procedura non ortodossa la commessa veniva elevata a 36 pezzi. Prendendo le mosse dalla sua domanda [del col. Stampacchia) che gli sia risposto categoricamente - pretesa la quale, sia detto fra noi è espressa in forma poco gentile - vogliate dirgli che tutte le trattative per i suddetti materiali erano concentrate in Roma, e che la ditta non ha impegni di sorta per provvedere munizioni ma sta attrezzandosi e rnetteridosi in grado di fabbricarne un fortissimo quantitativo.

Così scrivevano i Perrone il 23 giugno del 1915 all'ing. Manzitti. Nella stessa lettera si metteva in luce come il pezzo fosse bisognoso di modifiche all'affusto per permetterne una maggior elevazione. I Perrone sollecitavano, poi, l'ing. Manzitti ad attrezzare lo stabilimento di Sampierdarena in vista di una produzione in serie degli autocannoni poichè ritenevano probabile l'acquisto da parte dell'esercito di tutti i 90 cannoni da 102 destinati alle grandi navi (7s). Riportiamo in allegato (doc. 15) la risposta ufficiale dell'Ansaldo al col. Stampacchia. Dalla corrispondenza fra gli stabilimenti del gruppo Ansaldo si deduce come i Perrone avessero previsto gli avvenimenti. Al 14 luglio 1915 l'ordine dei 102/35 si era trasformato: si desiderava armare 18 batterie di quattro pezzi ciascuna per un totale di 72 cannoni (76>.

(74) A.S.A., A.P., S.S.R., b. 469 f. 24. (75) lvi. (76) Ivi b. 476 f. 23.


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Poichè l'Ansaldo si presentava come unica responsabile delle commesse, iniziarono febbrili trattative con Spa e Lancia per la costruzione degli autotelai necessari a soddisfare il probabile ordinativo. All'epoca le intese verbali riguardavano anche 14 batterie di cannoni da 105 p.c. per cui l'Ansaldo abbisognava, in totale, di 298 autotelai dalla Spa e di 96 dalla Lancia. In una lettera non tutta di facilissima interpretazione così scriveva Pio Perrone al fratello: Caro Mario, ho avuto oggi, una conferenza con il generale Dall'Olio [rectius Dallolio]. Ti dico subito che egli ci autorizza a passare la commessa per n. 250 camions. Nella eventualità che per una ragione qualunque - cosa del resto non probabile - l' ordinazione delle batterie da 102 non avesse corso, tali camions saranno ritirati dall'Amministrazione Militare. Tutto ben ponderato, io sono d'avviso che si passi l'ordinazione di tutti i 300 camions, informandone il Ministero a ciò resti un documento. Combineremo insieme dopo domani. Il gen. Dall'Olio si è dichiarato pronto ad aiutarci in tutte le maniere possibili [sottolineatura nell'originale] per facilitare la soluzione del grave problema che ci è stato domandato; ma insiste sul problema che le batterie debbano essere fornite complete di munizionamento. La mia impressione è che non sappiano come fare per risolvere tutti i vari e complessi problemi del munizionamento. Mi occupo attivamente della questione e conto potremo risolverla bene. È certo che quando ci saremo organizzati d'accordo con la Nobel per quanto riguarda gli esplosivi, per la fornitura di artiglierie al completo, la nostra forza, sia per l'Italia che per l'Estero sarà molto aumentata. Domani sarà qui il dott. Cervi per prendere accordi circa le cariche di lancio e il caricamento proietti. Il Ministero ha già disposto di Fossano per suo uso: occorre trovare altro posto. Penso che si potrà organizzare il confezionamento delle cariche ed il caricamento dei proietti a Carmignano - stabilimento della Nobel in Toscana. È certo che è necessaria un'intima intesa con la Nobel. Per i carri bagaglio delle batterie da 105, il gen. Dall'Olio mi ha detto di non occuparcene, se ci conviene, perchè l'amministrazione militare ne ha in abbondanza. Mi ha promesso di darci un forte anticipo all'atto della stipulazione del contratto. [...] (77)_

Quale che sia il significato delle asserite promesse d'aiuti da parte di Dallolio, sta di fatto che la commissione incaricata di valutare il prototipo dell'autocannone da 102 stabilì una serie di prove assai rigorose: si dovevano percorrere 1200 km in sei giorni. Il mezzo si doveva recare a Bologna, «passando per l' Appénnino presso Pistoia per le Piastre e l'Abetone» e la commissione si sarebbe ritenuta soddisfatta se ogni giorno il mezzo avesse compiuto marce di 200-250 chilometri ad una media di 20-25 km/ ora (78l. (77) Ivi, da Pio a Mario Perrone 15 luglio 1915. (78} Ivi b. 475 f. 42, da Pio a Mario Perrone 5 agosto 1915.


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Le prove si svolsero con esito più che soddisfacente, ma il prodotto era oggetto di serie critiche. Uno dei punti meno riusciti era l'installazione divenuta eccessivamente pesante per l'adozione dello scudo. L'affusto, poi, che per ammissione stessa dei Perrone non permetteva grande elevazione, era situato in modo tale da gravare tutto sulla sala posteriore. Non solo la distribuzione dei pesi era poco corretta, ma il carico gravante sul posteriore superava di gran lunga quello previsto dalla Spa nel progetto del camion, come venne rilevato dai tecnici della casa automobilistica (79). La commissione esaminò poi i progetti degli altri veicoli componenti le batterie da 102 ed anche quelli delle batterie di autocannoni da 105 che l'Ansaldo aveva pure proposto. Riportiamo in allegato (doc. 16) i rilievi sollevati dalla commissione in merito ai singoli progetti (8°). Il 7 settembre 1915 l'Ansaldo ordinava 250 autotelai alla Spa per la costruzione delle 18 batterie da 102 e 6 da 105 (81), mentre il successivo 11 settembre, per decisione di Pio Perrone, venivano messe in costruzione due batterie di autocannoni da 105 su telaio Spa (s2). Tuttavia il proseguimento delle prove dell'autocannone da 102 aveva messo in luce altri difetti. A fine settembre 1915 il cav. Gino Ascoli, che rappresentava l'Ansaldo alle prove, così scriveva alla direzione dello stabilimento _artiglieria di Sampierdarena: Come vi ho telegrafato nei tiri di oggi si è riprodotta nuovamente la rottura del fondo dell'astuccio delle molle del ricuperatore. La prima volca si è rotto l'astuccio del ricuperatore di sinistra; oggi quello del ricuperatore di dritta. [...] La Commissione aveva anche prima dì iniziare i tiri di prova con il 102, rimarcato che gli astucci sono in bronzo e chiesto perchè non si fossero fatti in acciaio, sostenendo che sarebbe stato preferibile farli in acciaio. L'avevo persuasa dell'inutilità di ricorrere a quest'ultimo metallo. Quando si produsse la prima rottura, attribuendola a cattivo funzionamento del freno dovuto a non perfetto dosaggio della glicerina, feci sì che all'inconveniente non venisse data importanza.

(79) Ivi, da Spa a Ansaldo 26 agosto 1915. (80) Ivi, b. 477 f. 17, da Gino Ascoli (responsabile Ansaldo presso la Commissione) ad Ansaldo 31 agosto 1915. (8 !) Ivi, b. 470 f. 6. (82) Ivi, b. 476 f. 21.


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Il ripetersi della cosa ha invece impressionato i membri della Commissione, sì che ora insistono per avere l'astuccio d'acciaio[...). Ritengo sia conveniente secondare la Commissione in questa richiesta, sia perchè l'inconveniente, prodottosi anche. alla Castagna denota che non abbiamo un gran margine di resistenza, sia perchè, portando a 35° l'angolo massimo di elevazione, le molle del ricuperatore dovranno esercitare uno sforzo maggiore, sia infine perchè la Commissione si è molto impress10nata. Il sostenere una discussione su questo argomento con il R. Esercito, può farla riaprire con la R. Marina [...] <83l.

Le osservazioni che precedono sul problema degli astucci, in se stesso marginale, hanno qualche importanza: il funzionario del1' Ansaldo infatti mostra di conoscere bene le rivalità che, come alti bastioni, dividono in Italia una forza armata dall'altra e non vuol compromettere, nemmeno in una piccola cosa, i vantaggi che da questa situazione possono derivare a chi sia fornitore tanto del}' esercito quanto della marina. La commissione, poi, per bocca del suo direttore ten. gen. Vitelli si· dichiarò poco soddisfatta dei bossoli da 102 e richiese che ne venissero costruiti del tipo di quelli da 105. Altro appunto venne fatto alla corazzatura del motore e del radiatore per cui si erano usate delle lamiere ad alta resistenza e non delle lamiere corazzate (34}_ La produzione dell'autocannone, infine, stentava ad iniziare anche per i ritardi con cui le Fonderie & Acciaierie dell'Ansaldo consegnavano le fusioni e i semilavorati e le comunicazioni interne fra i vari stabilimenti dell'Ansaldo del periodo settembre-ottobre 1915 sono un continuo elenco di mancate consegne con ritardi che arrivavano fino a parecchi mesi (85l. Ad ottobre l'Ansaldo aveva in ordinazione 520 autotelai Spa di diversi modelli per armare sia le batterie di autocannoni da 102 sia quelle campali da 105, quando l'Ispettorato delle costruzioni comunicò che le batterie da 105 dovevano organizzarsi completamente a traino animale «limitando l'uso dei camion ai soli camion osservatori)), per cui il fabbisogno dell'Ansaldo si ridusse a soli 504 autocarri di tipi diversi. Nella speranza che la Spa modificasse i (83) Ivi, b. 475, f. 42. (84) Ivi, b. 477 f. 12, da ccn. gen. Vitelli ad Ansaldo 7 ottobre 1915. (85) In proposito si veda A.S.A., A.P., serie COPIALETTERE 165.


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contratti già firmati, cambiando la classificazione dei 520 autotelai ordinati, si decise di utilizzare i 16 telai in eccesso per la costruzione delle due batterie di autocannoni da 105 non ancora coperte da ordine ministeriale. e per una parte delle tre batterie di cannoni da 76/17 su automobile. Questi ultimi mezzi, come si ricorderà, erano stati offerti prima dello scoppio della guerra insieme con l'autocannone da 102, ma a fronte di un probabile ordine per 12 pezzi non erano ancora stati posti in costruzione <86). Solo a metà novembre 1915 lo stabilimento costruzione artiglierie si accinse alla realizzazione del primo 76/17 S.A.V. su auto, ma a fine anno non si era ancora deciso il piano di consegne (37)_ La produzione degli autocannoni da 102 era invece prevista in 8 unità mensili a partire da dicembre 1915 con un incremento a 12 unità a partire dal maggio 1916. Dalla corrispondenza interna dell'Ansaldo si apprende, poi, che si era posto allo studio anche un obice da 149 installato su autocarro, ma non si sono trovate ulteriori informazioni. Come ricorda il col. Salvatore Gatto, comandante il raggruppamento delle batterie da 102, i primi gruppi di autocannoni pesanti campali giunsero in zona di guerra nella prima decade di maggio, poco prima della offensiva austro-ungarica. Il 1° gruppo schierò le sue batterie in Val Lagarina, Vallarsa e in Val d' Assa mentre il 4° gruppo si dispose lungo le valli che si dipartono dall'altipiano dei Sette Comuni. Nel luglio 1916 arrivò in zona di guerra anche il 5° gruppo, dopo che a fine maggio era giunto il 2°, cosicchè il Regio Esercito potè disporre di 12 batterie per fronteggiare l'offensiva nemica durante la quale «le auto batterie seppero rispondere, ad onta di tutti i difetti di un materiale di ripiego, al vero scopo per cui furono costituite» (88). Il 7 giugno 1916 era stata infatti pubblicata una Memoria circa le caratteristiche generali e di impiego delle batterie da 102 e da 105 che delineava i criteri d'impiego degli autocannoni. Riportiamo

(86) A.S.A., A.P., S.S.R. , b. 470 f. 6, da ing. Manzitti a Mario Perrone 8 ottobre 1915. (87} A.S.A., A.P. COPIALETTERE 165. (88} Salvatore GATTO, Le auwbatterie da 102, in «Rivista di artiglieria e gen io» apri le-maggio 1919, pp. 47-61.


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in allegato (doc. 17) la circolare, ma ci sembra di notevole interesse trascrivere qui alcuni pass.i: Da queste caratteristiche principali [dell'autocannone) traggonsi i seguenti principi fo ndamentali di impiego: 1° - Accorrere rapidamente in soccorso e a rincalzo dell'artiglieria campale per rompere una resistenza nemica manifestatasi imprevista; 2° - Riu nire rapidamente una notevole quantità di batterie per agire nel punto dove si intenda operare il massimo sforzo; 3° - Parare prontamence una minaccia nemica contro un erano della fronte scarsamente difesa; Per l'assolvimento di tali speciali mandati le batterie automobili da 102 è bene siano tenute a disposizione diretta dei comandi d'armata o di corpo d'armata, in località ed in condizioni da poter istantaneamente muovere e prontamente giungere dove vengono chiamate ad agire. 4° - Daco il rapido logoramento di questa bocca da fuoco rispetto alle altre campali, e specie nell'attuale momento in cui non si può disporre che di scarso munizionamento, converrà limitare il suo impiego ai momenti più importanti della lotta (S 9J,

Dalla circolare risulta dunque che l'impiego degli autocannoni era concepito come essenzialmente difensivo («parare») od anche per improvvise necessità offensive («rincalzo» dell'artiglieria campale allo scopo di superare una resistenza imprevista), mai però in vista di un armonico spostamento in avanti per corredare di fuo co continuo eventuali penetrazioni in profondità della fanteria. È. pensabile che se questo problema, certamente sentito (e che ad esempio in Francia aveva dato luogo al barrage roulant cortina mobile, nella terminologia italiana - ottimo come concezione ma poco attuabile da batterie trainate), fosse stato correlato alle potenziali capacità degli autocannoni, si sarebbe probabilmente giunti alla cingolatura o quantomeno all'adozione di ruote tipo trattrice (già richieste ad esempio per i camion-officina dei 102: v. doc. 16) ossia ad anticipare l'artiglieria <<semovente», adattissima a molto terreno del fronte italiano. Al di là di q~este supposizioni, è doveroso riconoscere, specie ricordando le incertezze sull 'impiego delle automitragliatrici, co(89) COMANDO SUPREMO, UFFICfO DEL CAPO DI S.M. (UHICIO T ECNICO), Me· moria circa le caracceristù:he generali e di impiego delle bauerie da 102 e da 105, Zona di guerra, 7 giugno 1916.


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me il Comando supremo avesse chiaramente afferrato alcuni dei vantaggi della «meccanizzazione» dell'artiglieria. Risulta altresì inequivocabilmente che lo stesso Comando si era reso subito conto dell'inadeguatezza dei mezzi offerti. Le discrasie fra Stati Maggiori e industria hanno accompagnato fin qui e continueranno ad accompagnare il nostro racconto. Ma d'ora in poi assisteremo anche ad un'inversione di ruoli. Non saranno sempre gli Stati Maggiori ad adeguarsi alle «novità» concepite e realizzate dell'industria (caso delle prime autoblindomitragliatrici), ma accadrà anzi, sempre più spesso, che gli organismi militari dovranno ridurre le proprie idee e i propri criteri d'impiego per adeguarle alla modestia delle realizzazioni industriali. Tuttavia nei programmi di allestimento di nuove artiglierie per l'anno finanziario 1° luglio 1916 - 30 giugno 1917 e nel secondo semestre 1917 si prevedeva di costituire altre 16 sezioni di riserva di autocannoni da 102 e di ordinare altri 100 pezzi isolati. Nel programma n. 5 i 132 autocannoni venivano poi incrementati di altre 100 unità. Per quanto riguarda l'artiglieria contraerea si volevano creare 3 batterie da 105 (12 pezzi), 19 nuove batterie da 75 C.K. (per un totale di 90 pezzi, comprese le bocche da fuoco isolate) ed ordinare 50 autocannoni Ansaldo da 75 (9o). Questi ultimi erano dei cannoni da 75 Mod. 906 modificati a cura dell'Ansaldo ed installati su degli autotelai parzialmente blindati Lancia lZ. In realtà il programma degli autocannoni da 102 non ebbe pratica attuazione. Il gen. Cadorna, in una lettera del 9 maggio 1917 diretta al sottosegretariato Armi e Munizioni, ebbe a ribadire: Ad ogni modo come ebbi già ripetute volte presentato a questo ministero non conver rà far costruire altre batterie di mortai da 260 oltre a quelle già date in commessa sin dalla primavera del 1916, nè si dovranno assolutamente più costruire batterie di cannoni da 102 che furono accettate soltanto in mancanza d i meglio in una epoca in cui avevamo pochissime artiglierie di m.c. e pesanti campali moderne <91 ).

Dalla corrispondenza fra la Spa, fornitrice degli autotelai, e

(90) MINISTERO DELLA GUERRA, L'esercito italùmo ecc. cic., voi. N tomo 1 bis, pp. 4S-49. (91) lvi, p. 50.


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l'Ansaldo si apprende che nell'agosto 1916 la situazione delle forniture era la seguente: autocannoni da 102: commissionati 93, consegnati 74; autocannoni da 105/28: commissionati 12, consegnati l; autocannoni da 76/17: commissionato un solo esemplare già consegnato. La fornitura dei pezzi da 102 venne aumentata di sole 6 unità nel settembre del 1916. Quindi già a quella data i citati piani di sviluppo dell'artiglieria erano stati modificati in sfavore dell'autocannone Ansaldo (92>. Anche l'autocannone da 105 non conobbe miglior fortuna. Le previsioni di forti ordini portarono l'Ansaldo a contattare la Fiat per la fornitura di 200 autotelai 18B appositamente modificati (93l. Nel febbraio 1917 l'Ansaldo comunicava alla Fiat che l'eventuale commessa si sarebbe ridotta a soli 24 esemplari, ordine che non si materializzò mai. Il 24 marzo 1917 Pio Perrone firmò, infatti, i contratti per la fornitura di 3 batterie da 105 su autocarri Spa (ammontare L. 2.944.800) e di SO autocannoni da 75 su telaio Lancia (ammontare L. 7.372.500) (94), Ma anche la scelta dell'autocannone da 105 non venne condivisa dal Comando supremo: La ditta Ansaldo & Cdi Sampierdarena ha costruito di sua iniziativ:i 3 batterie di autocannoni da 105 su autocarri, di tipo analogo alle batterie di autocan noni da 102. L'installazione da 105 permetterebbe, per l'elevazione che può assumere il pezzo, il tiro concro aerei, ma la bocca da fuoco è per ora sprovvista di congegno di punteria e di proietti atti a tale specie di tiro, motivo per cui l'Ufficio servizi aeronautici rinuncia all'impiego di questo nuovo materiale per la difesa aerea, tanto più che il settore orizzontale di tiro non è che di 120°. Il ministero armi e munizioni ha acquistato le tre batterie senza interpellare il Comando supremo, basandosi sul concetto che se il materiale non poteva essere destinato per il tiro contro velivoli avrebbe trovato impiego campale come il materiale da 102. Siccome per mettere il nuovo materiale in condizione di essere adoperato per la difesa contro aerei sia pure di ripiego occorrerebbe molto tempo, così è giuoco forza accettarlo per il riro campale se no n si vuole cederlo per la difesa costiera. Questo ufficio ha già ripetute

(92) A.5.A., A.P., S.S.R., b. 605 bis f. 18. (93) lvi, b. 605 f. 4. L'offerta foiat è del 25 novembre 1916. (94) A.S.A., A.P., S.S.B.N., b. 816 f. 4.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano volte rappresentato al Ministero la necessità che le ditte industriali prima di costruire nuovi materiali d'artiglieria facciano esaminare da questo Comando i relativi progetti, ed in occasione dell'accettazione del nuovo materiale su autocarro da 105 ha ribadito tale necessità! <95)_

Nello stesso giorno (2 luglio 1917) veniva reso noto il programma n. 6 di allestimento di nuove artiglierie nel periodo 1'0 luglio 1917 - 30 giugno 1918 che abrogava i precedenti programmi che non avevano avuto pratica attuazione per quanto riguarda gli autocannoni. Secondo questo nuovo piano di sviluppo si dovevano costituire 13 nuove batterie da 75 C.K. (60 bocche da fuoco da ordinare) e 12 batterie di autocannoni da 75 Mod. 906 (50 pezzi già ordinati) (96). Secondo il col. Gatto <97) l'utilizzo degli autocannoni da 102 risultò proficuo durante le operazioni dell'ottobre 1917 e i sei gruppi operativi lamentarono la perdita totale di 30 pezzi e perdite analoghe (28 pezzi) ebbero le batterie da 75 C.K. (98l. Con la creazione della Riserva generale d'artiglieria, i gruppi da 102 furono riuniti in un Raggruppamento i cui compiti erano quelli di «parare con rapido accorrere l'imprevisto e l'imprevedibile». Per migliorare la mobilità dei mezzi si adottarono i puntelli vomeri «Riccardi» che potevano essere trasportati sull' autocannone e si studiò una yersione con i puntelli incernierati direttamente al telaio. Nell'estate del 1918 il Regio Esercito aveva in dotazione 26 autocannoni da 75 C.K. e 76 pezzi da 102. La Regia Marina aveva poi costituito delle batterie di autocannoni da 76/30 su telaio Fiat 18B. Sei pezzi di questo tipo si trovavano sulla spiaggia di Cortellazzo (99) e due autocannoni erano posti a nord di Sogno sul lago di Garda (ioo) . (95) AUSSME, 0.M. b. 144. Da Comando su premo reparto operazioni a Ufficio ordinamento e mobilitazione, 2 luglio 1917. (96) MINISTERO DELLA GUERRA, L'esertito italiano ecc. cic., voi. IV tomo 1 bis, p. 54. (97) S. GATTO, Le autobatteri,e ecc. cit. (98) RELAZIONE DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA, Dall'Isonzo ecc. cit. p. 217. (99) C. MONTU', op. cit., voi. XI, p. 558. (100) Alberto SANTO NI, La marina italiana s11l lago di Garda durante la l O guerra mondiale in La prima guerra mondiale e il Trentino, Rovereto Comprensorio della valle Lagarina 1978, pp. 267-275.


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Intanto si faceva strada l'idea dell'autotrasporto dei pezzi di artiglieria per migliorarne la mobilità. Così scriveva l'ing. Manzitti dell'Ansaldo a Pio Perrone: Ho pensato ad una soluzione assai più economica e di risultato altrettanto sicuro [dell'adozione di nuove r uote elastiche per il traino meccanico dei pezzi]. La soluzione si riduce semplicemente a sostituire il traino meccanico col traspor to diretto dei pezzi su camion. In queste condizioni la velocità di trasporto può anche essere sette volte quella che solitamente si tollera per il traino meccanico, per il che un camion verrebbe a sostituire sette trattrici. In più il materiale sarebbe supportato elasticamente dal camion e quindi non subirebbe tormento di sorta. Il problema si r iduce soltanto ad adattare opportunamente i camions per il caricamento facile dei pezzi da trasportarsi. Il problema non mi sembra irrisolubile <10 1>.

Alle stesse conclusioni giunse anche il col. Gatto, comandante il Raggruppamento autocannoni: Infatti la soluzione data dalla ditta Ansaldo al problema di autocarreggiare una bocca da fuoco r isente dell' urgenza del mo mento, per cui non furono possibili, per addivenire alla soluzione più razionale, studi ed app restamenti preventivi corroborati dall'esperienza. I p rincipali difetti che ne deri vano e che l'attività combattiva ha messo ancor più in evidenza si possono così distinguere: r iguardo all'impiego: il cannone da 102/35 costruito per la marina e cioè con t raiettoria rademissi ma per la forte velocità iniziale non r ispose alle esigenze della guerra campale; il rapido logorio, costringendo a risparmiare la bocca da fuoco , rendeva nulla la sua caratteristica celerità di t iro; il munizionamento era deficiente: la poca visibilità della granata e il difettoso funzionamento del proietto a tempo ne d iminuivano il rend imento; r iguardo all'installazione: il peso enorme della vettura pezzo, il limitato settore di tiro ed il pesantissimo ed ingombrante apparato d'aggrappamento al terreno, richiesto per neutralizzare il force torme nto causato dal ginocchiello altissimo e dal corto rinculo, ostacolavano grandemente la mobilità nel campo tattico; r iguardo all'organico: il carro scorta necessario per t rasportare vomeri e pu ntelli ed i cassoni con cofani ad alveoli, inut ili e non rispondenti allo scopo, costituivano una batteria pesantissima ed ingombrante. Queste le ragioni che hanno portato all'abolizione delle autobatterie da 102. Studi ed esperienze eseguiti presso l'officina del raggruppamento portarono ad una più razionale soluzione del problema delle artiglierie a traino meccanico. L'installazione del pezzo fisso all'autocarro fu sostituita con la sistemazione con bocche da fu oco campali (da 149, 105 e 100 mm) su au tocarri (porta-pezzi) opportunamente studiati. Q uesta soluzione ovvia a t utti gli inconvenienti delle batterie da 102 (lOl).

Anche gli autocannoni da 75 Mod. 906 non ebbero successo. Ordinati all'Ansaldo con il duplice scopo di fornire ai reggimenti

(101) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 816 f. 14, da ing. C. Manzitti a Pio Ferrone 5 agosto 1918. (102) S. GATTO, art. cit.


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di artiglieria un pezzo antiaereo e da campagna molto mobile, i mezzi furono consegnati con notevole lentezza a causa di difficoltà di approvvigionamento dei materiali occorrenti. Il loro impiego sperimentale presso il 61 ° reggimento risultò, poi, del tutto insoddisfacente e a partire dal settembre 1918 si iniziò a trasformare tutti gli autocannoni Lancia lZ in autocarri portapezzo per i cannoni da 75 Mod. 906 e Mod. 911 che furono dati al 61 ° e al 62° reggimento artiglieria da campagna <103). Per chi riconsideri questa vicenda alla luce di esperienze anche molto posteriori, colpisce il giro vizioso per cui con l'autocannone ci si inoltra sulla via della «meccanizzazione» sino a sfiorare la soglia di quello che, almeno oggi, sembra il suo logico punto d'arrivo (cannone «semovente» svincolato dalle strade) per poi allontanarsene bruscamente a favore del cannone autoportato ossia di un sistema d'arma che premia solo la velocità di traslazione rinunciando completamente al requisito principe dei meccanizzati e cioè la fusione tra mezzo di trasporto e postazione di tiro. Notevole sviluppo ebbe nel 1918 anche l'artiglieria contraerea autocampale che alla fine della guerra poteva contare su 21 batterie da 75 C.K. (numerate da 1 a 12 e da 81 a 91 escluse la g7a e la 90a) (to4).

Riflessioni Concludendo e riassumendo, durante la grande guerra o in vista di essa, due tipi di mezzi meccanizzati furono approntati in Italia: le autoblindomitragliatrici e gli autocannoni campali e contraerei, oltre a qualche applicazione minore come le motomitragliatrici. Le autoblindomitragliatrici, nacquero al di fuori dell'ambiente militare. Originarono da quello stesso tipo d'intraprendenza pri-

(103) AUSSME, 0.M. b. 221 f. 201E. (104) C. MONTU', op. cic., voi. IX, p. 146.


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vata (perfino individuale oltrechè industriale) che negli anni precedenti era riuscito a permeare alcuni strati dell'esercito dando luogo all'automobilismo militare che aveva avuto in Libia la sua prima applicazione bellica. Per le automobili corazzate e armate mancò forse da parte militare un momento di riflessione profonda e concentrata, o almeno non ce n'è giunta traccia. Dal 1915 al 1917 inoltrato e forse fino alle soglie del 1918 non sembra ci si chiedesse in sede responsabile: a che cosa servono? Dalla risposta sarebbe sgorgata anche una chiara idea di quante ne occorressero e dove fosse opportuno dislocarle. Si andò avanti alla giornata, a rimorchio dell'Ansaldo, con vaghe percezioni di un uso contraereo (ben presto di evidente inattualità dato il rarefarsi dei dirigibili) o di eventuali utilizzazioni per ordine pubblico. Dalla documentazione che si è potuto consultare non risulta neppure sia stata percepita l'utilità che il mezzo avrebbe avuto in Libia (eppure i successi degli inglesi contro il Senusso saranno stati noti al ministero della Guerra così come lo erano all'Ansaldo).

È probabile che se in Libia fossero state disponibili un centinaio o poco più di autoblindomitragliatrici (invece del paio ceduteci dagli inglesi e delle pochissime «Fiat Tripoli» allestite in colonia o presso la Terni) avremmo potuto mantenervi un dominio meno inconsistente di quello cui ci riducemmo, non foss'altro conservando tutti i porti e gli ancoraggi sì da vietarne l'uso ai sommergibili tedeschi, che sembra si sia verificato a Misurata. Beninteso non è affatto detto che quand'anche tale percezione vi fosse poi stata, le macchine sarebbero andate in Libia, che se ne sarebbero costruite di più ecc. È noto quanto Cadorna fosse restio a sottrarre forze al fronte principale: fece una modesta eccezione per Salonicco di cui intuiva l'immensa (e invero non sfruttata) potenzialità strategica, ma fu ad esempio contrario a disperdere truppe in Albania. Probabile dunque che non avrebbe voluto sentir parlare della Libia. Comunque non ci risulta che la questione sia stata neppure posta, almeno in termini pari alla sua importanza. Solo l'esperienza di Caporetto, insieme con la previsione di un possibile crollo nemico per fame e logoramento, portò infine nel


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1918 alla realizzazione coerente e finalizzata di un centinaio di

macchine ed alla costituzione dei relativi reparti in Veneto. È doveroso peraltro aggiungere che, pur essendo mancata così a lungo un'idea centrale, organismi militari periferici ebbero intuizioni assai avanzate. Non era certo privo di idee il ten. col. Malvicini, comandante del deposito del 1° reggimento d'artiglieria da fortezza di Genova, allorchè propose la costruzione di autocarri porta-munizioni e rifornimenti, blindati, destinati ad accompagnare le autoblindomitragliatrici in ragione di uno ogni due, prevedendo financo che all'occorrenza essi potessero venir «cannibalizzati» a favore dei mezzi combattenti. E quando osserviamo sfilare a Bengasi, in occasione della rivista dell'll novembre 1915, un autocarro protetto Fiat 15 ter per trasporto truppe, cioè un mezzo che anticipa e per certi aspetti supera quelli voluti da Malvicini, la mente corre instintivamente alla seconda guerra mondiale allorchè sia per il trasporto dei bersaglieri delle divisioni corazzate sia per il «servizio» dei battaglioni carri medi in Africa settentrionale, bisognerà accontentarsi dei mastodontici e non protetti autocarri Lancia 3 Ro. Basta questo elementare confronto a ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, che gli eserciti, come ogni altro organismo, non costituiscono un tutto omogeneo, che anche in essi sordità e prontezza di percezioni si alternano e si mescolano, frutto non solo della variabile qualità degli uomini ma anche delle mutevoli circostanze talora adatte a favorire l'alacrità mentale e tal'altra e più spesso tendenti a premiare il r istagno e la mancanza di fantasia. Circa gli «aut0cannoni», non staremo a ripetere quanto già scritto poco sopra. Certo è difficile sottrarsi alla suggestione che esercita sullo studioso di oggi l' idea di un mezzo che giunga all'anticamera del «semovente» per poi discostarsene così inopinatamente. Ma tralasciando il senno di poi, va riconosciuto - come del resto si è già notato - che il Comando supremo aveva visto nelle batterie di autocannoni un mezzo per rapidi aumenti di potenza sia in difesa sia in offesa. Si può ragionevolmente supporre che se l'industria fosse riuscita a realizzare autocannoni di efficienza tale da consigliare l'esercico a procurarsene un numero imponen-


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te, Cadorna avrebbe avuto nell'autunno 1917 quella riserva, almeno in termini di artiglieria, che più tardi divenne consueto rimproverargli di aver trascurato. Qui bisogna proprio pensare che i problemi costruttivi, probabilmente tutt'altro che facili, furono determinanti. Neppure con un fronte pianeggiante e solcato da una discreta rete così di arroccamenti come di vie di penetrazione quale la linea del Piave, il Comando supremo stimò opportuna una moltiplicazione degli autocannoni, o per lo meno di quegli autocannoni. L'artiglieria italiana alla battaglia del Solstizio diede invero quelle prestazioni eccellenti che erano mancate sull'Isonzo nell'ottobre precedente e ciò sia come potenza e tempestività di fuoco sia come mobilità delle sue masse: ricordiamo esemplificativamente lo spostamento in sole 24 ore, tra il 19 e il 20 giugno 1918, dalla 4a armata, cioè dal Grappa, all'8a armata cioè al Piave, di tutti i grossi calibri oltre a 6 gruppi di medi e a più di 72.000 proietti (105>. Ma tutto ciò fu opera di normali batterie trainate e di autocolonne non già di autocannoni. Insomma, in tema di autocannoni, se i comandi militari non videro tutto, videro comunque più di quanto l'industria potè o volle dare. L'idea del «semovente» peraltro si fa strada in Italia non come logico sviluppo dell'autocannone ma come variante del tank già realizzata, al pari di questo, fuori d'Italia. È noto che dal gennaio 1917 l'esercito britannico venne a disporre dei primi autocannoni cingolati, cioè «semoventi», chiamati Gun-Carrier tank e armati con un obice da 152 mm o con un cannone da 127 mm. Il relativo disegno risaliva al luglio 1916. Ventidue di tali «semoventi» operarono nell'ambito di una massa di 600 tank di vario tipo che riportarono un successo notevole anche se tutt'altro che risolutivo ad Amiens 1'8 agostO 1918 (106>. Del pari è noto che i francesi iniziarono solo più tardi la realizzazione dei

{105) Gaetano GIARDNO, Rievocaziom e riflessioni s11lla guerra, 3 voll., Milano Mondadori 1929-30, ll, pp. 222-223 e 378. (106) 13.H. LIDDELL HART, The Tanks cit., I, pp. 53, 125, 177. Vedi in particolare la fotografia a p. 125. V. anche Richard M. OGORKIEWICZ, Annour, Londra Srevens & Sons 1960, pp. 367-368.


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«semoventi» quantunque, da un lato essi avessero un progetto di cannone cingolato che datava addirittura dal 1903, e, dall'altro, i loro primi tank del 1916/17, propugnati del resto da un ufficiale d'artiglieria come D'Estienne, fossero stati all'inizio chiamati «artiglieria d'assalto» e come tali usati. Tuttavia, alla fine della guerra, i veri e propri «semoventi» francesi contavano ancora soltanto alcuni prototipi: un 105, tre differenti 75 tutti montati sul carro leggero Renault e due obici da 220 montati rispettivamente su telaio St. Chamond e Schneider. Erano stati tuttavia ordinati 75 «automoteur Caterpillar St. Chamond», 50 dei quali armati con il cannone da 194 mm GPF e 25 con il cannone da 280 mm Schneider, che entrarono in servizio nell'immediato dopoguerra. Su un telaio di carro armato St. Chamond era stato, in precedenza, montato sperimentalmente un cannone da 120 lungo (107>. Come si è visto, nell'agosto 1918 l'Ansaldo, non sappiamo se riflettendo o anticipando un orientamento dell'autorità militare, afferma che il «trasporto delle artiglierie su carri tipo tank» (cioè il «semovente») «s'impone». D'altronde essa si trova nella pratica impossibilità di riprodurre il materiale ormai a portata di mano (i 220 della Schneider) per le condizion i iugulatorie poste dalla casa francese (all. 11) mentre chiaramente l'idea di «derivare» i «semoventi» dai carri Renault richiede tempo. Sarà poi l'autorità milìtare, con decisione veramente dell'ultima ora (2 novembre 1918!) a prospettare il baratto dell'intera commessa di carri Renault, sostanzialmente già rescissa, con l'approntamento immediato di 12 «semoventi» da 105 (appunto su scafo Renault) e la ventilata prospettiva di far poi rivivere la commessa trasformandone l'intera consistenza da carri in cannoni «semoventi» <108>. N on molto infine resta da dire sui carri armati veri e propri o tank o «carri d'assalto» secondo la terminologia italiana d'allo-

(107) P. TOUZIN, op. cic., pp. 220.226. (108) Anche Rich ard \XIEBSTER, in La tecnocrazia italiana e i sistemi industriali verticali: il caso dell'Ama/do 1914-1921, (•Storia Comcmporanca», aprile 1978 n. 2, pp. 205-239) accenna al fatto che «alla fi ne della guerra gli ingegneri dell'Ansaldo stavano progcctando [ ...] un obice da 105 montato su carro armato» (p. 211).


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ra. Nessuna meraviglia che, prescindendo da discutibili «primati» rivendicati un pò dovunque e quindi anche da taluni italiani (v. appendice), nel nostro paese non si siano verificate realizzazioni consistenti. Se si prescinde da poche autoblindomitragliatrici, l'unica blindatura di cui fruì il soldato terrestre italiano nel 1915-18 è rappresentata oltre che dagli elmetti, da taluni rivestimenti individuali come i «protettori De Benedetti», i «gilet corazzati Fariselli», gli «scudi a carriola Robecchi», gli «scudi collettivi Masera» e le «corazze Farina» sui cui infelici esperimenti di Asiago abbiamo la testimonianza di un memorialista <109l. Nessuna meraviglia invero che l'Italia non abbia «creato» i carri armati. Non vi si pensò neppure in Germania e in AustriaU ngheria, paesi non solo d'antica e solida tradizione militare ma dotati di industrie belliche assai più sviluppate delle nostre. O meglio anche in quei paesi ci si limitò a pensarvi (vedi caso Burstyn) senza procedere sulla via delle realizzazioni in grande serie. L'idea si attuò solo in Gran Bretagna e in Francia, separatamente in ciascun paese. È degno di nota che in Gran Bretagna l'iniziativa non appartenne all'esercito tertestre, ma prese le mosse da talune proposte di un'ammiraglio e dall'inventiva di un gruppo di ufficiali del Royal Naval Air Service subito spalleggiati da Winston Churchill in quell'epoca Primo Lord dell'Ammiragliato (cioè ministro della Marina) <110l. Tuttavia va riconosciuto che gli ingegnosi tank anglo-francesi, per lo meno nella loro concezione originaria di macchine destinate a schiacciare gli sbarramenti difensivi aprendo la strada alle fan-

(109) Emili o LUSSU, Un anno sull'altipiano, T orino Ei nalldi 1964 (t • ed. Parigi 1938 pp. 101·103). Per una descrizione critica dei vari tipi di armi bianche difensive italiane: SCUOLA MI· LIT ARE, Sinossi di arm~ tiro e servizio di am1amentc, fascicolo 3, Modena Amica Tipografia Soliani 1921, pp. 7-8. (110) La letteratura al riguardo è infinita. Rimandiamo, per tutti, a B.H. LIDDELL 1-JART, op. cit., voi. I, pp. 17-18, 20.21, 44, 51, 53 e passim. Fra la scarsa letteratu ra in lingua italiana relativa ai carri e pubblicata durante la guerra, possiamo ricordare: la traduzione di un non precisato opu· scolo inglese, / • Tanks, {monstmm horrendum, informe, ingens, etti lumen ademptttm} versione ita1iana di Pietro Santamaria, Roma Failli 1918 (30 pagine) nonchè un fascicolo ciclostilato della SCUOLA DI GUERRA-UFFICIO ORGANICA, Cenni s11lla costituzione organica dei carri d'as·

salto (tanks} presso gli eserciti britannico, francese ed americano {stato di fatto alla data del 4 novembre 1918} {16 facciate più schemi cd organigrammi).


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terie e ·ridando così mobilità alla guerra, rappresentarono in sostanza un'occasione perduta. Causa di ciò, come ben noto, fu l'impiego a spizzico, sperimentale, a piccole dosi: forse inevitabile nel caso di un'arma costosa e nuova con necessità quindi di prove concrete che giustificassero le spese fatte e autorizzassero quelle a venire. Ma anche sistema fatto apposta per nullificare un ritrovato inedito, specie quando si ha di fronte un'avversario reattivo e ricco di capacità inventiva come il tedesco. È probabile che se invece di impiegare solo 35 tank ad Arras il 15 settembre 1916 e altri 60 circa negli stessi luoghi il 9 aprile successivo, i britannici ne avessero rischiati 500 o più, tutti insieme e realizzando l'assoluta sorpresa, avrebbero raggiunto successi strategici in luogo di avanzate certo notevoli in campo tattico dato il carattere oramai assunto dalla guerra, ma assolutamente inconcludenti ai fini generali. È ben noto infatti che, prima dell'inizio di attacchi con aliquote corazzate più numerose (come quello dei francesi allo Chemin des Dames dell'aprile 1917 con 132 carri ma soprattutto quelli successivi del 1917-18 con sempre crescenti quantità di carri), i tedeschi ebbero modo di organizzare la difesa elastica e in profondità con caposaldi intervallati, ostacoli artificiali e sapiente disposizione di riserve, così da ridurre al minimo l'effetto del nuovo mezzo bellico (111>, al quale essi stessi ricorsero poi solo sporadicamente e con molta parsimonia, da principio servendosi di carri nemici catturati. Dunque quando nell'ottobre 1916 il sottosegretario Dallolio ottenne per l'italia il primo esemplare di carro Schneider, potevano forse ancora esistere sul fronte occidentale possibilità teoriche di ottenere risultati decisivi, ove vi fossero stati più carri, ma sul fronte italiano queste prospettive erano senz'altro da escludere. Infatti, quand'anche l'Ansaldo avesse potuto riprodurre rapidamente lo Schneider, la costituzione, l'armamento e l'addestramento di reparti corazzati significativi ci avrebbe portato in là di almeno

(111) Si vedan o al riguardo le osservazio ni sensate di E. VERSE', op. cit. (speci e pp. 27 e sgg.) e di Manlio GABRIELLI, I carri armati (opuscolo d i 46 pagine), Roma T ipografia delle Carriere Cent rali 1923, specie pp. 10 e sgg. no nchè, co n grande larghezza di orizzonti e non limitatamente al problema dei canks, l'opera del capitano G .C. WYNNE, La lezÙ>ne cauica della guerra mondiale (traduzione dall'inglese, cd. originale 1939), Milano Mondadori 1940, specie da p. 89 alla fine (p. 348).


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un anno: tempo necessario e sovrabbondante perchè gli austriaci adattassero al terreno del nostro fronte gli insegnamenti tedeschi sulla difesa elastica e in profondità. È quindi del tutto spiegabile lo scetticismo di Diaz quando il 31 luglio 1918 dichiara inutili i carri pesanti, mostrando implicitamente di non escludere qualche modesto significato a quelli più leggeri (i Renault) che infatti saranno ordinati ma troppo tardi, come sappiamo, per partecipare alle operazioni. Si è accennato ora al «terreno» particolare del fronte italiano rispetto al problema dei carri. È un argomento cui vale la pena di dedicare qualche riga non tanto per ciò che potè significare durante il conflitto 1915-18, ma soprattutto perchè esso sarà più tardi adottato come pretesto contro la diffusione del carro in Italia. A nostro avviso non bisogna confondere la relativa sfiducia verso il carro, che - almeno nella sua versione pesante - si era già dimostrato non risolutivo alla fine del 1917 sul fronte occidentale, con l'idea che il suo impiego fosse in sostanza precluso dalle caratteristiche naturali del fronte italiano. In verità, l'idea dei carri incominciò a farsi strada nel nostro esercito alla fine del 1916 quando il fronte correva ancora a cavallo o poco oltre il confine. E se evidentemente nessuno poteva pensare di usarli in zone impervie di alta montagna, è chiaro che, almeno la fronte giulia, presentava larghe zone di possibile impiego. Caporetto che, per le fortune del car·ro in Italia segnò necessariamente un punto d'arresto data l'urgenza di ricostituire circa metà dell'esercito, avrebbe forse potuto insegnare che rotture in fondovalle sono suscettibili di determinare la caduta dei più impervi e inaccessibili fronti montani. Esemplificando sarebbe stato ragionevolmente immaginabile, che il risultato ottenuto dal nemico nella conca di Plezzo coi gas asfissianti avrebbe potuto conseguirsi anche con un attacco di carri. O che la marcia della 12 a divisione slesiana verso i ponti di Caporetto nella nebbia e per la stretta di Foni, avrebbe potuto essere compito di un distaccamento corazzato o anche di esso con effetti ancor più sconvolgenti. Il fatto che molte delle cause tecniche di Caporetto siano ri-


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maste oscure per tutta la durata della guerra e anzi ben oltre la stessa, non autorizza a supporre che almeno taluni concetti elementari non fossero stati afferrati. La riprova è data dalla circolare n. 40763 con norme per la difesa da eventuali carri diramata dal Comando supremo nell'aprile 1918 e ancor più dal fatto già ricordato che, prima dell'offensiva del giugno 1918, fu scavato il noto fosso anticarro alla stretta di Grottella in val Brenta poco a nord di Valstagna <112). Ossia il Comando supremo vide il pericolo rappresentato dai carri, particolarmente nei fondovalle prossimi allo sbocco in pianura. In sostanza, i nostri organismi militari tardarono ad assimilare la necessità del tank non tanto per il terreno ma quanto perchè le esperienze fatte in Francia non erano del tutto persuasive.Tanto vero che, quando nell'estate 1918 i carri più leggeri di tipo francese parvero invece dare qualche risultato interessante, si arrivò alla nota commessa dei Renault caduta solo per il sopravvenire del crollo nemico. Aggiungiamo che nel dopoguerra la letteratura più seria si guardò bene dall'escludere l'utilità (o il pericolo) del carro per l'Italia argomentando schematicamente dal carattere montuoso dei suoi confini. Autori come Gabrielli e Versè furono assai prudenti al riguardo. Gabrielli consigliando all'Italia nel dicembre 1922 un periodo di raccoglimento e di studi per decidere ponderatamente sull'argomento, ricorda i molti fattori che permettono di contenere un' offesa di tank a chi ne sia sprovvisto: cannoni ed altri ordigni ad hoc e addestramento. Solo come ultimo argomento afferma: «si dovrà inoltre aggiungere che la nostra eventuale guerra futura a carattere nazionale, avrà quasi certamente inizio in zona di alta montagna e quindi l'impiego dei carri è giudicato pressochè impossibile e poco redditizio» <113>. Più ricco e meno sfumato Versè, che peraltro scrive nel 1926-27: {I 12) S. PAGANO, Evoluzione ecc. cit., pp., rispettivamente, 300 e 299. Va notato che Pagano è un deciso sostenitore della scarsa utilità dei carri per l' Italia. {113) M. GABRIELLI, op. cit., p. 45.


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[ ...) sono dell'opinione che se in una guerra futura l'esercito nostro fosse sprovvisto di carri d'assalto sarebbe in una delittuosa inferiorità rispetto ad un nemico che ne avesse. Perciò è indiscutibile che bisogna prepararne. [ ... )

Poco più avanti, citando l'impiego fatto con successo dai francesi nel difficile territorio marocchino (agosto-settembre 1925), egli implicitamente svaluta il fattore «terreno» come elemento sempre e gravemente preclusivo. Ragionamenti questi che sembrano tanto più significativi in quanto l'autore, pur convinto dell'utilità del mezzo, non ne è affatto un sostenitore assiomatico: [...) Ma dall'asserire che l'uso loro è opportuno, anzi necessario, al sostenere che essi [cioè i carri] saranno la cavalleria e la fanteria dell'avvenire, un gran tratto ci corre. Trattò a mio avviso, per ora ancora insuperato a malgrado dei sorprendenti progressi che l'industria ha fatto nella costruzione dei carri [corsivo nell'originale ...) (l 14) _

Certo esistono anche autori come il già ricordato colonnello Salvatore Pagano che, intorno al 1930, dopo aver preso a partito Fuller e i sostenitori francesi dei carri (generali Malleterre e Camon) scrive: Il generale Malleterre dovrebbe venire a impartire i suoi insegnamenti, non dico attorno al Brennero o nelle Alpi Aurine o nelle Carniche, ma in terreni più pianeggianti come l'altipiano della Bainsizza, il pianoro di Doberdò (us).

Ogni opinione, si sa, è rispettabile. Sembra chiaro però che l'insistenza sul consecuto «confine montuoso-carri poco utili» nasce assai più che da idee della grande guerra da ripensamenti successivi. E non si può escludere che questi si facciano più espliciti e insistenti nei periodi in cui sembra che l'orientamento ministeriale, o di vertice in genere, sia scettico o almeno «attendista» in . . argomento carn armati. L'entità della produzione interessante i mezzi meccanizzati durante la guerra 1915-18 è così minima da scoraggiare conclusioni sui rapporti esercito-industria basate su quanto studiato in questo capitolo.

(114) E. VERSE', op. cit., pp. 92-93. (115) S. PAGANO, op. cit., p. 305.


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Per verificare, anche molto approssimativamente, la verità della prima proposizione non vi è che da chiedersi che cosa rappresentano meno di 150 autoblindate e meno di 250 autocannoni rispetto ai forse 40.000 automezzi e alle circa 16.000 bocche da fuoco prodotte nella nazione intera <116l. La produzione connessa ai mezzi meccanizzati risale, è vero, nella sua quasi totalità all'Ansaldo. Ma d'altronde il suo peso rispetto alla produzione complessiva di ordigni bellici della stessa Ansaldo è assai scarso. Invero dalle tabelle che alleghiamo (doc. 18) <117l si può vedere che a fronte di 138 automitragliatrici e di 235 autocannoni stanno 10.099 bocche da fuoco di cui 9.025 approntate nei 41 mesi di guerra (1 ° giugno 1915-31 ottobre 1918) pari all'incirca ai due terzi della produzione nazionale di artiglieria nello stesso periodo. Naturalmente poichè la produzione afferente mezzi meccanizzati si iscrive, col suo modesto peso, nell'invece rilevantissimo totale allestito da uno dei primari fornitori dello Stato in guerra è molto probabile che rapporti e vicende relative alla parte minore abbiano caratteristiche analoghe a quelle dell'insieme. A questa stregua, constatiamo che quanto già osservato episodicamente nel corso dell'esposizione non smentisce alcuni concetti ormai si può dire - generalizzati circa lo speciale rapporto che l' Ansaldo, a differenza di altre industrie, aveva instaurato con lo Stato già prima della guerra e che si consolidò col procedere del conflitto. L'Ansaldo era un contraente in grado di condizionare la controparte sia inducendola a volere determinati prodotti sia costringendola di fatto a commisurare la propria azione esterna, ossia la condotta della guerra, alla quantità e al tipo di forniture prestate. È chiaro che in tal modo le parti perdevano l' «alterità» e tendevano invece a identificarsi. Insomma anche le secondarie vicende delle autoblindate, degli autocannoni e degli altri mezzi con(116) Per le cifre degli automezzi e delle artiglierie preferiamo non citare alcuna fonte. Si tratta invero di dati generalmente accettati, ma non per questo sicurissimi, che qui interessano solo come sommario ordine di grandezza. (117) A.S.A ., A.P., S.S.N.B., b. 532 f. 4.


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generi arrecano marginali e tuttavia non insignificanti conferme della vocazione dell'Ansaldo a sentirsi «in un certo senso branca dello Stato italiano» (us) o addirittura, come altri ha scritto, a «concepire la propria egemonia economica come sostitutiva del potere politico» (t19) _ Parimenti riceve conferme la propensione dell'Ansaldo a ritrovare invece tutto il senso della propria «alterità» rispetto alla parte contraente Stato nel momento di negoziare le condizioni economiche o di esigerne un'osservanza conforme alle sue vedute. C ol che, sia ben chiaro, non si vuole affatto avanzare una critica alla gestione statale dei rapporti, perchè resterebbe poi sempre da dimostrare che in quelle circostanze e condizioni l'amministrazione avrebbe potuto agire diversamente e con risultati complessivi preferibili (120l. E neppure si vuole adombrare un'antistorica ricerca di preannunci fatali delle note vicissitudini della casa genovese nel dopoguerra. Queste ultime costituiscono un capitolo di storia nazionale in parte già studiato e che del resto esorbita dal nostro tema se non per quanto si rifletterà in modo diretto sui problemi della meccanizzazione militare.

(118) Cosl Richard A. W EBSTER, La tecnocrazia italiana ecc. cit. p. 209. Vedi anche, per talu· ni riferimenti alle vicende dcli' Ansaldo nel dopoguerra: Una speranza rinviata. L'espansione indu, striale italiana e il problema del petrolio dopo la prima guerra mondiale, in «Storia contemporanea. aprile 1980, n. 2, pp. 219-281 oltre, naturalmente, a l'imperialismo industriale italiano. Studio s11l prefascismo 1908-/915, T orino Ei naud i 1974. (119) Cosl Maria Luisa Pesante, Il govemo e l'economia (pp. 27-40) p. 39 in Stato e classe operaia ecc. cit.. L'autrice distingue tra imprenditori sul modello Perrone e altri due gruppi di protagonisti industriali: coloro che riconoscono la superiorità dell'attività di governo e che esercitano pression i solo per fini aziendali ben definiti con una presenza politica analoga a quella dei «notabili» dell'Icalia liberale (es. Agnelli, Pirelli) e infi ne coloro che tendono alla comm iscionc'tra politica ed economia non come proprietari ma come managers pubblici (es. Bocciardo, Comi). (120) Un riconoscimento di quesco stato di cose si legge anche di recente in P. CARUCCI, op. cit., p. 69: «il casco che pagava il paese[...] era l'elevata spesa pubblica, la crescita disorganica dell' industria e lo spazio sempre più ampio alla speculazione più spregiud icata. Tuttavia è difficile

ipotizza.re soluzioni alternative a quelLe di Dal/olio capaci di garantire il livello di produzione richiesto dalle esigenze militari • (corsivo nostro).


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APPENDICE Nel fascicolo pubblicitario Tracteurs et camions edito dalla Motomeccanica Brevetti ing. Pavesi a metà degli anni '20 compare la foto di un mezzo blindato, apparentemente di notevoli dimensioni, dotato di lame tagliareticolati disposte verticalmente ai lati dello scafo. La didascalia cita solamente «construction du 1915». Ciò indusse Robert Icks a scrivere (Tanks and armoured vehicles, New York Sloane & Pierce 1945) p. 189): A wheeled tank built on che Pavesi principle of a jointed chassis [ ... ] antedated bot h the first French and English tanks but it seems not to have been considered successful and che project was dropped.

Successivamente Duncan Crow e Robert Icks (Encyclopedia of tanks, Londra Barrie & Jenkins 1975, p. 188) ripresero la notizia, dando del mezzo una descrizione sostanzialmente diversa: Pavesi (Pavesi-Tolatti [sic, casomai Tolotti]) (Pavesi-Cassali), 1915, two turrets, do uble wire cutters in front, probably preceded both originai British and French tanks.

Sulla scia di R. Icks, Nicola Pignato (Italian A.F. V, a dispense in «A.F.V. G2>>) scrisse: Bue che first tank was not British or Frenchl It was built in Italy by Pavesi in 1915. According to col. Robert Icks this crack laying was called Pavesi Tolotti or Pavesi Cassali (capt. Cassali was supposedly t he designer). It had cwo turrets and double wire cutters in front and probably preceded both the Bri tish and French tanks [...]. At any rate, the italian vehicle was badly underpowered, and it was soon broken up for scrap. During t he war, anot her project took place that is worth mentioning. This was a vehicle created in 1917, in Novara, by cape. Luigi Gussalli. The vehicle used an unusual method of propulsion, with skids moving forward (alternating) in a similar manner to a person feet. Tescs resulcs were very successful, but chis very interesting vehicle was not accepted by the militery authorities.

C. Montù aveva già fornito una descrizione del carro Gussalli (Storia ecc. cit., voi. VII, pp. 1623-4): Altro precursore dei moderni carri armati fo il capitano d'artiglieria Luigi Gussalli che nel 1917 ne costruì a Novara un tipo assai interessante.(...] Il carro d'assalto Gussalli era essenzialmente costituito da una torretta blindata, da un motore situato posteriormente al veicolo e da due paia di pattini che, per l'azione del motore, si muovevano uno dopo l'altro in modo che quando uno si posava sul terreno, l'altro si portava in.avanti.[ ...] Benchè le prove eseguite abbiano dato risultaci soddisfacenti, tuttavia non si addivenne all'adozione ufficiale di tale carro Gussalli.

Più recentemente N. Pignato aggiungeva a proposito del carro Pavesi: Il Bennicelli partecipò infatti alle prove valutative di un veicolo destinato a consentire, al riparo di corazze, il taglio dei reticolati con apposite cesoie.


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Tale realizzazione, presentata dalla Pavesi Tolotti [...] essendo basata su uno scafo a tre assi e non su uno scafo cingolato non si dimostrò soddisfacente [...] («Storia modellismo», 1979, n. 9, p. 13).

Il medesimo autore ultimamente ha affermato: [ ...] ed allora si allestì un grosso carro corazzato, munito di robuste cesoie multiple ed armato di mitragliatrici in due torrette girevoli. L'aspetco esterno, se non fosse stato per la trazione (autotelaio a tre assi anzichè a cingoli) non differiva granchè dai primi carri armati apparsi qualche mese dopo la sua comparsa(...] (Gli eserciti del ventesimo secolo voi. Il, Mezzi blindati e corazzati 1900-1918, Roma Curcio 1980, p. 19).

Ci asteniamo da ogni commento, vogliamo solo far notare come il carro Pavesi abbia nel corso degli anni ricevuto descrizioni sostanzialmente diverse e vi sia una certa assonanza fra i cognomi del G ussalli e del Cassali. Il carro G ussalli non ricompare nei p iù recenti scritti del Pignato sui corazzati italiani.



CAPITOLO

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LA MECCANIZZAZIONE IN ITALIA DAL 1919 AL 1921 Si è già accennato alla prudenza con cui il Comando supremo affrontò il problema della meccanizzazione. Tale prudenza era giustificata sia da valutazioni di ordine addestrativo sia da motivi tecnici. Infatti l'introduzione in larga misura del mezzo meccanizzato avrebbe richiesto un addestramento specifico di quadri e specialisti all'utilizzazione della nuova arma ed allo sfruttamento delle sue capacità potenziali. Ma i prodotti che l'industria nazionale era stata in grado di fornire non motivavano certo un radicale cambiamento della struttura dell'esercito. Le infelici esperienze condotte con gli autocannoni e con il Fiat 2000, avevano sicuramente indotto il Comando supremo a riflettere anche sulla scarsa esperienza dell'industria bellica italiana. Come si è visto con il fenomeno della «mobilitazione industriale» si era riusciti a sopperire alle necessità dell'esercito più dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Grazie anche alle leggi che lo Stato si diede, la giovane industria italiana si liberò dalla dipendenza tecnologica, e spesso anche materiale, nei confronti di quella estera e raggiunse livelli di produzione invidiabili, ma ebbe naturalmente come unico scopo quello dei più alti profitti. Il patriottismo industriale, propagandato nel dopoguerra, non fu mai pari all'interesse economico e un'attenta rilettura degli atti della Commissione parlamentare per le spese di guerra lo conferma. In questo clima non meraviglia l'intenzione ministeriale di approvvigionarsi di 60 .carri d'assalto in Francia. Dopo meno


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di un mese e mezzo dalla fine della guerra, il 15 dicembre 1918, il ministro Zupelli così scriveva all'Intendenza generale di Bologna: Sono in corso trattative col governo francese per la cessione a questo Ministero di circa 60 carri d'assalto di tipo Renault, dei quali 10 con apparecchio per telegrafo senza fili. Per questa ragione e nell'eventualità di sollecita consegna delle suddette macchine, si interessa codesto ufficio a vo ler provvedere per l'istruzione del personale necessario <1).

Non possiamo documentare alcuna reazione degli ambienti industriali italiani a queste trattative, ma è molto probabile che ve ne siano'state. È opportuno infatti ricordare l'esito della commessa per millecento (poi 1400) carri derivati dal Renault data a un gruppo di industrie italiane con a capo l'Ansaldo. Come sappiamo, tale commessa venne sospesa prima ancora della fine della guerra quando già l'Ansaldo e altre ditte si erano attrezzate per la produzione. Con riferimento ad avvenimenti successivi potremo documentare l'attività dell'industria presso i poteri politici per ottenere commesse belliche, ventilando l'ipotesi di turbamenti sociali. In questo caso, invece, si sono trovati solo alcuni riferimenti a una offerta di carri d'assalto da parte dell'Ansaldo nel successivo mese di gennaio 1919 (2>. Pur non disponendo di prove precise, sembra probabile che il mancato acquisto anche di questi soli 60 carri sia da addebitare a ripensamenti italiani piuttosto che a un rifiuto francese. Fra l'altro la Francia aveva sovrabbondante disponibilità di questo carro le cui caratteristiche, note in tutto il mondo, non erano certo un segreto. Alla data dell'armistizio (11 novembre) 1167 Renault erano in servizio nell'esercito francese (più centinaia d'altri in riparazione o revisione) mentre per molti mesi del 1919 le varie industrie (Renault, Berliet, SOMUA, DelaunayBelleville) fra cui era stata ripartita una commessa di 4700 del luglio 1918, avevano continuato a produrne. La sola Renault ne aveva sfornati, a guerra finita fra dicembre 1918 e agosto 1919, ben 441 (3}_ (1) USS1'1E, O.M. b. 239, da V. Zupelli a Intendenza generale, sezione auto, Bologna, 15 dicem bre 1918. (2) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 1067 f. 17, da C. Segala a M. Perrone, 12 aprile 1919. (3) Dati tratti da Gilbert HATRY, Renault usine de guerre 1914-18, Parigi Lafourcade 1978, pp. 64-65.


