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VICO MANTEGAZZA Questioni di Politica Estera Anno settimo (1912). La guerra per la Libia Con 16 incisioni. MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1913.
PROPRIETÀ LETTERARIA ED ARTISTICA.
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti ipaesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.
Milano. Tip. Treves e Rovida. -
XA1727
IL DIARIO DELLA GUERRA.
MANTEGAZZA. Politica estera. VII.
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GENNAIO.
IL COMBATTIMENTO NAVALE DI KUMFIDA. Il 7, nel po meriggio, l'incrociatore Piemonte e i cacciatorpediniere Garibaldino e Artigliere sorprendono e distruggono a Kumfidah nel Mar Rosso sette cannoniere turche e cat urano un yacht armato, il Fauvette. GLI INCIDENTI CON LA FRANCIA. Il 15, l'incrociatore Agordat ferma e conduce a Cagliari il Carthage, piro scafo francese in servizio fra Marsiglia e Tunisi, il quale ha a bordo un aeroplano sospetto. Il 18 l'Agordat ferma in rotta un altro piroscafo francese, il Manouba, partito da Marsiglia e diretto a Tunisi e lo conduce a Cagliari. Esso reca a bordo 29 turchi, tra i quali. sotto la veste di infermieri della Mez zaluna Rossa, si celano degli ufficiali ottomani. L'incari cato francese di Roma consente il 19 che i turchi ven gano sbarcati e che venga indagato il vero esser loro dalle autorità italiane. Il 20 il Carthage viene rilasciato, verso garanzia che l'aeroplano non servirà ai turchi, e lo stesso giorno anche il Manouba prosegue nella sua rotta. Ma il 21 il Governo francese chiede categorica mente la consegna del 29 turchi, dichiarando che gli spetta il compito di verificare la loro qualità. Il 22 Poincaré, dopo una serie di interpellanze violente contro l'Italia, pronunzia un vivace discorso non molto riguar doso verso l'Italia.
Dopo varie trattative, il cui prolungarsi tiene in grande tensione Italia e Francia, il 26 gennaio gli inci denti vengono risolti con la decisione di deferirli al Tri bunale dell'Aja. Ma l'Italia deve riconsegnare alla Fran cia i 29 turchi ch'essa aveva già fatto esaminare a Ca gliari.
IN LIBIA. Il 17 avviene a Derna un aspro combat timento. I nostri hanno di contro 3000 nemici; li attac cano, infliggendo loro gravi perdite. La notte dal 17 al 18 a Bengasi, 400 nemici attaccano
GUERRA
il blockou e B, presidiato da 16 soldati del 68° fanteria agli ordini del tenente Levi-Bianchini. Cinque dei no stri rimangono subito feriti. Gli altri 11 continuano va lorosamente la difesa e coadiuvati dall'artiglieria d'una vicina ridotta volgono in fuga il nemico.
Il 18 a Tripoli si inizia sotto la protezione di una grossa colonna la costruzione d'una forte ridotta a Gar garesch, destinata a difendere le cave di pietra. Mentre fervono i lavori, le truppe, ripetutamente assalite da forti riparti di arabo-turchi, li respingono e muovono al contrattacco costringendoli a ritirarsi.
FEBBRAIO.
LA
DIFESA DELLA RIDOTTA
LOMBARDIA. LA CONQUISTA DEL MERGHEB. Un disperato tentativo compie il nemico a Derna nella notte dall'11 al 12 febbraio, una notte oscu rissima. Dopo aver accennato attacchi contro la ridotta a mare alla sinistra delle nostre posizioni e contro il fortino « Piemonte » fa impeto con una numerosa colon na contro la ridotta « Lombardia » non ancora ultimata. La difende una compagnia del battaglione Edolo (5° alpini) comandata dal capitano Treboldi, e un ploton cino di 16 uomini col tenente Coularè è staccato a pre sidiare la torretta « Milano » che fiancheggia la ridotta. Rimasta senza munizioni e caduti sei soldati su dieci, dopo un'eroica difesa a corpo a corpo contro i beduini che scalano il muro afferrando le canne roventi dei fu cili, la minuscola guarnigione della torretta si apre un varco a baionettate, a calci, a pugni, e ripara nella ridotta dove la difesa continua magnifica fino all'esau rimento quasi completo delle munizioni. Si ricorre, ul tima risorsa, anche all'esplosione delle focate. In quel momento, per fortuna, sopraggiungono alla riscossa le altre due compagnie e le mitragliatrici del battaglione. Gli arabi fuggono dopo breve resistenza, lasciando 130 morti intorno alla ridotta. Tre dei nostri alpini sono uccisi e venti feriti. Il 27 è la magnifica vittoria del Mergheb. Il generale Reisoli assale con magnifico impeto e celerità di mano
4 IL DIARIO DELLA
a Derna
vra il nemico, che invano contrattacca le posizioni da noi conquistate.
NAVI TURCHE CALATE A PICCO A BEJRUT. Lo stesso giorno il contrammiraglio Thaon di Revel, a Bejrut, cala a picco nel porto, tra l'intrico delle altre navi, con pochi magistrali colpi di cannone, il guardiacoste turco Avnil lha ed una torpediniera tipo Antalia.
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AL PARLAMENTO. IL DECRETO DELLA SOVRANITÀ. Nella memoranda seduta del 23 la Camera dei deputati ap prova, dopo una entusiastica dimostrazione patriottica, il decreto del 5 novembre che proclama la sovranità del l'Italia sulla Tripolitania e sulla Cirenaica. La decisione vien presa con 431 voti favorevoli, 38 contrarî ed uno astenuto. Il 24 la manifestazione di solidarietà nazionale si ripete al Senato dove la trasformazione del decreto in legge è approvata all'unanimità.
MARZO.
COMBATTIMENTO A DERNA. Unavasta battaglia si ac-. cende il 3 marzo a Derna intorno al Marabutto, conqui stato alla baionetta dagli italiani. In un violento con trattacco un'orda beduina piomba sulla batteria D'An gelo, ne uccide il capitano, il tenente Borelli e vari arti glieri; altri ne ferisce. Una compagnia del 35° accorre, salva i pezzi. Una nuova azione offensiva determina la ritirata del nemico che ha sofferto gravissime perdite, 500 morti, secondo gli informatori.
COMBATTIMENTO DELLE DUE PALME. Il 12 si decide la sorte della prima fase della guerra intorno a Bengasi nella sanguinosa battaglia delle Due Palme. 6000 arabo turchi appoggiati da una batteria d'artiglieria si avan zano verso le difese italiane e improvvisamente si riti rano. Ma l'oasi delle Due Palme, a 700 metri dalla ri dotta « Fueyat », formicola di arabo-turchi che forse non osano uscirne di giorno per non essere fulminati dalle artiglierie. Il generale Briccola ordina che vengano attaccati. Il maggior generale Ameglio esce dalla ridotta del « Fueyat » con le sue truppe divise in tre colonne e le lancia all'assalto in modo da avvolgere completa
Combattimento
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5
GUERRA.
mente l'oasi. Le colonne conquistano sotto il fuoco i margini dell'oasi, avvolgono i fianchi del nemico con le loro ali, lo ricacciano, l'assaltano furiosamente alla ba ionetta in una enorme buca dove s'è rifugiato e dopo una terribile mischia corpo a corpo lo distruggono. 1006 cadaveri beduini vengono sepolti dai nostri che lamen tano la perdita di 37 morti, tra i quali 5 ufficiali, e 140 feriti di cui 12 ufficiali. Ameglio viene promosso tenente generale per merito di guerra. Anche i critici stranieri sono unanimi nel riconoscere l'ottima concezione e la. perfetta esecuzione del piano di questa battaglia.
INIZIATIVA SAZONOFF PER LA PACE. Per iniziativa del Ministro degli Esteri russo, Sazonoff, il 9 marzo gli am basciatori britannico, francese, tedesco e austro-ungarico chiedono in via confidenziale al Governo italiano a quali condizioni sarebbe disposto a far la pace. Il Governo italiano espone il 15 marzo le sue condizioni. Il 19 il Governo ottomano dichiara di respingere le proposte italiane.
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MORTE DELL'AMMIRAGLIO AUBRY. Il 4 marzo muore a Taranto, a bordo della sua nave ammiraglia, il co mandante delle forze riunite Aubry e lo sostituisce il vice-ammiraglio Faravelli.
APRILE.
DIMOSTRAZIONI AI DARDANELLI. OCCUPAZIONE DI STAM
PALIA.
La notte dal 17 al 18 s'iniziano le operazioni navali nell'Egeo col taglio dei cavi che uniscono le isole di Imbro e di Lemmo al continente.
La mattina del 18 la divisione Thaon De Revel fa una dimostrazione dinanzi ai Dardanelli per indurre la flotta turca ad uscire. Cannoneggiate dai forti di Kum Kalesch e di Seddil-Bahr; la Varese, la Ferruccio e la Garibaldi, rispondono smantellando i forti, riducen done al silenzio i pezzi. Il Governo turco si affretta a chiudere con mine ancorate i Dardanelli, impedendo il transito alle navi commerciali. La chiusura dura un mese.
Lo stesso giorno l'Emanuele Filiberto e l'Ostro, mentre si tagliano i cavi tra l'Asia Minore e le isole
6. IL DIARIO DELLA
sbarco a Rodi
del basso Egeo, affondano nel porto di Wathy, a Samo, la cannoniera Ircanieh e lanciano qualche granata con tro un accampamento turco.
Il 23 viene occupata Stampalia, dove si stabilisce la base di rifornimento per le navi.
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SBARCO A MACABEZ. Il 10 si compie un'operazione che lo stato del mare aveva impedito per lunghi mesi : la divisione Garioni superando enormi difficoltà, sbar ca sulla penisoletta di Macabez, presso il confine tuni sino. Successivamente si occupa il forte Forwa e si inizia una attiva serie di ricognizioni e di attacchi alle caro vane ed ai campi turco-arabi.
MAGGIO.
Il LO SBARCO A RODI. COMBATTIMENTO DI PSITHOS. giorno 4 una divisione agli ordini del generale Ameglio, con l'aiuto della flotta, sbarca a Kalitheas, sulla costa orientale di Rodi, e nel pomeriggio stesso muove verso la capitale vincendo con vigorosi attacchi la resistenza di reparti turchi inviati a trattenerla, mentre il grosso della guarnigione si ritira sulle posizioni di Psithos nel centro dell'isola.
Il giorno dopo Ameglio entra in Rodi e ne assume il governo. L'8 viene occupata l'isola di Khalkia e lo stesso giorno il Governo turco ordina l'espulsione degli italiani dai vilayets dell'Asia Minore. È una rappresaglia per l'azione nell'Egeo.
Il 12 son fatti prigionieri i presidî turchi delle isole di Scarpanto, Kaso, Nisero, Piskopi, Calimno, Lero e Patmo, dove s'innalza la bandiera nazionale e si stabili scono nostri funzionarî e nostre guarnigioni. Successi vamente si occupano Lipso, Symi, Cos. Appena rafforzata la sua base, il giorno 16, il gene rale Ameglio muove contro il nemico concentrato a Psi thos. Egli sbarca un battaglione di alpini sulla spiaggia a sud di Psithos ed un reggimento di bersaglieri sulla
Lo
L'AMMIRAGLIO VIALE SOSTITUISCE L'AMMIRAGLIO FARA VELLI. - Il 7 aprile, per motivi di salute, il vice-ammi raglio Faravelli viene esonerato dal comando delle forze navali riunite che è assunto dal vice-ammiraglio Viale. my
GUERRA.
costa a nord; mentre col grosso dei suoi marcia diretta mente contro i turchi per la via di terra. La marcia simultanea delle tre colonne, accerchia i turchi i quali sono sbandati dopo fiera resistenza. La mattina del 17 si arrendono 40 ufficiali ed un migliaio di soldati con due cannoni e due mitragliatrici.
La Regina Margherita distrugge il 18 la caserma turca di Marmaritsa, sulla costa dell'Asia minore. Fi nalmente i Dardanelli vengono riaperti alla navigazione neutrale.
COMBATTIMENTO A LEBDA. Alle 4.30 del 20 maggio il generale Reisoli, dopo un vivo combattimento, occupa Lebda, il colle Hammangi e le Montagnole Rosse, com pletando la nuova linea di difesa che, descrivendo un vasto semicerchio intorno ad Homs, va appunto dal Mer gheb a Lebda. Noi abbiamo un ufficiale e sette soldati uccisi, tre ufficiali e 54 soldati feriti. Il nemico lascia sul campo 300 morti. ESPULSIONE DEGLI ITALIANI DALLA TURCHIA. La Porta ordina il 20 l'espulsione in massa di tutti gli italiani, salvo poche eccezioni, dal territorio ottomano. Il 21 ar rivano in Italia i primi profughi accolti e soccorsi fra ternamente. GIUGNO.
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LA PRIMA BATTAGLIA DI ZANZUR. Allo scopo di do minar l'oasi di Zanzur dinanzi alla quale gli arabo turchi si sono fortificati con un ingegnoso, formidabile sistema di più ordini di trincee, la mattina dell'8 giugno le brigate Giardina e Rainaldi assaltano furiosamente alla baionetta le posizioni nemiche. Alle 7.30 la brigata Giardina si impadronisce dell'altura di Abd-el-Gilil, che domina l'oasi di Zanzur, e subito vi si fortifica. Il ne mico lascia nelle perdute trincee oltre un migliaio di morti. Noi abbiamo un ufficiale, 19 soldati e 10 ascari morti; 8 ufficiali, 182 soldati e 70 ascari feriti.
Alle 4 del giorno 12 gli arabo-turchi, dono qualche accenno d'attacco su varî punti delle nostre difese intor no a Homs, travolto il minuscolo presidio d'un fortino, irrompono dentro le nostre linee; ma fulminati dalle
IL DIARIO DELLA
batterie delle ridotte, contrattaccati alla baionetta di fianco e alle spalle subiscono una disfatta completa. Nu clei interi sono circondati e distrutti.. 421 cadaveri ne mici vengono sepolti dai nostri vicino alle Montagnole Rosse.
PER L'OCCUPAZIONE DI MISURATA E DI SID-SAID. Allo scopo di occupare Misurata, uno dei più importanti cen tri commerciali della Libia, la mattina del 16 giugno la divisione Camerana sbarca a Bu-Sceifa, a 12 chilom. ad oriente della città e vi si rafforza costituendovi la sua hase d'operazioni dalla quale respinge nel nomeriggio del giorno stesso un violento attacco nemico alla sua ala destra.
Il 26 s'iniziano dalla nenisola di Macabez, con una marcia d'avvicinamento, le operazioni per la conquista di Sidi-Said. Il 27 le difese arabo-turche ad ovest e a sud di Sidi-Said vengono conquistate alla baionetta, con un nuovo impetuoso assalto. La divisione Garioni prende l'altura dove si rafforza. Nelle tre giornate il nemico lascia sul campo 700 morti.
LUGLIO.
OCCUPAZIONE DI MISURATA. I calori estivi non inter rompono l'attività guerresca in Libia, chè anzi sembra sia spinta innanzi con rinnovata intensità.
L'8 luglio, uscendo dalle sue trincee in tre colonne. la divisione Camerana, vinta l'accanita resistenza del nemico apoiattato in trincee nei villaggi e nelle case dell'oasi, alle 17.30 pianta la bandiera nazionale sul ca stello di Misurata.
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IL RAID DEI DARDANELLI. Nella notte dal 18 al 19, la Marina compie la sua più audace operazione di que st'anno di guerra. Con mirabile audacia le torpediniere Spica, Centauro, Astore, Climene e Perseo. sotto il co mando del capitano di vascello Enrico Millo, si spin gono dentro i Dardanelli per riconoscere la posizione delle navi turche ed eventualmente silurarle. Scoperte da un proiettore dei forti, proseguono sotto un uragano di cannonate fino allo stretto Kilid Bhar-Cianak, a 20 chilometri dall'imboccatura. In quel punto la Spica
Occupazione di Misurata
urta contro cavi di acciaio tesi a sbarrare il passaggio. Accertata la posizione della flotta nemica, persuaso del l'impossibilità di silurarla, essendo dato l'allarme, e della certezza della distruzione delle sue navi ove ten tasse l'impresa, il capitano Millo ordina il ritorno che si effettua sempre sotto il fuoco nemico con miracolosa fortuna perchè i danni riportati dalle siluranti gloriose sono lievissimi. Il Re assegna la medaglia d'oro alle cinque torpediniere ed i comandanti vengono promossi per merito di guerra.
A DERNA. Il 21 Enver bey, radunati una diecina di pezzi, inizia un quotidiano ed innocuo bombardamento dei forti e degli accampamenti di Derna. Alcune can nonate arrivano anche in città recando lievissimi danni. TRATTATIVE SEGRETE PER LA PACE. Il giorno 12 s'ini ziano a Losanna, segretamente, i pourparlers diretti per trovare una base di pace tra il principe Said Halim, pre sidente del Consiglio di Stato, e i fiduciarî italiani on. Bertolini, on Fusinato e comm. Volpi. Il 24 avviene l'ultima conversazione dei fiduciari italiani con Said Halim, il mandato del quale cessa, con la caduta del Ministero di Said pascià. OCCUPAZIONE DI SIDI-ALÌ. Il 14 la divisione Ga rioni, riprendendo la sua marcia a ponente, assale Sidi Alì e ne scaccia il nemico uccidendogli parecchie centi naia di uomini.
AGOSTO.
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PRESA DI ZUARA. Zuara finalmente è presa. La notte del 4 agosto, movendo da Sidi-Alì, la divisione Garioni si avanza su Zuara e vi giunge la mattina del 5 dopo aver superato fiacche resistenze nemiche, mentre la brigata Tassoni vi sbarca dal mare.
Il 14 la divisione Garioni, percorsi 10 chilometri sotto un sole ardente, assalta le colline di Sidi-Abd-es Samad, che dominano Regdalin e il nodo delle carova niere tunisime a sud di Zuara e ne scaccia, dopo viva cissimo combattimento, il nemico.
LE TRATTATIVE RIPRESE. Si riprendono il 12 a Caux le conversazioni di pace tra i fiduciarî italiani e i nuovi fiduciarî turchi Naby bey e Fahreddin bey.
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10 IL DIARIO DELLA GUERRA.
SETTEMBRE.
IL GEN. CANEVA LASCIA LA LIBIA. Finito il periodo delle occupazioni costiere, il comando unico della Libia, tenuto dal generale Caneva, viene scisso il 5 settembre nei due governatorati della Tripolitania e della Cire naica, affidato il primo al generale Ragni (che ha pure sostituito il generale Frugoni alla testa del corpo d'ar mata di Tripoli) e il secondo al generale Briccola. Ca neva vien promosso generale d'esercito, ed è così il solo che oggi abbia l'altissimo grado.
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A DERNA. - Il 14 il tenente generale Reisoli, nuovo comandante della 4ª divisione, mentre con una colonna (generale Capello) trattiene il nemico nel settore occi dentale delle difese di Derna, occupa con altre due (Salsa e Del Buono) Casr-El-Leben e Casa Aronne dinnanzi al settore orientale, quasi senza incontrare resistenza.
Il 17 grandi forze nemiche, sostenute dall'artiglie ria, attaccano impetuosamente le nuove posizioni di Derna, ma vengono respinte, contrattaccate vigorosa mente alla baionetta, disperse, decimate, fulminate dal- ´`· l'artiglieria. Nuclei interi vengono circondati e distrutti. Gli ascari eritrei fanno strage di un grosso reparto di beduini, nascostosi in grotte. Il nemico lascia sul ter reno 1134 cadaveri. Noi abbiamo 61 morti e 113 feriti.
ALTRA BATTAGLIA A ZANZUR.
Il
Generale Caneva lascia la Libia
Il giorno 20 settembre, dopo tre ore di combattimento, vengono occupate l'oasi di Zanzur e due posizioni esterne ad essa : il marabutto di Sidi-Bilal a ovest e la collina detta dei 39 ettometri a sud; basi intermedie per future operazioni. A mezzo giorno, quando la lotta sembra illanguidire. una forte massa arabo-turca, suddivisa in sei colonne, attacca ri petutamente, con furia disperata, la collina dei 39 etto metri, ma viene sempre respinta e finalmente contrat taccata, sbaragliata, inseguita alla baionetta da quattro reggimenti di fanteria e molestata per qualche chilo metro dagli ascari eritrei. Noi abbiamo 75 morti di cui 11 ufficiali. 11
OTTOBRE.
LA GUERRA BALCANICA. LA FIRMA DEL TRATTATO. Il 1 annunzio della mobilitazione bulgara, della mobilita zione serba e della mobilitazione greca.
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Il 3 si annunzia da Ouchy che con l'intervento di Rechid pascià, arrivato da Costantinopoli, le trattative di pace stanno per arrivare ad una conclusione. L'on Bertolini parte per Cavour onde conferire con l'on Gio litti e Rechid pascià per Costantinopoli.
L'8 il Montenegro dichiara la guerra alla Turchia. Serbia, Bulgaria e Grecia fanno altrettanto.
Il 12 la nostra squadra salpa per l'Egeo. L'Italia fissa alla Turchia con un ultimatum il termine di po chi giorni per la conclusione della pace.
Il 16 alle ore 18 sono firmati ad Ouchy i preliminari di pace.
12 IL DIARIO DELLA
GUERRA.
!
LE TRE GUERRE.
- TRIPOLITANIA
E MAROCCO.
I. - e a Larache. Le proteste della Francia. pirati. Il nemico rinforzato. Tre grandi battaglie. della costa marocchina.
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1 Nel Mediterraneo.-
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II. LA GUERRA SANTA... CONTRO I TURCHI.
La preghiera pel Sultano soppressa in Eritrea.
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La seconda fase. L'equilibrio del Mediterraneo. Una conversazione che dura da due mesi. La Spagna esclusa. Le sue domande. Un antico progetto per la spartizione. Silvela. Il timore dell'Inghilterra. Il progetto abbandonato dal Le truppe spagnuole a El Kzar Contro un altro covo di Quarantamila uomini in Africa. Contro il fanatismo. - L'importanza strategica Il cav. Depretis. L'ultimo diplomatico ita liano a Tangeri. -
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Nel mar Rosso. La possibilità di qualche piccolo colpo di mano. Gli arabi fra le nostre truppe del Benadir. La rivolta nell'Yemen. Gli uabiti. La terra dei profeti. Una lettera di Maometto. -L'in dipendenza dello Yemen. La spada a doppio taglio. Non ritornano più.... Albanesi ed arabi intorno ad Abd-ul-Hamid. La politica isla mitica. L'Arabia e l'avvenire dell'Islam. I due grandi pericoli per la Turchia. Un Lo zeidismo contro i turchi. I pascià battuti. esercito bloccato. Il Califfato in pericolo.
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I.
TRIPOLITANIA E MAROCCO. NEL MEDITERRANEO.
La situazione internazionale non è ancora chiara : tutte le nubi non sono scomparse, come a tutta pri ma era sembrato, quando, da Berlino, si annunziò che Francia e Germania si erano completamente messe d'accordo sulla questione del Marocco e dei compensi. In Europa quell'annunzio produsse come un senso di sollievo, dopo due o tre mesi di ansia, nei quali, per un incidente o per l'altro, veniva fuo ri la solita minaccia di un conflitto. Viceversa, a po chi giorni di distanza, incominciò subito a farsi strada la convinzione che la questione del Marocco può ancora dar da fare parecchio alla diplomazia, e che, se coll'accordo di Berlino si era chiusa la pri ma fase, certamente la più importante e la più peri colosa, si entrava dopo in una nuova fase, la quale può presentare essa pure difficoltà tutt'altro che lievi e che il nostro conflitto con la Turchia non giova certo a superare. Non è già che vi sia fra le due que stioni, quella della Tripolitania e quella del Ma rocco, un nesso, un legame assoluto. Però tanto la questione del Marocco come quella della Tripoli tania si collegano a quella dell'equilibrio del Medi terraneo; ed è evidente come la nostra occupazione e le sorti che avranno le coste marocchine al di qua dell'Atlantico sono destinate a dare al gran mare della razza latina e della civiltà il suo assetto defi nitivo. Distratti dalla nostra guerra, dagli incidenti da
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essa provocati e dalla situazione interna dell'Impe do Ottomano e da quella complicata e pericolosa del la Penisola Balcanica, pubblico e stampa si sono ben poco occupati di un'altra guerra sanguinosa che si sta combattendo in un altro punto dell'Africa me diterranea e della conversazione poichè si è or mai convenuti di dar loro questo nome che si sta svolgendo a Madrid, fra la Spagna e la Fran cia, senza che tali..... conversari, dopo due mesi, abbiano condotto ad un risultato.
Le trattative di Madrid era naturale seguissero immediatamente l'accordo di Berlino. Ed era faci le prevedere sarebbero procedute lentamente, e con un non dissimulato risentimento per parte della Spa gna che non era stata ammessa a discutere anch'es sa nella prima fase della questione sulle rive della Sprea, come avrebbe voluto e come chiese. Francia e Germania hanno discusso delle sorti del Marocco, come di cosa che non potesse riguardare altri; co me se si trattasse di una proprietà sulla quale nes suno poteva accampare diritti. Non han creduto di dover tener conto, nel corso di quelle trattative, che su quella proprietà gravava un'ipoteca, accesa col pieno consentimento di una di esse : l'ipoteca spa gnuola sulla zona d'influenza stabilita dall'accordo franco-spagnuolo del 1904.
Per cui. quando. in virtù dell'art. 14 della conven zione franco-tedesca del 4 novembre, nel quale è detto che l'accordo diventerà esecutivo solamente quando tutte le Potenze firmatarie dell'atto di Alge siras avranno data la loro adesione, la Francia chie se quella della Spagna, questa rispose con un no franco e risoluto.
Le trattative che si stanno svolgendo mirano per l'appunto per parte della Francia ad ottenere tale. adesione, per la quale la Spagna pone condizioni eque e ragionevoli secondo il Governo di Madrid e
16 LE TRE GUERRE
che paiono invece eccessive ai rappresentanti della Repubblica, che adesso discutono anche sul valore della così detta ipoteca spagnuola. Ma, mentre du rante le trattative di Berlino il pubblico era messo quasi giornalmente al corrente o con comunicati ufficiali o con un ben organizzato servizio d'indi screzioni, intorno al modo col quale procedevano, la conversazione franco-spagnuola si svolse nel più assoluto segreto. Nessuna comunicazione e nemme no delle indiscrezioni in ogni modo ben poche vi sono state in quei due mesi. La stampa, dal canto suo, mantenne un grande riserbo. Quindi non è inopportuno il ricordare sommariamente i prece denti della questione, che invece è seguìta col più vivo interesse nelle Cancellerie europee, e che, se non desta certamente le ansie dell'epoca del conflit to franco-tedesco, preoccupa però seriamente anche per il fatto che potrebbe rendere necessarie nuove trattative tra la Francia e la Germania. Nel 1902 cioè quando era vivissima la rivalità anglo-francese al Marocco la Francia, con Delcas sé ministro degli esteri, aveva sottoposto alla Spa gna un progetto d'accordo per la eventuale sparti zione del Marocco a momento opportuno. Con tale progetto veniva riconosciuto come zona d'influenza della Spagna un vastissimo territorio che compren deva anche Fez. Il Ministro Sagasta era favorevo lissimo. Ma il Silvela, al Governo, lasciò invece ca dere ogni cosa. Rimproverato acerbamente dai suoi avversari, in una lettera ai giornali disse chiara mente che la ragione per la quale aveva lasciato cadere l'iniziativa era stata il timore che l'Inghil terra potesse intervenire. « Avendo i mezzi d'infor mazione dei quali può disporre chi è al Governoscrisse in quella lettera ho potuto rendermi con to della necessità assoluta per noi d'assicurare la nostra azione al Marocco contro le possibili difficol MANTEGAZZA. Politica estera. - VII.
Per la spartizione fra Spagna
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e Francia
tà da parte degli altri interessati ». In altri termini, il Silvela si difese dicendo sarebbe stato un accor do assai pericoloso perchè l'Inghilterra non lo avreb be probabilmente riconosciuto, e non poteva essere consigliabile alla Spagna di schierarsi così da una parte di uno dei contendenti, mentre le relazioni tra Francia e Inghilterra erano assai tese. Due anni dopo avveniva l'accordo anglo-francese, che prevedeva una successiva intesa fra Spagna e Francia, consacrata in quel trattato segreto pubbli cato qualche settimana fa, il quale stabiliva la zona d'influenza della Spagna più limitata, ma compren dendo sempre l'hinterland dalla parte del Rif e un vasto territorio con le città di Tetuan, El Kzar, Ar zila e Larache sull'Atlantico. Secondo tale trattato, in virtù del quale la zona spagnuola arriva dalla parte della Muluja fino a 40 chilometri da Taza, e dalla parte del Sebou fino a poche decine di chilometri da Fez, le due Potenze dovevano agire d'intesa fino a che non fosse suonata l'ora della spartizione del Marocco. Quest ora sembrò suonata alla Spagna quando l'anno scorso la Francia occupò Fez. E si affrettò a dare ordine alle sue truppe di occupare El Kzar e Larache nella propria zona... prima che l'occupassero i francesi. Da Parigi si protestò viva mente domandando che le truppe li Sua Maestà il Re Alfonso abbandonassero quelle due città. Ma la Spagna non cedette. Dal momento che la Francia dissero in Ispagna non ci ha chiesto come. doveva il nostro consenso, ci ha dato la libertà di agire anche noi per la tutela dei nostri interessi dal momento che essa ha violato l'atto di Algesiras, è naturale si faccia altrettanto noi pure. E le truppe spagnuole sono sempre a El Kzar e a Larache. Dati tali precedenti e tali relazioni tra le due Potenze, si vede subito la strana situazione creata dall'accordo di Berlino, e come non sia possibile
18 LE TRE GUERRE
I sacrifici domandati alla Spagna
alla Francia l'esercizio del protettorato suo sull'Im pero degli Sceriffi sancito da quell'accordo, se non interviene un'intesa con la Spagna a proposito della sua zona d'influenza. Non è possibile, nè per quan to riguarda gl'interessi francesi, nè per quanto ri guarda il Marocco e la nazione protettrice con le altre Potenze. Con la Spagna a El Kzar, la Francia non ha in mano sua le comunicazioni Tangeri-Fez : cioè fra la capitale attuale dell'Impero e il suo prin cipale sbocco nel Mediterraneo considerato, come l'altra, capitale, sabbene per la presenza degli eu ropei i marocchini l'abbiano chiamata fino ad ora la città dei cani. Di fronte all'Europa... e alla Ger mania, essendo protettrice di tutto il Marocco, si trova poi ad essere responsabile anche della zona che pel trattato del 1904 ha abbandonato alla Spagna. Una situazione simile non è sostenibile. Ond'è che qualcuno ha proposto di uscirne, riconoscendo alla Spagna la proprietà assoluta di una zona del Marocco : ma ridotta di proprozioni e natural mente meno vasta di quella stabilita dal trattato del 1904. A tale sacrificio non sente finora di po tersi rassegnare la Spagna. Vi è d'altra parte chi studia anche la possibilità di attuare un sistema complicato per dividere le responsabilità. Ma men tre, a sua volta, vi si rassegnerebbe mal volentieri la Francia, che vedrebbe menomata di fronte al Magk zen la sua autorità e il suo prestigio di Potenza pro tettrice, pochissimi sono quelli che han fede nella praticità di un congegno amministrativo politico di tale genere. In ogni soluzione del difficile problema, sarà assai probabilmente necessaria una revisione dell'accordo franco-tedesco, e daccapo nuove tratta tive, con tutte le sorprese che in una situazione in ternazionale, delicata e complicata come l'attuale, possono venirne fuori.
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Tanto più quando si tien conto che, proprio quelle 19
coste dell'Africa mediterranea, ove la Spagna che vi è già insediata estenderà il suo dominio, vi sono posizioni le quali possono avere col tempo una grande importanza strategica; ed alle cui sorti non possono quindi rimanere indifferenti altre nazioni.
All'epoca nella quale Francia ed Inghilterra si die dero la mano, facendo cessare la loro centenne riva lità, quest'ultima vide volontieri il successivo accor do della sua nuova amica colla Spagna, col quale era lasciata a quest'ultima la costa di fronte a Gi bilterra. Meglio aver di fronte una nazione non ricca e non troppo forte. Oggi, data l'attività sempre mag giore della Germania per prendere posizione in qualche modo nel Mediterraneo, non è invece senza qualche preoccupazione che essa vede insediarvisi completamente una nazione relativamente debole e che più volte in questi ultimi tempi ha accennato a cercare di appoggiarsi alla Germania: La laguna di Mar Chica con una spesa certamente non lieve, ma che non esce dai confini della possibilità, potrebbe essere trasformata in un gran porto; in un'ottima base navale...
Da questo momento, grosse nubi, malgrado le di chiarazioni ufficiali sempre ottimiste, oscurano le relazioni fra le due sorelle latine a proposito della questione del Marocco. Ed il risentimento dell'opi nione pubblica spagnuola è tanto più forte in quanto che le sembra che i sacrifici di uomini e di denaro che da due anni la Spagna sostiene per un'opera di civiltà, combattendo nel Rif delle tribù barbare, fa natiche; in quel Rif che, come la nostra Tripolita nia, è stato per secoli il covo dei pirati che infesta vano il Mediterraneo, e dove, ancora pochi anni or sono, era rischioso il passaggio pei piccoli velieri, avrebbero dovuto farle più facilmente riconoscere i suoi diritti.
È una guerra della quale nessuno parla, ma nella
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grandi battaglie
quale l'esercito spagnuolo truppa ed ufficiali combattono valorosamente contro un nemico auda ce, e danno prova di una meravigliosa resistenza alle fatiche ed ai disagi, poichè le condizioni finan ziarie del Regno non han sempre permesso di pro cedere alla organizzazione della campagna con quel la larghezza di mezzi che sarebbe stata desiderabile. Nel settembre e nell'ottobre scorso, l'esito fortunato di alcuni combattimenti, aveva fatto credere la guer ra finita o quasi. Senza che si fosse conclusa la pace, vi era stata come una tacita tregua che pareva non dovesse essere per un pezzo interrotta, tanto che una brigata era stata rimpatriata. Invece, durante tale tregua, il nemico si era rinforzato con altre tribù venute dall'interno, e, nel dicembre, riprese vivamente l'offensiva attaccando furiosamente le po sizioni avanzate, e riuscendo a girarle con l'obiettivo di tagliare le comunicazioni col grosso del Corpo di spedizione. Non solamente la brigata richiamata fu nuovamente mandata in Africa, ma partirono altre. truppe portando l'effettivo del corpo di occupazione. a più di trentamila uomini e, secondo altri giornali, nuovi invii seguiranno fino a portare tale cifra a quarantamila.
Tre grandi battaglie ebbero luogo nei giorni di Natale. Nel combattimento del 27 di dicembre gli spagnuoli ebbero 12 ufficiali, fra i quali il colon nello del reggimento di Melilla e 90 soldati morti; 20 ufficiali, fra cui un generale e 300 soldati feriti. Inflissero gravi perdite al nemico. Ma non fu una battaglia decisiva...
Anche laggiù in quella parte della costa africana. del Mediterraneo, un esercito valoroso combat e una guerra di insidie e di tradimenti : anche laggiù, co me da noi in Tripolitania, le armi di un paese civile combattono contro il fanatismo, e gli ulema. pre dicano la guerra santa contro il cristianesimo.
Tre
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Sono due nazioni latine, che, in questo momento combattono le ultime battaglie, per insediare defini tivamente la civiltà sui soli due tratti dell'Africa me diterranea che ancora erano in mano del fanatismo e della barbarie! Secoli addietro, proprio sulle coste della Tripolitania, i soldati delle nostre repubbliche e quelli di Spagna han combattuto assieme in nome della cristianità : oggi combattono separati ma allo stesso scopo e in nome della civiltà. L'Impero degli Sceriffi, il paese dei discendenti di Maometto, sta per entrare esso pure nel giro della vita civile. Le difficoltà alle quali ho accennato sa ranno superate, e, fra poco, una parte sarà un paese francese e l'altra un paese spagnuolo. Giorni sono ho augurato il buon viaggio al cav. Depretis, il figlio del compianto uomo di Stato, ormai partito per Tan geri, ove è nominato ministro plenipotenziario pres so il Sultano Mulai Afid. I simpatico diplomatico sarà l'ultimo ministro italiano a Tangeri! Una volta ratificato l'accordo a Berlino e proclamato, dopo l'adesione delle Potenze, il protettorato francese, tut te quante sostituiranno i diplomatici con dei con soli come li hanno a Tunisi. D'altra parte, non ab biamo più ora che scarsi interessi da tutelare in quelle regioni. Ultimo vestigio della influenza che vi abbiamo avuto per un certo tempo, e di quella che avremmo potuto esercitarvi, se nel momento nel quale il nostro Governo, all'epoca del Crispi, stava per spiegare un'azione energica ed oculata, non fos sero accaduti i disastri etiopici che han dato un cor so così diverso agli avvenimenti, è rimasta la fab frica d'armi a Fez sotto la nostra direzione ancora per 10 anni (1). .
(1) Vedi per l'azione che il Crispi aveva allora spiegato al Marocco e l'influenza che poteva esercitarvi l'Italia, il volume L'Europa e il Ma rocco pubblicato all'epoca della conferenza di Algesiras dallo stesso autore di questo volume. Milano, F.lli Treves.
22 LE TRE GUERRE
La flottiglia turca nel Mar Rosso
Così nella nostra carriera diplomatico-consolare, rimane soppresso un posto di ministro. Se ne è creato in vece uno di più nei Consolati : quello di Casablanca, necessario per la tutela degli operai no stri relativamente numerosi addetti ai lavori por tuali. Molti hanno già lavorato ai lavori del porto di Tangeri. Dappertutto anche là dove abbiamo proclamato il nostro disinteresse è la mano d'o pera italiana alla quale si ricorre per ferrovie, per i porti, per le grandi costruzioni, per provvedere alla trasformazione dei paesi e delle città ove pene tra e s'insedia la civiltà europea!.... 11 febbraio.
II.
LA GUERRA SANTA... CONTRO I TURCHI.
LA PREGHIERA PEL SULTANO SOPPRESSA IN ERITREA.
In generale, a tutta prima non si è rilevata abba stanza, secondo me, tutta l'importanza della distru zione delle navi e delle flottiglie che la Turchia ave va nel Mar Rosso. Importanza che ora viene a met tere in evidenza l'impressione prodotta a Costanti nopoli, e le conseguenze immediate che quel com battimento ha avuto per la situazione dell'Arabia. Dal punto di vista nostro non ha mai potuto rap presentare un grande pericolo il progetto attribuito alla Turchia di voler tentare uno sbarco nell'Eritrea e che da qualche tempo si faceva balenare come una minaccia. Ma non era da escludersi in modo assoluto la possibilità di un piccolo colpo di mano su qualche punto della costa. Qualche centinaio di
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fanatici che fosse riuscito a sbarcare non poteva far nulla. Però, data la mentalità di quelle popola zioni, e la facilità con la quale i turchi potevano far loro credere di aver riportato una grande vittoria, magari di avere addirittura invaso i nostri possedi menti eritrei, poteva essere dolorosa l'impressione morale, almeno fino a che la verità non fosse mes sa in chiaro. sono ara Si noti che nel nostro piccolo esercito del Benadir, più della metà dei soldati - circa 3500 bi, e arabi non solo di razza, ma reclutati proprio nella Penisola arabica, e specialmente nelle provin cie meridionali. L'annientamento delle navi turche a Kunfidah e la ripresa della rivolta nell'Yemen e nell'Assir che pare esserne stata la immediata con seguenza, hanno reso manifesto per tutte quelle po polazioni - fra le quali anche senza il telegrafo le notizie si propagano rapidamente e sempre con la esagerazione in ragione diretta della distanza che gli arabi sono contro i turchi e che, ben lungi dal sentire la solidarietà in nome della fede comune, approfittano anzi degli imbarazzi nei quali si trova no per la guerra con l'Italia per riprendere più viva che mai la lotta. Il vincolo della religione del resto non ha mai legato gli arabi, chè anzi è in nome del la religione, che accusano i turchi d'avere adulterato, che si sono sempre ribellati. Nel secolo scorso la rivolta degli uabiti, al seguito di un nuovo profeta, il quale voleva ricondurre la religione di Maometto alle sue forme primitive, si impossessò persino delle città sante della Mecca e di Medina minacciando se riamente il Califfato di Costantinopoli.
L'Arabia è la terra classica dei profeti. Ne sorsero, e parecchi, a disputarsene il predominio, anche con tro Maometto, che mori, per l'appunto, mentre pre parando una spedizione in Siria combatteva questi uoi rivali. Ne erano comparsi tre in una volta, e di
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questi tre quello che parve destare le maggiori pre occupazioni era nell'Yemen : un certo Ayala, so prannominato il nero. Uno di tali contendenti, animato non solo dallo zelo religioso, ma anche dal lo spirito pratico della sua razza semita, propose a Maometto di mettersi in società con lui : di divider si in parti uguali il dominio. E nella lettera con la quale formulò la strana proposta, incominciò intan to dal chiamare Maometto col nome di collega, pro vocando la breve e fiera risposta del profeta così concepita: « Mohamed apostolo di Dio a Museylama impo store. La terra appartiene a Dio, ed egli la dona a chi vuole. Riescono a buon fine quelli che temono il Signore >>. Non è precisamente quello che rispose Maometto V all'Iman dell'Yemen. A quell'Yahia il quale aveva tenuto in iscacco e più volte sconfitto i battaglioni ottomani, non propose la spartizione dell'impero, ma però di lasciarlo in pace nel suo Yemen riconoscen do la sua indipendenza. Indipendenza che, in fondo, è una legittima aspirazione. Poichè l'Yemen è quasi sempre stato indipendente, e, solo nel 1872, la Tur chia riuscì a poter tenervi delle guarnigioni e sol tanto in alcuni punti. Per secoli l'Iman dell'Yemen è stato considerato come un sovrano assolutamente indipendente, circondato dal prestigio che viene a coloro che possono invocare la parentela col Profeta proclamandosene discendenti : un sovrano che bat teva moneta e che aveva la sua bandiera sulla qua le campeggiava la spada a doppio taglio di Alì Ba sterebbe poi questo culto di Alì che avvicina gli ye meniti agli sciti della Persia, antichi e costanti av versari dei suniti di Costantinopoli, per mostrare co me, spesso, sia stata la religione che li ha allout nati o messi contro i turchi.
Dell'Arabia in genere, ma dell'Yemen soprattutto,
L'Iman dell'Yemen 25
si dice a Costantinopoli che sono da tempo imme morabile la tomba dei soldati turchi. Quelli che nou vi muoiono combattendo, finiscono spesso non si sa dove, non si sa come, dimenticati dal Governo! Per un pezzo andare nell'Yemen volle dire per i sol dati del Padiscià non ritornare mai più ..
Il Sultano Abdul-Hamid era riuscito con grande abilità ad ottenere, se non altro, dei periodi di calma. Allo stesso modo che, quando un insorto albanese riesciva a riunire intorno a sè buon numero di ri belli, spesso domava la ribellione facendo di sbalzo generale dell'esercito turco e coprendo di doni il ri belle che era magari un brigante, in Arabia potè più volte impedire agli insorti di unirsi creando. la scissura fra loro e chiamando a Costantinopoli in cospicue posizioni qualche capo temuto e po tente. A Yildiz-Kiosk, Abdul-Hamid era circondato da albanesi e da arabi. Quando la rivoluzione im pose ad Abdul-Hamid la Costituzione, era gran visir l'albanese Ferid, ed onnipotente il suo secondo se gretario l'arabo Izzet pascià. Quell'Izzet che riuscì a scappare con una fortuna di parecchi milioni ac cumulati nel modo che tutti sanno, e che si dice non essere ora estraneo alla propaganda del nazionali smo arabo... Abdul-Hamid aveva iniziato e seguito quella che si chiamò la politica islamitica, intesa a consolidare la sua posizione di Califfo. Di tale politica la più gran de manifestazione è stata l'iniziativa della ferrovia dell'Edjaz la ferrovia sacra che aveva però nel suo concetto un doppio scopo : quello religioso di faci litare il pellegrinaggio dei credenti alla Mecca, e quello politico di potere con maggiore facilità por tare i battaglioni turchi.... nei paesi delle continue rivolte. L'Albania in Europa e l'Arabia nel continente asia tico sono da molti anni i due veri e grandi pericoli
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arabi e il regime costituzionale
per l'Impero turco. Più che mai lo sono stati in que sti quattro anni del nuovo regime. I giovani turchi hanno reso sempre più grave la situazione ed esa cerbati gli animi. Gli arabi, i quali credevano di mi gliorare sotto il nuovo regime, si sono trovati in vece più che mai sopraffatti. Vi sono nell'Impero circa 12 milioni di arabi. Su quaranta senatori, i se natori arabi sono soltanto una mezza dozzina, e sono poche decine su 240 i deputati arabi. Su 24 go vernatori solo tre o quattro sono arabi, tre o quattro del corpo consolare e pochissimi negli alti gradi del l'esercito, se se ne foglie come eccezione il genera lissimo Cheiket, che in certi momenti non ha però mostrato di sentire una grande solidarietà coi suoi. Per cui dopo qualche periodo di tregua e varî ten tativi di accordo l'Arabia e sopratutto lo Yemen sono di nuovo in fiamme.
Si comprendono e si spiegano perfettamente le ansie e le preoccupazioni di Costantinopoli. Da quello. che può accadere in Arabia può dipendere addirit tura l'avvenire dell'Islam!
L'Iman dell'Yemen, che appena scoppiata la guer ra con noi ottenne per il suo paese una quasi com pleta autonomia, è figlio di quell'Hamid Eddin che per più di 20 anni tenne in iscacco le forze otto mane mandate contro di lui, ed era il capo ricono sciuto della setta zeidista. La sua condotta verso la Turchia è stata varia ed oscillante. I mutamenti sono stati determinati dalla speranza di ottenere sempre maggiori concessioni, e dal timore che il capo dell'Assir o qualche altro potesse minacciarlo. riuscendo ad attirare intorno a sè ingenti forze ed altre popolazioni.
Fu per l'appunto dopo una di tali tregue che si decise a proclamare, più che la rivolta, la vera guerra santa in nome dello zeidismo contro i turchi usurpatori del Califfato e adulteratori della religio
Gli
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ne, e a farsi chiamare Amir el Munemin, cioè Emi ro dei Credenti.
Quasi nello stesso volgere di tempo nell'Assir un altro ribelle proclamandosi l'inviato di Allah fu de signato come il nuovo Mahdi dai suoi partigiani. Come capo dell'Assir, Idris cercò prima di tutto di assicurarsi una grande popolarità, protestando con tro le vessazioni delle autorità ottomane. Uomo in telligente, abile, dotato di una certa cultura, avendo studiato al Cairo, preparò come suol dirsi il terreno con grande abilità, prima di proclamarsi anche lui un santo. Sopratutto si adoperò e riuscì a pacificare molte tribù rivali. Quando le ebbe bene in manó lanciò il suo proclama.
Maometto V allora, credendo di poterlo facilmente domare, seguendo l'esempio del Profeta lanciò con tro di lui la scomunica. A sua volta fece distribuire un proclama nel quale Idris era dipinto come un impostore che speculava sulla credulità degli igno ranti. Fu il segnale della guerra. Intanto incomincia rono con qualche piccolo massacro contro la gente mandata da Costantinopoli per alcuni studî ferro viari. La ferrovia avrebbe fatto cessare un lucroso commercio: quello di dare scorte, provviste, ecce tera alle carovane. E l'arabo non si lascia certo sfuggire la buona occasione quando la religione e la politica possono giovare ai suoi interessi... Finora è stata una gran fortuna per la Turchia che Idris e Yahia, il Mahdi dell'Assir e l'Iman del l'Yemen non si sieno potuti mettere d'accordo. Han no entrambi combattuto la dominazione turca : ma sono rivali fra loro. Da Costantinopoli, come ora han. messo tutto in opera per spingere Yahia contro Idris, due anni fa han cercato di servirsi di Idris. contro Yahia. Dopo averlo proclamato un impostore il Governo del Sultano gli mandò delle missioni per trattare. Una prima missione fu pulitamente e con
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Le truppe di Izzet pascià. garbo messa alla porta, malgrado fosse composta di ulema arabi e di sceicchi. La seconda, formata in vece da ufficiali ottomani, partì da Costantinopoli nel gennaio del 1910. In un porto del Mar Rosso si unì ad essa Said pascià, il vecchio generale. Idris. domandò di essere trattato come l'Iman dell'Yemen; di avere cioè per l'Assir presso a poco la stessa au tonomia; e in ogni modo voleva la immediata de stituzione di alcuni funzionari ottomani. Said pascià ' era favorevole. Tanto più che Idris, in cambio di tali concessioni, si impegnava ad ottenere e a combattere, occorrendo, per ottenerla, la pacifica zione di tutte le regioni insorte.
Ma avvenne allora un bel caso. Mentre Said trat tava, ed aveva già gettato le basi principali di questo accordo, gli arrivò un telegramma da Costantinopoli che gli ordinava di marciare su Kunfidah e pren dendo il comando delle truppe invadere l'Assir e mettere al dovere Idris. Said pascià non ebbe for tuna in questa lotta e fu richiamato.
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A Izzet pascià furono affidate, oltre a un certo nu mero di truppe che già erano laggiù, parecchie di visioni che per il loro ottimo equipaggiamento de starono la meraviglia e l'ammirazione degli europei che le videro, abituati come erano a vedere i sol dati turchi con le uniformi a brandelli. Sono bene equipaggiate e bene armate. L'esercito che combatte laggiù contro i ribelli è formato da corpi scelti. So no forse le più belle truppe delle quali può disporre l'Impero. Per cui si spiega, più che la preoccupa zione, l'apprensione che vi è a Costantinopoli sulla loro sorte. Col blocco di Hodeida è venuta a mancare
In sua vece fu mandato Izzet pascià, uno dei ge nerali sui quali l'esercito turco faceva maggiore as segnamento : da non confondersi con l'altro Izzet pascià al quale ho già accennato, l'antico segretario e strumento della tirannia di Abdul-Hamid. 29
una delle loro principali basi di operazione, per quanto il nostro blocco sia limitato e non siasi po tuto estendere fin verso Gedda, proprio nel mo mento del ritorno dei pellegrini dalla Mecca, per chè avrebbe sollevato malcontento in tutto il mon do mussulmano. Di là, forse, possono ancora, per quanto con grandi difficoltà, passare degli approv vigionamenti. Ma la situazione di quel corpo d'e sercito è gravissima. I soldati non ricevono evi dentemente più un soldo, e possono trovarsi da un momento all'altro a lottare con la fame o ad essere ricacciati verso il mare... dove fanno buona guardia le nostre navi.
È difficilissimo prevedere quali complicazioni pos sono sorgere e le loro conseguenze. Da un momento all'altro, non solo può diventare disperata la sorte di quell'esercito ottomano di Izzet pascià, ma può essere messo in giuoco addirittura il Califfato. Que stione della quale si preoccupano grandemente tutte le nazioni europee che hanno sotto di sè dei mussul mani e specialmente l'Inghilterra. Il giorno che le città sante cadessero in altre mani l'autorità del Sul tano come Califfo avrebbe virtualmente cessato di esistere. Che tale pericolo vi sia è evidente, e lo sceriffo della Mecca, certo per la situazione oscura, ha mandato il figlio da lord Kitchener, al Cairo. Le aspirazioni del Kedivè al Califfato sono di data an tica...
Il Sultano di Costantinopoli col nuovo regime gio vane turco seguita non solo a vedersi portar via delle nuove provincie, ma deve sentire molto scosso anche il suo prestigio religioso.
E dopo l'azione delle nostre navi a Kunfidah e la ripresa della rivolta araba, nelle moschee eritree, spontaneamente, è già stata soppressa la preghiera per il Sultano! 23 febbraio.
330 LE TRE GUERRE
GLI INCIDENTI FRANCO-ITALIANI.
I. IL
DEL CARTHAGE. L'arresto dei turchi sul Manhouba.
SEQUESTRO
Come furono fermati il Carthage ed il Manouba. Il comunicato uffi cioso italiano e i dubbi sulla qualità dei turchi a bordo. Un milione e cento mila lire. Il discorso Poincaré. L'impressione prodotta in Italia. - Dichiarazioni del nostro ambasciatore. Un articolo del Temps.
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La Francia reclama i prigionieri. L'esame dei prigionieri a Ca gliari. Documenti... ben confezionati. La soluzione. Il comunicato del Governo Italiano. Il comunicato del Governo Francese. Manife stazioni anti-italiane a Tunisi. -
--III.
II.. SITUAZIONE MUTATA. Per gli interessi di qualche armatore.
Il riserbo della nostra stampa Le dimostrazioni al corrispondente del Temps. Armi ed aiuti per i nostri nemici. Gli armatori di Marsiglia. Lo spirito pubblico in Francia. Sintomi di resipiscenza. Un'opera zione di cateratte. Chi può fidarsi? Le nostre relazioni con la Fran cia. Intonazione diversa. La politica del sentimento. Contro Ga ribaldi. generale. Alla vigilia del rinnovamento della Triplice. Le parole di un --
Il cas del Console. ufficiali. Troppi reclami. Le critiche di un console.
I CONSOLI DI FRANCIA. A Tripoli e a Rodi.
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La mehalla del Console Francese. I nostri ...e troppi arabi alla porta del Consolato.Il rapporto mandato alla Consulta.
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IL PIROSCAFO FRANCESE CARTHAGE CATTURATO DALLA REGIA NAVE AGORDAT NELLE ACQUE SARDE .
Emin bey , capo della Missione .
I 29 TURCHI DEL MANOUBA AL LAZZARETTO DI FRIOUL ( MARSIGLIA ) .
I.
IL SEQUESTRO DEL « CARTHAGE ». L'ARRESTO DEI TURCHI SUL « MANOUBA ».
Il 16 gennaio l'Agordat fermò il Carthage vapore francese che fa servizio regolare fra Marsiglia e Tu nisi, avendo avuto il nostro Governo notizia che aveva a bordo un aereoplano destinato all'esercito turco-arabo in Tripolitania. Il comandante dell'A gordat ordinò lo sbarco dell'aereoplano. In seguito al rifiuto del comandante il Carthage, il vapore fu sequestrato e condotto a Cagliari. L'incidente fu ri soluto, almeno per ciò che riguarda la messa in libertà della nave, quando si ebbero le assicurazioni che l'aereoplano non aveva quella destinazione.
Ma, appena esaurito questo primo incidente, ne sorse subito un altro più grave per il sequestro di un altro vapore francese : il Manouba. Ecco come avvenne secondo le notizie trasmesse da Cagliari :
Alle prime ore del 18 l'Agordat che stava in porto di guardia al transatlantico francese Carthage catturato il 16 corrente, riceveva un radiotelegramma che gli ordi nava di andare alla caccia di un piroscafo che partito da Marsiglia con contrabbando di guerra doveva rag giungere la Tunisia per rifornire le truppe turche com battenti in Tripolitania. La partenza dell'Agordat fu tanto improvvisa che non si curò di tirare su a bordo la lancia a vapore che si era recata con alcuni marinai nella vicina darsena. L'ordine pervenuto all'Agordat imponeva di correre
MANTEGAZZA Politica estera. - VII. 3
a tiraggio forzato e sorprendere il piroscafo contrab bandiere.
Erano le 10 del mattino, quando la nave italiana vide all'orizzonte un grosso piroscafo che dalle dense ed al tissime colonne di fumo che emetteva, lasciava capire di correre a tutta velocità. Immediatamente l'Agordat sforzando ancora la velocità gli fu addosso, constatando che era proprio il Manouba. Immediatamente una lancia con alcuni ufficiali si recò a bordo ed ingiunse al comandante di dirigere la prua su Cagliari.
I trentacinque ufficiali turchi, che tentavano di rag giungere le truppe turco-arabe, combattenti in Tripoli tania furono sbarcati il 20 nel pomeriggio e condotti alla Caserma dei Carabinieri.
Il 21 l'Agenzia Stefani inviava ai giornali il seguen te comunicato ufficioso :
La Compagnia di navigazione Mixte fa pubblicare dai giornali che i 29 turchi trovati sul piroscafo Manouba e sbarcati a Cagliari siano medici ed infermieri della Mezzaluna Rossa. Risulta invece::
1. Che i predetti turchi cercarono di partire da Mar siglia di nascosto, noleggiando un yacht privato per sbarcare inosservati in un punto deserto della costa tunisina o tripolina e che non poterono realizzare que sto disegno perchè il proprietario del yacht, quando seppe la loro qualità di ufficiali combattenti, rifiutò di noleggiarlo;
2. Che non consta abbiano fatto acquisto a Marsi glia od altrove di materiale chirurgico, mentre furono trovate presso di loro soltanto due piccole buste di stru menti chirurgici, pochissimi medicinali e nessun og getto di medicazione, il che fa seriamente dubitare che loro missione non fosse quella di recarsi ad esercitare l'arte salutare in luoghi dove moltissimi sono gli infermi ed il materiale di medicazione è assai scarso.
3. Che il dubbio sulla asserita loro qualità di me dici ed infermieri è avvalorata dalla circostanza che alcuni di essi si dichiararono contabili; che nei loro
34 GLI INCIDENTI FRANCO-ITALIANI
Il linguaggio della stampa francese
bagagli furono rinvenute carte di mero carattere mili tare e che erano in possesso, oltre di rilevanti somme, di una tratta per L. 1.100.000.
Ad ogni modo per accertare meglio la loro precisa qualità si sta eseguendo un'inchiesta affidata a persone di speciale competenza medica.
Si comprese subito dalla intonazione di una gran parte della stampa francese che invitava il Governo a protestare con energia, come l'incidente poteva as sumere un carattere doloroso per tutti coloro ai quali stanno a cuore le buone relazioni con la vi cina Repubblica. L'intemperanza di linguaggio di questa stampa ebbe un'eco penosa in Italia tanto più, che, si sapeva perfettamente come alla fron tiera tunisina fosse esercitato su larga scala il con trabbando d'armi e munizioni per i turco-arabi.
Il risentimento in Italia si fece più vivo ancora quando si lesse il discorso pronunziato dal Poin caré diventato in quei giorni Presidente del Con siglio e Ministro degli Esteri e che fece in tale qua lità il suo debutto con quel discorso. Dato l'eccita mento dell'opinione pubblica in Francia, dove i gior nali parlavano nientemeno che d'offesa all'onore na nazionale, il Poncaré non seppe resistere al desiderio di avere un facile successo oratorio, senza pensare che, con le sue parole, poteva come in fondo av mutare tutta una situazione politica alla quale, al di là e al di qua delle Alpi, si lavorava da tanti anni :
venne
IL DISCORSO POINCARÉ.
Rispondendo alle interrogazioni che riguardano gli incidenti con l'Italia per i due piroscafi francesi recanti contrabbando di guerra e catturati a Cagliari, il Poin caré premette una esposizione dei due incidenti rife rendosi alle note scambiate in proposito tra il Quai d'Orsay e la Consulta, e poscia così continua :
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Benchè gli incresciosi incidenti sui quali mi s'inter roga non siano ancora definitivamente risolti e benchè siano impegnati negoziati per ottenere nel più breve termine una equa soluzione, il Governo di fronte al l'emozione che si è impadronita del Parlamento e del Paese, ha creduto di non ritardare di un sol giorno le spiegazioni che gli sono chieste. (Applausi).
Poincaré dice poi che il Carthage corriere postale regolare tra Marsiglia e Tunisi venne fermato presso Ca gliari. Il Governo italiano esigeva lo sbarco dell'areo plano. In seguito al rifiuto di sbarcarlo, la nave venne sequestata. Il Governo francese interessò l'Incaricato di affari a Roma di chiedere che si togliesse il seque stro e di fare riserve pei danni subiti. Il Governo ita liano chiese al Governo francese di dargli la certezza che l'aviatore Duval non avrebbe passata la frontiera col suo apparecchio e di dargli l'assicurazione che l'apparecchio sarebbe stato sorvegliato.
Poincaré prosegue : Io non credetti che il Governo francese dovesse assumersi impegno di questo genere. Ma il padre dell'aviatore Duval venne al Ministero per dichiarare che mai suo figlio aveva avuto la intenzione di mettere il suo areoplano al servizio di una nazione straniera. La promessa spontanea del nostro compa triota indusse l'Italia a togliere il sequestro del Car thage.
Poincaré, esaminando la questione di diritto, sostie ne che l'areoplano costituendo soltanto un oggetto di contrabbando relativo, non poteva essere sequestrato nel tragitto da un porto neutro ad un porto neutro. Il presidente del Consiglio cita gli articoli della Con venzione dell'Aja e della Convenzione di Londra fir mata sotto riserva dall'Italia, a sostegno della sua tesi. (Applausi).
Inoltre il Carthage era una nave postale e secondo l'articolo 22 della Convenzione dell'Aja esso non poteva essere sequestrato che con cautela.
Poincaré prosegue : Esiste infine tra l'Italia e la Francia l'accordo amministrativo del 18 novembre 1875 che regola la situazione dei piroscafi postali dei due paesi. Dunque da qualunque punto di vista ci si ponga le autorità italiane sembra abbiano commesso un er
36 GLI INCIDENTI FRANCO-ITALIANI
rore in danno dei diritti e degli interessi francesi. (Applausi). Ho letto nei giornali che si rimprovera al mio predecessore di avere lasciato senza risposta una domanda del Governo italiano circa gli aeroplani de stinati ai turchi. Questo rimprovero non è fondato.
Poincaré legge una lettera diretta da De Selves nel dicembre scorso all'ambasciatore d'Italia nella quale fa conoscere il parere dei consulenti giuridici del Mi nistero degli esteri, e ne deduceva che il Governo fran cese, qualunque fosse il suo desiderio di fare cosa grata all'Italia, non poteva creare precedenti vietando il transito degli aeroplani e delle armi sul suo territo rio. Una potenza non è tenuta ad impedire il transito di armi e munizioni ed io non posso che confermare questa tesi. Il punto di vista francese rimane cggi quale era ieri. (Applausi).
E passo al secondo incidente. Il 5 gennaio scorso l'ambasciatore di Turchia a Parigi informava il mio predecessore che una missione della Mezzaluna Rossa composta di 28 medici e militi infermieri sollecitava il passaggio per Sfax. Il Governo francese conforme mente alle convenzioni internazionali, e dato il carat tere umanitario della missione, avvertì la Residenza di Tunisi raccomandandole soltanto di verificare con cura l'identità dei membri della missione.
Il 17 gennaio scorso l'ambasciatore d'Italia mi chiese di non lasciare passare in gruppo coloro che egli con siderava come soldati turchi. Io presi l'impegno che la Francia avrebbe osservato le regole della neutralità come sempre le ha osservate e che il nostro Residente non avrebbe lasciato passare la frontiera ad un gruppo che per ipotesi si componesse di ufficiali turchi.
Questa dichiarazione mi sembrò tale da prevenire ogni sequestro ed anche ogni visita. Il giorno stesso telegrafai a Tunisi perchè fosse verificata l'identità dei membri della missione. Però prima, senza dubbio, che l'ambasciatore d'Italia avesse potuto telegrafare al suo Governo le dichiarazioni della cui lealtà egli non poteva dubitare (Applausi) si verificò una spiacevole iniziativa.
Il Ministro ricorda il sequestro del Manouba e ag giunge:
Il discorso Poincaré 37
Io telegrafai contemporaneamente a Roma ed a Cagliari di non consegnare i passeggeri turchi. Il te legramma cifrato diretto a Cagliari mi fu ritornato come indecifrabile perchè venisse ripetuto.
Il nostro incaricato d'affari non era stato messo al corrente delle pratiche fatte dall'ambasciatore d'Italia a Parigi e per evitare gravi difficoltà egli credette di dovere invitare il nostro console a Cagliari a confor marsi a questo articolo.
L'ambasciata ottomana però sostenne che i passeg geri appartenevano alla Mezzaluna Rossa; la loro qua lità li rendeva intangibili; le carte di questi passeggeri fino a prova contraria facevano fede; sia pel diritto delle genti, sia pel diritto civile la Francia non po trebbe consegnarli. (Applausi).
E anche adesso ci incombe il dovere di identificare i passeggeri. Soltanto la consegna nelle nostre mani delle persone arrestate potrebbe permetterci di com pirla.
Io feci fare immediatamente un passo in questo senso con piena fiducia che il Governo italiano riconoscerà come noi la necessità di dare a questi due incidenti una soluzione conforme alla giustizia e impedire che essi si rinnovino. (Applausi) Il Governo reale volle darci a questo riguardo una prima assicurazione. Esso ha fatto notare al nostro incaricato di affari che l'Italia non poteva rinunciare esclusivamente in favore della Francia all'esercizio del diritto di visita ed ha aggiunto spontaneamente che deplorava vivamente che questa sorveglianza abbia causato un danno alle due navi francesi e che era disposta a esaminare le questioni giuridiche e le altre sollevate dall'incidente: soggiun gendo che la Marina italiana nello esercizio della sua missione avrebbe avuto tutti i riguardi dovuti da una nazione amica ed una nazione amica.
Esso aggiunge che il Governo francese dovrebbe ben riconoscere la penosa necessità per l'Italia di esercitare il diritto di visita ed espresse la speranza che l'opinione pubblica francese apprezzerà come si conviene gli in cidenti che derivano dallo stato di guerra e che non devono in nulla colpire le relazioni amichevoli fra la Francia e l'Italia. In questa cordiale dichiarazione,vede
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del nostro Ambasciatore
il pegno di una prossima soluzione. Non dubita che dopo la consegna dei passeggeri turchi questa solu zione possa intervenire direttamente con una amiche vole conversazione tra i due Governi. (Applausi).
Se per avventura rimanesse qualche punto litigioso, la Convenzione del 1903 tra la Francia e l'Italia rinno vata nel 1904 e nel 1908 offrirebbe il mezzo di regolarlo amichevolmente. Questi due incidenti per quanto siano incresciosi non potrebbero turbare le amichevoli rela zioni tra i due paesi, che riposano sulla comunanza dei ricordi, sull'affinità di razza e sulla solidarietà di mol tissimi essenziali interessi. Una nube che passa non oscurerà l'orizzonte. (Vivi generali applausi)
Gli applausi continui con i quali la Camera fran cese sottolineò alcuni punti del discorso del Presi dente del Consiglio produssero, come dicevo, una penosissima impressione in Italia. In sostanza Poin caré, disse che gl'incidenti sarebbero stati risoluti amichevolmente, dopo la restituzione dei prigionieri turchi da parte dell'Italia.
