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I UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE I Giovanni Bernardi
LA MARINA, GLI ARMISTIZI E
IL TRATTATO DI PACE (settembre 1943 - dicembre 1951)
ROMA 1979
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PREMESSA
Il lavoro che segue vuole essere un'esposizione, esauriente il più possibile, della parte che la Marina ha avuto nelle vicende che, dopo la caduta del fascismo, portarono l'Italia agli armistizi di Cassibile e di Malta e in quelle che ad essi fecero seguito, nonché nelle vicissitudini che, a conflitto finito, precedeuero e seguirono il trattato di pace. Per la sua stesura mi sono largamente avvalso del ricco materiale conservato presso l'Ufficio Storico della Marina (sino ad ora mai utilizzato) integrando le notizie in esso attinte con il ricorso, quando opportuno per una maggiore completezza o chiarezza del quadro, alla letteratura ed ai documenti indicati nella bibliografia riportata alla fine del volume. E' ovvio peraltro che, pure essendo trascorsi ormai oltre trent'anni dagli eventi esaminati, a queste già copiose fonti italiane e straniere che permettono di ricostruire correttamente le linee generali almeno degli avvenimenti di quel non lieto periodo - potranno aggiungersene in futuro altre, che consentiranno di dissipare le nebbie che ancora avvolgono alcuni punti, soprattutto del cruciale periodo 1 - 9 settembre 1943. Il lavoro che segue deve quindi essere considerato non come uno studio che abbia esaurito la questione che ne è oggetto cosicché sulla stessa nulla vi sia più da dire, ma come un doveroso contributo - sulla base della ricca documentazione già esistente - alla conoscenza di alcuni aspetti pochissimo noti della parte avuta dalla Marina in avvenimenti che l'hanno interessata tanto da vicino e che tanto dolorosamente l'hanno colpita. luglii.o 1978
G.B.
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Capitolo I LA SITUAZIONE MILITARE DELL'ITALIA DAL 25 LUGLIO ALL'8 SETTEMBRE 1943
I. La situazione al 25 luglio 1943
Il 25 luglio 1943 cadeva il regime fascista che aveva governato l'Italia da I 1922. Nuovo Capo del Governo fu il maresciallo Pietro Badoglio ass1st1to da un Ministero di tecnici fra i quali sono da ricordare, ai fini dell'argomento oggetlo di questo lavoro, l'ambasciatore Raffaele Guariglia agli Esteri, il generale An tonio Sori ce alla Guerra, l'ammiraglio Raffaele de Courten alla Marina, il generale Renato Sandalli all'Aeronautica (1 ). Racconta il maresciallo Badoglio che, nel colloquio che ebbe con il Re quando venne invitato ad assumere la carica di Capo del Governo, « fu convenuto che, data la nostra precaria situazione, non era possibi le dichiarare che l'Italia si sarebbe ritirata dalla lotta. Un simile passo avrebbe certamente provocato un 'immediata e violenta reazione tedesca tale che il Governo, non ancora costituito, non avrebbe potuto fronteggiare» (2).
(1) I Capi di Stato Maggiore erano: gen. Vittorio Ambrosio, Capo di S.M. dell'Esercitò; amm. Raffaele de Courten, Capo di S.M. (oltre che Ministro) della Marina; gen. Renato Sandalli Capo di S.M. (nonché Ministro) dell'Aeronautica. (2) Badoglio - Op. ci l. bibl., pg. 71. Lo stesso concetto Badoglio riafferma pit1 avanti (pg. 78) « Ripeto, e con la più assoluta convinzione, che una dichiarazione da parte dell'Italia di cessazione delle ostilità non avrebbe potuto avere altro risultato che questo: occupazione immediata di tutto il Paese da parte delle Forze tedesche; immediato rovesciamento del Governo, con la creazione di un Governo nazi-fascista; nessuna assicurazione che gli Alleati avrebbero poi considerato la sorte del popolo italiano disgiunta da quella del p artito fascista». Scrive la Vailali (Op. cil. bibl. (II), pg. 97) che, ancora molti anni dopo gli avvenimenti, a chi gli parlava della possibilità di tale sganciamento, Badoglio rispondeva: « Tutta poesia. In realtà non c'era altro da fare che quanto fu fatto ».
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Di qui la nota frase: « La guerra continua», contenuta nel proclama che Badoglio diresse alla Nazione per annunciare che assumeva iJ Governo del Paese (3 ). La nostra situazione era effettivamente così grave da consigliare una nostra immediata uscita dal la guerra? « Sovrastava a tutto scrivono Salva torelli e Mira (4) - una tragica realtà: l'Italia sconfitta per terra, per mare, per aria, dopo tre anni di guerra; le colonie d'oltremare perdute (5}; il territorio della patria invaso da eserciti nemici che dalla Sicilia minacciavano di avanzare sulla terraferma (6 ); tutto il paese esposto a bombardamt'nti aerei sempre più massicci e rovinosi mentre scemavano le possibilità, non solo· di controbatterli, ma neppure di difendersene; la direzione della guerra e i mezzi di resistenza nelle mani di un alleato che, sebbene occupasse ancora molte terre straniere, era ormai ridotto alla difensiva dalla riscossa concentrica dei nemici e cominciava a paventare l'invasione del proprio suolo; che intanto trattava l'alleato italiano con prepotenza e diffidenza , come un elemento di debolezza e non di forza, e che adesso, caduta col fascismo la solidarietà di regime, lo sospettava di defezione. Una sola cosa era certa; 'l'Italia non aveva più nè la forza morale nè i mezzi materiali per continuare la guerra; ma era difficile immaginare uno stato di cose più disperato per uscire dalla guerra sa·lvando la \'ita e l'onore della Nazione » (7).
(3) Riferendosi alla decisione del nuovo Governo di continuare la guerra, così scrisse Goebbels: « Badoglio non avrebbe potuto esprimersi altrimenti poiché, in tal caso, avrebbe provocato l'immediato intervento della Wehrmacht e l'Italia sarebbe <:osì diventata campo di battaglia » (Goebbels - « Diario intimo» Mondadori, Milano, 1948, pg. 540). (4) Salvatore!Qi e Mira - Op. cit. bibl., pg. 952. (5) L'Africa Orientale era stata completamente perduta il 27 novembre 1941 con la caduta di Gondar; la Libia era stata a sua volta definitivamente abbandonata con lo sgombero di Tripoli, avvenuto il 23 gennaio 1943; le forze italo-tedesche, che si erano ridotte in Tunisia in un estremo tentativo di rimanere in Africa, avevano capitolato il 13 maggio 1943. (6) Lo sbarco anglo-americano in Sicilia era avvenuto il 10 luglio 1943; l'occupazione dell'isola era stata con:ipletata il 17 agosto con la caduta di Messina. (7) La nostra situazione generale al 25 luglio 1943 fu così sintetizzata dal maresc. Badoglio nel discorso pronunciato alla radio il 19 settembre successivo. « Quale era la situazione dell'Italia al 25 luglio scorso? Tutte le colonie perdute, il nemico in Sicilia, l'Esercito disseminato ovunque, la Marina da guerra fortemente provata nel naviglio sottile, ch'è il più importante nell'attuale guerra, la Marina mercantile quasi distrutta, l'Aeronautica quasi inesistente, le materie prime forniteci dalla Germania in diminuzione, i nodi ferroviari ed intieri quartieri delle nostre città distrutti, i rifornimenti alimentari al sud .impossibili, le industrie fortemente menomate dalle offese aeree, la situazione alimentare del paese sempre in peggioramento, molte centinaia di miliardi di debito pubblico, nessuna speranza reale di vittoria».
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Per quanto riguarda la situazione delle tre Forze Armate essa era così descritta dal gen. Francesco Rossi, Sottocapo di S.fyi. Generale dell'epoca (8). « L'Esercito era ormai giunto alla prova più importante e più dura, quale era la difesa diretta della Penisola, gravemente menomato nella sua efficienza per aver consumato la sua parte migliore nelle campagne di Albania, d'Africa e di Russia, e per aver oltre i 3 quinti delle sue grandi unità mobili fuori dai confini della Madrepatria (9). Nè si poteva più pensare a un rapido e reale potenziamento dell'Esercito stesso perché i settori decisamente e irreparabilmente deficitari erano così numerosi e di tale importanza da ritenere persino dubbia la possibilità di mantenere in efficienza le grandi unità esistenti nel grado di approntamento che avevano all'epoca. Particolarmente grave era la situazione dei mezzi di trasporto automobilistici, la cui insufficienza cronica era aggravata dal continuo peggioramento della situazione ferroviaria per le distru zioni provocate dai bombardamenti aert>i a lleati ... « La Marina, nonostante le gravissime perdite subite durante tre anni di guerra oltremare, possedeva ancora una flotta riguardevole, che però era menomarn nell'impiego dall'enorme superiorità aerea nemica in tutto il Mediterraneo. L'addestramento nel complesso era buono e così pure il morale del personale imbarcato. L'attenzione continua che il nemico poneva a reperire la dislocazione e lo stato della nostra flotta era la migliore dimostrazione del suo valore potenziale ... (10). (8) Rossi - Op. cit. bibl. pg. 56, 60, 62-63. (9) Le forze terrestri mobili erano costituite da 61 divisioni (delle quali 11 non o poco efficienti) nonché da 1 brigata speciale e I raggruppamento corazzato. Le forze per la difesa costiera formavano 19 divisioni e 8 brigate costiere. Delle forze mobili erano fuori dei confini nazionali (in Provenza, Corsica Jugoslavia, Albania, Grecia ed Egeo) 38 divisioni, tutte efficienti, e 1 brigata speciale; delle forze costiere, 5 divisioni e 4 brigate. (Uff. Stor. Eser. - Op. cit. bibl. (Il), pg. 17-21). (10) La situazione della nostra flotta (escluse le navi ausiliarie) era la seguente. tenendo conto delle sole unità in servizio, ovunque dislocate.
Tipi di unità
Pronte all'impiego
Non pronte
Totale
4 7 3 Cor. 2 2 Iocr. A lncr. B 11 3 8 Ct. 12 13 25 57 Torp. 29 28 .Corv. 26 18 8 62 Smg. 30 32 38 M.S. 26 12 :M.A.S. 13 48 35 4 M.E. 4 42 V.A.S. 22 20 Il personale della Marina ammontava, in cifra tonda, a 259.000 uomini di cui 75.000 imbarcati e 184.000 a terra. Del personale a terra, 158.000 erano destinati in Italia, 26.000 fuori della Madrepatria.
-
14 « Dopo tre anni di logorante lotta, l'Aeronautica aveva subìto un declino qi efficienza grave, rapido e totalitario. Il concorso germanico non era adeguato al potenziale degli Alleati: la produzione della nostra industria era qualitativamente arretrata e quantitativamente insufficiente a coprire le perdite» (11 ).
2. Le Forze italiane e tedesche nella Penisola al 25 luglio e all'8 settembre 1943
La situazione delle Forze italiane e tedesche nella Penisola alle date suindicate può sintetizzarsi come segue. ITALIA
Situazione al 25 luglio 1943
Si trovano nella Peni•s ola e in Sardegna 23 divisioni mobili (di cui 11 non o poco efficienti perché in via di ricostituzione o di completamento o perché« d'occupazione») e 1 raggruppamento corazzato nonché 14 divisioni e 5 brigate costiere (l).
(11) La situazione della nostra flotta aerea (non tenendo conto degli apparecchi da trasporto e da scuola) era quella che segue. Tipi di velivoli Caccia Bombardamento Aviazione Esercito Aviazione Marina
Efficienti 291 103 167 139
394
Non efficienti 254 172 102 106
426
Totale 545 275 269 245
820
Dette unità erano sparse sui vari fronti (Lodi - Op. cit. bibl., pag. 294). Il personale dell'Aeronautica ammontava a circa 180.000 uomini (Lodi - Op. cit. bibl., pag. 9). (1) Ufficio Storico Esercito - Op. cit. bibl. (Il), pg. 18-21.
Le divisioni in corso di ricostituzione, reduci dalla Russia, erano ad effettivi ridotti e prive di armamento pesante. Costituivano perciò complessi di limitata consistenza e di scarsa capacità operativa. Le divisioni «d'occupazione» erano caratterizzate da organici ridotti e da scarsa mobilità dovuta alla ridottissima disponibilità di mezzi di trasporto. Le divisioni e le brigate costiere, costituite da personale anziano reclutato nelle medesime regioni di dislocazione, erano disseminate su lunghi tratti di costa ed ancorate al terreno per l'assolvimento dei loro compiti di difesa fissa. Prive di mezzi di trasporto e con poche artiglierie, non potevano considerarsi idonee alla manovra e comunque al combattimento contro forze mobili.
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Tali unità erano così dislocate:
Tcalia settentrionale
-
Ttalia centrale
-
Italia meridionale
-
Sardegna
-
9 divisioni mobili (di cui 6 in ricostituzione) e cioè: 1 corazzata, 1 celere (in ricostituzione), 3 di fanteria (2 in ricostituzione) e 4 alpine (3 in ricostituzione). 7 divisioni mobili (di cui 2 in ricostituzione e 1 in corso di completamento) e cioè: 1 corazzata (in corso di completamento), 1 motorizzata e 5 di fanteria (2 in ricostituzione). Inoltre 4 divisioni e 1 brigata costiera. 3 divisioni mobili (di cui 1 in ricostituzione) e cioè: 2 di fanteria (1 in ricostituzione) e 1 « d'occupazione ». Inoltre 7 divisioni e 2 brigate costiere. 4 divisioni mobili (I paracadutisti e 3 di fanteria) e 1 raggruppamento corazzato. !noi tre 3 divisioni e 2 brigate costiere.
A queste grandi unità doveva aggiungersi un insieme nume ricamente notevole di altri soldati: i resti di 4 divisioni di fanteria in ripiegamento dalla Siciliia; un numero non indifferente di unità antiaeree per la protezione degli impianti e per la difesa antiparacadutisti; un numero notevole di uomini, polverizzati in piccoli reparti, nei depositi, centri di istruzione, comandi territoriali e di presidio, magazzini etc. Questi reparti, male armati o.addirittura disarmati, davano però scarso affidamento per il loro impiego in azioni belliche contro reparti audaci, di•sciplinati, decisi e potentemente armati come erano quelli tedeschi (2). Nell'insieme, per quanto riguarda l'Esercito, si aveva in Italia la seguente forza approssimativa (esclusi gli uomini ai depositi, il cui numero era sempre fluttuante): -
grandi unità mobili truppe costiere, unità contraeree, unità protezione impianti etc. Totale
400.000
uomini
400.000
uomini
800.000
uomini
Dovevano aggiungersi circa 160.000 marinai e 130.000 avien impiegati per i servizi a terra della Marina e de lla Aeronautica, anch'essi malamente armati o disarmati, non adatti ad azioni belliche terrestri vere e proprie, e facilmente eliminabili da piccoli reparti mobili corazzati e arditi. (2) Torsiello . Op. cit. bibl., pg. 16-17; Rossi - Op. cit. bibl., pg. 180.181.
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Complessivamente quindi una forza di circa 1.090.000 uomini (3). A queste forze d'impiego terrestre (anche se costituite in parte con personale della Marina e dell'Aeronautica) dovevano aggiungersi quelle navali ed aeree dislocate nella Penisola la cui consistenza poteva considerarsi pari all'incirca ai 4 quinti di quella indicata nella precedente sezione I . Situazione all'8 settembre 1943
La situazione delle forze suindicate nel suo complesso era sostanzialmente immutata all'atto della dichiarazione dell'armsitizio, dato che 3 divisioni di fanteria richiamate in patria (la « Re » dalla Croazia, la « Legnano » e la « Lupi di Toscana » dalla Provenza) erano, a tal data, in corso di trasferimento. Sono da segnalarsi soltanto i seguenti spostamenti di grandi unità mobili: divisione corazzata «Ariete» a Roma da Milano, ove era stata rimpiazzata dalla divisione di fanteria (in corso di ricostituzione) ,(Cosseria », fattavi affluire dalla Toscana; divisione alpina « Cuneese» (anch'essa in corso di ricostituzione) nell'Alto Adige dal Piemonte (4). GERMANIA
Situazione al 25 luglio 1943
Il 25 luglio si trovavano in Italia 8 divisioni mobili così schierate (5):
Toscana Campania e Puglìe Sicilia
Sardegna
-
l divisione motocorazzata. 2 -divisioni corazzate e aliquote della I divisione paracadutisti. 2 divisioni motocorazzate, 1 divisione corazzata e aliquote della I divisione paracadutisti (erano in corso di trasferimento sul continente). 1 divisione motocorazzata.
E' qui da ricordarsi, ai fini di un confronto fra le divisioni italiane e quelle tedesche, che queste possedevano un armamento più forte di quello delle corrispondenti grandi unità italiane. Le divisioni di fanteria germaniche avevano infatti una forte superiorità di armi automatiche (934 su 342) e d'artiglieria (169 pezzi contro 68). Inoltre esse, a diffe-, renza delle nostre, erano rinforzate da carri (un battaglione da 67 carri). (3) Rossi · Op. cil. bibl., pg. 180-181. (4) Ufficio Storico Esercito - Op. cit. bibl. (II), pg. 54-56. (5) Ufficio Storico Esercito . Op. cit. bibl. (Il), pg. 22-23.
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Anche le divisioni motorizzate e corazzate germaniche vantavano, rispettu a quelle italiane, una maggior potenza di fuoco (6). Oltre a queste grandi unità mobili i Tedeschi avevano sparso in tutto il nostro territorio una massa notevole di elementi non inquadrati (i cosiddetti « ·s fusi ») , installandoli, come una gigantesca tela di ragno, attorno a tutti i punti vitali della nostra organizzazione militare e civile. Tali elementi non inquadrati comprendevano personale di aviazione (anche senza aerei), di marina, dei servizi logistici, del servizio informazioni, del partito nazista, della Gestapo etc. Da notare che tali elementi in caso di necessità si trasformavano - come avvenne 1'8 settembre in effettivi combattenti essendo, per lo scopo, adeguatamente armati. anche con carri. Ciò in armonia con il principio vigente nell'Esercito tedesco secondo il quale ogni soldato, al momento opportuno, era un combattente, qualunque fossero i compiti normalmente disimpegnati. Secondo i dati raccolti dai vari organi informativi italiani, all'inizio dell'estate 1943 gli elementi tedeschi « sfusi» esistenti in Italia ascendevano a circa 100.000 (7). Situazione a11'8 settembre 1943
Immediatamente dopo il 25 luglio, nonostante la dichiarazione di Badoglio: « La guerra continua », Hitler decise di rendere più salde e sicure le posizioni tedesche in Italia onde contenere gli Anglo-Sassoni quanto più possibile a sud e fare dell 'ltal ia, in caso di un suo « tradimento », un avamposto per la difesa della Germania. Senza perdere tempo, in attuazione di piani già preparati nell'ipotesi che l'Italia avesse chiesto la pace separata, il mattino del 26 luglio truppe tedesche - in pieno assetto di guerra - entrarono in Italia dai vari paS'si alpini, orientali e occidentali, segui te rapidamente da altre. « Entravano queste truppe in Italia scrive il Castellano (8) senza che fosse preso alcun accordo con il nostro Comando Supremo, stabilendo distaccamenti sulle linee di comunicazione, obbligando le nostre ferrovie a dare la precedenza ai loro trasporti, dislocando presidi ai passi di confine, pretendendo la disponibilità delle nostre caserme, la consegna delle opere fortificate ... « Le divisioni tedesche prendevano una dislocazione che non corrispondeva alle necessità della difesa della Penisola da uno sbarco angloamericano perché quasi tutte si fermavano nell'Italia settentrionale invece di avviarsi a sud dell'Appennino per accorrere prontamente sulla costa in caso di necessità ... Si andava cioè sviluppando il piano operativo con il quale lo Stato Maggiore tedesco assegnava all'Italia centrale (6) Rossi - Op. cit. bibl., pg. 178. (7) Rossi - Op. cit. bibl., pg. 88 e 182; Torsiello - Op. cit. bibl., pg. 25-26; Ufficio Storico Esercito - Op. cit. bibl. (II), pg. 23. · (8) Castellano - Op. cit. bibl. (II), pg. 44-46. Vedasi pure Rossi - Op. bibl., pg, 88-95.
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e meridionale il compito di logorare le forze nemiche sino a quella linea La Spezia-Rimini che rappresentava la continuazione appenninica del vallo atlantico creato a protezione ... della Germania ... « Di fronte all'improvvisa irruzione. i l nostro Comando Supremo reagì presso l'Alto Comando tedesco ... ma ebbe ri'Sposte evasive ... (9). (9) Il Capo di S.M. Generale, gen. Ambrosio, il 4 agosto 1943 indirizzò la seguente lettera (n. 4512 s.g.) al gen. von Rintelen, ufficiale di collegamento tra l'Alto Comando tedesco e il Comando Supremo italiano. « 1) Il Comando Supremo italiano non ha mancato di far Vi presente i principali casi di atti di violenza commessi, talvolta a mano armata, da taluni elementi delle Forze Armate germaniche, atti che hanno dato origine a legittime reazioni. In questi ultimi giorni si sono avuti altri atti di prepotenza estesi anche contro pubblici funzionari, quali gli agenti delle Ferrovie, ai quali è stato imposto a mano armata di violare la consegna ricevuta. Il generalizzarsi di tali atti inconsulti porla a pensare che vi sia uno stato d'animo diffuso tra le truppe germaniche, che è bene eliminare. « 2) Ritengo per conseguenza utile richiamare la Vostra attenzione sulla necessità che le Forze germaniche si comportino in modo da non provocare incidenti, che sarebbero pregiudizievoli per il cameratismo e la mutua fiducia che devono esistere tra le Forze Armate alleate nonché tra le Forze Armate germaniche e la popolazione civile. « 3) Vi informo che ho impartito ordini perché chiunque si trovi di fronte ad una ingiustificata manomissione ,dei propri beni, o ad una imposizione con la forza, specie se tendente a violare ordini superiori, o sia oggetto comunque di atti di violenza, reagisca con ogni mezzo. « 4) Vi sarò grato se vorrete portare quanto sopra a conoscenza dell'O.B.S., e soprattutto delle truppe destinate a venire in Italia, per evitare incidenti altamente deplorevoli ». Di questa lettera il gen. Ambrosia dette conoscenza ai Capi di S.M. delle lre Forze Armate con la seguente lettera (nr. 15664 Op. del 4 agosto): « Mi è noto che da qualche tempo, "per evitare incidenti" con l'Alleato, Comandanti di vario grado, reparti e singoli militari assumono un atteggiamento remissivo ed acquiescente di fronte a richieste germaniche non legittimate né da ordini, né da direttive superiori. Avviene anche che non sempre si reagisce ad atti violenti, ingiustificati, mentre non è ammissbile che ufficiali e soldati italiani si lascino trattare in tal modo da ufficiali e soldati germanici. Tale atteggiamento è estremamente pregiudizievole al nostro prestigio, lesivo per il morale delle nostre truppe e della popolazione, e può in definitiva nuocere ai reali interessi dell'Italia e della Germania. Ho pertanto indirizzato al Generale von Rintelen l'acclusa lettera. Sulla base dei concetti in essa espressi, gli Enti cui la presente è diretta per competenza, sono pregati di dare particolari disposizioni perché atti ingiustificati di violenza non siano assolutamente tollerati e si reagisca energicamente». (Lodi - Op. cit. bibl., pg. 16-17). Da queste lettere trasse origine il dispaccio nr. B 33556 dal ministro de Courten inviato agli Alti Comandi dipendenti. In esso, premesso un richiamo agli atti ingiustificati di violenza commessi da taluni elementi delle Forze Armate germaniche, così si proseguiva: « In sede superiore è stata richiamata l'attenzione del generale germanico presso il Comando Supremo italiano sulla necessità che le Forze germaniche si comportino in modo da non provocare incidenti... Ad ogni buon fine, però, i Comandi in indirizzo invitino i Comandi ed Enti dipendenti a far presente, con la dovuta forma, al proprio personale che eventuali atti ingiustificati dì violenza - specie se tendenti a violare ordini superiori - non debbono essere assolutamente tollerati e che ad essi devesi reagire energicamente e con ogni mezzo».