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L'Ansaldo, comunque, si trovava in notevole ritardo nella costruzione dei due prototipi di derivazione Renault: il carro d' assalto, e la «tank armata di cannone)) (il semovente da 105), come testimonia la lettera di sollecito che Pio Perrone aveva inviato all'ing. Segala, direttore del proiettificio di Sestri, il 20 novembre 1918. Come abbiamo già ricordato, si pensava di utilizzarli in colonia (4), In attesa dei nuovi mezzi di costruzione nazionale, nel febbraio 1919 fu inviata in Libia la 1a batteria autonoma carri d'assalto costituita a Torino con mezzi provenienti dal Reparto speciale carri d'assalto, nuova denominazione data al reparto del 1° parco trattrici di Verona. Non è chiara la consistenza della batteria, infatti il Di Paola sostiene: nel dicembre del 1918 si costituiva a Torino, con elementi tratti dal reparto di Verona, la prima batteria autonoma carri d'assalto, con 2 sezioni di 4 carri, di cui uno pesante (Fiat 2000) e 3 leggeri (Renault), che nel febbraio 1919 veniva inviata in Tripolitania contro gli arabi ribelli <5>,

Ma questa affermazione ci sembra dubbia perchè porterebbe a concludere che la Francia abbia fornito otto carri Renault all'Italia e che siano stati costruiti tre Fiat 2000 anzichè due. Infatti, come già ricordato, i carri d'assalto esistenti in Italia all'atto dell'armistizio erano: 2 Fiat 2000;

1 Schneider (avuto dalla Francia); 4 Renault (avuti dalla Francia) <6);

Parziale conferma di ciò si ricava dalla composizione del reparto in Libia data dal colonnello Noè Grassi primo comandante del Reparto carri armati: 2 Renault si trovavano presso la ditta Ansaldo quale modello per la costruzione del blindamento {queste macchine andarono tutte e due in Tripolitania); altre 2 si trovavano presso la Fiat quale modello per la costruzione dei motori e degli organi (4) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 1067 f. 17, da P. Perrone a C. Segala, 20 novembre 1918. (5) A. DI PAOLA, / primi <:arri armaci ... ecc, art. cic., p. 1074. (6) MINISTERO DELLA GUERRA, I rifornimenti dell'esercito mobilitato durante la guerra alla fronte italiana {1915-1918), Roma Scab. Poligrafico per l'Amministrazione dello Stato 1924, pp. 170-171 e 266.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano di trasmissione (di queste una andò in Tripolitania, l'altra restò presso la ditta Fiat, ove trovasi tuttora). Inoltre si recò in Tripolitania anche una Fiat 2000. Riepilogando: 4 carri d'assalto; 1 pesante (Fiat 2000) e 3 leggeri (Renault). Il tutto servito da 4 autocarri «15 ter» forniti dal Comando delle truppe della Libia. La batteria al comando di un capitano (poi di un subalterno), era divisa in due sezioni: ciascuna al comando di un subalterno. Altri due subalterni fungevano da vice-comandanti di sezione. I 4 subalterni meno anziani facevano anche da capi carro <7l.

Nel febbraio del 1919 il ministero della Guerra decideva il concentramento di tutti i carri d'assalto rimasti in Italia presso la scuola centrale d'artiglieria di Nettuno: Si porta a conoscenza di codesto Comando che attualmente si trovano a Roma a disposizione di questo Ministero, per esperimenti, due carri d'assalto: un Fiat [il 2000) ed un Ansaldo [il semovente da 105). Sarebbe desiderio farvi pervenire anche il carro leggero Renault, attualmente in consegna alla Scuola di Verona, per riunire in una sola sede i tre tanks rimasti in Italia. In proposito si espone a codesto Comando il concetto di concentrare alla Scuola Centrale d'artiglieria di Nettuno, dopo gli esperimenti eseguiti a Roma, i suddetti tre carri, inviandovi anche qualche ufficiale specialista, se si riterrà opportuno continuare lo studio di tali macchine <8>.

Il 27 febbraio 1919 il generale Badoglio, sottocapo di S.M. dell'esercito, comunicava al ministero della Guerra di aver disposto l'invio del carro Renault a Roma. Suggeriva inoltre di interrompere gli studi sui carri d'assalto «non essendo ancora organizzate le scuole centrali». Informava infine che il «Reparto speciale marcia C.A. verrà quanto prima sciolto» (9). Ci siano permesse alcune considerazioni. Innanzitutto si è ben lontani dal poter dire con assoluta certezza quanti carri d'assalto esistessero nel 1919. Accettando l'affermazione del colonnello Grassi (4 carri Renault importati: 2 dati all'Ansaldo e 2 alla Fiat), ne risulterebbe che tre di questi furono inviati in Tripolitania (è possibile documentarlo fotograficamente per due soli esemplari), un quarto(??) rimase a Torino, un quinto fu trasformato in semovente dall'Ansaldo e un sesto trasferito da Verona a Roma dove fu presentato alla famiglia reale assieme al semovente e al Fiat 2000

(7) Noè GRASSI, I carri d'assalto (pp. 5-31) in COMANDO SCUOLE CENTRALI Tattica delle varie anni, Roma Arti Grafiche Ugo Pinnarò 1923, parte III pp. 9-10. (8) AUSSME, O.M. b. 239, da Ministero della Guerra Ufficio Carri Assalto a Comando supremo, 8 febbraio 1919. (9) Ivi, telegram ma da gen. Badoglio a ministero della Guerra, 27 febbraio 1919.


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il 2 aprile 1919. Non si hanno notizie dello Schneider in questo periodo. Ma, come risulta da alcuni documenti fotografici, dopo il 1921 al rientro dei carri d'assalto dalla Tripolitania, esso faceva mostra di sè al Forte Tiburtino. È quindi un'ipotesi probabile che in Tripolitania siano stati inviati due Renault, un Fiat 2000 e lo Schneider. Questo verrebbe confermato anche dalla lettera prima riportata del ministero della Guerra, che parla di soli tre carri esistenti in territorio metropolitano: 1 Fiat 2000, 1 Renault (quello già a Verona) e il semovente Ansaldo. Altre riflessioni sono suggerite dallo scioglimento della Scuola per Carri d'assalto di Verona e dalla sospensione delle prove sui carri ancora esistenti in Italia. Nel febbraio 1919 il sindaco di Verona aveva chiesto l'allontanamento «di un certo numero di Ufficiali allo scopo di rendere disponibili le stanze degli alberghi per asportarvi [sic: ospitarvi] i numerosi forestieri che vi accorreranno [a Verona] nel prossimo marzo in occasione dell'annuale fiera di cavalli». Il sindaco chiedeva inoltre di traslocare altrove la scuola carri d'assalto. Le richieste vennero accolte: la scuola di perfezionamento Ufficiali venne sgomberata il 18 febbraio e la scuola carri venne sciolta, sentito il parere del Comando supremo <10>. Probabilmente il ministero della Guerra riteneva i carri d'assalto utili solo in operazioni di polizia coloniale. Infatti nel 1921 non si era ancora provveduto a stilare un ordinamento dei carri inquadrati nel Regio Esercito. Si era soltanto stabilito che i carri armati, come si iniziava allora a chiamarli, erano considerati una specialità dell'Arma di Fanteria ma: sono ordinati [i carri] in un «gruppo» che si compone di un reparto di carri d'assalto, un reparto autoblindomitragliatrici ed un deposito. Non sono ancora state fissate nei particolari le formazioni di pace di tali elementi (11).

Una lettera del 10 aprile 1919, scritta da Mario Perrone all'ing. Segala, conferma l' orientamento al solo uso in colonia dei carri: (10) lvi, da gcn. Pecori Giraldi, comandante 1• armata, a Comando supremo il 14 febbraio 1919 e promemoria dell'Ufficio Affari Generali del Comando supremo il 19 febbraio 1919. (11) SCUOLA DI GUERRA (ma Cesare MANZONI) L'ordinamento attuale dell'esercito ita· Lia.no delle forze coloniali e dei corpi amuiti, Torino s.e. 1921.


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Al Ministero della Guerra è venuta la fantasia e la premura di avere 150 tanks per la Libia .... Il maggiore Bennicelli mi ha chiamato oggi per le ore cinque a discutere con il rappresentante della Fiat per fare insieme ad essa i 150 tanks del suo tipo per i quali sono già pronti i disegni di un derivato «Renault». La Fiat costruirebbe tutto e noi il materiale blindato. Non ricordo bene la situazione dell'ex contratto dei tanks, se cioè continuiamo a farli o se ne abbiamo sospesa la costruzione: mi indichi pure se noi potremmo ora costruirne. Q ui a Roma allo stadio ve ne è un nostro tipo con un obice da 105 ed il magg. Bennicelli dice che noi potremmo farne una serie con cannoni. Non capisco questa speciale situazione del governo dato che . se esso non avesse sospesa la costruzione ora avrebbe pronte le tanks anzichè avere il materiale immobilizzato ed essere con l'acqua alla gola. La prego di vedere l'ing. Pozzo per quello che riguarda la blindatura e tenersi pronti a venire a Roma con lui. Al magg. Bennicelli ho risposto male ... fra l'altro gli ho detto che se il ministero vuole che costruiamo dei tanks deve passarci regolare contratto, darci un anticipo e non trattarci come il passato. Ora che non siamo più in guerra non credo di avere gli stessi obblighi come per il passato <12) [punti di sospensione nel testo originale].

Il 12 aprile successivo l'ing. Segala inviava a Mario Perrone la bozza di offerta per la fornitura dei 150 carri. Riportiamo in allegato (doc. 19) tale documento. Come avvertiva l'ing. Segala, la nuova bozza era la copia di quella presentata nel gennaio 1919 aggiornata nei prezzi. I materiali non erano più quotati ai prezzi di calmiere stabiliti dal Governo ma a quelli ben maggiori del mercato libero. In conseguenza del concordato di Milano erano poi aumentati i salari degli operai e si erano ridotte a otto le ore lavorative giornaliere. Questi fatti avevano portato a un aumento del 20% dei prezzi. Ricordando le lotte fra Fiat e Ansaldo di alcuni anni prima, sono significative alcune frasi dell'ing. Segala: È assolutamente da escludersi una collaborazione Fiat Ansaldo perchè l'unica ragione per la quale può essere conveniente assumere questo lavoro è queJla di dare lavoro alla nostra fabbrica motori. Invece, per quanto riguarda il lavoro da calderaio, e cioè la lavorazione della blindatura, questa costituisce un sacrificio grandissimo per le costruzioni navali. Io ritengo che la costruzione di 150 tanks ci faccia perdere almeno un piroscafo da carico. Per norma di V.S. mi pregio di informarla che il materiale per la blindatura non dovrebbe essere costruito, ma è già esistente potendolo ricavare dai residui delle lamiere di acciaio al vanadio della R.N. «Cristoforo Colombo». Per conseguenza, le acciaierie non potrebbero contribuire alla co· struzione che per la parte che riguarda i piccoli pezzi di acciaio fuso. Concludendo, io ritengo che questo lavoro non sia da accettarsi che alla condizione che sia pagato in modo da garantirci un utile adeguato al sacrificio che ne conseguirebbe nelle nostre costruzioni navali. [...] (Dl. (12) A.S.A., A.P., S.S.N.B., b. 1067 f. 17, da M. Perronc a C. Segala, IO aprile 1919. (13) lvi, da C. Segala a M. Perrone, 12 aprile 1919.


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La proposta Ansaldo escludeva ogni intervento della Fiat nella costruzione, in quanto la subfornitura dei motori veniva affidata alla Spa che, com'è noto, allora apparteneva ai Perrone (14). Il carro offerto era lo stesso Renault che, come sappiamo, l' Ansaldo si apprestava a costruire alla fine della guerra e di cui, secondo il documento, esisteva un esemplare negli stabilimenti di Sestri Ponente. L'Ansaldo si proponeva, poi, di riutilizzare i materiali residui «della iniziata costruzione dei 1000 carri d'assalto tipo Renault presso le ditte Fiat, Romeo, Breda, Vickers Temi, Armstrong e Ansaldo» stessa alla condizione che venisse prima liquidato il vecchio contratto, poi annullato, per la fornitura di 350 Renault di costruzione totalmente Ansaldo. La dura presa di posizione dell'ing. Segala trovava d'accordo Mario Perrone che inviava al magg. Bennicelli il seguente telegramma: Per conte Bennicelli possiamo costruire soltanto tipo che era in costruzione con nostro nome impossibile lavorare per nome altrui (ls).

Tutte queste pretese mettevano però fine all'attività dei fratelli Perrone nel campo dei carri d'assalto. Il ministero della Guerra trovò più facile intendersi con la Fiat che si impegnò per la fornitura di 100 carri di modello denominato Fiat 3000. Come si è già accennato, questo mezzo era un derivato del carro Renault da cui differiva sia per il motore più potente e disposto trasversalmente sia per la nuova torretta armata con due mitragliatrici. Nel maggio 1919, si decise di creare a Nettuno una Scuola di condotta carri d'assalto alle dipendenze della Direzione Generale d'Artiglieria. Per tale motivo tutto il materiale rimasto presso il

(14) Sulla composizione del «sistema industriale verticale» creato dai fratelli Perrone si veda Et core BRA VETTA, «I fabbri di guerra». Pio e Mario Pen·one e il loro sroriw contributo alla vittoria d'Italia, opuscolo di 55 pagine, Genova S.E.P. 1930. Utili informazioni sulla battaglia tra F iat e Ansaldo in Paride RUGAFIORI, Uomini macchine capitali, Milano Feltrinelli 1981, pp. 25-35 e in Valerio CASTRONOVO, GiovanniAgnell~ Torino UTET 1971, pp. 135-151 e nell'edizione aggiornata (Torino Einaudi 1977, pp. 99 e sgg.). (15) A.S.A., A.P., S.S.N .B., b. 1067 f. 17, telegramma da M. Perrone a magg. Bennicelli, 14 aprile 1919.


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Reparto speciale C.A. del 1° Parco Trattrici di Verona venne trasferito a Nettuno <16l. A meno di un anno dalla fine del conflitto, gli orientamenti del ministero della Guerra in tema di meccanizzazione possono essere così riassunti:

- il tiepido entusiasmo nei confronti delle automitragliatrici, inquadrate nell'esercito metropolitano, era scomparso. I reparti organici venivano via via sciolti e i mezzi destinati alle colonie o dati in dotazione a altri corpi armati quali la Guardia Regia (17l; - regnava una certa confusione sui carri d'assalto. Sia l'ordinamento Albricci (R.D. 24 novembre 1919 n. 2143) sia l'ordinamento Bonomi (R.D. 20 aprile 1920 n. 451) prevedevano un gruppo carri armati formato da un reparto carri d'assalto e da uno di automitragliatrici, inquadrato nell'arma di Fanteria. Non si erano ancora stabiliti, però, né l'organico di pace e di guerra né i criteri d'impiego. L'addestramento, tuttavia, dipendeva dalla Direzione d'Artiglieria e i 100 Fiat 3000 erano stati ordinati per un impiego prevalentemente coloniale; - vi era maggior chiarezza di idee sul problema della meccanizzazione dell'artiglieria. Per quanto riguarda gli autocannoni, questi scomparivano dall'ordinamento del Regio Esercito sostituiti da un reggimento di artiglieria autoportata su 5 gruppi (1 di obici da 149, 1 di cannoni da 105, 1 di obici da 100 e due gruppi di cannoni da 75/911). Il reggimento, di cui faceva parte anche il gruppo artiglieria a cavallo, aveva sede a Milano (comando, 2 gruppi e il deposito) e a Crema (gli altri 3 gruppi). I mezzi meccanici a disposizione del reggimento erano trasformazioni di circostanza effettuate presso l'officina del raggruppamento autocannoni. Al fine di unificare i tipi di autocarri impiegati (Spa, Fiat e Lancia), venne posto allo studio il cosiddetto autoportante universale su autotelaio Fiat 18 BL rimasto allo stadio sperimentale

(16) AUSSME, O.M. b. 239, da ministero deUa Guerra a Comando supremo, il 21 maggio 1919. (17) In proposito si veda Vincenzo GALLINARI, L'esercito italiano nel primo dopoguerra 1918·1920, Roma Tipografia Regionale 1980, p. 47 e p. 67.


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i 11 quanto sia gli org::mi tecnici sia quelli militari dichiararono di preferire invece il traino meccanico delle artiglierie (18l;

- per quanto riguarda l'artiglieria controaerei, questa venne ordinata su 3 depositi scuola, ciascuno su 4 o 5 gruppi (decreto Albricci) successivamente ridotti rispetti va mente a 3 e 4 (decreto Bonomi). La formazione prevista per ogni gruppo era di 2 batterie autocampali (8 pezzi) e 1 da posizione. In realtà nel 1921 la terza batteria era una batteria quadro <19l. Nel giugno 1920 la Fiat terminò di approntare il primo esemplare di Fiat 3000 che entrò in servizio ai primi dell'anno successivo con la denominazione Fiat 3000 Mod. 21. Sottoposto a prove di collaudo nel novembre 1921, il carro risultò possedere prestazioni soddisfacenti nella marcia su terreno vario e nei guadi. Poteva infatti superare trincee, con sponde resistenti, di circa l,Sm di larghezza e attraversare fiumi, «con fondo resistente)), profondi 1,lm. La corazza resisteva al tiro di fucileria, «di proiettili perforanti anche a metri 50 di distanza e al comune lancio di bombe a mano» (zo) (doc. 20). La commissione militare di collaudo, tuttavia, faceva presente: la necessità di dotare il mezzo di un armamento più idoneo, adatto anche all'impiego contro mezzi blindati avversari, consigliando il montaggio del pezzo da 37mm a tiro rapido con lievi modifiche della torretta ed esprimendo dei dubbi sull'efficacia dell'impiego delle armi S.I.A. a bordo di un mezzo blindato (21l.

L'uso del cingolo a piastre limitava la marcia del mezzo fuori dal campo di battaglia sia per la limitata velocità su strada sia per la rapida usura del cingolo stesso. Il trasporto per via ordinaria

(18) Arnaldo MAZZA, Amii-espLosivi-artiglierie, Tor ino T ipografia Sociale Torinese 1929, pp. 255-256. L'autoportante universale, studiato in base a un bando del ministero della G uerra del 1919, non risultò soddisfacente per i seguenti motivi: «a) insufficienza del mezzo fuori delle strade, e non adatto al terreno vario; b) difficoltà e poca rapid ità nelle manovre di carico e scarico; e) automezzo troppo legato al pezzo e non utilizzabile per altri scopi; d) peso eccessivo del sistema completo». (19) SCUOLA DI GUERRA, L'ordinamento ecc. cit. (20) C iviche Raccolte Storiche di Milano, fondo Di Breganzc, b. 118 (d'ora in poi Promemo· ria Di Breganzc). (21) Bruno BENVENUTI, Fronte terra. Carri annali in servizio fra le dtte guerre, Roma Bizz.arri 1972, p. 16.


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avveniva su di un apposito carrello trainato da un autocarro Fiat 18 BLR . Il complesso, autocarro e carrello portante il carro, era stato progettato dall'arsenale d'Artiglieria di Torino ed era denominato carro rimorchio Fiat 3000.


CAPITOLO

6

IL PROBLEMA TECNICO E TATTICO DEI CARRI ARMATI L'adozione del Fiat 3000 fece nascere anche in Italia polemiche sull'impiego tattico dei carri armati. Come ricorda il col. Enrico Maltese, comandante del Reparto Carri Armati dopo il col. Noè Grassi, regnava «ancora una grande incertezza sull'argomento». Da un lato vi erano i detrattori che negavano «quasi ogni importanza ai carri armati». Fra costoro ricorderemo il col. Claudio Trezzani, notissimo docente di tattica alla Scuola di Guerra che nel 1923, sosteneva: la nostra frontiera, costituita quasi ovunque da ~na zona di alta montagna, può far ritenere impossibile o così poco redditizio l'impiego dei carri da indurre a considerarli come un mezzo pressochè estraneo o, quanto meno, secondario dei nostri sistemi di lotta <1>.

Dall'esame delle caratteristiche dei carri leggeri allora in uso, il Trezzani poteva così continuare: 1° . In condizioni favorevoli di impiego il carro d'assalto aiuta validamente la fanteria, ma non la può sostituire. [...] Consente la sorpresa, permette di economizzare la fanteria, ma la sua azione non è che momentanea e breve e resta vana se il successo riportato non è immediatamente sfruttato dalla fanteria. 2° - l carri hanno una durata di azione limitata. Essa varia da tipo a tipo; teoricamente dovrebbe dipendere dalla disponibilità di benzina; in pratica, trattandosi di. un meccanismo complesso che deve compiere un aspro lavoro, le cause di pannes sono molto freque nti. [ .. .] 3° - Il logoramento dei carri nel combattimento è rapidissimo; l'esperienza del passato dimostrò che essi non possono resistere a più di due giorni di lotta. [... ) 4° - Il cannone nemico è il più grande pericolo del carro d'assalto. Per eliminare il cannone nemico oltre la controbatteria occorrono particolari misure nei riguardi dei cannoni anci-tank. [...]

( l) Claudio TREZZANI, Impiego delle minori unità delle varie armi nel combattimento, Torino STEN GRAFICA 1923, p. 613.


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Le considerazioni del Trezzani, che si basavano largamente sulle normative francesi del tempo, portavano a riconoscere nel carro d'assalto una limitatissima validità nell'impiego offensivo quale mezzo subordinato all'azione della fanteria che «deve condurre il combattimento senza modificare le modalità d'impiego dei suoi mezzi ed agire con la ferma volontà di combattere senza attendere dai carri la completa eliminazione delle difficoltà che essi incontrano» (2). A tale tendenza si opponeva quella di coloro che, seguaci del gen. Estienne, vedevano «quasi scomparire la fanteria e la cavalleria sostituendole con potenti masse di carri armati più o meno celeri, travolgenti ogni resistenza avversaria». Il gen. Marazzi, ad esempio, scrisse nel suo libro «La nazione armata» che si era «alla vigilia di una rivoluzione tecnica, per cui la trincea scavata nel terreno ed immobile cederà il posto alla trincea mobile, consistente di una massa di carri schierati, formanti una linea di scudi intercalata da cannoni e da altri ordigni di distruzione» (3l. Fra queste due concezioni estreme vi era quella che dava ai carri «importanza grandissima»: vede in essi una arma nuova che in ogni forma di guerra avrà, tra le armi di terra, gioco preponderante, non solo come ar ma sussidiaria della fanteria, ma come mezzo di lotta affatto nuovo, che utilizzando motore e corazza porta sul campo di batt aglia, a contatto stesso del nemico, rapida e intensa azione di fuoco (4) .

Fra costoro vi era il col. Noè Grassi, già ricordato primo comandante del Reparto Carri Armati, che così rispondeva, indirettamente al col. T rezzani: Ma si obietta: è opportuno pensare ai carri d'assalto in un paese come l'Italia? Riflettiamo un momento. Prima di cucco non è possibile prevedere dove avranno inizio le operazioni in una guerra futura cui dovesse prendere parte l'Italia. La nost ra mente, traendo profitto dalle cognizioni geografiche, può sbizzarrirsi a piacere. Consideriamo solo tre ipotesi estreme: di una guerra oltremodo fortunata che ci porti di u n balzo al di là della cerchia alpina; di una guerra per contro così sfortunata che ci costringa a manovrare nella pianura padana; di una guerra che richieda il nostro concorso sotto forma di aiuto a un esercito alleato che operi in zone acces(2) C. TREZZANI, Impiego ecc. cic., pp. 615-616 e 618. (3) La citazione è ripresa da M. GABRIELLI, I carri armati ecc. cit., p. 42. (4) Enrico MALTESE, I ctirr-i amiati, traccia di conferenza per i corsi informativi, C ivitavecchia Premiato Stab. Tip. «Moderno» di Remo Coltellacci 1924, p. 9. L'opuscolo di 14 pagine è stato spesso citato omettendo il sottotitolo.


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sibili ai carri armati. Se a queste tre ipotesi facciamo poi seguire la considerazione dell'opportunità di integrare l'opera della flotta, dei sottomarini e degli idroplani per la difesa delle nostre cosce, sembra pienamente giustificata la istituzione anche da noi di un nucleo di carri d'assalto in tempo di pace. Inoltre non è detto che anche in montagna il carro d'assalto, opportunamente modificato, non possa trovare un giorno utile impiego. Anche qui bisogna distinguere fra monte e monte, fra valle e valle. Vi sono montagne assolutamente impervie ed inaccessibili e vi sono montagne ricche di strade e di terrazzi. Vi sono valli che non offrono passaggio alcuno e vi sono valli ampie, con ricca rete stradale e con vaste zone pianeggianti o collinose ai fianchi. Se per carro d'assalto noi vogliamo intendere una delle macchine ora in uso e qui sommariamente descritte, noi dobbiamo cerco limitarci a considerare la possibilità d'impiego in questo secondo tipo di valle. E perchè no? La scoria militare di tutti i tempi ci ha insegnato che gli eserciti hanno sempre percorso le grandi lince naturali d'invasione che sono precisamente le valli principali; ( ...) (S)

Ebbe il sopravvento una quarta tendenza moderatamente progressista che ebbe fra i più noti portavoce il col. Enrico Maltese. La regolamentazione emanata risentiva grandemente «di quanto è stato fatto in guerra e perciò pecca alquanto al sorpassato, mentre stenta ad avviarsi verso una dottrina che meglio risponda ad ogni presumibile esigenza del futuro» <6>.

(5) N. GRASSI, I carri d'assalto cit., pp. 26-27. Grande importanza alle macchine attribuisce anche il generale Angelo GATTI, notissimo scrittore di cose militari, in due articoli del 1. e del 23 marzo 1924 intitolati - rispettivamente - / carri d'assalto e Ritomo ai principi raccolti, insieme con molti altri scritti, nel volume Tre anni di vita militart, Milano Mondadori 1924 alle pp. 291-297 e 299-304. Più importante ci sembra il primo di questi articoli, una singolare commistione di elementi disparati. Abbiamo innanzitutto il riassumo fedele di una conferenza sui carri ten uta da Fuller a.I King's College di Londra due settimane avanti: una delle prime chiare enunciazioni della tendenza all·t,znks intesa anche nel suo aspetto eversivo della tradizionale configurazione degli eserciti nei quali la fanteria verrebbe a perdere quasi ogni importanza. Vi sono poi ammonimenti saggi e preveggenti sul pericolo dello scarso sviluppo della meccanizzazione nel nostro esercito già anticipati in akri sc ritti («tra le sorprese sgradevoli che potrebbero un giorno capitare all' esercito italiano avrebbe potuto esserci quella di trovarsi di fronte ad un corpo d'armata di carri d'assalto» oppure «se noi non abbiamo carri d'assalto e gli altri li hanno, noi abbiamo torto•, v. pp. 296 e 297). Né manca qualche previsione forse non ben commisurata a realtà possibili ed utili: sostituzione dei veicoli a ruote con quelli a cingoli o a pattini sia per usi civili sia per scopi militari col risultato fra l'altro di rendere inutili le strade e conseguente risparmio delle ingenti so mme che gli stati dedicano al loro mantenimento e in particolare alla riparazione dei danni provocati dalle ruote. Tutto ciò scomparirebbe perché il veicolo senza ruote «non solo non ha bisogno di strade preparate apposta, ma è un costruttore e miglioratore di strade» (p. 295). Si tratta di uno scritto, come si vede, con aspetti vari e curiosi. (6) E. MALTESE, / carri armati ecc. cit., p. 9.


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Ricordiamo tuttavia il giudizio conclusivo del citato promemoria Di Breganze: L'attuale e.a. Fiat 3000, che avrebbe dovuto essere da noi impiegato verso la fine del 1918, a causa della cessazione delle ostilità, non fu sperimentato in guerra. Si ignora, pertanto, quale risultato avrebbe potuto dare e tutte le deduzioni sono state tratte dall'impiego fatto in guerra del carro Renault del quale iJ nostro è quasi una fedele imitazione. L' esperienze fatte nelle varie manovre ed esercitazioni pare abbiano dato buoni risultati tanto da far considerare il e.a., come un'arma di efficace valore; ma in tali esercitazioni è mancato però il fattore principale e cioè il vero combattimento, i veri tiri d'artiglieria e il terreno rotto e sconvolto ad ogni piè sospinto, e a ciò si aggiu nge che le esperienze, il più delle volte, sono state eseguite con materiale quasi nuovo o almeno in buonissimo stato, e quindi di quasi sicuro rendimento (7>.

Dobbiamo quindi convenire con il Maltese che: mancando ancora, come si accennò, un preciso avviamento verso i nuovi materiali è anche largamente giustificata la resistenza ad evolvere dall'attuale regolamentazione <8>.

Dal gennaio 1923 l'ordinamento italiano aveva «per quadro» un reparto carri armati il quale era incaricato «della formazione, addestramento e mobilitazione delle unità carriste» e inoltre era «organo di studio sperimentale della nuova specialità» (9) . Dalle esperienze e dagli studi si dovrebbe poi addivenire alla soluzione concreta dei vari problemi che maggiormente interessano la specialità e.a. Il reparto e.a. è fornito di un comando che, a sua volta, comprende un ufficio studi e un ufficio istruzioni; da un deposito con ufficio materiale ed un'officina di riparazioni. Il comando del Reparto comprende attualmente due gruppi di carri Fiat 3000, ciascuno su tre squadriglie <10l.

Il gruppo era formato anche da un comando di gruppo (3 ufficiali, un'auto-officina e un carro R.T.) mentre ogni squadriglia disponeva di un comando (1 e.a.), due sezioni di combattimento ciascuna su tre carri e una sezione mista con un carro di riserva. In totale il gruppo disponeva di 15 ufficiali, 286 militari di truppa, 24 carri armati, 25 trattori e 1 auto-officina. Il carro R.T., già previsto nella commessa di 60 Renault francesi del 1918, doveva assicurare il collegamento fra i comandi delle unità di carri e quelli delle truppe, tuttavia nel 1923 il mezzo era ancora allo studio, per cui il collegamento fra i comandi durante l'azione era assicu(7) Promemoria Di Brcganze cit. (8) E. MALTESE, / carri armati ecc. cit., p. 9. (9) Promemoria Di Breganze cit. (10) Ivi.


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rato per mezzo di segnalazioni ottiche e di colombi viaggiatori. Il collegamento vicino fra i carri d'assalto ·e fra questi e la fanteria era affidato a segnalazioni con bandiere o più generalmente a staffette. I principi su cui si basava la regolamentazione provvisoria erano i seguenti sempre nella prosa del Di Breganze: - I carri armati devono essere impiegati soltanto dove il terreno lo consenta con sicurezza e sia stato, almeno in parte, riconosciuto; il loro impiego deve essere ben misurato, trattandosi di arma assai logorabile e di difficile sostituzione; - i e.a. devono sostenere, quanto più dappresso è possibile, la fanteria, sia per mettere questa in grado di profittare immediatamente di ogni loro successo, sia perchè essa possa dare ai carri stessi, in alcune speciali circostanze, una necessaria protezione; - i e.a. devono iniziare la loro azione di sorpresa, profittando sia di coperture di terreno, sia dell'oscurità, sia di manovre di fumo; - i e.a. devono essere di norma protetti dall'artiglieria contro l'organizzazione anticarri avversaria; - i e.a. devono essere impiegati a massa (i'n numero considerevole su fronte relativamente largo) e in profondità (con scaglionamento che faccia largo calcolo di avvicendamenti e di rincalzi); - i e.a. devono procedere in intimo collegamento con le varie armi, ed in particolare con la fanteria; - ai e.a. si devono assegnare obiettivi ben definiti e con azione previamente ben concertata. Una volta impegnati, il loro particolare çompito difficilmente può essere mutato dai comandi superiori; - le unità di e.a. di tipo leggero, che operano direttamente con la fanteria, passano a disposizione diretta dei comandi delle unità di fanteria. Le unità di e.a. di tipo medio e pesante [non esistenti in Italia tranne i due modesti Fiat 2000], che a seconda delle circostanze precedono o seguono le prime minori unità di fanteria nel combattimento, dipendono da comandi superiori; ma sono poste, per l'azione, alla dipendenza dei comandi di fanteria (l 1>.

Anche in Italia si iniziò a pensare alla necessità di avere in dotazione due tipi di carri armati e cioè un tipo pesante e un tipo leggero. Al primo era affidato il compito di superare le resistenze nemiche utilizzando un armamento pesante (cannoni), mentre il secondo doveva penetrare con i reparti di fanteria nei varchi aperti dai carri più pesanti affrontando i nuclei di resistenza con le mitragliatrici leggere di cui era dotato. Tuttavia concludeva il promemoria Di Breganze: ma la tendenza attuale che porta a considerare la guerra futura con orientamento offensivo, porta a prepararsi specialmente per la guerra di movimento e pertanto (11) Ivi. Vedi anche E. MALTESE, I carri armati ecc. cit., p. 10.


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tende a considerare lo sviluppo dei carri leggeri, ma capaci di maggior azione di fuoco e di ureo. Per raggiungere tale scopo, necessita un tipo medio, dotato di mitragliatrici Fiac o mitragliatrice e cannoncino abbinati; di peso alquanto superiore a quello dell'attuale e.a. Fiac 3000 tale da offrire maggiore azione di urto e di un equipaggio coscituico da un certo numero di uomini cale da poter disimpegnare il carro in qualsiasi frangente possa trovarsi, anche se qualche elemento dell'equipaggio fosse messo fuori combattimento <12>.

Questa vaga intuizione del carro medio come mezzo anche per lo sfruttamento del successo portò a riconsiderare il problema tecnico dei' carri armati il cui sviluppo in Italia era rimasto fermo alla prima guerra mondiale. Come risulta da un suo scritto allo S.M. Generale, il colonnello Maltese, più volte ricordato comandante del Reparto Carri Armati, giudicava improrogabile la sostituzione del Fiat 3000. I difetti imputati al mezzo erano suddivisi in «difetti di linea« e «difetti di meccanismo». Fra i difetti di linea enumerati, veniva posto particolare accento sull'angustia dello spazio riservato ai due uomini, un equipaggio invero troppo modesto per i numerosi e svariati compiti da assolvere. A tal proposito si ricordava: è dubbio che questi [gli uomini dell'equipaggio] possano, in caso di guerra, manovrare e combattere per tutto il tempo consentito dal raggio d'azione del carro, tenendo conto che si hanno scorte di macerie di consumo per una durata di 8-10 ore di ini nterrotto movimento.

A giudizio del col. Maltese risultavano poi del tutto insufficienti sia l'armamento sia la corazzatura. Il tipo di cingolo a piastre adottato e la posizione molto arretrata del baricentro limitavano le capacità manovriere del carro a condizioni ottimali quali terreni consistenti e in piano. I concetti obsoleti utilizzati nella progettazione e nella costruzione rendevano impossibile l'abbandono del mezzo durante il combattimento, difficoltosa sia la marcia su strada sia ogni operazione di manutenzione. Ancor più numerosi risultavano i «difetti di meccanismo». Cambio, frizione, trasmissione e freni risultavano poco affidabili, difettoso era il sistema di avviamento come pure il circuito (12) Promemoria Di Breganze cit.


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di lubrificazione e quello di raffreddamento. Non risultavano esenti da gravi carenze neppure gli organi di sospensione, di rotolamento e i cingoli così come le feritoie, la torretta, troppo debole nel collegamento con lo scafo, e l'insufficiente armamento qui giudicato anche troppo ingombrante e mal sistemato. Lamentava infine il col. Maltese: anche il grosso att rezzamento del carro, che è provvisto insieme al carro, non è sufficiente ai bisogni di pratico impiego. L'equipaggio sente il bisogno di poter disporre, oltre all'attrezzamento attuale, di una mazza ferrata e di una leva di ferro. Q uest'ultima dovrebbe esere impiegata specialmente nelle manovre di forza intor· no al carro, nel montaggio e smontaggio dei cingoli, nel rimettere a posto carrelli fuoriusciti ecc.

L'unico «particolare» a salvarsi era il motore giudicato di «ottima struttura e di grande rendimento». Tuttavia nel suo promemoria, il col. Maltese teneva a precisare: sembra che la Fiat non sia stata abbastanza felice, come lo è invece stata in altri particolari, allontanandosi, a questo riguardo [la t rasmissione], dalla soluzione adottata dal carro armato tipo Renault che non ha differenziale.

A vendo ben presente la struttura del carro, non si riesce a intuire quali potessero essere gli «altri particolari» ben riusciti al di fuori del motore e dovendosi - come si è visto - escludere da essi il sistema di lubrificazione. È opportuno precisare che le note del col. Maltese accompagnavano la descrizione del progetto di un nuovo carro medio, denominato «Tipo 2», che era stato elaborato dal Maltese stesso e dall'ufficio studi del Reparto Carri Armati. È quindi possibile che emotivamente il Maltese abbia esagerato i difetti del Fiat 3000, indicato nella relazione come «Tipo 1», ma non potrebbe spiegarsi alla stessa stregua quanto si affrettava a scrivere il comandante del Reparto nella parte 1a del documento, parte da «tenere particolarmente» riservata a da non portare «a conoscenza della stessa ditta Fiat». Circa lo svolgimento di tali pratiche [le commesse per i nuovi carri], lo scriven· te pur ritenendo di non dover, salvo ordini Superiori, entrare in merito a quanto si riferisca alla trattazione dei nuovi ordinativi dei carri armati, ritiene opportuno fare in proposito, da un punto di vista più generale di considerazioni, alcune proposte: 1 . riterrei opportu no che il Comandante del Reparto sia, se possibile, tenuto estraneo a rapporti diretti con la ditta che fosse incaricata dell'ordinazione. Egli, invece, in caso di dubbi che si verificassero circa l'attuazione pratica di alcuni criteri informa-


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tivi della costruzione proposta e circa alcuni speciali requisiti da imporre nelle condizioni di collaudo dei nuovi carri armati, potrebbe, e ciò sarebbe anzi opportuno, essere consultato dall'Ente militare che, in confronto della ditta costruttrice, rappresenti il Ministero. 2 - Ad ogni modo, pur non implicando nella parte formale ed amministrativa dei contratti questo Comando(...), si eviti ad ogni costo che una imperfetta interpretazione ed attuazione di criteri costruttivi proposti dallo scrivente o da altri enti competenti e dallo Stato Maggiore approvati, informi [sic, ma infirmi] ( ...) il vero rendimento bellico di queste nuove armi, che può - senza dubbio alcuno - essere considerevolmente grande. Ma per ciò è assolutamente indispensabile che il problema costruttivo sia impostato con la più reale e precisa visione delle complesse esigenze belliche che i carri richiedono. [ ... ) (13)_

Queste parole non sembrano, certo, motivate da grande fiducia nei confronti dell'industria meccanica italiana, cosa spiegabile pensando a quanto l'esperienza della prima guerra mondiale era ancora viva. Il progetto dell'ufficio tecnico del Reparto Carri Armati per un carro medio totalmente cingolato e armato di un cannoncino da 37mm e una mitragliatrice era una delle proposte alla soluzione del problema tecnico dei carri. Venne valutata anche la possibilità di adottare un mezzo semicingolato sul tipo del Citroen Kegresse francese, che presentava il vantaggio di più elevate velocità su strade normali grazie al cingolo gommato. Una notevole evoluzione del mezzo francese veniva proposta dall'Alfa Romeo. Era dotato del doppio sistema di propulsione (con carrello cingolato posteriore su cui potevano essere montate una coppia di ruote per la marcia su strada) e poteva marciare indifferentemente nelle due direzioni. Alle prove il prototipo risultò di prestazioni inferi ori a quelle contrattuali e fu abbandonato. Egualmente valutato fu il carro cecoslovacco HK 50, che su strada marciava su ruote e fuori strada su cingoli. Il successo del trattore d'artiglieria Pavesi P. 4 convinse l'ing. Pavesi a tentare la strada del carro armato a ruote di grande diametro, blindando e armando in diversi modi il trattore d'artiglieria. Non ci soffermeremo sulle polemiche fra il col. Maltese e l'ing. (13) AUSSME, S.P. b. 267/l, da Reparto Carri Armati Ufficio Comando al Sottocapo di Stato Maggiore Generale il 28 maggio 1925.


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Pavesi circa i pregi dei progetti (14l. Il maresciallo Badoglio, capo di S.M. generale, pose infatti fine a ogni tentativo di innovazione dichiarando nella nota memoria dell'ottobre 1925 indirizzata a Mussolini: Noi possediamo all'incirca un centinaio di carri armati di modello assai sorpassato. Furono esperimentati in terreno montano e alle grandi manovre del Canavese, ed i risultati non furono molto confortanti. Io farò proseguire gli studi per la definizione di un carro armato più appropriato alla media delle nostre regioni di frontiera, seguendo attivamente i progressi che in tale materia fa l' industria di ogni paese. E non proporrò per ora a vostra eccellenza (Mussolini) alcuna soluzione e ciò per due ragioni essenziali. La prima si è che la ingente spesa che comportano tali apparecchi ci obbliga a procedere con la massima ponderatezza. La seconda è che la natura del noSlro terreno limita molto l'impiego dei carri armati, e quindi la deficienza o anche la mancanza di essi non ha per noi tutto quel peso che avrebbe per altri Paesi, ad esempio Francia e Germania. Si può quindi attendere con calma <15),

Per il confro nto che dovrà poi farsi sul periodo successivo al 1925, nel quale il dibattito tecnico sarà non abolito ma smorzato e controllato dal vertice, ricordiamo infine che negli anni 1923 e 1924 una rivista militare italiana, La cooperazione delle armi, organo ufficiale delle Scuole Centrali (fanteria, artiglieria e genio), dedicava una sezione esclusivamente ai carri armati sia ospitando articoli in argomento sia soprattutto recensendo con ampiezza quanto si pubblicava all'estero. Fu un dibattito senza eccessiva originalità ma comunque vivo e con spunti interessanti: vi ricorre la confut azione del luogo comune sulla frontiera montuosa come elemento sminuitorio dell'utilità dei carri, non si accenna a sorpassare il concetto che il carro può essere solo ausiliario della fanteria (anche per la sua incapacità di «occupare)) il terreno conquistato) e tuttavia, nelle recensioni, si fa posto alle regolamentazioni più avanzate come quella inglese e ad un articolo di Fuller del 1923 in cui il carro è visto chiaramente come mezzo di sfondamento e di azione in profondità e dove si accenna anche alla necessità di una fanteria mecca-

(14) Vedi .E. MALTESE, Il problema tecnico dei carri armati, in «Rivista di Artiglieria e Genio», marzo 1926, pp. 690-722. e aprile 1926, pp. 889-906. La risposta dell'ing. Pavesi in: Ugo PAVESI, Il problema tecnico dei carri annat~ in «Rivista di Artiglieria e Genio", agosto 1926, pp. 1405-1413. (15) Riprendiamo il passo del promemoria da Piero PlERI e Giorgio ROC HAT, Badoglio, Torino U.T.E.T. 1974, pp. 550-551.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

nizzata per carri, sviluppo che avrà il suo più tenace propugnatore, lungo gli anni seguenti, in Liddell Hart <16l. Nel frattempo il gruppo carri armati, ridenominato «riparto» e poi «reparto» nel 1925, subiva un processo di crescita lenta, a priori limitato dal tetto dell'unica commessa di carri Fiat 3000. Tra il 1° gennaio 1924 e il 31 dicembre successivo l'aumento, compresi gli automezzi ausiliari, è il seguente:

Autocarri Fiat 15 Ter Autobus Fiat 15 T er Autocarri Fiat 18 BL Autocarri Fiat 18 BLR A uto officine Motocarrozzette Motocicli Carri Armati Fiat 2000 Carri Armati Fiat 3000 Carri Armati Schneider Carri Armati Renault C arrelli per carri armati Carri rimorchio

1° Gennaio

31 Dicembre

1924

1924

2

= 2 2 1 1 1 22 1 3 1

12 2 2 40 1 3 9 1 62 1

4 (dei quali 2 F.S.) 48 4 (17)

(16) Vedi: «la cooperazione delle armi - Bollettino tecnico delle Scuole Centrali di fanteria, artigl ieria e genio» (e poi semplicemente «Rivista mensile») anno I, fascicol i giugno 1923 e luglioagosto 1923, Ettore TROIAN I, L'impiego del can·o d'assalto secondo la regolamentazione fra ncese (risp. pp. 93-100 e pp. 239-246), ampia illustrazione della lnstmction provisoire sur l'emploi des chars de combat com me engins d'infamerie del 23 marzo 1920, nonchè, nel secondo di tali numeri, Carlo RJVOLTA, Teorie cedesche sull'impiego dei carri d'assaho (pp. 250-252) e, su entrambi i numeri, varie recensioni; Id., fase. settembre-ottobre 1923, Influenza delle invenzioni scientifiche Stl 11na fa· tura guerra europea (compend io di uno studio inglese) pp. 415-419; Id., fascicolo marzo-aprile 1924, I carri d'assalto e l'armamento e la tattica d'artiglieria da campagna, (compendio d i uno studio inglese) pp. 433-435 nonchè, fra le recensioni, quella dedicata agli studi di Alberto CA VA CIOCCHI, La g11erra meccanica (pubblicati sulla «Rivista di Roma,,); Id., fascicoli luglio-agosto 1924 e settembre-ottobre 1924, Giulio INVERN1ZZ1, Considerazioni ml valore, s11/l'ordinamento e mll'impi,ego tattico dei carri d'assalto (risp. pp. 156-162 e pp. 426-435) nonchè, sul primo d i cali numeri, Manlio GABR!ELLI, !carri armati (pp. 181-186) e altresl, sul secondo, varie recensioni da riviste tedesche, francesi e inglesi; Id., fase. novembre-dicembre 1924, ampia rassegna I carri annali nella lecceratura militare estera (pp. 720-731) con numerose recensioni fra cui quella a FULLER sopra ricordata; Id. fase. giugno 1926 (anno in cui la rivista cessò la pubblicazione), recensione a E nrico MALTESE, Il problema tecnico ccc. cit., pp. 386-390. (17) Lo specchio è tratto dalle Memorie storiche del Reggimento carri armati e 1°, 2°, 3°, 4° reggimenti fanteria carrista 1923-1942, AUSSME, cart. 113.


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Quanto alla situazione organica delle autoblindomitragliatrici qualche notizia si ricava da un documento dello Stato Maggiore Generale, intitolato Pratiche e studi svolti dall'Ufficio Ordinamento e Mobilitazione dal maggio 1925 al febbraio 1927 (ossia il periodo in cui la carica di capo di S.M.G. coincise con quella di capo di S.M. dell'esercito): [...) 6} Studi relativi ai Carri Armati. Sono in corso di compilazione le relative tabelle graduali e numeriche di formazione di pace. Tali documenti, giusta quanto è stabilito dal nuovo ordinamento, prevedono sia i Carri Armaci propriamente detti (1 Comando di Centro, 2 gruppi istruzione) sia le autoblindomitragliacrici, prima assegnate alla cavalleria. Queste ultime poi sono state riunite in un gruppo di istruzione di 3 squadriglie (di cui: 2 già esistenti e 1 da costituire). Tale gruppo, distaccato dal Cemro Carri Armati e dislocato nell'Italia settentrionale, è organo di addestramento e di mobilitazione delle squadriglie Autoblindomitragliacrici l18l.

(18) Archivio Centrale dello Stato (ACS), carte Badoglio, scatola 2, fase. 4, sottofasc. 1/E.



CAPITOLO 7

LE MANOVRE BRITANNICHE NELLA PIANA DI SALISBURY E LA LORO INFLUENZA IN ITALIA Come abbiamo ricordato nel 1925 ebbe praticamente termine in Italia il dibattito sul ruolo tattico dei carri armati. Esso sarà ripreso, e in modo più limitato, solo un lustro più tardi. Si era infatti consolidata l'opinione che i carri, a differenza degli aeroplani, non costituissero un'arma indipendente e prevaleva l'idea di considerarli nuovi ordigni a disposizione della fanteria come ad esempio le armi chimiche. Rimasero tuttavia insoluti i problemi tecnici anche se si arrivò ad individuare talune caratteristiche da richiedere alle nuove costruzioni. Si era già riconosciuta l'inadeguatezza del cingolo a piastre, nia si decise che solo un mezzo totalmente cingolato, con gli opportuni accorgimenti che la tecnica avrebbe offerto, poteva assolvere ai compiti richiesti ai carri armati. Il col. Maltese ricordava: problemi tecnici secondari, ma pure importantissimi, vengono a complicare ancora l'organizzazione del carro armato, e a renderne più difficile il buon impiego. Citeremo per semplice memoria ed esempio i seguenti: a) problemi di visibilità dall'interno del carro e dell'orientamento della marcia di notte o con nebbia b) problema della segnalazione tra carro e carro e delle comunicazioni tra comandi superiori c) problema dei rifornimenti per le armi e per i motori d) problema della protezione antigas e) problema della ventilazione dell'ambiente per la respirazione del personale f) problema delle comunicazioni tra i vari membri dell'equipaggio, ostacolate dal continuo rumore del motore, ed anche dal tiro delle armi e dai sobbalzi del carro stesso <1>.

(1) E. MALTESE, I carri armati e il loro impiego tattico, opuscolo di 32 pagine, Civitavecchia Stab. Tip. Moderno s.d. (ma 1925), p. 11.


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Per quanto riguarda l'impiego tattico, la nota del col. Maltese non introduceva novità rispetto alla regolamentazione provvisoria già ricordata che venne pubblicata nel maggio 1925 con il titolo «Addestramento delle unità carriste (Stralcio di regolamento provvisorio)». È forse opportuno ricordare i compiti assegnati ai carri armati dalle istruzioni dei principali eserciti. Come esattamente notava il gen. Pietro Ago, la regolamentazione sia dell'esercito francese sia di quelli belga, tedesco e austriaco vedeva nel carro armato un mezzo per aumentare la potenza offensiva della fanteria «una specie di fanteria blindata atta a partecipare alle diverse fasi della battaglia, dalla presa di contatto fino allo sfruttamento del successo» (2) . In tutte queste istruzioni si distingueva fra carri leggeri e pesanti; ai primi era affidato il compito di accompagnare la fanteria mentre i carri pesanti dovevano aprire la strada alla fanteria e ai carri leggeri stessi «distruggendo con la loro massa e col loro fuoco la resistenza dei punti di appoggio fortemente tenuti». È interessante ricordare come benchè queste regolamentazioni individuassero nel cannone anticarro il principale nemico dei carri, tuttavia i compiti di protezione del carro fossero affidati ad altre armi: «artiglieria, fanteria, aviazione e non all'armamento del carro stesso» (3). La regolamentazione inglese per il servizio di campagna (1924) si differenziava notevolmente da quelle prima viste e quindi anche da quella italiana. (2) Pietro AGO, Carri armati con artiglierie?, in «Rivista di Artiglieria e Genio» giugno 1927, pp. 929-969, p. 944. (3) Per gli eserciti austriaco e tedesco si veda anche: Scipione SCIPION I, Procedimenti tattici

della fanteria. e dei carri armati negli eserciti italiano, germanico ed auscriaco quali risultano dalle pubblicazioni ufficiali, in «La cooperazione delle ann i» apri.le 1926, pp. 2-33. È degno d i nota che, come fu ampiamente rilevato anche nella pubblicistica italiana del tempo, la Germania (e d i riflesso l'Austria)- pur non potendo allestire carri armati per il divieto posto dal trattato di Versailles - già dal 1920 avesse una precisa regolamentazione tattica non solo per la difesa dai carri ma anche per l'uso degli stessi. Meno noti erano gli accordi per aiuti militari reciproci conclusi con l'Unione Sovietica (1921) dal gen. von Seeckt (capo della Reichswehr fra il 1920 e il 1926), accord i dai quali sorgerà nel 1929 una scuola carrista tedesca segreta a Kama presso Kazan. Vedi, fra gli altri: Martin KITCHEN, A MiLitary History ofGermany from the Eighteenth Century to the Present Day, Londra Weidenfeld & Nicolson 1975, pp. 246 e sgg. e p. 260.


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Infatti, sempre secondo Ago, ai carri d'assalto erano assegnati . seguenti compm: a) ricognizioni ed operazioni di sorpresa a largo raggio; azioni di avanguardia, di retroguardia e di fiancheggiamento; b) azioni negli abitati e nelle località coperte e quindi favorevoli alle insidie da parte dell'avversario; c) azioni rivolte a vincere la resistenza dei nidi di mitragliatrici; d) azione materiale rivolta a creare passaggi alla fanteria attraverso reticolati, abbattute od altri ostacoli.

In Gran Bretagna si propendeva molto «per un impiego assai esteso del carro leggerissimo e veloce, armato di una sola mitragliatrice, da adibire all'esplorazione, all'assalto ecc.». La sua regolamentazione [quella inglese sul carro veloce], più ancora di tutte le altre, assegna importanza all'impiego di tale tipo di carro armato come elemento addirittura indipendente dalle altre armi, per lo sfruttamento del successo, la disorganizzazione dei posti di comando e di centri di rifornimento nemici, l'interruzione di linee di comunicazione ecc .. Inoltre dà molta imporcariza a tale carro, quale , elemento assai efficace di appoggio e di collaborazione con la cavalleria, in quasi tutte le azioni che possono essere affidate a questa arma. In conclusione si può dire che la regolamentazione più recente dei principali eserciti europei assegna ai carri armati un complesso di compiti, il maggior numero dei quali richiede essenzialmente, nei carri, maneggevolezza, celerità ed armamento prevalentemente neutralizzante. Maggior potenza è richiesta solo per vincere le difese più robuste della guerra stabilizzata. La lotta contro le artiglierie avversarie, comprese quelle che sono essenzialmente destinate all'azione più da vicino contro i carri armati, è da tutti affidata alle batterie di artiglieria e non alle bocche da fuoco contenute nei carri. Vi è dunque il più largo campo d'azione pei carri leggieri, armati semplicemente di mitragliatrici e considerati quali preziosi ausiliarii delle altre armi, con le quali devono, naturalmente, agire sempre in stretta cooperazione. E ciò acquista un valore ancor più notevole per noi, dato che, in conseguenza delle speciali condizioni di praticabilità dei nostri terreni di frontiera, possiamo far conto di impiegare solamente carri leggieri, dotati di particolari attitudini di maneggevolezza e di mobilità <•>.

In Italia l'ordinamento Mussolini (legge n. 396 dell' 11 marzo 1926) prevedeva la creazione della Specialità carrista e sanciva la nascita di un centro carri armati costituito da un comando, un deposito e gruppi di istruzione nonchè unità di carri armati, di numero e specie da stabilire <5l. C osì recita l'articolo 23 della legge: I Carri Armati sono così organizzaci: a) 1 centro di formazione costituito da: 1 comando, 1 deposito, gruppi d'istruzione; {4) P. AGO, Cam' annaci ecc. cit., pp. 94$-946.

(5) USSME, L'esercito italiano era la prima e la seconda guerra mondiale, Roma 1954, p. 75.


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b) Unità di carri armati. Il numero e la specie di unità di carri armati, e l'organizzazione degli ufficiali per il centro di formazione e per dette unità saranno stabilite dal Ministero della Guerra. Gli ufficiali appartengono alle varie armi e corpi e sono compresi nella tabella organica dell'arma o corpi rispettivi.

Con successive modificazioni, l'articolo 23 venne così trasformato: I Carri annati sono organizzati su un «reggimento Carri armaci» costituito come segue: 1 Comando di reggimento; 5 battaglioni, ciascuno su tre compagnie ed una squadriglia di auto-blindo; 1 deposito reggi mentale; 1 deposito succursale. Gli ufficiali appartengono alle varie armi e corpi e sono compresi nella tabella organica dell'Arma o Corpi rispetti vi.

Il Reggimento carri armati venne costituito a Roma un anno dopo (1 ottobre 1927). Ogni battaglione era organizzato su due compagnie di 9 carri (due plotoni di 4 carri più un carro comando). Come è stato recentemente ricordato, vi era un particolare curioso: i comandanti di battaglione seguivano l'azione dei carri prendendo posto su una motocarrozzetta (6). L'anno successivo (1928) tre dei battaglioni del Reggimento furono distaccati rispettivamente a Codroipo, Udine e Bologna. A Codroipo venne anche creato un gruppo autoblindo organizzato su quattro squadriglie, ciascuna su una sezione comando (due vetuste Lancia lZ e due torrette del 1915) e due sezioni autoblindo (otto Lancia lZM). Disponeva la regolamentazione allora vigente: Il comando di battaglione carri armati e la squadriglia auto blindo hanno mezzi di trasporto per rifornimento e l'autofficina. La compagnia carri armaci ha mezzi di trasporto per rifornimento e può quindi agire, per qualche tempo, anche distaccata. Si può ritenere che la compagnia carri armati abbia in genere: 1 carro armato comando di compagnia - 12 carri armati - 3 carri armati di riserva. Analogamente per la squadriglia autoblindo.

(6) Cesare SIMULA, Storie di corazzali - Dai 3° Reggimento F. Carrista al 3° Reggimento F. Corazzato, opuscolo (133 pagine) edito in occasione della costituzione del 3° reggimento «Granatieri di Sardegna», senza indicazioni di data e di luog? di edizione, p. 13.


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Il carro armato comprende: il nucleo di combattimento (il carro armato col suo personale)- il nucleo traino {trattore, carrello e relativo personale)- i 4 nuclei traino costituiscono la squadra t raino <7J.

È significativo notare alcuni cambiamenti nella terminologia: i «carri d'assalto» diventavano «carri armati>> e le «autoblindomitragliatrici» semplicemente «autoblindo». L'ordinamento assegnava, poi, alle varie unità in cui si articolavano i reparti di carri armati i corrispondenti n omi delle unità di fanteria, mentre per le autoblindo si utilizzava la terminologia in uso nell'aviazione. Questi rilievi non sono solo formali come confermano le Norme Generali per l'Impiego delle Grandi Unità, spesso citate con il termine N G., e le Norme per l 'Jmpiego Tattico della Divisione {N.D.) che vennero emanate nel 1928. Innanzitutto si nota che: Le grandi unità sono formate da truppe delle diverse armi e da servizi. Esse comprendono anche reparti dell'Aero nautica per il R. Esercito, della M.V.S.N. ed eventualmente di altre forze armate dello Stato. Le truppe sono: la fanteria, colle sue specialità (ivi comprese le unità della M. V.S.N. e i carri armati); le tmppe celeri, (cavalleria e ciclisti); l'artiglieria, colle sue specialità; il genio, colle sue specialità <8>.

Incidentalmente precisiamo che sembra del tutto fuori luogo qualche recente illazione affacciata dalla pubblicistica commerciale sulla «preveggenza» del capo del Governo che, rendendo «autonomo» il reggimento carri, avrebbe dimostrato di vedere future possibilità indipendenti dell'arma corazzata. Intanto la persona del capo del Governo rimane del tutto estranea alla vicenda. È noto infatti che l'ordinamento 1926, opera di Badoglio e Cavallero, fu chiamato «Mussolini» secondo la consuetudine che gli ordinamenti portassero il nome del ministro della G uerra in carica. Tornando all'ambito p rofessionale-militare in cui si elaboravano i provvedimenti che poi sarebbero stati sottoposti alla firma del ministro della Guerra, non mancò qualche oscillazione che è doveroso registrare anche se, in conclusione, lo svincolamento (7) R. LAMBERT, Ricordi logistici e tactic~ 9° edizione, Firenze Barbera 1930, p. 285. Prima edizione non riservala del manuale. L'ottava edizione (riservata) venne edita nel 1925 con un fascicoletto di Aggiunte e varianti nel febbraio I927. (8) MINISTERO DELLA GUERRA, Norme generali per l'impiego delle grandi unità, Roma Provveditorato generale degli studi 1928, I, pp. 5-7.


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dalla fanteria della «specialità» ( 1926) e poi del reggimento carri ( 1927), rimase puramente ordinatorio e senza riflessi concreti sull'uso dei mezzi. Allorchè nel novembre 1924 il Consiglio dell'Esercito discusse e respinse in prima istanza l'ordinamento Di Giorgio (notoriamente caduto nell'aprile successivo, ma che in punto carri diceva le stesse cose del futuro ordinamento Mussolini), il generale Giardino chiese come mai, diversamente dall'ordinamento Diaz, i carri armati erano «costituiti a sè, mentre avrebbero dovuto essere parte integrante della fanteria, con cui dovrebbero combattere». Al che aveva riposto il generale Giuseppe Francesco Ferrari, capo di S.M. dell'Esercito: Il problema tecnico e quindi l'impiego dei carri armati si profila con tali possibilità che non è oggi più possibile considerarlo limitatamente alla funzione cpe ad essi è stata attribuita nella passata guerra, come mezzo ausiliario della fanteria. Tali possibilità si estendono nel campo di battaglia. Occorre pertanto che la loro organizzazione sia tale da consentire di segui re e adattarsi a tali necessità man mano che esse verranno determinandosi. Il comando del reparto dei carri armati richiede, in chi ne è rivestito, speciali cognizioni tecniche, che non è faci le trovare nei soli ufficiali di fanteria, e perciò è bene lasciare che possano aspirarvi tutti gli appassionati allo studio e all'esercizio delle loro funzioni nella specialità. Comunica che attualmente abbiamo 100 carri armati, tutti però di tipo piccolo [in realtà quelli in servizio a quella data erano poco più della metà: v. capitolo precedente]. In Francia, dove il problema è più lungamente s"cudiato, si è giunti a concezioni le più svariate. Si pensa alla corazzata terrestre, rievocando il concetto delle batterie galleggianti, dal quale, nella guerra di secessione degli Stati Americani del Nord, nacquero i monitori e le ,moderne corazzate. Accanto a tale concezione altre ne sorgono, di piccoli e velocissimi carri per la cavalleria ed anche per i servizi di ricognizioni tattiche e di sicurezza delle colonne in marcia, per la quale avrebbero studiati carri capaci di strisciare sul terreno offrendo visibilità e quindi vulnerabilità minime. L'indipendenza quindi che è stata data a questo elemento nell'attuale ordinamento, è stata consigliata dalla necessità di mantenere tale specialità nella necessaria autonomia perchè possa prendere il migliore sviluppo possibile, secondo le varie esigenze. Richiama l'attenzione sul fatto che questa specialità sarà tenuta sempre in efficienza (9)_

Questa risposta data dall'allora capo di S.M. «Centrale» dell'Esercito al «passatista» Giardino, è ispirata quanto meno a una doverosa latitudine di concetti. È però probabile essa fosse espressione di un'apertura isolata, almeno in alto loco, forse collegabile a un innegabile anelito di mo(9) CONSIGLIO DELL'ESERCITO, 5° volume dei verbali ( 10-12 novembre 1924) in AUSSME, F. 9-4.


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dernità p roprio del progetto Di Giorgio e con esso travolto. Sta di fatto che dal fascicolo ministeriale sugli «ammaestramenti» tratti dalle manovre del 1925 emergono in tema di carri armati ben altri concetti: L'intervento dei carri armati in alcune delle principali manovre, se ne ha dimostrato le possibilità e l' utilità in determinati terreni, ha altresl dimostrato come, per trarne il massimo rendimento, occorra uno stretto coordinamento tra la loro azione e quella della fanteria. Questo coordinamento è in taluni"casi mancato. Risultati sensibilmente maggiori si possono senza dubbio ottenere quando i comandanti delle minori unità di fanteria conoscano bene quella parte che direttamente li interessa dell'Addestramento de lle unità carriste - parte 3" - Addestramento e impiego tattico (maggio 1925). Oltre a ciò occorre che i comandanti di carri armati non solo siano perfettamente edotti del compito generico e delle modalità di azione della fanteria ma conoscano esattamente i compici specifici assegnati alle unità con cui devono agire (obiettivi - terreno d'azione - modalità esecutive del combatti mento ecc.). A questo orientamento sui reciproci compiti specifici deve provvedere il comando da cui dipendono tatticamente i due mezzi: l'opera del quale dovrà essere perfezionata per mezzo di accordi dettagliati da prendersi, sul terreno, dai comandanti delle minori unità interessate: fanteria e carri <10>.