E questo fu - malgrado la frase della nube pas seggiera un contegno tutt'altro che amichevole verso il nostro paese.
LE DICHIARAZIONI DEL NOSTRO AMBASCIATORE.
Per quanto riguarda poi la parte rappresentata dall'ambasciatore d'Italia nei negoziati che hanno preceduto gli avvenimenti ecco quanto disse l'o norevole Tittoni a un corrispondente :
« Mercoledì scorso il console di Marsiglia informava contemporaneamente me ed il Governo di Roma del l'imbarco di 29 turchi per la Tunisia. Il Governo di Roma dette ordini alla squadriglia di torpediniere nelle acque sarde.
Mi recai da Poincaré, il quale mi promise di fare arrestare i 29 turchi in Tunisia e sottoporli ad un esame per accertare se fossero veramente medici ed infer
Dichiarazioni
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mieri. In caso affermativo, essi sarebbero stati liberi di proseguire per la Tripolitania. In caso negativo, la Francia li avrebbe ricondotti nel territorio della Re pubblica, lasciandoli liberi di andare per i fatti propri.
Ciò, nonostante le mie insistenze perchè fossero in vece considerati come prigionieri di guerra. Questo l'ac cordo.
Come si vede, durante le trattative, io non rinunziai neanche lontanamente al diritto di cattura.
Telegrafai subito a Roma, ma il telegramma arrivò mercoledì sera e fu decifrato giovedì mattina. Il Go verno lo ribattè subito a Cagliari; ma quando il tele gramma arrivò, il Manouba era già catturato.
Ora ci si domanda di rilasciare i turchi. E perchè? Ho detto che io non rinunziai al diritto di cattura, e non vi rinunziai col pensiero che l'affidamento datomi dal Governo francese dovesse essere come un rimedio subordinato, nel caso in cui il rimedio principale, ossia la cattura, fosse stata impossibile.
Perchè dovremmo dunque rinunziare, oggi, al diritto cui non avremmo rinunziato ieri?
Questo dissidio si comporrà. Noi siamo disposti a fare il sacrificio di comparire dinanzi alla Corte dell'Aja mentre avremmo il diritto di far liquidare questa pen denza franco-italiana dal nostro tribunale delle prede. Io spero che la Francia prenda atto della nostra buona volontà e venga a più miti consigli ».
L'Italia propose allora di deferire ogni cosa al Tri bunale dell'Aja, che sarebbe stata la soluzione più equa e più semplice : ma, la Francia, il Governo vo leva un successo che gli acquistasse popolarità. E il successo doveva essere la consegna dei prigionieri.
Il Temps, annunziando che il Governo italiano ha proposto di sottoporre tutte le questioni al Tribu nale dell'Aja, osservò che, in altri termini, l'Italia rinunziava alla competenza nazionale della Corte. delle prede per affidare la giurisdizione dell'inciden te ad una Corte internazionale.
« Certo scrisse il Temps - è questo un procedi
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La nota del Temps e l'informazione del Matin 41 mento amichevole, che noi ci affrettiamo a registra re con compiacenza. Non sembra però che esso ri sponda alle esigenze della situazione. Infatti la car cerazione dei passeggeri avrebbe dovuto essere im pedita dalla conversazione di venerdì scorso tra l'o norevole Poincaré e l'ambasciatore Tittoni.
<< Non rimane che l'impressione penosa che vi si annette dalla Francia. Alla Francia doveva essere affidata l'inchiesta sulla identità di quei passeggeri : tocca alla Francia oggi assumerne la custodia fin chè tale identità non sia stabilita.
« La questione di sapere chi siano i passeggeri può essere affidata, se si vuole, ad una Commissione in ternazionale di inchiesta; ma finchè questa Commis sione non avrà deciso è equo e necessario, lo ripe tiamo con insistenza, che i passeggeri tutti siano consegnati dalle autorità italiane a quelle francesi. La consegna preciserà il senso amichevole dell'arbi trato proposto e libererà da una nube deplorevole l'orizzonte dei rapporti franco-italiani ».
A sua volta il Matin pubblicò, dicendo di avere assunto la informazione da fonte più autorevole, questa nota:
« Durante la giornata di ieri è stato fatto un passo verso l'accordo: il Governo italiano ha proposto al l'Incaricato d'affari di Francia a Roma di sottoporre all'arbitrato della Corte dell'Aja tutti gli incidenti relativi al Carthage ed al Manouba. Quest'offerta ri vela un ottimo desiderio di conciliazione, ma essa non è accettabile nella sua forma e non è stata ac cettata.
<< Nella serata il Governo francese ha fatto chiedere al Governo italiano che i 29 passeggeri turchi ve nissero ricondotti a Tunisi od a Tolone o Marsiglia; verrebbe quindi fatta un'inchiesta sulla loro identità raccogliendo tutte le testimonianze italiane e turche e, se proprio i passeggeri risultassero dei combat
tenti, essi non sarebbero autorizzati a continuare il loro viaggio.
Il Governo francese a queste condizioni si di chiara pronto a sottoporre tutti gli altri punti del litigio all'arbitrato dell'Aja; nel caso però che l'I talia non accettasse tali condizioni, il Governo della Repubblica è deciso a sostenere senza debolezze il proprio diritto. »
Il corrispondente romano del Matin, a sua volta, mandò la seguente informazione : << Non sembra che il Governo italiano abbia in tenzione di rifiutare la restituzione dei passeggeri turchi, dopo che l'on. Poincaré ha manifestato così nettamente il desiderio della Francia,
« Si pensa infatti che la questione , non meriti il turbamento dei rapporti franco-italiani, tanto più che si è convinti che la consegna permetterà all'au torità francese di formarsi la stessa convinzione che si sono formate le autorità italiane circa la condi zione di belligeranti dei passeggeri ».
Intanto, a Cagliari, una Commissione speciale composta dell'ispettore della Sanità pubblica com mendator Ravicini e di due professori della Facoltà di medicina dell'Università di Cagliari procedeva all'interrogatorio e all'esame dei ventinove prigio nieri turchi per assodare se erano effettivamente o no medici ed infermieri.
Anzitutto fu riscontrato che i turchi viaggiavano con le carte in regola, e cioè muniti di documenti.... ben preparati e confezionati, attestanti la loro qua lità di membri della Mezzaluna rossa. I connotati dei turchi corrispondevano esattamente a quelli in dicati nei documenti.
Il capo della missione turca, Mehemed Ermin, interrogato intorno al fatto ch'egli recava con sè una lettera di credito per un milione centomila lire su una banca di Sfax (Tunisia) disse trattarsi di
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fondi della Mezzaluna rossa, destinati ad organiz zare carovane, a comperare in Tunisia materiale di medicazione, ecc. ecc. Per un simile scopo una somma così ingente parve davvero eccessiva. Fu rono trovate alla missione anche delle carte topo grafiche dello stato maggiore turco, ma Mehemed Ermin disse che la missione aveva dovuto munirse ne per poter fare il viaggio dalla frontiera tunisina. al campo turco in Tripolitania.
La Commissione sanitaria procedette quindi al l'esame dei turchi, i quali vi si prestarono volen tieri. Parecchi di essi parlavano correttamente il francese. Da tale esame pratico risultò che vi erano nella commissione alcuni che potevano dirsi infer mieri e anche medici, ma risultò del pari, che pa recchi dei turchi non avevano alcuna nozione nem meno elementare di medicina. Vero è che alcuni di chiararono di essere commissari, cioè addetti alla parte amministrativa e non sanitaria della missione.
Le trattative per risolvere l'incidente durarono qualche giorno fra un continuo scambio di note e visite di Barrère alla Consulta e di Tittoni al Quai d'Orsay. Anche quando il Governo Italiano si mo strò disposto a cedere, si sollevarono ancora delle obiezioni di forma; e il linguaggio della stampa francese anzichè diventare più calmo si fece più aggressivo. Non bastava vincere : bisognava stra vincere. Qualche giornale arrivò fino a dire che anche l'Italia doveva avere la sua Fachoda nella soluzione di codesto incidente!
IL COMUNICATO ITALIANO.
Nella notte del 27 al 28 gennaio l'Agenzia Ste fani faceva sapere quale era stata la soluzione data all'incidente col seguente comunicato : « Il ministro degli affari esteri d'Italia, e l'ambascia
Il comunicato italiano 43
tore di Francia, dopo di avere esaminato insieme nello spirito di massima cordialità le circostanze di fatto e di diritto che hanno preceduto e seguito l'arresto e la visita, da parte di un incrociatore italiano, di due piro scafi francesi recantisi da Marsiglia a Tunisi, sono stati lieti di constatare d'accordo, e prima di ogni altra considerazione, che non risulta in alcuno dei due Paesi una qualsiasi intenzione contraria ai sentimenti di sin cera e costante amicizia che li uniscono.
« Questa constatazione ha condotto senza difficoltà i due Governi a decidere:
1. Che le questioni derivanti dalla cattura e dal sequestro momentaneo del piroscafo Carthage saranno deferite all'esame della Corte di Arbitrato dell'Aja, in virtù della Convenzione d'arbitrato franco-italiana del 25 dicembre 1903, rinnovata il 24 dicembre 1908.
2. Che, per ciò che concerne il sequestro del piro scafo Manouba e dei passeggeri ottomani che vi erano imbarcati, questa operazione essendo stata effettuata, secondo il Governo italiano, in virtù dei diritti che esso dichiara derivargli dai principii generali del diritto internazionale e dall'art. 47 della Dichiarazione di Lon dra del 1909, le circostanze speciali nelle quali quella operazione è stata fatta, e le conseguenze che ne sca turiscono, saranno sottoposte ugualmente all'esame del l'alta giurisdizione internazionale istituita all'Aja; che, al fine di ristabilire lo statu quo ante in ciò che con cerne le persone dei passeggeri ottomani arrestati, que sti saranno consegnati al console di Francia a Cagliari per essere ricondotti a sue cure al loro luogo d'imbarco sotto la responsabilità del Governo francese, il quale prenderà i provvedimenti necessarii per impedire che i passeggeri ottomani non appartenenti alla Mezza luna Rossa, ma a corpi combattenti, si rechino da un porto francese in Tunisia o sul teatro delle operazioni militari ».
La stessa Agenzia Stefani qualche ora più tardi nella mattinata di domenica mandava ai giornali questo altro comunicato :
Il Consiglio di Gabinetto si è riunito questa sera ed
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Il comunicato del governo francese
è terminato alle 8.15. Nel ritirarsi i ministri hanno annunciato che l'incidente franco-italiano è risolto con soddisfazione dei due paesi.
IL COMUNICATO DEL GOVERNO FRANCESE.
Ecco il testo della nota comunicata alla stampa il giorno stesso dopo il Consiglio dei Ministri :
«Il Consiglio del Gabinetto riunitosi al Ministero de gli Esteri per occuparsi dell'incidente franco-italiano è terminato alle 21.
<<Il Presidente del Consiglio, Poincaré, ha fatto co noscere ai suoi colleghi che l'ambasciatore Barrère e il ministro Di San Giuliano si erano messi di accordo sui termini di una Nota, che sarà pubblicata contem poraneamente a Roma e a Parigi e che il Governo fran cese ha giudicata soddisfacente.
« L'on. Poincaré ha perciò telegrafato all'ambascia tore Barrère che ne accettava i termini. I prigionieri turchi saranno consegnati al console francese a Ca gliari, che li accompagnerà a bordo di una nave fran cese all'isola di Frioul davanti a Marsiglia, dove il Go verno francese farà procedere alla verifica della loro identità.
« Le questioni di principio e di diritto saranno ri solte dal tribunale dell'Aja ».
A Tunisi tanto l'arrivo del Carthage che quello del Manouba diedero occasione a rumorose manifesta zioni anti-italiane al grido di : Viva la Turchia, Ab basso l'Italia!!
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II.
SITUAZIONE MUTATA. PER GLI INTERESSI DI QUALCHE ARMATORE.
:
(Articolo pubblicato nel Berliner. Tageblatt).
A che potrebbe giovare il negarlo? Malgrado il grande riserbo che si è imposto la nostra stampa, la quale come se obbedisse a una parola d'ordine. evita di parlare delle nostre relazioni con la Francia, tutti sentono che, per il momento almeno, non sono più quelle di prima. Anzi è per l'appunto questo riserbo che mi pare assai significante. Non vi è sta to, come forse si poteva temere da principio, uno scoppio di indignazione per il modo col quale si è svolto ed è stato risoluto l'incidente del Manouba e dei prigionieri turchi, ma, il risentimento è rima sto e perdura.
La prima impressione provata in Italia per il di scorso Poincaré è stata una impressione di sorpresa : dirò meglio di stupore. Poi passato questo primo momento è stato con un sentimento di vero, di pro fondo dolore che abbiamo assistito alla levata di scudi della stampa francese contro di noi. E proprio all'indomani delle dimostrazioni entusiastiche fatte al corrispondente del Temps (1). Furono dimostra zioni eccessive. Quando si vide tutta l'Italia organiz zare così grandi manifestazioni per l'illustre e sim patico pubblicista, v'era da domandarsi che cosa si sarebbe potuto fare di più se si fosse trattato di ri
(1) Il signor Carrère corrispondente del Temps a Tripoli era stato ferito da un arabo fanatico, sicario dei Giovani Turchi, che vollero così punirlo per le sue corrispondenze piene di entusiasmo per il nostro paese. Al suo ritorno in Italia fu accolto con clamorose dimostrazioni, banchet ti, ecc.
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Durante la guerra con l'Abissinia
cevere un generale che ritornasse trionfatore dopo aver conquistato al suo Paese delle nuove provincie. Ma nessuno osò fare questa domanda. Era impossi bile mettersi contro corrente. Le manifestazioni a vevano oltrepassato la persona dello scrittore. Si applaudiva alla Francia, e, nel tempo stesso, si dava a quegli applausi un po il carattere di protesta contro l'atteggiamento tenuto da altri in quelle pri me fasi della nostra campagna africana. Fu l'apo teosi della rinnovata amicizia franco-italiana....
In questi ultimi anni, anche coloro che in altri tempi furono vivaci contro la politica seguita dalla Francia contro di noi, si erano a poco a poco con vertiti e avevano tutto dimenticato. Adesso, pur troppo, tutto si ricorda nuovamente. E dico pur troppo, perchè sono anch'io fra coloro che nella modesta sfera della loro azione hanno lavorato per chè tale riavvicinamento fra i due paesi diventasse sempre più intimo.
---
Adesso non si può a meno di ricordare come nelle due guerre nelle quali l'Italia si è trovata impegnata in quest'ultimo ventennio, sia stata sempre la Fran cia, avversaria od amica, che ha armato i nostri ne mici. Sono passate da Gibuti le armi, i cannoni, le munizioni e gli istruttori francesi per l'esercito di Menelik quando eravamo in guerra con l'Abissinia : la guerra fu anzi preparata dai consiglieri francesi che l'Imperatore aveva allora intorno a sè. A quin dici anni di distanza, e malgrado le proteste di entu siastica amicizia, è da Tunisi, quindi ancora dalla Francia, che passano armi, cannoni e munizioni destinate agli arabo-turchi della Tripolitania. Passano dalla Tunisia e sono caricati a Marsiglia. È la deputazione di Marsiglia e del Mezzogiorno che in nome degli interessi di un certo numero di armatori che fanno quattrini con questo traffico, si è imposta al Governo presieduto dal Poincaré. I gior
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- nali non tutti disinteressatamente - hanno come suol dirsi soffiato nel fuoco. La lingua francese ha una espressione, un verbo, intraducibile nella no stra: s'emballer. Stampa, governo, opinione pub blica si sono emballé. Han finito per credere o far credere fosse addirittura in giuoco la dignità della Francia, che italia avesse voluto di deliberato a nimo larie cosa sgradita e ofendere il suo amor proprio. Impossibile frenare, tanto più date le con uizioni dello spirito pubblico nella vicina Repub blica, dopo quella che essi chiamano la conquista del Marocco.
Giorni sono un nostro uomo politico avendo a vuto occasione d'incontrarsi con un uomo politico cese che fu parecchie volte al Governo, discor rendo della nostra azione in Tripolitania, sintetiz zava quanto ora ci accade con queste parole :
E accaduto all'Italia quello che succede spesso anche alle persone. Siamo andati credendo di tro vare una cosa, e ne abbiamo trovato un'altra : la coscienza nazionale.
E una bella frase, rispose sorridendo l'uomo politico francese. E, dopo un momento di riflessione aggiunse: è successo su per giù qualche cosa di si mile fra noi e la Germania.
lo non credo, con tutto ciò, esatto quello che que st'uomo politico nostro mi diceva, che, cioè lo stato di eccitazione dello spirito pubblico, in Francia che rammenta addirittura, secondo lui, quello prima del 70, sia oggi il più grande pericolo per la tranquil lità dell'Europa. In Francia sono facili a s'emballer. Ma sono anche facili a dimenticare. E, nelle alte sfere si manifesta già, invece, un certo revirement. Si sono accorti che il contegno tenuto in quella cir costanza dal Poincaré è stato un passo falso, e che è stata una grande leggerezza quella di compromet tere per un puntiglio, per un incidente del quale si
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LA BATTAGLIA NAVALE DI KUNFIDA. EFFETTI DEI PROIETTILI ESPLODENTI SULLE NAVI TURCHE.
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LA BATTAGLIA NAVALE DI KUNFIDA .
LA REGIA NAVE PIEMONTE RIMORCHIA A MASSAUA IL YACHT FAUVETTE .
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è così grandemente esagerato l'importanza, il lavoro paziente e quotidiano di dieci anni fatto dal Go verno, dalla stampa e dalla diplomazia della Re pubblica, e, specialmente dall'ambasciatore Barrère che adesso non può a meno di trovarsi in una si tuazione delle più imbarazzanti. Dopo dieci anni di questo lavoro inteso a staccare l'Italia dalla Triplice, è proprio alla vigilia della sua rinnovazione, con un colpo di testa è il Governo della Repubblica che dà in mano ai suoi fautori gli argomenti più forti e più convincenti per sostenerla. Dal punto di vista della Francia è una vera cecità.
Anche molti di coloro che da parecchi anni sono stati fra i più caldi fautori di un orientamento di verso per parte dell'Italia nelle sue relazioni con l'estero sono ora assai perplessi. Quando si vede un paese e un Governo, non esitare ad assumere un atteggiamento che può mutare, dall'oggi al domani, nientemeno che la situazione politica dell'Europa, per non impedire a pochi armatori di Marsiglia di guadagnare qualche decina di migliaia di lire di più; quando si vede un paese s'emballer, come diceva poco fa, in una campagna di stampa come quella di qualche settimana fa, come si può fare un assegna mento qualsiasi sulle dichiarazioni di amicizia?
A proposito delle relazioni dell'Italia con la Fran cia l'incidente del Manouba può essere per noi, con siderato... come una operazione delle cateratte. Ci ha aperto gli occhi. Si può essere dei convinti av versari della triplice fin che si vuole, ma non è possibile non riconoscere che sulla amicizia della Francia non vi è da fare grande assegnamento. Sono persuasissimo, ripeto, che in Francia dimen ticheranno questo, e si meraviglieranno forse che non vi sian più in Italia gli stessi entusiasmi... Ma pur desiderando sinceramente che riprendano le migliori relazioni fra le due nazioni è evidente che MANTEGAZZA. Politica estera. - VII. 4
L'operazione
delle caleratte...
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non possono più avere la stessa intonazione di pri ma, e che deve essere anche dall'Italia abbandonata la così detta politica del sentimento, onde non an dare incontro a nuove disillusioni. L'amicizia fra le nazioni decisamente pare debba essere poggiata su altre basi, se, da un momento all'altro, tuttociò che ha la sua base nel sentimento può essere distrutto per un incidente impreveduto; e se questa amicizia deve subire le ripercussioni di ciò che accade altro ve, dello stato d'animo dell'opinione pubblica creato da tali avvenimenti e delle esagerazioni di un na zionalismo irreflessivo che va fino ad offendere il sentimento patriottico e il sacro culto delle me morie nelle nazioni amiche. Dico questo avendo per l'appunto sott'occhi un giornale francese, l'Action, uno degli organi di que sto nazionalismo, nel quale si rende conto di una conferenza su Garibaldi tenuta giorni sono alla So cietà di geografia a Parigi dal generale Himbel, ap plaudita freneticamente da un pubblico composto per la metà da ufficiali. In questa conferenza su Ga ribaldi, di colui dice il giornale che fu una delle cause dei disastri del Corpo d'armata dell'Est il generale francese dopo aver tracciato il ritratto di Garibaldi che termina con queste parole: «<l'atti vità che aveva spiegato in varie circostanze non aveva potuto sopravvivere nè alla vecchiaia, nè alle. infermità, giusto castigo di una vita di avventure e di libertinaggio » chiuse la conferenza doman dando che si sfati nelle scuole la leggenda di Gari. baldi e dei volontari.
< « < Bisogna esclamò il generale che i nostri figli sappiano che nei periodi di crisi, questo nome di volontario che dovrebbe evocare lo spirito di sa crificio e di abnegazione, ha servito e potrà servire a mascherare il criminoso sfruttamento delle di sgrazie del paese da parte di bande di avventurieri,
50 GLI INCIDENTI FRANCÓ-ITALIANI
La Triplice e l'amicizia con la Francia
senza fede nè legge, senza freno nè scrupoli, ecc., ecc... ».
Pur troppo tali manifestazioni, dolorose, sopra tutto perchè l'oratore è un soldato e per l'ambien te militare nel quale avvengono, non sono preci samente quello che ci vorrebbe per poter ritornare alla affettuosa cordialità delle relazioni che vi era fino a poco tempo fa. Nè per farci dimenticare il danno che la condotta della Francia avrebbe potuto arrecarci, obbligando l'Italia, non solo a rimanere nella Triplice, ma ad accettarne tutte le condizioni senza discutere se il contegno del nostro esercito e della nostra marina, se la nostra organizzazione mi litare che è stata per l'Europa una rivelazione solo per il fatto di poter trasportare con tutti i servizi per fetti al di là del mare 100 mila uomini, non avesse dato alla nostra partecipazione a qualunque sistema di alleanza un valore, che, sia pure a torto, non si credeva prima potesse avere.
Mi avete chiesto la mia opinione sulla situazione diplomatica dell'Italia, dopo i recenti incidenti. L'ho detta francamente. V'è un dato di fatto che fautori ed avversari della Triplice non possono a meno di riconoscere, rallegrandosene o dolendosene, che cioè la Triplice ha guadagnato in popolarità tutto ciò che l'amicizia con la Francia ha perduto in cordialità.
51 .
III.
I CONSOLI DI FRANCIA A TRIPOLI E A RODI.
Mentre a Parigi, il governo e una parte della stampa dichiaravano chiuso l'incidente del Manouba e ripetevano la frase del Poincaré dicendo che era stata una nube oramai passata, alcuni giornali con tinuarono a mostrare la loro malevolenza, e non fu nemmeno correttissimo il contegno di alcuni funzio nari che rappresentano l'Italia all'estero. A questo proposito pubblicai sul Giornale d'Italia questa:
LETTERA APERTA A S. E. BARRÉRE.
Eccellenza,
-
So perfettamente, che, dal punto di vista strettamen te protocollare adopero anche in italiano questa pa rola ormai entrata nell'uso desiderando richiamare l'attenzione del Governo della Repubblica su cose che riguardano Tripoli, dovrei rivolgermi all'ambasciatore della Francia sulle rive del Bosforo dal quale, fino alla conclusione della pace, dipendono le autorità consolari francesi della Libia. Ma da altra parte, è sopratutto al l'Ambasciatore presso la nostra Corte che spetta il com pito di mantenere e rendere sempre più cordiali ed ami chevoli le relazioni fra la Repubblica e il nostro Paese. Epperò mi sembra logico e naturale rivolgermi a Lei tantopiù pensando alla sincerità, all'abilità, e al tatto col quale Ella ha consacrato la sua attività e il suo in gegno a tale nobile fine.
Ecco di che tratta:
A Tripoli, si capisce, che, fino alla conclusione della pace, le Potenze debbano, pel tramite dei loro rappre sentanti consolari, tenere un atteggiamento riservato. La neutralità che debbono serbare fra i due belligeran
52 GLI INCIDENTI FRANCO-ITALIANI
Barrère
ti, impedisce loro qualsiasi atto che possa avere il ca rattere di mettersi da una parte piuttosto che dall'al tra. E sta bene. È quindi naturale non possano, per esempio, considerare, ufficialmente, come già abolite le capitolazioni, e che i Consolati abbiano ancora i loro cavas.
Ma, anche in queste piccole cose che paiono di poca importanza, e ne hanno invece una grandissima ne' paesi orientali, vi è modo e modo di osservare la neu tralità e il riserbo che la eccezionalità delle circostanze impone. Ora, accade questo fatto curioso, che, mentre tutti gli altri consoli passeggiano per le vie di Tri poli facendosi accompagnare dal cavas, soltanto quan do vanno a fare delle visite in forma ufficiale, il con sole francese esce sempre preceduto dal cavas che in dossa il simpatico uniforme degli antichi turcos. Anche la famiglia, la sua gentile signora con le figliuole, e la nurse che spesso escono assieme, sono sempre prece dute dal cavas. Scherzosamente, quando si vede spun tare questa comitiva, si dice : ecco la mehalla del con sole francese. Si scherza. Ma in coloro cui stanno a cuore le buone relazioni fra i due paesi : fra gli ufficiali che, sebbene giovani, sanno la fraternità d'armi che ha esistito un tempo fra i due eserciti cementata sui campi di Lom bardia, tale contegno provoca un sentimento di stupore e di profonda tristezza.
Non ho bisogno di dire a Lei, signor Ambasciatore, che significato si attribuisca, e da una parte e dell'al tra, a codesto contegno, che, anche se non è, pare ad arte ostentato. Ella sa certamente meglio di me, come quel cavas, nei paesi orientali, precede il console per tutelarne la sicurezza personale che non si reputa ab bastanza garantita dalle autorità locali, e, che. moral mente, è l'emblema dei privilegi, delle garanzie, e di ciamo pure, della superiorità che le Potenze europee hanno nei paesi ottomani.
I nostri ufficiali sono troppo educati per permettersi la più piccola osservazione, epperò, per quanto questa continua dimostrazione, che, dagli arabi, viene inter pretata come una affermazione che la Libia è ancora terra ottomana, non possa tornare loro gradita, non vi
Lettera
aperta a S. E.
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è pericolo nasca il più piccolo incidente. Però, se si tien anche conto che, per cose di nessuna importanza, il Console francese è sempre lì al Comando a reclamare, che persino in una cosa da nulla, come quella dei sup porti per i fili della luce elettrica, che non ha voluto as solutamente sulla sua casa obbligando a un giro inutile, ha fatto formali e ripetute proteste al Comando, e della non buona impressione che fa anche quell'affollarsi di arabi al Consolato francese, è facile spiegarsi come si vada pian piano creando una situazione strana. E certamente non in correlazione con la politica dei due Governi e le rinnovate dichiarazioni di amicizia. Pare che l'eco delle feste Vinciane (1) e delle calde parole pronunziate in quella occasione da coloro che avevano veste ed autorità per parlare in nome dei loro Paesi, non sia ancora giunta nè a Tripoli, nè in qual che isola dell'Egeo.
Ebbene, io ncn credo di essermi rivolto indarno a Léi, signor Ambasciatore, al quale preme, come deve premere a tutti noi, che l'amicizia fra i due paesi si consolidi, e vengano al più presto dimenticati recenti incidenti che per un momento hanno potuto turbarla. Il mutamento nel contegno di un modesto console, in questo caso, può contribuirvi più di quello che a tutta prima si può credere.
E se, invece di approfittare della cortesia che Ella ebbe sempre per me e parlargliene personalmente, mi sono permesso di dirigerle questa lettera aperta su questo libero e tanto diffuso e stimato giornale, ciò è dovuto per l'appunto al fatto, che se tale mutamento avviene, dopo che il pubblico è stato informato di quan to ora accade, può avere conseguenze immediate, come una nuova prova di quei sentimenti di leale amicizia, della quale Ella, signor Ambasciatore, è così autore vole e gradito interprete nel nostro Paese, dove Ella sa di quanta simpatia e deferenza è circondato il Suo nome.
Voglia, signor Ambasciatore, gradire gli atti della mia più alta considerazione.
(1) Discorso dell'on. Tittoni e di uomini politici francesi inneggianti all'amicizia fraterna delle due Nazioni,
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Anche il console di Rodi!
E qualche giorno dopo pubblicai ancora sul Gior nale d'Italia questa seconda lettera :
ANCHE IL CONSOLE DI RODI!
Carissimo Direttore,
Per quanto sia assolutamente convinto che l'Amba sciatore di Francia a Roma, al quale mi rivolgeva l'altro giorno segnalandogli l'atteggiamento non certa mente gentile del Console della Repubblica, abbia richia mato l'attenzione del suo Governo sulla situazione pe nosa che tale atteggiamento ha creato, sono costretto a ritornare sull'argomento.
La cosa è più grave di quello che possa sembrare a tutta prima, quando si pensa che, su per giù, fa lo stesso un collega del console francese di Tripoli, in altra terra ora occupata dalle armi italiane : a Rodi. Fa lo stesso... o peggio. Ho detto l'altro giorno che i nostri ufficiali sono trop po educati per provocare il più piccolo incidente, quan do vedono passeggiare per le vie di Tripoli il console francese, o magari tutta la sua numerosa famiglia pre ceduta dal cavas, come se Tripoli fosse ancora terra ottomana, mentre tutti gli altri consoli, pur rispettando la neutralità, ne fanno a meno, e lo prendono con loro soltanto quando vanno a far visite ufficiali. Si limitano a cercare di evitare un incontro poco gradito, non dis simulando però, tutte le volte che ne dispone, di mani festare la loro impressione triste e dolorosa per tale contegno.
L'incidente non c'è stato, e non vi sarà certamente, come ho detto, per l'educazione e la prudenza dei no stri ufficiali. Ma, purchè le cose, ben inteso, non va dano al di là di un certo limite. Dico questo perchè, sotto certi aspetti, quello che avviene a Rodi, è ancora più grave. A Rodi il console francese pare si sia per messo, oltre a tutto, di dire cose poco gentili all'indi rizzo del generale Ameglio, in modo da provocare lo spiegabile e giusto risentimento di qualche ufficiale pre sente, che, per prudenza, non reagì e non rispose viva mente come avrebbe desiderato, e si limitò ad allonta
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e
narsi in segno di protesta. Credo che di questo inci dente sia stata ufficialmente informata la Consulta, non rivelo davvero segreti di Stato, portando la cosa in pubblico, dal momento, che, salvo errore, sono a Roma persone che hanno sentito con le loro orecchie le parole poco gentili del console e che, insieme ad altre, hanno dato la loro testimonianza.
Si direbbe che le autorità francesi nelle terre da noi occupate, obbediscano a una parola d'ordine, serbando un contegno ostile, così in contrasto coi sentimenti del loro Governo che, recentemente parlava con tanto en tusiasmo dell'amicizia delle due nazioni sorelle. Tanto più strano appare tale contrasto, quando si pensa che è proprio con la Francia, che l'Italia ha concluso il primo accordo, per la eventuale occupazione della Tri politania; che a tale occupazione, la quale pare così poco gradita alle sue autorità consolari, ci incoraggiò fino da parecchi anni or sono, con le parole che il Del cassé disse in una celebre intervista e che sono come il punto di partenza della storia diplomatica della recente occupazione.
Non mi pare quindi possa esservi dubbio alcuno sulle istruzioni date dal Governo di Parigi alle autorità con solari della Repubblica, tanto in Libia che nell'Egeo. Epperò è evidente che tanto a Tripoli come a Rodi, agiscono di testa loro, lasciandosi forse guidare da sen timenti e simpatie personali, e in assoluta contraddi zione con quelli del loro Governo. Se, come si dice in Francia, les petits cadeaux entretiennent l'amitié, non è meno vero che i piccoli dispetti, le piccole scortesie provocano talvolta i più vivi risentimenti, e che, nell'in teresse delle buone relazioni fra i due paesi, dobbiamo desiderare e far di tutto perchè tali inconvenienti ven gano al più presto eliminati.
56 GLI INCIDENTI FRANCO-ITALIANI
NELL'EGEO.
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I
c'ale degli stretti. Rodano. indietro.
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II. DINANZI A BEIRUT.
I DardaLa nelli e il Bosforo. tomba del cane.
La flotta russa del Mar Nero. La questione degli stretti. L'antico Ellesponto. Il castello d'Europa. Galata genovese. Il valore strategico e commer La flotta della Lega Cristiana. Le galere del Il primo disastro navale dei turchi. Le squadre di Cate rina II. Venuta da Cronstadt. Una nave francese fermata. I Dar danelli forzati da navi inglesi. Gli ambasciatori di quell'epoca. Dal ponte della nave ammiraglia. La flotta inglese costretta a ritornare Navi malconcie.
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III. -
DARDANELLI I. Le flotte che li hanno passati. -
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L'ISOLA TRAGICA.
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Dopo la distruzione delle due navi turche a Beirut. Stampa ostile. La pianura di Filippi. Nuovi tentativi delle Potenze per la pace. Cavalla. Il porto della Bulgaria. La Bulgaria e l'Egeo. Le Po tenze e lo statu quo. La Russia. Cipro. L'Inghilterra ancora alleata della Turchia. Un curioso trattato. La Santa Alleanza.... è ancora in visore. Il malumore nell'isola di Venere. I cipriotti e l'Alto Commissario Britannico. Una protesta dei deputati di Cipro. -
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Un Chios. La villeggiatura di Smirne. Popolazione decimata. terribile terremoto. La pietra d'Omero. Le Orientales di Victor Hugo. Quattro date terribili. Vederla da lontano! La patria dei fiori. Ch'os nella poesia. I Giustiniani di Genova principi di Chios. I Gatteluggio duchi di Lesbo. Una compagnia a chartered. Con tro gli ortodossi. Evviva i Giustiniani! L'arrivo dei Turchi. Dic'otto Giustiniani suppliziati. Ventimila persone trucidate. testa del francese. Come a Messina! La-
L'AVVENIRE E SUL MARE. L'Europa e l'Asia nell'Egeo.
Le Gli armamenti navali. La marina nelle ultime grandi guerre. guerre fatali. Tra Stati Uniti e Giappone. Tra Germania e Inghil terra. La vergine casta e pura. La flotta russa. L'importanza dell'Egeo. Come la Lombardia e il Belgio. Navi mercantili e navi da guerra. Attraverso l'Egeo. Il grande macedone. La ferrovia di Bagdad. Le ripercussioni lontane. Il continente africano. I tre arcipelaghi. Il concetto moderno della guerra. Gli eserciti com battono dopo. -
V. LA SORTE DELLE ISOLE. Rodi e la tomba di Maometto II. ---
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I primi combattimenti a Rodi. La Turchia e la perdita delle isole. Indifferenza ostentata. Una epigrafe! Creta greca vuol dire Tripoli italiana. La capitolazione del Morosini. - Creta isola africana. L'El lenismo. Le dodici isole. Le Sporadi del Sud. I privilegi dei quali han sempre goduto. I Giovani Turchi non vogliono rispettarle. Che cosa farà l'Italia? Non può abbandonarle senza serie garanzie. La nostra band era simbolo di civiltà. Chio e Mitilene.
IV. -
I.
I DARDANELLI. LE FLOTTE CHE LI HANNO PASSATI.
Non si sa che cosa vi possa essere di vero nella no tizia riprodotta da quasi tutta la stampa europea che attribuisce alla Russia l'intenzione di far passare il Bosforo alla sua flotta del Mar Nero, appena le navi italiane si presentassero all'entrata dei Dardanelli. L'altra notizia che ha messo il campo a rumore è stata quella della Neue Freie Presse relativa a un passo che sarebbe stato fatto dall'Inghilterra per li mitare l'azione dell'Italia a proposito dei Dardanelli. Come al solito, quando la Turchia si trova impegna ta in una guerra, viene posta sul tappeto la questio ne degli stretti che ha sempre interessato vivamente l'Europa e in modo particolare la Russia : il va stissimo impero sempre in cerca del mare libero; dell'acqua calda, come diceva Pietro il Grande pen sando a tutti i suoi porti inutilizzati per il gelo in alcuni mesi dell'inverno. Oggi poi la questione del passaggio, e quindi della possibilità che la flotta russa del Mar Nero faccia la sua comparsa nel Me diterraneo, ha un'enorme importanza perchè da questa apparizione può essere turbato, a vantaggio di queste o quelle Potenze, l'equilibrio delle forze navali.
Gli stretti dei quali si è tante volte occupata la di plomazia, e per i quali sono state stipulate numero se convenzioni tra gli Stati europei' sono due : quel lo dei Dardanelli che mette dall'Egeo nel Mare di Marmara, e il Bosforo, che dal Mare di Marmara mette nel Mar Nero,
Quando si va a Costantinopoli per mare, qualche ora dopo essere passati dinanzi alle coste di Miti lene, l'antica Lesbo, si entra nell'Ellesponto, che è l'antico nome dello stretto chiamato oggi dei Dar danelli dai due castelli che, a loro volta, han preso questo nome dall'antica città greca di Dardano. Ha la lunghezza di circa 70 chilometri e la larghezza di un chilometro e mezzo circa nel punto più stret to, dove sorgono per l'appunto i due castelli. Il castello d'Europa che i turchi chiamano Kelid ul-Bahr, cioè la Chiave del Mare, con la sua vecchia torre e le sue fortificazioni sorte sulla punta dinanzi alla quale fu combattuta la grande battaglia navale fra ateniesi e spartani che pose fine alla guerra del Peloponneso, vi avverte che il turco è là a montare la guardia a Costantinopoli, e non si può a meno di pensare alla parte importante che ebbe nella storia di tutti i tempi questo passaggio da un mare all'al tro. E attraverso questo passaggio che, naturalmen te nel punto dove le due sponde sono più vicine, passò dall'Asia in Europa su un grande ponte di barche l'esercito di Serse. Molti secoli dopo è an cora attraverso quello stretto che i turchi sbarcando a Gallipoli fanno la loro apparizione in Europa! Nei ricordi dei grandi fatti avvenuti in quel brac cio di mare e sulle sue sponde la storia si confonde con la leggenda, a incominciare da quella che ha dato il suo nome antico alla punta ove sorge il Ca stello d'Europa che si chiamò un tempo La tom-. ba del cane, perchè ivi la Regina Ecuba era stata trasformata in una cagna fino a quella commo vente e gentile di Ero e Leandro. Byron volle, a tanti secoli di distanza, rinnovare la gesta dell'infe lice amante della leggenda, e senza avere per guida il fanale che la bella Ero accendeva sulla costa d'Eu ropa, quando il suo innamorato traversava ogni not te l'Ellesponto a nuoto malgrado i venti e le tem
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peste, passò, a nuoto egli pure, dall'Asia in Europa. Il grande poeta non fu però entusiasta di quella tra versata compiuta in un'ora e dieci minuti, poichè arrivò estenuato e con la febbre.
Quasi di fronte al Castello d'Europa, alla foce di un piccolo fiume, sorge il Castello d'Asia, che itur chi chiamano Sultanié-Kaleff o Boghas Hissar. È un castello di proporzioni abbastanza grandi con batterie moderne, che recentemente sono state rin forzate. A fianco del castello sorge il borgo dei Dar danelli, che ha l'aria di una piccola e strana città turca coi suoi minareti, le sue case multicolori e le case dei consoli sulle quali sventolano in perma nenza le bandiere delle varie nazioni. Incomincia lì quel carattere turco internazionale dei porti otto mani che hanno, ben inteso in proporzioni assai maggiori, Salonicco, Smirne e Costantinopoli. Tutte le navi che vogliono passare lo stretto debbono fer marsi lì, per ottenere quello che noi chiamiamo la libera pratica nelle acque ottomane e che, nel lin guaggio ordinario in Turchia, si chiama il firmano : cioè l'autorizzazione sovrana.
La geografia con questo stretto ha dato degli enor mi vantaggi all'Impero ottomano, poichè astraendo da tutto quanto può essere stabilito dai trattati o dal le convenzioni, è sempre una operazione militare importante e che ha grandi rischi il forzare lo stret to, mentre i turchi possono dare libero passaggio alle flotte dei loro alleati per la propria difesa quan do sono attaccati per terra. Così accadde nel 1877 quando gli eserciti trionfanti della Russia la se colare nemica erano accampati alle porte di Co stantinopoli e pareva che da un momento all'altro. dovessero dare l'assalto. Le navi britanniche anda rono a gettare l'ancora all'isola di Prinkipo nel mar di Marmara, per essere poi pronte ad intervenire. Molti anni prima, all'epoca della guerra di Cri
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I due
Castelli
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mea, vi passarono le navi delle Potenze alleate per proteggere i trasporti che portarono in Crimea i sol dati che dovevano, con l'assedio di Sebastopoli, im porre la pace allo Zar. Lo stretto dei Dardanelli ha tanto maggiore importanza per il fatto che, una volta oltrepassato, le navi hanno sotto il loro tiro la capitale, e se la capitale è per qualunque paese il punto vulnerabile, lo è più che mai per un paese organizzato come l'impero ottomano nel quale il Sovrano è anche il capo religioso, non solamente dell'Impero, ma di tutto il mondo musulmano. Ma l'importanza sua era già grandissima dal pun to di vista commerciale e strategico anche prima che i turchi si insediassero nell'antica Bisanzio, e quan do l'antico Impero Latino era ridotto alla sola capi tale. Per questo i genovesi, che fino a poche decine d'anni fa avevano ancora, se non il monopolio addi rittura, una grande preponderanza nel commercio del mar Nero, avevano preso posizione a Galata, una vera città genovese in Oriente con le sue tor ri e i suoi bastioni e un podestà, ben inteso ge novese, che aveva un posto speciale alla Corte bi zantina e giurisdizione sui suoi connazionali. Era un po' quello che adesso si chiamerebbe un settle ment come quelli delle Potenze Europee in Cina.
Per i turchi, che già avevano messo piede in Eu ropa, era la difesa della loro flotta che, dopo avere attaccato le navi nemiche, si rifugiava nel mar di Marmara la Propontide degli antichi. La prima flotta europea che forzò i Dardanelli fu quella della Lega Cristiana formatasi sotto l'impulso di un papa più che ottuagenario : Giovanni XXII, che da Avigno ne predicò questa nuova crociata, e incominciò dal dare l'esempio facendo partire per l'Oriente le galere. del Rodano. Le navi di Venezia, di Cipro, di Rodi e quelle di Francia mandate da Filippo di Valois nel la primavera del 1334, si riunirono a Negroponte.
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Rappresentavano una forza di 38 galere con trenta. trasporti. Appena avvenuta la loro riunione pensa rono di partire subito approfittando del vento per andare a colpire la flotta del Sultano Crkran che mi nacciosa incrociava dinnanzi a Costantinopoli. Il vento favorevole permise loro di passare rapida mente lo stretto e di piombare sulla flotta nemica che fu distrutta. Fu il primo gran disastro navale subìto dai turchi, che nel corso dei secoli han ve duto più volte la distruzione delle loro flotte: a Le panto, a Tschesmè, a Navarino, e a Sinope nel Mar Nero, con quell'azione improvvisa della Russia che rammenta un po l'attacco dei giapponesi a Port Arthur e che doveva rendere inevitabile a breve di stanza di tempo la guerra di Crimea.
Nella prima metà del secolo decimottavo sono le na vi di Caterina II che, divise in tre squadre, partite da Cronstadt, a breve distanza di tempo una dall'al tra, dopo una traversata così lunga e pericolosa per i cattivi tempi, vengono a porre il blocco all'entrata dei Dardanelli. L'ammiraglio Elphinston - un in glese al servizio della Russia - dopo il disastro in flitto alla flotta turca nella baia di Tschesmè voleva assolutamente si forzassero i Dardanelli e presen tarsi dinanzi a Costantinopoli : unico modo per im porre la pace. Il conte Orloff che aveva la responsa bilità di tutte le operazioni della guerra verso la sua Sovrana, vi si oppose. Con la navigazione a vela era naturalmente un rischio ancora maggiore il pas sare sotto le fortificazioni. Il programma dell'Impe ratrice era invece quello di tagliare tutte le comuni cazioni di Costantinopoli coll'Arcipelago : impedire il trasporto dei viveri, rendere la vita impossibile a Costantinopoli, affamare la popolazione che, provo cando la rivoluzione, avrebbe costretto la Porta a trattare. Furono invece le vittorie dell'esercito a Sciumla e a Vanda che parecchio tempo dopo de
Le navi di Caterina
11.
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cisero la Turchia a sottoscrivere la pace... Curioso il rilevare che anche allora per quel. blocco vi fu un grosso incidente per una nave francese che i russi fermarono per sospetto di contrabbando facendo prigionieri una trentina di turchi che erano a bordo! Questo incidente dell'arresto della nave francese che trasportava dei viveri ha poi un'importanza storica, perchè è stato un po' come il punto di partenza del la discussione relativa a una grossa questione del diritto internazionale marittimo : se cioè i viveri debbano o no essere considerati come contrabban do di guerra.
I Dardanelli furono invece forzati dalle navi in glesi al principio del secolo scorso per andare a im porre alla Turchia, questa volta, più che la pace, la rottura dell'alleanza con la Francia, che il generale Sebastiani inviato straordinario di Napoleone I pres so il Sultano aveva trattato col Sultano Selim III. Le istruzioni del Sebastiani erano quelle di trascinare il Sultano a dichiarare la guerra contro la Russia e contro l'Inghilterra.
Già fino da allora era vivacissima la lotta della di plomazia intorno al Sultano e al suo Governo. E con le comunicazioni difficili, quando ci volevano parecchie settimane perchè una lettera, e quindi del le istruzioni, giungesse da Parigi a Costantinopoli, gli ambasciatori avevano una grande libertà di azio ne e si trovavano costretti dalle circostanze a pren dere le più importanti iniziative, o a modificare le istruzioni ricevute.
A un certo punto, mentre la situazione era più che mai complicata, e il Sultano aveva ceduto alle lusin ghe del generale Sebastiani, l'ambasciatore di Sua Maestà Britannica manda una specie di ultimatum alla Porta imponendole... di mutare strada, inco minciando, intanto, col mandar via l'ambasciatore di Francia. La Porta rifiuta di cedere. Ed allora l'am
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La flotta britannica a Costantinopoli
basciatore inglese se ne va lui da Costantinopoli. Ma va a cercare la flotta britannica che incrocia di nanzi all'entrata dei Dardanelli, sale sulla nave am miraglia, dà l'ordine di passare lo Stretto e si pre senta davanti a Costantinopoli. Il vento abbastanza favorevole aveva permesso alla flotta di passare il punto più pericoloso dello Stretto in un'ora e un quarto. Nel determinar l'ambasciatore a tale azio ne energica contribuirono le informazioni sicure che egli aveva dello stato di abbandono nel quale si tro vavano le fortificazioni.
Dal ponte della nave ammiraglia l'ambasciatore ripetè le sue domande con la minaccia del bombar damento...
Il Sultano stava per cedere : ma l'ambasciatore . francese lo persuase... a prender tempo. Intanto as sunse la direzione del lavoro febbrile organizzato per armare le fortificazioni dei Dardanelli : mandan dovi anche dei francesi per prendere il posto di pun tatori, mestiere che i turchi non sapevano fare. Dopo undici o dodici giorni di trattative l'ammiraglio e l'ambasciatore inglese avendo capito benissimo il giuoco della diplomazia turca, e avendo avuto esatte notizie di quello che si faceva sulle sponde dello stretto, incominciarono ad impensierirsi. Il pericolo diventava ogni giorno più grave. Non era più possi bile esitare. E la flotta britannica riprese la via del ritorno. Ma nel passaggio dello stretto ebbe parec chie navi malconcie e un paio di centinaia di uomini fra morti e feriti. Senza combattere la Turchia ebbe un successo. Uno dei suoi soliti successi diplomatici, giuocando sulle gelosie e sulla rivalità delle Potenze. Ma le spe ranze che aveva fatto concepire alla Porta l'intra prendente generale francese svanirono ben presto. La situazione europea mutò e Napoleone I abban donò la Turchia al suo destino. MANTEGAZZA. Politica estera. - VII. 5
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E quello che si è del resto ripetuto tante volte, an che dopo, nel secolo scorso. Volta a volta la Turchia ha avuto per grandi protettori quei paesi che erano stati i suoi grandi nemici e viceversa. La stessa Rus sia ha avuto dei momenti nei quali parve mirare ad una intesa con la Turchia. Naturalmente sono sem pre delle amicizie interessate. E per la Russia la questione degli stretti è sempre in prima linea. In fondo, se sono esatte le notizie pubblicate qua e là, pare sia stato provocato per l'appunto da tale que stione e dal modo col quale la trattò mesi sono, il brusco richiamo dell'ambasciatore russo a Costan tinopoli. Non siamo più ai tempi nei quali gli am basciatori potevano fare quello che volevano. Adesso . quando un diplomatico anche nell'eseguire le istru zioni ricevute non tiene l'intonazione voluta, corre il rischio di vedersi sconfessato con un richiamo per telegrafo, come nel caso del Ciarykof : un diploma tico che ha lasciato qui a Roma, dove passò qualche anno, i migliori ricordi, e che ho trovato a Belgrado all'epoca della tragedia serba. Certo il Ciarykof non era uno di quei diplomatici che si rassegnano a non far nulla. Aveva la passione della politica, e si era sempre vivamente interessato alla questione balca nica. Fu anzi una delle ragioni per cui ebbe l'am-. basciata di Costantinopoli. E pare sia stato sacrifi cato per aver dimostrato troppo zelo, o per non aver saputo impostar bene proprio questa questione degli stretti che ha fatto e farà ancora versare fiumi d'in chiostro, e sulla quale è di nuovo richiamata l'at tenzione dell'Europa. 21 marzo.
66 NELL'EGEO
II.
DINANZI A BEIRUT.
Le nostre navi in moto nell'Egeo e sulle coste del l'Asia Minore hanno determinato una situazione nuova e riacceso nella stampa europea polemiche che parevano sopite. Una delle ragioni per le quali anche in quei paesi dai quali avevamo ragione di attenderci un atteggiamento diverso una parte della stampa è tutt'altro che benevola lo si è detto tan te volte è la preoccupazione per gli interessi ma teriali danneggiati dallo stato di guerra. Ma sopra tutto, dopo la distruzione delle due navi turche nel porto di Beirut, altre e più gravi considerazioni preoccupano le Cancellerie europee, timorose che lo statu quo nella Penisola balcanica possa essere da un momento all'altro turbato, sorprendendole im preparate. Ed invero, se quattro anni fa alcuni mu tamenti si sono potuti fino ad un certo punto limi tare a regioni lontane dal mare e da Costantinopoli e furono sottratte alla Turchia provincie che in realtà, non erano più sue da un pezzo, questa volta al sorgere di nuove complicazioni le Potenze balca niche, o che nella Penisola intendono predominare, potrebbero avere mire più lontane, per l'appunto verso il mare : mentre si stringerebbe sempre più la cerchia intorno a Costantinopoli. Tali preoccupazioni, e l'ansia nella quale vivono le piccole Potenze balcaniche, ciascuna nella spe ranza che scoppiando delle gravi complicazioni possano realizzarsi le loro aspirazioni, spiegano come l'azione e la comparsa della nostra flotta nell'Egeo e dinanzi a Beirut, abbiano riacceso le polemiche e
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Dinanzi a Beirut
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determinato la diplomazia a fare nuovi tentativi per la pace. Non importa se sia vero o no che navi della nostra flotta siano state avvistate cosa del resto probabile e presumibile dinanzi a Cavalla. Ma è bastata la notizia data in un breve telegramma delle agenzie per gettare l'allarme. Poichè questa piccola città di Kavala o di Cavalla, come si dice gene ralmente in Oriente, pronunziando all'italiana.che sorge in fondo a una insenatura con un buon porto di fronte all'isola di Tasso, e dove degli ac quedotti che servono ancora oggidì e si designano col nome d'acquedotti genovesi indicano l'impor tanza che annetteva a quello scalo la Repubblica di San Giorgio, è destinata a far molto parlare di sè e ad assumere una grandissima importanza nel caso di complicazioni che possano condurre a muta menti nella Penisola. A pochi chilometri a nord della città vi è la celebre pianura di Filippi dove, ca dendo, il secondo Bruto pronunziò il celebre necro logio della virtù. In quei campi che furono teatro dell'epica lotta, ora, se se ne toglie qualche zona coltivata a tabacco il celebre Macedonia che dà il nome alle nostre sigarette tutto è squallido e deserto. Terreni che furono fra i più produttivi di quelle regioni e che sarebbero fonte di grandi ric chezze, sono quasi completamente abbandonati per la mancanza di sicurezza e per le angherie delle au torità e dei soldati turchi contro le popolazioni cri stiane...
Non è però per l'ubertosità delle terre da cui è cir condata nè per i suoi ricordi storici che Cavalla ha oggi un così grande interesse. Ma perchè quel por to è la grande aspirazione della Bulgaria che vuole essa pure quello sbocco nell'Egeo, che il Trattato di Santo Stefano imposto alla Turchia dagli eserciti vittoriosi dello Zar alle porte di Costantinopoli le aveva dato e che il Trattato di Berlino le tolse dan dolo di nuovo alla Turchia.
68 NELL'EGEO
Io non so che cosa vi sia di vero nella notizia che ha fatto capolino qua e là relativa a un trattato o ad un accordo segreto fra l'Austria e la Bulgaria, per l'Egeo. Accordo secondo il quale, al momento op portuno, la Bulgaria rinunzierebbe alle sue aspira zioni verso il Vardar e Salonicco, meta della politi ca austriaca, che in compenso le agevolerebbe la discesa a Cavalla. Non so che cosa vi possa essere di vero nella notizia : ma constato solamente d'ac cordo con tutti coloro che seguono lo svolgersi di queste intricatissime questioni balcaniche, che essa è... tutto ciò che vi può essere di più verosimile, dati i precedenti, data la situazione creata dagli avveni menti di quattro anni fa, e l'abilità e la scaltrezza indiscussa di Re Ferdinando, il quale, contraria mente a quello che si crede talvolta, non ha infeu dato mai il suo paese nè a Vienna nè a Pietroburgo, ma si è sempre servito ora di Vienna, ora di Pietro burgo per giovare alla Bulgaria. In ogni modo, ripeto, vera o no che sia la notizia alla quale alludo, è evidente che una tale eventua lità è vagliata e discussa continuamente nel mondo. diplomatico e nelle Cancellerie, nelle quali si an nette oramai la maggiore importanza a quello che chiamerei il problema dei mari che bagnano le coste dell'Impero ottomano : più forse che a quello che può riguardare la ripartizione delle provincie del l'interno, dalle quali la Mezzaluna potrà essere un giorno cacciata. Messa in rilievo tale situazione, e tenuto conto di tali aspirazioni, sulla possibilità e probabilità degli accordi ai quali ho accennato, si spiegano molto chiaramente le ragioni per le quali, per ciò che riguarda le grandi Potenze, vi sia una certa gradazione per la quale in una è più vivo che nell'altra il desiderio della pace. Nessuno più della Russia, che, fra parentesi, ha sempre avuto un atteggiamento correttissimo a nostro riguardo, ha
Voci
di accordi Austro-Bulgari
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interesse che lo statu quo nella Penisola balcanica sia mantenuto, e che gli avvenimenti forse decisivi per quella parte dell'Europa non la colgano in que sto periodo di raccoglimento, e di relativa debol lezza.
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70 NELL'EGEO
Ha ugualmente interesse al mantenimento dello statu quo l'Inghilterra. Vi è infatti anche per essa la questione del mare: del bacino orientale del Me diterraneo, che desta qualche preoccupazione. Un semplice sguardo alla carta di quella parte dell'Eu ropa basta a spiegare il linguaggio assai vivo, acre addirittura, in parecchi anche fra gli organi più au torevoli della stampa di Londra. In quel mare, a poca distanza da Beirut, vi è l'isola di Cipro, che le truppe di Sua Maestà la Regina Vittoria occuparono dopo la guerra del 1878. Mentre le altre nazioni an darono al Congresso di Berlino per chiedere una parte delle spoglie, e là, durante le sedute, si stabi lirono le intese per la loro divisione, l'Inghilterra, pochi giorni prima che il Congresso si riunisse, aveva già stipulato con la Turchia il trattato segreto col quale questa le cedette Cipro. Oggi, mentre noi siamo in guerra con la Turchia,. mette il conto di ricordare il modo, le circostanze 1 e le condizioni alle quali quella cessione avvenne, che mettono in rilievo l'anomalia di una situazione delle più strane, dalla quale risulterebbe che appunto per la difesa dei territori della Turchia asiatica, vi è fra la Turchia e l'Inghilterra una vera e propria alleanza. Nella convenzione del 4 luglio 1878, e del resto nei considerando » che precedono gli articoli, questo è per l'appunto il nome che le vien dato. « I´ due Sovrani è detto nel preambolo animati dal desiderio di estendere e rinforzare le relazioni di amicizia felicemente esistenti fra i due Imperi, hanno risoluto di concludere una convenzione di alleanza difensiva, allo scopo di assicurare per l'av 6 341
L'Inghilterra alleata della Turchia
venire i territori di Sua Maestà Imperiale il Sul tano » >.
L'articolo 1° stabilisce come, nel caso in cui in un'epoca qualunque la Russia avesse fatto un ten tativo per impadronirsi di qualche altra porzione dei territori di S. M. il Sultano in Asia, l'Inghilterra si impegnava d'unirsi alla Turchia per difenderne i territori con la forza delle armi. In ricambio è sta bilito che «< allo scopo di porre l'Inghilterra in gra do di assicurare i mezzi necessari per l'esecuzione del suo impegno (cioè un'altra base di operazione in quei mari), il Sultano acconsente a che l'isola di Cipro sia occupata ed amministrata (è la stessa fra se che si adoperò poi per la Bosnia e l'Erzegovina), dalla Gran Bretagna !.
Quanto alla durata dell'occupazione non è fatto parola. Non è stabilito alcun termine. Intendiamoci bene. Tuttociò, per quanto ri guarda l'alleanza, è più che altro una curiosità sto rica. Sono avvenute tante cose in questi 34 anni, che l'Inghilterra non sente più davvero il dovere di difendere le provincie asiatiche della Turchia, e di mandare i suoi soldati o le sue navi a combattere insieme ai turchi. D'altra parte era soprattutto con tro la Russia che l'alleanza era diretta e, adesso, la Gran Brettagna si è messa d'accordo con la Russia su tutte le questioni. L'alleanza in fondo esiste sem pre... Ma non conta più! È la sorte di tante allean ze che sono esse pure morte senza esser mai state denunziate. Per cui un diplomatico di spirito che a certe alleanze non credeva molto, diceva parecchi anni or sono che, in fondo, esiste ancora... la Santa Alleanza. Dal momento che non è stata denun ziata...
Dopo l'occupazione del 1878 non si è quasi più parlato dell'isola di Cipro. Ma ecco che oggi torna. a far parlare di sè. Non vi è ancora per l'Europa, e
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forse non vi sarà nemmeno dopo, una questione di Cipro ma vi è già per l'Inghilterra. Ad Atene, in torno a tale questione, vi è il maggiore riserbo. Per quanto si ritenga che se l'equilibrio non solo nella Penisola, ma nei mari che bagnano l'Impero otto mano sarà turbato, alla Grecia, per ragioni di equità, qualche compenso dovrebbe essere riconosciuto, si ritiene del pari inopportuno anche un incoraggia mento ai greci di Cipro, mentre non ha ancora avu to la sua soluzione definitiva con l'annessione, la questione di Creta.
Ma il movimento di malcontento a Cipro si ac centua. Ho qui sott'occhio il testo della risposta man data all'alto commissario britannico dell'isola, per protestare contro il suo rifiuto di concedere a Cipro istituzioni più liberali e soprattutto la rappresen tanza proporzionale che permetterebbe una equa e più giusta ripartizione fra deputati ellenici e turchi. Tale documento firmato dai deputati ellenici è sin tomatico, e per la sua intonazione vibrata e per l'affermazione recisa delle aspirazioni della popola zione. Osserva
Accennando al fatto che se la Costituzione tur ca fosse applicata a Cipro ci sarebbe maggior equità « è strano che si partecipi meglio all'amministrazione del paese in Turchia che qui, dove viviamo sotto la bandiera di un paese conside rato come la patria delle libertà costituzionali ». E quanto alle aspirazioni nazionali soggiunge : « << de sideriamo si sappia ancora una volta che il popolo di Cipro considera l'occupazione inglese come un periodo transitorio della sua storia, e che la sua ferma ed immutabile volontà è quella di essere uni to storicamente alla Madre libera... », cioè alla Gre cia. 8 marzo.
Anche questioni delle quali non si parlava più sembrano ora risorgere...
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L'isola tragica
III.
L'ISOLA TRAGICA
(1).
L'isola tragica! E il nome col quale dagli scritto ri, come dal popolo, è spesso designato la Chios, la bella isola dell'Egeo, celebre per la dolcezza del suo clima, per la fertilità del suolo, per la bellezza del paesaggio, e per le sciagure e i disastri che l'hanno colpita. L'uomo e la natura si sono accaniti contro questo piccolo paradiso terrestre dove vanno a vil leggiare i ricchi della vicina Smirne. Il fanatismo musulmanó coi massacri del 1822 ha decimato la mite e pacifica popolazione che, tutta dedita al com mercio, non aveva preso parte al movimento rivo luzionario : nel 1881 un terribile terremoto, che per gli effetti suoi si può paragonare a quello di Messi na, fece da sette ad ottomila vittime, e distrusse in teri paesi.
L'isola, dove è fama che Omero dall'alto di una roccia la pietra d'Omero che i chioti indicano con orgoglio al forestiero- citasse al popolo i versi dei suoi poemi, è stata cantata da Victor Hugo, nelle Orientales, e in un celebre poema: Chio schiava, da un grande poeta greco : l'Orpharidis. Non andate a Chio dicono qualche volta gli smirnioti a coloro che si recano a visitare l'isola bella, attrattivi dalla sua posizione, dalla veduta in cantevole che offre, e dall'interesse che desta negli studiosi la sua storia millenaria -: non andate, e
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(1) Per parecchi giorni si credette alla occupazione da parte nostra anche dell'isola di Chio. Per taleoperazione alla quale poi si rinunziò, tutte le disposizioni erano già state date.
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contentatevi di vederla da lontano : poichè scenden dovi non troverete altro che ruine... e il turco. È il concetto che ha dettato l'invocazione colla quale si apre il grande poema dell'Orpharidis : <<Presso la costa dell'Asia. Minore, non lontana << da Smirne la città felice, il navigante incontra un'i <<sola trasparente circondata da un'atmosfera bal <«<samica e profumata. Quando il silenzio si fa sui <«< monti e sul mare, misteriose parole e vaghi ru << mori vengono dalle sue rive : le sirene però « non hanno ivi fissato il loro soggiorno. Salve <«< Chios! Se non sei stata la culla di Omero, è però da te che ha posto l'Olimpo! Preso da un santo ri « spetto, ho baciato la pietra sulla quale ha riposato «<il genio dell'antica Grecia, e nella calma notturna, < «<il teso orecchio ha creduto di poter distinguere fra « i rumori confusi ed armoniosi della natura, l'eco < « < lontana delle parole del cieco divino. <<Salve, Chios! patria dei fiori, figlia incantevole « del mare. Sangue innocente ha spesso bagna <«<to il tuo seno fecondo e benedetto : fra i crepacci « delle tue roccie si trovano le ossa dei martiri. Oh (( <<tu viaggiatore che drizzi la prora verso quella ame « na spiaggia, contentati di respirarne il profumo « da lontano. Non scendere, poichè ciò che vi ve dresti strazierebbe il tuo cuore! >> L'isola tragica! La sventura ha incominciato a percuoterla fino dalle epoche più antiche. Le gran di date storiche dell'isola infelice sono quelle di quattro immani sciagure. Vinta dai persiani nel 497 avanti l'èra nostra, la sua popolazione è depor tata in massa nell'Asia Minore : nell'82 avanti Cristo è Mitridate che fa vendere come schiavi i chioti. Le altre date terribili sono d'epoca relativamente re cente quella del 1822, l'anno nel quale avvennero gl'infami massacri, e quella del terremoto del 1881 che la distrusse quasi completamente.
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I turchi furono relativamente miti all'epoca della conquista. O per lo meno non inveirono che contro una parte soltanto della popolazione : contro i ge novesi andati a Chio all'epoca nella quale se ne im possessarono i Giustiniani per conto della Repub blica, e che ne rimasero poi i padroni assoluti col titolo di Principi di Chio; come un'altra famiglia genovese, quella del Gatteluggio, col nome di Du chi di Lesbo diventò signora di Mitilene. Meritereb be uno studio speciale il sistema col quale la Repub blica procedette alla conquista dell'isola e poscia alla sua amministrazione. Furono dei privati che fornirono i mezzi necessari per armare le galee della spedizione della quale fu affidato il comando a Si mon Vignoso. Costituirono una società per caratu re, con lo stesso sistema col quale in tutta la Liguria si procedeva alla costruzione dei bastimenti, prima che si diffondesse il sistema delle azioni. Questi ca ratisti o capitalisti intendevano di aver fatto un af fare. Occupata l'isola domandarono alla Serenissi ma il rimborso delle spese. Ma le casse della Repub blica erano vuote, e il Doge pensò bene di abbando nare loro l'isola, riservando ben inteso i diritti di sovranità alla Repubblica. Fu inaugurato a questo modo un sistema che ha qualche punto di contatto con quelle compagnie a Chartered, con le quali l'In ghilterra ha occupato tre secoli dopo dei territori del continente nero.
A poco a poco però i Giustiniani riuscirono a di sinteressare tutti gli altri capitalisti ed a rimanere gli assoluti padroni dell'isola, esercitandovi la asso luta sovranità e con una certa durezza. I pode stà che Genova continuò a mandare a Chio copriva no una carica decorativa ed erano gli umilissimi ser vitori dei Giustiniani, di questa famiglia di mercanti che gli stessi podestà avevano finito per conside rare come sovrani. Rappresentanti della Chiesa la
Chio
e Mitilene
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tina e del Papa intrapresero subito una lotta vivis sima contro i greci e l'ortodossia, obbligandoli con tro le loro convinzioni a prendere parte alle grandi cerimonie religiose cattoliche e non solamente come spettatori. Per le feste di Natale, di Pasqua, dei Santi Apostoli e della Circoncisione, anche le case degli ortodossi dovevano essere parate a festa con drappi e fiori, e tutti i preti ortodossi, in rango, sul la piazza, circondati da guardie armate, dovevano rispondere in coro ad una specie di araldo che ordi nava loro di gridare, dopo il segnale dato dal rullo dei tamburi, le glorie di Genova, del Papa, dell'Im peratore... e della casa dei Giustiniani. gridava "araldo Preghiamo per la Se dovevano rispon nobilissi dere.
