LA GUERRA DEI SOMMERGIBILI DELL'ASSE NEL MEDITERRANEO NELL'ESTATE DEL 1943

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LA GUERRA DEI SOMMERGIBILI DELL’ASSE NEL

MEDITERRANEO NELL’ESTATE DEL 1943

L’attività dei sommergibili italiani e tedeschi nel Mediterraneo della fine delle operazioni dell’Asse in Tunisia alla conquista della Sicilia da parte degli anglo-americani

FRANCESCO MATTESINI

UBOAT su Qwant Games

GIUGNO 2020

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Le operazioni dei sommergibili italiani e tedeschi dopo la perdita della Tunisia

Fino al 1980, quando uscì il nostro libro La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), 1 l’Ufficio Storico della Marina italiana, pur sapendo che non era del tutto vero, aveva attribuito alla scarsità dei successi dei sommergibili della Regia Marina alla mancanza di un considerevole traffico dei britannici e dei loro alleati nel “Mare nostrum”. Ma quando a iniziare dal novembre 1942 i sommergibili italiani, numericamente superiori a quelli tedeschi, ebbero larghe possibilità d’azione, essi non riuscirono neanche lontanamente ad uguagliare i successi degli U-boote della 29a Flottiglia operante nel Mediterraneo, con basi operative a La Spezia, a Salamina e a Tolone, e di raddobbo a Pola, perdendo anzi proporzionalmente di efficacia. Infatti, soltanto in quattro occasioni, tra il 12 novembre 1942 e il 7 febbraio 1943, i sommergibili italiani riuscirono ad arrivare a bersaglio contro navi britanniche, danneggiando con due siluri l’incrociatore Argonaut per opera del Mocenigo (tenente di vascello Alberto Longhi), affondando la nave contraerea Tynewald con l’Argo (tenente di vascello Pasquale Gigli), e la corvetta Samphire e il trawler (peschereccio armato) Tervani con il Platino (tenente di vascello Vittorio Patrelli Campagnano)..

In poche parole avevano ottenuto dei successi praticamente molto inferiori rispetto a quelli che avevano conseguito dall’inizio della guerra, quando esisteva ancora la giustificazione dello scarso traffico del nemico. Quello che sarebbe successo in seguito, e che narreremo in questo nostro saggio, sarebbe stato ancora peggiore, poiché tra l’8 febbraio e l’ 8 settembre, quando l’Italia si arrese agli Alleati, i sommergibili italiani riuscirono a piazzare a segno un solo siluro, mentre le perdite di unità subacquee furono particolarmente elevate, costituite da quindici sommergibili, due dei quali, il Lazzaro Mocenigo e H 8, distrutti in porto a Cagliari e La Spezia, rispettivamente il 13 maggio e il 5 giugno, in due massicci attacchi di quadrimotori statunitensi B.17.

Invece, come vedremo, gli U-boote continuarono a conseguire, pur in aumentate difficoltà e minor numero di battelli da impiegare nelle operazioni, più che ottimi risultati, proseguiti fino al maggio del 1944, prima che tutti i sommergibili rimasti venissero affondati in mare dai gruppi navali di ricerca antisom degli angloamericani e dall’aviazione strategica degli Alleati nei porti di Tolone e di Salamina.

Dopo la perdita di Pantelleria (10 giugno 1943) e l’incertezza sulle successive intenzioni nemiche il Comando in Capo della Squadra Sommergibili (Maricosom), al comando dell’ammiraglio Antonio Legnani, su istruzioni tassative dell’organo operativo dello Stato Maggiore della Regia Marina (Supermarina), mantenne agguati preventivi lungo le coste metropolitane e in una zona a sud-ovest della Sardegna, lontana dalle rotte di traffico degli Alleati lungo le coste dell’Africa Settentrionale

1 Alberto santoni (per la parte politica) e Francesco Mattesini (per la parte operativa, statistica e grafica), La Partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (19401945), Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1980.

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Francese. Soltanto nel mese di giugno alcuni sommergibili ebbero l’ordine di effettuare alcune puntate senza esito verso i porti di Bougie e Philippeville ove era segnalato ingente traffico. I risultati furono desolanti, sia il Brin (Andreotti) che attaccò un convoglio la sera del 12 giugno, sia l’Argo (tenente di vascello Arcangelo Giliberti) che attaccò un altro convoglio la sera del 19 giugno, nonostante le affermazioni di aver affondato due navi e danneggiate altre due non misero a segno nessun siluro.

Il sommergibile italiano Benedetto Brin.

Era la conferma evidente che le modalità di addestramento e d’impiego dettate da Maricosom e da Supermarina erano rimaste del tutto insufficienti, perché altrimenti non si possono spiegare i mancati risultati conseguiti nei lanci di siluri, tutti andati a vuoto, se non arrivando a concludere che gli attacchi venivano portati dai comandanti dei sommergibili con estrema prudenza e da distanze eccessive. Di fronte a questa realtà l’11 aprile 1943 Maricosom aveva trasmesso a tutti gli organi riguardanti i sommergibili la circolare “Norme per i Sommergibili in Missione di Guerra”, riguardanti le modalità da seguire in caso di “agguato normale”, “agguato profondo idrofonico (con o senza ascolti R.T Previsti”, e “agguato a quota periscopica”.

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La parte che mi appare più importante riguardava il compito assegnato ai comandanti dei sommergibili in presenza di una minaccia aerea, che prescriveva, quando il sommergibile dall’immersione diurna passava all’emersione, dopo un contatto idrofonico con qualche unità navale, di adeguarsi alle seguenti norme:2

L’esplorazione con i binocoli dovrà essere accurata e completa in tutti i settori allo scopo di poter evitare l’offesa degli aerei nemici, Fino a quando non sarà completata, il sommergibile rimarrà in affioramento per poter effettuare con la massima rapidità l’immersione a quota profonda Nel caso che l’esplorazione con il sommergibile in affioramento non porti all’avvistamento previsto il sommergibile dovrà emergere totalmente e dirigere alla massima velocità sulla rotta normale di rilevamento medio ricavato con il precedente ascolto idrofonico e diretta nel senso di rotazione dei rilevamenti stessi.

Non appena avvenuto l’avvistamento, il Comandante dovrà decidere di prendere l’immersione se la situazione cinematica gli consente di attaccare, altrimenti dovrà cercare di sfruttare l’eventuale vantaggio di velocità e posizione per

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Il cannone OTO da 10 mm e la torretta modificata del sommergibile Brin. 2 Archivio Ufficio Storico della Marina Militare (AUSMM), Supermarina – Maricosom, b. 16, fascicolo 198.

portarsi, navigando in superficie su di un Beta più stretto. Sia tenuto ben presente la necessità di eseguire la manovra senza farsi avvistare. Se invece il sommergibile dopo circa un’ora di moto con i M.T. [motori termici] non avrà fatto alcun avvistamento, si immergerà riprendendo l’ascoltazione idrofonica per ripetere la manovra se possibile, altrimenti dirigerà per tornare al punto di agguato o per rientrare in zona qualora la navigazione in superficie lo avesse portato fuori di essa.

Come si comprende, al comandante del sommergibile non era concessa l’autonomia di decisione di continuare la ricerca del nemico per il tempo che era necessario, come invece rientrava nelle norme delle caratteristiche assegnate ai comandanti dei sommergibili tedeschi. Nonostante queste ed altre direttive tassative contenute nel dettagliatissimo documento, la situazione non migliorò assolutamente. A questo punto appare importante il Promemoria n. 23 di Supermarina del 22 aprile 1943 compilato dall’ammiraglio Legnani, Comandante di Maricosom, ed inviato all’ammiraglio Luigi Sansonetti, Sottocapo di Stato Maggiore della Regia Marina, dopo un colloquio che aveva avuto con l’ammiraglio Leo Kreisch, Comandante degli U-boote nel Mediterraneo (FdU), e dall’argomento “Impiego dei sommergibili”:3

3 AUSMM, Marina Germanica in Italia, b. 23. * Il contrammiraglio Leo Kreisch aveva per capo di stato maggiore il capitano di corvetta Schewe, per ufficiale addetto il tenente di vascello Wallas e per aiutante il sottotenente di vascello Tegtmeyer.

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Da sinistra, gli ammiraglio Luigi Sansonetti e Leo Kreisch.

Oggi 22 aprile ho avuto un colloquio con il Contrammiraglio Kreisch, comandante dei sommergibili tedeschi dislocati in Mediterraneo. Il Contrammiraglio Kreisch mi ha espresso il parere del Grande Ammiraglio Doenitz che l’impiego in Mediterraneo dei sommergibili italiani non sia il più efficace nell’attuale momento strategico. Egli ritiene che sarebbe impiego più redditizio quello di insidiare le rotte nemiche lungo le coste del Nord Africa, ad esempio tra i meridiani 04°30’ e 08° e tra i meridiani 15° e 19°40’.

Ho illustrato al Contrammiraglio Kreisch il criterio che regola l’attuale impiego dei nostri sommergibili. La insufficienza di esplorazione aerea sul mare [sic] obbliga a ricorrere ai sommergibili per compiti esplorativi per avere tempestivamente notizie di operazioni nemiche dirette contro le coste nazionali. In secondo luogo lo studio molto avanzato dei preparativi nemici per ulteriori operazioni di sbarco impone di mantenere a disposizione un sufficiente numero di sommergibili per contrastare le operazioni stesse.

Questo criterio difensivo è avvalorato dal fatto che il nemico con la sua aviazione preponderante può impedire l’intervento delle forze principali a difesa del territorio nazionale e pertanto non si può escludere che a questa difesa si debba provvedere essenzialmente con Motosiluranti e Sommergibili.

La consistenza della nostra squadra sommergibili è molto ridotta. Non considerando i sommergibili antiquati che non possono operare nelle zone di maggior contrasto, i battelli impiegabili sono appena sufficienti per i due compiti, esplorativo e di difesa immediata, sopra citati.

Il Contrammiraglio Kreisch ha ancora ribadito il criterio che l’impiego dei sommergibili, anche per ostacolare sbarchi nemici, sembra più redditizio se effettuato sulle linee di traffico e nelle vicinanze delle basi africane; agendo sulla linea di operazione che porterà il nemico alla zona di sbarco, i sommergibili non potranno fare più di un’azione di attacco.

Ho chiarito il criterio italiano che non è quello di stabilire agguati di sommergibili sulla linea di operazione del nemico, in concomitanza con i mezzi di superficie i mezzi aerei e i mezzi costieri, e soprattutto nella fase più delicata dell’operazione nemica.

Ho aggiunto anche che fra gli altri compiti che i nostri sommergibili debbono svolgere è da comprendersi anche quello del trasporto di materiali per le isole Pelagie dove non è possibile eseguire i rifornimenti con mezzi di superficie.

Infine ho aggiunto che l’attuale periodo lunare era secondo la Marina italiana il più propizio per operazioni di sbarco nemiche e quindi quello in cui vi è maggiore necessita di essere pronti a contrastare le sue operazioni. Qualora nessun fatto nuovo fosse intervenuto, a partire dal 27 (ultimo quarto) le probabilità di un’operazione imminente avrebbe dovuto diminuire, e in tal caso i criteri di impiego dei sommergibili in Mediterraneo occidentale potrebbero essere temporaneamente riveduti. Analogamente si potrebbe riesaminare l’impiego dei sommergibili dislocati in Egeo dato che non sono da prevedersi prossime operazioni offensive da parte del nemico in quel settore.

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L’ammiraglio Kreisch ha ringraziato delle comunicazioni informando che le avrebbe trasmesse al Grande Ammiraglio Doenitz.

Come si vede era muro contro muro. I tedeschi, giustamente, volevano attaccare in continuazione le linee di traffico del nemico, gli italiani, che effettivamente non potevano disporre per le operazioni di più di 25 sommergibili, due terzi dei quali di tipo antiquato, intendevano attendere per intervenire che lo sbarco del nemico fosse in attuazione. E’ questo consentiva loro di poter risparmiare i sommergibili, mantenendone alcuni in posizione difensiva presso le coste nazionali, e gli altri nei porti, per usarli al momento opportuno, quando non avrebbero potuto farne a meno. Questo, oltre agli errori di puntamento dei comandanti nelle fasi di attacco, mostra chiaramente il motivo per cui gli attacchi dei sommergibili italiani furono esigui e i risultati praticamente nulli. In conclusione in questa loro guerra al risparmio di Supermarina e di Maricosom, era come dire ai tedeschi (che avevano la metà dei sommergibili operativi italiani) in modo ingrato “siete venuti nel Mediterraneo per combattere il nemico, allora fatelo voi”. Naturalmente questo non era il pensione dei comandanti dei sommergibili italiani, che avrebbero voluto combattere in ogni occasione che si fosse presentata, e non essere costretti a poltrire nei porti per mesi in attesa del grande attacco del nemico, che avvenne due mesi e mezzo più tardi con lo sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943.

Nella lettera 016244 del 13 aprile, Maricosom informò Supermarina che i sommergibili operativi disponibili erano in quel momento 26, di cui 4 a Lero e altri 7 ai lavori. Considerando che 8 sommergibili si trovano in mare, si riteneva, una volta rientrati alla base, di poterne averne pronti per missione nei porti soltanto 7, di cui 1 a Napoli e 6 tra la Maddalena, Ajaccio e Bonifacio.4 Quanto alla questione dei sommergibili da trasporto, erano impiegabili soltanto quelli più grossi ed anziani, assolutamente non più adatti a combattere. Nel Promemoria n. 21 di Supermarina, essi erano in quel momento sei italiani (Menotti, Zoea, Micca, Atropo, Corridoni e Bragadino), a cui dovevano aggiunti, dopo i lavori per le sistemazioni di adattamento al trasporto, tre sommergibili francesi di preda bellica (Fr. 113, FR. 114 e Fr. 115), veri rottami.5

Maricosom, per mantenere la linea dei sommergibili, propose che era possibile di poter raggiungere una produzione mensile di quattro sommergibili tipo “Tritone”, di cui due costruiti nei Cantieri di Monfalcone, uno negli O.T.O. di La Spezia, e uno dal Tosi di Taranto. Maricost (la Direzione generale delle costruzioni navali e meccaniche) si associo alla proposta di Maricosom riferendo che per raggiungere una

4 AUSMM, Maricosom, Situazione Sommergibili, b. 7. Nel Promemoria n. 26 di Supermarina del 5 giugno 1943, si affermava che i sommergibili in quel momento in servizio erano 60, dei quali 9 in Oceano Atlantico adibiti al trasporto con l’Estremo Oriente, e gli altri, nel Mediterraneo, assegnati ai più vari incarichi, come quello alle scuole, oppure come l’Ambra alla X MAS per le missioni dei mezzi d’assalto. Si lamentava che dei 25 sommergibili assegnati alla massa operante 17 fossero in servizio dalla fine della guerra, e quindi erano di tipo sorpassato e di ridotta efficienza. Cfr, Promemoria di Supermarina 1943.

5 AUSMM, Direttive di Supermarina 1943.

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produzione annuale di ventiquattro unità occorreva “consentire ai tre Cantieri di raddoppiare i mezzi di lavoro destinati ai sommergibili a detrimento delle altre unità”. Ma questa produzione, fu contestata il 4 giugno dal Reparto Naviglio di Maristat, con il Promemoria n. 31, ritenendo la costruzione di quattro sommergibili tipo “Tritone” mensili non realizzabile e piuttosto azzardata anche perché quel tipo di unità subacquea, pur essendo il più moderno e dalle migliori caratteristiche, sarebbe stato presto superato.

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Sommergibili della classe “Tritone”, sopra il Flutto..

Da parte tedesca, per rimpiazzare le perdite degli U-boote in un momento critico della situazione nel Mediterraneo, ai primi di maggio fu deciso di inviare in questo mare interno due sommergibili. Di essi però l’U 447 (tenente di vascello Friedrich Bothe), del Gruppo Drossel, che operava nel nord Atlantico, venne affondato, dopo essere stato dirottato per il Mediterraneo, ad ovest dello Stretto di Gibilterra, in posizione lat. 35°30’N, long.11°55’W, il giorno 7 maggio dalle bombe di profondità di due velivoli bimotore Hudson del 233° Squadron della RAF. Il secondo, l’U 659 (capitano di corvetta Hans Stock), non poté mettersi in rotta per il Mediterraneo. Infatti, ad insaputa del Comandante in Capo della Marina germanica, grande ammiraglio Karl Dönitz, si era perduto in precedenza ad ovest di Capo Finisterre assieme all’U 439 (sottotenente di vascello Wolfgang Sporn) con il quale era entrato in collisione alle ore 00.30 del 4 maggio.

nitz

L’U 659 , al centro tra l’U 604 (a sinistra) e l’409, tutti del tipo VII C.

Si ritornò a parlare del trasferimento di altri U-boote nel Mediterraneo durante la conferenza navale italo – tedesca di Santa Rosa, sulla Cassia a nord di Roma, dove Supermarina si era trasferita in edifici, comprendenti un bunker sotterraneo, oggi sede del Comando della Squadra Navale. In tale conferenza, nei giorni maggio, l’ammiraglio Arturo Riccardi, Sottosegretario e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, chiese al grande ammiraglio Dönitz di voler disporre l’invio nel Mediterraneo di almeno dieci sommergibili, ricevendo in risposta dal Comandante della Kriegsmarine che egli vi avrebbe provveduto, inviandone alcuni. In seguito a

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tale promessa, il 23 maggio due U-boote ricevettero l’ordine di raggiungere il Mediterraneo, ma di essi il solo U 409 (tenente di vascello Hanns-Ferdinand Massmann) riuscì a passare, mentre l’U 454 (tenente di vascello Burckhard Hackländer) fu affondato il 4 giugno ad ovest dello Stretto di Gibilterra dalle bombe di profondità di una velivolo Hudson del 48° Squadron della RAF.

Dopo la perdita nel Mediterraneo dell’U 303 (tenente di vascello Heine), silurato il 21 maggio presso Tolone dal sommergibile britannico Sickle (tenente di vascello James Ralph Drummond), dell’U 414 (sottotenente di vascello Huth), distrutto il 25 ad ovest di Capo Tenes dalla corvetta britannica Vetch (capitano di corvetta Herbert James Beverley), e dell’U 755 (tenente di vascello Walter Göing), colato a picco con lancio di razzi il 28 a sud di Ibiza (Isole Baleari) da un velivolo Hudson del 608°Squadron della RAF, il numero dei sommergibili tedeschi operanti nel Mediterraneo a disposizione della 29a Flottiglia, comandata dal capitano di capitano di corvetta Fritz Frauenheim, si ridusse ai seguenti diciotto:

596, U 616 e 617.6

Il sommergibile britannico Sickle, che affondò l’303 il 21 maggio 1943.

6 Il capitano di corvetta Fritz Frauenheim, come comandante dei sommergibili U 21 e U 101 aveva affondato 19 navi per 78,853 tsl, e danneggiate altre 2, meritandosi la croce di cavaliere con fronde di quercia. Assunse il comando della 23a Flottiglia nel settembre 1941, poi nel 1942 riunita nella 29a Flottiglia, di cui ne assunse i comando, che mantenne fino all’agosto 1943, quando essendo stato nominato Comandante della base di Tolone, fu sostituito dal capitano di corvetta Gunter Jahn, fino ad allora comandante dell’U 596, anch’egli insignito della croce di cavaliere con fronde di quercia. Nello stesso tempo, il 1° aprile 1943 la 29a Flottiglia trasferì il suo Comando da La Spezia a Tolone, e poi in seguito agli avvenimenti del 25 luglio, con la caduta di Mussolini e del Fascismo, l’ammiraglio Leo Kreisch, Comandante dei Sommergibili tedeschi del Mediterraneo (FdU) spostò il suo Comando da Roma a Ajax-en-Provence.

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U
U
U 97. U 371, U 375, U 380, U407, U 409, U 414, U 431, U 453, U 458, U 561, U 565, U
, U
73,
81,
593
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La corvetta britannica Vetch, che il 14 maggio 1943 affondò l’U 414. L’affondamento dell’U-705 sotto l’attacco di un velivolo del 708° Squadron della RAF.

Da sinistra. Il capitano di corvetta Fritz Frauenheim, Comandante della 29a Flottiglia Sommergibili del Mediterraneo. Il capitano di corvetta Gunter Jahn, già comandante dell’U 596, che lo sostituì nel comando della Flottiglia nell’agosto 1943, quando Frauenheim andò a comandare la base di Tolone.

Poiché tale numero era considerato insufficiente, il 26 giugno il Comandante dei Sommergibili in Mediterraneo, contrammiraglio Leo Kreisch, chiese alla Direzione delle Operazioni Navali della Marina germanica (Seekriegsleitung – SKL), con messaggio Gkdos 549, al cessione di altri U-boote da contrapporre ai recenti ed ingenti rinforzi nemici di unità da guerra e da trasporto; ma la risposta della SKL, giunta due giorni più tardi,lo disilluse, comunicando con foglio 18164 quanto segue:7

“Con lo stato di difesa attuato nello Stretto di Gibilterra non è possibile per i sommergibili, in questa stagione di notti corte, forzare l’entrata in Mediterraneo. Nell’ultimo tentativo durante lo scorso periodo di luna nuova tre unità su quattro sono andate perdute. Perciò attualmente non si possono inviare ulteriori sommergibili nel Mediterraneo” .

L’indomani, 29 giugno, in una delle consuete conferenze al Quartier Generale del Führer, l’ammiraglio Dönitz confermò a Hitler che i suoi sforzi per aumentare il

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7 AUSMM, Marina Germanica in Italia, b. 24 bis.

numero dei sommergibili nel Mediterraneo stavano incontrando grande difficoltà, e la perdita di tre dei quattro ultimi U-boote che aveva tentato il passaggio dello Stretto di Gibilterra era da considerare troppo alta.