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Le forze italiane che avrebbero potuto opporsi alla penetrazione tedesca sul nostro suolo erano limitate e soprattutto in dislocazione non idonea a una immediata reazione ». L'incontro avvenuto a Tarvisio il 6 agosto tra il nostro ministro degli Eisteri Guariglia e il generale Ambrosia, da una parte, e il ministro degli Es teri tedesco von Ribbentrop e il maresciallo Keitel, dall'altra, si chiuse in un'atmosfera di reciproca diffidenza che non fece che rendere più difficili i rapporti fra le due Potenze (I O). Dal successivo convegno in Bologna (15 agosto) fra il gen. Roatta, Capo di S.M. dell'Esercito, e il gen. Francesco Rossi, Sottocapo di S.M. Generale, per l'Italia, e il maresc. Rommel e il gen. Jodl, Sottocapo di S.M. dell'Alto Comando tedesco, « emerse sempre più chiaramente che lo S.M . germanico non aveva ormai più alcuna fiducia né militare, né politica in noi e che perfezionava sempre più il suo piano di occupazione totalitaria dei gangli militari vitali, occupazione che avrebbe portato con sé la dom i nazione politica » (11). Sta di fatto che, dal 26 luglio ai primi d'agosto, penetrarono gradatamente in Italia 9 divisioni e 1 brigata da montagna che si schierarono n ell'Italia settentrionale e che portarono le grandi unità mobi li tedesche in I talia a 17 divisioni e 1 brigata. Esse erano così schierate all'8 settembre (12): Italia settentrionale
-
8 divisioni (2 corazzate e 6 di fanteria) e 1 brigata da montagna.
Italia centrale
-
2 divisioni molto rinforzate (1 paracadutisti e J motocorazzata) .
Italia meridionale
6 divisioni (3 corazzate, 1 paracadutisti e 2 n1otocorazzate ).
Sardegna
1 divisione motocorazzata.
Le unità dell'Itaì ia settentrionale erano sotto il comando del maresc. Rommel; le altre sotto q uello del maresc. Kes•s elring. Parallelamente al vistoso aumento delle grandi unità ve ne fu un altro meno appariscente ma ugualmente cons istente: quello dei cosidetti elem enti « sfusi » il cui numero all'8 settembre fu calcolato variante da 120.000 a 150.000 uomini (13 ) . In com plesso, fra grandi unità e uomini non inquadrati (ivi compresi i serv izi a terra della Marina e dell'Aeronau tica), i tedeschi dispon-
(10) Rossi - Op.cit.,bibl., pg. 95-98. (11 ) Rossi . Op . cit. bibl., pg. 105. (12) Ufficio Storico Esercito . Op. cit. bibl. (Il), pg. 57. (13) Torsiello · Op. cit. bibl.. pg. 25-28.
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nevano in Italia di ollre 400.000 uomini, all'occorrenza tutti combattenti (14). Da segnalarsi inoltre che « le grandi unità e la massa dei non inquadrati avevano assunto gradatamente, prima del 17 agosto, una dislocazione tale da neutralizzare, incapsulare, le Forze italiane: le grandi unità incapsulavano le nostre divisioni mobili, gli elementi non inquadrati incapsulavano a loro volta i reparti italiani minori» (15). « Questo incapsulamento scrive il Torsiello - (16) fu generalmente accompagnato dalla prevalenza numerica delle forze tedesche. Là O\'e essa non \'enne realizzata, vi fu di fatto una prevalenza potenziale a vantaggio dei tedeschi che erano dotati di carri armati, mezzi motorizzati, armi automatiche in gran numero, armi controcarro, artiglierie moderne. Forse la medesima aggressività delle truppe tedesche, conscie dei loro mezzi, determinò una prevalenza morale e materiale che si pose al di sopra di qualsiasi rapporto numerico ». Oltre alle Forze sopraricordate i tedeschi aveva~,o in Halia Forze aeree e navali. Le prime, al 1. settembre, assommavano a circa 600 velivoli, di cui 240 da bombardamento, 220 da caccia e i rimanenti d'assalto e ricognizione (17); le seconde erano rappresentate sostanzialmente, se non esclusivamente, da piccole unità, quali motosiluranti e motozattere. In conclusione può dirsi che ai primi di settembre i Tedeschi erano pronti a far fronte al doppio pericolo di una capitolazione italiana e di uno sbarco alleato nella Penisola (18).
(14) Rossi - Op. cit. bibl., pg. 63 e 182. (15) Rossi - Op. cit. bibl., pg. 83. (16) Torsiello - Op. cit. bibl., pg. 29. (17) Rossi - Op. cit. bibl., pg. 64. (18) Per maggiori dettagli vedasi Ufficio Storico Esercito - Op. cit. bibl (Il ). pg. 24-48.
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Capitolo II LE PRESE DI CONTATTO CON GLI ALLEATI PER L'USCITA DAL CONFLITTO E LA FIRMA A CASSIBILE DELL'« ARMISTIZIO CORTO» (3 SETTEMBRE 1943) (1)
1. Come venne da noi impostato il problema della nostra uscita dal
conflitto
Come si è veduto nel precedente capitolo, le condizioni in cui si trovava l'Italia i1 25 luglio erano tali da rendere urgente la sua uscita dal conflitto. Ma come fronteggiare la prevedibile, immediata reazione tedesca? La situazione era così grave da far esclamare all'ottantenne marchese I mperiali, già nostro ambasciatore a Londra: « Povera Italia, non può fare la guerra e non può fare la pace! » (2). In questa situazione il partito prescelto fu quello di continuare la guerra ma di effettuare contemporaneamente segretissimi pa•ssi presso (1) Sondaggi senza seguito per l'uscita dal conflitto erano già stati effettuati presso gli Inglesi: a) dal nostro ministro a Lisbona Francesco Fransoni, per incarico di Ciano, s1ù finire del 1942, subito dopo lo sbarco anglo-americano nell'Africa settentrionale; b) dal console aggiunto a Ginevra, Alessandro Mat'ieni, per conto del Duca d'Aosta (già Duca di Spoleto), d'intesa col Principe di Piemonte, nel dicembre 1942; c) dal maresciallo Badoglio a Ginevra nel gennaio 1943; d) dal cap. di fregata Alvise Erno Capodilista che, per incarico della Principessa di Piemonte, nel luglio 1943 prese contatti a tal fine a Lisbona con il presidente Salazar, il quale aveva accettato di fare da tramite con le au~orità b ritanniche; e) dal ministro Francesco Fransoni, per incarico del Sottosegretario agli Esteri, Giuseppe Bastianini (a ciò autorizzato da Mussolini) nel luglio 1943, a Lisbona. Il Duca d'Aosta, fra l'altro, aveva chiesto assicurazioni per uno sbarco in Italia - come alleate - delle Forze anglo-americane e che non sarebbe stata avanzata alcuna richiesta di consegna della nostra flotta; la Principessa di Piemonte aveva domandato, tra le altre cose, che le Forze Armate italiane conservassero le loro armi per poter fronteggiare - con l'aiuto alleato - la prevedibile reazione tedesca, nell'intesa che la Marina, come Forza Armata autonoma ed efficiente, avrebbe potuto essere utilizzata anche in altri settori, alle dipendenze degli Alti Comandi alleati (Toscano - Op. cit. bibl. (IV), pg. 7-23 e 141-188). (2) Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 637.
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gli Alleati per negoziare con essi la nostra uscita dal conflitto, uscita che avrebbe dovuto avvenire quando le truppe anglo-americane - dopo aver effettuato uno sbarco in forze, con noi concordato, nell'Italia continentale - fossero state in condizione di darci un aiuto per fronteggiare la reazione tedesca e di procedere quindi rapidamente, quali alleate, all'occupazione dell'intera Penisola, onde evitare che divenisse a lungo un campo di battaglia. Questa impostazione del problema partiva da alcuni presupposti che si dimostrarono purtroppo errati . Il primo era che gli Alleati, anche dopo l'occupazione della Sicilia, attribuissero determinante importanza all'uscita dell'Italia dal conflitto e che, per realizzare tale scopo, fossero disposti, se non a farci ponti d'oro, ad accordarci condizioni favorevoli e dignitose. Niente di tutto questo. Malgrado gli innegabili vantaggi militari e politici che sarebbero loro derivati dalla nostra uscita dal conflitto, essi non intendevano negoziarla ma erano disposti soltanto ad accettarla nel quadro di una « resa senza condizioni », come era stato annunciato da Roosevelt e da Churchill sul finire della loro Conferenza di Casablanca del gennaio 1943 (3). (3) A Casablanca Roosevelt propose che il comunicato da emanarsi alla fine della Conferenza includesse la dichiarazione che Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero continuato la guerra sino a quando non avessero costretto le Potenze nemiche alla resa senza condizioni. Churchill accettò la proposta, ma suggerì che ne fosse esclusa l' Italia dato che una tale omissione avrebbe potuto incoraggiarla a fare una pace separata. Il termine « resa senza condizioni» non comparve nel comunicato, ma Roosevelt - senza consultarsi prima con il suo Segretario di Stato e con Churchill - lo usò nella conferenza stampa tenuta il 24 gennaio e quest'ultimo, colto di sorpresa, ritenne conveniente non dissociarsi dalla dichiarazione del Presidente americano (Woodward - Op. cit. bibl. (I), pg. 436; Hull · Op. cit. bibl., pg. 1570; Garl:.md - Op. cit. bibl., pg. 11-12; Aga . Rossi - Op. cit bibl.). La questione della resa senza condizioni fu ripresa il successivo marzo, durante il viaggio a Washington del Ministro degli Esteri britannico, Eden. In questa occasione « il presidente Roosevelt una volta ancora dichiarò che "egli desiderava un armistizio non negoziato dopo il collasso" [del nemico vinto J. Gli Alleati, disse, "dovrebbero insistere per una resa totale senza assumere impegni con il nemico per quanto riguarda quello che dovremmo fare dopo questo atto"». (Garland - Op. cit. bibl., pg. 19). Un tentativo fatto da Eisenhower nel maggio 1943 di distaccarsi per l'Italia dalla resa incondizionata, non ebbe successo. Infatti Roosevelt, interpellato in merito, così rispose: « Non possiamo allontanarci dalla resa incondizionata. Possiamo solo dire agli italiani che verranno trattati con umanità e con l'intendimento di ricostruire la loro Nazione secondo il principio dc:tl'autodeterminazione, escludendo ogni forma di fascismo o di nazismo>> (Aga · Rossi . Op. cit. bibl., nota 113). Che gli Alleati pretendevano dall'Italia - così come dalla Germania e dal Giappone - una resa incondizionata, Churchill e Roosevelt lo riaffermarono subito dopo la caduta <li Mussolini: il primo parlando ai Comuni il 27 luglio, il secondo in una pubblica dichiarazione del giorno successivo (Garland - Op. . cit. bibl., pg. 272-273 ). La posizione dei due statisti rìmase immutata anche quando essi - riuniti a Quebec nell'agosto 1943 - presero in esame la situazione venutasi a deter
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Il secondo presupposto era che il gen. Eisenhower avrebbe avuto per la campagna d'Italia quella ricchezza di uomini e di mezzi di cui si era avvalso sia in Nord-Africa che in Sicilia. Niente di tutto questo. Quale conseguenza della decisione presa dagli Alleati di considerare come principale obiettivo, per battere la Germania, lo sbarco in Normandia, stabilito per il maggio 1944, era stato disposto che, a Sicilia occupata, le Forze e i mezzi a disposizione del gen. Eisenhower fossero ·s ottoposti a non lieve falcidia a favore del suddetto sbarco (4 ). Egli
minare in seguito all'arrivo a Lisbona del gen. Castellano con proposte di pace. Infatti il telegramma inviato in proposito al gen. Eisenhower, nell'autorizzarlo a far prendere contatti da due suoi ufficiali con il generale italiano, così si esprimeva: « La comunicazione al generale "C" dovrà seguire queste lince: a) La resa incondizionata dell'Italia è accettata sulla base delle clausole del documento consegnatogli [quello, come vedremo, conosciuto come « armistizio corto » J. (Garland - Op. ci t., bibl., p. 556 ). Nota - Come si vedrà più avanti , le cose non andarono poi proprio così: questo telegramma non lascia comunque alcun dubbio su quelli che erano gli intendimenti di Roosevelt e di Churchill. (4) I punti di vista degli Americani e degli Inglesi sulla strategia da adottarsi una volta che fossero state occupate l'Africa settentrionale e la Sicilia (cosa che avrebbe praticamente rese sicure le loro comunicazioni attraverso il Mediterraneo) non concordavano. Gli Americani sostenevano che l'unico modo per accelerare la fine della guerra in Europa era quello di uno sbarco sulle coste francesi della Manica onde stringere la Germania in una morsa costituita, a ponente, dalle Forze anglo-americane e, a levante, da quelle sovietiche. Di qui la priorità assoluta da darsi a tale sbarco e il ruolo sussidiario da attribuirsi al fronte mediterraneo. « Gli Americani - ha scritto il maresciallo britannico Brooke nei suoi diari - dopo la conquista della Sicilia avrebbero voluto concludere tutte le operazioni nel Mediterraneo». Gli Inglesi, invece, pur convenendo sull'opportunità di uno sbarco oltre Manica e sul suo ruolo preminente, ritenevano e sostenevano che la conquista dell'Italia dovesse essere considerata preliminare al suddetto sbarco anche perché non escludevano che un'energica azione degli Alleati in questo settore avrebbe potuto consentire loro, dopo aver eliminato ogni resistenza nella Penisola, di marciare su Vienna e di attaccare la Germania anche da sud. La soluzione adottata dopo lunghe discussioni a lla Conferenza di Quebec dell'agosto 1943 fu una soluzione di compromesso. L'obiettivo principale alleato nel 1944, l'obiettivo cioè al quale si sarebbe data la priorità assoluta, sarebbe stato lo sbarco sulle coste francesi della Normandia {operazione «Overlord» in codice), la cui data fu fissata per il primo maggio. Le operazioni in Mediterraneo avrebbero avuto ruolo sussidiario; avrebbero dovuto cioè mirare all'occupazione della Sardegna, della Corsica e dell'Italia continentale sino a Roma, come minimo, nonché ad esercitare una continua pressione sulle Forze tedesche, onde impegnarne il maggior numero possibile in questo settore e facilitare così il successo dell'operazione « Overlord ». Per quanto riguarda l'attacco all'Italia continentale fu deciso che esso fosse effettuato con due sbarchi: uno nella zona di Reggio Calabria (operazione « Baytown » in codice) da compiersi ai primi di settembre e uno nella zona di Salerno (operazione « Avalanche » in codice) da eseguirsi una settimana dopo. Le operazioni in Mediterraneo avrebbero dovuto essere condotte, di massima, con le Forze e i mezzi ivi esistenti, diminuiti di numerosi mezzi da sbarco e di 7 divisioni addestrate che, con inizio dal 1° novembre, avrebbero dovuto essere trasfc-
l4 non aveva perciò per le successive operazioni contro l'Italia insulare e continentale, quell'abbondanza di mezzi e di uomini che da parte nostra si riteneva. Di conseguenza, sia per questo motivo che per il ruolo sussidiario attribuito dagli Alleati al fronte mediterraneo, era del tutto fallace l'aspettativa che le Forze anglo-a.mericane avrebbero potuto e voluto impegnarsi per spezzare in breve tempo la resistenza delle unità tedesche e costringerle a ritirarsi rapidamente al di là delle Alpi (S). « Con una certa ingenuità ha scritto Macmillan nelle sue memorie (6) - gli uomini politici italiani e gli italiani di tutte le classi sociali avevano creduto, abbandonando l'alleato e arrendendosi al nemico, di poter risparmiare ulteriormente all'Italia le sofferenze della guerra. Avevano sottovalutato la tenacia e la potenza tedesca e supervalutato la possibilità per gli Alleati ... di assegnare [al fronte italiano J forze ·s ufficienti per una rapida conquista della Penisola ». In terzo luogo si era pensato da parte dei nostri governanti di poter concordare con gli Alleali le modalità del loro sbarco (luogo, data, entità delle forze impiegate etc.) onde sincronizzare la nostra azione con la loro quando, a sbarco avvenuto, ·s aremmo usciti dal conflitto incontrando la prevedibile reazione tedesca (7). Il gen. Eisenhower e il suo Capo di S.M., gen. Smith, non erano invece disposti - anche per ordini ricevuti (8) - a fornirci dati così gelosi. Alla fine dei conti, essi pensavano, eravamo ancora nemici e non era da escludersi l'ipotesi (gli italiani non sono gli epigoni di Machiariti in Gran Bretagna, per essere impiegati nello sbarco in Normandia (Bryant - Op. cit. bibl. (I), voi. II, pg. 539-544, 547-548, 609 e 614-615; Macmillan - Op: cit. bibl., pg. 602; Garland - Op. cit. bibl., pg. 20-25, 258-263, 269 e 435-440). (5) « L'invasione dell'Italia con le forze che gli stessi Italiani ritenevano necessarie era del tutto impossibile per la semplice ragione che non avevamo tali forze nella zona e nemmeno le navi per trasportarle, se vi fossero state. Le autorità militari italiane non potevano immaginare che gli Alleati si lanciassero in questa impresa con meno di quindici divisioni di prima schiera. Secondo i nostri piani invece [a Salerno l ne avremmo impiegate solo tre con qualche unità di rinfor.lO, oltre alle due cfie dovevano sopraggiungere attraverso lo. stretto di Messina » (Eisenhower - Op. cit. bibl., pg. 239). Nota - Evidentemente Eisenhower si riferiva alle divisioni che prevedeva impiegare nella fase iniziale degli sbarchi e non anche a quelle che avrebbero seguito la « ,prima ondata», specialmente a Salerno. Garland (Op. cit. bibl., pg. 477) dice che, per l'intera operazione, era preventivato l'impiego di undici divisioni al massimo: due in Calabria, quattro a Salerno (salibili a otto in due settimane) e una a Taranto. (6) Macmillan - Op. cit. bibl., pg. 640. (7) Sulla questione di conoscere luogo e data di sbarco - malgrado la sua delicatezza - si battè e ribattè da parte nostra durante i colloqui che sfociarono nell'armistizio. Nella testimonianza resa il 15 gennaio 1947 nel procedimento penale a carico dei gen. Roatta e Carbone, il gen. Badoglio ammise però che « la cosa era talmente di indole riservata che sarebbe stato puerile pretendere una confidenza del genere» (Zangrandi - Op. cit. bibl., pg. 341, ove è riportato il verbale di interrogatorio). (8) Gar land · Op. cit. bibl., pag. 448.
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velli?) che i nostri approcci fossero una « ruse de guerre», uno stratagem~a per carpire agli Alleati informazioni sui loro intendimenti, anziché passi sinceri per porre fine alle ostilità (9). Inoltre, anche per quella limitatezza di uomini e di mezzi di cui soffrivano, era loro evidente intereS'se che i tedeschi dovessero fronteggiare contemporaneamente lo sbarco alleato e la nostra defezione (10). Di qui la clausola intransigentemente impostaci che la notizia della nostra uscita dal conflitto fosse resa di pubblico dominio poche ore prima dello sbarco principale alleato, e non dopo che questo si fosse . consolidato, come noi chiedevamo.
2. « Armistizio corto» e « armistizio lungo»
Prima di iniziare l'esposizione dei contatti per un armistizio da noi presi con gl.i Alleati è opportuna un'altra premessa. Gli armistizi firmati furono due: quello cosiddetto « corto », sottoscritto a Cassabile il 3 settembre dal gen. Castellano e dal gen. Smith (nella veste, rispettivamente, ·d i delegato del maresciallo BadogNo, Capo del Governo italiano, e del gen. Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze alleate) e quello conosciuto come « armistizio lungo », sottoscritto a MaJta il 29 settembre successivo dal maresciallo Badog.Jio e dal gen. Eisenhower. Il testo dell'armistizio di Cassibile fu opera principalmente americana; quello dell'armistizio di Malta fu essenzialmente prodotto britannico.
(9) Vedasi lettera del gen. Smith al gen. Castellano del 5 dicembre 1943 (riportata in Castellano · Op. cit. bibl. (Il), pg. 206-207). Come si vedrà, furono invece gli Alleati che, per ottenere dagli Italiani la firma dell'armistizio sottoscritto a Cassabile il 3 settembre 1943, ricorsero alle « ruses de guerre», fornendo o lasciando intravedere al nostro inviato, gen. Castellano, notizie volutamente vaghe e incomplete sull'entità delle Forze che avrebbero impiegato per gli sbarchi nella Penisola e sulla località e sulla data di quello principale. Lo dichiarò esplicitamente l'americano R. Murphy - consigliere politico di Eisenhower - in un colloquio che ebbe con il gen. De Gaulle ai primi di settembre del 1943 (« Foreign Relations » cit. bibl. . 1943, Voi. II, pg. 363). Lo confermò il generale Eisenhower in una sua ,lettera del 13 settembre 1943 al generale Marshall, nella quale parlò addirittura di bluff da parte alleata (Garland Op, cit. bibl., pg. 541). Lo riconobbe infine il gen. Smith in un incontro che ebbe nel giugno 1946 con l'ambasciatore Quaroni. (Castellano - Op. cit. bibl. (II), pg. 224). (10) In una sua lettera a Roosevelt del 26 luglio 1943 Churchill aveva espresso il parere dell'assoluta convenienza per gli Alleati di uno scontro tra esercito e popolo italiani e le truppe germaniche in Italia, in particolar modo quelle a sud di Roma. « Noi dovremmo provocare al massimo questo conflitto ... » (Churchill Op. cit. bibl. (I), pg. 71; « Foreign Relations » cit. bibl. . 1943, voi. II, pg. 333).