Pregate per la molto illustrissima ma famiglia dei Giustiniani. E i preti ortodossi dovevano rispondere col po polo: -Preghiamo. Evviva! Evviva i Giustiniani!
renissima. -Lunghi anni... Evviva! --
Questo atteggiamento ostile verso i greci, il modo col quale, malgrado queste forme di sovranità, coi criteri commerciali che avevano presieduto alla oc cupazione dell'isola, le popolazioni e le risorse del l'isola furono sfruttate, non erano precisamente ciò che ci voleva per farsi amare. Per cui quando i tur chi cacciarono i genovesi e si impadronirono del l'isola, vi furono relativamente bene accolti : anzi festeggiati addirittura dalla popolazione greca, che, passando da un padrone all'altro, sperò di cambia re in meglio. Tantochè, grati di questa buona ac coglienza alla quale non si attendevano, i turchi trattarono Chio diversamente da tutte le altre loro conquiste, concedendo ai chioti privilegi e franchi gie speciali delle quali godettero fino al principio del
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secolo scorso. Furono accaniti soltanto contro i fau tori dei Giustiniani e coi Giustiniani stessi. A diciot to giovani della famiglia Giustiniani furono inflitti i supplizi più atroci e spirarono eroicamente sotto le verghe dei nuovi dominatori anzichè rinnegare, come era stato loro offerto, la fede cristiana ed en trare nel famoso corpo dei giannizzeri, in gran par te reclutato sempre in questo modo. Tre soli su ven tuno non ebbero il coraggio di affrontare il martirio e accettarono l'offerta...
Ma se i turchi trattarono relativamente bene, al lora, la disgraziata isola, due secoli e mezzo dopo questa fu teatro di uno dei più terribili massacri di cristiani che la storia ricordi. Il Sultano Mahmud che lo ordinò, perchè Chio che non si era ribellata aveva però accolto i rivoluzionari di Samos che vi andarono a proclamare l'indipendenza ellenica, tro vò nel famoso Kara Alì un esecutore feroce e san guinario, che tale immane massacro organizzò in tre riprese, dandone coi colpi di cannone il segnale alle sue soldatesche. Si calcola che nelle varie ri prese più di ventimila persone sieno state uccise, e i libri della dogana nei quali furono regolarmente segnate le somme incassate pei diritti di uscita per ogni testa (secondo l'espressione usitata) stabilirono che più di dodicimila fra ragazze e donne furono vendute come schiave. I soldati avevano l'ordine di rispettare soltanto le donne al disotto dei qua rant'anni, e i ragazzi dai 2 ai 16 anni!
Il racconto di quelle stragi, alle quali presiedette personalmente il feroce Kara Alì, è qualche cosa che fa fremere di raccapriccio. Per le strade, intor no a mucchi di cadaveri e di morenti, i dervisci dan zavano le loro ridde; in altri punti i soldati innal zavano delle piramidi con le teste mozzate e vi pian tavano sopra delle bandiere con la mezzaluna : altri sono occupati a tagliare centinaia di orecchie con
I massacri di Chio 77
le quali fanno dei festoni, per inghirlandare la pro ra delle loro navi... Ed è con una di queste macabre ghirlande che è adornata la nave ammiraglia, la sera nella quale un oscuro marinaio, che doveva diventare uno degli eroi della indipendenza elle nica, il Canaris, vi dà fuoco col suo brulotto e la fa saltare in aria, uccidendo Kara Alì e gli altri co mandanti delle navi che quest'ultimo aveva invitato a bordo per festeggiare una ricorrenza del calen dario musulmano e offrir loro lo spettacolo delle ul time esecuzioni della giornata. Tutti i giorni, finita la strage a terra, egli si faceva condurre a bordo un centinaio di vittime scelte e là, a due, a quattro per volta le faceva uccidere alternando il genere di morte e di tormenti... Quella sera figuravano poi su un piatto la testa e le mani di un ufficiale fran cese, il Baleste, che aveva valorosamente combat tuto contro i turchi sulle navi degli insorti... Come se non bastasse a colpire la disgraziata iso la l'ira degli uomini, or fanno trent'anni si rovesciò su di essa l'ira della natura, col famoso terremoto del 3 aprile 1881, pel quale crollarono case, moschee, caserme, quasi tutti gli edifici pubblici dei princi pali centri, seppellendo sotto le rovine le popola zioni intere di parecchi paesi. Nella città principale dell'isola rimasero in piedi, ed esse pure assai mal conce, solo pochissime case. Si calcola vi sieno state circa ventimila vittime. Per curiosità ho voluto sfo gliare le pubblicazioni dell'epoca. Trent'anni fa il giornalismo e il reportage non avevano ancora lo sviluppo che hanno preso di poi. Però, qua e là, ho trovato qualche corrispondenza, e mi è stato facile. il constatare come quelle descrizioni sieno per fettamente uguali anche in moltissimi particolari a quelle del disastro di Messina di pochi anni or sono.
Nel continuo avvicendarsi degli avvenimenti tutto
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padronanza del mare
si dimentica così facilmente! E nessuno, o ben po chi, hanno ricordato in questi giorni in cui tanto si parla della tragica isola intorno alla quale incrocia n spesso le nostre navi, il grande disastro che destò allora una viva commozione nel mondo civile, e per i quale furono organizzate in Francia, in Inghil terra e credo anche da noi, sottoscrizioni che frut tarono la discreta somma di due o tre milioni. Si vive presto, e si dimentica tutto così presto! 20 giugno.
IV.
L'AVVENIRE È SUL MARE. L'EUROPA E L'ASIA NELL'EGEO.
Mai come in questi ultimi anni i fatti e la corsa sfrenata agli armamenti navali di tutte le grandi nazioni han dimostrato quanto sia giusta la famosa frase pronunciata ad Amburgo, una quindicina di anni fa, dall'Imperatore tedesco. Oramai è radicata. generalmente la convinzione che sopratutto sul mare o col mare si decidono le sorti dei paesi. E ne sono una prova gli avvenimenti che si sono svolti verso la fine del secolo scorso e al principio del nuovo. Fu soprattutto una guerra navale quella com battuta nel mare delle Antille fra la Spagna e la grande Repubblica Federale; non fu una guerra na vale nello stretto senso della parola quella del Tran swaal poichè dalla parte del piccolo popolo europeo, che, laggiù, nell'estrema punta del Continente afri cano, difese con tanto valore la propria indipenden za, non vi era marina, ma fu la padronanza del mare che permise agli inglesi di trasportare a tanta di
La
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stanza i suoi soldati, come ora permette a noi di mandare i nostri sulla costa libica, e, nell'ultima guerra russo-giapponese, furono ancora le navi nip poniche che distruggendo la flotta nemica e diven tate padrone del mare, han permesso di avviare nella Manciuria l'uno dopo l'altro gli eserciti del Mikado. E lo stesso accadrà per le guerre future. L'alba del nuovo secolo non è stata un'alba di pace, poichè l'uno dopo l'altro, a breve distanza di tempo, sono scoppiati conflitti, prima ancora che fosse spenta l'eco di quelli che hanno rattristato la fine del secolo scorso. Questo per il passato.
Per il futuro, al di qua e al di là dell'Oceano, si parla con la più grande insistenza e si discute esa minando tutte le eventualità che vi si riferiscono, di due guerre, che, per abitudini di pensiero, si è finito a chiamare le guerre inevitabili : le guerre alle quali si dovrà fatalmente arrivare. Una è la guerra tra gli Stati Uniti e il Giappone per il dominio del Pacifico, l'altra è quella fra la Germania e l'Inghil terra per la supremazia nei commerci nei mari lon tani e vicini. Dinanzi alla preoccupazione per que ste due grandi rivalità che minacciano da dieci a do dici anni la pace del mondo, è quasi passato in se conda linea quel pensiero di una nuova guerra fran co-germanica, che è stato l'incubo della politica eu ropea fino al 1900. O per lo meno non si concepisce più l'ipotesi di una guerra franco-tedesca in cui il conflitto non debba allargarsi ad altri paesi e sul mare. Ebbene. Anche queste due guerre che sarebbe meglio abituarsi a dire possibili ma non inevitabili, non sono forse esse pure due guerre il cui esito sa rebbe deciso quasi esclusivamente sul mare, e nel quale gli eserciti sarebbero chiamati ad intervenire quando già fosse stabilita la superiorità di uno dei combattenti?
Con gli eserciti si difendono le porte di casa. Ma
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Pietro il Grande e il mar Nero
ogni nazione ha oggi possedimenti lontani o vicini al di là del mare che costituiscono la sua ricchezza, dove è necessario che diuturnamente sia affermato il suo prestigio, la sua forza, e tale affermazione è fatta esclusivamente dalla bandiera delle navi da guerra pronte alla difesa. Epperò le due grandi mo narchie che sono state finora i campioni della poten za continentale, che, per tanto tempo, parvero non avere altra preoccupazione che quella di aumentare il numero dei loro battaglioni, oggi aspirano en trambe a poter disporre di grandi forze navali : la Germania, che contende all'Inghilterra quella su premazia che finora nessuno le aveva contestato, e la Russia la quale si è persuasa che gli eserciti senza una grande flotta non bastano a permetterle di ri prendere il posto che le compete nella politica mon diale. È soprattutto per questo che oggi, malgrado non vi sieno stati passi ufficiali, è evidente la sem pre maggiore preoccupazione della politica russa per la questione degli Stretti.
Appena diventati padroni delle due rive dell'Elle sponto, i turchi si valsero subito di questo loro di ritto di aprire e chiudere questa porta per il mar di Marmara. Padroni di tutte le coste dell'Eusino, fecero del mar Nero un mare interno, un mare e sclusivamente turco. Quando Pietro il Grande, dopo aver conquistato il litorale del mare d'Azoff e creata la flotta militare, manda a Costantinopoli la prima nave da guerra russa con un plenipotenziario per ottenere il diritto di libera navigazione in una parte. almeno del mar Nero, la risposta è un reciso rifiuto. I mar Nero, risponde il segretario del Sultano al l'ambasciatore dello Zar, si chiama da noi : la ver gine casta e pura. Nessuno può violarla, e la naviga zione vi sarà sempre vietata a tutti i bastimenti da guerra.
Con questa risposta è stata, in certo qual modo, MANTEGAZZA. Politica estera. - VII. 6
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impostata la questione del mar Nero che si con fonde con quella dei Dardanelli e quindi con tutta la questione dell'Oriente. Ma la questione che riguarda esclusivamente il mar Nero è stata risolta. A poco a poco la Russia ha conquistato, con le guerre e coi trattati, il diritto di libera navigazione. Ma, come era facile prevedere, dopo che la Russia ha potuto organizzare in quel mare una flotta, è diventata an cora più ardua, più preoccupante per la sua politica la questione degli Stretti. E più pertinace la poli tica ottomana nell'impedirle di uscire, d'accordo con le Potenze che hanno avuto finora tutto l'inte resse a che queste nuove forze navali non facessero la loro apparizione nel Mediterraneo. La questione degli Stretti si collega e si compenetra con quella Balcanica, con quella del Medio Oriente, e si spie ga facilmente come la sola notizia di una possibile azione navale nell'Egeo, in quel mare dove le nazioni europee hanno tanti interessi, e le cui isole sembra no, secondo la frase dell'Humboldt, un ponte gittato fra i due continenti, abbia destato preoccupazioni ed allarmi. Poichè, se con la scoperta dell'America e la navigazione a vapore, si sono ora moltiplicati i cam pi d'azione, e non è più soltanto la carta del Medi terraneo quella nella quale si incrociano in una fitta rete le rotte delle navi, l'Egeo non ha perduto la enorme importanza che ebbe nella remota antichi tà e poscia nel medio-evo. Per certi aspetti essa è anzi cresciuta.
Tanto nei continenti come sul mare vi sono zone destinate dalla geografia ad essere sempre il teatro di grandi avvenimenti e dove per terra e per mare si decidono le sorti delle nazioni e delle razze. La vasta pianura lombarda, per esempio, come un'al tra regione dell'Europa settentrionale, il Belgio, de vono alla loro posizione geografica di essere state il terreno sul quale si sono combattute continue
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In Lombardia e nel Belgio sulle strade tante volte percorse dagli eserciti stranieri, fischia ora la vapo riera, e l'ininterrotto succedersi dei treni che por tano lontano il lavoro delle officine, attesta l'alto grado di prosperità a cui sono giunte quelle contra de. Là dove si combatterono un tempo battaglie per la conquista di città e castella, si svolgono ora le lot te incruente del commercio e dell'industria. Nell'E geo, che non ha ancora trovato il suo assetto defi nitivo, dove le grandi e le piccole Potenze aspetta no il giorno del grande sfacelo e vi si preparano in tutti i modi, l'incessante succedersi delle navi che solcano quelle acque può preludere a nuove lotte. Le navi mercantili, anche in tempi normali, han l'aria di correre da un porto all'altro protette, se non addirittura scortate, dalle navi da guerra.
Fu attraverso l'Egeo che gli asiatici invasero l'Eu ropa. Ed è stato ugualmente attraverso l'Egeo che l'Europa ha imparato a conoscere l'Asia e vi ha trasportata la sua civiltà. Ad Alessandro, al Grande. Macedone, spetta il vanto di avere aperto l'Oriente all'Occidente. Le strade percorse dagli eserciti d'A lessandro furono quelle per le quali dopo si avvia
Dove
si svolsero le grandi battaglie guerre, ed è a poca distanza dalla capitale lombarda come alle porte di Bruxelles a Pavia prima e pa recchi secoli dopo a Waterloo che si è disputata e perduta da uno dei combattenti la egemonia di questa vecchia Europa. Così l'Egeo che divide due continenti, fu il mare nel quale si sono combattute più volte le grandi battaglie che decisero le sorti delle razze la cui apparizione su quelle coste segna il principio delle epoche storiche. Gli ateniesi sal vano in quelle acque l'indipendenza ellenica distrug gendo la formidabile flotta di Serse. Molti secoli dopo sono le flotte cristiane che si trovano di fronte alle armate del Sultano per difendere l'Europa dal la invasione musulmana. 83
rono le carovane iniziando quei commerci fra il Continente asiatico e l'Europa che sono ancora oggi la grande preoccupazione della politica internazio nale e che così spesso ne determinano le mosse. Attraverso l'Egeo e i territori che lo circondano si è verificato fino dai tempi più remoti questo flus so e riflusso di popoli e di eserciti. Ora è l'Asia che invade l'Europa; ora è l'Europa che invade l'Asia. Che cosa è oggi quella ferrovia di Bagdad sulla qua le da anni si discute e si polemizza con tanto calore, se non lo strumento con cui una grande nazione eu ropea intende assicurarsi cospicui vantaggi in que sto movimento che oggi pare vieppiù accentuarsi, nel quale l'Europa si sente richiamata verso l'Orien te come alla patria antica? E che cosa è l'aspirazione non dissimulata di un'altra Potenza dell'Europa centrale per Salonicco, se non il desiderio di avere uno sbocco, un porto nell'Arcipelago attirandovi i commerci del vicino e del lontano Oriente?
Non vi sono più conflitti che possano considerarsi isolatamente. Il colpo di cannone tirato da un punto può avere eco lontanissima al di là del mare che ne ha veduto il lampo. Così la questione d'Oriente, rela tivamente assai semplice una volta, quando si trat tava di strappare qualche paese alla Turchia in nome della fede, si complica e si compenetra oggi attraverso l'Egeo e le coste dell'Asia Minore, dove le nazioni europee hanno tanti interessi, con quella del Medio Oriente e delle Indie e con quella del Mediterraneo. La quale ultima si collega a sua volta a tutte quelle relative al definitivo assetto del Continente africano, non solo per la questione reli giosa, ma, soprattutto, perchè, a questo mare, si affacciano ora i grandi imperi europeo-africani del l'avvenire. Ed è laggiù nell'Egeo e intorno agli Stretti che si combatte una sorda lotta di influenza. Là dove un tempo tutti i paesi civili si trovarono al
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leati per combattere il fanatismo musulmano, le Po tenze si sorvegliano diffidando l'una dell'altra. Come si sorvegliano in altri mari lontani, in altri due gruppi di isole, in altri due arcipelaghi : in quel mare delle Antille dove, fra tre anni, col taglio del l'istmo di Panama verrà aperta un'altra grande stra da transoceanica, e nelle isole del mar della Cina aspettando lo sfacelo del Grande Malato dell'Oriente Estremo di quell'Impero dei Celesti che si dibatte in violente convulsioni che non si sa ancora bene se sono quelle dell'agonia o della sua rinascita a nuova e gagliarda vita, che potrebbe rappresentare un grave pericolo il famoso pericolo giallo - per la potenza europea.
È in questi tre arcipelaghi che si svolgeranno, cruente od incruente, le grandi lotte dell'avvenire. È a queste lotte che tutti si preparano continuando a costruire quei formidabili strumenti di guerra che ora solcano i mari e di fronte ai quali sono diventati piccoli e di ben poco valore quei Duilio e quei Dan dolo, che a suo tempo erano sembrati colossi, im possibili a superare.
Il concetto moderno della guerra, come dicevo, è alquanto mutato. Una volta bastava guardare i confini. Oggi i confini si sono moltiplicati, mate rialmente e moralmente, se così si può dire. In Afri ca e in Asia le nazioni europee si trovano di nuovo vicine l'una all'altra nelle loro colonie e spesso in due, tre zone differenti, come accade anche a noi nella Somalia ed ora nell'Africa mediterarnea. Ma, oltre a questi confini materiali, terrestri, si trovano a contatto in altri punti per lo sviluppo dei loro traffici; nelle rotte che seguono le loro navi traspor tando i prodotti delle loro industrie attraverso i mari e gli oceani, e più specialmente ai punti d'arrivo, come nei tre arcipelaghi ai quali ho accennato, che vanno ogni giorno acquistando una maggiore im
I tre Arcipelaghi
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portanza politica e militare. Gli eserciti non posso no arrivare più che a partita decisa sul mare. Ed è quindi al mare, alle dreadnoughts che pensano e rivolgono la loro attenzione tutte le nazioni.... 25 aprile.
V.
LA SORTE DELLE ISOLE. RODI E LA TOmba di MaomETTO II.
Come al solito, i primi combattimenti avvenuti a Rodi, sono stati trasformati dalla stampa di Costan tinopoli in una vittoria turca. Oramai è il sistema che non stupisce coloro che conoscono bene la men talità turca e ricordano come all'epoca in cui le navi francesi per la questione dei quais della capitale fecero la loro apparizione a Mitilene, nelle moschee si spiegava come qualmente queste navi avessero gettata l'ancora nell'antica Lesbo per fare atto di omaggio al Sultano... e le masse ci credevano, so prattutto nell'Asia Minore, dove non avevano gior nali, e le notizie non giungevano che pel tramite del Governo o dei suoi organi.
Naturalmente un giuoco di questo genere non può continuare eternamente, ma però, dura assai più lungamente di quello che generalmente si crede, in Oriente, poichè anche quando in un modo o nel l'altro le notizie vere arrivano, vi è chi ha l'aria di smentirle autorevolmente, per cui rimane ancora il dubbio...
Quanto alle dichiarazioni ufficiose di Costantino poli tendenti a far credere che alla Turchia nul la importi della perdita delle isolé, esse non vanno
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prese sul serio. Per alcune isole, sì, ciò può essere vero, fino a un certo punto, ma non certo per Rodi, la cui storia ha ricordi così suggestivi per la Tur chia. Sono tre le isole in quella parte del bacino orientale del Mediterraneo, di fronte alle quali anche nei momenti del suo splendore si infranse e fu più volte fiaccata la potenza musulmana : Rodi, Cipro e Candia. Rodi fu per un lungo periodo storico come. la sentinella avanzata della cristianità.
A dimostrare la enorme importanza che nel mon do musulmano fu sempre attribuita a questa isola, basterebbe ricordare l'epigrafe sulla tomba di Mao metto II. In questa epigrafe fu incisa la lista di tutte le sue conquiste. La sua traduzione latina riferita dallo storico Cantazuceno termina con queste parole Mens fuit debellare Rhodum, superare super bam Italiam, sed non fata dedere modum. Similmente Creta ha avuto sempre una grande im-. portanza per la Turchia. È suggestivo quanto mai per i turchi il ricordo delle grandi battaglie combat tute a Candia per terra e per mare, quando a Co stantinopoli, si organizzavano, l'una dopo l'altra, delle flotte formidabili per combattere i veneziani, e, coi veneziani, anche i soldati che in loro aiuto aveva mandato Luigi XIV al comando del Beaufort, il nipote di Enrico IV e della bella Gabriella di Estrés. Fu anzi la morte di quest'ultimo che lascian do i francesi privi di comando, determinò la capi tolazione del Morosini dopo 25 anni di assedio e 60 assalti. La conquista di Candia dopo tanti anni di lotta, avvenuta nel secolo XVII, quando la potenza ottomana incominciava a declinare in Europa, fu, a quell'epoca, la grande rivincita dell'Islam, ed ebbe per il mondo islamitico, quasi la stessa importanza della presa di Costantinopoli. Creta era il punto d'appoggio per le loro conqui ste e la loro egemonia nell'Africa mediterranea. Vi
Rodi 87
è sempre stato un certo nesso nella mente dei tur chi fra la questione di Creta e Tripoli. Del resto i Romani hanno sempre considerato Creta come un'i sola africana, e quando Augusto divise l'Impero in provincie, l'isola fu unita alla Cirenaica. Gli avveni menti hanno dato ragione a coloro che a Costanti nopoli si mostravano irriducibili ed intransigenti sulla questione di Candia, che non avrebbero subito nessuna concessione, dicendo che Creta greca vole va dire, a breve scadenza, Tripoli italiana. Il trico lore è stato realmente issato a Tripoli e a Bengasi, mentre a proposito dell'invio di deputati dell'isola ad Atene, la questione di Creta è stata risollevata, e pare entrata nella fase più acuta...
È stata risollevata la questione di Creta da una parte, e dall'altra la nostra occupazione delle isole del basso Egeo ha dato nuovo vigore a quella pro paganda dell'Ellenismo che, non bisogna dimenti carlo, è stata quella che ha dato il primo grande colpo alla potenza ottomana in Europa nella prima metà del secolo scorso.
La stampa di Atene non dissimula la sua preoc cupazione per la sorte delle popolazioni greche di quelle isole ora occupate dall'Italia e che l'Italia do vrebbe abbandonare dopo la guerra. Ma si ha ra gione di ritenere che la diplomazia ellenica, con quelle forme e quelle riserve che la situazione e gli obblighi internazionali impongono trattandosi di territori che finora non facevano parte di una nazio ne con la quale sono sempre state difficili e delicate le relazioni, abbia richiamato l'attenzione sulla si tuazione tristissima nella quale potrebbero trovarsi quelle disgraziate posizioni.
- Se realmente se ne vanno, e se, andandosene, non pensano ad avere serie garanzie mi diceva appunto giorni sono un ex-diplomatico greco di pas saggio a Roma, con una frase espressiva - sarebbe
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Le Sporadi del sud come se le si mettessero sotto la scure del carnefice.
La questione poi è più che mai complicata per le isole del gruppo delle Sporadi del sud, come sono chiamate da alcuni geografi, quelle per l'appunto che abbiamo quasi tutte occupate e che finora han no sempre goduto di un regime speciale e di spe ciali privilegi, sebbene nominalmente dipendenti dal valì di Rodi. Sono le isole Meis, Charki, Nisero, Stampalia, Calimno, Piscopia, Scarpanto, ecc., che figurano con le ortografie più diverse negli atlanti e spesso addirittura con nome diverso.
È una cosa molto strana il fatto che di questo loro regime speciale non si trovi traccia nelle pubbli cazioni ufficiali non solo, ma nemmeno nei libri che vi si riferiscono e descrivono le vicende politiche del l'Egeo. Tanto vero che, anche ora, nessuno ne ha fatto cenno, malgrado proprio su quelle isole sia stata richiamata l'attenzione. Le dodici isole le piccole Sporadi, come si dice in Grecia hanno avuto privilegi e concessioni speciali da parte dei sultani ancora prima delle lotte per la indipendenza ellenica e la creazione del Regno di Grecia. In vir tù di tali antichi iradè, le popolazioni, quasi esclu sivamente greche, non solo erano esenti dal ser vizio militare, ma altresì dalla imposta militare, che nel resto dell'Impero pagavano quelli esentati dal servizio, e non avevano dogane nè monopoli...
Negli ultimi anni del regno di Abdul Hamid, sic come tali privilegi non sono stati mai garantiti dalle Potenze, come accadde per Samos, da Costan tinopoli si cercò di abolirli e furono intavolate trat tative per persuadere quelle popolazioni che se aves sero ricevuto bene i kaimakan i quali per gover narle sarebbero stati mandati dal Sultano, sareb bero state meglio amministrate ed avrebbero avuto dei vantaggi. Le popolazioni non si persuasero af fatto... Ma la Porta mandò ugualmente i suoi kaima kan, che le popolazioni subirono.
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Arrivati al potere, con la rivoluzione, i Giovani Turchi, per abolire completamente tutti i privilegi per ottomanizzare, come si diceva anche quel le isole del basso Egeo misero innanzi un'altra teoria, cercando di convincere quelle popolazioni che, dal momento che per effetto della Costituzione tutti i cittadini erano ora uguali dinanzi alla legge ed avevano gli stessi diritti e doveri, non vi era più ragione di mantenere in vita dei privilegi. Era molto meglio che, valendosi dei loro diritti come cittadini, cercassero di farsi rappresentare da depu tati capaci di tutelare i loro interessi. Da principio quegli isolani non ne volevano sapere, ma, alla fi ne, si decisero a votare, non intendendo però affat to con questo di rinunziare ai loro antichi privilegi. Ora, se l'Italia, al momento della pace, abbando nasse quelle isole senza serie garanzie per la tutela e la sicurezza delle popolazioni, ne verrebbe come conseguenza, anche nella migliore delle ipotesi se cioè i turchi rinunziassero alle rappresaglie che la loro situazione sarebbe peggiorata, perdendo quei privilegi che finora, sebbene a malincuore, in questi ultimi tempi il Governo di Costantinopoli aveva pur dovuto riconoscer loro.
Sarebbe la prima volta che verrebbe in tal modo smentita la constatazione che lord Salisbury faceva solennemente in un suo discorso del 1896, basan dosi su precedenti storici, a proposito della questio ne di Creta, che, cioè, mai si era dato e si poteva dare che un territorio staccato anche temporanea mente dalla Turchia ritornasse sotto la sovranità piena ed intera del Sultano.
Su per giù in base allo stesso concetto, che non si possono cioè abbandonare popolazioni cristiane in nessuna circostanza alla oppressione o alle vendet te del fanatismo musulmano, il principe Gortcha koff, accettando nel 1876 la conferenza per impedire
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e la popolazione delle Isole 91 l'allargarsi della guerra dopo la dichiarazione del Montenegro, scriveva nel suo dispaccio : « È però necessario, accettando la conferenza, di riconoscere che l'indipendenza e l'integrità della Turchia deb bono essere subordinate alle garanzie reclamate dal la umanità, dai sentimenti dell'Europa cristiana e dalla tranquillità generale ». No. Non mi pa e nemmeno possibile il pensare che nelle isole che l'Italia potrà abbandonare, che là dove il tricolore sventola o potrà ancora esse re issato come simbolo di civiltà, le popolazioni che in quel simbolo hanno creduto, che hanno accla mato come liberatori i nostri bravi soldati e marinai, possano essere rimesse come prima sotto il giogo ottomano. Si tratterà, a suo tempo, di studiare il modo, il regime speciale da applicar loro e le ga ranzie serie ed efficaci da prendere... Ma, ripeto, non è nemmeno lecito il dubbio.
E forse la Turchia, malgrado l'affettata sua indif ferenza, si è già rassegnata, convinta dai precedenti, che a misura di tale genere non potrà sottrarsi. Certo, a parte Rodi, la cui perdita ha una grande im portanza, come ho detto, per le tradizioni e i ricordi storici, non per il valore suò, perchè oggi come oggi non rende che poco, l'occupazione delle altre isole non può ancora impressionare l'opinione pubblica, se si può adoperare questa locuzione parlando della Turchia. Strategicamente è stato certamente un bel colpo. Ma si tratta di paesi poverissimi, con una po polazione assai scarsa, in grandissima maggioranza greca, che vive della pesca o facendo i marinai, e che non rendono nulla, all'infuori del modesto tri buto annuo versato al valì di Rodi. Tranne due o tre, queste isole non sono nemmeno collegate col tele grafo, e quanto alla posta, hanno dei servizi irrisori. Virtualmente, sono, come dicevo, già quasi staccate dall'impero. A Costantinopoli figurarsi poi al di là del Bosforo! se ne ignorano persino i nomi.
L'Italia
Non così per le isole di Chio e di Mitilene per le quali invece anche la stampa turca non può dissi mulare le sue preoccupazioni. Prima di tutto perchè sono le due grandi isole veramente ricche, che dan no somme considerevoli al bilancio dello Stato, e poi perchè hanno una popolazione musulmana nu merosa. La loro vicinanza alle coste dell'Asia Mi nore, nel punto ove si irradiano le comunicazioni dell'altro continente, non permetterebbe, ove fos sero occupate dalle nostre truppe, di nasconderlo.
È certamente per questo che il nome di queste due isole è sempre venuto fuori tutte le volte che, mandata o no ad effetto, una Potenza europea ha voluto ottenere qualche cosa dalla Turchia con la minaccia. E, per converso, mentre a Costantinopoli sono riusciti, se non a far credere, però a manife stare sia pure apparentemente soltanto una certa indifferenza per tutte le altre occupazioni, non pos sono nascondere le loro apprensioni e i loro timori quando si parla di Chio e di Mitilene.
24 maggio.
92 NELL'EGEO
L'ORA DELLA RUSSIA.
I.
Dimostrazioni militari. Medea. Il ponte sul quale passò Dario.
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II.
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L'INCOGNITA
A POCHE MIGLIA DAL BOSFORO? La Russia e gli Stretti.--
Le fortificazioni del Bosforo. Giasone e Un'altra leggenda d'amore. La Pharmakia.... diplomatica. O il più grande amico o il più grande nemico. Padrona del Mar Nero. Un trattato che si lacera. Il XX settembre e gli Streiti. La politica dei pourboires. La con ferenza a Londra e il fatto compiuto. Le navi della flotta ausiliaria. A cannoni coperti. Una situazione privilegiata per qualche anno. Una corte interna della Russia. Un'attesa bandiera da guerra. cannoniera bulgara. -
DELLA RUSSIA. Gli allarmi dell'estate scorsa. -
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Norvegesi che accolgono poco simpaticamente. Un allarme gravissimo. Un altro periodo di
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Il rich amo dello Tharkoff. L'affermazione di un corrispondente. La politica tedesca. La Turchia e la Persia. Teme le sue squadre bottigliate come nel Baltico. Il paese più minacciato. I movi menti delle flotte. La flotta tedesca sulle coste della Norvegia. Tor. pediniere... che studiano.
III. IN ATTESA DELL'INCONTRO FRA IL KAISER E LO ZAR.
- L'a Per la ri
In assetto di guerra. grande tensione. Le ansie nelle cancellerie. Nella stampa non se n'è parlato.
La Danimarca padrona degli Stretti. Dai due Belt al Bosforo... -
La simpatia russa per la nostra impresa. Il convegno di Potsdam. La duplice non sveglia più gli stessi entusiasmi. I versi di Rostand. Potenze europeo-asiatiche. Materia infiammabile dappertutto. vanguardia russa nell'Egeo. I monaci del monte Athos. costituzione delle due flotte. mano. Ammiragli loquaci. Il dissidio Austro-Russo. forte del mondo!
Lå---
La risposta al programma navale otto Quello che dice un ammiraglio russo. Cavour e l'amicizia con la Russia. 160 milioni di abitanti. Il più -
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1.
A POCHE MIGLIA DAL BOSFORO? LA RUSSIA E GLI STRETTI.
Tutte le volte che le relazioni fra la Russia e la Turchia sono state tese, la politica di Pietroburgo ha sempre appoggiato le sue Note diplomatiche più o meno comminatorie con dimostrazioni militari, a guisa di minaccia.
Non può quindi recare meraviglia se in conformità di questa tradizione, mentre da Pietroburgo pareva si fosse per chiedere la riapertura dei Dardanelli, si spargesse la voce che la flotta dello Zar incomin ciava ad incrociare a non grande distanza dinanzi all'imboccatura del Bosforo. Mentre tutte le altre potenze, per arrivare con le loro navi a Costantino poli debbono forzare lo stretto dei Dardanelli, la Russia, chiusa con le sue navi nel Mar Nero, deve farle sfilare sotto le batterie che custodiscono l'altro stretto che conduce da questo mare a quello di Mar mara. Le fortificazioni del Bosforo sono certamente meno importanti di quelle costruite a difesa dei Dardanelli però danno sempre da pensare, poichè in vari punti di questo passaggio fra i due mari, della lunghezza di circa 27 chilometri, la distanza che separa le due sponde oltrepassa di poco il mez zo chilometro.
Anche nei ricordi dei grandi avvenimenti svoltisi in questo braccio di mare, come per i Dardanelli, la storia si confonde con la leggenda. Secondo la leg genda, Kouron Tchesmè (fontana secca), una pic cola borgata a cinque o sei chilometri da Costantino
poli sulla costa d'Europa, sarebbe il posto dove Me dea sbarcò con Giasone al suo ritorno dalla Col chide. La storia indica a Ruméli Hissar anche nel Bosforo, come ai Dardanelli, vi è un castello di Europa dove è stato gittato il ponte sul quale Dario fece passare il formidabile esercito che con duceva contro gli Sciti. Chi lo costruì fu un Man drocle di Samos, dell'isola alla quale le recenti can nonate di una nostra nave hanno restituito la libertà alla cui soppressione le Potenze, che per trattato avrebbero dovuta garantirla, avevano assistito indif ferenti.
All'imbocco del Bosforo, dalla parte di Costanti nopoli, la Torre della Vergine ricorda un'altra leg genda : una leggenda d'amore, che non ha nulla a che fare con quella di Leandro, sebbene nelle carte comunemente sia più spesso designata col nome di Torre di Leandro. La leggenda ha un carattere assolutamente turco e si riferisce ad un'epoca rela tivamente recente. Una zingara aveva predetto al Sultano che la sua figliuola prediletta, allora bam bina, sarebbe morta per il morso di un serpente. Allora il Sultano fece costruire quella torre in modo che fosse impossibile l'avvicinarsi dei rettili, e ve la rinchiuse. La bambina crebbe in quella torre e la fama della sua bellezza giunse fino al figlio dello Scià di Persia, che arrivando sul Bosforo trovò mo do di farle giungere dei flori con una lettera, nella quale le manifestava il suo amore. Ma un'aspide che punse la bella principessa era nascosta fra quei fiori. Il veleno stava per compiere l'opera sua e la fanciulla era vicina a morte, quando il suo inna morato riuscì a penetrare nella torre e, succhiando la ferita, la salvò. Il Sultano, come un buon padre delle commedie dei nostri nonni, si commosse, e abbracciando il giovane innamorato si mostrò lie tissimo di dargli la sua bella figliuola... per il suo harem.
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GUGLIELMO, IMPERATORE DI GERMANIA, CON LO CZAR NICOLA II AL CONVEGNO DI PORTO BALTICO.
Lo SBARCO A SIDISAID DELLE TRUPPE GENERALE VINCENZO GARIONI .
Ma nell'epoca moderna il paese più celebre, quello. del quale si parla più sovente, è la piccola città di Therapia (guarigione), nome col quale è stato sosti tuito quello che aveva prima di Pharmakia, del qua le si fa risalire l'origine alla leggenda di Medea e delle sue magie. Il nome moderno è giustificato dalla salubrità e dal clima mite anche nel colmo dell'e state, poichè vi spira sempre un po' di brezza del Mar Nero, ed è per questo che nei mesi caldi, ab bandonando Costantinopoli, vi risiede tutto il corpo diplomatico. Ogni Ambasciata, e quasi tutte le Le gazioni, vi hanno costruito delle ville : il loro pa lazzo d'estate, come si dice abitualmente. Medea non vi ha più nulla a che vedere : ma è invece una pharmakia diplomatica, dove, sotto forma di Note, di comunicati alle Agenzie telegrafiche, si cerca di tenere in vita, di aiutare o indebolire, secondo le circostanze, quel vacillante Impero che da tanto tempo si è convenuto chiamare il Grande Malato.
Vi sono a Therapia i palazzi delle Ambasciate, compresa, bene inteso, la nostra, ma non quella del la Russia. La quale, avendo costruito il suo palazzo d'estate con una certa sontuosità e con un gran giardino a Buyuk-Dere, a due o tre chilometri più in su e dove non vi sono altre rappresentanze di plomatiche, pare abbia voluto marcare anche in questo la posizione speciale e tutta diversa da quella delle altre Potenze che essa ha di fronte alla Tur chia.
Difatti, se ben si guarda alla storia delle relazioni fra Pietroburgo e Costantinopoli, si vede che da par te della Russia è stato un continuo alternarsi della maniera forte con le blandizie. Ma si rileva altresì che amica od alleata della Turchia, tanto l'una come l'altra politica hanno urtato quasi sempre con gl'in teressi dell'Occidente. Per cui è stata sempre sor vegliata con diffidenza.
MANTEGAZZA. Politica estera. - VII. 7
A Therapia
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Le rôle della Russia a Costantinopoli diceva per questo un ambasciatore dello Zar presso il Sultano è assai più semplice di quello che si creda gene ralmente. Consiste nell'essere o la più grande ami ca ola più grande nemica della Turchia. Per.cui le rôle delle Potenze è sempre consistito nel sospettare la Russia tanto in un caso come nell'altro e a pren dere delle precauzioni per opporsi alle sue mire reali od immaginarie.
In fondo è sempre stato per la sua politica in Oriente, per impedirle di schiacciare la Turchia e per non vedere le sue navi da guerra sbucare nel Mediterraneo, che si sono formate le coalizioni mi litari e diplomatiche contro le quali la Russia ha dovuto lottare. Nel 1853 la Russia diventò padrona assoluta del Mar Nero, distruggendo la flotta otto mana con un colpo di mano simile a quello del quale molti anni dopo doveva essere, a sua volta, vittima a Port Arthur. E fu in gran parte questo atto che rese inevitabile a non lontana scadenza la guerra di Crimea, anche perchè le Potenze si sentirono moralmente offese per questa operazione audace, compiuta mentre, a non grande distanza, nella baia di Besika, erano ancorate le navi inglesi e francesi. E se ne ricordarono quando, per dare un definitivo assetto all'Europa, si riunì il Con gresso di Parigi, nel quale fu stabilita la neutraliz zazione del Mar Nero, per cui la Russia non poteva più tenervi navi da guerra, nè arsenali, nè costruir vi fortezze.
Ancora sotto il peso di una grande sconfitta, la Russia dovette piegare il capo. E attese 14 anni l'occasione propizia per lacerare quei patti che essa pure era stata costretta a sottoscrivere. Fu nel 1870, dopo la caduta di Napoleone, quando le vittorie te desche tenevano in ansia l'Europa, che il Cancel liere Gortchakoff con un breve dispaccio circolare
98 L'ORA DELLA RUSSIA
politica dei pourboires
mandato alle Potenze firmatarie del Trattato di Pa rigi, notificò loro che « Sua Maestà Imperiale non intendeva più considerarsi vincolata dagli impegni di quel trattato per quanto riguardava il Mar Nero ». Le ragioni che il Cancelliere svolgeva nella Nota che fece seguito al telegramma, per dimostrare co me quel Trattato avesse creato alla Russia una situazione impossibile, non potendo provvedere alla propria difesa, mentre essa era sempre esposta al pericolo di un'aggressione, erano giustissime. Ma era sempre un Trattato che si lacerava con un sem plice telegramma circolare. La stampa russa invocò allora a sua giustificazione il precedente dell'Italia. Caduto l'Impero francese, diceva, il Visconti Veno sta non ha agito diversamente dal Gortchakoff par tecipando alle nazioni che l'Italia non si intendeval più vincolata dalle convenzioni che le imponevano di rispettare lo Stato Pontificio.
Vi era stato, fin dal principio, un accordo segreto fra Pietroburgo e Berlino, ed era quindi inteso che tale abbandono della clausola che aveva tanto of feso la Russia sarebbe stato il compenso per la sua neutralità durante la guerra? Certo allora fu detto, ed anzi si qualificò col nome di politica dei pour boires la politica che, con questi mezzi, sarebbe stata fatta dal principe di Bismarck.
La Potenza che si sentì più colpita fu l'Inghilterra che protestò vivacemente. Ma le vittorie tedesche avevano già creato una nuova situazione in Europa, ed avevano dato un grande ascendente al Bismarck. Si era già capito che nulla si poteva fare senza met tersi d'accordo col Cancelliere di ferro allora a Ver sailles, all'apogeo della gloria, dopo aver posto la Corona imperiale sul capo del suo Re. Un delegato del Governo britannico giungeva a Versailles nel novembre. Il principe, il quale era sempre sotto l'impressione che l'Inghilterra potesse proporre la
La
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RUSSIA
sua mediazione tra Francia e Germania, volendo evitare assolutamente questo passo, si trovò nella situazione di dover dare una soddisfazione all'In ghilterra, senza disgustarsi con la Russia. E ne uscì con grande abilità. Diede tutte le ragioni all'In ghilterra, trovò scorretto il contegno della Russia e riconoscendo che bisognava fare qualche cosa per regolarizzare la situazione, finì... col proporre al l'Inghilterra di convocare una conferenza. Sapeva che la conferenza oramai non poteva essere che una formalità e che la Russia l'avrebbe accettata.
A Versailles il Bismarck iniziava così quella parte di arbitro dell'Europa che doveva tenere per tanti anni, ed affermava con questo suo primo atto quella egemonia germanica che la sua politica fece per tanti anni pesare sull'Europa.
La Conferenza di Londra accettò il fatto compiuto.
In parecchi articoli della convenzione, dopo avere aboliti quelli che riguardavano la neutralizzazione del Mar Nero, stabilì il regime degli Stretti, che il Congresso di Berlino non modificò. La Russia ha cercato qualche volta però di avere nella questione degli stazionarî una posizione speciale, ottenendo eccezionalmente di poter mantenerne a Costantino poli due, anzichè uno solo. Altra concessione più importante fu quella di ottenere che potessero u scire dal Mar Nero e passare gli Stretti le navi della flotta ausiliaria, cioè le navi mercantili adibite in tempo di guerra al servizio della flotta. È vero che, quando fanno questo servizio, sono anche armate con un certo numero di cannoni. Ma, ufficialmente sono sempre navi mercantili, e quanto ai cannoni, purchè non si vedano... Han più volte passato gli Stretti coi cannoni coperti, e il Sultano non ha sol levato obiezioni. Ma le corazzate che durante la guerra col Giappone avrebbero potuto arrivare nei mari dell'Estremo Oriente prima di quella disgra
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Situazione privilegiata per qualche anno ziata flotta del Baltico, non è stato possibile di farle uscire. Anche nel caso che il Sultano avesse chiuso, non un occhio, ma due, e le altre potenze avessero taciuto, ne avrebbe fatto un casus belli l'Inghil terra, alleata del Giappone. È una strana e dura situazione creata alla Russia più ancora dalla geografia che dai trattati per la quale le è dannosa la parità di trattamento, ove po tessero avere libero passaggio le navi da guerra di tutte le Potenze, permettendo così alle grandi Poten ze navali di andarla ad offendere in casa. E non è possibile pensare che queste si adattino a permet terle una situazione speciale e privilegiata per la quale le navi russe potessero uscire per attaccare le navi degli altri e ritornare nel Mar Nero al sicuro dagli attacchi delle altre marine che non potessero passare gli Stretti. Tale situazione veramente pri vilegiata la Russia l'ebbe realmente per qualche anno, nel periodo nel quale fu alleata della Turchia, quando questa, minacciata dagli egiziani, condotti da Ibrahim, chiese aiuto e protezione a Pietroburgo. Nel trattato di alleanza fu stabilita una clausola se greta, della quale però ebbe sentore l'Inghilterra, in base alla quale la Turchia si impegnava a chiu dere gli Stretti, in caso di guerra, alle navi di tutte le nazioni, tranne che alla Russia. Contro tale ac cordo protestarono subito la Francia e l'Inghilterra, mandando le loro squadre in Oriente. La pace non fu allora turbata; ma pochi anni dopo la Russia do vette riunziare a quella situazione tanto privilegiata, ottenuta con l'accordo segreto del 1833. Senza dubbio questo regime privilegiato è quello che più converrebbe alla Russia, poichè tanto la neutralizzazione degli Stretti come il libero pas saggio per tutti le due soluzioni che sono state tante volte ventilate presentano dal suo punto di vista degli inconvenienti. Ma non può nemmeno
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pensarci. Le Potenze che lo han fatto cessare una volta vi si opporrebbero risolutamente ora. Malgrado i profondi mutamenti avvenuti nella si tuazione e nella carta geografica dell'Europa, e tutto quello che è avvenuto ed avviene nel Mediterraneo per ciò che riguarda l'equilibrio delle forze navali, la questione d'Oriente sopratutto per il problema degli Stretti che la domina sempre continua ad essere, secondo la definizione del Prokesh-Osten, < «<una questione fra la Russia e il resto d'Europa », che adesso si è complicata per la comparsa di due altre marine, alle quali nessuno aveva pensato al l'epoca della convenzione di Londra nel 1870.
Il Mar Nero non è più, come dicevano gli scrittori moscoviti, una corte interna della Russia, e gli Stretti sono le chiavi di casa anche per due altri Stati, piccoli fin che si vuole, ma che possono pian piano organizzare delle marine da guerra di qualche importanza la Rumenia e la Bulgaria. Sebbene in tutti gli atti internazionali relativi al Mar Nero non si parli che della flotta russa e turca, non si può d'ora innanzi non tener conto delle due nuove bandiere da guerra che hanno fatto la loro com parsa nell'antico Eusino e degli interessi di queste nazioni. -
La Bulgaria ha essa pure il suo modesto program ma navale. La sua piccola flotta è sorta, si è inau gurata, forzando diplomaticamente, se così si può dire, i Dardanelli. Circa una quindicina di anni or sono, il Governo fece costruire a Bordeaux la prima nave da guerra bulgara : l'avviso-cannoniera Nadej da. Il Sultano autorizzò il passaggio degli Stretti alla nave che da Bordeaux doveva recarsi a Bourgas; ma dopo lunghe e non facili trattative, e contro l'o pinione dei ministri turchi che avevano invece sug gerito al Sultano la Bulgaria allora era ancora uno Stato vassallo di impadronirsi della canno
102 L'ORA DELLA RUSSIA
bulgaro
niera appena si presentava nello Stretto e incorpo rarla nella flotta ottomana. L'agente bulgaro a Co stantinopoli, il signor Markoff, chiedendo alla Porta l'autorizzazione di far passare la Nadejda, dichiarò risolutamente che, ove tale autorizzazione fosse sta ta negata, la cannoniera avrebbe attraversato ugual mente i Dardanelli, lasciando alla Porta tutta la re sponsabilità nel caso in cui i forti avessero tirato sulla nave.
Come si vede, la questione degli Stretti si è com plicata ora di elementi nuovi, che ne accrescono l'im portanza. Ed oggi ancora gli uomini politici russi possono ripetere quello che dicevano all'indomani del Congresso di Berlino dopo che il Gortchakoff era stato costretto sotto le minaccie inglesi a rinunziare all'apertura degli Stretti imposta alla Turchia nei preliminari di Adrianopoli. « Il diritto di libero pas saggio nel Bosforo e nei Dardanelli per le navi da guerra russe sarebbe stato, il compenso a tutti i sacrifici di una guerra lunga e costosa » .
Epperò, come dicevo da principio, tutte le volte che la questione d'Oriente si ríapre sotto una forma o sotto l'altra, le navi dello Zar incrociano dinanzi al Bosforo...
II.
L'INCOGNITA DELLA RUSSIA.
GLI ALLARMI DELL'ESTATE SCORSA.
L'atteggiamento della politica russa in queste ul time settimane di fronte alla Turchia e il brusco ri chiamo del Ciarikof hanno sollevato vivaci polemi che nella stampa di tutto il mondo, che ha fatto le
L'incrociatore
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ipotesi più disparate per trovarne la spiegazione. Spiegazione che non è facile, se proprio si vuole trovare il fatto, la circostanza, l'avvenimento deter minante, ma che appare relativamente chiara se si considera codesto atteggiamento come il risultato di fattori diversi e della situazione del vasto Impero nella politica europea ed extra-europea. Il Dillon, nell'Observer di giorni sono, non ha posto innanzi l'ipotesi, ma ha affermato addirittura in modo reciso che la Russia è stata costretta ad ammassare delle truppe numerose alla frontiera ottomana per fer mare la Turchia e le sue truppe che, pian piano, paiono mirare alla annessione di una provincia per siana l'Azerbejan dalla quale sarebbe facile, in caso di complicazioni, l'attacco della provincia russa dell'Erivan. Ma, soggiunse subito il Dillon, la Turchia non tratterebbe a questo modo la Russia, se non si sen tisse appoggiata, naturalmente, dalla Germania. Che la politica tedesca, in Turchia come in Persia, e ser vendosi dell'una contro l'altra, abbia sempre cer cato di contrecarrer l'influenza russa e quella in glese non è un mistero per nessuno. Il famoso ac cordo anglo-russo per la Persia è stato determinato per l'appunto dai timori che ad entrambe le nazioni che hanno in quella regione i maggiori interessi, aveva ispirato la politica intraprendente della Ger mania del terzo concorrente, come si diceva allora, quando già si disegnava all'orizzonte la probabilità di una prossima spartizione più o meno dissimulata dell'Iran. Però questa dell'attività eccessiva della Turchia, per quanto abbia una importanza ancora maggiore, data la guerra nella quale essa è impe gnata, non può essere la sola ragione dell'atteggia mento della Russia, così come il movimento di trup pe alla frontiera turca non è la sola manifestazione di questa attività. In una circostanza non lontana
104 L'ORA. DELLA
RUSSIA
non sono solo i suoi reggimenti che ha fatto muo vere, ma le sue navi, e in un momento nel quale sebbene la stampa ne abbia parlato assai poco si credette davvero lassù, nei mari del Nord, di es sere alla vigilia di un conflitto. La rivalità anglo-tedesca domina oramai la poli tica mondiale. Non vi è questione in Europa come, fuori d'Europa nella quale essa non si manifesti sotto una forma o sotto l'altra. Al Marocco, in Tur chia, in Persia, in tutto ciò che riguarda i posse dimenti dell'Europa in Africa, in Asia - ovunque sorgono o sono da tenersi conflitti più o meno apertamente, direttamente o indirettamente, gli in teressi inglesi si trovano di fronte a quelli tedeschi complicando le situazioni. Una delle conseguenze di tale rivalità e dell'enorme aumento della marina tedesca, è d'aver creato una situazione pericolosa alla Russia nei mari del Nord. La Russia ha già una flotta prigioniera nel Mar Nero. Sente che può, da un momento all'altro, correre il rischio di avere le sue squadre imbottigliate nel Baltico. Mai come oggi è forse stata viva e sentita l'aspirazione di otte nere libero il passaggio del Bosforo e dei Dardanelli. La politica della Russia è oggi la più attiva per la ra gione molto semplice che la Russia è il paese più minacciato. In questo principio di secolo, nel quale più che mai si vede come in gran parte dalla loro forza navale dipenderanno i futuri destini delle grandi nazioni, è facile comprendere quali debbano essere le preoccupazioni della politica moscovita pensando al pericolo di avere le sue flotte inutiliz zate in due mari chiusi : dagli stretti ottomani al sud e dagli stretti Dlano-Svedesi al nord. E come tutta l'azione sua debba convergere allo scopo di allontanare tale pericolo, e a non lasciarsi sorpren dere dagli avvenimenti. Questi avvertimenti, queste minaccie che le na
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La
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Russia e il Baltico
zioni si scambiano col far muovere i loro eserciti e le loro flotte, ritenendoli un linguaggio più espres sivo e più efficace delle note diplomatiche, non si sono mai seguiti con tanta frequenza come in que sti ultimi tempi. Ma l'allarme destato dai concen tramenti russi alle frontiere persiane e turche, du rato pochi giorni, è poca cosa in confronto di quel lo che vi fu in due periodi vicinissimi l'uno all'altro nello scorso anno quando la flotta tedesca e la flotta inglese si trovarono quasi di fronte l'una all'altra. Pochissimo se ne parlò allora nella stampa, che non rilevò l'importanza di quelle manifestazioni navali di non dubbio significato. Di alcune nulla si seppe. Solo parecchi mesi dopo vi accennò, ma vagamente, qualche giornale tedesco. E sir Grey vi alluse, ma con molto riserbo, nel suo grande di scorso del novembre alludendo alle « < inquietudini . di quel periodo.
Si era nel momento nel quale il conflitto Franco Tedesco sembrava si facesse più acuto, e il Governo di Londra era intervenuto dichiarando alla Camera dei Comuni che la questione marocchina non era una questione soltanto franco-tedesca. La flotta te desca era sulle coste della Norvegia e vi rimase gi rando qua e là per parecchi giorni : dal 23 luglio al 9 agosto. Prima delle torpediniere entrarono nel porto di Cristiania e col pretesto di fare degli studi fecero numerosi scandagli. Altre torpediniere rima sero in alto mare. Altre infine andarono a fare degli studi altrove.-
Poscia la flotta si radunò. Le navi entrarono nel fiord di Cristiania fino a Drammen. Il Consiglio comunale di questa città, per protestare, rifiutò di votare dei fondi per le accoglienze alla marina te desca, cosa della quale si lagnò apertamente in un discorso fatto in pubblico l'ammiraglio di S. M. l'Imperatore Guglielmo, che aveva il comando di
106 L'ORA DELLA
RUSSIA
Il secondo periodo di tensione
quelle navi. La Norvegia, anche prima di avere per Regina una principessa britannica, era nell'orbita inglese. La comparsa della flotta tedesca fu consi derata come una provocazione all'Inghilterra e una minaccia per la neutralità della Norvegia. Difatti, appena partita la flótta tedesca, furono violentissime le polemiche della stampa e gli attacchi al Governo. per aver tollerato quelle provocazioni, e vennero fuori le proposte non certamente sgradite in In ghilterra, per nuove spese e provvedimenti mi litari destinati a salvaguardare la neutralità del Re gno.
In Norvegia, come a Copenaghen e a Stoccolma, si era creduto assolutamente che le squadre tedesche avessero cercato una base d'operazione sulle coste norvegesi per agire contro l'Inghilterra, appena si fossero verificate certe eventualità. L'allarme fu grande, non però come quello che si ebbe qualche settimana dopo nei Gabinetti europei, mentre nulla o ben poco di quanto accadeva in quei mari era tra pelato nella stampa.
Questo secondo periodo di tensione si verificò dal 17 al 24 settembre. Allora era invece la flotta in glese che si trovava concentrata in completo assetto di guerra sulle coste scozzesi. Le squadre tedesche incrociavano contemporaneamente nello Skager Rak. Numerose navi russe quasi tutta la flotta dello Zar in quei mari incrociavano e sorveglia vano dall'altra parte. Durante 48 ore, dal 19 al 20 settembre, a Cristiania, a Stoccolma e soprattutto a Copenaghen, dove sono ospiti del Sovrano alcuni principi stranieri suoi parenti, si temette lo scoppio delle ostilità da un momento all'altro... Ma, questa volta, nè dal pubblico, nè dai giornali nulla si sep pe. Solo, come dicevo, si ha la prova indiretta del pericolo corso leggendo fra le righe del discorso Grey di due mesi dopo...
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La Danimarca, padrona degli stretti, e con le for tificazioni di Copenaghen che dominano il passaggio fra la costa danese e quella svedese offrendo, una buona base d'operazione, ha in mano la chiave del Baltico. Dopo la guerra del 1864, nella quale la Prus sia strappò alla Danimarca lo Schleswig-Holstein, il piccolo regno scandinavo fu attratto nell'orbita russa, e i vincoli di parentela fra le famiglie re gnanti cementarone sempre più l'amicizia fra i due paesi. Una delle ragioni per le quali la Germania si decise all'apertura del Canale dei due Mari, fu per l'appunto il timore di trovarsi esposta al peri colo di avere le sue navi prigioniere nel Baltico nel caso di una alleanza fra la Russia e la Danimarca. Adesso è invece la Russia che si sente minacciata dallo stesso pericolo, e che, per questo, ha seguito con una certa apprensione la politica di Gugliel mo II riguardo alla Danimarca, che ha condotto ad una riconciliazione fra i due paesi sancita con lo scambio di visite dei due Sovrani nelle rispettive ca pitali qualche anno fa tutti i tentativi della politica tedesca tendono a fare del Baltico un mare chiuso attraverso convenzioni internazionali per la neutra lizzazione degli stretti.
L'esame rapido di tale complesso di circostanze e degli avvenimenti che si svolgono nei mari del Nord, la cui importanza non è meno grande per il fatto che pochissimo se ne parla, fa vedere una volta di più come tutte le questioni oramai si concatenano e come, per il momento, tutto si riallaccia in certo qual modo alla rivalità anglo-tedesca e ne risente l'influenza.
Attraverso tale rivalità per la cresciuta potenza delle forze navali della Germania, ciò che in altri tempi sarebbe forse sembrato una cosa assurda, che cioè la questione degli stretti danesi potesse essere collegata a quella degli stretti turchi e all'equilibrio
108 L'ORA DELLA RUSSIA
del Mediterraneo è oggi una realtà evidente. E non mi pare vi sia il bisogno di lambiccarsi il cervello a formulare le ipotesi più strane per spiegare l'at teggiamento e l'attività della Russia nella attuale situazione dell'Europa, quando, tenendo conto di poche circostanze, emerge assai chiaramente qualit possano essere i suoi obbiettivi, quali i pericoli con tro i quali deve far di tutto per premunirsi. Del re sto, per ritornare a quel concentramento.di truppe dal quale abbiam preso le mosse, vi è anche un'al tra osservazione molto semplice da fare. Il contegno della Russia è assolutamente conforme alle sue tra dizioni. Tutte le volte che vi è stato pericolo di com plicazioni in Oriente, l'Impero degli Zar ha preso a quel modo le sue precauzioni. Nell'Oriente europeo vi è dappertutto della materia infiammabile. Ogni anno, all'avvicinarsi della primavera, si accentua il pericolo di gravi avvenimenti che possono far ria prire la cosidetta questione d'Oriente. Può darsi, e giova sperarlo, che anche quest'anno i consigli e le pressioni delle Potenze riescano ad impedire rivo luzioni e conflitti. Ma la Russia sente il dovere di trovarsi essa pure preparata, poichè non potrebbe, senza vedere gravemente menomato il suo presti gio, assistere agli avvenimenti senza intervenire co me la naturale protettrice delle popolazioni con le quali sente così vivamente la comunanza della stir pe e della religione. In questi ultimi tempi vi è stata una detente nelle relazioni fra la Russia e l'Impero Austro-Ungarico, fino al punto da far credere alla possibilità d'un ritorno alla collaborazione nella po litica orientale e questa volta, ben inteso, assolu tamente insieme all'Italia. Ma non si può non tener conto a Pietroburgo che l'Austria è geograficamente in una situazione più favorevole, e che le discus sioni, in certi argomenti, procedono meglio... quan do con delle truppe ai confini, si dimostra di essere ugualmente pronti ad agire.
Concentramenti
di truppe
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Per riassumere. L'atteggiamento della Russia non è dovuto ad una sola causa : ma a un complesso di circostanze per cui, ai confini turco-persiani, nei mari del Nord, nella Penisola Balcanica e nel Me diterraneo, si possono svolgere avvenimenti dalla cui soluzione dipenderà la sua posizione in Europa.
JII.
IN ATTESA DELL'INCONTRO FRA IL KAISER E LO ZAR.
La simpatia con la quale la Russia, il suo Governo e la sua stampa seguono la nostra impresa, e le non dubbie manifestazioni alle quali tale simpatia ha da to luogo, hanno già fatto versare fiumi d'inchiostro. Nè accennano punto a cessare le polemiche intor no a questo deciso atteggiamento della Russia in favor nostro, specialmente al di là delle Alpi, dove, secondo alcuni, per l'appunto intorno alla questione della guerra italo-turca, nella quale il Grande Im. pero e la Repubblica hanno interessi diversi e for.. se in conflitto, si è andata determinando, a poco a poco, quella che si potrebbe chiamare la seconda crisi dell'alleanza turco-russa.
La prima si verificò all'epoca del convegno di Pot sdam di due anni fa, quando, dopo i malumori della grande crisi balcanica, l'Imperatore tedesco e lo Zar sancirono l'accordo che prese il nome del posto dove avvenne il convegno. Non vi era cosa alcuna in quegli accordi che potesse colpire gli interessi del la Francia; ma furono sanciti in un momento nel quale le relazioni di Parigi e Berlino erano piutto
110 L'ORA DELLA RUSSIA
sto tese ed in Francia ciò produsse una profonda impressione. In questa seconda crisi, la situazione, è naturalmente parecchio diversa. Le relazioni fra l'I talia e la Francia, malgrado un recente e doloroso incidente, sono sempre buone. Il che però non to glie che in Francia non si dissimuli una certa preoc cupazione per la posizione che ha preso e prenderà sempre più l'Italia nel Mediterraneo; preoccupazio ne della quale, in forma misurata, ma non per que sto meno significante, si sono fatti eco giornali e scrittori fra i più autorevoli.
L'alleanza con la Russia rimane sempre la base della politica francese. Ma siamo oramai ben lon tani dall'epoca nella quale le midinettes parigine ma-´ nifestavano i loro entusiasmi patriottici abbraccian do per le strade i marinai dell'ammiraglio Avellane, e il Rostand scriveva per la serata di Compiègne, quando ivi erano ospiti della Terza Repubblica gli Imperiali Russi, i famosi versi per la giovane Zari na, nei quali Imperatrice faceva rima con le pied qui glisse... e non si sente, sui tappeti delle sale ove fu regina di grazia e di bellezza l'Imperatrice Eu genia. Non parliamo poi della finanza. La banca fran cese non può a meno di seguire con una grande ap prensione lo svolgersi degli avvenimenti, e preoc cuparsi della tensione delle relazioni russo-turche, pensando che ha dato denari tanto alla Russia quan to alla Turchia, dove, a parte i prestiti, ha ingenti capitali impiegati.
L'Italia, che la diplomazia europea era da anni abituata a considerare, non solo come un costante elemento di pace, ma come un paese deciso a far sempre tutto il possibile per evitare conflitti, que sta volta, con l'azione sua, ha disturbato tutti, e, si badi bene, in un momento nel quale della materia infiammabile ve n'era già dappertutto, in Cina, in
Entusiasmi lontani.... 111
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Persia e nel Marocco. Ma, se, da una parte, è natu rale che tutti gli sguardi siano rivolti verso la Rus sia, e nelle Cancellerie si discuta e si cerchi di sco prire a quali fini immediati o lontani miri il suo deciso atteggiamento, la diplomazia europea non può essere sorpresa dal fatto che essa accenni a voler prendere una parte preponderante nello svol gersi degli avvenimenti, che è conforme alle sue tra dizioni, ai suoi interessi, e che le è imposto dalla sua posizione geografica di fronte alla Turchia. La Russia è, come la Turchia, una Potenza europeo asiatica. Le acque dei due mari interni, il Caspio e l'antico Eusino, bagnano le coste di due continenti. I due imperi, se non hanno più una frontiera comu ne in Europa in terraferma, l'hanno ancora in certo qual modo nel Mar Nero, del quale si sono divisi le coste dopo essersene per secoli disputato il possesso, e confinano l'uno coll'altro in Asia. Dal giorno dal quale è sorto, l'Impero russo si è sempre trovato a dover lottare con la Turchia, e si può dire che sieno state oltrettante vittorie su quest'ultima le tappe del la rapida ascensione della sua potenza. Per questo complesso di circostanze, non ha mai potuto rima nere estranea o passiva spettatrice ogni qualvolta la Turchia si è trovata impegnata in un conflitto con altre Potenze, poichè una sconfitta o una vittoria delle armi o della diplomazia ottomana, ha imman cabilmente la sua ripercussione nella politica russa. Come avrebbe potuto rimanere indifferente ora, non preoccuparsi e non agire, mentre una grave crisi interna minaccia addirittura lo sfacelo dell'Im pero degli Osmani, e l'Italia, dopo aver combattuto sulle coste libiche, fa sventolare il tricolore nelle i sole dell'Egeo : nel mare nel quale la Russia spera presto o tardi possano fare la loro comparsa sbu cando dai non più chiusi Dardanelli e dal Bosforo le navi della sua flotta prigioniera nel Mar Nero?
112 L'ORA DELLA RUSSIA
DERNA ( 11 febbraio 1912 )
CUMULO DI BEDUINI MORTI SOTTO IL MURO DELLA RIDOTTA LOMBARDIA .
VON JAGOW, AMBASCIATORE GERMANICO A ROMA.
In quell'Egeo verso il quale aveva spinto come sua avanguardia la Bulgaria col trattato di Santo Ste fano, e dove sulla punta di una delle tre lingue del la Penisola Calcidica quella specie di repubblica mo nacale del Monte Athos, largamente sovvenzionata dal panortodossismo di Mosca e di Pietroburgo, pare stia lì a vigilare attendendo il giorno nel quale, sven tolando a poppa delle corazzate moscovite, spunterà all'orizzonte l'azzurra croce di Sant'Andrea? Dopo il richiamo dell'ambasciatore Ciarikoff, do vuto si disse a un passo fatto relativo alla que stione degli stretti presso la Sublime Porta di sua personale iniziativa, e non approvato a Pietroburgo, la stampa russa si direbbe che ha come la parola d'ordine di non parlare della questione degli stretti. Ma che essa continui a preoccupare la Russia, e che, a un momento dato, possa essere risollevata non pare dubbio. Il proposito di sollevarla appena se ne presenti l'opportunità, e, all'occorrenza cercando di crearla, è stato affermato, mi pare, con una certa solennità il giorno nel quale sono state messe in cantiere le tre dreadnoughts che presto solcheranno le onde dell'Eusino. Si sono votati 310 milioni per questa flotta del Mar Nero, e lo Zar è andato ad ispe zionare i lavori per l'ampliamento dell'arsenale di Sebastopoli. In quel momento per le circostanze che l'accompagnarono, la messa in cantiere delle tre nuove dreadnoughts sembrò una manifestazione del la Triplice Intesa. La Duma aveva stabilito che que ste navi dovessero essere fatte in cantieri russi, con operai russi, e con materiali russi. Il che non pote va nè voleva escludere che come poi avvenne si ricorresse ad ingegneri navali inglesi, e, natu ralmente, le navi fossero costruite con capitale fran cese. Per questo, si parlò allora della Triplice In tesa... applicata alle costruzioni navali. Un'altra coincidenza va notata a proposito del ra MANTEGAZZA. Politica estera. - VII.