In questa immagine di sommergibilisti raccolti intorno al loro Comandante (B.d.U.) ammiraglio Karl Dönitz, il capitano di corvetta Fritz Frauenheim è il primo a destra.

Nonostante gli venissero negati per lungo tempo i necessari rinforzi, perché anche nei tre successivi tre mesi la SKL non autorizzò l’invio di altri sommergibili nel Mediterraneo, il contrammiraglio Kreisch continuò a far operare intensamente i battelli a disposizione, soprattutto lungo le vitali rotte di rifornimento del nemico ove, a dispetto dei radar, degli avvistamenti ottici di navi ed aerei, delle stazioni di ascolto costiere e di un’eccellente organizzazione difensiva, essi riuscirono a conseguire alcuni successi.

Alle ore 21.00 del 18 maggio 1943 il sommergibile tedesco U 414 (tenente di vascello Walther Huth) attaccò il convoglio combinato KMS-14 e UGS.8 a 28 miglia a nord-ovest di Capo Tenes, silurando due navi britanniche del KMS-14, affondando il piroscafo catapulta aerei Empire Eve, di 5.979 tsl, e danneggiando il Fort Hanne, di 7.134 tsl, che partito da Tyne e diretto ad Algeri aveva un carico militare vario.

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L’Empire Eve (capitano Lawrence Zebedee Weatherill), partito da Cardiff e il 4 maggio da Milford diretto ad Algeri trasportando 6.500 tonnellate di carbone e 250 tonnellate di olio lubrificante, affondò a nord est di Mostaganem, con la perdita di cinque degli ottantasei uomini che si trovavano a bordo. Si salvarono il comandante, cinquantacinque membri dell’equipaggio, dodici cannonieri e tredici avieri della RAF, recuperati e portati ad Algeri dalla nave posareti britannica Barfoil (tenente di vascello G.F. Williams) e da un mezzo da sbarco LCT. 8

Sopra, il piroscafo Empire Heve che fu affondato dall’U-414. Sotto, la nave posareti britannica Barfoil che recuperò gli ottantuno superstiti del piroscafo Empire Haven.

8 Per gli affondamento e i danneggiamenti aggiornati delle navi da guerra e mercantili degli Alleati da parte dei sommergibili italiani e tedeschi, i riferimenti si trovano nel sito uboat.net. Per gli affondamenti delle navi mercantili britanniche molto utile è stato il libro di Alan J. Tennent, Merchant Ship Losses to Axis Submarines 1939 – 1945, Sutton Publishing, Inghilterra, 2001.

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Il 1° giugno la dislocazione dei diciotto sommergibili tedeschi della 29a Flottiglia era la seguente: con il rientro in porto dell’U 617 e U-561 dal Mediterraneo occidentale si aveva quindi la seguente situazione: U 97, U 565, U 73, U-617, U 596, U 380, U 616 e U 410 in porto a La Spezia; U 81 e U 453 a Pola; U 371, U 431, U 375, U 561, U 458 e 407 a Tolone; U 593 a Salamina.9

Bisognò attendere la metà di giugno prima che gli U-boot ottenessero i primi successi del mese che furono conseguiti nel Mediterraneo Orientale dall’U 97 (tenente di vascello Hans-Georg Trox). Tra il 12 e il 15 giugno il sommergibile colò a picco il piroscafo olandese Palina e la grossa petroliera britannica Athelmonarch. Gli avvenimenti, che furono drammatici anche per il sommergibile tedesco, ebbero il seguente svolgimento.

Alle 12.30 circa del 12 giugno 1943 il piroscafo da carico olandese Palima (capitano Josef Herman Kubinek), di 1.179 tsl, salpato senza scorta il giorno 10 da Porto Said e diretto a Beirut e Famagosta con un carico comprendente 720 tonnellate di munizioni, carburo, vernice, acidi e quattro camion, fu colpito da un siluro lanciato dell’U-97 e affondò in soli quattro minuti a circa 7 miglia a ovest-nord-ovest delle coste libanesi di Sidone, il posizione lat. 33°36'N, long. 35°15'E. Il comandante e 23 membri dell'equipaggio decedettero. Non ci fu il tempo di inviare un segnale di soccorso e mettere a mare le scialuppe di salvataggio, quindi i sopravvissuti del Palina, trentatré membri dell’equipaggio e quattro cannonieri, dovettero saltare in mare, per poi prendere posto su tre zattere che galleggiavano nelle vicinanze.

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Il piroscafo Palina che fu silurato e affondato dal sommergibile tedesco U 97.
9 Lawrence Paterson, U-Boats in the Mediterranean 1941 1944, Chatham Publishing London, 2007, p. 140.

All'alba furono individuati da un idrovolante britannico Walrus del 701 Squadron dell’Aviazione Navale (FAA) che era di di pattuglia davanti a un convoglio diretto a nord. L’idrovolante ammarò vicino ai naufraghi, prese a bordo uno dei cannonieri feriti e lo portò a Beirut. Poco dopo arrivarono nella zona altri tre velivoli, seguiti da un idrovolante francese inviato da Sidon che iniziò a raccogliere i sopravvissuti, assistito dal cacciatorpediniere greco Aetos staccatosi dal vicino convoglio. L’Aetos raccolse tutti i naufraghi dell’aereo francese e li sbarco a Sidone, dove otto feriti furono ricoverati in un ospedale.

Tre giorni dopo l’affondamento del Palina L’Aetos fu il protagonista di un altro salvataggio, sempre determinato dall’attacco dell’U-97. Infatti, alle 14.30 del 15 giugno la cisterna britannica Athelmonarch (capitano Robert John Roberts), di 8.995 tsl, salpata quel giorno 15 da Beirtth per Alessandria scortata dal cacciatorpediniere greco, fu silurata e affondata dal sommergibile a nord-ovest del porto palestinese di Jaffa. Con la nave, che trasportava 13.600 tonnellate di carburante andarono perduti quattro membri dell'equipaggio, mentre altri trentasei, compreso il comandante, furono recuperati dall’Aetos e sbarcati a Beiruth.

Ma era giunto il momento che la stessa sorte delle sue vittime dovesse toccasse l’indomani al sommergibile affondatore. Il 16 June 1943, trovandosi a 40 miglia a ovest di Haifa, in position lat. 33°00’N, long. 34°00’E, l’U 97 fu attaccato con quattro bombe di profondità da una aereo Hudson australiano del 459° Squadron di base a Gambut (Cirenaica) e con pilota il sergente maggiore David T. Bernard. Il sommergibile gravemente colpito affondò. Dell’equipaggio, 27 uomini compreso il comandante Trox decedettero, gli altri 21 furono salvati da mezzi di soccorso britannici e fatti prigionieri.

La petroliera britannica Athelmonarch, altra vittima dell’U97, silurata e affondata il 16 giugno 1943 a 40 miglia ad ovest di Haifa.

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Il sommergibile tedesco U 97 che nel Mediterraneo orientale affondo il piroscafo olandese Palina e la petroliera di squadra britannica Athelmonarch, per poi essere a sua volta affondato da un aereo Hudson del 459° Squadron australiano.

Anche a nord delle coste della Cirenaica la presenza dei sommergibili tedeschi fu assicurata. Un primo attacco si verificò da parte dell’U 453 (tenente di vascello Egon-Reiner von Schlippenbach) che alle 14.34 del 13 giugno ritenne di aver silurato e affondato un piroscafo di 6.000 tonnellate a 10 miglia a nord-nordest di Apollonia.

Poi, alle 07.33 del 17 giugno l’U 81 (sottotenente di vascello Johann-Otto Krieg), che era partito il giorno 6 da Pola, attaccò a 10 miglia a nord-ovest di Apollonia (nord-ovest di Derna) il convoglio britannico GTH-2, con 14 navi salpate da Tripoli e dirette ad Alessandria, silurando e affondando il grosso piroscafo da passeggeri Yoma (capitano George Patterson), di 8.131 tsl, usato come trasporto truppe. La nave, infatti, imbarcava 134 ufficiali e 994 soldati britannici e 22 ufficiali e 643 soldati delle forze francesi libere. Molti dei militari britannici erano ingegneri, tra cui delle due compagnie portuali 994a e 1010a, che ad Alessandria dovevano gestire le strutture portuali per lo sbarco in Sicilia. Colpito da due siluri, uno nella sala macchine a l’altro sulla stiva n. 4, con gli allagamenti che subito si estesero ad altri locali, il Yoma, dopo che il comandante aveva dato l’ordine di “abbandono nave”, affondò in cinque minuti. Andando perduti 30 uomini dell’equipaggio, compreso il comandante, 3 cannonieri e 451 militari, molti rimasti intrappolati all’interno della nave per la rottura delle scale che portavano in coperta. I dragamine britannici Lismore, Gawler, Gambuy, i moto dragamine MMS-102 e MMS-105 e la

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nave Fort Maurepas, accorsi nella zona dell’affondamento del Yoma salvarono 130 uomini dell’equipaggio, 5 cannonieri e 1.342 militari.

Il piroscafo trasporto truppe britannico Yoma che silurato dall’U 81 ebbe a lamentare la perdita di 480 uomini, 29 dell’equipaggio e 451 militari.

Dopo aver affondato il piroscafo Yoma il sommergibile U-81 si spostò nel Mediterraneo orientale, affondando il mattino del 25 giugno con l’impiego del cannone il motoveliero egiziano Nisr, di 80 tsl, a 40 miglia a nord est di Gaza, l’indomani i due motovelieri siriani Toufic Allah, di 75 tsl, a 40 miglia a sud-ovest di Beirut, il Nelly, di 80 tsl, a 25 miglia a sud-est di Cape Greco, Cipro. In tutto, dopo aver fatto allontanare gli equipaggi dei motovelieri, il sommergibile per affondarli impiegò novanta proiettili. Infine il giorno 27 l’U-81 incontrò il piroscafo greco Michalios, di 3.742 tsl, partito in zavorra e senza alcuna scorta da Mersina (Turchia) diretto a Beiruth e Porto Said.

I sommergibile inseguì il piroscafo, identificato erroneamente come il piroscafo a vapore greco Livathos, di 1.667 tsl, per più di sei ore, e falli un primo attacco lanciando due siluri alle 14.57. Ripreso l’inseguimento alle ore 15.03, l’U 81 lanciò altri due siluri contro il Michalios (capitano Pandelis Spaniolos) e la colpì con un siluro tra le stive n. 3 e n. 4. La poppa del piroscafo si spezzò, facendolo entro due minuti a 3 miglia a ovest di Latakia, in Siria. Decedette un membro dell’equipaggio, mentre i ventotto sopravvissuti, furono raccolti da una motolancia e sbarcati a Latakia. L’attacco si era svolto vicino alla costa, e da Beirut erano stati inviati nella zona due motolance e la corvetta australiana Cessnock (tenente T.S. Thomas Sydney Marchington), che effettuò la ricerca del sommergibile ma senza successo.

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L’U 81 rientro a Salamina il 4 luglio, dopo aver affondato due navi mercantili e tre motovelieri per 12.078 tsl.

Il sommergibile tedesco U 81 del, uno dei più anziani del tipo VII B, ma anche uno dei più vittoriosi della 29a Flottiglia, affondatore della portaerei britannica Ark Royal. Nella sua attività di guerra l’U 81, prima di essere distrutto a Pola il 9 gennaio 1944 da aerei statunitensi della 15a Air Force decollati dagli aeroporti di Foggia, affondò 27 navi per 73.006 tonnellate e ne danneggiò un’altra di 6.671 tsl.

Nel frattempo, nel Mediterraneo occidentale, alle 04.34 del 21 giugno l’U 431 (sottotenente di vascello Dietrich Schöneboom), trovandosi a 16 miglia a nordnordest di Capo Tres Forcas attacco un incrociatore britannico ritenuto della classe “Frobisher”, e ottimisticamente il comandante Schöneboom ritenne di averlo colpito con tre siluri, e quindi sicuramente affondato.

Lo stesso giorno, alle 09.30, l’U 73 (sottotenente di vascello Horst Deckert) attaccò ad ovest di Algeri il convoglio TE-22, comprendente 2 piroscafi, 15 mezzi da sbarco e 12 motovelieri. Il sommergibile lanciò tre siluri, due dei quali andarono a colpire il fianco del piroscafo britannico Brinkburn (capitano Norman Johnsen), di 1.598 tsl, che proveniente da Swansea, e poi salpato da Gibilterra il giorno 21 diretto a Philippeville. La nave, con un carico vario militare di 2.500 tonnellate e 800 tonnellate di munizioni, esplose e affondò immediatamente in lat. 36°53’N. long. 02°22’E. Quando successivamente l’U-boote venne in emersione, trovo molti rottami e scatole di cibo danneggiate che galleggiavano alla superficie del mare. Il comandante, 21 uomini dell'equipaggio e 7 cannonieri andarono perduti con il

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Brinkburn, mentre, un membro dell'equipaggio e un cannoniere furono salvati da un mezzo da sbarco e da una nave da pesca e sbarcati ad Algeri.

Il piroscafo britannico Brinkburn che fu silurato e affondato dall’U 73.

Il

sommergibile

U 73.

Alle 17.04 del 27 giugno, l’U 73 colse un nuovo successo attaccando a 25 miglia a nord-ovest di Cherchell (Algeri) la petroliera di squadra britannica Abbeydale (capitano George F. Rutter Rutter), di 6.894 tsl, del convoglio HTG-2, partita da Bona per Gibilterra in zavorra. La nave fu colpita da un siluro a poppa e gravemente danneggiata fu portata ad incagliare sulla spiaggia, per poi essere recuperata e riparata nel 1944. L’intero equipaggio di settanta uomini si salvò

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La petroliera di squadra britannica Abbeydale che fu affondata dall’U 73. La Spezia, estate 1943, l’arrivo dell’U 73. Sullo sfondo a sinistra l’incrociatore italiano Bolzano e una corazzata della classe “Littorio”.

Il sommergibile tedesco U 73 in bacino a La Spezia, e il suo comandante sottotenente di vascello Horst Deckert. Come l’U 81 del tipo VII B e affondatore della portaerei britannica Eagle, l’U 73 aveva ottenuto grossi successi, affondando 12 navi per 66.892 tonnellate e danneggiandone altre 3 per 22.928 tonnellate.

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Parte dell’equipaggio dell’U 73 durante una navigazione di guerra.

Nel frattempo, alle 11.37 del 22 giugno l’U 593 del tenente di vascello Gerd Kelbling aveva attaccato una formazione di navi da sbarco per carri armati statunitensi a 8 miglia a nord di Capo Corbelin, e come vedremo più avanti, rese inutilizzabile la LST 333 e danneggiò gravemente la LST 387.

Alle 20.30 del 26 giugno l’U 617 (tenente di vascello Albrecht Brandi) aveva attaccato un cacciatorpediniere britannico a 20 miglia a nord di Capo Tres Forcas, segnalando, erroneamente, di averlo affondato.

Il sommergibile tedesco U 617.

Alle 22.57 del 30 giugno l’U 453 effettuò a nord di Tolemaide un altro attacco contro il convoglio GTH-3 lanciando una salva di quattro siluri, uno dei quali fu visto al periscopio dal comandante colpire una nave e furono poi udire tre esplosioni, motivo per cui il tenente di vascello Egon-Reiner von Schlippenbach, segnalò di aver danneggiato una nave.

In effetti colpì e danneggio la cisterna di squadra britannica Oligarch (capitano Thomas Elder), ex British Lantern, di 6.894 tsl, che tuttavia rientrò con le sue macchine ad Alessandria, per poi, riparata, rientrare in servizio nel successivo mese di settembre.

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La petroliera di squadra britannica Oligarch (ex British Lantern), che il 30 giugno 1943 fu silurata e danneggiata in convoglio dall’U 453 a nord di Tolemaide (Cirenaica).

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Lo sbarco in Sicilia, era stato deciso dal primo ministro britannico Churchill e dal presidente statunitense Roosevelt durante la riunione di Casablanca, nel gennaio 1943, con l’intendimento di riaprire il Mediterraneo alla navigazione degli Alleati.

L’invasione fu preparata dagli anglo-americani con un’impressionante offensiva aerea diretta contro gli obiettivi militari siciliani, gli aeroporti in particolare, sui quali furono letteralmente fatti a pezzi i reparti da caccia italo - tedeschi rimasti a difendere l’isola, dopo il ritiro dei bombardieri sugli aeroporti del continente, realizzato verso la fine di giugno per sottrarli a quella temibile minaccia distruttiva.

L’operazione anfibia, chiamata “Husky”, svoltasi sotto la direzione del Comandante delle Forze Navali Alleate, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, inizio nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 in un tratto di costa lungo ben 110 km, tra Gela e Siracusa, e vi parteciparono 3.445 velivoli e ben 2.590 unità navali di ogni tipo, delle quali 1614 britanniche, 945 statunitensi e 31 di altre marine alleate. Si trattò, per estensione di costa, del più grande sbarco della seconda guerra mondiale, superiore, sotto questo profilo anche a quello della Normandia. Esso fu realizzato con convogli d’assalto e di rifornimento che partirono dai più svariati porti del Mediterraneo, e facendoli pervenire anche dall’Atlantico, attraverso lo Stretto di Gibilterra.

La componente anfibia fu ripartita in 21 convogli d’attacco, che trasportavano 181.000 uomini, 14.000 veicoli e 600 carri armati, mentre le forze navali destinate alla scorta, in massima parte britanniche, possedeva il suo nucleo principale nella famosa Forza H che, dislocata nello Ionio, comprendeva le corazzate Nelson, Rodney, Warspite e Valiant, le portaerei di squadra Indomitable e Formidabile (con 73 caccia Seafire e 27 aerosiluranti Albacore), 5 incrociatori e 18 cacciatorpediniere. Vi erano poi le moderne corazzate Howe e King Gorge V e 6 cacciatorpediniere, con il compito di proteggere il movimento verso levante dei convogli d’assalto in navigazione tra Algeri e l’entrata occidentale del Canale di Sicilia, di effettuare diversioni in direzione della Sardegna, e di rinforzare la Forza H in caso di necessità. Per opporsi a questa massa di mezzi, alla data del 9 luglio le forze dell’Asse potevano contare in Sicilia su 260.000 uomini, dei quali circa 30.000 tedeschi, mentre la componente aerea di prima linea, ripartita nelle basi della penisola italiana, in Sardegna e nella Francia meridionale, si avvaleva di 932 velivoli della 2a Flotta Aerea (2a Luftflotte) che includeva: 50 ricognitori, 356 bombardieri, 32 aerosiluranti, 81 distruttori, 134 assaltatori e 279 caccia. Vi erano poi 932 velivoli italiani, inclusi 3 ricognitori strategici, 192 bombardieri, 77 aerosiluranti, 20 da combattimento, 28 tuffatori, 161 assaltatori e 514 caccia.

L’operazione di sbarco in Sicilia era attesa e, contrariamente a quanto troppo spesso viene affermato, non generò alcuna sorpresa nei comandi dell’Asse, poiché non servirono ad ingannarli i vari espedienti realizzati dagli Alleati. Il più famoso – di cui posseggo una vasta documentazione inedita – fu quello del macabro cadavere di un uomo deceduto in Inghilterra di polmonite e che, sotto il nome fittizio di

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I sommergibili tedeschi durante i movimenti navali dell’Operazione “Torch”, lo sbarco degli Alleati in Sicilia.

“maggiore Martin” e per simularne la morte per annegamento, fu mollato in mare dal sommergibile “Seraph” (tenente di vascello Norman Limbury Jewell) e fatto arenare sulle coste spagnole di Cadice, con lettere contraffatte di alti ufficiali britannici che indicavano la Grecia quale obiettivo dello sbarco. Fin dall’inizio del ritrovamento del cadavere, i Comandi italiani si resero conto dell’inganno, e ritennero la Sicilia l’obiettivo principale della prossima mossa degli anglo-americani, anche perché (vedi cartina) la concentrazione dei mezzi da sbarco per realizzare l’impresa era concentrata nella zona tra Biserta e Tripoli

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Cartina disegnata dal padre dell’autore Antonio Mattesini.

Il sommergibile britannico Seraph del tenente di vascello Jewell.

Il primo contrasto ai convogli d’invasione degli Alleati si realizzò per mezzo dei sommergibili. Dopo la perdita di Pantelleria – arresasi senza combattere sebbene disponesse di una guarnigione di ben 12.000 uomini, fortemente trincerati e bene armati con artiglierie e nidi di mitragliatrici, a cui seguì l’analoga resa di Pantelleria e Linosa – e per l’incertezza sulle prossime azioni nemiche, la Regia Marina mantenne agguati preventivi lungo le coste metropolitane e in una zona a sud della Sardegna. Da qui durante giugno i sommergibili nazionali effettuarono alcune puntate offensive, ma purtroppo senza alcun esito, verso i porti algerini di Bougie e Philippeville, in cui era segnalato ingente traffico nonché il concentramento di una parte cospicua del naviglio anglo-americano destinato all’invasione dell’Italia.

Da parte tedesca erano disponibili, come detto, soltanto diciotto U-boote della 29a Flottiglia, di base a Tolone e a Salamina, i quali però furono opportunamente concentrati a ponente e a levante della Sicilia, dove nella seconda decade di giugno l’U 593 effettuò un attacco con successo.