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Quale è la genesi di questi due atti, dalla cui redazione furono escluse le altre Nazioni Unite, eccezione fatta per l'Unione Sovietica, che vi partecipò 'però soltanto per le decisioni di principio? Verso la metà di giugno del 1943 il Governo di Londra aveva preparato uno schema delle condizioni di armistizio da presentarsi all'Italia, qualora essa avesse deposto le armi. Era un documento di 45 articoli di carattere non solo militare ma anche politico, finanziario ed economico. Questo schema non incontrò però l'approvazione d'oltre Atlantico cosicché esso era ancora in discussione quando il 25 luglio avvenne la caduta del fascismo e si presentò più che mai probabile e non lontano un passo dell'Italia per uscire dal conflitto. In q uesta situazione il gen. Eisenhower fece preparare subito un messaggio agli italiani e un breve testo delle condizioni di armistizio che - una volta approvati da Washington e da Londra - egli si proponeva di trasmettere per radio, nella convinzione che « la conoscenza delle condizioni [di armistizio] e le garanzie da essa offerte di una pace onor evole avrebbe indotto il popolo italiano a costringere il Governo a chiedere un armistizio » (1).
(1) Non si deve dimenticare che aerei alleati avevano lanciato su Roma e su altre città d'I talia dei volantini contenenti un messaggio di Roosevelt e di Churchill al popolo italiano datato 16 luglio. In esso, premesso che la causa della disperata situazione in cui si trovava l'Italia era conseguenza della « vergognosa guida» cui gli italiani erano s.tati assoggettali da Mussolini e dal regime fascista, così proseguiva: « La. sola spenmza per l'Italia di sopravvivere sta in una onorevole capitolazione alla pcnenza travolgente delle Forze militari delle Nazioni Unite. Se continuerete a tollerare il regime fascista, asservito al potere malefico dei nazisti , dovrete subire le conseguenze della vostra stessa scelta... E' venuto ora il momento per te, popolo italiano, di ascoltare la voce del tuo proprio rispetto, dei tuoi interessi e della tua aspirazione a un ritorno della dignità nazionale, della sicurezza e della pace ... » (Hull. Op. cit. bibl., pg. 1548; Chu rchill · Op. cit. bibl. (I), ,pg. 60-61; Department of State - « United States and Italy · 1936-1946 » cit bibl., pg, 42-44). Il testo delle condizioni d'armistizio preparato da Eisenhower è riportato in Garland - Op. cit. bibl., pg. 270-271. Esso non parlava di « resa senza condizioni,, e p revedeva, con misure di disarmo delle Forze italiane, l'immediato ritiro dal nostro territorio di quelle tedesche; ove queste non lo avessero fatto il Governo di Roma avrebbe dovuto usare tutte le Forze di cui disponeva per costringervele. Come è facile rilevare, il documento partiva da due presupposti lontani dalla realtà: che le Forze tedesche fossero dispos te ad abbandonare volontariamente il nostro territorio e che il Governo di Roma fosse in condizioni di potervele costringere, se necessario. La clausola concernente la flotta era la terza e del seguente tenore: « Trasferimento immedia to della fotta italiana nelle località che saranno indicate dal Comandante in Capo del Mediterraneo unitamente alle disposizioni dettagliate del loro disarmo e alle modalità da lui fissate" · Il messaggio agli Italiani, fra l'altro, li assicurava che avrebbero avu to condizioni di pace onorevoli, che avrebbero goduto dei benefici della « Carta Atlantica» e ch e sarebbero stati sentiti nei negoziati per la pace (Garland - Op. cit. bibl., pg. 270).
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Churchill e Roosevelt non condivisero però l'idea di Eisenhower di trasmettere via radio le condizioni di armistizio (2), ma convennero che un testo semplice di queste, non contenente l'umiliante frase di « resa senza condizioni » e limi lato alle clausole militari, sarebbe stato senza dubbio più facilmente e più rapidamente accettalo dal Governo italiano che un testo più elaborato e più completo come quello ancora in corso di esame, il quale comprendeva, oltre alle clausole militari, anche quelle politiche cd economiche e nel quale campeggiavano le parole « resa senza condizioni ». Il Les to preparato da Eisenhower non fu però ritenuto soddisfacente in molti punti. Esso venne perciò rielaborato e integrato con una clausola di salvaguardia con la quale l'Italia si impegnava ad accettare le condizioni di carattere politico, economico e finanziario che gli Alleati si proponevano di comunicarle in un secondo tempo. Questo testo, approvato su l finire del mese di luglio dai due statisti (3), venne trasmesso subito ad Eisenhower con l'autorizzazione a utilizzarlo« se gli Italiani avessero domandato improvvii:samente ,l a pace e se la situazione militare avesse consigliato una immediata accettazione di tale richiesta» (4 ). E' questo il documento conosciuto come « armistizio corto », che fu presentato al gen. Castellano nell'incontro che - come vedremo - egli ebbe a Lisbona il 19 agosto con i generali W.B. Smith e K.W. Strong. Il rapido evolversi della situazione, in ~onsegucnza dei passi fatti dall'Italia per addivenire a un armistizio, indusse però il Governo di Londra a premere su quello di Washington perché si addivenisse alla definizione del testo dell'atto di armistizio, più ampio e più severo, pro-
(2) Garland - Op. cil. bibl., pg. 271 - Eisenhower fu però autorizzato a trasmettere il seguenle messaggio agli italiani (modificato in modo restrittivo rispetto a quello proposto) che venne radiodiffuso il 22 luglio: « Noi ci rallegriamo con il popolo italiano e con Casa Savoia pçr essersi liberali da Mussolini, l'uomo che li ha trascinati in guerra cume slrumenti di Hitler e che li ha portati sull'orlo del precipizio. Il più grosso ostacolo che divideva il popolo italiano dalle Nazioni Unite è stato rimosso dagli stessi itaìian i. Il solo ostacolo che rimane sul cammino della pace è il ledesco aggressore che è ancora sul suolo italiano. Voi desiderate la pace. Voi potete avere immediatamente pace, e pace alle onorevoli condizioni che i nostri governanti vi hanno già offerto. Stiamo venendo da voi come liberatori. La vostra parte consiste nel por fine immediatamente ad ogni aiuto alle Forze militari tedesche che si trovano nel nostro paese. Se farete questo, vi libereremo dai Tedeschi e dagli orrori della guerra... le libertà e le tradizioni antiche del vostro paese saranno ristabilite». (Garland . Op. cit. bibl., pg. 275). Come si noterà, il testo autorizzato del mf ., saggio non conteneva la parte .<.ostanziale del mes~aggio proposlO da Eisenhower: condizioni di pace onorev·1E. godimento dei benefici della « Carta Atlantica», partecipazione ai negoziati per la pace. (3) L'Unione Sovietka . cui fu comunicato il 3 agosto - vi dette la sua approvazione il 2 settembre (« Carteggio Churchill - Stalin» cit. bibl., pg. 506). (4) Garland - Op. cit. bibl., pg. 276.
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posto sin dal mese di giugno (5). La questione, affrontata da Roosevelt e Churchill nel loro incontro di Quebec dell'agosto 1943, fu risolta con l'approvazione (praticamente il 23 agosto, formalmente il 26) della stesura definitiva di quello che è conosciuto storicamente come << armistizio lungo » ( 6). Quale è la differenza tra i due documenti? L'« armistizio corto » era costituito da dodici articoli: i primi undici riguardavano le questioni di carattere militare; con il dodicesimo gli Alleati si riservavano di far conoscere in un secondo tempo le condizioni di carattere politico, economico e finanziario che l'Italia sarebbe stata tenuta ad osservare. L'« armistizio lungo » era composto da un preambolo e da quarantaquattro articoli; di questi, parte riguardavano le clausole militari, parte quelle politiche, economiche e finanziarie, non indicate dall'altro accordo. L'« armistizio 1ungo » costituiva per noi un grosso passo indietro rispetto all'altro, ·s ia sotto l'aspetto sostanziale che quello formale. Sotto l'aspetto sostanziale esso non si limitava infatti a indicare le condizioni di carattere politico, economico e finanziario che il Governo italiano avrebbe dovuto osservare (cosa che l'articolo 12 dell'« armistizio corto » consentiva) ma conteneva anche le condizioni militari, formulate, per di più, in modo aggravato (cosa che il predetto armistizio non prevedeva). Sotto il profilo formale, mentre l'« armistizio corto » non si richiamava in alcun modo al principio della « resa senza condizioni », l'« armistizio 'lungo» invece affermava testualmente ne'! suo primo articolo: « Le Forze ,i taliane di terra, mare e aria con questo atto si arrendono incondizionatamente». Come è già stato detto, !'«armistizio corto » fu presentato al gen. Castellano nell'incontro che egli ebbe a Lisbona il 19 agosto con i generali Smith e Strong, esso servì di base ai successivi colloqui e fu firmato a Cassibile il 3 settembre. Più complicata e, sotto certi aspetti, quasi romanzesca, è la storia dell'« armistizio lungo». (5) Le 1.:ausc della diversa rigidità fra Gra11 Bretagna e Stati Uniti verso l'Italia sono così riassunte da Garland (Op. cit. bibl., pg. 269) « Le preoccupazioni provocate dalla flotta italiana avevano fatto sorgere nell'animo britannico il desiderio di vendetta e l'amara esperienza di Churchill e di Eden con Mussolini aveva fatto loro sposare la tesi di una pace punitiva per l'Italia. Per contro i sentimenti degli americani verso Mussolini non erano mai giunti al punto di ebollizione; il Governo degli Stati Uniti non desiderava guadagni territoriali a danno dell'Italia e un importante settore dell'elettorato americano era di discendenza o di origine italiana, cosa che non poteva essere ignorata. Questi fattori esercitarono indiscutibilmente un'influenza moderatrice sulla politica degli Stati Uniti verso l'Italia». (6) Garland · Op. cit. bibl., pg. 448-450. L'Unione Sovietica - cui fu comunicato il 26 agosto - vi dette immediatamente la sua approvazione.
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Approvato il 26 agosto da Roosevelt e Churchill, venne comunicato subito all'ambasciatore inglese a Lisbona, Campbell, e ad Eisenhower, ad Algeri, con l'ordine che i futuri colloqui con i rappresentanti italiani non fossero condotti sulla base dell' « armistizio corto », già consegnato al gen. Castellano, ma su quella del nuovo documento. In esecuzione di quest'ordine l'ambasciatore Campbell - ·come vedremo :_ il 27 agosto consegnò al gen. Zanussì (giunto a Lisbona quando il gen. Castellano l'aveva già lasciata per rientrare a Roma) (7), il testo dell'« armistizio lungo» dicendogli soltanto che « esso conteneva qualche variante riospetto a quello che era stato dato a Castellano » (8 ). Il gen. Eisenhower fu invece allarmato dall'ordine ricevuto. « La principale invasione del territorio continentale italiano pianificata per la zona dì Salerno - è stato scritto (9) - era fontana meno di due settimane. Era un'operazione rischiosa, soprattutto perché, per la consistenza dei rinforzi mandati in Italia dalla Germania, erano profondamente cambiate le previsioni sulle quali erano stati preparati i piani dello sbarco. Si riteneva perciò che il successo dell'operazione sarebbe dipeso più che mai dall'aver ottenuto la resa del Governo italiano prima dell'inizio dell'operazione stessa. E ciò non solo per non incontrare la resistenza allo sbarco delle Forze italiane, ma per ottenerne anzi l'aiuto durante il periodo critico di questo. Inoltre Eisenhower nutriva dubbi sulla capacità di Castellano di persuadere il Monarca e l'Alto Comando italiani ad accettare la resa alle condizioni dell '« armistizio corto » e più ancora dubitava che ciò sarebbe potuto avvenire alle condizioni dell'« armistizio lungo »... Egli chiese perciò di poter guadagnare tempo. Il Presidente [Roosevelt] acconsentì e Eisenhower fu autorizzato a continuare i negoziati per la resa sulla base dell'« armistizio corto ». Dopo aver ottenuto dagli Italiani l'accettazione e la firma di questo documento, egli avrebbe dovuto però presentare al Governo italiano « l'armistizio lungo» (IO).
(7) Secondo la versione ufficiale, il gen. Zanussi era stato inviato a Lisbona dal gen. Badoglio perché, non essendosi più ricevuta alcuna notizia dal gen. Castellano dopo la sua partenza da Roma, si temeva che gli fosse accaduto qualcosa di spiacevole. Ove ciò fosse effettivamente avvenuto, il gen. Zanussi avrebbe dovuto prenderne il posto (Zanussi - Op. cit. bibl., pg. 82). Il gen. Zanussi nel suo libro (Op. cit. bibl., pg. 92 ) d ice che il documento gli fu consegnato il 25 agosto. Evidentemente è caduto in errore dato che il telegramma all'ambasciatore Campbell con cui gli si ordinava di consegnare al· l'inviato italiano, non il testo dell'« armistizio corto», ma di quello «lungo» porta la data del 26 agosto (Garland - Op. cit. bibl., pg. 461, nota 21). (8) Zanussi . Op. cit. bibl., pg. 96. (9) Garland - Op. cit. bibl., pg. 462. {10) Sulla questione il britannico H. Macmillan (rappresentante del Governo di Londra presso Eisenhower e suo consigliere politico con l'americano Murphy) così si esprime nelle sue Memorie (Op. cit. bibl., pg. 485): « Ad Algeri... tutti i comandanti interessati, inglesi e americani, erano sostenitori dell'" armistizio corto". Di conseguenza io sostenni energicamente a Londra questo punto di vista: se la presentazione dell'" armistizio lungo" poteva far sorgere, come io
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In attesa della risposta alla sua richiesta il gen. Eisenhower dispose che il gen. Zanussi fosse fatto proseguire subito da Lisbona per Algeri (il che avvenne il 28 agosto) e, appena arrivato qui, gli fu chiesta la restituzione dell' « armistiZìiO lungo » consegnatogli dall'ambasciatore Campbell, che egli non aveva ancora comunicato a Roma, convinto che esso fosse sostanzialmente eguale a quello dato al gen. Castellano. Il documento gli fu successivamente ridato e il gen. Zanussi lo portò con sè a Roma quando vi ritornò il 31 agosto sera con il gen. Castellano, dopo il nuovo colloquio avuto da questo con il gen. Smith. Ma, per un malinteso fra i due ufficiali, il gen. Castellano non venne a conoscenza dell'esistenza del documento, che il gen. Zanussi consegnò il 1. settembre al gen. Roatta, Capo di S.M. dell'Esercito. Quali peregrinazioni abbia fatto il documento stesso prima di finire il 7 o 1'8 settembre negli archivi ,d ello S.M. Esercito non si sa: è quasi certo però che né il Re né coloro i quali parteciparono presso Badoglio alla riunione del 1 ° settembre, nella quale fu deciso di firmare l'« armistizio corto», fossero a conoscenza di quello « lungo » ( 11). Racconta il gen. Castellano (12) che il 3 settembre, a Cassibile, il gen. Smith gli consegnò, durante la riunione che ebbe luogo dopo
temevo, difficoltà tali da impedire la firma dell'armistizio, dovevamo accontentarci dell' "armistizio corto" già consegnato a Castellano. Mi arrivò una risposta molto confusa... Si insisteva per l' "armistizio lungo", che era il risultato di mesi di accurato lavoro. Peraltro, se le esigenze militari lo avessero assolutamente richiesto, avremmo ,p otuto firmare l'" armistizio corto", ma con la chiara intesa che questo avrebbe dovuto essere considerato una convenzione militare e che esso avrebbe dovuto essere sostituito al più presto dall'" armistizio lungo". Eisenhower, in modo caratteristico, definì tutto questo "uno sporco affare" (" a croked deal ") ... L'atteggiamento dei miei colleghi a Londra che volevano che noi imponessimo a tutti i costi queste condizioni (d'armistizio] quasi brutali, senza riguardo per la situazione militare, confesso che mi sorprese». Sullo stesso argomento l'altro consigliere politico di Eisenhower, l'americano R. Murphy (Op. cit. bibl., pg. 190-191) così scrive: « Secondo le istruzioni ricevute dai Governi americano e britannico, i negoziatori di Eisenhower non dovevano mostrare l'" armistizio lungo" agli inviati italiani fino a quando questi non avessero firmato l'" armistizio corto". Evidentemente si temeva che gli Italiani, se avessero conosciuto come si voleva imbrogliarli, avrebbero potuto rifiutarsi di portare a buon fi!'le l'affare (deal). Le istruzioni alleate vietavano inoltre di render pubblico l"' armistizio lungo". Eisenhower non fu soddisfatto di tutto ciò; brontolò che si trattava di "uno sporco affare" ("a croked dea!") e disse che questo documento segreto non avrebbe dovuto essere pubblicato neppure dieci anni dopo la fine della guerra ». In senso analogo vedasi Butchcr . Op. cit. bibl., pg. 398 (Il cap. vasc. Harry C. Butcher era uno degli ufficiali addetti di Eisenhower). (11) Zanussi . Op. cit. bibl., pg. 92-99, 111, 112, 117, 123 e 124; Castellano - Op. cit. bibl. (Il), pg. 74; Vailati - Op. cit. bibl. {II), pg. 147-149; Toscano - Op. cit. bibl. (II) e (III) passim. (12) Castellano - Op. cit. bibl. (I). pg. 160-161 e (Il), pg. 103, nota. Vedasi anche: Marchesi . Op. cit. bibl., pg. 73-74 e Garland · Op. cit. bibl., pg. 484.
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la firma dell'« armistizio corto», quello « lungo» con un breve appunto del seguente tenore: « Contiene le condizioni politiche, finanziarie ed economiche che saranno imposte dalle Nazioni Unite, conformemente al disposto della clausola 12 dell'armistizio. Le condizioni militari dell'armistizio sono contenute nel documento testè firmato. L'accluso documento è identico a quello consegnato al generale Zanussi dall'ambasciatore di Sua Maestà [britannica] a Lisbona ». Alle proteste del gen. Castellano che il nuovo documento - che conteneva, fra l'altro, l'umiliante frase di « resa senza condizioni » avrebbe dovuto esser portato a conoscenza del Governo italiano prima che questo avesse preso la decisione di accettare l'armistizio da poco firmato, il gen. Smith rispose che il gen. Zar,ussi aveva ricevuto tempestivam~nte il documento ma che, comunque, non bisognava dimenticare che c'era il « documento di Quebec» (13). Ciò detto vergò di suo pugno un biglietto indirizzato al maresciallo Badoglio nel quale era detto che le clausole dell'« armistizio lungo » avrebbero avuto valore relativo qualora l': talia avesse collaborato nella guerra contro i tedeschi (14). Il testo dell'« armistizio lungo », accompagnato dal biglietto del gen. Smith, fu inviato a Roma dal gen. Castellano, unitamente ad altri documenti, il 5 settembre. Il maresciallo Badoglio ne ebbe visione, dice la Vailati, « .la sera del 5 o il mattino del 6 » (15 ). Le sue reazioni non sono conosciute. E ' comunque certo (16), come si vedrà meglio a suo tempo, che il testo dell' « armistizio lungo » gli fu consegnato a Brindisi il 27 settembre, durante il colloquio che egli ebbe in tal giorno con il gen. Smith, il quale gli comunicò contemporaneamente che il documento avrebbe dovuto essere firmato in occasione del suo incontro con il gen. Eisenhower, che avrebbe avuto luogo a Malta due giorni dopo. Le nostre condizioni erano tali da non consentire un rifiuto, e Badoglio, avutane autorizzazione dal Re, firmò, non prima però di aver protestato per le radicali varianti che il nuovo testo apportava alle clausole mìlitari accettate e firmate dalle due parti a Cassibile il 3 settembre. Non vi è alcun dubbio che il modo in cui gli Alleati si comportarono in questa questione dell'« armistizio corto» e dell'« armistizio (13) Come vedremo più avanti, il « documento di Quebec» diceva che la misura nella quale le condizioni dell'armistizio sarebbero state modificate a fa. vore dell'Italia sarebbe dipesa dall'entità dell'aiuto che essa avrebbe dato agli Alleati contro la Germania per il resto della guerra. (14) Vedasi nello stesso senso Garland - Op. cit. bibl., pg. 484 e Marchesi Op cit. bibl., pg. 73-74. Tre anni dopo, nel giugno 1946, il gen. Smith, in una conversazione con l'amb. Quaroni, riconobbe che Castellano aveva « perfettamente ragione di dire d'esser stato ingannato sulla questione dell'armistizio lungo ». (Lettera dell'amb. Quaroni del 26 giugno 1946, riportata in Castellano - Op. cit. bibl. (II), pg. 222-224). (15) Vailati - Op. cit. bibl. (Il), pg. 150. (16) Garlanct Op. cit. bibl.. pg. 548.
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lungo» fu tutt'altro che lineare. L'aver condotto i coll oqui per la conclusione dell'armistizio sulla base d'un documento, con la ferma determinazione di imporre, a firma avvenuta di questo, l'accettazione di altro documento contenente nuove non previste clausole che aggrava vano ulteriormente la nostra posizione, sia sotto il profilo (ormale che quello sostanziale, è una prova del modo spregiudicato in cui si contennero verso di noi. Non si può più parlare qui di « bluff » e nemmeno di « ruse de guerre»; si trattò come disse Eisenhower, di « uno sporco affare». 3. Le missioni d'Ajeta e Berio « La decisione di cercare i contatti con gli anglo-americani, scrive la Vai-laN (1), venne· presa il 28 luglio, in un colloqu io che Badoglio ebbe con il Re ... Il 29 luglio giunse a Roma l'ambasciatore Guariglia, richiamato da Ankara per assumere il portafoglio degli Esteri ... Subito Badoglio lo m ise al corrente della situazione incaricandolo di provvedere ai necessari contatti. Si trattava di trovare la via migliore e di agire nel più assoluto segreto, causa le numerosissime spie tedesche e fasciste disseminate ovunque. Guariglia ritenne quindi indispensabile limitare la conoscenza delle progettate trattative ad un numero ristretto di persone, escludendo tale delicatissima materia dalla normale discussione in Consiglio dei Ministri. Restarono quindi informati, in un primo tempo, soltanto il Re, Badoglio, Acquarone, Ambrosio e Guariglia » (2). Guariglia non perdette tempo, nella notte del 30 luglio ·s i recò in Vaticano e, per mezzo del Segretario di Stato, cardinale Maglione, fece conoscere al rappresentante della Gran Bretagna presso la S. Sede, min. plen. Osborne, e a quello del presidente Roosevelt presso Pio XII, signor Tittman, che l'Italia era pronta a concludere un armistizio. Ma queste due vie furono dovute abbandonare perché l'americano era sprovvisto di cifrari mentre quelli del collega britannico erano noti agli Italiani e, probabilmente, anche ai Tedeschi (3). In questa situazione, in una riunione che si tenne al Quirinàle il 31 luglio con l'intervento di Bado?:lio, Acquarone, Ambrosio e Guariglia, fu deciso che due funzionari del Ministero degli Esteri partissero subito per Lisbona e Tangeri per prendere contatti con i rappresentanti britannici in quelle sedi e prospettare loro la nostra intenzione di uscire dal conflitto. Per la prima missione fu prescelto il consigliere di legazione Blasco Lanza d' Ajeta che, a tal fine, fu nominato consigliere presso la lega-
{1) Vailati . Op. cit. bibl. (Il), pg. 99. (2) Il duca Pietro Acquarone era Ministro della Real Casa; il gen. Vittorio Ambrosio era Capo di Stato Maggiore Generale. (3) Guariglia · Op. cit. bibl., pg. 586.