I crediti per
la flotta
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pido concretamento del programma navale russo nel Mar Nero. È stata come la immediata e pronta ri sposta al programma navale ottomano, nel periodo nel quale anche a Costantinopoli si fondava una Le ga Navale e si aprivano in tutti i paesi dell'Impero sottoscrizioni per raccogliere fondi destinati alla co struzione di navi da guerra.
In parecchi paesi d'Europa vi sono degli ammi ragli che una volta lasciata l'armata, parlano e scri vono manifestando apertamente le loro opinioni. In Austria l'ammiraglio Chiari, in Inghilterra il Bere sford, per citare i due primi esempi che mi vengono sotto la penna. In Russia chi ha parlato, addirittu ra, come si suol dire, da enfant terrible su questa questione della flotta del Mar Nero è stato l'ammi raglio Skrydloff, l'ex comandante della squadra del Mar Nero, il quale in un discorso dello scorso anno, che sollevò discussioni e commenti vivaci, disse che bisognava avere « occhio alla Turchia » e dopo aver rilevato i sacrifizî ai quali quest'ultima si mostrava pronta per costituirsi una flotta, aggiungeva : « La flotta austriaca e la flotta Turca crescono parallela mente. Quale è il nesso causale dei due fenomeni? » La stampa ufficiosa di Pietroburgo, naturalmente non ha mancato di criticare il linguaggio poco di plomatico dell'ammiraglio a riposo. Ma oggi, come in tante altre circostanze lontane e vicine, è la ri valità austro-russa nei Balcani che preoccupa e de termina la politica di Pietroburgo in Oriente. A parte due o tre tentativi di collaborazione che han no avuto più che altro il carattere di tregue, come quello di Muntzeg, l'ultimo in ordine di data, que ste due Potenze si sono sempre trovate di fronte l'una all'altra, e, più che mai, in questi ultimi tempi, dacchè l'Impero degli Absburgo ha vieppiù intensi ficato la sua azione da quella parte. Tutte le altre Potenze spiegano la loro attività nel conquistare o
114 L'ORA DELLA RUSSIA
Cavour e l'amicizia russa
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ingrandire colonie al di là del mare. L'Austria-Un gheria non ha possedimenti lontani. Quella verso l'Oriente è la sua politica coloniale. Se si è operato quasi da sè, se così si può dire, il riavvicinamento italo-russo, è perchè si è capito anche da noi che bisognava mutare rotta, e abbandonare vecchi e vieti pregiudizi che nulla hanno a che vedere con la politica estera, e per i quali, all'epoca della guerra dell'Estremo Oriente, vi furono in Italia giornali ed uomini politici che applaudivano alle vittorie giap ponesi, senza pensare che ogni diminuzione di for za e di prestigio della Russia in Europa era un dan no per noi. Il riavvicinamento, come dicevo, si fece da sè all'epoca della grande crisi balcanica per l'an nessione della Bosnia. Ed è curioso il constatare come si ripetano sotto certi aspetti le situazioni a tanti anni di distanza. È l'amicizia dell'Austria per la Turchia e il suo accanimento nel contrastare le aspirazioni russe nei Balcani e nel Mar Nero, che determinarono più di mezzo secolo fa la ripresa delle buone relazioni fra l'Italia e la Russia dopo la guerra di Crimea. E lo constatò il Cavour nel di scorso per Roma capitale del marzo 1861. « Nessuna Potenza diceva allora il grande statista - si mostrò più ostile alla Russia, nel Congresso di Pa rigi, più ostinata ad aggravare le condizioni di pace quanto l'Austria, che non aveva nemmeno sfoderata la spada. E noi dobbiamo proseguiva il Cavour accennando alle relazioni difficili fra i due Imperi a tutto questo la facilità con la quale si sono ri stabilite le buone relazioni fra la Russia e noi. » Ripeto. Il parallelo, il richiamo storico regge sola mente sotto un certo aspetto. Adesso noi siamo gli alleati dell'Austria. Abbiamo cercato, e cercheremo ancora di smussare gli angoli, di addivenire a com promessi ed accordi anche nella questione balca nica. 115
Quanto alla Russia, vi è una frase della quale si abusa da un pezzo in qua nel linguaggio diploma tico e nei comunicati officiosi coi quali si commen tano i convegni dei Sovrani e dei ministri, quella famosa della identità di vedute, e l'uguale interesse al mantenimento dello statu quo. Ma se vi è stato un caso nel quale la frase fu sincera, è stato quando fu scritta all'indomani del convegno di Racconigi. Intendiamoci bene, queste intese, questi accordi spe ciali, come le ententes, non rappresentano degli im pegni che distruggono le alleanze, ma, come fu detto, degli stati d'animo che permettono di risol vere tante questioni. Le alleanze rimangono quelle che sono impegni assoluti e formali che legano. Ma gli accordi e le amicizie la Russia ha dato il nome di salda amicizia a quella sua con l'Italia permettono di trovare altri punti di appoggio in determinate circostanze e per determinate questioni. In un periodo di tempo assai breve il Grande Im pero Moscovita ha proceduto alla ricostituzione del le sue forze militari ed economiche. Si è verificato per la Russia come per la sua alleata dopo il 1870, un vero miracolo. Si è rialzata in pochi anni e oramai non sono più che un lontano ricordo tanto le sconfitte di Manciuria come la rivoluzione, che in certi momenti, aveva fatto temere addirittura del la solidità dell'Impero! Quattro anni fa, all'epoca della grande crisi balcanica, la Russia era ancori nel periodo del raccoglimento. Fu sorpresa impre parata dagli avvenimenti. Adesso la sua situazione è già molto diversa, e fra qualche anno sarà forse l'arbitra della situazione col formidabile esercito e la grande marina della quale potrà disporre. Rian dando la storia diplomatica di questi ultimi anni, specie se la si potesse conoscere fino da ora in tutti i suoi particolari, si vedrebbe forse che, se tutti gli accordi e le intese nelle quali ha avuto parte la Rus
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116 L'ORA DELLA RUSSIA
L'esercito più forte del mondo
sia, sono stati da essa desiderati, i primi passi sono stati fatti dagli altri, pei quali l'intesa col grande Impero era la condizione imprescindibile per avere libertà di movimenti altrove. E tutte o quasi le Po tenze hanno oramai accordi speciali, o si trovano con essa in relazioni più che amichevoli. Non è na turalmente il caso di parlare di una egemonia rus sa in Europa. Ma, certo, la sua potenza militare che cresce ogni giorno la impedisce agli altri. Si pre senta quella che si potrebbe chiamare : l'ora della Russia.
In un'epoca nella quale la forza di un paese di pende dalla sua demografia, che ciò avvenga è del resto naturale e spiegabilissimo. Con più di 160 milioni di abitanti la Russia può teoricamente, e in proporzione della popolazione, mettere insieme un esercito doppio di quello della Germania! Molte cir costanze la vastità dell'immenso Impero, la man canza di comunicazioni, la molteplicità delle razze, le difficoltà amministrative, e molte altre cause, im pediscono che ora avvenga nella pratica ciò che è evidente in teoria. Ma ogni giorno qualche difficoltà si elimina, qualche impedimento si vince, e l'ora della Russia può suonare quando, anche senza ar rivare al massimo della sua potenzialità, il suo esercito sarà il più forte del mondo... 2 giugno.
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QUALCHE OSSERVAZIONE SULL' ANDAMENTO DELLA GUERRA.
ANCHE AL TEMPO DELLE STRAGI ARMENE
L'Italia doveva forzare i Dardanelli. La stampa d'opposizione. Gli ufficiosi discordi. Manca un indirizzo, che il governo dovrebbe dare. Come hanno le notizie della guerra nei Balcani. Per tranquillizzare il nemico. Le assicurazioni d'un amico del governo. Gli ordini per la Umberto. L'ordine di sospendere ogni cosa. Fra Crispi e il Ministro della Marina. Le isole occupate.
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Le squadre inglese e italiana a Salonicco. --
ANCHE AL TEMPO DELLE STRAGI ARMENE
L'ITALIA DOVEVAa forzare i DarDANELLI (1).
Mi permettete nelle colonne del vostro giornale una parola franca, e alcune brevi osservazioni sul l'atteggiamento del Governo di fronte alla guerra, osservazioni, che, dal più al meno tutti facciamo quotidianamente a voce bassa, ma che non portia mo in pubblico temendo di nuocere e continuando a ripetere, che, in questo momento non si può e non si deve fare dell'opposizione? Siamo d'accordo con ciò che mi avete detto tante volte. Dal primo giorno della guerra il Giornale d'Italia non è più quello di un tempo perchè l'amore e l'interesse su premo della Patria impegnata nella sua grande im presa consigliano e impongono di far tacere gli in terni dissensi. Data la guerra e la situazione diplo matica così delicata e che muta ogni giorno voi pen sate giustamente che sarebbe deplorevole se la stampa anche non ministeriale creasse o fomentas se polemiche che, avendo certamente una eco nella stampa europea, e specialmente in quella più o me no dissimulatamente turcofila, potrebbero creare imbarazzi al Governo. Ma è questione di misura. Io non credo che tale riserbo, doveroso in certe cir costanze, debba spingersi per codesto timore di essere accusati di fare dell'opposizione mentre il paese è in guerra fino al punto di abbandonare
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(1) Lettera al Giornale d'Italia del 30-31 agosto.
DELLA GUERRA
ogni critica. Tanto più quando si ha la speranza o la convinzione che tale critica misurata, obiettiva e della quale a nessuno è permesso di mettere in dubbio lo scopo e il fine che si propone possa qual che volta giovare ad evitare o ad attenuare degli errori.
E poichè ho parlato della stampa, dopo aver tro vato eccessivo il riserbo che una parte di essa si è imposto, lasciatemi esprimere la più grande mera viglia nel constatare come il Governo non abbia sa puto finora approfittare di queste disposizioni, per organizzare e in certo qual modo disciplinare la stampa la quale non domanda di meglio che di essere la collaboratrice dell'opera sua. Per cui si as siste spesso all'edificante spettacolo di giornali in voce di ufficiosi che manifestano idee diverse o si contraddicono addirittura discutendo su argomenti di vitale importanza. La guerra nella quale siamo impegnati da nove mesi, è una guerra diversa da tutte le altre, e nella quale, contemporaneamente al le battaglie ed alle operazioni che si svolgono sulle coste Libiche e nell'Egeo, si combattono quotidiana mente altre battaglie diplomatiche nelle cancellerie; battaglie nelle quali gli articoli dei giornali dei vari paesi, la notizia lanciata a tempo, sono, in certo qual modo, le prime avvisaglie : le manovre esplora trici. Non ho bisogno certamente di ricordare come in alcuni di questi paesi, e per l'appunto quelli nei quali la loro politica estera ha i maggiori successi, sia, per l'appunto questa disciplina della stampa nel le questioni più gravi e più delicate uno dei coeffi centi di tali successi. Non tocca a me suggerire il modo col quale tale affiatamento si possa ottenere. Mi limito a constatare che per ora non v'è mai stato. Chi vi scrive, in parecchie circostanze, e da pa recchi anni, ha deplorato non si sia pensato a disci plinare un po meglio il servizio delle Agenzie tele grafiche.
122 OSSERVAZIONI SULL'ANDAMENTO
Le notizie della guerra nei Balcani!
Per esempio, soltanto attraverso la Correspondan ce Bureau che è un'Agenzia austriaca sono di ramate tutte le notizie della guerra alle agenzie te legrafiche balcaniche ad essa collegate, e siccome nei Balcani non è certo l'Austria che ha interesse a che cresca di prestigio il nome italiano, è facile farsi un'idea del come arrivano a Sofia e a Belgrado le notizie che ci riguardano! Io prego vivamente l'ono revole Giolitti di voler leggere dalla prima all'ultima parola un efficace articolo, pubblicato a questo pro posito da un giornale amico suo : la Stampa di To rino. In quell'articolo mandato al giornale piemon tese dal suo corrispondente nei Balcani è lucida mente trattata la questione e messo in evidenza il danno che viene al prestigio dell'Italia per questo fatto, e dalla continua comunicazione da parte della Correspondance Bureau delle notizie false che le pervengono da Costantinopoli, mentre dà solo in poche righe e spesso mutilate quelle della Ste fani, per modo che sono trasformati in sconfitte i successi delle nostre armi. A Sofia, racconta il cor rispondente, il direttore di un grande giornale gli ha domandato, per l'appunto sulla base di queste notizie, se era vero che gli italiani avevano già ab bandonato Tripoli! E quel che succede nei Balcani si verifica presso a poco nelle altre parti di Europa e del mondo. Così si sono create e diffuse all'estero false leggende sulla guerra.
Or bene. Io non posso credere che l'on. Giolitti, sapendo queste cose, non si renda conto della gra vissima importanza loro, e non cerchi di provvedere
immediatamente.
È inconcepibile che qualche mese fa sia uscito un comunicato che per smentire le notizie date da qual che giornale diceva che, per il momento comedifatti avvenne l'Italia non pensava ad alcun'a zione nell'Egeo. Quando si pensa, che, in quel mo
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DELLA GUERRA
mento, la sola preoccupazione della Turchia, era il timore di una nostra azione nell'Egeo; come la sola idea che la loro flotta avrebbe dovuto, come accad de, rimanersene inattiva, creava dissidii e contese fra i Giovani Turchi e nel Governo; che, insomma, la minaccia soltanto creava in Turchia e a Costan tinopoli una situazione difficile, non è il colmo della inabilità da parte nostra, essere proprio noi con un comunicato di quel genere a tranquillizzare il ne mico? È stato un colmo. Tanto che, mi pare avesse tutte le ragioni un antico diplomatico straniero il quale, accennando a quel comunicato, mi doman dava se eravamo diventati matti!...
Ma dacchè mondo è mondo quando una minaccia, è temuta dal nemico, lo si lascia sotto questa minac cia. Più che mai, in una guerra come questa nella quale per la sua fine, per la soluzione del conflitto hanno una enorme importanza i fattori morali...
È quello che si ritorna a fare ora, assicurando in un modo reciso che non si pensa più ad operazioni nell'Alto Egeo. Un autorevole pubblicista deputato ed amico dell'on. Giolitti, l'on. Cirmeni, stampa in un giornale amico del Presidente del Consiglio, che l'Italia vi ha rinunziato per aderire al desiderio di Potenze amiche i cui interessi sarebbero da una tale azione profondamente turbati. La notizia è sta ta data in termini così recisi che, a molti, è persino sembrata una manovra per potere invece preparare tranquillamente queste nuove operazioni. Mi au guro vivamente che ciò sia. Ma se mi inganno, io mi domando perchè l'Italia deve mostrarsi così remis siva, e perchè, anche rinunziando per ora, a questa azione nell'alto Egeo, con quello che dice l'ono revole Cirmeni, e così autorevolmente anche per le sue relazioni personali, si debba proprio dimostrare che, nella guerra, seguitiamo a preoccuparci più degli interessi degli altri che dei nostri. Adesso poi,
124 OSSERVAZIONI SULL'ANDAMENTO
Chi doveva forzare i Dardanelli
anche i nostri interessi danneggiati con le migliaia e migliaia d'italiani espulsi, mi pare dovrebbero con tare qualche cosa nella bilancia. Come in varie altre circostanze, durante questa ostra Impresa di Tripoli, e nel periodo della sua preparazione, il pensiero corre all'on. Crispi. Ma vi dovrebbe correre più che mai oggi, a proposito di quanto avviene nell'Egeo se fossero note circostanze e precedenti che, per la prima volta e ancora non in tutti i loro particolari mi pare opportuno portare in pubblico. Si era all'epoca delle stragi ar mene, e un'azione combinata tra le flotte inglese ed italiana era stata coordinata fra i due Governi. Co mandava la nostra squadra il compianto ammira glio Accinni, ed era con lui, col grado di capitano di vascello e comandante della Umberto, salvo er rore, l'on. Bettòlo. Le due squadre si riunirono a Salonicco dove ebbero luogo ripetuti convegni fra l'ammiraglio italiano e l'ammiraglio inglese. Fu in quei convegni stabilito il piano in tutti i suoi par ticolari per forzare i Dardanelli. E l'onore di passare prima era stato lasciato all'Italia. Chi doveva forzare lo stretto era l'Umberto ed erano già state designate le navi antiquate già esse pure a Salonicco che dovevano essere mandate avanti e destinate al l'eventuale sacrifizio.
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Quando tutto era stabilito e l'azione era imminente venne l'ordine di sospendere ordine che il Crispi aveva naturalmente comunicato al ministro della marina perchè fosse trasmesso all'Accinni. Il giorno dopo mentre Crispi pranzava, qualcuno gli disse che i giornali annunziavano il ritorno della squadra. Il Crispi rispose secco secco che non era vero. -Eppure, osservò qualcuno, la notizia è data con intonazione ufficiale, come proveniente dal Ministero della marina. 125
DELLA GUERRA
Qualcuno va a prendere il giornale e lo dà a leg gere al Crispi il quale va su tutte le furie, e manda il suo capo di gabinetto dal Morin per pregarlo di andare subito da lui. Venti minuti dopo Morin era dal Crispi. Il quale lo investì con parole violentissi me delle quali poi si deve essere certamente pentito. Ma in quel momento non seppe misurarne la por tata duramente offensiva per il vecchio marinaio. L'azione era sospesa di comune accordo con l'In ghilterra nella speranza di ottenere lo stesso ciò che si voleva dal Sultano. E di sospenderla egli aveva dato ordine. Ma con questo non aveva inteso di far ritornare la flotta. Tutt'altro! Doveva più che mai rimanere a Salonicco come una minaccia, poichè con la minaccia sarebbe stato più facile ottenere. Ho ricordato l'incidente. E non credo sia necessa rio, pensando a quanto accade ora, di fare altri com menti.
Allo stesso modo che per le operazioni nell'Alto Egeo è doloroso che il Governo tanto per ritor nare da dove ho preso le mosse non abbia dato una intonazione alla stampa, e lasci che, senza ri cordare i precedenti e la speciale posizione delle iso le di fronte alla Turchia anche prima della guerra, se ne discorra come se l'Europa dovesse poi dispor ne, anzichè l'Italia. Ci deve essere anche a questo proposito una opinione pubblica, la quale abbia la sua ripercussione all'estero, dove non si può lasciar credere, che l'Italia, dopo aver fatto opera di civiltà liberandole dal giogo turco, si rimetta senza preoc cuparsi d'altro a quello che farà di esse l'Europa. E ciò indipendentemente dalle guarentigie che quelle isole tranne Rodi - godono da secoli, perchè non furono conquistate da Solimano, ma si diedero a lui spontaneamente, sotto certe condizioni : differenza importantissima di fronte alla Legge Sacra che trat ta diversamente il paese di conquista, e in questo
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126 OSSERVAZIONI SULL'ANDAMENTO
L'Italia e le isole
caso non si tratta più di territori ottomani, per le cui popolazioni l'Europa vuole delle garanzie. Sono territori sui quali ora sventola la bandiera nostra, sono territori oggi italiani, dei quali noi in un trat tato di pace possiamo restituirne una parte : ma con quelle condizioni e garanzie che metteremo noi, che debbono, se mai, far parte integrale del Trat tato, e che rappresentano da parte dell'Italia un de bito d'onore verso popolazioni, che hanno accolto acclamando le nostre truppe liberatrici. Ma è un debito che dobbiamo e vogliamo soddisfare noi, che in nome della civiltà, e contro la barbarie turca ab biamo proclamato la guerra! Tanto meglio se dopo l'Europa interverrà a garantire essa pure. Ma oggi come oggi è l'Italia che deve pensare, e non ammet tere nemmeno che altri si sostituisca nell'adempi mento di un suo alto e nobile dovere.
Ho scritto a voi, carissimo Bergamini, (1) ma non vi nascondo la speranza che queste poche osservazio ni, che non ho mezzo di sottoporre diversamente alla loro attenzione, cadano sotto gli occhi degli uomini che sono col Governo; e che possono pensare a prov. vedere, non mosso da spirito di opposizione, e fa cendo anzi i più fervidi voti perchè ciascuno nella vasta o modestissima sfera delle proprie attribu zioni e della propria attività, sia, in circostanze come le attuali, il collaboratore alto o umile dell'o pera del Governo.
(1) II direttore del Giornale d'Italia.
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LA PACE.
MANTEGAZZA. Politica estera. -VII.
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I.
- QUALE PACE VUOLE IL PAESE.
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Il dovere della stampa. Riserbo eccessivo. Ci vorranno
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II. L'IDILIO DI OUCHY. Si prolunga soverchiamente.
Le trattative ufficiose. Furberia turca. Non fare la pace prima delle elezioni. quindi due o tre mesi. E la Turchia che fa annuciare ufficiosamente le trattative. Situazione diplomatica migliorata. Abbiamo dei pegni in mano. Mercanteggiamo pure.-
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Le trattative han durato abbastanza. I fiduciari... che sono veri de legati. Non si può pensare che due ministri non sieno dei veri e proprii plenipotenziarii. I governo ottomano e l'opinione pubblica in Turchia. E l'opinione pubblica italiana? Non è soddisfatta. Alla ricerca della formula. Il rappresentante del Califfo. Dichiarazioni comparse sui giornali. La questione delle isole. Amicizie ed alleanze. capitolazioni a rovescio. Niente
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III. LE DUE GUERRE E LA PACE. Sentimenti ed interessi.
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Aspettando la pace. La redazione del protocollo. Il sindaco di Lo sanna. Una grande disillusione. Una proposta Marschall. Penosa coincidenza. La politica del sentimento. Non esageriamo in senso opposto. I telegrammi del Governo al generale in capo. Comanda vano tutti! Il generale Caneva. I servizii da lui resi. I primi albori della civiltà in Libia.
IV. LA PACE A QUESTE CONDIZIONI SI POTEVA CONCLUDERE DIECI MESI FA.
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Si scontano gli errori della guerra. Non è pace vergognosa. Pace di adattamento. Il leit-motif delle apo logie ufficiose. Ragionamenti troppo semplicisti. L'eccesso nella lode. Gli espulsi dimenticati. Un esempio citato male. Le contraddizioni di quelli che vogliono lodare ad ogni costo. L'esempio di Massaua. Le isole E Chio? - Il giudizio sintetico di un illustre parlamentare. Le vere ragioni che militano in favore della pace. Coincidenza dolorosa. Che si poteva evitare. Una frase poco gentile del Poincaré. Gli er rori nella condotta della guerra. Il bilancio della pace. Il pronto ri conoscimento delle Potenze. La cortesia della Russia. La situazione internazionale. Quanti dei suoi quindici Corpi d'esercito l'Austria può portare alla frontiera? Non luminarie. -
V. L'ESEMPIO DELLA BOSNIA. A proposito dell'intervista Bertolini.
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Paragoni che non si posson fare. Altri territori ottomani ceduti senza alcuna condizione. Ancora la Bosnia. L'articolo dell'accordo Austro turco che fa risaltare la differenza. L'articolo di quell'accordo relativo al culto. La preghiera per il Sultano nel Decreto Reale.
IL TRATTATO DI LOSANNA. VI. Cessazione delle ostilità. Scambio di prigionieri. L'indipendenza eco nomica della Turchia. Gli uffici postali. Le capitolazioni. Gl'im piegati italiani. Almeno 50 milioni. Il Firmano di Maometto V. Il Decreto di Re Vittorio Emanuele III. L'iradè per le isole dell'Egeo. La Sovranità dell'Italia rico L'iradè per l'amnistia a Sidi Idriss. nosciuta dalle Potenze.
VII. -
IL RAPPRESENTANTE DEL SULTANO. L'opinione di due Orientalisti.
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I.
QUALE PACE VUOLE IL PAESE (¹).
Le trattative per la pace o, sia pure i semplici pourparlers per vedere se vi è mezzo di iniziarle essendo oramai confermati, mi permetterete ancora qualche breve osservazione sul vostro autorevole giornale?
Che in Turchia si vada facendo più forte la cor rente per la pace, è evidente. Le parole di qualche ministro, il linguaggio della stampa ben diverso da quello di qualche mese fa non lasciano alcun dub bio. Ma vi sono circostanze, considerazioni, e, sopra tutto la situazione interna dell'Impero che obbliga no anche i più convinti della necessità della pace . ad essere cauti.
D'altra parte non bisogna dimenticare che, pro prio in questo genere di trattative, la diplomazia turca ha dimostrato attraverso i secoli e le crisi che più di una volta ne hanno minacciato l'esistenza, una abilità, una souplesse, una furberia meravi gliosa.
Dio mi guardi dal voler dare consigli o suggeri menti, alle persone quali che sieno, alle quali il Governo ha affidato o può affidare l'incarico di que ste prime trattative ufficiose. Sono più che con vinto che il Governo saprà sceglierle fra coloro che alla abilità diplomatica congiungano la conoscenza
(1) Lettera al Giornale d'Italia.
necessaria della storia e della mentalità ottomana, non solo, ma dei movimenti complicati i quali pos sono da parte del Governo Ottomano determinare questa o quella linea di condotta, e magari, le ap parenti contraddizioni che vi sono sempre nella po litica turca.
Ma, detto questo, io credo la stampa non debba affatto mantenere sulla questione della pace, l'as soluto e rigido riserbo da alcuni consigliato come un dovere. A me pare abbia invece il dovere di ma nifestare apertamente il suo avviso, non solo perchè il pubblico abbia dinnanzi a sè tutti gli elementi per discutere e giudicare, ma perchè è necessario si sappia in Europa che cosa vuole l'opinione pubblica in Italia. Guai se con il silenzio o col riserbo ecces sivo da alcuni consigliato si lascia ingenerare la convinzione che l'opinione pubblica è disposta a transigere su molte cose! Epperò ho applaudito di tutto cuore al vostro articolo di giorni sono col ti tolo : « Pace vittoriosa » nel quale mi pare fosse fa cile capire il vostro concetto perfettamente all'uni sono col sentimento generale del paese che cioè, dopo un anno di guerra, e tutto quello che è acca duto, si può forse ancora essere concilianti, ma non certo come si poteva esserlo dieci o undici mesi sono. Ma di questo, discorreremo dopo. Intanto, lasciatemi notare, come una delle solite contraddizioni della diplomazia ottomana, alle quali ho accennato, si verifica di già. La pace e da un certo punto di vista si comprende che possa deside rare di ingannarmi non mi pare ancora così vi cina, come, fra le righe si vede, lo crede una gran parte della stampa europea. Se nulla interviene a mutare la situazione interna della Turchia, a me pare difficile possa concludere la pace prima delle elezioni : il che equivarrebbe a fare le elezioni con la platform della pace, dando quindi buon giuoco
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nell'Egeo sospesa
ai Giovani Turchi i quali, sebbene vinti, conservano ancora della forza, e ne riacquisterebbero certamente accusando i loro avversari di tepido patriottismo. Col complicato sistema elettorale stabilito dalla Co stituzione ottomana per fare le elezioni ci vogliono circa due mesi, e la nuova Camera si dovrebbe poi riunire in novembre. Ripeto : da un momento al l'altro ci si può trovare di fronte a qualche sorpresa; ma se le cose non mutano non pare possibile che il Governo, pur avendone tutte le intenzioni, possa con cludere la pace prima di quell'epoca, o almeno fino a che un certo numero di risultati di codeste elezioni gli avranno assicurato una larga maggioranza nella nuova Camera.
Quanto all'annunzio, ufficioso, anzi quasi ufficiale, dei pourparlers svizzeri, dato con una certa osten tazione, si può benissimo spiegare col desiderio e la speranza di tenerci a bada : di evitare qualche colpo da parte nostra, se, invece, crediamo che ad un re sultato si possa giungere al più presto. Epperò ri tengo che anche un armistizio, ove le basi essen ziali della pace non fossero stabilite, sarebbe a tut to danno nostro.
L'arresto di ogni nostra azione nell'Egeo e la con vinzione che null'altro si vuol fare per ora ha già avuto una grave conseguenza. Ha permesso alla Tur chia di portare alla frontiera bulgara delle truppe che erano a Smirne e che da quella regione non a vrebbe certamente mosso qualche mese fa. Conse guenza grave perchè questo aumento di forze nei Balcani potrebbe essere un incentivo per la Turchia ad agire, a provocare un conflitto che per mille ra gioni noi non dobbiamo desiderare. Il nostro massi mo interesse è che lo statu quo nei Balcani non sia turbato. Anche perchè si evita così il pericolo di in frammettenze nelle presenti e future trattative fra i due belligeranti, alle quali sarebbe difficile sottrar
L'azione
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si il giorno che si dovesse regolare la situazione in tutto l'Oriente europeo.
Il vostro giornale giornale d'opposizione ha dato in tutti questi mesi il nobile esempio di far sem pre tacere il sentimento di parte, della più scrupo losa imparzialità nei suoi giudizi, e del più pru dente riserbo, quando non si è sentito di approvare questo o quell'atto del Governo, o la sua linea di condotta in qualche circostanza. Tale doveroso riserbo dal vostro giornale e da quasi tutta la stam pa italiana è stato mantenuto specialmente per ciò che riguarda la situazione diplomatica che, in certi momenti, non è stata buona. Oggi sarebbe in giusto il non riconoscere che essa è migliorata. Non già perchè sieno di molto mutati i sentimenti non sempre benevoli coi quali si segue in varie nazioni d'Europa lo svolgersi degli avvenimenti, ma perchè le Potenze anche quelle che più hanno avuto vel leità d'intervenire si sono persuase come nulla vi sia da sperare da consigli o pressioni dissimulate. sull'Italia, e quindi hanno smesso di darci consigli, persuasi che ogni cosa debba essere regolata diret tamente fra i due belligeranti. E che se pressioni si debbono fare, è solo dalla parte della Turchia che si possono tentare. I pourparlers svizzeri hanno da tale punto di vista una importanza che mi pare metta il conto di rilevare.
Senza contare che direttamente e senza inter vento d'altri è sempre più facile intendersi... e mercanteggiare. Dico apposta mercanteggiare, per chè adesso la situazione è diversa da quella di otto o dieci mesi sono; il maggior impulso della guerra a Tripoli ha portato all'occupazione di quasi tutta la costa libica: abbiamo dei pegni in mano, un'a zione militare si è sviluppata vittoriosamente nel l'Egeo e anche nel mar Rosso. È mutata la situa `zione, ed è mutata altresì l'opinione pubblica, la
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Quando si parlava di indennità, e l'opinione pub blica era anche disposta ad ammetterla, non erano avvenuti questi fatti, e non era avvenuta quella espulsione in massa degli italiani dall'Impero, che ha danneggiato tanti interessi, e che dovrebbe essere invece uno dei titoli perchè una indennità consi derevole sia pretesa da noi. Eppure credo possibile ed anche utile non inor ridite, e pensate che chi parla è un irresponsabile, secondo la espressione del principe di Bülov di mercanteggiare. Beninteso quando sia ricono sciuta la completa nostra sovranità in Libia,senza restrizioni e senza riserve come stabilì il decreto di annessione : beninteso quando vi sia la contro partita, per esempio, nella questione delle isole e magari anche sulle coste del Mar Rosso. Si può for se largheggiare dal lato finanziario da parte nostra se si guadagna dall'altra. Otto o dieci mesi fa non avevamo nulla in mano, salvo l'occupazione di al cuni punti della costa libica. Oggi, per il valore del nostro esercito e della nostra marina, la situazione dell'Italia in Libia è assai diversa e migliorata, mentre le condizioni del nemico sono depresse fin quasi ad impedirgli ogni resistenza. Non insisto su questo argomento delicato, ma tutti sanno oramai quale sia anche a tale proposito l'unanime sen
La
questione dell'indennità
quale in verità perchè non dirlo? oggi non comprende come si debba e si possa dare un certo numero di milioni alla Turchia... perchè vadano a pagare i suoi creditori. Coloro cioè che l'hanno aiu tata nella guerra contro di noi. L'opinione pub blica dunque non sarebbe favorevole al pagamento di una indennità vera e propria pagata a coloro che sono responsabili delle barbarie di Sciara-Sciat... che hanno mandato in Libia (giacchè non venivano certo dal Fezzan) i tubetti coi bacilli del tifo per in quinare i pozzi. 135
timento del paese, del quale non si può non tener conto. Sopratutto dacchè la questione dell'equilibrio del Mediterraneo è ritornata ad essere una delle più grandi preoccupazioni della politica europea. E dovrebbe preoccupare anche i nostri alleati! L'Europa si è sempre rassegnata al fatto compiu to. Il giorno che un accordo fosse intervenuto diret tamente fra la Turchia e noi dopo una lunga e san guinosa guerra si rassegnerebbe più che mai. Per ottenere altri vantaggi mettiamo pure allora sulla bi lancia anche i milioni, ma non per pagare delle in dennità. Certo, si tratta di fare una politica abile ed energica; una politica savia ed arditissima, come di ceva il compianto conte di Robilant al Capelli il gior no nel quale assunse il potere, mostrando di non es ser desideroso di rinnovare la Triplice. Cito queste parole del Robilant che non esitava ad avere tale pro gramma, allora, sebbene si fosse in un periodo nel quale l'Italia non era davvero forte. E finisco doman dandomi : quando è che dovremo fare una politica ardita, se non la facciamo ora dopo le prove date, e quando possiamo asserire senza esagerazioni di pa triottismo di avere un esercito nelle migliori condi zioni di tutti gli altri, poichè è un enorme vantaggio l'avere truppe ed ufficiali che sono stati per mesi e mesi col nemico di fronte e che si sono abituati al fuoco, ed ha quindi un valore e un peso assai mag giore di prima la nostra alleanza o la nostra ami cizia? 30-31 agosto.
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L'idillio di Ouchy
II.
L'IDILLIO DI OUCHY SI PROLUNGA SOVERCHIAMENTE (1). LE INFRUTTUOSE CONCESSIONI.
Siamo perfettamente d'accordo, e l'articolo del Giornale d'Italia di ieri, sulle trattative di pace, il quale dice che sarebbe oramai tempo di porre un fine alle tergiversazioni della Turchia risponde al l'impressione unanime della opinione pubblica. Le trattative hanno durato abbastanza, e, continuando le, tutti hanno l'impressione che si finisca per fare il giuoco della Turchia che ha tutto l'interesse, come al solito, a tirare le cose per le lunghe. Con questo non voglio dire che si sia fatto male ad iniziarle... ed a pazientare per parecchie settimane, anzi dei mesi addirittura. Il vostro Vettori nelle sue corri spondenze dalla Svizzera, ha prospettato con grande chiarezza e lucidità la situazione, per quello che riguarda il modo, l'intonazione e le ragioni per le quali le trattative durano da tanto tempo. Ma se quelle ragioni, plausibilissime e di indiscutibile va lore, potevano invocarsi alcune settimane fa, quan do le trattative erano ancora avvolte nel mistero, e i fiduciari come si era convenuto di chiamarli cercavano di nascondersi, e dichiaravano che erano in Isvizzera solamente per prendere il fresco, adesso la cosa è diversa. La posizione è completamente mu tata. Sebbene con l'eufemismo adottato per la cir costanza si continuino a chiamare fiduciarî, le egre gie persone che a Ouchy trattano con gli inviati del (1) Lettera al Giornale d'Italia.
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Governo ottomano, in nome dell'Italia, sono dei de legati del Governo italiano. Non sono ancora dei veri e propri plenipotenziari, perchè manca la for malità del decreto di nomina; ma agiscono come tali. Nè poteva essere altrimenti, poichè nessuno può supporre che, fra le altre cose, due ex-ministri, possano avere un mandato vago e indeterminato, e magari essere poi sconfessati. D'altra parte, non più tardi di due giorni fa, alla seduta delle Delega zioni, ministri e deputati austro-ungarici hanno par lato apertamente delle trattative di pace tra l'Italia e la Turchia. Il periodo nebuloso dei così detti fidu ciarî è oramai chiuso. E dei veri e propri delegati dell'Italia, che quotidianamente ricevono istruzioni dal Governo, e sospendono le sedute quando uno di loro deve venire a Roma per conferire col presi dente del Consiglio, non possono più a lungo pre starsi, come voi dite benissimo, alle tergiversazioni della Turchia. È anche una questione di dignità. Così pure trovo che avete perfettamente ragione là dove dite che oramai non vi è più ragione di mantenere il riserbo assoluto che, finora, la stam pa si è imposto. Tutti sappiamo che cosa crede, che Cosa pensa e che cosa teme! l'opinione pubbli ca. Perchè non dovrebbe farsi sentire e servire, fino a un certo punto di guida, al Governo? Si seguita a dire e a spiegare l'atteggiamento e le esitazioni del la Turchia nell'accettare il fatto compiuto, con la necessità nella quale il suo Governo si trova di tener conto dell'opinione pubblica e di non ferire troppo i sentimenti della sua popolazione. Mi pare naturale. che, a sua volta, anche il nostro Governo debba te nere conto della opinione del Paese ed essere quindi il primo a desiderare si manifesti apertamente. Dunque il Giornale d'Italia, parlando con la con sueta sua libertà, rende un vero servigio allo stesso Governo che avrà modo, nelle trattative di pace,
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di richiamarsi allo spirito pubblico da voi pro spettato. Ebbene, l'opinione pubblica, anche, se, finora, non ha avuto una grande eco nella stampa, non ha dissimulato di non esser troppo soddisfatta di tutto quello che è stato detto intorno alle vicende delle trattative di Ouchy : e meno che mai per quello che riguarda la ricerca della formola, che dovrebbe con ciliare il decreto d'annessione e la nostra piena ed assoluta sovranità sulla Libia, con il rispetto della influenza, della supremazia religiosa del Califfo. Con quell'espediente insomma che permetta al Go verno ottomano di dire ai musulmani secondo forse il sistema di Enver bey che la Libia non è stata proprio completamente ceduta all'Italia!! Ho veduto accennato, fra le altre cose, anche all'idea che un pascià sia accettato nella Libia come rappre sentante non del Sultano, ma del Califfo. Franca mente, sarebbe la peggiore delle soluzioni. Pascià e generale, per il turco, sono sinonimi, anche se molti pascià non sono affatto militari. Hanno però lo stes so rango nella gerarchia ottomana. E basta pensare al fatto che, essendovi in Tripolitania un pascià, i nostri ufficiali, compreso ben inteso i colonnelli per quella diffusa etichetta internazionale alla quale gli ufficiali di tutti gli eserciti obbediscono - do vrebbero salutarlo e mettersi sull'attenti dinanzi a lui; basta pensare al profitto che saprebbero trarre da questa circostanza i nostri nemici, per mettere. in evidenza il pericolo di una soluzione di tal ge nere. Così dicasi di parecchie altre che pare sieno state escogitate, per attenuare di fronte ai musul manila portata del decreto di annessione. -
Poichè il problema sta tutto lì. Attenuarne la portata per la Turchia, senza diminuirla affatto per noi. È un po la quadratura del circolo. Che la di plomazia turca sia capace anche di questo? Può
I timori
dell'opinione 139
pubblica
darsi : ma il nostro Governo stia attento alle in boscate!
Intendiamoci bene. Queste considerazioni sono fatte sulla base di quanto è stato detto e riferito dai giornali. Finora i delegati - almeno quelli italiani non hanno mai parlato direttamente. Senza dub bio sono stati assai più corretti dei delegati turchi e del loro Governo, il quale di quando in quando, fa annunziare dai suoi organi ufficiosi, che intende rompere le trattative, dando a tali notizie addirittura l'intonazione della minaccia. Altra ragione, fra pa rentesi, per la quale i colloqui di Ouchy dovrebbero finire se non si viene prestissimo ad una soluzione. Ma perchè non dirlo, dal momento che tutti lo ripetono piano? - vi è l'impressione che il nostro Governo abbia corso troppo, si sia troppo affrettato a far dire dai nostri fiduciarî in che cosa l'Italia sa rebbe disposta a cedere. Forse, a creare tale impres sione contribuiscono un po i precedenti di quello fra i delegati che maggiormente ebbe ad occuparsi di questioni di politica estera. Coloro che non conosco no l'on. Fusinato, della cui amicizia ormai antica, mi sento onorato, vedono sempre in lui l'oratore che difese la sciagurata politica remissiva del nostro Governo quando l'Austria occupò la Bosnia e l'Er zegovina e non pensano che ora l'on. Fusinato sente nel modo più alto la responsabilità di parlare ed agire a nome di un'Italia, ben diversa da quella che molti credevano fosse, quando si rassegnò immedia tamente a quella annessione dalla quale era stata colpita nei suoi più vitali interessi. Per conto mio non credo assolutamente, ripeto, i delegati abbiano fatto le dichiarazioni che da alcuni giornali sono state loro attribuite e si sieno mostrati così pronti alle rinunzie. Ma, certamente, è uno sba glio da parte del Governo il lasciarle passare senza trovar modo di smentirle recisamente con quei
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mezzi che ha a sua disposizione, come ha fatto, per esempio con soddisfazione generale per la questione della sovranità, lasciando capire, che se si risolverà... quella tale quadratura del circolo, tan to meglio; ma che in ogni modo, il decreto di annes sione deve mantenere tutta la sua portata e la nostra sovranità rimanere assoluta e senza alcuna restri zione. Lasciando accreditare la voce che si sia di chiarato di essere pronti a restituire le isole, si ripe terebbe l'errore, commesso, per l'appunto, all'epoca della annessione della Bosnia : quello cioè, mentre si giuoca una partita così importante, di mostrare le carte all'avversario. Anche quando si fosse disposti a cedere su qualche condizione grave, è soltanto al l'ultimo momento che ciò si può fare : quando il ce dere può giovare ad ottenere un corrispettivo : a strappare la massima, o decisiva concessione dal l'altra parte.
È il più grave degli errori quello di scoprire su bito il proprio giuoco : di abbandonare con rinun zie anticipate le armi che si hanno nelle mani. È in base allo stesso concetto che, a mio avviso, sono state un errore, tutte quelle interviste del Presiden te del Consiglio, diventato loquace come non lo è mai stato con la stampa, proprio quando si è mes so a fare della diplomazia per dire, con frasi più o meno diverse, che l'Italia non può fare altro che rinnovare la triplice alleanza.
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Alludo soprattutto, com'è facile capire, alla com plessa e delicata questione delle isole. Dopo un an no di guerra, è evidente, che, anche per quello che riguarda le condizioni di pace, la situazione è mu tata, come è mutata la situazione internazionale. Non è più, come al principio della guerra, alla sola Libia che bisogna guardare. Attraverso la questione del Mediterraneo, è in giuoco addirittura la situa zione dell'Italia nel mondo. E, dico apposta nel
Errori imperdonabili
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mondo, anzichè, come si sarebbe detto qualche anno fa, in Europa, perchè non vi è più, ora, una politica solamente europea. Tutte le Potenze sentono l'in flusso e le ripercussioni della politica mondiale. Mancano ancora gli elementi per portare un giudi zio sulla condotta seguita dal Governo per le opera zioni di guerra nell'Egeo, e per la improvvisa ri nunzia alla occupazione di Chio e Mitilene, o di entrambe le due grandi isole, quando per tali opera zioni pareva tutto fosse già disposto. Ma l'opinione pubblica bisogna bene ammettere anche questo ha un fondo di ragione se se ne meraviglia, al lorchè ricorda che, per l'appunto, per Mitilene, vi è un precedente in epoca non lontana, quello della Francia, che, senza guerra dichiarata, solo per otte nere il pagamento di un credito dovuto a un citta dino francese, vi mandò le sue navi e la occupò.
. Data poi la nuova situazione internazionale, più che mai è diventata importante anche per noi la que stione delle isole. Mancano per ora, ripeto, gli ele menti per giudicare, se, e fino a qual punto la no stra diplomazia ha cercato, o cerca, di far compren dere, che, per la pace, per la tranquillità e dicia mo anche per non danneggiare quella finanza euro pea, che magari presta denaro alla Turchia, e, men tre la deplora, contribuisce a far continuare la guerra ha fatto dei grandi sacrifici, rinunziando a colpire il nemico dove avrebbe potuto fargli mag gior danno. E quindi per giudicare il valore, che, nei momenti decisivi, hanno avuto, o possono avere, le amicizie e le alleanze. Certo, la situazione inter nazionale non è forse mai stata così difficile, e, so pratutto, così incerta. Nessuno sa bene ancora qua li saranno gli amici e gli avversari del domani. E, forse per questo, nessuno vede di buon occhio che uno degli elementi, uno dei fattori di questa politica al quale la guerra ha dato una assai maggiore im
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portanza di quella che prima le si attribuiva, ne acquisti ancora ed aumenti la sua forza prendendo nuove posizioni per l'avvenire.
Ma, dato pure che per tale difficile e delicata si tuazione si dovesse davvero cedere e rinunciare ad avere qualche stazione nell'Egeo, in quel mare dove hanno brillato di così fulgida luce, il valore, l'auda cia e la disciplina della nostra armata, anche per un sentimento di doverosa gratitudine per questa, mi pare tutto il possibile si debba fare prima di ar rivare alla rinunzia, alla quale alcuni mostrano di sottoscrivere con la più grande disinvoltura. Senza contare che v'è un'altra questione morale altissima sulla quale ho già avuto occasione di scrivere nelle colonne di questo vostro giornale : il debito di ono re che abbiamo assunto di proteggere quelle popo lazioni, il giorno nel quale su di esse abbiamo fatto sventolare il tricolore, doppio simbolo della reden zione e della civiltà.
Tutto questo mi pare opportuno sia detto aperta mente nella stampa, facendosi eco della opinione. pubblica. La discussione calma e misurata sulle trat tative che stanno svolgendosi in Svizzera e sull'at teggiamento del Governo non presenta alcun peri colo e può invece giovare, come dicevo da principio; e il Governo per il primo dovrebbe desiderarla. E mi rallegro che voi l'abbiate iniziata, giorni sono, quando, a proposito di una proposta della quale si era parlato per lasciare al Califfo la sovranità spi rituale, dicevate, con una frase felice, che non si poteva pensare a stabilire, in Libia, delle capitola zioni a rovescio, e, ieri, segnalando i pericoli a cui si è andati incontro affrettandosi troppo nelle ri nunzie e non mettendo un limite alle tergiversazio ni turche.
28 settembre.
La discussione
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sulla trattative
III.
LE DUE GUERRE E LA PACE. SENTIMENTI ED INTERESSI.
Mentre scrivo, per quanto non ne sia ancora dato l'annuncio ufficiale, la pace fra noi e la Turchia può dirsi virtualmente conclusa. I nostri plenipoten-` ziari lavorano di giorno e di notte secondo quan to telegrafano i corrispondenti - per redigere il protocollo, leticando garbatamente sulle parole, sul le virgole, perchè, il sullodato protocollo, riesca me no ostico alle due opinioni pubbliche. Dalla parte nostra si mira a provare che le concessioni a propo sito del riconoscimento del Califfo non menomano in alcun modo la nostra sovranità. Da parte dei turchi si mira a poter intercalare qualche frase che permetta di far credere... che la Turchia e il Ca liffo, si sono riservati dei diritti importanti, e non hanno abbandonato completamente in mano dei cri stiani delle popolazioni mussulmane. Succede, in questo momento ad Ouchy o a Lo sanna, posto che il sindaco di questa città se l'ha per male, che non si sia fatta abbastanza réclame alla sua città e si parli sempre di Ouchy quello che avviene fra quattro padrini quando stanno di scutendo una di quelle questioni d'onore, un po' complicate, e nelle quali gli avversari si debbono battere, come dicono i francesi : pour la galerie. Ognuna delle due parti cerca di far fare la bella figura all'amico che rappresenta, e di mettere in cat tiva luce, per quanto è possibile, il suo avversario. Con la differenza, però, che in questo caso la discus
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sione sul verbale avviene prima dello scontro, men tre queste trattative per la redazione del verbale protocollo, avvengono dopo un anno di guerra, e di una guerra sanguinosa. Giudicheremo a suo tempo le condizioni. Quando cioè avremo sotto gli occhi il protocollo. Per ora mi limiterò a rilevare che l'impressione è stata quel la di una grande disillusione. È una constatazione di fatto che da nessuno può essere contraddetta. Da un capo all'altro d'Italia, si era creduto, si era sperato che i sacrifici sostenuti in questo anno di guerra dessero diritto all'Italia di pretendere qual che cosa di più. In fondo, dal momento che si resti tuiscono le isole, senza che l'Italia abbia nemmeno una parte preponderante nel garantire le popola zioni, che si rinunzia al riconoscimento da parte del la Turchia, della nostra sovranità e del nostro pos sesso, studiando delle formole che permettano dif ferenti interpretazioni, tanto valeva accettare fin dal principio della guerra la soluzione suggeritaci dalla diplomazia tedesca, e dal compianto barone Marschall ambasciatore di S. M. l'Imperatore Gu glielmo II a Costantinopoli, di accettare cioè di la sciare ancora al Sultano una certa sovranità reli giosa. Si sarebbero risparmiate delle vite preziose e parecchie centinaia di milioni e ci troveremmo ora, di fronte alle gravi complicazioni balcaniche, che minacciano di crearne delle più gravi ancora fra le grandi Potenze, in una posizione assai migliore, con l'esercito in patria, e la flotta in condizioni cer tamente diverse.
Che cosa fa a voi mi diceva dopo le prime settimane di guerra, e, quando per l'appunto si di scorreva di questo suggerimento del Marschall, l'am basciatore di una Grande Potenza (1) molto ascoltato
(1) Il von Jakow oggi Ministro degli esteri. MANTEGAZZA Politica estera. - VII. 10
Disillusione
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a Costantinopoli che vi sia a Tripoli un signore qualunque con un bel turbante a rappresentare il Sultano... e che finirà poi per fare quello che vor rete voi se saprete prenderlo con un certo tatto?!
Allora non abbiamo voluto. Se, come si dice, nel trattato che si sta firmando ad Ouchy, vien stabilito che avremo a Tripoli questo rappresentante del Ca liffo che i turchi, ben inteso, non possono a meno di chiamare rappresentante del Sultano, non è egli evidente, che, dal più al meno, si ritorna, pur trop po, dopo un anno a quella soluzione?
Questa è l'impressione generale che si cerca di dissimulare a noi stessi : impressione che traspare, anche negli scritti e nelle parole di coloro che han sostenuto in questi giorni la necessità di conclu dere questa pace, dopo i tre mesi di negoziati, nei quali, i fatti han provato all'evidenza che, seguen do le sue celebri tradizioni, la Turchia conduceva, come suol dirsi, il can per l'aia. Ho detto che, oggi come oggi, fino a che non sie no conosciute completamente le condizioni della pace non intendo discuterne. Ma, anche dato abbia no ragione coloro i quali sostengono che al punto al quale sono giunte le cose e col conflitto scoppiato nei Balcani, la pace è diventata una dura necessità, si può discutere intorno al modo col quale fu condotta la guerra, ed alle circostanze che ci hanno condotto ad una situazione come l'attuale, ed alla triste coin cidenza, per cui è sembrato che, mentre noi non siamo mai riusciti a piegare la Turchia, è bastato che il giovane Regno di Bulgaria sfoderasse la sua spada perchè essa si piegasse a quella pace ed a quelle condizioni, che, prima, non aveva mai voluto accettare. Coincidenza penosissima per la quale sembra che l'Italia da nemica, sia quasi diventata l'alleata del la Turchia, e la renda più libera nei suoi movimenti
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quando si mette in guerra contro popoli che le han no gettato il guanto di sfida, con la speranza di por re finalmente un termine a quelle carneficine che l'Europa si è mostrata tante volte impotente ad im pedire. Coincidenza penosissima poichè dopo il grido d'orrore e il fremito che tutta Italia sentì quando si seppero i particolari delle infamie di Scia ra-Sciat si ha quasi l'aria, non solo di disinteressar ci, ma di aiutare i turchi nei loro Sciara-Sciat in Ma cedonia.
A questo proposito è stato detto che l'Italia non. può fare più quella politica dei sentimenti, con la quale si va incontro a grandi disillusioni, quan do tutte le altre Potenze fanno una politica di inte ressi. E sta bene. Ma guai ad esagerare in senso op posto, perchè allora, si finisce a giustificare qua lunque cosa quando vi è un tornaconto qualsiasi. Tanto vero che l'Inghilterra, additata come esempio di questa politica degli interessi, spessissimo ha avu to cura di far credere di agire mossa da sentimenti umanitari.
Il grande errore, quello che ci ha condotto a que sta penosa coincidenza, fu quello di credere, come per parecchi mesi han ripetuto su tutti i toni i gior nali amici del Governo, che si poteva e si doveva con la nostra azione in Libia, costringere la Turchia a chiedere la pace e ad accettare le condizioni no stre. Per mesi e mesi abbiamo sentito parlare della necessità dell'avanzata, alla quale si è sempre op posto nel modo più assoluto il generale Caneva, Il Caneva potrà aver commesso degli errori da prin cipio, errori politici che hanno avuto la loro riper cussione sulle operazioni militari, come lo è stato quello di non attirare a sè quei capi arabi, che sono stati per parecchi giorni a Tripoli... aspettando; e, che, vedendo come il generale non si fosse accorto di loro, se ne andarono, e mossero poi contro di noi;
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Politica di sentimento e politica d'interesse
ma ebbe una concezione chiara ed esatta della si tuazione. Si saprà, probabilmente abbastanza pre sto, quanta e quale sia la riconoscenza che il Paese deve a quest'uomo per aver saputo resistere alle non dissimulate pressioni del Governo e special mente anzi sopratutto del suo capo che, so stituendosi al Ministro della Guerra e al Capo di Stato Maggiore, lo tempestava di telegrammi, con consigli che potevano sembrare degli ordini. Se il generale Caneva ha avuto un torto, è stato quello di non chiedere il rimpatrio quando, con quei tele grammi, il capo del Governo poteva muovere im plicitamente una grave critica all'opera sua. Il suo torto fu quello di non aver seguito l'esempio di un altro generale che comandò in Africa, il Baldissera, che più di una volta, domandò il suo richiamo, di chiarando che non poteva rimanere, se non aveva intera ed assoluta la fiducia del Governo, Il suo torto, se uno egli ne ha, è stato quello di non domandare che gli ordini e, se mai le osservazioni dissimulate, gli venissero dalla sola autorità con la quale egli avrebbe dovuto corrispondere per quanto riguar dava le operazioni militari. A Tripoli non sono un mistero per nessuno certi telegrammi del capo del Governo che incitavano all'avanzata generale, quan do assolutamente egli la riteneva inopportuna per un complesso di circostanze. Altro che i famosi tele grammi rimproverati al povero Crispi! Ve ne fu uno. sopra tutti, del quale qualche uomo parlamen tare ebbe visione, e che produsse intorno al generale una impressione enorme...
Ma il generale Caneva seppe resistere anche a quello. Egli, ripeto, ebbe chiara la visione, della si tuazione politica e militare, e, giustamente, non ha mai voluto agire che a colpo sicuro, e, in ogni modo, col minor rischio possibile. Egli sapeva perfetta mente che lo spostamento della nostra fronte di qual
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che chilometro più innanzi, non poteva certo deci dere la Turchia a domandare la pace, e non gli pa reva quindi mettesse il conto di sacrificare delle vite preziose.
Quando si volle cambiare sistema, e i generali che succedettero al Caneva diedero alla guerra un diverso indirizzo, abbiamo avuto, sì, delle battaglie gloriose per le nostre armi, come a Zanzur, nelle quali rifulse un'altra volta il valore delle nostre trup pe e dei nostri ufficiali, ma i sacrifici dal momento che la battaglia non fu nè poteva essere una batta glia decisiva, uno di quei combattimenti, che mu tano completamente la situazione furono eviden temente troppo grandi per il risultato ottenuto.
E vien freddo a pensare che cosa sarebbe accaduto se, malgrado l'eroismo de nostri bravi soldati che hanno sfidato impavidi la morte per difenderla, fos se caduta nelle mani del nemico quella bandiera dell'82°, che oggi il pericolo corso, e il sangue sparso intorno ad essa, rendono ancora più bella e più gloriosa.
Fu l'aver creduto che per le sorti della guerra la pace si potesse imporre, laggiù sulle coste libiche, l'errore iniziale nel quale il Governo ha perdurato, che ha reso possibile, dopo un anno la dolorosa coincidenza, per cui, mentre ad Cuchy, si sta per firmare la pace, scoppia un'altra guerra contro il nostro nemico di ieri brilla al sole la spada dei sovrani balcanici mentre l'Italia si prepara a rinfo derare la sua. Avremo la pace! Ma, a parte quello che può accadere sulle coste libiche, continueremo ancora ad essere agitati da fremiti di guerra. Fa remo la pace! Ma continuando ad augurare la scon fitta del nostro nemico d'ieri, poichè la politica de gli interessi non può arrivare fino al punto di far tacere il sentimento di pietà verso popoli insorti con
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tro la secolare oppressione della barbarie turca. Tanto è vero che questo augurio caldo, vibrato, è partito anche dalle colonne dei giornali più amici del Governo e del suo capo, per cui assistiamo a que sto stranissimo caso, di giornali ufficiosi che inneg giano alla pace (1) facendo voti che altri in vece no stra... faccia quello che noi non abbiamo fatto, e colpisca, come se fosse ancora nostro nemico, il paese al quale tendiamo la mano! Faremo la pace! Ma seguiremo con ansia le vicende della guerra, che ora altri combatte contro lo stesso nemico, au gurando che i pronipoti di Miulis, e di Canaris, rin novino le gesta eroiche dei loro avi contro quella flotta che noi ci siamo lasciati sfuggire! Nella situazione incerta della politica europea, nel la quale, nessuno, sa bene ancora, quali saranno gli amici ed i nemici del domani, tutto può darsi : anche che l'Italia diventi, come diceva già, giorni sono, un ministro ottomano, l'amica della Turchia, Ma, ora, non è possibile far tacere le simpatie, per gli eserciti e popoli che lottano per l'esistenza dei loro fratelli di razza, in questo grande duello, nel quale, l'alleanza dei quattro Stati Balcanici ha assunto il carattere di una crociata dei tempi moderni, e si rinnova in quella Penisola, che ne fu il teatro per tanti secoli, la lotta fra la Croce e la mezzaluna, fra la civiltà e la barbarie. No. L'Europa non ha ritro vato sè stessa, come ha detto giorni sono a Parigi, il Ministro degli esteri russo, quando, fra lui e il Poin caré sono riusciti a mettere d'accordo le Grandi Po tenze per il passo da farsi a Costantinopoli, e nelle capitali balcaniche, con la speranza di evitare an cora il conflitto. Non ha ritrovato sè stessa, poichè, come sempre, fu un accordo formale, ma non reale. Non si è potuta mettere d'accordo sul punto essen
(1) L'autore allude a un articolo della Tribuna nel quale si facevano caldi voti per la vittoria degli Stati balcanici.
150 LA PACE
L'Italia e la guerra balcanica ziale sul modo cioè di imporre quelle famose rifor me per rendere più tollerabile la vita delle disgra ziate popolazioni cristiane che fanno parte dell'Im pero Ottomano. Vi riuscirà, dopo, quando inter verrà e si troverà di fronte ai vincitori ed ai vinti?
Comunque possano svolgersi gli avvenimenti in Libia, sia più o meno lunga e tenace la resistenza degli arabi lasciati a sè stessi, e privi dell'aiuto ot tomano, la pace che sta per firmarsi ad Ouchy, se gna i primi albori della civiltà in quelle contrade ove sventolerà, sempre più innanzi, il nostro bel tricolore. Auguriamoci che col minore sacrificio di vite possibile, la pace che porrà termine alla guerra balcanica, segni l'inizio di una nuova era per quel le popolazioni oppresse, che, indarno, da tanti anni, avevano chiesto pietà ai Consessi europei, e si erano vedute sempre freddamente sacrificate agli interessi ed alle gelosie delle Potenze. Forse, allora, quando quei popoli saranno risorti a nuova vita, in questa Italia, che oggi pare abban donarli al loro destino, essi vedranno soltanto il paese dal quale partì la nuova scintilla; che, primo, in nome della civiltà, gittò il guanto di sfida, e provocò gli avvenimenti che condussero alla loro redenzione. 12 ottobre.
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IV.
LA PACE A QUESTE CONDIZIONI SI POTEVA CONCLUDERE DIECI MESI FA (1). SI SCONTANO GLI ERRORI DELLA GUERRA.
Con l'intervista dell'altro giorno mi pare proprio che l'on. Barzilai abbia portato la nota giusta in una polemica che certo, non è destinata a finire così presto, ed alla quale è bene che tutti coloro i quali vi partecipano si tengano lontani dall'esage razione... e dalla mania dell'aggettivo. No. La pace alla quale abbiamo dovuto addivenire dopo più di un anno di guerra e dopo lo splendido esempio di virtù militari date dal nostro esercito non è una pace vergognosa; ma non è nemmeno quella pace vittoriosa che avevamo sperato : quella pace che un paese impone al nemico col ferro alla gola. La pace è quello che è. Una pace di adattamento, come ave te ben detto nel titolo all'intervista dell'amico Bar zilai, sintetizzando con una parola, le giuste ed eque considerazioni del deputato di Roma. Pace di adat tamento : pace ben diversa, come il Barzilai dice. da quella che si sarebbe potuto avere se si fosse osato. Quindi pace, non solo di adattamento ma do lorosa. Ora, in tali condizioni mi sia permesso di osservare che se non si può nè si deve parlare di vergogna non si può nè si deve nemmeno magnifi
(1) Articolo pubblicato nel Giornale d'Italia del 19 ottobre, preceduto da questa nota della Direzione : «A Vico Mantegazza, che ha consentito più volte, in queste colonne, alla nostra moderata critica sulla incertezza e sulla lentezza della guerra di Libia e poi sui lunghi conversari di Ouchy, abbiamo chiesto di espri mere qualche giudizio intorno al trattato di pace. Egli ci scrive, pren dendo le mosse dalla intervista del Barzilai. » >
152 LA PACE
carla addirittura come un successo ed alzare inni alla abilità del Governo.
Il leit-motif di tutte queste apologie dell'opera del Governo l'argomentazione con la quale credono di poter ridurre al silenzio coloro che osano di farsi eco del sentimento di delusione provato dal Paese è questo :
Abbiamo fatto la guerra per ottenere il possesso della Libia. La Libia è oramai territorio italiano. Cosa volete di più? Lo scopo che ci eravamo proposti è stato raggiunto.
È uno di quei ragionamenti troppo semplicisti che non mi sembra dei più adatti trattandosi di u na guerra sanguinosa, e dei suoi risultati.
Ma, in ogni modo, a questa argomentazione si può rispondere con lo stesso semplicismo, che ci è costata troppo cara : in uomini e in danaro, e che poteva costare molto meno se condotta meglio. E, si può anzi aggiungere, che, su per giù a queste con dizioni, trovando qualche altra formola per far spa rire e ricomparire a piacere il decreto di sovranità, la pace si poteva fare e ci era stata proposta un anno fa dal campianto barone Marschall.
Quello che impensierisce nella polemica, è, come diceva, l'eccesso della lode, l'ostentazione di una sod disfazione che il Paese non sente affatto, e il modo col quale si cerca di far apparire le cose molto di verse da quello che sono, sia nella questione della sovranità come in tutte le altre, ed arrivando fino al punto di trovare perfettamente giusto che nulla si sia chiesto per indennizzare gli espulsi, dimentican do i precedenti o citandoli a rovescio, asserende cose assolutamente inesatte, o magari dando delle traduzioni cervellotiche delle parole, come quando, per togliere importanza al rappresentante del Sul tano, si dice che il naib, è una specie di prete (!), mentre questa parola vuol dire vicario, rappresen
Ragionameno semplicista 153
tante, agente del Sultano, e, quindi ha un signifi cato ben diverso la carica del suo fedele servitore che Maometto V ci manda a Tripoli.
Basta il fatto che, dopo un anno dal decreto di an nessione il Sultano interviene per parlare in un proclama dei suoi diritti sovrani, accordando a quei paesi, che noi consideravamo già nostri, l'autono mia, per far vedere che al decreto di sovranità è stato fatto uno strappo. Discutiamo pure, se, al pun to al quale eran giunte le cose, e con la situazione internazionale che si è andata formando, si sia fatto bene o male. Ma via! Sostenere che il decreto di sovranità è rimasto intatto dopo tre mesi nei quali gli ufficiosi dicevano che non si poteva fare nem meno la più piccola transazione su questo punto, mi pare un po' troppo.
Ho visto citato parecchie volte l'esempio della Bo snia Erzegovina. Abbiamo fatto, dicono, tal quale come l'Austria. Ma dimenticano però, citando tale esempio, delle circostanze, che a loro pare, evidente mente, non abbiano alcuna importanza. La prima che fra l'Austria e la Turchia non vi è stata la guer ra : la seconda che in quell'accordo o trattato che dir si voglia, vi è un articolo col quale il Sultano rico nosce nel modo più esplicito il nuovo ordine di cose! Altra cosa con la quale gli ammiratori han cre duto e credono di stabilire il successo diplomatico del Governo, è l'affermazione che è la prima volta che delle terre ottomane sono strappate definitiva vamente al Sultano. Non so come si possa mettere d'accordo questa considerazione con la constata zione che si è seguito l'esempio dell'Austria per la Bosnia e l'Erzegovina, per cui, sarebbe se non altro, non la prima, ma la seconda volta. Ma, a parte que sto, l'affermazione è assolutamente inesatta. Basta prendere un atlante nel quale sieno segnati i con fini dell'Impero ottomano di qualche secolo fa per
154 LA PACE
Precedenti invocati erroneamente
vedere quante terre che facevano parte dell'Impero sono state cedute ad altre Potenze, senza mantenere dopo il più piccolo legame col Sultano. Ma, in epoca recentissima, il Sultano non fu co stretto a cedere completamente al piccolo Monte negro (è destino che in questi giorni si debba citare sempre il piccolo ed eroico popolo che ha dato all'Italia la sua seconda Regina!) Podgoritza, Anti vari e Dulcigno, che, ancora oggi conserva assolu tamente il suo carattere di città turca? E, si badi bene, non solo questi territori furono ceduti senza nessuna condizione ma è bene ricordarlo, oggi, che siamo noi ad invocare il Corano, per giustificare le clausole poco simpatiche della pace! - il Sultano mandò i suoi battaglioni per obbligare le popola zioni che si erano ribellate a sottomettersi al Mon tenegro. E Kars e altre città cedute alla Russia dopo la guerra del 1878? Ma vi è di più!