Alle ore 21.31 del 22 giugno 1943, l’U 593 (tenente di vascello Gerd Kelbling) lancio i suoi quattro siluri di prora contro il convoglio statunitense “Elastic” , costituito da navi da sbarco per carri armati LST da 1.625 tonnellate che, diretto da Arzew (Algeria) a Biserta alla velocità di nodi 6,5, trasportavano truppe speciali destinate all’invasione della Sicilia. Il convoglio si trovava con rotta est a circa 8 miglia a nord-est di Cape Corbelin, presso Dellys (lat. 36°59’N, long. 04°01’E), quando furono colpite due navi, con un siluro ciascuna, la LST-333 e LST-387

La LST 333 ((tenente di vascello P.O. Krahen Buhl), fu colpita per prima da un siluro dell’ U-593 sul lato destro a poppa dove si sviluppò un incendio, e subito immobilizzata. Un altro siluro andò a centrare a la LST 387, che con la prua

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completamente squarciata dall’esplosione, riuscì a raggiungere il porto di Dellys, e venne successivamente riparata.

Venti minuti dopo che la LST 333 era stata colpita, arrivarono in suo aiuto i due mezzi da sbarco statunitensi LCT 18 e LCT 244. La LST 333, a causa dell’esplosione del siluro, aveva completamente demolita la sezione poppiera, assieme al timone, mentre la sala macchine allagata era completamente fuori servizio. Inoltre l’incendio a poppa aveva sollevato una lunga colonna di fumo. Le due LCT presero la LST 333 a rimorchio e la portarono lentamente verso la costa dell’Algeria. Un’ora dopo arrivò il cacciasommergibili statunitense SC 503, che si accostò alle LST 333 per imbarcarne 32 membri dell’equipaggio e 24 passeggeri, tutti feriti, per poi portarli ad Algeri. Dopo cinque ore di rimorchio la nave da sbarco fu portata in secca, di poppa, vicino a Dellys: località dove poi fu trasferito il resto dell’equipaggio e i rimanenti passeggeri. Il 6 luglio, durante i tentativi di salvataggio, la LST 333 affondò, ed ogni altro tentativo per recuperarla fu abbandonato. L’unità ebbe 31 morti, dei quali 16 dei 77 uomini dell’equipaggio e 5 dei 211 militari che trasportava.

Anche le perdite umane della LST 387 furono sensibili, dal momento che ebbe 24 morti e 4 feriti. La nave fu successivamente rimorchiata a Biserta, dove prestò servizio come nave deposito e officina galleggiante per i successivi quattordici mesi e fu infine riparata a Palermo, tornando in servizio nel giugno 1945.

Sopra, la nave da sbarco per carri armati statunitense LST 333, nella fase di addestramento nel giugno 1942. Navigando in un convoglio il 22 giugno 1943, assieme alla LST 387 fu colpita da un siluro lanciato dal sommergibile tedesco U 593 a circa 8 miglia a nord-est di Cape Corbelin, presso Dellys.

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Il siluramento delle due LST ebbe l’effetto di ostacolare l'addestramento delle truppe da sbarco statunitensi per l'imminente per l’operazione Husky, invasione della Sicilia.

Prima di raggiungere la base di Tolone, nel pomeriggio del 5 luglio l’U 593 effettuò un nuovo attacco affondando, con lancio di due siluri, uno dei quali dopo un minuto venti secondi colpì la motonave britannica Devis, (capitano Walter Denson), di 6.054 tsl, la nave del commodoro (contrammiraglio H.T. England), del convoglio KMS 18B, a 15 miglia a ovest-nordovest di Capo Corbelin, che trasportava truppe destinate all’invasione della Sicilia. La motonave, aveva a bordo 289 militari canadesi e i due mezzi da sbarco britannici LCM-1123 e LCM-1129. La nave affondo assieme all’LCM-1123, e 52 soldati andarono perduti. Si salvò l’LCM-1129, che danneggiato fu messa in mare, mentre il cacciatorpediniere di scorta Cleveland (tenente di vascello J.K. Hamilton), recuperò 379 uomini, incluso il commodoro del convoglio, sei persone del suo Staff, 24 membri dell’equipaggio e 237 soldati, che sbarcò a Bougie.

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La LST 387 portata all’incaglio a Dellys dopo il siluramento.

Ai primi di luglio tre sommergibili tedeschi ebbero modo di trovarsi sulla rotta di convogli d’invasione della Sicilia, e li attaccando con la consueta determinazione. Di questi sommergibili l’U 409, l’U 375 e l’U-593 riuscirono a silurare ed affondare

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L’ U-593 all’arrivo a Tolone l’11 luglio 1943. Altra immagine dell’U 593 quando era di base a Saint Nazaire.

lungo le coste dell’Algeria, nei giorni 4 e 5 luglio, tre piroscafi britannici del convoglio KMS.18/B, salpato da Clyde il 24 giugno, costituito da venti navi mercantili con a bordo elementi della 1a Divisione Canadese.10

Il primo sommergibile ad attaccare fu l’U 409 (tenente di vascello HannsFerdinand Massmann) che alle 20.47 del 4 luglio lanciò un siluro G7 contro il piroscafo City of Venice (capitano James Wyper), di 8.762 tsl, a 10 miglia a nordovest di Capo Tenes, colpendolo a dritta. L’esplosione incendiò la benzina dei mezzi da combattimento e da trasporto nelle stive e, minacciando di far esplodere le munizioni, costrinse il comandante ad ordinare all’equipaggio e alle truppe (302 militari) di abbandonare la nave, che affondò di prua alle 05.30 dell’indomani. Con la City of Venice, che era partita da Clyde diretta ad Algeri, andò perduto il mezzo da sbarco LCE-14 che la nave trasportava in coperta. La fregata Teviot, le corvette Honeysuckle e Rhododendron e il rimorchiatore Restive recuperarono 204 superstiti del piroscafo che sbarcarono ad Algeri.

Il piroscafo britannico City of Venice, che silurato e affondato dal sommergibile tedesco U 409.

Il secondo ad attaccare il convoglio, alle 21.40 del 4 luglio, lanciando una salva di quattro siluri, fu l’U-375 (tenente di vascello Jürgen Könenkamp). Uno dei siluri colpì a 20 miglia a nord-nordovest di Capo Tenes il piroscafo St. Essylt (capitano Stephen Diggins), di 5.634 tsl, salpato da Clyde, e che in fiamme e

10 Nel Diario del FdU è riportato che alla data del 1° luglio 1943 i 18 U-boote erano dislocati come segue: Mediterraneo occidentale U 380, U 565, U 593, U 617, U 458, U 73, U 375, U 409; Mediterraneo orientale U 81 e 453; a La Spezia U 410 e U 616; a Pola U-596; a Tolone U 371, U 407, U 431 e U 561.

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abbandonato dall’equipaggio e dalle truppe raccolte da due unità di scorta, le corvette Honeysuckle e Rhododendron e dal rimorchiatore Restive, affondò in seguito ad una esplosione alle 05.50 del 5 luglio. Decedettero un marinaio, un cannoniere e due militari, mentre furono portati ad Algeri dalle tre unità di scorta 53 uomini dell’equipaggio, 23 cannonieri e 320 militari.

Il piroscafo britannico St. Essylt affondato dal sommergibile tedesco U 375 a circa 20 miglia a nord-nordovest di Capo Tenes.

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La torretta dell’U 375 a La Spezia.

La motonave Devis (capitano Walter Denson), di 6054 tsl, subì la stessa sorte ad opera dell’U 593 (tenente di vascello Gerd Kelbling). Il sommergibile tedesco alle 15.43 del 5 luglio attaccò il convoglio KMS.18/B a nord-est di Capo Bengut lanciando due siluri, uno dei quali dopo un minuto venti secondi colpì il Devis, la nave del commodoro (contrammiraglio H.T. England). Il mercantile, aveva a bordo 289 militari canadesi e i due mezzi da sbarco britannici LCM-1123 e LCM-1129. La nave affondo assieme all’LCM-1123, e 52 soldati andarono perduti. Si salvò la LCM1129, che leggermente danneggiata fu messa in mare, mentre il cacciatorpediniere di scorta Cleveland (tenente di vascello J.K. Hamilton), recuperò 379 uomini, incluso il commodoro del convoglio, sei persone del suo Staff, 24 membri dell’equipaggio e 237 soldati, che sbarcò a Bougie.

Al rientro dell’U 593 a Tolone dalla missione, che ricordiamo aveva portato il sommergibile a silurare le navi da sbarco LST-333 e LST-387, il comandante, tenente di vascello Gerd Kelbling, ricevette la Ritterkreuz, l’ambita onorificenza della Croce di Cavaliere.

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Imbarco di un siluro da 533 mm sul sommergibile U 375. L’immagine è del 1941.

Il cacciatorpediniere di scorta britannico Cleveland che recuperò i superstiti del piroscafo Devis.

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La motonave britannica Devis, la terza nave del convoglio KMS.18/B, che fu affondata dal sommergibile tedesco U-593.

Un altro piroscafo britannico, lo Shahjehan (capitano Bertram E. Brewin), di 5.454 tsl, facente parte del convoglio MWS.36, comprendente 30 navi, e partito da Alessandria il 3 luglio, trasportando 230 soldati, 2.000 tonnellate di carico militare, inclusi camion e mezzi da sbarco della 231a brigata di fanteria e personale della RAF, fu attaccato alle 10.05 del 6 luglio ad ovest di Derna dall’U 453 (tenente di vascello Egon-Reiner von Schlippenbach) che silurò lo Shahjehan. Il piroscafo, danneggiato, fu preso a rimorchio ma l’indomani affondo in lat. 32°55’N, long. 21°10’E. Aveva a bordo 328 uomini, 79 dell’equipaggio, 20 cannonieri e 229 militari, e a parte un marinaio, rimasto ucciso, tutti gli altri furono recuperati dal rimorchiatore di salvataggio St. Monance (comandante J. Inglish) e dalla cannoniera fluviale Aphis (capitano di corvetta Frank Ythel Bethell), e sbarcati a Bengasi.

Il sommergibile tedesco U 453 al rientro da una fruttifera missione di guerra, come dimostrano le cinque bandierine triangolari al periscopio.

Quando ormai le unità navali degli Alleati avevano iniziato l’invasione della Sicilia, il mattino del 10 luglio arrivò al lancio del convoglio ET-22A il sommergibile tedesco U-371 (tenente di vascello Waldemar Mehl), che alle 12.41 silurò e danneggiò gravemente a 30 miglia ad est di Bougie due navi mercantili statunitensi, la Liberty Matthew Maury e la petroliera Gulf Prince.

La Matthew Maury (capitano Costa Carlson), di 7.176 tsl, che aveva una zovorra di 1.200 tonnellate di acqua salata, fu colpita da un siluro a poppa. L'esplosione fece saltare l'elica, piegò l'albero e inondò la stiva n. 5. La Liberty andò

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fuori controllo e gradualmente si arrestò. I 43 uomini dell'equipaggio 28 guardie armati e sette passeggeri si imbarcarono sulle scialuppe di salvataggio ma non abbandonarono la nave. Due corvette britanniche si fermarono e successivamente e la rimorchiarono verso Bougie, arrivandoci due giorni più tardi. Il 14 luglio due rimorchiatori trascinarono la Matthew Maury ad Algeri per riparazioni temporanee. Il 22 novembre la Liberty arrivò a Gibilterra e vi rimase fino al 19 agosto 1944, quando partì per Norfolk, arrivando l'8 settembre. Le riparazioni finali furono eseguite a Newport.

La Gulf Prince (capitano John Lund), di 6.561 tsl. partì anch’essa da Philippeville diretta ad Algeri. Il siluro che la colpì, esplose sul lato di dritta nella cisterna n. 7, che era vuoto. Soltanto nella cisterna n. 3 vi erano 1.000 barili di benzina avio da 100 ottani, il resto delle cisterne conteneva zavorra di acqua salata. L’esplosione del siluro aprì nello scafo un foro di 7 metri distruggendo il motore del timone, fece cadere l’albero principale e dette inizio ad un incendio nella cisterna piena di carburante, costringendo la nave a fermare le macchine. L’equipaggio, di 28 uomini e 27 guardie armate, abbandonarono la petroliera scendendo in mare con le scialuppe di salvataggio, per poi essere raccolto dal trawler britannico Sir Gareth (comandante J.P. Smith), RNR) e dall’Empire Commerce, dove una delle guardie armate morì in seguito a seguito di ustioni. Nel tentativo di salvare la petroliera, un equipaggio di salvataggio salì a bordo della Gulf Prince e i rimorchiatori britannici Weazel e Hudson la rimorchiarono ad Algeri, arrivandovi il 12 luglio. Invece di essere considerata total loss fu acquistata e noleggiata dalla Marina statunitense, che la utilizzò come magazzino mobile nel Nord Africa, per poi spostarla nel marzo del 1945 a Taranto. Il 20 febbraio 1948 fu venduta all’Italia, e fu demolita a Venezia nel gennaio 1949.

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La petroliera statunitense Gulf Prince.

I rimarchevoli successi dei sommergibili tedeschi erano stati resi possibili dal preventivo schieramento lungo le rotte percorse dai convogli degli Alleati di tutti i sommergibili disponibili, che al giorno 8 luglio ammontavano a diciassette: sei nel Mediterraneo centrale e undici nei bacini occidentale e orientale, schieramenti avanzati che invece non erano stati adottati dai sommergibili italiani, che mantennero le loro unità subacquee in uno sbarramento difensivo a sud-ovest della Sardegna, o tenuti pronti a partire dalle basi al primo allarme dell’invasione, per fare contro il nemico il massimo sforzo.

Da parte dell’aviazione dell’Asse, le prime reazioni contro i convogli d’invasione ebbero inizio, dopo la concentrazione di tutti i mezzi disponibili sugli aeroporti dell’Italia meridionale. A iniziare dalle ore 04.30 del 10 luglio la zona di sbarco statunitense di Scoglitti fu violentemente investita da ben 107 bombardieri Ju 88 della 2a Luftflotte, dei quali 90 raggiunsero gli obiettivi, accolti da un violentissimo fuoco contraereo. Sei velivoli non rientrarono alla base, mentre i successi conseguiti furono limitati all’affondamento nella zona di sbarco statunitense del dragamine Sentinel e del cacciatorpediniere Maddox che, colpito dalla bomba di uno Ju 88 del III./KG.54, con pilota e capo equipaggio il tenente Kurt J. Fox, saltò in aria davanti a Gela,

Seguirono agli attacchi dei bombardieri le incursioni di 46 assaltatori e cacciabombardieri FW 190 e Bf 110 che, scortati dai caccia Bf 109, durante tutta la giornata si dedicarono ad attaccare anche le unità navali presenti nelle aree di sbarco britanniche. Andarono perduti 5 velivoli (un FW 190 e 4 Bf 109), mentre i risultati conseguiti furono limitati all’affondamento della nave da sbarco per carri armati statunitense LST 313. Infine, a conclusione delle azioni della giornata, al crepuscolo tornarono all’attacco 96 bombardieri Ju 88, che riuscirono però ad affondare soltanto la nave ospedale Talamba, regolarmente illuminata al largo di Avola, e a danneggiare il monitore Erebus, i cui due cannoni da 381 mm. erano molto utili per dare allo sbarco l’appoggio navale.

. Da parte della Regia Aeronautica furono impiegati quindici bombardieri e dodici aerosiluranti, che non conseguirono alcun successo, perdendo un bombardiere quadrimotore P. 108 e tre aerosiluranti S. 79.

Mentre si svolgevano le azioni aeree a Roma fu discussa l’eventualità di poter fare intervenire il grosso della flotta italiana, come era stato pianificato da Supermarina con la Direttiva Navale n. 12 (Di.Na. 12) e promesso ai tedeschi che, assieme alla Regia Aeronautica, avrebbero dovuto fornire alle navi il più efficace appoggio aereo che si rendesse disponibile con i mezzi aerei a disponibili. Superaereo, l’organo operativo dello Stato Magguiore dell’Aeronautica, fece subito conoscere che avrebbe messo a disposizione tre gruppi da caccia, e anche il Comando della 2a Luftflotte avvertì che si stava preparando a fornire la scorta aerea alla flotta italiana.

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Ma le possibilità di realizzare l’azione navale, concentrando la flotta dell’alto Tirreno da La Spezia e da Genova a Napoli, per poi attaccare all’alba, a seguito di una veloce navigazione notturna, nella zona di Augusta, fu sconsigliata dalla realtà della situazione. La decisione di non intervenire, che avrebbe generato polemiche a non finire da parte dei tedeschi, in particolare del Comandante in Capo della Kriegsmarine, grande ammiraglio Karl Dönitz, fu presa dopo una vivace discussione che si svolse al Comando Supremo tra l’ammiraglio Arturo Riccardi, Sottosegretario e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ed il generale Vittorio Ambrosio, Capo dello Stato Maggiore Generale.

Mussolini, lasciato arbitro di decidere l’intervento navale, di fronte alla netta opposizione dei due ufficiali, che non mancarono di mostrargli le difficoltà dell’impresa, autorizzò a non far intervenire le navi, perché si convinse che i rischi erano, effettivamente, troppo alti per una flotta che, dopo i danni subiti dalle corazzate negli attacchi aerei del mese di giugno alla Spezia, poteva soltanto andare a compiere una missione di sacrificio, potendo disporre in efficienza soltanto sulle due navi da battaglia moderne della 9a Divisione Littorio e Vittorio Veneto, su cinque incrociatori leggeri (Garibaldi, Abruzzi, Aosta, Eugenio di Savoia e Scipione Africano), e al massimo su una decina di cacciatorpediniere. Nessun aiuto potevano dare le due anziane e rimodernate corazzate minori della 5a Divisione, il Duilio e l’Andrea Doria, che per mancanza di nafta erano state praticamente poste in riserva all’inizio del 1943, e che soltanto da alcuni giorni avevano ripreso l’addestramento a Taranto.

Quanto alla ugualmente anziana Giulio Cesare, essa era da tempo immobilizzata per lavori a Pola, dove si trovava anche la gemella Cavour che stava cercando di ultimare le riparazioni dei danni riportati a Taranto l’11 novembre 1941; lavori che comportavano di sostituire tutto l’armamento secondario, con cannoni contraerei. Infine, si trovava ancora a lavori a Genova la nave da battaglia più potente e moderna, la Roma, che il 5 giugno era stata colpita alla Spezia, assieme alla Vittorio Veneto, nell’incursione di 60 bombardieri B. 17 statunitensi della 12^ Air Force decollati dagli aeroporti dell’Algeria

In queste condizioni ogni sforzo per contrastare l’invasione della Sicilia fu riposto sul naviglio sottile e subacqueo, mandando di notte le motosiluranti ad insidiare, senza successo, la zona a sud dello Stretto di Messina, e cercando di fare affluire i sommergibili alle aree di sbarco. Ciò avvenne al prezzo di fortissime perdite, poiché, tra il luglio e l’agosto, comje vedremo, non rientrarono alle basi ben nove battelli.

L’inizio dello sbarco Degli Alleati in Sicilia e l’impiego dei sommergibili dell’Asse

Mentre la situazione in Sicilia precipitava per l’Asse, dopo il peso dell’attività navale nelle acque adiacenti, seguita alla rinuncia all’impiego della Squadra Navale, ogni sforzo ricadde quasi esclusivamente sull’aviazione e sui sommergibili, che però

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non potevano lasciare sguarnite le coste della Sardegna, in cui si teneva sempre la possibilità del verificarsi di uno sbarco degli anglo-americani. In questo compito i sommergibili italiani furono spalleggiati da motosiluranti e da mas, che agendo di notte avevano maggiore possibilità di procurare danni al nemico e minore possibilità di essere scoperti e nel contempo più favoriti nel potersi sottrarre ai letali attacchi del nemico. Ma, come avremo modo di vedere, tutti questi mezzi insidiosi, subacquei e di superficie, furono particolarmente deludenti, e soltanto un sommergibile italiano riuscì a silurare e danneggiando una nave da guerra britannica.

Al momento dell’invasione della Sicilia erano pronti all’impiego nel Mediterraneo centrale quindici sommergibili italiani e nove tedeschi. Il mattino dell’8 luglio, nel corso di una riunione tenuta a Roma, Supermarina propose di concentrare tutti i sommergibili disponibili nel Canale di Sicilia per fronteggiare l’atteso sbarco nemico, ma l’ammiraglio Luigi Sansonetti, Sottocapo di Stato Maggiore della Regia Marina, e il Comandante dei sommergibili tedeschi nel Mediterraneo (FdU. Italien), inquadrati nella 29a Flottiglia, contrammiraglio Leo Karl Kreisch, declinarono tale invito con la motivazione che essi ignoravano la posizione degli sbarramenti minati nemici. Fu pertanto deciso di impiegare tutti i sommergibili e U-boote a sud della Sicilia dopo l’invasione, nella speranza di spezzare il flusso dei rifornimenti del nemico. Questo, come vedremo, fu fatto congiuntamente, ma fruttò soddisfazioni assai modeste alle unità subacquee dell’Asse.

Già prima della data d’inizio dell’invasione della Sicilia lo sbarramento preventivo a sud della Sardegna era stato rinforzato e portato alla consistenza di otto unità subacquee: Giada, Turchese, Alagi, Nichelio, Nereide, Argento, Platino e Diaspro. Successivamente, a sbarchi iniziati, l’Alagi, il Nichelio e il Nereide, e poi anche il Giada e un sommergibile tedesco, vennero spostati nelle acque della Sicilia, dove già si erano portati preventivamente in agguato lungo le coste sud-occidentali dell’isola altri sei sommergibili. Argo, Acciaio, Bronzo, Brin, Flutto e Velella, a cui si aggiunse il Beilul in navigazione di rientro dalle acque a nord della Cirenaica. Complessivamente si trattava di diciannove sommergibili italiani e uno tedesco, l’U 561, mentre altri si tenevano pronti a salpare dalle basi non appena possibile.