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zione di Lisbona; per la seconda il segretario di legazione Alberto Berio che fu inviato a Tangeri quale console generale (4 ). D'Ajeta partì per Lisbona il 2 agosto e, nella mattinata del 4, si incontrò con l'ambasciatore britannico in quella sede, sir Ronald Campbell, al quale fece - dice nella sua relazione (S) - « un'onesta e dettagliata esposizione della situazione italiana dopo il recente colpo di Stato » aggiungendo « che il Governo del maresc. Badoglio era deciso a giungere, non appena si fossero potuti concordare gli opportuni accordi tecnici con gli Alleati, sino alle più estreme conseguenze per rompere con il passato e contribuire in ogni modo (a mio avviso personale anche con una dichiarazione di guerra alla Germania) all'effettiva liberazione dell'Europa dall'oppressione nazional-socialista ». A conclusione dell'esposizione fatta, d'Ajeta comunicò al suo interlocutore che, se non aveva « alcun potere per negoziare», era tuttavia autorizzato « a far giungere al Governo italiano qualsiasi osservazione o suggerimento che i Governi alleati avessero inteso far pervenire a Roma». L'ambasciatore Campbell, racconta d'Ajeta, lo assicurò « che io potevo confidare che la mia esposizione sarebbe stata immediatamente riportata nella sua integrità a chi di ragione. Poiché tuttavia mi aveva ricevuto solo in seguito ad una superiore autorizzazione, che non implicava altre istruzioni se non quella di "ascoltarmi", doveva personalmente limitarsi a dirmi che, a suo avviso, i piani bellici concernenti l'Italia erano stati dai Comandi alleati già da tempo predisposti, a prescindere da qualsiasi situazione interna della Penisola, e che quindi l'atteggiamento delle Nazioni Unite, per quanto concerneva l'Italia, era necessariamente già definito: militarmente, dai ,progetti approvati dal Comando alleato, e, dal punto di vista politico, dalla formula dell"' uncoinditional surrender", pubblicamente sancita nei riguardi di tutte le Potenze nemiche. La necessità di aderire a tale formula avrebbe implicato, a suo parere, ulteriori prese di contatto, al momento convenuto o da noi italiani prescelto, ma questa volta di carattere militare» (6). Il mattino del 4 agosto, contemporaneamente all'incontro di Lisbona sopra sintetizzato tra d'Ajeta e Campbell, i:l segretario di legazione Ber.io partì per Tangeri ove, la sera del giorno seguente, in assenza del rappresentante britannico in quella sede, ministro plenipotenziario Gascoigne, prese contatto con il suo aggiunto, Watkinson, al quale fece presente, in sintesi, il desiderio dell'Italia di uscire dal conflitto e l'impossibilità in cui si trovava di intavolare trattative ufficiali perché i Tedeschi avevano in mano l'Italia.
(4) Per ragioni di segretezza né l'uno né l'altro dei due funzionari fu informato della missione dell'altro (Uff. Stor. Eser. - Op. cit. bibl. (III), pg. 11 ). (5) La relazione è riportata da Guariglia nel suo libro citato in bibliografia (pg. 587-599). {6) Per maggiori dettagli vedasi il libro di Lanza d'Ajeta citato in bibliografia.
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Fu solo al rientro in sede del ministro Gascoigne che Berio ebbe una risposta al passo fatto. Essa era contenuta nel seguente messaggio dei Governi di Londra e Washington datato 14 agosto: « E' necessario che il maresciallo Badoglio comprenda che non possiamo negoziare, ma che chiediamo una resa senza condizioni. Ciò significa che il Governo italiano dovrebbe mettersi nelle mani dei due Governi alleati, i quali, in seguito, gli farebbero conoscere le loro condizioni. Queste condizioni sarebbero onorevoli. Richiamate l'attenzione del signor Berio sul fatto che i Capi dei due Governi hanno già manifestalo il loro desiderio che l'Italia occupi un posto rispettabile nella nuova Europa, appena sarà finito il conflitto ... ». A questo messaggio fece seguito tre giorni dopo, a sua conferma e chiarimento, il seguente: « Il signor Berio deve esser informato, in risposta alle obiezioni da lui sol levate, che egli deve presentare un documento che offra la resa incondizionata e che chieda di conoscere le clausole che il Governo italiano dovrebbe successivamente sottoscrivere. Questa offerta scritta non sarebbe pubblicata nella fase attuale, ma j ,[ signor Berio deve comprendere che tanto l'offerta della resa senza condizioni, quanto i termini firmati dal Governo italiano sarebbero pubblicati immediatamente dopo la firma dell'armistizio » (7). Di quanto sopra Berio dette notizia a Roma, ove proprio in quei giorni era pervenuta una lettera di d'Ajeta il quale, non avendo ricevuto da Londra alcuna risposta al passo compiuto, esprimeva il parere che non vi fosse più nulla da fare in via diplomatica e che gli Alleati avrebbero forse negoziato, sulla base di una « resa incondizionata», con un inviato del Comando Supremo, autorizzato naturalmente dal Re e dal maresc. Badoglio. Le due missioni non ebbero seguito. Esse rimasero « lettera morta », come ha scritto Guariglia (8), ai piedi del muro elevato dagli Alleati con la loro sciocca formula della « resa incondizionata » (9).
4. La prima missione Castellano
Nel frattempo, ed esattamente il 6 agosto, il ministro Guar iglia ed il gen. Ambrosia si erano incontrati a Tarvisio con i colleghi tedeschi, il ministro von Ribbentrop e il maresciall o Keitel. « Il convegno (7) Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 600-605; Woodward . Op. cit. bibl. (Il). Voi. II. pg, 482-485. Per maggiori det tagli vedasi il libro di Berio citato in bibliografia.
(8) Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 599. (9) Sembra incredibile, ma il gen. Eisenhower .non fu informato delle missioni d'Ajeta e Berio, cosicché egli ritenne che quella di Castellano fosse la prima! (Garland - Op. cit. bibl., pg. 444).
35 scrisse il gen. Ambrosio (1), si chiuse in un'atmosfera di reciproca diffidenza perché la missione italiana comprese perfettamente che la Germania aveva ormai stabilito una linea di condotta non intonata a sentimenti d'alleanza, ma mirante al dominio e alla padronanza dell'Italia, mentre quella tedesca rimase nella persuasione che la caduta di Mussolini andasse, nei suoi effetti, al di là della semplice politica interna ». In questa situazione fu deciso da parte nostra di prendere nel campo militare quei contatti con gli Alleati che non avevano dato frutti in quello diplomatico. Venne quindi deciso di inviare a Lisbona il generale di brigata Francesco Castellano, destinato al Comando Supremo quale ufficiale addetto al gen. Ambrosia, il quale riponeva in lui piena fiducia. « La decisione, ha scritto Castellano (2), fu presa da Badoglio e da Guariglia con il benestare del Re. L'ordine mi fu dato dal mio superiore diretto, generale Ambrosia». Le direttive che egli ricevette in tale occasione da quest'ultimo fu. rono le seguenti: « Deve cercare di abboccarsi con gli ufficiali dello Stato Maggiore anglo-americano, esporre la nostra situazione militare, sentire quali sono le loro intenzioni e soprattutto dire che non possiamo sganciarci dall'alleato senza il loro aiuto. Consigli uno sbarco a nord di Roma e un altro in Adriatico: uno sbarco a nord di Rimini risolverebbe da solo tutta la ·s ituazione perché i tedeschi, minacciati sul fianco delle proprie linee di comunicazione, sarebbero costretti a ripiegare dall'Italia centrale a difesa dei passi alpini » (3). In altre parole si sarebbe dovuto trattare di un approccio per far conoscere agli Alleati il nostro intendimento di uscire dal conflitto, ma dell'impossibilità di realizzarJo senza il loro aiuto, non es·s endo noi in condizione di fronteggiare da soli la prevedibile reazione tedesca. Di qui l'opportunità di concretare un piano d'azione comune tra le nostre Forze e quelle alleate onde poter dar corso al nostro proposito. Il generale Castellano ritenne però tali istruzioni non adeguate alla gravità della situazione. « Non bastava far capire agli Alleati - ha scritto (4) - che il nostro incerto atteggiamento era la conseguenza della difficile situazione nella quale ci trovavamo per la presenza in Italia di numerose Forze tedesche, ma bisognava anche offrire qualcosa. Speravo di poterli convincere, sul piano operativo, della convenienza
(1) Sua relazione in data 15 dicembre 1943 riportata in Castellano - Op. cit. bibl. (Il), pg. 52. (2) Castellano . Op cit. bibl. (II), pg. 53. (3) Queste istruzioni erano state condivise dal maresc. Badoglio e dal ministro Guariglìa. Quest'ultimo riconosce che esse erano ispirate forse a un eccessivo ottimismo sulle possibilità mili tari degli Alleati e sull'arrendevolezza dei Tedeschi « ma non si trattava che di suggerimenti da parte italiana, destinati a fornire materia di discussione per lo scopo essenziale da raggiungere: l'accordo militare con gli Alleati» (Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 643-644). (4) Castellano . Op. cit. bibl. (Il) pg. 56.
36 che essi avevano ad accordarsi con noi, che ci presentavamo come una nazione ancora capace ... di risollevare la testa e continuare a combattere per una causa che era a·nche la nostra: quella di abbattere il nazismo. Esposi questi concetti in un breve promemoria che feci leggere al gen. Ambrosia ricevendone la sua approvazione, ed essi costituirono la base delle mie conversazioni con le autorità anglo-americane. Al fine di mantenere il maggior possibile segreto sulla ·s ua missione, il gen. Castellano fu fatto partire per Lisbona il 12 agosto, aggregato ad un gruppo di funzionari degli Esteri che si recava in treno in quella città per incontrarvi diplomatici italiani che rientravano in patria dal Cile. Viaggiò sotto falso nome, col nome di Raimondi, e come funzionario del Ministero degli Scambi e Valute. Non era a conoscenza della missione Berio a Tangeri e nulla gli era •s tato detto delle dichiarazioni fatte a Lisbona da d'Ajeta nè della risposta avutane da Campbell. Non fu munito di credenziali (5); gli fu dato soltanto un laconico biglietto del rappresentante dell~ Gran Bretagna presso la S. Sede, ministro Osborne, per il suo collega di Madrid, nel caso avesse potuto avvicinarlo. Il biglietto era del seguente tenore: « Vi prego di ricevere il latore della presente». Non gli fu dato infine akun apparecchio radio nè alcun cifrario per comunicare direttamente con Roma né gli fu detto di servirsi, in caso di necessità, di una trasmittente del S.I.M. che operava a Lisbona. Gli fu dato soltanto un compagno di viaggio, il console Franco Montanari, che doveva assisterlo come interprete. Durante la sosta di alcune ore che la comitiva fece a Madrid il 15 agosto Castellano riuscì a farsi ricevere - esibendo il biglietto di presentazione avuto - dall'ambasciatore britannico, sir Samuel Hoare. « Secondo le direttive ricevute scrive Castellano (6) - illustrai al signor Hoare la nostra situazione e lo scopo della mia missione ... Ma non mi limitai a questo. Aggiunsi di mia iniziativa ... che l'Italia non soltanto era deci'Sa a distaccarsi dai Tedeschi, ma anche a combattere contro di loro a fianco degli Alleati. Dire ciò era, secondo me, nella logica delle cose perché non si poteva chiedere aiuti senza chiarire quale sarebbe stato il nostro atteggiamento in seguito. La richiesta sarebbe caduta nel vuoto, sembrandomi inammissibile trovare un consenso senza dare una contropartita, che non poteva essere soltanto quella di cessare le ostilità... Mi appariva necessario non soltanto chiarire il nostro comportamento, ma annunciare il fatto nuovo, quello della inversione del fronte, con il che avremmo ottenuto più facilmente la col-
(5) « Per ragioni imprescindibili di sicurezza non era possibile munire Castellano di documenti e credenziali che avrebbero potuto cadere in mani nemiche e che, nella migliore delle ipotesi, avrebbero potuto comprometterci con gli Alleati nel caso che, per imprevedibili ragioni, fosse stato per· noi conveniente o necessario interrompere le nostre conversazioni con loro o perfino sconfessarle». (Guariglia . Op. cit. bibl., pg. 645). (6) Castellano - Op. cit. bibl. (II), pg. 57.
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37 laborazìone richiesta e anche, cosa più importante, un trattamento meno duro alla cessazione delle ostilità» (7). Sul colloquio avuto, l'amb. Hoare riferì subito telegraficamente a Londra esprimendo in proposito il parere che il Governo di Roma era pronto ad accet tare la resa incondizionata se gli Alleati fossero sbarcati nel territorio continentale italiano e se le Forze Armate italiane avessero potuto unirsi successivamente ad essi nella lotta contro la Germani a. « Senza queste due condizioni, così egli precisò il suo pensiero, il Governo italiano non avrà abbastanza coraggio o giustificazione per compiere un voltafaccia completo e cadrà impotentemente nel caos ». I noltre Hoare raccomandò di prestare seria attenzione alla proposta di Castellano, non foss'altro per ottenere informazioni sui Tedeschi (8). Le notizie inviate da Hoare furono trasmesse da Londra a Quebec ove Churchill si trovava per un incontro con Roosevelt (9). I due statisti non furono insensibi li a quanto veniva loro riferito e il 18 agosto inviarono al gen. Eisenhower un telegramma con il quale gli davano le istruzioni che qui sotto si riportano nei punti salienti (10). 1) Inviare subito a Lisbona due ufficiali del suo Stato Maggiore, uno americano e uno inglese, per incontrarvi il gen. Castellano.
(7) Era insomma la stessa idea che aveva seguito d'Ajeta (evidentemente con l'autorizzazione di Guariglia, che non lo smentisce nei suoi « Ricordi ») quando aveva detto sostanzialmente a Campbell il 4 agosto che il Governo italiano, una volta che fossero stati raggiunti con gli Alleati gli opporuni accordi di carattere militare necessari per poterci sganciare dai tedeschi, avrebbe rotto con il passato, giungendo fino a una dichiarazione di guerra alla Germania. (8) Garland - Op. cit. bibl., pg. 446. (9) « A Quebec - ha scritto il gen. Jackson nel suo libro citato in bibliografia (pg. 110-111) - gli Alleati si trovarono di fronte a due difficoltà. La prima era che l' « armistizio lungo » era ancora in discussione. Pertanto l'unico documento concordato che avrebbe potuto esser usato nei negoziati con Castellano era l'« armistizio corto» il quale comprendeva importanti condizioni militari ma non quelle di carattere politico, economico e finanziario. La seconda difficoltà, molto più imbarazzante, era che gli Italiani attribuivano in Mediterraneo agli Alleati una schiacciante supremazia militare, che non esisteva. Se Castellano avesse scoperto che gli Alleati potevano sbarcare sei divisioni circa soltanto e non più a nord di Salerno, si sarebbe subito reso conto che essi non avrebbero potuto salvare l'Italia dalla vendetta tedesca. Di fronte a tali difficoltà il Comitato dei Capi di S.M. anglo-americani (Combined Chiefs of Staff) consigliò ai Capi politici di far dire a Castellano che gli Alleati avrebbero accettato la resa incondizionata del suo paese sulla base dell' « armistizio corto » e che le condizioni politiche ed economiche sarebbero state èomunicate più tardi al Governo italiano. Eisenhower avrebbe dovuto inviare subito a Lisbona due ufficiali di grado elevato del suo Stato Maggiore per presentare tali condizioni a Castellano e per prendere accordi sui dettagli dell'armistizio. In nessun caso si sarebbero dovuti rivelare i piani operativi alleati, ed Eisenhower avrebbe dovuto insistere affinché l'annuncio della resa italiana avvenisse prima che la 5· armata sbarcasse». ( 10) Garland . Op. cit. bibl., pg. 556 e 557.
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2) A questo avrebbe dovuto esser comunicato quanto segue: a) la resa incondizionata dell'Italia era accettata sulla base delle clausole dello « short armistice »; b ) queste clausole non prevedevano l'aiuto attivo dell'Italia nel combattere i Tedeschi. Esse sare'bbero state perciò modificate in favore della stessa a seconda dell'entità dall'aiuto che il Governo e il popolo italiani avrebbero realmente dato agli Alleati contro la Germania per la rimanente parte della guerra; e) la cessazione delle ostilità tra le due parti avrebbe avuto luogo all'annuncio dell'avvenuta stipulazione dell'armistizio dato dal gen. Eisenhower, annuncio che avrebbe dovuto esser diramato « poche ore prima dello sbarco in forze delle truppe alleate in Italia »; d) iJ Governo italiano, non appena quest'annuncio fosse stato diffuso, avrebbe dovuto: - annunciare, a sua volta, l'avvenuta conclusione dell'armistizio; - ordinare alle sue Forze Armate e agli Italiani tutti di collaborare con gli Alleati, di resistere ai Tedeschi e di liberare i png10nieri delle Nazioni Unite in pericolo d'essere catturati da questi ultimi; - ordinare alle sue navi da guerra e mercantili nonché agli aerei militari di raggiungere, rispettivamente, i porti e le basi aeree che sarebbero stati indicati dal Comandante in Capo alleato. 3) I rappresentanti alleati avrebbero dovuto concordare con il gen. Castellano il modo in cui il Comando italiano e quello alleato avrebbero potuto comunicare direttamente tra loro in modo sicuro (11). (11) La posizione delle due parti nei negoziati che seguirono sono state così sintetizzate dal gen. Jackson (Op. cit. bibl., pg. 111-112): « La posizione di Eisenhower era particolarmente difficile. Egli aveva bisogno della resa italiana per dare all'operazione "Avalanche" [cioè allo sbarco a Salerno] ragionevoli probabilità di successo, né tuttavia poteva influire su gli Italiani o dichiarando una schiacciante supremazia militare, che non esisteva, od offrendo loro lo status di cobelligeranti contro la Germania, perché ciò sarebbe stato contrario alla formula della resa senza condizioni. Il massimo che il Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani aveva potuto concedere era stata l'autorizzazione a dichiarare che le condizioni imposte dagli Alleati avrebbero potuto esser attenuate in proporzione dell'aiuto che gli Italiani avessero fornito agli Alleati nel proseguimento del conflitto. « Castellano era in una posizione ancora più difficile. Non sapeva se gli accordi che egli avesse potuto raggiungere avrebbero ricevuto l'avallo del suo Governo e, peggio ancora, era sotto l'illusione che suo compito fosse quello di allineare la condotta militare degli Alle&ti e degli Italiam per il conseguimento della sconfitta della Germania, cosa che gli Alleati non erano certo disposti a fargli fare . « Castellano sapeva che l'Italia avrebbe potuto rompere l'alleanza con la Germama e cambiare campo soltanto quando ciò le fosse stato consentito da una favorevole situazione militare. Per Eisenhower invece la rottura dell'Italia con la Germania aveva valore soltanto se essa fosse avvenuta in uno specifico momento, nel momento cioé in cui la 5' armata stesse sbarcando a Salerno il 9 settembre (data da non rivelare agli italiani sino all'ultimo momento per evitare che la notizia potesse trapelare ai tedeschi) » .
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Nel frattempo il gen. Castellano, lasciata Madrid, aveva raggiunto Lisbona la sera del 16 agosto e quivi, il mattino successivo, aveva preso contatto con l'ambasciatore britannico, Campbell. Uucsti era stato preavvisato del suo arrivo ma non aveva ancora ricevuto istruzioni dal suo Governo; gli rispose perciò che lo avrebbe informato appena gli fossero pervenute. L'incontro avvenne la tarda sera del 19 agosto presso l'ambasciata britannica e si protrasse per tutta la notte sino all'alba del giorno successivo ( I 2). « Trovai ad attendermi, scrive Castellano (13), gli ufficiali alleati. Campbell fcce le presentazioni. Avevo di fronte il maggiore generale americano Walter Bedell Smith, Capo di Stato Maggiore delle Forze alleate nel Mediterraneo, il brigadiere generale inglese Kenneth W. Strong, Capo dell'« Intelligence » di dette Forze e il signor George F. Kennan, incaricato di affari degli U.S.A., in sostituzione dell'ambasciatore americano, assente da Lisbona». Avvenute le presentazioni, è detto nel verbale della riunione redatto da parte alleata (14), « il gen. Smith aprì la discussione dicendo che, nelle supposizione (assumption) che le Forze Armate italiane fossero pronte ad arrendersi, egli era autorizzato a comunicare ·le condizioni alle quali il gen. Eisenhower era disposto ad acconsentire alla cessazione delle ostilità fra le Forze alleate sotto H suo comando e le Forze italiane. Doveva restare inteso che queste condizioni costituivano soltanto un arm istizio militare e che dovevano essere accettate incondizionatamente (accepted unconditionally). « Il gen. Castellano prosegue il verbale - disse che vi era un malinteso (misinterpretation) sullo scopo della sua visita dato che egli era venuto per discutere in qual modo l'Italia avrebbe potuto raggiungere un accordo (could arrange) per unirsi alle Nazioni Unite contro
(12) Si è detto che la missione Castellano (Eisenhower, come si è già indicato, non fu informato delle missioni d'Ajeta e Berio) anticipò lo sbarco alleato nel territorio continentale italiano. Il primo contatto tra i militari anglo-americani e Castellano ebbe luogo il 19 agosto: tre giorni prima il Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani aveva dato ordine ad Eisenhower che « due divisioni dell'VIII armata di Montgomery attraversassero lo stretto di Messina all'inizio del mese di settembre [il che avvenne nelle prime ore del 3] e che altre due divisioni inglesi e due americane, agli ordini di Mark Clark, sbarcassero a Salerno una settimana dopo [il che avvenne nelle prime ore del 9 settembre]» (Bryant - Op. cit. bibl. (I), Voi. II, pg. 609 - Vedansi pure in senso analogo Garland - Op. cit. bibl., pg. 448 e 520-521, nonché Blumenson - Op. cit. b ibl., il quale precisa che il 16 agosto Eisenhower decise definitivamente di ef. fettuare appena possibile, all'inizio di settembre, lo sbarco a Reggio e il 9 quello a Salerno). (13) Castellano - Op. cil. bibl. (Il), pg. 60. (14) Il verbah~ della seduta, nell'originale testo inglese, è riportato in Castellano, Op. cit. bibl. (Il), pg. 64-67. Tale verbale scrive Castellano (Op. cit. bibl. (1), pag. 118), « pur avendo numerose lacune, riproduceva sostanzialmente le parli più importanti della discussione».