Abbiamo un esempio, se così si può dire, in casa nostra. A Massaua, che faceva parte dell'Egitto, e, quindi turca - come ammetteranno certamente tutti coloro che hanno citato tante volte l'Egitto in questi giorni non abbiamo mai avuto alcun rap presentante del Sultano. E' una terra diventata as solutamente nostra, senza il menomo legame col Sultano, e nella quale, curiosa coincidenza, non cre dendo di essere per questo meno buoni musulma ni, è stata soppressa da pochi mesi la preghiera del venerdì per il Sultano, mentre noi facciamo pro mettere che continuerà ad essere detta da un decreto che porta l'Augusta firma del Re!
Delicatissima, lo so, è la questione delle isole. Ma, anche qui gli apologisti della pace, non si ac corgono che, per magnificare la pace ed esaltare i meriti del Governo fanno la critica più atroce del
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modo come fu condotta la guerra. Le isole non si potevano tenere per gli impegni internazionali che avevamo preso. Ma, allora a parte Stampalia della quale ci siamo serviti come base navale perchè le abbiamo occupate? Perchè abbiamo speso somme non indifferenti, e quel che è più, rischiato la vita dei nostri soldati, per un'azione che non poteva esercitare alcuna influenza sulla Turchia, la quale sapeva benissimo che non potevamo tenerle?
In ogni modo mi sembra che, anche restituendole si doveva, e forse si poteva fare qualche cosa di più per le isole. E, non solo, per quelle che abbiamo occupato, ma anche per quelle.... che non abbiamo occupato, ma, nelle quali le popolazioni ci hanno atteso, per settimane e settimane, preparandosi a fare agli italiani, le più festose accoglienze. A me pare che, dal momento che il Governo e i nostri plenipotenziarii hanno escogitato delle formole cu riose, strane, ingegnose, abili se volete, per girare attorno al famoso decreto di sovranità, in tre mesi avrebbero forse potuto trovare anche una formola, perchè l'Italia magari non da sola, ma con le altre Potenze da essa richieste, rimanesse garante verso quelle popolazioni che i loro diritti e i loro privilegi sarebbero rispettati, tanto più che vi è il precedente. di Samos, anzichè credere ogni suo compito finito, ogni dover suo adempiuto verso quelle popolazioni, con l'amnistia... e le promesse turche.
In ogni modo a me pare un deplorevole oblio il non aver pensato in qualche modo anche a Chio, per esempio, all'isola tragica, nella quale i turchi sono avvezzi a soffocare nel sangue le simpatie della popolazione per i cristiani. Era una parte bella, che potevano fare, e, pur di trovare una formola, in questo momento nel quale anche in Turchia, al meno ufficialmente, si parla di civiltà e di riforme, non sarebbe forse stato difficile ottenere anche per quelle altre isole la stessa amnistia.
156 LA
PACE
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giustifica
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Ciò che la
Lo so che, adesso, dopo aver fatto troppo la po litica del sentimento, si è passati all'esagerazione opposta. Ma, in questo caso, come nella questione degli espulsi, la politica del sentimento coincide. con quella degli interessi : l'aver dimenticato con tanta disinvoltura nel trattato di pace gli espulsi e la restituzione delle isole contentandosi di semplici promesse senza nessuna garanzia, sono cose che nuocciono senza nessun dubbio, non solo al nostro prestigio ma ai nostri interessi. Dunque? Dunque non si doveva fare la pace? A questa domanda non è facile dare una risposta ca tegorica con un si o con un no, e nient'altro. Cir costanze ignorate dal pubblico possono aver influito sulle decisioni del Governo, e sarebbe imprudente formulare un giudizio assoluto senza avere tutti gli elementi necessari. Delle molte considerazioni poste innanzi, per giustificare la pace malgrado la coin cidenza dolorosa per la quale, alla pace la Turchia si è piegata solo quando ha veduto ammassarsi alle sue frontiere gli eserciti dei quattro Stati Balca nici, ed è sembrato che l'Italia di questo approfit tasse e quindi lasciasse mani, libere alla Turchia contro di loro la più seria è quella, relativa alla posizione nella quale ci saremmo trovati combat tendo ancora alleati o no dei quattro Stati balcanici. Alleati non potevamo, perchè sarebbe stata una me nomazione, e, a parte questo, non potevamo per gli impegni assunti di fronte all'Europa. Continuando per conto nostro, e non potendo più pensare a Co stantinopoli, avremmo avuto nella guerra una parte secondaria. Con la Turchia vinta sarebbe sempre stato l'esercito bulgaro ad imporle di cedere. E nel caso di un Congresso europeo, ci saremmo pre sentati allato agli Stati balcanici, aspettando le deci sioni dell'Europa anzichè prendervi parte. Questa è la considerazione più grave in favore della pace. 157
Ma ciò, ripeto, non impedisce che la pace sia do lorosa e dolorosissimo il fatto di essere arrivati a questa concidenza per gli errori commessi nel modo di condurre la guerra. Ma, a chi, francamente, può far piacere il sentirsi dire, per esempio, dal Daneff, presidente della Camera bulgara, come rilevo da una intervista pubblicata ieri, che la nostra pace si sarebbe fatta sei mesi fa, se sei mesi fa gli Stati balcanici avessero deciso la mobilitazione? A chi può far piacere il sentir dire dal Poincaré, come egli ha detto giorni sono ai giornalisti andati ad inter vistarlo, che la Turchia si è piegata alla pace so pratutto per le pressioni della Francia. ...Che fino a qualche mese fa... sollevava l'incidente del Manou ba? Ma, a chi può non dolere, il vedere che, per co modo di polemica, si riproducono in alcuni giornali, le lodi di quella stampa europea che mesi or sono lanciava vituperii contro i nostri soldati accusandoli delle più infami atrocità... per difendere e turchi e arabi?
Allato agli errori militari - non imputabili, ri peto, ai combattenti sono anche gli errori diplo matici, quelli che ci hanno condotto a una ben triste situazione di cose, e, prima di tutto, quello di aver fatto credere che desideravamo troppo la pace. Per chè, già, malgrado il mistero del quale si cercò inu tilmente di circondare le prime trattative, quando sono, fra gli altri, due ex-ministri che trattano, e di uno si sa che è persona devotissima al Presidente del Consiglio, tutti, in Europa, han capito che erano dei veri e propri delegati del Governo, i quali agi vano e parlavano, anche senza aver decreto di no mina in nome del Governo. E meno che mai si può condurre bene la guerra quando pendono delle trat tative di pace.
Sono tutti questi errori, le incertezze, i penti menti, le contraddizioni nella condotta della guerra,
158 LA PACE
di autorevoli persone
che ci hanno portato a questa situazione e a quella dolorosissima coincidenza della nostra pace con la dichiarazione di guerra degli Stati balcanici, si badi bene, contro lo stesso nemico, e, precisamente come noi in nome della civiltà!
Ma perchè insistere nel voler far credere che il Paese non ha provato una delusione, alla quale può del resto virilmente rassegnarsi, quando non v'è una persona, nemmeno nei partiti più, diremo così pacifisti, che parlo ben inteso dal punto di vista politico se ne rallegri?
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Non più tardi di qualche giorno fa - quello nel quale si aspettava la sentenza dell'ultimatumil senatore Mangili, lombardo, presidente della Ban ca Commerciale, in un gruppo di amici e non credo di commettere alcuna indiscrezione nel ri ferirle, poichè sono all'unisono col sentimento del paese diceva coteste parole :
Io sono noto come un grande pacifista, ma, questa volta, confesso che la pace è quanto mai do lorosa, e che non si può rassegnarvisi che con pro fonda tristezza.
Ma un illustre parlamentare, un uomo che può parlare con una grande autorità anche della guer ra (1), ha riassunto con una frase molto efficace la situazione. egli ha
Quando non si sa fare la guerra -
detto bisogna fare la pace.
Ed ora facciamo anche il bilancio della pace, con quella imparzialità che desidereremmo di vedere an che nei giornali amici del Governo.
Il passivo è rappresentato : dalla menomazione del decreto di sovranità, che si era proclamato intangibile; dalla riconsegna delle isole senza garanzia;
(1) L'ammiraglio Bettolo.
L'opnione
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dall'abbandono degli espulsi; e da quelle clausole relative ai vacuf che po trebbero essere causa di poco piacevoli sorprese, ar restando ogni nostra azione in vastissimi territori. L'attivo, la parte buona se così si può dire, è: l'implicito riconoscimento della nostra forza mi litare in Libia nelle parole del firmano imperiale do ve si parla della guerra disastrosa per l'Impero; il fatto che la Turchia si è piegata alla pace sotto la pressione di un ultimatum; il pronto riconoscimento della nostra piena ed intera sovranità da parte delle Potenze. Vi è poi una lacuna. Il decreto del Re d'Italia parla, all'art. 3, di sudditi ottomani.
Quali sono questi sudditi del Sultano? Sono sol tanto i turchi, stabiliti nella Tripolitania e Cire naica? I tripolini che sono all'estero, diventano an ch'essi sudditi italiani? Oppure è lasciata loro fa coltà di optare per una nazionalità o per l'altra? Non mi pare tutto ciò possa far parte dei preliminari destinati a rimanere segreti, poichè debbono sapere che cosa sono e che cosa possono fare, subito, fin dal primo giorno, gl'interessati. E' una materia che deve essere ben disciplinata per evitare contestazioni e difficoltà nell'avvenire. Non faccio critiche. No to la lacuna e domando come si è provveduto, se si è provveduto come credo, o se, essendo rimasto in teso che provvederemo, quando e come regoleremo questa importantissima materia. Ha importanza il pronto riconoscimento delle Potenze, e mi sembrerebbe ingiusto il non tributare la dovuta lode al Ministro degli esteri, poichè, mal grado una certa ostentazione nel lasciarlo nell'om bra, questa parte importantissima della nostra azio ne non è stata diretta da Palazzo Braschi.
Particolarmente grati dobbiamo essere alla Rus sia, che ha tenuto a dimostrarci ancora una volta la
160 LA PACE
OUCHY .
L'ALBERGOBEAURIVAGE DOVE FU FIRMATA LA PACE ITALOTURCA .
.
Fusinato
. 14t
Bertolini
. I PLENIPOTENZIARI ITALIANI . Volpi
avete osato . ...
sua amicizia. Nel tempo stesso, è evidente, ha vo luto anche mostrare... di non essere turcofila. Il che, nel momento nel quale è scoppiata la guerra balca nica, vuole anche significare non verrà meno alla sua missione storica di difendere i popoli slavi e greci oppressi dalla Turchia.
Non avete osato dice l'on Barzilai. Non si è osato quello che ha fatto il piccolo Montenegro, il quale non preoccupandosi delle minaccie d'inter vento, ha rotto gli indugi, ben sapendo che, anche l'Austria non può gettarsi leggermente in un'av ventura nella quale sono fortissimi i rischi anche per lei. Meno che mai noi si poteva offrire pretesto ad interventi, non potendosi in alcun modo mettere in dubbio, che noi miravamo ad un solo scopo ed era lontanissima l'idea di turbare lo statu quo ter ritoriale. Nessuno vuole impedire all'Austria, e boi alleati suoi meno che mai, la tutela eventuale dei suoi interessi. Ma la situazione europea, almeno. in questo momento, è molto diversa da quella di quattro anni fa, all'epoca dell'annessione della Bo snia. Oggi la Germania non è più al fianco dell'Au stria-Ungheria pronta a seguirla anche in un'avven tura balcanica. Il linguaggio velato di parecchi dei più autorevoli giornali dell'impero lo lasciano capir chiaro. D'altra parte lo lascia comprendere anche l'atteggiamento passivo della Germania della quale non si parla, che par quasi non esista, in un mo mento di così grande attività diplomatica. E mentre la Germania tace, la Russia prende ogni occasione di parlare alto e forte. Il dissidio austro russo che la diplomazia cerca di comporre permane, e non cesserà. Vi è in Russia un grande movimento panslavista che, a suo tempo si imporrà allo stesso Zar e ai Sazonoff. La guerra contro il Giappone non fu popolare : ma quella per i popoli slavi nei Balcani per i piccoli fratelli, come essi dicono MANTEGAZZA. Politica estera. - VII
Non
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-
sì. E si può essere certi che al momento opportuno la Russia interverrà per non lasciar schiacciare i popoli balcanici se la Turchia fosse vincitrice, sia per non lasciare che perdano tutti i frutti delle loro vittorie i popoli balcanici : se saranno essi i vin citori. Giova sperare che la diplomazia saprà allontana re i pericoli di una conflagrazione o anche di una lotta fra Austria e Russia, nella quale, in questo momento, se fra le due Potenze il dissidio dovesse portare a un conflitto, l'Austria non si troverebbe. in posizione vantaggiosa. Dei suoi quindici corpi di esercito l'ultimo fu creato anni sono dopo l'annes sione due o tre, si capisce, che, malgrado l'allean za, come ha sempre fatto, li lascerebbe alla nostra frontiera, tre o quattro le sono necessari per la Bo snia e l'Erzegovina e la Dalmazia dove può temere la rivolta dei serbi, e qualcuno le è necessario per fronteggiare gli Stati serbi. Non potrebbe portarne al la sua frontiera orientale che sette od otto, ai quali, è vero, potrebbero aggiungersi forse i quattro della Rumenia. Ma non bastano per fronteggiare la Rus sia, e l'esercito di un paese di 160 milioni...
Paiono, lo so, un po' i conti e la politica delle far macie. Ma oramai, é proprio così, su questo equili brio, e sulla preponderanza delle forze militari che è basata la politica europea. E, cosa che non si faceva una volta, lo si dice chiaro!
Tutto questo potrebbe dimostrare che si poteva osare, e, in secondo luogo, che vi sono ancora degli errori da commettere, in una situazione internazio nale che è sempre gravissima, e nella quale, secon do il posto che vi prenderemo, sarà deciso l'avveni re dell'Italia. Per questo io vorrei che quella con cordia, della quale è stato dato nobile esempio per un anno di guerra, continuasse ancora. E come allora noi, pur disapprovando tante cose abbiamo taciuto
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Dopo la guerra
il biasimo non preoccupandoci se erano al Governo degli avversari politici, vorremmo che gli amici del Governo, non preoccupandosi degli uomini, non pas sassero la misura nella lode : non domandassero delle luminarie.
E poichè si è parlato della Russia prendiamola ad esempio. Anch'essa, trentaquattro anni or sono,, malgrado che i suoi eserciti fossero arrivati fin sot to le mura di Costantinopoli, dovette rassegnarsi ad un trattato ben diverso da quello che aveva spe rato a un trattato doloroso. Nessuno cercò allora di illudersi o di illudere. Ma furono tutti concordi nel pensare fin da quel giorno a riparare all'insuccesso. Il paragone, ben inteso, va solo fino ad un certo pun to, perchè, sebbene con sacrifici assai maggiori di quello che si credeva, e con qualche disillusione, lo scopo è raggiunto. La Libia è una partita chiusa. Ma se ne apre un'altra, come ho detto, per la quale, co me per la guerra, la concordia del paese, senza pre cludersi la via alle calme e serene discussioni che il Governo deve desiderare e non temere, può essere ancora di grande giovamento per l'opera sua.
V.
L'ESEMPIO DELLA BOSNIA. A PROPOSITO DELL'INTERVISTA BERTOLINI.
On. Direttore (1). Mi pare di aver ieri espresso chiaramente il mio pensiero. A mio avviso, il pronto riconoscimento del le Potenze che è innegabilmente un successo, sana (1) Dal Giornale d'Italia.
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molte cose. Vuol dire, come vi sciveva ieri in due righe che per errore di impaginazione sono state di menticate in tipografia - che, per l'Europa, la que stione della Libia è partita chiusa. Il che, certamente, faciliterà il nostro compito nella nuova colonia ita liana.
. Ma, posto che la discussione è aperta sul Trattato di pace, consentitemi una breve aggiunta, tantopiù, vedendo che l'on. Bertolini, nella intervista oggi pubblicata dal vostro giornale, ripete che è la prima volta che una Potenza insediatasi in territori mussul mani, nel nord dell'Africa, ha escluso qualunque forma di sovranità politica.
Incominciamo dallo stabilire, anzi tutto, che non si può fare alcun paragone fra la Tripolitania e la Ci renaica e l'Egitto, la Tunisia e il Marocco, ai quali evidentemente allude l'illustre parlamentare, poichè questi tre paesi hanno una costituzione politica e un sovrano. Per quanto due di questi sovrani fossero legati da un certo vincolo di vassallaggio al Sultano, il paese loro aveva il carattere di uno Stato.
La Tripolitania e la Cirenaica erano invece un vilayet dell'Impero; facevano, cioé, parte integrale dello Stato ottomano. Quindi, è con i territori che fa cevano parte dell'Impero, e che sono stati annessi da altre Potenze, che, se mai, si può fare il pa ragone.
Ed allora l'on. Bertolini mi permetterà di fare una piccola aggiunta, a quanto ieri scriveva. Oltre ai territori per parlare solamente di epoche recen ti che furono annessi al Montenegro, ed alla Rus sia, non solo senza qualsiasi forma di sovranità po litica, ma, altresì, senza qualsiasi forma. di inter vento per la questione religiosa, vi sono anche quelli ceduti alla Serbia nel 1878.
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Quanto all'esempio della Bosnia ed Erzegovina tante volte citato in questi giorni e, ier l'altro, anche
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dal Presidente del Consiglio, mi sembra opportuno rilevare come sieno diversissime le circostanze nel le quali sono stati compilati i due Trattati.
Per far vieppiù risaltare la differenza enorme, so stanziale, per la quale non si può fare il paragone, il meglio è riprodurre testualmente qualche articolo . dell'accordo austro-turco.
L'articolo dice :
La convenzione del 21 aprile 1879, così comelapro testa della Sublime Porta contro la decisione del Go verno comune d'Austria-Ungheria concernente la Bosnia e l'Erzegovina (cioè l'annessione pura e sem plice delle due provincie all'Impero) e tutte le altre disposizioni o stipulazioni esistenti fra le altre parti contraenti, e contrarie a questa decisione, sono abro gate e sostituite dall'attuale protocollo, che constata, come, tutte le divergenze relative a queste due pro vincie sono appianate, e che il Governo ottomano « reconnait d'une façon expresse le nouvel état de choses en Bosnie Herzegovine créé par la dite de cision ».
Data tale premessa così chiara ed esplicita, si ca pisce che non essendovi stata guerra fra i due Stati, dalla parte dell'Austria si potette essere animati da un grande spirito di conciliazione, e concedere molte cose. Contuttociò, tanto nella sostanza che nella for ma e si è veduto che importanza hanno in questo caso le questioni di forma! - l'Austria è stata molto più cauta e guardinga, anche nella questione reli giosa.
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Ed ecco riprodotto testualmente l'articolo 4 che a tale questione si riferisce
La libertà e le pratiche del culto mussulmano sa ranno assicurate, come per il passato, alle persone che abitano e soggiornano nella Bosnia-Erzegovina.
I mussulmani continueranno a godere degli stessi airitti civili e politici come tutti gli abitanti della bo
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snia e dell'Erzegovina di altri culti. Il nome di Sua Maestà Imperiale il Sultano come Califfo continuerà ad essere pronunciato nelle preghiere pubbliche dai mussulmani. I diritti delle fondazioni (vacuf) saran no rispettate, così le relazioni fra i mussulmani e i loro capi spirituali, che dipenderanno come sempre dal Gheik-ul-Islamato di Costantinopoli, il quale darà l'investitura ai rei-ul-ulema.
Il lettore rileverà facilmente la grande diversità di forma e di intonazione di questo articolo, con quanto è stato invece stabilito fra noi e la Turchia per effetto del recente. Trattato, del decreto reale e del firmano che lo hanno preceduto. Nella Bosnia-Erzegovina non vi è che questo reis-ul-ulema o cadì e, si badi Jene, per quello che riguarda l'osservanza di quana, è stabilito in questo articolo, vi ha poi pensato, uni teralmente, l'Austria-Ungheria per conto suo con la legge del 15 aprile 1909 : legge dello Stato, nella quale, naturalmente, la Turchia non ha nulla a che vedere.
Anche in questo accordo austro-turco è stata sta biita la preghiera del venerdì. Ma è stabilita nell'ar ticolo di un accordo firmato da un ministro e da un ambasciatore, non con un decreto reale. Questione di forma, si dirà. E sta bene. Ma non si è forse di scusso per tre mesi su questioni di forma? Ora, per noi, è certamente un non senso ed una stonatura strana che un sovrano ordini le preghiere per un altro sovrano : ma è ben evidente, che, per il mus sulmano, arabo o turco, ha una grande importanza il fatto che il Re d'Italia ordini le preghiere per il Sultano.
Dobbiamo rallegrarci anche di questo?
Ed allora, ripeto quello che dicevo ieri, conside riamo la Tripolitania una partita chiusa come si po teva al punto al quale avevamo lasciato arrivare le cose e pensiamo a quella che si è aperta con la gran
166 LA PACE
guerra balcanica, col proponimento e con la speran za di non commettere altri errori.
VI.
IL TRATTATO DI LOSANNA.
Ecco il testo del Trattato di pace fra l'Italia e la Turchia firmato ad Ouchy il 18 ottobre alle ore 15,45, e al quale fu dato il nome di Trattato di Losanna, perchè Ouchy è, in fondo, una frazione di quella città.
S. M. il Re d'Italia e S. M. l'Imperatore degli otto mani, animati da un eguale desiderio di far cessare lo stato di guerra esistente fra i due paesi, hanno nomi nato loro plenipotenziari :
Sua Maestà il Re d'Italia :
Il signor Pietro Bertolini, Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia, Grand'ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, deputato al Parlamento, Il signor Guido Fusinato, Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia, Grand'ufficiale dell'Ordine dei SS. Mau rizio e Lazzaro, deputato al Parlamento, Il signor Giuseppe Volpi, commendatore degli Ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d'Italia; Sua Maestà l'Imperatore degli ottomani : Sua Eccellenza Mehemmed Naby bey, Gran cordone dell'Ordine imperiale dell'Osmanié, inviato straordina rio e ministro plenipotenziario di S. M. l'Imperatore degli ottomani, Sua Eccellenza Rumbeyoglù Fahreddin bey, Grand'uf ficiale dell'Ordine imperiale del Medjidié, commenda tore dell'Ordine imperiale dell'Osmanié, Inviato straor dinario e Ministro plenipotenziario di S. M. l'Impera tore degli ottomani;
Il
Trattato di Losanna
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i quali, dopo aver scambiato i loro rispettivi poteri e averli trovati in buona e dovuta forma, hanno conve nuto i seguenti articoli :
LA CESSAZIONE DELLE OSTILITÀ.
Art. 1. I due Governi si impegnano a prendere, immediatamente dopo la firma del presente trattato, le disposizioni necessarie per la cessazione immediata e simultanea delle ostilità: Commissari speciali saranno inviati sui luoghi per assicurare l'esecuzione delle dette disposizioni. - Art. 2. I due Governi si impegnano a dare imme diatamente dopo la firma del presente trattato l'ordine di richiamo dei loro ufficiali, delle loro truppe nonchè dei loro funzionarî civili, rispettivamente il Governo ottomano dalla Tripolitania e dalla Cirenaica, e il Go verno italiano dalle isole da esso occupate nel mare Egeo.
Lo sgombero effettivo delle dette isole da parte degli ufficiali, delle truppe e dei funzionari civili italiani avrà luogo immediatamente dopo che la Tripolitania e la Cirenaica saranno state sgombrate dagli ufficiali, dalle truppe e dai funzionarî civili ottomani.
LO SCAMBIO DEI PRIGIONIERI.
Art. 3. I prigionieri di guerra e gli ostaggi saranno scambiati nel più breve termine possibile.
L'AMNISTIA.
Art. 4. I due Governi si impegnano ad accordare piena ed intera amnistia, il Governo reale agli abitanti della Tripolitania e della Cirenaica, ed il Governo impe riale agli abitanti delle isole del Mare Egeo soggette alla sovranità ottomana, i quali abbiano preso parte alle ostilità o che si siano compromessi in occasione di esse, fatta eccezione per i reati di diritto comune. In conse guenza nessun individuo, a qualunque classe e condi zione appartenga, potrà essere processato o molestato
168 LA PACE
nella sua persona e nei suoi beni o nell'esercizio dei suoi diritti a causa dei suoi atti politici o militari o di opi nioni espresse durante le ostilità. Gli individui detenuti e deportati per tale motivo saranno immediatamente liberati.
L'INDIPENDENZA ECONOMICA DELLA TURCHIA.
-
Art. 5. Tutti i trattati, convenzioni e impegni di qualsiasi genere, specie e natura, conclusi o in vigore tra le due alte parti contraenti anteriormente alla di chiarazione di guerra, saranno rimessi immediatamen te in vigore ed i due Governi saranno posti l'uno di fronte all'altro, come pure i rispettivi sudditi, nella situazione identica nella quale si trovavano prima delle ostilità.
Art. 6, L'Italia si impegna a concludere con la Turchia, al tempo stesso in cui essa rinnoverà i suoi trattati di commercio con le altre Potenze, un trattato di commercio sulla base del diritto pubblico europeo, cioè essa consente a lasciare alla Turchia tutta la sua indipendenza economica e il diritto di agire in materia commerciale e doganale come tutte la Potenze europee e senza esser legata dalle capitolazioni e da altri atti fino a questo giorno. È ben inteso che il detto trattato di commercio non sarà posto in vigore che in quanto saranno messi in vigore i trattati di commercio con clusi dalla Sublime Porta con le altre Potenze sulla stessa base.
Inoltre l'Italia consente all'aumento dell'11 al 15 per cento dei dazi doganali ad valorem in Turchia come pure all'istituzione di nuovi monopolii e al prelevamento di sopratasse di consumo sui cinque articoli seguenti : petrolio, carte da sigarette, fiammiferi, alcool, carte da giuoco. Tutto ciò a condizione che uno stesso tratta mento sia applicato simultaneamente e senza distinzione alle importazioni degli altri paesi.
In quanto ha tratto all'importazione di articoli for manti oggetto di un monopolio, l'Amministrazione di questi monopolii è tenuta a fornirsi di articoli di pro venienza italiana secondo il percento stabilito sulla
Il Trattato di Losanna 169
base dell'importazione annua di questi stessi articoli, purchè i prezzi da offrire per la consegna degli articoli di monopolio si conformino alla situazione del mercato nel momento della compera, pur prendendo in consi derazione le qualità delle merci da fornire e la media dei prezzi che sono stati praticati nei tre anni prece denti a quello della dichiarazione della guerra per le dette qualità.
È inoltre inteso che se la Turchia, invece di stabilire nuovi monopolii sui detti cinque articoli, si decidesse a colpirli con sopratasse di consumo, queste sopratasse sarebbero imposte nella stessa misura ai prodotti simi lari della Turchia e di ogni altra nazione.
GLI UFFICI POSTALI ITALIANI.
Art. 7. Il Governo italiano si impegna a soppri mere gli uffici postali italiani funzionanti nell'Impero ottomano nello stesso tempo che gli altri Stati aventi uffici postali in Turchia sopprimeranno i loro.
ABOLIZIONE DELLE CAPITOLAZIONI.
--
Art. 8. La Sublime Porta proponendosi di aprire in conferenza europea o altrimenti con le grandi Po tenze interessate, negoziati allo scopo di far cessare il regime capitolare in Turchia, sostituendolo col regi me di diritto internazionale, l'Italia riconosce il buon fondamento di queste intenzioni della Sublime Porta, dichiara fin d'ora di voler prestarle a questo effetto il suo appoggio pieno e sincero.
GLI IMPIEGATI ITALIANI NELLE AMMINISTRAZIONI TURCHE.
Art. 9. Il Governo ottomano, volendo attestare la sua soddisfazione per i buoni e leali servizi che gli sono stati resi dai sudditi italiani impiegati nelle ammini strazioni e che egli si era visto forzato a congedare al l'epoca delle ostilità, si dichiara pronto a reintegrarli nella situazione che avevano lasciata.
Un trattamento di disponibilità sarà loro pagato pei
170 LA PACE
mesi passati fuori d'impiego e questa interruzione di servizio non porterà nessun pregiudizio a quelli di que sti impiegati che avrebbero diritto ad una pensione di riposo.
Inoltre il Governo ottomano si impegna ad usare i suoi buoni uffici presso le istituzioni con le quali è in rapporto (Debito pubblico, Società ferroviarie, Banche ecc.) perchè agiscano nello stesso modo verso i sudditi italiani che erano al loro servizio e che si trovano in condizioni analoghe. -
ALMENO 50 MILIONI.
Art. 10. Il Governo italiano si impegna a versare annualmente alla cassa del Debito pubblico ottomano per conto del Governo imperiale una somma corrispon dente alla media delle somme che in ciascuno dei tre anni precedenti a quello della dichiarazione di guerra sono state assegnate al servizio del Debito pubblico sulle entrate delle due provincie.
L'ammontare della detta annualità sarà determinato d'accordo da due commissari nominati uno dal Governo reale, l'altro dal Governo imperiale. In caso di disac cordo, la decisione sarà rimessa a un collegio arbitrale composto dai detti commissari e da un superarbitro nominato d'accordo fra le due parti. Se l'accordo non si stabilirà in proposito, ciascuna parte designerà una li versa Potenza e la scelta del superarbitro sarà fatta di concerto dalle Potenze così designate.
Il Governo reale nonchè l'amministrazione del De bito pubblico ottomano con l'intermediario del Governo imperiale, avranno la facoltà di chiedere la sostitu zione della suddetta annualità col pagamento della somma corrispondente capitalizzata al tasso del 4 per cento.
Per quanto si riferisce al precedente alinea, il Go verno reale dichiara di riconoscere fin d'ora che l'an nualità non può essere inferiore alla somma di lire italiane due milioni e che è disposto a versare all'ain ministrazione del Debito pubblico la somma capitaliz zata corrispondente tosto che ne sarà fatta domanda.
Il Trattato di Losanna 171
Art. 11. Il presente Trattato entrerà in vigore i giorno stesso della sua firma.
In fede di che i Plenipotenziarî hanno firmato il pre sente Trattato e gli hanno apposto i loro suggelli. Losanna, 18 ottobre 1912.
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(firmati) : PIETRO BERTOLINI GUIDO FUSINATO GIU SEPPE VOLPI.
(firmati) : MEHEMMED NABY RUMBEYOGLU' FAHREDDIN.
(Al nastro che tiene uniti i quattro fogli del docu mento sono apposti i cinque sigilli su cera rossa dei Plenipotenziari).
IL FIRMANO DI MAOMETTO V.
Ecco il testo del firmano bandito il 17 dal Sultano Maometto V ai popoli della Libia, col quale è dichia rata l'autonomia della Libia stessa :
Ai popoli della Tripolitania e della Cirenaica!
Il mio Governo trovandosi da una parte nell'im possibilità di darvi i soccorsi efficaci che vi sono ne cessari per difendere il vostro paese, preoccupato dall'altra parte di promuovere la vostra felicità pre sente e futura, volendo evitare la continuazione di una guerra disastrosa per voi e per le vostre fami glie e pericolosa per il nostro Impero, allo scopo di fare rinascere sul vostro paese la pace e la prospe rità, prevalendomi dei miei diritti sovrani, vi con cede una piena ed intera autonomia.
Il vostro paese sarà retto da nuove leggi e da re golamenti speciali, alla preparazione dei quali voi porterete il contributo dei vostri consigli, affinchè essi corrispondano ai vostri bisogni ed ai vostri co stumi.
172 LA PACE
Reale
Io nomino come mio rappresentante il mio fedele servitore Khemseddin col titolo di « Naib ul Sultanh » (letteralmente : rappresentante del Sultano) che ha l'incarico della protezione degli interessi ottomani nel vostro paese.
Il mandato che gli conferisco ha una durata di cinque anni, trascorso questo termine mi riservo di rinnovare il suo mandato, oppure, di provvedere alla sua successione.
Siccome la nostra intenzione è che le disposizioni della legge sacra dello « Sceriat » restino costante mente in vigore, ci riserviamo a questo scopo la no mina del Cadì, il quale a sua volta nominerà il << naib » tra gli ulema locali, conformemente alle pre scrizioni dello « < Sceriat ».
Gli emolumenti di questo Cadì saranno pagati da noi e quelli del Naib-Ul-Sultanh come pure degli altri funzionari dello « Sceriat » saranno prelevati sulle tasse locali.
MAOMETTO V.
IL DECRETO REALE.
Il giorno stesso La Stefani, dopo aver pubblicato il testo del firmano comunicò il testo del Decreto Reale. -
« Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione - Re d'Italia Vista la legge 25 febbraio 1912 n. 83, con la quale la Tripolitania e la Cirenaica furono poste sotto la sovranità piena ed intera del Regno d'Italia; Nell'intento di sollecitare la pacificazione delle det te provincie; Sentito il Consiglio dei Ministri;
Il
Firmano e il Decreto
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Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Mi nistri e del Ministro degli Affari Esteri; Abbiamo decretato e decretiamo :
Art. 1. È accordata piena ed intera amnistia agli abitanti della Tripolitania e della Cirenaica, che ab biano partecipato alle ostilità e si sieno compromessi in occasione di esse, fatta eccezione per i reati co muni. In conseguenza nessun individuo, a qualun que classe o condizione appartenga, potrà essere processato o molestato nella sua persona o nei suoi beni o nell'esercizio dei suoi diritti, a causa degli atti politici o militari da lui commessi o di opinioni espresse durante le ostilità. Gli individui detenuti o deportati per tale motivo saranno immediatamente liberati.
Art. 2. Gli abitanti della Tripolitania e della Cire naica continueranno a godere come per il passato la più completa libertà nella pratica del culto mus sulmano. Il nome di S. M. Imperiale il Sultano, co me Califfo, continuerà ad essere pronunciato nelle preghiere pubbliche dei mussulmani, ed è ricono sciuta la sua rappresentanza nella persona da lui no minata, i cui emolumenti saranno prelevati sulle en trate locali.
I diritti delle Fondazioni Pie (wakuf) saranno ri spettati come per il passato e nessun impedimento sarà apportato alle relazioni dei mussulmani col cap religioso denominato Cadì che sarà nominato dallo Sceich-ul-Islam, e coi Naib nominati da lui, ed i suoi emolumenti saranno prelevati sulle entrate locali.
Art. 3. Il predetto Rappresentante è riconosciuto anche agli effetti della tutela degli interessi dello Sta to Ottomano e dei sudditi ottomani, quali perman gono nelle due provincie dopo la legge del 25 feb braio 1912 n. 23.
Art. 4. Con altro Nostro Decreto sarà nominata una Commissione della quale formeranno parte an
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le isole
che notabili indigeni, per proporre per le due pro vincie ordinamenti civili ed amministrativi inspi rati a criteri liberali ed al rispetto degli usi e costu mi locali.
Ordiniamo che il presente Decreto munito del si gillo dello Stato sia inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandan do a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osser vare.
Dato a San Rossore, addì 17 ottobre 1912. Firmato: VITTORIO EMANUELE.
Controfirmati : GIOLITTI, DI SAN GIULIANO, FINOCCHIA RO-APRILE, FACTA, TEDESCO, SPINGARDI, LEONARDI CATTOLICA, CREDARO, SACCHI, NITTI, CALISSANO.
L'IRADÉ PER LE ISOLE DELL'EGEO.
Ecco il testo dell'« iradé » firmato dal Sultano a favore degli abitanti delle isole del mare Egeo : << Saranno introdotte riforme amininistrative e giu diziarie allo scopo di assicurare agli abitanti delle isole del mare Egeo poste sotto la sovranità otto mana la distribuzione uguale della giustizia e il be nessere senza distinzione di culto e di religione. I funzionarii e i giudici saranno nominati fra le per sone notoriamente esperte della lingua locale aventi la capacità voluta.
Piena ed intera amnistia è accordata ai suddetti abitanti che abbiano preso parte alle ostilità e si sie no compromessi in occasione di esse, fatta eccezione. per i reati comuni.
In conseguenza nessun individuo, a qualunque classe o condizione appartenga potrà essere proces sato o molestato nella sua persona nei suoi beni o nell'esercizio dei suoi diritti, a causa degli atti poli
L'Iradè
per
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tici e militari da lui commessi o di opinioni espresse durante le ostilità.
Gli individui detenuti o deportati per tale motivo saranno immediatamente liberati.
L'IRADÉ PER L'AMNISTIA A SAID IDRISS.
Un « < iradé » imperiale accorda l'amnistia a Said Idriss e ai suoi partigiani per quanto riguarda i reati politici, esclusi i reati comuni.
LA SOVRANITA DELL'ITALIA RICONOSCIUTA DALLE POTENZE.
La Russia, subito, il giorno dopo, riconobbe la so vranità dell'Italia sulla Libia, con una premura che fu rilevata non solamente in Italia, notando che era arrivata prima delle alleate. Tantochè, quasi a di struggere una impressione che poteva essere non buona, per mezzo dell'Agenzia Stefani il Governo spiegò il ritardo delle alleate con il seguente comu nicato :
Sin dal giorno di venerdì 11 corr. i Governi tedesco ed austro-ungarico avevano fatto conoscere al Governo italiano la loro decisione di riconoscere la sovranità piena ed intera dell'Italia sulla Libia immediatamente dopo stabilito l'accordo fra l'Italia e la Turchia.
Per conseguenza il riconoscimento della sovranità dell'Italia sulla Libia da parte della Germania e del l'Austria-Ungheria entrerà in vigore al momento della publicazione dell'accordo tra l'Italia e la Turchia rela tivo al ritiro delle truppe ottomane dalla Libia.
La Francia invece ritardò di qualche giorno. E il ritardo, specie dopo tutti gli incidenti avvenuti du rante la guerra, fu assai commentato.
176 LA PACE
Naby bey. Fahreddin. I PLENIPO:ENZIARI TURCHI.
!
OUCHY .
LA FIRMA DEL TRATTATO DI PACE ITALOTURCA .
VII.
IL RAPPRESENTANTE DEL SULTANO. L'OPINIONE DI DUE ORIENTALISTI.
Con una Turchia sconfitta e che deve rinunziare ancora ad altre provincie in Europa , certamente, le clausole del Trattato relative al Rappresentante. del Califfo, e, in genere, a tutto ciò che riguarda la que stione religiosa hanno perduto molto della loro im portanza, e non mi pare possan gran che preoccu pare. E in ogni modo, dato il riconoscimento espli cito da parte di tutte le Potenze della nostra so vranità piena ed intera, anche dovesse sorgere qual che difficoltà o inconveniente, sarà sempre cosa da regolare esclusivamente fra noi e il sultano.
Ciò però non esclude che, oggi o più tardi, qual che inconveniente possa sorgere.
A mio avviso il Governo nostro non ha tenuto con to delle specialissime condizioni della Libia, dove il Gran Senusso non certo benevolo per il Sultano ha molto maggiore influenza del Sultano. Un peri colo può venire solo da qualla parte. Ora è evidente, che il Gran Senusso, il quale aspira ad essere il solo capo religioso di quelle regioni, debba essere rima sto sorpreso, e non favorevolmente, nel vedere che l'Italia, alla quale la sua neutralità ha tanto giovato, non abbia tenuto alcun conto della sua potestà reli giosa, ed abbia nel Trattato sancito un'altra volta la supremazia religiosa del Sultano, a menomazione della sua.
Probabilmente, al punto al quale eran giunte le MANTEGAZZA. Politica estera. - VII. 12
Il rappresentante del Sultano
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cose non si poteva fare altrimenti. Ma, non è per questo meno strano non si sia tenuto alcun conto nel Trattato delle aspirazioni e delle suscettibilità di un Potere, che avrebbe potuto crearci enormi diffi coltà, che potrebbe ancora crearne, e che, invece, con il suo atteggiamento ha molto agevolato l'ope ra nostra.
In ogni modo, siccome può darsi che della que stione religiosa si debba tornare a discutere, spe cialmente per l'azione, che, ora, senza alcun ri serbo, la politica inglese al Cairo, esercita a no stro danno, precisamente cercando di rivoltarci con tro il Gran Senusso, mi pare opportuno riportare qui due articoli di due orientalisti sulla complicata questione. Uno è a firma del prof. Santillana, l'altro porta quella del prof. Nallino dell'Università di Pa lermo, insegnante a quella del Cairo, una autorità universalmente riconosciuta, che avrebbe potuto rendere preziosi servizi durante la guerra, e, al quale, il Governo ha pensato ora soltanto a rivolgersi per consigli.
I.
Il decreto reale del 17 ottobre prescrive che il nome del Sultano come Califfo «continuerà ad essere pronun ciato nelle preghiere pubbliche dei Musulmani ». Si tratta dunque della preghiera pubblica del mezzogior no di ogni Venerdì, subito dopo la quale ha luogo una predica, detta Khotba, che è d'uso abbia alla fine una brevissima invocazione a Dio per il sovrano regnante.
Ora la Khotba e il diritto di batter moneta, sono, se condo le teorie musulmane, fra gli attributi essenziali della Sovranità; talchè nelle fonti arabe concedere ad alcuno il diritto di Khotba e quello di batter moneta significa senz'altro concedergli i diritti sovrani.
Il decreto aggiunge che « nessun impedimento sarà posto alle relazioni dei Musulmani col capo religioso detto Kadi », e questi sarà nominato dal Sceik El
178 LA PACE
L'opinione del Santillana
Islam, che è quanto dire dal Sultano, il quale per di più lo pagherà.
Osservo modestamente che il Kadi non è per nulla e in nessun modo un'autorità religiosa. Il Kadi è sem plicemente un magistrato : legalmente egli è conside rato come un delegato, un mandatario speciale, pre posto dal Capo dello Stato ad esercitare in sua vece le funzioni giudiziarie che in massima il principe deve esercitare da sè. Egli ha la giurisdizione solo nella mi sura che gli è assegnata dal suo mandante, ed è, come ogni mandatario, amovibile a volontà di chi lo ha pre posto. Il Kadi non ha altre funzioni, o per essere più precisi, egli ha, oltre la giurisdizione civile, altri uf fici minori, quali la tutela dei minorenni e degli inter detti, la sorveglianza della gestione dei Wakuf od ope re pie; vigila all'esecuzione dei testamenti e alla divi sione delle successioni. In tutto ciò, nulla che si rife risca alla religione, nè che abbia attinenza con il Culto.
Questo del Kadi è un punto sul quale pare impos sibile non è riuscito al nostro Governo, nè ai nego ziatori italiani di farsi una idea chiara. Diceva infatti l'on. Giolitti in una intervista pubblicata dal Corriere della sera del 19 ottobre: « Il Kadi è il capo religioso, che nel trattato Austro-turco per la Bosnia Erzegovina è chiamato Reis el Ulema cioè Capo degli Ulema. Il nome è diverso ma le attribuzioni sono le stesse ». Ma v'ha di peggio. Il 20 ottobre lo stesso Corriere della sera riferiva un'intervista con uno dei negoziatori italiani, di cui non fa il nome, il quale avrebbe detto : « Il Kadi esiste sotto nomi diversi, in tutte le provincie di reli gione musulmana. È il capo della gerarchia religiosa locale. Si chiama Reis el Ulema in Bosnia, Kadi in Tripolitania ed in Egitto, Mufti in Bulgaria. In tutti questi luoghi diversi riveste le stesse attribuzioni ». Tutto ciò mostra una incredibile confusione d'idee, e c'è da domandarsi se i nostri negoziatori abbiano mai letto le leggi austriache relative a quelle leggi per ve dere che esse distinguono chiaramente:
1.º I Kadi, giudici istituiti per ogni circondario (Be zirk) con giurisdizione civile in tutti gli affari tra Mu sulmani, che si riferiscono allo Statuto personale, ai
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rapporti di famiglia, alle successioni. Sono nominati dall'Imperatore tra gli allievi della scuola di Giuri sprudenza Musulmana istituita a Serajevo.
2.º 11 Reis el Ulema. Questi è presidente della Com missione di quattro Membri, detta Ulema Medjles, isti tuita allo scopo di curare tutto ciò che si riferisce alla religione e al Culto dei Musulmani : come la conserva zione ed erezione di Moschee, Scuole ed Ospedali, l'in segnamento religioso musulmano, le nomine dei pro fessori nelle scuole musulmane. Il Reis el Ulema è no minato dall'Imperatore e riceve l'investitura dal Sceik el Islam di Costantinopoli.
3. Finalmente i Mufti, che sono i dottori della leg ge autorizzati a dare consulti o pareri legali, come già i prudentes del Diritto Romano. La legge austriaca ne determina rigorosamente le attribuzioni.
In quanto al Mufti bulgaro, egli ha le attribuzioni del suo collega bosniaco, e non può essere confuso con il Kadi, il quale non è altro, secondo la definizione co mune che si trova in tutti i trattatisti arabi, se non « quello che amministra la giustizia secondo la legge, in luogo e vece del Sovrano - (Iman) ». Stando dunque alla lettera del Decreto Reale, le fun zioni giudiziarie in Tripolitania pei Musulmani, sá ranno esercitate dal Kaliffo per mezzo del suo manda tario ad hoc, che è appunto il Kadi. E il sultano ha avuto cura infatti di dirlo nel suo firmano con molta precisione: « Nostra intenzione essendo che le disposi zioni della legge dello Sceriat restino costantemente in vigore, noi ci riserviamo a tal fine la nomina del Kadi, il quale alla sua volta nominerà i rappresentanti fra gli Ulema locali, conformemente alle prescrizioni dello Sceriat. Gli emolumenti del Kadi saranno corrisposti da noi ».
Egli è che i negoziatori del trattato, ed anche il no stro Governo, sono partiti dal concetto di una specie di Chiesa Mussulmana, ed hanno confuso il Califfato col Papato, con un papato sui generis, i Kadi coi Vescovi, i Naib o delegati dei Kadi coi preti. (È da vedere, come curiosità scientifica, il commento che fa la Tribuna del 18 ottobre 1912 al Decreto Reale). Ora tutto ciò è assolutamente erroneo. L'Islam, per
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·
Il Kaliffo
sua ventura o per sua disgrazia, ciò dipende dai gusti, non ha Chiesa, non gerarchia ecclesiastica, non preti di nessun genere, per la semplice ragione che non ha cura di anime, non sacramenti, non sacrifizi solenni, nè culto pubblico propriamente detto. L'Islam è documento vi vente, e forse incitabile esempio, di una grande religione la quale può vivere, ed anche prosperare, senza sacer dozio. Morto il Profeta, il potere spirituale è cessato nell'Islam. « I profeti non hanno eredi » dicono i teo logi musulmani. Ne continuano il ricordo gli Ulema, i dottori della Legge, che rappresentano la tradizione e ne custodiscono la integrità. I poteri temporali, invece, che erano esercitati dal Profeta in modo molto patriar cale, furono raccolti dai suoi successori i quali appunto perciò si chiamano Kaliffi, o luogotenenti (cioè del Pro feta). Il Kaliffato è la somma dei poteri temporali neces sarî a conservare l'unità e l'integrità dello Stato Musul mano. Capo dell'esercito, giudice supremo, direttore delle preghiere (Iman), il Kaliffo ha per ufficio di difen dere il territorio dell'Islam, di diffondere la vera fede, di amministrare la giustizia, di mantenere l'ordine al l'interno e l'impero della legge divina, fondamento dello Stato Musulmano, e fonte di ogni ordinamento civile e politico.
Il Kaliffo è quello che sarebbe stato nel Medio Evo (questi paralleli storici vanno presi, lo so, con molto grano salis) un Carlomagno od un suo successore nel Sacro Romano Impero : il capo secolare dello Stato ed allo stesso tempo un difensore della Fede. Ma egli non ha, nè pretende avere, nessun potere spirituale. Nei ri guardi della fede, dei dogmi, del culto, egli non è che un semplice credente. Gli insegnamenti universalmente accettati dalla comunità dei fedeli, e sanzionati dalla tradizione, fanno legge anche per lui. Se v'ha un potere spirituale nell'Islam questo è rappresentato dagli Ule ma. Il Kaliffo non è che l'amministratore temporale di quella grande associazione di fedeli che è lo Stato Mu sulmano. Accettando quindi l'intervento del Califfo in Tripolitania, noi abbiamo accettato l'intervento d'un so vrano straniero in casa nostra, cui abbiamo conferito il diritto di far proclamare il suo nome nella pre ghiera, di nominare i giudici, di delegare un altro
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Commissario a rappresentare non solo gl'interessi otto mani, ma anche la persona del Sultano come Califfo (art. 2 del Decreto Reale, e firmano dal Sultano).
Se al cospetto di questi fatti i nostri buoni Musulmani rimanessero persuasi che il Sultano non ha cessato di essere sovrano in Libia, come faremo a convincerli del contrario?
E se l'ingenuo contribuente italiano ne concludesse che i nostri negoziatori ed il nostro Governo non erano forse molto ben preparati a negoziare delle questioni di questo genere, chi potrebbe dargli torto?
E questo dubbio ne acuisce un altro, ben più grave, sulla nostra preparazione ad affrontare i numerosi e gravi problemi di diritto islamico, che presenterà l'as setto della nostra Colonia, e per i quali si richiederanno uomini che sappiano distinguere un Kadi da un Mufti. Non sarebbe forse esagerato domandare che sapessero qualche cosa di più.
DAVIDE SANTILLANA.
II.
Non ho che da sottoscrivere pienamente alle conside razioni del nostro Santillana: esse mettono bene in luce gli enormi errori di principio commessi nelle trattative e nella conclusione della pace.
Aggiungo qualche osservazione secondaria. I. Nella prima metà del secolo XVI i sultani turchi si atteggiavano a califfi, in base a ragioni tutt'altro che valide dal punto di vista del diritto pubblico islamico; tanto che, per oltre tre secoli, nessun musulmano (all'in fuori dei funzionari ottomani) prese sul serio tali pre tese. Un'acquiescenza di fatto (non di diritto) si mani festò in varie parti del mondo islamico dopo la metà del secolo passato, quando la Turchia apparve ormai come l'unico grande Stato musulmano sunnita che fosse in grado di resistere all'Europa e forse anche di liberare tutte le terre islamiche dal dominio europeo; la spe ranza d'una riscossa islamita fece sì che una parte dei Musulmani sunniti chiudesse un occhio alla mancanza dei titoli legali ed accettasse la qualità di Califfo per il
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L'opinione del prof. Nallino
Sultano, mentre molti altri Musulmani (compresi non pochi abitanti della Tripolitania e della Cirenaica) per sistettero, insieme coi trattatisti di diritto pubblico, a non riconoscerla affatto.
Più papisti del Papa, noi abbiamo voluto imporre a tutti gli abitanti delle terre libiche un riconoscimento, che per forti gruppi di loro è da respingersi, non solo teoricamente, ma anche praticamente. E che farà il nostro Governo se il predicatore di qualche moschea si rifiuterà, per dovere di coscienza musulmana, di fare il nome del Sultano quale Califfo nella predica (Khutba) solenne del venerdì?
Ma v'ha qualcosa di ben più grave. È principio fonda mentale ed indiscusso di diritto pubblico islamico che, se esiste un Califfo, spetti a lui il dominio di tutte le terre abitate da Musulmani; possono esserci allora an che Sultani, cioè sovrani di determinati territorî, ma solo in quanto ne abbiano ricevuto investitura solenne da parte del Califfo stesso. In questo caso la khutba del venerdì in quei paesi si fa in nome del Sultano e del Califfo insieme. S'intende che un Cristiano od un Ebreo non potrà mai avere dal Califfo l'investitura d'un terri torio abitato da popolazione musulmana. Ognun vede la conseguenza di tutto ciò. Se il Sovrano turco è un semplice Sultano, il possesso della Libia da parte sua è un possesso che deriva unicamente dal fatto della con quista turca. Se invece il Sultano è Califfo, allora il dominio della Libia, come di qualsiasi territorio isla mico, gli spetta di pieno diritto; egli solo, o il Musul mano da lui investito, ne è legittimo Signore, e gl'Ita liani non possono essere se non illegittimi usurpatori, da scacciare appena sarà possibile il farlo. Così il nostro Governo ha, senza accorgersene, proclamato il buon diritto del Sultano sulla Libia e il torto della nostra occupazione.
II. Per tradurre in arabo ed in turco il titolo di << rappresentante del Sultano » non mancavano vocaboli atti a togliere di mezzo ogni equivoco. Invece si è la sciato scegliere la denominazione di naib es-sultân, la quale può, è vero, indicare quel che dice il titolo ita liano, ma che normalmente andrebbe tradotta con « < vice Sultano», così come naib el-malik sarebbe traduzione
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183
esatta di « < vicerè ». E dopo questo, e dopo tutto il rima nente messo in luce qui sopra dal Santillana, c'è da me ravigliarsi se ormai i Musulmani vadano dicendo e stampando che il naib es-Sultán a Tripoli è come il Khedive o vicerè in Egitto?
III. È noto come fra i Musulmani sunniti si abbiano quattro scuole giuridiche egualmente ortodosse e rico nosciute; tanto che nei paesi ove la popolazione non seguiva la stessa scuola i Califfi mandavano qâdî (cioè giudici) delle varie scuole, affinchè ogni cittadino fosse giudicato secondo la scuola che professava di seguire. Invece i Turchi, nella seconda metà del secolo ora pas sato, vollero imporre in tutti i loro possedimenti la scuola hanefita; e così fecero 15 o 20 anni or sono anche in Tripolitania, benchè tutti gl'indigeni (esclusi gli ete rodossi Abâditi del Gebel Nefusa) professino indistinta mente e da secoli la scuola mâlikita. Venuti noi, si annunziò, con grande soddisfazione degl'indigeni, che si sarebbe rimessa in vigore la scuola mâlikita. Senonchè ora verrà il qâdî nominato dal Sultano e quindi hane fita, e naturalmente sceglierà tutti gli altri giudici dai seguaci della scuola Danefita, e secondo questa scuola pronunzierà i giudizî. E' facile immaginare come ciò abbia già destato il malumore dei nostri indigeni.
La Storia non registra forse nessun altro esempio di un trattato discusso e concluso con sì completa igno ranza delle istituzioni dell'avversario. Per fortuna d'I talia gli Stati balcanici si sono incaricati di dar subito un colpo tale alla Turchia da toglierle, per molto tempo, e forse per sempre, la velleità di crearci imbarazzi sulla base degli articoli dei nostri decreti e del nostro trattato. C. A. NALLINO.
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184 LA PACE
LA DISCUSSIONE DEL TRATTATO ALLA CAMERA.
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Discussione calma. L'on. Mirabelli per i repubblicani. L'on. Acton. Discorso Baccelli. L'opera dell'on. Prinetti. L'on. Bissolati per i socialisti. Il discorso dell'on Sonnino : il rappresentante del Sultano; la questione del Vakuf; la guerra balcanica; l'Albania e gli accessi al l'Adriatico; le vie commerciali; un richiamo alla procedura costituzio nale. Giolitti. L'on. Galli. La risposta del Relatore. Il discorso dell'on. Il testo del Protocollo preliminare -
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--- Risponde ai vari oratori. -
-L'ordinamento del governo della Libia.
Nella discussione che ebbe luogo alla Camera, an che coloro che non si erano mostrati entusiasti del Trattato convennero sulla opportunità di non pro lungare troppo la discussione e di non farne l'esame critico, limitandosi a qualche osservazione. La di scussione ebbe quindi una intonazione molto calma e serena.
SEDUTA DEL 3 DICEMBRE 1912.
Il primo a prendere la parola fu l'on Mirabelli a nome dei repubblicani.
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Non è di questo luogo - disse l'on. Mirabelli una di sanima particolareggiata ed io non saprei farla razionale e serena sulla politica della guerra che ha preceduto il trattato di Losanna.
Non pochi sono i punti interrogativi. Perchè muover guerra alla Turchia, se non si aveva la voglia di fiaccarne la jattanza? (Commenti) Perchè rispettare la sua flotta? Perchè non imbottigliarla nel porto di Beirut e lasciarla scappare arbitra di Co stantinopoli? L'ora della pace sarebbe forse scoccata presto e senza una goccia di sangue! (Commenti). Il problema dell'avanzata nel deserto libico che sep pe resistere per un secolo ai cartaginesi e costò cinque olimpiadi di sforzi a romani era arduo e il passag gio dalla difensiva, strategica o tattica, all'offensiva non era di leggieri consigliabile; - ma perchè non uscire dal golfo delle Sirti? Si è detto che l'obbiettivo tedesco nel 1870 era il Reno e i prussiani non corsero fino a Parigi? Alla Turchia importava della Tripolitania, come di Ro
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ALLA CAMERA
ma alla plebe di Messalina: bisognava colpirla nel cuore istesso dell'Impero. E perchè tentennare, deviare?
Chi è che fermò le nostre navi? Chi trattenne le nostre braccia? Chi tappò la bocca al cannone italiano dinanzi alle coste dell'Epiro e dell'Albania? Perchè costringerci, com'è stato scritto, al duello dell'oplita catafratto con tro innumeri sciami di vespe?
Dopo aver detto quali sono stati e quali sono i con cetti direttivi per la politica estera del partito re pubblicano l'on. Mirabelli continua :
Ora noi pensiamo e tralascio le altre questioni, co me la cessione per noi ignominiosa delle isole egee, la questione del Califfato, che cozza contro il postulato del la sovranità unica, di cui lo Stato italiano non ha mai avuto l'intelligenza e il sentimento, se l'ha sdoppiata con la legge delle guarentigie, e non poche altre questioni che possono non aver più lo stesso peso dinanzi al cata clisma ottomano noi pensiamo che, innalzata la ban diera della redenzione, della libertà, della civiltà, come potenza mediterranea, non bisognava deporre le armi nell'ora stessa, in cui il rombo del cannone balcanico rendeva possibile uno de' due fatti antivisti da Mazzini come inevitabili: la rovina dell'autocrazia e della teo crazia turca nell'impero ottomano.
La pace, pertanto, è sembrata una complicità, di cer to involontaria e poteva strozzare quest'anelito di ri surrezione, questa parola dell'umanità progredita e l'atarassia (mi lascino usare un vocabolo filosofico greco) dimostrata per popoli insorgenti, a quello stesso grido di indipendenza e di rivendicazione, che fu il fastigio del la nostra rivoluzione, si è chiarita antitetica con le ra gioni supreme de nuovi tempi, con la stessa ragion no stra di essere.
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--- Io mando e vorrei interpretare l'anima civile di tut ta l'Assemblea un saluto augurale a' popoli balcanici, a' nuovi crociati della libertà: ed esprimo il voto che sia dalle potenze europee rispettato il principio del non intervento che fu la salute d'Italia nel 1860.
L'on. Artom dopo aver detto che il Trattato fu
188 LA DISCUSSIONE
Arton, l'on. Baccelli giudicato con gli applausi che ne hanno accolto l'an nunzio, si limitò a qualche osservazione, special mente sull'art. 2, che riguarda l'evacuazione della Libia da parte dei funzionari e soldati ottomani; ob bligo messo in correlazione coll'evacuazione nostra delle Isole e sulla questione dei Wakufs.
Io mi affretto a dire che i negoziatori della pace hanno fatto benissimo a rispettare questo istituto, per ragioni di ordine politico e per ragioni di ordine religioso, per non turbare le consuetudini locali. Però bisogna vedere che l'Istituto wakufs non dia luogo ad abusi.
Io credo che nella lettera e anche nello spirito del trat tato vi sia modo di ricavare una esatta interpretazione per quanto si riferisce all'estensione che può avere que st'istituto.
Esaminando poi la situazione internazionale e la posizione dell'Italia dopo l'impresa Libica l'onore vole Artom conclude :
Nuovi popoli e nuovi elementi sorgono nell'azione in ternazionale, nuovi urti, nuovi antagonismi possenti si disegnano. L'Italia con la felice soluzione della questio ne libica, potrà riprendere la via fortunata e gloriosa dell'epoca del suo risorgimento, e, pur rimanendo un fidato fattore di equilibrio e di pace mondiale, potrà ri trovare, nei contrasti della politica internazionale, il raggiungimento dei suoi fini supremi nazionali, Questa, onorevoli colleghi, è la via che vedo segnata alla nostra politica estera, questa è l'alba radiosa che vedo sorgere per noi al finire di una memoranda gior nata, in cui il sole della gloria rifulse splendidamente nel bel cielo italiono.
Dopo l'on. Artom che pel suo discorso ebbe vive congratulazioni, sorse a parlare l'on. Alfr. Baccelli, che fu, come è noto, sotto Segretario di Stato alla Consulta coll'on. Prinetti, e volle ricordando quanto egli fece per la questione di Tripoli che la Camera riconoscesse l'opera sua.
·L'on.
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L'OPERA DELL'ON. PRINETTI.
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BACCELLI A. Se l'on Prinetti non ebbe la ventura di condurre a termine l'impresa di Tripoli, la intuì, la desiderò ardentemente, e, per quanto i tempi lo consen tivano, la predispose, e non sarebbe giusto coprire d'o blio il suo nome.
Quando nel 1896 il trattato di commercio e navigazione tra la Francia e l'Italia pose termine a quella politica di freddezza e di indifferenza che aveva fino allora durato fra le due sorelle latine, per gli avvenimenti di Tunisi, e per gli altri che erano seguiti, l'on. Visconti-Venosta pensò che più saldamente si sarebbero potuti stringere i vincoli di amicizia fra le due nazioni sorelle. Più salda mente si sarebbero potuto stringere, se l'Italia, cessando dagli intendimenti emulativi e secondando il desiderio della Francia, non avesse più frapposto ostacoli alle aspirazioni di questa sul Marocco.
Il Marocco è paese lontano dai nostri confini, bagnato in gran parte dall'Oceano, e quasi circondato dal vasto Impero coloniale Francese. Noi non potevamo adunque avere aspirazioni politiche ed economiche in quelle con trade: ed allora valeva meglio fare atto che grande mente giovasse agli interessi francesi per averne cor rispettivo.
Quando Giulio Prinetti salì alla Consulta, i rapporti di cordialità con la Francia si andavano sempre più rinsaldando, e tutta l'Italia desiderava si rinsaldassero; d'altra parte il trattato della Triplice Alleanza stava per scadere.
La Triplice Alleanza aveva dato un lungo periodo di pace e di prosperità all'Italia: nessun dubbio che quel trattato dovesse rinnovarsi. Si doveva dunque persua dere l'Austria-Ungheria e la Germania che le rinnovate relazioni cordiali con la Francia nulla toglievano alla saldezza del trattato della Triplice Alleanza, e d'altra parte si doveva persuadere la Francia che il rinnovarsi della triplice non accennava ad alcuna minaccia, ad alcun pericolo per lei ma tendeva invece al mantenimen to della pace. Il còmpito non era affatto agevole. Tutta
190 LA DISCUSSIONE ALLA CAMERA
dell'on. Prinetti
via Giulio Prinetti vi riuscì e dalla felice situazione in ternazionale in cui l'Italia allora venne a trovarsi, egli trasse profitto per ottenere dal Governo francese l'as senso alla nostra prevalente influenza a Tripoli e nella Cirenaica.
Non si poteva esitare intorno alla politica che conve niva seguire. Si doveva seguire forse quella politica ne gativa, di emulazione, che ci aveva condotto agli insuc cessi del Congresso di Berlino, o si doveva seguire inve ce una politica positiva, conciliando i nostri interessi con quelli altrui e traendo corrispettivi dalle concessio ni? Nessun dubbio sulla convenienza di questa seconda via, che l'onorevole Prinetti intraprese.
Ed allora il ministro Delcassé alla Camera dichiarò, e tutti lo ricordano, che la Francia non aveva alcun in tendimento di oltrepassare i confini orientali dei suoi possedimenti africani.
Il Governo francese aveva dichiarato altresì all'Italia che esso guardava con simpatia la prevalente influenza italiana in Tripolitania; e quando l'onorevole Guicciar dini interrogò in questa Camera il ministro Prinetti circa tale argomento, il ministro Prinetti confermò l'in tesa con la Francia.
Ma occorreva che all'assenso francese si aggiungesse l'assenso inglese. L'Inghilterra, anche in questa occa sione, diede prova della sua tradizionale amicizia verso l'Italia, e, senza alcun corrispettivo, dopo amichevoli conversazioni, ebbe a dichiarare che essa non intendeva di oltrepassare il confine occidentale dei suoi possedi menti africani e che quante volte lo statu quo dovesse essere mutato, essa avrebbe guardato con simpatia alla prevalente influenza italiana in Cirenaica.
L'on. Prinetti in questa Camera rispondendo all'on. De-Martino, annunziò il proposito del Governo inglese. E quando fu mossa interrogazione circa la pretesa occu pazione della Baia di Bomba per un deposito di car bone da parte dell'Inghilterra, notizia insussistente che era stata scritta dal Mathuisieulx nel noto libro sulla Tripolitania, a Londra Lord Lansdown confermò al no stro ambasciatore Pansa le intenzioni e le dichiarazioni inglesi, ed il visconte di Cranborne interrogato alla Ca mera dei Comuni fece eguale risposta.
L'opera
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CAMERA
Così noi avevamo ottenuto quell'assenso francese che invano aveva desiderato Francesco Crispi, e l'assenso in glese. L'Austria-Ungheria e la Germania dichiararono anch'esse che non intendevano di porre ostacolo a che l'influenza della civiltà italiana potesse espandersi in Tripolitania e in Cirenaica, quante volte lo statu quo dovesse essere mutato.
Così, onorevoli colleghi, tutte le grandi potenze d'Eu ropa avevano consentito alla prevalente influenza italia na nella Tripolitania e nella Cirenaica.
Ma l'opera del ministro Prinetti non si limitò al campo diplomatico, nel quale pure non era agevole conseguire il successo che egli conseguì. Si mantennero relazioni col gran Senusso, al quale si inviarono doni e dal quale si ricevettero ambascerie. Ma soprattutto con opere di carità, di educazione, di progresso si dimostrò che l'I talia intendeva in quelle regioni di esercitare una mis sione di civiltà.