Era stato infatti previsto che i sommergibili avrebbero dovuto fare il massimo sforzo nel corso dei primi cinque giorni delle operazioni, poiché questo periodo si presentava come il più adatto per l’attacco in massa delle unità subacquee contro un prevedibile concentramento di bersagli navali. Ma come vedremo le perdite e le avarie riportate dai sommergibili per attraversare le vigilate zone difese del nemico contribuirono in maniera decisiva ad impedire la realizzazione e concentrazione di efficaci sbarramenti, cosi ché l’azione dei battelli subacquei si rivelò assai debole.

A tutte le unità subacquee italiane l’ammiraglio Legnani, Comandante della Squadra Sommergibili, alle 12.15 del 10 luglio inviò il seguente telegramma: “Il nemico vuole la nostra terra – Sommergibili, a tutti i costi inchiodatelo, distruggetelo annientatelo”.

Tutti questi sommergibili, secondo gli intendimenti di Maricosom avrebbero dovuto contrastare con il massimo vigore le operazioni di sbarco del nemico, con un concentramento iniziale di dieci unità. L’ordine di operazione “Z”, che era stato

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assegnato ai sommergibili del 2° Gruppo di Napoli e del 7° Gruppo della Maddalena, sotto forma di busta sigillata da aprirsi all’ordine. Era stato compilato fin dal mese di marzo 1943 in previsione di attacchi e sbarchi sulle coste occidentali e meridionali della Sardegna. Nei successivi aggiornamenti, sulle rotte e la posizione dei campi minati, in maggio l’ordine di operazione “Z”era stato esteso anche alla Sicilia che ormai si cominciava a ritenere come obiettivo nemico possibile. In esso il compito il compito assegnato ai sommergibili era quello di: “Attaccare e distruggere le forze nemiche ed i piroscafi”. Quindi tutti a bordo dei sommergibili all’apertura delle buste sigillate sapevano quale era il loro compito. Ma una cosa è dare un ordine ed un'altra cosa quello di poterlo applicare.

Fin da subito apparve chiaro che il numero dei sommergibili trasferiti nelle acque meridionali della Sicilia per contrastare gli innumerevole mezzi navali impiegati dagli anglo-americani nell’invasione dell’isola, era troppo modesto in relazione all’ingente dispositivo difensivo messo in atto con mezzi di ogni genere dagli Alleati. Il primo giorno trascorse con i sommergibili impegnati nel trasferimento nelle acque della Sicilia, che fu molto movimentato poiché molti battelli furono soggetti ad attacchi di aerei e di sommergibili, che si mantenevano in agguato presso i porti e lungo le rotte di trasferimento per raggiungere le zone di agguato assegnate. La conseguenza di questa vigilanza, realizzata dai britannici anche con motosiluranti che si mantenevano di notte nelle immediate vicinanze dello Stretto di Messina, fu che nei primi tre giorni di operazioni si persero quattro sommergibili italiani e uno germanico.

L’11 luglio cominciarono ad arrivare nelle zone delle coste meridionali della Sicilia i primi tre sommergibili, l’Argo, il Velella e il Flutto. Subito l’Argo (tenente di vascello Arcangelo Giliberti), veterano delle operazioni in Atlantico rientrato nel Mediterraneo, assieme al Velella, nell’estate del 1941, si distinse per il recupero di un aviatore di un aereo tedesco caduto in mare la sera precedente, e per un successivo attacco ad un incrociatore navigante in convoglio in rotta verso Augusta. Meno fortunato il Flutto (tenente di vascello Francesco Caprile), che partito all’alba del 10 luglio dal porto di Bonifacio (Corsica) per portarsi in agguato al largo della zona di sbarco britannica di Augusta, nell’attraversare nella notte dell’11 lo Stretto di Messina e trovandosi a 25 miglia al largo della costa siciliana tra Catania e Arcireale fu attaccato da tre motosiluranti britanniche, la MTB-640, MTB-651 e MTB-670 con le quali, prima di immergersi, schivando i loro siluri, sostenne un violento scontro in superficie sparando con le sue quattro mitragliere da 13,2 che uccisero e ferirono 17 uomini degli equipaggi delle piccole unità. Subito dopo che il sommergibile si era immerso, la MTB 670 (comandante Ian McQuarrie) gettò in mare, nel punto in cui il sommergibile era scomparso, le quattro le bombe di profondità in dotazione, regolate per scoppiare a 15 e 30 metri. La MTB 670 dopo essere rimasta per breve tempo sul nel punto 37°34’ N e 15°43’ E, per controllare se vi fossero stati rottami o chiazze di nafta salire alla superficie del mare, si allontanò con la convinzione che il sommergibile era stato danneggiato. Non essendovi stati superstiti non possiamo sapere se il sommergibile fosse stato affondato, come è probabile, dal momento che nessuna altra nave segnalò l’attacco ad un sommergibile in quella zona.

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Nelle due immagini, riprese durante le prove di velocità, il nuovissimo sommergibile italiano Flutto, della nuova classe “Tritone”, che la notte dell’11 luglio fu attaccato in superficie nello Stretto di Messina dalle motosiluranti britanniche MTB-640, MTB-651 e MTB-670. E’ probabile che dopo un duello in cui schivo siluri e rispose al fuoco delle mitragliere, nell’immergersi sia stato affondato dalle bombe di profondità lanciate dalla MTB 670.

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Nella stessa zona, nella tarda serata del medesimo giorno altre tre motosiluranti britanniche, le MTB-77, MTB-81 e MTB-94, attaccarono, poco a sud dello Stretto di Messina, il sommergibile tedesco U-561 (sottotenente di vascello Fritz Henning), che navigando in superficie fu colpito da due siluri e affondato dalla MTB-81 (sottotenente di vascello Laurence Vezey Strong), il posizione lat. 38°16’N, long. 15°39’E. Dell’equipaggio di 46 uomini del sommergibile ne andarono perduti 42, in quanto quattro furono salvati da mezzi di soccorso tedeschi. L’U 561 era alla sua quindicesima missione, ed aveva affondato cinque navi per 17.146. Inoltre ne aveva colpite altre due, una delle quali di 4.043 tsl resa inutilizzabile un’altra (total loss) e l’altra di 5.062 tsl danneggiata.

Lancio siluri da una motosilurante britannica MTB.

L’indomani, 12 luglio, i tedeschi ebbero un’altra perdita, quella dell’U 409 (sottotenente di vascello Hanns-Ferdnand Massmann), che aveva lasciato Tolone il 29 giugno. Esso fu scoperto cacciatorpediniere britannico Inconstant (capitano di corvetta John Henry Eaden), che stava scortando il convoglio KMF-19 con navi da trasporto scariche in rotta di rientro in Algeria dalla Sicilia, ed attaccato a levante di Algeri con prolungate scariche di bombe profondità. Costretto per i gravi danni riportati a venire in superficie, l’U 409 fu affondato con l’impiego delle artiglierie dall’Incostante che poi recuperò il comandante, ufficiali e altri 35 superstiti dell’equipaggio del sommergibile. Altri 9 uomini decedettero falciati dal fuoco del cacciatorpediniere britannico. Il sommergibile era alla sua sesta missione ed aveva affondato quattro navi per 24.961 tonnellate (una con a bordo un mezzo da sbarco di 10 tonnellate) e danneggiato un’altra nave per 7.519 tsl.

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Il cacciatorpediniere britannico Inconstant che il 7 luglio 1943 affondò a levante di Algeri il sommergibile tedesco U 409. Il comandante dell’Inconstant, capitano di corvetta John Henry Eaden ripreso durante l’azione contro l’U 409.

L’affondamento dell’U 409. L’equipaggio abbandona il sommergibile.

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L’affondamento dell’U 409 e il recupero nei naufraghi da parte del cacciatorpediniere Inconstant.

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Ai primi tre sommergibili italiani inviati a sud della Sicilia seguirono, nelle medesime zone operative, il 12 luglio il Bronzo il Nereide e il Beilul, ma nello stesso tempo si ritirarono il Velella, per i danni riportati nell’attacco con bombe e mitragliamento da parte di un aereo, e l’Argo; quest’ultimo per noia ai motori, dopo aver attaccato con quattro siluri, alle 14.02 del 12, un incrociatore di 9.100 tonnellate (classe “Southampton”) che il comandante, tenente di vascello Arcangelo Giliberti, ritenne di aver colpito con un siluro, per poi sottrarsi alla violenta reazione di unità di scorta.

L’indomani si verificò l’episodio del Bronzo (tenente di vascello Antonio Gerardi), che partito da Pozzuoli il 10 luglio per operare al largo di Augusta, alle 16.00 del 12 avendo udito all’idrofono rumore di turbine, manovrò per attaccare una formazione di quattro unità leggere, ma poi accortosi che si tratta di corvette in pattugliamento antisom, cercò di disimpegnarsi. Fu in questa fase che una sopraggiunta avaria ai motori costrinse il Bronzo ad emergere per combattere in superficie, avendo di fronte i dragamine di squadra britannici della 4a Flottiglia (Cromarty, Boston, Poole e Seahm, al comando del capitano di fregata Charles G. Palmer Il Bronzo fu accolto dal fuoco incrociato di cannoni e di mitragliere che falciarono gli ufficiali e gli uomini che erano saliti in coperta, uccidendo il comandante Gerardi, il comandante in seconda e altri sei uomini dell’equipaggio. In queste condizioni, essendo il sommergibile privo di comando, fu affiancato prima che il personale si fosse reso conto di quanto accadeva, dai dragamine Seaham (Robert Ernest Brett), che, impadronendosi del sommergibile, tramite uomini saliti a bordo con le armi in pugno per evitare l’autoaffondamento e mantenere il controllo dal Bronzo, lo rimorchiò a Siracusa con la bandiera britannica che sventolava al posto di quella italiana.11

11 Dopo essere stato inserito nei ranghi della Royal Navy con la numerazione P 714, il 29 gennaio 1944 il Bronzo fu ceduto alla Marina francese che lo chiamò Narval.

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Il sommergibile italiano Bronzo.

Il sommergibile italiano Bronzo dopo essere stato affiancato e catturato dal dragamine di squadra britannico Seaham.

Il sommergibile Bronzo dopo essere stato rimorchiato nel porto di Siracusa.

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Il capitano di fregata Charles G. Palmer, Comandante della 4a Flottiglia dragamine di squadra, e del Cromarty.

Degli altri due sommergibili il Nereide (tenente di vascello Renato Scandola), che salpato da Pozzuoli per raggiungere una zona di agguato a sud della Sardegna, il 10 luglio ricevere l’ordine, di portarsi nella zona fra Augusta e Siracusa dove era in corso lo sbarco nemico, nella notte sul 13, dopo aver effettuato un attacco contro un convoglio che non ebbe esito alcuno, alle 04.30 fu contrattaccato con bombe di profondità dai cacciatorpediniere britannici Echo e Ilex, che lo costrinsero ad emergere alle 07.05, per poi affondarlo con cannoni e mitragliere. Furono recuperati dalle due unità britanniche 2 superstiti.

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Il sommergibile Nereide prima della modifica della torretta.

Anche il Beilul, che salpato il 10 luglio dalla Maddalena operava nelle acque di Capo Passero, attaccò senza esito una formazioni di cacciatorpediniere in crociera di vigilanza. Nel corso di questa azione, alle 04.45 del 12 luglio il cacciatorpediniere greco Pindus fu attaccato dal Beilul ad est di Capo Passero, ma senza successo. Il Pindus reagì dando caccia al sommergibile ma senza alcun risultato.

Sempre il 12 luglio il Capo di Stato Maggiore Generale, generale Vittorio Ambrosio, trasmise per telescrivente a Supermarina il seguente messaggio:

N. 42007/OP. Nell’attuale momento di forte traffico di mezzi nemici da Malta verso le zone di sbarco in Sicilia prego esaminare convenienza concentrare verso di esse anche i sommergibili attualmente in agguato zona La Galite. Generale Ambrosio. 205012.

Nella notte sul 13 luglio il sommergibile Diaspro (tenente di vascello Alberto Donato) effettuò un attacco a vuoto contro un piroscafo di 15.000 tonnellate, scortato da due corvette, ed erroneamente il comandante Donato ritenne di averlo colpito e danneggiato. Non fu fortunato l’Acciaio (tenente di vascello Vittorio Pescatore), il quale trovandosi nel Golfo di Gioia, a nord dello Stretto di Messina, in rotta di navigazione per le acque orientali della Sicilia, alle 20.22 quello stesso giorno 13 fu avvistato dal sommergibile britannico Unruly (tenente di vascello John Paton Fyfe) che si manteneva in agguato in quella zona. Alle 20.49 l’Unruly, dalla distanza di 3.000 yard, lancio una salva di quattro siluro uno dei quali raggiunse l’Acciaio affondandolo il posizione lat. 38°35'N, long. 15°49'E. Non vi furono superstiti.

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Il sommergibile italiano Acciaio al varo nei Cantieri OTO del Muggiano il 21 giugno 1941, ed entrato in servizio lo stesso anno il 28 ottobre.

Il 14 luglio, in seguito alla perdita del Bronzo, del Nereide e dell’Acciaio, lo sbarramento predisposto nelle acque orientali della Sicilia veniva ridotto al solo Beilul, che successivamente fu sostituito dal Nichelio, dall’Alagi e dal Dandolo, i primi due provenienti dalle acque della Sardegna. In tale occasione il Nichelio (tenente di vascello Claudio Celli), mentre transitava per lo Stretto di Messina fu attaccato all’imboccatura meridionale da motocannoniere britanniche. Si trattava delle MGB 641, 643 e 646 della 20a Flottiglia, che operava a sud dello Stretto. Alle 21.30, le tre motocannoniere avvistarono e attaccarono, in lat. 37°34’N, long. 15°43’E, il Nichelio, che dapprima si difese con le armi di bordo e poi si disimpegnò immergendosi. Nel frattempo l’azione a fuoco aveva messo in allarme le batterie costiere italiane e tedesche poste a difesa dell’entrata meridionale dello Stretto, il cui tiro inquadrò la MGB-641 Colpita in pieno da una granata la motocannoniera affondò, fortunatamente senza riportare perdite umane. L’intero equipaggio, raggiunta la costa della Sicilia, fu fatto prigioniero.

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Il sommergibile britannico Unruly che silurò e affondò il sommergibile italiano Acciaio. Sommergibile classe “Platino” a cui apparteneva il Nichelio.

costiere

Era stato previsto da Supermarina e da Maricosom che i sommergibili avrebbero dovuto fare il massimo sforzo nel corso dei primi cinque giorni delle operazioni poiché questo periodo si presentava come il più adatto per l’attacco in massa contro una prevedibile intensa massa di bersagli. Ma la perdita di quattro

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Il sommergibile Nichelio. La foto è dell’11 settembre 1943 ripresa nel Golfo di Salerno da una nave Alleata.
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Una motocannoniera MGB del tipo della 641 che attaccò il sommergibile Nichelio per poi essere affondata dal tiro delle batterie sulle coste dello Stretto di Messina.

sommergibili italiani (Flutto, Bronzo, Nereide, Acciaio) nel corso del trasferimenti e nell’attraversare gli agguerriti sbarramenti difensivi del nemico, assieme alle avarie riportate da altri battelli, contribuirono in maniera decisiva ad impedire il formarsi dei previsti sbarramenti preventivi, si ché il contributo dato si rivelò assai debole, e mai con un numero di sommergibili superiore ai tre contemporaneamente in zona. Né conseguì che pur essendo stati impiegati con grande decisione i risultati conseguiti furono tra il 11 e il 15 luglio assolutamente inesistenti di successi, anche perché il loro numero era troppo limitato a paragone dell’ingente dispositivo di navi e di mezzi di ogni genere, sia in unità navali e sia in aerei, che gli Alleati disponevano nelle acque della Sicilia.

Il totale dei sommergibili italiani in mare variò tra i dieci e i quindici nei primi cinque giorni di operazione, mentre i tedeschi da parte loro passarono nello stesso periodo da nove unità in mare all’inizio dello sbarco degli Alleati a sei il giorno 15 luglio. Poiché i sommergibili delle due marine dell’Asse, come abbiamo visto, non riuscirono a ottenere successi nelle aree di sbarco nei primi giorni d’impiego, il 18 luglio il contrammiraglio Kreisch espresse la sua sorpresa per il fatto che gli U-boote non fossero riusciti a conseguire risultati in una zona tanto ricca di bersagli. La ragione, era da ricercarsi nell’eccellente protezione antisom formata dalle unità di scorta statunitensi e britanniche e nella costante vigilanza esercitata dagli aerei degli Alleati in forma di avvistamento e di attacco anche nelle ore notturne. Finalmente consapevoli di ciò i responsabili italo-tedeschi della guerra navale ordinarono lo spostamento dei sommergibili più a nord, negli immediati approcci ai porti di scarico della zona britannica di Siracusa e Augusta, adottati dal nemico quali principali basi di approvvigionamento di uomini, mezzi, ove in effetti i sommergibili ebbero modo di distinguersi, in particolare con lo sbarramento Nichelio, Dandalo e Alagi.

La mattina del giorno 16 gli italiani, dopo tante delusioni, ottennero in mare due ottimi successi, colpendo alle 00.25, a 50 miglia a sud-est di Capo Passero, con un siluro sganciato da un aerosilurante S.79 del 41° Gruppo, con piloti il capitano Carlo Capelli e il tenente Nevio Caselli, la portaerei britannica Indomitable, che era in formazione con un nucleo navale della Forza H. L’unità con il locale caldaie devastato, e la velocità ridotta a 14 nodi, raggiunse Malta dove avvennero i primi lavori di riparazione, per poi trasferirsi per le riparazioni definitive in un arsenale degli Stati Uniti.12

12 Francesco Mattesini, Luci e ombre degli aerosiluranti italiani e tedeschi nel Mediterraneo Agosto 1940 – Settembre 1943, RiStampa Edizioni, Santa Ruffina di Cittaducale (RI), aprile 2019, p. 331-338. * Dopo il siluramento della portaerei Indomitable, il 16 luglio 1943, le azioni degli aerosiluranti italiani risultarono inconcludenti, sebbene venissero impiegati tra i dieci e i quindici velivoli per notte, subendo molte perdite. Fu soltanto a metà agosto, quando la campagna della Sicilia, durata 38 giorni, stava per concludersi con la conquista dell’isola da parte degli angloamericani, che gli aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo, operando dalla Sardegna contro il naviglio alleato che transitava lungo le coste del nord Africa, riuscirono a conseguire tre successi. Essi riuscirono ad affondare

nel corso di azioni singole effettuate nelle notti del 15 e del 16

due unità britanniche, la nave da sbarco per carri armati LST 414, e il piroscafo Empire Kestrel, e a danneggiare irreparabilmente il piroscafo statunitense Benjamin Contee. I rispettivi capi equipaggi dei velivoli che conseguirono quei successi furono il capitano Carlo Faggioni, il capitano Giuseppe

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Il secondo successo fu conseguito dal sommergibile Alagi, che già il 12 agosto 1942, nel corso della Battaglia di Mezzo Agosto, aveva colpito con un siluro a prua l’incrociatore britannico Kenya, costringendolo a lunghe riparazioni, e che colpì un altro incrociatore britannico il Cleopatra. Ma erroneamente, anche per errate informazioni ricevute dall’Ufficio Storico della Marina italiana dalla Sezione Storica dell’Ammiragliato britannico, questo successo fino agli anni ’70 era stato assegnato ad un altro sommergibile italiano, il Dandolo comandato dal tenente di vascello Aldo Turchio, che attaccò nella zona vicino a quella dell’Alagi, comandato dal tenente di vascello Sergio Puccini, tre ore prima. Vediamo come avvennero i due attacchi, che furono preceduti da quello del Nichelio del tenente di vascello Claudio Celli nelle prime ore del 16 luglio quando, in lat. 37°55’N, long. 15°06’E, lancio contro un piroscafo senza colpirlo a causa della corsa irregolare dei siluri.

Il siluramento dell’incrociatore britannico CLEOPATRA

Alle 02.57 del 16 luglio, il sommergibile Dandalo, trovandosi in emersione in lat. 37°04’N, long. 16°02’E, a circa 30 miglia da Siracusa, attaccò con decisione una formazione navale molto allungata di sei unità e lancio tre siluri contro un presunto incrociatore. Uno dei siluri esplose prematuramente durante la corsa costringendo il comandante Turchio ad ordinare la rapida immersione. In tal modo egli non poté fare osservazioni a vista ma, avendo udito nella fase di disimpegno due scoppi prolungati, dopo essersi allontanato dalla zona senza essere stato sottoposto ad alcuna ricerca antisom, riferì per radio di aver colpito una delle unità nemiche. Al telegramma del comandante Turchio che informava Maricosom dell’avvenuto siluramento l’ammiraglio Riccardi, subito informato dall’ammiraglio Legnani, rispose: “Tua

Cimicchi e il tenente Vezio Terzi. L’ultimo successo degli aerosiluranti italiani si verificò il 7 settembre 1943, quando un S.79 del 132° Gruppo con pilota il tenente Vasco Pagliarusco silurò la nave da sbarco per carri armati LST-417, che si salvò portandosi ad incagliare presso Termini Imerese. Cfr. Francesco Mattesini, Luci e ombre degli aerosiluranti italiani, cit., p. 341-346.

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Il sommergibile Enrico Dandolo.

brillante magnifica azione riempie orgoglio cuore Marina Italiana. A nome suo vi saluto e vi elogio”.