Del resto l'indirizzo che integrava in modo esclusivo i carri alla fanteria sarà ripreso nel 1928 dalle già ricordate Norme Generali: I reparti di carri armati vengono impiegati, là dove il terreno lo consenta, quale mezzo ausiliario atto non già a sostituire, nemmeno parzialmente, la fanteria, ma a risparmiare tempo e perdite. La loro azione tende a favorire la sorpresa, in quanto può talora consentire di ridurre la preparazione d'artiglieria. Devesi però tener presente che i carri armati hanno una resistenza ed una autonomia in combattimento limitata a poche ore ed a pochi chilometri; in caso di incidenti non possono disimpegnarsi se non oltrepassati e protetti dalla fanceria; dopo un'azione debbono essere ritirati, accuratamente riveduti, riattati e riforniti (li)_

C ome abbiamo più volte ricordato utilizzando le parole del col. Maltese, nel 1928. non si erano ancora superati, in tema di meccanizzazione, i concetti della prima guerra mondiale. Né tale stato di cose può meravigliare ricordando i limiti evidenti dei mezzi in uso, ideati all'estero più di due lustri prima in armonia sia con i problemi bellici sia con le capacità tecnico-industriali dell'epoca.

(IO) MINISTERO DELLA GUERRA-STATO MAGGIORE DEL R. ESERCITO, UFFICIO ADDESTRAMENTO, Ammaestramenti trarci dalle istruzioni e dalle esercilazioni svoltesi nel ' 925, p. 4, in A.A. (t I) Ivi, p. 8.


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Le norme stesse mostrano invece una ben più avanzata e fiduciosa visione dei vari compiti da affidare ad un'altra arma nuova: l'Aviazione Ausiliaria per il Regio Esercito. Infatti, nonostante proprio allora infuriasse la «battaglia di Balbo contro le aviazioni ausiliarie» <12>, il generale Bonzani aveva lasciato in eredità al suo successore un'Arma Aeronautica che aveva nell'Aviazione Ausiliaria dell'Esercito i reparti meglio dotati tecnicamente. L'Aeronautica per il R. Esercito esplora, riconosce e osserva in profondità; collega comandi fra loro o con unità lontane; protegge dalle offese dall'alto; offende il nemico col bombardamento; combatte anche contro truppe a terra <13>. '

Le norme prevedevano, tuttavia, la creazione di un corpo celere a cui era affidato il compito dell'esplorazione avanzata sul fronte di un'armata. Questa nuova grande unità, nata sull'esempio inglese e francese, era composta «principalmente di cavalleria e ciclisti, artiglieria a cavallo o con automezzi, carri armati e autoblindo, reparti del genio autoportati, fanteria autoportata <14l». Risultava, quindi, improcrastinabile l'adozione di nuovi mezzi da combattimento in sostituzione degli antiquati Fiat 3000 che le norme nel 1929 ritenevano idonei all'accompagnamento della fanteria nell'attacco e nel contrattacco «sostituendo l'azione di appoggio dell'artiglieria nella zona in cui quest'Arma non può intervenire per non colpire i fanti con la dispersione dei propri colpi <15l». Già sotto la presidenza di Alberto Lodolo <16>, l'Ansaldo S.A. riprese a progettare mezzi da combattimento. Risalgono al febbraio 1927 i progetti di un'autoblinda a 6 ruore motrici di cui quattro anche direttrici denominata «Carro d'assalto a sei ruote motrici per servizio di fanteria». Il veicolo, che p')teva marciare indiffe(12) Così G. ROCHAT, Italo Balbo aviatore e ministro dell'aeronautica, Ferrara Bovolenta 1979, p. 95 e sgg. Per i soli aspetti tecnici, alcuni giudi1.i generici ma anche qualche documento inedito sul problema v. anche A. CURAMI, Appunti sull'aviazione italiana negli anni '20 - Gli aerei da ricognizione in «Aerofon», nn. 1, 2 e 3/81. (13) MINISTERO DELLA GUERRA, Norme ecc. cit., p. I, 8. Si veda anche pp. I, 19-l, 33. (14) lvi, p. III, 73. (15) MINISTERO DELLA GUERRA, Addestramento della fanteria, regolamento n. 2772, edizione 1929, p. VIII, 81. (16) Per maggiori informazioni sulle trasformazioni societarie della Gio Ansaldo & C. dopo il tracollo dei Pcrrone rimandiamo a P. RUGA FIORI, Uomini ecc. cit., pp. 25-39.


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rentemente in entrambe le direzioni grazie al doppio posto di guida, presentava alcune caratteristiche interessanti quali: - cannone ad alta velocità iniziale da 47 mm in torretta centrale rotante; - quattro mitragliatrici pesanti abbinate in due torrette laterali rotanti per 135'; velocità su strada di 35-40 km/h; quattro uomini di equipaggio; tenuta stagna all'acqua e ai gas esterni (17). Sempre al febbraio 1927 risale il progetto di un «Carro d'assalto a quattro ruote motrici per servizi di cavalleria» armato con il medesimo pezzo da 47mm in torretta rotante. Dotato di soli tre uomini di equipaggio, il mezzo era in grado di marciare in una sola direzione <18>. Dai disegni originali della Ditta si apprende che questa versione, detta «Tipo A», venne successivamente modificata nel telaio (Tipo B) e diede origine ad una ulteriore serie di progetti quali un'autoblindata su telaio tipo «B», armata del medesimo cannone da 47mm (schema A16470, senza data), un «cannoncino da 57 antiaereo su telaio Ansaldo tipo B» (schema A16507, 9 luglio 1927) ed una «stazione R.T. su autoblinda Ansaldo» (schema A16585, 22 agosto 1927). Il progetto a sei ruote venne abbandonato mentre il «Tipo B», di chiara derivazione da «La Motomeccanica brevetti ing. Pavesi» <19), subì ulteriori evoluzioni. Abbiamo individuato i modelli in scala di almeno due versioni distinte, una con scafo a lastre piane e una in cui si riconosce l'influenza dell'ing. Guido Corni con scafo corazzato a piastre curve. Q uesto epigono dei carri a grandi

(17) I dati sono desumi dalla descrizione tecnica allegata allo schema (disegno in tre viste nella dizione attuale) «ANSALDO S.A.» A16196, Genova Cornigliano 17.2.1927 (in A.A.). (18) Dati desunti da .ANSALDO S.A.•, schema Al62!8, Genova Cornigliano 19.2.1927, in A.A. (19) Era questa la nuova ragione sociale della ditta «la Moto-aratrice brevetti ingg. Pavesi e Tolotci» che nel 1924 aveva vinto il noto concorso militare per la fornitura di un trattore per l'artiglieria pesante campale. Per un attento ricordo dell'attività della Pavesi si veda Augusto COSTANTINO, PaveJi e i suoiji,oristrada, in «A.T.A.» 1981, pp. 173-183.


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ruote venne alfine costruito nella sua versione a lastre piane. Presentato nella primavera del 1928 alle autorità militari, sembra abbia superato brillantemente le prove di collaudo ma venne successivamente abbandonato (20>. Non conobbero miglior fortuna i due progetti sviluppati dalla Società Italiana Ernesto Breda congiuntamente alla Itala S.A .. Si trattava di due autoblindo a grandi ruote, una anfibia e armata di sole mitragliatrici in casamatta (21>, l'altra pesante campale marciante in entrambe le direzioni ed armata con un cannone a tiro rapido in torretta girevole <22>. Alcune tracce nella documentazione consultata indicano trattative per la vendita della autoblinda «P.C.» alla Russia, anche se: Nel 1929 la Itala si fonde (dopo notevoli traversie finanziarie) con le Officine Metallurgiche e Meccaniche di Tortona. Nuova ragione sociale Itala S.A. e capitale di Lit. 35.000.000. Questa combinazione contempla un cospicuo affare di forniture alla Polonia, non andato a buon fine <23>.

Ricorderemo anche i progetti Alfa Romeo per due autoblinde semicingolate e il brevetto di un «Carro individuale» della Caproni, ma questi studi non sembrano obbedire ad alcuna richiesta precisa del ministero della Guerra. Gli orientamenti italiani, in tema di mezzi da combattimento, furono ben riassunti da un lungo articolo del gen. Angelo Pugnani (24>. Dopo aver analizzato le scelte inglesi e francesi, paesi che venivano indicati quali «capi scuola» rispettivamente della «mecca. nizzazione» e della «motorizzazione», Pugnani tendeva a smorzare (20) Nella documentazione Ansaldo in A.A. il carro risulta denominato «Autoblindo Polonia». Non si è trovato alcun riferimento a sigle quali «C.V.28» (Carro Veloce 28) ma bensì a pro· gettate vendite in Polonia. A. PUGNANI (Storia ecc. cit., p. 306) parla della costruzione di due esemplari per la Polonia. Per maggiori dettagli v. anche Fulvio MIGLIA, Ansaldo 28 in «Warrior», anno III n. 9 mari.o-aprile 1977, p. 5-8. (21) IT ALA S.A., Autoblinda tipo «ANFIBIO», monografia n. 91001 (in A.A.). (22) SOCIETÀ ITALIANA ERNESTO BREDA, Autoblindée pour exploration et combat en campagne type P.C, monographie n. 8868 (in A.A.). {23) MUSEO DELL'AUTOMOBILE CARLO BISCARETTI, Marche italiane scomparse, Torino Sirca Print 1977, pp. 153-154. · (24) A. PUGNANI, Il problema della motorizzazione nei suoi aspetti attuali e nel suo divenire, in «Rivista Militare Italiana» anno IV, luglio 1930 n. 7, pp. 1037-1061.


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gli entusiasmi suscitati negli ufficiali italiani «competenti testimoni» delle esercitazioni inglesi nella pianura di Salisbury. Quando si vedevano avanzare rapidissimamente centinaia di piccoli carri arma· ti mirraglieri, appoggiati da carri armati medi e leggeri, apparivano subito - hanno dichiarato i predetti testimoni - le condizioni di decisa inferiorità dei reparti di fanteria e di artiglieria. Che cosa avrebbe potuto fare l'artiglieria? Qualche colpo in pieno, fortunato, avrebbe messo fuori azione qualche carro armato; un fuoco celere ed eccezionalmente ben comandato di qualche batteria da campagna avrebbe senza dubbio procurato gravi danni; il 20, il 30, forse il 50% dei carri armati nemici sarebbero stati danneggiati; ma i rimanenti? Sarebbero, in pochi minuti, giunti sulle posizioni stesse tenute dalla fanteria, seminando ovunque la distruzione, con effetti morali incalcolabili.

Ribatteva il Pugnani che l'esame della conformazione della pianura di Salisbury avrebbe immediatamente posto in luce «la enorme differenza dai nostri terreni di primo probabile impiego e perciò la differenza pure grande dei materiali idonei ai due casi». Nuovo vigore alla propria tesi Pugnani credeva fosse dato dalla constatazione che anche in Gran Bretagna, dopo un periodo sperimentale, «si sta[va] abbandonando la meccanizzazione idealmente sognata per tutto l'esercito per adottare una potente motorizzaz10ne». L'esposizione di Pugnani, esatta per quanto riguarda i programmi italiani e probabilmente anche quelli francesi, merita invece qualche integrazione e rettifica per le vicende britanniche. Queste nel periodo fra le due guerre mondiali, possono sintetizzarsi come segue. I propugnatori britannici della meccanizzazione, a causa della sopravvenuta pace, erano stati defraudati di una tank season programmata per il 1919 con l'allestimento di mezzi e reparti nuovi. Erano poi sopravissuti fino al 1923 anno della formazione in modo permanente del Royal Tank Corps nonchè dell'entrata in servizio di un modesto carro medio della Vickers Armstrong. Il vivace dibattito tecnico protrattosi oltre gli anni '20 aveva dato luogo a un ventaglio di posizioni che andavano dall'estremismo (all-t:anks) di J.F.C. Fuller alla negazione d'ogni ruolo indipendente dei carri passando per punti intermedi come quello su cui si assestò intorno al 1928 B.H. Liddell Hart: cooperazione fra carri e un'apposita fanteria trasportata da veicoli blindati e cingolati, i


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cosiddetti «marines dei carri armati». Intanto qualche aspetto delle manovre del 1925-26 aveva indotto alla formazione di una «forza meccanizzata sperimentale» che dal 1927 manovrava annualmente nella piana di Salisbury. Pur tra infinite discussioni, e con eclissi sia per la crisi economica sia per dissidi nell'alta dirigenza militare, furono raggiunti esiti interessanti nel 1927-28, nel 1931 e soprattutto nel 1934. In quell'anno il reparto sperimentale, chiamato dapprima «meccanizzato» poi «corazzato» (1928) e quindi «brigata corazzata» (dal 1931 ), assunse fisionomia permanente con quest'ultimo nome. Svolgimenti troppo complessi per essere ricordati ora fecero sì che il successo del 1934 non andasse però oltre la stabilizzazione della brigata su quattro battaglioni (in totale circa 70 carri medi e 100 leggeri). Mentre si discuteva di impieghi misti carri-fanteria, fu bloccata l'espansione del Royal Tank Corps (RTC) e furono invece favorite la motorizzazione e la meccanizzazione dei reggimenti di cavalleria in numero sempre crescente fino a raggiungere il totale nel 1937. Due anni più tardi si arriverà alla giustapposizione della cavalleria motorizzata e meccanizzata al RTC ribattezzato Royal Tank Regiment (RTR) nell'ambito di un unico Royal Armoured Corps (RAC). Nel frattempo tutte le altre unità del piccolo esercito britannico avevano adottato l'autotrasporto eliminando ogni forma di traino animale. Pertanto alla vigilia della seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna, persa la posizione di avanguardia in tema d'impiego indipendente dei carri, si troverà con un esercito ricco di mezzi di trasporto ma non di carri e con uno sviluppo dottrinale piuttosto incerto. Vari tipi di carri saranno in progetto a tale epoca (1939), ma la costruzione di una divisione corazzata metropolitana sarà prevista solo per la metà del 1940 e senza precisi criteri d'impiego. Questo nel momento in cui la Germania aumentava le sue divisioni corazzate da 6 a 10 e usufruiva di una dottrina in gran parte ricalcata su idee inglesi. Solo in Egitto i britannici avevano una Divisione Corazzata (7a) mediocremente equipaggiata ma assai ben addestrata per merito del gen. P.C.S. Hobart dell'ala estremista


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RTC che le fazioni avverse avevano esiliato colà nel 1938-39 prima di allontanarlo dall'esercito (25). A che punto della vicenda si collocano le vedute di Pugnani? Nel 1929-30 le manovre della forza corazzata e la pubblicazione autorizzata dal W ar Office del manuale Mechanized and A rmoured Formations (il popolare «Purple Book» dal colore della copertina) opera del col. C. Broad (RTC), avevano ingelosito i gruppi più conservatori i quali dichiaravano di temere la demoralizzazione della fanteria. Ma soprattutto nel 1929 la crisi economica e il nuovo governo laburista contrario a spese militari avevano avuto un effetto frenante su qualunque tipo di sviluppo dell'esercito. D'altra parte le fonti informative di Pugnani consistevano, oltrechè di pubblicazioni ufficiali come quella del 1929, di qualche rapporto dell'addetto militare. Questi aveva assistito a una manovra relativamente secondaria del 1929 (26) e l'aveva illustrata in parte con le parole poi riportate da Pugnani (vedi sopra). Ciò è del resto confermato da alcuni errori del citato articolo di Pugnani che ad esempio attribuisce al n uovo carro medio inglese addirittura un cannone da .. .70 mm, riprendendo così di peso una fantasia o un fraintendimento dell'addetto militare (27)_ Vera ancorchè non definitiva la creazione nel 1930 di brigate di fanteria sperimentale (25) Per le vicende della meccanizzazione brilannica rinviamo soprattutto a: B.L. LJDDELL HART, The Tanks, pp. 220-414 nonchè Memoirs, 2 voli., Londra Casscll 1965, cit. I, specie pp. 86-137, 159-182 e 235-279; Brian BOND, British Military Policy Betwee11 the Two World Wars, Oxford Clarcndon Prcss 1980, specie pp. 127-190. V. anche Giffard Le Q. MARTEL, 011r Anno11red

Forces, Londra Faber & Faber 1945, pp. 37-58. Vedi ora anche: Roberr H. LARSON, The Brùish Armyand the TheoryofAnnoured Warfare 1918,1940, Londra-Toronto, Associated Univcrsity Press 1984; Kenneth J. MACKSEY, Armoured Crusader -A Biography of Major-General Sir Percy Ho· bart, Londra Hutchinson 1967. (26) B.H. LIDDELL HART, The Tanks cit. p. 267. (27) I due rapporti s.d. ma 1930 sicuramente dell'addetto militare si trovano in copie non fir. mate fra le carte della Segreteria di Badoglio conservate in AUSSME SMG-CS Racc. 41 e si intitolano: Stralcio delle notizie riass,mtive sulla situazione militare dell'lnghilterrà e Notizie riass11mive mll'attività militare de/l'Inghilterra nel 1930. Gli addetti militari furono ammessi alle manovre fi. no al 1933 e non oltre. Scrive al riguardo B.H. LIDDELL HART (Memoirs cit. I p. 146): «{...) Quando nel 1934 venne formata la prima Brigata Corazzata permanente agli addetti stranieri fu rifiutato il permesso di visitarla durante i tours guidati che il War Office organ izzava per loro, tuttavia le manovre nella zona di lmber della pi ana di Salisbury erano sempre seguite e spesso intralciate da un fiotto giornaliero di spettatori civiJi delle città vicine. Nulla avrebbe impedito agli addetti stranieri o a loro agenti di recarvisi in borghese e di mescolarsi tra la folla•.


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ciascuna con un battaglione carri. In realtà, si era trattato solo di una delle molte oscillazioni di uno stato di cose che cambiò in modo sensibile solo col 1934. In conclusione Pugnani, per meglio dimostrare l'utilità in Italia del tipo di sviluppo che sarà descritto nel capitolo seguente, invocava anche un esempio britannico che a quella data non esisteva, almeno con caratteri così definiti come quelli da lui supposti per opportunità dialettica. In Italia dunque le vicende della forza corazzata britannica e delle sue manovre nella piana di Salisbury erano note ma la loro influenza, scarsa fino al 1930, dileguò completamente allorchè informazioni poco accurate e risvolti secondari furono usati solo per contestare quanto si era già deciso di fare qui. Ma vi è un altro aspetto significativo della «non influenza» di tali manovre in Italia. Fin dagli anni della prima guerra mondiale gli inglesi avevano sperimentato l'utilità dei mezzi corazzati in Egitto e gli italiani lo sapevano. Ma tutto non si riduceva all'impiego di autoblindo contro i ribelli che del resto fu praticato, in modesta misura, anche da noi. Già nel 1916-17 un piccolo distaccamento di tank britannici era stato usato con successo per superare i trinceramenti turchi di Gaza e di El Arish in Palestina. Nel dopoguerra poi, a parte l'uso frequente di autoblindo per ordine pubblico ad Alessandria e al Cairo oltrechè nel deserto a partire dal 1920 (28>, vi fu un altro motivo ricorrente tra gli uomini del RTC: l'Egitto avrebbe costituito terreno ideale per manovre di corazzati, non meno della piana di Salisbury. Nel 1929 l'allora brigadiere G.M. Lindsay aveva ammonito per iscritto sul pericolo di assegnare all'esercito veicoli che non fossero stati sperimentati anche nel Medio Oriente (29l. NelPautunno 1930 gli sforzi di eminenti ufficiali della forza corazzata, quali C. Broad e F. Tim Pile, ottennero che due compagnie in Egitto fossero trasformate in un reparto «non ufficiale» del RTC

(28} B.H. LIDDELL HART, The Tanks cit. I, pp. 20, 125-127, 207, 210, 213-215. (29) lvi, p. 273.


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con 10 Vickers-Medium e 10 carriers Carden Loyd (3o). Non fu necessario attendere i dissensi con l'Italia perchè il RTC e quanti in Gran Bretagna ne seguivano con simpatia le vicende, proclamassero con insistenza l'opportunità di approfittare dei vantaggi offerti dall'Egitto per l'addestramento <31). Quando si intensificò la meccanizzazione della cavalleria furono trasformati anche alcuni reggimenti della guarnigione egiziana (32). E naturalmente, sopravvenuta nel 1935 la crisi etiopica, in Egitto si dislocò una piccola forza meccanizzata al comando del gen. V. Pope che anni prima vi aveva già comandato una compagnia di autoblindo <33l. Pope fu scelto dall'ex comandante della brigata corazzata Hobart che in quel momento si trovava in India (34) • . E ·nel 1938-39, come abbiamo già ricordato, sarà lo stesso Hobart a gettare le basi della futura 7a Divisione Corazzata. Se è molto probabile che il trionfo di Beda Fomm (febbraio 1941) abbia il suo antecedente diretto in una manovra in Inghilterra dell'agosto 1935 (comandante Hobart) <35l, è comunque universalmente riconosciuto che l'intera vittoriosa campagna 1940-41 contro gli italiani in Cirenaica rivela chiari segni dell'impronta addestrativa lasciata da Pope e da Hobart. Quando leggiamo in Liddell Hart che le incomprensioni britanniche per le possibilità dell'arma corazzata erano in parte «dovute alla diffusa incapacità di vedere quanti ampi spazi del continente erano simili al territorio della piana di Salisbury» <36), la mente corre al già riportato asserto di Pugnani sulla «enorme (30) I vi, pp. 283-285. (31) [vi, pp. 274, 283-285 e passim. (32) Ivi, pp. 341, 356. (33) Ronald LEWIN, Man of Armour - a Scudy of Lieut. Generai Vyvyan Pope, Londra Leo Cooper 1976. Brian BOND op. cit. p. 182. Pope morì in un incidente aereo nell'autunno 1941 mentre si recava in Egitto per assumere il comando del XXX corpo (corazzato) dell's• armata che fu poi comandato da W. Norrie nell'offensiva del novembre 1941, in codice «Crusader». (34) V. ancora B.H. LIDDELL HART, The Tanks cit., pp. 397, 402-403 e B. BOND, op. cit., pp. 182-184. Sulla costituzione del.la «D ivisi<>ne Mobile» (poi 73 Corazzata) di Hobart nell'estate 1938 Badoglio ebbe tempestive informazioni: v. L. CEVA, Appunti per una storia dello Stato Mag· giare Generale fino alla vigilia della «non belligeranza» (giugno 1925-Luglio 1939} in «Storia contemporanea» 1979 n. 2 (pp. 207-252), pp. 221, 233-234. (35) B.H. LIDDELL HART, The Tanks cit., I, p. 347. (36) lvi, p. 311.


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differenza» fra la storica piana e i «nostri terreni di primo probabile impiego». Quasi che in guerra il «primo impiego» debba perpetuarsi e che quanto sta oltre le Alpi e la stessa pianura padano-veneta che giace al di qua non potessero, secondo le fortune, tramutarsi in campi di battaglia. E del resto era già stata inventata la Libia, teatro per scontri corazzati non meno ideale dell'Egitto. In Libia, sia pure per operazioni di carattere coloniale, erano state provate le autoblindomitragliatrici e poi i carri Fiat 3000 e perfino il Fiat 2000. Inoltre, il capo del Governo e ministro delle tre forze armate amava intessere variazioni sul tema di una guerra ormai sicura anche contro la Francia. Fuori dubbio che egli avesse un temperamento portato alle divagazioni verbali a sfondo politico-strategico. Ma quando - come almeno a partire dal 1927 - tali divagazioni avvenivano non in una privata cerchia bensì davanti ai quattro capi di Stato Maggiore espressamente convocati (37), uno sguardo ai terreni africani e alle molte pianure d'Europa non era forse del tutto ozioso. Sarebbe stato insomma quanto mai opportuno che al vertice, per forza di cose meglio informato degli umori del capo del Governo, fossero presenti quelle visioni che pure più in basso non mancavano di manifestarsi sia pure in modo intermittente (es., col. Grassi, gen. Di Breganze).

(37) Rinviamo alle parole di Mussolini pronunciate il 18 luglio 1927 alla presenza di Badoglio e dei capi di S.M. di Forza Armata come da verbale sunteggiato all'inizio del capitolo seguente (v. ivi anche nota 2).


CAPITOLO

8

LA «NOSTRA» MOTORIZZAZIONE Nomenclatura

Il titolo di questo capitolo è identico a quello dato dal gen. Pugnani a un paragrafo del suo saggio ripetutamente citato <1>. Lo abbiamo scelto intanto perchè, nell'epoca che stiamo studiando, le idee di Pugnani furono quelle adottate dall'esercito nazionale e così divennero per forza anche «nostre». Ma soprattutto il possessivo ci offre il destro per un'opportuna puntualizzazione di nomenclatura. Il presente libro esordisce differenziando nettamente motorizzazione (sfruttamento del motore a scoppio per i trasporti in precedenza affidati ai quadrupedi) e meccanizzazione (concernente solo i mezzi da combattimento). Per parte nostra, continueremo a rispettare la terminologia. Senonchè non sempre altrettanto si fa in questo ed in altri paesi, anche in opere scientifiche, cosicchè può accadere che si scriva di meccanizzazione della cavalleria tanto per il reparto che passa dai cavalli ai mezzi blindati quanto per quello il cui mero trasporto viene affidato agli autocarri. Ora la motorizzazione adottata in Italia negli anni '30 e che - come subito vedremo ,_ comprendeva così i carri come gli autocarri così le motociclette armate come i trattori d'artiglieria era in realtà un ibrido forse meglio definibile col composto «moto-meccanizzazione», ma che per praticità chiameremo anche noi motorizzazione insistendo però sul «nostra» nel senso appunto di una mo. . . . tonzzaz1one suz generis.

(1) Ci rifer iamo sempre a A. PUGNANI, IL problema ecc. cit.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

La motorizzazione 1930 rispetto a visioni strategiche di vertice e a visioni correnti

Difficilmente Pugnani, che nel 1930 era maggiore generale del-

!'appena nato «Servizio Tecnico Automobilistico», sarà stato al corrente - almeno in via ufficiale - di quanto Mussolini aveva esposto il 18 luglio 1927 al capo di Stato Maggiore generale, maresciallo Badoglio, ed ai vertici delle tre forze armate. Il capo del Governo aveva dichiarato, fra l'altro, di considerare quella riunione come la «prima per la preparazione sistematica della guerra», e aveva aggiunto che «la guerra può essere lontana o non lontana ma certamente ci sarà>>. Nessuno dei presenti sollevò obiezioni a tali concetti <2l. Era comunque tema ricorrente delle esercitazioni e pianificazioni di Stato Maggiore un'eventuale guerra contro la Francia o la Jugoslavia od anche contro entrambi questi Paesi, quantunque altri documenti ci informino che il maresciallo Badoglio considerava quest'ultima ipotesi «un suicidio» <3>. Ora, pur sapendo che una politica militare non è sempre e soltanto influenzata da ipotesi strategiche ma spesso solo da disponibilità di bilancio o da chissà quali altri fattori, non è facile intendere a quale concetto di guerra fosse informata la «nostra» motorizzazione di cui Pugnani si faceva portavoce. Si direbbe una guerra da condursi sul crinale alpino in modo così statico da non supporre né di superare tale barriera né che la superasse il nemico. E questo nonostante già nel 1923 il citato Studio tecnico sugli autoblindati del Comando delle Scuole centrali avesse formu lata un'ipotesi d'impiego se non prop rio oltre o all'interno dei nostri (2) Verbale della seduta del 18 luglio 1927 dell'ufficio del capo di Stato Maggiore generale. Abbiamo esaminato copia del verbale in Ufficio Storico Stato Maggiore Aeronautica. Riferimenti e citazioni parziali di tale verbale in: L. C EVA, A. CURAMI, Gli idrocorsa da primati. Una valutazione storico-tecnica delle realizzazioni italìane per il trofeo Scbneider, in «Aerofan• n. 3, 1984, pp. 2-22 e in A. CURAMI, Giorgio APOST OLO, The ltalian Aviation from 1923 to 1933 in atti del colloquio parigino Air 84, Parigi lmtitut d' Histoire des conflits concemporains e Service Historique de l' Armée del' Air 1985, pp. 269-279. Il documento completo è ora pubblicato, insieme con altri, in L. CEVA, 1917. Una riunione fra Mwsolini e i vertici militari, «Il Polit ico», Pavia 1985, n. 2, pp. 329-337. (3) Lettera Badoglio-Grandi 28 marzo 1921 in L. CEVA, Appunti per una storia ecc. cit., pp. 219-220.


La «nostra» motorizzazione

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confini quanto meno in territori «alleati» con caratteristiche più adatte (4l, Comunque la motorizzazione («nostra») comprendeva, secondo Pugnani, tre distinte categorie di mezzi: -

carri corazzaci da combattimento; trattori per le artiglierie; autoveicoli non corazzaci da trasporto.

Così egli proseguiva: [ ...] E veniamo al materiale corazzato da combattimento. Nostro concetto fondamentale d'impiego è quello dell'immediato appoggio alla fanteria, che comporta l'adozione di carri armati leggeri (,).

Le manovre del 1929 in alta Val Varaita. Riflessi sul Fiat 3000 e sul reggimento carri Nell'agosto 1929 si erano effettuate le manovre divisionali nell'alta Val Varaita con «truppe da montagna e con due battaglioni di carri armati mod. 21». Scopi di queste manovre erano: - verificare «la reale possibilità d'impiego in zona montana dei nostri carri armati mod. 21»; - controllare «la rispondenza, nel campo pratico, delle Norme d'impiego delle grandi unità e di quelle tattiche per la divisione». Nel complesso queste esercitazioni raggiunsero l'importante risultato pratico di dimostrare, con palese evidenza, a tutti gli intervenuti, tecnici e non tecnici, l' impossibilità di abbandonare le strade di fondo valle, in zona montana, quando si disponga di macchine da combattimento con dimensioni d'.ingombro come quelle dei carri armati mod. 21 allora in dotazione. In considerazione del fatto che la zona di manovra presentava caratteristiche analoghe alla maggior parte della nostra frontiera terrestre ne derivò la necessità di definire ed adottare un nuovo tipo di carro armato, con dimensioni d'ingombro ridotte e perciò notevolmente più manovriero. Questo difficile compito rimase affidato all'«Ispettorato tecnico automobilistico», che era intervenuto alle manovr e anche con altri scopi e precisamente: - per controllare i risultaci di un nuovo t ipo di carro armato, presentato dalla stessa Fiat, derivato dal mod. 21 e dotato di maggiore potenza e più idoneo per l'installazione di un cannoncino al posto di due mitragliatrici;

(4) COMANDO DELLE SCUOLE CENTRALI, Studio tecnico mg/i autoblindati ecc. cit ., p. 124. (5) A. PUGNANI, Il problema ecc. cit., p. 1056.


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- per paragonare il comportamento del carro armato mod. 21 con un autoveicolo «dovunque» Morris, allo scopo di trarre elementi conclusivi circa l'impiego in terreno vario di autoveicoli ruotati e cingolati <6>.

Venne adottata la variante del Fiat 3000 proposta dalla casa costruttrice che fu denominata mod. 1930. Questa versione si dif• ferenziava dalla precedente modello 1921 per alcune modifiche al treno di rotolamento, allo scafo e per un motore leggermente più potente. Una piccola serie di Fiat 3000 venne armata con un cannoncino da 37/ 40 in sostituzione delle due mitragliatrici. Tale trasformazione, quantunque - come sappiamo - già dichiarata necessaria dai tecnici dell'esercito nel 1923,.fu effettuata in buona parte su mezzi già consegnati e con estrema lentezza secondo quanto confermano alcuni documenti. Alla data del 17 gennaio 1933, il Reggimento carri armati aveva in dotazione 28 carri cannone e due erano in corso di trasformazione presso la Fiata Torino; per altri 5, di cui si era approvata la trasformazione nell'agosto 1932, non si era ancora deciso se attuarla o meno <7>. Un successivo documento del 3 febbraio 1933 ricordava: L'attuale esistenza di carri armati mod. 1921 e 1930 è di 136 unità. Essa consente la mobilitazione di quattro battaglioni nelle formazioni provvisorie ridotte, di cui ai numeri 1 e 2 della circolare 1399 in data 7 marzo dello stato maggiore <8>.

Lo stesso documento affermava che era inutile avere «una percentuale troppo elevata di carri armati di cannoni rispetto a quella dei carri armati di mitragliatrici» e che le circolari stabilivano che ogni battaglione doveva avere: 1 carro cannone per ogni comando di compagnia; 1 carro cannone per ogni comando di plotone; 1 carro di riserva per ciascun battaglione.

(6) A. PUGNANI, Storia ecc. cit., p. 303 e sgg. (7) AUSSME, 0.M.b. 312, da ministero della Guerra a Comando del Corpo di S.M., 17 gennaio 1933. Per la volontà dell'esercito di avere il carro con cannone, v. Studio ecc. cit. supra a nota 4. (8) lvi, da Comando del Corpo di S.M. a ministero della Guerra, 3 febbraio 1933.


La «nostra» motorizzazione

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Si rammentava inoltre che: :...) in relazione alle formazioni di cui al su citato foglio 1399, occorrerebbe disporre per ora di: 7 carri armati cannoni per il II battaglione 10 carri armati cannoni per il III battaglione 10 carri armati cannoni per il IV battaglione 10 carri armati cannoni per il V battaglione <9>.

Non sappiamo se la trasformazione dei 7 ( + 3 di riserva) Fiat 3000 mancanti a completare l'organico sia mai stata effettuata. I nostri dubbi sono originati dall'inutilità di tale operazione. I limitati aggiornamenti introdotti nel nuovo modello non ne avevano sostanzialmente alterato le poco brillanti caratteristiche. Il peso era aumentato di circa mezza tonnellata, la velocità massima su strada era diminuita di 3 km/h (21 km/h contro 24 km/h) come pure l'autonomia (88 km contro 95 km su strada e 6h fuori strada contro 8h della versione precedente) (ioJ. Questa impressione sembra confermata dal giudizio sulle possibilità operative del carro quali risultano dai manuali ufficiali (all. 21).

Nell'ambito dei pur limitati compiti assegnati ai carri, le carenze più sentite erano quelle dovute alla obsoleta cingolatura a piastre, idonea ad una lenta marcia fuori strada in condizioni non particolarmente difficili, che obbligava al trasporto su appositi traini nei trasferimenti su vie ordinarie.

L'interesse per i carri inglesi: il Carden Loyd e il Vickers 6 tonner

L'Ispettorato Tecnico Automobilistico e l'appena creato Servizio Tecnico Automobilistico, iniziarono ad interessarsi a mezzi da combattimento leggeri quali l'autoblindo a sei ruote e i «piccoli carri inglesi, con cingoli veloci da strada e fuori strada» (11l.

(9) lvi. (10) MINISTERO DE\.LA GUERRA, Istruzione sul carro armato mod. 1921 e m.od. 1930, Roma 1st. Poligrafico dello Stato 1931, pp. 159 e sgg. ( 11) A. PUGNANI, Il problema ecc. cit., p. 1057.


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La principale innovazione introdotta dalla Vickers era l'adozione di cingoli a maglia corta che permettevano elevate velocità su terreno consistente. Come ricorda Pugnani> venne inviato in Inghilterra «per indagare meglio a questo riguardo»> il capitano De Braund, capo del1' ufficio studi ed esperienze dell>Ispettorato Tecnico Automobilistico <12) . Nel gennaio 1929 un esemplare di Carden-Loyd MK VI fu sottoposto a «prove preliminari nei pressi di Savona> poi per via ordinaria da Savona a Torino ed infine a Casellette» (13)_ A scopo sperimentale venne acquistato anche un carro Vickers da 6 tonnellate che venne sottoposto a prove nella zona di Sciarborasca> balipedio dell'Ansaldo S.A. <14l. Il carro non venne adottato> ma il sistema di sospensioni fu certo studiato a fondo perchè ritroveremo il suo treno di rotolamento in tutte le realizzazioni di serie italiane a partire dal Ml 1/39 fino al P40. L 'industria: Moto Guzzi, O. T. O., Carrara (Capronij, Ansaldo, Fiat. Esperimenti e progetti. Accenni preferenziali della committenza.

Furono condotte ricerche su «la possibilità di motorizzare le compagnie mitragliatrici pesanti> consentendo loro anche i percorsi di aspre carrareccie montane» <15\ e a cura della Moto Guzzi venne sviluppato il prototipo di un mototriciclo completamente blindato di cui si sono perse le tracce. Sempre la Moto Guzzi costruì un veicolo della classe del Carden Loyd dotato di un singolare treno di rotolamento basculante rispetto allo scafo. Ne conosciamo due versioni distinte: un carro armato e un semovente armato del pezzo da 65/17. Anche questo mezzo insolito> di cui fu costruito e provato il prototipo> non ebbe seguito.

(12) (13) (14) mezzo. (15)

A. PUGNANI, Storia della motorizzazione ecc. cic., pp. 304-305. A. PUGNANI, Il problema ecc. cit., p. 1057. In A.A. esis.te la documentazione fotografica di cali prove. Non si è reperito altro su cale A. PUGN ANI, Il problema ecc. cit., p. 1057.


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Miglior fortuna conobbero i progetti dell'Ansaldo S.A.; Ricorda l'ing. Caproni in un lungo promemoria, scritto nel secondo dopoguerra: Carri armati'

Da un colloquio intercorso con il gen. Cavallero - a quel tempo presidente del!' Ansaldo - nacque una collaborazione con le Officine Carraro, di cui ero presidente, per la produzione di carri armati. I primi due carri armati per l'esercito furono uno piccolo e l'altro medio. Le Officine Carraro costruirono i motori, la trasmissione e in genere tutta la parte meccanica; l'Ansaldo invece curò la realizzazione del telaio e della corazzatura. Le prove diedero buoni risultati, però quando si trattò di fare i carri in serie, la Carraro fu lasciata da parte ed i carri furono ordinati ali' Ansaldo· ed alla Fiat. Non solo ma invece di produrre il carro medio fu fatto il carro piccolo che poteva servire in una guerra coloniale ma no[n] certamente contro eserciti progrediti e ben dotati (16l.

È d'obbligo una certa cautela verso le parole dell'ing. Caproni, essendo note le difficoltà in cui versava il suo gruppo in quest'ultimo dopoguerra e rammentando che molte ditte hanno addebitato le proprie difficoltà solo alla concorrenza scorretta e all'invidia di altri gruppi industriali. Per ora ricordiamo che non soltanto la realizzazione Caproni (Carraro) ma nessuna delle altre ora citate raggiunse la produzione in serie. Come vedremo più oltre anche la O .T.0., che produsse su licenza 12 Carden Loyd denominati in Italia C.V. 29, inspiegabilmente cessò di occuparsi di carri. Possiamo poi documentare sicuramente due progetti Ansaldo di «carro veloce)), uno armato di lanciabombe da 65 mm e l'altro di mitragliatrice Fiat 14, datati gennaio 1930. Venne inoltre presentato nel 1929 un progetto di «carro di rottura da 8t)) dotato di un motore a gasolio. a 6 cilindri a V (17), Questo carro, armato di un cannone a tiro rapido da 65, venne costruito ed è probabilmente quello cui fa riferimento l'ing. Caproni.

(16) Nore personali del dr. ing. Gitmni Caproni di Ttdiedo sulle ragioni della formazione e dello wiluppo del ,Gruppo Caproni», in Arch ivi o Museo Caproni, Roma. (17) Tutta ia documentazione in A.A .. Per gli studi sul «carro veloce» v. F. MfGLIA, Il carro l.3,sviluppo e prototipi, in «Warrior», anno IV n. 19 ottobre-dicembre 1978 pp. 23·27. Per quanto riguarda il carro di rottura v. F. :MIGLIA, // carro di rottura da 8 ton., in «\'1/arrior», aJ1110 IV n. 16 maggio-giugno 1978 pp. 23-26.


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Senza per questo recepire acriticamente le parole di Gianni Caproni, alle cui industrie fu riservato talora sconsideratamente ampio spazio nel mercato aviatorio <18>, è innegabile l'impressione che, nel campo della meccanizzazione, si sia verificato un fenomeno analogo ed anzi di portata ben più assorbente. Infatti dopo i primi anni '30 molti segni fanno pensare che il nascente binomio Ansaldo-Fiat fosse considerato il predestinato fra tutti i possibili produttori. Indipendentemente da queste riflessioni, è opportuno sottolineare come, nonostante il carro leggero rappresentasse «quello di più probabile e possibile impiego per noi)) <19>, non si trascurasse lo studio di un carro medio più potentemente armato e con motore a ciclo diesel «per diminuire i rischi d'incendio ed aumentare il raggio d'azione» <20>. La preferenza per il motore ad olio pesante sarà mantenuta fino a guerra inoltrata e in parte condizionerà le prestazioni dei carri medi italiani a partire dallo M11/39. Tralasciamo per ora il carro medio o di «rottura» secondo la terminologia allora in uso: il suo lento sviluppo - come vedremo - si concreterà in realizzazioni cli serie solo dopo una decina d'anni. Il favore di cui godeva nell'ambito militare il carro leggero, portò ad adottare il Carden Loyd Mk VI modificato nell'armamento e in alcuni altri particolari per motivi di unificazione. Venne, ad esempio, installata la mitragliatrice Fiat 1914 in calibro 6,5mm, sia del tipo raffreddato ad acqua sia ad aria, al posto della Vickers originale raffreddata ad acqua. Il nuovo mezzo fu denominato «carro armato veloce mod. 29» o più brevemente C.V. 29. Secondo Pugnani ne furono acquistati

(18) A solo titolo di esempio, ricordiamo che alla Caproni vennero ordinati nel 1939: 32 bombardieri CA.135 bis, inutile sedicente evoluzione del CA.135 già radiato, e 4 assaltatori AP.1, tipo el iminato all'epoca della guerra di Spagna. Queste due singolari commesse fruttarono al gruppo milanese L. 26.840.000. Non diversa è la storia degli assaltatori e bombardieri leggeri CA.310, ordinati nel 1939-1940 in 72 esemplari {L. 40.673.000) e declassati nel 1941 a velivoli scuola. Per l'en· tità di tutte le commesse e giudizi sulla produzione Caproni v. la relazione ufficiale clello STATO MAGGIORE AERONAUTICA UFFICIO STORICO (compilatore N ino AREN A), La Regia Aeronautica /9]9.J943, 4 voll., Roma 1981-1986, passim. {19) A. PUGNANI, li problema ecc. cit., p. 1057. (20) Ivi.


La «nostra• mocorizzazione

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25 esemplari in due lotti (4 + 21) <21>. Possiamo solo affermare che

nel novembre 1933 il reggimento carri armati ne aveva in carico 20 (22). Dodici di essi erano stati assemblati dalla O.T.O., licenziataria esclusiva del Carden Loyd dal 1934 con il proposito e la speranza, documentalmente provati, di ottenere una commessa di 100 esemplari <23>. Ai carri veloci vennero assegnati compiti analoghi a quelli delle autoblindo inquadrate nelle squadriglie dei battaglioni carri, che dal maggio 1931 vennero riunite in un battaglione autoblindo, e dal luglio successivo due furono sciolte e sostituite da due compagnie di carri veloci (24). Riportiamo in allegato (doc. 22) <25> le norme emanate nel 1931 sull'impiego dei carri veloci. Sottolineeremo due punti. Innanzitutto si prevedeva un battaglione di C. V. formato. da 6 compagnie. Ogni compagnia doveva essere formata da un plotone comando (1 carro comando più 2 carri di riserva) e due plotoni carri (4 carri ciascuno) per un totale di 66 carri per battaglione. L'esiguità dei mezzi a disposizione non permise mai di armare più di due compagnie. Inoltre anche se si stabilì che i carri veloci trovavano «il loro più nat urale impiego in cooperazione con le truppe celeri» e si accettò che potevano risultare «di grande aiuto alla fanteria, specialmente nell'offensiva su terreno non organizzato, nella difensiva per i contrattacchi, nello sfruttamento del successo e nella manovr a di ripiegamento))' tuttavia non si superarono noti preconcetti. Qualunque sia il loro impiego, i carri armati veloci operano non per sè ma per le truppe a cui sono assegnati per l'azione.

(21) A. PUGNANI, Storia ee'C. cit., p. 305. (22) AUSSME, O.M. b. 312, promemoria per le superiori autorità, oggetto carri veloci, da ufficio mobilitazione sezione 3, 14 novembre 1933. (23) FONDAZIONE EINAUDI, Fondo Agostino Rocca (d'o ra in poi A.R.) «Ansaldo S.A. Produzione bossoli, carri armati, semoventi, carri comando», 12.21 e 12.66. (24) B. BEN VENUTI, Fronte terra ecc. cit., p. 54. Per l'assegnazion e delle autoblindo alla cavalleria prima del I 925/27 v. cap. 6 in fondo. (25) MINISTERO DELLA GUERRA, Istruzione pro7,'1Jisoria sui carri am1ati 7,-e/oci, Roma lst. Po ligrafico dello $mo [931, pp. 17-24.


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Come già accennato, agli albori degli anni '30 varie industrie italiane progettavano e costruivano mezzi blindati. T aie proliferazione era facilitata dalle scelte militari che vedevano nel carro leggero la soluzione ai problemi posti dal terreno sul quale si credeva che tali mezzi avrebbero dovuto combattere. In particolare, tre ditte potevano concorrere ad una commessa per 100 carri veloci sulla quale ritorneremo subito: -

la Moto Guzzi con il suo cingolato «tipo Carden Loyd» come è definito nelle didascalie dei disegni che abbiamo potuto solamente esaminare; - la 0.T.0. con il Carden Loyd di cui fu esclusiva licenziataria dal 1934; - l'Ansaldo che, insieme con la Carraro (gruppo Caproni), prescindendo ora dal carro medio, aveva sviluppato una serie di prototipi molto simili ai C.V. 29 i quali - ricordiamo - altro non erano che i pochi Carden Loyd assemblati in Italia dalla 0.T.0 .. Tanto premesso, vorremmo richiamare l'attenzione su tre fatti. Anzitutto, la commessa di 100 carri, la cui esistenza è confermata anche da documenti del 1933 (26> oltre a quelli già richiamati, sembra sia stata inizialmente aggiudicata alla O.T.O. secondo quanto si legge in una corrispondenza del 1941 tra l'allora amministratore delegato di questa società (Arturo Ciano) e quello dcl1'Ansaldo (Agostino Rocca), corrispondenza che sarà esaminata a suo tempo. In secondo luogo, è evidente il tiepido interesse con cui il ministero della Guerra seguiva quanto in materia stava producendo la Fiat: la rigenerazione del Fiat 3000 ossia un modesto palliativo privo per definizione di sviluppi importanti. Il ministero si orientava ormai su un carro moderno, mentre la casa torinese si sforzava di introdurre un mediocre epigono del carro leggero francese della prima guerra mondiale che gli eventi ricordati al cap. 5 le (26) A USS:ME, cart. 0.M. b. 312, citato alla n. 22. 11 documento conferma 100 carri veloci in allestimento ali' Ansaldo.


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avevano fornito in dote. E questo in un momento in cui il ministero, oltre ad incoraggiare il penoso concepimento del carro medio, vagheggiava ad esempio l'adozione di un carro anfibio <27>.

Da ultimo e più marginalmente consideriamo che per non sfigurare di fronte ad una concorrenza ingegnosa (Moto Guzzi) o consolidata (O.T.O. ovvero Carden Loyd), l'Ansaldo proponeva degli scafi interamente saldati. Tale tecnica costruttiva rimarrà fino alle prime forniture che la ditta genovese riuscirà ad aggiudicarsi, ma - come vedremo sarà abbandonata assai presto e proprio al tempo stesso della sparizione della concorrenza industriale. Sempre come mero fatto va ancora constatato il successivo netto mutamento dei rapporti tra autorità militare e Fiat. Infatti come meglio apparirà al capitolo seguente - con la nascita del binomio Fiat-Ansaldo, o più propriamente con l'elezione della Fiat a consocio motoristico dell'Ansaldo, il ministero in tema di carri armati dialoga (o è messo in condizione di dialogare) ormai unicamente col sodalizio ligure-piemontese.

Un'opinione di Ogorkiewicz sulla libera concorrenza in tema di ideazione di mezzi meccanizzati Ogorkiewicz sostiene la necessità della concorrenza fra industrie belliche. L'ideale sarebbe che questi gruppi lavorassero in concorrenza tra loro e allora lo stato maggiore potrebbe limitarsi ad esercitare la propria funzione direttiva obiettivamente, esaminando e selezionando le proposte presentate. Si dovrebbe in sostanza creare un sistema affine a quello esistente nel campo degli aerei e dei missili guidati, ove varie ditte competono fra loro nella progettazione e nello sviluppo di mezzi similari. Entro certi limiti tale situazione è anche esistita nel campo dei carri armati, specialmente in Ger mania e Francia durame gli anni trenta quando i carri venivano progettati in concorrenza e la scelta finale veniva fatta secondo i risultati delle prove comparative effettuate con i vari prototipi. Per esempio, nel 1933, in seguito alla

(27) AUSSME, cart. O.M. b. 312, citato alla n. 7. Tracce di un altro progetto per un carro anfibio nella cartella Fuscaldo in Museo Caproni di Roma.


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richiesta francese per la progettazione di un carro leggero, presentarono progetti la Renault, la Hotchkiss e la F.C.M., e ogni richiesta tedesca di progettazione, da quella del Pz. KpfW.I a quella del Tigre e del Pantera nel 1942, fu seguita dalla presentazione dei prototipi da parte di diverse fab briche - da 2 a 5 - con risultati vantaggiosi per il prodotto definitivo (28l.

È difficile non condividere le parole di uno dei maggiori esperti mondiali di corazzati. Anche in Italia il meccanismo di acquisizione di nuovi velivoli militari contemplava un bando di concorso che imponeva le caratteristiche tecniche minime richieste ed una gara fra le varie industrie che proponevano i propri progetti. Alcune commissioni militari valutavano le proposte e stilavano una graduatoria ordinando la realizzazione dei prototipi dei progetti meglio classificati. Solo al termine delle prove di volo, veniva stilata una classifica definitiva in base alla quale era ordinata la produzione in serie dei velivoli più meritevoli. Tuttavia in diversi Paesi, fra i quali anche l'Italia, questo meccanismo non garantì sempre la vittoria del velivolo migliore. È quindi dubbio se il sistema, applicato anche ai mezzi da combattimento, avrebbe garantito effettivamente il progresso tecnologico o si sarebbe risolto solamente in inutile dispendio con il frazionamento delle commesse fra più modelli costruiti dalle diverse ditte <29>,

Avvertenza

Si sarà notato come talora la nostra esposizione divenga frammentaria. Non sempre infatti è possibile rimediare ai vuoti o all'inaccessibilità di uno o più archivi con il contenuto di altri. Gli archivi industriali ufficiali come già ricordato nell'introduzione, in molti casi permetterebbero solo acritici commenti elogiativi ba(28) R.M. OGORKIEWICZ, I corazzati cit., p. 268. (29) Pur mancando ancora uno studio sistematico di cucti i concorsi indett i dalla R. Aeronautica, rinviamo, per <JUanto concerne i bombardier~ a A. CURAMI, Un bombardiere medio per la Regia Aero· nautica - i veli-.x,li del concorso 1934, le carenze delle macchine e le indicazioni ind,istriali in «Aerofan• o. 1, 1982, pp. 2-17 e, con riferimento alla caccia, a L. CEVA, Lo sviluppo degli aerei militari in Italia (1938-1940} in «ll Risorgimento• (Milano) n. 1, 1983, pp.25-45 (ora riprodotto in L. CEV /\., L'evoluzione dei materiali bellici in Italici in L'Italia e la politica di potenza in E11ropa, (1938-1940} a cura di Ennio Di Nolfo, Romain H. Rainero, Brundlo Vigezzi, Milano Marzorati 1985 pp. 343-390).


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sati su selezionati promemoria dell'epoca o su ancor meno obiettive storie industriali artatamente scritte in questo recente dopoguerra. Di industrie belliche attive negli anni '30 quali O.T.O., Breda e Moto Guzzi poco è rimasto o è disponibile. I documenti relativi all'attività dell'Ansaldo dopo la gestione Ferrone e prima di quella Rocca, in particolare sul per~odo Cavallero, non sono più reperibili. Non vorremmo che ciò fosse opera di zelanti censori del passato. Abbiamo potuto consultare solo poche circolari ministeriali o qualche documento posteriore:Per scrivere buona parte di questo capitolo abbiamo potuto utilizzare solamente articoli di riviste dell'epoca e la documentazione iconografica contenuta nei nostri archivi. Sulla base di dati non sempre esaurienti, ma comunque già più ricchi di quelli sinora utilizzati, continueremo ora a cercar di spiegare che cosa sia avvenuto negli anni dal 1930 al 1934.



CAPITOLO

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I CARRI VELOCI ANSALDO, RIFLESSI MILITARI DI VICENDE INDUSTRIALI Nel 1930-1931 l'Ansaldo S.A., con l'apporto motoristico della Carraro (gruppo Caproni), sviluppò il progetto di un carro leggero molto simile al Carden Loyd MK VI del quale - come già detto - esistevano pochi esemplari acquistati in Gran Bretagna più qualche altro assemblato dalla 0.T.O. e chiamato C.V. 29. N el corso di due anni tale progetto subiva r adicali mutamenti e dava luogo: - nel 1931 a una preserie <1> azionata da motore Carraro; - successivamente a una versione di serie, molto simile alla precedente, omologata nel 1933 con la denominazione «carro veloce 33» (C.V. 33). Questa però dotata di un motore Fiat, cioè con estromissione della Carraro (sul che ritorneremo). Peraltro la messa a punto del n uovo mezzo non fu rapida. Essa si protrasse fino ai primi mesi del 1934 come confermano i documenti provenienti dal versante militare (2>. Infatti il 15 settembre 1933 il gen. Baistrocchi, nuovo capo di Stato Maggiore e sottosegretario alla Guerra, così scriveva al col. Curio Barbasetti di Prun, capo dell'ufficio coordinamento del ministero della Guerra: (1) Non ha trovato con fe rma quanto asser ito da alcuni che identificano gli esemplari di preserie con la dizion e «carro veloce mod. 31». È probabile che gli esemplari costruiti siano in numero ben maggiore dei quattro che appaiono in numerose fotografie assieme al prototipo del carro di rottura da St. (2) Dobb iamo la lettera manoscritta del gen. Federico Baistrocchi alla cortesia del gen. Umberto Baist rocchi. Purtroppo il testo presenta d ifficoltà di decifrazione che abbiamo superato solo in parte.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano [ ...] 2 - Impulso a perfezionare l'armamento. Premesso che (come ho già ripetuco più volte) occorre risolvere presto il problema delle bombe a mano (per cui sono stati già impartiti gli ordini ieri stesso) si deve subito risolvere il problema del cannone di fanteria

[...] 3 - Lo stesso dicasi per i carri ve! C... [illeggibile] V .. [illeggibile] il quale è pericoloso a trattare e - no nostante abbia presentato l'esemplare più idoneo - si resta perplessi a trattare con lui. In ogni modo urge cost ruirli; 4 - Carri veloci. G ... [illeggibile] quanto riferisce il col. Bicossi (e lo ritengo attendibile) sembra che il primo gruppo (tranne pochi esemplari) non sarà e ... [illeggibile] che in pri mavera. Occorre vigilare perchè non si dorma. Resta distribuzione gruppi alle divisioni celeri; 5 - Carri armati che abbiamo sono idonei per noi rna logori; occorre pensare a r innovarli; chiederne subito caratteristiche allo S.M. [Stato Maggiore]. Carro leggero, al massimo 9T tutto compreso; ( ... ] (3),

Riflesso dei tempi industriali sulla ristrutturazione del reggimento carri armati

Ciò stante la ristrutturazione del reggimento non poteva essere che lenta. Nel novembre 1933 esistevano solo due compagnie carri veloci che avevano in dotazione 20 C. V .29. Al riguardo in un già citato promemoria 14 novembre 1933 dello Stato Maggiore, si legge quanto segue: Le esistenti d ue compagnie carri veloci differiscono dagli squadroni carri veloci che si costituiran no t ra breve presso il reggimento cavalleggeri «Guide)), oltre che per la denominazione anche per gli organici. Infatti mentre le formazioni vigenti - edizione 1931 - per il battaglione carri veloci prevedono le compagnie su 2 plotoni, con un totale di 11 carri, le tabelle di formazione di pace del reggimento carri veloci - edi zione 1933 - considerano gli squadroni su 3 plotoni, con un totale di 15 carri. Poichè il ministero aveva, in sede di esame della 1a edizione delle tabelle di formazione del reggimento carri veloci, accen nato alla opportunità che fosse usata per tutte le unità carri veloci un' unica denominazione, e cioè quella di «gruppo» e «squadroni» anc he per rendere possibile, ove apparisse conveniente, l'assegnazione dell'accuale battaglione autoblindo (dopo la sua trasformazione in battaglione carri veloci) a un reggimento di cavalleria, l'ufficio (mo bilitazione-sezione 3 3 ) proporrebbe che fosse senz'altro attribuita alle esistenti compagnie carri veloci la denominazione di squadroni carri veloci. Semb rerebbe alcresì conveniente, in relazione a quanto si è avanti esposto, che anche le formazioni e gli organici di pace delle pre-

(3) Una serie di lastre fotografiche originali (in A.A.), numerate e datate 29 marzo 1934, mo· strano gli esemplari di preserie in valutazione a Sciar borasca. Le prove dei primi esemplari d i serie sono raffigurate in una se rie di last re recanti una numerazione più elevata (A.A.).


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dette compagnie fossero uniformati a quelli adottati per gli squadroni carri veloci. Ciò anche per non dovere stabilire due tipi di organici di guerra per unità per le quali è previsto lo stesso impiego ed evitare inutili complicazioni. [... ) Tenuto conto che i carri veloci assegnati globalmente alle due compagnie sono oggi 20, l'adozione del provvedimento suaccennato potrebbe consigliare le seguenci soluzioni: a) contrazione in uno squadrone delle due esistenti compagnie con assorbimento, da parte di esso, di 15 dei 20 carri veloci disponibili. La rimanenza dei S carri potreb be essere passata al reggimento «Guide». Il battaglione rimarrebbe costituito in tal modo - sempre in via provvisor ia - su due squadriglie autobli ndo e uno squadrone carri veloci [...]; b) scioglimento delle due esistenti compagnie carri veloci e passaggio di tutti i 20 carri veloci, ora in distribuzione, al reggimento «Guide» in modo da consentire a tale unità di poter assumere, con gli ora detti carri e con quelli che si stanno allestendo presso la ditta Ansaldo (per ora 100) formazioni quanto più possibile prossime a quelle previste dalle formazioni di pace (138 carri per cucco il reggimento) ed evitare che il materiale carrista rimanga suddiviso tra il battaglione autoblindo e il reggimento predetto, senza che nessuna di tali unità possa completarsi secondo l'organico previsto. È anc he da considerare che avendo il ministero, con recente foglio, deciso che i carri veloci commessi alla ditta Ansaldo siano, man mano allestiti, fatti affluire solamente al reggimento cavalleggeri «Guide» è prevedibile che la trasformazione del battaglione autoblindo in battaglione carri veloci, non debba avvenire molto presto. Tanto più che il ministero ha già manifestato l' intendimento di addivenire in seguito alla distribuzione di carri veloci ad un secondo reggimento di cavalleria. D'altra parte poichè il ministero già aveva accennato che tale battaglione fosse, una volta trasformato, passato ad un reggimento di cavalleria, tanto vale che cale provvedimento (limitato al solo materiale carrista) sia senz'altro adottato. Il battaglione autoblindo potrebbe rimanere costituito sulle due attuali squadriglie autoblindo, oppure, e sembrerebbe la soluzione migliore, essere disciolto e le autoblindo accantonate, in vista del previsto loro impiego in caso di guerra a difesa della costa ligure fra il confine francese e Savona e della costa tirrenica fra Livorno e M. Argentario [...]; e) contrazione delle due attuali compagnie carri veloci in uno squadrone carri veloci da assegnarsi, in via organica, ad un battaglione carri armati. Tale assegnazione sarebbe in armonia alla proposta fatta in passato dallo stato maggiore ed approvata, in linea di massima, dal ministero, di assegnare carri veloci al reggi mento carri armati e consentirebbe l'esecuzione degli esperimenti voluti dal ministero per poter decidere dell'opportunità o meno di assegnare in via organica ad ogni battaglione carri armati, uno squad rone carri veloci [...) (4}_

La situazione delle autoblindo al 28 novembre 1933, quale risulta da un appunto manoscritto allegato al promemoria prima citato, era la seguente: - 2 a Rodi (al completo); - 6 a Zara (al completo);

(4) AUSSME, 0.M. b. 312, promemoria per le superiori autorità cit.


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-

11 in Sardegna (al completo); - 4 in Sicilia (ne mancano 12); - 24 nel btg. autoblindo (delle quali 8 devono andare in Sicilia); - 4 officina autom. (da inviare in Sicilia),

per un totale di 51 vetuste Lancia lZ e lZM. Non riusciamo ad immaginare che concorso avrebbero potuto dare nell'ipotesi di un conflitto. Comunque nel dicembre 1934 il reggimento carri armati risultò formato da 5 battaglioni carri «(ciascuno su tre compagnie di tre plotoni - temporaneamente 2 compagnie di 2 plotoni dislocati: 2 a Roma - 1 a Udine - 1 a Mantova ed 1 a Bologna col comando di reggimento)» (s). Esisteva anche un gruppo carri veloci su due squadroni di carri veloci e due squadriglie di autoblindo, dislocato a Palmanova. Se ne prevedeva la trasformazione su tre squadroni (tre ploto~i per ciascuno) eliminando le autoblindo destinate - come sopra detto - alla Sicilia e alla costa ligure-toscana. Con il vagheggiato arrivo di nuovi carri detti «d'assalto» (ne parleremo tra breve) il gruppo carri veloci avrebbe dovuto sciogliersi e il relativo materiale si sarebbe reso disponibile per la costituzione di nuove unità di cavalleria. Infatti dopo «Guide» che aveva esordito con i primi carri veloci mod. 33 durante il plebiscito della Saar (dicembre 1934), si prevedeva di assegnare uno squadrone di tali carri a ciascuno dei reggimenti «Nizza», «Aosta» e «Alessandria» (6l. La distribuzione del carro veloce avveniva però molto lentamente ritardata anche dalla cessione di 15 mezzi all'Austria nel marzo 1935 (7l.

(5) AUSSME, racc. 130, pro memoria per le superio ri autorità redatto dal Comando del Corpo d i Stato Maggiore, ufficio ordinamento e mobilitazione, d icembre 1934. (6) AUSSME, racc. 13 1, da gen. Baiscrocchi a Ispettorato Materiale Automobilistico, il 28 gennaio 1935. che

(7) \Y/. SPIELBERGER, Krafifahrzeuge ecc. cic.., p. 360 e sgg. All'Austria vennero fornite an4 autoblindo l ZM.