40 la Germania al fine di espellere Tedeschi dall'Italia, in collaborazione con gli Alleati (15). « Il gen. Smith dichjarò che egli era pronto soltanto a discutere le condizioni alle quali le Forze alleate sarebbero state disposte a cessare le ostilità contro le Forze italiane. La questione dello « status » dell'Esercito italiano e della partecipazione del Governo [italiano] alle operazioni contro la Germania era una questione di alta politica governativa delle Nazioni Unite e avrebbe dovuto esser decisa dai Capi dei due Governi interessati. Le Forze alleate erano però pronte ad aiutare e a sostenere le Forze italiane o gli Italiani che avessero combattuto contro le Forze germaniche o ne avessero ostacolato l'attività, come risultava dall'allegato alle condizioni d'armistizio. Egli lesse quindi ad alta voce, paragrafo per paragrafo, le condizioni di armistizio ed effettuò i commenti che era autorizzato a fare in merito. Il tutto fu via via tradotto, punto per punto, al gen. Castellano» . A questo punto il gen. Smith consegnò al gen. Castellano il testo dell'armistizio e un promemoria da unirsi allo stesso - passato alla storia come « memorandum di Quebec » o « documento di Quebec » con il quale gli Alleati si impegnavano a modificare a favore dell'llalia le condizioni d'armistizio nella misura in cui essa avesse collaborato realmente con essi nel proseguimento della guerra contro la Germania (16). La riunione venne quindi sospesa per qualche tempo per dare al gen. Castellano e al console Montanari, che lo assisteva come interprete, la possibilità di esaminare i documenti ricevuti. Alla ripresa del colloquio il gen. Castellano « fece presente subito che non aveva intenzione di discutere i vari punti delle condizioni d'armistizio poiché non era autorizzato a farlo ma che avrebbe gradito d'avere alcuni chiarimenti per riferirli al suo Governo» (17 ). Fra queste clausole egli indicò la 4 concernente il trattamento delle navi da guerra e degli aeromobili militari (18). Riporto testualmente quanto ha scritto in proposito il gen. Castellano (19).
(15) « Castellano - scrive Garland (Op. cit. bibl. pg. 444) - si presentava come il rappresentante non di un Paese vinto che si inchinava all'inevitabile e che chiedeva aiuto per arrendersi, ma come il rappresentante di un Paese che ha ancora sufficiente forza per ripudiare un alleato detestato e sufficiente energia per combattere onde redimersi. Il punto essenziale che desiderava far presente era che l'Italia chiedeva aiuto per potersi schierare a fianco delle Nazioni Unite». (16) I testi deù'armistizio e del « memorandum di Quebec ,. da unirsi allo stesso sono riportati nell'allegato 2. (17) Verbale della seduta. . (18) Il testo di tale articolo era il seguente: « Trasferimento immediato della flotta italiana e degli aerei italiani nelle località che potranno esser indicate dal Comandante in Capo alleato, unitamente alle disposizioni dettagliate sul loro disarmo che saranno da lui stabilite"· (19) Castellano - Op. cit. bibl. (I), pg. 107.
41 « Riguardo al numero 4 chiedo dove la nostra flotfa ed i nostri aerei dovranno andare. Mi si risponde che le località saranno comunicate in seguito. Da queste reticenze arguisco che non saranno porti italiani; suggerisco l'opportunità di radunare la flotta in Sardegna, anche perché, per un viaggio più lungo, non avremmo avuto disponibilità di combustibile. (Le cose non stavano esattamente così, ma io cercavo d'evitare con una piccola bugia l'esodo delle nostre navi dai nostri porti). « Il gen. Smith replica che il Governo italiano, avendo tutto l'interesse a "conservare le sue navi e i suoi aerei", dovrà provvedere t! questa deficienza. Il colpo non era riuscito e non poteva riuscire, però da questa risposta ho una prima assicurazione su quanto mi sta molto a cuore: le nostre navi ci saranno conservate, questo è un impegno, non scritto, ma preciso di cui mi affretto a prendere mentalmente nota. « La frase "disposizioni dettagliate sul loro disarmo" contenuta nell'articolo 4 è però in contrasto con l'asserzione di cui sopra; ciò mi induce a dichiarare che, se le nostre navi dovessero esser disarmate, se cioè la bandiera italiana dovesse esser ammainata, i marinai d'Italia indubbiamente avrebbero affondato i propri bastimenti. Il gen. Smith rimane, a tale affermazione, alquanto turbato e mi risponde dandomi assicurazione che la nostra bandiera avrebbe continuato a sventolare sulle nostre navi e che il trattamento che sarebbe stato fatto alla nostra Marina sarebbe stato in tutto onorevole. Aggiunge sorridendo che, esistendo tra le Marine di guerra delle varie nazioni una specie di massoneria, si poteva essere certi che quella britannica avrebbe usato tutti i riguardi alla nostra (20). « I fatti hanno dato alle assicurazioni verbali valore d'un impegno che le Nazioni hanno mantenuto>> (21).
(20) Il verbale del colloquio è molto meno impegnativo ma non v'è motivo di porre in dubbio quello che il gen. Castellano ha scritto (che trova sostanzialmente conferma in quanto dichiarato alla « Commissione Palermo» dal conosole Montanari il 12 dicembre 1944), tanto più che esso trova conferma nell'atteggiamento tenuto successivamente dagli Alleati. Il verbale così si esprime: « Il gen. Castellano ha chiesto chiarimenti sul punto 4, particolarmente per quanto riguarda la futura sorte delle navi e degli aerei italiani. E' stato informato che questo punto comportava la resa della flotta e degli aerei e che la loro futura sorte rientrava nella competenza del Comando in Capo alleato. « Il gen. Castellano ha aggiunto che le navi da guerra e molti degli aerei avrebbero potuto esser impossibilitati, per mancanza di combustibile, ad osservare questa clausola. « Il gen. Smith ha risposto che la questione sarebbe rientrata nella competenza delle autorità italiane le quali, avendo naturalmente tutto l'ineresse a conservare le loro navi e i loro aerei, avrebbero avuto la convenienza a compiere ogni sforzo per reperire il combustibile necessario per consentire alle navi e agli aerei di recarsi nelle località indicate dal Comandante in Capo alleato». (21) In proposito il gen. Castellano scrive (Castellano - Op. cit. bibl. (I), pg 108): « Quando nel marzo 1944 il presidente Roosevelt dichiarò in una intervista stampa che un terzo della flotta sarebbe stato ceduto alla Russia [Vedasi Cap. V, Sez. 5 J, io, che allora mi trovavo ad Algeri quale Capo della Missione militare italiana presso l'Alto Comando del Mediterraneo, mi recai dal gen. Strong e gli ricordai
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Esaurito l'esame delle clausole armistiziali sulle quali il gen. Castellano desiderava chiarimenti questi, come egli scrisse (22), spese il resto del colloquio per far capire ai suoi interlocutori « l'interesse che avrebbero avuto gli eserciti anglo-americani a concretare accordi di collaborazione con le nostre Forze Armate, collaborazione che avrebbe dovuto iniziarsi all'atto del distacco dai tedeschi, essendo quello, per noi, il momento cruciale». Ma i rappresentanti alleati gli risposero sempre che . oggetto del colloquio era quello dell'accettazione o meno da parte dell'Italia delle clausole dell'armistizio di cui gli era stata data conoscenza e non anche quello d'un accordo per la partecipazione dell'Italia alla guerra a fianco degli Alleati (23). A conclusione delle discussioni Castellano disse (24) che avrebbe riferito sull'incontro al suo Governo, aggiungendo che sarebbe stato « molto utile per questo conoscere quando e dove l'invasione alleata sarebbe avvenuta ». Al che il gen. Smith rispose che « come soldato il gen. Castellano avrebbe capito perché gli era impossibile dargli in quel momento dettagliate notizie sui piani del Comando alleato». Aggiunse che, se il maresciallo Badoglio avesse accettato le condizioni dell'armistizio, il gen. Eisenhower avrebbe dato via radio l'annuncio della sua conclusione « cinque o sei ore prima dello sbarco alleato in forze». Tale annuncio avrebbe dovuto esser seguito immediatamente da altro analogo del maresciallo Badoglio. Il gen. Castellano replicò subito che la conoscenza della data dello sbarco con così breve anticipo non avrebbe permesso al Comando italiano di predisporre la preparazione necessaria per un'efficace cooperazione con le Forze alleate. Occorreva che il Comando ·s uddetto conoscesse la data dello sbarco con maggiore .anticipo: preferibilmente un paio di settimane. Il gen. Smith rispose che « la cosa avrebbe potuto essere accordata e che avrebbe sentito in merito il suo Comandante in Capo per cercare di addivenire ai necessari accordi ». Nel frattempo il Governo italiano avrebbe dovuto far conoscere non oltre il 30 agosto se accettava le clausole dell'armistizio con il relativo allegato, nell'intesa che la sua accettazione avrebbe significato anche accoglimento delle modalità con cui Eisenhower ne avrebbe annunziato la conclusione. La mancata risposta entro il termine fissato avrebbe significato non accettazione.
la promessa fatta a Lisbona. Egli mi disse che tale promessa, per quanto verbale, doveva considerarsi non soltanto impegnativa per allora, ma ancora valida oggi e perciò mi autorizzò a scrivere al Governo italiano che si facesse forte di tale dichiarazione per ottenere che fosse mantenuta e si evitasse così la consegna alla Russia. Io scrissi al Ministero degli Esteri in proposito, e la mia lettera che - si noti - subì, come tutte le altre, la censura del Comando alleato, giunse regolarmente a destinazione ». (22) Castellano - Op. cit. bibl. (II), pg. 63. (23) Castellano - Op. cit. bibl. (II), pg. 63 e verbale della riunione. (24) Verbale della riunione.
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Al fine di consentire comunicazioni dirette fra i due Comandi, fu consegnato al gen. Castellano, perché lo portasse con sé a Roma, un apparecchio radio rice-trasmittente, con apposito cifrario (25). Era così ultimata alle prime luci del 20 agosto la missione del gen. Castellano, i cui risultati si possono così sintetizzare: a) gli Alleati erano disposti ad accettare la resa dell'Italia alle condizioni indicate nel testo dell'armistizio consegnato, le cui clausole dovevano esser accettate senza discussioni o riserve, ma che avrebbero potuto esser mitigate in futuro in relazione all'aiuto che l'Italia avrebbe dato agli Alleati nel proseguimento delle ostilità contro la Germania. La partecipazione a tali ostilità di Forze italiane, a fianco di quelJe anglo-americane - dissero i due rappresentanti alleati - era questione su cui non potevano pronunciarsi esorbitando essa dai loro poteri; b) la notizia dell'avvenuto armistizio sarebbe stata radiodiffusa dal gen. Eisenhower (e, subito dopo, dal maresc. Badoglio) cinque o sei ore prima dello sbarco alleato in forze nel territorio continentale italiano, sbarco la cui data e il cui luogo gli Anglo-Americani non erano disposti a far conoscere. Ciò avrebbe costretto le forze italiane a fronteggiare da sole la prima reazione tedesca; e) obbligo per il Governo italiano di far conoscere entro il 30 agosto se accettava o no le condizioni di armistizio. Castellano non potè però rientrare subito in Italia dato che il gruppo di funzionari degli Esteri cui era aggregato dovette rinviare al 23 la partenza per il rimpatrio. Nell'attesa egli pensò che sarebbe stato conveniente far pervenire a Roma qualche sua, sia pur brevissima, notizia. A tal fine, non avendo un cifrario né un apparecchio trasmittente, egli si appoggiò alla nostra legazione a mezzo della quale, spedì due telegrammi convenzionali cifrati, telegrammi che giunsero, si, al Ministero degli Esteri, ma che non pervennero mai nelle mani di chi avrebbe potuto intenderli. Verosimilmente essi furono cestinati da qualche funzionario che non riuscì a capirli. Senza dubbio il risultato della missione Castellano, pur nella sua estrema severità, era per noi più favorevole di quelli della missione d' Ajeta e della missione Berio. E ciò sia dal punto di vista sostanziale che da quello formale. Sotto il primo aspetto, il « documento di Quebec» dava all'Italia la possibilità di ottenere un'attenuazione delle clausole armistiziali; sotto il profilo formale, l'umiliante espressione « resa incondizionata» non figurava nei due documenti consegnati a Castellano. Né dall'esame del verbale della riunione redatto, come si è già detto, da parte alleata, risulta che la frase « resa incondizionata » o altra di eguale significato sia stata pronunciata durante il colloquio del gen. Smith, il quale parlò semplicemente di « resa » e di « capitolazione». (25) Castellano - Op. cit. bibl. (I), pg. 116-117; Garland - Op. cit. bibl., pg. 459.
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Né ciò deve sorprendere perché - come ha scritto Macmillan (26) - per le ragioni già dette, tale frase, « che nell'armistizio lungo occupava un posto di rilievo, era stala accuratamenle evitata in quello corto». 5. La missione Zanussi
Mentre Castellano a Lisbona, esaurita la sua missione, attendeva la partenza per l'Italia del gruppo cui era aggregalo, a Roma Badoglio e Ambrosio, non avendo ricevuto sue notizie (1), decisero di inviare a Lisbona - senza informare Guariglia - un altro ufficiale con l'incarico di prenderne il posto, qualora gli fosse accaduto qualcosa di spiacevole (2). La scelta cadde sul gen. Giacomo Zanussi, dello Stato Maggiore dell'Esercito, il quale - accompagnato dal ten. Galvano Lanza di Trabia, quale interprete, e dal gen. inglese Carton de Wiart (appositamente liberato dalla prigionia), quale garante verso gli Alleati della sua missione - partì in aereo per Lisbona il 24 agosto, arrivando nella capitale portoghese il giorno successivo, quando il gen. Castellano era già sulla via del rimpatrio. L'arrivo di questo nuovo messaggero sorprese e insospettì gli Alleati. « Lo scopo di questa missione - scrive Churchill (3) - era lungi dall'esser chiaro. Forse Badoglio temeva che Castellano avesse ceduto troppo e voleva sapere con chiarezza che cosa stesse facendo. A Carton de Wiart era stato detto che « una colomba era già stata avviata, ma poiché non aveva fatto ritorno, se ne mandava un'altra» (4). Comunque il gen. Zanussi il 27 agosto fu ricevuto dall'ambasciatore britannico Campbell il quale gli disse che non c'era più nulla da fare (26) Macmillan . Op. cit. bibl., pg. 504. La sua testimonianza ha un particolare valore, sia per la personalità di Macmillan, sia perché Ja carica di rappresentante del Governo britannico presso Eisenhower e di suo consigliere politico gli consentiva d'esser bene al corrente di come stessero le cose. (1) Era ben difficile che Castellano ne potesse inviare (tenuto conto del carattere segretissimo della sua missione) dato che, come si è visto ed è stato scritto (Zanussi · Op. cit. bibl., pg. 83) « lo si era mandato all'estero senza la possibilità di far sapere a Roma se era vivo o morto "· (2) Questa, come si è già visto, è la versione ufficiale. Si è parlato però di manovra del gen. Carboni (Capo del S.I.M. dal 18 agosto) per silurare il gen. Castellano, per il quale nutriva viva antipatia e scarsa stima. (Vailati · Op. cit. bibl. (II), pg. 117; Zanussi . Op. cit. bibl., pg. 83; Musco . Op. cit. bibl. (II), pg. 35). (3) Churchill . Op. cit. bibl. (I), pg. 119. (4) Sulla missione Zanussi vedansi: Woodward . Op. cit. b ibl. (II), pg.49 1-495; MacmiUan . Op. cit. bibl., pg. 484-488: Garland . Op. cit. bibl., pg. 461-465, oltre che l'opera del Zanussi stesso citata in bibliografia, pg. 90-113. Le date indicate dal Zanussi non sempre corrispondono con quelle riportate dai citati autori inglesi e americano, i quali si sono avvalsi per le loro opere di documenti d'archivio. Per :iuesto motivo le date qui riportate sono quelle indicate ò::i detti autori.
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perché tutto quello che c'era da dire era già stato detto al suo predecessore, il gen. Castellano. Dopo di che, come da ordini ricevuti, gli consegnò copia dell'« armistizio lungo » senza informarlo però che esso non era quello consegnato al gen. Castellano, ma limitandosi a fargli presente che « esso conteneva qualche variante rispetto a quello ch'era stato dato a quest'ultimo» (5). Di quel che avvenne dopo si è già parlato (6). Il 28 agosto Zanussi - mentre era in attesa di rientrare al più presto in Italia - fu fatto proseguire da Eisenhower per Algeri ove il testo dell'armistizio gli fu temporaneamente tolto onde impedirglì di farlo pervenire a Roma prima del 30 agosto, data in cui i governanti italiani avrebbero dovuto decidere se accettare o no lo « short armistice » consegnato a Lisbona a Castellano. Successivamente, come si è già veduto, gli fu ridato ed egli lo portò con sè a Roma quando vi fece ritorno il 31 agosto assieme al gen. Castellano, dopo il nuovo colloquio di questi con il gen. Smith. Ma, per un malinteso tra i due ufficiali, il gen. Castellano non venne a conoscenza dell'esistenza del documento; che il gen. Zaussi consegnò il 1° settembre al gen. Roatta, Capo di S.M. dell'Esercito. E' ancora un mistero come mai coloro che in tal giorno dovevano decidere in via definitiva se accettare o no l'« armistizio corto» non ebbero quasi certamente conoscenza del nuovo documento. 6. La seconda missione Castellano
Torniamo ora al gen. Castellano che, partito da Madrid il 23 agosto, era giunto a Roma il 27 mattino consegnando il giorno stesso al maresc. Badoglio il testo dell' « armistizio corto » con il « documento di Quebec», nonché il verbale del suo incontro con i due rappresentanti del gen. Eisenhower. Cosa era accaduto in Italia di particolare importanza, agli effetti della questione esaminata, durante i quindici giorni di assenza del gen. Castellano? Per quanto riguarda i rapporti con. la Germania è da segnalare il continuo afflusso in Italia di Forze tedesche, che prendevano una dislocazione non adatta a fronteggiare uno sbarco anglo-americano nell'Italia meridionale o centrale dato che si fermavano a nord dell'Appennino. Ciò faceva pensare che il Comando tedesco avesse deciso di non opporsi a uno sbarco, ma di logorare le forze nemiche sbarcate sino alla linea La Spezia-Rimini ove sarebbe stata organizzata la difesa a oltranza. Il 15 agosto il gen. Roatta, Capo di S.M. dell'Esercito, e il gen. Francesco Rossi, Sottocapo di S.M. Generale, si erano incontrati a Bologna con il maresc. Rommel e il gen . Jodl, Sottocapo di S.M. dell'Alto Comando tedesco. (5) Zanussi - Op. cit. bibl., pag. 96. (6) Vedasi la precedente Sez. 2 di questo capitolo.
46 « Dal convegno ha scritto il gen. Rossi (1) - emerse sempre pm chiaramente che la S.M. tedesco non aveva ormai più alcuna fiducia né militare né politica in noi, e che perfezionava sempre più il suo piano di occupazione totalitaria dei gangli militari vitali, occupazione che avrebbe portato con sé la dominazione politica». Sul fronte bellico è da segnalarsi che il 17 agosto gli Anglo-Americani avevano completato l'occupazione della Sicilia, entrando a Messina.
Le condizioni d'armistizio portate da Castellano furono oggetto di ripetuti incontri tra Badoglio, Guariglia e Ambrosio, una volta presente anche il Re. Badoglio le considerava « molto dure e di quasi impossibile attuazione» (2). Guariglia giudicava « sostanzialmente negativo» il risultato dell'incontro a Lisbona perché ci esponeva ad un attacco tedesco prima ancora che gli Alleati avessero messo piede in Italia (e fossero quindi in condizione di darci un aiuto) e perché egli non attribuiva che scarso valore al « documento di Quebec». Inoltre, al contrario di Ambrosia, egli disapprovava che Castellano avesse dichiarato agli Alleati che l'Italia era pronta, non solo a distaccarsi dai Tedeschi, ma anche a combattere contro di essi a fianco degli Alleati nel proseguimento delle ostilità, dato che essa non era 'Ìn condizioni di farlo (3 ). Alla fine, il 30 agosto, fu deciso che il giorno successivo il gen. Castellano partisse per la Sicilia, ove era stato chiamato da un telegramma del gen. Smith, attenendosi nei colloqui con questo alle direttive indicate in un appunto del ministro Guariglia e in un biglietto del maresciallo Badoglio, che gli vennero consegnati (4 ).
(1) Rossi - Op. cit. bibl., pg. 105. (2) Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 101. (3) Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 663-676. Sul « documento di Quebec" Guariglia cosi si esprime: « Lo stesso giorno (30 agosto) inviai un promemoria al Re e a Badoglio perché, a ogni buon fine, tenessero presente che, malgrado ogni promessa, le condizioni della futura pace non sarebbero state dettate da uno spirito di generosità in corrispettivo del vantaggio da noi effettivamente recato agli Alleati con l'accettazione dell'armistizio, e più ancora con una posteriore belligeranza, ma unicamente dagli interessi dei vincitori e dalla situazione militare e politica che la guerra o il dopo guerra avrebbe determinato». (4) Castellano - Op. cit. bibl., (Il), pg. 78-79. La Vailati (Op. cit. bibl. (III), pg. 190-191) dice che Badoglio consegnò come credenziale a Castellano, il quale però non ne parla, anche il seguente documento: « Il Governo di S.M. il Re d'Italia ha deciso di denunciare il patto d'alleanza che ha fin ora legato l'Italia alla Germania. Conseguentemente, libera da ogni obbligo, l'Italia cessa le ostilità contro le Nazioni Unite accettandone le condizioni. Nel caso che la Germania intenda usare la forza per mantenere le sue truppe sul suolo italiano, le Forze Armate italiane di terra, mare e aria, prenderanno le proprie misure contro le Forze tedesche per cacciarle oltre le Alpi. Perché tale difficile impresa abbia successo, il Governo italiano fa appello alle Forze Armale delle Nazioni Unite e chiede il loro urgente aiuto nel comune interesse per impedire che i Tedeschi rinforzino le proprie truppe nella valle del Po. Il latore di questo documento è autorizzato a fornire al generale E isenhower tutte le delucidazioni che gli saranno richieste».