Alle 06.13 di quel mattino del 16 luglio, l’Alagi, trovandosi in lat. 37°02’N, long. 15°55’E, attaccò davanti ad Augusta tre unità ritenute cacciatorpediniere, con rotta sud, e il comandante, tenente di vascello Sergio Puccini avendo udito lo scoppio di uno dei tre siluri lanciati da una distanza di 1.300 metri dopo un intervallo di un minuto e quarantacinque minuti dal lancio riferì di aver colpito una di quelle navi, ma senza sollevare quel medesimo entusiasmo che aveva seguito alla segnalazione del comandante Turchio. Tuttavia per il supposto affondamento di un cacciatorpediniere Puccini fu proposto per la Medaglia d’Argento dal suo Comandante del 2° Gruppo Sommergibili, capitano di fregata Emilio Francardi.

La formazione britannica attaccata dall’Alagi era la Forza Q, che costituita dagli incrociatori Euryalus e Cleopatra e dai cacciatorpediniere Quiberon e Quail, alle ore 17.00 del 15 luglio, per ordine del Comandante della Forza H lasciò la 1a Divisione,13 per andare ad effettuare un pattugliamento notturno, manovrando in unica fila, vicino alle coste orientali della Sicilia, spingendosi nella zona meridionale dello Stretto di Messina alla velocità di 24 nodi. Durante la navigazione la Forza Q, che era comandata dal capitano di vascello Eric Wheeler Bush sull’Euryalus, fu avvistata da aerei nemici che mantennero il contatto tenacemente, e che furono ingaggiati dalle artiglierie delle navi.

Avendo l’ordine di rientrare a Malta con le prime luci del giorno per rifornirsi, alle ore 06.00 del mattino del 16 luglio le quattro navi sospesero lo stato di vigilanza notturna e ai posti di combattimento, e gli stanchi equipaggi, dopo una notte di tensione e di calura estiva, cominciarono a lavarsi prima della colazione, Alle 05.00 del 16 luglio la velocità delle unità fu aumentata a 26 nodi, con l’incrociatore Euryalus seguito dal Cleopatra, che avevano i due cacciatorpediniere di prora, il Quilliam sul fianco sinistro alla distanza di circa 1.400 metri dall’Euryalus, e il Quail un po’ distanziato sul fianco destro.

Alle 06.17 in posizione lat. 37°13’N, long. 16°00’E, e rotta 205°, il Cleopatra (capitano di vascello Joh Felgate Stevens) fu scossa da una forte esplosione a dritta, ritenuta causata dal siluro di un sommergibile, seguita da un lampo arancione, mentre tutte le luci si spegnevano.14 Nel frattempo la mancanza di energia fece scendere la velocità dell’incrociatore, mentre fu reso limitato il controllo dell’armamento principale. Vi furono 22 morti e 24 feriti, quasi tutti ustionati. Alle 06.35 il Cleopatra

1313 La 1a Divisione della Forza H, comprendeva le corazzate Nelson e Rodney, la portaerei Indomitable, gli incrociatori Cleopatra e Euryalus e i sette cacciatorpediniere Offa, Panther; Pathfinder, Quail, Queenborough, Qulliam e Piorum (polacco).

1414 Secondo quanto scrisse la Sezione Storica dell’Ammiragliato britannico all’Ufficio Storico della Marina Militare, da parte britannica nessun contatto all’asdic segnalò la presenza del sommergibile, per cui si ritenne all’epoca che il Cleopatra fosse finito su una mina. Comunque a scopo precauzionale, i due cacciatorpediniere Quiberon e Quail lanciarono in mare bombe di profondità, le cui scariche, pur non procurando nessun danno al sommergibile Alagi lo tennero in allarme per un certo tempo.

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si fermò, e mentre i cacciatorpediniere per proteggerlo lanciarono in mare cariche di profondità, le riparazioni di emergenza e controllo dei danni ebbero successo e alle 06.43 l’incrociatore poté riprendere gradualmente velocità, raggiungendo alle 08.00 i 10 nodi.

Bellissima immagine dell’incrociatore Cleopatra. Notare la mimetizzazione adottata nel Mediterraneo.

Il punto sullo scafo del Cleopatra dove ha colpito il siluro dell’Alagi. Rosso, incendio; giallo immediato allagamento; verde allagamento del deposito della nafta sotto la sala caldaie.

Il siluro dell’Alagi aveva colpito il Cleopatra tra la sala macchine di prua e il locale caldaie con effetti devastanti, aprendo un ampio squarcio nello scafo, e rendendo le pareti dei vicini compartimenti come una massa contorta di acciaio e rottami. Le squadre di salvataggio, subito intervenute per tamponare le infiltrazioni d’acqua di mare, e per provvedere alla messa in sicurezza dei feriti, estraendoli

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ustionati dai locali in cui erano intrappolati con la nafta che risalendo dai depositi sotto la sala caldaie sgorgava in fiamme sui ponti superiori, permise all’incrociatore di continuare nella sua rotta verso Malta anche se a bassa velocità, mentre i due cacciatorpediniere Quiberon e Quail, dopo aver ricercato il sommergibile attaccante, ritornarono verso il Cleopatra per assumerne la scorta ravvicinata.

Il cacciatorpediniere britannico Quail. Allo stesso tipo apparteneva il Quiberon.

Nel riprendere la rotta per Malta i due cacciatorpediniere si dislocarono su entrambi i fianchi del Cleopatra, mentre l’Euryalus, che era rientrato in formazione, dopo essersi allontana al momento del siluramento del Cleopatra dalla zona pericolosa aumentando la velocità per portarsi al di fuori di un eventuale nuovo lancio di siluri, si sistemò a poppa della nave danneggiata, procedendo con navigazione a zig-zag.

Durante la navigazione per Malta, il Cleopatra, fu precauzionalmente raggiunto dal rimorchiatore Oriana salpato da Siracusa assieme agli sloop Eggesford, Seaham e Poole, che alle 09.00 si aggiunsero alla protezione antisom all’incrociatore, che fu poi raggiunto alle 10.30 anche dall’incrociatore Newfoundland (capitano di vascello William Rudolph Slayter) con a bordo il contrammiraglio Cecil Halliday Jepson Harcourt Comandante della 15a Divisione. Con la scorta antisom costituita da cinque navi, con l’appoggio di due incrociatori e di un rimorchiatore, e con in cielo una scorta di velivoli da caccia decollati da Malta, alle ore 16.30 del 16 luglio il

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Cleopatra riuscì a entrare nel Grand Harbour con le sue macchine mantenendo la velocità di 10 nodi. 15

A destra, il contrammiraglio Cecil Halliday Jepson Harcourt, Comandante della 15a Divisione Incrociatori, qui ripreso al Comando Navale britannico di Napoli il 12 settembre 1944, assieme al Primo Lord del Mare, Signor Onorevole Albert Victor Alexander.

Le definitive riparazioni del Cleopatra, iniziate nel mese di dicembre ebbero temine in agosto 1944, ma per la necessità di effettuare le prove di macchina, e rendersi conto della robustezza delle strutture dello scafo, soltanto il 28 novembre l’incrociatore poté raggiungere Clyde, per riprendere il suo posto nella Flotta. Ma non era finita, la necessità di dover imbarcare nuovi tipi di radar e di incrementare l’armamento contraereo, sostituendo una delle tre torri prodiere da 133 mm con un complesso quadrinato contraereo statunitense da 40 mm, comporto per il Cleopatras, che era stato destinato a operare con la Flotta Orientale (Eastern Fleet), di raggiungere la destinazione dell’Oceano Indiano soltanto il 12 luglio 1945, quando arrivò a Colombo.

15 AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato Britannico. Relazione del capitano di vascello E. Bush, comandante della Forza Q, ADM 199, Volume 943.

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L’enorme falla aperta sotto lo scafo dell’incrociatore Cleopatra dall’esplosione del siluro del sommergibile Alagi.

Il Cleopatra restò immobilizzato alla Valletta fino al mese di ottobre quando, dopo lavori di riparazioni temporanee, l’incrociatore, facendo scalo ad Algeri, fu trasferito a Gibilterra, da dove salpò il 9 novembre per l’arsenale della Marina statunitense di Philadelphia.

In definitiva, il siluro del sommergibile Alagi aveva messo fuori Squadra l’incrociatore per ben due anni, ossia fino a quando la guerra con il Giappone era ormai al termine. Ed in effetti il Cleopatra, un’unità famosa, veterana della guerra del Mediterraneo, che aveva guidato, al comando del contrammiraglio Philip Vian, la 15a Divisione incrociatori della Mediterranean Fleet nelle battaglie della Prima Sirte (17 dicembre 1941) e della Seconda Sirte (22 marzo 1942)16 dopo l’arrivo nell’Oceano Indiano non effettuò alcuna operazione bellica di rilievo, se non quella di essere la prima nave britannica a rientrare nella base di Singapore, dopo la resa della guarnigione giapponese il 15 agosto 1945.

Dopo aver colpito il Cleopatra, l’indomani 17 luglio l’Alagi attaccò un cacciatorpediniere, ma senza riuscire a colpirlo.

16 Per gli episodi della Prima e Seconda Battaglia della Sirte vedi la pagina di Francesco Mattesini in Accademia EDU. https://independent.academia.edu/FrancescoMattesini.

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Nel frattempo, il Dandolo, dopo l’attacco alla formazione navale nemica, il 17 luglio fu attaccato in posizione lat. 37°22’N, long. 16°52’E, da un velivolo decollato da Malta, il Wellington HZ 116 del 221° Squadron della RAF, con pilota il F/O Lewis. Il Wellington sganciò sei bombe contro il sommergibile, che rispose sparando un colpo di cannone contro l’aereo che si allontanò. Due bombe esplosero alla base della torretta del sommergibile causando alcuni danni, altre due caddero a poppa, e le altre due si conficcarono nello scafo miracolosamente senza esplodere. A causa dei danni riportati il Dandolo (che per due ore fu tenuto sotto controllo fino a 15 chilometri dalla costa calabrese dal velivolo britannico mentre il sommergibile dirigeva verso nord a lento moto lasciando dietro di se una scia di nafta) fu costretto a dirigere per Capo Colonne e poi a raggiungere Crotone alle 10.40 del 18 luglio. Successivamente rientrò a Taranto scortato dalla corvetta Scimitarra.

Il danneggiamento dell’incrociatore britannico NEWFOUNDLAND

Come abbiamo detto, il numero dei sommergibili mandati ad operare nelle acque della Sicilia controllate dagli Alleati era troppo limitato, per influire, seppure in minima parte, sulle operazioni di sbarco e sul loro appoggio navale. Dalla dozzina iniziale di sommergibili in mare che poté essere impiegata fin dai primi giorni, il numero decrebbe ben preso a seconda delle perdite e dei danni che richiedevano, per ripristinarne l’efficienza, turni di lavoro più o meno lunghi. Si passò quindi da quindici agguati nei giorni 11 e 12 luglio a dieci agguati il giorno 13, per risalire ancora a dodici il 14 e il 15 luglio. Da parte loro i tedeschi disponevano nello stesso periodo di nove unità in agguato fra l’11 e il 12 luglio, per scendere il giorno 13 a cinque, a sette il 14 e a sei il 15 luglio.

Anche i tedeschi che pure disponevano di sommergibili più adatti e di materiale migliore non riuscirono ad ottenere nelle acque della Sicilia, presso le aree di sbarco, sostanziali successi, anche perché i loro schieramento si trovavano concentrati sulle linee di rifornimento del nemico, lungo le coste dell’Algeria e a nord della Cirenaica, dove fino ad allora avevano ottenuto i loro successi.

Nel frattempo, una volta che gli Alleati il 13 luglio si erano impadroniti facilmente del porto di Augusta, per il crollo della resistenza degli italiani che fece irritare i tedeschi impegnati a combattevano tenacemente in quella zona, riducendosi le possibilità di attaccare il naviglio nemico su spiagge aperte, le azioni di contrasto dei sommergibili si spostarono di conseguenza oltre che nelle acque di accesso a quel porto anche sulle coste meridionali della Sicilia. E ciò avvenne estendendo i pattugliamenti offensivi dei sommergibili lungo le probabili direttrici delle linee di rifornimento dell’avversario, pattugliamenti contrastati da una sempre più intensa vigilanza aerea antisom del nemico.

Con il rientro dalle zone di agguato dell’Enrico Dandolo, danneggiato come detto dall’esplosione in prossimità di bombe sganciate da aerei, e dell’Alagi, il 18 luglio soltanto il Nichelio, l’Ascianghi e il Platino vennero a trovarsi nelle acque sudorientali della Sicilia ove eseguirono alcuni attacchi.

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Il Platino (tenente di vascello Vittorio Patrelli Campagnano), alla sua seconda missione nelle acque siciliane, attaccò subito un grosso trasporto truppe di 8.000 tonnellate in uscita da Augusta, ma nonostante il comandante avesse ritenuto di averlo colpito e danneggiato, il lancio dei siluri risultò troppo distante dall’obiettivo.

Il Nichelio del tenente di vascello Celli dopo numerosi avvistamenti di unità militari e navi da trasporto, nel pomeriggio del 19 luglio attaccò un piroscafo scortato da due corvette, e il comandante ritenne di averlo colpito in pieno con un siluro e poi di averlo visto fortemente appoppato ed in procinto di affondare. In realtà nessuna nave nemica risulta sia stata affondato o danneggiata in quella zona per attacco di sommergibili.

Nei giorni successivi i sommergibili tedeschi ottennero finalmente qualche buon risultato con l’U 81 e con l’U 407 che, operando lungo le coste orientali della Sicilia, nei giorni 22 e 23 danneggiarono due navi britanniche, il piroscafo Empire Moon e l’incrociatore Newfoundland. Successo quest’ultimo che nel dopoguerra era stato erroneamente accreditato al sommergibile italiano Ascianghi (sottotenente di vascello Mario Fiorini). Ma vediamo come gli attacchi dei sommergibili si verificarono

Alle 07.14 del 22 luglio, mentre gli statunitensi del generale Patton raggiungevano Palermo, assicurandosi un importantissimo porto di rifornimento, 17 trovandosi a sud di Siracusa l’U 81 (sottotenente di vascello Johann-Otto Krieg) lanciò tre siluri contro l’Empire Moon che era scortato dal trawler britannico Stroma (comandante J.S. Harper) e lo colpì a prora. Alle 17.52 il sommergibile, per impartire al piroscafo il colpo di grazia, lanciò un altro siluro. L’Empire Moon si fermò, ma non affondo e l’indomani preso a rimorchio fu portato ad incagliare sulla costa della Sicilia, restandovi immobilizzato. Nel giugno 1945 fu rimorchiato a Siracusa e nel luglio 1945 condotto a Palermo per le riparazioni. Ripreso servizio civile fu smantellato nel marzo 1970 a Sciangai.

17 Dopo aver superato con l’appoggio del fuoco navale una certa resistenza italiana e tedesca nella zona di Gela, marciando rapidamente verso Palermo, gli statunitensi della 7a Armata del generale George Patton avevano occupato quell’importante porto, accolti da un popolo esultante, che forse non si rendeva conto che in quel momento gli Alleati erano ancora il nemico da combattere, e che davanti a loro cadevano soldati italiani. Una pagina penosa della nostra storia, che oggi molti tendono a dimenticare, se non addirittura a ignorare, forse per pudore. D’altronde, per colmo di vergogna, non mancano neppure i politici, tra cui un importante sindaco di Roma, pronti a giurare che in Sicilia ebbe inizio la riscossa italiana contro il fascismo, in quella che qualcuno a definito, con troppa enfasi, “l’alba della libertà”. Evidentemente in loro, nonostante le cariche ricoperte, la conoscenza storica difetta, o sono in malafede.

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Passiamo adesso al siluramento dell’incrociatore Newfoundland, secondo quanto scrissi e riportai nel 1980 nel fortunato e conosciutissimo libro La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), di cui è coautore, ma solo per la parte politica, il compianto amico, Professor Alberto Santoni.18

Il NEWFOUNDLAND, in rotta da Augusta e Malta assieme all’incrociatore MAURITIUS e ai cacciatorpediniere LAFOREY, LOOKOUT e LOYAL, fu colpito alle 13.41 del 23 luglio, in lat. 37°05’5” nord, longitudine 15°24’2” est, da un siluro lanciato dall’U-407 e, pur con il timone danneggiato, rientrò a Malta navigando a ventidue nodi. Due ore più tardi, alle 15.41, l’ASCIANGHI attaccò tre cacciatorpediniere che stavano effettuando verso nord la ricerca dell’U-boote. Essi videro le scie di due siluri lanciati in direzione del LAFOREY e dell’ECLYPSE, che contrattaccarono con le bombe di profondità costringendo il sommergibile italiano a venire in superficie per autoaffondarsi sotto il fuoco dei cannoni.

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Il sommergibile tedesco U 81. 18 Alberto Santoni – Francesco Mattesini

Oggi, a trent’anni di distanza, secondo quanto è riportato nel sito uboat.net, risulta che alle 13.37 del 23 luglio l’U-407 (sottotenente di vascello Ernst-Ulrich Brüller), avendo avvistato presso Siracusa una formazione costituita da due incrociatori e quattro cacciatorpediniere, lanciò una salva di quattro siluri. Dopo settanta secondi fu udita un’esplosione. Un siluro aveva raggiunto il fianco a poppa del Newfoundland (capitano di vascello William Rudolph Slayter) che perse il timone, ma riuscì a raggiungere Malta, guidando solo con eliche. Dell’equipaggio vi furono soltanto un morto e sei feriti. Dopo le riparazioni di emergenza, l’incrociatore si trasferì nel cantiere navale di Boston dove le riparazioni si prolungarono dall'agosto 1943 all'aprile 1944. Rimesso in efficienza il Newfoundland riattraverso l’Atlantico fino a raggiungere Clyde dove rimase fino al novembre 1944, quando in seguito all’addestramento fu considerato nuovamente operativo.

Quanto all’Ascianghi, che eccezionalmente era agli ordini del più giovane comandante di sommergibili italiani, il ventitreenne sottotenente di vascello Mario Fiorini con solo due anni di pratica di comandante in seconda, alle 15.41 i suoi siluri furono scoperti in avvicinamento dal Laforey del capitano di vascello Reginald Maurice James Hutton. Il cacciatorpediniere contrattaccò seguito dall’Eclypse del capitano di fregata Reginald Maurice James Mack, e in seguito alle esplosioni delle bombe di profondità l’Ascianghi, che aveva lo scafo squarciato ed entrate d’acqua nei

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Il sommergibile Ascanghi in una immagine di anteguerra quando la torretta non era stata ancora modificata.

locali, fu costretto ad emergere per autoaffondarsi, alle 16.36, sotto il fuoco dei due cacciatorpediniere britannici che causarono alcune perdite fra l’equipaggio.

Il sommergibile U 407 con il suo equipaggio.

Nel frattempo essendo risultata ormai impossibile la permanenza dei sommergibili in posizioni ravvicinate alle costa della Sicilia, sulle zone controllate dagli Alleati tra Siracusa e Gela, Supermarina, dopo aver disposto che le unità subacquee si spostassero più al largo, stazionando negli immediati approcci dei porti di scarico, verso la fine del mese di luglio ordinò a Maricosom di svolgere crociere offensive lungo le coste orientali e meridionali della Sicilia. In questo periodo si trovavano riuniti in zona di operazione sommergibili alla loro seconda missione, il Velella, il Diaspro e l’Argento, che presero posizione nelle acque occidentali e orientali della Sicilia, verso Pantelleria e il Golfo della Sirte, rilevando anche in queste zone una forte sorveglianza antisom, senza però avere l’occasione di effettuare alcun attacco. Di essi, l’Argento (tenente di vascello Leo Masina), mentre si trovava in rotta per rientro alla base, fu scoperto la sera fra il 2 e il 3 agosto a Nord di Pantelleria dal cacciatorpediniere statunitense Buck (capitano di corvetta Millard J. Klein), che assieme al Nicholson scortava un convoglio di sei navi mercantili. Sottoposto a ricerca sonare e ad attacchi con bombe di profondità, avendo riportato gravi danni L’Argento, dopo aver lanciato in due occasioni due siluri andati a vuoto, fu costretto ad emergere e autoaffondarsi in lat. 36°52' N, 12°08' E, sotto il fuoco dell’unità nemica, che sparava con i suoi cannoni da 127 mm e con le mitragliere. Il Buck recuperò 46 superstiti dei 50 uomini dell’equipaggio del sommergibile, ad eccezione di altri 4 che erano caduti nell’azione.

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Due belle immagine dell’incrociatore britannico Newfoundland che fu colpito da un siluro del sommergibile tedesco U 407.

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Sommergibile classe “Platino” a cui apparteneva l’Argento.

Il cacciatorpediniere statunitense Buck che affondò il sommergibile Argento. L’immagine, presso Boston, è del 24 novembre 1942. E’ da notare la consistenza degli apparati radar, di scoperta aerea e navale e della condotta del tiro, quando la Marina italiana stava ancora penando per aver il suo primo EC.3 ter “Gufo” di costruzione nazionale che, per mancanza di strumentazione adatta e di personale qualificato, non si riusciva a mettere a punto.19

19 Francesco Mattesini, “I radiolocalizzatori della Regia Marina”: Parte Prima, Dalle prime esperienze sulle onde elettromagnetiche alle realizzazioni di Marinelettro Livorno, Settembre 1995; Parte Seconda, L’aiuto fornito dalla Germania, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico

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Alle 18 missioni prevalentemente offensive svolte nei primi venti giorni di luglio nelle acque della Sicilia (missioni che portarono a dieci attacchi con lancio di trenta siluri, dei quali uno solo colpì l’obiettivo, e che costarono la perdita di cinque sommergibili) si aggiunse lo svolgimento di altre missioni a carattere sussidiario, che comportarono undici agguati di ricerca antisom e antinave nel Golfo Ligure e nel Golfo di Taranto, numerose missioni di trasferimento di sommergibili ed una per il trasporto dei mezzi d’assalto. Quest’ultima missione fu assegnata all’Ambra del capitano di corvetta Renato Ferrini, ma non fu portata a compimento poiché il sommergibile, che era partito dalla base di La Spezia il 14 luglio, superato lo Stretto di Messina e nel dirigere con l’oscurità verso Augusta, per attaccarvi il naviglio in rada con tre siluri a lenta corsa (SLC), dovette essere interrotta a circa 45 miglia a sud di Capo Spartivento, per i notevoli danni riportati dall’Ambra in un attacco aereo.