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Compiti dei carri veloci secondo le autorità militari Anche in relazione agli sviluppi organici contemplati nel più volte citato promemoria 14 novembre 1933 è interessante gettare uno sguardo su quanto si andava ventilando, sia presso lo Stato Maggiore sia al ministero della Guerra, circa i compiti da affidare ai nuovi mezzi bellici in relazione alle possibilità che loro si attribuivano. Il carro veloce, così come il parziale rinnovo o rafforzamento delle armi di reparto della fanteria, si inserivano in un momento di relativo fervore del pensiero militare italiano che avrebbe avuto la sua manifestazione dottrinale nell'emanazione (giugno 1935) delle DIGU (Direttive per l'impiego delle grandi unità) chiamate a sostituire le precedenti Norme generali del 1928. Molti concetti delle future DIGU, elaborate da Baistrocchi, si rinvengono già in una Relazione al Consiglio dell'Esercito, nella seduta del 12 gennaio 1935 particolarmente significativa per quanto riguarda i nuovi carri veloci <8>. Premesso che la battaglia si vince a colpi di divisione (nel che è già un cardine delle imminenti DIGU), si osservava che «l' esplorazione tattica - aerea-terrestre - è affidata al Corpo d'Armata» cui si pensava di assegnare sia «una squadriglia per Divisione» sia dei «nuclei celeri». Questi ultimi «di massima» su «un gruppo di cavalleria eventualmente rinforzato da qualche battaglione di bersaglieri e di fanteria o CC.NN. (camicie nere) autoportate e reparti di artiglieria o di carri veloci» [ultimo cors. ns.J. Essendo previsto che, in tempo di pace, vi sarebbero state Divisioni di immediato impiego («le Divisioni celeri e qualche Divisione di fanteria[ ...] apprestata per l'eventuale autotrasporto»), oltre ad altre di pronto impiego ed alla massa di quelle d'impiego normale, i carri veloci andavano assegnati alle Divisioni Celeri e non solo, come già visto, agli elementi esploranti dei Corpi d'Armata. Le Divisioni Celeri, a loro volta, essendo formate su elementi a cavallo e motorizzati che si sarebbero trovati mescolati in ogni (8) Ministero della Guerra-Gabi netto, Relazione al Consiglio deli'Esercico nella seduta del 12 gennaio 1935-XIII, dattiloscritto di 23 pp. in AUSSME, Ministero de!Ja Guerra, racc. 65, f. I, pp. 7-9.


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loro unità (compreso il reggimento di artiglieria su gruppi dell'uno e dell'altro tipo) dovevano - a differenza di tutte le altre Divisioni - essere scindibili «in modo da costituire - dove e quando lo si ritenesse opportuno - unità o tutte a cavallo o tutte meccamzzate». La cavalleria peraltro, come già in parte visto, doveva trasformarsi per assumere i «mezzi di fuoco e di assalto adeguati alle esigenze della guerra moderna». «Senza di che» - si aggiungeva «sarebbe inesorabilmente condannata e travolta». Elemento importante per tale trasformazione, oltre l'assegnazione di reparti mitragliatrici, era quella degli «elementi corazzati (carro veloce trasformato con due mitragliatrici da 8)». Stabilito l'assioma «è il carro veloce che spiana la via ai reparti a cavallo», si esaminavano poi varie soluzioni per l'inserimento del mezzo nel reggimento e si decideva come segue: «4 squadroni a cavallo ciascuno costituito da elementi con armi leggere rinforzato da armi da accompagnamento già preventivamente decentrate; uno squadrone carri veloci. Questa trasformazione è stata accolta nell'arma con soddisfazione e comprensione. Aosta, Nizza ed Alessandria già vi s1 apprestano». E si precisava: L'ufficiale di cavalleria deve essere oggi anche carrista; e così egli verrà oggi educato nella scuola. La stessa Tor di Quinto sarà palestra anche di audaci cavalieri d'acciaio <9>.

Dunque, compito di massima esplorante nell'ambito del Corpo d'Armata e della Divisione Celere; ma già con un accento che porta oltre L'esplorazione, là dove si parla di carro che «spiana la via» ai cavalieri. Questo però è ben lungi dall'essere tutto. Il carro veloce infatti, ridenominato «d'assalto», è ritenuto capace di compiti importantissimi nel precedere l'azione della fanteria, nel cooperare con essa e nel realizzarne il massimo sviluppo. Leggiamo infatti sempre nella stessa relazione 12 gennaio 1935:

(9) lvi, p. 9.


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[...] 3) - Carri d'assalto (identici a quelli veloci) assegnati alle divisioni di fanteria, contribuiscono a conferirle la maggior potenza di sfondamento e di urto. Trattasi di una soluzione pratica ed economica del problema dei carri armati, inquantochè ne assicura, per mobilità, leggerezza e vulnerabilità, l'impiego in qualsiasi terreno e circostanza. Se ne incomincerà la distribuzione, in questo stesso anno, ai corpi d'armata di frontiera. L'impiego del carro armato sarà fatto sia coi vigenti criteri - che ci hanno abituati a una visione alternativa di carri e fanti - sia col criterio modernissimo della massa di manovra che - esplora-precede-sfonda-spiana-sorprendeinsegue - [cors. ns.]. I nuovi carri veloci - in luogo dell'attuale unica mitragliatrice ti po aviazione (ormai sorpassata) - saranno armati di due mitragliatrici da 8 di nuovo tipo, il che equivale a moltiplicare per 10 l'efficienza offensiva del carro. Sono in corso esperimenti - come si è già rilevato - per dorare detti carri anche di lanciafiamme ed eventualmente di un pezzo in luogo delle mitragliatrici; esperimenti prossimi alla soluzione desiderata. Armi e munizioni già prescelte e decise nei particolari, previ esperimenti e discussioni effettuate tra gli organi tecnici, d'impiego ed amministrativi, sotto la presidenza del Sottosegretario di Stato. L'unanimità dei consensi in materia (stato maggiore, ispettore di fanteria, ispettore e direttore d'artiglieria) può essere di garanzia e conforto per i membri del Consiglio dell'Esercito. D'ordine del Duce vennero già effettuate le ordinazioni; e perciò il programma sopraccennato sarà una realtà tra la primavera del 1935 e quella del 1936. La nostra fanteria sarà così non inferiore a nessun'altra del mondo [...) (to)_

Tale pressochè sconfinata latitudine di possibilità e compiti attribuita in sede responsabile ai modesti veicoli realizzati dall' Ansaldo (quelli da 8 t erano solo programmati) nonchè il roboante ottimismo che la sorreggeva, suonerebbero incredibili se non fossero documentati. Anche la semplice osservazione di quanto si andava preparando all'estero (Russia, Gran Bretagna, Francia, Germania) avrebbe forse dovuto ispirare maggiore realismo. I limiti dei carri veloci saranno di lì a poco percepiti dai vertici militari all'indomani della campagna etiopica e tuttavia non nelle proporzioni che si sarebbero dovute ricavare dai rapporti delle unità che li avevano effettivamente sperimentati in combattimento. Sul che torneremo al capitolo seguente. Comunque già nel 1934 una voce isolata aveva cercato di attenuare il quadro troppo roseo accennando se non altro al fatto che (10) Ivi, pp. 13-14. L'ingiustificato ottimismo militare per il carro veloce si trasmetteva naturalmente al capo del Governo il guale, nell'ottobre 1934, ad alcune obiezioni di Alberto PireJli circa la prossima impresa etiopica, ribatteva: «[...] lo sforzò militare e quindi finanziario risulta molto minore[ ...] perchè oggi con pochi carri armaci ed aeroplani si sgominano truppe che non hanno mai visto questi mezzi d'offesa». E nel marzo 1935 ribadiva «che un solo cank a Val Ual ha fatto fuggire tutti gli abissini (...]», Alberto PIRELLI, Taccuini 1922-1943, Bologna, «Il Mulino» 1984, pp. 121 e 123.


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il rendimento del mezzo era condizionato dalle caratteristiche del terreno. Il generale Visconti-Frasca, al ritorno da un'ispezione all'apparecchio militare che si andava allestendo in Eritrea, aveva infatti scritto fra l'altro: I carri armati leggeri sarebbero d'impiego assai utile nel bassopiano occidentale dove il terreno è pianeggiante, sabbioso, ma solido e la copertura a boscaglia non impedirebbe ai carri armati di circolare in ogni direzione <11>.

La concezione del gen. Baistrocchi: carri veloci, d'assalto e di rottura. Versioni e prototipi industriali. Nonostante la documentata eccessiva sopravvalutazione del veicolo Ansaldo nella duplice funzione per celeri (carro veloce) e per fanteria (carro d'assalto), le idee del gen. Baistrocchi sullo sviluppo a più lungo termine della «motorizzazione militare» contemplavano tre tipi di mezzi: il carro veloce; il carro d'assalto; il carro di rottura. Il carro veloce, in costruzione presso l'Ansaldo, anche se visto inizialmente come mezzo tanto per celeri quanto per fanteria (e con quale ottimismo: vedi Rel. al Consiglio dell'esercito 12 gennaio 1935 appena esaminata), avrebbe in più lunga prospettiva dovuto servire allo scopo: [... ) di dare ai reggimenti di cavalleria quella consistenza di fuoco, di protezione e di penetrazione che consenta: a) ad ogni squadrone destinato in esplorazione di poter assolvere al suo compito, b) al reggimento - destinato all'occupazione preventiva di una posizione o ad esplicare azione rapida sul campo di battaglia ed idonea alla funzione delle truppe celeri di svolgere il suo mandaco <12> [ ...]

(11) Il lungo promemoria di Visconri-Prasca, datato 25 maggio 1934, è riportato in G. ROCHAT, Militari e politici nella preparazione della campagna di Etiopia, Milano Franco Angeli 1971, pp. 327-349. (12) AUSSME, racc. 150, da mi nistero della Guerra a Comando del corpo di S.M., Roma 29 novembre 1934.


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Il carro d'assalto (che qui indica un nuovo veicolo da combattimento e non più la mera denominazione assunta dal C.V. quando assegnato alla fanteria), era invece visto come un mezzo rapido ma con armamento più potente del carro veloce e sistemato in torretta girevole. I primi prototipi di questo mezzo apparvero nel 1934. Sono note varie versioni costruite dall'Ansaldo ed una costruita dalla 0.T.O .. Quest'ultima si basava sullo scafo del Carden Loyd e venne estesamente provata. I prototipi Ansaldo si basavano inizialmente sullo scafo del carro veloce (piastre saldate) con un diverso treno di rotolamento, una torretta rotante che con il passar del tempo divenne sempre più pesantemente armata e con una diversa disposizione dell'equipaggio, sempre limitato a due persone. Dall'esame di materiale fotografico d'archivio (13), si riconoscono: - un prototipo armato con un mitragliatore Fiat 28 e treno di rotolamento derivato dal rimorchio del Carden Loyd; - un simulacro in legno in grandezza naturale armato con un cannone da 37/26 e due mitragliatrici in torretta. Il treno di rotolamento a barre di torsione diventa quello poi adottato dal carro L6/40; - un prototipo completo di motore con differenze di dettaglio nell'armamento rispetto al simulacro; - un prototipo dall'armamento ridotto al pezzo da 37/26 e un solo mitragliatore in torretta. Valutato al Centro Studi ed Esperienze Motorizzazione (C.S.E.M.), venne denominato carro d'assalto mod. 36. Non ci dilungheremo più oltre nell'elencazione delle esperienze condotte dall'Ansaldo nel campo dei cosiddetti «carri d'assalto», fossero essi «carri mitraglieri» o «carri cannone» <14) , ( 13) T utta la documentazione fotografica originale in A.A .. Le considerazioni proposte derivano dall'esame delle lastre fotografiche, tutte nu merate progressivamente, alcune delle quali anche datate. (14) Una min ima parte del materiale d'archivio su ll'argomento è stata pubblicata in F. MIGLIA, Il carro L6, in «Warrior» anno !V nn. 17 e 18.


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Ci limiteremo solo a confrontarle, come ormai più volte siamo stati costretti, con le successive vanterie di qualche casa automobilistica. Così la Fiat in uno scritto del gennaio 1944: La guerra in A.O.I. termina nel 1936 dimostrando che l'unico [sic] carro armaco italiano, il CV 33-35 (3 tonn. 40 km/h) è nettamente superato. Le vendite fatte in Cina, in Brasile e la guerra di Spagna ne danno pure conferma. Infatti i Governi esteri chiedono un carro consimile, ma non per combattimento, bensì per esplorazione: veloce, ben armato, ben protetto (6 conn. 42 km/h). [ ... ) In sostituzione del carro da 3 tonn. la Fiat-Ansaldo [più correttamente Ansaldo solamente, nessun manuale dell'epoca ha mai accomunato, come ovvio, il nome di una qualsiasi ditta fornitrice di motori, armi o accessori con quello della casa che ha progettato il mezzo cisJ, e comunque il mero ordine alfabetico proporrebbe una diversa diz ione] nel settembre 1938 propone lo studio di un carro da 5 to nn. La proposta viene respinta, ma poichè a spese della Fiar-Ansaldo [sic] si costruiscono i campioni,

il Ministero della Guerra autorizza l'eventuale produzione soltanto però per vendita a Governi esteri [soccolineatura nell'o riginale] (16>.

Diremo a suo tempo del mezzo cui allude questa réclame in veste storiografica della casa torinese: il carro L6 dapprima chiamato M6 in base ai criteri inizialmente adottati dall'esercito per distinguere i «leggeri» dai «medi». Basti per ora osservare: - un carro di quelle caratteristiche (in sostanza leggero ma con un'arma più potente in torretta girevole) non era una «proposta Fiat» quanto una notoria esigenza ministeriale non originata affatto dall'Etiopia bensì - come abbiamo visto - risalente al 1930 e anzi già prospettata nel 1923; - tale esigenza aveva dato luogo presso l'Ansaldo alla serie di progetti, di prototipi e di simulacri appena ricordati; - il carro poi chiamato L6 non sarà mai rifiutato dal ministero anche se la sua realizzazione tarderà fino al 1941 inoltrato per difficoltà e problemi delle ditte destiPate a produrlo cioè la Terni e la stessa Fiat; - sia o non sia stato ottenuto il permesso di vendita all'estero (vendite comunque non ci furono), tale permesso non di(15) Chiari esempi derivano dal campo aeronautico in cui alcuni tipi di apparecchi vennero riprodotti da diverse diete, senza dover cambiare necessariamente denominazione. (16) Archivio Cemro Storico Fiat, allegato 3 del dattiloscritto La Fiat per la motorizzazione e l'amiamento. U documento è pi ù volte citato da G . CASTRONOVO, Giovanni Agnelli cit. Circa il diverso carattere aucoelogiativo della documcmazionc industriale a seconda se compilata per la RSI o per il CLN, v. oltre: cap. 11, ultimo paragrafo del cap. 13 e Appendice n. 3.


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pendeva certo dal fatto che la «Fiat Ansaldo» aveva costruito i campioni «a proprie spese», questa essendo la normale vicenda di ogni fornitura militare in cui tali spese vengono rifuse solo se e quando il prodotto è accettato. Al di là di queste postume vanterie, va ricordato che nel dicembre 1934 fu sottoposto a prove ufficiali in Roma presso il Centro Studi Esperienze Motorizzazione (C.S.E.M.) il prototipo del carro di rottura Ansaldo salito nel frattempo a 9 tonnellate rispetto al progetto originario elaborato con la Carraro (8 t) e di cui al capitolo precedente. Questo prototipo, che quasi certamente segna l'ultima residua presenza motoristica della Carraro in tal campo, sarà radicalmente modificato nel treno di rotolamento prima di finire nel nulla anni più tardi col lentissimo sopraggiungere dei primi medi della stirpe realizzata dall'Ansaldo e dalla Fiat (17)_ Alla metà dègli anni '30 i maggiori intralci al carro veloce (sia come diffusione sia come mantenimento di talune caratteristiche dei primi esemplari), per non parlare poi di quelli agli altri carri ancora in lontana fase di concepimento, provenivano soprattutto da mutamenti e crisi verificatisi nel complesso industriale Ansaldo. Di questi, per intenderne le conseguenze militari, bisogna ora discorrere proiettandoli su quanto ci consta intorno al più ampio panorama dell'industria bellica di allora.

La fine della concorrenza industriale nel campo dei carri armati

Scrivevamo alla fine del capitolo precedente che, oltre alla Fiat, altre quattro industrie avevano dimostrato interesse a costruire carri: Moto Guzzi, O. T. O., Carrara e Ansaldo. E avevamo notato che solo l'ultima di esse ~ra rimasta in lizza dopo aver accettato la par-

(17) Tali informazioni sono tracce dal l'archivio del C.S.E.M. ove continua a risiedere il verbale d i collaudo dello «autoveicolo carro armato tipo 9T», identificato dal numero progressivo 5. Il documento tuttavia si esime, ovunque, dal citare il nome Fiat. Anche il motore risulta un Ansaldo 6 cilindri a V d iesel, quasi certamente il Carraro dal momento che l'Ansaldo S.A. non possedeva più dal 1922 un'induscria motoristica e alcune nostre industrie si scavano affrettando ad acquisire brevetti di propulsori diesel all'estero.


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tecipazione motoristica della Fiat ed aver abbandonato quella della Carraro (gruppo Caproni). Poichè va escluso che l'estromissione di Moto Guzzi, O.T.O. e Carraro sia dovuta a inferiori caratteristiche di loro progetti che del resto nessun concorso aveva giudicato, è da supporre che si sia provveduto a disinteressarle altrimenti. È una supposizione con lineamenti che ricordano alquanto la fisionomia delle certezze. Invero. La Moto Guzzi, dimenticata ogni velleità nel campo dei carri, sembrò soddisfatta da ampie commesse di motocicli anche armati, di motocarrozzette blindate e assortimenti congeneri, corazzati in parte dalla Breda e in parte dall'Ansaldo, nonchè di mototricicli atti al trasporto della mitragliatrice pesante Fiat. Ciò risulta sia da materiale fotografico sia da una pubblicazione della Guzzi <18). Contemporaneamente si dedicavano pressochè in toto al mercato civile primarie ditte come la Gilera e soprattutto la Frera sino ad allora quasi unica fornitrice motociclistica dell'esercito. Più complesso il caso della O dero-Terni-Orlando-0. T.O.. Questa società era sorta, com'è noto, nel 1929 allorchè i Cantieri N avali Orlando avevano incorporato sia la Odero-Terni sia la Orlando. Essa esercitava una notevole parte dell'attività cantieristico-meccanica del gruppo Terni. Amministratore delegato della Terni nonchè consigliere delegato della 0.T.O. (e di numerose altre società) era il senatore Arturo Bocciardo. Nel 1933 l'I.R.I. aveva assunto il controllo di queste come di molte altre società industriali, senza modificare la titolarità delle cariche ma realizzando in sostanza la statalizzazione industriale più estesa al mondo, seconda solo a quella totale dell'U.R.S.S. Tuttavia l'impero del senatore Bocciardo aveva corso un grave rischio, almeno dal punto di vista di Bocciardo stesso. A seguito infatti della sistemazione bancaria, come scrisse Pasquale Saraceno: L'I.R.l. si trovò a controllare due società siderurgiche (Ilva e Dalmine), un complesso siderurgico-meccanico-elettrico-chimico (Terni) e un complesso siderurgico mec-

(18) Mario COLOMBO, Moto Guzzi, Milano Milani 1977, pp. 56-59 e 336-337.


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canico (Ansaldo)(...]. Una prima misura presa dall'I.R.I. fu quella di rendere più omogenei i complessi siderurgici: lo stabilimento siderurgico Ansaldo venne scorporato dal gruppo Ansaldo e costituito in società distinta (la S.I.A.C.) [sul che ritorneremo), mentre dalla Temi l'LR.l rilevò il pacchetto di controllo della O. T O. riducendo il gmppo ali.e role unità ttbicate nella regione ternana e operanti nei campi siderurgico-elettrico e chimico mentre la O. T.O. operava nel campo cantieristico-meccanico <19>[cors. d.aa.].

Poco più tardi l'I.R.I. costituirà una speciale finanziaria (Finsider) che controllerà le quattro società metallurgiche «irizzate»: Ilva, Dalmine, SIAC e Terni. È chiaro che alla Terni era stato riservato un trattamento molto particolare. Una cosa era infatti essere «irizzati)) conservando la propria totale o prevalente consistenza come appunto riuscì alla Terni. Ben diverso era invece che l'operazione si compisse previa mutilazione della consistenza stessa come accadde invece all' Ansaldo la cui acciaieria fu scorporata divenendo la SIAC (Società Italiana Acciaierie di Cornigliano). Le ragioni di questi scorpori erano varie: fra l'altro l'I.R.I. del 1933-1934 non era ancora quello del 1937 divenuto ente di gestione a carattere permanente (L. 24 giugno 1937 n. 905) ma aveva ancora la finalità di sanare le industrie e di ricollocarle presso il capitale privato tramite la sua apposita sezione «smobilizzi)). Unità industriali separate per settori omogenei avrebbero permesso più facili verifiche economiche, più pronto risanamento e quindi più probabile smobilizzo. Anche per questa ragione si assistette in quel periodo a una generale specializzazione degli enti industriali con nascita ad esempio delle società solo telefoniche per scorporo da più vasti complessi policentrici. A questa stregua il rispetto dell'ibrido siderurgico-elettrico-chimico della Terni non poteva giustificarsi con l'ubicazione in una sola area geografica («la regione ternana))) circostanza che avrebbe dovuto valere a più forte ragione per l'Ansaldo e la sua acciaieria che erano letteralmente contigue. Gli studiosi concordano nel ritenere che lo speciale trattamento risercato alla Temi fu dovuto ali' azione fortemente persuasiva di

(19) MINISTERO DELL'INDUSTRIA E COMMERCIO, L'lstiwto per la ricostruzione in· d,mriale · LR.l., lii {Rapporto del Prof Pasq11ale Saraceno}, Torino UTET 1956, pp. 40·41.


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Bocciardo su Mussolini <20>. Nessuna meraviglia che Bocciardo (già titolare di eminenti posizioni nei consigli dell'I.M.I., dell'Ilva, della Terni e della O.T.O. e prossimo a divenirlo in quelli dell'Ansaldo e della SIAC) non avesse obiezioni alle scelte del vertice politico così in tema di siderurgia in genere come per determinate spartizioni e settorializzazioni dell'industria bellica. È probabile che molti orientamenti politici in tali campi coincidessero con le opinioni personali di Bocciardo ed anzi molto spesso fossero queste ultime a influenzare i primi. Non dimentichiamo fra l'altro che la futura posizione di Bocciardo quale presidente Finsider, insieme con molte altre cose, farà di lui il mediatore in importantissimi contrasti sia fra la siderurgia privata e quella pubblica (le quattro «irizzate» llva, Dalmine, Terni, Siac più le acciaierie di Cogne già in mano pubblica dal 1922), sia all'interno di quest'ultima (21>. Aggiungiamo incidentalmente, salvo poi documentare con precisione, che taluna delle coincidenti vedute del capo del Governo e di Bocciardo attinenti all'industria bellica furono contrarissime al parere, sorprendentemente poco ascoltato, del vertice militare terrestre. A tali ragioni d'ordine generale di per se stesse assorbenti si aggiunga che la O .T.O. ricevette importanti commesse d'artiglieria: una per obici da 149/19 e parte di un'altra per cannoni contraerei da 75/46 originariamente assegnata all'Ansaldo <22l. Del resto un modesto «rientro» nel settore carri sarà consentito dopo il 1940, se non proprio alla O.T.O., alla Terni (corazzatura degli

L6). Quanto poi alla Carrara, basta ricordare che faceva parte del gruppo Caproni e non dimenticare l'entità di commesse aeronauti-

(20) V. fra l'altro: Franco BONELLI, Arturo Bocciardo in Dizionario biografico degli italiani, Roma Istituto dell'enciclopedia italiana 1969 voi. IX; Id., lo sviluppo di una grande impresa in Italia - La Terni dal 1884 al 1962, Torino Einaudi 1975, pp. 212-217, 223 e sgg. e 175; Id., Anton ia CARPARELLI, Martino POZZOBON, La riforma siderurgica. l.R.I. tra autarchia e mercato (1935-1942} in Acciaio per l'industrializzazione, Torino Einaudi 1983, pp. 218-333 e p. 220; Mario GIOTTI, La gestione del!'!. R.I. dalla costituzione alla vigilia della trasformazione in ente pennanente in Banca e industria fra le guerre, voi. I, Bologna «Il Mulino» 1981, pp. 181-202; Ulrich WENGENROTH, Il mito del ciclo integrale: comiderazioni sulla produzione dell'acciaio in Italia in «Società e storia» n. 30/1985, pp. 907-927 (in relazione ad alcun i saggi di Acciaio per l'industrializzazione cit. in questa nota). (21) V. F. BONELLI, A . CARPARELLI, M. POZZOBON, La ri/onna ecc. cil. da p. 208 in poi e specialmente pp. 326-333 per i rapporti fra impren ditoria pubblica e privata e regime politico. (22) A.R. 14.32, Ansaldo, Produzione artiglierie degli Stabilimenti Ansaldo, s.l. 31 ottobre 1939.


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che in quel tempo assegnategli, purtroppo - sia detto per inciso ben raramente corrispondenti ad un'elevata qualità dei velivoli t23l. Dist0lte così tre concorrenti, l'Ansaldo restava unica fra le industrie meccaniche ma non motoristiche che avevano dimostrato . . . . mteresse per 1 carn armati.

Il duopolio Ansaldo-Fiat Per la scelta del partner motoristico restavano all'Ansaldo ampie possibilità. Non vi era la sola Fiat. C'erano perlomeno anche la Lancia, l'Isotta Fraschini, la 0.M., l'Alfa Romeo, la Bianchi e la Breda. E neppure era scritto che il fornitore di motori dovesse essere proprio uno solo. Prevalse invece la Fiat e m pos1z1one esclusiva. Come e perchè? Al come ci è possibile rispondere con una certa precisione anche se non con l'ultima precisione. Quanto al perchè, non ci è riuscito di squarciare la tenebra, ben difesa ancor oggi, che ricopre il momento iniziale e motivante della collaborazione Ansaldo-Fiat. Se non era scritto nei libri del destino che la Fiat e la sola Fiat dovesse fornire i motori dei carri Ansaldo, provvidero le parti a scriverlo in una convenzione della fine del 1933 o dell'inizio 1934. Non ne abbiamo copia ma la prova della sua esistenza e dei suoi termini essenziali è sicura. Infatti nel verbale della seduta del Consiglio di amministrazione dell'Ansaldo S.A. in data 11 ottobre 1935 si legge: [ ... ] L'ing. Rocca riferisce in seguito sulla convenzione Ansaldo Fiat, per la fabbricazione dei carri armati, convenzione che la Fiat si dichiara disposta a rinnovare per tre anni, r iconoscendo unilateralmente ali' Ansaldo il diritto di rescindere la convenzione stessa con breve preavviso ove l'Ansaldo volesse attuare un suo programma di costruzione di veicoli con motori a combustione interna. Inoltre la Fiat riconoscerebbe ali' Ansaldo una redevance di 200 lire per ogni trattore militare a cingoli, fabbricato nella sua officina di Modena. Il Comitato direttivo è del pare-

(23) Si veda ad esempio la singolare storia del concorso 1934 per un qombardiere medio in A. CURAMI, Un bombardiere per I.a Regia aeronautica, ecc.-cit.


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re di accettare; il Consiglio approva, lasciando al Comitato ogni facoltà di stabilire i particolari della nuova convenzione [...]

Anche nella relazione 1936 sul bilancio Ansaldo per l'esercizio 1935 l'argomento è toccato a proposito della controllata S.A. Grandi Fucine Gio. Fossati & C. che era poi quella che in concreto produceva i carri: [ ... ] L'intenso lavoro di questo stabilimento per la costruzione dei carri armati veloci - eseguiti in collaborazione fra l'Ansaldo e la Fiat - ottiene oggi un meritato apprezzamento attraverso la constatazione del contributo di questi moderni mezzi di guerra alle nostre vittorie in Africa Orientale. Anche in numerose nazioni estere il nostro carro armato suscita interesse e richieste [ ... ]

Il tenore del verbale consiliare 11 ottobre 1935, mentre permette di presumere che la convenzione fosse in vigore da almeno un anno (il che riporta proprio alla fine della collaborazione Ansaldo/ Carraro), farebbe pensare che si sia trattato più che altro di una concessione fatta dall'Ansaldo alla casa torinese; quest'ultima riconosce il diritto di rescindere con breve preavviso qualora la prima voglia liberarsi dall'obbligo di non concorrenza relativo ai carri armati. Non solo. La casa torinese deve offrire una redevance per i trattori cingolati che si appresta a produrre. A una situazione di parità fra le due industrie convenzionate con cenni di preminenza dell'Ansaldo fanno ancora pensare brani di due successivi documenti, cioè i verbali della «XIV riunione direzione generale presso l' Amm. Delegato» 28 aprile 1939 e della XVIII corrispondente riunione 13 maggio 1939 (entrambi del1'Ansaldo). Vi si legge rispettivamente: [... ) L'ing. Rocca, riferendosi al verbale del Rapporto di Direzione dello Stabilimento Fossati in data 19 aprile, ritiene opportuno che la Fiat continui la costruzione dei motori per i carri armati; in questo campo, qui ndi, l'Ansaldo non farà alcun passo per chiedere alla Fiat che altre società del gruppo I.R.l. costruiscano motori per carri armati su licenza Fiat; in altri campi potrà l'I.R.I. stesso prendere l'iniziativa di accordi colla Fiat in analogia a quanto fatto per gli apparati motori [navali, v. oltre] [...].

Elementi per Comitato. [... ] rapporti colla Fiat per carri armati, su richiesta della Fiat ed in seguito a incarico dell'Amministratore Delegato, il signor Braida ha dato assicurazioni al prof. Valletta che era intenzione dell'Ansaldo di prolungare l'accordo esistente [ ...]


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Diverso accento suonerà due anni più tardi in piéna guerra nel verbale del «ill comitato di Direzione» Ansaldo in data 15 aprile 1941: [...] Rapporti con la Fiat. a) carri armati. L'A.D. (Amministratore Delegato) riferisce sulla visita da lui fatta al prof. Valletta il 5 aprile. Rammenta che n~llo scorso anno sembrava che la Fiat volesse svincolarsi dagli accordi con l'Ansaldo relativi alla costruzione di carri armati. Dopo diversi incontri e scambio di lettere fra il prof. Valletta l'A.D. e il D.G. [Direttore Generale], si sono invece rinnovati gli accordi Fiat-Ansaldo con l'abolizione, da noi richiesta, dell'impegno preso all'inizio dall'Ansaldo di non costruire veicoli completi con motori a combustione interna. La scadenza della nuova convenzione è stata portata al 31 dicembre 1946. L'A.D. riferisce che nell'occasione della visita suddetta sono stati passati in esame altri problemi relativi alla fabbricazione dei carri armati. In particolare si è rilevato che mentre il ministero della Guerra non ha finora impostato un programma ve ramente organico e preciso per la fabbricazione di mezzi blindati (mentre le ordinazioni si susseguono per poche centinaia di esemplari ogni volta) per contro esso va incoraggiando altre ditte ad anrezzarsi per tale fabbricazione (Savigliano-Tecnomasio B.B. - Reggiane - Lancia). La Fiat e l'Ansaldo sono convince che con l'esperienza e l'affiatamento acquisiti in lunghi anni di pratica collaborazione, nessuna solu,.ione può essere più efficiente per l'aumento di questa produzione che non l'affidare ad esse ogni ulteriore sviluppo. È noto che l'Ansaldo fin dal febbraio 1940 ha offerto di costruire a Pozzuoli un secondo centro per la produzione di carri armati: tale proposta fu scartata anche successivamente, ritenendo il Ministero della Guerra che non fosse necessario prevedere un aumento di produzione. La Fiat è perfettamente d'accordo con noi che nell'interesse del Paese e per assicurare la massima efficienza della produzione, qualora questa debba essere aumentata, sia opportuno insistere per l'attrezzamento di un secondo centro a Pozzuoli. b) Produzione di motori diesel per la Marina(...] (24)

Questo brano va oltre l'argomento di queste pagine e bisognerà tornarvi in uno dei prossimi capitoli. Qui basti registrare, prima del rinnovo della convenzione fino al 1946 e degli allarmati propositi di difesa del duopolio, un momento di dubbio della Fiat circa la continuazione dell'esclusiva motoristica pattuita con l'Ansaldo. La Fiat sembra non aver più l'aria del «socio minore». Ed ancorchè vi siano specifiche vicende del 1940-41

(24) I verbali 11 ottobre 1935, 28 aprile 1939, 13 maggio 1939 e 15 aprile 1941 sono in A.$.A. fondo Rocca risp. 11.2 e 9.2. Il brano della relazione sul bilancio 1935, ivi 8.2. V. al riguardo G ianni PERONA, Ripercussioni sociali ed economiche della guerra con la Francia in Piemonte, 1940-43 in •Mezzosecolo, materiali per la ricerca storica• n. 3 (pp. 145-166) e soprattutto pp. 158 e sgg..


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che possono spiegarne le ragioni <25), vi è da chiedersi se mai rispetto all'Ansaldo essa sia stata tale. Questo indipendentemente dal <<tono» delle citate verbalizzazioni che - non dimentichiamolo - sono tutte di provenienza Ansaldo. Comunque un segno della situazione, nuova o meno nuova che fosse, si ha in un elemento esteriore ma non insignificante. Mentre nella pubblicità fino al 1940 si parla dei «carri armati Ansaldo-Fiat», a partire dal 1941 essi diventano «Fiat-Ansaldo», ciò sarebbe equivalso per esempio a far sì che il noto velivolo S.M. 79 fosse invece denominato «Alfa Romeo-S.I.A.I. S.M. 79» per la ragione che era equipaggiato con motori Alfa. Certo nei primi anni '30 la Fiat non rappresentava in se stessa un partner motoristico più desiderabile di altri per chi volesse co- · struire carri armati. La commessa dei 100 Renault giuntale - come si è visto - quasi per caso nel 1919 non le aveva conferito né particolare lustro né significativa esperienza. Tant'è vero che, dieci anni più tardi e in un momento in cui l'esercito tendeva sia pur con prudenza al rinnovo, aveva solo saputo proporre e attuare la dubbia versione ringiovanita dell'obsoleto ordigno (appunto il Fiat mod. 1930). Tuttavia la casa torinese, anche per il suo impatto sociale, ebbe sempre notevole forza di pressione o perlomeno di scambio sulla dirigenza politica e pertanto anche su quel polo d'incontro tra guida politica e classe economica rappresentato dall'I.R.I. e dalle sue aziende. In questo rapporto di forze si spiegano probabilmente i passi dei primi anni '30, certo non avvenuti al di fuori di intese politiche: eliminazione dell'altra concorrenza e segnatamente della Carraro (motore Fiat al C.V.33) e, all'incirca contemporaneo, l'allestimento con l'Ansaldo di una nuova autoblindo a sei ruote, armata con un cannone da 37 (o con due mitragliatrici) in torretta, sorprendentemente destinata agli organi di polizia nonostante la cronica carenza dell'esercito in fatto di mezzi da combattimento ruotati <26>. La convenzione con l'Ansaldo del 1933-1934, con(25) V. F. BONELLI, A. CARPARELLI, M. POZZOBON, La riforma ecc. cit. pp. 320-326. (26) La documentazione fotografica in A.A.


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fermata dai documenti ora citati rientra in questa logica. Né essa rappresentava un unicum né qualcosa che uscisse completamente dalla norma dei comportamenti. Tutt'altro. Di pochi anni più tardi (1938) è ad esempio un accordo fra I.R.I. e Fiat in tema di grandi motori diesel marini tale da spartire ìl lavoro in quel settore con elevatissime quote riservate alla casa torinese <27)_ Dato il forte intreccio fra statalismo e interessi privati, accordi e convenzi.o ni di questo genere non possono assimilarsi a quelli che industrie, in regime di concorrenza libera, stipulano per disciplinare i reciproci rapporti ma senza effetti vincolanti per i terzi. Con ciò non si vuol dire che si trattasse di accordi di cartello muniti addirittura di vincolo giuridico erga omnes. Vincoli giuridici potevano esistere solo fra chi li aveva pattuiti, ma di fatto le situazioni che ne risultavano non erano rovesciabili o modificabili se non appunto in coincidenza di variazioni di equilibri politico-economici. Variazioni talora riuscite e talora solo tentate come si è già visto · e come si avrà occasione ancora di vedere. Così, la convenzione Ansaldo-Fiat sui carri armati non obbligava che le due firmatarie. Liberissima pertanto qualsiasi altra azienda, privata o I.R.I., di attrezzarsi per produrne anch'essa. Se tuttavia lo faceva, magari come abbiamo appena letto - con l'incoraggiamento del ministero della Guerra, il sodalizio ligure-piemontese sapeva come muoversi per fermarla, riuscendovi o meno appunto a seconda della dinamica delle forze in atto. Anche il rapporto di forza tra Ansaldo e Fiat poteva variare ed effettivamente variò. Ne abbi·amo visto prima i segni per così dire «esterni» e sarebbe possibile indagarne l'intera dinamica partendo com'è necessario dalle vicende dell'Ansaldo immediatamente precedenti all'incontro almeno palese con la Fiat. Senonchè le variazioni di equilibrio interno del duo Fiat-Ansaldo sono povere di conseguenze per il nostro tema della meccanizzazione militare, mentre ne sono ricche le precedenti vicende Ansaldo: cosicchè a queste dedicheremo quasi esclusivamente il prossimo · paragrafo accennando appena al loro seguito.

(27) G. PERONA, Ripercussioni ecc. cit., pp. 160-161 e docc. ivi citati.


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Il distacco dell'Ansaldo dalla sua acciaieria. Conseguenze sulla produzione militare. Il 22 luglio 1935 il grand'ufficiale comandante on. Mario Barenghi, presidente dell'Ansaldo subentrato a Cavallero nel 1933, rassegnava le dimissioni ad Alberto Beneduce (presidente dell'I.R.I.) «dopo aver sentito da V.E. il nuovo indirizzo e programma tecnico economico che l'E.V. nella sua qualità di Presidente dell'I.R.I. intende di seguire nella sistemazione della Società Ansaldo e aziende consociate [ ... ]» C28). Due giorni dopo si dimetteva anche l'ammiraglio Giuseppe Sirianni presidente dell'acciaieria (SIACC). Cos'era accaduto? Ultimo anello di una catena causale complessa era il distacco dall'Ansaldo dell' acciaieriq di Cornigliano (già ricordato) e l' incorporazione di quest'ultima da parte delle Acciaierie di Aosta Cogne che aveva dato luogo alla Società Italiana Acciaierie Cornigliano Cogne (SIACC). L'operazione era stata condotta contro il fermissimo parere del gen. Baistrocchi, capo di S.M. dell'Esercito e sottosegretario alla Guerra con funzioni di ministro. Q uesti in un promemoria 13 luglio 1935 indirizzato al ministro delle finanze Paolo Thaon di Revel così fra l'altro scriveva: [ ... ] Se fu errore grave la fusione delle Acciaierie di Aosta e di Cornigliano, costituì più grave danno il separare la Cornigliano dall'Ansaldo. Non è possibile concepire oggi - e nessun tecnico lo concepisce in buona fede - una grande industria di armi e munizioni che non abbia nella sua organizzazione, e come primo tempo del suo ciclo produttivo, una acciaieria che possa fabbricare e trattare i greggi delicati che le altre unità delle aziende devono poter trasformare in ·finito. La giustezza di tale principio basilare tecnico è convalidata dalla constatazione assoluta che tutte le fabbriche di cannoni, in tutto il mondo - siano aziende grandi o modeste - hanno un'acciaieria e una forgia propria. Che l'amministrazione militare fosse a pieno convinta di tanta necessità è dimostrata dal fatto che essa - di fronte alla situazione irrazionale e strana creatasi con la formazione della SIACC - espresse in tutti i modi, e ripetutamente, la necessità di ridare vita - magari - ad un organismo decrepito e cadente, quale la vecchia acciaieria ex Armstrong pur di consentire allo stabilimento meccanico artiglieria di Pozzuoli quella completezza di ciclo che era stata spezzata, staccando la Cornigliano dall'Ansaldo. (28) Fondazione Einaudi, Archivio Thaon de Revel (d'ora in poi A.T.d.R.), f. 21.168.


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- Se il gestire un'industria meccanica di armi e munizioni, senza un'acciaieria propria, è sempre un'incongruenza tecnologica assoluta - la anormalità diventa più marcata, quando l'industria alla quale si accenna è una di quelle fondamentali per lo stato [...] essenziale alla efficienza bellica del paese. - Nessuno può negare che la costruzione delle armi è in continuo perfezionamento, che nei 20 ultimi anni si è progredito assai più che non in tutto il secolo precedente e che molto potrà e dovrà ancora essere fatto [ ...] per la Cornigliano è indispensabile che[ ...] sia riunita indissolubilmente all'organismo Ansaldo, in modo che l'una e l'altra sentano ed assolvano la vera missione loro: progredire e superarsi per perfezionare ogni giorno di più la tecnica delle nostre armi che non deve rimanere seconda a nessuno (29l.

Proprio in quello stesso periodo di tempo varie industrie riconoscevano l'opportunità di creare o di rafforzare nel loro ambito il «sistema verticale» che era stato a suo tempo massima aspirazione dei Perrone: la Fiat rafforzava le unità siderurgiche del proprio gruppo; altrettanto faceva la Breda (che l'I.R.I. aveva in parte restituito ai privati); le Acciaierie Lombarde Falck avevano addirittura acquisito gli stabilimenti della Franco Tosi e l' Acciaieria e Tubificio di Brescia (anche questi ultimi in parte riprivatizzati dall'I.R.I.) (3o)_ Lo stesso ministero della Guerra pensava di riaprire le vecchie acciaierie ex Armstrong per asservirle alla produzione dello stabilimento d'artiglieria di Pozzuoli. Ci si può chiedere perchè con l'Ansaldo e la propria acciaieria si sia proceduto in senso diametralmente opposto. Una risposta potrebbe essere la maggiore appetibilità dell'acciaieria isolata in vista di una sua collocazione presso il capitale privato. E si può supporre che fosse proprio la Fiat a desiderare di acquisire un'azienda siderurgica opportunamente dimensionata e risanata. La cosa non meraviglierebbe se pensiamo al successivo tentativo della Fiat (1941) di acquisire l'acciaieria di Cornigliano nel corso di vicende lontane dal nostro tema e che perciò sono qui appena accennate. Nello stesso senso converge il successivo e provato tentativo della Fiat di acquisire la Cogne (1942) (31). Ma a parte che tutto questo non spiegherebbe al 100% l'incorporazione nel 1934 dell'acciaieria di Cornigliano nella Cogne (du(29) A.T.d.R., f. 21.165. Promemoria personale sott0scritto del gen. Baistrocchi. A tale documento accennano, fra g)i altri: Lucio A VAGLIAN O, Lo sviluppo dei settori JR/ e il rapporto Stato· gruppi privati (19JJ.J939) in «Rassegna Economica» n. 5/1976 (pp. 1125·1198) v. n. 29 a p. 1140; V. CASTRONOVO, L 'induscria siderurgica e il piano di coordinamento deil'IRI in «Ricerche Storiche» n. 1/1978 (pp. 163-188) v. n. 25 a p. 173. (30) V. F. BONELLI, A. CARPARELLI, M. POZZOBON, La riforma ecc. cit., p. 221. (31) Id. p. 324 e G. PERONA, are. cit., pp. 164-165.


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rata poi meno di un anno) ci addentreremmo davvero nel campo delle supposizioni. Anche perchè una volta notato che molto probabilmente la Fiat ebbe fin dall'inizio nel duopolio carristico con l'Ansaldo un peso assai superiore al suo specifico apporto, altre illazioni oltrechè probabilmente inutili rischiano di perdersi nel quadro di estrema incertezza che caratterizza alcuni settori industriali nel 1934-35. In quel tempo ad esempio si parlò insistentemente di riprivatizzare la stessa Terni e anche l'Ilva (32>. Impregiudicato dunque il problema delle ragioni per cui l'acciaieria era stata scissa dall'Ansaldo e incorporata nella Cogne, troviamo riflesse nei documenti molte circostanze di cale vicenda ed alcune sue conseguenze afferenti proprio i mezzi bellici oggetto del nostro studio. Tali conseguenze sembrano ragionevolmente addebitabili, almeno in parte, anche a fatti anteriori all'operazione. Questa - come già detto :_ doveva poi durare un anno solo per ciò che riguarda la fusione con la Cogne, ma fu definitiva quanto al distacco giuridico dall'Ansaldo. All'origine di tutto sta probabilmente il terremoto dirigenziale scatenatosi lungo il 1933, nell'ambito sia dell'Ansaldo sia della sua acciaieria (allora riunite), per il cosiddetto «scandalo delle corazze». Senza pretendere di farne la storia (impresa oggi forse praticamente impossibile ma in questa sede comunque inutile), ricordiamo che le corazze destinate ad un incrociatore risultarono non conformi ai campioni approvati i cui sigilli erano stati falsificaci. Si ebbero, a più riprese, licenziamenti di dirigenti e impiegati (talvolta semplici spostamenti culminati poi quasi sempre in licenziamenti). Corsero sospetti sullo stesso presidente della società gen. Ugo Cavallero, già sottosegretario alla Guerra dal 4 maggio 1925 al 24 novembre 1928. Un'inchiesta affidata al ministero della Marina, non accertò prove a carico di Cavallero (che peraltro lasciava l'Ansaldo) e provocò invece l'invio al confino di uno dei dirigenti che Cavallero stesso aveva precedentemente licenziato nei giorni in cui la vicenda era affiorata. (32) V. F. BONELLI, A. CARPARELLI, M. POZZOBON, La riforma ecc. cit. pp. 221-222. Per la Terni, v. F. BONELLI, Lo sviluppo ecc., cit. pp. 208 e sgg. e, fra gli altri, L. A \IAGLIANO, art. cit. pp. 1142-1143.


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I licenziamenti invero riguardavano anche personaggi di primo piano come, ad esempio, il direttore dello stabilimento di artiglieria, il direttore delle «Acciaierie e Fonderie di Acciaio» (quello poi «confinato») nonchè vari tecnici appunto delle acciaierie. Era, sempre nel 1933, subentrato a Cavallero il nuovo presidente Comandante On. Mario Barenghi «con il compito di liquidare il passato per riportare l'ambiente alla normalità» come scriverà il suo successore Agostino Rocca in un documento del luglio 1936 (33). L'esodo di personale qualificato, dirigenziale e tecnico, sarebbe stato forse meno rilevante se l'Ansaldo nel 1927 (oltre un anno prima della gestione Cavallero) non avesse avviato rapporti di esclusiva

collaborazione con la Krupp proprio nel campo delle corazze e dei proiettili perforanti. La circostanza, sulla quale non sembra finora essersi soffermata l'attenzione degli studiosi, risulta ad esempio da un promemoria 24 novembre 1932 della Terni al capo del Governo che ci sembra utile pubblicare (doc. 23) (34) anche per altre rag10m. Alle probabili conseguenze di un primo rarefarsi del personale dirigenziale e tecnico che applicava da anni i procedimenti Krupp (oggi si parlerebbe di know how) bisogna poi sommare il trauma della fusione con la Cogne. Infatti nella nuova SIACC (Società Italiana Acciaierie Cornigliano Cogne), volendosi por mano ad un imponente programma di rinnovamento degli impianti, furono anzitutto rivoluzionati gli staff Venne costituita una nu?va Direzione Impianti affidata a quadri provenienti da svariate ditte (come, fra l'altro, la Falck, la Temi, la Ceretti di Villadossola). Alla nuova direzione fu affiancato un gruppo di tecnici (ingegneri, capi tecnici, periti, disegnatori ecc.) formato in parte da personale già della Cornigliano e in parte chiamato dall'esterno oltrechè dalla stessa Cogne. Operazioni del ge-

(33) Fondazione Einaudi Archivio Rocca (d'ora in poi A.R.) 15.23 R.A. a BORLETTI S., lettera 9 luglio 1936. Per le vicende relative ai licenziamenti in sede al!' Ansaldo e ai loro seguiti rinviamo sempre in A.R. soprattutto a 15.12 - 15.35 nonchè A.R. 15.46. Avvertiamo che nell'inventario del fondo <lell'ing. Agostino Rocca, la corrispondenza è sempre indicata coi cognomi del mittente e del destinatario che precedono i rispettivi nomi e che a cale uso dobbiamo attenerci per debito di precisio ne archivistica. (34) A.R. 31.2 Promemoria sulla situazione degli Stabilimenti di. Siderurgia Bellica della Società Terni, Genova 24 novembre 1932. V. anche L. A VAGLIANO, art. cit., p. 1138-1139 e n. 23.


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nere, quand'anche per avventura riuscite nel lungo termine, sollevano inevitabilmente all'inizio difficoltà, malumori e contrasti con riflessi poco favorevoli sul lavoro aziendale. Anche questa volta vi furono allontanamenti e accantonamenti con strascico di urti e polemiche. Di queste traversie (occorrendo documentabili) basti menzionare l'allontanamento dell'Ing. Bosio nuovo direttore dello «Stabilimento Acciaierie e Fonderie d'Acciaio» (il precedente era stato licenziato al tempo dello «scandalo corazze») nonchè l'analoga sorte toccata al vicedirettore Ing. Almagià. Non meraviglia di certo che simili vicende abbiano avuto conseguenze negative, almeno in un primo tempo e per qualche aspetto anche più a lungo. Ciò fu subito rilevato piuttosto autorevolmente. Invero. Lo scrisse a tutte le lettere il gen. Baistrocchi, che non era parte in causa, nel promemoria di cui abbiamo citato altri passi: [.. :] Ora - in coscienza - la gestione tecnica della S.I.A.C.C. ha mancato tale compito [di miglioramenti della siderurgia bellica]: non ha saputo trovare uomini adatti, non è riuscita ad assicurarsi la collaborazione di veri esperti, si è appoggiata a dirigenti inesperienti degli speciali delicati manufatti e la conseguenza ne è stata che, ad essere ottimisti, non si è progredito, mentre altrove non si sostava affatto. I risultati della gestione S.I.A.C.C. ad Aosta e Cornigliano sono stati indubbiamente poco felici: tutti lo ripetono, tutti ne sono convinti, i fatti lo dimostrano; la qualità del prodotto non si è avvantaggiata, gli scarti son cresciuti, i prezzi si sono elevati, gli impegni di consegna non sono stati rispettati, perchè si è voluto spesso dar preferenza ad un lavoro ordinario, commercialmente più remunerativo, posponendo il lavoro di qualità, perchè meno redditizio, presentante più alea, richiedente una meticolosa e cosciente applicazione (...).

A conclusioni analoghe, più dettagliatamente esposte, perveniva chi era parte in causa: cioè il presidente dell'Ansaldo on. Barenghi. Questi il 5 luglio 1935, indirizzandosi al gen. Dallolio presidente del Comitato Mobilitazione Civile, scriveva fra l'altro: [ ...] I nuovi dirigenti delle Acciaierie senza alcuna esperienza in acciai di qualità, senza esperienza in corazze, in cannoni, ecc.... , ogni giorno sono sollecitati a nuove modifiche, la cui leggerezza impressiona e tiene i tecnici responsabili delle fabbricazioni in un continuo allarme. Si voleva fabbricare le corazze cementate del «Littorio» caricando il rottame di cromo nichel esistente sui piazzali e si desistette da questo colossale errore solamente dopo energiche reazioni dei tecnici [ ...) Se si pensa che il Cantiere Navale Ansaldo attende la corazzatura della «Littorio» e che non è co- . struito ancora uno dei forni necessari per la fabbricazione di dette corazze, si avrà idea della leggerezza con la quale i nuovi dirigenti conducono le cose.


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Lamentava Barenghi che si erano messi in discussione «processi di fabbricazione che costarono milioni e che sono il frutto del lavoro di anni» e in particolare «quanto ci è stato insegnato da Krupp» col risultato che «le lamiere ad elevata resistenza per lo scafo della «Littorio)) si sono dovute fabbricare 4 volte» e che (ciò che per noi più conta): La lavorazione delle lamiere scudo per i C.V. 33 eseguita bene nel 1934, nel '35 ha dato risultato inferiore, tanto da costringere a modificare il metodo di costruzione dei carri <35>_

Invano Barenghi aveva proposto di rimediare se non ad alcuni aggravi economici della separazione (tassa di scambio del 2,50% su tutti i prodotti inevitabile trattandosi ormai di società distinte) almeno agli effetti più perniciosi del mancato éoordinamento. A ciò avrebbe dovuto provvedere uno speciale comitato il quale, ancorchè costituito, non servì a nulla. A vendo infatti chiesto Barenghi quale avrebbe dovuto essere la reciproca posizione delle due società, il presidente del comitato aveva risposto: «indipendenza e libertà[... ] legami[... ] unicamente basati sul reciproco tornaconto economico» (36). Come sappiamo, Barenghi e Sirianni furono autorevolmente persuasi a rassegnare le dimissioni e in quello stesso luglio 1935 Agostino Rocca divenne amministratore delegato tanto dell' Ansaldo quanto della SIACC. Quest'ultima fu subito riseparata dalla Cogne (7 agosto) restando tuttavia società distinta dall'Ansaldo 'con la denominazione Società Italiana Acciaierie di Cornigliano - SIAC. Compito di Rocca, come si legge in un recente studio, era quello di configurare un indirizzo che permetteva alla SIA C di «operare sul duplice versante delle forniture belliche e del mercato dei prodotti siderurgici commerciali)). Soprattutto Rocca, collaboratore e continuatore degli indirizzi di Oscar Sinigaglia, desider~va fare della SIAC la massima acciaieria a ciclo integrale. Ciò gli riuscirà almeno in parte nel corso di complesse vicende che lo porranno in contrasto ora con la siderurgia privata (e (35) A.T.d.R., f. 21.163. (36} Idem.


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quindi con la Fiat) ed ora con cospicui esponenti di quella pubblica come l'Ilva. Fanno parte di tali svolgimenti le già accennate variazioni dei rapporti di forza anche palesi tra Rocca (e cioè anche l'Ansaldo) e la Fiat negli anni 1940-41 <37l, Tornando ora a ciò che ci interessa da vicino, chiunque può guardare con sospetto la citata lettera di Barenghi col relativo promemoria (che comunque produciamo insieme con lo scritto di Baistrocchi: doc. 24 e 25). Dopotutto si trattava del presidente uscente al quale per di più era stato imposto lo scorporo di una parte così importante dell'azienda quale l'acciaieria. Nessun manager può essere indifferente a un'esperienza per sua natura traumatizzante come quella di trov<J.rsi improvvisamente estraniato da qualcosa di così intimamente connesso all'insieme aziendale, un quid, fisicamente contiguo, e sul quale si è esercitata autorità coordinatrice sirìo al giorno innanzi. L'amarezza può averlo indotto a esagerare gli aspetti negativi del distacco dall'Ansaldo e del matrimonio con la Cogne. A noi sembra però che, a parte la conferma generica ma autorevole data dal capo di S.M. dall'Esercito, vi siano nelle tesi di Barenghi elementi ben cerci. Siano o non siano state -fatte quattro volte le corazze della «Littorio)) e sia ciò addebitabile o meno alle ragioni indicate da Barenghi, sta di fatto che l'allestimento della corazzata e della sua gemella« Vittorio Veneto» durò oltre sei anni. Quanto alle corazze dei C.V. 33 non vi è alcun dubbio che dalla saldatura considerata - come si è detto - un pregio dell' Ansaldo, si dovette passare all'imbullonatura che rimarrà in tutta la linea dei corazzati italiani dal C.V. 35 sino al P40. Come vedremo a suo tempo, documenti, testimonianze e letteratura sono concordi nell'individuare un grave elemento di debolezza dei corazzati italiani proprio nel sistema di costruzione dello scafo e della casamatta. Naturalmente sarebbe imprudente mettere interamente sul conto della soppressione d'ogni concorrenza, la successiva mancata saldatura dei corazzati italiani. (37) V. F. BONELLI, A. CARPARELLI, M. POZZO BON, Lei riforma ecc., cit. pp. 220 e 320-326.


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Può darsi che la qualità degli acciai a disposizione avrebbe magari condotto al medesimo risultato. Sta di fatto che nell'ambito del carro veloce si passò dalla saldatura all'imbullonatura. E che nei carri medi, dove la rigidezza delle giunzioni fra piastre di maggior spessore acquisiva grande importanza, di saldatura non si parlò neppure. Ricorderemo che saldati erano dal 1931, i carri armati russi come poi quelli tedeschi, mentre quelli americanì e francesi tendevano ad avere il massimo possibile di parti addirittura fuse. Quanto ai carri inglesi, coi quali prevalentemente ci si misurerà fino al 1942, le cose andarono come segue. I processi di saldatura di piastre (anche temprate) erano già piuttosto avanzati presso il Research Department di Woolwich. Tuttavia sembra che, a parte il caso del Matilda che ebbe scafo saldato e torretta fusa, la saldatura sia stata usata costantemente dal 1939 solo per i blindati a ruote. «La sua estensione ai veicoli da combattimento cingolati fu lenta dal momento che si conosceva poco del comportamento sotto i colpi di corazze imbullonate o rivettate. Benchè nel 1941 i vantaggi della saldatura fossero ormai assodati [ ... ] non fu possibile mutare drasticamente i sistemi di fabbricazione. La diffusione dalla saldatura si completò solo con la riduzione del Tank programme durante il 1943 e dopo». Aggiungiamo però che la fusione era abitualmente utilizzata per la torretta (38) .

Concludendo e riassumendo:

- La lunghezza dei tempi industriali si riflesse sul rinnovo del reggimento carri armati e sulla form;zione di altri reparti corazzati (cavalleria). Il ritardo industriale risaliva a sua volta alla lunga incertezza dei responsabili militari forse dovuta in parte anche a problemi di bilancio; - la disponibilità dei primi carri veloci provocò ingiustificata euforia nei responsabili militari risvegliandone però anche l' a(38) M.M. POSTAN, D. HAY, J.D. SCOTT, Design and Deve/oprnent o/ Weapons·Studies in Govemment ami Industriai Organization, Londra H.M.S.O. 1964, pp. 344-345 e anche 307 e 338.


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lacrità mentale e inducendoli sia a individuare il bisogno di altri mezzi con relative caratteristiche sia a conati di più realistica codificazione dell'uso del mezzo esistente rispetto a quelli di sperata realizzazione; - le conseguenze del soffocamento della concorrenza non devono essere né esagerate né sottovalutate. Anche in altri paesi vi erano condizioni di sostanziale monopolio, ad esempio in Gran Bretagna dove unico rilevante produttore era e rimase la Vickers Armstrong. Ma a parte che ciò ebbe conseguenze negative sulla qualità dei corazzati inglesi nel complesso modesta fino al 1944/45, l'origine del fatto era ben diversa. In Gran Bretagna era stata la scarsità di domanda a scoraggiare altre industrie <39> mentre, nel nostro più povero mercato, la prospettiva del cliente militare aveva suscitato un inizio di concorrenza che si provvide a eliminare. Vero quanto osservato sul fatto che il sistema dei concorsi abitualmente praticato dall'aeronautica italiana non fece sempre emergere il velivolo migliore. Altrettanto vero però che, limitando l'esempio alla caccia, il perdurare di una certa concorrenza porterà a risultati interessanti se non per i motori almeno per le cellule. Già nel 1939 si avrà una cellula di buone qualità aerodinamiche (RE 2000) alla quale altre faranno seguito (Macchi C. 202 e 205, RE 2001 e 2005, Fiat G. 55). È noto che nessuna di tali cellule darà luogo a un rispettabile caccia finchè non saranno disponibili motori tedeschi. Ma ancor peggio ci saremmo trovati se, oltre ai propulsori, fossero mancate le cellule. La trasposizione di queste evidenze in tema di mezzi meccanizzati è intuitiva; - il travaglio cui fu sottoposta l'acciaieria di Cornigliano fece perdere l'uso dei procedimenti Krupp o quanto meno la capacità di saldare le corazze dei carri, pur rimanendo incerto se avremmo comunque potuto mantenerla in seguito. Riguardo a questa vicenda lo storico deve inoltre notare la nessuna considerazione in cui fu tenuto il parere del vertice militare terrestre. Infine non meraviglia che scarsi stimoli abbia ricevuto il progresso della

(39} lvi, pp. 244, 305-306; B. BOND, op. cit., p. 176; R.H. LARSON, op. cit., pp. 192-193.


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meccanizzazione militare in un paese relativamente ricco di industrie meccaniche e motoristiche dove però solo due opifici operavano di fatto in condizioni di esclusiva: l'uno per gli scafi e l'altro per i motori.



CAPITOLO

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LE OPERAZIO NI OLTREMARE E LA LORO INFLUENZA SULLA MECCANIZZAZIONE (1919-1939) Nei precedenti capitoli abbiamo seguito le vicende della meccanizzazione dell'esercito metropolitano tralasciando volutamente quanto avveniva nelle colonie. E questo non solo per praticità espositiva ma soprattutto perchè le «operazioni di polizia» condotte in Tripolitania e in Cirenaica non influirono sensibilmente sui nostri organismi militari centrali in tema di meccanizzazione. Due ragioni principalmente ci sembrano all'origine di questa mancata ripercussione. Anzi tutto, si trattava di operazioni affidate ai Regi Corpi Truppe Coloniali (R.C. T. C.} (1> posti alla diretta dipendenza dei governatori locali ai quali pertanto venivano a spettare, sia pure nei limiti delle disponibilità accordate dal ministero della Guerra, molte decisioni circa creazione, potenziamento e impiego di reparti meccanizzati. Inoltre fino all'intervento del 1940, prevaleva l'opinione che le scelte fatte in colonia non si sarebbero dimostrate utili in un conflitto metropolitano per il quale erano previste caratteristiche non troppo dissimili da quello terminato nel 1918. Questa convinzione non era stata scalfita neanche dalla vicenda etiopica che pure, specialmente nella prima fase (la cosiddetta campagna dei sette mesi), ebbe caratteristiche in buona parte diverse dalle normali operazioni coloniali. Lo stesso non può dirsi invece per la spedizione italiana in Spagna per la

(1) Esistevano un Regio Corpo Truppe Coloniali {R.C.T.C.) dell'Eritrea ed uno della Somalia entrambi poi confluiti nell'ordinamento militare dell'Impero (novembre 1937), un R.C.T.C. della T ripolicania ed u no della C irenaica, successivamente riuniti nel Regio Corpo Tru ppe Libiche e nel Comando milir.are del territorio del sud {1938). V. F ilippo STEFANI, La scoria della dottrina e degli ordinamenti dell'esercir.o italiano, USSME Roma 1985 voi. 11, tomo I, n. 1 a pp. 317-318.


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quale la mancata spinta alla modernizzazione della macchina militare nazionale si deve probabilmente all'incapacità di mettere a profitto rapidamente anche lezioni che erano state comprese.