E di fatti fu istituito a Tripoli un ambulatorio medico chirurgico, intorno al quale si addensarono le folle de gli indigeni e che fu ragione di raccogliere molte sim patie sul nome italiano. Fu istituito un orfanotrofio at traverso gravi difficoltà e contro l'ostruzionismo otto mano, orfanotrofio che oggi è retto dall'Associazione Na zionale. Fu istituito anche un museo commerciale dal quale furono fatti conoscere tutti i prodotti dell'agricol tura e dell'industria italiana, affinchè quelle popolazioni potessero desiderare i prodotti nostri e apprezzare la forza del nostro lavoro.
A Bengasi fu istituito un ambulatorio medico-chirur gico. Fu istituito un ufficio postale, il solo ufficio po stale di grande potenza che esistesse nella Cirenaica; e si diede vita di nuovo alla scuola regia, che era stata improvvisamente soppressa nel 1891. A Derna furono istituite scuole coloniali, a Homs scuole di Stato. Insomma, onorevoli colleghi, l'opera del ministro Pri netti fu diretta a diffondere la civiltà in quelle regioni Ed egli ottenne anche un iradè imperiale, affinchè potes sero essere compiuti gli scavi in Cirenaica.
Fu a lui rimproverato che di Tripoli si fosse parlato troppo. Ma quel lungo parlarne valse a formare la co
192 LA DISCUSSIONE ALLA
scienza nazionale dell'impresa, a preparare l'ambiente europeo.
Io ho creduto mio dovere, oggi che Giulio Prinetti non è più, in quest'ora felice per la patria nostra, di ri cordare a voi il suo nome.
L'on. Mosca difende il Trattato dalle critiche per la questione del riconoscimento come egli disse del Sultano come Califfo in Tripolitania.
L'OPINIONE DEI SOCIALISTI. L'ON. BISSOLATI.
A nome dei colleghi del mio gruppo dichiaro, che vo tando per la pace, noi non possiamo consentire che il nostro voto assuma un significato in contrasto con quei convincimenti contrari alla guerra, che qui e fuori di qui dichiarammo con fermezza non disgiunta da quel senso di disciplina nazionale che, in certe ore, s'impone anche ai partiti, il cui ideale va oltre i confini della patria.Votiamo(Bravo!) la pace, perchè l'umanità, il buon senso, i principî nostri, il beninteso interesse nazionale, vogliono che, appena la pace è possibile, si voti per la pace. Ma permettetemi anche di dire che votiamo per la pace, per chè lo schema d'accordo che venne compilato a Losanna risponde a quei criteri che noi, durante la guerra, abbia mo avuto l'onore di indicare alla Camera.
Voi ricorderete che cosa dicemmo qui, quando si di scusse il decreto di sovranità : che, meglio che alla for ma, era mestieri badare alla sostanza delle cose e delle situazioni; che occorreva metter mano a spedienti i quali rendessero meno violento lo strappo che noi vole vamo inferire all'avversario, che temperassero la rigi dezza del decreto di sovranità, che dessero soddisfazione allo spirito mussulmano.
Ed ecco infatti, che se la pace si è potuta concludere (non considero le condizioni esteriori che hanno potuto favorire e affrettare la conclusione della pace), si è con clusa appunto perchè si è posto mano a questi espe
MANTEGAZZA. Politica estera. - VII
L'opinione
dei socialisti
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dienti e temperamenti, di cui prima non si voleva tol terare neanche il cenno.
Passando alla seconda parte delle sue considerazioni, l'on. Bissolati crede che non si possa negare al Gover no il fondo di 50 milioni chiesto per la messa in valore delle nostre colonie. Ma rimane la quistione dei limiti e del modo con cui questo fondo dovrà essere speso, e decidere su ciò che appartiene al Parlamento, mentre se venisse votato l'art. 2 del decreto, tutto sfuggirebbe al controllo del Parlamento stesso.
Dite quali sono le vostre intenzioni sull'argomento della nuova amministrazione esclama l'on. Bissolati la quale credo si limiterà alla zona costiera, per ora, ed avrà carattere autonomo, secondo la buona prova avuta nella Eritrea, e metterci in condizioni di giudi care e decidere con piena coscienza.
L'on. Bissolati ricorda ancora che i nostri plenipoten ziari ad Ouchy hanno abbandonato ogni domanda di ri fusione di danni per i nostri connazionali barbaramente cacciati dai Turchi. Egli giustifica questo fatto: noi era vamo gli assalitori e non potevano essere molto forti gli argomenti morali in difesa delle nostre tesi in favore de gli italiani residenti nell'Impero Ottomano.
Inoltre l'Italia aveva fretta di concludere la pace, e ciò piegò forse il Governo a transigere.
Però rimane integro il dovere dell'Italia di provve dere, dovere non giuridico, ma morale e di convenienza! (Benissimo).
Quei poveri connazionali nostri che la Turchia, con atto impulsivo, costrinse a fuggirsene in patria, la sciando beni e lavori, somigliano agli ostaggi che Fede rico Barbarossa legava alle sue macchine di guerra che battevano le mura delle città lombarde assediate.
Quelli esclamavano: Ferite fratelli! ferite! e così i nuo i nostri fratelli lontani ci hanno detto : non vi curate dei nostri interessi particolari, ma trionfi quello della Patria! (Vive e generali approvazioni).
Con tutto ciò, non ostante tanto disinteresse, noi ci siamo ricordati solo di quelli fra di loro che erano nelle amministrazioni pubbliche ottomane. Ora ciò non è giusto, e l'Italia deve riparare alla ommissione.
194 LA DISCUSSIONE
ALLA CAMERA
L'on. Bissolati
Voi esclama l'on. Bissolati rivolto al Governo avete chiesto 50 milioni a conto corrente per le spese nella Libia; chiedete altri milioni per l'altra vostra colonia in Oriente ben altrimenti fruttifera, quella che si estende in tutte le regioni dell'Impero Turco. E chie dete milioni, per un altro dovere nostro: quello di alle viare le condizioni delle famiglie dei morti nella impresa di Libia! So che ci sono leggi che provvedono a ciò, ma se è dovere di ogni cittadino affrontare i pericoli e la morte per il proprio paese, è più assai meritorio farlo in una guerra coloniale, che in un'altra nella quale fosse in pericolo l'integrità della Patria!
E qui l'on. Bissolati viene all'ultimo punto del suo discorso: a quello che riguarda le isole Egee. Sarà o non sarà conclusa la pace Osserva l'oratore ma se in periodo di guerra si avverasse la condizio ne necessaria per la quale noi dovremmo evacuare le isole, è evidente che lo sforzo della Grecia sarebbe ri volto a surrogarci nella presa di possesso. Ora noi ab biam preso obbligo di restituirle, mantenuti certi ob blighi da parte dell'Impero Ottomano, e non altro: se la Turchia non si trova in condizioni di poterle rioccu pare, tanto peggio per essa ! (Mormorii, commenti). L'Italia non ha impegno di far la guardia! (Commenti prolungati).
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Se poi si farà la pace continua l'on. Bissolati pare a me che l'Italia debba rispondere ad altri obblighi che le incombono, secondo la posizione che essa oggi occupa nel concerto internazionale. (Commenti).
L'oratore ricorda i proclami degli ammiragli Amero d'Aste, Presbitero, ecc., coi quali affermarono alle popo lazioni di quelle isole che esse erano state liberate dalle armi d'Italia! Certamente quelle dichiarazioni era no approvate dal nostro Governo!
Non fa commenti ma ricorda il detto di De Tocquevil le: un male che si credeva inevitabile si sopporta pa zientemente; diviene intollerabile il giorno in cui si cre de di potersene liberare. (Approvazioni, commenti).
Nel modus precedendi è compresa una clausola con la quale la Turchia si impegna a concedere riforme alle
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ALLA CAMERA
isole, ma la promessa è troppo vaga per essere presa sul serio, ed in oltre essa non è passata nel trattato definitivo. Sicchè si può dire che noi abbiamo abban donato quelle isole! Potremo però, e dovremo, tornare ad occuparcene, quando dovremo discutere tutta intera la quistione balcanica, della quale quella delle isole Egee è una parte, ed allora dovremo rivendicare anche per esse il diritto a fruire di quella vita nazionale che è stata loro fatta sperare dallo scoppio delle ostilità! (L'on. Giolitti fa cenno di si con il capo). BISSOLATI - L'on. Giolitti fa cenni di assentimento, ed io ne sono lietissimo. Io credo di interpretare un vivo bisogno dell'anima italiana : noi mancheremmo ad un nostro dovere, se oggi ci dimostrassimo incuranti verso quei popoli ai quali per i primi aprimmo l'orizzonte della libertà.
Si è detto e giustamente ripetuto, che il maggiore e miglior frutto che abbiamo ritratto dalla guerra di Libia, è stato l'aumento del valore dell'Italia, valore interno, e forza di influenza all'estero. Perchè non do vremmo mettere questo maggior valore, a servizio di quegli ideali per i quali è sorta l'Italia? (Vive approva zioni, applausi dell'Estrema, congratulazioni).
IL DISCORSO DELL'ON. SONNINO
Quello dell'on. Sonnino fu il solo discorso vera mente importante pronunciato nel corso di questa discussione, e la forma misurata della critica è ciò che ha dato certamente maggiore efficacia alle sue osservazioni.
La Camera è attentissima quando si alza a parlare l'on. SONNINO. Egli dice :
I grandiosi avvenimenti che si sono svolti in queste ultime settimane, tali da poter esercitare una potente influenza su tutto l'equilibrio interno dell'Europa, fanno impallidire ogni minuta questione intorno ai modi con cui fu condotta la guerra in Libia. Ne giudicherà la sto ria. Il pubblico non ci si interessa più.
196 LA DISCUSSIONE
L'on. Sonnino
Ogni critica oggi potrebbe avere l'apparenza di una vuota recriminazione, atta solo a diminuire la giusta soddisfazione che prova il paese per l'allargato orizzonte della nostra politica nel Mediterraneo, per l'aumentato credito all'estero, per la importante colonia acquistata, pel valore dimostrato dall'esercito e dalla marina, e per la bella prova data dalla popolazione di un vivo intuito dei grandi interessi nazionali e di una tenace costanza di propositi nel volerli promuovere e difendere. Sono pronto a riconoscere nell'on. Giolitti il merito grande di aver dichiarato la guerra alla Turchia per la rivendicazione della Libia nel momento opportuno; guai se si tardava!
Molto si potrebbe dire sui metodi con cui la guerra fu condotta, e sulle deficienze del trattato di pace che ne derivò; ma oggi qualunque discussione su questi argomenti riuscirebbe vana se non dannosa. Certo un ammonimento utile si dovrebbe da noi trarre dall'am mirabile esempio dato dai giovani generali bulgari, di una sapiente preparazione seguita dalla azione fulmi nea e dal vigoroso incalzare del nemico dopo ogni vit toria. Quanto al trattato di pace le osservazioni potevano essere utili mentre duravano ancora i negoziati; ormai il trattato è quello che è; e nessuno penserebbe a di sfarlo.
Voterò senz'altro il trattato. Il mio desiderio è solo di chiarire la nostra situazione di fatto, perchè si possa trarne il maggior vantaggio per la prosperità e l'avve nire della nostra colonia.
E sono lieto di vedere ministro delle Colonie l'on. Ber tolini che, come il principale tra i negoziatori del trat tato di pace e come quegli che è chiamato ad attuarne le disposizioni, può meglio d'ogni altro fornircene una sicura interpretazione.
All'intento di eliminare ogni occasione di futuri dis sidii, mi pare questo il momento opportuno, all'inizio stesso del nuovo ordine di cose, per provocare dal Go verno (e credo con ciò di rendergli un servigio) qual che dichiarazione riguardo ad alcuni particolari degli accordi presi.
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ALLA CAMERA
IL RAPPRESENTANTE DEL SULTANO.
I. Comincerò dal rappresentante del Sultano a Tri poli, del Naib-ul-Sultan, come vien chiamato nel fir mano turco.
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Il Decreto Reale Italiano (17 ottobre 1912) dice testual mente all'art. 2 : « Il nome di S. M. Imperiale il Sul tano, come Califfo, continuerà ad essere pronunciato nelle preghiere pubbliche dei Mussulmani, ed è ricono sciuta la sua rappresentanza nella persona da lui no minata. I suoi emolumenti saranno prelevati sulle en trate locali.
« I diritti delle Fondazioni Pie (Vakuf) saranno ri spettati come per il passato e nessun impedimento sarà apportato alle relazioni dei Mussulmani col capo reli gioso denominato Cadi, che sarà nominato dallo Sceik ul-Islam, e col Naib nominati da lui ed i cui emolumenti saranno prelevati dalle entrate lovali ».
E all'art. 3: « Il predetto rappresentante (quello del 1 comma dell'art. 2) è riconosciuto anche agli effetti della tutela degli interessi dello Stato ottomano e dei sudditi Ottomani, quali permangono nelle due provincie dopo la legge 25 febbraio 1912, n. 83.
Dal 2º comma dunque all'art. 2 del Decreto Reale, che parla del Cadi, risulta che dovrà essere lui il capo religioso o rappresentante del Califfo agli effetti reli giosi; e questo appare pure dal testo del firmano del Sul tano del 16 ottobre, che, mentre riguardo al Naib-ul-Sul tan, o rappresentante del Sultano, dice semplicemente che egli è incaricato « della protezione dell'interessi Ot tomani » in Libia, pel Cadi invece specifica che egli, il Sultano, se ne riserva la nomina allo scopo che «le di sposizioni della legge sacra dello Sceriat restino co stantemente in vigore », e che da lui dipenderà la no mina del Naib fra gli ulema locali conformemente alle prescrizioni dello Sceriat.
Con ciò resta escluso che abbia a rappresentare qual cosa agli effetti religiosi il Naib-ul-Sultan o rappresen tante del Sultano, pagato sulle entrate locali, di cui nel 1º comma dell'art. 2 del Decreto.
Nel Decreto Reale è detto che egli è riconosciuto anche
198 LA DISCUSSIONE
I beni Vakuf
agli effetti della tutela degl'interessi dello Stato e dei sudditi ottomani, e quell'anche sembra implicare un qualche altro ufficio.
Quale sarebbe mai quest'altro ufficio? Dobbiamo rite nere che sia la sola carica formale di rappresentante diretto, di fronte al nostro Governo locale, della persona del Sultano. Ammesso difatti nel Cadì il capo religioso, il Naib-ul-Sultan non può per noi avere altre funzioni all'infuori della detta tutela degl'interessi ottomani, così come dice lo stesso firmano del Sultano. Egli avrà insomma le attribuzioni di un qualunque Console gene rale e nulla di più, e la singolarità della sua posizione starebbe soltanto nel fatto che egli non dipenderà ge rarchicamente dall'Ambasciatore ottomano a Roma, come gli altri Consoli in genere, e verrà pagato dal Go verno presso cui è accreditato. Osservo poi incidentalmente, come particolarità cu riosa, che mentre nel firmano del Sultano è detto espres samente che egli si riserva la nomina del Cadì o Capo religioso, nel Decreto Reale invece si stabilisce che tale il che non è nomina sarà fatta dallo Sceik-ul-Islam; precisamente la stessa cosa.
LA QUESTIONE DEI BENI « VAKUF
».
II. Il Decreto Reale dichiara (art. 2) che « i diritti delle fondazioni Pie (Vakuf) saranno rispettati come per il passato »; e il firmano del Sultano, concordato coi no stri negoziatori, dice essere sua intenzione che « le di sposizioni della legge sacra dello Sceriat restino in vi gore », su di che dovrà vegliare il Cadì.
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Ora su questo punto è stato rilevato dai competenti di cose mussulmane che l'Istituto dei Vakuf abbraccia qualcosa di più che le sole fondazioni pie, riguardando esso tanto beni d'uso privato come beni destinati a ser vizi pubblici e religiosi; onde comprende diritti.e isti tuti giuridici di varia natura. In ogni stato sociale e politico caratterizzato dall'arbitrio e da una generale instabilità di condizioni, come era quello vigente in Li bia, si è sempre cercato un rimedio nella invocazione di una sanzione di carattere religioso e divino sul rispetto
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ALLA CAMERA
di ogni disposizione intesa ad assicurare la stabilità delle proprietà famigliari o dei beni avocati ai servizi pubblici, non meno che di quelle degl'istituti più stret tamente attinenti alla religione, al culto o alla benefi cenza; ed è questo che costituisce l'essenza del Vakuf.
Devesi dunque intendere che le disposizioni dell'art. 2 del Decreto Reale che fa parte integrale degli accordi, si limitino a quei soli Vakuf che possono propriamente essere designati come Fondazioni Pie?
Ma a parte ciò, e ammessa anche l'ipotesi della in terpretazione più larga, conviene mettere bene in rilievo che, visto il punto di partenza dello stesso Decreto Reale che ribadisce la sovranità piena ed intera dell'Italia sulle provincie Libiche, la dichiarazione di rispetto dei diritti dei Vakuf non può implicare in veruna guisa che il Governo non abbia facoltà di modificare e regolare per l'avvenire gli attuali ordinamenti generali della pro prietà fondiaria, di cui si assicura che non piccola parte si trovi vincolata dai diritti svariati compresi sotto il nome di Vakuf.
Non può così essere contestabile che si potranno sot toporre i beni Vakuf come qualunque altro immobile, alle regole generali della espropriazione per utilità pub blica, salvo indennità; che tali beni potrebbero venir gravati dall'imposta generale, per nuove necessità pub bliche o per far fronte a servizi che vadano magari a profitto dei beni stessi; e che rimane sempre integra nel legislatore la facoltà di regolare e limitare, ove lo creda necessario, per l'avvenire il moltiplicarsi o l'e stendersi di tali diritti e vincoli di manomorta.
--Insomma importa mettere in chiara luce che l'invocata legge sacra dello Sceriat o il proclamato rispetto dei Vakuf non possono invalidare in alcuna guisa l'alto di ritto di sovranità dello Stato, quale risulta irrevocabil mente stabilito dalla legge 25 febbraio 1912, salva, s'in tende, l'applicazione costante a tutto e a tutti, delle norme generali di diritto pubblico o privato e dell'equità. Tutto ciò ha una importanza vitale per l'avvenire della Colonia.
200 LA DISCUSSIONE
I nuovi sudditi e le isole
LA DIFESA DEI NUOVI SUDDITI E LO SCOMBRO DELLE ISOLE.
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III. Altro punto meritevole di essere chiarito: A chi resta affidata la difesa dei Tripolini indigeni e dei loro interessi nelle regioni che restino sottoposte all'impero Ottomano? Non è escogitabile che l'Italia possa in alcuna guisa transigere su questo suo diritto e dovere verso i suoi nuovi sudditi, come prima e diretta con seguenza della proclamata sua sovranità. A ogni modo sarà bene fin da ora parlare chiaro anche su di ciò.
IV. Il trattato di pace nell'art. 2, comma secondo, stipula che « Lo sgombro effettivo delle isole da parte degli ufficiali, delle truppe e dei funzionari civili ita liani avrà luogo immediatamente dopo che la Tripoli tania e la Cirenaica saranno state sgombrate dagli uffi ciali, dalle truppe e dai funzionari civili ottomani.
Data la contemporaneità dell'apertura della guerra tra la Turchia e gli Stati Balcanici con la stipulazione della pace di Losanna, di fatto questo articolo in cui non si prefigge alcun termine preciso e perentorio all'e secuzione dei patti per parte della Turchia, riesce a far servire i soldati italiani ad impedire, l'occupazione di Rodi e delle isole Sporadi per parte dei Greci per tutta la durata della guerra balcanica, garantendone la re stituzione finale alla Turchia. Onde questa viene ad avere un reale interesse, vista la impotenza manifestata dalla sua marina, a non sgombrare totalmente la Libia fino a che duri la guerra stessa.
Da che, come, quando dovrà risultare, agli effetti del l'art. 2, lo sgombero più o meno completo dei Turchi dalla Libia? Vediamo in Cirenaica i comandanti turchi seguitare a fare il comodo loro, malgrado gli ordini formali dati loro, almeno in apparenza, dal Governo ottomano. Di questa disobbedienza terremo noi re sponsabile la Turchia, contuttochè essa pretestasse che Enver bey o chi per lui ha disobbedito agli ordini supe riori ed ha magari dichiarato di abbandonare il servi zio ottomano? o le meneremo buona una simile per quanto monca escusazione?
ALLA CAMERA
Dovremo dipendere in tutto questo dal solo benepla cito dei Turchi? E non porremo mai alcun termine pre ciso e perentorio alla esecuzione dei patti per parte loro, scorso il quale abbia a cadere l'obbligo assunto da noi in contraccambio?
I PERICOLI E I DOVERI AVVENIRE.
Spero che il Governo vorrà considerare le osservazioni rivoltegli, nello stesso spirito in cui sono fatte, mosse come sono dal solo desiderio di spazzar via ogni ragna telo che possa inceppare la nostra futura azione nella colonia a vantaggio del suo svolgimento economico e civile.
Oggi la Turchia ha troppi sopraccapi per poter seria mente occuparsi di intralciare la pacificazione delle re gioni libiche sotto la piena sovranità dell'Italia; ma do mani le cose possono presentarsi ben diversamente. Lo stesso eventuale confinamento, o quasi, della mezzaluna in Asia che risultasse dalla guerra balcanica, potrebbe spingere alla intensificazione dell'azione politico-reli giosa del Califfato come naturale conseguenza e magari a compenso della diminuzione della potenza diretta ter ritoriale e militare del Sultanato.
Conviene quindi fin da ora mettere bene in chiaro quanto possa riguardare le nostre relazioni col Califfato stesso per non lasciare addentellati a questioni ed at triti.
Con l'occupazione della Libia l'Italia si è assunta un vasto e glorioso compito di progresso e di pacificazione civile, compito che richiede studio indefesso, libertà di movimenti, larghezza di concetti, di procedimenti e di mezzi. I grandi progressi conseguiti nelle vicine regioni dell'Africa settentrionale ci fanno un obbligo d'onore di non restare indietro nella nobile gara, per trasfor mare ed elevare la nostra colonia fino a diventare in Africa un centro irradiatore di civiltà e di attività mo rale, intellettuale ed economica in armonia colle speciali sue condizioni etniche e geografiche.
Non ho ragione alcuna di dubitare che il nuovo Mi nistro delle Colonie, on. Bertolini, non si mostri piena
202 LA DISCUSSIONE
La guerra Balcanica e l'Albania
mente compreso del suo compito, e gli auguro di cuore su questa via ogni migliore successo nell'interesse del paese.
Se paragoniamo la nostra condizione generale di oggi a quella di non più di quattordici mési fa, non possia mo che rallegrarci di quanto è avvenuto. La guerra per quanto stentatamente condotta e pur terminando in un trattato di pace non del tutto esente da insidie per l'av venire, e ci ha ingranditi di una vasta colonia, ridan doci un posto nell'Africa mediterranea, ed è stata, a malgrado degli stessi vani sforzi della nostra diploma zia, cagione determinante della fiera riscossa delle po polazioni balcaniche contro il dominio ottomano, riscos sa che ha fatto palpitare di simpatia e di gioia ogni cuore italiano.
Con la costituzione di una Potenza balcanica autono ma risultante dall'intesa dei quattro Stati alleati, è sor to un nuovo ed importantissimo elemento di civiltà, di equilibrio e di pace sullo scacchiere europeo.
LA GUERRA BALCANICA L'ALBANIA E GLI ACCESSI ALL'ADRIATICO.
La questione balcanica rappresentava un pericolo co stante e diuturno di dissidî, un fomite di disordine, una causa continua di instabilità in Europa. Nessuno sa peva escogitare e tanto meno applicare un rimedio. Sul la gelosia tra le Potenze si puntellava il dominio turco.
Onore agli uomini di Stato e ai gloriosi capitani che hanno saputo con l'unione e la virile audacia tagliare il nodo L'Italiagordiano! non ha che da rallegrarsene. I principii che informarono il nostro risorgimento, i nostri interessi po litici più importanti si accordano nell'acclamare alla massima: « I Balcani ai popoli balcanici ».
La grande trasformazione che si è operata in meno di due mesi, ha mutato così radicalmente le condizioni di fatto e di diritto della Penisola vicina, da obbligarci a riconsiderare, sotto tutt'altro aspetto che nel passato, tutti gli accordi presi in vista dello statu quo ante e del le previsioni che ne traeva la diplomazia.
203
ALLA CAMERA
Le note intese con l'Austria relativamente all'Albania derivano dal mutuo desiderio di prevenire e dissipare gelosie, diffidenze ed attriti tra i due Stati, evitando che l'uno o l'altro cercasse di prendere il disopra in quella regione nel caso di una eventuale dissoluzione totale o parziale dell'Impero turco in Europa.
Nessuno dei due avrebbe potuto, come non potrebbe oggi, tollerare che l'altro col possesso militare di Val lona s'impadronisse delle porte dell'Adriatico. All'in fuori di questo punto e nei riguardi degli accessi com merciali degli Stati balcanici sul litorale Adriatico, l'Ita lia e l'Austria rappresentavano tendenze diverse e quasi opposte. L'Italia cercava di favorire tali accessi nell'in teresse dei propri commerci, mentre l'Austria tendeva ad ostacolarli; come apparve chiaro nelle trattative che susseguirono nel 1908-09 alla proclamazione della piena sovranità austriaca sulla Bosnia-Erzegovina. Allora l'I talia insistè sull'abrogazione dell'art. 29 del trattato di Berlino a vantaggio del Montenegro, e sulla non opposi zione per parte dell'Austria alla costruzione di una fer rovia trasversale che congiungesse i mercati serbi e bulgari con un porto Adriatico.
Ora la situazione è radicalmente mutata nei Balcani. La confederazione o unione degli Stati Balcanici e la loro completa vittoria sui turchi, pur lasciando vivo l'in teresse comune loro e dell'Impero austriaco di svolgere e intensificare la corrente dei traffici Indo-Europei per la via di Salonicco, esclude ogni prospettiva di un qual siasi predominio politico dell'Austria sulle regioni in terne della penisola; onde il cuscinetto albanese non rappresenta più alcuna garanzia nè per ora nè per l'av venire nei riguardi scambievoli tra l'Italia e l'Austria, ed esso non può considerarsi come tale che in relazione a una terza potenza, sia che questa venga impersonata dallo stesso nuovo Stato Balcanico nella sua collettività, sia dalla Russia, che per tanti anni ha fatto la parte di Orco o spaventa-ragazzi in ogni contingenza riguar dante la questione d'Oriente.
Ora lo spirito d'indipendenza e di vigorosa autonomia che manifestano i giovani Stati Balcanici toglie in ve rità ogni prossimo pericolo di un qualsiasi predominio
204 LA DISCUSSIONE
diretto della Russia in quei territori ma non è da na scondersi che rimane vivo un interesse preponderante e vitale dell'Austria, ed anche, sebbene in grado minore, uno consimile dell'Italia, che gli accessi all'Adriatico non vengano militarmente accaparrati da una qualun que terza potenza.
LE VIE COMMERCIALI.
Nei riguardi commerciali all'incontro la situazione no stra rimane come prima, ed ogni nostro interesse, in dissonanza su questo punto con le tendenze del vicino Impero, porta a moltiplicare le comunicazioni e aumen tare le facilitazioni pei transiti tra gli Stati Balcanici e l'Adriatico. E lo stesso interesse vale per l'Italia anche dal lato politico, onde promuovere i più stretti rapporti nostri di amicizia colla nuova potenza Slava. L'autonomia e l'indipendenza dell'Albania possono co stituire un mezzo ingegnoso per impedire l'occupazione militare delle porte dell'Adriatico per parte di qualunque grande Potenza, e possono quindi per questo lato essere conformi anche oggi al nostro interesse, ma a due con dizioni assolute ed imprescindibili :
1º che il nuovo piccolo Stato che, per difetto di spa zio e di popolazione e per difficoltà di posizione, può a mala pena trovare in sè gli elementi sufficienti di vita, di svolgimento e di difesa, e che ha quindi assoluto bi sogno di essere aiutato e sorretto da energie straniere, non abbia a ricadere sotto il predominio e la preponde rante influenza dell'Austria, con che si realizzerebbe quel pericolo fondamentale che è stato sempre l'obiet tivo nostro di evitare fin dai primi accordi riguardanti l'Albania. Condizione prima dunque di qualunque auto nomia o indipendenza di uno Stato Albanese dev'essere, per noi, l'assoluta eguaglianza di condizioni di fronte ad esso dell'Italia e dell'Austria, nei riguardi così po litici e morali come economici o finanziarî, o marittimi, o postali, o religiosi;
2º che la creazione dello Stato Albanese non diventi semplicemente il mezzo, lo strumento per impedire o ostacolare lo sbocco commerciale sull'Adriatico delle re
Le vie commerciali 205
gioni interne della penisola balcanica e specialmente di quelle serbe.
Queste due condizioni sono di primaria importanza per l'Italia. Dal che deriva che se possiamo, per scrupoloso rispet to al principio : « I Balcani ai Balcanici », e anche pel desiderio sincero e costante di promuovere quanto più possibile la buona intesa con l'Impero alleato, favorire la creazione di uno Stato indipendente dell'Albania, mal grado il pericolo che esso possa un giorno trasformarsi in un nuovo Schleswig-Holstein tra Austria e Italia, oc corre pure fin da ora accertarsi che i patti che garan tiscano la futura eguaglianza di condizione tra noi e l'Austria di fronte all'Albania stessa siano ben chiari e precisi, ed inoltre tener sempre presente, nell'insistere sulla creazione e sulla delimitazione del nuovo Stato, che nei riguardi dell'ammettere o no un accesso com merciale della Serbia sull'Adriatico, con o senza il cosi detto corridoio o striscia di territorio parimenti serbo, i nostri interessi sono in assoluto contrasto con la posi zione intransigente stata assunta, almeno sul principio, di fronte alla Serbia dalla diplomazia Austriaca.
Nel considerare sotto questo aspetto la questione attua le vi è universalità di consenso nell'opinione pubblica Italiana. Desiderosa com'è di mantenere da un lato i migliori rapporti con l'Impero alleato, e non meno di stringere dall'altro le più intime e simpatiche rela zioni con gli Stati Balcanici, essa saluterebbe con gioia qualunque equo componimento del dissidio Austro-Serbo che non offendesse i nostri interessi; e a questo compo nimento deve mirare con ogni sforzo la nostra diplo mazia.
UN RICHIAMO ALLA PROCEDURA COSTITUZIONALE.
Ancora due parole sugli articoli della legge, ed ho finito.
Avrei certo preferito che il Governo avesse presentato separatamente il disegno di legge per l'approvazione del trattato di pace, non collegandola con qualsiasi altro provvedimento. La materia era abbastanza importante
206 LA DISCUSSIONE ALLA CAMERA
e storicamente solenne per meritare di essere trattata distintamente e da sè: con che si sarebbe anche avuta una discussione più sollecita ed una votazione unanime.
L'articolo 2 del progetto attuale si presta a molte cri tiche di carattere costituzionale e procedurale, e la sua non necessaria appiccicatura all'approvazione del trat tato di pace ha un non so che di capzioso di fronte al Parlamento.
A ogni modo voterò anche l'articolo 2, pur deplorando la troppa facilità con cui si seguita in ogni occasione a chiedere pieni poteri, anche quando non ve n'è alcuna necessità intrinseca. Sarebbe ora che tornassimo ai me todi più corretti e costituzionali, in modo che la Camera possa normalmente compiere la essenziale sua funzione di sindacato delle spese prima che queste vengano im pegnate e non ne abbia solo notizia a fatti compiuti e in occasione del conto consuntivo. Voterò ciononostante l'articolo 2, perchè un voto contrario in occasione della prima richiesta di fondi potrebbe suonare come un pro posito della Camera di lesinare alla nuova colonia gli ampii mezzi necessari per il suo svolgimento; il che è ben lontano dal mio pensiero. (Vive e generali approvazioni; moltissimi deputati si recano a stringere la mano all'on. Sonnino).
L'On. Galli dopo un rapido sguardo alla politica estera seguita dall'Italia dalla costituzione del regno, e alcune critiche sull'andamento della guerra dice :
Una voce che la morte, dissipate le passioni, rese più eloquente, domandava a Bismarck, a Kalnocky, a Sali sbury : che la Tripolitania fosse data a noi per evitare all'Italia un disastro e per fare che Biserta non fosse più una minaccia, in causa di Malta, anche per la Grande Brettagna. E Bismarck, Kalnocky, Salisbury risponde vano concordi : « la occupazione della Tripolitania per opera dell'Italia è richiesta dall'interesse europeo ». Sol tanto Salisbury aggiungeva: badate, l'abile cacciatore per tirare sul cervo, attende che passi alla portata del suo fucile, affinchè anche se ferito non gli sfugga. Pas sarono 22 anni; l'attesa fu dura, ma il disastro è impe dito, l'impresa fu compiuta, e mercè vostra, onorevole Giolitti, il cervo non fugge più.
L'on.
207
Galli
CAMERA
Ma, poscia più che della questione della Libia l'on. Galli si occupò nel suo discorso della guerra Bal canica, dell'indipendenza Albanese e della Grecia sostenendo le rivendicazioni di quest'ultima per l'Epiro.
SEDUTA DEL 3 DICEMBRE.
Nella seconda seduta consacrata dalla Camera alla discussione del Trattato il primo oratore che prese la parola fu l'on. Fera, per approvare tutte le disposizioni del Trattato stesso. Lo segue l'on. Girardini approvando egli pure, e poscia l'on. Treves svolgendo un ordine del giorno firmato dagli onorevoli Samoggia, Agnini, Beltrami, Bocconi, Ron dani, Quaglino, Marangoni, Campanozzi, Giulietti, Pietro Chiesa, Turati, Sichel, Prampolini, tutti so cialisti, e del seguente tenore :
« La Camera, considerando che il trattato di pace tra il Regno d'Italia e l'Impero Ottomano, sottoscritto a Lo sanna (Ouchy) il 18 ottobre u. s., se raggiunge il bene fizio di ristabilire i rapporti normali tra le due Potenze, è lungi dal garantire l'effettivo esercizio pacifico della sovranità italiana sulla Libia in confronto delle popola zioni indigene, ed accolla allo Stato oneri non indiffe renti mentre elude completamente le legittime attese di indennizzo degli italiani espulsi, durante la guerra, dal territorio ottomano; rilevando che con detto trattato, anzichè chiudersi, si apre più larga la porta ad una politica di statolatria coloniale e militare mediante la proposta assegnazione di 50 milioni per opere pubbliche, quasi a riprova della sfiducia della privata iniziativa nel rendimento econo mico della Colonia, come fu già previsto dal partito so cialista fin dal principio dell'impresa di Libia; convinta che tale politica, mentre stornerà le risorse della nazione dal loro primo e doveroso impegno, i gravi bisogni della pubblica economia e dello sviluppo civile
208 LA DISCUSSIONE ALLA
del Presidente del Consiglio
della madre patria, per la sua stessa natura distribuirà inegualmente tra le diverse classi sociali gli effetti suoi e, precisamente versando i suoi vantaggi su pochi grup pi privilegiati e caricando i pesi su tutta la popolazione e più duramente, per la nota infelicità ed ingiustizia dei vigenti congegni tributari, alla popolazione più misera e bisognosa;
osservando poi che i corollari necessariamente anti democratici di detta politica, onde il partito socialista la oppugnò sempre ed in tutti gli Stati, già si affermano nello stesso disegno di legge in esame, cominciando esso dal sovvertire le norme ordinarie di guarentigia nell'as segnazione e nel controllo della erogazione degli stan ziamenti per le accennate e non specificate opere pub bliche in Libia e per il nuovo Ministero delle colonie, con palese diminuzione delle funzioni del Parlamento; deplorando che il Governo abbia voluto provvedere con un unico disegno di legge a oggetti così disparati come l'approvazione del trattato di pace e i provvedi menti finanziari per la Libia, coartando evidentemente con la riunione degli argomenti la libertà dell'opinione su entrambi; passa all'ordine del giorno ».
Dopo una breve risposta dell'on, Carcano relatore a tutti gli oratori, prende la parola il Presidente del Consiglio, del quale mi pare opportuno riprodurre il discorso integralmente, dagli atti della Camera.
IL DISCORSO DELL'ON. GIOLITTI.
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'in terno. (Segni di vivissima attenzione). Parlerò brevemen te anche a nome dei miei colleghi per gli affari esteri e per le colonie.
Col mio collega per gli affari esteri siamo stati in così assidua, continua collaborazione per più di un anno intero, che, parli il presidente del Consiglio o il mini stro degli esteri, i loro discorsi non potrebbero che por tare alle stesse identiche dichiarazioni.
Ma io debbo, prima di entrare nel merito delle que MANTEGAZZA. Politica estera. - VII.
Il
discorso
209
14
stioni, che sono state sollevate, porgere qui, davanti al Parlamento, a nome del Governo, un vivo ringrazia mento a coloro i quali si fecero, per patriottismo, colla boratori nostri nelle difficilissime negoziazioni della pa ce, in un momento in cui essi difficilmente potevano prevedere che l'opera loro conducesse a conseguenze così buone per il nostro Paese. Essi hanno reso un ser vizio, che il Paese certamente apprezzerà per lunghi anni! (Vivissime approvazioni).
Il trattato che l'articolo primo del disegno di legge propone di approvare non è stato combattuto da alcuno. Anche l'onorevole Treves, che, nel suo ordine del giorno, si dichiara nemico della guerra e non approva la pace, ha però dichiarato che, se il voto di questa fosse sepa rato da tutto il resto, anch'egli voterebbe la pace.
Vi sono state però molte osservazioni che meritano da parte del Governo una risposta.
La prima e più fondamentale questione sollevata è stata quella costituzionale, cui accennò l'onorevole Mi rabelli.
Egli ha dichiarato che il Governo, coll'opera sua, ha violato i diritti della sovranità nazionale, non ha però potuto provare certamente che avesse violato le disposi zioni dello Statuto fondamentale del Regno : e l'onore vole Mirabelli che questo Statuto non ha visto nascere, stia certo che non lo vedrà nemmeno morire, ed io gli auguro lunghissima vita. (Ilarità Interruzione del deputato Mirabelli).
Ma io debbo rispondere anche nel merito. Lo Statuto dà il diritto di dichiarare la guerra e di concludere la pace, ma io riconosco che vi sono circostanze nelle qua li un Governo può sentire il dovere di convocare il Parlamento per sentirne la espressa volontà nel caso concreto. Però in questo caso era necessità assoluta procedere con la massima rapidità, e tutti coloro che hanno prestato attenzione alle manifestazioni dell'opi nione pubblica europea nei primi tempi di questa impre sa, comprendono le ragioni che hanno spinto il Governo a non discutere prima, ciò che, secondo la sua opinione, era una necessità assoluta per il Paese. (Vive appro vazioni).
210 LA DISCUSSIONE ALLA CAMERA
oratori
Noi sapevamo, e il fatto ha dimostrato che non c'in gannavamo, d'interpretare esattamente la volontà della immensa maggioranza del Paese. (Vivissime approva zioni Applausi).
Io dubito perfino che molti di coloro che si sono di chiarati contrari all'impresa quando questa già era ini ziata, difficilmente avrebbero assunto la responsabilità diretta di non intraprenderla. (Approvazioni).
Dice l'onorevole Mirabelli : questa diplomazia segreta ha fatto il suo tempo; ora è necessario che tutto avvenga pubblicamente.
Onorevole Mirabelli, se dovessimo discutere in Parla mento tutte le note diplomatiche che si scambiano tra i Governi in gran numero ogni giorno, la diplomazia, che ora è accusata di lentezza, che razza di accuse ri ceverebbe allora? (Ilarità). Io credo che la pubblicità della diplomazia sia un postulato teorico che difficil mente potremo mai vedere attuato; è un po' come il di sarmo, come il libero scambio: in ogni caso non vi si può ricorrere se non quando tutte le nazioni del mon do accettino questo sistema, cosa assai difficile ad av venire.
L'onorevole Alfredo Baccelli adempì ad un dovere di amicizia, del quale io pure lo ringrazio, ricordando i meriti del nostro defunto collega Prinetti, il quale, aven do a collaboratore l'onorevole Baccelli, fu tra i primi che iniziarono in via diplomatica la soluzione di questa que stione. Ed io ringrazio l'onorevole Baccelli anche delle parole di approvazione per l'opera del Governo.
Quanto alla condotta della guerra, constato con pia cere che accuse formali non furono lanciate da alcuna parte. L'onorevole Mirabelli accennò vagamente ad ac cuse formulate dall'opinione pubblica, a cui alluse ve latamente anche l'onorevole Sonnino. Non entro in que sto argomento. Mi limito ad osservare che durante un anno intero di guerra non abbiamo avuto mai un in successo, nè per terra, nè per mare; constato che abbia mo fatto i minori sacrifici possibili, constato infine che abbiamo raggiunto il fine che ci eravamo proposti. Che si voleva di più? (Vivissime approvazioni).
Il Paese, che è il giudice più sereno ed autorevole, ma
Risponde
ai vari
211
ALLA CAMERA
nifestò per un anno di seguito a dispetto di tutti i cri tici, la sua più entusiastica approvazione per la con dotta della guerra. (Benissimo! Bravo!). Alcuni oratori, fra i quali ricordo gli onorevoli Mira belli, Bissolati, Galli, Girardini, fecero questa osserva zione: allorchè fu fatta la pace, pareva che ciò avve nisse in un momento inopportuno, perchè cominciava allora la guerra balcanica. Io rispondo: in primo luogo, che la pace era non solamente intesa, ma stipulata pri ma che l'alleanza balcanica dichiarasse la guerra. Questo come constatazione di fatto. Aggiungo, poi, che fu grande fortuna non essere noi implicati in una guerra (Benissimo!) che ci avrebbe messi nella condizione di essere sotto il giudizio delle altre potenze, anzichè es sere tra i giudici di ciò che si dovrà fare in Europa. (Approvazioni vivissime). Voci. È la verità!
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'in terno. L'onorevole Bissolati considerò le stipulazioni con tenute nel trattato di Losanna come una attenuazione del decreto di sovranità.
Mi duole il doverlo contraddire. Il trattato contiene quelle concessioni che noi avevamo dichiarato fin da principio essere disposti a fare e che sono comprese in massima parte nello stesso proclama fatto dal generale Caneva, quando i nostri soldati sbarcarono in Libia, e che io stesso accennai nel mio discorso, quando si di scusse della trasformazione in legge del decreto di so vranità.
Le concessioni fatte agli arabi sotto forma di rispetto della loro religione e dei loro costumi sono, per parte dell'Italia, uno stretto dovere, perchè l'Italia ha pro clamato la sua sovranità, ma non la sua tirannia su quelle nobili popolazioni. (Approvazioni Commenti all'Estrema sinistra).
La parola « nobili » è a posto. E' gente che non ha studiato, che non ha cultura ..
TREVES. Nobile, perchè difende bene il suo paese! (Rumori Interruzioni).
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'in terno. Ripeto che credo di aver adoperato a proposito
212 LA DISCUSSIONE
reale
quell'aggettivo, perchè popolazioni che non avevano con noi alcun rapporto, che non potevano rendersi conto dei fini coi quali noi andavamo presso di loro per por tarvi la luce della civiltà. non è da meravigliarsi che si siano difese, cedendo alle suggestioni del Governo turco. (Bravo!).
L'onorevole Gaetano Mosca vi ha dimostrato con un discorso molto dotto, che il rispetto della religione e dei costumi si traduce anche in concessioni che debbono essere molto larghe, riguardo all'ordinamento della pro prietà e ad una quantità di usi e costumi locali; e noi crediamo che si inizierebbe assai male un'opera di ci viltà, di educazione e di colonizzazione, se andassimo là, non come amici, non come civilizzatori, ma come oppressori.
Disse l'onorevole Bissolati che, nei primi tempi della guerra, corse voce che sarebbe stato a noi possibile tron carla, ammettendo il principio dell'altra sovranità della Turchia. Il fatto non è assolutamente vero.
Nessuna proposta di questo genere ci è stata fatta e, dato che ci fosse stata fatta, l'avremmo energicamente respinta. (Approvazioni vivissime). Perchè noi non po tremmo mai iniziare un'opera di vera civiltà in quelle regioni, senza averne l'incontestato possesso.
:
La sovranità nostra e quella turca sarebbero stati due elementi assolutamente inconciliabili. (Commenti). ___ Commenti
Aggiungo inoltre che non ritengo, per tutti gli indizî che abbiamo raccolto nel lungo tempo trascorso, che il decreto reale di sovranità abbia ritardato in alcun modo la pace. La Turchia resisteva alla occupazione di quelle provincie sia che noi volessimo la sovranità assoluta, sia che si accontentassimo della occupazione. (Approva zioni Interruzioni del deputato Treves).
Alcuni dubbi sono stati sollevati sulla portata del trat tato. L'onorevole Sonnino teme che vi sia contraddizione tra il firmano del Sultano ed il decreto reale; ma io lo prego di considerare, anzitutto, che questi due docu menti formano parte integrale del trattato e per conse guenza, per la loro retta interpretazione, si deve tener conto ad un tempo di ciò che è detto e nell'uno e nel l'altro. Ed io credo che contraddizione non ci sia.
Firmano e decreto
213
CAMERA
Nel firmano del Sultano si comincia a premettere che egli concede una piena ed intera autonomia e riconosce che il paese sarà d'ora in poi retto con nuove leggi.
In questo modo dunque il Sultano si spoglia del di ritto di far leggi e riconosce in noi il diritto di far leggi da quel giorno in poi. Aggiunge che nomina come suo rappresentante (sono queste le parole precise) « il no stro fedele servitore Chemseddin pascià con l'incarico della protezione degli interessi ottomani nel vostro paese ».
Il decreto reale, dopo aver detto che il nome di S. M. il Sultano come Califfo continuerà ad essere pronunziato nelle preghiere dei mussulmani, dice che il suo rappre sentante è riconosciuto nella persona nominata dal Ca liffo stesso. Nell'alinea che vien dopo si aggiunge : « Il detto rappresentante è riconosciuto anche agli effetti della tutela degli interessi dell'Impero ottomano e dei sudditi ottomani quali sussistono nelle due provincie dopo la legge del 25 febbraio 1912 ».
Ora qui bisogna spiegare la ragione di questa disposi zione. La Turchia, come la Camera sa e come si dice nel preambolo dell'accordo, non riconosce formalmente la sovranità dell'Italia su quelle provincie; per conse guenza essa sarebbe stata nella impossibilità di nomi nare dei consoli in quelle regioni per la tutela dei sud diti turchi ivi dimoranti. Allora si è trovata questa for ma, cioè di dare l'investitura della rappresentanza degli interessi ottomani in quelle provincie, quali restano do po la sovranità italiana, a colui che è anche rappre sentante del Califfo.
Quanto al cadì, che è carica esclusivamente religiosa, il Sultano dice: «la nostra intenzione è che le disposi zioni della legge sacra del Cheri restino costantemente in vigore ». Si parla quindi di disposizioni sacre. E quin di si riserva la nomina di un cadì. Siccome poi i cadì sono in effetto designati dal Sceik-ul-Islam e questo ha una veste esclusivamente religiosa, ne deriva la conse guenza, date queste disposizioni testuali e la loro ragio ne di essere, che non vi è contraddizione alcuna tra il firmano del Sultano e il decreto reale.
Nè contraddizione vi può essere, lo ripeto, perchè l'uno
214 LA DISCUSSIONE ALLA
Vakuf
e l'altro documento furono discussi parola per parola dai nostri negoziatori coi rappresentanti del Governo ottomano.
L'onorevole Sonnino e molti altri oratori, fra cui l'on. Artom e l'onorevole Bisolati, parlarono molto dei beni vakuf, e l'onorevole Sonnino sollevò il dubbio che, non tutti i vakuf essendo fondazioni pie, possano ña scere degli equivoci. Ma io lo prego di considerare che dei beni vakuf si parla solamente nel decreto reale con cui si fanno delle concessioni agli arabi, e che in questo decreto reale è detto così : « I diritti delle fondazioni pie, e fra parentesi è la parola vakuf, saranno rispettati (0 me per il passato »>.
Dunque in tanto qui si parla di vakuf, in quanto si tratta di vakuf destinati a fondazioni pie. Mi pare che questa sia la interpretazione incontestabile.
D'altronde aggiungo, per rispondere ad obbiezioni che furono fatte da altri, che anche la legislazione musul mana ammette che si possano trasformare questi beni vakuf: si possono permutare, accordare in enfiteusi, e si possono anche trasformare con redditi mobiliari. Quindi il Governo italiano, nella sua opera successiva di civilizzazione, non incontrerà ostacoli in questa disposi zione, purchè bene inteso tutto ciò che è destinato aila beneficenza ed al culto a favore degli arabi (perchè là culto e beneficenza si confondono) debba rimanere nella sua integrità come reddito a beneficio di quelle po polazioni.
Se noi non facessimo questo, mancheremmo ad un for male impegno che abbiamo preso con questo decreto reale.
L'onorevole Sonnino ha sollevato ancora un'altra que stione. Egli domandò : chi è che provvederà alla tutela degli abitanti della Tripolitania e Cirenaica, quando si recheranno in territorio ottomano? Sarà l'Italia che avrà questa protezione?
Ora io devo dire alla Camera che nel corso delle trat tative venne dal Governo ottomano formulata espressa mente la domanda che gli abitanti della Tripolitania e Cirenaica, quando si recassero in territorio ottomano, non fossero sotto la protezione dell'Italia. Ma questa
215 Sui
beni
CAMERA
clausola fu da noi assolutamente negata; (Bravo!) cosic chè non si fece cenno alcuno di questa questione, re stando, naturalmente, il diritto comune.
E qui vengo ad un altro argomento, che ha formato oggetto di molte osservazioni per parte di quasi tutti gli oratori che hanno parlato : quello delle isole dell'E geo. (Segni di viva attenzione).
Premetto che la occupazione delle isole dell'Egeo fu una occupazione puramente militare; l'abbiamo dichia rato con atti di governo che non potevano lasciare al cun dubbio. Aggiungo che la pace di Losanna è stata fatta prima che scoppiasse la guerra tra la Grecia e la Turchia. Per conseguenza la Grecia, quando di chiarò la guerra, sapeva già quali erano le obbliga zioni assunte dall'Italia di fronte all'Impero ottomano. Noi non potevamo, quando si è stipulata la pace, fare patti diversi da quelli che abbiamo stipulato. Chè l'im padronirsi di paesi, o greci o mussulmani, ma di paesi interamente civili, sarebbe stato procurare all'Italia un vero e proprio irredentismo: sarebbe stato andare con tro i sentimenti nazionali che sono la base di tutto il nostro diritto pubblico; e sarebbe stato anche contra rio a dichiarazioni formali che avevamo fatto fin da principio.
Quindi noi non potevamo fare che questo : resti tuire le isole, secondo le disposizioni del trattato, con garanzie a favore degli abitanti; garanzie che furono stabilite con quel decreto del Sultano, che fa parte in tegrante del trattato con l'Italia, e dovevamo per una evidente necessità pattuire che noi non avremno sgombrato le isole, se non dopo che la Turchia avesse sgombrato la Tripolitania e la Cirenaica. Questa era la situazione di fatto al giorno in cui il trattato di pace fu stipulato.
Su questa questione delle isole dell'Egeo l'onorevole Bissolati ha fatto due domande specifiche, alle quali mi credo in dovere di dare risposte precise.
Egli ha chiesto: se sgombreremo le isole prima che sia fatta la pace tra la Turchia e laGrecia, siamo obbligati ad impedire che i greci le occupino? Rispondo formal mente di no. (Vivissime approvazioni). Perchè questa
216 LA DISCUSSIONE ALLA
ipotesi non è prevista in alcun modo nel trattato e non poteva essere neanche indirettamente preveduta, perchè il trattato fu fatto prima che avvenisse la guerra fra la Grecia e la Turchia.
Il secondo quesito che ci ha proposto l'onorevole Bis solati è questo : se lo sgombro si fa da noi dopo la pace che cosa avverrà? In primo luogo, non posso ora sapere se in quel trattato di pace sarà o no contemplata que sta questione. Se la questione fosse regolata fra la Gre cia e la Turchia, noi non avremmo nulla da vedere. Ma se la questione rimarrà soggetta, come è possibile, al giudizio dell'Europa, in tal caso l'Italia, come grande potenza, potrà far sentire liberamente la sua voce. (Vive approvazioni).
L'onorevole Bissolati, l'onorevole Fera e parecchi altri hanno patrocinato la causa degli italiani espulsi dalla Turchia. Su questo argomento noi siamo disposti alla più grande larghezza, perchè riconosciamo che non vi è un dovere indennità, ma vi è un dovere di umanità verso i nostri connazionali, dovere a cui il Governo non verrà meno. (Vive approvazioni Applausi).
E vengo ora all'articolo 2 del disegno di legge. Sono state fatte a quell'articolo delle obbiezioni, le quali di mostrano che coloro che le hanno messe innanzi non si sono resi conto della condizione vera delle cose e dei doveri che si impongono al Governo italiano dopo aver occupato quelle regioni.
E' una necessità assoluta per l'Italia il giorno in cui mette piede pacificamente in quelle regioni, dimostri che è andata a portarvi la civiltà. E la civiltà non si porta senza opere che costano qualche cosa. (Benissimo!). Fra le altre cose, come urgenza che può essere anche in pro porzioni abbastanza vaste, ci saranno molte di quelle popolazioni, che, in conseguenza di un anno di guerra, che ha troncato tutte le comunicazioni normali, saranno nella impossibilità di seminare i loro terreni, se non vi provvede lo Stato.
Ora credete voi che sia possibile che l'Italia lasci ve nire una carestia, lasci morire di fame migliaia di per sone, per non provvedere loro i mezzi per coltivare il terreno? (Approvazioni). Là non c'è un palmo di stra
Dopo
la pace
217
ALLA CAMERA
da. E non vedete la necessità assoluta di metterci in contatto con le tribù dell'interno, provvedendo celere mente più che si può, i mezzi almeno più elementari di comunicazione? Vi sono in corso lavori nel porto di Tri poli, dove è difficilissimo lo sbarco. Vi sono poi dei porti come quello di Bengasi ed altri, dove assolutamente lo sbarco in alcuni periodi dell'anno è impossibile. L'Italia non ha da provvedere immediatamente a problemi di questo genere?
Vi sono opere igieniche, urgentissime, da fare; e vo lete che non si facciano?
Ma, si risponde, venite innanzi alla Camera, e chie deteci i fondi che esattamente occorrono. Lo disse l'ono revole Treves, e l'accennarono altri. Ora è possibile che noi. che non siamo ancora pene trati nell'interno, vi diciamo che cosa si debba fare, e facciamo un preventivo di spese per ciascun titolo a cui si debba provvedere? Ciò è assolutamente impossibile. E, se noi non dimostrassimo a quei paesi, ed anche al re sto d'Europa, che intendiamo d'iniziare seriamente que st'opera di civiltà, il buon nome d'Italia ne andrebbe di mezzo! (Approvazioni).
L'onorevole Treves (e gli chiedo scusa d'averlo inter rotto) si meravigliò che noi andiamo là a fare della co lonizzazione di Stato. Forse egli preferisce che noi diamo la Colonia ad una Compagnia delle Indie? Che l'onore vole Treves, in nome del principio socialista, desideri che non sia lo Stato ad ingerirsi della colonia, ma che la consegni a capitalisti, questo, proprio, m'ha scandaliz zato! (Vivissima ilarità Approvazioni).
Ho finito la mia difesa e concludo.
La pace, che abbiamo fatta lascia l'Italia più forte e più rispettata; le dà una grande colonia sul Mediter raneo, di fronte alle sue terre; le dà una missione da adempiere (e non è poco, per un gran popolo, avere una grande missione avanti a sè); le dà, poi, come grande potenza, piena libertà d'azione.
Con questa piena libertà d'azione, in momenti diffi cili, possiamo provvedere efficacemente alla difesa dei nostri interessi, e possiamo, nello stesso tempo, far va lere la nostra autorità per tutelare i legittimi interessi degli altri popoli.
218 LA DISCUSSIONE
Il Trattato è approvato con voti 335 favorevoli e 24 contrari.
PROTOCOLLO PRELIMINARE.
Questo protocollo firmato il 16, doveva rimanere segretissimo alla convocazione del Parlamento. Fu pubblicato infatti il giorno prima della discussione del Trattato alla Camera.
Modus procedendi.
« Sua Maestà il Re d'Italia e Sua Maestà l'Imperatore degli Ottomani, animati dall'eguale desiderio di far ces sare lo stato di guerra esistente fra i due paesi, ed in vista della difficoltà di pervenirvi, derivante dall'impos sibilità per l'Italia di derogare alla legge 25 febbraio 1812, che ha proclamato la sua sovranità sulla Tripoli tania e sulla Cirenaica, e per l'Impero Ottomano di for malmente riconoscere questa sovranità, «<hanno nominato i loro plenipotenziari, ecc., «< i quali, dopo essersi scambiati i rispettivi pieni po teri, hanno stabilito il modus procedendi segreto se guente :
« < 1° Il Governo Imperiale si impegna che nel termine di tre giorni al più tardi, sia emanato un Firmano Im periale indirizzato alle popolazioni della Tripolitania e della Cirenaica, conforme al testo allegato.
« 2º Il rappresentante del Sultano ed i capi religiosi dovranno essere preventivamente graditi al Governo Reale.
« Gli emolumenti del suddetto rappresentante e dei Naibs saranno fissati d'accordo dai due Governi e pagati sulle entrate locali; quelli del Cadì saranno al contrario pagati dal Governo Imperiale.
« Il numero dei suddetti capi religiosi non potrà su perare il numero di quelli esistenti al momento della di chiarazione di guerra.
« 3º Il Governo Reale si impegna che nel termine di tre giorni dalla data della promulgazione del Firmano Im
Il protocollo
preliminare
219
CAMERA
periale menzionato all'articolo primo, sia emanato un decreto reale conforme al testo allegato (per l'amnistia e la libertà del culto mussulmano).
«4° Il Governo Imperiale si impegna che nel termine di tre giorni dalla data della promulgazione del Firma no Imperiale menzionato all'articolo primo, sia emanato un iradé imperiale conforme al testo unico, (per gli abi tanti delle isole dellEgeo).
«5° Subito dopo la promulgazione dei tre atti unila terali suddetti, i plenipotenziari delle due Alte Parti contraenti, firmeranno un trattato pubblico conforme al testo allegato.
« <6º Resta inteso e consacrato col presente accordo che il Governo Imperiale si impegna a non inviare e a non permettere l'invio dalla Turchia in Tripolitania e in Ci renaica di armi, munizioni, soldati, e ufficiali.
«7° Le spese sopportate rispettivamente dai due Go verni per il mantenimento dei prigionieri di guerra e degli ostaggi si considereranno compensate.
«8° Le due Alte Parti Contraenti si impegnano a man tenere segreto il presente accordo. Tuttavia i due Go verni si riservano la facoltà di renderlo pubblico al mo mento della presentazione del trattato pubblico ai rispet tivi Parlamenti.
<< Il presente accordo andrà in vigore il giorno stesso della firma.
«9° Resta inteso che gli allegati menzionati nel pre sente accordo ne formano parte integrante ». 16 ottobre 1912.
S. M. il Re qualche giorno dopo firmò il seguente de creto relativo all « Ordinamento del Governo in Libia ».
VITTORIO EMANUELE III
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D'ITALIA.
Visti i Nostri Decreti 8 ottobre 1911 n. 1128, 5 novem bre 1911 n. 1247 e 20 novembre 1912 n. 1205.
220 LA DISCUSSIONE ALLA
Vista la legge 6 luglio 1912 n. 749. Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato, di concerto coi ministri della guerra e della marina. Abbiamo decretato e decretiamo:
DUE
GOVERNATORI.
Art. 1. La Tripolitania e la Cirenaica sono costituite in due separati Governi, ognuno dei quali è retto da un governatore, investito anche del comando delle truppe di terra e di mare stanziate nel territorio e nelle acque della sua giurisdizione.
Il governatore è nominato con decreto reale, su pro posta del ministro delle Colonie, di concerto col ministro della guerra, sentito il Consiglio dei ministri.
-
Al governatore si potranno delegare dal ministro delle Colonie, le facoltà spettanti al Governo del Re, nei ri guardi della Tripolitania e Cirenaica, che siano suscet tibili di delegazione.
Art. 3. Le sedi del Governo della Tripolitania e della Cirenaica sono rispettivamente stabilite in Tripoli ed in Bengasi.
Il governatore ha l'obbligo di risiedere nel territorio della sua giurisdizione.
In caso di impedimento, spetta al ministro delle Co lonie, d'accordo con quello della guerra, di stabilire chi debba sostituire il governatore e con quali attribuzioni.
Art. 4. Sono posti all'immediata dipendenza del go vernatore:
litici; b) il capo dell'ufficio politico militare; c) il capo di stato maggiore.
a) il segretario generale per gli affari civili e po
I due governatori·
Art. 2. Salvo quanto è disposto dall'art. 4, 3° comma del Regio Decreto 20 novembre 1912 n. 1205, il governa tore dipende immediatamente ed esclusivamente dal mi nistro delle Colonie, ed a tenore delle istruzioni da lui ricevute, dirige la politica e l'amministrazione della co lonia, con facoltà di emanare regolamenti di carattere locale, stabilendo le penalità per le contravvenzioni ai medesimi. 221
LA DISCUSSIONE ALLA CAMERA
DUE SEGRETARI GENERALI.
Art. 5. Il segretario generale per gli affari civili e politici è nominato con decreto reale, su proposta del ministro delle Colonie ed ha grado di Prefetto.
-
Egli secondo le direttive impartitegli dal governatore: a) sovraintende a tutti gli uffici civili; b) tratta direttamente o a mezzo di funzionari da lui dipendenti gli affari di carattere politico con le autorità locali e coi capi indigeni nelle circoscrizioni o in quelle parti di esse che, su proposta del governatore, siano state dichiarate con decreto del ministro delle Colonie, zone di Governo civile.
DUE CAPI D'UFFICIO POLITICO-MILITARE.
Art. 6. Il Capo dell'ufficio politico militare è nomi nato con decreto del ministro delle Colonie, di concerto con quello della guerra, udito il governatore. L'ufficio politico militare è investito delle attribuzioni di cui alla lettera b) dell'articolo precedente, in tutte le circoscrizioni non dichiarate zone di Governo civile.
-
Art. 7. Il Capo di stato maggiore si occupa esclusi vamente degli affari di carattere militare e coadiuva il governatore nelle sue funzioni di comandante delle truppe.
Art. 8. Fermo restando quanto è disposto nel terzo comma dell'art. 4 del regio decreto 20 novembre 1912 n. 1205, il governatore nella sua qualità di comandante delle truppe, esercita tutte le attribuzioni spettanti ai comandanti di corpo d'armata isolato e, quando sia di chiarato lo stato di guerra e lo stato di assedio, ha le facoltà che in simili casi sono conferite ai comandanti di corpo d'armata dal Codice Penale per l'esercito e dalle leggi e dai regolamenti militari.
Art. 9. Per ragioni gravi di ordine pubblico o di sicurezza, il governatore può proclamare lo stato di assedio in tutto il territorio di sua giurisdizione o in parte di esso.
Potrà inoltre istituire tribunali speciali, stabilire che alcuni reati che vengono commessi dagli abitanti siano giudicati secondo le forme ed applicando le pene fissate
222
Gli uffici politico-militari
dal codice penale militare per il tempo di guerra, e adot tare quegli altri provvedimenti che reputi necessari a seconda delle circostanze.
Potrà anche ordinare il confine di indigeni in località determinate e la espulsione di stranieri od anche di sudditi italiani la cui presenza o per condanne riportate o per la loro condotta o per il loro contegno verso le autorità ed il Governo o per ragioni di ordine politico sia pericolosa ed intollerabile.
I provvedimenti suddetti saranno presi con decreto motivato del governatore, previa autorizzazione del mi nistro delle Colonie e in caso di urgenza anche senza tale autorizzazione, salva però la immediata loro comuni cazione al ministro.
Art. 10. - I funzionari civili e militari della Colonia non possono corrispondere con amministrazioni dello Stato, coi rappresentanti dell'Italia all'estero, con un'au torità di Stati esteri o con qualsivoglia altra ammini strazione, ditta o persona nazionali o straniere, se non per il tramite ovvero in seguito ad espressa autorizza zione del governatore.
Art. 11. Il governatore e i funzionari civili e mili tari della Colonia non possono essere chiamati a rendere conto dell'esercizio delle loro funzioni, fuorchè dalla su periore autorità, nè sottoporsi per qualsiasi ragione a procedimento penale o essere arrestati, salvo i casi di flagranza, senza la previa autorizzazione, che è data dal ministro delle Colonie, se si tratta del governatore, e dal governatore, se si tratta degli altri funzionari.
Il governatore informa il ministro delle Colonie delle richieste ricevute dall'autorità giudiziaria e della rispo sta data.
Eguale norma si osserva pei capi e notabili indigeni riconosciuti.
Art. 12. Contro gli atti e i provvedimenti relativi alla amministrazione della Tripolitania e della Cire naica, è ammesso il ricorso amministrativo in via ge rarchica.
Contro i provvedimenti definitivi non è ammesso al tro ricorso che quello per legittimità in via straordina ria al Re.
223
Contro i provvedimenti contemplati nell'articolo 9 non è ammesso alcun reclamo amministrativo e giudiziario.
DELEGA DI POTERI
A MILITARI.
-
Art. 13. Salvo quanto è stabilito nell'articolo 6, per le circoscrizioni non dichiarate zone di Governo civile, nelle altre le autorità militari hanno ingerenza in ser vizi civili e politici soltanto nel caso che in via tempo ranea il governatore affidi ad ufficiali delle truppe par ticolari missioni, ovvero deleghi ai comandanti dei pre sidi speciali attribuzioni d'ordine civile, politico e giu diziario.
Art. 14. Le circoscrizioni territoriali politiche, am ministrative e giudiziarie, udito il governatore, sono determinate con decreto reale, su proposta del ministro delle Colonie, L'istituzione, la trasformazione e la soppressione dei varî uffici civili e le loro attribuzioni, anche in rapporto agli uffici rispettivi superiori del ministero delle Colo nie sono stabilite con decreto del ministro delle Colonie, udito il governatore.
Art. 15. Al governatore si applicano per quanto si riferisce al grado e agli onori, le disposizioni contenute nel regio decreto 30 dicembre 1892, n. 769, modificato col successivo r. decreto 15 dicembre 1910, n. 903, e quelle degli articoli 1, 2, e 3 del r. decreto 26 febbraio 1891.