Il sommergibile Ambra con in coperta i contenitori dei mezzi d’assalto SLC.

Infatti, alle 03.20 del 18 luglio, il sommergibile fu attaccato da un velivolo britannico Wellington del 221° Squadron, con pilota il tenente Austin, che avendo individuato il sommergibile con il radar sgancio sei grosse bombe antisom, che pur non colpendo in pieno l’Ambra gli causò con le esplosioni nelle vicinanze dello scafo molti danni, tanto che l’unità subacquea rimase per qualche tempo immobilizzata. Il comandante Ferrini, una volta rimesse in funzioni i motori termici, ma essendo nelle condizioni di non potersi immergere, fu costretto ad invertire la rotta per raggiungere Messina, arrivandovi a bassa velocità il giorno 19, per poi portarsi a Napoli a

della Marina Militare, Settembre e Dicembre 1995; e Francesco Mattesini, La difficile realizzazione del Radar in Italia prima e durante la guerra 1940- 1945, nel sito Academia Edu.

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rimorchio della torpediniera Partenope. L’Ambra rientrò alla Spezia il 27 luglio, dove a causa dell’armistizio, non avendo ancora completato la riparazione dei danni, dovette essere autoaffondato a causa degli eventi dell’8 settembre.

A destra l’Ambra durante una cerimonia del 2 aprile 1942 alla Spezia per decorare ufficiali italiani e tedeschi che si erano distinti. A sinistra un U-boote del tipo VII. Nella sua attività di guerra, il 31 marzo 1941 l’Ambra aveva silurato e affondato a sud-est di Creta l’incrociatore britannico Bonaventure, della classe “Dido”.

Nel frattempo Supermarina avevano deciso alla fine di luglio che al termine dei lavori, in cui avrebbe sbarcato i contenitori del mezzi d’assalto, l’Ambra doveva tornare alla dipendenze di Maricosom come sommergibile in servizio operativo. A sostituirlo presso la X MAS sarebbero subentrati i nuovi sommergibili Murena e Grongo (classe “Tritone”), la cui entrata in servizio doveva avvenire rispettivamente a fine settembre e il 20 ottobre 1943. AUSMM, Naviglio Militare, sommergibile Ambra.

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Il sommergibile Murena con quattro contenitori per mezzo d’assalto SLC (Siluri a lunga corsa). Vatato l’11 aprile 1943 nei Cantieri OTO di Muggiano (La Spezia), il suo comando era stato assegnato ad un espero ufficiale sommergibilista, il capitano di corvetta Luigi Longanesi-Cattani, già comandante dell’Argo e del Da Vinci in Oceano Atlantico, terzo nella classifica dei sommergibilisti più vittoriosi, con otto navi affondate per 34.439 tsl. Se non vi fosse stato l’armistizio dell’8 settembre il 2 ottobre 1943 era previsto che il Murena avrebbe dovuto attaccare in naviglio nel il porto di Gibilterra.

Il 28 luglio il sommergibile tedesco U 616 (sottotenente di vascello Siegfried Koitschka), che si trovava in agguato lungo le coste dell’Algeria, ritenne erroneamente di aver colpito con un siluro un incrociatore britannico a 15 miglia a nord-nordovest di Bougie.

Due giorni più tardi, il 30 luglio, l’U 375 (tenente di vascello Jürgen Köenenkamp, con quarantasei uomini dell’equipaggio, fu affondato con bombe di profondità a nord-ovest di Malta, in latitudine 36°40’N, long. 12°28’E, dal cacciasommergibili statunitense PC 624 (capitano di corvetta Robert D. Lowther),

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che stava scortando un convoglio dalla Sicilia in Africa, e che avvistò il sommergibile alle ore 02.30, per poi attaccarlo.

Sopra, sullo scalo di costruzione il cacciasommergibili statunitense PC 624 sul quale resta il dubbio di aver affondato il sommergibile tedesco U 375 oppure attaccato senza successo il sommergibile italiano Velella. Sotto il PC 815 che era simile al PC.624.

L’ultima segnalazione dell’U-boote era avvenuta il giorno 25, quando si trovava approssimativamente nella posizione lat. 36°39’N, long 14°18’E, motivo per

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cui è stato avanzato il dubbio nel sito uboat.net che l’attacco del PC 624 possa essersi verificato contro il sommergibile italiano Velella (tenente di vascello Mario Patanè) che non riportò alcun danno. Peraltro lo storico statunitense Morison ha scritto che l’attacco del PC 624 si era verificato ad alcune miglia a nord est di Pantelleria (che corrisponde a nord-ovest di Malta), dopo che il sommergibile aveva lanciato un siluro e che il comandante del cacciasommergibili, che era subito accorso sul posto dell’attacco, aveva segnalato “Possibile danneggiamento” di un sommergibile.20 Secondo quanto scritto dal capitano di vascello Marcello Bertini, il Velella, rientrando alla base da una missione a sud della Sicilia e trovandosi alle ore 02.30 del 30 luglio nelle vicinanze di Pantelleria, avvistò una imprecisata unità da guerra “che, avvistatolo a sua volta, lo sottopose a violento tiro di artiglieria e caccia antisom”.21 Quindi sull’attacco e affondamento dell’U 375 da parte del PC 624 restano legittime incertezze.

Con la perdita dell’U 375 restavano in Mediterraneo soltanto quindici sommergibili tedeschi, numero in quel momento di grave crisi considerato insufficiente.

L’U 375 che fu probabilmente affondato il 30 luglio 1943 dal cacciasommergibili statunitense PC 624. A destra il suo comandante, tenente di vascello Jürgen Köenenkamp.

Il dramma dei sommergibili da trasporto REMO, ROMOLO e MICCA

Nel frattempo, in vista della perdita della Sicilia e quindi della possibilità di far transitare le unità navali e subacquee per lo Stretto con la Calabria, Supermarina aveva deciso che alcune navi, tra cui tre grandi sommergibili, di cui uno anziano, il Micca e due modernissimi da trasporto, il Remo e il Romolo; questi ultimi i primi di quel tipo che, avendo ultimato l’addestramento, partendo da Taranto dovevano

20 Samuel Eliot Morison, Sicily – Salerno – Anzio, Jaunaury 1943 – June 1944,Castle BookS, Edison, 1954, p. 41.

Marcello Bertini, I Sommergibili in Mediterraneo, Tomo II, Dal 1° Gennaio 1942 all’8 Settembre 1943, Ufficio Storico della Marina Militare (USMM), Roma, 1968, p. 157.

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transitare per quella via d’acqua per raggiungere Napoli prima che la situazione lo rendesse impossibile. I sommergibili, erano stati progettati per il rifornimento avanzato sulle linee dei fronti terrestri, ma i tedeschi stavano spingendo su Supermarina per impiegarli per i trasportare gomma e materiali strategici dall’Estremo Oriente, cedendo per quel servizio, sotto bandiera italiana, alcuni loro modernissimi sommergibili da combattimento in costruzione avanzata tipo VIIC. Per il Comando Supremo il Remo e il Romolo dovevano invece servire per rifornire la Sardegna, con maggiore sicurezza di quanta era concessa dall’aviazione e dai sommergibili degli Alleati alle navi da trasporto. Ma occorre subito dire che per i due sommergibili quel tentativo si sarebbe risolto in un disastro, per cui sarebbe stato meglio che fossero rimasti a Taranto.

Il primo a prendere il mare per Napoli fu il Remo (tenente di vascello Salvatore Vassello) che dopo la partenza da Taranto, alle 18.30 di quello stesso giorno 15 luglio, mentre navigava in superficie fu silurato a 25 miglia a ponente di Punta Alice, dal sommergibile britannico United. (Tenente di vascello John Charles Young Roxburgh). Colpito da un paio di siluri, lanciati dalla breve distanza di 500 yard, il Remo colo a picco rapidamente immergendosi di poppa. Si salvarono soltanto quattro dei cinquantanove uomini dell’equipaggio, compreso il comandante Vassello, recuperati dall’Unided.

Il sommergibile britannico United, che silurò e affondò il sommergibile da trasporto Remo.

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Il sommergibile Remo. Era privo di tubi lanciasiluri e di cannoni, mentre l’armamento era stato portato a tre complessi di mitragliatrici binate da 13,2 mm.

L’indomani 16, l’United avvistò, per il fumo dei motori, il sommergibile Beilul (tenente di vascello Pasquale Beltrame, ma il comandante Roxburgh si trattenne dall’attaccando ritenendo che potesse trattare di uno dei due sommergibili britannici che si trovavano nella zona, il Trooper e il Tactical. Quando il comandante Beltrame si accorse dell’unità britannica, si disimpegnò con il Beilul immergendosi. Il 17 luglio, alle 07.05, l’United avvistò il velocissimo incrociatore leggero Scipione Africano (capitano di fregata Ernesto Pellegrini) che, partito da Taranto e diretto a Napoli, stava procedendo con rotta nord ad una velocità stimata in 30-32 nodi, ma non poté attaccarlo a causa della distanza di circa 8.000 metri.22

Il Romolo (capitano di corvetta Alberto Crepas), condivise la sorte del Remo sulla stessa rotta tre giorni più tardi. Nel salpare da Taranto il pomeriggio del 15 luglio aveva ricevuto l’ordine di procedere in superficie fino al traverso di Capo Vaticano, poi rettificato durante la navigazione con navigazione occulta e in immersione e trovarsi all’altezza di Capo Spartivento alle 03.00 del 17 luglio. Ma il sommergibile dopo la partenza non dette sue notizie, e misteriosa appare la causa della sua perdita, forse causata da una mina di uno sbarramento fisso o alla deriva o da un incidente subacqueo. Si era ritenuto che ad affondarlo fosse stato attaccato ed affondato un aereo partito da Malta, il Wellington HZ 116 del 221° Squadron della RAF, ma ricerche recenti hanno evidenziato che quell’aereo era quello che alle 03.20 del 18 luglio aveva attaccato e danneggiato il Dandalo.23

22 La notte di quello stesso 17 luglio, la Regia Marina ottenne il suo unico e modesto affondamento di tutta la campagna siciliana. Esso fu realizzato proprio dallo Scipione l’Africano che, attaccato da tre motosiluranti britanniche a sud dello stretto di Massina, riuscì ad evitare l’insidia con la manovra e con il nutrito fuoco delle sue armi, che centrarono ed affondarono la MTB 316 e danneggiarono la MTB 260. Quindi, l’incrociatore raggiunse Napoli senza essere incorso in altre missione.

23 Secondo quanto ha riportato nel Forum dell’AUDMEN l’amico Platon Alexiades, l’organizzazione crittografica britannica ULTRA aveva intercettato un segnale trasmesso da Maricosom alle 1345 del 16 luglio indicante che il Remo e il Romolo dovevano passare il meridiano longitudine 16 ° 06 'E rispettivamente alle 02.00 e alle 0300 del giorno 17. Ma ciò non

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Il sommergibile da trasporto Romolo al varo.

Il terzo sommergibile, il Micca (tenente di vascello Paolo Scrobogna), che era del tipo posamine, salpò da Taranto il 24 luglio, sempre diretto a Napoli, ma dopo quattro giorni di navigazione ebbe un’avaria mentre si trovava al largo di Capo Spartivento Calabro, e dovette invertire la rotta, per poi ricevere la notizia che una nave adibita alla sua scorta, la [Vincenzo] Dormio, doveva incontrarlo al largo di Santa Maria di Leuca.24 L’inversione di rotta fu fatale al Micca, poiché presso Santa Maria di Leuca fu avvistato in immersione alle 06.45 del 29 luglio dal sommergibile britannico Trooper (tenente di vascello G.S.C. Clarabut), che alle 06.54 fece partire da una distanza di 4.600 yard (4.206 metri) una salva di sei siluri di prora, uno dei quali raggiunse il Micca a mezza nave, sbalzando in mare con la violenta esplosione il comandante e gli uomini che si trovavano sulla torretta e in coperta. Per gli altri 65 uomini, compresi due ufficiali e un operaio civile, causa il rapido affondamento del sommergibile, avvenuto in lat. 39°48'N, long. 18°43'E, a 3 miglia per 207° dal faro di Santa Maria di Leuca, non ci fu scampo. I diciotto superstiti, compreso il comandante Scrobogna, furono recuperati poco dopo da barche di pescatori, che li trasbordarono sulla Borneo. Il relitto del Micca, individuato nel 1944, si trova ad una profondità tra gli 80 e gli 85 metri.

sembra aver contribuito alla perdita del Romolo, che resterà un mistero fino a quando non verrà trovato il suo relitto.

24 Si trattava della motonave requisita Vincenzo Dormio trasformata dalla Regia Marina in unità di scorta per il pilotaggio foraneo con la sigla F 81. L’informazione mi è stata gentilmente riferita da Lorenzo Colombo, che l’aveva a sua volta appresa da Platon Alexiades

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Il sommergibile posamine Pietro Micca nel 1942 quando svolgeva missioni di trasporto materiali di guerra con la Cirenaica.

Il sommergibile Pietro Micca a Taranto nella primavera-estate 1943.

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E’ interessante conoscere a questo punto quale fu la giustificazione che Supermarina fornì a Benito Mussolini sulla perdita dei sommergibili Remo e Romolo con il “Rapporto al DUCE del 22 luglio 1943”, consegnato personalmente dall’ammiraglio Arturo Riccardi, Sottosegretario e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina.

I Sommergibili ROMOLO e REMO, costruiti espressamente quali trasporti, dovevano per necessità operative trasferirsi al più presto nel Mar Tirreno per venire temporaneamente adibiti al traffico con le isole maggiori.

Caratteristiche costruttive di tali unità erano, in rapporto ai loro compiti: la mancanza di siluri e di cannoni, di poter dedicare al trasporto la maggior quantità possibile del loro dislocamento (tonn. 2.200 in superficie) e le notevoli dimensioni indispensabili per assicurare una buona capacità di carico: erano dotate di 3 complessi binati di mitragliere da 13,2. Era per contro loro speciale caratteristica poter eseguire l’immersione nel modo più rapido possibile, sempre in relazione al loro dislocamento, immersione che poteva in effetti compiersi in soli 45 secondi e cioè con un aumento di appena quindici secondi rispetto a quella dei sommergibili operativi (tonn. 870).

La consegna inerente al loro impiego era infatti quella di poter scomparire al più presto sott’acqua in caso di un qualsiasi avvistamento.

In considerazione che tali caratteristiche rendevano le unità di difficile impiego per la loro vulnerabilità, si era provveduto a dotarle dei primi due apparecchi Metox disponibili per la scoperta della radiolocalizzazione, era stata particolare cura destinarvi quali Comandanti ufficiali di provata capacità, ed erano state condotte esaurienti prove relative al funzionamento di tutte le apparecchiature.

L’allenamento del personale, agevolato dall’entusiasmo dell’equipaggio, era stato condotto con ritmo intenso, prolungato ancora di alcuni giorni in seguito a lavori resisi necessari nel corso delle prove, ed infine considerato sufficiente e soddisfacente dai Comandanti stessi delle unità.

Per il trasferimento veniva stabilito di fare eseguire al sommergibile navigazione occulta, ossia in superficie solo di notte, in immersione di giorno.

Ma in seguito dello sbarco nemico in Sicilia, il contrasto antisommergibile avversario nella zona dove le unità dovevano necessariamente passare divenne più forte, ed andò intensificandosi giorno per giorno. Le crociere di motosiluranti andavano estendendosi, l’esplorazione aerea assumeva sempre più carattere di continuità, sommergibili nemici venivano avvistati in prossimità delle coste calabre.

Data la situazione contingente che imponeva di far trasferire le unità nel Tirreno al più presto, e di transitare lo stretto di Messina di giorno (perché di notte vi era in atto la caccia antisommergibile nazionale), veniva ordinato di far partire le unità rispettivamente: il REMO alle ore 1100 ed il ROMOLO alle ore 1600 del giorno 15 luglio, eseguendo navigazione in superficie fino al Punto M 1, in modo da passare al più presto a Nord dello stretto, e la navigazione occulta dal Punto M 1 al

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Punto B 1. Veniva richiesta la scorta aerea per le due unità dall’alba del giorno 16 fino al passaggio dello stretto.

Non potendo essere assicurata tale scorta e prevedendosi il giorno 16 il passaggio attraverso lo stretto di un sommergibile nazionale con scorta a.s. di tre motosiluranti, veniva stabilito di fare eseguire al ROMOLO e REMO navigazione occulta anche nello Jonio fino a Sud-Ovest della Calabria – essendo questa la zona più pericolosa – ritardando eventualmente di un giorno l’arrivo.

In seguito a tale comunicazione, alle ore 2000 del 15 si ordinava ai due sommergibili, che si trovavano già in mare, di eseguire navigazione occulta, regolandosi in modo da trovarsi esattamente e rispettivamente alle 0400 ed alle 0500 del 17 sul meridiano 16°E. e di effettuare da detto meridiano navigazione in immersione anche durante le ore notturne, in modo da emergere a miglia 6 per 212° da Reggio Calabra rispettivamente alle 1700 ed alle 1900 del giorno 17. In detto punto le unità avrebbero trovato ognuna una VAS nazionale che le avrebbe scortate fino a Nord dello stretto.

Successivamente, alle 1337 del giorno 16, in considerazione del passaggio previsto del R. Incrociatore SCIPIONE si ordinava ai due sommergibili di regolare la propria navigazione in modo da essere sul meridiano 16°06’ E rispettivamente alle 0200 ed alle 0300 del 17, iniziando a tali ore la navigazione in immersione e restando invariate le precedenti disposizioni circa il punto e le ore di emersione davanti a Reggio Calabria.

Dopo la partenza delle unità più nessuna notizia ha potuto essere raccolta a loro riguardo.

Sono state fatte tutte le ipotesi possibili; e precisamente:

a) azione di mine: è stata esclusa dati i fondali altissimi sui quali si svolgeva la navigazione;

b) azione di M/S: non appare probabile dato che il nemico le aveva concentrate a Capo dell’armi contro lo SCIPIONE, e mancandone ogni altro avvistamento;

c) azione di aerei: è possibile, in quanto nelle stesse zone un sommergibile nazionale risulta perduto e molte altre unità attaccate e poste in avarie gravi. Si deve però notare che nessun segnale riguardo al ROMOLO e REMO da parte degli aerei è stato intercettato, mentre di consueto gli aerei avversari segnalano sempre l’avvistamento e l’attacco ai sommergibili e tali segnali vengono normalmente decrittati;

d) azione di sommergibili: è quella che appare più probabile anche alla luce dei successivi avvenimenti. Un sommergibile era stato infatti segnalato sotto costa a Punta Alice ed anche per questo le rotte dei due sommergibili erano state portate più al centro del golfo di Taranto.

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Ma non è improbabile che, in vista dell’azione di bombardamento eseguita nella notte sul 22 da grosse unità nemiche contro Crotone, tale sommergibile abbia in precedenza ricevuto ordine di dislocarsi al centro del Golfo e spostarsi successivamente verso Taranto allo scopo di sorvegliare i movimenti delle nostre navi da battaglia. Nel corso di tali spostamenti l’incontro dei due sommergibili nazionali sarebbe risultato assai probabile e le grandi dimensioni di essi lo avrebbero facilitato.

Grafico delle rotte che dovevano seguire i sommergibili Remo e Romolo allegato al rapporto di Supermarina per il Duce del 22 luglio 1943.

La richiesta del Comando Supremo italiano per l’invio di altri quindici sommergibili tedeschi nel Mediterraneo

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La perdita di otto sommergibili italiani in Mediterraneo nel mese di luglio 1943 era la percentuale mensile più alta di tutta la guerra, e rappresentava un gravoso passivo per le già provate forze subacquee di Maricosom. Vi erano stati nel periodo 10

31 luglio diciotto attacchi contro i suoi sommergibili operativi nella acque della Sicilia e la perdita di cinque battelli operativi e tre da trasporto mentre altri tre sommergibili operativi furono gravemente danneggiati. In queste condizioni forte e rapido logorio di sommergibili, essi continuarono ad agire nel limite delle loro possibilità organiche e di efficienza, ma particolarmente con il compito di difesa delle coste, nel Mar Ligure, nel Tirreno, nel Golfo di Taranto e nel Canale d’Otranto, motivo per cui il realizzare gli attacchi contro le linee di rifornimento degli Alleati ricadde, ancora una volta, quasi interamente sugli U-boote.

Il 2 agosto Supermarina, con il Promemoria n. 35 per il Comando Supremo, in cui analizzava “Composizione, Dislocazione ed efficienza della Flotta”, nei riguardi dei sommergibili sosteneva:25

Su 115 esistenti al principio della guerra e 39 entrati in servizio, ne abbiamo perduti 84 e radiati 10 e ne restano 60. Di essi, sono in Mediterraneo 54, dei quali soltanto 23 atti ad operare. In Atlantico, su 32 sommergibili impiegati ne abbiamo perduti 18 e ritirati 10, ne restano 6 adibiti al trasporto di merci preziose da e per l’Estremo Oriente. Sono in corso di armamento 9 sommergibili data dalla Marina germanica per sostituire quelli impiegati nel servizio di trasporto.