La «riconquista» della Libia Le norme d'impiego delle truppe coloniali dipendevano in gran parte dalla struttura e dall'armamento del nemico. Come leggiamo in un'opera pubblicata nel 1930 dal maggiore Oreste Moricca sotto gli auspici dell'Istituto Coloniale Fascista, si trattava, in Libia, di affrontare un avversario che generalmente: a) non possiede alcuna organizzazione militare [ ... ]; b) ha un armamento inferiore, per qualità, quantità ed abbondanza di munizioni [...]; non dispone di artiglierie; c) ha una straordinaria mobilità, la quale peraltro non è sufficiente a compensare l'inferiorità derivante dalla mancanza di organizzazione e dall'inferiorità dell'armamento; d) è maestro nello sfruttare il terreno per agire di sorpresa, avanzare al coperto, tendere insidie ed agguati; non per rafforzarvisi ( ...); e) dispone di un meraviglioso servizio informazioni, e quindi, avvertito in tempo di ogni inizio di operazione, può concentrare rapidamente e nel punto più conveniente le sue forze, per attaccare in condizioni di numero, di tempo e di luogo per esso favorevoli; f) adotta una tattica, che, pur differendo da paese a paese,(...] presenta sempre, tranne rare eccezioni [...], le stesse caratteristiche e cioè: fronti troppo ampie, sproporzionate alle proprie forze e quindi deboli ovunque, anche perchè non sostenute da rincalzi e da riserve; tendenza costante ad aggirare le ali avversarie, sia estendendo la propria fronte, sia lanciando la cavalleria contemporaneamente da tutti i lati; incapacità a sostenere un attacco deciso; massima decisione e coraggio temerario nell'attaccare le retroguardie dei reparti in ritirata o quelli che si avventurino fuori dalla protezione degli alcri reparti o dell'artiglieria; g) mira a impadronirsi del convoglio, obiettivo principale, più che a battere il nemico <2l.

Da quanto precede nasceva il bisogno di creare gruppi di combattimento con notevole mobilità assicurata dalla motorizzazione. Emergeva ben inteso la scarsa applicabilità in colonia delle ricordate Norme generali per l'impiego delle grandi unità mentre

(2) Oresic MO RICCA, Trattato di arte militare coloniale, Roma Stabilimemo Tipo-Litografico del Genio Civile 1930, pp. 166-167. L'autore era maggiore dei bersaglieri.


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poco utile appariva la cavalleria nell'esplorazione sia avanzata sia ravvicinata. Insostituibile risultava invece l'aviazione tanto nella ricognizione quanto nella presa di contatto con azioni di piccolo bombardamento (ali. 26). Circa l'artiglieria, leggiamo in un breve studio del 1931: Il terreno, le scarse comunicazioni, la limitata percorribilità fuori dalle carovaniere, i bersagli poco consistenti, radi, sottili, mobili, poco vulnerabili, richiedono materiali [d'artiglieria) estremamente mobili, maneggevoli, semplicissimi nei vari congegni, a tiro rapido e traiettoria curva <3l.

Dei pezzi ad affusto rigido ancora in uso (77 /28 e 70/15), i secondi vennero in parte sostituiti con i 65/17 a deformazione dopo qualche incertezza circa la maggior vulnerabilità alla sabbia dell'affusto e sull'affiatamento «degli indigeni» con «i moderni sistemi di puntamento» quali cannocchiali ad alzo panoramico <4l. Mentre nell'esercito metropolitano si iniziava a diffondere l'uso del traino meccanico, in colonia si vennero gradualmente limitando l'ippotraino e il someggio per i problemi posti dalla resistenza sia degli animali sia degli affusti stessi e furono riadottati i pezzi autotrasportati. Un autocarro Fiat 15 ter portava il 65/17 con sei serventi mentre un secondo autocarro portava 200 colpi e l'esperienza aveva dimostrato che «tale sistema consentiva di mettersi in batteria più rapidamente che scaricando i materiali dai muli» (5l. La grande mobilità del nemico fece poi preferire ai lenti carri d' assalto le autoblindomitragliatrici e i «carri armati», ovvero autocarri privi di corazzatura ma armati con più mitragliatrici. La ricordata opinione sull'inutilizzabilità nei conflitti metropolitani delle scelte coloniali fece in complesso perdere occasioni di esperienza sui materiali. Così l'aviazione utilizzò sempre i velivoli più antiquati (ali. 27), mentre i comandanti dei «gruppi mobili» terrestri ricorrevano a costruzioni di circostanza nelle officine di Tripoli e Bengasi. Ripensando ai successivi avvenimenti nelle colonie italiane durante il secondo conflitto mondiale, bisogna pur (3) Mario FERRABINO, Questioni di artiglieria relative alla guerra nelle nostre colonie libiche, in «Rivista Militare Icaliana» gennaio 1931 anno V, n. 1, pp. 85·104, p. 91. (4) Ivi, p. 91. (5) Ivi, p. 92.


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rilevare la nessuna attenzione portata ad esigenze cui l'intraprendenza dei comandanti coloniali aveva a suo tempo sopperito con la realizzazione di mezzi leggeri per il combattimento nel deserto e con lo sviluppo della cooperazione tra aviazione e colonne mobili. Venendo in particolare alla meccanizzazione, si è già accennato all'invio in Tripolitania di alcuni carri d'assalto (v. cap. 5). Ricorda il colonnello Noè Grassi: [ ...) Il reparto fu distaccato alla fermata di Misciasta (presso Zanzur) ed ebbe occasione di fare avanzare una sola volta un carro {la Fiat 2000) contro un gruppo di un centinaio di ribelli che ne rimasero terrorizzati e si dispersero ai primi colpi di mitragliatrice. Conclusa la pace, con la concessione dello statuto agli Arabi, questi carri ritornarono in Italia [i Renault). In Tripolitania non restò che la Fiat 2000. Nel complesso risposero bene; ma si rivelò un inconveniente d'importanza capitale, data la mobilità somma del nemico: quello della lentezza. A questo si rimedierà col carro leggero Fiat 3000, se potrà essere adattato anche per le colonie [ ...] <6>.

Nel 1919 erano state costituite due squadriglie di autoblindate: - una in massima parte su Ansaldo 1ZM e data in organico al 3° Cacciatori; - una dotata di 12 Fiat tipo Tripoli assegnata al 4° Cacciatori di Derna (7). Nel gennaio 1923 con l'invio di altre autoblindate Ansaldo lZM venne formata una terza squadriglia, assegnata anch'essa al 3° Cacciatori. A tale epoca le squadriglie erano così costituite: - 1° Squad. del 3° Cacciatori: 8 Lancia 1ZM; - 2° Squad. del 3° Cacciatori: 3 Lancia + 2 Lanchester + 2 tipo Libia; - 1° Squad. del 4° Cacciatori: 12 Fiat tipo Tripoli <8>. Per chiarezza ricordiamo che le autoblindo in questione erano corazzate dall'Ansaldo su telaio Lancia lZ cosicchè possono indicarsi in entrambi i modi. (6) N. GRASSI, / carri d'assalto, cir., pp. 9-10. (7) AUSSME, b. Libia 113 f. 31, promemoria del capitano Orlando Lorenzini, comandante la squadriglia automezzi armati, s.d. (ma fine 1925). (8) Ivi; v. anche in argomento: Fernando GORl, Legionari d'Africa, Roma, Nuova Europa 1932, pp. 106-147.


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Sempre nel 1923 le tre squadriglie vennero riunite a Bengasi e rinforzate con una squadriglia di 8 autocarri armati. Le operazioni del 1923 misero in luce alcune deficienze sia nei criteri d'im. . . . . piego sia nei mezzi stessi. Scriveva il capitano del R.C.T.C. Cirenaica Orlando Lorenzini, in un suo rapporto del 1925: [... ] Fino al 1923 l'impiego delle autoblindate fu pressochè nullo; limitato a pochi servizi di scorta e di protezione ai pascoli e ad accampamenti sottomessi. Non si riteneva poter dare alle autoblindate l'impiego che ebbero in seguito perchè si supponeva che l'eccessiva pesantezza ne avrebbe reso impossibile l' impiego in terreno vario. Nella primavera del 1923 il maggiore Melelli, lo sfortunato eroe di Bu Grada chiese ed ottenne che al suo battaglione fosse assegnata una sezione Fiat-Tripoli (ten. Quimilliani) la quale nelle operazioni preparative dette sì belle prove da imporsi all'attenzione dei Comandi superiori che pensarono di t rarre allora qualche vantaggio dalle autoblindate di cui disponevano. Sezioni di autoblindate furono così assegnate alle diverse colonne operanti, ma i risultati non furono quali era lecito ripromettersi. Vincolate alle colonne cui erano state assegnate e di cui costituirono quasi sempre l'avanguardia e la scorta ai rifornimenti, le autoblindate non furono impiegate che in casi sporadici. Il combattimento vero e proprio mancò, perchè se qualche volta poterono venire a contatto con nuclei ribelli, le autoblindomitragliatrici no n poterono svolgere azione efficace sia perchè in numero troppo esiguo sia, perchè i comandi di colonna, nuovi quasi tutti all'impiego degli automezzi, non lasciarono ai varii comandanti alcuna libertà d'azione e tarparono le ali ad ogni iniziativa [ .. .]. E furono anche di alt ra indole le cause che non permisero di trarre dall'autoblindata tutco il rendimento che sarebbe stato possibile. Agli equipaggi era mancata un'adeguata preparazione, sia per le dipendenze gerarchiche con cui si era vincolata l'azione dei comandanti di reparto, sia per le ragioni economiche, in obbedienza alle quali i superiori CO· mandi avevano fin allora ritenuto opportuno di limitare il più possibile le uscite delle autoblindate, impedendo così Io svolgersi delle esercitazioni indispensabili per preparare il personale ed a dare a questo la necessaria fiducia nel mezzo di cui dovieva servirsi. Per le autoblindate «Lancia» [le Ansaldo] vi era inoltre la questione dell'armamento S. Etienne che destava serie preoccupazioni essendo capitato non di -rado che un'intera sezione si trovasse con t utte le armi contemporaneamente paralizzate dagli incidenti. Per questo specialmente l'impiego giovò. Giovò a rilevare pregi e manchevolezze e giovò soprattutto a convincere che il nemico ave va subito com· presa la sua impotenza di fronte all'autoblindata e che questa, sapientemente impiegata, avrebbe potuto costituire un mezzo efficacissimo di successo. Giovò anche a dimost rare che la pesantezza dell'auto bli ndata non era ostacolo tale, soprattutto per le Fial-Tripoli, da impedire a q uesta di percorrere il terreno sul quale poteva essere impiegato il comune automezzo. Fu in seguito a queste constatazioni di fatto che, rinata la fiducia dell'autoblindata, se ne intensificò l'impiego fino a cadere quasi nell'eccesso opposto. Dall'avere cioè fin allora vincolata troppo l'azione dell'autoblin· data, si ritenne di poter dare a questa un'autonomia che sarebbe stata meglio giustificata ove il personale fosse stato convenientemente preparato a tale autonomia, che comportava naturalmente da parte degli ufficiali e della truppa una maggiore conoscenza della guerra coloniale ed una maggiore pratica del materiale: armi e macchine [,..] (9>. (9) lvi.


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Il 10 giugno 1923 a Bir Bilal una nostra colonna cadde in un agguato. Sempre secondo Lorenzini, il servizio di sicurezza fu trascurato come l'ordine di incolonnamento e la «disciplina del personale che all'alt della colonna non conservò il proprio posto». I conduttori parcheggiarono le autoblindo «a capriccio)) con il motore spento e si allontanarono «chi in cerca del compagno per scambiare le proprie impressioni, chi si diresse verso il pozzo per curiosare o in cerca d'acqua». Tutte le autoblindo (4 Fiat-Tripoli e 2 Ansaldo) caddero in mano ribelle senza sparare un colpo. Analoga sorte capitò agli autocarri armati di cui solo quello del tenente Tuvo non ripiegò e si oppose all'assalto con la mitragliatrice fino all'esaurimento delle munizioni. Nel settembre 1923 tutti i mezzi rimasti (8 Fiat-Tripoli, 9 Ansaldo, 2 Lanchester, 2 Tipo Libia e 8 autocarri armati) furono riuniti in unica squadriglia denominata Squadriglìa automezzi armati assegnata al 3° Cacciatori e comandata dal capitano Orlando Lorenz1m. Convinto che l'insuccesso di Bir Bila! doveva attribuirsi oltre alle altre cause conco. miranti, anche alla mancata preparazione tecnica e morale del personale, lo scriven· te [il capitano Lorenzini) ebbe cura di colmare prima di tutto questa lacuna. Sulle autoblindate «Lancia» fu sostituita la difettosissima mitragliatrice S. Etienne con la mitragliatrice Fiat. Per ridare poi completa fiducia nell'impiego dell'automezzo, lo scrivente, in contrasto anche con le norme restrittive impartite dopo Bir Bila! dal comando delle Truppe provocò incursioni a largo raggio nel sud bengasino, valendosi soprattutto dell'opera dell'arditissi mo tenente Magliano [... ]. Una tale reazione valse anche a modificare il pavido criterio d'impiego che aveva sin allora dominato il Comando Truppe [ ... ] <10>.

Queste opinioni di un coloniale esperto come Lorenzini non erano però condivise in alto loco. Così infatti si esprimerà anni più tardi il Moricca nel suo già citato lavoro a carattere ufficiale: [...) È necessario, però, rilevare che anche l'invulnerabilità di quesri ordigni [le autoblindo) è ormai violata: il ribelle arabo ha saputo scoprirne il punto debole. L'abbiamo constatato in un dolorosissimo e abbastanza recente episodio, nel quale trovarono mone gloriosa ben 6 ufficiali, 38 uomini di truppa bianca, e 32 di colore: nello scontro avvenuto a Bir Bila!, il 10 giugno 1923, tra un'autocolonna composta di 6 autoblindomitragliatrici e 6 carri armati [qui leggi: autocarri armati] più il numero di autocarri necessari per i rifornimenti viveri, acq ua, munizioni e carburanti

(10) Ivi.


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e per il traspone della scorta armata, che doveva procedere all'occupazione di Marsa Brega, e un forte nucleo di ribelli armati. Come risulta dalla relazione di quel comando di truppe, tutte quante le autoblindomit ragliatrici furono immobilizzate, fin dai primi momenti dcli.i lotta, dal fuoco diretto sui pneumatici, con palese intendimento di togliere a queste anni il loro mezzo principale di azione. le testimonianze dei pochi scampati confermano quanto era già provato dai fatti e dalla circostanza, mai prima verificatasi, che i feriti erano feriti agli arti inferiori. Bisognerà, perciò, apportare alle autoblindomit ragliatrici le opportune modificazioni atte a sventare, in avvenire, il ripetersi di tale gravissimo incidente <11> [ ... ).

Si preferiva insomma addebitare l'insuccesso solo ai limiti tecnici dei veicoli e questo spiega come mai nel 1926 la 1 a Squadriglia autoblindomitragliatrici ed autocarri armati (nuova denominazione del reparto), disponesse soltanto di questi mezzi meccanizzati: 2 carri d'assalto Fiat 3000;

9 autoblindo Ansaldo; 1 autoblindo Lanchester; 8 autoblindo Fiat-Tripoli; 23 autocarri armati Fiat 15 ter; 2 autocarri armati Ford T (12>. Nel giro di tre anni la componente autoblindistica del reparto, lungi dall'aumentare, aveva anzi perso una Lanchester e due tipo Libia, le famose Fiat-Arsenale usate durante la guerra italoturca. Erano comparsi, è vero, due carri d'assalto Fiat 3000 ciascuno armato con una coppia di mitragliatrici Lewis. Ma il loro invio in colonia era avvenuto solo a scopo di valutazione (e non sembra abbiano offerto prestazioni superiori ai Renault). Triplicati invece erano gli autocarri armati (25 esemplari) allestiti in offic ine locali. Nell'agosto 1926 venne formata la 2 3 Squadriglia autoblindomitragliatrici ed autocarri armati prelevando i mezzi dalla 1a Squadriglia (le 9 autoblindo Ansaldo e la Lanchester) (13}_

(11) O. MORICCA, op. cit., p. 182. (12) AUSSME, b. Libia 133 f. 32, J• Squadriglia autoblindomitragliatrici ed autocarri armati. Memorie Storiche. (13) lvi, 2" Squadriglia auroblindomitragliatrici ed autocarri armati. Memorie storù:he.


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Il generale Ottorino Mezzetti confermava la scarsità degli aiuti ricevuti dal ministero della Guerra: [...) Il lavoro più complesso fu costituito dalla riorganizzazione degli automezzi militari. Quando assunsi il comando delle truppe circolavano in colonia, per necessità militari, poco più di 400 automezzi, quando ne partii, senza che fossero stati fatti acquisti, ne circolavano un migliaio. A questi si aggiungeva un centinaio di auto· mezzi inviati in prestit0 dal ministero della Guerra. Queste cifre possono dare un'idea della mole del lavo ro fornito e dall'abilità spiegata dal personale dell'autogruppo della Cirenaica, egregiamente comandat0 dal maggiore Nicolardi. All'infuori degli automezzi occorrenti per i servizi ordinari, potei così disporre di un conveniente numero di autosezioni e di un autoreparto di manovra di circa 300 macchi ne avente una doppia funzione: logistica (colonne idriche, rifornimenti di carattere urgente e straordi nari) e tattica (trasporto celere e lontano di truppe sui luoghi delle azioni). Per poter giungere a tale risultato venne ricuperata una forte quantità di automezzi sparsi nei vari presidi della colonia e giacenti abbandonati nei cosiddetti «cimiteri di autocarri» perchè dichiarati inutilizzabili. Concentrati a Bengasi, furono, invece, con intenso lavoro, rimessi in efficienza e concorsero a formare le unid automobilistiche pri ma accennate. N on avendo mezzi per acquistare nuove autobli ndate ed essendo del t utto primitivi e ben poco efficienti gli autocarri armati, già in servizio, provvisù della nota mitra· gliatrice posta in bellavista sulla carrozzeria degli autocarri ordinari, feci studiare dal capitano di S.M. Cocchieri ed eseguire dal capitano Danieli del laboratorio d'artiglieria la costru zione di un tipo di autocarro, parzialmente blindato, alleggerito ed armato di tre mitragliat rici che dette o ttima prova [ ...) <14>.

Eppure anche una pubblicazione come la «Rivista militare italiana», in una monografia sulle operazioni condotte nel 1929 nel sud tripolitano, non esitava ad affermare: Le autoblindo, sul rend imento delle quali più non dovrebbero esistere dubbi dopo le brillanti prove fornite in più occasioni in C irenaica e nella Sinica, hanno lavorato bene in varie circostanze, sebbene non abbiano avuto occasione di entrare in vere e proprie azioni d i combattimento. Unica limitazione al loro impiego è data dal terreno montuoso e roccioso, con salti a pie.cc o con pietraie a grossi elementi , oppure da zo ne di dune mobili dove le macchine non possono transitare oppure si insabbiano fortemente. Sul vasto altopiano dell'Hammada nessuna limitazione esiste all'impiego d i questi mezzi: l' unica difficoltà da superare consiste nella salita del ciglione marginale ovunque strapiombante ma non insuperabile. Semplici rampe d'accesso in punti ben determinati hanno infatti eliminato tale difficoltà e permessa la salita, dopo che si ebbe la possibilità di te nere il do minio di questa ragione, in modo molto economico, con saltuarie pu ntate di poche autoblindo <15J_

(J 4) Ottorino MEZZETTI, Guerra in Libia. Esperienze e ricordi, R<>ma Cremonese 1933, pp. 154-155.

(15) - , Situazione ed avvenimenti nel sud tripolitano. Primavera 1929, (continuazione e fine), in «Rivista militare italiana», anno Ili dicem bre 1929 pp. 1887-19 17, p. 1904.


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Nel 1931, in Cirenaica, ai vetusti autocarri armati Fiat 15 ter cominciarono ad affiancarsi analoghi mezzi, sempre costruiti da officine locali, basati sull'autotelaio del più moderno SPA 25 III serie, mentre le autoblindo Fiat-Tripoli assunsero la denominazione ufficiale di Fiat tipo Libia (16). Sembra, tuttavia, che la prova offerta da tutti questi mezzi durante l'occupazione di Cufra fosse insoddisfacente non essendo muniti «degli indispensabili adattamenti per percorrere il deserto)) (l7) e probabilmente anche questo fatto servl agli scettici per dilazionare ulteriormente una più estesa meccanizzazione dei corpi truppe coloniali della Libia. I preparativi d'invasione dell'Etiopia porteranno a un temporaneo incremento delle forze meccanizzate italiane in Libia, ma solo in previsione di eventuali scontri con gli inglesi in Egitto qualora la crisi con la Società delle Nazioni fosse sboccata in conflitto aperto. Nella minuta di un promemoria 7 agosto 1935 diretto da Pariani a Baistrocchi, leggiamo fra l'altro: [...] Provvedimenti per la Cirenaica. È certo che se ci chiuderanno il canale di Suez noi dovremo riaprirlo. A tale scopo[...) dobbiamo compiere uno sforzo dalla Cirenaica. Si tratterebbe [...] di assumere temporaneamente la difensiva sul fronte abissino per agire su quello egiziano [ ...) <18).

Così al 1° gennaio 193 5 si trovavano in Libia: -

24 autoblinde ed autocarri armati, tutti già impiegati nella

precedente «riconquista»; - 40 carri armati Fiat 3000. Alla stessa data erano in distribuzione in Italia 275 fra carri veloci e Fiat 3000, mentre in A.O. esistevano solo 15 carri veloci e 3 autoblinde. Peraltro in vista di considerevoli sviluppi dei reparti corazzati, tanto nel territorio metropolitano quanto in Africa, si ordina-

(16) AUSS.ME, b. Libia 230 f. 20, GRUPPO SQUADRIGLIE AUTOBLINDATE DELLA CIRENAICA, Istruzione provvisoria sul caricamento esterno ed interno delle macchine, Tripoli agosto 1931 (dattiloscritto). (17) In tal senso Emilio CANEVARl, La guerra italiana. Retroscena della disfatta, 2 volumi, Roma Tosi 1948, voi. I p. 333. (18) Carte Pariani presso Civiche Raccolte Storiche di Milano, quaderno X, pp. 7-8. Doc. pubblicato in L. CEVA, Le forze armate, Torino UTET 1981 pp. 610-611.


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vano all'industria (come meglio vedremo oltre) 1100 carri veloci nonchè 200 ordigni di maggiore potenza, i «carri d'assalto mod. 36» armati di un cannone da 37/26 in torretta (19l. Quanto agli inglesi, era noto che essi da anni tenevano in Egitto, considerato buon terreno per addestramento, una minuscola forza corazzata munita di vecchie autoblindo e di pochi carri fra medi Vickers mod. 1923 e leggeri. Al profilarsi di complicazioni con l'Italia, si affrettarono a mandare tutti i carri leggeri dell'unica brigata corazzata che avevano in Patria (forse un centinaio) oltre a un certo numero di equipaggiamenti radio. La brigata metropolitana fu così impoverita da rimanere per molto tempo in condizione di non operatività <20l.

La campagna in Etiopia e la regolamentazione militare.

Altri mezzi corazzati venivano nel frattempo messi allo studio in Italia. Così scrive nei suoi taccuini il generale Pariani allora sottocapo di S.M. dell'esercito con funzioni di capo: 6-10-XII [cioè 6 ottobre 1934) Vorrei un brevissimo promemoria per S.E. S.S.S. [Sua Eccellenza il Sottosegretario di Stato, generale Baistrocchi] - relativo al cannoncino anticarro su carro veloce.

Scopo: avere un mezzo celere di sostegno dei carri veloci m itragl. [ieri], e in grado di agire come anticarro. Mezzo: cannoncino montato su carro tipo carro veloce ma anzichè corazzaro munito di semplici scudi. T ale cannoncino dovrebbe armare una aliquota dei carri veloci da assegnarsi alla divisione, in luogo del cannone da fanteria che ancora non è stato risolto. Vorrei con ciò ottenere che all'ult imo istante dell'attacco la fanteria avesse con sè un mezzo estremamente mobile per aiutarla non solo a rompere le ultime resistenze ma a rapidamente penetrare (21l.

Questa attività è ampiamente confermata anche dalla più volte citata relazione al Consiglio dell'esercito del gennaio 1935 ove, in argomento, si legge fra l'altro: {19) MINISTERO DELLA GUERRA, Relazione sull'attività svolta per l'esigenza A.O., Roma, Ist . Poligrafico dello Stato 1936, ali. 76, tav. Xill. (20) B.H. LIDDELL HART, Thc tanks cit., I, pp. 355-356 ed anche R. LEWIN, op. cit. (21) Carte Pariani cit. quaderno I, p. 19.


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[ ...] - si sono ordinati 500 carri veloci trasformati con armamento di 2 mitragliatrici da 8mm, per celeri e fanti; è in iscudio avanzato l'applicazione del lanciafiamme e del cannoncino sul carro stesso; - è già stato ordinato all'Ansaldo l'allestimento del carro armato campione da 8 t, con cannone e due mitragliatrici <22}.

Come già abbiamo ricordato, il carro veloce subì alcune trasformazioni che riguardavano sia lo scafo, che divenne imbullonato, sia il treno di rotolamento. A parziale compensazione della minor resistenza della casamatta, l'armamento venne aumentato installando due mitragliatrici Fiat da 8mm anzichè una sola Fiat da 6,5mm. Questa sostituzione era dovuta anche a problemi di standardizzazione delle armi e del relativo munizionamento; infatti anche il reggimento di fanteria stava adottando le mitragliatrici Fiat trasformate in calibro 8mm. Degli altri studi in atto, solo quello del carro lanciafiamme arriverà in tempi brevi alla produzione in serie, venendo impiegato in Etiopia. Il carro con cannoncino verrà provato solo nel 1939 ed abbandonato. Altrettanto lunga sarà la gestazione del carro di rottura da 8 t. Nato con il treno di rotolamento del carro da 9 t e con il motore diesel dell'autocarro Fiat 634, subirà profonde trasformazioni sia nel gruppo motopropulsore sia nei carrelli pur non modificando la sua fisionomia generale con un pezzo da 37/ 40 in casamatta e due mitragliatrici in torretta. Verrà omologato nel 1939 con la designazione di Ml 1/39. Dopo aver visitato a Bolzano una delle due divisioni motorizzate allora in allestimento («Trento» e «Po»), Pariani così si rivolgeva al generale Pugnani capo della Motorizzazione: g.le Pugnani Bolzano 29-8-35 [...] 2) - Gli autocarri debbono essere attrezzati non solo per il trasporto uomini ma per la postazione delle mitragliatrici in modo che possano attraversare zone sospette, o di guerriglia in grado di potersi difendere sia di fronte che sui fianchi. 3) - Si tratta in sostanza di studiare un tipo di automezzo speciale per la divisione motorizzata ed al riguardo sad bene che alle prossime manovre che avranno luogo in Francia sia bene osservato il tipo scelto per la divisione motorizzata francese <23>. (22) Ministero della guerra, gabi netto, Relazione al Corniglio dell'esercito ecc. cic. (23) Carte Pariani cic., quaderno Xl p. 2.


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la meccanizzazione dell'Esercito Itali-ano

La logica scelta di basare sullo scafo del carro veloce buona parte dei mezzi di supporto sembra confermata da altre richieste di Pariani: g.le Pugnani 1/12/35 Pei carri veloci mi sembrerebbe utile pensare: 1 - Ad un carro rifornimento carburanti, simile agli altri come tipo per poter seguire in qualsiasi momento. Il rimorchio non mi sembra possa risolvere il problema in montagna. 2 - Ad un carro porta attrezzi che dovrebbe portare una specie di passerella atta a superare gradoni, o passare piccoli canali - oltre alla passerella qualche attrezzo da zappatore. 3 - Hai qualcuno in A.O. che ti riferisce sul comportamento tecnico dei carri inviati? Inconvenienti? Proposte? <24>_

L'impegno in A.O. stava sempre più aumentando. Il 9 settembre 1935 il generale Manera, capo dell'Ispettorato Materiale Auto, così scriveva al ministero della Guerra in merito alle nuove assegnazioni di carri veloci: 1 - Il reggimento carri armati ha già ricevuti n. 124 C.V.33/Il occorrenti per i 3 bcg. e.a. [battaglioni carri armati] su 11 cp. [compagnie] destinate in A.O .. Per completare l'organico di tali reparti è stato ordinato l'allestimento e la distribuzione (da effettuarsi prima del 25 c.m.) di n. 44 C.V. 33/L [lanciafiamme]. 2 - Entro il mese corrente si prevede una ulteriore disponibilità di n. 37 C.V. 33/Il [,] n. 16 C.V. 33/L [,] totale n. 53. Successivamente il ritmo delle consegne, salvo imprevisti, sarà, al solito, di 90 esemplari al mese. 3 - Gli impegni finora esistenti per le assegnazioni di carri veloci sono, come è noto: Per Austria n. 15 (n. 4 già segnalati pronti per 10 settembre) (n. 6 da assegnare per fine ottobre) (n. 5 da assegnare per fine novembre) Per Ungheria n. 60 (n. 1 già ceduto) (n. 20 da assegnare entro novembre) (n. 20 da assegnare entro dicembre) (n. 19 da assegnare entro gennaio) Per la Libia n. 20 da assegnare entro settembre Per la Cirenaica n. 11 (v. lett. Gabinetto n. 14169 Jcl 4 c.m.) N. 4 alla R. accademia fanteria e cavall. Modena entro ~ettembre. N . 110 I tempo (ai 5 btg. e.a. di frontiera su 2 cp. e.a. ciascuno) N. 45 Il tempo N. 90 C.V. 33/II ai 6 squadroni dei reggimenti cav. indivisionati. N . 20 al genio, per istallazione R.T. [Rice-trasmittente] Sono in totale n. 364 C.V.: tutta la produzione è perciò impegnata fino a metà gennaio 1936. 4 - Cosl stando le cose si ritiene necessario stabilire un piano di distribuzione dei

(24) lvi, quaderno XI p. 12.


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C.V. in relazione all' urgenza ed all'importanza da attribuire alle varie esigenze: si prega pertanto codesto Gabinetto di voler indicare i criteri ai quali questo ispettorato dovrà attenersi per fissare l'ordine di successione delle assegnazioni (isJ.

Critica risultava la situazione dei carri lanciafiamme. Il 23 maggio 1935 Pariani aveva scritto al generale Pugnani: Come andiamo con l'ordinazione dei carri lanciafiamme? Occorre realizzare al più presto - per inviarne appena possibile in A.O. (2•l.

In tre mesi quindi non ne era stato approntato nessuno. Per costituire poi i battaglioni autoblindo si dovette far incetta di mezzi antiquati sparsi in tutta la penisola e chiederne la cessione tanto ai Carabinieri Reali quanto ai Metropolitani. Questi ultimi fornirono 18 Fiat 611: g.le Bancale 11-1-36 Il ministero degli interni fa cessione all'esercito di n. 18 automitragliatrici blindate (dei Metropolitani). Con q ueste e con 12-16 autoblindate dobbiamo costi tuire una unità celerissima per la sicurezza delle retrovie in A.O. Scudiare e disporre per la seguente formazione. 1) Comandante (uff. sup. di cavalleria) 2) Compagnia di 3 plotoni motomitraglieri (comandata da un cap. di cavalleria) <27J.

Un'indagine resa nota il medesimo giorno informava che le fatiscenti Ansaldo-Lancia 1Z erano così distribuite: -

24 presso le sezioni autoblindo di reparti del Regio

Esercito; - 16 presso enti vari (più una senza armamento e cancamenti); - 34 presso le Legioni dei Carabinieri Reali (28). Sempre il giorno 11 gennaio Baistrocchi prometteva a Badoglio: Per controllo vigile retrovie su strade invierò fra giorni unità celere costituita da 12 autoblindo et diciotto motocarrozzette blindate et scomponibile in elementi come v.e. riterrà opportuno alt Per inquadramento un ufficiale superiore et due capitani alt (29).

(25) (26) (27) (28) (29)

AUSSME, racc. 112 f. 8. Carte Pariani cit., quaderno VII p. 7. lvi, quaderno XIII p . 43. AUSS:tvlE, racc. 147 f. 108. lvi.


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Per completare la dotazione di mezzi si doveva :ricorrere nuovamente al ministero degli Interni: A seguito comunicazioni telefoniche si prega di voler cedere all'8° centro automo· bilistico oltre aUe 12 motocarrozzette blindate anche otto motociclette armate con mitragliatrice, per completare il numero delle venti occorrenti ()o).

L'affrettato disarmo di importanti forze di polizia e di qualche reparto dell'esercito dipendeva da pressanti richieste di Badoglio che, fra dicembre e gennaio, era in grande ansia per gli accenni controffensivi degli abissini, al punto da predisporre una ritirata generale, poi evitata di misura. Per questo egli desiderava che le comunicazioni alle sue spalle fossero mantenute libere e sicure. Più tardi, dopo il trionfale ritorno in Italia, il duca di Addis Abeba scriverà con tutta calma: Per la protezione delle retrovie, alla quale avevo sino allora provveduto con reparti d'intendenza[... ) costituivo, con mezzi d'occasione, reparti di autocarri armati con mitragliatrici. In pari tempo chiedevo l'invio dalla Madrepatria di unità particolarmente adatte, per costituzione ed armamento, a compiti presidiari e di regolari re· parti di autoblindo-mitragliatrici P 1l.

Del resto trattamento analogo, se pur differito nel tempo, non

fu negato a Graziani in vista della corsa finale su Harar. Così infatti gli scriveva Baistrocchi il 6 marzo 1936: Caro Graziani, [...] ti invio i miei saluci paterni beneauguranti con la certezza di nuovi grandi successi [... ] ho fatto quanto possibile per esaudire tue richieste [ ...] tutto quello da te richiesto[...] sta per partire come le autoblinde (non ne avevamo più, ho rimesso in ordine quelle della Pubblica Sicurezza) [ ...) (J2l.

La domanda di meccanizzati era spesso superiore alla disponibilità dell'esercito e talora riguardava categorie di mezzi che esso aveva quasi del tutto trascurato. Comunque !'«esigenza A.O.,>, con tutte le implicazioni estese alla Libia e all'Egeo, aveva ormai precedenza assoluta e lo sforzo di soddisfarne i bisogni fu veramente notevole come è confermato dalla cifra elevata degli invii oltremare. E cioè in sintesi: (30) lvi. {31) Pietro BADOGLIO, La gieerra d'Etiopia, Milano Mondadori 1936, p. 41. {32) V.G. ROCHA T, Militari e politici ecc. cit., pp. 257-258 e nota 50.


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Le operazioni oltremare e la loro influenza sulla meccanizzazione

Tipo autoblindo autocannoni c.v. 33 Fiat 611 Fiat 3000 moto blindo motomitr.

Egeo

Eritrea

4

16 16 143

Libia

22 8 138 32

12 8

Somalia

30 5

Totali

38 28 311 5 32 12 434 (33)

Questa elaborazione dei dati proposti dalla relazione ufficiale non coincide con un'appendice della relazione stessa dalla quale sembrerebbe invece che i mezzi meccanizzati inviati nelle colonie fossero solo 401 (33 in meno). Riportiamo comunque in allegato 28 le variazioni della disponibilità di tali mezzi, tanto nel territorio metropolitano quanto nelle colonie, sempre secondo l'anzidetta relazione ufficiale. Avvertiamo peraltro che questi dati debbono considersi approssimativi e altresì che la terminologia usata è alquanto generica: per esempio, sotto la voce «carri veloci» sono raggruppati tutti i tipi e le varianti dei carri in dotazione all'esercito (34). Come già detto, né la campagna in A.O. (ottobre 1935-maggio 1936) né il suo seguito durato fino al 1940 (che si preferì chiamare «operazioni di polizia coloniale») ebbero molte conseguenze sulla meccanizzazione italiana per il convincimento che un conflitto europeo sarebbe stato completamente diverso da quelli coloniali. Tuttavia alcune ripercussioni non mancarono e sono documentabili. Il loro effetto fu nel complesso negativo. Tralasciando le mere esaltazioni propagandistiche, già prima del conflitto voci autorevoli si erano levate a confermare «l'attualità» del carro veloce «non solo per le truppe celeri ma anche per la fanteria» preconizzata ad esempio dal generale Gervasio Bitossi: A meno che in avvenire non appaia la convenienza di mettere in una corazza semovente un uomo solo, difficilmente si potrà desiderare un carro di dimensioni più (33) MINISTERO DELLA GUERRA, Relazione sull'attività ecc. cit., p. 202. (34) Ivi, allegato 76, tav. XIII. Dati ancora diversi si hanno per la Somalia dove, secondo un promemoria di Pariani a Baistrocchi 15 giugno 1935, si sarebbero trovati a quella data 45 carri veloci, 16 autoblinde, 4 carri armati (leggi: autocarri armati). V. G . ROCHAT, op. ult. cit., p. 428.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano r idotte del carro veloce Ansaldo 33, d imensioni che gli permettono già di nascondersi, anche su terreni notevolmente scoperti, dietro semplici cespugli o leggerissime pieghe del terreno (35>.

Terminata la campagna il generale Angelo Pugnani confermava sempre pubblicamente: Come già visto, l'Ansaldo-Fossati ha risolto la fondamentale questione del cingolo ad elementi corti, ma gli sforzi dei suoi valentissimi ed appassionati tecnici non si sono formati a ciò, bensì - con provvidenze speciali - hanno quasi totalmente eliminato la grave e dannosa facilità di scingolamento. Inoltre, con la costante collaborazione dei tecnici militari, si sono andate introducendo nel tipo, modifiche cali per cui in definitiva ne è derivato u n carro veloce completamente diverso dal suo prototipo al quale è nettamente superiore, sia per le caratteristiche di manovrabilità ed ingombro, pienamente idonee anche ai percorsi nei nostri intricati terreni di frontiera, sia per la visibilità non disgiunta dalla sicurezza, anche rispetto alle note e pericolose offese procurate dal piombo fuso [sic] attraverso le feritoie, sia infine per l'armamento coscicuico da due potenti mitragliatrici di calibro 9,5 [rectius: 8] <36>.

In realtà le esperienze fatte coi carri veloci erano ben altre. Negli archivi potuti consultare non abbiamo rinvenuto documentazione su notori episodi tragici come Dembenguinà dove, il 15 dicembre 1935, uno squadrone di carri veloci, coi relativi equipaggi, fu distrutto da guerrieri abissini appiedati o il fatto dell'l 1 novembre 1935 al torrente Gerer sul fronte sòmalo, dove la stessa sorte toccò a quattro carri (37) , Disponiamo tuttavia di altra documentazione come, ad esempio, un rapporto del giugn o 1936 di un reparto carri veloci che aveva operato sul fronte eritreo. Come si può vedere all'all. 29 si lamentano: fragilità delle sospensioni; autonomia insufficiente e velocità inferiore a quella risultata ai collaudi; non rispondenza in genere agli scopi per i quali il mezzo era stato costruito. Il generale Gariboldi, capo di S.M. del governo generale del-

(35) Gervasio BlTOSSI, Carri armati veloci, in «Rivista di fanteria• anno I, n. 4 aprile 1934, pp. 547-551, v. p. 548. L'idea di un carro monoposto era balenata anche altrove. In Gran Bretagna il colonnello (poi generale) Manel ne aveva costruito un esemplare a sue spese e l'aveva sperimentato nel 1925, v. B.H. LIDDELL HART, The Tanks cir. II, pp. 237-240. (36) A. PUGNANI, La motorizzazione dell'esercito e la conquista dell'Etiopia, Roma Ed. della rivista «Trasporti e lavori pubblici• 1936, p. 97. (37) V. Angelo DEL BOCA, Gli italiani in Africa Orientale - la conq11ista dell'Impero, Bari Laterza 1979, pp. 477-480 e 420-421.


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l' A.O., confermerà tali critiche in una relazione dell'agosto successivo. [...] a) carri veloci L'impiego no n riuscl praticamente efficace, nonostante l'avversario non disponesse di mezzi idonei alla difesa, per deficienze tecniche, e precisamente: - sistema di sospensione eccessivamente delicato, sicchè facilmente si producono rotture che immobilizzano il carro; - movimento con i soli cingoli a svantaggio della velocità, delJ'autonomia, del logoramento del motore e del sistema di sospensione. Occorrerebbe poter adottare il doppio sistema di movimento: a cingoli e a ruote; - insufficiente autonomia; Ha inoltre una grave deficienza pratica, essendo indifeso nella parte posteriore: occorrerebbe poter dotare il carro di due mitragliatrici, una anteriore ed una posteriore, con ampio settore di tiro. L'aumento di peso della seconda mitragliatrice potrebbe essere compensato con l'abolizione del treppiede e conseguente installazione delle armi su perni <3s)_

Il generale Manera annotava a margine: Tutto molto interessante. In merito ai C.V. rilevo che: - tutti ne hanno constatato le difficoltà d'i mpiego in A.O.; - tutti però li tengono e non vogliono abbandonarli; - molti inconvenienti sono stati attenuati; - si può riparare e perfezionare.

Diamo in all. 30 la risposta ufficiale del generale Manera alle pur gravi critiche rivolte al C.V. 33. Essa si commenta da sola: tutto è minimizzato, ogni problema è ormai risolto nei nuovi esemplari in costruzione. Si è rimediato perfino a quella mancanza di difesa posteriore che aveva consentito talvolta ai guerrieri abissini di immobilizzare il carro saltandovi sopra, appiccandovi fuoco o inutilizzandone le armi anteriori a colpi di pietra dall'alto. Collocare una mitragliatrice posteriore è impossibile per ragioni tecniche - spiega Manera - ma niente paura: «si è già provveduto con dei portelli che consentono, attraverso apposita feritoia manovrabile dall'interno, l'impiego della pistola in dotazione da parte del personale»! Gli effetti negativi sono in perfetta coerenza con queste visioni ingiustificatamente ottimistiche. Non parve più necessario accelerare gli studi sul «carro di rottura» mentre le prime fallimentari (38) AUSSME, racc. 15 f. 15.


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prove del «carro d'assalto modello 36» non si tradussero in un doveroso esame critico delle cause dell'insuccesso. Ci si limitò ad annullare la commessa di 200 «carri d'assalto» (v. capitolo seguente). Ma il fatto che al vertice non fosse più sentita l'urgenza di tale «carro d'assalto» diede via libera, o meglio confermò, l'incomprensibile politica dei prototipi, ciascuno con marginali migliorie rispetto al predecessore, ma senza che fosse avvertita la necessità di modificazioni radicali indispensabili per raddrizzare un progetto concettualmente e tecnicamente errato. Anche se lo spostamento del cannone in casamatta e la successiva eliminazione della torretta con le due mitragliatrici, abbassò il baricentro, la limitata traccia a terra del cingolo di modesta larghezza e la piccola carreggiata continuarono a paralizzare la mobilità del mezzo. Il progettista non tenne poi in alcuna considerazione le critiche che a suo tempo il colonnello Maltese aveva rivolto al1'adozione di un equipaggio di due sole persone. Come vedremo gli epigoni di questo «carro d'assalto» (i futuri L 6), con l'armamento principale tornato in torretta, verranno omologati solo nel 1940, mai i cinque anni trascorsi permetteranno solamente di attenuare alcuni dei difetti più gravi. L'incertezza sui mezzi da adottare doveva essere grande se nel 1935 venne costruita dall'Ansaldo una specie di macchina falciaerba blindata e cingolata guidata dal solo uomo d'equipaggio che seguiva a piedi il mezzo. Ne furono provate due versioni: una detta «MIAS» (Mitragliatrice d'Assalto) con due mitragliatrici SIA nella piastra frontale e l'altra, nota con il nome di «MORAS,> (Mortaio d'Assalto), che era armata con il mortaio Brixia identicamente disposto. Per fortuna non apparve conveniente «mettere in una corazza semovente un uomo solo» <39l. Incertezze consimili e ripensamenti trovano riflessi anche al vertice dell'esercito, come risulta da altre annotazioni del sottocapo di S.M. all'indomani della campagnia etiopica: g.le Gambelli 18-6-36 A conferma comunicazione verbale. (39) G. BITOSSI, Carri amiati veloci cit. p. 548.


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1) I carri veloci debbono avere o cannone anticarro o sole mitragliatrici. Niente cioè lanciafiamme che renderebbe più lento il movimento (rimorchio) e difficile il rifornimento. 2) I carri d'assalto debbono avere la proporzione 2/3 mitragliatrici ed 1/3 mitragliatrici e lanciafiamme. Precisamente nella comp.: 2 plot. mitrg. ed 1 pi. mitr. e lanciafiamme. 3) Per l'abilitazione all'impiego dei lanciafiamme far fare un brevissimo corso a Bologna (5 g.). Desidero infine che sia studiata la q uestione mimetica del carro veloce e d'assalco nel senso di studiare un tipo di colorazione che renda difficile il puntamento (basandosi sulle illusioni ottiche) (4o).

Per quanto riguarda il carro lanciafiamme, esso venne tuttavia realizzato in diverse versioni alcune delle quali dotate o di serbatoio interno o di serbatoio posto sulla cofanatura del motore eliminando così il traino del rimorchietto. Indubbiamente se ci si limita a indagare le reazioni in alto loco, i piccoli carri Ansaldo uscirono dall'impresa etiopica in una luce favorevole che, come avevamo già avvisato al capitolo anteriore e come si è visto ora in dettaglio, i documenti nati dall' esperienza diretta non giustificano. Quest'ottimismo si ripercosse soprattutto, come sappiamo, nel campo fondamentale della politica costruttiva. Riflessi, invece ispirati a maggiore prudenza si ebbero nel settore importante ma meno decisivo della regolamentazione militare. Le circolari si succedevano senza tregua. La primigenia Istruzione provvisoria sui carri armati veloci, del 1931 fu crivellata da una raffica di testi ministeriali: circolare 900 del 1° febbraio 1936, circolare 47.000 18 giugno 1936 Addestramento ed impiego dei carri veloci abrogata nel settembre successivo da altro testo omonimo ed emanato dall'Ispettorato delle truppe celeri nonchè approvato dal capo di S.M. dell'esercito, seguìto peraltro da una Istruzione formale dei carri veloci (giugno 1937). Il tutto sfociato poi nella circolare 10.500, Impiego ed addestramento dei carri d'assalto partorita il 15 agosto 1936 dal ministero della Guerra - Comando del Corpo di S.M. - Ufficio addestramento. Rimandando ad altra pubblicazione dell'Ufficio storico per un sunto di tutti (40) Carte Padani cit. , quadr. XIII p. 8.


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questi testi (41), qui importa mettere in luce principalmente un punto. Fino all'inizio del 1936 le circolari (cui va aggiunta la parte relativa ai carri del testo più generale della circolare n. 8000, Roma 9 agosto 1935 emanata dagli stessi enti della 10.500 e intitolata Norme d'impiego delle armi dell'anno XIII) (42) prevedevano impieghi molto spregiudicati del carro veloce «eventualmente per prevenire o accertare con puntate a breve raggio, la presenza o meno del nemico su punti di particolare importanza». Dopodichè iniziate le ostilità in A.O., i primi agguati ispirarono localmente accenti più realisti e più consoni alle modestissime prestazioni del mezzo. Così il R.C.T.C. della Somalia diramava la circolare Norme speciali per l'impiego dei carri veloci «Ansaldo 33» in colon'Ìa (all. 31) ove si avvertiva (43) che «il carro veloce non possiede nessun elemento che gli permetta di vedere e riferire. Le sue preziose doti di protezione e di massa, che gli permettono di affrontare e travolgere una difesa numerosa ed agguerrita, vengono rese nulle nell'esplorazione o comunque nell'impiego isolato». Tutta la già menzionata regolamentazione successiva e in particolare la circ. 10.500 (nata invero per i mai realizzati «carri d' assalto» ma dichiarata riferibile anche ai soliti carri veloci) non contemplò p iù un siffatto impiego (44)_ Prima di abbandonare il tema della regolamentazione (che sarà ripreso oltre al suo punto d'arrivo nel 1940), vogliamo ancora evidenziare due passi della citata circolare 47.000 del 18 .giugno 1936 che, forse sull'esempio della circolare coloniale appena ricordata, annacquano molto sia le circolari precedenti sia, a maggior ragione, la relazione al Consiglio dell'Esercito esaminata al capitolo precedente.

(41) F. STEFANI, op. cit., vol. cit., pp. 533-543. (42) MINISTERO D ELLA GUERRA, COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE, UFFICIO ADDESTRAMENTO, Norme di impiego delle armi dell'anno XII!, circolare n. 8000, Roma 9 agosto 1935 (a stampa), p. 18. (43) CO.MANDO REGIO CORPO TRUPPE COLONIALI DELLA SOMALIA ITALIANA, Norme speciali per l'impiego dei carri veloci .Ansaldo 33» in colonia, .Mogadiscio T ipografia della Missione 1935, p. 8. (44) MINISTERO DELLA GUERRA, COMANDO DEL CORPO DI STATO 'MAGGIORE, UFFICIO ADDESTRAMENTO, Impiego ed addestramento dei carri d'assalto, circolare ·n. 10500, Roma 15 agosto 1936 (a stampa).


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Si afferma senza meno che il carro veloce: inte~ra, facilita, abbrevia l'azione del cavaliere e del bersagliere. È quindi elemento prez10so: - per aprire la strada all'assalto; - per concorrere ed appoggiare l'azione dei celeri. Deve dunque essere considerato e impiegato con la tradizionale audacia dei nostri celeri (cavalieri e bersaglieri)

Ma tutto ciò può verificarsi solo nei limiti concessi da queste circostanze di non poco momento: Il -

carro veloce: vede poco; se fermo diventa facile preda dell'insidia; se sorpreso è perduto.

Questo derivava anche da quanto rilevato dalla pure citata circolare 8000 del 1935 sulle «armi dell'anno XIII 0 », caratteristica di un ondeggiare tra ottimismo e richiami realistici. Le caratteristiche del veicolo erano state così riassunte: Protezione dai proietti ordinari di armi porcatili, schegge e shrapnels [ ... ] - Possibilità di azione coll'urto e col fuoco. Fuoco di norma da fermo: quasi a bruciapelo; pressochè inefficace in movimento; comunque avarizia di fuoco per scarsità di munizioni. Possibilità di osservazione: sufficiente a sportelli aperti; minima se chiusi.

La guerra di Spagna (1936-1939). Polemiche, riflessi. Se le vicende etiopiche ebbero conseguenze scarse e comunque non positive sulla nostra meccanizzazione, altrettanto o quasi deve dirsi per la partecipazione italiana alla guerra civile spagnola. Ciò è anche più grave perchè in Spagna gli avvenimenti furono ricchi di lezioni che vari ufficiali percepirono e rappresentarono ai nostri massimi organi militari i quali però non seppero trarne le conseguenze con la necessaria celerità. L'impegno dei carristi italiani era incominciato il 16 agosto 1936 allorchè nel porto atlantico di Vigo, sulla costa galiziana; sbarcò un nucleo di cinque carri d'assalto (o «veloci» ormai i due appellativi indicavano sempre il solito mezzo) al comando del sottotenente G. Barbagli con 10 carristi in funzione di istruttori. Il nucleo, con equipaggi misti italo-spagnoli, fu subito impegnato


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a San Sebastiàn e a Irùn. Il 29 settembre giungevano a Vigo col piroscafo «Città di Bengasi» altri dieci carri d'assalto, di cui tre «lanciafiamme», nonchè trentotto pezzi d'artiglieria da 65/17 e qualche supporto (stazioni radio e alcuni aucocarri). Con trentadue pezzi furono formate otto batterie d'accompagnamento (presumibilmente someggiate) mentre coi rimanenti sei si costituirono tre sezioni anticarro (presumibilmente autocarrate), dotate di proietti perforanti, e che furono le prime ad operare con questa bocca da fuoco del 1916. I carristi italiani erano venticinque (più due ufficiali fra cui il comandante capitano O. Fortuna), gli artiglieri erano settantasette oltre a due ufficiali fra cui il comandante capitano Terlizzi. Il reparto incorporò a Càceres il precedente nucleo costituendo il «I0 Raggruppamento italo-spagnolo carri e artiglieria», formalmente aggregato alla Legione straniera spagnola. Esso si distinse il 21 ottobre alla presa di Navalcarnero dove ebbe i primi caduti e feriti. Per il suo comportamento fu ribattezzato «Compagnia carri di Navalcarnero». Con tale nome prese parte a varie azioni della sfortunata battaglia di Madrid. Operò con successo a Borox il 24 ottobre, insieme con la cavalleria spagnola del colonnello Monasterio: ivi comparve anche un gruppo di carri russi, ma il fuoco dei 65/17 li costrinse a ripiegare (45) , Giungevano infatti ai difensori di Madrid i primi materiali sovietici sbarcati qualche settimana avanti a Cartagèna. Nella zona di Sesena il 29 ottobre un contrattacco di carri sovietici impegnò le forze italiane e fu - crediamo - il primo scontro della storia fra corazzati italiani e avversari. A fianco degli italiani operavano alcuni carri tedeschi (anch'essi con equipaggi misti) chiamati «pesanti» in considerazione delle loro tonn. 5,4 anche se in realtà si trattava del carro più leggero che la Germania abbia mai costruito: Il Pzkw 1. Tutto lascia credere che il confronto sia riuscito fatale ai carri italiani e ai loro equipaggi, così come a quelli tedeschi, dato che con ogni probabilità i carri sovietici erano dei T-26B da 9,4 tonn. , armati di un cannone da 45 mm in torretta girevole, oltre a mi(45) Manuel AZNAR, Historia militar de la guerra de Espaiia, Madrid Editora Nacional 1958 (3 voli.), I, p. 452.


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tragliatrici, protetti da una blindatura fra i 6 e i 15 mm, capaci di una velocità di 28 km/h (se non addirittura dei BT-5 con caratteristiche ancora superiori). È però difficile sapere come siano andate le cose. Versioni italiane parlano di un solo carro veloce distrutto, di tre carri russi liquidati dai 65/17 del capitano Terlizzi e di un' altro immobilizzato dai carri italiani. Versioni di parte repubblicana parlano di pratica distruzione del reparto: un solo carro sovietico avrebbe annientato 11 dei piccoli mezzi italiani. Altri fonti nazionaliste preferiscono omettere l'episodio o accennarvi appena (46). Comunque sia, la presenza di artiglieri e carristi italiani è segnalata ancora in date successive presso varie località contese della cintura madrilena: Casa del Campo, Escurial, rio Manzanares, Ciudad Universitaria e altrove. Solo a fine novembre quanto restava dell'unità italo-spagnola fu ritirato dalle linee e sciolto. Alcuni italiani rimpatriarono, altri invece raggiunsero il sud della Spagna dove, dal porto di Cadice, ingrossava ormai il più numeroso e conosciuto intervento italiano (47)_ La Divisione mista «Legionaria», agli ordini del capo della M.M.I.S. (Missione Militare in Spagna), generale Roatta, ricevette i primi corazzati con lo sbarco a Cadice (22 novembre 1936) di una compagnia di carri veloci rinforzata da una sezione anticarro su due cannoncini da 47/32, tosto seguita da una squadriglia auto(46) Ad esempio M. AZNAR, Historia ecc. cit. narra il contrattacco repubblicano a Seseiìa omettendo però lo scontro fra carri. (47) Abbiamo dato una sommaria ricostruzione della vicenda delle forze sbarcate a Vigo sia perchè meno nota di altre sia appunto perchè diede luogo al primo scontro dei corazzati italiani con mezzi avversari. La nostra ricostruzione, con incertezze di date e forse con qualche altra imprecisione, è ricavata da: Sandro ATTANASIO, Gli italiani e la guerra di Spagna, Milano Mursia 1974, p. 50 (che peralcro non indica mai le sue fonti); Raggruppamento carristi-Cenni storici, s.l., s.d. (ma 1938), documento uti li zzato (insieme con altri di cui oltre) grazie alla cortesia del dott. Angelo Fratti (d'ora in poi Archivio Fratti abbreviato AAF); Josè L. ALCOFAR NASSAES, CTVLos legionarios italianos en la gue!'l'a civil espaiìola, Barcellona Dopesa 1972, pp. 42-50; Id. La ma· rina italiana en la guerra de Espafia, Barcellona Euros 1975, pp. 58, 59 e 68, 69 e note. In ciuesto secondo libro l'autore ha ripreso anche taluni temi della guerra terrestre soprattutto per tener conto delle precisazioni inviategli dal generale Emilio Faldella dopo la lettura del primo. Per lo scontro di Sesefia, per la reticenza da parte nazionalista e per versioni varie, rinviamo soprattutto al primo dei due libri ultimi citati a pp. 46-47 e note. Per completezza segnaliamo peralcro che, secondo una pubblicazione del 3° reggimento carristi Storie di corazzati cit., uno scontro tra autoblindo italiane e non meglio identificati carri «Wichers Armstrong» [sic] [forse autocarri ar mati] abissini si sarebbe verificato I' 11 novembre 1935 ad H amanlei (in Somalia).


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blindo Lancia lZ e da un'altra compagnia di carri veloci (gennaio 1937) (48>. Queste forze, unitamente a reparti di motomitraglieri, furono distribuite nelle quattro colonne italiane che, tra il 5 e 1'8 febbraio 1937, raggiunsero e occuparono Malaga. Poi formarono il nerbo della colonna mobile che insegul il nemico per 109 chilometri fino a Motril raggiunta 1'11 febbraio (49l. Dopodichè il 17 febbraio, a S. Lucar la Mayor, i reparti furono riuniti in un Raggruppamento carri d'assalto e autoblindo (5 compagnie carri e la squadriglia autoblindo), a sua volta trasformato il successivo giorno 22 nel Raggruppamento re-parti specializzati agli ordini del colonnello C. Rivolta e così formato: Il

1 battaglione carri su 5 compagnie; 1 squadriglia autoblindo; 1 compagnia motomitraglieri; 1 sezione cannoni da 47 mm. 6 marzo entrò a far parte del raggruppamento una compagnia lanciafiamme

(So).

Con tale organico il reparto, aggregato al CTV (Corpo Truppe Volontarie) ormai su 4 divisioni, partecipò alla sfortunata battaglia di Guadalajara che, nel corso della 0.M.S. (sigla del nome convenzionale «Oltremare Spagna») fu l'ultima organizzata dagli italiani al di fuori di ingerenze spagnole. N ell'estate 1937, all'interno del CTV completamente riorganizzato, gli elementi corazzati italiani erano riuniti nel Raggruppamento Celere al comando del colonnello V. Babini e comprendente 2 battaglioni carri veloci su 5 compagnie complessive, 1 compagnia autoblindo, la compagnia lanciafiamme, 1 battaglione motomitraglieri e un'altra battaglione di bersaglieri autocarrati (51>. Le successive configurazioni del reparto, ribattezzato Raggruppamento reparti specializzati e poi Raggruppamento Carrist~ sembra siano state queste: {48) AAF, doc. dt. (49) V., fra gli altri J.L. ALCOFAR NASSAES, CTV ecc. cit., pp. 64-73 e fonti ivi cit. (50} Cosl AAF, doc. cit. mentre J.L. ALCOFAR NASSAES CTV ccc. cit., p. 86 dà solo 4 compagnie carri. (51} VeramemeJ.L. ALCOFAR NASSAES ult. cii., p. 128, scrive di un battaglione di «fanteria meccanizzata», ma abbiamo buone ragioni per credere si trattasse di bersaglieri autocarrali.


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- dalla battaglia di Aragòn (marzo 1938) e fino a quella del Levante (luglio 1938), sempre al comando del colonnello Babini: 2 battaglioni carri (ciascuno su 4 compagnie); 1 battaglione misto (4 compagnie - rispettivamente - di motomitraglieri, di autoblindo, anticarro da 47 /32 e da 37/ 45 e lanciafiamme); - nella battaglia di Catalogna (dicembre 1938-gennaio 1939) e sino alla fine della guerra (1 aprile 1939), al comando del colonnello R. Olmi: come sopra, salva la diversa composizione del battaglione misto che non comprendeva più le compagnie autoblindo e motomitraglieri ma aveva una compagnia «arditi», una compagnia mitragliere antiaeree da mm 20 e una batteria autotrasportata da" 65/17, oltre agli anticarro da 47 e da 37 (52l. In sostanza, se si eccettua quella dello Jarama, il C.T.V. ebbe parte di rilievo in tutte le più importanti battaglie della guerra spagnola a partire dalla primavera 1937. A quelle sopra nominate occorre infatti aggiungere: Bilbao e Brunete cui gli italiani concorsero o con reparti minori o con la sola aviazione; T eruel ed Ebro dove diedero notevole apporto ma soprattutto con artiglieria e aviazione. La storia delle battaglie di Spagna è oggi troppo nota per essere qui ripresa. A noi interessa solo lumeggiare quanto allora fu capito e portato a conoscenza dei nostr i vertici militari. Ad esempio per Guadalajara, uno degli episodi più ricordati e più fraintesi, si può constatare che, a prescindere da altri rapporti che non saranno certo mancati, il capo di Stato Maggiore generale, maresciallo Badoglio, aveva avuto a disposizione fin dal 16 aprile 1937 la traduzione dell'articolo di Liddell Hart pubblicato dal «New York Times)) il giorno 3 precedente (53), Il critico inglese, quantunque non ancora perfettamente informato di ogni dettaglio, metteva chiaramente in luce:

(52) L'opera u!t. cit., nell'organico per la battaglia di Catalogna (p. 173), non parla più degli anticarro da 47 e da 37 (questi ulcimi ricordati invece per la battaglia di Aragona: ivi p. 153). :Ma riten iamo si tratti di u na dimenticanza. Da opuscoli propagandistici ital ian i dell'epoca si ricavano due dat i probab ilmente esatti: 1) i carristi italiani nell'intera campagna ebbero 93 caduti e 422 feri· ti, 2) i pezzi da 37 /45 (tedeschi) furono dati agli ital ian i nell'ottobre 1937. (53) The N ational Archives, Microcopy T 82 1 (d' ora in poi NARS T 82 1), roll 372, IT 4852, date. di 5 pp. Promemoria per S.E. il C,ipo di S.M. Generale 16 aprile 1937.


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l'errore di considerare la battaglia un esempio di moderno impiego delle «divisioni meccanizzate» quando il grosso degli attaccanti era invece «composto di fanterie trasportate da autocarri dai quali dovevano discendere prima dell'attacco»; - che i carri impiegati dagli italiani erano «troppo piccoli o comunque non atti a superare ostacoli seri»; - che l'arma aerea era «particolarmente formidabile,> specie contro colonne impossibilitate a svincolarsi dalle strade quando il terreno (in quel caso soprattutto il fango) non lo permetta. Tutto ciò del resto non poteva sfuggire al capo di S.M.G. che conosceva alla perfezione il nostro materiale per averlo appena impiegato in Etiopia. Com'è noto il fango non immobilizzava solo i camion carichi di fanteria ma anche tutta l'artiglieria a traino meccanico: i pezzi da 75 e da 100 perchè agganciati ad autocarri; gli obici da 149/12 e i cannoni da 105/28 perchè, quantunque mobili anche su terreno imbevuto grazie ai trattori Pavesi, dipendevano a loro volta dal munizionamento affidato a camion e pertanto incapace di raggiungerli fuori strada (; 4)_ E ancora il 2 gennaio 1938 la segreteria di Badoglio trasmetteva al maresciallo un altro documento intitolato «Insegnamenti della guerra spagnola su carri armati ed armi anticarro» (ss). Anzitutto vi era una rassegna che, sia pure con una certa approssimazione di dati, metteva in luce la netta superiorità dei carri sovietici. La conclusione era invero problematica: La guerra spagnola non dà alcuna risposta alla domanda se il carro armato sia il mezzo che possa impedire il cirstallizzarsi nella guerra di posizione: ciò soprattutto perchè non si è avuto impiego a massa.