47 Tali direttive possono così sintetizwrsi nei loro punti principali: a) se l'Italia avesse avuto ancora una certa libertà d'azione politica e militare avrebbe chiesto senz'altro l'armistizio agli Alleati accettando le condizioni offertele. Ma l'Italia non poteva farlo subito perché le Forze militari italiane, che erano in contatto con quelle tedesche tanto in Italia che fuori d'Italia, si .trovavano in un'enorme condizione di inferiorità. Pertanto l'Italia avrebbe potuto chiedere l'armistizio solo quando, in seguito ad avvenuto sbarco in località adatta (era detto tra Civitavecchia e La Spezia) di contingenti alleati sufficienti (erano indicate 15 divisioni almeno), fossero cambiate le esistenti condizioni: b) qualora gli Alleati avessero chiesto che l'armistizio fosse stipulato subito, la cosa avrebbe dovuta restar segreta sino a sbarchi angloamericani avvenuti, con contingenti e in località come sopra indicati; e) la flotta - ove l'armistizio fosse stato concluso - avrebbe dovuto recarsi a La Maddalena; d) conoscere l'epoca all'incirca dello sbarco per le necessarie predisposizioni. Come si vede, si era pronti ad accettare le condizioni di armistizio presentateci dagli Alleati purché di questo fosse data notizia dopo che essi fossero sbarcati, con forze adeguate, in località adatta del territorio continentale italiano. Anche questa volta le istruzioni non facevano cenno a un intervento delle Forze italiane a fianco di quelle alleate, nel proseguimento della guerra. Il giorno successivo (31 agosto) a Cassibile (località situata ad alcuni chilometri a sud di Siracusa) il gen. Castellano, cui si era affiancato il gen. Zanussi ivi arrivato da Algeri, si incontrò di nuovo con il gen. Smith e gli espose le richieste sopra indicate del Governo italiano (5). Purtroppo inutilmente. Il Governo italiano, fu in sintesi la risposta di Smith , aveva d ue alternative: accettare le condizioni d'armistizio come erano s tate fissate dagli Alleati o respingerle. Non si doveva però dimenticare che il « documento di Quebec» dava all'Italia la possibilità di migliorare la sua situazione e che il gen. Eisenhower aveva i pieni poteri per far ciò, in relazione all'aiuto che l'Italia avrebbe dato per la restante parte della guerra. Dietro le insistenze di Castellano di conoscere almeno dove e quando questo sbarco .avrebbe avuto luogo, onde poter prendere le necessarie misure, nell'interesse, si, dell'Italia ma anche degli Alleati, Smith ri-
(5) Della seduta - così come di quella del 19 agosto a Lisbona - fu redatto verbale ad opera del gen. Strong. Tale verbale - ha scritto Castellano (Op. cit. bibl. (I), pg. 144-145) - fu redatto in tutta' fretta a riunione finita. In esso « mancano alcuni argomenti, però di non grande importanza. e la stesura non riproduce fedelmente la successione del ragionamento fallo da Smith e da mc. ma quanto è in esso riportato corrisponde a quanto è stato detto». Il verbale è riportato nella traduzione italiana a pag. 219-223 della suddetta opera di Castellano.
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spose che erano previsti sbarchi secondari con cinque o sei divisioni (con opposizione italiana per non insospettire i tedeschi) e, dopo una o due settimane, lo sbarco principale in forze a sud di Roma, ma il più a nord possibile consentito dall'autonomia dei caccia destinati alla copertura aerea (6). Aggiunse altresì che gli Alleati sarebbero sbarcati « con forze sufficienti » per aver ragione della prevista resistenza nemica (7); dato però che il momento critico dello sbarco era quello iniziale, l'aiuto italiano sarebbe stato assolutamente necessario in quel momento e non dopo. Per quanto riguarda la richiesta che la flotta italiana si concentrasse, in caso di armistizio, a La Maddalena, e non in porti alleati, Smith rispose che, « per varie ragioni, essa non era accettabile e che la questione del trattamento della flotta era una questione di alta politica» (8). Il gen. Castellano, visto che da parte alleata si era irremovibili sulla clausola che ,la notizia della conclusione dell'armistizio fosse diramata contemporaneamente all'inizio dello sbarco (il che ci avrebbe costretto a fronteggiare da soli la reazione tedesca) e che questo sarebbe avvenuto a sud, e non a nord di Roma, chiese che ci fosse dato almeno un aiuto per la difesa della capitale onde impedire che essa cadesse in mano germanica, con le evidenti gravi conseguenze sia politiche che militari. Concretò la sua richiesta in una divisione di paracadutisti e in una divisione corazzata (9). Il gen. Eisenhower, cui Smith
(6) Verbale della seduta. Siccome lo sbarco secondario in Calabria avvenne il 3 settembre, quello principale a Salerno avrebbe dovuto aver luogo tra il 10 e il 17 settembre. Esso fu effettualo invece il 9 settembre, come era stato stabilito da Eisenhower il 16 agosto. (7) Verbale della seduta. Dal verbale non risulta, ma Castellano nella sua opera « Come firmai l'armistizio a Cassibile,. dice (pg. 138 e 144) che Smith gli lasciò intendere che le forze che sarebbero state impiegate complessivamente nei due sbarchi avrebbero eguagliato, se non superato, le quindici divisioni ritenute necessarie da parte italiana. Ciò è confermato da Garland (Op. cit. bibl., pg. 478). Questo scrive altresì (Op. cit. bibl., pg. 477) che il piano alleato per lo sbarco nella penisola prevedeva invece complessivamente undici divisioni (due in Calabria, otto, in quindici giorni, a Salerno e una a Taranto). Smith, parlando nel giugno 1946 con l'amb. Quaroni, ammise di aver deliberatamente ingannato Castellano sulla questione (la lettera è riportata da Castellano a pg. 222-224 della sua opera « ,La guerra continua»). (8) Verbale della seduta. (9) La situazione alleata è così sintetizzata da uno scrittore ufficiale quale il Garland (Op. cit. bibl., pg. 482): « L'assalto anfibio presentava molte difficoltà: i convogli che avrebbero trasportato le truppe dal Nord Africa al punto dello sbarco avrebbero potuto asser attaccati e danneggiati dalle forze aeree tedesche e da quelle navali italiane; i punti di sbarco erano al limite del raggio di azione dei caccia alleati; le tre divisioni che avrebbero effettuato lo sbarco non avrebbero potuto esser rinforzate con bastante rapidità e in misura sufficiente a fronteggiare su piede di parità le truppe tedesche e italiane. Per questi motivi agli Alleati occorreva quell'aiuto che era implicito nella resa italiana: la neutralizza. zione della flotta italiana e l'aiuto delle forze terrestri italiane nei punti dello sbarco per respingere o, quanto meno, contenere le unità tedesche». Purtroppo i nostri negoziatori e i nostri governanti non erano al corrente di
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si rivolse per una decisione, allo scopo di indurre il Governo italiano a firmare l'armistizio e fornire quell'assistenza militare su cui gli Alleati contavano per il buon successo dello sbarco, acconsentì che, contemporaneamente allo sbarco principale alleato e con la nostra collaborazione, una divisione aviotrasportata americana atterrasse vicino a Roma e che cento pezzi anticarri fossero sbarcati alle foci del Tevere. Il «punto» della situazione, dopo questo secondo colloquio può cos1 sintetizzarsi: a) il Governo italiano, poteva soltanto accettare o rifiutare le condizioni dell'armistizio, integrato dal « documento di Quebec». Se lo avesse accettato esso sarebbe rimasto segreto sino a quando il gen. Eisenhower ne avrebbe dato l'annuncio, poche ore prima dello sbarco alleato in forze. A quest'annuncio avrebbe dovuto far subito seguito un analogo annuncio del maresc. Badoglio; b) gli Alleati avrebbero effettuato alcuni sbarchi secondari con cinque o sei divisioni, sbarchi che avrebbero dovuto incontrare l'opposizione delle truppe italiane; e) una o due settimane dopo, previo annuncio della conclusione dell'armistizio, sarebbe avvenuto lo sbarco principale alleato. Questo avrebbe avuto luogo a sud di Roma (ma il più a nord possibile consentito dall'autonomia dei caccia che dovevano assicurare la copertura aerea) e sarebbe stato fatto con forze sufficienti ad aver ragione della prevista resistenza nemica. Lo sbarco non avrebbe dovuto incontrare opposizione da parte delle Forze italiane; avrebbe dovuto trovarne anzi l'appoggio, dato che era prevedibile che esse sarebbero state attaccate dalle Forze tedesche alfa notizia del concluso armistizio; d) contemporaneamente allo sbarco principale una divisione aviotrasportata sarebbe atterrata - con la collaborazione italiana - vicino a Roma. Inoltre sarebbero stati sbarcati alle foci del Tevere cento pezzi anticarro (1 O).
questa situazione che gli Anglo-Americani furono abilissimi nel nasconderci, ricorrendo anche al bluff. La sua conoscenza ci avrebbe infatti consentito una maggior possibilità di negoziazione. Solo Guariglia - dei nostri governanti e capi militari a conoscenza dei colloqui per un armistizio - aveva dei dubbi, pare, sulle possibilità militari degli Alleati, mentre il gen. Ambrosio e quasi tutti 1 militari che gli erano vicini nutrivano molta fiducia in tali possibilità. (Guariglia · Op. cit. bbl., pg. 673). (10) Il gen. Jackson (Op. cit. bibl., pg. 114-115) così descrive sinteticamente l'incontro. « Castellano si recò in Sicilia il 31 agosto e fu condotto al Quartier Generale di Alexander ove si incontrò con Zanussi, che era stato portato colà in volo da Algeri. Egli lesse il memorandum di Badoglio alla delegazione alleata capeggiata dal generale Bedell Smith, mettendo in evidenza il fatto che gli Alleati avrebbero dovuto effettuare i loro sbarchi principali nelle vicinanze di Roma e con almeno 15 divisioni. Bedell Smith respinse seccamente la richiesta italiana. Vi era soltanto un'alternativa per gli italiani: accettare o respingere le condizioni degli Alleati. .. I generali italiani si trovarono di fronte a un crudele dilemma, ma altrettanto dicasi per gli Alleati. Alexander, che era presente ai colloqui, intuì
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Con questi risultati dei loro colloqui con gli Alleati, Castellano e Zanussi la sera stessa rientrarono a Roma con l'impegno di far sapere entro il 2 settembre se il Governo italiano accettava o respingeva l'armistizio; naturalmente il «corto», che era stato alla base dei colloqui, non essendo a conoscenza Castellano, come si è veduto, dell'esistenza di quello « lungo ». 7. La firma a Cassibile dell'« armistizio corto » (3 settembre 1943) « Il
mattino del I O settembre, scrive Guariglia (1 ), ci riunimmo con il maresc. Badoglio (presenti Ambrosio, Acquarone e il gen. Carboni) (2) per udire il resoconto della missione Castellano. « Dall'esposizione verbale che lo stesso Castellano ci fece compresi subito che era ormai impossibile far carnbiare in alcun modo i piani prestabiliti dagli Alleati. Abbandonai perciò ogni ulteriore resistenza e mi trovai pienamente d'accordo col gen. Ambrosio nel riconoscere che, al punto in cui eravamo giunti, non ci rimaneva altro da fare che accettare tutto quanto ci veniva imposto. In tal senso mi espressi senza esitazione. Sua Maestà il Re, nel pomeriggio, decise la nostra accettazione e venne quindi spedito il noto telegramma: « La risposta è affermativa, ripeto affermativa. Di conseguenza nota persona arriverà giovedì 2 settembre ora et località stabilite. Prego conferma ». Così il gen. Castellano il mattino del 2 settembre partì per Cassibile - con un aereo pilotato dal maggiore dell'Aeronautica Giovanni Vassallo - accompagnato dal console Montanari e dal maggiore dell'Esercito Luigi Marchese, destinato al Comando Supremo. La firma del documento doveva però aver luogo, per un imprevisto contrattempo, soltanto il giorno successivo. A Roma si era ritenuto che il suddetto telegramma autorizzasse implicitamente Castellano a fir-
che gli sbarchi a Salerno sarebbero stati gravemente minacciati dalla macchina bellica che i tedeschi avevano montato in Italia e che si sarebbe potuto correre il rischio di effettuarli soltanto se essi avessero coinciso con la confusione provocata da un'improvvisa capitolazione italiana. Per quanto gli Alleati preferissero attenersi alla form ula politica del «si» o «no», l'insistere in tale atteggiamento avrebbe potuto compromettere la possibilità di aprire una breccia nella fortezza Europa, evitando perdite gravi. Man mano che i colloqui procedevano, divenne chiaro che gli Alleati avrebbero dovuto fare qualche concessione. Venne chiesto a Castellano che cosa occorreva, a suo parere, pe1- rendere le condizion i sufficientemente accettabili al suo Governo. Castellano suggerì di effettuare il lancio di una divisione aviotrasportata nei pressi di Roma e lo sbarco di una divisione corazzata alla foce del Tevere. Dopo essersi consultato con Eisenhower per radio, Bedell Smith accolse la prima richiesta. Tale concessione rese più malleabile Castellano, il quale promise che avrebbe raccomandato al suo Governo di cedere. Con ciò la riunione si sciolse e gli italiani tornarono a Roma». (1) Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 677. (2) Il gen. Carboni era il Capo del S.l.M. e il Comandante del Corpo d'armata motocorazzato destinato alla difesa di Roma.
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mare; da parte alleata si richiedeva invece una esplicita autorizzazione in tal senso. Sembra incredibile, ma, per rimuovere questa difficoltà di carattere formale, che provocò malumori, sospetti e un poco simpatico atteggiamento del gen. Alexander, occorsero più di 24 ore (3). Finalmente un telegramma di Badoglio, giunto a destinazione alle 17h del 3 settembre, permise di superare anche questo scoglio. « Il gen. Smith, scrive Castellano (4 ), viene alla mia tenda a rilevarmi. Mi conduce sotto quella della mensa. Eisenhower è in piedi dietro un grosso tavolo. Sono presenti,· oltre al generale Smith, il generale Strong, il generale Rooks, capo del reparto operazioni, il commodoro Dick (5), il capitano Dean e il console Montanari, quali interpreti. Mentre sto per entrare sotto la tenda ne escono due borghesi in maniche di camicia. Sono i consiglieri politici di Eisenhower (6) che non rimarranno presenti per sottolineare così, con maggiore evidenza, che l'armistizio è un fatto prettamente militare. Funzione brevissima. Smith mi presenta tre copie dell'armistizio (il « short military armistice »). Firmo prima io, per delega del maresciallo Badoglio, poi Smith, per delega del generale Eisenhower. Appena terminato - sono le 17,15 del 3 settembre 1943 - Eisenhower si avvicina e mi stringe la mano, dicendomi che ormai mi considerava un suo collaboratore » (7). Subito dopo la firma il gen. Eisenhower telegrafò al Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani che la « firma del" armistizio corto ", era assolutamente necessaria prima di poter fare piani specifici con i rappresentanti italiani per assicurare il maggior aiuto possibile da parte italiana e ottenere la cooperazione del Corpo motorizzato [italiano] alla progettata operazione presso Roma dell'82· divisione aerotrasportata [americana]. La firma dell'" armistizio lungo" - concludeva il telegramma - sarebbe avvenuta più tardi, in un momento conveniente per i piani operativi alleati» (8). Alle ore 20,30 ebbe luogo la prima riunione, dopo la firma dell'armistizio, per stabilire, con la partecipazione del gen. Castellano, i prov(3) Nel frattempo, all'alba del 3 settembre, 1'8· armata britannica, al CO· mando del gen. Montgomery, aveva attraversato lo stretto di Messina ed era sbarcata in Calabria, incontrando scarsa resistenza. (4) Castellano - Op. cit. bibl. (Il), pg. 90-91. (5) Il commodoro Royer M. Dick era il Capo di S.M. del Comandante in Capo delle Forze navali alleate nel Mediterraneo, amm. A. Cunningham. (6) Erano l'americano Robert D. Murphy e l'inglese Harold Macmillan. (7) L'Unione Sovietica non fu invitata a partecipare ai negoziati per l'armistizio ma fu tenuta al corrente degli stessi e richiesta della sua approvazione ai testi dei due atti. Invitata ad assistere alla firma dell'armistizio a Cassabile, rispose declinandolo. Approfittò del trattamento fattole per escludere totalmente gli Anglo-Americani dalle vicende relative alle capitolazioni della Romania, della Bulgaria, dell'Ung,heria e della Finandia. Francia, Jugoslavia e Grecia furono escluse da ogni consultazione e non furono invitate nemmeno ad assistere alla firma, cosa che provocò una vivace reazione di De Gaulle (Toscano . Op. cit. bibl. I). (8) Garland - Op. cit. bibl., pg. 484.
52 vedimenti da adottare per dare applicazione all'armistizio stesso. Alla riunione, presieduta inizialmente dal gen. Alexander e, successivamente, dal gen. Smith, furono prese in esame le varie questioni sul tappeto. Fu in questa occasione, quando si fu allontanato il gen. Alexander, che il gen. Smith, come si è già visto nella precedente sezione 2, consegnò al gen. Castellano - presentandolo come il documento contenente le clausole politiche, finanziarie ed economiche previste dalla clausola 12 dell'armistizio testè firmato - il testo dell'« armistizio ·l ungo», addolcendo la pillola, alle proteste del gen. Castellano, con un biglietto diretto al maresc. Badoglio in cui si diceva che tale documento avrebbe avuto un « valore relativo ·» se l'Italia avesse collaborato nella guerra contro i Tedeschi (9). Si riporta qui di seguito, limitatamente alla parte interessante la Marina, il verbale della seduta (10). Richieste navali « L'ammiraglio Dick disse che, in base ai termini d'armistizio, la flotta italiana doveva muovere verso i porti del sud, sotto controllo alleato. Ciò era importantissimo per la sua salvezza. « Il generale Castellano domandò se, come indicato prima, parte della flotta poteva rimanere in porti della Sardegna, ad esempio Cagliari. « L'ammiraglio Dick rispose di no, perché l'ammiraglio Cunningham desiderava che le unità di La Spezia andassero nell'area di Bona e quelle di Taranto a Malta. « Il generale Smith precisò che nel momento in cui le navi italiane si fossero mosse anche le navi alleate avrebbero preso il mare. Il piano dell'ammiraglio Cunningham aveva Io scopo di evitare che esse si incontrassero e combattessero di notte. " Noi sappiamo da prigionieri tedeschi - egli disse - che i Tedeschi intendono affondare con bombe e siluri le navi italiane piuttosto di lasciare che esse cadano nelle mani degli Alleati " « L'Ammiraglio Dick precisò che all'inizio si dovevano prendere provvedimenti per assumere il controllo di queste unità [da parte alleata]. «Il generale Castellano fece presente che egli sperava che la forma sarebbe stata per quanto possibile non offensiva. « J.l generale Smith disse che c'era così poco tempo che gli Alleati erano obbligati a seguire la procedura indicata. Vi sarebbe stato poi un processo di assestamento fino a che si fosse potuto stabilire un'azione coordinata. Gli ufficiali ed i marinai italiani non sarebbero stati assoggettati ad alcun trattamento umiliante. « L'ammiraglio Dick disse allora che c'erano alcuni punti che, per
(9 ) Castellano - Op. cit. bibl. (I), pg. 160-161. (10) Il verbale è riportato dalla Vailati (Op. cit. bibl. (III), pg. 214-220) che lo ha tratto da microfilm inedito di documenti raccolti dal gen. Smith.
53 il momento, potevano essere trattati soltanto genericamente. Egli domandò se poteva essere inviato presso il Comando in Capo navale del Mediterraneo un ufficiale di Marina italiano. « Il generale Castellano rispose di si, aggiungendo che era opportuno evitare un trasferimento via aerea. Egli pensava che il trasferimento potesse effettuarsi con un appuntamento in mare. « Il generale Alexander e il genera'le Smith precisarono che un piccolo gruppo di ufficiali italiani si sarebbe dovuto stabilire immediatamente presso i Comandi alleati. Vi erano molti punti da trattare. L'ufficiale di Marina doveva venire dall'Alto Comando. « Il generale Castellano disse che da sei a otto ufficiali di Stato Maggiore, sarebbero stati impiegati con le forze d'assalto. C'erano soldati americani che parlavano italiano i quali avrebbero potuto fare da interpreti. « L'ammiraglio Dick suggerì che i grandi transatlantici trovantisi nei porti occidentali dell'Italia facessero rotta direttamente per Gibilterra e di lì per l'America. Quelli nei porti orientali avrebbero dovuto far rifornimento a Malta e poi proseguire. « In linea di principio il maggior numero di queste preziose navi avrebbe dovuto muovere in direzione sud, dato che i tedeschi avrebb ero fatto ogni sforzo per impadronirsene. « Il generale Castellano ricordò che alcune navi erano impiegate dai tedeschi. · « Il generale Smith disse che gli agenti delle linee transoceaniche di Lisbona erano già stati avvisati al riguardo. « Il generale Castellano disse che alcune navi potevano non avere abbastanza carburante per muoversi verso sud. « L'ammiraglio Dick disse che sarebbe stato pericoloso mandare petroliere ... « L'ammiraglio Dick disse che la data di proclamazione dell'armistizio era importante e che, salvo disposizione in senso contrario, le navi dovevano essere pronte a muovere la notte della proclamazione, la quale, secondo le previsioni, avrebbe avuto luogo alle 18,30, ora di Roma, del giorno D, poche ore prima dello sbarco alleato principale». Il mattino del 5 settembre il magg. Marchesi lasciava Cassibile (unitamente al maggiore Vassallo) portando con sé, fra l'altro: (11) - una copia firmata dell'« armistizio corto»; - copia delle« clausole aggiuntive» (cioè dell'« armistizio lungo»), con il biglietto del gen. Smith per il maresc. Badoglio; - il così detto « promemoria Dick » nel quale erano indicati i porti in cui, all'atto della dichiarazione dell'armistizio, avrebbero dovuto trasferirsi le nostre navi, da guerra e mercantili, e le norme che, a tal fine, esse avrebbero dovuto osservare; {11) Castellano . Op. cit. bibl. (I), pg. 171 e (II) pg. 103; Garland . Op cit. bibl., pg. 490.