L’8 Agosto 1943, portato a conoscenza della situazione da Supermarina, il generale Vittorio Ambrosio scrisse all’OKW, tramite il generale Enno von Rintelen, ufficiale addetto dell’Alto Comando tedesco presso il Comando Supremo italiano, informandolo che nelle operazioni in Sicilia i sommergibili italiani e germanici erano stati “intensamente impiegati per contrastare gli sbarchi e per attaccare le navi adibite al rifornimento del nemico. I risultati raggiunti in queste azioni di contrasto sono stati soddisfacenti e l’esperienza ha dimostrato che contro operazioni di sbarco l’impiego a massa di tali unità, se opportunamente regolato e variato, può arrecare forti disturbi ai rifornimenti marittimi del nemico e obbligarlo a prendere contromisure che in definitiva rallentano il ritmo dei rifornimenti stessi.

Tutto ciò aveva portato a perdite e danni notevoli alle unità impiegato, per cui a quel momento la Regia Marina poteva disporre nel Mediterraneo “soltanto di una ventina di sommergibili operativi e, tenendo conto dei turni di lavoro e di riposo”, poteva “impiegarne al massimo 6 – 8 contemporaneamente”, mentre, invece la Marina tedesca aveva disponibili in Mediterraneo “17 sommergibili con possibilità di impiego contemporaneo di 3 – 5 unita”. Pertanto, Ambrosio chiedeva all’OKW di interessare l’OKM affinché, “in vista dei prossimi sviluppi che potrà assumere la guerra marittima in Mediterraneo”, il numero dei sommergibili tedeschi potesse

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25
, II
Documenti, USMM,
202,
n. 3,
13.
Francesco Mattesini, La Marina e l’8 Settembre
Tomo,
Roma,
Documento
p.

essere aumentato. Anche perché, sebbene la Marina italiana facesse “ogni sforzo per accelerare le nuove costruzioni e per migliorare le capacità di riparazioni dei cantieri, stante le deficienze insuperabili di materie prime, il massimo possibile incremento per le nuove costruzioni nei prossimi mesi è di 9 sommergibili d’alto mare26 … numero assolutamente insufficiente anche a compensare soltanto le probabili perdite che si verificheranno”. Il concorso richiesto dal Comando Supremo all’OKW doveva comportare “l’invio di almeno 15 nuovi Sommergibili, armati con personale germanico”.27

Non abbiamo rintracciato nel carteggio dell’Ufficio Storico dell’Esercito, dove è custodito il carteggio del Comando Supremo, una risposta a questa richiesta, anche perché, come sappiamo, l’invio di altri sommergibili tedeschi nel Mediterraneo, pur desiderato, era stato ritenuto in quel momento della guerra inattuabile dall’ammiraglio Dönitz a causa della maggiore vigilanza del nemico nelle acque dello Stretto di Gibilterra. Tuttavia la richiesta italiana, che comportava anche il rafforzamento delle motosiluranti germaniche nel Mediterraneo, fu portata a conoscenza della Kriegsmarine, per prendere una decisione, come risulta nel Diario di Guerra della SKL alla data del 13 agosto 1943, con il seguente commento:

“Questa presa di posizione del Comando Supremo va, innanzitutto, considerata come un’ulteriore prova di seria e leale volontà di combattere. Nell’esaminare la richiesta, i rilevanti argomenti di ordine militare vanno, però, attentamente soppesati con le contrastanti valutazioni di ordine politi posto dalla situazione” .

Non bisogna dimenticare il clima di sospetto esistente a Berlino, seguito alla caduta di Mussolini e del Fascismo, e ad un cambio di rotta del Governo italiano, accordandosi per una pace separata con gli anglo-americani.

15 agosto 1943 l’OKW registrava nel suo Diario di Guerra:28

Il Generale Tedesco presso il Comando Supremo delle Forze Armate italiane ha comunicato la richiesta del Comando Supremo d’inviare motosiluranti e sommergibili tedeschi nonché motori per motosiluranti italiane. Lo Stato Maggiore della Wehrmacht [Wehrmachtfuehrungsstab, WFSt.] accerta come ciò, per il

26 L’entrata in servizio dei nove sommergibili italiani era prevista in 1 nel mese di agosto, 2 in settembre, 2 in ottobre, 3 in novembre, 1 in dicembre. Era “inoltre previsto l’approntamento di 20 piccoli sommergibili per impiego ravvicinato, e di due dei 10 sommergibili da trasporto in costruzione”. Cfr., Francesco Mattesini, La Marina e l’8 Settembre, II Tomo, Documenti, cit., Documento n. 3, p. 14.

27 ASMEUS, Lettera n. 42228 dell’Ufficio Operazioni Marina, Allegato al Diario del Comando Supremo, b. 1504/B.

28 Kriegs-Tagebuch des Oberkommandos der Wehrmacht 1940-1945, Studienausgabe, Bernard &Graefe, Muenchen, 1992, vol. 6: 1943/II, 15.08.1943, p. 954. Traduzione di Augusto De Toro.

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momento, non sia possibile. Il Comando superiore della Wehrmacht [OberkommandoderWehrmacht, OKW] risponde, pertanto, che è stato dato ordine per il trasferimento di altri sommergibili per il Mediterraneo. Il trasferimento di nuove motosiluranti dipende dalle ricostruzioni. La fornitura di motori è presa in esame con attenzione e sollecitudine.

In tal modo, mentre si cercava in ogni modo di costringere l’ammiraglio Dönitz a fornire all’Italia quanto da esso richiesto sul campo navale, la guerra sottomarina tedesca nel Mediterraneo venne continuata, nel mese di agosto e nella prima metà di settembre, dai quindici U-boote, che si mantennero di norma in agguato lungo le coste occidentali del Nord Africa e della Sicilia. In tali zone essi ebbero frequenti occasioni per attaccare i convogli di rifornimento e le formazioni navali degli Alleati e, nonostante le difficoltà di dover affrontare un intensa vigilanza e superare agguerrite scorte, riuscirono a giungere al lancio in più occasioni.

Pertanto, l’idea di Supermarina di ricevere il prima possibile un rinforzo di sommergibili andò delusa poiché dopo le grandi perdite subite nel mese di maggio nello Stretto di Gibilterra, il grande ammiraglio Dönitz era contrario a far correre alle sue unità subacquee altri rischi. Tuttavia, qualcosa si muoveva: Infatti, dopo che anche il feldmaresciallo Kesselring aveva scritto personalmente all’ammiraglio Dönitz della necessità di ricevere rinforzi di sommergibili, la risposta che ricevette il 29 agosto era incoraggiante, riportando: “Caro Kesselring, non appena mi è possibile invierò i sommergibili in Mediterraneo. Il mio desiderio è identico al Suo” . 29

Il 5 settembre, due giorni dopo lo sbarco di due divisioni britanniche a Reggio Calabria, l’ammiraglio Luigi Sansonetti, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ebbe un colloquio con l’ammiraglio Wilhelm Meendsen-Bohlken, Comandante della Marina Germanica in Italia, rientrato da Berlino, dove si era recato per sollecitare l’invio di sommergibili, motosiluranti e mine, che dovevano arrivare in un momento difficile, e alla minaccia che si presentava nei confronti di uno sbarco nelle Puglie; perché, come lo stesso grande ammiraglio Dönitz aveva riferito a Hitler, ciò avrebbe significato la chiusura del traffico nel Canale d’Otranto. Di fronte a questa prospettiva, ed anche per le possibilità di sbarco nemico sulle coste del Tirreno e della Sardegna, l’ammiraglio Meendsen-Bohlken ottenne i rinforzi richiesta, compresi quattro sommergibili che dovevano attraversare lo Stretto di Gibilterra con il prossimo novilunio.30

Tre giorno più tardi, ogni interesse italiano per il rinforzo del fronte marittimo del Mediterraneo decadde con l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre. I primi quattro sommergibili di rinforzo salparono dal 14 al 27 settembre 1943 dai porti francesi del Golfo di Guascogna, ma di essi soltanto l’U 223 riuscì a superare lo

29 Diario della Seekriegsleitung: KTB 1.Skl, A, vol. 48, 29.08.1943, p. 538. Traduzione di Augusto De Toro.

30 AUSMM, Promemoria dell’ammiraglio Sansonetti 1943.

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Stretto di Gibilterra il giorno 27, mentre invece l’U 667, U 455 e l’U 664 dovettero interrompere il tentativo.

il vice ammiraglio Wilhelm Meendsen-Bohlken, che tra il 12 giugno 1941 e il 28 novembre 1942 come capitano di vascello comandò la corazzata tascabile Admiral Scheer prima di assumere il Comando della Marina tedesca in Italia. Nell’immagine in Serbia nel 1944 visita ad una postazione di mitragliera binata tipo Breda da 37 mm, servita da soldati della Repubblica Sociale Italiana e da soldati tedeschi.

Le operazioni dei sommergibili nel mese di agosto e fino all’8 settembre 1943

Il primo sommergibile tedesco ad attaccare in questo periodo fu l’U 453 (tenente di vascello Egon Reiner Freiherr von Schlippenbach) che alle 11.27 del 5 agosto lancio i siluri contro un gruppo navale comprendente una corazzata e sei cacciatorpediniere, a 10 miglia a sud di Siracusa. Furono udite due esplosioni dopo otto minuti dal lancio, ma ciò non significò, a causa dell’intervallo di tempo eccessivo di corsa, che i siluri avessero colpito.

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Alle 09.55 dell’indomani 6, anche l’U-81 effettuo l’attacco contro un cacciatorpediniere, ma sebbene fossero state udite quattro esplosioni anch’esso senza successo.

Alle 14.42 del pomeriggio del 7 agosto, l’U-371 (tenente di vascello Waldmar Mehl) attaccò a 15 miglia a nord-Est di Capo de Fer (Philippeville) il convoglio GTX-5, partito da Glasgow diretto verso oriente colpendo con un siluro, di una salva di quattro siluri, il piroscafo britannico Contractor (capitano Andrew Brims), di 6.004 tsl, del, che aveva un carico di 3.500 tonnellate di merci governative e posta.

Colpito a 75 miglia a sud-ovest della Sardegna, il Contractor affondò. Andarono perduti con la nave il comandante e 4 membri dell’equipaggio, mentre gli altri 67 uomini che erano a bordo si salvarono, venendo recuperati dai motodragamine britannici HBMS-2011, 2014, 2024 e 2209, che li sbarcarono a Malta.

Due giorni dopo, il 9 agosto, il medesimo U-371 lanciò i siluri contro un cacciatorpediniere, ma senza successo.

In piroscafo britannico Contractor che fu silurato e affondato dal sommergibile tedesco U-371

Due giorni più tardi, alle 19.45 dell’11 agosto, l’U-73 (sottotenente di vascello Horst Deckert) lanciò i siluri contro un incrociatore statunitense della classe

“Brooklyn” a 15 miglia a nord di Cefalù, udendo due esplosioni. Si trattava del Philadelphia, della Task Force 88 (contrammiraglio Lyal A. Davidson, dislocata assieme al gemello Savannah e a sei cacciatorpediniere dal 31 luglio a Palermo, per appoggiare con bombardamenti dal mare l’avanzata della 7a Armata del generale

Geoge Patton verso Messina, che non fu colpito. Nel tardo pomeriggio del 15 agosto

l’U 616 (sottotenente di vascello Siegfried Koitschka) attaccò a 30 miglia a occidente

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di Bougie un incrociatore britannico del tipo “Leander” e due cacciatorpediniere a 30 e 40 miglia a nord-nordovest di Bougie. I due sommergibili segnalarono di aver danneggiato i rispettivi bersagli, ma in realtà essi non ottennero alcun risultato.

L’incrociatore statunitense Philadelphia ripreso presso New York il 26 aprile 1943. L’U 73 lo attaccò presso Cefalù nel tardo pomeriggio dell’11 agosto 1943, ma senza successo.

Nel frattempo dei cinque sommergibili italiani che dall’inizio di agosto operarono a nord dello Stretto di Messina (Giada, Nichelio, Diaspro), e a sud (Galatea, Sirena), il solo Diaspro (tenente di vascello Alberto Donato) effettuò due attacchi, il primo il mattino del 19 agosto contro un cacciatorpediniere, il secondo la sera del medesimo giorno, lanciando i siluri alle 22.23 contro altri due cacciatorpediniere nelle acque prossime all’Isola di Stromboli. Nessun siluro colpì l’obiettivo, nonostante le più che ottimistiche affermazioni del comandante che riferì di aver affondato tre cacciatorpediniere. Gli altri sommergibili non impegnati nello Ionio e nel Basso Tirreno, effettuarono nel periodo le solite missioni di agguato difensivo nel Golfo di Taranto e nel Golfo Ligure, mentre il Ciro Menotti (tenente di vascello Giovanni Manunta) effettuò la sera del 3 agosto una operazione di sbarco di diciannove sabotatori del Battaglione San Marco all’imboccatura del porto di Bengasi. Loro compito, al comando del sottotenente Di Martino, era di far saltare gli aerei negli aeroporti degli anglo-americani che dalla Cirenaica bombardavano l’Italia, ma nonostante l’intensione l’operazioni non riuscì. Durante la notte il sommergibile,

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mantenendosi al largo, attese il loro ritorno inutilmente, e trascorso il tempo stabilito fece rotta per l’Italia.

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Membri dell’equipaggio dell’U 73.

Il 21 agosto un siluro, ritenuto lanciato da un sommergibile, in particolare l’U 458, colpì il piroscafo statunitense Cape Mohican, di 5.094 tsl, facente parte del convoglio MKS 22, danneggiando gravemente. Ma recentemente è stato scoperto che il piroscafo era stato colpito durante un allarme notturno da un siluro lanciato dal cacciatorpediniere di scorta britannico Belvoir (tenente di vascello John Fitzroy Duyland Bush). Il Cape Mohican, dopo essere stato in un primo tempo abbandonato, raggiunse Malta trainato da un rimorchiatore.

Il cacciatorpediniere di scorta britannico Belvoir.

Alle 16.49 del 22 agosto l’U 431 (sottotenente di vascello Dietrich Schöneboom), lancio i siluri contro gli incrociatori britannici Aurora e Penelope a 65 miglia a nord-nordovest di Palermo, fallendo il bersaglio. Lo stesso giorno dopo che si era conclusa la campagna della Sicilia, si verificò l’affondamento dell’U 458 (tenente di vascello Kurt Diggins), a sudest di Pantelleria, per azione del cacciatorpediniere britannico Easton e del greco Pindus. L’Easton (tenente di vascello Charles Wickham Malins) dette il colpo di grazia al sommergibile, venuto in superficie danneggiato dalle bombe di profondità, speronandolo in lat. 36°25’N, long. 12°39’E, ma nello stesso tempo riportò gravi danni alla prora. Vi furono tra

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l’equipaggio dell’U 458 8 morti e 39 superstiti. Questa perdita ridusse ulteriormente il modesto numero di sommergibili germanici nel Mediterraneo, sceso a tredici.

Il comandante dell’U 458 tenente di vascello Kurt Diggins e il suo sommergibile a La Spezia.

Tuttavia, gli U-boote ebbero però modo di riprodursi all’attenzione del nemico nei giorni successivi.

La serie dei successi fu aperta il 23 agosto dall’U 380 (tenente di vascello Josef Röther), attaccando a nord-ovest di Palermo il piroscafo statunitense Pierre Soulé, di 7.191 tsl, che con un equipaggio di 122 uomini tra equipaggio e passeggeri era salpato in zavorra di sabbia dal porto Siciliano diretto a Biserta, con la scorta di tre cacciatorpediniere e un rimorchiatore. Alle 19.25, trovandosi a circa 35 miglia a nord-ovest di Palermo (lat. 38°19’N, 12°55’E), il Pierre Soulé (capitano Patrick Driscoll) fu colpito da un siluro dell’U 380 presso l’albero del timone, che fu danneggiato assieme al motore, causando la parziale inondazione della sala macchine e delle stive n. 4 e n. 5. L’equipaggio restò a bordo della nave mentre si provvedeva ad effettuare le riparazioni. Il rimorchiatore statunitense Nauset (tenente di vascello Joseph Orlek) prese il piroscafo a rimorchio e, aiutato dal rimorchiatore Moreno (tenente di vascello Victor Harry Kyllberg) nell’ultima parte della navigazione, lo trascino a Biserta, da dove il giorno successivo iul piroscafo partì per Taranto per dar corso ai lavori di riparazione, che concluse nel bacino di carenaggio. Il Pierre Soulé poté riprendere il mare da Taranto alquanto rapidamente e il 19 settembre 1943 raggiunse New York, da dove era partito con il convoglio UGS-11 il 24 giugno.

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Il sommergibile tedesco U 380.

Infine, un buon risultato ottenne l’U 410 (sottotenente di vascello Horst-Arno Fenski) che, attaccando alle 22.16 del 26 agosto presso La Calle, ad est di Bona, il convoglio statunitense UGS. 14 con una salva di tre siluri, e avendo udite tre esplosioni, il comandante Fenski segnalò di aver affondato due navi e colpita una terza. Non fu troppo ottimista dal momento che colpì due navi affondando, i piroscafi Liberty statunitensi John Bell e Richard Henderson.

Il John Bell (capitano David Dunlap Higbee), di 7.242 tsl, con un carico di 7.200 tonnellate di carico militare vario, con il convoglio ridotto a quattro colonne per attraversare i campi minati, fu colpita da un siluro sul lato di dritta tra le stive n. 4 e n. 5 dove si trovava benzina per aviazione. L'esplosione ha incendiato il carico, le fiamme si sono alzate di 25 piedi sopra le stive e si sono diffuse rapidamente a poppa e lentamente in avanti. La maggior parte degli otto ufficiali, 35 membri dell'equipaggio e 29 guardie armate abbandonarono immediatamente la nave in cinque delle sei scialuppe di salvataggio. La nave fu presto in fiamme da poppa a poppa e bruciò per nove ore prima di affondare scivolando di poppa. I superstiti furono prelevati entro 45 minuti dall’abbandono dal motodragamine britannico BYMS-23 e dal trawler sudafricano Southern Maid e sbarcati l’ndomani a Biserta. Dei settantadue uomini dell’equipaggio soltanto uno decedette, essendo stato intrappolato nel vicolo di un pozzo.

Il Richard Henderson (capitano Lawrence Joseph Silk), di 7.194 tsl, fu colpito da un siluro sul lato di dritta, a poppa della stiva n. 5. L'esplosione ha distrutto i quarti dell'equipaggio del cannone, ha fatto saltare il timone e la vite e ha inondato la sala macchine. Quando la nave iniziò a sistemarsi lentamente a poppa, i motori furono spenti e gli otto ufficiali, 34 membri dell'equipaggio e 28 guardie armate

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abbandonarono la nave in sei scialuppe di salvataggio. La nave, che aveva un carico di 5.000 tonnellate di merci militari varie ed esplosivi, affondò di poppa dopo cinque ore dal siluramento . La mattina dopo, tre scialuppe di salvataggio approdarono a La Calle, in Algeria. I rimanenti sopravvissuti nelle altre tre scialuppe furono salvati da unità di scorta, tra cui il peschereccio armato sudafricano Southern Maid e sbarcarono il 27 agosto a Biserta.

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La nave Liberty John W. Brown nel 1943. Più o meno anche il John Bell e il Richard Henderson avevano le medesime caratteristiche.

.Il venticinquenne tenente di vascello Horst-Arno Fenski, comandante del sommergibili U 410 alla Spezia il 7 agosto 1943.

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L’U 410 a La Spezia.

Il sommergibile tedesco U 410 ripreso a Danzica nell’inverno 1941-1942, con il Baltico completamente ghiacciato.

Alle 03.41 e alle 05.30 del 30 agosto, un sommergibile tedesco (U 410 ?) attaccò due navi da trasporto, la prima da 8.000 tonnellate e la seconda da 10.000 tonnellate, e segnalò di averle affondate rispettivamente a 35 e 30 miglia a nord est di Bougie. Risulta che nessuna nave fu colpita durante quegli attacchi.31

Anche nel Mediterraneo orientale, lungo le coste del Libano, fu realizzata una missione offensiva, assegnata all’U 596 (tenente di vascello Gunter Jahn) che tra il 20 agosto e il 7 settembre affondò in una zona a 20-30 miglia a nord-nordovest di Beirut (Libano) i cinque motovelieri egiziani El Sayeda, Panicos, Namaz, Nagwa, Hamidied, e il palestinese Lily, per complessive 574 tsl. Fu soprattutto un attacco rivolto contro imbarcazioni adibite alla pesca. Il sommergibile il 29 agosto aveva attaccato anche un piroscafo di 4.000 tonnellate a 30 miglia a nord di Beirut, ma senza riuscire a colpirlo.

31 Jürgen Rohwer, Die U-Boot-Erfolge der Achsenmächte, 1939-1945 J.F. Lehmanns Varlag, Monaco, 1968, p. 249.

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Il sommergibile tedesco U 596. L’U 596 a Salamina.

L’affondamento del cacciatorpediniere britannico PUCKERIDGE e del sommergibile tedesco U 617

Il cacciatorpediniere di scorta britannico Il Puckeridge (tenente di vascello John Cecil Cartwright), della classe “Hunt”, salpò da Gibilterra il 6 settembre per svolgere un pattugliamento antisom ad est dello Stretto, in un momento di particolare traffico essendo il Mediterraneo occidentale percorso dai convogli che dirigevano verso l’Italia, per partecipare agli sbarchi sulle coste della Calabria e della Campania, in particolare a Salerno (Operazione “Avalanche”). La missione del Puckeridge era anche quella di portare un importante messaggio ad Orano. Nel tardo pomeriggio del 6 settembre, alle ore 20.15, il cacciatorpediniere si trovava presso il convoglio NSM.1, salpato da Gibilterra e diretto a Orano, quando fu colpito da due dei quattro siluri lanciati, dal sommergibile tedesco U-617 (tenente di vascello Albrecht Brandi). Il Puckeridge affondò in sei minuti, in lat. 36°06’N, long. 04°44’E, a circa 40 miglia a levante di Gibilterra, portando nell’abisso 62 uomini dell’equipaggio. Il piroscafo spagnolo Antequera, accorso nella zona dell’affondamento del Puckeridge, poté salvare i 129 superstiti, che poi trasferirli sulla nave ausiliaria britannica Anglia.