Art. 16. Sono abrogati il r. decreto 8 ottobre 1911, n. 1128 e 2 settembre 1912 n. 955, nonchè qualsiasi altra disposizione contraria al presente decreto. Ordiniamo, ecc.
VITTORIO EMANUELE.
224 LA DISCUSSIONE ALLA
CAMERA
NOTE E RICORDI.
MANTEGAZZA Politica estera. - VII.
15
I.
-
II. -
Il generale Ameglio a Milano. dei duelli. Gli ammiragli al Senato.
Gli italiani espulsi La «Stella confidente». tenenti dei bersaglieri.
Interprete... di siciliano. Il tavolo Sulla piazza del Quirinale. Il conte Marescotti.IV.
III.
Quello che narrano. -
-1 fischi di piazza Colonna. Il 760 anniversario.
La marcia di Ameglio. -
La sfida di due Liberato per errore.
V.
Sotto le armi all'età di 4 anni! La canzone di Toselli. Il the di Enver bey. L'ultimo difensore di Rodi. L'offerta di ex-ufficiali di marina. Tre Boncompagni in servizio. Il principe Del Drago e Don Agostino Chigi. Una risposta del Re.-
-
L'ammiraglio Faravelli. La concorrenza di due colleghi. Da corri spondente a ministro. In memoria del magg. Galliano. Gli ascari dell'Eritrea. L'elogio del thè. Una legge elettorale draconiana.-fa.
Gli La contea di Tripoli. Dove il profeta fu deposto dalla balena. anticlericali e i gesuiti di Beirut. I corrispondenti di guerra 20 anni I berretti di lana pei soldati. Le 6 pellicce di 6 sartine per 6 ufficiali. L'eco delle sventure d'Italia.
-
Veramente commovente ed impressionante per l'entusiasmo e la spontaneità è stata giorni addietro la dimostrazione improvvisata per le strade al pas saggio dei piccoli marinai della nave-scuola dei garibaldini del mare venuti a Roma per le so lenni onoranze alla salma dell'ammiraglio Aubry. La popolazione della capitale ha tenuto, poichè le se ne porgeva l'occasione, a manifestare la sua rico noscenza a quei bravi figliuoli, a quei ragazzi che hanno iniziato così nobilmente la loro carriera af frontando impavidi la morte nel gran nome d'Italia e nel tempo stesso la sua fiducia nell'Armata che il compianto ammiraglio sperava di poter condurre a nuovi cimenti e a nuove glorie!
Al valoroso ammiraglio Aubry succede nel co mando supremo delle nostre Squadre un marinaio di razza : il Faravelli, un ufficiale che ha fatto, grazie all'indiscusso merito suo, una brillante e rapida carriera nei primi gradi e rapidissima nei gradi più elevati. L'anno scorso, su per giù di questi tempi, era ancora contr'ammiraglio. In dodici o tredici 'mesi, in seguito ai numerosi collocamenti a riposo, si è trovato ad essere il primo dei vice-ammiragli, e, quindi, designato ora per il comando delle nostre forze navali.
Il Faravelli, che è nipote del Depretis, poichè sua madre era una sorella del compianto uomo di Stato, è stato da quest'ultimo spinto ad entrare in marina.
I..
Furono il Depretis e il Bixio ch'era intimo di casa Depretis, a decidere i genitori dell'attuale ammira glio a metterlo in collegio. Ed entrò poco più che do dicenne nel Collegio Arnaldi a Genova tenuto da sa cerdoti i quali preparavano gli allievi per l'appunto per la carriera navale. A quell'epoca anzi erano due i collegi che avevano questo scopo, e v'era tra loro una viva concorrenza, chiamiamola meglio emula zione, per aver il maggior numero di promossi al l'esame finale col quale gli allievi passavano poi alla scuola navale. Il collegio nel quale studiava il Fara velli sembrava il meglio quotato. Ma siccome anche l'altro presentava degli allievi che facevano buona figura, v'era sempre da temere. Tantochè questa specie di concorso per l'esame finale era seguita dai maestri e dai direttori con una grande ansia. Natu ralmente nel collegio dove studiava il Faravelli si faceva grande assegnamento su di lui, perchè era il migliore allievo. Però, non sa mai quello che può suc cedere a un esame! E uno dei maestri spinse tanto oltre codesto spirito di emulazione da far pervenire durante l'esame il tema dato bene svolto per l'ap punto al Faravelli. Il quale lo respinse senza esitare e non senza una punta di sdegno. rispose Bene o male voglio fare da me. E riuscì il primo. Come fu sempre il primo della classe negli anni seguenti.
V'era stato un momento, quando, fino dall'inizio della sua carriera, i superiori mostrarono di tener in gran conto il giovane ufficiale, che qualcuno in sinuò che era favorito per la sua parentela col capo del Governo. Il suo stato di servizio, anche come semplice allievo, fu la facile e persuasiva risposta... Certo in tutte le carriere sono un po' le occasioni che mettono in evidenza il merito. Vi sono i fortu nati ai quali le occasioni capitano; quelli ai quali non capitano mai... e quelli che se le lasciano sfug
228 NOTE E RICORDI
nostro ministro
a Pechino
gire. Ma vi sono anche quelli che le cercano o che per lo meno si mettono in condizioni di averle.
Non è giusto, per esempio, che nella carriera di plomatica facciano strada non quelli che amano il quieto vivere ma quelli che non discutono quando. capita loro una residenza poco ambita, perchè lon tana o per altra ragione?
Il telegrafo ci ha dato giorni sono la notizia del l'azione energica e pronta spiegata dal nostro gio vane ministro a Pechino, lo Sforza, appena vi fu il timore che potessero rinnovarsi le scene selvaggie del 1900, e sembrò in pericolo la vita dei nostri con nazionali, come di tutti gli europei che risiedono nella capitale della celeste repubblica. Ecco un diplomatico in pochi anni di carriera arrivato alle credenziali di ministro plenipotenziario. Ma, in questi anni relativamente brevi, è stato un po' dap pertutto, ed evidentemente ha sempre cercato di andare là dove si svolgevano avvenimenti impor tanti. Da studente l'ho avuto come corrispondente da Pisa ad un giornale che avevo allora l'onore di dirigere; e quando parecchi anni dopo lo ritrovai in un momento difficile, incaricato d'affari a Co stantinopoli, mi ricordò ridendo come lo avessi poco meno che destituito.... dall'importante carica per telegrafo perchè aveva omesso di telegrafarmi una notizia di cronaca : un omicidio o un suicidio che aveva impressionato la città!
Lo Sforza, che fu per parecchi anni a Parigi, po scia mi pare a Bucarest, ad Algesiras, all'epoca della Conferenza, come segretario del nostro plenipoten ziario, il marchese Venosta, era già stato a Pechino in momenti gravi, e vi è ritornato molto volontieri dopo una breve sosta al Consolato generale (posto semi-diplomatico) di Budapest, e dopo aver passato quasi due anni alla Consulta.
La rivoluzione cinese ha messo a soqquadro l'A
Il
229
sia : la guerra italo-turca ha messo sossopra l'Euro pa, e continua a provocare nella stampa dei vari paesi delle manifestazioni agrodolci, che si alternano con quelle di vera e schietta simpatia; d'entusiasmo addirittura per parte di quei paesi che han combat tuto lotte secolari contro i turchi, come il Monte negro.
L'altro giorno sei montenegrini sono sbarcati a Bari, col proposito di partire subito per la Tripo litania e andare a battersi a fianco dei nostri soldati. Non è la prima manifestazione di questo genere che ci viene dal piccolo e valoroso regno serbo la cui Di nastia ha dato all'Italia la sua seconda Regina. Nel l'esercito montenegrino, soprattutto fino a pochi an ni or sono, erano relativamente numerosi gli uffi ciali che avevano studiato in Italia : fra gli altri il generale Martinovich, fino a ieri ministro della guer ra, e che non solo conosce perfettamente la nostra lingua, ma parla il piemontese con l'accento di un vero torinese. All'indomani d'Adua, parecchi ave vano domandato il permesso al loro Sovrano di offri re il loro braccio all'Italia e di andare a combattere in Eritrea insieme ai loro colleghi italiani, coi quali han continuato e continuano ancora ad essere in re lazione.
All'epoca del fidanzamento del nostro Re mi sono trovato a tavola, a Cettigne, con uno di questi uffi ciali, un bello e forte giovane che rammentava con orgoglio e con le lacrime agli occhi di avere avuto fra i suoi istruttori il povero maggiore Galliano. Il giorno prima erano giunti al Principe di Napoli e al Principe Nicola dei telegrammi di felicitazione del sindaco di Domodossola, patria del compianto mag giore, nei quali era ricordata per l'appunto l'amicizia che aveva stretto il bravo soldato piemontese con questi giovani montenegrini. Il Principe Nicola, con gentile pensiero, chiamati subito parecchi di questi
230 NOTE E RICORDI
1
caserma Galliano
ufficiali, ordinò loro che scegliessero una sala della nuova caserma, per darle il nome del valoroso sol dato.
-
La scelta mi disse il simpatico ufficiale che mi aveva parlato con tanto entusiasmo del Galliano e di quel bel battaglione che aveva sperato di condur re alla vittoria non poteva essere dubbia. Abbia mo consacrato alla memoria di quel prode la sala di convegno degli ufficiali.
Il Galliano, come è noto, aveva il comando di un battaglione di quegli ascari che a quindici anni di distanza hanno rinnovato con maggiore fortuna le prove di valore a Tripoli, ed ai quali la Camera, di scutendosi il bilancio dell'Eritrea, ha tributato un unanime e caldo applauso.
Il saluto ed il plauso della Camera ne hanno con sacrato ancora una volta, ed in modo solenne, l'ita lianità che essi sentono, del resto, fortemente, pro fondamente.
Non può avere idea mi diceva giorni sono il capitano Citerni, che ritornando in Italia dopo aver compiuto la non facile missione per la delimitazione dei confini fra la nostra Somalia e l'Etiopia, si fermò qualche giorno a Massaua dell'entusiasmo col quale sono accolte dagli ascari le notizie dei successi delle nostre armi in Tripolitania.
Questo entusiasmo arrivò addirittura al delirio, al le manifestazioni più incredibili, quando videro en trare in porto, prigioniera delle nostre navi, una pic cola nave turca. E non solamente i soldati, ma tutta la popolazione. Il lento e paziente lavoro di quindici anni ha dato frutti insperati. L'eritreo si sente e si dice con orgoglio italiano...
Il sentimento della patria s'è andato formando ed ha creato un vincolo più forte di quello della religio ne. Vincolo, quest'ultimo, che va rallentandosi an che in paesi o popolazioni dove il sentimento della.
La
231
patria non esiste ancora. I senussi che hanno tenuto ora in Tripolitania un contegno così correttamente neutrale si potrebbe dire benevolmente neutrale ne sono una prova. Il loro capo a Tripoli, assai probabilmente con l'assenso, o per lo meno sapen do di non fare cosa sgradita al suo capo supremo di Kufra, ha iniziato con una visita fatta giorni sono al prefetto Menzinger, delle buone e cordiali relazioni con le autorità italiane. Chi sa che fra qualche setti mana questi senussi non figurino ufficialmente in qualche ricevimento, o magari al five o' clok di qual che signora appena le circostanze permettano anche a Tripoli un qualche maggiore accenno di vita mon dana... Parlo di vita mondana perchè sebbene i se nussi siano una confraternita di fratelli non si danno affatto la posa di eremiti. Ed ho fatto l'ipotesi del five o' clok perchè il thè pare piaccia loro molto, dal momento che seguendo una raccomandazione la sciata da uno dei loro gran capi mettono un certo amor proprio nel preparare bene il thè dopo i loro pasti, considerando questa bevanda come atta a faci litare il lavoro intellettuale. Il thè debbo questa facile erudizione alla lettura della relazione di un viaggio a Kufra fatto qualche anno fa da un arabo di Tunisi al servizio del Governo francese - è un argomento sul quale han ricamato dei versi parecchi poeti dei senussi. Il mio autore cita fra le altre una poesia che pare sia di quelle che hanno avuto mag gior voga e la riproduce per intero.
Eccone qualche brano :
____________ -
<«<Evitate il vino, ma bevete il thè senza alcun ti more. Bevetene continuamente. Ridà la salute agli ammalati ».
« Riscalda il cuore e apre la mano per la genero sità tutti i bevitori di thè sono generosi ».
« Scaccia tutte le tristezze Apre la porta ai mi gliori desideri che la natura ha dato all'uomo : ama re e mangiare ».
-
232 NOTE E RICORDI
<< Grazie ad esso il viso si colora, la pelle diventa morbida, come le rose sulle quali è caduta la piog gia ).
<< Grazie ad esso, l'intelligenza diventa simile ad una perla che riflette le immagini : dissipa le tenebre e la rende più lucida ».
Scommetto che nessuna delle signore che abitual mente prendono la loro tazza di thè dalle cinque al le sei ha mai avuto il più lontano sospetto che il thè possa fare tutte queste cose. Ci penseranno forse adesso...
Le preoccupazioni per gli avvenimenti che si stan no svolgendo sulle coste dell'Africa settentrionale e laggiù nell'Estremo Oriente non permettono di occu parsi d'altro, e i giornali parlano quindi assai fuga cemente di quello che avviene altrove. Bisogna però anche dire che paesi e questioni i quali una volta in teressavano sono ora completamente dimenticati.
Per la morte del Sovrano del Lussemburgo, per esempio, non si è avuto posto che per qualche mez za colonnina di necrologio con un vago e succinto accenno a questo paese che non fa mai parlare di sè, e che, specialmente da noi, pochissimi hanno visitato malgrado sia uno dei più pittoreschi di Europa. Ep pure proprio per il Lussemburgo poco mancò che la terribile guerra franco-germanica scoppiasse qual che anno prima. Dopo il trattato di Praga firmato in seguito alla vittoria di Sadowa, Napoleone III, im pensierito per l'aumento di potenza che ne veniva alla Prussia, voleva dei compensi per la Francia. Prima domandò nientemeno che Magonza e il Pala tinato. La Prussia rispose con un rifiuto categorico, offrendo invece... il Belgio, o per lo meno dicendo che il compenso lo poteva trovare da quella parte. Sapeva però che l'Inghilterra si sarebbe opposta... Allora il Governo imperiale si mostrò disposto ad accontentarsi del Lussemburgo. Il Re d'Olanda che
Il
thè in Libia
233
ne era il Sovrano si mostrò disposto a vendere il Granducato a Napoleone III per la somma di 90 mi lioni. Era già fissato il giorno per la firma del trat tato (e sarebbe forse più esatto dire : del contratto), quando un deputato interpellò il principe di Bi smarck, protestando contro questa alienazione di una terra tedesca. E Bismark assunse verso la Fran cia una intonazione di minaccia lasciando capire che la firma di quel trattato voleva dire la guerra. La Francia non era pronta. Napoleone III cedette. E si addivenne ad un compromesso con una convenzione firmata a Londra. Come fiche de consolation fu pro clamata la neutralità del Granducato, il che ebbe come immediata conseguenza lo smantellamento del la fortezza e il ritiro delle guarnigioni prussiane. La guerra scoppiò tre anni dopo.
Nessuno parlò più del piccolo Stato, nè delle sue istituzioni, nè della sua politica interna, che, data questa neutralizzazione, non può più avere alcun interesse per le altre Potenze. Il che non vuol punto dire che le lotte politiche fra conservatori e liberali, e adesso anche con una punta di socialisti, non sia no vive.
La notizia della morte del Granduca, che ha ri chiamato di nuovo per un momento l'attenzione sul Granducato, giunta mentre la nostra Camera annul lava o stava per annullare alla unanimità una elezio ne per brogli e corruzioni, mi ha fatto pensare a una curiosa disposizione della legge elettorale del Lus semburgo, rigorosissima, per l'appunto contro la corruzione elettorale.
Un articolo stabilisce severe pene contro chiunque < «<in occasione di una elezione ed a scopo elettorale, dopo la pubblicazione del decreto per la convocazio ne dei collegi, visita o fa visitare a domicilio gli elet tori » e vieta ai candidati di offrire da bere e da man giare agli elettori.
234 NOTE E RICORDI
sottotenente
Ed io penso alle elezioni che si dovrebbero annul lare, ai processi che si dovrebbero imbastire in tanti paesi compreso il nostro ben inteso se nella leg ge fosse inserito un articolo di questo genere...14 marzo.
II.
All'indomani delle notizie sulla battaglia di Ben gasi, il sostituto procuratore generale alla Corte di Appello di Roma ha ricordato ad un redattore di un giornale della capitale l'epoca nella quale l'Ameglio, il valoroso generale cui si deve il merito della vit toria, arrivò a Milano modesto sottotenente in quel 7° fanteria, che dopo tanti anni, è ritornato nuova mente di guarnigione nella capitale lombarda. Ho già narrato altra volta come, in quel reggimento, io pure sottotenente, abbia avuto l'onore di avere col lega nella stessa compagnia l'Ameglio e l'autore del Moroso dela 'nona che fece con noi i suoi tre mesi come ufficiale di complemento.
Il nome dell'Avellone, l'amicizia che da quell'epo ca lo lega al prode generale, ha evocato altri ricordi di quei tempi, ahimè lontani, quando il sottotenente. Ameglio pieno di fuoco e di entusiasmo, che discor reva e discuteva appassionatamente e accalorandosi anche per cose di lieve momento, era un po' l'enfant gâté di un gruppo di amici che quasi ogni sera si riuniva all'antico caffè Gnocchi, nel quale s'incon travano sovente il Ronchetti, il povero Boneschi di ventato parecchi anni dopo deputato, il Marcora che certo non sognava allora di diventare presidente del la Camera, Napoleone Perelli che venne qualche an no dopo a Roma alla Riforma, l'on. Campi che vi capitava di quando in quando, e parecchi altri. Fu
Ameglio
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l'Avellone, allora avvocato di grido, venuto da Pa lermo, che presentò l'Ameglio a tutti costoro. L'Avel lone era venuto a Milano come difensore in un pro cesso che levò a quell'epoca molto rumore in Italia : il famoso processo per un furto di circa tre milioni . in danno del Monte di Pietà di Palermo, che da Pa lermo fu rinviato alla Corte d'Assise di Milano, per legittima suspicione. Una delle cose curiose di quel processo nel quale furono chiamati a deporre come testimoni molti si ciliani fu la necessità nella quale si trovò il presi dente di fare assistere al dibattimento qualcuno che conoscendo perfettamente il dialetto siciliano spie gasse ben chiaro alla Corte ed ai giurati ciò che quelli dicevano. La scelta del presidente cadde sul tenente dei carabinieri Placido Navarro il quale funzionò da interprete per tutta la durata del processo. Insieme all'Avellone, e per la stessa ragione, erano venuti a Milano altri di Palermo che spesso capitavano essi pure allo stesso caffè, allo stesso tavolo dove più volte han seduto Giovanni Verga, Luigi Capuana : ed era immancabile il principe Pio di Campofranco, un fortissimo tiratore, amicissimo egli pure dell'Ame glio, e che era un po' il padrino-omnibus di chi si doveva battere, in un'epoca nella quale i duelli era no relativamente abbastanza frequenti. A quel la volo del Gnocchi il tavolo dei siciliani, come si diceva si sono accomodate amichevolmente molte questioni, e di parecchie invece si fissarono le condi zioni per lo scontro.
Molte di quelle amicizie hanno continuato e si sono fatte più salde col tempo, e tra i vecchi compa gni è stato un fremito di gioia quando si ebbe la no tizia di un nuovo successo del valoroso condottiero, che si trova così generale di divisione in età relati vamente assai giovane con una brillante carriera, an che senza aver fatto la scuola di guerra. Veramente
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to
egli l'ha fatta; solamente non fu dichiarato idoneo all'esame finale, perchè gli mancava un mezzo pun e mi pare in francese. Credo adesso debba essere il primo a ridere, dopo le prove date : la pro mozione a scelta e per esame da capitano a maggio re, e quest'ultima da maggior generale a tenente generale per merito straordinario di guerra. Pare sia stato S a Maestà il Re a volere che alla locuzio ne ordinaria « per merito di guerra » fosse aggiunto. l'aggettivo. In ogni modo il Re ha voluto, rialzando ancora il valore del meritato premio, comunicare Egli stesso all'Ameglio la sua promozione. Anche in altre e diverse circostanze il Re ha te nuto a comunicare una notizia gradita alle persone interessate. L'anno scorso ha fatto chiamare al tele fono il Lanciani, l'illustre archeologo al quale si deve ora anche l'organizzazione di quel Museo alle terme diocleziane, unico al mondo, per dargli la notizia che aveva firmato il decreto per la sua nomina a senatore.
Giorni sono fu il Re personalmente che annunziò la sua nomina a senatore al suo Primo aiutante di campo. E in un modo che, dapprincipio, destò qual che sorpresa nel generale Brusati che non riusciva a capire.
La mattina del giorno nel quale i decreti furono pubblicati il Re parlando col suo primo aiutante di campo, invece di dire come al solito « < generale lo chiamò « onorevole ».
Il generale Brusati, il quale non si aspettava la gradita sorpresa, si voltò guardandosi intorno, im maginando vi fosse altri a cui il Re volesse parlare.
E Sua Maestà sorridendo, gli partecipò allora la sua nomina. Con l'ultima infornata sono entrati in Senato vari generali. E vi è entrato per la prima volta un viceammiraglio dopo un anno di grado. Era naturale che aprendo le porte di palazzo Ma
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dama al comandante supremo delle nostre forze di terra, si schiudessero anche al comandante delle forze di mare. Ma per quanto riguarda l'anzia nità di grado, il fatto è senza precedenti. Anzi, si può dire che, fino ad ora, i viceammiragli sono sempre stati nominati senatori o lasciando il servi zio, come il Grenet e il Gualterio, o pochissimo tempo prima come il Di Brocchetti; a parte, ben inteso, quelli che come il Cattolica sono stati nomi nati perchè ministri.
Si è rotta così una tradizione che non aveva nessuna ragione di essere; ed in un momento che non avrebbe potuto essere più opportuno : quando in ogni circostanza, si afferma nelle forme più sim patiche l'affetto e la solidarietà fra l'esercito e la marina, e all'indomani di un attentato che ha com mosso tutto il mondo civile e ha dato una nuova occasione al Paese di manifestare il suo affetto e la sua devozione alla Augusta Dinastia che ne regge i destini, mentre soldati e marinai si coprono di gloria in una guerra d'oltremare.
Chi non vi ha preso parte, chi non vi ha assistito, non potrà mai immaginare lo spettacolo della piaz za di Monte Cavallo, la scalinata gremite di una folla composta di tutte le classi sociali acclamante; l'entusiasmo, il fremito di quelle migliaia e migliaia di persone, quando i Sovrani coi loro figli si affac ciarono ai balconi, l'intensità dell'applauso che raddoppiava quando i Sovrani accennavano a riti rarsi.....
Solo altre dimostrazioni, pur troppo ugualmente per una causa dolorosa, ebbero lo stesso carattere... Bisogna risalire con la memoria a molti anni or sono, quando Roma volle manifestare a Re Umberto e alla Regina Margherita la sua gioia nel rivederli incolumi dopo l'attentato di Passanante.
La notizia dell'attentato di Carriera Grande giunse
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a Roma alla sera, verso le otto. Lo seppi da un collega, uscendo di casa dopo pranzo per andare al caffè del Parlamento che era dove adesso sorge il palazzo Bocconi. Non sai? mi disse il collega Hanno tirato sul Re, Pare sia ferito gravemente : secondo alcuni sarebbe già morto....
Allora andiamo subito a palazzo Braschi. Là si saprà la verità.
E saliti in una botte, raccomandando al cocchiere di far presto, andammo a palazzo Braschi. Salii lo scalone di corsa insieme ad un gruppo di altre persone che avevano avuto la stessa idea. Al l'usciere che conoscevamo e che era già informato dell'accaduto la notizia si era sparsa in un baleno domandammo di passare subito dal Ronchetti (non l'ex-ministro), allora segretario generale all'in terno. Quando entrammo nel suo gabinetto il Ron chetti aveva un fascio di telegrammi in mano. gli domandammo. E' vero? - Pur troppo, il Re è ferito, e di pugnale!
La prima impressione fu terribile. Si temeva la ferita più grave. Ma un ultimo dispaccio arrivato proprio in quel momento diceva trattarsi di cosa lievissima e infondato il timore che la lama fosse avvelenata.
Scendemmo le scale senza saper bene dove ci sa remmo diretti. Da piazza Colonna a palazzo Braschi, con una carrozzella che andava assai presto, avremo forse impiegato quattro o cinque minuti al massimo, e il nostro dialogo col Ronchetti non poteva aver durato più di cinque. Eppure nelle strade vi era già una folla immensa che si riversava di quà e di là acclamando all'Italia e al Re. In poco più di una mezz'ora la città assunse un aspetto dei più carat teristici, poichè si improvvisò una grande illumi nazione. In molte case allora era, relativamente -
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ancora poco diffuso nelle case l'uso del gas e la luce elettrica non esisteva la lampada che era sul tavolo da pranzo venne posta sul davanzale della finestra insieme a tutti i candelieri che si erano potuti racimolare. Le drogherie ancora aperte furono prese d'assalto da tutta la gente che voleva delle candele per metterle alle finestre....
Le dimostrazioni si rinnovarono quando ritor narono a Roma i Sovrani, alla stazione al loro arrivo e sulla piazza del Quirinale, come ora. L'attuale Re d'Italia era allora un bambino, vestito alla mari nara, come comparve giorni sono a quello stesso balcone il figlio suo : il Principe ereditario...
Dal 1870 in poi su quella piazza del Quirinale, con manifestazioni di giubilo o di dolore, Roma si è sempre associata alle gioie ed alle tristezze della Casa di Savoia.
Prima del 1870, invece, quella piazza è stata più volte anche teatro di manifestazioni ostili o addi rittura di sommosse, come nel 1831, quando du rante il pontificato di Pio VII fu assaltato ed occu pato dai rivoltosi il palazzo del Quirinale. Uno dei capi di quel movimento, e dei primi a entrare nel palazzo, fu il conte Francesco Marescotti, nonno di donna Giacinta Martini, moglie all'ex-governatore dell'Eritrea, alle cui funebri onoranze ha partecipato una così larga rappresentanza della Camera, del Se nato, della aristocrazia, dell'arte e delle lettere con una unanime manifestazione di cordoglio per la per dita della illustre gentildonna e di simpatia per l'on. Martini.
La salma della compianta signora fu trasportata a Vorno nel sepolcreto di famiglia. Ed è delicata e gentile la ragione per cui la famiglia Marescotti, originaria di Bologna trapiantata a Roma, ha ora le sue tombe in Toscana.
Il conte Augusto Marescotti, figlio del conte Fran
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Giacinta Martini
cesco e padre di donna Giacinta Martini, era egli pure di idee molto liberali. Tanto liberali che ad un certo punto non durò fatica a capire che a Roma non spirava più un'aria buona per lui. E pensò bene di mutar cielo. Gli sembrò che la Toscana fosse ancora il paese, dove poteva sperare di essere meno disturbato. Partì con falso nome e capitò nei din torni di Lucca e ad un contadino, certo Olivieri di Vorno, fingendosi un touriste, domandò di accom pagnarlo nelle sue escursioni sui monti della Luc chesia. Si stabilì così fra i due una vera amicizia, per cui ad un certo punto il Marescotti gli disse chi era perchè era stato costretto a girare il mondo con un altro nome.
Passato il primo pericolo pare che per mezzo di aderenze personali si fosse parlato del Marescotti al Granduca, il quale gli fece sapere, indirettamente, che lo avrebbe lasciato stare purchè non desse noie, e se ne stesse tranquillo.
Ma anche quando cambiarono i tempi, il conte Marescotti che si era stabilito a Lucca dove nacquero donna Giacinta e la sorella principessa di Venosa, continuò ad andare a Vorno, anche per fare una certa cura idroterapica naturale, quando in Italia non esistevano ancora gli stabilimenti come ora.
Fu in quegli anni che fra il conte Marescotti e il suo amico contadino fu stretto un patto quello cioè che le loro salme dovessero riposare vicino sotto la stessa terra. L'Olivieri morì nel 1865 e fu seppellito nella fossa comune del piccolo ci mitero di Vorno. Il conte Marescotti morì venti anni dopo, nel 1885, disponendo nel suo testamento che, conformemente all'accordo stabilito, la sua salma dovesse essere seppellita vicino a quella del suo caro e vecchio amico Olivieri, del quale non deve essere difficile trovare la tomba. E difatti, in ossequio a queste disposizioni testamentarie, la MANTEGAZZA. Politica estera, - vi.
Donna
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famiglia fece subito le opportune indagini, rese rela tivamente facili dal fatto che Vorno è un piccolo comune di circa 1600 abitanti. Furono trasportate altrove le altre tombe, e vicino a quella dell'Olivieri, sulla quale venne collocata una lapide che ricorda la sua amicizia e fedeltà per il conte Augusto, fu eretta la cappella dei Marescotti, su disegno di un illustre artista.
E' l'unica tomba speciale del piccolo cimitero di Vorno, quasi nascosto fra gli olivi sul declivio del Monte Pisano. Le lapidi poste sulle tombe dell'Oli vieri e del conte Marescotti paiono indicare come esempio alle poche persone che si spingono fino lassù, questa nobile amicizia fra il patrizio e il contadino, che pare non abbia potuto troncare nem meno la morte.
27 marzo. 1 III
Il generale Ameglio ha scritto un'altra bella pa gina nella storia di questa guerra col rapidissimo sbarco delle sue truppe e la prontezza dell'azione che gli ha permesso di far sventolare poche ore dopo . il tricolore sulle mura dell'antica sede dei Cavalieri Gerosolimitani. Relativamente ancor giovane. mal grado il candore dei baffi che spiccano, ora spe cialmente dopo sette mesi d'Africa, nel suo volto abbronzato, è forse l'ufficiale del nostro esercito che ha preso parte a un maggior numero di com battimenti esercitandovi un comando importante. Certo è quello che, alla sua età, conta un maggior numero di anni di servizio. Per lo meno agli ef fetti della pensione.... e della medaglia mauriziana, per i dieci lustri di servizio. E il solo che l'abbia
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bey
avuta, non ricordo bene se come colonnello o come generale di brigata da poco promosso. Com'è noto, gli anni passati in Africa, nelle campagne di guerra, ecc. ecc., contano doppio. Naturalmente è soltanto possibile a questo modo di avere cinquant'anni di servizio.... con cinquantatrè o cinquantaquattro anni di età!
Purtroppo laggiù, nella lontana Eritrea, or fanno quindici anni la vittoria non arrise alle nostre armi, e si ebbe allora il torto di lasciarsi prendere dallo sconforto, quasi di disperare dell'avvenire della pa tria, come se una campagna sfortunata, ma nella quale furono infinite le prove di valore, potesse se gnare irrevocabilmente la decadenza di una stirpe. Lo sconforto ha fatto avvolgere nel velo dell'oblio pagine gloriosissime per il valore dei nostri soldati, che sarebbe ingiusto di non ricordare oggi.
Il rispetto del nemico e l'ammirazione per il suo valore sono sentimenti nobili e cavallereschi che non debbono mai venir meno nei popoli forti, anche durante le lotte più accanite. Epperò fa piacere il constatare come a proposito della morte di Enver bey, confermata o no, tranne qualche rarissima nota stonata la nostra stampa sia stata unanime nel rendere il dovuto omaggio all'ufficiale nemico che è stato l'anima della resistenza.
Mi è capitato di discorrere giorni sono con alcune signore del mondo diplomatico che lo hanno molio conosciuto a Berlino dove aveva dal punto di vist , diremo così, mondano una posizione invi diabile, non solo come addetto militare ottomano in un paese che da un pezzo pareva aver preso sotto la sua alta protezione l'Impero turco e il suo eser cito e per la parte avuta nella rivoluzione contro Abdul Hamid, ma perchè personalmente, aveva saputo crearsi un ambiente simpatico. Nessuno lo obbligava a lasciare quel posto invidiato, ben retri buito, che gli procurava molte soddisfazioni.
Enver
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Era nelle migliori relazioni anche con tutto il per sonale della nostra Ambasciata come con tutto il corpo diplomatico di Berlino, e proprio pochi giorni prima che cominciassero fra i due paesi i malu mori che condussero allo scoppio delle ostilità, par tecipò ad un thè, en petit comité, al quale inter venne anche la bella e gentile ambasciatrice d'Italia e fra gli altri il Lambertenghi, segretario della no stra Ambasciata, che essendo ufficiale di comple mento chiese di essere richiamato in servizio. Po che settimane dopo, richiamato e mandato a Derna, il Lambertenghi si è trovato, assai probabilmente, con le truppe che combatterono contro Enver bey, contro il suo ospite, poichè salvo errore il thè era stato per l'appunto offerto dall'addetto militare ottomano.
L'omaggio al valore del nemico è stato reso pa recchi secoli addietro anche a Rodi, nel memorabile assedio al quale il Corriere accennava giorni sono parlando della gloriosa storia dell'isola. Solimano il Magnifico manifestò con parole piene di entusiasmo la sua ammirazione per il valore mostrato nella di fesa dai prodi Cavalieri di Rodi, quando il Gran Maestro dell'Ordine, seguito da un cavaliere d'ogni lingua, ad invito di Solimano, andò da lui per trat tare la resa. Solimano, come prova di questa sua ammirazione, concesse ai Cavalieri e a tutti gli abitanti che lo volevano di lasciare Rodi con le loro armi. Aveva anche promesso di lasciare le chiese al culto cristiano.
Ma quella promessa fu violata immediatamente e fu invece trasformata in moschea anche la chiesa di San Giovanni, dalla quale il Gran Maestro Villiers de l'Isle-Adam stava uscendo quando avvenne la terribile esplosione che aprì le breccie per le quali poterono passare i battaglioni di Solimano.
L'Officio incominciava allora, e i preti del coro
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Rodi ha una grande importanza nella storia non solo per noi, ma anche per i turchi che non pos sono assistere, come cercano di far credere, con in differenza a questa occupazione da parte degli in fedeli. Di tutte le isole dell'Arcipelago è questa alla. quale tengono di più, appunto per la sua gloria e il ricordo delle lotte ivi combattute contro la Cri stianità. Nel seguirsi dei suoi trionfi Maometto II si era urtato contro le posizioni delle quali non aveva potuto vincere la resistenza : una sul Danubio, l'altra nel Mediterraneo : Belgrado e Rodi. Erano stati i due baluardi della Cristianità contro l'Isla mismo... Solimano volle iniziare il suo regno di struggendo quelle difese.
La Turchia ha sempre tenuto moltissimo all'isola di Rodi per queste ragioni storiche : come ha sem pre tenuto per ragioni storiche e strategiche a Creta, che limita a mezzogiorno l'Egeo, perchè l'ha sem pre considerata come il ponte per i suoi possedi menti africani. Gli uomini politici turchi fino da mezzo secolo fa dicevano che la perdita di Creta voleva dire, a poca distanza di tempo, la perdita dei possedimenti ottomani in Africa. E i fatti me si vede hanno dato ragione a quelle previ sioni.
CO ______________
Le nostre belle navi, dopo aver fatto la loro comparsa nell'Egeo, non sono rimaste inoperose, e
La messa
interrotta
intuonavano Deus in adjutorium meum intende. L'esplosione interruppe il salmo sulle labbra dei sa cerdoti. Il Gran Maestro, che era in ginocchio, si alzò e con accento ispirato : Si disse Dio ci aiuta, accetto l'augurio. Ecco venuto il momento del sacrificio. E. con la spada minacciosa, esce dalla chiesa terminando il versetto del Salmo in terrotto: Domine, ad adjuvandum me festina - E corre al bastione a combattere corpo a corpo contro i giannizzeri che danno la scalata... 245
forse non riposeranno nemmeno dopo aver assicu rato lo sbarco dei nostri soldati nell'isola che, se condo alcuni, è la patria di Aristide. Chi sa se ri torneranno nuovamente nell'alto Egeo a minacciare ancora l'antico Ellesponto? In ogni modo è certo che riprenderanno alla prima occasione le discussioni sulla opportunità e sulla possibilità di forzare i fa mosi Dardanelli. Dio mi guardi dal manifestare sul l'argomento una opinione qualsiasi, in questo mo mento nel quale tutti quanti sentono il desiderio di fare della strategia di terra e di mare...
Ma poichè l'argomento è sempre di attualità, mi pare bene si sappia, perchè è un altro sintomo dello spirito pubblico, che parecchi ufficiali di marina non più in servizio, si sono offerti ove il Governo avesse deciso l'azione nei Dardanelli di assumere il comando di vecchie navi : delle carcasse, come si dice in marina appena una nave è un po' invec chiata, che si sarebbero mandate avanti per essere sacrificate. Un bel gesto, non è vero?
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C'è stata, e continua, dal giorno nel quale è inco minciata la guerra, una nobile emulazione in tutte le classi sociali : dalle più alte alle più umili, e in tutti i partiti. Nè sono rimaste indietro alle altre, qui a Roma, quelle famiglie finora considerate ostili, o per lo meno non certo favorevoli al nuovo ordine di cose stabilito dopo il 1870. È vero che, in casa Boncompagni, ha belle pagine di patriottismo il bi snonno principe di Piombino, che fu anche senatore del Regno. Ma ora una parte della famiglia aveva tradizioni piuttosto dall'altra parte, senza però quel carattere di intransigenza che separò per un certo tempo con un taglio netto le due società. Ebbene, l'altra sera in casa Prinetti, uno dei pochi salons dove non si è perduta l'abitudine di causer, fu no tata l'assenza del genero; il giovane duca di Sora. Chi lo sa, forse di servizio al reggimento Piemonte
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Reale al quale è stato da pochi giorni aggregato come sottotenente della milizia territoriale. Non po tendolo diversamente, ha voluto nel solo modo che gli era consentito far parte dell'esercito. Un altro Boncompagni suo cugino, dovendo fare il volonto riato di un anno, ha chiesto ed ottenuto di prestar servizio in un reggimento del corpo di operazione ed è già partito, e un altro è all'Accademia navale. Sono cioè in tre sotto le armi. Bello e simpatico esempio!
Ma che, fortunatamente, ha dei precedenti. All'e poca della spedizione San Marzano uno dei Del Dra go si arruolò come semplice soldato nello squadrone Cacciatori d'Africa, ed io rammento benissimo di averlo veduto tante volte disimpegnare le sue mode ste attribuzioni con lapiù grande disinvoltura,senza la menoma ostentazione, quantunque spesso, fuori servizio, gli ufficiali suoi superiori fossero lieti di discorrere con quel semplice soldato col quale a Roma si erano molte volte incontrati nel mondo che si diverte.
E dieci anni dopo non partiva per l'Africa don Ago stino Chigi, figlio del maresciallo del Conclave, le nente in Genova Cavalleria?
Povero Chigi! Dopo tanti anni dalla sua morte è ancora vivo in tutti coloro che gli furono amici il ricordo della sua bontà e dell'entusiasmo col quale parti.
Aprile 1912.
IV
Ho avuto occasione di discorere giorni sono con parecchi dei nostri connazionali che da un gior no all'altro hanno dovuto abbandonare la Turchia
Boncompagni
e Del Drago in Africa
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in seguito all'inumano decreto di espulsione, e de sta veramente raccapriccio la descrizione del modo col quale le autorità ottomane e gli agenti della polizia hanno proceduto nel farlo eseguire. A Smir ne, mi raccontava uno di loro, c'è stata veramente la caccia all'italiano.... e all'italiana. Una signora, i cui parenti sono sudditi austriaci, si è rifugiata in casa loro, credendosi al sicuro, e disposta a non uscire più fino al giorno nel quale, conclusa la pace, non sarà più vietato il suolo ottomano ai sudditi del Re d'Italia. La polizia lo seppe, (in questi casi, e in Tuchia specialmente, non mancano mai i delatori), si fece autorizzare dal Consolato austro-ungarico a violare il domicilio della famiglia presso la quale la signora italiana si era rifugiata e poscia, nei modi che la polizia turca sa adoperare in queste circo stanze, la fece uscire e la obbligò a partire entro un brevissimo termine
Di questi profughi, dei quali molti hanno perduto ogni cosa, parecchi sono in questo momento a Ro ma. Si trovano, si cercano... e si consultano, dopo aver fatto ciascuno una peregrinazione alla Consulta, intorno alla linea di condotta da seguire per le do mande di indennità che saranno presentate a suo tempo. Gli avvocati sono in moto. Per ora non è possibile lo stabilire nemmeno approssimativamente la cifra alla quale ascendono tali danni, ma è certa mente assai ridevante. E se si potessero narrare tutti gli episodi di questo esodo, e lo sdegno col quale hanno risposto alle lusinghe ed alle offerte delle au torità ottomane, che non sono mancate, anche co loro che pure avevano in giuoco tutti i loro interessi o che lasciando la Turchia senza mezzi sentivano di non aver certo dinanzi a sè una bella prospettiva, si ammirerebbe ancora di più la loro patriottica e nobile condotta. Epperò vanno lodati senza riserva il Governo e il Ministero degli esteri, che, renden
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dosi conto di questo obbligo di riconoscenza che ab biamo verso di loro, sorvolando tutte le pastoie bu rocratiche, hanno proceduto rapidamente a collo carli qua e là in impieghi pubblici e privati. Un certo numero di questi profughi sono stati mandati di qua e di là in Tripolitania e nelle isole dell'Egeo, come interpreti. Fra gli altri, credo debba andare a Rodi, in questa qualità, l'ex-direttore del Courrier de Smirne un giornale che da vent'anni difen deva efficacemente gli interessi italiani in quella regione, e soppresso dall'autorità appena dichiarata la guerra. Egli tradurrà forse qualche nuovo proclama del gen. Ameglio, il quale, pur non avendo mai avuto delle velleità letterarie, ha mostrato di sapere espri mere molto chiaramente ed efficacemente il suo pen siero, tanto quando si trattava di imporsi agli arabi di Bengasi, come ora, per rassicurare le popolazioni che la nostra bandiera protegge nell'antica isola dei Cavalieri Gerosolimitani.
Il valoroso generale, cosa che prima di questa sua popolarità solo pochi intimi sapevano, è un appassionato musicista. La sua marcia della Giu liana che, giorni sono, per la festa dello Statuto fu suonata sulla piazza del Quirinale, e poscia in piazza Colonna, ha dato occasione alla popolazione della capitale di acclamare ripetutamente e col più vivo entusiasmo al nome del vincitore delle Due Palme.
Quegli applausi al prode generale mi han ricor dato che molti anni or sono, in quella stessa piazza Colonna, fu invece fischiata solennemente la musica di un altro generale.... E l'autore era presente.
Le nuove generazioni ignorano forse il nome del Robaudi, e le note di quella Stella confidente, una romanza ch'egli scrisse da tenente, e che ebbe per parecchi anni una voga immensa che si sentiva canticchiare dappertutto, nelle case, come nelle stra
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Turchia
de, e che tutti gli organetti suonavano, e non in Italia solamente. Due o tre romanze solamente eb bero nella seconda metà del secolo scorso la voga della Stella confidente del Robaudi. Non ricordo esattamente l'anno, ma, verso l'80, il Robaudi, allora generale di guarnigione a Napoli, dovendo recarsi a Torino, si trattenne qualche gior no a Roma. Alla sera, il giorno stesso dell'arrivo, dopo pranzo, andò con parecchi amici e antichi com pagni di reggimento in piazza Colonna. Combina zione volle che proprio quando il piccolo gruppo. prese posto intorno al tavolino di un caffè, il con certo attaccasse la Stella confidente. Ma era un giorno di ricorrenza patriottica. La folla che assie pava la piazza aveva chiesto con grande insistenza l'Inno reale. Vedendo che il concerto suonava del l'altro, la folla mai più immaginando che era pre sente l'autore, incominciò a fischiare e non smise finchè non sentì le note dell'inno.
Finita la dimostrazione patriottica, riprese la Stella confidente e il Robaudi fu il primo a ridere dell'incidente.
Il Robaudi è stato un bel soldato e ha lasciato un caro ricordo di sè in quel corpo di bersaglieri nel quale ha percorso tutta la sua carriera. In Crimea, da tenente, fu uno dei due ufficiali che andarono a sfidare gli ufficiali francesi una sfida in massa agli ufficiali di pari grado perchè alcuni di loro. si erano espressi con termini poco cortesi all'indi rizzo dei bersaglieri, chiamandoli con una locuzione che equivale un po' a quella nostra di scarponi. Si dovettero mettere di mezzo, per impedire le vertenze che minacciavano di moltiplicarsi, il Lamarmora e il Pelissier il comandante italiano e il comandante francese e l'incidente non ebbe seguito. -
Parecchi anni dopo, dei ricordi di Crimea il Ro baudi si valse per collaborare ad una specie di ope
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Bersaglieri in Crimea
retta-pantomina: l'Avanguardia dei bersaglieri in Crimea, della quale egli scrisse la musica e che i militari del suo battaglione rappresentarono per be. neficenza al Teatro di Rimini.
L'altro ufficiale che portò con lui la sfida agli uffi ciali francesi fu il tenente Prevignano, morto egli pure parecchi anni or sono, e ancora, dopo tanto tempo, per complicazioni prodotte da una grave fe rita riportata in Crimea.
Caduto, mentre il sangue a flotti sgorgava dalla fe rita e i soldati cercavano di sollevarlo meglio che potessero per portarlo all'ambulanza, gridava anco ra ai suoi bersaglieri : - Avanti, avanti, bersaglieri; non lasciatevi ol- .. trepassare dagli zuavi.
Il Prevignano è rimasto sempre l'ardito e brillan te bersagliere, anche quando era tenente colonnello. Una volta, qui a Roma, discorreva di resistenza, di corsa e di velocità con un capitano dei granatieri. Detto, fatto si impegna una scommessa e dal caffè, dove erano, partono subito e fanno entrambi pa recchi chilometri di corsa. Il bersagliere vince il granatiere e finiscono per ridere entrambi di es sersi messi a fare delle gare come se fossero ancora dei sottotenenti, mentre ad entrambi il pepe e sale dei capelli ricorda che la prima giovinezza è da pa recchio tempo passata.
Fra pochi giorni, per l'appunto il 18 di giugno, ri corre il 76° anniversario della fondazione del simpa tico corpo dei bersaglieri, che la Società degli ex bersaglieri Alessandro Lamarmora e i reggimenti sogliono ogni anno festeggiare. Quest'anno, pen sando alla guerra, ai valorosi caduti combattendo sui campi di Libia, la Società ha pensato di dare maggiore solennità del consueto alla simpatica ce rimonia, invitando alla commemorazione sul Gia nicolo i reduci di Libia e offrendo poscia un grande
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banchetto in loro onore. Bella e simpatica idea, alla quale han subito aderito con entusiasmo molti di coloro che hanno appartenuto al corpo e che si re cheranno appositamente a Roma. Per i giovani che ritornano dopo essersi valorosamente battuti nel sa cro nome d'Italia, questa approvazione e l'abbraccio fraterno dei veterani certamente saranno il premio più gradito : così come devono esultare, i vecchi, nel vedere mantenute sempre così alte le belle e glo riose tradizioni del corpo al quale appartennero e il cui valore rifulse su tutti i campi, in Italia come in Eritrea, e col Lamarmora alla Cernaia. Purtroppo si diradano ogni giorno le fila dei va lorosi che han partecipato alle guerre dell'Indipen denza ,come si diradano quelle di coloro che in tem pi tristi hanno combattuto e sofferto per preparare alle nuove generazioni una patria.
Giorni sono, a proposito dell'energia con la quale vanno trattate le autorità ottomane, con le quali guai a tollerare i soprusi, ho ricordato quel nostro agente consolare, il signor Zamboni, che prese a calci un kaimakan, il quale aveva fatto rapire e rinchiudere nel suo harem una ragazza italiana. Lo Zamboni, ora più che ottuagenario, è un veterano egli pure, poichè prese parte nel 49 alla difesa di Ancona con tro gli austriaci. Ma non è soltanto un veterano delle guerre della Indipendenza perchè prese poi parte con Garibaldi alla campagna del 1860, e lo è al tresì delle carceri pontificie, nelle quali ha passato parecchi anni. Credo anzi sia il solo vivente degli antichi prigionieri pontifici, dacchè è morto Anni bale Locatelli che, condannato egli pure per cospi razione, fu dello Zamboni compagno di cella per tre anni.
Il curioso è che questo veterano delle guerre e delle carceri pontificie ha dovuto la sua salvezza ad un er rore. Per errore nel 1865 il suo nome fu incluso in
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una lista di carcerati per reati comuni che si dove vano consegnare al Governo italiano e con questi difatti varcò il confine, passando dalle mani dei gen darmi pontifici a quelle dei carabinieri. Accortosi dell'errore, il Governo di Roma domandò al Gover no italiano che i prigioniero gli fosse reso. Natu ralmente verificato che era stato processato per reato politico il Governo italiano da quell'orecchio non ci sentì. Si scambiarono note e contronote, ma lo Zamboni non fu restituito.
La prigione non sarebbe stata, anche senza questo incidente, perpetua. Avrebbe però fatto cinque anni di più, e sarebbe stato liberato soltanto nel 1870, quando, entrate le truppe del generale Cadorna per la breccia di Porta Pia, furono aperte le porte del carcere ove erano rinchiusi i condannati politici... 13 giugno.
V.
L'azione dell'ammiraglio Faravelli contro le due navi ottomane nel porto di Beirut ha richiamato u n'altra volta l'attenzione su quelle coste della Siria, dove attraverso i secoli e fino dalla più remota anti chità si sono svolti sempre grandi avvenimenti. Non si può dire che sia la storia del vero senso della pa rola: ma la leggenda avrebbe anche stabilito che, a poca distanza da Beirut, su quelle coste dinnanzi alle quali sono comparsi giorni sono la Garibaldi e il Ferruccio, il profeta Giona sarebbe stato gentil mente deposto dopo il suo famoso viaggio di tre giorni nel ventre della balena, così pieno di emo zioni poco piacevoli.
Si potrebbe anche dire che le nostre navi hanno lasciato una Tripoli per l'altra, poichè a poche mi
A Beirut
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glia a Nord di Beirut sorge quella Tripoli di Soria che per molto tempo ebbe assai maggiore notorietà della nostra Tripoli di Barberia e che per molti anni fu la capitale della contea di Tripoli creata all'epoca della prima crociata.
Tutti conoscono l'importanza commerciale di Bei rut e lo splendido panorama che presenta a chi vi arriva dal mare, panorama che l'ha fatta paragona re ad alcune delle nostre più belle città marittime per lo sfondo delle montagne, fra le quali si erge il Sanin dalla cima coperta di neve, del quale un pro verbio arabo dice che ha l'inverno sulla testa, la primavera ridente alla cintola cioè ad una media altezza e l'estate ai piedi.
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Era naturale che codesta azione nostra nel porto di Beirut, tanto più stando alle prime notizie date da qualche agenzia estera le quali parlavano del bom bardamento della città, dovesse destare una gran de impressione in Francia, poichè la vicina Repub blica vi ha grandi interessi non solo materiali, ma anche,morali. È come il centro dal quale s'irradia l'influenza e la cultura francese non solamente nel la Siria e nell'Asia Minore, ma in tutta la Turchia, per mezzo della Università tenuta dai gesuiti fran cesi e specialmente della facoltà di medicina dalla quale escono, si può dire, tutti i medici dell'Impero ottomano.
A questo proposito è curioso notare che chi poco. prima dell'80 si adoperò moltissimo perchè il Gover no francese incoraggiasse, regolasse e sovvenzionas se con larghezza questa Università dei gesuiti, fu Leone Gambetta. Il suo famoso grido : « Le clérica lisme voilà l'ennemi » non gli ha impedito non solo di aiutare, ma di prendere addirittura le iniziative per far sviluppare una grande istituzione tenuta nientemeno che dai gesuiti, quando egli ha creduto che ciò potesse giovare a mantenere ed accrescere
254 NOTE E RICORDI
l'influenza del suo paese in Oriente. Ma ciò che può sembrare ancora più strano è che chi potè concre tare l'iniziativa del Gambetta fu un altro uomo po litico, il quale diede sempre alla sua politica uno spiccato carattere anticlericale.
Fu, se non erro, precisamente in quella occasione che, non per contrapporre la frase a quella del Gam betta, ma direi quasi per completarla, fu detto che <«<l'anticlericalismo non è una merce di esporta zione >>.
Tanto che a Salonicco, proprio all'indomani della <<separazione » e quando si sopprimeva l'Ambascia ta presso la Santa Sede, come, del resto, a Costan tinopoli, i consoli e diplomatici della Repubblica han continuato ad andare ad assistere alle funzioni nelle chiese delle missioni francesi in grande uniforme e ai posti d'onore.
In Oriente le autorità consolari e diplomatiche han sempre tenuto ad affermare questa solidarietà re ligiosa ed a circondarsi di un certo prestigio este riore. La Turchia è certamente uno dei paesi nei quali consoli e diplomatici indossano più sovente. l'uniforme, con grande soddisfazione dei loro con nazionali autentici... e d'occasione. La protezione di un Consolato essendo sempre stata l'unica guaren tigia contro gli abusi e le prepotenze del fanatismo religioso e dell'assolutismo come del resto lo è oggi ancora contro il così detto Governo liberale si comprende come sieno stati numerosi coloro che, pur essendo nati in Turchia, hanno chiesto ed otte nuto la cittadinanza di altri paesi. Fra gli altri la maggior parte degli uomini d'affari israeliti, come quell'avvocato Salem che, nei giorni scorsi, ha fatto tanto parlare di sè a proposito di una sua pretesa missione presso il Governo italiano. A Salonicco, su 150 mila abitanti, più di metà sono israeliti d'ori gine spagnuola, come quasi tutti quelli che popola
La Francia anticlericale
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in Oriente
no la penisola balcanica e che sono andati a stabi lirvisi quando furono cacciati in massa dalla Spa gna. A Salonicco, come in tutta la vasta regione dal mare al Danubio, in Serbia e in Bulgaria, si sono sempre mantenuti estranei alla politica, occupandosi soltanto dei loro commerci. Ma in quasi tutte le città, quantunque per effetto del trattato di Berlino sia stata loro riconosciuta parità di diritti, continuano ad avere un quartiere a sè. È a loro che si deve in gran parte se per l'appun to a Salonicco si è mantenuta viva la nostra lingua, poichè come spagnuoli l'hanno subito imparata quando la Repubblica di Venezia era commercial mente e politicamente padrona di tutti gli scali d'O riente e l'italiana era necessariamente la lingua ado perata negli scambi e dalla gente di mare. Non so se come del resto è poco probabile le cose sieno mutate. Ma qualche anno fa era una curiosa impressione quella che si provava andando al bazar, al sentirsi chiamare in italiano, in quell'ambiente così caratteristico di costumi orientali, più o meno puliti, e dove, se non vi fosse stato qualche fore stiero col cappello a cencio o magari qualche citta dino francese col cappello a cilindro a ricordarci do ve si era, si poteva credere di trovarsi in tutt'altro posto ben lontano dal mondo civile e in tutt'altri tempi.
L'avvocato Salem è ritornato o sta per ritornare alla sua Salonicco, dove potrà raccontare, avendo as sistito alla grande seduta della Camera, con quanta unanimità di consenso l'Italia segua le vicende del la guerra determinata ad andare fino in fondo. E, se vuole, potrà anche sfogarsi contro il reportage del giornalismo moderno che da Filippopoli a Roma lo ha seguito, fotografato, intervistato... e sorveglia to per vedere se come cittadino italiano batteva o no le mani nella tribuna dei magistrati alla Camera,
256 NOTE E RICORDI
giornalisti in Africa
quando i deputati applaudivano entusiasticamente. gli oratori.
Il giornalismo moderno non parlo già, ben in teso, proprio per questo caso con le sue esigenze ha anche i suoi piccoli inconvenienti. Ma di fronte a questi inconvenienti dei quali non si deve esagerare l'importanza, quanti vantaggi! Guardate, per l'appun to a proposito della guerra che si combatte sulle coste dell'Africa settentrionale, con quale rapidità il pubblico di tutto il mondo è informato, poche ore dopo, di tutto quanto avviene. E poi, come se non bastasse il telegrafo, la fotografia e la cinematogra fia vi fanno dopo pochi giorni assistere alla ripro duzione viva, impressionante di tutti gli avveni menti.
Sono laggiù oramai a decine gli scrittori, i corri spondenti, i fotografi di tutti i paesi. Una ventina di anni fa, in Eritrea, quando parti la spedizione comandata dal San Marzano, dopo Do gali, i corrispondenti dei giornali italiani erano in tutto e per tutto otto e gli esteri uno soltanto, il po vero Vizitelli per il Times, del quale erano diventati leggendari in tutto il Corpo di spedizione gli enormi stivaloni che non lo abbandonavano mai, anche in certe giornate infuocate nelle quali ci domandavamo tutti come poteva fare a resistere. Di quegli otto al cuni hanno preso strade diverse, altri... non hanno perduta la brutta abitudine d'imbrattare della carta. Sono scomparsi il Corazzini e il povero Gustavo Chiesi, allora feroce antiafricanista, e che converti tosi più tardi ha lasciato un suo libro veramente magistrale, l'opera più completa sulle colonie del l'Africa Orientale, che abbia la letteratura coloniale. Tra quei corrispondenti, uno degli ultimi arrivati fu il De Franceschi, direttore di un giornale di Ca gliari, che aveva una larghissima diffusione a Tunisi, e che si occupava assiduamente della nostra colonia MANTEGAZZA. Politica estera. - VII. 17
I
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nella Reggenza. Erano allora trascorsi solamente po chi anni dalla occupazione di Tunisi da parte della Francia e il De Franceschi non aveva smesso di la mentare la errata politica che ci aveva condotto a quello scacco; e di indicare giorno per giorno i so prusi che gli italiani in Tunisia dovevano soffrire e la misera condizione alla quale erano ridotti i nostri coloni.
Con tono lugubre, quando si presentò ai colleghi, appena sbarcato, disse: Io sono l'eco delle sventure d'Italia!
E l'indomani il Chiesi, che amava fare di questi scherzi, d'accordo con un altro collega, fece stam pare e distribuire dei biglietti di visita, con su scrit to: « Cav. De Franceschi, l'eco delle sventure d'I talia ».
Il De Franceschi non se ne ebbe punto per male, e fu il primo a ridere del soprannome che gli rimase per tutto il tempo della spedizione, e che non impedì fra lui ed i colleghi le più affettuose e cordiali rela zioni.
Chi avrebbe potuto immaginare che, a tanti anni di distanza, dopo un periodo di calma, la nostra colonia nella Reggenza si sarebbe di nuovo trovata in condizioni difficili e per effetto della occupa zione della Tripolitania?
La situazione non deve essere facile se il Governo francese ha dovuto ricorrere allo stato d'assedio. Il che vuol dire, come si sa, giudizî sommari e sen tenze pronunziate ed eseguite rapidamente ove oc cerra.
Mentre a Tunisi incomincia così per gli arabi un regime di severità, a Tripoli si è adottato, pur sor vegliando e vigilando, un regime più mite. Si era anche smontato quell'apparecchio destinato alla ese cuzione delle sentenze di morte secondo gli usi lo cali giusta l'eufemismo adottato nel dispacci uf --
258 NOTE E RICORDI
Una condanna a morte 259 ficiali e sospesa l'esecuzione della sentenza con tro uno dei massacratori dei nostri soldati. La sen tenza è poi stata eseguita. Non vi è stato che un ritardo di alcuni giorni. Non giudico, nè intendo di scutere intorno agli ordini del potere esecutivo per sospendere un'esecuzione senza che sia intervenuta la grazia sovrana. Ricordo soltanto che il fatto ha un precedente in quanto è avvenuto molti anni or sono a Massaua in occasione della condanna a morte di Mussa-el-Akad, un ricchissimo arabo, che dopo l'occupazione dell'Egitto gli inglesi avevano esiliato e che a Massaua aveva assunto molte forniture. Fu accusato di tradimento e venne fatto un processo fi nito con una condanna di morte. Nessuno, intendia moci bene, ha mai creduto che Mussa-el-Akad fosse uno stinco di santo. Ma che fosse colpevole di tra dimento, mentre aveva tutto l'interesse a stare in buone relazioni 'con noi per i suoi affari che gli fa cevano guadagnare moltissimo, nessuno o ben pochi credettero. Aveva molti nemici, come è naturale, a vendo spostato ed offeso molti interessi, e a certi te stimoni non era possibile prestare una fede cieca. Il processo aveva sollevato grande rumore anche in Italia. In quel turno di tempo era a Massaua il Sa limbeni, un viaggiatore africano che aveva da poco compiuto un'importante esplorazione e che godeva la fiducia del Crispi, tanto da avere col capo del Go verno uno speciale cifrario. Fu a lui che il Crispi te legrafò per sapere qualcosa del processo e doman dandogli la sua opinione. Il Salimbeni, prima di ri spondere consultò uno degli avvocati militari estra neo al processo, il quale gli disse chiaro che secondo lui l'accusa non aveva base. In questo senso il Salim beni telegrafò al Crispi, che a sua volta telegrafò su bito al governatore con queste parole : In caso con danna capitale non si eseguisca. Il condannato diffatti fu trasportato invece a bordo
della Garibaldi. Qualche tempo dopo ottenne la re visione del processo; e fu condannato, mi pare, a una pena assai lieve. Gli inglesi lo amnistiarono dal canto loro, sicchè dopo qualche anno ritornò in Egit to e riprese la sua azienda, continuando a far quat trini.
Senz'avvedermene ho finito per non parlare che della guerra e dell'Africa. Ma, d'altra parte, come non discorrere degli avvenimenti che tutto il paese segue con così vivo interesse? Come non parlare di quell'Africa e di quei nostri bravi soldati e marinai che tanto onore fanno in terra e in mare al nome d'Italia, pei quali è così vivo l'entusiasmo in tutte le classi della cittadinanza, ai quali si pensa costan temente e che hanno ispirato tante così meritate ma nifestazioni affettuose e gentili?
Giorni sono è partita un'altra spedizione di quei berretti di lana fatti a centinaia dalle donne d'Italia, perchè i nostri soldati possano meglio ripararsi dal freddo durante le notti inclementi passate alle trin cee. Il dono gentile mi fa ricordare un altro invio destinato allo stesso scopo agli ufficiali di un altro esercito che insieme ai soldati di quell'Italia che an cora non esisteva, ma della quale col loro valore per misero poco dopo si parlasse al Congresso di Parigi, passarono per mesi le lunghe notti alle trincee nel clima rigido della Crimea. L'aneddoto curioso e gen tile l'ho sentito raccontare dal generale Gallifet, uno degli eroi leggendari delle campagne d'Algeria, il brillante colonnello del secondo Impero, del quale, in un momento dei più difficili per l'esercito fran cese, la Terza Repubblica fece un ministro della guerra.
Un giorno arrivò una grande cassa con questo in dirizzo : «Ai signori ufficiali alle trincee, in Crimea». Nient'altro. Aperta la cassa si trovò che conteneva sei pelliccie uguali, e come sola indicazione un car
260 NOTE E RICORDI
toncino con su scritto queste parole: « Sei operaie parigine han passato sei notti a confezionare queste sei pelliccie per sei ufficiali che sapranno così come si pensa a loro in Francia ».
Le pelliccie erano ottime. Che fare? Come distri buirle? Non vi era altro che ricorrere alla sorte. E una delle pelliccie toccò al Gallifet, allora tenente o capitano.
Col freddo che faceva i sei ufficiali hanno bene detto le gentili mani delle brave sartine, immagi nando naturalmente che dovevano essere non solo gentili ma anche carine, e proponendosi, ciò che fecero, di cercarle non appena fossero ritornati.....
Una condanna a morte 261
NEL MONDO DIPLOMATICO.
I. RIDDA D'AMBASCIATORI.
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di fiducia. gradito.
--- II. IL BARONE
Gli ambasciatori hanno sempre una grande importanza. tedesco. La nuova destinazione del barone Marschall. austro-tedesche. Il giornalismo e la diplomazia. Il corrispondente Le bérues dell'ammiraglio Juarez. Il signor Louis poco Ambasciatori bastonati. Cinque ex ministri degli esteri a Parigi.
MARSCHALL.
Destinato a Londra. -
La scuola del dovere e quella del piacere. IlLa sua carriera.
zera.
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- Il diplomatico Le relazioni ---
Marschall e l'azione della Germania in O riente. Il viaggio di Guglielmo II. L'opera di Marschall a Costantinopoli. La ferrovia di Bagdad. personale dell'ambasciatore tedesco. Contro un protetto del Sultano. Diplomatici della nuova scuola. La penetrazione germanica in Isviz Il duello anglo-tedesco a Washinghon. La nostra diplomazia. L'Imperiali a Londra. Come è andato il barone Agliotti al Messico. La carriera diplomatica. Perchè si sceglie fuori della carriera.
Il prestigio
RIDDA D'AMBASCIATORI.
Fino a poco tempo fa si diceva che ormai gli ambasciatori e i ministri plenipotenziari non hanno più un gran da fare, o che per lo meno, l'opera loro non ha più l'importanza di una volta. Le rapide co municazioni ferroviarie, il telegrafo, e da qualche anno, anche il telefono sembravano avere esauto rato l'opera dei diplomatici, dal momento che ai Go verni era reso così facile il corrispondere fra loro sia pure per mezzo dei diplomatici, ma servendosi di questi ultimi soltanto come di semplici trasmet titori di note o di dichiarazioni. Mentre una volta, dal contegno di un ambasciatore, il quale era chia mato spesso ad agire sotto la sua responsabilità, visto che ci volevano delle settimane per informare il suo Governo ed averne le istruzioni, poteva addi rittura dipendere la pace o la guerra : adesso, nelle circostanze gravi, nessuno agisce senza prima aver chiesto e ricevuto le istruzioni necessarie che si possono avere in poche ore. Quello che avviene ora in parecchie grandi capi tali europee mostra chiaramente che anche questo vecchio clichè, della inutilità della diplomazia e della poca importanza degli ambasciatori, va messo a dor mire come tanti altri. E necessario, dopo tutto quello che è stato detto e scritto a proposito del mu tamento di destinazione del barone Marschall, di in sistere ancora sulla importanza dell'opera da lui compiuta sulle rive del Bosforo fino al giorno nel
I.
quale appunto per il modo col quale l'azione sua si era esplicata, la sua posizione era diventata difficile date le complicazioni create dalla guerra? Oggi più che mai invece, si vede, anche se l'attività loro si svolge un po' diversamente, che cosa può fare, che risultato può avere l'opera dei diplomatici.