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- una nota con la comunicazione che, il giorno in cui lo sbarco principak sarebbe avvenuto e l'armistizio sarebbe stato dichiarato da parte del Comando alleato, Radio Londra, fra le 9h e le lOh (ora di Greenwich), avrebbe trasmesso - come segnale di preavviso per le autorità italiane - mezz'ora di musica di Verdi nonché un notiziario di due minuti sull'attività tedesca in Argentina; - una lettera del gen. Castellano a l gen. Ambrosio che, purtroppo, fu fonte di malintesi e di guai infiniti per noi. In questa lettera il gcn. Castellano afferma di essersi espresso nei seguenti termini: « Per quanto abbia fatto l'ìmpossibile per riuscirvi, non ho potuto avere alcuna notizia sulla precisa località di sbar co. Circa la data non posso dir nulla di preciso: ma da informazioni confidenziali presumo che Io sbarco potrà avvenire tra il 10 e il 15 sctlembre, forse il 12 » ( 12 ). Dicevo, fonte di malintesi e di guai infiniti per noi, perché, nonostante si trattasse di notizia non sicura, « il Capo di S.M. Generale si fissò sulla data del 12, confermata nei colloqui col Marchesi, e tutti gli ordini furono dati per tal giorno » (13). 8. Gli articoli dell'« armistizio corto » interessanti specificamente la Marina (1)
Prima di passare all'esame degli articoli dell'armistizio interessan ti in modo specifico la Marina, ritengo che sia opportuno affrontare una questione che, benché di pura forma, ebbe riflessi di non lieve peso, che si estesero persino sul trattato di pace. {12) Su quali dati si basava l'ipotesi del gen Castellano circa la presumibile data dello sbarco? « La mia ipotesi, in forma del tutto dubitativa - egli ha scritto (Op. cit. bibl. (Il ), pg. 103) - si basava su quanto era scritto nel verbale del mio incontro con Smith del 31 agosto e su quanto q uesto mi aveva de tto, a titolo confidenziale, il giorno 4. Da quel verbale risultava che lo sbarco principale sarebbe avvenuto a distanza di una o due settimane da quello secondario, che aveva avuto inizio in Calabria la notte sul 3; Smirh il giorno 4 mi disse che sarebbe stato effettuato "en tro due settimane". Si trattava perciò sempre di un periodo di tempo compreso tra sette e quattordici giorni da quella data del 3 ed era quindi presumibile che lo sbarco sarebbe avvenuto in un giorno compreso entro i termini di tempo da mc indicati come ipotesi e con la premessa di non esser riuscito ad ottenere notizie precise •. Il magg. Marchesi così si esprime in proposito (Op. cit. bibl., pg 82): « Arrivato a Roma, mi recai subito a palazzo Vidoni, sede del Comanc!~ Supremo, ove giunsi verso mezzogiorno. Mi recai subito dal gen. Ambrosio, gli consegnai i documenti e gli riferii quanto Castellani mi aveva incaricato di dire e cioé che l'armistizio sarebbe stato dichiarato tra il IO e il 15, probabilmente il 12. Aggiunsi che si trattava di una ipotesi di Castellano derivata da conversa1ioni confidenziali con il Capo di Stato Maggiore del Comando alleato». ( 13) Rossi . Op. cit. bibl., pg. 134. ( I) Il testo dell'armistizio, senza l'unito « Aide Mémoire •, fu reso di pubblica ragione dagli Alleati l'I I settembre 1943, a mez:w di comunicato « Rcutcr ». La pubblicazione ufficiale, sempre senza l'unito « Aide M énzoire », ebbe luogo
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A Cassibile vi fu da parte dell'Italia una formale « resa senza condizioni », come ufficialmente si è sostenuto sempre da parte angloamericana? (2). Ritengo anzitutto opportuno chiarire due punti. Il primo è: cosa intendevano Americani e Inglesi per « resa incondizionata »? Lo disse chiaramente Churchill nel discorso che tenne alla Guildhall di Londra il 30 giugno 1943. « Resa incondizionata, affermò, vuol dire ... che essi [i nemici] devono rimettersi completamente alla nostra giustizia e alla nostra mcrcè ». Questo concetto fu riaffermato e precisato nei messaggi che i Governi di Londra e di Washington fecero congiuntamente pervenire - per il tramite del rappresentante britannico a Tangeri, ministro plenipotenziario Gascoigne - al nostro emissario, segretario di legazione Berio, in r isposta ai passi da lui compiuti nell'agosto 1943 per far presente il desiderio dell'Italia di uscire dal conflitto (3). « E ' necessario che il maresciallo Badoglio comprenda diceva il messaggio del 14 agosto - che non possiamo negoziare, ma che chiediamo una resa senza condizioni. Ciò significa che il Governo italiano dovrebbe mettersi nelle mani dei due Governi alleati, i quali, in seguito, gli farebbero conoscere le loro condizioni ». E tre giorni dopo (messaggio del 17 agosto, a conferma e chiarimento del precedente): « Il signor Berio deve essere informato ... che egli deve presentare un documento che offra la resa incondizionata e che chieda di conoscere le clausole che il Gover no italiano dovrebbe successivamente ·s ottoscrivere». Riassumendo, nel pensiero di Washington e di Londra « resa incondizionata », o « senza condizioni » che dir si voglia, significava « mettersi nelle mani » dei vincitori, il che avrebbe dovuto avvenire nel seguente modo: presentazione da parte del vinto d i un documento in cui
contemporaneamente a Washington, Londra e Roma il 6 novembre 1945. Il Governo italiano - che soltanto il 5 novembre era stato informato della decisione alleata di procedere alla pubblicazione dei lesti degli armistizi e dei documenti con essi collegati - protestò ·immediatamente per la non pubblicazione dell'Aide Mémoire, « conosciuto come "documento di Quebec", che è, di fatto, strettamente collegato nel tempo e, soprattutto, nello spirito, con l' "armistizio corto" del 3 .settembre 1943 » (Vedansi « Foreign Relations » cit. bibl., 1945, voi. IV, pg. 1080-1082. (2) P rimo fra tutti lo disse Eisenhower il quale, nel suo messaggio dell'8 set tembre 1943, con il quale dette notizie dell'avvenuta firma de)l'armislizio, così si espresse: « Il Governo italiano ha presentato la domanda di resa senza condizioni delle sue Forze Armate». Pochi giorni dopo (18 settembre) il presidente Roosevelt affermò al Congresso che l'I talia si era arresa incondizionatamente, affermazione ripetuta più volte da Churchill (perché non vi fossero dubbi in proposito) durante il suo discorso alla Ca mera dei Comuni del 21 dello stesso mese. (3) Vedasi la precedente sezione 3.
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offriva la resa senza condizioni e firma, in un secondo tempo, delle con dizioni che gli sarebbero state fatte. L'altro punto che ritengo opportuno chiarire, sia pure ad abundantiam, è che la risposta al quesito postoci deve esser formulata sulla base di quello che è effettivamente avvenuto, quale risulta dai documenti esistenti che. nel caso in esame, sono il testo dell'armistizio firmato a Cassibile, con l'allegato « memorandum di Quebec ». che ne costituisce parte integrante, nonché i verbali, redatU da parte alleata, degli incontri Castellano-Smith del 19 agosto, a Lisbona, e, del 31 dello stesso mese, a Cassibile, incontri in cui furono definite le condizioni alle quali le due Parti erano pronte a concludere l'armistizio (4 ). Dall'esame di questi documenti risulta: a) alle autorità alleate non fu mai presentato da parte nostra un documento in cui si diceva che l'Italia si arrendeva, o che era pronta ad arrendersi, « senza condizioni», né mai alle autorità stesse fu fatta dal gen. Castellano una dichiarazione in questo senso; b) nell'incontro di Lisbona del 19 agosto e in quello di Cassi bile dei 31 successivo non si parlò mai di « resa incondizionata ». Di « resa incondizionata » non c'è nemmeno traccia nelle dodici clausole dell'armistizio e nel « memorandum di Quebec » unito allo stesso. E' vero che a Lisbona il gen. Smith, nel presentare al gen. Castellano, in apertura di seduta, il testo dell'armistizio, gli disse che questo doveva essere « accettato incondizionatamente», ma una cosa è arrendersi incondizionatamente (cioè, come era stato risposto a Berio, « mettersi nelle mani » del nemico e accettare a scatola chiusa le condizioni che egli avrebbe imposto) e altra cosa è arrendersi sulla base di condizioni conosciute, anche se presentate come immodificabili (S ). Ma c'è di più. L'affermazione del gen. Smith che le condizioni da lui consegnate dovevano esser accettate così com'erano perché non potevano (4) Come si è già detto nelle precedenti sezioni 4 e 6, il primo verbale, nel testo originale inglese, è riprodotto da Castellano nella sua opera « La guerra continua•. pg. 64-67; il secondo, in traduzione italiana, è riprodotto nel libro dello stesso autore « Come firmai l'armistizio di Cassibile », pg. 219-223. Su quesli verbali si sono basati, per descrivere i due incontri, due scrittori ufficiosi (per non dire ufficiali), l'americano Garland (Op. cit., bibl., pg. 455-461 e 474-478) e l'inglese Woodward (Op. cit. bibl. (Il). voi. II, pg. 488-490 e 495-496). (5) Ritengo che non possano esservi dubbi in proposito. Per chi ne avesse, faccio presente che - come si vedrà - I'« armistizio lungo», nel testo firmato a Malta il 29 settembre 1943, così si esprimeva in un certo punto: « Queste condizioni ... sono state accellate dal maresciallo Pietro Badoglio.~ l(A). Le Forze italiane di terra, mare e aria, ovunque dislocate, con quest'atto si arrendono incondizionatamente». In seguito alle proteste del maresciallo Badoglio, con protocollo 9 novembre 1943, la frase di cui sopra fu così modificata: « Queste condizioni... sono :,tate accettate incondizionatamente dal maresc1allo Pietro Badoglio ... 1 (A). Le Forze italiane di terra. mare e aria, ovunque dislocale, con quest'alto si arrendono ».
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'èsser modificate, fu un'affermazione del tutto teorica. Esse furono oggetto infatti di lunghi « pourparlers » tra le due parti finché Eisenhower accettò che esse fossero integrate (e quindi indirettamente modificate) dall'impegno alleato di far atterrare presso Roma, il giorno della dichiarazione dell'armistizio, una divisione aerotrasportata americana e di sbarcare contemporaneamente alle foci del Tevere cento cannoni anticarro (6). La verità è - come risulta ormai provato - che Eisenhower e i suoi diretti collaboratori - allontanandosi deliberaiamenle dalle istruzioni ricevute (7) - evitarono accuratamente che l'espressione « resa incondizionata >> comparisse nel testo dell'armistizio e del suo allegato, e che fosse pronunciata negli incontri di Lisbona a Cassibile (8). E ciò perché essi ritenevano estremamente utile, per ragioni di carattere militare, che l'armistizio fosse concluso prima dello sbarco a Salerno (già stabilito per il 9 settembre), cosa che essi consideravano di poter difficilmente realizzare se alla deposizione delle armi da parte dell'Italia fosse stato dato il carattere di resa senza condizioni. Si può quindi concludere fondatamente che a Cassibile non vi fu una resa senza condizioni. Che una resa vi sia stata e che le condizioni fatteci, benché addolcite dal « memorandum di Quebec », fossero dure, sarebbe sciocco negarlo, ma affermare, come si è sempre fatto dagli Alleati, che tale resa sia stata incondizionata, vuol dire ignorare la verità storica e presentare gli avvenimenti, non come effettivamente si svolsero, ma come si sarebbe desiderato che si fossero svolti. D'altra parte se l'Italia aveva capitolato senza condizioni, come essi dicevano, perché gli Alleati nel novembre 1943 concessero - in seguito alle proteste del maresc. Badoglio - che dal testo dell'« armistizio lungo» fosse tolta l'affermazione che la resa era stata incondizionata? (9)
(6) « L'accettazione da parte dell'Italia di firmare l'armistizio - telegrafarono il 2 settembre Roosevelt e Churchill a Stalin - è largamente basata sul fatto che manderemo a Roma una divisione aerotrasportata... ( « Foreign Relations » cit. bibl., 1943, voi. II, pg. 360; « Carteggio Churchill-Stalin» cit. bibl. pg. 199). (7) Da ultimo con il telegramma del 18 agosto con cui gli si diceva di inviare a Lisbona due ufficiali del suo S.M. per incontrarvi il gen. Castellano al quale avrebbero detto che « la resa senza condizioni dell'Italia era accettata sulla base dellt:: clausole del documento consegnatogli» cioè dell'« armistizio corto» (Garland . Op. cit. bibl.,. pg. 556). (8) Vedasi in proposito Macmillan . Op. cit. bibl. pg. 504. (9) Alla conclusione che non vi sia stata « resa senza condizioni» è arrivato anche lo storico svedese S.U. Palme in una sua memoria sull'argomento, presentata al « Colloquio internazionale di storia militare» che si tenne a Stoccolma dal 12 al 15 agosto 1973. Anche il Segretario di Stato americano dell'epoca, Cordell Hull, praticamente concorda. « La resa dell'Italia - ha scritto - benché apparentemente su base .incondizionata - fu in realtà, come ho già detto, una resa negoziata e le condizioni dell'armistizio furono accettate dopo le discussioni avvenute a Lisbona
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L'armistizio era composto - come è già stato detto - di 12 articoli: i primi 11 erano di carattere militare; con il dodicesimo gli Alleati si riservavano di far conoscere le condizioni di carattere politico, economico e finanziario che l'Italia avrebbe dovuto osservare. Fra i primi 10 articoli è da rilevarsi - per i poteri praticamente illimitati che attribuiva a l Comandante in Capo delle Forze alleate il decimo, secondo il quale il Comandante predetto aveva il diritto di prendere qualsiasi misura che egli avesse ritenuta necessaria per la tutela degli interessi di tali Forze al fine del proseguimento della guerra, e il Governo italiano il dovere di adottare quei provvedimenti amministrativi o di altro genere che il Comandante in Capo suddetto avesse richiesto. Gli articoli che interessavano specificamente la Marina Militare e quella Mercantile erano tre: il 4, il 5 e il 7, che si riportano qui di seguito ( 11). Art. 4 « Trasfer imento immediato della flotta italiana ... nelle località che potranno esser indicate dal Comandante in Capo alleato, unitamente alle disposizioni dettagliate sul loro disarmo che saranno da lui stabilite ».
Art. 5 « Il naviglio mercantile italiano potrà esser requ1s1to dal Comandante in Capo alleato per provvedere alle necessità del suo programma mili tare-navale » (12).
e Cassibile fra i rappresentanti del Comitato dei Capi di Stato Maggiore angloamericani e del maresciallo Badoglio (Op. cit. bibl., pg. 1571 ). L'americano R. Murphy - che per la sua carica di consigliere politico di Eisenhower era in condizione di esprimere un valido giudizio - parlando nelle sue Memorie (Op. cit. bibl., pg. 240) della resa italiana, la definisce una « conditional unconditionale surrender », giuoco di parole che mira evidentemente a mascherare la verità delle cose e cioP che s i trattò in realtà di una resa negoziata. « La resa incondizionata non è mai esistita» scrive il Mazzetti nel suo studio « L'Italia e gli Alleati dopo l'armistizio », citato in bibliografia. E' da notarsi in proposito che l'U.R.S.S. non adottò il principio della « resa incondizionata» per gli armistizi, anche se duri, con la Romania, la Finlandia, la Bulgaria e l'Ungheria. (10) Il testo completo del documento è riportato nell'allegato 2-A. i(ll) Si omettono gli articoli che riguardavano tutt'e tre le Forze Armate, quali quelli della cessazione immediata delle ostilità, della liberazione dei prigionieri di guerra alleati etc. (12) E' ovvio che gli Alleati, riservandosi il diritto di «requisire» le nostre navi mercantili (« Italian merchant shipping may be requisitioned by the Allied Commander in Chief... » ). implicitamente rinu nciavano a esercitare il diritto di preda nei riguardi di dette navi. Ciò veniva confermato successivamente dall'accordo Cunningham-de Courten del 23 settembre 1943 secondo il quale i nostri mercantili, battendo bandiera e con equipaggi italiani, sarebbero stati impiegati a l,e stesse condizioni fissate per i mercantili delle Nazioni alleate.
59 Art. 7 << Garanzia immediata di libero uso da parte degli Alleati di tutti 1 porti ... de l lerritorio italiano, indipendentemente dall'andamento della evacuazione dello slesso da parte delle Forze tedesche. Questi porti ... dovranno esser protetti dalle Forze Armate ilaliane finché questo compito sarà assunto dagli Alleati ».
Memorandum di Quebec (13)
La parle di gran lunga piu importante del documento era quella iniziale, che, così suonava: « Queste condizioni [quelle dell'« armistizio corto)>] non contemp lano l'assistenza attiva dell'Italia nel combattere i Tedeschi. La misura nella quale queste condizioni saranno modificate in favore dell'Italia dipenderà dall'entità dell'aiuto che il Governo e il popolo italiani daranno realmente alle Nazioni Unite conlro la Germania durante la rimanente parte della guerra ». Le altre disposizioni del memorandum potevano essere ripartite in due gruppi: quelle che si riferivano al periodo che sarebbe intercorso tra la firma dell'armistizio e la sua dichiarazione e quelle da osservarsi al momento di quest'ultima. Di queste disposizioni quelle che interessavano particolarmente la Marina possono sintetizzarsi come segue (14 ). Durante il periodo compreso tra la firma dell'armistizio e la sua dichiarazione le autorità italiane avrebbero dovuto dare segretamente tutti gli ordini necessari perché le unità della flotta e il maggior numero possibile di quelle mercantili fossero pronte a partire, a ll a dichiarazione dell'armistizio, per i porti che sarebbero stati indicati dal gen. Eisenhower ( lS). Non appena tale dichiarazione fosse avvenuta le nostre autorità avrebbero dovuto ordinare alle unità suddette di partire per i porti indicati. Nessuna nave, sia da guerra che mercantile, sarebbe dovuta cadere in mano ledesca; qualsiasi nave in pericolo di esser catturata dai Tedeschi avrebbe dovuto esser distrutta. Promemoria Oic k (16)
Tn questo documento erano indicati i porti ove, alla dichiarazione dell'armistizio, le nostre navi, da guerra e mercantili, si sarebbero do-
(13) Il testo completo del documen to e riportato nell'allegato 2-B. (14) Si omei tono le disposizioni che riguardavano tutt'e tre le Forze Armate. (15) I sommergibili in mare non avrebbero dovuto esser richiamati dalla loro missione onde non insospettire i Tedeschi. (lo} 11 testo completo del documento è riportato ne1J'allegato 3.
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vute trasferire, nonché le rotte che, a tal fine, esse avrebbero dovuto seguire. Le istruzioni erano diverse a seconda che si trattava di navi da guerra o mercantili.
Navi da guerra Le unità di superficie trovantisi in sorgitori del Tirreno si sarebbero dovute attenere alle seguenti disposizioni: - unità maggiori: dirigere, seguendo le rotte indicate, per Bona, ove avrebbero ricevute ulteriori istruzioni; - piccole unità: se a nord del 42° parallelo, comportarsi come indicato per le unità maggiori; se a sud di tale parallelo, restare in porto, salvo che vi fosse immediato pericolo di cattura da parte dei Tedeschi . ln questo caso dirigere per Augusta, passando per lo stretto di Messina. Le unità di superficie trovantisi in porti dell'Adriatico e dello Ionio avrebbero dovuto dirigere direttamente per Malta; le piccole unità avrebbero potuto anche far rotta direttamente per Augusta. Le unità di superficie trovantisi in porti dell'Egeo avrebbero dovuto raggi ungere Haifa. I sommergibili in porto avrebbero dovuto osservare le istruzioni riguardanti le navi di superficie; quelli in mare si sarebbero dovuti recare nel più vicino dei seguenti porti: Gibilterra, Palermo, Malta, Augusta, Tripoli, Haifa o Alessandria. Le unità avrebbero dovuto lasciare gli ormeggi subito dopo il tramonto del giorno della proclamazione dell'armistizio (17) e regolare la loro velocità in modo da arrivare a destinazione in ore diurne. Durante la navigazione avrebbero dovuto, ai fini del riconoscimento, alzare all'albero di maestra un pennello nero e portare in coperta grandi dischi neri. Se richiesto, avrebbero dovuto ricevere a bordo (evidentemente a scopo di controllo) quel personale anglo-americano che le autorità a lleate avessero stabilito e attuare quelle misure di disarmo che le autorità stesse avessero indicato. Nessun cenno faceva il documento al problema delicatissimo delJa bandiera.
Navi mercantili Le navi mercantili trovantisi nel Tirreno e nello Ionio ad ovest del 17. meridiano avrebbero dovuto dirigere, seguendo le rotte indicate, per Gibilterra o, qualora il combustibile di cui di9ponevano non lo avess~ consentito, per Bona. Le navi trovantisi nell'Adriatico o ad est del 17. meridiano avrebbero dovuto far rotta d irettamente per Alessandria.
(17) Era previsto che questa sarebbe stata effettuata alle 18,30, ora di Roma.