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L’U 596 a Pola con l’armamento rinforzato nel giardino d’inverno da una mitragliera quadrupla Flakvierling 38 da 20 mm.

Il cacciatorpediniere Puckeridge, ripreso da una nave portaerei.

Tuttavia anche il sommergibile tedesco non fu fortunato. Alle 01.50 del 12 settembre l’U 617 fu attaccato con bombe di profondità, dopo essere stato illuminato dal proiettore Leigh Light, da un velivolo Wellinton del 179° Squadron della RAF, con pilota il sottotenente canadese D.B. Hodgkinson, presso le coste del Marocco. Successivamente sopraggiunse un secondo Wellington del medesimo 179° Squadron, con pilota il tenente W.H. Brunini, che impiegando a sua volta il Leigh Light individuato l’obiettivo sganciò altre bombe di profondità contro il sommergibile, che reagendo con le sue mitragliere colpì in più punto l’aereo uccidendo il mitragliere di coda. L’equipaggio del Wellington vide delle fiamme sulla torretta del sommergibili, che tenne d’occhio per quarantacinque minuti fino a quando non si portò ad arenare presso Melilla, nel Marocco spagnolo. Si salvarono tutti i 42 uomini dell’equipaggio, che poi con il consenso degli spagnoli furono rimpatriati in Germania.

La distruzione dell’U 617 fu poi completata da altri attacchi di aerei decollati da Gibilterra, a cui parteciparono velivoli Hudson del 48° e e 233° Squadron della RAF e di due Swordifish dell’833° e 886° dell’Aviazione Navale britannica (FAA).

Infine, il relitto fu poi raggiunto e cannoneggiato dalla corvetta britannica Hycinth (capitano di corvetta John Douglas Hayes) e dal dragamine australiano Wolllongong (tenente di vascello Thomas Hartley Smith), senza alcun riguardo per le acque territoriali spagnole.

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Il sommergibile tedesco U 617 al rientro da una fruttifera missione, come dimostrano le moltissime bandierine triangolari fissate all’asta del periscopio.

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Altra immagine del cacciatorpediniere Puckeridge mentre naviga ad elevata velocità.
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Sopra, l’incaglio e la perdita dell’U 617 presso Melilla, avvenuto dopo l’affondamento del cacciatorpediniere Pucheridge. Sotto, il comandante, tenente di vascello Albrecht Brandi.

Ma anche i sommergibili italiani in questo periodo non furono esenti da perdite, che furono particolarmente dolorosa ed inaspettata.

Dopo che l’Italia aveva firmato l’Armistizio con gli anglo-americani a Cassibile, nel pomeriggio del 3 settembre, la conferma che l’operazione nemica “Avalance” in direzione delle coste campane del Golfo di Salerno il 6 settembre era in corso di attuazione arrivò a Supermarina quando il nuovo Ministro della Regia Marina, ammiraglio di squadra Raffaele de Courten, cominciò ad impartire ai sommergibili l’ordine di uscire in mare.32 E ciò avvenne dopo che aveva ricevuto le istruzioni degli Alleati, ossia il famoso Promemoria “Dick”, secondo il quale non appena sarebbe stato dichiarato alla radio l’armistizio, tutte le navi italiane doveva dirigere per raggiungere i porti controllati dagli anglo americani. Nel paragrafo 8 del Promemoria “Dick” era infatti fissato per i sommergibili:33

a) I sommergibili dovranno navigare in superficie sia di giorno che di notte.

b) Quelle provenienti dai porti dell’Italia continentale o della Sardegna dovranno seguire le stesse rotte prescritte per le altri navi da guerra e dovranno essere scortate, se possibile, da unità di superficie.

c) I sommergibili in mare dovranno far rotta, in superficie, per il più vicino dei porti indicati …

Il piano di Maricosom, noto in codice come “Operazione Zeta”, era stato diramato fin dal 2 luglio per la difesa contro sbarchi dell’Italia meridionale, della Sardegna e della Corsica. Pertanto erano stati dati ai sommergibili i grafici della ratta da seguire, i punti di agguato nei vari settori minacciati, l’ordine di preferenza negli attacchi (piroscafi, navi portaerei, corazzate e incrociatori), mentre non si doveva attaccare il naviglio di scorta.34 Era inoltre previsto l’impiego di sei nuovissimi sommergibili tascabili del tipo “CB”, che costituivano la 2a Squadriglia, dislocati a Crotone, per operare al largo delle coste della Calabria e delle Puglie.

L’Operazione Zeta scattò all’atto dello sbarco degli Alleati dalla Sicilia In Calabria il 3 settembre ed immediatamente nelle prime ore di quel giorno tredici sommergibili lasciarono le basi del Basso Tirreno (Napoli e La Maddalena), e

L’8 settembre vi erano ancora in Mediterraneo 66 sommergibili italiani dei quali solo 30 pronti all’impiego. Degli altri 36 sommergibili 5 si trovavano alla Scuola Sommergibili di Pola, i restanti nei cantieri e negli arsenali per riparazioni più o meno lunghe. Vi erano poi 11 nuovi sommergibili che stavano per entrare in servizio, e un maggior numero in costruzione. Altri 6 sommergibili, da impiegare per il trasporto di gomma e materiali strategici dal Giappone alla Francia si trovavano negli Oceani: 2 a Bordeaux, 3 a Singapore e Sabang, e 1, il Cagni, adibito anche al compito di attacco (tanto che aveva silurato e danneggiato gravemente il trasporto truppe britannico Asturias) in Oceano Indiano. Infine 9 sommergibili del tipo VIIC 42, dei 10 ceduti dai tedeschi in cambio dei sommergibili italiani da destinare, con i propri equipaggi, alle missioni di trasporto, si trovavano in addestramento a Danzica.

33 Francesco Mattesini, La Marina e l’8 Settembre, Primo Tomo, Le ultime operazioni offensive della Regia Marina e il dramma della Forza Navale da Battaglia, USMM, Roma 2002, p. 343-345.

34 AUSMM, Maricosom – Ordine di Operazione “Beta”.

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dell’Adriatico – Jonio (Brindisi e Taranto), per raggiungere le rispettive posizioni d’agguato. Così, l’Alagi e il Brin raggiunsero il Golfo di Salerno, il Diaspro e il Marea il Golfo di Policasto, il Manara, Menotti, Onice, Settembrini, Vortice e Zoea le coste orientali calabro – sicule, e il CB 8, CB 9 e CB 10 si portarono nelle acque prossime alla costa fra Capo Colonne e Punta Alice.

Gli sbarramenti nel Tirreno furono tolti da Maricosom la sera del 4 settembre, poiché prevedendo un massiccio attacco delle forze anglo-americane contro la penisola si voleva attuare un più massiccio attacco di sommergibili all’atto dell’invasione.

Da parte tedesca nella giornata del 5 settembre si trovavano in agguato nel Mediterraneo occidentale i due sommergibili U 617 e U 380, e nel Mediterraneo orientale l’U-596, di base a Salamina. Degli altri U-boote l’U 407 era in rotta di rientro a Pola, e dei restanti nove l’U 73, U 593, U 565, U-431, U 616, U 410 e U371 erano a Tolone e l’U 81 e U 453 a Pola. L’8 settembre la situazione era cambiata con il rientro a Tolone dell’U 380, sostituito in mare dall’U 616, mentre l’596 era in rotta di rientro a Salamina.

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Il sommergibile tedesco U 616.
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L’equipaggio dell’U 616, del sottotenente di vascello Siegfried Koitschka. Il sottotenente di vascello Siegfried Koitschka.

Quando la sera del 7 settembre, con il movimento dei convogli da sbarco degli anglo-americani diretti verso il Golfo di Salerno segnalati nel Basso Tirreno dalla ricognizione aerea tedesca, a cui segui l’arrivo a Roma di due rappresentanti del Comando Alleato di Algeri (generale Maxwell Taylor e colonnello William Gardiner) che portavano la notizia che l’armistizio sarebbe entrato in vigore l’indomani, era giunto il momento di far uscire dai porti il maggior numero di sommergibili che poi dovevano raggiungere i porti degli Alleati. Pertanto Supermarina ordinò a Maricosom di rendere esecutivo il Piano “Zeta”, entrato subito in vigore con la partenza di undici sommergibili (Alagi, Brin, Diaspro, Giada, Galatea, Marea, Nichelio, Platino, Turchese, Topazio e Velella) che salparono da Napoli e dalle altre basi del Tirreno per portarsi a protezione delle coste calabro

campane, per assumere uno schieramento da Paolo all’altezza di Gaeta.

Contemporaneamente lo sbarramento difensivo lungo le coste orientali calabro – sicule, già mantenuto con cinque sommergibili (Menotti, Onice, Settembrini, Vortice, Zoea), fu rinforzato con altre quattro unità subacquee (Bandiera, Bragadino, Jalea, Squalo); ciò permise di portare il numero dei sommergibili italiani contemporaneamente in mare a ventuno: undici dislocati nel Tirreno e dieci nello Ionio. Per l’assoluta difesa del segreto, i loro comandanti erano allo scuro che l’armistizio era imminente. Ne vennero a conoscenza la sera dell’8 settembre per comunicazione di radio Algeri, seguito dall’ordine trasmesso da Supermarina di “cessare ogni ostilità” contro gli anglo-americani, di immergersi subito a 80 metri di quota e di riemergere alle 08.00 del giorno 9, rimanendo poi in superficie in attesa di ordini. Fu infatti trasmesso che quale segnale di riconoscimento per gli Alleati i sommergibili di innalzare un pannello nero ben visibile al periscopio di prora vicino alla bandiera nazionale, e ordinato di portarsi a Bona o in un altro porto sotto controllo britannico quali Augusta o Malta.

Purtroppo, nel frattempo, uno dei sommergibili italiani, il Velella (tenente di vascello Mario Patané), che salpato nel pomeriggio del 7 settembre dal porto di Napoli dirigeva verso la zona di agguato assegnata, alle 19.53 fu attaccato presso Punta Licosa, con il lancio di una salva di sei siluri, dal sommergibile britannico Shakespeare (tenente di vascello Michael Frederic Roberts Ainslie), che aveva percepito la presenza di due sommergibili nemici con il suo apparato asdic. Colpito da quattro siluri, lanciati da una distanza di 1.200 yard come dichiarò il comandante dello Shakespeare il Velella fu visto disintegrarsi e scomparire dalla superficie del mare, con l’intero equipaggio. Il sommergibile Brin (tenente di vascello Luigi Andreotti), che si trovava nelle vicinanze, fu impotente spettatore della tragedia.35

Il Velella fu l’ultima nave della Regia Marina ad essere affondata prima del cambio di rotta dell’8 settembre. Dal momento che l’armistizio stava per essere dichiarato, il sommergibile, in attesa dell’evento, avrebbe dovuto trascorrere una navigazione tranquilla, mantenendosi lontano dalle coste della Campania, come

35 Corrado Capone, Siamo fieri di voi, Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli, 1996, p. 214. Il libro riporta le missioni e le perdite di tutti i sommergibili italiani nella seconda guerra mondiale, con gli elenchi dei caduti.

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desideravano gli anglo-americani. Per cui molti hanno voluto riconoscere nella sua perdita una specie di fatalità che poteva essere evitata. Ma per farlo si sarebbe dovuto ordinare allo Shakespeare, che sulle spiagge di Salerno doveva fungere da radiofaro per le forze da sbarco, di non attaccare le navi italiane, e ciò era contrario a quanto stabilito negli accordi dell’armistizio. I tedeschi non dovevano sospettare nulla, e la mancata uscita in mare dei sommergibili italiani sarebbe stato per loro una specie di avvertimento di un cambio di rota dell’alleato, peraltro già abbondantemente atteso. La perdita del Velella si verificò in questa cinica situazione.

Il sommergibile Velella il 9 marzo 1941 in Oceano Atlantico, con la torretta modificata dall’abbassamento delle camicie dei periscopi.

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L’Argo che fu spettatore alla tragedia del Velella.

La torretta del sommergibile britannico Shakespeare con al centro il comandante, tenente di vascello Ainslie, e i suoi ufficiali.

Ma purtroppo alla perdita del Velella seguì, per altra fatalità, anche quella del Topazio (tenente di vascello Pier Vittorio Cesarini). Il sommergibile, in rotta per Bona, trovandosi il 12 settembre in superficie a 28 miglia a sud di Capo Carbonara, all’estremità meridionale della Sardegna, fu attaccato con bombe di profondità da un velivolo britannico Bisley del 13° Squadron dellaRAF, il cui equipaggio sostenne che l’unità italiana non aveva alcun segnale di riconoscimento, e non seguiva la rotta per Bona. Non vi furono superstiti per poter avvalorare tale tesi.

Come scoperto il mio amico Platon Alexiades nell’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, nel solo rapporto del sommergibile Marea (sottotenente di vascello Attilio Russo) è scritto che alle 12.21 del giorno 9 i comandanti dei sommergibili Diaspro , Turchese,Topazioe Marea si riunirono, probabilmente al largo di Napoli o di Gaeta, per decidere cosa fare e alfine si trovarono d’accordo di puntare su Bona. Ma il rapporto del Marea non si accenna se i sommergibili portavano il prescritto pannello nero al periscopio. Durante la notte del 9 il Topazio non fu più in vista Che cosa abbia fatto nei successivi tre giorni, in cui gli altri sommergibili raggiungevano i porti degli Alleati, resta un mistero a cui sono state fatte varie supposizioni, tra cui quella che non volesse consegnarsi agli inglesi e di tornare in un porto italiano, probabilmente per autoaffondarsi.

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Il sommergibile Topazio, l’ultimo affondato dagli Alleati alla Marina italiana il 12 settembre 1943, quando l’armistizio era già in vigore da quattro giorni. L’immagine inferiore è del 1942, e probabilmente anche quella superiore.

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Conclusioni

Nel periodo tra la metà di maggio e il 6 Settembre 1943, a differenza dei risultati praticamente nulli conseguiti nelle operazioni dai sommergibili italiani, gli U-boote tedeschi continuarono a costituire una minaccia subacquea che gli Alleati non potevano ignorare. Ed è per questo motivo che avevano trasformato il Mediterraneo in un mare particolarmente sorvegliato, rafforzando ed estendendo i loro pattugliamenti con navi di superficie e con un considerevole numero di aerei particolarmente addestrati alla guerra contro i sommergibili. Inoltre, trasformarono le zone di avvicinamento allo Stretto di Gibilterra in una vera trappola, tanto da indurre la SKL a sospendere il trasferimento di altre unità subacquee, in attesa della fine dell’estate con le giornate più corte, in modo da sfruttare durante il transito il vantaggio dell’oscurità. Ma anche questa misura praticamente non portava a grandi vantaggi poiché ogni nave o aereo adibito alla caccia ai sommergibili possedeva i più moderni apparati radar.

In tema di confronto, nel periodo preso in considerazione, tra il 18 maggio e l’11 settembre 1943; occorre dire che i sommergibili italiani riuscirono ad arrivare a segno una sola volta, silurando con l’Alagi del tenente di vascello Sergio Puccini l’incrociatore britannico Cleopatra, ma perdendo nello stesso tempo 12 sommergibili. Invece gli U-boote tedeschi affondarono con il siluro 14 navi, incluso un cacciatorpediniere e una LST per 71.082 tonnellate, e danneggiarono altre 9 navi per 56.151 tonnellate, inclusa una LST. Affondarono con il cannone anche una decina di

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motovelieri. Andarono perduti nel Mediterraneo tra il 21 maggio e l’11 settembre 9 U-boote.

Per spiegare la causa dei successi dei sommergibili tedeschi bisogna tener conto che gli U-boote avevano caratteristiche decisamente superiori a quelle dei battelli italiani, e che venivano continuamente migliorati e forniti strumenti d’attacco e di difesa molto migliori a quelle dei loro alleati. Comandati da uomini freddi e calcolatori, di grande esperienza bellica e astuzia, e diciamolo francamente molto coraggiosi, la cui età era generalmente al disotto dei trent’anni, e se si trattava di sottotenente di vascelli anche al disotto dei venticinque anni, gli U-boote che venivano trasferiti in Mediterraneo, erano di costruzione recentissima, del tipo medio VIIC. Essi disponevano di grande autonomia e di perfezionate apparecchiature tecniche di rilevamento e di lancio. A prora avevano quattro tubi lanciasiluri da 533 mm, a poppa soltanto uno.

La maggiore velocità subacquea e di superficie e la possibilità di scoprire con l’ecogoniometro il nemico anche in immersione a grande distanza, permetteva ai sommergibili tedeschi di seguire e aggirare i bersagli per poi attaccarli durante il giorno e la notte dalla posizione più favorevole. Essi potevano poi lanciare i siluri quasi a colpo sicuro, grazie ad una centrale di tiro che elaborava meccanicamente i dati balistici per le camere di lancio. Quella di prora era attrezzate per impiegare contemporaneamente più siluri, che oltre ad essere di grande precisione e potenza distruttiva, avevano anche il vantaggio del funzionamento elettrico e quindi non lasciavano scie troppo visibili alla superficie. Ma da quell’estate 1943 fu impiegato un nuovo rivoluzionario tipo di siluro, a funzionamento acustico che arrivava sulle navi seguendo il rumore delle loro eliche. E per questo motivo, che i siluri acustici colpivano sempre a poppa.

Se scoperti i maneggevoli U-boote potevano immergersi con grande rapidità (non più di 30 secondi) e raggiungere nella fase di disimpegno notevoli profondità. Di costruzione più semplice e di dimensioni più ridotte rispetto a quelli italiani, specialmente quelli di grande crociera, i sommergibili tedeschi tipo VII erano infine meno soggetti al logorio di quanto non lo fossero quelli italiani, e nello stesso tempo potevano sopportare più agevolmente il tormento del mare mosso e le concussioni delle bombe di profondità.

Importante differenza fra le due flotte subacquee dell’Asse era pure il modo di concepire le tattiche d’impiego. Infatti, mentre la flotta sottomarina tedesca era stata creata per la guerra al commercio ed ebbe quindi anche nel Mediterraneo quale compito più appropriato l’attacco senza restrizione al traffico mercantile, i sommergibili italiani in questo mare furono impegnati principalmente quali unità ausiliarie della Flotta di superficie, in schieramenti statici, per assolvere compiti esplorativi e per cercare di ostacolare il passaggio alla Flotta britannica e ai convogli avversari. Il risultato fu che anche nel corso del 1943 mentre si stava preparando da parte degli anglo-americani lo sbarco e la conquista della Sicilia, una notevole forza distruttiva venne impegnata per lunghi periodi in un’attesa passiva, anziché impiegarla alla ricerca dei bersagli. Questo comportamento, non certamente voluto dai Comandi e dai Comandanti di Sommergibili, andava a scapito anche dell’attività

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di addestramento, come fu ampiamente dimostrato dai mancati successi, a cui si contrapponevano forti perdite, come accadde nel breve periodo della campagna della Sicilia.

Ben differentemente si comportarono i sommergibili tedeschi, che andando in mare in continuazione poterono quindi realizzare risultati di grande prestigio, soprattutto operando sotto costa e davanti alle entrate dei porti nemici, eseguendo una tattica indubbiamente rischiosa, che portava a perdite, ma che era anche altamente redditizia.

La stessa tattica era usata dai sommergibili britannici che nel corso della guerra nel Mediterraneo affondarono e danneggiarono molte navi da guerra italiane e fecero letteralmente a pezzi il naviglio mercantile italiano e tedesco. Uno dei segreti dei loro successi consistette nei lanci multipli, senza risparmiare i siluri. Generalmente le salve dei piccoli sommergibili del tipo “U” era di quattro siluri di prora, mentre i sommergibili del tipo maggiore tipo “T” e “S” era di sei siluri di prora. Con questo sistema, dispendioso ma efficace, impiegato in immersione contro qualsiasi tipo di nave e diretto da un’efficientissima centrale di lancio, anche quando il sommergibile lanciava senza controllare al periscopio, almeno un siluro arrivava quasi sempre a colpire il bersaglio.

La salva dei sommergibili italiani era generalmente singola o binata, e salvo in alcuni occasioni, contro navi considerate importanti, era impiegata la salva dei quattro siluri di prora. Come quella dell’Axum del tenente di vascello Renato Ferrini che il 12 agosto 1942, riuscì a colpire a nord di Biserta tre navi del grande convoglio dell’Operazione britannica “Pedestal”, diretto a Malta, affondando l’incrociatore contraereo Cairo, colpendo e danneggiando l’incrociatore Nigeria e la grande petroliere Ohio. Un’ora dopo la stessa salva da quattro siluri fu impiegata dal sommergibile Alagi del tenente di vascello Sergio Puccini, che riuscì a colpire e danneggiare con un siluro l’incrociatore Kenya, mentre un secondo siluro passò sotto lo scafo della nave senza esplodere. 36

FRANCESCO MATTESINI

36 Francesco Mattesini, La battaglia aeronavale di mezzo agosto. Il contrasto delle forze italo-tedesche all’operazione britannica “Pedestal”, 10 – 15 Agosto 1942, RiStampa Edizioni, Santa fina di Cittaducale (RI), Agosto 2019, pagine 677.

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