Sarà o non sarà stato vero. E prescindiamo pure dal notissimo antico malvezzo delle segreterie le quali, più che ad informare, tendono a raccogliere elementi di conferma per quella che si sa essere la linea di pensiero del superiore. Una politica conseguente alla conclusione anzidetta avrebbe, a rigore, potuto essere quella (54) Rinviamo a un documento privato del gen. Faldella già utilizzato in L. CEV A, Le Forze Armate cit., p. 239. {SS) NARS T821, roll 372, IT4852, Promemoria per S.E. il Capo di S.M. Gt'11erale 2 gennaio 1938, dare. di 2 pp.


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di non costruire più alcun carro fin quando 'la «domanda» in que. . sttone non avesse avuto nsposta. Ma non si vede proprio su che cosa mai poggiasse l'unica «politica» perseguita realmente in quegli anni in tema di meccanizzazione. E cioè, come meglio vedremo al capitolo seguente: continuare a costruire, in quantità non simboliche, gli stessi carri d'assalto e soltanto quelli. Insolitamente anche una piccola parte dell'addomesticatissima stampa del tempo mosse critiche all'esercito dopo lo scacco di Guadalajara. Si trattò di polemiche tollerate dal capo del Governo che pare le abbia definite «utili» senza tuttavia prendere posizione <56). Il tenente colonnello Emilio Canevari, che aveva assistito all'insuccesso di Guadalajara, pubblicò nel luglio e nel settembre 1937 due saggi su «La vita italiana» rivista notoriamente vicina al gerarca fascista Roberto Farinacci. Vi si criticava la Divisione binaria che Pariani stava imponendo all'esercito, si invocava la .c ooperazione aereo-terrestre con l'aviazione d'assalto e si definivano i carri leggeri L3 «vere scatole di latta semoventi». Era anche intuìto il concetto dell'artiglieria semovente: Il pesante carro russo [ ...] non è un vero carro e cioè un mezzo ausiliario di combat· ti mento per la fanteria, ma è invece un cannone di accompagnamento a tiro rapidissimo munito di una larga riserva di colpi, semovente e corazzato.

Il sottosegretario nonchè capo di S.M. Pariani reagì subito e scrisse a Farinacci in modo assai risentito. Difese i carri leggeri lamentando che si criticassero i mezzi su cui contiamo principalmente per La vittoria. Farinacci difese Canevari e, quanto ai carri, potè confondere le acque facilitato in ciò dagli stessi ondeggiamenti contenuti negli articoli in questione. Affermò che gli apprezzamenti negativi dovevano intendersi rivolti a «tutti i carri italiani e stranieri che non avevano risposto alle speranze» (il che era vero solo in parte). A fianco di Farinacci e di Canevari si schierarono, con lettere, alcuni generali caratterizzati dalla loro ostilità

(56) E mi lio CANEVARI, La guerra italiana. Rer.roscena della disfaua, cit., voi. I, pp. 560-563 nota 1.


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verso Badoglio (il quale, fra l'altro, difficilmente poteva considerarsi un ispiratore di Canevari col quale era notoriamente in pessimi rapporti!) e cioè principalmente il maresciallo Caviglia e i generali Grazioli e Zoppi. In tali lettere si leggono affermazioni come «le divisioni [... ] nelle quali tutti gli uomini sono portati da macchine[ ... ] finiscono per essere un'accolta di tutti i fiacconi dell'esercito» (Caviglia) o «il carro armato veloce [... ] è un'arma soprattutto psicologica. La sua potenza[ ...] è per metà e più morale» (Zoppi). Insomma una critica, che aveva pur fondamenti seri, fu rapidamente annegata in un'ammasso di vacue generalità, in uno scambio ozioso di frecciate polemiche. Cosicchè temiamo sia proprio da condividere l'opinione che ì problemi reali dell'esercito siano stati allora degradati a strumenti per la denigrazione reciproca di opposti gruppi professionali (57)_ Intanto la costruzione di carri d'assalto proseguiva imperterrita e la preparazione dei «medi» procedeva a passo di lumaca. Torniamo ora alla documentazione proveniente dalla Spagna. I mezzi da combattimento del C.T.V. rappresentavano quanto sarà a disposizione del R. Esercito fino alla tarda estate 1940 e, per molti di essi, anche oltre. L'impiego operativo in Spagna non poteva non apparire sino da allora ben più probante di quello avvenuto in Etiopia: l'esercito repubblicano, per quanto improvvisato, aveva pur sempre caratteristiche europee e venne talora a disporre di armi molto moderne. A questo -riguardo appaiono interessanti i rilievi contenuti in un promemoria 1 ° febbraio 1939 del tenente colonnello Augusto D'Amico:

(57) Così Giovanni DE LUNA, Badoglio un militare lll potere, Milano Bompiani 1974, p. 169, ma vedi anche pp. 167-169 e note pe r le collocazioni d'archivio de i documenti citati. li passo di Canevari sui semovcmi è citato da Ferruccio BOTTI, Virgilio ILARI, Il pensiero militare iwliano dtJl primo ,ti secondo dopoguerra. Roma USSME, 1985, p. 236. In data 11 aprile 1937 Caviglia a11110tÒ nel suo diari o: «Alla sera, nella piazza d'armi dei Parioli, ha avuto luogo la fantasia delle truppe indigene, preceduta da esercizi de i carri armati, strumento di gue rra che non sappiamo incora bene adoperare. Nato durame le grande guerra, come arma di sfondamento dei reticolaci, quando la difesa non era preparata, ha presto avuto grande successo. Oggi con mezzi varii si arrestano i carri armati. In Ispagna e in Etiopia nel la guerra di movimento, non hanno sempre fatto buona prova. Cadono in imboscate e scmo facilmente immobiJizzabili». (Enrico CAVIGLIA, Diario aprile 1925 - marzo 1945, Roma, G. Casin i 1952, p. 169).


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È indispensabile tenere sempre e bene presente che la guerra di Spagna è stata una &uerra sui generis, una via di mezzo fra guerra coloniale e guerra fra eserciti regolari. E stata una guerra condizionata e limitata sotto varii aspetti da molti fattori. I principali sono stati: a} scarsa disponibilità o assoluta mancanza, da tutte e due le parti, di molti dei moderni mezzi di offesa e di difesa (artiglierie pesanti, carri armati pesanti, aggressivi chimici, sistemazioni difensive solide, complete e continue}; b) inferiorità dell'avversario in fatto di addestramento, inquadramento, quantità ed impiego dell'artiglieria, funzionamento dei comandi, capacità di manovra nel campo tattico; c) relativa scarsa micidialità. Basti un confronto: in quella che fu la giornata più dura per la divisione «XXIlI marzo» (Alcagniz [sic Alcaniz], 19 marzo 1938}, con una forza complessiva di circa 11 .000 uomini avem mo 7-800 perdite: nell'ottobre 1915, a Monte Sabotino, il mio solo battaglione di circa 1000 uomini, ebbe in attacco oltre 400 uomini a terra in due ore; d) scarsa saturazione dei teatri di operazione, con fronti talora addirittura discontinue; e) per i nazionali, scarsa importanza del fattore tempo, nei riguardi della durata del conflitto: sicuri come erano dell'appoggio italiano fino all'ultimo, i periodi di inattività operativa erano loro egualmente utili per epurare e riorganizzare all'interno. Non bisogna quindi accettare ed utilizzare integralmente, ad occhi chiusi, gli insegnamenti e le esperienze della guerra di Spagna, bensì riferirli ed adat tarli a q uella che potrà essere una guerra contro awcrsari più duri e più ricchi di mezzi, di dottrina, di preparazione <58).

Taluni accenni dell'autore, che oggi possono lasciare perplessi, non sono che il riflesso della (allora) vicina esperienza della prima guerra mondiale: la «scarsa micidialità», comparata evidentemente con quella delle spallate carsiche, testimonia soprattutto un uso meno primordiale delle fanterie nell'attacco mentre la «scarsa saturazione» è quella propria di ogni guerra di movimento. Comunque, se pure il D'Amico utilizza le esperienze di vent'anni prima come chiave di giudizio della guerra spagnola, talune sue osservazioni rimangono di una certa validità. Nel promemoria sono poi analizzate le singole armi del CTV e pensiamo sia interessante riprodurne alcuni passi: [...)

- fucile sempre buono, per l'uso limitatissimo che se ne faceva: se fosse stato più cono, tanto meglio; [...] - mortaio d'assalto (Brixia] - scarsamente impiegato e non certo per prevenzione, perchè si trattava di combattenti esperti, che traevano partito da tutto. Sta di farro che rifornii sempre pochissime munizioni per mortai d'assalto e che,

(58) NARS T 82 1, roll. n. 231, IT. 2038, Osservazioni e constatazioni fatte nella gw:rra di Spa· gna, datt. di 15 pp., 1° febbraio 1939, pp. 1-2.


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dopo la battaglia dell'Ebro, i tre comandanti di reggimenti si trovavano d'accordo nel proporne una riduzione. Questo perchè: - per lavorare utilmente, il mortaio d'assalto doveva essere portato sotto, mentre il fucile mitragliatore [Breda 30) era meno visibile e vulnerabile e mentre la mtrp. [mitragliatrice pesante Fiat 35) cominciava a lavorare da più lontano; - anche contro armi avversario riparato, fuc. mitr. e mtrp. sono efficaci armi d'assalto: radendo il ciglio di un riparo o inaffiando intorno a una feritoia, queste armi ottengono risultati di neutralizzazione incontestabili da chiunque ne abbia fatto esperienza; - il tiro del fuc. mitr. e della mtrp. può essere eseguito con maggiore precisione, appoggiando i fucilieri più da vicino (e l'aderenza e l'appoggio sarà ancor maggiore quando disporremo di proiettili traccianti o scoppiami). [...] D isponevamo soltanto di carri veloci. Resistenti, rustici, agili, veloci - nonostante la scarsa protezione (venivano perforati da proiettili di calibro 8 mm) - essi hanno fatto ottima prova contro avversario non molto solido e scarsamente provvisto di armi anticarro. [...] si univano ad essi talora autoblindomitragliatrici e motomitraglieri: questi due mezzi però, se l'avversario non è già frollo, ci lasciano le penne. [...] In fatto di difesa anticarro: - buono il materiale tedesco da 37mm, ma poco perforante oltre 1500 metri; - il materiale da 47 giunse tardi e non lo vidi impiegato; - contro i carri russi, pesanti lenci goffi, ma armati con un ottimo cannone da 45 e sovente impiegati come artiglieria semovente da 1000-1500 metri, efficace il nostro 65/17 tanto più che a tali distanze, gli spostamenti angolari non sono grandi. [ ...) Il vecchio 75 C.K. non serve praticamente a nulla (59)_

Pur con tutte le cautele del caso, il giudizio sui mezzi meccanizzati impiegati risultava quindi completamente negativo. Anche i successi dei carri veloci, riconosciuti poco protetti, erano d'addebitare più alla scarsa organizzazione dell'artigliaria controcarro avversaria che ai pregi del mezzo. Più pertinenti al nostro tema sono due relazioni del colonnello Valentino Babini, comandante il Raggruppamento Carristi. Le riportiamo interamente negli allegati 32 e 33, mentre qui ci limiteremo a sottolinearne alcuni passi, avvertendo contemporaneamente il lettore che non deve meravigliarsi né della cautela con la quale sono esposte le critiche sia dei mezzi sia della condotta operativa né del fatto che le più devastanti fra esse siano circonda(59) lvi; in tema, v. anche la circolare del Comando Artiglieria del C.T.V. n. 681 pr. op. 9 novembre 1937, riprodotta in Ettore MANCA DI MORES, L'impiego de/l'artiglieria italiana nel· la gr{erra di Spagna, Roma Tip. Regionale 1941 pp. 240-244.


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te da gaudiose manifestazioni di fede e di consenso. Era questo il prezzo che occorreva pagare al conformismo politico per potersi permettere poi una certa libertà di opinione. La forma è quella frettolosa e poco accurata di tutti i rapporti scritti velocemente, «sul tamburo», e come tale l'abbiamo rispettata. Dopo aver magnificato le caratteristiche del carro veloce, Babini nota sommessamente che «è piccolo, poco protetto e poco armato», e subito edulcora l'asserto con un [...] ma in questo sta la sua grande anima, vibrante di movimento; è fatto per travalicare le distanze e precipitarsi sul nemico: è tutto! Nikudan! [sic] (60).

Ma poi continua: Quel che manca al nostro carro è la comoda e dettagliata organizzazione interna come mezzo di battaglia; e in questo è superato dal carro leggero tedesco. I tecnici spagnoli, infatti, affiancati da un ufficiale di artiglieria italiano dei servizi tecnici (purtroppo anche in questo caso lasciando in disparte i tecnici dell'impiego, cioè «quelli che devono usare l'arma, viverci e conservarla attraverso vicende di suprema importanza») hanno realizzato un carro nel quale la parte meccanica, cingolatura compresa, è del nostro carro e la torretta e la sistemazione interna sono derivate dal carro tedesco <61 >.

Era stato infatti modificato un carro veloce dotandolo di una sovrastruttura simile a quella del Panzer I tedesco e con una torretta rotante armata con una mitragliera Breda da 20 mm ed anche alcuni carri tedeschi furono potenziati sostituendo le due mitragliatrici da 7,92 mm con il cannone mitragliera italiano. La relazione cita un altro carro veloce dotato dello stesso armamente collocato in casamatta al posto delle due mitragliatrici abbinate. Su quest'ultimo esperimento il promemoria si esprime così: La brevissima esperienza fatta non consente conclusioni; ma si è evidentemente nel campo dei ripieghi per riparare alla mancanza in posto del carro di accompagnamento. Infatti se si lamenta il soverchio ingombro della Fiat 35, peggiora la situazione del capo-carro la mitragliera da 20; la visibilità del pilota viene leggermente limitata verso sinistra; l'equilibrio del carro scompensato di 200 kg sul lato sinistro. Tutto ciò per risolvere con una sola economia malintesa due problemi che s'impongono ben distinti: ·

(60) AAF, Relazione sulle operazioni da Rudi/la (9 marzo) a Tortosa {19 aprile), parte seconda, datt. di 15 pp. s.d. ma luglio-agosto 1938, p. 7. (61) Ivi.


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- dotare il carro d'assalto di armi che gli consentano la difesa contro mezzi similari di maggiore potenza e maggiore armamento; - ottenere un carro d'accompagnamento <62l.

L'elevata velocità iniziale dell'arma italiana da 20r:nm, prevista anche per l'impiego antiaereo, l' appropriato munizionamento sia perforante sia esplodente e il funzionamento automatico con caricatori da 12 colpi faranno poi adottare quest'arma su molti mezzi blindati italiani quali lo L6, ricordato epigono del «carro d'assalto modello 36». Tuttavia, al di là di questa coincidenza, i due mezzi di circostanza costruiti r imasero senza seguito e non perfettamente comprese, o fors'anco ignorate, furono le necessità che avevano originato tali ibridi. Incomprensibili sono poi i motivi che fecero rimanere inascoltate le altre critiche tecniche che Babini rivolgeva al carro veloce, enu merandole «una volta ancora». Si lamentavano infatti: - le difficoltà di avviamento del motore dall'interno del carro, con gli immaginabili inconvenienti durante il combattimento; - la modesta stabilità laterale e l'impossibilità per l'equipaggio di abbandonare il mezzo rovesciato. L'equipaggio di un carro capottato nelle linee nemiche fu «condannato a morte lenta»; - la perdurante scarsità di autonomia (solo 80-90 km), a dispetto delle ricordate assicurazioni del generale Manera; - la necessità di nuovi sportelli che offrissero, in posizione aperta, maggior protezione all'equipaggio; - l'altrettanto necessaria adozione di mezzi di comunicazione fra i carri diversi dalla poco visibile «asta da segnalazione». A giudizio di Babini, uno degli inconvenienti peggiori era la scarsissima visibilità, «nulla per il capo•carro, deficientissima per il pilota». Ciò costringeva gli equipaggi a combattere con i visori aperti per cui la maggior parte dei carristi risultava ferita da proiettili e schegge alla testa o nel petto. Egualmente inefficaci le feritoie che erano giudicate la «via più facile di proiettili che non risparmiano mai il capo-carro». (62) lvi.


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Neppure l'armamento era giudicato soddisfacente. Le due Fiat 35 erano un ripiego in quanto troppo ingombranti e soggette ad inceppamenti per la polvere e a problemi di alimentazione. Era necessario adottare armi con calibro maggiore, minor cadenza di tiro ma dotate di proiettili perforanti, esplodenti, incendiari ecc. Le critiche si applicavano anche al carro lanciafiamme, troppo impacciato dal rimorchio. Meglio utilizzare serbatoi di minor capacità ma disposti sullo scafo ed utilizzare i rimorchi per il rifornimento di benzina in azione. Modificazioni in tal senso erano state sperimentate in Spagna. Neppure i materiali cingolati sovietici erano esenti da pecche. Un ottimo pezzo d' artiglieraia montato in torretta rotante era installato su scafi poco efficienti mossi da motori dal funzionamento incerto. Solo le autoblindo nemiche risultavano una preda 'ambita. Ben armate e veloci offrirono preziosi servigi nella compagnia autoblindo ove si accompagnavano alle obsolete Ansaldo 1Z di nessun valore bellico. Affermava in proposito Babini: Come è stato un tempo sostenuto, il carro veloce non sostituisce l'autoblindo: nell'unità celere le due armi si integrano. Occorre l'autoblindo moderna poco ingombrante, più protetta, di faci le manovra per il dietro-front o meglio a doppia guida, velocissima su strada (pneumatici che rifiutino il proiettile), capace di relativo movi men to fuori strada, armata di cannoncino in torretta e di due mitragliatrici: una in caccia e una in ritirata {bJJ.

Dunque la documentazione nel suo insieme prova che le operazioni militari del R. Esercito negli anni venti e trenta avevano · fornito indicazioni abbastanza precise sulle necessità della meccanizzazione e sulle carenze di quanto si aveva. In sintesi: - la mancanza da maggior tempo sentita era quella di autoblindo moderne armate pesantemente come le esperienze sia libiche sia spagnole reclamavano; - altrettanto necessario era un carro medio che unisse buone doti di mobilità a un cannone in torretta con alta velocità iniziale ed elevata cadenza di tiro. Non era significativo il parziale (63) Ivi.


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fallimento dei mezzi russi di questa categoria in quanto, come si affrettava a scrivere Babini, era «circoscritto a quei tipi costruttivi». Una più accurata messa a punto avrebbe permesso di meglio sfruttare l'elevata potenza dei motori installati e i 45 mm dei cannoni. D'altronde le controindicazioni che provenivano dall'Italia erano legate alle inutili e tardive esperienze condotte su di un antiquato carro quale il Fiat 3000 armato con il 37/ 40; - dalle parole sia di D 'Amico sia di Babini ancora una volta risultava inutile insistere sul carro veloce che mostrava severi limiti che non erano legati ad un superato concetto di guerra ma erano bensì dovuti ad una progettazione approssimativa. D' altronde alcuni osservatori stranieri scrivevano al proposito: Durante le operazioni in Etiopia questi carri veloci non ebbero da temere che le «trappole per elefanti». Invece contro un avversario dotato di carri più potentemente armati, si sono rivelaci poco resistenti e altresì poco adatti a manovrare su terreni di una qualche difficoltà. Servono soprattutto per la ricognizione <64l;

- mancavano moderni autocarri armati e mezzi comando e di supporto logistico e si iniziava a sentire la necessità di semoventi; - modesta era infine la cooperazione tra i reparti anche per evidenti manchevolezze degli apparati radio. Il vertice dell'esercito ricevette tutte queste indicazioni ed alcune le fece proprie, ma non riuscì a modificare la situazione anche per singolari discrasie che iniziarono proprio da quegli anni a dividere gli ambienti militari da quelli politici. Tenteremo nelle prossime pagine di capire alcune delle probabili cause che ritardarono il soddisfacimento di tali esigenze, ma non possiamo esimerci dal ricordare un fatto che in circostanze diverse avrebbe potuto avere il sapore del pettegolezzo. Il 23 agosto 1938 venne sottoposta a Pariani la seguente richiesta: C.T.V. richiede urgente invio 40 carri d'assalto, dei quali 9 lanciafiammc, in sostituzione di altrettanti inutilizzati o guasti. Ufficio ha sentito Stato Maggiore e risulta possibile aderire entro seguenti termini:

(64) NARS T 821, roll n. 372, rr 4852, B.E.M. WANTBY, Une (mnée de guerre en Espagne d'après le Brdletin beige de Sciences militaires, 1938, p. 939.


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8 carri lanciafiamme pronti per fine agosto

20 carri comuni pronti per 15 settembre - 12 carri comuni pronti per fine settembre Prezzo di reintegro: 5 milioni <65>. -

Pariani annotò a margine: «chiedere agli esteri». Il 14 ottobre arrivò questa comunicazione: Presso l'officina aucomob. R.E. di Bologna sono disponibili i noti 40 C.V.L. (lanciafiamme), dei quali fu sospesa la fornitura al C.T.V. con f.n. 054670 Gab. del 29 settembre u.s. Si prega voler comunicare se i predetti carri devono ancora considerarsi a disposizione per eventuale invio in 0.M.S. o possono essere impiegaci per altre destinazioni <66>.

Il colonnello Babini, in licenza in Italia, si recò personalmente al ministero della Guerra per perorare la cessione dei 40 carri, ricordando che la maggior parte del materiale meccanizzato era ormai ridotto in condizioni di scarsa efficienza per i due anni di impiego bellico. Il ministero degli Affari Esteri rispose nuovamente con un rifiuto, se il 3 febbraio 1939 il console Muti avanzò nuovamente la richiesta per «40 carri armati nuovo tipo» ovvero gli Mll/39. Una rapida indagine presso i reparti metropolitani rivelava al febbraio 1939 esistevano ancora 127 carri armati 21/30 ovvero i Fiat 3000. Di questi 90, armati . con due Fiat mod. 35, potevano considerarsi efficienti, mentre ai rimanenti 37 era stato tolto il cannone per installarlo sul nuovo Ml L Tuttavia il promemoria terminava con queste considerazioni: l -

principali difetti tecnici dei carri 21/30 sono i seguenti: velocità assai bassa (non più di 18 km/h); cingoli a piastre anzichè ad elementi snodati (si può facilmente scingolare); ingombro laterale m. 1,65. Può dar luogo a facili squilibri in terreno rotto; poca autono mia (su strada km 60 - in terreno vario circa 4 ore); motore che presenta inconvenienti nella trasmissione; protezione deficiente perchè le lamiere non resistono ai proietti di recenti armi anticarro; materiale costruito nel 1919 e successivi, vetusto e tecnicamente superato (671.

(65) AUSSME, F18 racc. 26 i. 48. (66) Iv i. (67) AUSSME, F 18 racc. 26 f. 55. Per apprezzare la richiesta si ricordi che secondo F. STEFANl op. cit. p. 329, n. 40 i carri inviati in Spagna durante tutta la guerra furono 149. John,F. COVERDALE, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Torino Einaudi 1977 p. 369 dà invece la cifra di 157 carri. ·


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Pariani s1 affrettava a telegrafare al generale Gambara: Console Muti mi rappresenta richiesta quaranta carri armati nuovo tipo alt I primi saranno pronti prossimo autunno aie Potrei inviarne quaranta vecchio tipo Fiat tremila alt Caratteristiche peso cinque tonnellate ingomb ro lacerale 1,65 autonomia circa quattro ore scarsa protezione et motore non molto preciso alt Armamento due mitragliatrici calibro Otto alt Telegrafate in caso affermativo richiesta at Ministero Esteri [...] <68>.

La risposta 6 febbraio 1939 del generale Gambara fu di epigrafica concisione: [...] Circa carri tipo 3000 date caratteristiche rinunzio alt ossequi <69>.

(68) AUSSME, Ivi. {69) Ivi. Non ci occupiamo della partecipazione di 125 carri d'assalco alla praticamente incontrastata invasione del!' Albania (aprile 1939). I maggiori inconvenienti pare siano dipesi dalla diffi-

coltĂ dapprima di sbarca re i carri e poi di azionarli dat:0 che invece di benzina era stata portata nafta. Vedi USSME, Le tmppe italiane in Albania {anni 1914-20 e 1939}, Roma, T ip. Regionale 1978.


CAPITOLO

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VICENDE DELLA MECCANIZZAZIONE ALLA VIGILIA DEL NUOVO CONFLITTO MONDIALE (1936-1940) Nelle pagine precedenti si è constatato come le operazioni, soprattutto jn Spagna, avessero messo in luce l'inadeguatezza dei mezzi meccanizzati del R. Esercito. Abbiamo altresì notato come questi avvertimenti restassero privi di riflessi concreti in quanto, al di là di qualche studio e spunto progettuale, l'industria e per conseguenza la disponibilità militare non sapevano andar oltre la stessa imperfettissima macchina. La quale si arricchiva e si rinnovava solo limitatamente al modo di chiamarla: C.V. 33, C.V. 35, carro veloce, carro d'assalto, carro leggero, L 3 o magari L 35. Se non sarà proprio possibile capire il perchè di questo stato di cose, cercheremo almeno di illuminarne la genesi, di ricostruirne il come mai. Prima però di venire ancora una volta all'intreccio di rapporti fra vertici militari e industria, preferiamo riepilogare gli sviluppi e mutamenti prevalentemente ordinativi intervenuti frattanto nei reparti dell'esercito per evitare che quest'aspetto, con inevitabili incisi, renda meno chiara la successiva esposizione.

L'evoluzione organica e regolamentare, i primi M 11. Rammentiamo le precedenti configurazioni organiche dei corazzati italiani: Riparto speciale carri d'assalto nel 1918; Batteria au· tonoma carri d'assalto su due sezioni nel 1919; Gruppo carri armati sempre nel 1919 (v. cap. 5); Reparto carri armati con sede a Roma nel 1923; creazione della Specialità carri armati e del relativo Centro carri armati nel 1926; Reggimento carri armati dal 1927 (cap. 7).


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Si sono viste le varie dislocazioni del Reggimento dapprima a Roma, poi fra Bologna, Codroipo, Udine e Bassano nel periodo 1927-1931 e quindi tutto a Bologna dal 1931 (sempre cap. 7). Come sappiamo, i primi Carden Loyd acquistati nel 1929 nonchè la ventina di essi riprodotti in Italia (denominati C. V. 29) erano stati presi in carico dal Reggimento carri armati fra 1931 e il 1933. Al Reggimento stesso affluivano anche i primi carri leggeri Ansaldo con motore Fiat (C.V. 33 poi C.V. 35). In parte però questi mezzi di produzione nazionale erano assorbiti dal 19° reggimento di cavalleria «Guide». Infatti, con determinazione ministeriale 27 ottobre 1933, uno dei due gruppi di squadroni che formavano il reggimento, di guarnigione allora a Parma, dovette trasformarsi in gruppo squadroni carri veloci. Al comando di «Guide» dal 6 ottobre era il colonnello Gervasio Bitossi con lo specifico «compito di creare in Italia - mediante la trasformazione temporanea del reggimento - la specialità Carri Veloci ed esperimentare la possibilità di introdurre i Carri Veloci stessi direttamente nell'organico dei reggimenti di cavalleria» (1). Il Reggimento carri e le «Guide» dovevano funzionare anche o soprattutto da organismi addestrativi e di inquadramento logistico dei nuovi battaglioni e compagnie carri d'assalto nonchè rispettivamente - dei gruppi e squadroni carri veloci. Stante l'identità del mezzo, accadrà che qualche reparto carri d'assalto sarà poi organizzato da «Guide» e qualche reparto carri veloci dal Reggimento carri e quindi dai 4 reggimenti cui questo darà luogo nel 1936.

Quanto a «Guide», e tralasciando ora i reparti destinati alle colonie, dal complesso della documentazione sembra che esso abbia dato vita tra il 1934 e il 1936: - a tre gruppi squadroni C.V., denominati «San Giorgio», «San Marco» e «San Giusto» ognuno su 3 squadroni (45 carri più 1 carro comando; più cardi aumentati a 4 squadroni e così 61 car-

( I) AUSS'.\1E, cart. 118, Memorie storiche dei reggimenti ,Saluzzo», ,Monferram», «Alessandria», «Guide», «lancieri Milano». Da Mem. , Guide».


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ri) assegnati a ciascuna delle tre Divisioni Celeri. Anche i tre reggimenti di cavalleria (poi ridotti a due) di tali divisioni avrebbero dovuto avere il proprio squadrone C.V.; - agli squadroni C.V., oltrechè dei tre reggimenti ricordati al cap. 9 («Nizza», «Aosta», «Alessandria»), anche di «Piemonte Reale>>, «Vittorio Emanuale II», «Savoia», «Novara>>, «Firenze», «Saluzzo>> e naturalmente di «Guide» stesso; - a varie esercitazioni tattiche, a numerosi corsi d'istruzione per ufficiali, sottoufficiali e truppa, nonchè alla compilazione di un' «istruzione tecnica» e di un' «istruzione formale» sui carri veloci. Sempre secondo la stessa documentazione, i carri veloci erano stati accolti con «ammirazione e entusiasmo» dai cavalieri dello storico reggimento. Stando a una circolare ministeriale del 1° febbraio 1935 n. 35, a partire da quella data il reggimento cessava dalla «formazione di reggimento carri veloci» e doveva riprendere «vita normale di reggimento di cavalleria», il che però - come vedremo - non avvenne affatto almeno per quanto riguarda l'attività addestrativa e formativa di nuovi reparti. «Guide» invece, come tutti gli altri reggimenti di cavalleria, perderà lo squadrone carri veloci per ordini ministeriali dell'ottobre 1938 <2). In realtà, tornando al 1935-36, da «Guide» come dal Reggimento carri rampollavano ormai i nuovi reparti di carri d'assalto e veloci necessari sui vari teatri coinvolti dall'«esigenza A.O.»: Eritrea, Somalia, Libia, Egeo (v. cap. 10). «Guide» in particolare nel 1935 formava 9 compagnie «carri d'assalto» destinate ad altrettante divisioni di fanteria in A.O., e poi invece riunite in un battaglione complementi C.V. per «esigenza A.O.». Preparava altresì i quadri per 2 gruppi C.V. (IV e V) destinati all'A.0 .. Inoltre un plotone autonomo C.V. di «Guide» fu presente ad Assab nel 1936 (3),

Toccò proprio a Gervasio Bitossi, il colonnello che aveva appena conferito l'impronta motoristica alle «Guide», comandare su-

(2) AUSSME, Mem. «Guide. cit. (3) lvi.


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bito dopo (inizio 1936) la prima - ancorchè temporanea - formazione motomeccanizzata del nostro esercito: il 1 ° Reggimento misto motorizzato allestito in Libia coi mezzi ricordati al capitolo precedente: carri Fiat 3000 e d'assalto integrati con fanteria autotrasportata e motomitraglieri (4)_ Quanto al Reggimento carri armati, stando soprattutto alle sue Memorie storiche salvo qualche occasionale riscontro su altre fonti, sembra che, fra il 1935 e il maggio 1936, abbia formato i seguenti reparti con destinazione oltremare: battaglioni carri d'assalto XX «Randaccio» (Eritrea, poi Libia); XXI «Trombi» (Libia); XXII «Coralli» (Libia); XXXII «Battisti» (Libia); uno squadrone speciale C.V. (Somalia); una squadriglia speciale «S» (Somalia); 1 sezione autoblinde Fiat 611 (Somalia); V gruppo squadroni C.V. (Somalia) e probabilmente altri minori reparti (5l. La crescente disponibilità dei piccoli Fiat-Ansaldo permetteva di creare nuove formazioni non destinate alle colonie. E così, senza pretesa di completezza, da parte del Reggimento carri entro il maggio 1936: battaglioni carri d'assalto VIII, IX, XXIII, XXIV, XXXI, una compagnia complementi destinata al 2° reggimento bersaglieri, una compagnia carri d'assalto per la Sardegna 6 ( ). Questa moltiplicazione portava alle decisioni di cui alla circolare ministeriale prot. n. 33700 del 9 maggio 1936, attuata poi il 15 settembre successivo: scioglimento del Reggimento carri armati, inclusione dei reparti carri in una nuova specialità «fanteria carrista» articolata su quattro reggimenti programmaticamente su 4 btg. (1 di Fiat 3000 e 3 di C.V. 35) ma di fatto su un numero sempre variabile di battaglioni e di reparti minori. La struttura ufficiale dei reggimenti era all'inizio questa: 1° reggimento con sede a Vercelli: l comando, I, II, III battaglione carri d'assalto (su C.V. 35) e IV battaglione carri di rottura (su Fiat 3000 versione 30/21, v. cap. 9); (4) Gervasio BITOSSI, Frammenti di una esperienza decennale di guerra motorizwta J9JJ.J94J dattiloscritto conservato nella •collezione italiana» di Sr. Anthony's College, Oxford. (5) AUSSME, Memorie storiche del Reggimento carri armati e 1°, 2 °, J 0, 4° reggimenti di fante· ria carrista 1923-1942 cit. (6) lvi.


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2° reggimento con sede a Verona: 1 comando, N, V, XI btg. carri d' assa~to (come sopra), III btg. carri di rottura (come sopra),. 3° reggimento con sede a Bologna: 1 comando, VI, VII btg. carri d'assalto (c.s.), I battaglione carri di rottura (c.s.), compagnia meccanizzata di Zara, battaglione Scuola allievi ufficiali di complemento e allievi sottufficiali; 4 ° reggimento con sede a Roma: 1 comando, VIII, IX, X, XII btg. carri d'assalto (c.s.), II, V btg. carri di rottura (c.s.), compagnia carri armati della Sardegna (7)_ In realtà, a questi reggimenti restava la funzione di centri addestrativi, formativi e logistici e ciò valeva particolarmente per il 3° di Bologna più diretto erede del cessato unico Reggimento. Infatti, solo nei mesi del 1936 successivi al maggio, erano formati a Bologna i battaglioni carri d'assalto VI, X, XI, XII tutti in forza al reggimento stesso così come la ricordata compagnia della Sardegna che presto passerà al 4° carristi di Roma. Al 3 ° facevano capo anche alcuni battaglioni carri di rottura, cioè di Fiat 3000 (a un certo momento furono tutti e 5, dal I al V, in forza al 3°). Inoltre uscirono dal 3°, sempre nello stesso periodo, altre unità con destinazioni metropolitane diverse dal reggimento stesso come i battaglioni I e II d'assalto, due compagnie complementi e qualche plotone destinato a reggimenti di bersaglieri. Al 4° carristi (Roma) toccherà invece - come già sappiamo - l'allestimento di alcune fra le unità carri destinate a O.M.S. Complessivamente a fine 1936 la forza corazzata italiana venne a consistere di 5 battaglioni Fiat 3000 e di altri 19 su C. V. 35 oltre a una dozzina di unità diverse e in genere minori comprese quelle che servivano oltremare (8). Intanto fin dal 1° giugno 1936 si era costituita la 1 a Brigata motomeccanizzata agli ordini del generale Carlo Favagrossa. Essa aveva il seguente organico:

1 btg. carri d'assalto (XXXI) su 2 cp. di C.V. 35 (46 mezzi);

(7) Ivi e v. anche F. STEFANI, op. cit., voi. cit., pp. 299-300. (8) Ivi.


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1 reggimento (5°) di bersaglieri motorizzati su 2 btg.; 1 gruppo di obici da 100/17 a traino meccanico su 2 batterie; - elementi del genio (9). La brigata motomeccanizzata non era prevista da nessuno dei vari testi normativi in tema di carri che, come abbiamo visto al capitolo precedente, si accavallarono lungo l'anno 1936. La sua costituzione, così come lo sviluppo dato ai reggimenti di fanteria carrista e la moltiplicazione dei relativi battaglioni, ben s'inquadrano tuttavia nel programma di motorizzazione in parte realizzato e in parte solo progettato da Baistrocchi soprattutto verso la fine del suo triennio (1933-1936). Baistrocchi infatti aveva aumentato da 2 a 3 le divisioni celeri, già istituite da Gazzera nel 1930. Esse mutarono fisionomia sia grazie alla disponibilità dello squadrone C.V. in alcuni dei loro reggimenti di cavalleria (3 poi ridotti a 2) sia grazie alla riunione dei gruppi d'artiglieria a cavallo e motorizzata in ciascuno dei tre nuovi reggimenti di artiglieria celere (1934) sia infine per la ricordata inclusione di un gruppo squadroni C.V. dapprima su 46 e poi su 61 carri che ripagherà a usura la successiva e già menzionata perdita degli squadroni C.V. reggimentali. Inoltre nel 1935/36 erano state motorizzate due Divisioni di Fanteria («Trento» e «Po») nonchè due altri reggimenti bersaglieri. Erano altresì previsti la creazione di una terza Divisione Motorizzata («Fossalta»), di ulteriori tre Divisioni Motorizzate di nuovo tipo (su 2 reggimenti di bersaglieri e 1 gruppo di artiglieria) e di 3 Divisioni «Autotrasportabili» («Monferrato», «Pasubio», «Piave») nonchè l'allestimento di due altre Brigate Motomeccanizzate. Infine, la qualità dei corazzati sarebbe dovuta migliorare con la sperata immissione di 200 «carri d'assalto mod. 36», un veicolo da combattimento del cui insuccesso costruttivo si è già detto (cap. 10). Questo programma, in gran parte formulato nel settembre 1936, non sopravviverà alla caduta di Baistrocchi ed alla sua sosti-

(9) AUSSME, 48 bis Memorie surriche della brigata motomeccani:zzata.


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tuzione con Pariani nelle cariche tanto di capo di S.M. dell'esercito quanto di sottosegretario alla Guerra <10). Il nuovo vertice dell'esercito, pur dedicando le maggiori energie alla trasformazione delle Divisioni da ternarie in binarie, non trascurava però gli aspetti organici e teorici della meccanizzazione. Infatti, sempre fondandosi sui C.V. 35 e soltanto su essi (anche per la rinuncia o il fallimento di altri tentativi di mezzi: carro d'assalto mod. 36, carro-cannone, vedi cap. 10), il ministero della Guerr a con circolare 16 luglio 1937, n. 44150 ordinava la costituzione di due Brigate Corazzate da attuarsi entro il successivo 15 luglio: la I3 per trasformazione della brigata motomeccanizzata e la IP ex novo (11) . La composizione ordinativa doveva essere questa: - un comando di brigata; - un reggimento bersaglieri motorizzato (1 comando, 2 btg., 1 autoreparto); - una cp. motociclisti; - un reggimento di fanteria carrista (1 comando, 2 btg. carri di rottura, 1 btg. carri d'assalto); due compagnie pezzi da 47 (autocarreggiate); - una batteria cannoni da 20 (autocarreggiata); - una cp. mista genio (autocarreggiata, su 2 plotoni artieri e 1 squadra radio) . Dovevano costituirsi due reggimenti di fanteria carrista: il 31 ° ex novo e il 32° per trasformazione del 2°. Era anche previsto che i battaglioni carri, in attesa del nuovo comando di reggimento, sarebbero dipesi «per amministrazione, matricola e mobilitazione dagli attuali comandi di rgt. ftr. carrista» e per «addestramento, disciplina e avanzamento» dal comando di brigata «tramite gli (10) V. Ministero della Guerra-Gabinetto, Promemoria per il Duce · oggetto: Progetto motorizz· zione, 15 smembre 1936 a firma Baistrocchi, in E. CANEVARI op. cit. voi. cit., p. 416. Per il carro d'assalto mod. 36 e procoripi di veicoli contemporanei, v. cap. 10 e oltre. (1 1) La circolare a firma Pariani e Sorice (Capo di Gabinetto) consta di due fogli di cui il primo su carta intestata del Ministero della Guerra. Essa è seguita da vari allegati, tra cui Formazione ed organici di pace della brigata cora.zzata, per complessivi 15 fogl i con numerosi specchi. Fotocopia in A.A.


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attuali rgt. ftr. carrista». Veniva poi diversamente destinato il gruppo leggero d'artiglieria motorizzata che lasciava l'attuale brigata motomeccanizzata. Dagli organici di pace risultava una forza complessiva di 64 ufficiali (più 37 di complemento), 123 sottufficiali e 2028 uomini di truppa. I principali materiali erano costituiti da 10 autovetture e autovetturette, 159 autocarri , 96 fra autocarri pesanti e trattori, 146 motociclette e 20 mototricicli, 86 carri di rottura, 46 carri d'assalto, 88 carrelli, 6 rimorchietti portamunizioni, 48 fucili mitragliatori, 14 mitragliatrici (oltre a quelle dei carri), 6 cannoni da 20 e 12 da 47 /32. Era specificato che la compagnia motociclisti (69 moto) nonchè le compagnie pezzi da 47 (anticarro ed eventualmente accompagnamento) dipendessero «per l'impiego)) non dal reggimento bersaglieri ma direttamente dal comando di Brigata. I battaglioni carri avrebbero dovuto tendere alla formazione definitiva ciascuno su 3 cp., e ogni cp. su 3 plotoni. Gli 88 carrelli e i 96 autocarri pesanti e trattori avrebbero consentito lo spostamento indiretto dei 132 mezzi corazzati. L'autocarreggio della batteria a.a. da 20 mm avrebbe (forse) permesso alle tre sezioni su due armi di far fuoco dagli autocarri (17 in tutto). Mentre i 12 pezzi da 47 /32 delle due compagnie autocarreggiate sarebbero stati - ad evidenza - trasportati dai 20 autocarri pesanti a 1010 disposizione ma avrebbero dovuto compiere le azioni tattiche a terra e con spostamenti manuali. Lo stesso deve intendersi per il reggimento bersaglieri motorizzato i cui 2 battaglioni, (ciascuno su 2 cp.) con circa 850 uomini in tutto, avrebbero potuto solo muovere su strada grazie ai 68 autocarri alle 34 motociclette e agli 11 mototricicli. La IP Brigata, derivante dalla trasformazione della motomeccanizzata, si chiamerà «Centauro)) e avrà sede a Siena. Per essa sarà costituito il nuovo reggimento fanteria carrista 31 °, mentre il reggimento bersaglieri sarà il 5° proveniente dalla disciolta formazione. La IP Brigata, «Ariete» con sede a Milano, comprenderà il 2° reggimento fanteria carrista (rinumerato 32° nel 1938) e 1'8° reggimento bersaglieri.


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Come vedremo, la prima di tali formazioni sarà sperimentata alle manovre di Sicilia (agosto 1937) con reparti e materiali ben al di sotto degli organici. Le Brigate comunque erano intenzionalmente prive di artiglieria campale in quanto - pur ammettendosi una certa possibilità di manovra sui fianchi - loro compito principale restava lo sfondamento in cooperazione con la fanteria, fase durante la quale il fuoco sarebbe stato erogato dall'artiglieria delle unità normali. Q uesti ed altri concetti erano espressi dalla circolare 10.500 del 15 agosto 1936 cioè anteriore alle manovre in Sicilia. Essa aveva, tra l'altro, codificato la distinzione del materiale in «carri di rottura» (Fiat 3000/B cioè quelli rimodernati nel 1930 alcuni dei quali armati col cannoncino da 37/ 40), «carri d'assalto» e «carri veloci» (sempre i C.V. 35 a seconda se in uso alla fanteria carrista o ai celeri). Erano anche previsti un nuovo «carro d'assalto» cioè il modello 36 di cui abbiamo già parlato e un «carro cannone)) cioè una sorta di semovente con il medesimo pezzo da 37/26 in casamatta, carro poi soppiantato da uno armato con il 47 /32 su scafo C.V. 35 privo di casamatta, tutti poi rimasti allo stadio di prototipo (12). Intanto però le manovre in Sicilia avevano messo in luce il carattere «rigido)) della Brigata Corazzata che ne faceva uno strumento idoneo, nel migliore dei casi a «progredire e a schiacciare». Mentre per la «manovra» sarebbero occorsi «reparti motomitraglieri, reparti autotrasportati, almeno due gruppi da 100/17 e da 105/28, mezzi aerei)) (13). Si faceva così strada il concetto di Divisione Corazzata come unità munita di mezzi indispensabili alla manovra. Di essa scrivono vari documenti dello S.M. esercito fra cui uno «stralcio» in data 10 maggio 1938 nel quale, mentre la rottura di robuste fronti difensive viene esclusa dai compiti della Divisione, è data «la massima importanza all' azione di manovra, specie in (12) MINtSTERO DELLA GUERRA, Impiego ecc., circ. 10.500, 15 agosto 1936 cit. (13) Vedi Ministero della Guerra, Giudizi e proposte per 1mità corazzata sperimentata in Sicilia nel /937 in L. CEVA, Le Forze armare cit., pp. 479-481, ali. 19.


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fase sfruttamento del successo». La rottura dei fronti organizzati poteva riguardare l'unità solo allorchè il nemico «non disponesse che di scarsi mezzi anticarro in atto» o qualora fosse colto «di sorpresa». Il nocciolo blindato della D ivisione avrebbe dovuto consistere di quattro battaglioni di carri M (medi) e di un battaglione di carri P (pesanti). Si aggiungeva che «in via transitoria, e cioè sino a quanto non potremo disporre dei carri M, e P, di nuova costruzione», il reggimento corazzato si sarebbe formato «su 4 battaglioni di carri M (provvisoriamente carri armati mod. 21-30 da sostituire appena possibile con i carri M 11 e di cui sono in corso le prime commesse)». Vi sarebbero poi stati un reggimento bersaglieri su due battaglioni motociclisti, un «nucleo esplorante» con 17 autoblindo e pezzi su affusto semovente nonchè un reggimento d'artiglieria su tre gruppi autotrainati (1 da 100/17, 1 da 105/28 e 1 da 75/18 rimpiazzabili però con soli 2 gruppi da 75/34) nonchè «semoventi da definire», oltre a genio, servizi e supporti vari (t 4) , Questo documento, al pari di altri che lo avevano preceduto nel novembre 1937 e di qualcuno che lo seguirà nel 1938, era ben chiaro nel prevedere che ai carri L, si sarebbero poi affiancati quelli M e P e altresì che vi sarebbero stati dei cannoni «semoventi» da destinare sia al reggimento di artiglieria sia al nucleo esplorante, il quale ultimo avrebbe avuto le necessarie autoblindo (15>. È dunque poco spiegabile come mai tanto il nuovo regolamento Impiego delle unità carriste 1° dicembre 1938 quanto la circolare 18.000 che accompagnava il regolamento stesso edito ancora in fo rma di «bozze di stampa», pur discorrendo ampiamente dei carri M («in corso di allestimento») e dei carri P («in corso di progettazione») e pur avvertendo che temporaneamente essi sarebbero stati rappresentati dai C.V. 35 (ora denominati carri L perchè inferiori a 5 tonn) o dai Fiat 21/30 (M perchè superiori a 5 tonn), dimentichino invece i semoventi e le autoblindo.

(14) lvi, Stralcio della divisione corazzata, pp. 428-483, ali. 20. (15) lvi. Ma anche, fra l'altro, AUSSME C. 14/b, minuta per il Sottosegretario di Stato senza n. e con data incompleta, (novembre I 937} Divisioni cell>ri, motorizzate, corazzate. Divisioni terna· ria o binaria e anche specchio comparativo fra Attuale brigar.a corazzata e Divisione corazzata in studio presso 11/ficio ordin. e mob., s.d. ma 1937-1938.


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Le nuove Divisioni Corazzate nate nel dicembre 1938 per trasformazione delle Brigate Corazzate «Ariete» e «Centauro» (alle quali si aggiungerà un anno dopo la «Littorio») (16), saranno pertanto così ordinate: -

Comando di divisione; - 1 reggimento di fanteria carrista su 4 btg. (tutti carri d 'assalto in attesa dei carri M e P); - 1 reggimento bersaglieri su 3 btg. (di cui 1 motociclisti e 2 autotrasportati), 1 compagnia da 47 /32 su 8 pezzi e 1 autoreparto; - 1 reggimento d'artiglieria, su 2 gruppi da 75/27 autotrainati e 2 batterie da 20 e.a.; - 1 compagnia mista genio; - Servizi (1 sez. di sanità, 1 sez. di sussistenza, 1 autoreparto misto). Ogni Divisione avrebbe compreso: 273 ufficiali, 484 sottufficiali, 6682 uomini di truppa, 5102 fucili e moschetti, 410 mitragliatrici, 16 pezzi da 20, 184 carri, 8 pezzi da 47 /32, 24 pezzi da 75/27, 581 automezzi, 1170 motomezzi, 48 trattori, 39 biciclette (17). Si deduce che né il nucleo esplorante con autoblindo e semoventi né l'assegnazione di questi ultimi al reggimento di artiglieria fossero più ritenuti necessari. Neppure i nuovi carri M e P esistevano, ma il Regolamento ne disciplinava egualmente l'impiego e li face va rappresentare dai vecchi abituali veicoli.

(16) Da AUSSME, Memo rie stol'iche della 133" div. cr. «Littorio», s.n. ris\1lta quanto segue: gl i uomini della divisione «legionaria• di fanteria «Littorio• lasciarono la Spagna imbarcandosi a Cadice il 30 maggio 1939 e sbarcarono a Napoli il 2 giugno. Con dispaccio ministeriale n. 44880 fu decisa la conservazione dell'unità in cons iderazione dei valori tradizionali acquisiti in Spagna. L'unità aveva: comando ridotto; 1° reggimento fanteria (personale del R. Esercito); 2° reggimento fanteria (personale M.V.S.N.}; reggimento aniglieria •Littorio» (pers. R. Esercito}. Con dispaccio ministeriale n. 102600 del 28 ottobre 1939 fu lrasformata in 133° Divisione Corazzata «Li1torio• e ricevette, fra l'altro, il nuovo 133° reggimento di fanteria carrista su carri L dei seguenti battaglioni: VI, XXII («Coralli»), XX!JI, XXXII («Batt isti»), rutti usciti, a suo tempo, dal Reggimento e dal 3° carristi di Bologna, suo erede. ( 17) USSM E, L'esercito italiano tra la l" e la 2• guerra ecc. cit., p. 312 ali. 57.


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Dunque nemmeno sulla carta, l'esercito italiano stava avvicinandosi nel 1939 a una buona maturità in fatto di guerra motocorrazzata. Intanto la carta, che è poi quella della circolare 18.000, non fingeva neppure l'esistenza di autoblindo e di semoventi segnando così un passo indietro rispetto agli studi e alle proposte del 1937 e 1938. Poi, com'è stato osservato, la circolare ometteva ogni riferimento alla cooperazione con l'arma aerea «non soltanto ai fini, dell'esplorazione, del rilevamento, del servizio d' artiglieria, dei rifornimenti urgenti, come previsto dalle circolari 1500 e 550 del 1934, ma anche per l'intervento volto alla protezione del movimento delle grandi unità corazzate e per le azioni di bombardamento, spezzonamento e mitragliamento a loro sostegno[...]», omissione stupefacente «tanto più che, nella regolamentazione precedente, fin da quella del 1925, l'appoggio diretto e ravvicinato dell'aviazione con tiri di mitragliatrici e di bombe era $tato considerato [... ]» <18). Non solo. Se per le unità carri venivano normalmente previste la cooperazione coi celeri (carri L) come quella con la fanteria (carri M e P) e perfino la manovra «sul rovescio» nonchè quella «in profondità», sino dunque alle soglie della penetrazione strategica indipendente, non si capiva peraltro come quest'ultima potesse venir assolta da Divisioni Corazzate siffatte, nella loro attuale ma anche nella preannunciata prossima consistenza. Quale in concreto avrebbe potuto essere il compito del reggimento bersaglieri che dai due battaglioni motociclisti delle prime previsioni era cresciuto a tre battaglioni di cui due autoportati e uno motociclisti? Tralasciando i motociclisti atti tutt'al più all'avanscoperta, ai collegamenti o all'inseguimento purchè poco contrastato, quale collaborazione ai carri avrebbe potuto essere prestata dai due battaglioni autoportati? ·Sprovvisti com'erano di veicoli «fuori strada» e protetti, non potevano combattere se non appiedati cioè allo scoperto e senza neppur tenere il relativamente lento passo dei carri, tanto più che sarebbero stati appensantiti dalla necessità di (18) Così F. STEFANI, op. cii. vol. cit. pp. 552-553.


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spalleggiare mitragliatrici e munizioni e da quella di trascinare i pezzi anticarro per i quali non era prevista nessuna forma di trazione meccanica svincolata dalle strade. Le Divisioni Corazzate 1939/ 40, anche astraendo dalla sempre rinviata pr.o spettiva dei carri M e da quella ancor più evanescente dei carri P, «non erano in realtà che delle Brigate Motomeccanizzate>) (19l. Brigate, attesa la loro formazione binaria. Motomeccanizzate perchè ai meccanizzati (carri leggeri, che nella realtà erano semplici basi di fuoco mobili) giustapponevano un nucleo di fanteria autocarrato con limitatissime possibilità tattiche fuori strada. Meccanizzato poteva considerarsi il minuscolo reggimento d'artiglieria perchè i trattori TL37 muovevano bene fuori strada. Ma anzi tutto non sappiamo come fosse risolto il problema del trasporto munizioni oltre alle poche del cassone d'ogni singolo pezzo. Perchè se tale t rasporto fosse stato affidato ad autocarri (come tutto lascia pensare) si sarebbe ripetuta la situazione di Guadalajara allorchè i pezzi capaci di movimento fuori strada (là i 105/28 e i 149 corti trainati dai «Pavesi») rimasero presto muti perchè le munizioni affidate a normali autocarri non potevano venirli a rifornire dov' essi si trovavano. Senza contare poi che la vera artiglieria per Divisione Corazzata è quella «semovente», cingolata e protetta. Ora è vero che nel 1939 / 40 i «semoventi» erano appena all'inizio, ma grave era che fossero stati dimenticati proprio dall'esercito italiano che, come già visto, ne aveva afferrata la necessità negli schemi del 1938/39 e che era pur sempre il progenitore dell'autocannone 1915-18, cioè di un quid, mal riuscito a suo tempo, ma che conteneva in nuce il concetto del «semovente» (v. cap. 4). Si ebbero dapprima due Divisioni Corazzate: 131 a «Centauro», sviluppo della omonima Brigata Corazzata (31 ° fanteria carrista, 5° bersaglieri, 131 ° artiglieria per Divisione Corazzata, e serviz i); 132 a «Ariete» (32° fanteria carrista, derivato dal 2° carri-

(19) Cosl Mario ROATTA, Otto milioni di baionette, Mondadori Milano 1946, p. 54.


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sta, 8° bersaglieri, 132° artiglieria per Divisione Corazzata, e servizi). Alla fine del 1939 si formerà la 133 a Divisione Corazzata «Littorio» (33° fanteria carrista, 12° bersaglieri, 133° artiglieria per Divisione Corazzata, e servizi). Due Divisioni Corazzate (dapprima «Ariete» e «Centauro)), e poi, dopo l'invio di quest'ultima in Albania, «Ariete» e «Littorio») furono riunite alle Divisioni Motorizzate «Trieste» e «Trento» in un Corpo d'Armata che non si esitò a denominare ufficialmente «Corazzato». Tale Corpo Corazzato concorse, nel novembre 1938, a formare la 6a Armata (detta «del Po») in uno col Corpo d'Armata «aut0trasportabile» (Divisioni di Fanteria «Torino>), «Pasubio» e «Piave») e con quello «Celere» (le tre Divisioni - 1a «Principe Eugenio di Savoia)); 2a <<Emanuele Filiberto testa di ferro», 3a «Principe Amedeo duca d'Aosta» - nell'ultima form azione: 2 reggimenti a cavallo, 1 reggimento di bersaglieri ciclisti e motociclisti, un reggimento d' artiglieria celere con gruppi a cavallo e autotrainati nonchè il noto gruppo C.V. su 61 carri L). L'Armata del Po, dislocata nella pianura veneto-padana divenne punto di riferimento obbligato della propaganda militare che la definì «il gioiello dell'esercito» <20>. Alcune sue novità furono esibite nelle grandi manovre dell'anno XVII (1939) svoltesi in Piemonte e durante le quali furono anche sperimentati i primi carri M 11/39. Nonostante i clamori levati dalla propaganda stampata, radiofonica e cinematografica, sembra che la maggior parte degli addetti militari stranieri, a cominciare da quello tedesco, abbiano scorto senza difficoltà il bluff che sottostava alle denominazioni altisonanti <21>. A ben vedere, si trattava di una somma di unità che difficilmente avrebbe potuto combattere come insieme coordinato. Considerando infatti l'armata globalmente ritroviamo dal più al meno gli stessi squilibri esistenti all'interno delle singole unità divisionali. Per le Divisioni Corazzate si è già detto. Per le (20) Così Gaetano POL VERELLI in • Il popolo d'Italia,. 9 ottobre 1940 cit. in Armata del Po (6" armaiat voi. di 216 pp. pubblicato a Milano, aprile 1942, da cui ricaviamo anche che I' Armata fu costituita I' l l novembre 1938 (p. 22). (21) v. I:'. nno VO N RINTELEN, Mussolini l'alleato, Roma Corso 1952 (trad. dal tedesco), p. 63.


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due Motorizzate, basta ricordare che i loro 6 battaglioni (4 di fanti e 2 di bersaglieri) avrebbero dovuto combattere a piedi nelle stesse condizioni descritte sopra per i battaglioni autoportati delle Divisioni Corazzate. Il Corpo «autotrasportabile» non stava molto meglio: era composto di tre divisioni con artiglieria a traino meccanico e fanterie atte all'autotrasporto qualora si fossero loro assegnati gli autogruppi necessari. A differenza delle «Motorizzate», i loro fanti avevano solo la speranza di poter compiere su ruo_te i grandi spostamenti. In compenso, per il combattimento a terra, avevano almeno l'aiuto di qualche salmeria animale che avrebbe risparmiato taluno dei più gravi disagi riservati ai fanti delle consorelle «Motorizzate». Quanto alle «Celeri>> già si è vista la pratica impossibilità di far combattere insieme truppe motorizzate e truppe a cavallo. Logicamente questi tre Corpi d'Armata, formati da unità affette da così gravi disarmonie interne, non potevano dar luogo che a un'armata del tutto squilibrata con tempi di spostamento e modalità di combattimento non coordinabili. Di fatto l'Armata del Po, sin dall'inizio del conflitto e ben prima del suo scioglimento ufficiale avvenuto il 1° ottobre 1941 ( 22l, funzionerà solo da riserva generale dell'esercito cui questo attingerà singole unità destinate ai vari fronti e che generalmente verranno alquanto trasformate prima dell'impiego. Delle 10 divisioni iniziali della 6a Armata, quattro nel giro di 16 mesi dall'inizio del conflitto, raggiungeranno il fronte nordafricano («Ariete», «Trento», «Trieste», «Littorio»), tre saranno impiegate in Russia («Torino», «Pasubio» e 3a celere) e le tre residue («Piave» e due celeri), dopo aver svolto vari compiti presidiari ed aver subìto sottrazione di minori unità, verranno a loro volta trasformate. Naturalmente gli inconvenienti indicati nelle pagine precedenti non sono una nostra postuma «scoperta». Al contrario si tratta di osservazioni che a gradino divisionale o di corpo erano state rilevate fino da allora anche se, come già detto, il vertice sembrava ricordars~ne un pò meno.

(22) Armata del Po cit., p. 201.


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Così, per la Divisione Motorizzata, disponiamo di un testo dattiloscritto senza data (ma certamente 1938/1939) in cui le insufficienze sono additate senza mezzi termini <23l. Vi si specifica fra l'altro che, salvo casi eccezionali, la salvaguardia degli automezzi richiedeva un appiedamento della fanteria a non meno di «6-7 km dagli elementi avanzati nemici». E pur ammettendosi che «la mancanza di mezzi di trasporto idonei al movimento fuori strada, rendono» tale Divisione «poco adatta a sforzi prolungati», si auspicava l'assegnazione al reggimento bersaglieri di una compagnia autoblindo su 3 plotoni (in tutto 22 macchine di cui 6 al comando di compagnia), si dichiarava l'inidoneità delle autocarrette, degli Spa 38 e degli automezzi pesanti per il trasporto della fanteria e si proclamava la necessità di veicoli «fuori strada» e dotati di «supporti che consentano l'impiego dall'automezzo in marcia di fucili mitragliatori e mitragliatrici» <24>. Anche la mancanza di salmerie nella «Motorizzata» formerà oggetto di specifiche osservazioni ad esempio in un successivo documento del 2 settembre 1940 (cioè a guerra già iniziata) relativo a esercitazioni divisionali. Così leggiamo: [ ...] inconvenienti della mancanza di salmerie. S.E. (cioè il comandante di C. d'A.], nota che sarebbero un appesantimento: meglio aspettare un mezzo che sostituisca il mulo e cioè la salmeria meccanizzata [ ...) <25>.

Tornando al 1939 e in particolare alle già ricordate «grandi esercitazioni dell'anno XVII», va notato che nella documentazione interna italiana si rinvengono accenti fra loro abbastanza diversi. Disponiamo, fra l'altro di due relazioni elaborate dal Corpo d'Armata Corazzato, allora al comando del generale Fidenzio Dall'Ora. Nella prima di esse, ritroviamo le solite giustificatissime la(23) Il documcmo, in NARS, TS21, roll 384, lT4996, consta di 77 facciate dattiloscritte di cui le prime 47 dedicate a «criteri e modalità d'impiego• della Div. Motorizzata, 23 comprendemi «proposte di carattere organico» e infine 7 sui «criteri d'addestramento•. (24) Ivi, pp. 34, 43-44, e l -3 delle «proposte». Nonostante la d ichiarata inidoneità delle autocarrctce, ne venne adottata una versione modificata, detta 36P, che poteva trasportare IO uomini seduti allo scoperto su tre panche e dotata di due supporti, collocati peraltro in posizione infelice, per il tiro con il fucile mitragliatore Breda. (25) N ARS T821, roll 384, IT4996, Sintesi. Considerazioni ed osservazioni emerse durame la riunione finale delle esercitazioni divisionali 2 settembre 1940(divisioni «Ariete», «Centauro•, «Tren· to~, • Trieste,), datt. di 29 cartelle, v. p. 2.


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mentele sulla qualità degli automezzi per la fanteria delle «Motorizzate» e delle «Corazzate» alle quali si aggiunge una più che legittima richiesta per l'anticarro da 47 /32: [...] sarebbe desiderabile che questa bocca da fuoco venisse installata - per le Div. Cr. - su un veicolo semovente corazzato (resistente ai proiettili perforanti delle mitragliatrici); - per le Div. Mot. - basterebbe l'adozione di un carrello per il traino (26).