Se si dà uno sguardo agli avvenimenti che si sono svolti in questi ultimi anni, è facile il convincer sene e il constatare come la Germania sopratutto abbia fatto un grande assegnamento sull'opera loro, creando, si potrebbe dire, un tipo di diplomatico nuovo stile, che non è soltanto l'esecutore degli or dini del suo Governo, ma che all'occorrenza sa crea re delle nuove situazioni, perchè il suo Governo ne possa approfittare nel paese dove è accreditato. Sono di questa scuola il Tattenbach mandato al momento opportuno al Marocco, il Rosen che fu in Etiopia, il Kiderlen rimasto per parecchi anni a Bucarest che è sempre per la Germania sopratutto un gran posto di osservazione e di molta importanza commerciale, e qualche altro. Sono dei diplomatici che paiono quasi dei soldati e che, secondo le cir costanze, vengono mandati di qua e di là sul tea tro delle operazioni...
La destinazione del Marschall a Londra è poi, in certo modo, la constazione clamorosa che le rela zioni anglo-tedesche sono il perno intorno al quale si aggira tutta la politica internazionale. E' assai poco probabile che il barone Marschall abbia un mandato nettamente definito. Sono tante le questioni tra la Germania e la Gran Bretagna, e sono così mutevoli le situazioni che cambiano talvolta da un giorno all'altro! Ma è evidente che mentre prima per tutte le questioni si trattava a Berlino, non aven do il predecessore del Marschall il prestigio di que sto ultimo, adesso si tratterà invece a Londra.
In fondo questa diplomazia tedesca, la diploma
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zia del nuovo Impero degli Hohenzollern, a parte il suo carattere un po' militare, segue le tradizioni della diplomazia britannica, anche nel sapersi ser vire opportunamente della stampa e di quelli che si potrebbero chiamare gli agenti ausiliari e volon tari degli ambasciatori e dei ministri. Come vi fu rono ambasciatori inglesi in alcune circostanze per i quali il corrispondente del gran giornale della City fu il principale e più efficace collaboratore, si dice che il corrispondente di un grande giornale tedesco debba ora seguire il barone Marschall da Costanti nopoli a Londra. Sono quelle tradizioni per le quali fu riconosciuta al Governo inglese una grande su periorità quella di non lasciarsi mai cogliere disat tento, di vegliare e di negoziare sempre, ciò che un secolo fa faceva dire a Napoleone che le sue vere armate sono i suoi ambasciatori....
L'importanza dell'azione dei rappresentanti diplo matici quando la situazione internazionale diventa complicata e difficile è stata recentemente posta in rilievo anche dalle polemiche della stampa francese a proposito del signor Louis, che rappresenta la Repubblica alla Corte dello Zar. Il signor Louis è ritornato a Pietroburgo. Dopo che era stato detto e pubblicato autorevolmente che era stato l'ambascia tore russo a Parigi a domandarne il richiamo - per quanto nell'interesse dell'alleanza franco-russa si capiva che non potevano agire diversamente al Quai d'Orsay. Ma tutti hanno capito che il suo richiamo non è più che questione di tempo, dopo che gior nali ufficiosissimi, direttamente ispirati da membri del Governo, pur facendo del Louis i più grandi elogi per la sua coltura, la sua attività, la sua pra tica degli affari, hanno però detto del pari come, per le speciali condizioni di Pietroburgo e della società russa che l'ambasciatore deve assolutamente fre quentare..... il Louis non era forse la persona più in
Il signor
Louis
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dicata da scegliere. A Pietroburgo il gran signore, l'uomo mondano, e sopratutto se ha un bel nome ha molto maggiori probabilità di riuscire del burocra tico che se ne sta o può rischiare di essere lasciato in disparte. Non per nulla Napoleone III all'indo mani del Congresso di Parigi mandava a rappresen tarlo a Parigi il duca di Morny, l'arbitro dell'ele ganza parigina.... e suo stretto congiunto. La terza Repubblica continuò qualche volta quelle tradizioni, come, ad esempio, con la nomina del duca di Mon bello. Ma, scomparsi dall'annuario diplomatico francese i nomi dell'aristocrazia (si contano sulle dita quelli che appartengono a famiglie nobiliari), non ebbe sempre la mano felice, nè quando vi man dò dei funzionari, nè quando pensò, in mancanza di bei nomi, di mandare dei militari. Per il Bom pard, burocratico, è accaduto su per giù quello che segue ora per il Louis, e son rimaste leggendarie le bévues dell'ammiraglio Juarez.
Un giorno visitando il palazzo imperiale di Mosca, mentre gli facevano vedere i ritratti degli antichi Zar si rivolse al suo vicino, ed era un maestro di cerimonie dell'Imperatore, dicendogli :
- Quels sont ces magots?
All'epoca degli attentati nichilisti, discorrendo proprio col ministro dell'interno della preoccupa zione destata dalla frequenza colla quale si ripete vano e della impressione prodotta in Europa : Vous ne vous en tirerez disse qu'avec la Republique!
Ma per ritornare di dove ho preso le mosse -se vi è un paese nel quale l'opera personale degli ambasciatori ha ancora, come ha sempre avuto, una grandissima importanza, questo è certamente la Turchia. Epperò da tempo immemorabile la Fran cia, l'Inghilterra, e sopratutto la Russia han sem pre mandato a Costantinopoli i loro migliori diplo
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matici, anche quando poteva essere, sotto certi punti di vista, una carica non eccessivamente ambita per i rischi che talvolta presentava. Poichè vi furono tempi nei quali l'atteggiamento dei Sultani e dei loro Gran Visir era arrogante e prepotente di fron te ai rappresentanti dell'Europa sul Bosforo, e nel quale i Governi europei chiudevano gli occhi sulle continue mancanze di riguardo alle quali erano esposti i loro rappresentanti. La bastonatura dell'am basciatore era qualche volta il mezzo col quale i Gran Visir mostravano il loro malcontento, ed un simile procedimento, così poco diplomatico, pare non fosse considerato come causa sufficiente per una rottura di relazioni. I Sultani e i loro Visir sa pevano che i Governi e i loro rappresentanti erano disposti a sopportare ogni cosa pur di non perdere l'amicizia loro, pur di ottenere delle concessioni e di poter concludere dei buoni affari. A parte la basto natura, non è sempre stato così, all'epoca nella quale codeste concessioni erano disputate fra i rappresen tanti delle nostre Repubbliche marinare, fino all'e poca nostra in cui non si dà importanza ai colpi di cannone tirati contro una nave neutra?
Per dire il vero furono i rappresentanti della Russia quando gli Zar di Mosca stabilirono delle relazioni con Costantinopoli i primi a mostrare, co me suol dirsi, i denti, e a non tolleraresoprusi. A parte brevi periodi nei quali la Russia fu l'alleata, la maniera forte è sempre stata la tradizione della politica russa. Il De Giers che ha sostituito lo Tcha rikof ritorna evidentemente a quelle tradizioni. La Russia, nel momento nel quale lo sfacelo della Tur chia fa temere delle complicazioni, ha voluto avere sulle rive del Bosforo un uomo energico, come, in una situazione del pari difficile molti anni fa, all'e poca della guerra russo-turca, vi aveva l'Ignatieff : il grande ambasciatore.
Ambasciatore bastonato 269
Anche allora, come adesso per la nostra guerra, vi fu come una ridda d'ambasciatori, specialmente a Costantinopoli. La Turchia aveva canzonato per parecchie settimane l'Europa promettendo le riforme che gli ambasciatori nella Conferenza riunita a Co stantinopoli avevano chiesto. All'ultimo momento rifiutò.... e il Sultano promulgò quella famosa co stituzione che Abdul Hamid fu costretto trent'anni dopo a richiamare in vigore. Dichiarata la guerra fra la Turchia e la Russia le potenze che si erano limitate a lasciare a Costantinopoli dei semplici inca ricati d'affari, si affrettarono a nominare degli am basciatori, e tutte quante scegliendo personaggi di grande autorità.
Giorni sono l'on. Barzilai ricordava una frase detta dall'ambasciatore che in quella occasione la Germania mandò sulle rive del Bosforo, nell'assu mere la protezione dei sudditi russi : Da quest'og gi i sudditi russi sono sudditi tedeschi.
L'amico Barzilai avrebbe potuto aggiungere che, appunto perchè avesse maggiore autorità e pre stigio, l'alta carica fu affidata al principe di Reuss, così come l'Austria si fece rappresentare dal conte Zichy, e l'Inghilterra da quel Sir Charles Layard che ebbe una parte così importante in tutte le trattative diplomatiche che condussero al Congresso di Ber lino (1).
La conclusione di tutto questo? E' quello che di cevo dapprincipio, che cioè, contrariamente alle frasi fatte, la carica di ambasciatore, se ha molto mu tato del suo carattere perchè i Governi intervengono quasi sempre direttamente, e perchè partecipa alla
(1) L'Italia ha nominato invece prima della guerra, ed ha preso possesso del suo nuovo ufficio di ambasciatore a Costantinopoli l'on. Garroni, ex prefetto di Genova, un uomo completamente nuovo alla diplomazia. La sua nomina voluta dall'on. Giolitti del quale il Garroni è un fidato amico,ha sollevato critiche asprissime e lunghe polemiche nella stampa.
270 NEL MONDO DIPLOMATICO
ex ministri
schermaglia politica e diplomatica una grande forza nuova la stampa non ha per questo perduto della sua importanza. Il che ha poi come conseguenza il fatto che ormai assai sovente, la scelta dei Governi e dei Monarchi cade su personaggi all'infuori della carriera, ma che per il nome, la posizione sociale o i precedenti politici possono rappresentare il loro paese all'estero con maggior prestigio, il che é già di per sè un coefficiente di successo. Parigi ecco un'altra città nella quale c'è un po' per tutti i Governi la tradizione di mandare dei di plomatici che hanno, come si dice, della surface. Malgrado sia lontana l'epoca della egemonia della Francia, quando i Governi facevano a gara a man dare alla Corte di Napoleone III le più brillanti e spiccate personalità, la tradizione è continuata sotto la terza repubblica.
In questo momento fra gli ambasciatori a Parigi vi sono cinque ex-ministri degli esteri : il nostro nella persona dell'on. Tittoni, l'Iswolsky rappresen tante di Sua Maestà lo Zar, il barone von Schoen ambasciatore tedesco, il Caballero per la Spagna e Rifaat Pascià rappresentante di Maometto V. Pare che qualche volta si sieno trovati al tavolo da giuoco a fare un bridge - e con il quinto come giuo catore in riserva. Ben inteso prima della guerra, che, adesso, sarebbe certamente difficile far sedere allo stesso tavolo da giuoco gli ambasciatori delle due Po tenze belligeranti...
In ogni modo, giuocato da quattro ex-ministri de gli esteri, anche se non y'è il quinto a far da spetta tore, il bridge, il giuoco prediletto dei diplomatici, non poteva avere una maggiore glorificazione. Chi lo sa? Forse il signor Louis ha anche il torto di non giuocare il bridge... 5 giugno.
Cinque
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II.
IL BARONE MARSCHALL..
LA SCUOLA DEL DOVERE E QUELLA DEL PIACERE.
La diplomazia tedesca... e la nostra (1).
Raramente la morte di un diplomatico, per quan to illustre, ha avuto un'eco dolorosa in tutto il mon do come la ebbe quella del barone Marschall di Bieberstein che, da pochi mesi soltanto, rappresen ava la Germania e il suo Imperatore a Londra. La triste notizia, giunta inattesa poichè, tranne qual che intimo, nessuno sapeva nè poteva immaginare che in quell'uomo dalla statura gigantesca - misu rava quasi due metri di altezza! dal fare gioviale, e dotato di una energia meravigliosa, la vita fosse minata da tempo da una di quelle malattie di cuore che non perdonano ha riacceso, negli articoli de dicati all'opera sua, le polemiche di mesi or son : quando fu annunziato il suo trasferimento dall'am basciata di Costantinopoli a quella di Londra. La stampa inglese, che pur rendendo il dovuto omaggio alle eminenti qualità dell'insigne diplomatico, lo aveva accolto con una certa diffidenza, si è ripetuta la domanda tante volte fatta in quei giorni. Veniva egli sulle rive del Tamigi per portare la guerra o la pace? Il segreto di questa sua missione non verrà per ora svelato. Si saprà, forse un giorno, più o me no lontano, secondo gli avvenimenti che si svolge ranno in Europa, quale era veramente la missione che il suo sovrano gli aveva affidato, e se hanno avuto o no fondamento le voci corse in un senso o (1) Pubblicato sulla Rassegna Contemporanea.
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272 NEL MONDO DIPLOMATICO
C
IL BARONE MARSCHALL VON BIEBERSTEIN, AMBASCIATORE GERMANICO A LONDRA [m. 24 settembre 1912].
IL GENERALE AMEGLIO, VINCITORE DELLA BATTAGLIA DI PSITHOS.
Germania in Oriente
nell'altro. Le voci cioè di coloro che ritenevano il ba rone Marschall fosse, a Londra, quasi per spiare il momento nel quale la Germania avrebbe potuto ten tare il gran colpo, dopo aver cercato di isolare diplo maticamente la Gran Bretagna e rompere o rendere per lo meno inefficaci le sue nuove amicizie ed al leanze, che egli intendesse gettare le fondamenta di un grande edificio di fraternità Anglo-Germanica, e avesse già incominciato a fare, in questo senso, qualche tentativo.
Ma, in ogni modo, il rumore sollevato per la sua destinazione a Londra, la vivacità delle polemiche di allora, come le discussioni riaccese all'annunzio della sua morte, l'importanza enorme, che, a Berlino come a Londra, si annette alla scelta del suo suc cessore, mostrano quale alto concetto dell'uomo si avesse, al di qua come al di là della Manica, e smen tisce nel modo più efficace, ciò che tante volte , e in tante occasioni fu ripetuto in questi ultimi anni, che, cioè, la Diplomazia ha perduto quasi tutta la sua importanza, e che, con la stampa, le rapidissi me comunicazioni, il telegrafo, il telefono, l'opera dei diplomatici passa in seconda linea.
Discorrendo del compianto diplomatico tedesco, tutti hanno convenuto, che sono a lui personalmente dovuti alcuni fra i più grandi successi della politica estera, e, specialmente, la posizione in pochi anni conquistata dalla Germania in Oriente. Gli è che se, realmente, le rapide comunicazioni e la stampa. hanno agevolato le relazioni dirette fra i Governi, e creato nuovi modi per intendersi... o magari per minacciarsi a vicenda, sono, anche per il diploma tico, altrettanti mezzi di azione dei quali può gio varsi. E, poichè si è parlato della stampa, nella quale spesso, veramente, gli articoli precedono, preannun ziano, e talora spiegano, attenuandone o accentuan done l'importanza, le note diplomatiche, chi più del MANTEGAZZA. Politica estera. - VII.
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barone Marschall aveva mostrato di sapersene ser vire? Di comprendere quanto può giovare un'azione continua diretta a disciplinarla e ad evitare le sto nature, e quanto danno può fare, e spesso inconsa pevolmente, quando non ha direttiva? Il barone Mar ´schall, aveva all'ambasciata di Costantinopoli, una specie di ufficio della stampa, e il suo giornalista, il suo corrispondente ufficioso, nella persona del corrispondente della Frankfurter Zeitung, andando a Londra, volle con sè facendolo trasferire come corrispondente del suo giornale nella capitale bri tannica, affermando così nel modo il più palese,anzi che nasconderla la necessità assoluta di tale collaborazione fra la stampa e la Diplomazia. Indipendentemente poi dalla persona, è il caso an che di notare che per tale delicatissimo ufficio Costantinopoli cioè dove la Germania ha avuto da parecchio tempo un vasto program na di pene trazione economica, commerciale, ferroviaria e, quindi bancaria, la scelta dal Marschall era caduta sul giornale considerato come l'organo dell'alta banca tedesca del quale è nota una grande diffusione e la speciale influenza nel mondo degli affari.
a La carriera diplomatica del compianto Ambascia tore, è incominciata relativamente tardi : quando aveva già pasato la quarantina. Addottoratosi in legge, incominciò a servire lo Stato nella magistra tura; carriera nella quale in Germania, figurano, come nell'esercito, molti dei più bei nomi dell'ari stocrazia, e che, spesso, come accadde per il Mar schall, può aprire la via ad alti uffici. Era procura tore del Re a Mannheim, nel 1875, quando, apparte nendo alla linea badese di una antica famiglia della Misnia, diventò membro della Cam. Alta del Baden. Tre anni dopo, nel 1878, era eletto deputato al Rei chstag : ma, solo nel 1883, fece il suo primissimo passo nella carriera diplomatica, quando il Governo
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del suo paese lo nominò ministro a Berlino e rap presentante nel Bundesrath. Nel 1890, caduto il Bi smark, fu nominato Segretario di Stato agli Esteri, ed ebbe parte principalissima sotto il secondo Can celliere nella stipulazione dei trattati di commercio coi quali la Germania si allontanò dalla politica ri gidamente protezionista fino allora seguita. Coprì quella carica per circa sette anni, e dovette dare le dimissioni (') in seguito ad aspre polemiche che lo spinsero ad intentare un processo contro i suoi dif famatori : processo che fece un enorme rumore per le gravi rivelazioni alle quali diè occasione, ma, che, ben inteso, non offuscarono menomamente la repu tazione del Marschall, sia come correttezza, sia co me uomo politico. Tale, a rapidissimi tratti, la car riera del Marschall, prima della sua missione a Co stantinopoli, nella quale, rendendo i più eminenti servizi al suo paese, doveva dare così luminosa pro va del suo valore, della sua abilità, della sua ener gia come della sua souplesse, quando gli pareva che la maniera dolce fosse preferibile alla maniera forte per ottenere un dato scopo di tutte quelle qua lità insomma che hanno contribuito a fare di lui, secondo l'unanime giudizio, il più grande diploma tico di questi ultimi vent'anni. A Costantinopoli sostituì il barone Saurma de Jellsch, un diplomatico che non lasciò grande orma di sè. D'altra parte, quando questo suo predecessore giunse sulle rive del Bosforo, la nuova politica della Germania la politica coloniale alla quale, solo da ultimo, si era piegato il Bismark non aveva ancora quello svi luppo assunto rapidamente negli anni successivi. La produzione industriale tedesca, per quanto già rappresentata da cifre ingentissime, non era an - cora arrivata al punto da premere sul Governo per
(1) Lo sostituì il Bülow.
La camera
di Marschall
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chè le assicurasse ogni giorno nuovi sbocchi, in modo da determinare, in vista di tale scopo, le diret tive della sua politica internazionale. Il barone Marschall arrivò invece a Costantinopoli quando simili pressioni si facevano sentire fortis sime, tanto da spingere, poco dopo, lo stesso So vrano a intraprendere quel viaggio in Oriente per il quale si disse che Guglielmo II, si era trasformato in un commesso viaggiatore dell'industria Germani ca: titolo che l'Imperatore, da uomo di spirito, ben lungi dall'offendersene mostrò invece di gradire moltissimo. Fino da molti anni prima, il maresciallo Moltke, quando, col grado di capitano o di mag giore, era l'addetto militare della Legazione di Prus sia a Costantinopoli, aveva segnalato al suo paese l'Oriente, e, sopratutto l'Asia Minore come un cam po nel quale avrebbe potuto svilupparsi largamente l'attività tedesca, e diventare anche uno sbocco per la sua emigrazione. Ma doveva passare quasi mezzo secolo, prima che al programma del grande capi tano aderissero il Governo e l'opinione pubblica te desca. E' con questo vasto programma che il Mar schall andò a Costantinopoli; è con questo program ma di assicurare in tutto l'Impero Ottomano una posizione preponderante alla Germania, che il Mar schall si pose all'opera, riuscendo, dopo pochi anni, ad avere nella capitale ottomana, una posizione come quella che ebbe, all'epoca di Crimea, Sir Stratford Ratcliffe. Senza dubbio l'opera sua fu agevolata dal suo Governo sul quale sapeva di poter fare assegna mento in qualunque circostanza : dal continuo in coraggiamento, anzi, dalla collaborazione diretta del suo Sovrano, e forse anche dagli errori com messi dalle altre potenze e dai diplomatici che, a volte, le hanno rappresentate sul Bosforo. Ma l'o pera sua, non rimane per questo menomata: poichè, anche in questo, egli ebbe la grande abilità di con
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quistare tale illimitata fiducia, e provocare, nel momento opportuno, gli altissimi aiuti ai quali ho accennato, e di sapere approfittare prontamente de gli errori degli altri.... talvolta riuscendo egli stesso a provocarli.
In pochi anni egli era riuscito a diventare il pa drone vero della Turchia e del Sultano. Mirando dritto allo scopo, lasciò sempre da parte tutte quelle sentimentalità, alle quali, più d'una volta, altri di plomatici hanno sacrificato l'interesse del loro paese. Come fu detto in varie circostanze, parafrasando una celebre frase di Bismark egli poteva dire: « <In Tur chia sono turco » come il Gran Cancelliere, quando la politica tedesca e quella inglese erano d'accordo contro la Francia diceva : « Sono inglese in Egitto ».. Così non si commosse grandemente all'epoca delle stragi armene e non cercò di pesare la mano sulla Turchia quando le Potenze parevano intenzionate di agire nella questione di Creta. Quando tutte le Po tenze mandarono delle corazzate che dovevano pro teggere i cretesi ribellati, fece partire, per la forma, una piccola nave, che, dopo poco, con un pretesto, se ne ritornò nel Mare del Nord; e, all'epoca delle riforme, quando l'Austria e la Russia in base al pro gramma di Mürtzeg le imposero alla Turchia, la Germania consigliata dal suo Ambasciatore, lasciò fare all'Austria, ma se ne rimase in disparte. Gli ufficiali tedeschi numerosi come istruttori nell'eser cito ottomano, in tutte le altre provincie, brillarono per la loro assenza in Macedonia, nella famosa gen darmeria, nella quale, invece, da un certo numero più o meno grande di ufficiali, erano rappresentati tutti gli altri eserciti europei. Arrivò cioè fino al punto di ostentare una certa solidarietà non già con l'Europa, ma con la Turchia, Fra tutte queste cor tesie tedesche verso la Turchia, cortesie di forma e di sostanza, non ne ho veduto, negli studi apparsi
277 Il padrone della
Turchia
in questi giorni sull'opera dell'estinto, citata una, che, pure, ha avuto, agli occhi del Governo di Co stantinopoli e del Sultano, un grande e gradito si gnificato. Fino a quattro anni fa, lá Bulgaria, era un Principato vassallo. Le potenze non potevano avere quindi a Sofia dei ministri plenipotenziari, e i loro rappresentanti avevano semplicemente il titolo di Agenti Diplomatici, come al Cairo. Ebbene, la Ger mania, per un pezzo fu rappresentata soltanto da un Console Generale, ed era la sola Potenza che all'atto della nomina chiedeva ancora l'exequatur... a Costantinopoli.
I due primi e grandi trionfi del Marschall : quelli che, dopo uno spazio di tempo relativamente assai breve, assicurarono nel corso di pochi anni alla Germania e al suo Ambasciatore una situazione così privilegiata ed eccezionale, furono : il viaggio dell'Imperatore e gli accordi con l'Inghilterra nella questione della ferrovia di Bagdad. Anche per tale ferrovia la ferrovia tedesca dell'Asia Minore come la chiamarono in Germania l'Imperatore e il ba rone Marschall furono i due grandi collaboratori. Guglielmo II, Costantinopoli, personalmente, strappò al Sultano la promessa delle maggiori age volazioni, e, a Londra, dove si era recato per le re gate di Cowes, ottenne dall'Augusto suo Zio quel l'assentimento al quale parecchi uomini politici in glesi si erano manifestati recisamente contrari, e che, oggi ancora, è rimproverato alla memoria di Edoardo VII.
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Questa specie di presa di possesso della Turchia, da parte della Germania, si compì rapidamente. Dopo qualche anno, l'esercito turco era in mani di istruttori tedeschi guidati e diretti dal maresciallo von der Goltz, che, di quando in quando, manifesta ora la sua gratitudine verso la Turchia, scrivendo ar ticoli poco gentili all'indirizzo dell'Italia, per cui
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tedesco
l'Imperatore ha dovuto richiamarlo all'ordine invi tandolo a smettere : e, naturalmente, sono state fatte, durante il periodo Marschall, alla industria tedesca, immense ordinazioni di armi, cannoni, ecc. Tutta la Turchia, Europea ed Asiatica, è stata invasa dal commesso viaggiatore tedesco, e le cifre relative alla esportazione germanica, che ha sop piantato i prodotti delle altre nazioni, sono salite rapidamente. In molte città e, specialmente, a Co stantinopoli, senza badare a spesa, per iniziativa del Marschall sono state fondate ed aiutate molte scuole tedesche. Non solo, ma è stato facilitato con delle borse di studio, ed altre forme di incoraggia mento, l'invio di giovani per studiare in Germania, cosicchè, molte case di commercio, molti negozianti turchi, armeni, greci, hanno ora chi sa tenere la corrispondenza in tedesco, e vengono su abbastanza numerosi, nella nuova generazione, i ragazzi che parlano e scrivono in questa lingua, mentre è do loroso dirlo perde ogni giorno terreno, per l'i nerzia nostra, l'italiana una volta così diffusa.
Ma, per sviluppare così vasto programma, il Mar schall aveva dato un carattere un po' diverso, e or ganizzato con criterii nuovi e moderni, il lavoro e il personale dell'Ambasciata. Il più modesto com messo viaggiatore tedesco sapeva di trovare alla Ambasciata del suo paese funzionari disposti a dar gli tutte le indicazioni delle quali poteva aver bi sogno, insieme a consigli preziosi, e, al caso, efficace aiuto. Lo stesso Ambasciatore era facilmente acces sibile, e sapeva, a tempo, intervenire personalmente coll'autorità sua dinanzi alla quale tutti si inchi navano.... a incominciare dallo stesso Sultano, al quale, più d'una volta, il Marschall non esitò a par lare con una intonazione brusca e recisa. E' rimasto celebre l'incidente dell'Odisseus, un veliero che batteva bandiera tedesca, al quale le au
Il commesso viaggiatore
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torità ottomane volevano impedire di sbarcare un carico di prodotti chimici, temendo si volessero far saltare in aria i palazzi imperiali. L'ambasciatore Marschall protestò vivamente presso il Governo, e siccome l'autorizzazione non era venuta prontamen te, dopo due o tre giorni, requisì l'equipaggio dello stazionario tedesco, si mise personalmente alla testa dei marinai, con la loro brava bandiera tedesca, e sali sull' Odisseus. I soldati e le guardie ottomane destinate alla sorveglianza del pericoloso carico, resi gli onori al rappresentante di Guglielmo II, se ne andarono, e, pochi minuti dopo, i facchini incomin ciarono lo sbarco, al quale assistette, per una buona mezz'ora, l'Ambasciatore, andandosene soltanto quando vide che tutto procedeva regolarmente. Ma la grande prova di tale potere eccezionale del l'Ambasciatore tedesco fu data quando impose al Sultano di allontanare da Costantinopoli Fehim pa scià un manigoldo della peggior specie, diventato, grazie alla protezione del Sultano, il terrore della città. Ho visto accennato, qua e là su per i giornali, questo incidente che sollevò allora grande rumore, e, consolidò più che mai, la convinzione della onni potenza del Marschall, ma nessuno ha ricordato la ragione strana per la quale Fehim era tanto protetto, e la triste sua fine: poichè, nelle prime settimane del nuovo regime, fu linciato dalla folla, a Brussa, dove il Sultano l'aveva relegato. Questo Fehim pa scià doveva al fatto di essere figlio di un fratello di latte di Abdul Hamid la protezione che gli aveva sempre assicurato l'impunità dei suoi delitti e delle sue ladrerie, compiute armata mano con l'aiuto della sua banda di sgherri, Nel mondo mussulmano i vincoli di questa parentela di latte hanno una grande importanza. Ma, oltre a ciò, il padre, Ismet bey, secondo alcuni, non era solamente un fratello di latte, ma un fratello vero che fisicamente, ed
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tedeschi
anche nella voce, assomigliava al Sultano, in modo da non distinguere l'uno dall'altro. Era il sosia di Abdul Hamid, e a Costantinopoli, si raccontava che, più di una volta, Ismet bey, avesse preso il posto del vero Sultano alla cerimonia del Selamelik, quan do Abdul Hamid, in preda a una di quelle crisi di ter rore, durante le quali vedeva dappertutto congiurati e pugnali o bombe per ucciderlo, non voleva più nemmeno recarsi alla Moschea per la preghiera del venerdì. Era su di lui che faceva prendere le mi sure per i suoi abiti, pensando, che, ad ogni buon fine, era sempre meglio evitare di essere, sia pure per pochi minuti, nelle mani di qualcuno.... anche se si trattava di un sarto! Fehim pascià si credeva lecito tutto. Disgraziatamente per lui, un giorno, ebbe la sfortuna di toccare un suddito tedesco, che reclamò presso il suo Ambasciatore. Il baron Mar schall reclamò a sua volta, e impose al Sultano di allontanarlo dalla capitale. Il Sultano fece di tutto per salvarlo. Ma il Marschall fu irremovibile. E Fehim fu relegato a Brussa.
Il Marschall è stato il più illustre fra i diplomatici tedeschi, che hanno tanto contribuito ai trionfi della politica di Berlino e all'espansione economica della Germania nel mondo. Ma, il Governo di Gugliel mo II, ne ha avuto e ne ha ancora parecchi altri, che appartengono, per così dire, a una nuova scuo la : che non sono, come in altri paesi e mettia moci anche il nostro e pur troppo più degli altri dei funzionari di parata che non vivono quasi più a contatto del proprio paese, ma formano, invece, come un corpo, strettamente collegato a tutte le al tre amministrazioni dello Stato. Tanto che, ad ogni grande successo della politica germanica, è colle gato il nome di un diplomatico.
In Abissinia, al Marocco, in Cina, agli Stati Uniti, in Svizzera, al Siam, al Portogallo, dappertutto ove
I diplomatici
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la Germania si è affermata politicamente od econo micamente, sollevando talvolta questioni che han fatto addirittura temere per la pace del mondo, voi trovate sempre il diplomatico tedesco, col quale par di vedere, a volte spuntare l'elmo a punta, mentre, tal altra, vi pare regga con la mano una valigia da campionari. Sono, oltre al Marschall, i Rosen, i Tattembach, gli Sterburg, i Bülow (1) che sono man dati da Adis Abeba, a Tangeri, a Washington, a Berna, non a caso, ma perchè si conta sulle loro speciali attitudini, sul loro carattere, sui loro pre cedenti, e che vanno, con una missione ben defi nita, rimanendovi tutto il tempo necessario per compierla, e, ben inteso, sottratti alle sorprese di un movimento diplomatico fatto per compiacere qual cheduno, che li sbalzi in tutt'altra parte del mondo, lasciando l'opera loro a mezzo. Il Bülow che ho ci tato, per esempio, è da una quindicina d'anni a Berna. Quali sieno stati in questi ultimi anni i resultati della penetrazione germanica, senza soffer marmi nei particolari, si possono desumere dal gri do d'allarme mandato dal Journal de Genève, pochi giorni prima dell'arrivo dell'Imperatore di Germa nia, nel momento delle vivaci polemiche di tutta la stampa svizzera per la visita imperiale. <<Questa invasione scriveva l'autorevole gior nale svizzero che procede, costante, metodica, so pratutto nella Svizzera tedesca, da parte dei nostri vicini del Nord, è attualmente un grande pericolo nazionale contro il quale dobbiamo concentrare tut te le nostre forze. In presenza di questo pericolo, più dissimulato, e più insinuante e forse più pericoloso di un attacco a mano armata, ecc., ecc.... ».
_______Inutile riprodurre il seguito dell'articolo che tratta la delicata questione politica. Ma, da queste poche
(1) Fratello dell'ex Cancelliere, da due o tre anni ospite gradito della nostra Capitale.
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frasi, si vede chiaro che cosa la Germania abbia sa puto fare nella vicina Repubblica, se i risultati pro vocano un tale linguaggio. Il merito di tale resultato è dovuto, in gran parte, a tale opera diuturna e concorde del Governo e del rappresentante della Germania nella Repubblica Elvetica; e l'Imperatore, da ultimo, è andato, in certo modo a consacrarli con la sua visita la quale, potrà giovare moltissimo alla risoluzione di parecchie questioni importanti che so no sul tappeto, e, che, in ogni modo, ha avuto l'im mediato effetto di rassicurare ancora più i numerosi tedeschi stabiliti in Isvizzera che la Patria non li di mentica, e che Governo e Sovrano vegliano su di loro, sempre pronti a proteggerli e ad aiutarli. Quando, con un cambiamento di fronte, il Roose velt, che appena salito alla Presidenza degli Stati Uniti, denunziava il pericolo tedesco, passò alle ma nifestazioni di simpatia verso l'Impero, corrisposto ed assecondato dall'Imperatore, è ancora sopratutto dovuto in gran parte all'abilità di un diplomatico, se il riavvicinamento potè compiersi così rapidamen te. Il mutamento nelle relazioni degli Stati Uniti con la Germania, fu la conseguenza inevitabile del l'alleanza della Gran Brettagna col Giappone : con l'Impero cioè che contende risolutamente alla Gran de Repubblica Americana e che sarà, secondo molti, il suo avversario del domani, la supremazia nel Pa cifico. Il barone Speck von Sternburg fu mandato a Washington con una missione precisa e ben defi nita quella di controbilanciare l'opera dell'amba sciatore d'Inghilterra. E, per parecchi anni, un vero duello diplomatico si svolse sotto gli occhi del pub blico americano che mostrò di interessarvisi viva mente, fra il barone Speck von Sternburg - Specky come lo chiamavano famigliarmente a Washington - e il rappresentante di Sua Maestà Britannica. Co sa abbastanza curiosa è il fatto che il barone Speck,
A cavallo col Presidente 283
un inglese naturalizzato tedesco all'epoca della guer ra del 1870, passato nelle fila della diplomazia, fosse diventato, al di là dell'Atlantico, il più tenace e scaltro avversario della sua patria d'origine. Certo è che, in brevissimo tempo, egli seppe conquistare le simpatie del pubblico e quelle personali del Roo sevelt, col quale soleva fare ogni mattina la súa passeggiata a cavallo. E si comprende facilmente, quale importanza potessero avere tali intime e cor diali relazioni col Roosevelt, in un paese dove il Pre sidente della Repubblica è il vero capo del Governo, e ha poteri estesissimi. Tanto che un bel giorno, quasi improvvisamente, il Governo di Londra, ri chiamò il suo ambasciatore Sir Mortimer Durand, il quale si disse allora aveva il torto di non montare a cavallo insieme al Presidente, con la stes sa frequenza del suo rivale, l'ambasciatore tedesco! E mandò un nuovo ambasciatore, scelto con un cri terio giusto, nella persona dell'autore di una cele bre opera sulla Costituzione Americana, perchè, con tale precedente, a parte gli altri meriti del diploma tico, era presumibile avrebbe avuto buona accoglien za. Noto incidentalmente, come, anche a Washing ton, la politica seguita dal Governo di Berlino ebbe la consacrazione imperiale nella visita del Principe Enrico che, non potendo andarvi personalmente, Guglielmo II mandò in America a rappresentarlo. Gli esempi di tal genere, come si è veduto, anche dai pochi nomi ai quali ho accennato, si potrebbero moltiplicare. Al Portogallo, che, economicamente e per la vicinanza delle sue colonie tanto all'Inghil terra che alla Germania colonie sulla cui sorte non è ancora detta l'ultima parola si è svolta ed, in qualche momento, con una certa asprezza, lo stesso duello tra il rappresentante della Germania e quello del Regno Unito : nell'Asia Occidentale è l'azione del rappresentante tedesco che fa comparire all'orizzon
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da noi
te, con la Germania quello che fu chiamato il terzo concorrente, prendendo delle posizioni, alle quali ri nuncia qualche anno dopo, a Potsdam... ma riceven do qualcosa altro in compenso : è un altro speciali sta in questo genere di missioni, e che dopo vien mandato... a creare gli interessi tedeschi al Maroc co, che persuade il Negus ad appoggiarsi sulla Ger mania della quale ignorava quasi l'esistenza prima, poichè è solo - gli dice col nostro appoggio che potrete sottrarvi un po' alle pressioni delle altre Po tenze, e salvare la vostra indipendenza...
La diplomazia tedesca rende, e ha reso eminenti servizi al suo paese, perchè è preparata, perchè sa di avere nel Governo un vigile e costante collabora tore, e perchè, il Governo, sa scegliere chi deve mandare in un posto piuttosto che nell'altro, e, so pratutto, perchè, educati alla scuola del dovere, i diplomatici tedeschi non discutono quando sono destinati in paesi dove la vita non è gaia. Obbedi scono, come dei militari, pensando che potranno an che in quelle residenze giovare al proprio paese, spesso anzi rallegrandosi, come di una prova di fi ducia, di una missione ingrata. E una diplomazia che appartiene a quella che l'ammiraglio Saint Bon, facendo la stessa distinzione per la marina, chiama va la scuola del dovere, in contrapposto a quella del piacere cioè dei diplomatici che vogliono sem pre la residenza ove vi è vita di società e dove san no di potersi divertire, senza preoccuparsi d'altro! Da noi, quando è alle viste un movimento diplomati co, è una ressa alla Consulta, di deputati, di senatori, di dame gentili che insistono, pregano, raccoman dano presso il ministro, perchè il tale o tal'altro mi nistro venga salvato dal pericolo che lo minac cia di essere mandato in una cattiva residenza. Nes suno vuole andare a Cettigne, a Teheran, a Bangkok, ad Adis Abeba, e, allora, si sceglie a caso, o si man
Quel
che accade
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dano dei giovani ai quali un posto così importante non spetterebbe, naturalmente lieti di far carriera. I nostri diplomatici, osservava giustamente in un suo recente articolo il deputato Cirmeni, a proposi to della morte del Marschall facendo egli pure il pa ragone che s'impone, considerano le Legazioni nei Balcani, dove manca la vita brillante, come gl'im piegati delle altre amministrazioni, considerano la Sardegna. Ci vanno per far carriera; ma, col pro posito, di rimanerci il meno possibile. Alla Legazio ne di Belgrado, in un periodo di dieci o quindici an ni, si sono cambiati una decina di titolari!! È invalsa, ripeto, la deplorevole abitudine di assecondare desi deri dei diplomatici anche quando sono ancora nei più modesti gradi. Il ministro non ordina più, e quando, il tale o tal'altro, nominato ministro in questa o quella residenza non vuole andarci se condo la frase consacrata dall'uso lo lascia stare dov'è, ad aspettare... che si faccia libero uno dei posti che desidera!
A Costantinopoli, nello stesso periodo nel quale vi rimase il Marschall, l'Italia ha cambiato niente meno che cinque ambasciatori! Sulla situazione d'inferiorità nella quale ci siamo trovati per parecchi anni, specialmente nell'ultimo periodo dell'antico regime, e, nei primi del nuovo, ha scritto a lungo in un volume pubblicato qual che hanno fa, all'indomani della rivoluzione (1) e, per trattare esaurientemente la questione, dovrei ri petermi. Mi limiterò quindi a qualche osservazione sommaria. L'ambasciata di Costantinopoli, come ave va occasione di scrivere allora, è uno di quei posti diplomatici per i quali non basta l'ingegno e una certa cultura media; ma è assolutamente necessaria l'esperienza, e, diciamolo pure, anche quella au Milano, 1908, F.lli
(1) La Turchia Liberale e gli Stati Balcanici. Treves. -
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L'ambasciatore italiano a Costantinopoli!
torità che viene dalla posizione che uno ha nel pro prio paese e dalle cariche prima coperte. Tanto più quando si sa che l'ambasciatore di S. M. il Re d'Ita lia si trova di fronte come accadde quando vi fu mandato il marchese Imperialia delle spiccatissi me personalità della politica e della Diplomazia che nella capitale ottomana rappresentano gli altri paesi. Vi era allora, fra gli altri, oltre il Marschall per la Germania, il Constans il ministro dell'interno che debellò il Boulangismo per la Francia, Zinovieff per la Russia, che per dieci o quindici anni aveva tenuto al Ministero degli Esteri la direzione dei Dé partements Asiatiques, altissimo ufficio considerato come uno dei più delicati e difficili del Ministero. Che figura poteva fare, qual prestigio poteva avere l'Imperiali, nominato di botto ambasciatore a Costan tinopoli, passando quasi senza transizione, dall'uffi cio di consigliere di ambasciata a Berlino all'altis simacarica dopo una breve sosta di qualche mese! all'Agenzia Diplomatica di Sofia, senza che nes sun precedente o alcuna attitudine speciale lo indi casse per tale difficilissima posizione?
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Parlando del Marschall e della diplomazia tedesca, specialmente, a Costantinopoli, non è possibile evi tare i paragoni.
Il colmo dell'abilità del barone Marschall fu quello di diventare rapidamente l'amico del nuovo regime, dopo essere stato il consigliere straniero più ascol tato di Abdul Hamid. L'Imperiali, ha avuto invece
È accaduto quello che doveva necessariamente accadere che cioè l'Italia poco o nulla contava a Costantinopoli, tanto che si è verificato, dopo le grida di abbasso l'Italia sotto le finestre della nostra ambasciata, un fatto senza precedente : quello di un comizio della colonia Italiana per protestare contro la condotta dell'Ambasciatore con relativi fischi al suo indirizzo... 287
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l'abilità perchè, sia pure, a rovescio, ci è voluto anche per questo una abilità speciale di avere contro tanto il vecchio che il nuovo regime! Non era possibile dare maggior prova di incapacità. Ebbe ne, il nostro Governo, lo ha mandato a reggere un'al tra ambasciata, forse sotto certi aspetti, la più im portante per il nostro paese. con
Con quale criterio? ci si domandò quando si ebbe notizia di tale trasferimento. Ma! Forse con qual che criterio personale che nulla ha a che vedere con la missione affidatagli; come fu mandato criteri di politica internail Tittoni a Parigi, sa pendosi benissimo che, indipendentemente da qua lunque altra considerazione, per i suoi precedenti non poteva avere una buona accoglienza; come fu mandato a Pechino, con l'intesa vi sarebbe rimasto un anno soltanto, il Comm. Barilari per dargli una soddisfazione d'amor proprio, mentrein un momento nel quale si preparavano nell'ombra gravi avveni menti bisognava scegliere ben diversamente, e sen za preoccuparsi se quel piacere e quella soddisfa zione d'amor proprio all'egregio funzionario sareb bero costati qualche decina di migliaia di lire, pro prio buttate dalla finestra : come si è mandato ora il De Novellis a Cristiania per mettere a disposizione di un amico un collegio nelle future elezioni ; come si è mandato al Messico l'Aliotti per rifargli una ver ginità dopo le vicende dei tappeti con l'impegno di lasciarvelo soltanto un anno... e permettendogli di andarsene in permesso, dopo sei mesi... E la lista potrebbe continuare per un pezzo..
Vi è tutta una grande riforma da fare nel nostro personale diplomatico, nel modo di reclutarlo, e per ciò che riguarda le destinazioni, arrivando davvero a quella unificazione delle due carriere, la diploma tica e la consolare, che potrebbe rinvigorire fin d'ora, il nostro Corpo Diplomatico, giacchè, in quello con
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RODI ( 4 maggio 1912
LO SBARCO DELLA DIVISIONE AMEGLIO NELLA BAIA DI KALITHEAS .
RODI .
DOPO LA VITTORIA DI PSITHOS . LA COLONNA DEI PRIGIONIERI TURCHI .
Come si arriva ad una ambasciata 289
solare, malgrado la affettata superiorità con la qua le ne parlano i giovani diplomatici, che si credono qualche cosa di più, vi sono ottimi elementi. Ma la fusione non basta fino a che, la questione della ren dita che bisogna giustificare, limita il reclutamento. Ed è veramente strano come quelli che apparten gono alla carriera diplomatica non comprendano come sia soprattutto nell'interesse, per l'appunto dei diplomatici, che essi stessi dovrebbero insistere a chiedere delle riforme. Con questo loro obiettivo di formare una casta chiusa, e dopo di aver ottenuto, circuendo i ministri degli esteri, che i loro privi legi sieno mantenuti, per cui quella famosa legge che il Tittoni ha gabellato alla Camera come una legge per la unificazione delle carriere, ha più che mai sancita la loro separazione, e la superiorità del l'una sull'altra, come mai non si accorgono, che hanno fatto scemare il prestigio del nostro Corpo Diplomatico, nel quale, bisogna ben dirlo, vi sono elementi di valore i quali non meritano di essere così confusi con quelli che di valore non ne hanno alcuno e ciò non pertanto vanno avanti come tutti gli altri fino ai più alti gradi? In nessuna altra car riera avviene ciò che accade in quella diplomatica. Nell'esercito, nella magistratura, come nelle altre amministrazioni, uno non arriva ai gradi più elevati, se non dopo esser stato sottoposto a una quantità di esami, o aver dato pubbliche ed evidenti prove di capacità. Un diplomatico, invece, purchè non ne faccia qualcuna di marchiana e del resto, si è verificato il caso anche di chi è diventato ambascia tore dopo aver fallito completamente ed essere ve nuto via male da due o tre capitali arriva pian piano, e spesso in età giovanissima, a diventare mi nistro o ambasciatore...
Ho detto ambasciatore. Veramente, da qualche tempo a questa parte, vi arrivano un po' meno. I MANTEGAZZA. Politica estera. - VII. 19.
ministri degli esteri e il consiglio dei Ministri ades so incominciano ad avere delle grandi esitazioni quando si tratta di mandare a coprire un'ambasciata uno di questi diplomatici della scuola del piacere, che amano troppo divertirsi, che non offrono quella surface e quella serietà necessaria per chi copre una carica così alta. Hanno delle grandi esitazioni.... e finiscono per non mandarli, nominando invece de gli uomini politici.
Se nel nostro Corpo Diplomatico, fra coloro i quali possono aspirare a diventare ambasciatori, vi fos sero molti candidati ai quali non mancano i titoli necessari, certo, la cosa sarebbe deplorevole. Sareb be ingiusto ostruire la carriera affidando le più îm portanti missioni a persone estranee alla carriera. Ma, così, come è oggi costituito il nostro Corpo Di plomatico, tutti trovano la cosa giustissima, e, ap provano le nomine fatte e quelle che probabilmente si faranno ancora. Nessuno sorge a protestare in favore di quei diplomatici i quali non ottengono la sospirata ambasciata. Deplorerebbero anzi fosse loro data...
Intanto, oggi come oggi, su nove Ambasciate, se si tien conto del Garroni per quattro sono stati nominati degli uomini politici, ed altre candi dature mi pare spuntino all'orizzonte, per il movi mento reso necessario dal prossimo ritiro del Pansa e probabilmente anche di quello del d'Avarna.
Avviene così un fatto che può sembrare a tutta prima molto curioso, ma, spiegato molto chiaramen te, mi pare, da tutto quanto è stato detto fin qui: che, proprio nel periodo d'una grande e intensa at tività diplomatica, il Governo crede di dover fare a meno dei diplomatici. Non solo per la carica d'am basciatore, ma, altresì, per quelle missioni speciali per le quali esse furono sempre indicati, come le trattative di pace di Ouchy e si fa fare la navetta
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La diplomazia lasciata in disparte
fra Parigi e Roma è si fa discorrere con dei turchi, un celebre deputato della maggioranza organizzato re di votazioni parlamentari...
Siamo arrivati adirittura all'esclusione che ba diamo bene perchè questo è l'aspetto più grave ed importante della questione non solleva la menoma protesta, e pare invece la cosa più naturale del mondo.
Ora se per alcuni, tutto ciò è giustissimo, non lo è affatto per molti nei quali vi è la stoffa di ottimi diplomatici e che sono in tal modo sacrificati. Ed è ingiusta assolutamente l'offesa che il Capo del Go verno ha fatto con là completa esclusione. Epperò, ripeto, dovrebbero essere proprio i diplomatici i pri mi a desiderare quei mutamenti e quelle riforme radicali che, permetterebbero, anche in questo come nelle altre carriere una giusta selezione, anzichè ve dere come oggi, per i mediocri o gli inetti, sacrifi cati anche i buoni. Con grande soddisfazione del paese che, ora, come si vede dai fatti, non sempre può fare assegnamento sulla sua Diplomazia. 10 novembre.
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IL DIARIO
I.
DELLA GUERRA
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LE
INDICE . -
TRE GUERRE.
TRIPOLITANIA E MAROCCO. Nel Mediterraneo. La seconda fase. L'equilibrio del Mediterraneo. Una conversazione che dura da due mesi. La Spagna esclusa. Le sue domande. Un antico progetto per la spartizione. Il progetto abbandonato dal Silvela. Il timore dell'Inghilterra. Le truppe spagnuole a El Kzar e a Larache. Le proteste della Francia. Contro un altro covo di pirati, Il nemico rinforzato. Quarantamila uomini in Africa. Tre grandi battaglie. Contro il fanatismo. L'im portanza strategica della costa marocchina. L'ultimo diplomatico italiano a Tangeri
1.
II.
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GLI
Il cav. Depretis.
II. LA GUERRA SANTA... CONTRO I TURCHI. La preghiera pel Sultano soppressa in Eritrea, Nel ma" Rosso. La possibilità di qualche piccolo colpo di mano. - Gli arabi fra le nostre truppe del Be nadir. La rivolta nell'Yemen. Gli uabiti. La terra dei profeti. Una lettera di Maometto. L'indipendenza dello Ye men. La spada a doppio taglio. Non ritornano più... Albanesi ed arabi intorno ad Abdul-Hamid. La politica isla mitica. I due grandi pericoli per la Turchia. L'Arabia e l'avvenire dell'Islam. Lo zeidismo contro i turchi. I pascià battuti. Un esercito bloccato. Il Califfato in pericolo
INCIDENTI FRANCO-ITALIANI.
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IL SEQUESTRO DEL «CARTHAGE ». L'arresto dei turchi sul Manouba. Come furono fermati il Carthage ed il Manouba Il comu nicato ufficioso italiano e i dubbi sulla qualità dei turchi a bordo. Un milione e cento mila lire. Il discorso di Poincaré. L'impressione prodotta in Italia. Dichiarazioni del nostro am basciatore. Un articolo del Temps. La Francia reclama i prigionieri. L'esame dei prigionieri a Cagliari. Documenti... ben confezionati. La soluzione. Il comunicato del Governo Italiano. Il comunicato del Governo Francese. zioni anti-italiane a Tunisi SITUAZIONE MUTATA. Per gli interessi di qualche armatore. i riserbo della nostra stampa. Le dimostrazioni al corrispondente del Temps. Armi ed aiuti per i nostri nemici. Gli armatori di Marsiglia. Lo spirito pubblico in Francia. Sintomi di resi piscenza. Un'operazione di cateratte. Chi può fidarsi? Le nostre rclazioni con la Francia. Intonazione diversa. La po
Manifesta 33 nerale. litica del sentimento. Contro Garibaldi. Le parole di un ge Alla vigilia del rinnovamento della Triplice III. I CONSOLI DI FRANCIA. A Tripoli e a Rodi. Il cavas del Con sole. La mehalla del Console Francese. I nostri ufficiali. Troppi reclami. ...e troppi arabi alla porta del Consolato. Le critiche di un console. Il rapporto mandato alla Con sulta Pag.
NELL'EGEO.
I.III.
I DARDANELLI. Le flotte che li hanno passati. La flotta russa del Mar Nero. La questione degli Stretti. I Dardanelli e il Bosforo. L'antico Ellesponto. Il castello d'Europa. tomba del cane. Galata genovese. Il valore strategico e com merciale degli Stretti. La flotta della Lega Cristiana. Le ga lere del Rodano. Il primo disarmo navale dei turchi. Le squadre di Caterina II. Venuta da Cronstadt. Una nave fran cese fermata. I Dardanelli forzati da navi inglesi. Gli amba sciatori di quell'epoca. Dal ponte della nave ammiraglia. La flotta inglese costretta a ritornare indietro. Navi mal concie Pag. 59 II. IRUT. Cavalla. DINANZI A BEIRUT. Dopo la distruzione delle due navi turche a Beirut. Stampa ostile. La pianura di Filippi. Nuovi tentativi delle Potenze per la pace. Il porto della Bulgaria. La Bulgaria e l'Egeo. Le Potenze e lo statu quo. La Russia. Cipro. L'Inghilterra ancora alleata della Tur chia. Un curioso trattato. La Santa Alleanza... è ancora in vigore. Il malumore nell'isola di Venere. I ciprioti e l'Alto Commissario Britannico. Una protesta dei deputati di Cipro . 67 L'ISOLA TRAGICA. Chios. La villeggiatura di Smirne. - Po polazione decimata. L Un terribile terremoto. La pietra d'O mero. Le Orientales di Victor Hugo. Quattro date terribili. Vederla da lontano! La patria dei fiori. Chios nella poesia.
I.
La
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dopo .
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La testa del francese.
I Giustiniani di Genova principi di Chios. I Gatteluggio duchi di Lesbo, - Una compagnia a chartered. Contro gli or todossi. Evviva i Giustiniani! L'arrivo dei Turchi. Di ciotto Giustiniani suppliziati. Ventimila persone trucidate. Come a Messina
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IV. L'AVVENIRE È SUL MARE. L'Europa e l'Asia nell'Egeo. Gli ar mamento navali. La marina nelle ultime grandi guerre. Le guerre fatali. Tra Stati Uniti e Giappone. Tra Germa nia e Inghilterra. La vergine casta e pura. La flotta rus L'importanza dell'Egeo. Come la Lombardia e il Belgio. Navi mercantili e navi da guerra. Attraverso l'Egeo. Il grande macedone. La ferrovia di Bagdad. Le ripercussio ni lontane. Il continente africano. I tre arcipelaghi. Il concetto moderno della guerra.
sa.Gli eserciti combattono
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L'ORA DELLA RUSSIA
A POCHE MIGLIA DAL BOSFORO. La Russia e gli Stretti. Dimo strazioni militari. Le fortificazioni del Bosforo. Giasone e Me dea. Il ponte sul quale passò Dario. Un'altra leggenda di amore. La Pharmakia... diplomatica. O il più grande amico o il più grande nemico. Padrona del Mar Nero. Un trat tato che si lacera. II XX Settembre e gli Stretti. La po litica dei pourboires. La conferenza a Londra e il fatto com piuto. Le navi della flotta ausiliaria. A cannoni coperti. - -
V. Rodi e la tomba di Maometto II. LA SORTE DELLE ISOLE. 1 primi combattimenti a Rodi. La Turchia e la perdita delle isole. Indifferenza ostentata. Una epigrafe! Creta greca vuol dire Tripoli Italiana. La capitolazione del Morosini. Creta isola africana. L'Ellenismo. Le dodici isole. Le Sporadi del Sud. I privilegi dei quali han sempre goduto. I Giovani Turchi non vogliono rispettarle. Che cosa farà l'Ita lia? Non può abbandonarle senza serie garanzie. La no stra bandiera simbolo di civiltà. Chio e Mitilene -
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INDICE
INDICE
Una situazione privilegiata per qualche anno. terna della Russia. Un'attesa bandiera da guerra. noniera bulgara
Pag. 95
II. L'INCOGNITA DELLA RUSSIA. Gli allarmi dell'estate scorsa. Il richiamo dello Tharkoff. L'affermazione di un corrispondente. La politica tedesca. La Turchia e la Persia. Teme le sue squadre imbottigliate come nel Baltico. Il paese più mi nacciato. I movimenti delle flotte. La flotta tedesca sulle co ste della Norvegia. Torpediniere... che studiano. Norvegesi che accolgono poco simpaticamente. In assetto di guerra. Un allarme gravissimo. Un altro periodo di grande tensione. Le ansie nelle cancellerie. Nella stampa non se n'è par lato. La Danimarca padrona degli Stretti. Dai due Belt al Bosforo
III.IN ATTESA DELL'INCONTRO FRA IL KAISER E LO ZAR. La simpatia russa per la nostra impresa. Il convegno di Potsdam. La duplice non sveglia più gli stessi entusiasmi. I versi di Rostand. Potenze europeo-asiatiche. Materia infiammabile dappertutto. - L'avanguardio russe nell'Egeo. I monaci del monte Athos. Per la ricostituzione delle due flotte. La risposta al programma navale ottomano. Ammiragli loquaci. Quello che dice un am Il dissidio Austro-Russo. Cavour e l'amicizia Il più forte del mondo! 160 milioni di abi miraglio russo. con la Russia. tanti
QUALCHE OSSERVAZIONE SULL'ANDAMENTO DELLA GUERRA.
ANCHEdanelli: AL TEMPO DELLE STRAGI ARMENE. L'Italia doveva forzare i Dar La stampa d'opposizione. Gli ufficiosi discordi. Man ca un indirizzo, che il governo dovrebbe dare. Come hanno le notizie della guerra nei Balcani. Per tranquillizzare il nemico. amico del governo. Le squadre inglese Gli ordini per la Umberto. L'ordine Fra Crispi e il Ministro della Marina.
LA PACE.
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QUALE PACE VUOLE IL PAESE. della stampa. Riserbo eccessivo. la pace prima delle elezioni. Ci vorranno quindi due o tre mesi.
Le assicurazioni d'un e italiana a Salonicco. di sospendere ogni cosa. Le Isole occupate -
Le trattative ufficiose. Il dovere Furberia turca. Non fare
E la Turchia che fa annunciare ufficiosamente le trattative. Situazione diplomatica migliorata. Abbiamo dei pegni in mano.
Una corte in La can--
Mercanteggiamo pure L'IDILLIO DI OUCHY. Si prolunga soverchiamente. Le tratta tive hanno durato abbastanza. I fiduciari... che sono veri dele gati. Non si può pensare che due ministri non sieno dei veri e proprii plenipotenziarii. Il governo ottomano e l'opinione pubblica italiana? Non è soddisfatta. Alla ricerca della formula. Il rappresentante del Califfo. Dichiarazioni comparse sui giornali. La questione delle isole. Niente capitolazioni a rovescio Aspet E LA PACE Sentimenti ed interessi. Il sindaco di Una proposta Marschall.
Amicizie ed alleanze.
III. LE DUE GUEPRE tando la pace. La redazione del protocollo. Losanna. Una grande disillusione. Penosa coincidenza. La politica del sentimento. Non esage riamo in senso opposto. I telegrammi del Governo al generale in capo. Comandavano tutti! Il generale Caneva. I ser vizii da lui resi. I primi albori della civiltà in Libia .
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IV. LA PACE A QUESTE CONDIZIONI SI POTEVA CONCLUDERE DIECI MESI FA. - 144
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I.
II. ----
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V.
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VI.
Si scontano gli errori della guerra. Non è pace vergognosa. Pace di adattamento. Il leit-motif delle apologie ufficiose. Ragionamenti troppo semplicisti. L'eccesso nella lode. Gli espulsi dimenticati. Un esempio citato male. Le contraddizioni di quelli che vogliono lodare ad ogni costo. L'esempio di Massaua. Le isole. E Chio? Il giudizio sintetico di un illustre par lamentare. Le vere ragioni che militano in favore della pace. Coincidenza dolorosa. Che si poteva evitare. Una frase poco gentile del Poincaré. Gli errori nella condotta della guerra. Il bilancio della pace. I pronto riconoscimento delle Potenze. La cortesia della Russia. La situazione internazionale. Quanti dei suoi quindici Corpi d'esercito l'Austria può portare alla frontiera? Non luminarie Pag. 152 L'ESEMPIO DELLA BOSNIA. A proposito dell'intervista Bertolini. Paragoni che non si possono fare. Altri territori ottomani ce duti senza alcuna condizione. Ancora la Bosnia. L'articolo dell'accordo Austro-turco che fa risaltare la differenza. L'arti colo di quell'accordo relativo al culto. La preghiera per il Sultano nel Decreto Reale 163 1 IL TRATTATO DI LOSANNA. Cessazione delle ostilità. Scambio Gli L'indipendenza economica della Turchia. di ufficiprigionieri. postali. Le capitolazioni. Al Gl'impiegati italiani. meno 50 milioni. Il Firmano di Maometto V. - Il Decreto di Re Vittorio Emanuele III. L'iradè per le isole dell'Egeo. L'iradè per l'amnistia a S'di Idriss. La Sovranità dell'Italia Potenze riconosciuta dalle 167 IL RAPPRESENTANTE DEL SULTANO. L'opinione di due Orientalisti . 177 VII.
LA DISCUSSIONE DEL TRATTATO ALLA CAMERA.
Discussione calma. -L'on. Mirabelli per i repubblicani. L'on Acton. Discorso Baccelli. L'opera dell'on. Prinetti. L'on. Bissolati per i socialisti. Il discorso dell'on. Sonnino: il rappresentante del Sultano; la questione del Vakuf; la guerra balcanica; l'Al bania e gli accessi all'Adriatico; le vie commerciali; un richiamo L'on. Galli. alla procedura costituzionale. La risposta del Re latore. Il discorso dell'on. Giolitti. Risponde ai varî oratori. Il testo del Protocollo preliminare. L'ordinamento del governo della Libia
NOTE E RICORDI.
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IV. Gli italiani espulsi.
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L'ammiraglio Faravelli. La concorrenza di due colleghi. Da corrispondente a ministro. In memoria del magg. Galliano. Gli ascari dell'Eritrea. L'elogio del thé. Una legge eletto rale draconiana II. .235 III.
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Il generale Ameglio a Milano. Interprete... di siciliano'. Il tavolo dei duelli. Gli ammiragli al Senato. Sulla piazza del Quirinale. Il conte Marescotti Sotto le armi all'età di 4 anni! La canzone di Toselli.L'offerta I thè di Enver bey. L'ultimo difensore di Rodi. II di ex-ufficiali di marina. Tre Boncompagni in servizio. Una risposta del Re . 242 principe Del Drago e Don Agostino Chigi.
La marcia di Quello che narrano. Ameglio. La «Stella confidente». I fischi di piazza Colonna. La sfida di due tenenti dei bersaglieri. Il 76° anniversario. Libero per errore La contea di Tripoli. Dove il profeta fu deposto dalla balena. Gli anticlericali e i gesuiti di Beirut. I corrispondenti di guerra 20 anni fa. L'eco delle sventure d'Italia. - I berretti di lana pei soldati. Le 6 pellicce di 6 sartine per 6 ufficiali
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I. V.--
MONDO DIPLOMATICO.
/I.
RIDDA D'AMBASCIATORI. de baroneimportanza.Marschall. Gli ambasciatori hanno sempre una gran Il diplomatico tedesco. La destinazione del Le relazioni austro-tedesche. Il giornalismo e la diplomazia. Il corrispondente di fiducia. Le bévues del l'ammiraglio Jaurez. Il signor Louis poco gradito. Ambascia tori bastonati. Cinque ex-ministri degli esteri a Parigi . Pag. 265 11. IL BARONE MARSCHALL. La scuola del dovere e quella del piacere. Destinato a Londra. Il Marschall e l'azione della Germania in Oriente. La sua carriera. Il viaggio di Guglielmo II. L'opera di Marschall a Costantinopoli. La ferrovia diControBagdad. un Il prestigio personale dell'ambasciatore tedesco. protetto del Sultano. Diplomatici della nuova scuola. La pe netrazione germanica in Isvizzera. Il duello anglo-tedesco a Washington. La nostra diplomazia. L'Imperiali a Londra. Come è andato il barone Agliotti al Messico. La carriera diplomatica. Perchè si sceglie fuori della carriera -
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INDICE DELLE INCISIONI.
Il piroscafo francese Carthage catturatodalla Regia Nave Agordat nelle acque sarde davanti la pag. · I 29 turchi del Manouba al lazzaretto di Frioul (Marsiglia) La battaglia navale di Kunfida. Effetti dei proiettili esplodenti sulle navi turche
La battaglia navale di Kunfida. La Regia nave Piemonte rimor chia a Massaua il yacht Fauvette Guglielmo, Imperatore di Germania, con lo Czar Nicola II al Con vegno di Porto Baltico · Lo sbarco a Sidi-Said delle truppe del generale Vincenzo Garioni Derna (11 febbraio -1912). Cumulo di beduini morti sotto il muro della ridotta Lombardia "
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Von Jagow, ambasciatore germanico a Roma Ouchy. L'albergo Beaurivage dove fu firmata la pace italo-turca plenipotenziari italiani
-. Il barone Marschall von Bieberstein, ambasciatore germanico a Londra (m. 24 settembre 1912)
I plenipotenziari turchi Ouchy. La firma del trattato di pace italo-turca .
Il generale Ameglio, vincitore della battaglia di Psithos Rodi (4 maggio 1912). Lo sbarco della divisione Ameglio nella baia di Kalitheas Rodi. Dopo la vittoria di Psithos. La colonna dei prigionieri turchi.
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Album-Portfolio DELLA
Guerra Italo -Turca 1911 1912
PER LA
Conquista della Libia
L'idea di questa storia fotografica della guerra italo turca fu suggerita agli editori dallo stesso pubblico con le continue richieste dei memorabili numeri dell'Illustra ZIONE ITALIANA in cui nella scorsa annata venne illustrata la guerra con quella prontezza ed abbondanza che è nella memoria di tutti Ad onta della triplicata tiratura e della ristampa di molti numeri, la riserva è ormai esaurita; ma le richieste piovono sempre. Nell impossibilità di fare al tre ristampe, la Casa Treves, desiderosa di corri pondere all'appello del pubblico, ha ideato questa pubblicazione ove figurano riunite in un Album gran parte delle foto grafie sparsein 60 numeri dell'ILLUSTRAZIONE ITALIANA. Nel raccogliere e nel coordinare questo vasto materiale che nessun altro possiede, il compilatore è andato facendo opera di selezione, in modo che la narrazione grafica pro cede spedita ed obbiettiva. Inoltre saranno aggiunte non pocheincisioni da fotografierimasteinedite, essendo giunte troppo tardi per essere pubblicate nel giornale.
Ogni incisione reca una breve dicitura che descrive sin teticamente il fatto, la veduta o il ritratto. L'ordine cro nologico è rispettato, in modo che sfogliando l'Album Portfolio, il lettore può seguire le vicende della guerra nei luoghi e nell'ordine in cui esse si svolsero. L'opera sce in circa 12 fascicoli di 24 pagine. Ogn fasci coloontiene da 5 a 70 incisioni ed è chiuso in una coparina.
Il prezzo di ogni fascicolo è di Cinquanta Centesimi Ad opera compiuta il prezzo sarà aumentato. Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano.
1 FRA ELLI TREVES, EDITORI MILANO
MILANO
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