In tale relazione vi è soltanto un sobrio accenno ai carri M 11/39 sperimentati per la prima volta: Ottimi. Desiderabile porre il cannone in torretta (27l.

Ma, nella seconda relazione che al pari della precedente contiene critiche risentite su molti altri materiali, si leva un vero peana al carro M 11, un pò sorprendente non solo per noi che lo leggiamo a quasi 50 anni di distanza ma - crediamo - anche per . . 1 contemporanei: [ ...] Carri M/11 - Sottoposti a diverse prove sia in marcia su rotabili per un complesso di km 310, che in terreno vario nella manovra finale, i carri M 11 si sono dimostrati, in complesso, resistenti - di facile condotta e dotati di grandi possibilità. - I pochi inconvenienti verificatisi (rottura disco frizione - avaria avviamento elettrico - imperfetto funzionamento pompa iniezione) sono stati determinati più che altro dall'essere il mate riale ancora non completamente collaudato. - In particolare il carro M 11 ha fatto rilevare: su strada - nessun inconveniente alJe catene cingolo; - moderato riscaldamento dei rulli gommati; - eccellente comportamento del complesso sospensioni e degli organi di direzione; - ottimo il comportamento del gruppo motore e del cambio di velocità; fuori strada - esuberanza di potenza dinanzi ad ogni ostacolo da superare; - facile condotta; - massima visibilità attraverso l'iposcopio e il periscopio; - nessuna fuoruscita delle catene a cingolo; - perfetto funzionamento degli organi di frizione-cambio [sic malgrado la rottura della frizione, v. sopra] e gruppo epicicloidale; - ottimo il dispositivo d'indietreggiamento in quanto permette al pilota di arrestare il carro su pendenza limite; - sorprendente stabilità trasversale (40°) anche su terreno frastagliato; - perfetto equilibrio in discesa su pendenza 45°;

(26) COMANDO DEL CORPO D' ARJv1AT A CORAZZATO, Relazione sull'auivicà adde· smuiva svolta nel ciclo estivo 1939 XVII, datt. di 17 cartelle in NARS T821, roll 384, IT4996 v. p. 10.

(27) Ivi, p. 9.


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- ottimo il comportamento delle ruote motrici e di rinvio anche quando la catena a cingolo imbarca materiale sassoso e spezzoni di alberi; - facilità nell'attraversare zone boschive in quanto la grande potenza del mezzo permette l'abbatt imento di alberi fino al diametro di 30 cm. (28l.

Bisognerebbe spiegare tanto entusiasmo per un veicolo che nel 1960 Ogorkiewicz non esiterà a definire ( ...) inferiore al sovietico T26 usato in Spagna cd anche ai carri L.T.H. che i cechi stavano allora vendendo agli svizzeri e ai persiani [...). In verità il peggior modello della sua epoca f29l.

Ora, secondo una molto verosimile affermazione di Canevari, la compagnia di otto (altri dice dodici) M 11 sperimentata alle manovre in Piemonte «non era ancora stata consegnata all'esercito trovandosi ancora nelle mani degli ingegneri dell'Ansaldo» (3oJ. È dunque possibile che i giudizi elogiativi del documento militare risalgano a chi aveva realmente usato il carro cioè al ... personale dell'Ansaldo, ossia al produttore stesso, in genere prodigo di lodi a sè medesimo. Ma si può anche pensare che la comparsa finalmente dopo sette anni! - di qualcosa di più simile a un vero carro del solito C.V. 35 abbia generato nei carristi un senso di euforia. Del resto, va riconosciuto che su un punto (e soltanto su quello) l'M 11 era superiore al suo noto successore l'M 13: il rapporto peso/potenza. Infatti i 110/125 CV nominali dell'M 11 muovevano un carro di 11 tonnellate che, in assetto operativo, poteva pesarne forse 12; mentre lo stesso motore sarà applicato a un carro di 13 tonnellate, circa 14 in assetto operativo. I primi M 11 furono lentamente assegnati alla Divisione «Ariete» nel corso dell'inverno e della primavera 1939/40. (28) Relazione sull'auività addestrativa svolta nel ciclo invern,ile 1939-40-XVlll (in realtà in gran pane dedicata alle stesse esercitazioni in Piemonte di cui alla nota precedente) datt. di 32 cartelle in N ARS T821, roll 384, IT4996, v. pp. 29-30. (29) R.M . OGORKIEWICZ, Armour, cit. p. 241. (30) E.CANEVARI, op. cit., I, p. 570. L'affermazione è ripetuta nel documento anonimo (ma di Canevari) intitolato Per l'esercito e databile ottobre 1939 pubblicaco come ali. 19 in L. CEVA, Un intervento di Badoglio e il mancato rinnovamento delle artiglierie italiane «Il Risorgimento• Milano 1976 n. 2 (pp. 117-172) v. pp. 159 e sgg. L'assegnazione di operai specializzati dell'Ansaldo ai due battaglioni del 32° carristi domi di M 11, finchè questi non furono trasferiti in Africa Set· tencrionale (estate 1940), è confermata dal rapporto del 7 agosto 1940 n. 208 Op. del 4° carristi sul primo scontro con gli inglesi del 5 agosto precedente. Vedi o ltre ali. 37.


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Un documento del Corpo d'Armata Corazzato (che esamineremo in un'appendice ad altri fini) ci informa incidentalmente che al 26 novembre 1939, la Divisione aveva, oltre a tre battaglioni con 138 carri L, un battaglione su 30 carri M 11 dei quali 15 «tutt'ora senza cannone». A maggio la commessa era completata e 72 M 11 armavano due battaglioni dell'«Ariete», mentre altri 24 costituivano una compagnia inviata in A.O. (31l. All'infuori di questi e del solito centinaio di Fiat 3000, tutti gli altri carri dell'esercito erano L (nella versione normale o lanciafiamme). I Fiat 3000 (compresi quelli riarmati con mitragliatrici dopo l'estirpazione del cannoncino da 37/ 40 a beneficio degli M 11) sembra equipaggiassero un battaglione del 1° carristi, la compagnia meccanizzata di Zara nonchè qualche altra compagnia assegnata a formazioni di Guardia alla Frontiera (compresa una in Albania, nella regione di Scutari). Quanto agli originari reggimenti di fanteria carrista, trasformatosi il 2° in 32°, sopravvivevano: - il 1° che, dopo avere assunto varie configurazioni, sarà mobilitato e chiamato a formare (col 4° bersaglieri e con «Nizza» cavalleria) il Raggruppamento Celere della 4a armata. Pare disponesse di 3 battaglioni carri L e di uno di Fiat 3000 <32l; - il 3°, che dopo aver contribuito alla formazione dei n uovi reggimenti, sarà mobilitato nel 1940 andando a formare (coi suoi battaglioni V e XI, col 1° bersaglieri e coi cavalieri di «Monferrato») il Raggruppamento celere della 1a armata <33l. Peraltro il 3°, coi suoi elementi stanziali (battaglione scuola, deposito ecc.), svolgerà importante attività durante la guerra contribuendo alla formazione di vari reparti di carri M, all'istruzione di uomini e ad altri non secondari compiti. Perdiamo le sue tracce alla fine del

(31) AUSSME, Diari storici n. 35 (Div. «Ariete», 11 giugno 1940). Per il <loc. 26 novembre 1939 del Corpo corazzato, v. oltre in Appendice a questo capitolo. (32) USSME, Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi Occidentali, Roma Tip. Regionale 1981 p. 59. V. anche Memorie storiche Reggimento carri armati ecc. cit. (33) USS:ME, Le operazioni del giugno 40. ecc. cit., p. 54, e anche Carlo CERIAN A MA YNERI, Parla un comandante di truppe, Napoli, Rispoli, 1947, p. 30.


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1941 col passaggio al nuovo Ispettorato delle truppe motorizzate

e corazzate; - il 4°, dopo avere anch'esso contribuito alla formazione di vari reparti fra il 1936 e il 1940, sarà poi mobilitato e inviato coi battaglioni carri M 11 già dell' «Ariete)) in A.S. Ridotto a un Comando Truppe Deposito e poi ancora ricostituito darà anch'esso notevoli contributi formativi e addestrativi durante la guerra <34). In sintesi, l'Italia si affacciava al conflitto mondiale nel giugno 1940 con le seguenti unità corazzate: 3 Divisioni Corazzate (di cui 2 riunite in Corpo ed 1 indipendente) con 12 battaglioni carri di cui 2 soli su M 11/39; -

- 3 reggimenti di fanteria carrista non indi visionati (1°, 3° e 4°) con complessivi 8 btg. carri L e 1 di Fiat 3000 <35); 3 battaglioni carri L in Libia (XX, XXI e IX) destinati però a crearne altri 4 con la mobilitazione <36l; -

3 gruppi squadroni con 61 carri L ciascuno alle divisioni

celeri; alcune compagnie Fiat 3000 assegnati alla G.A.F. in Italia e in Albania <m; -

CCCXII battaglione misto Fiat 3000 e carri L in Egeo (38);

- due compagnie speciali, una su 24 carri M 11 e l'altra su 24 carri L in Africa Orientale Italiana (inviata alla vigilia del conflitto) che si univano ad altri 15 carri Le a 126 autoblindo (Lancia 12, Fiat 611 e autocarri armati con blindature di circostanza) <39)_

(34) AUSSME, Memorie sUJriche Reggimento ecc. cit. (35) Ivi ed anche Francesco ROSSI, Mussolini e lo Stato Maggiore - avvenimenti del 1940, Roma Tip. Regionale 1951, p. 155, al]. 2. (36) AUSSME, V. Memorie storiche Reggimento ecc. cit. ed anche USSME, La prima offensiva britannica in Africa Seuentrional.e, Roma s.d. (ma 1964), p. 19 (dove peraltro è omesso il IX btg). (37) Carri annati in servizio fra le due guerre a cura di B. BENVENUTI, Fronte terra, voi. 1 cit., pp. 23-24. (38) AUSSME, Memorie storiche Reggimento ecc. cit. (39) USSME, I.A g11,=a in Africa Orientale, Roma Tip. Regionale 1952, pp. 18-19 e 34.


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La situazione di partenza.

Gettato così uno sguardo sull'evolversi organico delle truppe meccanizzate italiane fino al 1940 converrà tornare al punto di partenza. Ricominciamo cioè dal 1936, un anno in cui perfino i contemporanei avvertirono l'inizio di una fase cruciale di politica estera. Sull'orizzonte già minaccioso per la presa di potere nazista in Germania, per il successivo riarmo (1934) e per la messa in mora di Versailles non solo da parte dei vinti ma anche dei vincitori (patto navale anglo-tedesco 1935), nel giro di pochi mesi si scatenarono la guerra d'Etiopia, il dissidio con la Gran Bretagna e la Società delle Nazioni, la rimilitarizzazione della Renania, la crisi spagnola e il contemporaneo riavvicinamento italo-tedesco entrato subito nel linguaggio corrente con la nuova significazione della parola «Asse)} (novembre 1936). Ecco in breve la situazione dei mezzi corazzati in Italia. A giugno 1936 esistavano ben 1223 carri armati mentre altri 369 erano in commesa (4o}. Passando dalla quantità alla qualità già sappiamo che il centinaio di Fiat 3000 e la ventina di C.V. 29 erano privi di valore bellico. Inoltre l'esperienza etiopica cui stava per sommarsi quella spagnola evidenziava limiti e difetti del carro veloce (o d'assalto) che, presente in circa 1000 esemplari, costituiva il nerbo dei reparti. Qualche speranza si sarebbe potuta riporre nei progetti in corso di studio, ma non più in quello fra essi maggiormente sviluppato: «il carro d'assalto mod. 36», richiesto in 200 esemplari. Le prime prove avevano dimostrato chiaramente che sarebbe occorso riprogettarlo integralmente. La commessa venne quindi annullata (41l sia pure con ragione, mentre invece nessuna giustificazione seria aveva il clima di irrealistico compiacimento che tendeva a sfuma-

(40) MINISTERO DELLA GUERRA, Relazione S111l'actività ecc. cic., ali. 76, tav. Xill. (41) lvi. I 200 carri «co11 cannoni» (cioè i carri d'assalto mod. 36) segnaci nella tavo la di cui alla nota precedente come «in allesti mento• non vennero mai ad esistenza perchè la relativa com· messa fu annullata.


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re alquanto l'effettiva urgenza di rinnovare il materiale (v. capp. 9 e 10). La situazione dei mezzi da combattimento ruotati non era certo soddisfacente. I veicoli impiegati erano tutti obsoleti o di ripiego ed anche le più recenti Fiat 611, cedute dai Metropolitani al Regio Esercito, non potevano considerarsi bellicamente valide. Mancavano poi completamente i mezzi da ricognizione a quattro ruote motrici con elevata mobilità, in quanto i trattori Pavesi armati con una mitragliatrice, utilizzati in Etiopia, non erano altro che una soluzione di ripiego così come il dotare di un fucile mitragliatore i motocicli e le autovetture Fiat militari. I trattori d'artiglieria risultavano troppo lenti e pesanti mentre gli altri mezzi non potevano allontanarsi dalle strade ordinarie. Analoghe considerazioni potevano infine applicarsi ai non pochi autocannoni da 75 C.K. risalenti alla prima guerra mondiale (42). La sostituzione dell 'autotelaio Itala con il più moderno Ceirano non aveva certo aumentaco la gittata del pezzo e neppure migliorato in modo sostanziale le possibilità fuoristrada. I vertici militari erano a conoscenza di queste carenze, tuttavia la concomitanza di più cause, talvolta indipendenti dalla loro volontà, procurò lentezza nei rimedi spesso attuati in modo poco orgamco.

I piani di potenziamento dell'esercito (1936-1939} Sotco questa etichetta riuniamo alcuni programmi militari elaborati fra il 1936 e il 1938/39 dei qu ali solo l'ultimo (C.S. 41, in due tempi) fu assistito da finanziamento effettivo e n on soltanto previsto, proposto o sperato. ( 42) Secondo una tabella 5 febbraio 1938 del ministero della Guerra questi 75 C .K. erano 282: v. L CEVA, Un intervento di Badoglio L'Cc. cù., ali. 5 bis. Secondo COMITATO PER LA STORIA D ELL'A RTIGLIERI A (d'ora in poi COMITATO), Storia dell'artiglieria itafiAna cit. voi. XV p. 395 e p. 397 essi erano 168 al 15 agosto 1937 e 166 al 1° giugno 1940. Il numero di 166 al 1° ù ttobrc 1939 risulta da ATd R..58.2. RAG. GEN. STAT O, Accertamenti presso Min. Guerra, Roma 5 novembre 1939, ali. A, MIN. GUERRA Situazione anni ,ti 1° ou. 1939.


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Anche i piani non usciti dalla fase immaginativa testimoniano sviluppi di vedute dell'esercito afferenti, tra l'altro, la meccarnzzaz1one. Nel 1942, il generale Antonio Sorice, scrivendo al prefetto di Roma Probo Magrini in occasione di un'inchiesta relativa alla so_cietà Cogne, così rievocava questi progetti che egli conosceva bene per essere stato capo di Gabinetto al ministero della Guerra dal 1936 al maggio 1941: [... ] Con la guerra etiopica ha iniziato una rilevante attività di rifornimento di mezzi bellici da parte dell'a mministrazione della guerra. Prima del 1935, i bilanci militari, oltre alla consueta parte ordinaria, avevano una limitata parte straordinaria che permetteva al Ministero l'attuazione di un ferreo e definito programma con caratteristica però di «riempimento» e non di «allargamento» delle dotazioni delle grandi unità. Le armi, ad esempio, erano quasi tutte quelle residuate dalla guerra 15-18; gli studi si chiudevano con la definizione dei prototipi, rimandando la costruzione su larga scala allo scoppio dell'emergenza; la dottrina, in sostanza, esisteva ed era anzi all'avanguardia del progresso dell'arte militare, ma i mezzi e l'attrezzatura del paese non ne consentivano il travaso nel campo applicativo industriale. Venuta la guerra etiopica, il Sottosegretario di Stato del tempo, generale Baistrocchi, [...] dette un primo impulso alle forniture straordinarie di armi, munizioni, automezzi polarizzando la sua attività sul più urgente rinnovamemo delle armi della fanteria e dei carri armati; non affrontò il grosso problema del rinnovamento delle artiglierie perchè non lo potè; mancavano tuttora i mezzi e l'industria non era attrezzata al punto di affrontare una cosl grossa esigenza. · [...] Il gen. Pariani (successore di Baistrocchi dall'ottobre 1936) nello stesso anno 1936, affrontò il non più dilazionabile problema del rinnovamento delle artiglierie e del potenziamento dell'Esercito sulla base della visione che egli aveva della guerra futura. Lo st udio Pariani prevedeva, per l'attuazione, una spesa di 25 miliardi, di cui la maggior parte da devolversi alla costruzione di armi e munizioni ed all'impianto della difesa territoriale del Paese.[...] Nel 1938 e 1939 furono concessi i primi rilevanti fondi. Nei due anni 36-38 si agitò parallelamente una questione essenziale: il Pariani sosteneva presso il gen. Dallolio, comm issario per le Fabbricazioni di guerra, che l'industria di guerra dovesse adeguarsi alle esigenze dell'amministrazione militare; il Dallolio, invece, che l'amministrazione militare dovesse contenere i propri programmi entro i limiti della produttività dell'indust ria <43)_ (43) ATJR 21.236 lettera del gen. Anton io Sorice al Prefetto Probo Magri ni, Roma 21 febbraio 1942. Brani <l i questo documento in Fortunato lv!Il\1NITI, il problema degli armarrumti nella preparazione milicare it.aliana, in «Scoria Comcmporanea» iebbraio 1978 n. 1, pp. 5-61. Gli orientamenti attribuiti da $orice a Dallolio in tema <li sussidi all'i ndustria bellica sembrano in armonia con la lettera 17 aprile 1934 ind.irizzata da quesc'ultimo, in qualità <li Presidente del Comitato per la Mobilitazione civile, al Capo del Governo. Dallolio informava Mussolini di avere sospeso nei confronti dell'Ansaldo S.A. e della Giovanni,Fossati & C. la corresponsione del Segue


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Com'è noto prevalse la tesi di Pariani alla quale si allineò anche Dallolio. A partire dal 1° settembre 1938 (in coincidenza con la crisi europea poi culminata a Monaco) ebbero luogo riunioni fra i generali Dallolio (rimasto in carica sino al 31 agosto 1939), Pariani e Pintor, i ministri delle Finanze, Thaon di Revel, e degli Scambi e Valute, G uarneri, il Ragioniere Generale dello Stato, Cambi, il governatore della Banca d'Italia, Azzolini, e vari rappresentanti dei gruppi industriali. Alle industrie fu concesso un contributo del 15% sul valore delle commesse affinchè potenziassero i loro impianti. Ricorda Sorice: «il contributo era a fondo perduto e veniva dato contemporaneamente a commesse che l'industria s'impegnò ad espletare negli anni 1941, 1942 e seguenti)) (44l. Non abbiamo notizie precise su ciò che Sorice definiva studio Pariani. Certo si trattava di uno degli accennati piani di potenziamento e forse del maggiore di essi, quello decennale del maggio 1938 che, come sta scritto in un recente volume dell'Ufficio Storico dovuto alla penna del generale Montanari, prevedeva una spesa di 24,5 miliardi per «tutte le necessità derivanti anche dall'aumento della struttura dell'esercito)> (45)_ Segue nota (43} contributo previsto dal R.D.L. 23 dicembre 1923 n. 2871 per quelle industrie cui si prescriveva l'accantonamento d i macchinari atti alla produzione bellica. Dall ol io scrisse: «l'entità dei contributi corris posti alle due D iete dal 1925 ad oggi (per l'amoncare di L. 5 milioni e trecentomila) e la produz.ione finora effettuatasi ed in corso presso i due stabilimenti giustificano in pieno la sospensione di ogni ulteriore contributo». (A.C.S., P .C.M. Gabinctto, 1934-1936, fase. 1.1. 1/3632 Dallol io a Mussolini 17 aprile 1934). È probabile tuttavia che l'orientamento di Da.llolio non sia sempre stato quello attribuitogli da Sorice. Non solo esso - come detto nel testo - mutò nel 1938 (finanziamenti all'industria perchè rinnovasse gli impianti), ma era ancora diverso ad esempio nel 1928. Infatti il 6 dicembre di quell'anno la Commiss ione Suprema di Difesa formu lò un promemoria in cui, rifacendosi a prospetr.azioni del gen. Oallolio (presidente del Comitato per la '!vlobilìtazione Civile), si auspicava la formaz ione di una «Scuola di costruzione d i artiglierie italiane» nella zona di Terni atta a p rogettare, costruire e sperimen tare due batterie all'anno con una spesa annua d i circa 25-30 milioni (da iscriversi come assegnazione straordinaria nel bilancio della Guerra). La scuola avrebbe dovuto sorgere presso uno degli stab ilimenti industriali già csi· stenti e porre le premesse della creazione «anche da noi di una piccola Krupp o Skoda o Schnei· dcr» (AMCR, carte Dallo lio, 9SO, 17). La proposta peralt ro no n ebbe pratica attuazione e probabilmente no n si andò oltre la corresponsione dì qualche comributo a industrie private in base al ricordato decreto del 1923, con risultati insoddìsfacenci, almeno per quanto riguard~. l' Ansaldo, come abbiamo visto sopra. (44) ATdR. 21.236 lettera Sorice a Magrini cic. (45) USSME (Mario .MONTANARI), L'esercito iw.liano alla vigilia della seconda guerra mon· di.de, Roma T ip. Regionale 1982, p. 304.


Vicende della meccanizzazicne alla vigilia del nuovo conflitto mondiale

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Sulla situazione di partenza, all'indomani dell'Etiopia, in tema di programmi militari e di possibili finanziamenti, abbiamo la testimonianza offerta da Pariani in un suo opuscolo del 1949 al quale si rifà anche il citato studio del Montanari. Quando Pariani succedette a Baistrocchi nell'ottobre 1936 la situazione «finanziaria ed amministrativa» era la seguente: - magazzini e dotazioni profondamente intaccati per le esigenze della guerra d'Etiopia; - accreditati al Ministero della Guerra per il reintegro di materiali inviati in A.O.: 5.500 milioni (costituenti fondi straordinari per gli anni finanziari 1936-1937 e 1937-1938) già impegnati in commesse date dal mio predecessore; - il Ministero della Guerra era però ancora allo scoperto per 1.800 milioni pure spesi per la campagna etiopica e già impegnati dal mio predecessore ma non ancora riconosciuti dal Ministero delle Finanze; - nessrma assegnazione per la spedizione in Spagna, pur essendo questa già in atto; - conclusione: non solo nessuna disponibilità di fondi ma un debito considerevole da

sistemare; per giunta: impegno firmato, preso dal mio predecessore generale Bai scrocchi, di non chiedere alcuna assegnazione stracrdinaria fino al 30 giugno 1938 <~6>.

-

Come risulta dal testo parziale del verbale della riunione tenuta da Badoglio coi tre sottosegretari militari il 5 novembre successivo, analogo impegno era stato assunto dai colleghi della Marina e dell'Aeronautica. Inoltre, i tentativi di Pariani di far colmare il debito di 1800 milioni e di prospettare un programma parziale di rinnovamento dell'Esercito per 2.200 milioni si infransero contro gli avvertimenti dati a Badoglio dal ministro delle Finanze circa un disavanzo di bilancio di 5 miliardi considerato preoccupante (47) _ Il generale Montanari, nella ricordata pubblicazione a carattere ufficiale, enumera altri quattro piani di potenziamento anteriori al C.S. 41. E cioè. Piano quadriennale del marzo 1937 «che considerava le necessità di tutti i servizi, lavori difensivi e ferroviari, sistemazione logistica e difesa contraerei, materie prime. Importo: 11 miliardi». Programma in sei tempi del novembre 1937 «che considerava le stesse necessità. Importo: 14,5 miliardi». {46) Ahcrto PARIANI, Chiacchl're e realtà. Lettera agli amici, edizione riservata fuori commercio 27 giugno 1949, p. 10. ( 47) lvi, ali. 1.


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Di quest'ultimo programma si è reperito un promemoria sulla produzione bellica, ispirato - si direbbe - da persone vicine alle opinioni del generale Dallolio (per lo meno a quelle attribuitegli da Sorice). Per quanto riguarda il Servizio automobilistico erano proposte le seguenti considerazioni: N el precedente promemoria si sono prospettati i margini di produzione automobilistica per il 1938 e si è specificato quale apporto di potenziamento delle G.U. [Grandi Unità) del R. Esercito si avrebbe con la utilizzazione [finanziamento-materie prime) di tali margini di produzione. Senza aumenti di attrezzature industriali, che d'altro canto non potrebbero essere provocaci dalla temporanea richiesta per esigenze militari, il calcolo della potenzialità produttiva mensile massima delle ditte automobilistiche e su cui è lecito fare sicuro assegnamento, può essere ragguagliato ai limiti seguenti: Fiac Lingotto

200 autocarri pesanti

Fiat Lingotto Lancia

400 autocarri leggeri 150 autocarri pesanti

Isotta Fraschini

150 autocarri pesanti 150 autocarri pesanti 100 autocarrette

O.M. O.M. SPA Bianchi Alfa Romeo Ansaldo Breda

300 automezzi di vario tipo (autocarri pesanti e leggeri-trattori-dovunque) 100 autocarri leggeri 100 autocarri leggeri 75 carri armati 50 trattrici

Ditte produttrici di materiale motociclistico e ciclistico produzione largamente esuberante a qualsiasi necessità data la grande potenzialità dei rispettivi impianti. In conclusione la produttività massima mensile ottenibile si aggirerebbe teoricamente su oltre 1700 autoveicoli, cifra questa che però potrebbe non essere raggiunta per qualche vicenda di temporanea crisi, o di materie prime, o di lavorazione, o di collaudo. Sembra pertanto che si possa stabilizzare il complessivo rendimento in 1500 unità mensili, anche per avere qualche margine a favore delle altre forze armare, e anche perchè qualche margine va lasciato sugli autoveicoli di nuova produzio ne per le event uali rin novazioni dei materiali automobilistici, che nel frattempo dovessero essere effettuate. Naturalmente cale produzione non dovrebbe essere influenzata dalla intensiva richiesta di parti di ricambio per le quali l'esperienza attuale ha dimostrato che essa spesso incide sulla produzione degli autoveicoli completi. Si pot rebbe perciò fa re assegnamento nel 1939 su circa 1800 automezzi de i tipi sopraindicati con i quali si potrebbe provvedere al completamento di tutte le unità del 1° tempo e di tutte le unirà del 2° tempo eccezion fatta di n. 2 1·eggimenti di ar· tigl. SHppletiva per i qHali non vi è disponibilità di trattori L.A. [Leggeri d'Artiglieria]. Il fi nanziamento occorrente per lo svolgimento del programma I 939 sommerebbe a L. 1.651.000.000 dei q uali L. 411.000.000 circa per materiali di importazione estera.


Vicende della meccani27.,azione alla vigilia del nuovo conflitto mondiale

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Dopo completato il 2° tempo (ad eccezione di 2 rgc. di art. suppletiva) si può provvedere con le esuberanze risultanti: a) a tutti gli altri tempi per quanto si riferisce agli autocarri leggeri, dovunque e aucocarrette; b) a tutti gli autocarri per fanteria dei vari tempi ad eccezione di n. 1600 corrispondenti ad 1/4 del fabbisogno dei tempi 5 bis e 6 bis; c) ai carri armati del 4° tempo e a 1/2 del 5° tempo bis (4s).

In verità sommando le cifre relative a tutti i servizi nella documentazione da noi consultata (v. sempre nota 47) si ottiene un totale di L. 6443 milioni, cioè circa la metà della cifra che leggiamo nello studio di Montanari: 13 miliardi e 500 milioni (49). Il 29 luglio 1938 fu varato un ulteriore piano denominato Provvedimenti per l'efficienza dell'esercito. Anche qui però abbiamo versioni discordanti sull'ammontare delle cifre. Il generale Montanari scrive di 10.500 milioni. La Storia dell'artiglieria italiana indica una spesa di 4.025 milioni di cui 400 destinati ai carri armati e 600 agli automezzi (5o). Altri documenti confermano le singole voci di spesa aumentando però l'importo totale a L. 5.025 milioni per tener conto di ulteriori necessità quali «completamento sistemazione difensiva compresa la Libia, motorizzazione ecc.» (51). Vi è invece sostanziale coincidenza di cifre per l'ammontare delle due fasi del piano C.S. 41 rispettivamente del luglio 1938 e dell'aprile 1939. Su un totale previsto di 9 miliardi e 500 milioni, 1052 milioni sarebbero stati destinati al programma motorizzazio· ne (che comprendeva anche i carri armati) (52). Nel giugno 1939 peraltro lo Stato Maggiore prospettava la necessità di 2.220 milioni per questa sola voce. Ma tuttavia aggiungeva: Prevedendo l'acquisto all'estero degli autocarri pesanti e leggeri dei mococicli e delle autovetture e limitando qui ndi l'allestimento ai soli automezzi speciali (trattori, aucofrigoriferi, autocarri 39, autofficine, ecc.) per:

(48) i\USSME, S.M.G., Promemoria per s.e. il sottosegretario di stato, Roma 9 novembre 1937. Il documento è citato da L. CEV A ( Un inter-vellto di Badoglio ecc. cit. che pubblica l'allegato riguardante il servizio d'artiglieria (aU. 1). (49) USSME (M. MON TANARI), L'esercito ecc. cit., p. 304. (50) Ivi e USSME (M. MONTANARI), op. cii., pag. 304. COMITATO, Storia ecc. cit., vol. xv, pp. 361-366. (5 1) L. CEYA, Un intervent.o ecc. cit., ali. 17, pp. 149-150. (52) Le cifre riportate da M. MONTANARI, sono confermate da AUSSME, Hl racc. 4, Impiego fondi straordinari C.S. 41, Roma 5 settembre 1939.


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- 7 div. aucotrasporcabili - 3 rgt. art. di C.A. speciali - alcune unità previste dal nuovo ordiname nto (art. C.A. e A., 2 div. corazzate, ecc.) occorrerebbero 350 milioni. È possibile assegnare per ora soltanto 240 milioni; alle rimanenti necessità si potrà far fronte in seguito attingendo alla riserva in relazione agli sviluppi pratici dei programmi in corso <53l.

Nell'accavallarsi di questi piani e delle relative previsioni finanziarie non emergono con evidenza le precise ragioni per cui l'esercito non riuscì a potenziarsi adeguatamente. Le cifre dei vari programmi (2.200 milioni, Pariani 1936; 11 miliardi, marzo 1937; 14,5 miliardi, novembre 1937; 24,5 miliardi, maggio 1938; 10,5 miliardi luglio 1938; accettando - per brevità - i dati del generale Montanari) sembrano ridimensionarsi se proiettate sullo sfondo di quanto leggiamo in un'inchiesta sulle spese del ministero della Guerra commessa all'Ispettorato Generale di Finanza. Nella prima relazione in data 25 novembre 1939 è scritto: In complesso tra fondi ordinari e straord inari, sono stati messi a disposizione dell'amministrazione della guerra, dall'esercizio 1934/35 ad oggi (cioè al 1939), miliardi 24 e 112,4 milio ni di lire (54 )_

A tale cifra, sempre secondo lo stesso documento, si doveva aggiungere 10.645 milioni di spese già autorizzate ma da iscrivere negli esercizi successivi fino al 1948/49. Tali nuove spese comprendevano sia i fondi per l'esigenza O.M.S. (Spagna) da contabilizzare sia quelli per le due fasi del programma C.S. 41. L'interpretazione di alcune non lievi voci di spesa riesce ardua: ad esempio, fra gli stanziamenti straordinari (che sommati agli ordinari danno il primo totale di 24 miliardi e 112,4 milioni), troviamo 1 miliardo «per il rafforzamento dell'efficienza bellica del!' esercito>>, un altro miliardo «per servizi e prestazioni dell'Amministrazione della Guerra connessi alla situazione internazionale» e poi 16 miliardi e 609 milioni «per servizi nell'interesse delle Colonie, O.M.S. ed «U»». Che in questo vasto e poco dettagliato vortice non vi fosse

(53) Ivi. (54) ATdR 19.58, Accertamenti ecc. cit., pp. 2-3.


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posto ad esempio per i 2.200 milioni indicati da Pariani nel 1936 come necessari a un «nuovo programma>> è probabilmente vero ma non altrettanto evidente. Preferiamo dunque concentrare l'attenzione su alcune delle voci e cifre più vicine al nostro tema d'indagine, anch'esse del resto non prive di aspetti problematici. Così, sempre nella più volte citata relazione del 28 settembre 1939, leggiamo che «con i fondi assegnati dal giugno 1935 al 15 ottobre 1939 sono stati, fra l'altro, acquistati a mezzo contratti i seguenti materiali» (55): Denominazione del materiale

Quantità

Importo

Autovetture Autocarri Autocarrette Autospeciali Trattori e trattrici Moto mezzi Biciclette Carri rimorchio e rimorchietci Carri armati

2.667 18.644 2.000 863 1.580 5.951 7.000 1.058 1.395

35.348.363 919.616.361 66.000.000 11.999.722 101.263.937 35.502.800 3.853.800 15.854.026 96.741.200

Totale

41.158

1.286.180.209

Costo medio/un. 13.254 49.325 33.000 13.905 64.091 5.966 551 14.985 69.349

Alla soprastante tabella abbiamo aggiunto un solo elemento: l'ultima colonna che, con semplici operazioni di divisione, ci dà il costo medio di ogni unità dei vari tipi di mezzi. Da un promemoria 17 febbraio 1936 del ministero delle Finanze, suballegato 5, ricaviamo che nel 1936 un autocarro Lancia Ro costava all'amministrazione statale L. 65.000, uno SPA 38 R, L 41.500, mentre un carro armato (pensiamo si trattasse del poi abbandonato carro d'assalto mod. 36 per la singolare coincidenza del!' entità della commessa: 200 mezzi) sarebbe costato L. 75.000 <56>. Ma proprio la considerazione di questi parametri fa emergere la singolarità dei costi unitari medi sopra ricavati. (55) lvi, p. 17. (56) ATdR 24.47, CAMBI E., Spese in A.O., Roma 17 febbraio 1936 suballcgaco 5 Materiale

automobilistico impey{ni pro1Jv. 15 febbraio 1936.


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la meccanizzazione dell'Esercito Italiano

Che cosa si deve pensare di «autospeciali» che costano mediamente come le autovetture? Normalmente per «autospeciali» si intendevano ambulanze, autofrigoriferi, auto-officina, e anche autoblinde: macchine in genere più costose di una normale vettura. E che dire poi del costo dei «carri rimorchio e rimorchietti», cioè di prodotti di meccanica assai semplice e di peso limitato all'incirca pari a quello delle autovetture e degli autospeciali (L. 14.985 i rimorchi, L. 13.254 le autovetture, L. 13.905 gli autospeciali)? Ragionando in termini di prezzi per unità di peso un carro d'assalto mod. 36 sarebbe costato all'amministrazione circa L. 20 per ogni chilogrammo e analogo era il costo al chilo di trattori e trattrici. Per i motocicli dove un gruppo motopropulsore, ricco di lavorazioni meccaniche, si accoppiava a un telaio di pari peso, il costo al chilo saliva comprensibilmente a L. 30. Spropositato risulta però il costo al chilo dei rimorchi, paragonato a quello di oggetti di ben più raffinato contenuto tecnologico. Anche tenendo conto di variazioni di costi lungo il quinquennio ed anche immaginando le più innaturali ipotesi (che ad esempio tutti i rimorchi siano stati acquistati in coincidenza del maggior livello dei prezzi e tutti gli altri prodotti in coincidenza di prezzi minori) non ci si può sottrarre a un senso di palese illogicità. Vi è perfino da chiedersi se non siano state proprio illogicità di questo tipo a motivare la prospettiva che balena nel sopra riportato documento 5 settembre 1939: comprare tutto all'estero tranne i soli automezzi «speciali». In quella data, la proposta era probabilmente inattuabile stante la progressiva chiusura dei mercati europei. Resta tuttavia l'interrogativo sulle ragioni che indussero a formularla. Se dunque dal complesso delle fonti potute consultare non emergono i motivi per cui il potenziamento dell'esercito fu canto dilazionato, vi è però un dato che risalta chiaramente: per la meccanizzazione previsioni e spese furono modeste. Al riguardo, come si è visto, abbiamo soltanto: - un dato consuntivo e cioè le L. 96.7 41.200 spese fra il giugno 1935 e il 15 ottobre 1939 per 1.395 carri armati presumibil-


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mente tutti L, vista la coincidenza della quantità di mezzi con altre risultanze; - un preventivo di 400 milioni (su 5.025 o addirittura su 10.500 milioni secondo quanto scrive il generale Montanari) parte di una somma di 1000 milioni prevista per tutte le esigenze della motorizzazione. Questi 1000 milioni, comprendenti la cifra destinata ai carri che non può essere cambiata di molto, si ritrovano, lievemente cresciuti, negli 812 milioni e nei 240 milioni destinati sempre alla motorizzazione nelle due fasi del C.S. 41. Considerate alla luce dell'importanza che avrebbero assunto molto presto i carri armati sono cifre inadeguate e quasi irrisorie. Basti ricordare che uno dei mai realizzati carri d'assalto mod. 36 sarebbe costato L. 75.000 e che, come si vedrà più oltre, il costo dei primi «medi» si aggirerà sulle L. 200.000 a pezzo. Ma tali cifre sembrano adeguate se si riflette alla modestia delle richieste militari di carri fino a tutto il 1938, ed anzi esse divengono perfino esorbitanti se si pensa alla ancor più ridotta capacità o disposizione dell'industria a fornire modelli utili all'esercito e non soltanto alla soluzione di altri problemi. Ma tutto questo ci riporta al tema della produzione industriale dei corazzati e le sue vicissitudini (1936-1940). Le cifre di cui ai paragrafi precedenti suggeriscono ulteriori considerazioni. I 1395 carri armati acquistati nel quinquennio 1934-1939 erano tutti del tipo «veloce» da 3.5 tonnellate nelle sue varie versioni. Poichè al giugno 1936 ne erano stati distribuiti circa 100 della prima commessa e 931 della nuova commessa di 1300, nel periodo di tre anni l'industria italiana avrebbe prodotto per il Regio Esercito solo circa 400 carri armati (poco più di 5 mesi di produzione) tutti di un tipo già ritenuto inadeguato dallo Stato Maggiore. Il generale Pariani, in un not0 promemoria del 14 gennaio 1939, vantava: I carri armati, non ostante le cessioni, sono aumentati da 1042 a 1337. Entro la primavera del 1941 ne saranno allestiti altri 560. È stata iniz iata la produzione del carro M <57>, (57) L. CEVA, Un imervento ecc. cit., allegato 18, p. 156.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

Nel biennio 1937-38 quindi l'Ansaldo avrebbe consegnato non meno di 295 esemplari di carro veloce al Regio Esercito, e l' esistenza di 1337 carri a fine '38 ben s'accorda con i 1320 Ansaldo L3 in distribuzione il 28 ottobre 1940 (ss). Questi dati, oltre a confermare la difficoltà di superare la fase «carro veloce», confermano la modestia delle perdite subite in Etiopia e in Spagna. L'incidenza delle guerre di Etiopia e di Spagna sulla nostra impreparazione militare, è argomento che ha dato luogo a opinioni diverse. Nell'immediato dopoguerra, le avventure del 1935-39 erano in genere ascritte fra le cause determinanti dei posteriori insuccessi. Poi si preferì abbandonare l'argomento sul presupposto che né in Etiopia né in Spagna potevamo avere perso quei mezzi moderni che mai avevamo avuto. A quest'ultima tesi sembra ancorato il gen. Montanari che tuttavia, nel noto volume considerato in questi capitoli, contorna il suo giudizio anche con altre affer. . maz10m: Tirando le somme è lecito osservare che la tesi secondo la quale le guerre d'Abissi· nia e di Spagna avrebbero depauperato l'esercito italiano di materiale prezioso appare estremamente discutibile, posto che il vero, grosso - ed irrisolto - problema per noi fu la carenza, quando non l'assenza, di mezzi moderni. Il problema fu visto e messo a fuoco, ma questo servì a poco di fronte a difficoltà economiche notorie; ad ogni modo sorge il dubbio, fondato, che a prescindere dal ritardo col q uale furono concessi i fondi necessari, l'inizio della produzione in serie sia stato ostacolato da un lato da un certo timore sulla possibiJe prossima inadeguatezza del materiale in questione e dall'altro da un'atavica ristrettezza mentale (59).

Forse la questione è meno semplice di così. L'influenza negativa dell'Etiopia e della Spagna dovrebbe essere considerata non solo per quei mezzi moderni che realmente vi perdemmo (molti degli aeroplani, parte del materiale automobilistico e delle armi contraeree e di fanteria), ma anche ricordando che la guerra successiva fu prevalentemente combattuta con materiali del 1915/18 dei quali una maggiore disponibilità sarebbe riuscita utile (artiglierie soprattutto). Bisognerebbe poi calco-

(58) AUSSME racc. 3 s. 1° v. anche USSME, L'esercito ecc. cit. p. 270 che riporta parzialmente il documemo dimenticando di segnalare che è posteriore al 28 ottobre 1940. (59) AUSSME (M. MONTANARI), L'esercito ecc. cit., p. 251.


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lare come e quanto il costo economico delle spedizioni 1935-39 abbia compromesso o rallentato il finanziamento dei programmi militari. Comunque, per rimanere al nostro tema, l'affermazione del generale Montanari è senz'altro da condividere limitatamente ai mezzi corazzati: i pochi carri veloci perduti facevano parte di un materiale la cui produzione, dal punto di vista dello Stato, era non solo inutile ma addirittura dannosa sia per i costi sia per le materie prime, tante o poche, che assorbiva senza costrutto. Vi è poi l'accenno del generale Montanari al timore della «possibile prossima inadeguatezza del materiale» nonchè alla «atavica ristrettezza mentale». Ora, quest'ultima non sarà certo mancata, nell'esercito come in altre branche dell'amministrazione. Quanto ai timori sulla «possibile prossima inadeguatezza» del materiale tutt'altro che insensati, essi ci sembrano avere giocato soprattutto a partire dal 1939 / 40 almeno per quanto riguarda i corazzati. Sul che ritorneremo. D'altra parte, rimarrebbe sempre da dimostrare che una immediatezza nelle decisioni sarebbe stata poi seguÌta da tempi accelerati di costruzione e messa a punto dei nuovi prototipi di mezzi corazzati. La tesi del generale Montanari, assolve poi d'ufficio la controparte industriale. Ma questa assoluzione, non sembra confermata dai documenti potuti consultare. Già si è accennato alle inizialmente contrastanti vedute di Dallolio e di Pariani. Per Dallolio, presidente del Comitato per la Mobilitazione Civile dal 1923 e di quello per le Fabbricazioni di Guerra (Cogefag) dal 1935, giocava quasi certamente l'esperienza della prima guerra mondiale. C'è da supporre che egli temesse il rinnovarsi di episodi deteriori quali l'acquisizione di mezzi non riusciti e fabbricati solo per «mantenere inalterata la capacità produttiva» (60l e che stimasse pericoloso contribuire all'espansione di impianti

(60} Questa frase, densa di implicazioni, venne spesso usata per giustificare molte commesse. Il promemoria ispirato ai concetti di Dallolio (e citato sopra alla nota 43} afferma, riferendosi alla prima guerra mondiale: «i materiali nuovi (autocannoni da 102 e 105, obici da 149 mod. 1916 e da 105, cannoncino da fanteria, installazioni varie pe r le artiglierie tratte dai fo rt i ecc.) hanno fatto pessima prova e sono stati tutti radiati durante la guerra stessa o sub ito dopo».


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

al di fuori di un preciso piano di produzione. La posizione di Pariani, d'altro canto, poteva giustificarsi sia pensando alla difficoltà di acquisire macchine e impianti in una situazione di chiusura di mercati o di limitata accessibilità agli stessi che avrebbe caratterizzato almeno le prime fasi di una guerra condotta insieme con la Germania sia alla luce della quotidiana realtà industriale del paese: tempi lunghissimi per la conversione o il potenziamento di linee produttive, chiaro desiderio del Governo fascista di non compromettere il consenso interno con una pesante disciplina bellica della produzione e dei consumi. Non è poi questa la sede per accertare quanto la posizione di D allolio fosse correlata a convinzioni politiche antibelliciste e quanto invece le idee di Pariani fossero influenzate dall'intima convinzione, più volte esternata, che un conflitto contro le democrazie occidentali fosse inevitabile e tutto sommato desiderabile.

Esercito e necessità «sociali» del/ 'industria.

Alla luce di tali contrastanti ma non immotivate visioni, torniamo alla spinosa vicenda dei rapporti fra esercito e industria. Abbiamo visto come verso la metà degli anni '30 la regolamentazione militare guardasse allo sviluppo dei coràzzati con visioni di indubbia ampiezza assistite da idee abbastanza precise sulle caratteristiche e l'impiego di determinate categorie di mezzi. Altrettanto faceva la pubblicistica più seria. Ricordiamo, come esempio di quest'ultima, un articolo del tenente colonnello Italo Caracciolo pu bblicato sull'autorevole Rivista di artiglieria e genio nei primi mesi del 1934 e intitolato Le corazzature dei carri armati e le armi anticarro. Lo scritto così esordiva: L'azione dei carri armati si svolge in due fasi successive aventi, rispenivarnente, come finalità quella di: 1) portarsi rapidamente nella zo na degli obiettivi;


Vicende della meccanizzazione alla vigilia del nuovo confliuo mondiale

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2) annientare gli obietcivi, o quanto meno neutralizzarli per un tempo sufficiente. La prima fase p uò essere definita «marcia verso gli obiettivi»; la seconda «assalto.,, <61>.

Insieme con alcune scolastiche affermazion i di principio sulle differenze fra i diversi compiti attribuiti ai carri, leggiamo: L'anzidetco discriminante dell'azione del carro nelle due fasi d i «marcia» e d i «assalto», sì diffe renti nei fi ni e q ui nd i nelle modalità pratiche, impongono al costr utto re problemi fra loro contrastanti[ ...]. Un esame d i questo genere non può essere svolto in un campo esclusivamente astratto, ma deve essere fondato sull'esperienze della passata guerra, aggiornando i criteri e modificando le conclusioni in base a caratteristiche noce, o supposte, dei mezzi che saranno opposti ai carri armat i. Esercitazioni o manovre non possono forn ire, in questo caso che scarsi suggeri ment i. Quali sono infatti, con certezza, le armi tipicamente anticarro che si debbono attribuire all'avversario? <62>.

Dopo un'ineccepibile disamina delle capacità di perforazione delle armi anticarro allora in uso nei vari eserciti e sulla conseguente necessità di maggior corazzatura, il Caracciolo concludeva che l'attacco doveva essere «sviluppato in stretta collaborazione da distinte categorie di carri»: - carri leggeri, più veloci, più agili, meno protetti (per quanto è indispensabile), destinat i a muove re contro gli obiettivi della fanteria; - carr i più protetti e più potentemente armaci, desti nat i a muovere contro obiett ivi più resistenti, a proteggere eventualmente i primi contro attacchi di altri carri armati, e ad aprire ai carri leggeri, ove occorra, il varco nelle difese passive avversarie; - carr i pesanti, o di rottura, destinaci a scon volgere con la loro mole ostacoli ancora più resistenti, e a porcare nell'organ izzazione avversaria un volume di fuoco che superi di gran lunga q uello dei t ipi anzidetti . Questi ultimi carri {tipo 2C) sono però

(61) italo CARACCIOLO, Le coi·az7.1,1ture dei carri ,irmati e le armi anticarro, in «Rivista di artiglieria e genio• anno LXXl[[ f. II febbraio 1934 pp. 343-364, p. 343. Negli anni successivi e specialmente a partire dal 1938 la pubblicistica militare italiana si occupò sempre più ampiamente dei carri armati e del loro impiego, naturalmente presupponendo l'esistenza di mezzi progettati o anche solo previsti. Così ricordiamo: Alfonso DJ PAOLA, I primi carri am1ati in Italia in «Rivista di fanteria» luglio-agosto 1935 (pp. 107 1-1075); Carlo DE SIMO NE, Conviene r:rasformare la brigata corazza ca in divisione corazzata? in «Rassegna di cultura milit.ire - Rivista di fame ria., (febbraio 1938, pp. 80.88); Francesco SIANO, Nuove tendenze cimi la cooperazione delle diverse anni nella battaglia odiemtt in relazione alltt gul'Tra di movimento (Idem, febbraio 1938, pp. 89-99); Paolo BERARDI, Della brigau, corazzata o divisioneche dir si voglia (Idem, maggio 1938, pp. 213-2 18); Carlo DE SIMONE, Ancora qualche parola srdl'impiego della G. U. corazzata (Idem, ottobre 1938, pp. 427-434); Giuseppe ROSNI, l 'annamenw dei carri armati (Idem, settembre-ottobre 1938, pp. 385-393 e 444-455); Corrado CURR.ADO, Mororizm7.ione e meccanizzazione (Idem, novembre 1939, pp. 465-477); Luigi DEL MAURO, I carri armati (organizzazione e impiego) (Ide m, gennaio 1940, pp. 20-26). (62) I. CARACCIOLO, Le corazz.amre ecc. cit., pp. 343-344.


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a tutt'oggi di numero assai esiguo, e il loro costo, e le difficoltà di muovere e di agire, lo rendono di impiego molto discusso e probabile soltanto in terreni e in circostanze particolari <63>.

Assistiamo quindi ad un singolare fenomeno: - un'autorevole pubblicazione ufficiale riconosceva l'inadeguatezza dei carri veloci come unico mezzo di combattimento; - le contemporanee circolari ministeriali sull'impiego dei carri veloci coincidevano con le affermazioni del colonnello Caracciolo; - le prime relazioni dai campi di battaglia confermavano tutti i difetti del mezzo aggiungendone altri dovuti ai particolari teatri di combattimento. Eppure tutto ciò non era sufficiente per interrompere la produzione del C.V. e ad accelerare gli studi su nuovi carri. Il Centro Studi ed Esperienze Motorizzazione (C.S.E.M.) dell'Ispettorato Materiale Automobilistico continuò a valutare mezzi italiani e stranieri. Fra la fine del 1935 e il 1936 vennero sottoposti a prove il carro d'assalto 36 (12 novembre 1935) e la sua evoluzione con l'armamento principale in casamatta denominato carro cannone tipo 36 (25 aprile 1936). Fra gli stranieri furono esaminate le autoblindo austriache ADKZ e ADGZ e il trattorino Steyr (febbraio 1936) nonchè il carro anfibio V4, costruito in Ungheria su licenza svedese Landsverk. Tanto lo Steyr quanto il V4 potevano muoversi sia su cingoli sia su ruote come richiesto dai carristi in Etiopia ed il V4, armato con un cannone da 40/45 abbinato a una mitragliatrice in torretta rotante e una mitragliatrice nella casamatta, aveva uno scafo completamente saldato, equipaggio di 4 uomini e una velocità di 52 km/h <64). Nei taccuini di Pariani si legge la seguente annotazione: 3-7-36 Col. Gorlier Per lo svolgimento del piano RlO (e specie il 10a} occorre portare speciale attenzione sui materiali da ponte e materiali per forzamento di corsi d'acqua.

(63} lvi, p. 361.

(64) Documcnrazio nc in AA.


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Per questi ultimi desidererei sapere: a) che cosa disponiamo per forzamenti da eseguire in superficie; b) che cosa disponiamo o stiamo studiando per azioni subacquee: carri armaci? costumi uso palombaro? lancio con catapulta di uomini alati [sic]? Esaminare la questione e poi parlar mene (c,sJ.

Prescindendo dalla sbrigliata fantasia di alcune proposte, Pariani rivolgeva il proprio interesse verso altri mezzi idonei a soddisfare le esigenze belliche. Una ulteriore conferma è offerta dal programma di motorizzazione fatto studiare da Pariani stesso: 26-6-36 G.le Bancale Occorre compilare il programma motorizzazùme coi seguenti criteri. 1) Punto d'arrivo 3 divisioni celeri 4 divisioni motorizzate 2 brigate motomeccanizzace 7 rgt. bersagl. mocomeccanizzati 4 divisioni con servizi motorizzati (abolizione carreggio) 2 parchi auco per trasporto ciascuno di 1 divis. delle precedenti artiglierie suppi. di C. d'A. l gr. ad ogni divis. 2) Carri d'assalco: 1° tempo 1 cp. carri assalto per divis. (raggruppati però nel C. d' A. 1 pi. carri cannone per divis.) da porcare in seguito ad 1 bcg. per divis. carri assalto l cp. per divis. carri cannone 1 btg. per C. d'A. carri rottura oltre naturalmente ai carri occorrenti alle brigate e reggimenti motomeccanizzati <66>.

Si richiedeva quindi una struttura organica analoga a quella francese ed analizzata dal colonnello Caracciolo. L'unica differenza pratica era nel minor peso e armamento dei carri cannone e rottura rispetto ai «pari impiego)) stranieri. La prevista adozione del carro cannone, in una nuova elaborazione privo della torretta con le mitragliatrici, faceva stilare la già ricordata circolare 10500 del 15 agosto 1936:

(65) Cane Pariani cit., quaderno XII, p. 16. (66) lvi, p. 12.


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La meccanizzazione dell'Esercito Italiano

1° - Il carro d'assalto (C.A.) ha caratteristiche tecniche analoghe a quelle del C.V. Se ne differenzia alquanto per: • - armamento, - costituzione organica dei reparti, - modalità d'impiego. 2° - In relazione all'armamento, tre tipi: - carro d'assalto comune (C.A.) identico al C.V. - carro d'assalto con lanciafiamme (C.A.L.) armato di 1 mitr. e di ! lanciafiamme (con rimorchio) - carro cannone (C.C.), armato di 1 cannone da 37/26 (anticarro). Ha caratteristiche d'ingombro maggiori del C.V. (1,60 invece di 1,40), maggiore visibilità (altezza da terra 1,45 invece di 1,30) e maggiore peso (kg 4800 invece di 3300). 3° - In relazione alla costituzione organica i C.A. sono ordinati in battaglioni e assegnati organicamente ai C. d'A., ma decentrabili per l'impiego alle divisioni. Ogni battaglione comprende: - tante compagnie, su 2 pi. C.A. comuni ed 1 pi. C.A.L., quante sono le divisioni del C. d'A. - 1 compagnia e.e., su tanti plotoni quante sono le ·divisioni del C. d' A.· Tutti i plotoni su 4 carri. Per esigenze addestracive, tecniche e amministrative i btg. sono stati recentemente riuniti in reggimenti (in totale 4). Ogni reggimento ha anche 1 btg. C. di rottura (67>.

È quasi superfluo insistere sul contraddittorio comportamento di uno Stato Maggiore che formalmente limita i ruoli da assegnare al carro veloce e ricerca validi sostituti, in pratjca investe i limitati fondi a disposizione in un mezzo di scarsa efficienza bellica aumentandone le già superflue esistenze. Il generale Pariani era a conoscenza dei limiti del carro veloce se faceva stilare programmi basati su nuovi mezzi. Sul suo tavolo di lavoro erano poi giunte alcune osservazioni dall'Etiopia: 19-11-36 G.le Manera Da osservazioni di un ufficiale estero fatte in A.O., emergerebbero le seguenti considerazioni nei riguardi del carro veloce: l) Impiego non completamente soddisfacente in terreno molto accidentato perchè non riesce a ~uperare scalini bruschi. (si è ora rimediato col carro zappatore) 2) Convenienza di aumentare la velocità senza perèi sacrificarne l'autonomia. 3) Necessità di un maggiore munizionamento. 4) Studiare sistema di raffreddamento delle canne delle mitragliatrici per poter ottenere fuoco contemporaneo.

(67) MINISTERO DELLA GUERRA, ecc. circolare n. 10500 15 agosto 1936 cit., pp. 1-2.


Vicende della meccanizzazione alla vigilia del nuovo conflitto mondiale

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Come conseguenza l'ufficiale ritiene che la soluzione del primo inconveniente po· trebbe trovarsi con l'aumentare lo scartamento e accorciare l'autocarro (sic, ma passo) (68)_

· Le carte di Agostino Rocca e gli stessi taccuini di Pariani permettono forse di intuire alcune cause di un tale comportamento. Scriveva l'ingegner Rocca al prefetto di Genova Umberto Albini: Genova-Cornigliano, 29 agosto 1936 Eccellenza ben conoscendo il costante interessamento e l'autorevole appoggio dell'e.v. alla so· luzione dei problemi, particolarmente di caraccere sociale, della nostra Società, ritengo doveroso segnalare all'e.v. un periodo di crisi che si prospetta per il nostro stabilimento Fossati. Come v.e. sa tale stabilimento impiega parecchie centinaia di operai per la fabbricazione di carri armati: le ordinazioni in corso si esauriranno entro il 20 ottobre con la consegna degli ultimi carri, mentre già dal mese di settembre si esauriranno alcune fasi delle lavorazioni relative. Nell'interesse della produzione ed anche per evitare interruzioni di lavoro per le nostre maestranze, abbiamo prospettato all'on. Ministero della Guerra, con lettera 19 corrente, di cui trasmetto copia allegata al la presente, l'opportunità che le nuove ordinazioni siano definite al più presto possibile. Ho ora il dovere di segnalare a v.e. che, qualora tali ordinazioni non ci fossero con· ferite, restereb bero disponibili, entro onobre, circa 500 operai. Naturalmente cercheremo di evitare il licenziamento determinando delle lavorazioni a turno ed impiegando parte degli operai in altri nostri stabilimenti, ciò che po· crebbe attenuare ma non eliminare la crisi. Voglia scusare il disturbo e gradire, eccellenza, i miei ossequi più vivi e devoti <69l.

Sappiamo come la situazione fu risolta: Genova-Cornigliano, 29 settembre 1936 Eccellenza, facendo seguito alla mia del 29 agosto us., con cui segnalavo a v.c. il prospettarsi di un periodo di crisi per il nostro stabilimento Fossati, sono lieto ora di comu nicare all'e.v. che, nel colloquio da mc avuto ieri con s.e. Baistrocchi, mi è staco dato tassativo affidamento di un prossimo ordine di 200 carri armati. So del cortese autorevole interessamento di v.e. a questo riguardo - che è risultato tanto efficace - e tengo quindi a r ingraziare vivamente l'e.v. a nome de ll'Ansaldo. Già in precedenza, prevedendo almeno in parte questa nuova ordinazione, avevo dato disposizioni per l'approvvigionamento dei materiali, e fin da ieri ho provveduto perchè si completassero questi approvvigionamenci. Sarà così cònsentito di evitare un dannoso periodo di interruzione nel corso del lavoro dello stabilimento Fossati. Voglia gradire, eccellenza, i miei ossequi più vivi e devoti (7o)_ (68) Carte Pariani cit., quaderno XIV, p. 40. (69) A.R. 12.2., R.A. ad ALBINI Umbcno, lett. Genova-Cornigliano, 23 settembre 1936 (datt., c. 2, pp. 2, n.n.). (70) A.R. 12.3, R.A. ad ALBINI limbeno, lctt. Genova-Cornigliano, 29 settembre 1936 (dan., c. 2, pp. 2, n.n.).


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i.A meccanizzazione dell'Esercito Italiano

Al riguardo si osserva: - quando ormai gli orientamenti militari erano cambiati, 200 carri veloci furono commessi facendo scontare all'esercito necessità di ordine «sociale». È difficile escludere che anche gli altri carri veloci ancora successivamente costruiti abbiano avuto diverso patrocinio. Non dimentichiamo che al 31 ottobre 1936 il Fossati annoverava 2089 operai e che molte lavorazioni meccaniche venivano-eseguite al di fuori degli stabilimenti. Inoltre non possiamo, per le già accennate difficoltà, dimostrare che un simile atteggiamento sia stato tenuto dalla Fiat, partner motoristico dell' Ansaldo, ma sarebbe probabilmente utopistico escluderlo; - risulta sempre più motivato l'orientamento, almeno temporaneo di Dallolio. Come infatti non temere che il potenziamento degli impianti a spese dello Stato si risolvesse poi nell'obbligo per quest'ultimo di acquistare un sempre maggior numero di «ferri vecchi»? Nel campo dei meccanizzati la grande industria italiana si era espressa solo con costruzioni su licenza e derivazioni da prodotti esteri (Renault, Carden Loyd), in qualche caso marginalmente migliori degli originali. Si è spesso parlato di lunghissimi tempi di messa a punto dei nuovi progetti a causa delle richieste ministeriali, tuttavia sarebbe antistorico dimenticare l'innumerevole serie di prototipi industriali non riusciti. Quanto precede varrebbe benintesto anche nel caso non impossibile che i 200 carri armati ordinati all'Ansaldo per le preoccupazioni «sociali» di Rocca e del prefetto Albini fossero stati «carri d'assalto mod. 36»: non si può escluderlo considerando il numero di 200 e il fatto che la vicenda ebbe luogo proprio negli ultimissimi tempi di Baistrocchi (fine settembre 1936). In tal caso sarebbe stata data per finalità «sociali» addirittura una commessa che dovette subito dopo essere annullata da Pariani per l'ancor peggiore qualità del prodotto. E in ogni modo come già visto, nel biennio 1937-38 l' Ansaldo potè vendere all'esercito almeno 295 carri, tutti sicuramente «veloci» da tre tonnellate.


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Anche Pariani dovette accorgersi che il potenziamento dell'esercito passava in seconda linea di fronte a «necessità sociali» se . . annoto SUI suoI taccuim: \

22-10-36 Col. Sorice Dobbiamo portare l'attenzione nei licenziamenti dato che alcune fabbriche stanno riducendo t roppo perdendo persino [,] dirà lo stato maggiore (,] degli specializzati. Breda di Roma (mitragl. e fucili) 2800 op. Iac di Tivoli (maschere ancigas) 1200 op. In sostanza evitare di fare del nuovo, consolidare il vecchio <71>.

{71) Carcc Pariani cit., quaderno XIII p. 20. Abbiamo visto al cap. 4 come un ministro della Guerra (gen. Zupelli) ed uno storico (R. \Xlebster) avessero ben indiYiduato la capacità ricattatrice dell'Ansaldo. La stessa attitudine della Fiat non era sfuggita, e da gran tempo, al capo del Governo fascista, il quale, in una lettera del 5 luglio 1927, scriveva al prefetto di Torin o: «Ad evitare il grave ed assurdo pericolo che la Fiat finisca per considerarsi una istituzione intangibile e sacra allo Stato alla pari della Dinastia, della Chiesa, del Regime e aYanzi continue pretese, bisogna considerare la Fiat come una intrapresa privata simile a migliaia di altre, del destino delle quali lo Stato pu ò anche disinteressarsi. La Fiat ha molti o perai sta bene, ma questo non le dà titolo a speciali privilegi. li numero di operai passibili di licenziamenro può essere un elemento di considerazione benevola nel caso che la Fiat sia in linea col Regime; altrimenti i progettati licen· ziamenti han no l'aria di un ricatto che il Governo fascista non subirà mai, anche se la Fiat chiudesse - domani - tutte le sue officine. lo credo che un atteggiamento di perfetta indi fferenza, di fronte alla condotta e alle vicende della Fiat, sia quello da seguire. Il problema della disoccupazione sarà affrontato dal Regime con i suoi mezzi al momento opportuno. La Fiat faccia il suo gioco. li Regime fa il suo. Questa specie d i ossessione - a fondo ricattatorio - su quello che fa o non fo, farà o non farà, l'i mpresa privata della Fiat, deve finire" (b rano cir. da Piero MELOGRANI, Gli indmrriali e Mussolini, Rapporti tra Ccnfindustri_a e Fascismo dal 1919 al 1929, Milano Longanesi 1972, p. 221 e nota 112). Basta una conoscenza anche superficiale dell a storia della Fiat e dell'industria italiana per con· statare quanto Yelleitari fossero questi propositi. Mussolini nel 1927 tocca uno dei momenti di massima ostentata indipendenza rispetto al poicrc economico. Ma una cosa era imporre un rapporto di cambio con la sterlina (la •quota 90..) in cui molti industriali vedevano più pericoli che Yantaggi o varare chiassosamente prudenti disposizioni sindacali o innocue dichiarazioni di principio quali la «Carta del lavoro»; e ben altra sarebbe stato accettare il rischio di vistosi fenomeni di disoccupazione nei grandi centri. Si può dubitare che tale forza avrebbe avuto il precedente stato definito dal capo del Governo «demo-liberale agnostico e imbelle•, ma è del tutto escluso che potesse avercela il regime fascista costretto a destreggiarsi tra velleità ami-borghesi-social istoidi e il bisogno d i mantenere attenri equ ilibri col mondo dell'industria e della finanza. Altri erano gli spazi di autonomia «strategica• di Mussolini: il terreno delle libertà di opinione, di critica ecc. poco semico non solo dalla classe economica ma anche dalla massa scettica degli italiani e, sorprendentemente, quello della politica estera dove, fosse per corta vista o per atrofia da lunga immob ilità, i vertici econom ici si affidavano al tempismo o alla fortuna del dittatore olt rechè a mai trascurate ma neppur sempre sicurissime vie di autonomo salvataggio. V.: Mario ABRA TE, LA lotta sindaca· le nella industrializzazione in Italia, Milano Angeli 1967; R. DE FELJCE, Mussolini il fascista, II, Tori no Einaudi, p. 222-296 (specie pp. 264-286); Valerio CASTRONOVO, Agnelli, cit., pp. pp. 590-596 e passim; Piero MELOGRAN I, Gli i11d11striali e Mmsolini ecc. cit.; Roland SARTI, Fa· scism and the Industriai leadership in !taly 1919-1940, Berklcy, Los Angeles, London, University of California Press 1971, specie pp. 99, 113-133. V. anche Felice GUARNERI, Battaglie ecoMmÌ· che tra le due grandi guerre (2 voli.), Milano Garzant i 1953, I, pp. 146-178.


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Meno di un an no dopo, Rocca si rivolgeva al segretario del partito fascista minacciando il licenziamento di 982 operai del Fossati per mancanza di lavoro. Ma questa volta Pariani si opponeva con energia alla richiesta di Rocca appellandosi - secondo competenze del tutto naturali in quel «regime» - direttamente al Segretario del Partito fascista: Roma, 25 agosto 1937 Caro Starace, fo seguito alla mia 46437 del 2 corrente, circa la richiesta di lavoro fatta dallo stabilimento Fossati S.A. Ansaldo allo scopo di evitare il licenziamento di circa 982 operai. Anche nel campo delle artiglierie e del relativo munizionamento la ditta in questione è sempre stata tenuta presente dall'amministrazione della guerra; ma ritengo opponuno farti presente che la ditta Ansaldo si trova tuttora inadempiente agli obblighi contrattuali per diverse forniture che le sono state affidate da questo ministero. Ti trascrivo le più importanti: - allestimento di 48 complessi da 149/40: le consegne avrebbero dovuto essere iniziate lo scorso luglio ed ulti mate entro il gennaio 1939. Con lettera data 21.6. e.a., la ditta ha comunicato che non potrà iniziare le consegne che al 1 aprile 1938 per ultimarle al 1 ottobre 1939; - allestimento di 50.000 bossoli da 105/28, di 320 bossoli da 305/8 e 1040 bossoli da 305/10: le date di consegna delle rate e delle forniture sono già scadute e non si è avuta ancora nessuna consegna; - allestimento di n. 300.000 bossoli da 65/ 17, n. 136.000 bossoli da 76/45, n. 120.000 bossoli da 100/17, n. 88.000 bossoli da 149/13: i termini di consegna sono scaduti il 31 luglio u.s. e non si sono ancora avuti i materiali. Si deve quindi concludere che per quanto riguarda il Ministero della Guerra I' Ansaldo ha una notevole eccedenza di commesse che assicurano lavoro almeno fino all'autunno 1939 (72)_

La protesta del sottosegretario era vibrata, però sta di fatto che, come dai dati già visti, all'Ansaldo fu permesso di vendere all'esercito almen o altri 200 carri veloci costruiti nel 1938-1939.

Le manovre in Sicilia e la regolamentazione. Intanto, come già detto nella prima parte di questo capitolo esaminando l'evoluzione organica, si addiveniva (6 luglio 1937) alla creazione sulla carta di due Brigate C orazzate. Ma queste, nonostante la già ricordata circolare ministeriale 10.500 avesse ben (72) A.R. 14.1, PARIANI Alberto a STARACE Achille, leu., Roma, 28 agosto 1937 (dm. c.2, pp. 2 num).


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illustrato fino dal 15 agosto 1936 l'impiego del carro d'assalto mod. 36, non poterono essere dotate che degli unici veicoli da combattimento disponibili: i sempre più vetusti Fiat 3000 e i soliti C.V. 35. In realtà solo una brigata corazzata, nettamente sotto organico, potè essere sperimentata alle esercitazioni in Sicilia. Tema delle grandi manovre era la tentata invasione dell'isola. Si supponeva che il Partito Rosso, forte appunto di una Brigata Corazzata, fosse sbarcato alla mezzanotte del 12 agosto 1937 sulle coste occidentali dell'isola e dovesse essere contrastato dal Partito Azzurro al comando del generale Ambrosio. Fino al 16 agosto i «rossi» «proseguirono nella loro avanzata, talmente lenta che solo a quattro giorni dallo sbarco la regione tra Marsala e Maza_ra sarebbe caduta sotto il loro controllo» (73l, Solo il 17 agosto, giorno conclusivo delle manovre, entrò in azione la Brigata Corazzata dei rossi, ma il generale Nicolosi usò i carri armati «nel modo certo meno adatto, giacchè si trovarono a dover passare in una conca ad imbuto, sbarrata nella sua parte p iù stretta dalla «Peloritana», e a doversi inerpicare per le ripide falde della montagna, dove, ad attenderli, si trovavano già schierati i cannoni di quella divisione» (74). Le esercitazioni dunque si erano chiuse non solo con la consueta e obbligatoria sconfitta dell' invasore ma anche, in sostanza, con una patente di stupidità a suo carico, il che non deponeva certo a favore di chi aveva immaginato il tutto. La cosa non fu taciuta n eppure dall'addomesticatissima stampa del tempo. Paolo Maltese, in un suo recente volume, riporta quanto Aldo Valori scrisse sul «Corriere della Sera» a proposito della tattica suicida del Partito Rosso: Se ne accorsero, anche allora, che qualcosa non andava, se ne accorse, ad esempio, Aldo Valori, che sul «Corriere della Sera» doveva osservare appunto come il comando rosso avesse fatto «un uso della brigata corazzata che non era Stato affatto previsto, anzi neppure consono con i fini che la nuova unità meccanizzata si propone. Ci era stato spiegato, infatti, sin dal primo giorno che tale unità era destinata a compiere una azione di sfondamento. Invece la brigata corazzata si è in realtà comporta·

(73) Paolo MALTESE, Lo sbarco in Sicilia, Milano Mondadori 1981, p. 21. (74) Ivi, p. 22.


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ta da semplice unità celere ... È evidente che essa in tal modo non ha potuto dare la misura delle sue capacità» (75)_

La futilità di un simile trionfino si riflette parzialmente anche in un documento interno elaborato dal comando del Corpo cl' Armata di Palermo (generale Ambrosio) intitolato Alcune considerazioni e proposte sulla costituzione e sull'impiego della divisione corazzata e messo in circolazione dal capo di Gabinetto Sorice 1'8 novembre 1937. Il documento, al quale abbiamo già accennato (v. retro nota 13), nella sua premessa tendeva a giustificare l' impiego improprio della Brigata dovuto a «ragioni di manovra». Ammetteva però che essa «non potè dare la sensazione della sua potenza» sia per gli «organici ridotti» sia per l'impiego «come unità celere motorizzata». Proseguiva poi con sensate considerazioni sull'inidoneità del reparto anche al solo compito di «rottura d'una consistente organizzazione difensiva nemica». E, sempre in questa prospettiva, ammetteva non fosse necessaria una dotazione propria cl' artiglieria dovendo, nel corto raggio, bastare quella delle vicine unità normali. Sottolineava peraltro la necessità di rendere più mobili i pezzi da 47 con trazione cingolata. M igliorare i collegamenti.

nonchè di perfezionare tecnicamente i carri «per renderli sempre più capaci di agire su qualsiasi terreno». Ma più importante era la conclusione propositiva del testo di Ambrosio, una «codina» di pochissime righe, in parte già riportate più indietro, e che costituivano un vero e proprio richiamo alla serietà e alla coerenza: L'allegato 4 alla circolare 10600 [sic, ma 10.500] del C.C.S.M. dice che la brigata corazzata può anche essere impiegata per azioni d'urto sul fianco nemico e per cooperare con altre divisioni speciali. E cioè la brigata deve poter manovrare mentre ora ha carattere rigido, perchè destinata unicamente a progredire e schiacciare. Quindi, come è detto nel citato allegato, occorre integrarla, per detti compiti, con altri elementi che le consentano la manovra, le diano sicurezza in terra e per aria e le permettano di esplicare una propria azione d'artiglieria {reparti motomitraglieri, reparti autotrasportati, almeno due gruppi d'artiglieria da 100/17 e da 105/28, mezzi aerei (76)_

(75) Ivi. {76) MINISTERO DELLA GUERRA, Gi11dizi e proposte per unità corazzata sperimentata in Sicilia nel 1937, in L. CEVA, Le forze armate, cit., allegato 19, pp. 479-481.


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Caso notevole di eterogenesi dei fini, una manovra sciocca dava risultati apprezzabili. E ciò non soltanto per il già ricordato crescente progresso della regolamentazione che invero, a furia di sagge prescrizioni sull'uso di mezzi che non esistevano, finiva per rassomigliare qualche poco alle famose «grida» spagnole di cui scrisse Manzoni. Ma altresì in settori in cui l'azione di Pariani poteva avere effetti sia pure mediati.

Pariani, Soddu e Rocca. Come sappiamo, dalla fine de 1937 si può notare un maggiore interessamento per le esigenze delle grandi unità corazzate. La necessità di garantire un'adeguata difesa antiaerea, portava Pariani a esigere l'installazione di mitragliere da 20 mm scuciate su autocarri e autocarrette C77l_ Si richiedeva la costruzione di mezzi corazzati per il rifornimento munizioni (7s) e si ritornava a studiare l'autotrasporto delle artiglierie. La motorizzazione e la meccanizzazione risultavano, poi, privilegiate in un piano di nuove commesse del gennaio 1938. Si prevedeva di acquistare 100 carri armati d'assalto o veloci (79l, ma dopo poco più di un mese, Pariani annotava: Per ora sono ordinati con fondi già accantonati 100 carri rottura. Intanto si studia carro assalto. Questa cifra (10 milioni per 100 carri) va quindi per il momento tenuta accantonata (SO).

Di notevole importanza risulta l'appunto del 1.5.38 1-5-38 G.le Soddu Per le direttive da darsi all'ispettorato della motorizzazione. a) Confermo che le caratteristiche da ottenere debbono tendere in ordine di precedenza 1 · autonomia - 2 velocità (in terreno vario) - 3 armamento · 4 corazzatura b) tipi: dovranno essere 3 L = esplorazione

(77) (78) (79) (80)

Carte Pariani, quaderno XIX, p. 32, appunto del 9.9.1937. Ivi, p. 32, appunto del 4.10.1937. Ivi, quaderno XXIII, p. 49, appunto del 11.1.1938. Ivi, quaderno XXIV p. 37, appunto del 12.2. 1938.


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M = combattimento (manovra) P = centri mobili {di fuoco) c) autonomia: 12 h velocità: 15 km/h (su terreno vario) armamento: mitragl. per tipo L (qualche carro cannone) tipo M: mitr. (lanciafiamme) cannone (da 37 e 47) semprechè non a detrimento di autonomia e velocità corazzatura: tipo L e M contro mitragliatrici anche da 13 mm. [sic] d) togliere concetto che carro armato sia elemento di rottura nel senso di abbattere ostacoli, e sviluppare concetto che esso è elemento essenziale di manovra a massa (Sl).

Fortunatamente le opinioni di Pariani non vennero accettate in toto specie per quanto riguarda la corazzatura. La circolare n. 3305 del 19 novembre 1938 forniva un panorama dei mezzi in uso e in corso di definizione, denominandoli secondo le nuove disposizioni che suddividevano i carri in base al loro peso ed all'anno di adozione: - carri L, fino a 5 tonnellate. I C.V. e C.A. venivano ora indicati come L. 33 o L. 35 a seconda della serie di costruzione, mentre i carri lanciafiamme, seguendo la stessa logica, venivano denominati L. 33/lf o L. 35/lf; - carri M, tra le 5 e le 15 tonnellate. I vecchi Fiat 3000, armati di mitragliatrici, assumevano la sigla M21 e i carri cannone quella di M30/c. Questi ultimi venivano definiti a consumazione. Nella categoria dei carri medi si annoveravano due nuovi progetti: - un carro, in corso di definizione, del peso di 7-10 tonnellate, con autonomia a pieno carico di 150 km su strada (contro gli 80 degli L) e 6 ore fuori strada (3-4 gli L). Il confronto fra le velocità massime era tuttavia sfavorevole al nuovo carro (25km/h contro 40km/h). L'equipaggio era di tre uomini e l'armamento consisteva in 2 mitragliatrici da 8mm in torretta, «oppure 1 mitr. ed 1 lanciafiamme, oppure 1 mtr. ed 1 lancia-liquidi)); -

un carro, in corso di allestimento, del peso di 11-13 ton-

(81) lvi, quaderno XXV, p. 40, appunto del 1.5.1938. 11 generale Ubaldo Soddu, già capo di gabinetto al ministero della Guerra dal dicembre 1933 al maggio 1936 (epoca Baistrocchi), dopo un periodo di comando, divenne nel 1938 (epoca Pariani) sottocapo di S.M. dell'esercito per le Operazioni.


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nellate con equipaggio di 3 uomini e armamento di «2 mitragl. Fiat mod. 35 in torretta, 1 cannone da 37/ 40 in casamatta» (82). Nell'elenco compariva con la dicitura in via di definizione anche un'autoblindomitragliatrice del peso di 5500 kg, velocità massima 70km/h, autonomia 350 km, 3 uomini di equipaggio e due mitragliatrici in torretta. Veniva quindi abbandonato il progetto del carro cannone ed in sua vece si richiedeva un nuovo mezzo di peso maggiore, equipaggio più numeroso, ma armato con solo due mitragliatrici. Non molto confortante è la constatazione che i mezzi di collegamento radio, a distanza di più di un anno dalle manovre in Sicilia, fossero ancora tutti in corso di definizione. Meno di un mese dopo veniva pubblicata la circolare n. 3446 dal titolo Impiego delle unità carriste. Sembra interessante riassumere le caratteristiche dei vari tipi di carro previsti: - fra i carri L, ne compariva uno armato di mitragliatrice da 13,2 mm in casamatta. Era questo uno degli ultimi epigoni·del C.V. con un nuovo treno di rotolamento a barre di torsione. L'aggiornamento poteva essere effettuato anche sugli esemplari in dotazione al Regio Esercito durante le revisioni. La documentazione fotografica mostra infatti anche esemplari della prima serie (a scafo saldato) con tali modifiche; - il carro M da 7-10 tonnellate veniva meglio definito. Era richiesto un peso di 7 tonnellate e la velocità massima veniva aumentata a 35km/h incrementando anche l'autonomia su terreno vario a 12 ore. L'armamento prevedeva accanto alla soluzione originale con 2 mitragliatrici da 8mm, anche 1 cannone mitragliera da 20mm e 1 mitragliatrice da 8mm in torretta o 2 mitragliatrici in torretta e 1 lanciafiamme in casamatta; - per l'altro carro medio veniva richiesta un'autonomia di 12 ore su terreno vario, velocità massima di 30-35km/h, equipaggio di 3-4 uomini e, per armamento, un 47mm con una mitraglia(82) MINISTERO DELLA GUERRA COMANDO DEL CORPO DISTATO MAGGIORE, Pronmario di dari organici-recnici-logisrici, circolare n. 3305 fascicolo III, Dari temici, Roma Istituto Poligrafico dello Stato 1938, specchio n. 6, pp. 66-67.


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trice da 8mm in torretta più una o due mitragliatrici di pari calibro in casamatta. Accanto allo M39 si stendeva la specifica di quello che sarebbe stato lo M40; - il carro P doveva avere un peso di 20-25 tonnellate, una velocità massima di 32km/h con un'autonomia in terreno vario di 10 ore. Eccessivo risultava l'equipaggio di 6-8 uomini e irrisorio l'armamento per un centro di fuoco mobile: «3 mtr da 8 in torretta o casamatta e 1 cann. da 47 /32 in torretta» (83l. Da un documento dell'archivio Rocca risulta infatti che l'Ansaldo fin dal 1938 iniziò a studiare sia un nuovo carro sia un pezzo da 47 /32 automatico: T ra i piccoli calibri di cui ~ cenno in precedenza, figuravano in prima line·a, i cannoncini da 47 per carro armato e controcarri. Lo studio per il primo di questi era stato da noi iniziato fin dalla metà del 1938, allo scopo di armare con un tipo di arci{;lieria più potente di quelli fino allora impiegaci, ed a tiro rapido, il nuovo carro di rottura in progettazione presso lo stabilimento Fossati. Verso la fine del '38 la D.5.TAM. [sic ma Direzione Superiore Servizio Tecnico Armi e Munizioni, D.S.STAM] ci incaricò ufficialmente al problema (S4)_

Possiamo aggiungere che la ragionevole scelta di studiare nuove armi automatiche di calibro superiore ai 40 mm è contemporanea agli abboccamenti dell'ingegner Sagramoso (Breda) per ottenere la commessa dei 37/ 40 dei nuovi carri medi. Incaricata della costruzione sarebbe stata la Breda di Roma che già si era distinta per massicci licenziamenti (85l. L'approvazione del programma <<C.S.41» fece stilare p iani di maggior respiro come si vede da questa nota di Pariani del dicembre 1938: Carro armato M 12 [sic ma Mll o rectius M39) - 100 unità inizierà consegna da maggio 39 (primi ottobre) altre 50 unità (entro 39) [illeggibile) (2° serie) Vanno ai reggimenti delle divis. corazzate che passano ai rgt. C. d'A. 2° serie 400 unità più pesanti [M40 o M13/ 40] sono ancora in studio Ad ogni modo Ansaldo e [illeggibile CANSA (gruppo Fiac) o CEMSA (gruppo Caproni)] avranno doppie attrezzature per corazze

(83) MINISTERO DELLA GUERRA COMANDO DEL CORPO DISTATO MAGGIORE, Impiego delle unità carriste, circolare n. 3446, Roma Istituto Pol igrafico dello Stato 1938, p. 2. (84) A.R. 14.51.b, Relazione sull'attività dell'Ansaldo S.A. dal 1939 al 1943 nel campo delle coscrnzioni di artiglierie. Parte generale, s.l. s.d. (ma luglio 1943), p. 14. (85) In argomento Carte Pariani, quaderno XXIV, p. 22, appunto del 22.2.1938.


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Carro armato M8 - si passa agli ordini alle ditte per il tipo (forse si avrà un t ipo d'i niziativa d itte a maggio) (86l.

Molti dubbi sul precedente appunto sono chiariti da alcune note su una riunione del 26 dicembre 1938: Carri ar mati Carro M(12) - Ordinaci 100 + 50 - li avremo entro nove mbre 1939 - Intanto si prepara com messa per 400. Carro L - è in migliorame!1tO ma nessuna nuova commessa. Carro M(8) - Si sta attendendo 1° esemplare (a febbraio-maggio) nessuna commessa (fondi sono tra [per] i 400) Autoblinde Tn commessa: 32 ce le daranno a primavera - (Ne hanno in costruzione anche agli ince rni ed alle colonie) <87l.

La nuova autoblindo era il risultato di diverse esigenze. Già era.stata resa nota al pubblico in un articolo del «Popolo d'Italia» del 2 febbraio 1938 sulle armi della Polizia coloniale o Polizia Africa Italiana - P.A.I. (ss). Lo Stato Maggiore, dopo studi su un veicolo a 6 ruote, si era uniformato alle esigenze dei reparti di polizia ed aveva richiesto un veicolo analogo con modifiche di dettaglio. Anche in questa caso la costruzione dei prototipi procedette molto lentamente e i primi due esemplari, uno nella versione Regio i.,sercito l'altro nella livrea P.A.I., fecero bella mostra in occasione dell'inaugurazione dello Stabilimento Fiat di Mirafiori avvenuta il 15 maggio 1939 alla presenza di Mussolini. Per quanto riguarda il carro medio, che chiameremo di piccolo tonnellaggio, Pariani rimandava giustamente ogni decisione alla presentazione del prototipo da parte delle ditte. L'armamento e le caratteristiche generali ne facevano un mediocre doppione del carro veloce ed in tempi di economie era meglio mantenere le commesse dei carri M a scapito di inutili ibridi <89). (86) Idem, quaderno XXXIII, p. 10, appunto del 2.12.1938. Qui i taccuini d i Pariani sumeggiano un documenw 30 nove mbre 1938 del Min istero della Guerra-Gabinetto relativo non solo ai carri ma anche a trattori d'artiglier ia, autocarri, autovetture, scon c carburanti, material i auwmobilistici in Libia, Spagna ed altro: AUSS.ME, S.M.G.-C .S. Racc. 11,5. (87) Carte Pariani, quaderno XXXIV, p. IO, appu nto del 26.12.1938. (88) Così l'impreciso e lacunoso articolo di G. BUON PENSfERE, Blindo AB-40/43 Ansaldo Fossati-Fiat S.p.A ., in «Eserciti e armi» n. 79, marzo 1981, pp. 67-72, p. 67. L'articolo risulta riscrit· tura di una nota di pari pregio: Pierangelo CAITI, Le blindo SPA AB.40143 in «Sintesi» n. 6, pp. 1-36, p. l. (89) Carte Pariani, quaderno XXXVIII, p. 13, appunto del 29.3. 1939.


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Tuttavia anche per le commesse dei carri M39 stavano nascendo nuove difficoltà come risulta sempre dalle carte di Pariani: 22-6-1939 G.le Basso e per con. Viscontini Soddu Nella costruzione dei carri armati Ml 1 viene lamentato il ritardo nella consegna dei complessi da 37 che si stanno recuperando dagli attuali Fiat 3000 - così pure pcr le mitragliatrici. È indispensabile dare il massimo impulso a questa predisposizione, inquantochè i cannoni stessi debbono essere installati nei carri che dovranno prendere parte alle manovre. La questione dei carri armati è complessa perchè vi sono 2 enti che collaudano[:] S.T.A.M. [Servizio Tecnico Armi e Munizioni] e Servizi Autom. e molce sono le operazioni. Parte meccanica: manovra, comandi etc. (Isp.Moc.) corazzatura, parte ottica, ar mamento, montaggio (Stam) e Serv. Aut. e molte sono le operazioni [sic] <90l.

Nel frattempo «il tipo d'iniziativa ditte» del carro M di «piccolo tonnellaggio» era stato presentato in ben tre successive versioni: la prima con due mitragliatrici da 8mm in torretta, una seconda riesumando il cannone da 37/26 e una 8mm sempre in torretta, una definitiva sostituendo al cannone un cannone-mitragliera da 20mm con ovvio innalzamento del baricentro. Neppure l'incidente capitato a quest'ultimo prototipo, incendiatosi rotolando in una scarpata a S. Polo dei Cavalieri come logicamente paventato per quei tipi di mezzi dall'anonimo «ufficiale estero», fu argomento sufficiente per impedire modifiche ai programmi stilati. Il carro, denominato M6, era una un'ulteriore trasformazione del carro cannone con un nuovo motore più potente e un nuovo treno di rotolamento. Non soddisfaceva le più recenti circolari sia per l'equipaggio di due persone sia per l'autonomia di sole 5 ore. Non era d'altronde in grado di superare gli ostacoli previsti dalle regolamentazioni, eppure, con singolare procedura d'urgenza, venne immediatamente ordinato in più di 500 esemplari senza aver superato le indubbiamente gravose prove militari. È interessante notare come col passare del tempo il ricordo dei fatti si sia modificato. Nel 1941 Valletta scriverà in questi termini del carro armato L6 (denominazione del carro secondo più recenti circolari): La fiat e l'Ansaldo in accordo, su richiesta di nazioni estere, provvedevano alla costruzione per proprio conco, e previo benestare dell'autorità militare, di un carro (90) Ivi, quaderno Xl, p. 17, appunto del 22.6.1939.


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armato da esplorazione con cannone mitragliera da 20 e mitragliera da 8 sistemata in torretta. Veniva così prodotto nel 1939 il primo esemplare di carro L6 che sorto· posto all'esame dell'autorità militare veniva trovato di interesse, e si dava luogo ad una commessa di 583 carri ridotta successivamente a 283 per realizzare sugli altri delle unid da 47/ 32 semovente [ ...] <91>.

Nel gennaio 1944, come già visto, i fatti verranno raccontati dalla F iat in modo ancora diverso: [...] la Fiat-Ansaldo nel settembre 1938 propone lo studio di un carro armato da 5 ton n. La proposta viene respinta, ma poichè a spese Fiat-Ansaldo si costruiscono i campioni, il Ministero della Guerra autorizza l'eventuale produzione soltanto però per vendita a governi esteri (92).

Sosterrà invece Agostino Rocca, in una lettera del giugno 1940 al generale Ubaldo Soddu sottosegretario di Stato alla Guerra: [ ... ) l'Ansaldo di sua iniziativa, a sue spese ed a suo rischio ha prevenuto i bisogni dell'esercico per i due carri M13 e M6, chiedendo al Ministero della Guerra (con lettera FOSTEC 86545 del 19 novembre 1937-XVI) l'autorizzazione a cost ruire detti carri, autorizzazione che fu concessa il 13/ 12/37-XVI (Foglio dell'Ispettorato Motorizzazione S.M. 729) (93}.

La commessa di 583 mezzi sarà assegnata il 18 marzo 1940 mentre l'omologazione avverrà nell 'aprile dello stesso anno. Il fatto non deve stupire in quanto, tranne per l'autoblindo AB40 ordinata in 176 esemplari lo stesso 18 marzo 1940 ed omologata nel medesimo mese, il carro M13 fu commesso in 430 esemplari il 16 novembre 1939 (ridotti a 400 1'11 dicembre) ed omologato nel febbraio dell'anno successivo (94) , La prassi permetteva di dare inizio a molte lavorazioni e consentiva di accelerare i tempi, ma era sicuramente molto rischiosa se qualche difetto fondamentale veniva rilevato in sede di accetazione.

(9 1) Il documento venne pubblicato inizialmente da E. CANEVARI, La guerra italiana ecc. cit., Il, pp. 463-466. V. poi L. CEVA, La condoua italiana della guerra. Cavallero e il comando supremo 1941/1942, Milano Feltrinelli 1975, allegato 13, pp. 155-158. (92) Archivio Centro Storico Fiat, allegato 3 cit. V. retro cap. 9 ed anche V. CASTRONOVO, L'industria di g"erra 1940-43 in ~!calia Contemporanea», settembre 1985, n. 160 pp. 43-55 (v. pp. 49-50). (93) A.R. 12.9, R.A. a SODDU Ubaldo, lctt. Genova-Cornigliano, 18 giugno 1940 (datt. , c. IO, pp. 10 num), p. 8. (94) A.R. 14.27.6, ANSALDO Successione cronologica delle varianti alle ordinazioni di carri armati, s.l. 1943 (4 tav. el iogr.).


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Le richieste del Regio Esercito in fatto di corazzati andavano via via aumentando. È noto che alla fine del 1938 vennero fatte le seguenti richieste: carri M: 268 con una produzione annua di 228 esemplari; carri L: 697 con una produzione annua di 480 esemplari; autoblinde: 48 con una produzione annua di 36 esemplari

(9s).

Nel settembre 1939 l'esercito riteneva necessario avere in linea almeno 400 carri M e 1200 carri L (96). Un'indagine presso laFiat-Spa accertava che, mantenendo l'orario di lavoro a 40 ore settimanali, era possibile costruire mensilmente: 20 autoblindo; 20 carri M6; 15 carri M13 <97l. Il 25 settembre Pariani si incontrava con Agostino Rocca: 25-9-39 G.le Manera e p.con. G.le Soddu È stato da me l'ing. Rocca (Ansaldo) per rappresentarmi la situazione re lativa ai carri armaci. Gli ho detto: 1 - che i lavori procedano con la massima intensità. 2 - Non conviene che moltiplichiamo i cipi. L'Ml 1 ha incontrato: facciamo quello, solo si studi se si può installare il 47 anzichè il 37. 3 - Prenda accordi con il g.Je Manera per nuova ordinazione in relazione alle possibilità in modo che non ci sia intervallo fra lavorazione at tuale e nuo va produzione. Ricengo potrebbe dare 200 elementi nel 1940. Ma occorre spingere per avere presto il prossimo gettito (98).

Da chi mai il sottosegretario sapeva che l'Ml 1 aveva «incontrato»? L'espressione, più adatta forse a una creazione di moda che a un carro armato, poteva essergli stata suggerita dalle citate relazioni sulle manovre d'agosto-in Piemonte che gli saranno magari pervenute in quei giorni (vedi retro note 27 e 28). Ma da .quale di esse? Da quella più sobria che, definito «ottimo» il carro richie(95) (96) (97) (98)

Cado FAVA GROSSA, Perchè perdemmo la guerra, Milano Rizzoli 1946, p. 57. Carte Pariani, quaderno LXV, p. 6, appunto del 23.9.1939. Ivi, quaderno LXIV, p. 26, appunto del 9.9.1939. lvi, quaderno LXV, p. 21, appunto del 25.9. 1939.


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deva tuttavia lo spostamento del cannone in torretta? Il che era molto di più del semplice aumento di calibro prospettato da Pariani a Rocca nel colloquio del 25 settembre. O addirittura dal1' altra encomiastica relazione stilata forse più che dai carristi dagli stessi tecnici dell'Ansaldo (V. retro p. 229-230) Non lo sapremo mai. A noi l'annotazione di Pariani sembra piuttosto riflettere una sorta di disperazione per le lentezze industriali: bene o male dopo sette anni un carro diverso dal solito è uscito dalle officine, facciano quello, non chiediamo altro col rischio di determinare una ulteriore fermata di chissà quanto tempo. In una successiva riunione del 6 ottobre, annota ancora Pariani, fu confermato che, mantenendo l'orario a 40 ore settimanali, come pare si fosse concordato con la Fiat Spa, la produzione mensile avrebbe raggiunto «al massimo 30 carri armati» <99l. Assai importante ci sembra il promemoria inviato da Rocca a Pariani il 17 ottobre 1939 (ioo) e che pubblichiamo integralmente (all. 34). Esso delinea con molta chiarezza l'atteggiamento che da allora in poi assumerà la grande industria di fronte all'esercito e alle esigenze belliche. In primo luogo, Rocca - diversamente da quanto Pariani aveva inteso e segnato sul proprio taccuino il 6 ottobre - fissa così le capacità produttive: 22 carri M 11 al mese, ma solo con due turni di lavoro di 10 ore ciascuno. Tuttavia il nuovo carro M 13, su cui è opportuno basare la nuova produzione, richiede tempi di lavorazione più lunghi per il maggior peso e per la torretta girevole in cui è collocato il cannone da 47.

In secondo luogo, prevedendo che i tecnici avrebbero consigliato di far costruire l'anello di torre e magari la torretta stessa da una delle varie ditte dotate delle necessarie attrezzature (ad esempio, per l'anello, uno dei molti costruttori di rimorchi), Rocca inaugura quello che poi vedremo divenire ritornello preferito nei rap-

(99) lvi, quaderno LXVI, p. 18, appunto del 6.10.1939. (100) A.R. 12.4, ANSALDO, Sviluppo della produzione di carri armati allo stab. Fossati, s.l. 17 ottobre 1939 (datt., c. 3, pp. 3 num).


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porti con l'esercito: nell' «interesse nazionale)> l'intera costruzione dei carri deve avvenire «nell'ambito stesso dello stabilimento Fossati perchè solo in questo centro produttivo possono immediatamente esplicarsi la somma delle esperienze e dei mezzi che hanno consentito in passato realizzazioni imponenti».

Si avvertivano ad evidenza le conseguenze del duopolio Ansaldo-Fiat e della sua difesa ad oltranza. Come abbiamo scritto, il soffocamento della concorrenza non solo aveva dato luogo a prodotti qualitativamente modesti, come il carro veloce, e ad un'attività progettuale tutt'altro che avanzata, ma aveva assicurato l'alimentazione del sodalizio ligurepiemontese - per lo meno dall'autunno 1936 - con commesse di mezzi estranei ai bisogni dell'esercito. Adesso, nel momento in cui le esigenze militari richiedono una produttività maggiore e diversa, l'Ansaldo mette subito le mani avanti per impedire che siano avviate linee produttive di mezzi o di loro parti presso altri stabilimenti. Si può - è vero - sostenere che il programmatico rifiuto di Rocca anche solo a considerare quest'ultima ipotesi non era dopotutto legge dello Stato. Ma purtroppo, come forse avevano diagnosticato Dallolio ed anche lo stesso Ispettorato della Motorizzazione (allorchè - come abbiamo visto in questo stesso capitolo - aveva immaginato di servirsi all'estero per buona parte delle commesse), la forza di alcune grandi industrie risiedeva nelle capacità persuasive più che nella tecnologia avanzata. Per quanto riguarda i meccanizzati, avremo occasione di riscontrarlo ulteriormente. Inoltre, come si legge a partire dal punto 4) del documento,

Rocca sostiene che è possibile ottenere una produzione mensile di 25 carri Ml3, «aumentabile in condizioni eccezionali del 50%,» solo ingrandendo lo stabilimento e utilizzando le macchine utensili predisposte invece per la lavorazione di proietti e bombe. Non possiamo escludere che quest'ultima parte del discorso sia da porre in relazione con la sistematica scalata di Rocca allo stabilimento di Pozzuoli più volte osteggiata dal ministero della Guerra e sulla quale dovremo tornare in prosieguo. Quali invero, se non


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Pozzuoli, ·avrebbero potuto essere gli «altri stabilimenti» ai quali «il Fossati avrebbe potuto regolarmente passare[...] i bicchieri greggi» per la costruzione dei proietti? (v. punto 5) Le decisioni finali risultano da altro appunto di Pariani: 26-10-39 G.le Manera In seguito alla visita odierna del Duce ai carri armati resta stabilito: 1 - L'Ml 1 è definitivamente sostituito dall'M13. Perciò non se ne fanno altri dopo l'ordinazione in via di espletamento. L'M13 dovrà avere la mitragliatrice di riserva con possibilità di impiego antiaereo. 3 - [sic] Passare senz'altro all'ordinazione di 400 M13 tenendo a base le assicurazioni della ditta: 15 carri mese a partire dal luglio 1940; dopo 4 mesi 30 carri mese e nel 41 36 carri mese. Ogni acceleramento dovrà essere tentato. Il semovente da 47 va bene. Occorre solo completarlo con una mitragliatrice (Breda) tipo quella di riserva con supporto atto al tiro antiaereo. Di questi si potrà procedere, non appena definito questo dettaglio [,] ad una ordinazione di 300 (purchè però la produzione avvenga subito). 5 - [sic] Per l'M6 far definire al più presto l'armamento, occorre almeno il 20 ed 1 mitragliatrice; possibilmente anche qui con una di riserva che possa funzionare da antiaerea. Risolto [sic, forse ritengo] se ne potranno ordinare 400 anche di questi purchè ciò non porti il minimo rallentamento nella costruzione degli M13. Sarei dell'avviso di aumentare molto l'ordinazione qualora si potesse ottenere l'installazione del pezzo da 20 (ad es. a sfera) per ottenere la sua utilizzazione anche come antiaereo. Studio dell'utilizzazione dell'M6 trasformandolo in semovente da 75 (sempre accompagnato da mitragliatrice anche antiaerea). 7 - [sic] Studio del semovente distributore di munizioni (potrebbe servire il tipo dell'attuale carro L). Sono contrario ai rimorchi applicati ai carri armati. Posso ammetterli invece qualora [si) tratti di carro e relativo rimorchio entrambi addetti a rifornimento munizioni. In conclusione: procedere con le ordinazioni avendo come direttrice: massimacelerità di produzione dando la precedenza all'M13. Il tutto fatto cioè in modo che non provochi rallentamento di questo carro per noi fondamentale (lOl).

Per quanti torti o difetti possa aver avuto, Pariani si riscatta con questo appunto. Gli ordini dati al generale Manera sono estremamente chiari e logici. Analizzandoli infatti si può osservare che: - dimenticando la precedente battuta, (forse un pò disperata sull'Ml 1 «ha incontrato»), basa la forza dei reparti corazzati sull'allora presunto migliore M13; (101) Carte Pariani, quaderno LXVIII, pp. 5-6, appunto del 26.10. 1939.


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trova un utile impiego quale carro antiaereo (e al limite come semovente da 75) allo M 6 che in pratica gli era stato imposto. L'idea, pur non originale in assoluto, era tutt'altro che sciocca; - riconoscendo l'importanza dell'offesa aerea (in ciò Pariani aveva dato più d'una direttiva poi disattesa) richiede per tutti i mezzi corazzati un,arma antiaerea;

- ravvisa qualche validità nel semovente da 47 /32 Bohler su scafo L3 valutato nel 1939 al C.S.E.M. In fondo già nel 1934 lo aveva richiesto e le manovre in Sicilia del 1937 avevano confermato l'urgenza di rendere «mobili e cingolati)) i pezzi da 47. Inoltre, sarebbe stato un modo di trarre profitto dai sovrabbondati carri leggeri che l'industria era riuscita a somministrargli; - sull'esempio francese e inglese, e confermando i suoi appunti del 1937, ribadisce la necessità di studiare mezzi corazzati per i trasporti logistici avanzati, indicando un'altra via per mettere a profitto l'esuberanza di carri L. A conferma sia dell'accettazione delle idee di Pariani sia delle esigenze dell'Ansaldo nonchè dell'accennata politica probabilmente seguita da Agostino Rocca riproduciamo la lettera inviata dal Consigliere delegato dell'industria genovese a Pariani il 30 ottobre 1939: Eccellenza, a seguito di quanco ebbi l'onore di esporvi nel colloquio del 22 corr. e delle notizie che mi riferisce l'ing. Rosini, mi pregio d i assicurarvi di aver d isposto per l'esecuzione dei seguenti studi: a) sistemazione del cannone da 47 Ansaldo semiautomatico a corto rinculo sull'affusto semovente già realizzato col cannone Breda-Bohler; b) abbinamento al cannone di una mitragliatrice cal. 8; c) sistemazione su detto affusto di una postazione per tiro anciaereo; d) progetto di un affusto semovente con cannone da 75 sullo chassis dell'M6, che utilizzi il munizionamen to del 75/18; e) armamento dell'M6 con un cannone automatico da 20 che possa effettuare il tiro anticarro e il ciro antiaereo; t) veicolo blindato per il rifornimento munizioni sul tipo della «CheadJette» Renault. Circa la produzione dei carri armati M13 mi pregio confermarvi che utilizzando l'area e pan:e del macchinario attualmente adibiti alla lavorazione meccanica dei proiettili [sic, ma proietti) e integrando opportunamence gli impianti esistenti del nostro stabilimento Fossati si può fare assegnamento su una produzione di 15 unità/mese a partire da fine luglio 1940, per raggi.u ngere nei 4 mesi successivi le 30 unità/mese. E ciò semprechè sia possibile ottenere la tempesti va disponibilità delle materie prime occorrenti.


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Per raggiungere la produzione massima prevista dal Fossati, si presenta ancora qualche difficoltà di ordin.e siderurgico per la produzione di lamiere-scudo. Anche questo problema è allo st udio ed ho piena fiducia che esso possa essere tempestivamente risolto. Per quanto riguarda il trasferimento dal Fossati a Napoli della lavorazione delle granate da 75/ 46, sotto gli auspici dell'I.R.I., sono state iniziate le opportune trattative con la Navalmeccanica di Napoli [ ...] <102>.

Ma il generale Alberto Pariani potè appena dare una scorsa a questa missiva e accennare, in due righe di cortese risposta, d'aver «passato tutto)) al successore. Quello stesso 3 novembre infatti egli era stato sollevato dalle cariche e rimpiazzàto, allo Stato maggiore, dal maresciallo Rodolfo Graziani (con Roatta per sottocapo) e, al ministero, dal generale Ubaldo Soddu. Molte idee di Pariani accettate da Rocca furono abbandonate e neppure ebbe immediato seguito il proposito ansaldino di trasformare Pozzuoli nel secondo centro per la produzione dei carri. Più tardi Rocca, in una lettera al presidente dell'I.R.I. sosterrà che il ministero della Guerra avrebbe motivato il rifiuto relativo a Pozzuoli con l'argomento che la produzione dei carri «non avrebbe avuto grande sviluppo». Il 18 marzo 1940 la direzione generale della Motorizzazione ordinava altri 241 carri M13, elevando così a 641 il numero degli esemplari commessi oltre ai già ricordati 583 M6 (L6) e alle 176 AB40. Invitava altresì l'Ansaldo ad accordarsi con la Fiat «per affidare ad essa la produzione dei 583 carri L6» (secondo la nuova denominazione) <103) .

Riflessioni. Il maresciallo Graziani, nuovo capo di S.M. dell'esercito, ricorderà in un suo libro del dopoguerra: Ai primi di gennaio 1940 mi recai a visitare il centro della motorizzazione ai prati di Castello [era ed è tutt'ora in viale Pinrnricchio]. Là il generale Manera mi fece

(102) A.R. 12.5, R.A. a PARIANI Alben:o, lett. Genova-Corn igl iano, 30 ottobre 1939 (datt.,

c. 2, pp. 2, num.). · · (103) A.R. 12.39, R.A. a GIORDANI Francesco, lctt. Gcnova-Cornigliano, 7 maggio '194 1 (datr., c. 6, pp. 6 num.), p. 2. L'affermazione è confermata da altri dattiloscritti sia antecedenti sia successivi e 1100 abbiamo trovato alcuna smentita. Su ll a data del la nuova commessa di M40 vedi A.R. 12.4 cit.


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osservare i vari carri armati, campionario costicuiro dai seguenti tipi: - modello L. 3 da ere tonnellate, armato di sola mit ragliatrice, mi dissero che ne esistevano solo 1200 e che erano da ritenersi non più idonei per la battaglia, ma da usarsi pel trasporto munizioni [il generale Pariani aveva insegnato qualcosa, pur nella grande confusione); - modello (M)6, e mi informarono che era stato scartato per non so che difetto di puntamento [sic, nessuno solleva dubbi sul fatto che fosse da scartare, riteniamo eufemistico o disinformato l'attribuire ciò a difetti negli organi di mira d i un sistema non ancora definiro]; - modello Ml 1 e modello M13 i quali furon poi adottati. Allorchè chiesi quanti ne esistessero, mi fu risposto che non erano disponibili se non i campioni che mi ve nivano mostrati. I primi 75 Ml 1 sarebbero stati consegnati alla fine di luglio! L'M13 non era ancora in produzione. Infine faceva bella mostra di sè un magnifico modello di autoblinda, che credo sia rimasw allo stato di modello fino al termine della guerra (IO~).

Secondo alcuni memorialisti, molte colpe erano da addebitare allo «Ispettorato dei Servizi Tecnici, alle sue commissioni, alle sue lungaggini» <105>. Il generale Caracciolo, direttore dell'Ispettorato superiore dei servizi tecnici, sostiene, ad esempio: Così per il carro armato M13, di cui trovai un modello già bene avviato, ma sempre in sospeso perchè le varie commissioni presentavano sempre nuove osservazioni, richiedevano ogni volta nuovi requisiti, e bisognava incominciare sempre da capo. Intanto la guerra premeva ... Un bel giorno finalmente persi la pazienza. Andai a Genova, dove era il modello presso che pronto; infilai una tuta, mi misi sul carro, provai e feci provare, discussi a lungo con gli ingegneri del!' Ansaldo, specializzati in materia, e con alcuni ufficiali di motorizzazione e di artiglieria. Sentii gli uni e gli altri e infine presi delle decisioni senza aspettare nuove commissio ni; il carro fu varato e ne fu subito iniziata la costruzione. Non è perfetto, come nessuna cosa umana, ma ha fatto il suo servizio [ ••• ) (106)_

In merito all'eseguità del bilancio, affermava un anonimo commentatore (probabilmente Canevari): Inutile sottolineare che i denari ci sono stati e abbondami (si pensi tra l'altro al momento della guerra etiopica in cui, approfittando degli stanziamenti eccezionali, un'abile amministrazione avrebbe ri n novellato tutta la nost ra artiglieria); ma sono stati sperperati soprattutto per la mancanza di 1m programma. Continua è stata infatti la mutevolezza dei criteri, permanente solo lo stato d'incertezza: nessun conto è stato tenuto delle più convincenti esperienze fatte all'estero e meno ancora dei materiali all'estero concretati: seguendo un nazionalismo fuori posto si è preteso di riesperi-

(104) Rodolfo GRAZlANl, Ho difeso la patria, Milano Garzanti 1948, p. 178. (105) Mario CARJ\CCIOLO DI FEROLETO, E poi? La iragedia dell'esercito italiano, Roma Casa Editrice Libraria Corso 1946, p. 63. (106) lv i.


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mentare, e riparare t utto in casa, col risultato di dar ordini, e contrordini ecc. onde anche un'industria più attrezzata delle nostre sarebbe rimasta disorientata e impotente <107>.

Che gli stanziamenti eccezionali per la guerra etiopica avrebbero consentito vasti rimodernamenti dell'esercito resta da dimostrare sebbene non possa negarsi che un'impressione del genere (e non più di tanto) sorga spontanea di fronte alle cifre tanto imponenti quanto assistite da causali rarefatte che si leggono nella nota indagine ministeriale del settembre 1939. Circa i «disorientamenti» dell'industria, incolpevoli (e quindi imputabili all'esercito), qualcosa di vero ci sarà magari anche nelle parole del documento attribuito a Canevari. Di certo vi è che nel giugno, 1940 nei corridoi del ministero della Guerra circolava invece «una larvata accusa» agli uomini del1' Ansaldo di essere «più mercanti che industriali patrioti»_ È lo stesso Rocca a rilevarlo con risentimento in una lettera 18 giugno 1940 al sottosegretario generale Soddu. Ed aggiungeva: [...] è evidente che accusarci di mercantilismo è ironia di pessimo gusto: di noi si può dire, se mai, che nel desiderio di anticipare la consegna dei carri armati ci siamo occupati prima della fabbricazione che delle discussioni amministrative dimostrandoci ottimi italiani ma cattivi amministratori (lOS)_

Quantunque il presente studio abbia per oggetto atti di uomini e non le loro motivazioni interne, sia consentito indulgere brevemente a qualche diverso rilievo che forse può illuminare meglio le vicende che andiamo documentando. Alla frase ultima citata, e ad altre di Rocca che incontreremo più innanzi, sembra attagliarsi un'osservazione di Rosario Romeo a proposito di certe dichiarazioni rese nel 1895 da Vincenzo Stefano Breda al Senato riunito in Alta Corte di Giustiz~a che lo stava processando per irregolarità amministrative collegate al primo salvataggio della T erni (sarà poi assolto). Breda, in sostanza, dipinse la Terni non come un affare commerciale ma come una battaglia per l'indipendenza siderurgica con-

(107) L. CEVA, Un intervento ecc. cit., all. 19, p. 162. (108) A.R. 12.10, cit., p. 7.


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Lri

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dotta insieme fra Stato e privati quasi «si trattasse di continuare la guerra per l'indipendenza del proprio paese». Commenta Rosario Romeo: Parole caratteristiche di quella mescolanza di motivi patriottici e affaristici che per decenni sarà schierata a difesa del protezionismo siderurgico (... ) (I09).

È un rilievo che s'imparenta con quello, già ricordato, di R. W ebster a proposito dell'Ansaldo perro~iana che aveva la tendenza a considerarsi «una parte dello Stato» (v. cap. 4 e ivi nota 118). Ora, negli anni '30 e '40, se il protezionismo siderurgico era ormai sottratto alla discussione perchè attuato da gran tempo, l'identificazione fra Stato e siderurgia bellica, diversamente dai tempi di Vincenzo Breda, era ormai persino formalmènte sancita dopo la statizzazione I.R.I. del 1933. Senonchè tale identificazione sembra perdersi per strada od assumere fisionomia singolare allorchè l'impresa I.R.I., in uno stesso tempo, invoca una propria autonomia nel presentar conti e trattare prezzi e desidera essere elogiata per presunto disinteresse patriottico. È del tutto credibile che un uomo come Agostino Rocca, valoroso combattente della grande guerra e di matrice politica più nazionalista che fascista, si sentisse ferito se il suo «patriottismo>) era messo in dubbio anche da una semplice chiacchiera <110J. Ma dovrà allora - sempre incidentalmente - aggiungersi che nessuno meglio di lui aveva colta la non sempre automatica coincidenza fra il patriottismo nazionale e quello circoscritto alle imprese di pubblico interesse che capitanava: fra l'essere insomma «ottimi» sia come «italiani>) sia come «amministratori». Che le due cose potessero talora non andare d'accordo, almeno secondo un certo modello di ottimizzazione delle funzioni industriali, avremo modo di tornare a constatarlo. Fin qui, e per tornare in argomento, basti riflettere-~he, se è vero che in certo modo i carri M13 e M6 (poi L6) erano nati soprattutto per iniziativa aziendale, e dunque per impulso di Rocca, è altrettanto vero che la pubblica azienda (109) Rosario ROMEO, Aspetti storici dello sviluppo della g,·ande impresa in !t,dici, «Storia Contemporanea» 1970, n. 1 (pp. 3-2 1) v. p. 8. (110} Ciò ~ confermato anche da qualche stralcio documentale pubblicato nell'agiografico Luigi OFFEDDU , La sfida dell'accia.io. Vita di Agostino Rocca, Venezia, Marsilio 1984.


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- sia pure con motivazioni «sociali» - era riuscita a imporre al-

1'esercito non trascurabili partite di inutili e tardivi carri L3. Nessuna meraviglia dunque che nel maggio 1940 l'esercito non si trovasse in situazione particolarmente felice neppure per quanto riguarda i mezzi meccanizzati. Gli aspetti che avrebbero dovuto preoccupare maggiormente sono, a parer nostro, due. Prima di tutto, una non sovrabbondanza di idee (forse anche d'informazioni su quanto si faceva altrove) nei nostri progettisti. Anzi - diciamolo pure a costo di personalizzare il discorso (ma non è colpa nostra) - nell'unico nostro progettista. Risultato del soffocamento della concorrenza fu, oltretuttto, quello che dal 1933 al 1943 non vi sia stato carro o autoblindata italiani concepito da altri che non l'Ing. Giuseppe Rosini dell'Ansaldo. Fosse stato anche il più grande del mondo, è da supporre che la necessità di rivaleggiare lo avrebbe reso ancora più grande.

Po~ la modesta capacità produttiva e il suo carattere anelastico. Un modello rivelatosi imperfetto all'impiego (cosa che può accadere con qualunque progettista) richiedeva tempi spropositaci per essere sostituito sulle linee di montaggio. La situazione industriale italiana era molto diversa da quella di altri Paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, alcune ditte continuarono a produrre modelli poco soddisfacenti per non interrompere il rifornimento a Nazioni alleate, mentre i progetti migliori, almeno in un primo tempo, erano riservati all'esercito nazionale. In Germania ed in Francia si scelse la via della competizione fra più modelli proposti da ditte diverse, per ridurre i rischi. Ma questo in Italia non era possibile grazie al monopolio di fatto, difeso tenacemente contro ogni tentativo ministeriale di aprire il mercato ad altri produttori. Del resto la ricerca delle cause è sempre difficile e non saremo noi ad elevare inni al dogma della «libera concorrenza». Se mai cedessimo a questa tentazione, ci si parerebbero dinnanzi due esempi in cui la concorrenza mancò ma con risultati del tutto opposti. Monopolio di fatto vi era anche in Gran Bretagna (ne abbiamo accennato le ragioni al capitolo 9) e i corazzati inglesi furono di qualità relativamente modesta sia pure con


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qualche eccezione. In Gran Bretagna, l'urgere del pericolo nel 1940 indusse alla ripetizione, con migliorie solo marginali, dei soliti modelli preferendosi questo svantaggio a quello che sarebbe derivato da arresti produttivi anche limitati. Per gli inglesi la situazione cambiò in modo sostanziale solo grazie al flusso della produzione americana che, rendendo meno urgente il problema, ridiede spazio all'iniziativa progettuale. Fra le molte libertà garantite dall'U.R.S.S. ai suoi cittadini non vi era probabilmente quella di concorrenza: eppure l'industria sovietica, con i T34, aveva superato i tedeschi già nel 1941 anche se occorsero esperienze belliche durissime perchè la capacità d'uso pareggiasse l'eccellenza del modello. Il panorama dell'industria bellica italiana risultava nella sostanza ancor più desolato di quanto alcuni memorialisti nella ricerca di un capro espiatorio abbiano descritto. Il 28 maggio 1940 Rocca scriveva al sottosegretario alla Guerra, generale Ubaldo Soddu, le previsioni che seguono assicurando che non sarebbe stato trascurato alcuno sforzo anche «per renderci ulteriormente meritevoli dell'ampio riconoscimento che Tu hai voluto esprimere al Duce per l'opera svolta fin qui dall'Ansaldo per la costruzione dei carri armati»: - per i carri M6 (583 ordinati), prime consegne nel febbraio 1941 e da ottobre 1941 potenzialità di 65 carri/ mese, con «ferma fiducia che la potenzialità della Terni (produzione lamiere scudo) e della Fiat consenta di accelerare il periodo di messa a regime della produzione, in modo che questa sia raggiunta assai prima dell'ottobre[ ... ]». La commessa non avrebbe potuto essere espletata prima del mese di marzo 1942, ma nessun addebito può essere fatto all'Ansaldo che era stata estromessa da questo ordine come già ricordato; - per i carri M13 (641 ordinati), dei quali si pensava consegnare 90 esemplari entro la fine dell'anno corrente, Rocca, in cambio di un nuovo ordine per altri 500 carri, prometteva di quasi raddoppiare le spedizioni totali nel secondo semestre '40 fino a 160/170 carri esaurendo tutti gli ordini per gli M13, sia in corso sia desiderati, con la fine di dicembre 1941;


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- per le autoblindo AB 40 (239 esemplari di cui 54 destinate alla Jugoslavia), si prevedeva la consegna di soli 160 mezzi (compresi gli esemplari destinati all'estero) entro il dicembre 1941. Nessuno di questi nuovi mezzi, indipendentemente dalla validità, sarebbe stato pronto per la «guerra del 1940» in quanto le previsioni anzidette riguardano la sola spedizione dagli stabilimenti e non l'uso in reparti addestrati. Rocca, tuttavia, poneva alcune richieste: - giustamente sottolineava che «occorre che con provvedimenti di eccezione sia assegnato e fornito subito e senza dilazione, tutto il materiale che ci occorre, superando le difficoltà burocratiche che ancora si oppongono [... ]»; - «occorre che per nessuna ragione siano distolti dal loro lavoro operai e tecnici che si occupano di questa produzione>). Si indicava che 998 dipendenti «degli stabilimenti Ansaldo del gruppo ligure}) erano stati richiamati e si richiedeva «l'esonero dall' obbligo di presentarsi ai posti di chiamata»; - «occorre che sia data ampia libertà di lavorare per quel numero di ore che si ritengono necessarie al di fuori delle disposizioni vigenti». Così concludeva Rocca: Messi a posto i problemi cecnici e di produzione mi permetterò di passare da Te [generale Ubaldo Soddu] nella prossima settimana per precisare due elementi dei quali Ti feci breve cenno dopo la visita al Duce: a) i prezzi dei carri, per i quali i rispettivi uffici della società e di codesto ministero non si sono t rovati d'accordo; b) l'aumento della commessa dei carri .M13 con un'aggiunta di altre 500 unicà, secondo l'affidamento da Te datomi precedente mente allo scopo di dare un fattore di sicurezza nell'impostazione e nello sviluppo del lavoro (111 ).

(111) Abbiamo qui utilizzato due documenti in A.R.: 12.47.a, R.A. a SODDU U baldo, lctt. Genova-Cornigliano , 28 maggio 1940, e 12.10, cit..


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APPENDICE

I carri armati francesi nella visione dei nostri servizi informativi {ottobre 1939) Diamo conto in questa appendice di uno dei molti documenti che, pur non trovando adeguato spazio nel seguito narrativo di questo studio, può egualmente interessare. Come risulta dal1' allegato (all. 35) si tratta di questo. Il 19 ottobre 1939 il S.I.M. aveva inviato al comando dell'Armata del Po una memoria intitolata «opinioni francesi sull'attacco con carri armati nell'ambito della divisione di fanteria». Il comandante cl' Armata Bastico l'aveva trasmessa ai dipendenti comandi di Corpo d'Armata e in particolare a quello del Corpo Corazzato perchè promuovesse «un esame particolareggiato della questione». Tale esame, che è la parte sostanziale del documento allegato, fu elaborato dal comando del corpo allora reteo dal generale Fidenzio Dall'Ora e inviato, a sua volta, al comando cl' Armata. Si trattava di confrontare le possibilità di una Divisione Corazzata italiana (e in particolare dell'«Ariete») contro un complesso di forze che, secondo dati degli uffici informativi, avrebbe imegraco un possibile attacco di carri nell'ambico della Divisione di Fanteria francese. L'interesse non ci sembra risiedere tanto nella prognosi negativa che, nelle principali ipotesi in cui era articolata, immaginava sempre una contrapposizione di forze a tutto favore dell'avversario. Interessanti ci sembrano piuttosto: -

i dati che ricaviamo sulla situazione dell' «Ariete» in quella

data; - le supposizioni italiane sui tipi di carri francesi coi quali avremmo dovuto scontrarci. Circa il pri mo punto, si è già dettO che al 26 novembre 1939 l' «Ariete» schierava 138 carri L (3 battaglioni) e 1 battaglione di M 11 su 30 carri di cui 15 «tutt'ora senza cannoni». Aggiungiamo che anche il reggimento bersaglieri risulta su due battaglioni mo-


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tociclisti formazione che non corrisponde all'organico della Divisione Corazzata (2 battaglioni autoportati e 1 motociclisti) ma neppure a quello della precedente Brigata Corazzata (2 battaglioni autoportaci più una compagnia motociclisti direttamente dipendente dal comando di brigata). In una delle varie ipotesi si suppone anche una forza dell'«Ariete» pari all'organico co n 180 carri Mll e altrettanti cannoni da 37. Quanto ai carri francesi, a parte la maggiore o minore verosimiglianza di immaginare che una Divisione di Fanteria francese potesse ricevere un simile appoggio di carri (195-255 oppure 180 a seconda dei casi), il confronto di potenza fra i nostri Mll e i veicoli da combattimento francesi è a cucco favore di questi ultimi. Ma quel che più stupisce è che, dell'ampia gamma di carri notoriamente schierati nell'esercito della vicina repubblica, siano presi in considerazione soltanto: un Renault in cui si assommano le caratteristiche del vecchio Renault della prima guerra mondiale (tonn. 6,700 armamento di 1 mitragliatrice o di un cannoncino da 37) con altre prestazioni diverse e superiori perfino a quelle dei nuovi Renault R.35 (come una velocità massima di 30 km/h); un F.C.M. i cui dati non corrispondono che vagamente a quelli del vero carro F.C.M. dell'esercito francese; infine carri D 1 e D 2 con caratteristiche solo in parte coincidenti coi modelli reali. Le conclusioni negative cui perviene lo studio, raffrontando i nostri Mll nonchè un ipotetico «carro d'assalto nuovo tipo da 7 t» (probabile allusione al carro L 6/40 entrato in linea solo due anni più tardi!) con fantasiose versioni di alcuni carri francesi, sarebbero state ancora più catastrofiche se il paragone fosse stato istituito, come doveroso, con veri carri francesi. Riesce davvero incomprensibile come i nostri uffici informativi potessero allora ignorare i carri leggeri Renault R.35 (10,6 tonn, 1 pezzo da 37 e 1 mitragliatrice, vel. max: 20 km/h), gli Hotchkiss H 35 (9,6 tonn, 1 cannone da 37 e 1 mitragliatrice, 36 km/h), gli Hotchkiss H 39 (12,1 tonn, 1 pezzo da 37, e 1 mitragliatrice, 36 km/h, corazze fino a 40 mm per questo e per il precedente); i Somua S.35 (19,5 tonn, 1 cannone da 47 e 1 mitragliatrice, corazzatura fino a 55 mm, 40 km/h), i Bl e derivati, sulle 30 tonn.


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armati con un obice da 75, un cannone da 47 e mitragliatrici, corazze da 40 e 60 mm, velocità max 28 km/h. Eppure questi carri erano stati fotografati numerose volte dai giornali, molte loro caratteristiche non erano segrete e tutti avevano sfilato sui Champs Elysées alla rivista del 14 luglio 1939 presenti i reali d'Inghilterra, diplomatici e addetti militari di tutto il mondo, centinaia di migliaia di persone. Il Servizio Informazioni Militari è stato spesso accusato di avere moltiplicato le forze franco-inglesi in Mediterraneo, ma qui esso andrebbe censurato per una disinformazione ancor più grave proprio perchè relativa a cose facilmente accertabili e, in gran parte, addirittura di pubblico dominio. (La collocazione archivistica del documento è NARS T 821, roll 384, IT 4996).




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