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L'arrivo a destinazione sarebbe dovuto avvenire in ore diurne. Comt! segno di riconoscimento le unità avrebbero dovuto alzare all'albero di maestra un pennello nero. Anche qui nessun accenno alla questione dellR bandiera. La questione della sorte della flotta era stata oggetto di esame come si è veduto nelle precedenti sezioni 4 e 6 - durante i colloqui eh~ si conclusero a Cassibile con la firma dell'armistizio, senza però che la Marina ne fosse stata informata (18). Il gen. Castellano l'aveva sollevata di sua iniziativa durante il suo primo incontro con il gen. Smith a Lisbona e, d'ordine del maresc. Badoglio, durante quello di Cassibi'le del 31 agosto. In questa occasione essa era stata affrontata anche dal gen. Zanussi nel momento in cui stava per prendere l'areo per tornare a Roma, come risulta da questo passo del suo libro citato in bibliografia: (l 9). « Avvicinai il rappresentante delle Marine alleate raccomandandogli di evitare l'inonorato viaggio della flotta a Malta. Era mettere a un duro, a un troppo duro rischio la fedeltà degli equipaggi. L'ammiraglio rispose che era ormai troppo tardi per ritornare sulle decisioni prese a Quebec da Roosevelt e Churchill, ma assicurò che la bandiera italiana non sarebbe stata ammainata sulle nostre navi da guerra. " Io, che sono ·s tato cavalleresco avversario dei marinai italiani e che ne ho sì ripetutamente apprezzato l'abnegazione e il valore, anche se sfortunati - concluse - sono sicuro che il giorno in cui Sua Maestà il Re darà ordine ai vostri equi,,paggi di mettere la prora su Malta, essi, pure soffrendo in cuor loro, non esiteranno ad eseguirlo " ». Sulla questione ritornò il 7 settembre il gen. Castellano chiedendo, d'ordine del gen. Ambrosia, che la flotta si concentrasse tutta a La Maddalena anziché recarsi in un porto alleato, ma anche questa volta la risposta fu negativa (20). Il problema del trattamento da farsi alla nostra flotta preoccupava anche Curchill, molto sensibile da buon inglese alle questioni navali, il 08) Anche in campo alleato la Marina non era stata trattata molto meglio. Cunningham (Op. cit. bibl., pg. 560), parlando della partenza dei gen. Smith e Strong per Lisbona per incontrarvi il gen. Castellano (19 agosto), così si esprime: « Essi portavano con loro un breve elenco di richieste a lleate [il "short arru;stice"J, le quaU, per quanto riguarda il trattamento della Marina italiana, erano molto al di sotto di quanto necessario: né io né il mio Capo di Stato Maggiore, commodoro Dick, eravamo stati consultati ». E più avanti (pg. 572): « Il mio principale motivo di preoccupazione stava nel fatto che le condizioni della resa - l"' armistizio corto" firmato in Sicilia il 3 settembre - erano state preparate dai soldati senza consultare né me né alcuno del mio Stato Maggiore. In seguilo a ciò diverse jmportanti questioni navali erano rimaste imprecisate». {)9) Zanussi (Op. cit. bibl., pg. 121) non indica chi fosse il rappresentante delle Marine alleate. Probabilmente era il commodoro Dick, di cui si è già avuto occasione di parlare, che aveva partecipato al colloquio di Castellano e Zanussi con Smith e gli altri rappresentanti alleati. (20) Garland . Op. cit. bibl., pg. 506.
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quale, in una sua lettera del 9 settembre a Roosevelt, così si esprime: « E' da prendersi in esame la questione della bandiera delle navi italiane nonché un'intesa perché gli italiani possano comandare queste navi sotto controllo britannico o americano. L'intera questione di come trattare la Marina itz.l;ana e di come ottenerne la massima utilizzazione esige un riesame ad alto livello ... » (21). Del rispetto che la flotta italiana si era acquistato in guerra presso i suoi avversari è testimonianza questo brano tratto dalle Memorie di Churchill. « Desideravo grandemente egli ha scritto - (22) c he la Marin a italiana fosse trattata bene. A Cunningham telegrafai il 10 settembre: "Se la flotta italiana arriverà nei nostri porti dopo aver scrupolosamente osservate le condizioni di armistizio e sostenuto l'attacco di rappresaglia dei bombardieri germanici, confido che consulterete il generale Eisenho}Ver onde sia ricevuta con generosità e cortesia. Sono certo c hè ciò avverrà in armonia coi vostri sentimenti"». Quale importanza avesse per gli Alleati l'uscita dal conflitto della nostra flotta lo dimostrano queste due righe tratte da una lettera di Churchill del 26 luglio 1943 a Roosevelt: « La resa della flotta [italiana] libererà notevoli forze navali britanniche per le operazioni nell'Oceano Indiano contro il Giappone, cosa che riuscirà molto gradita agli Stati Uniti». Roosevelt rispose pochi giorni dopo confermando che l'eliminazione dal conflitto della nostra flotta era certamente molto gradita agli Stati Uniti per la benefica influenza che avrebbe avuto sulle possibilità navali alleate nel Pacifico (23 ). Sull'argomento Churchill tornava nel discorso tenuto alla Camera dei Comuni il 21 settembre 1943 nel quale così si espresse: « La resa della flotta italiana ha modificato in modo decisivo l'equilibrio navale nel mondo. Gli Alleati non solo sono entrati in possesso della floLta italiana, che potranno impiegare nel modo che riterranno più utile, ma hanno ottenuto anche la libera disponibilità della più forte flotta inglese già impegnata per fronteggiarla » (24). (21) Aga-Rossi - Op. cit. bibl. (22) Churchill - Op. cit. bibl. (!), pg. 127. (23) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1943, Vol. li, pg. 333 e 338. (24) In modo analogo si esprime lo storico ufficioso del Foreign Office, sir Llewllyn Woodward: « La resa della flotta italiana - egli dice (Op. cil. bibl. (Il), pg, 502, nota 1) - fu di immediata e grande importanza dato che essa liberò, per il loro impiego in Atlantico e in Estremo Oriente, un considerevole numero di navi alleate... L'opinione pubblica americana e quella inglese percepirono poco questo silenzioso cambiamento a favore degli Alleati verificatosi nella distribuzione del potere navale. Il Governo sovietico se ne rese invece pienamente conto e richiese una parte delle navi catturate». (Vedasi a quest'ultimo proposito il Cap. V, Sez. 5). Macmillan così scrive nelle sue Memorie (Op. cit. bibl., pg. 494): « La resa della flotta italiana fu senz'altro un grosso colpo».
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Capitolo III
LA DICHIARAZIONE DELL'ARMISTIZIO E IL TRASFERIMENTO A BRINDISI DEL GOVERNO
Nel precedente ca,pitolo si è veduto come la decisione di prendere contatti con gli Alleati per la nostra uscita dal conflitto e la conclusione delle relatìve trattative (svoltesi in un clima di assoluto segreto) siano state opera di un numero ristrettissimo d'« iniziati», che si avvalsero dell'opera di un altrettanto ristretto numero di collaboratori. Sia gli uni che gli altri appartenevano all'Esercito o al Ministero degli Esteri. Decisa che fu, nel pomeriggio del 1° settembre, l'accettazione delle condizioni iropostcci dagli Alleati, cosa fu fatto da questi «iniziati», in attesa che l'armistizio venisse dichiarato ed entrasse in vigore, per preparare gli animi alla grave notizia e, più ancora, per fronteggiare la prevista. reazione dei Tedeschi che, da alleati, si sarebbero trasformati in nemici? Nell'allegato 4 ho cercato di sintetizzare, in ordine cronologico, quello che fu fatto, ìn particolare dal Capo del Governo, maresc. Badoglio, e dal Capo di S.M. Generale, gen. Ambrosia, quali diretti responsabili, rispettivamente, della condotta politica e mìlitare del paese. L'esame di questo allegato Jascìa purtroppo la bocca amara perché porta alla sconcertante conclusione che, sia l'uno che l'altro, os·sessionati dal timore che la notizia dell'intervenuta stipulazione giungesse all'orecchio dei Tedeschi, continuarono a coprirla con il velo del segreto, il che fece si che non furono tempestivamente emanati ordini e predisposte misure per fronteggiare la prevista e temuta reazione delle Forze germaniche. Ecco quali furono, secondo le parole del gen. Ambrosia (1 ), le direttive che egli concretò in proposito fin dall'agosto e cui si attenne successivamente, anche dopo la firma dell'armistizio. « .. Un'attenta considerazione del problema generale e la prev1s10ne della reazione tedesca mi convinsero dell'assoluta necessità di mantenere il segreto, perché, se così non fosse avvenuto, noi avremmo avuto tutti (1) Ambrosio . Relazione del 15 dicembre 1943, riportata in stralcio da Castellano a pag. 150-151 del suo libro citato in bibliografia: « La guerra continua».
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i danni senza alcun vantaggio .. Del resto io già avevo avuto al riguardo una direttiva a carattere r estrittivo dal Capo del Governo: ciò malgrado, un orientamento generico avevo dato ai tre Capi di S.M. delle Forze Armate. In conseguenza le mie prime preoccupazioni furono quelle di: - mantenere il segreto presso gli enti periferici, anche a costo di inevitabili crisi e sacrifici (il Capo del Governo metteva nella previsione la perdita di mezzo milione di uomini); - mettere il Governo e la capitale in condizioni di sicurezza tali da poter sicuramente funzionare, almeno nei primissimi giorni dopo la dichiarazione dell'armistizio ... « Altro problema che subito si affacciò alla mia mente fu quello del contegno da tenere all'atto della dichiarazione. Si trattava infatti di decidere se passare senz'altro all'oHesa attaccando i tedeschi immediatamente dopo proclamato l'armistizio, oppure di limitarsi a reagire alla loro inevitabile offesa. « La prima soluzione sarebbe stata senz'altro più decisa e non avrebbe-dato luogo ad equivoci; però bisognava pensare che... tutto il lavoro di rovesciamento dell'animus delle truppe avrebbe richiesto del tempo e una propaganda che assolutamente non era possibile fare. « In armonia con le decisioni del Capo del Governo, concretate poi nel proclama fatto all'atto della dichiarazione dell'armistizio, decisi qujndi 'la seconda soluzione, quella cioè, di limitarsi a reagire alle offese nemiche». Conseguenza di questa linea di condotta fu che la notizia della conclusione dell'armistizio data da Eisenhower e, successivamente, da Badoglio nella serata dell'8 settembre fu per tutti - salvo che per i pochissimi «iniziati» - un fulmine a ciel sereno. E infatti non solo i Ministri civili (eccetto quello degli Esteri) e la quasi totalità dei Capi militari erano stati tenuti completamente all'oscuro, anche dopo la loro conclusione, dei contatti presi con gli Alleati per uscire dal conflitto, ma perfino ai tre Ministri militari (2) (cui soltanto il 3 settembre era stato detto, sotto il vincolo del segreto, che erano in corso trattative per un armistizio) era stato taciuto che esso era stato firmato. Ad aumentare lo smarrimento provocato da tale situazione intervenne l'improvvisa decisione presa dal Re - su pressioni di Badoglio di fronte all'incombente minaccia tedesca, d'abbandonare Roma e di trasferirsi con lui e i Capi militari nell'Italia meridionale (3). {2) Quello della Marina e quello dell'Aeronautica erano anche Capi di S.M. della relativa Forza Armata. (3) Badoglio scrive nelle sue Memorie (Op. cit. bibl. pg. 115) che - tenuto conto della situazione militare venutasi a determinare in seguito alla violenta reazione tedesca - « se il Governo fosse rimasto a Roma, la sua cattura sarebbe stata inevitabile e i tedeschi si sarebbero affrettati a sostituirlo con un Governo fasci sta che avrebbe subito provveduto ad annullare l'armistizio». Per evitare questa « disastrosa eventualità che avrebbe significato la completa rovina dell'Italia». e per evitare altresì che Roma divenisse un campo di battaglia, « con
65 « Nella notte fra 1'8 e il 9 settembre - è stato scritto (4) Badoglio pensò soltanto a seguire il Re e non si curò affatto di dare ai ·s uoi dipendenti che rimanevano né ordini né direttive per l'esecuzione dell'armistizio da lui stipulato; né come e dove organizzare la resistenza, se resister si doveva; né come e dove ripiegare, se resister non si poteva. Capovolgere improvvisamente il fronte, affrontare come nemico l'alleato di ieri e col nemico di ieri collaborare come alleato è in ogni caso impresa difficile e rischiosa; mettersi in siffatta impresa dopo tre anni di guerra e una serie di rovesci, senz'armi adeguate, con estrema penuria di munizioni e di trasporti, mentre era in corso una profonda crisi di regime e il morale era estremamente depresso, moltiplicava le difficoltà. Il Capo del Governo, allontanandosi in queste condizioni senza lasciar ordini, provocò l'anarchia » (5 ). Quello che accadde di fronte alla fulminea, organizzata, decisa e talvolta spietata reazione tedesca è cosa nota. « L'unica che scampò allo sfacelo è stato scritto (6) - fu la flotta, la quale, ricevuto l'ordine di uscire dai porti e di dirigersi a Malta, lo eseguì con una disciplina e uno spirito di sacrificio che meritano incondizionata ammirazione. Da Spezia, da Genova, da Taranto, da Pola navi da battaglia, incrociatori, esploratori, siluranti, M.A.S., salparono portando al picco il pennello nero e si ricongiunsero a Malta» (7).
Quale era la situazione della nostra flotta all'8 settembre? Essa risulta in dettaglio dall'allegato 5 nel quale sono riportate le l'immancabile seguito di incendi e di rovine», vi era una sola via, egli conclude: « partire e tentare di raggiungere il Sud per prendere e mantenere il contatto con gli anglo-americani», anche se questa decisione « per quanto logica, aveva in sé qualcosa di repulsivo ». (4) Salvatorelli e Mira. Op. cit. bibl., pg. 259. (5) « L'Italia non trovò in quelle ore tragiche della sua storia, l'Uomo e gli Uomini. Per i nostri Capi responsabili gli avvenimenti furono decisamente più grandi di loro. Essi invece di dominare gli eventi, ne furono travolti » (Musco Op. cit. bibl (II) pg. 158). (6) Zanussi - Op. cit. bibl., pg. 247. (7) Ecco altri giudizi sul comportamento della Marina. « La nostra Marina scrive Torsiello (Op. cit. bibl. pg. 286) - diede, e potè dare, un vivo esempio di obbedienza concorde e di elevata compattezza morale. Fu una severa prova di disciplina, facilitata anche dalla tempestiva diramazione degli ordini. .. La forza essenziale su cui l'obbedienza si basò (a parte le condizioni specifiche che la resero possibile, specialmente per quanto concerne la partenza deNe navi) è semplicemente da ricercarsi nello spirito di disciplina, nella coesione, nell'abnegazione: un'obbedienza non cieca né assoluta, ma fatta di riconoscimento ferreo della legge dell'onore, nel rispetto delle gerarchie e in una reciproca fi. ducia e pien~ comprensione fra superiori e inferiori, in una corrente altamente umana di solidarietà, di comprensione del dovere, essenza di ogni soldato degno di questo nome, che seppe fondere armonicamente le volontà di tutti in una volontà sola... Questa fu la forza vera su cui poggiò l'obbedienza, che fece superare crisi di coscienza, difficoltà di ogni specie, e che consentl di affrontare il rischio con la piena consapevolezza di ogni possibile sacrificio. E' un riconoscimento che tutti gli Italiani debbono tributare alla Marina, e sul quale tutti i giovani debbono meditare».
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unità in servizio (escluse quelle ausiliarie ) con l'indicazione di quali di esse erano « pronte all'impiego» e quali non lo erano (8). I dati profferti da tale allegato possono sintetizzarsi come segue: Tipi di unità
Non pronte all'impiego
Pronte all'impiego
Totale
nr.
tonnellate
nr.
tonnellate
nr.
tonnellate
23 11 27 9 23
24.000 20.320 3.235 17.895 17.014 7.340 19.823 540 450
20
2.382
7 2 10 23 55 25 66 36 48 4 43
202.680 20.320 56.424 38.546 39.466 16.720 43.588 2.160 933 140 3.056
128
111.999
319
424.033
Cor. Incr. A Incr. B Ct. Torp. Corv. Smg. M.S. M.A.S. M.E. V.A.S.
6
178.680
1 2
12 32 14 39 27 25 4 23
53.189 20.651 22.452 9.380 23.765 1.620 483 140 1.674
1 11
Totale
191
312.034
-9
-
-
-
La situazione della flotta, ad esecuzione avvenuta dell'armistizio, ri« Nella notte fra 1'8 e il 9 settembre - scrive Musco (Op. cit. bibl. II, pg. 140) l'ammiraglio de Courten indirizzò alla flotta un fiero, nobilissimo messaggio di incitamento e invito all'obbedienza per il bene supremo della Patria ... « A Roma il Sottocapo di S.M., ammiraglio Luigi Sansonetti, seguì senza soste la situazione; mantenne i collegamenti con le basi anche le più lontane; diede incessantemente ordini per indirizzare il naviglio in situazioni difficili e per l'applicazione delle clausole armistiziali. « La Marina resisté, con o senza appoggio di elementi dell'Esercito, a Livorno, all'Elba, a Piombino, a Gaeta, a Napoli, in Corsica, in Sardegna e in altre località. Dappertutto diede un magnifico esempio di coesione, disciplina e coraggio ». « All'oridine di salpare le ancore dopo l'armistizio e di trasferirsi nei porti alleati - scrive Monelli (Op. cit. bibl. pg. 266) - la Marina ubbidi senza tergiversare, mentre coraggiosi ufficiali rimasti a terra, alla Spezia e in altri porti, misero mano subito a distruzioni e occultamenti per impedire ai Tedeschi di servirsi del materiale abbandonato; solo pochissimi smarriti o ambiziosi passarono daIJa parte del nemico; la Marina fu subito una poderosa forza intatta e volenterosa al servizio degli Alleati; la nostra bandiera al picco di navi correnti libere i mari fu il primo segno della rinascita». « Il comportamento della Marina Militare nelle vicende dell'8 settembre 1943 - scrive il col. Cruccu (Uff. Stor. Eser. · Op. cit. bibl. (III), pg. 78) fu pari alle sue illustri tradizioni marinare e di fedeltà alla Nazione. « Nella notte fra 1'8 e il 9 settembre, da tutti i porti italiani la flotta iniziò il movimento per raccogliersi a Malta o presso le altre basi degli anglo-americani, in ottemperanza agli ordini ricevuti dal Governo, ordini che davano esecuzioni alle clausole dell'armistizio. Il movimento avvenne nella più assoluta disciplina da parte di tutti i marinai, dal Comandante in Capo, che nell'operazione trovò la morte, all'ultimo gregari.o, mentre sulle navi si abbatteva l'ira dei tedeschi che le attaccarono reiteratamente dall'aria, dal mare e con le batterie costiere... Su tutte le navi da guerra che si raccolsero a Malta o nelle altre basi non venne mai ammainata la Bandiera italiana e il comando di esse rimase agli ufficiali che ne erano investiti » . (8) Non tenendo conto delle navi ausiliarie, all'8 settembre 1943 vi erano
67 sulta dalla tabella riportata nella pagina seguente dalla quale si può rilèvare che, in linea di massima, tutte le navi « pronte all'impiego » e una certa aliquota di quelle« non pronte » obbedirono all'ordine di trasferirsi in porti sotto controllo alleato o rimasti sotto quello italiano (9). Per quanto riguarda quelle che, impossibilitate a muoversi, rimasero in porti passati sotto controllo tedesco può dirsi che in forte percentuale furono autoaffondate nei porti o vennero sabotate. Per quanto riguarda la Marina mercantile il Ministero delle Comunicazioni (da cui essa all'epoca dipendeva) la sera stessa dell'8 settembre interessò le Capitaneria di porto perché ordinassero ai Comandanti e agli equipaggi delle nostre navi mercantili di partire subito per i porti indicati dagli Alleati oppure di sabotarsi o di autoaffondarsi, qualora la partenza fosse riuscita impossibile e fa cattura da parte tedesca fosse apparsa inevitabile. Il carattere inaspettato dell'ordine e l'immediata reazione tedesca fecero però si che l'ordine stesso, anche dove riuscì ad arrivare regolarmente, fosse di non facile esecuzione. Ciò nonostante diverse navi furono sabotate e qualcuna anche importante (ad es. le motonavi Saturnia e Vulcania da 24.000 T.S.L.) riuscì a prendere in tempo il mare per raggiungere la zona occupata dagli Alleati (10).
in costruzione o in allestimento 118 unità, ed esattamente 1 corazzata, 2 portaerei, 6 incrociatori B, 11 cacciatorpediniere, 16 torpediniere, 32 corvette, 41 sommergibili, 1 M.S. e 8 V.A.S. Tutte queste unità andarono praticamente perdute (Uff. Stor. Mar. Mil. . « Navi militari perdute» - s• ed. - Roma, 1975, pg. 159 e seg.). (9) La gran massa di unità si trasferì a Malta; di qui una parte (2 corazzate, 4 incrociatori e 4 Ct) dopo alcuni giorni fu fatta proseguire, per ragioni logistiche, per Alessandria d'Egitto. « Le disposizioni di dettaglio di disarmo» previste dall'armistizio per le nostre unità furono così attuate a Malta: a) Rimozione dai cannoni (eccezion fatta per quelli antiaerei) delle toppe; dai siluri, daJie bombe di profondità e dalle mine, degli acciarini e degli inneschi. Sbarco del materiale rimosso, unitamente alle relative dotazioni di riserva. b) Sbarco delle cariche di autoaffondamento e di distruzione. e) Inutilizzazione degli aerei imbarcati. d) Inutilizzazione degli apparati R.T. (salvo uno di limitata portata per le comunicazioni nell'ambito portuale) e chiusura delle stazioni R.T. e) Per i sommergibili, aumento al massimo della riserva di spinta da ottenersi vuotando le casse di zavorra e di assetto. Il materiale sbarcato doveva esser reimbarcato in caso di trasferimento dell'unità. Le misure di cui sopra dovevano esser attuate dai Comandi di bordo sotto la loro responsabilità; il Comando aJieato si riservava però il diritto di effettuare visite di controllo, qualora lo avesse ritenuto necessario. All'arrivo delle unità furono inoltre inviati a bordo picchetti di controllo, che vennero però ritirati dopo 2-3 giorni, sostituendoli, ove del caso, con un ufficiale di collegamento. Misure analoghe, ma più severe nell'applicazione, furono disposte per le dieci unità fatte proseguire per Alessandria d'Egitto. (10) Flore - Op. cit. bibl., pg. 515-516.
SITUAZIONE DELLA FLOTTA ITALIANA DOPO L'ESECUZIONE DELL'ARMISTIZIO
Tipi di unità
Navi rimaste o trasferitesi in porti sotto controllo italiano o alleato
Navi recatesi in porti spagnoli
n.
tonnellate
n.
tonnellate
5
143.120
-
-
-
-
-
Cor. Incr. A
-
Navi andate perdute in seguito a combattimento nei giorni dell'armistizio n.
Navi rimaste in porti sotto controllo tedesco (autoaffondatesi, catturate etc.)
000
Navi rimaste in porti sotto controllo giapponese
Totali I
tonnellate
n.
--
tonnellate
n.
tonnellate
n.
tonnellate
35.560
1
24.000
-
-
7
202.680
-
-
2
20.320
-
-
2
20.320
-
-
1
3.235
-
-
10
56.424
23
38.546
-
55
39.466
25
16.720
3
3.079
66
43.588
36
2.160
- I
Incr. B
8
49.773
1
3.416
Ct.
9
14.868
3
4.938
2
3.308
9
15.432
-
Torp.
27
18.965
3
2.663
2
1.220
23
16.618
-
Corv.
19
12.730
-
-
-
6
3.990
-
Smg.
38
25.784
-
600
24
14.125
M.S.
22
J.320
-
840
-
26
507
-
-
-
14
M.A.S.
-
22
426
-
-
48
933
M.E.
4
140
-
-
-
-
-
-
-
-
4
140
V.A.S.
15
1.020
-
-
6
408
22
l.628
-
-
43
3.056
Totali
173
268.227
7 (a)
11.017
12(b)
41.096
124
100.614
3.079
3191
424.033
1
-
3
Note (a) Le unità che si recarono nei porti spagnoli furono: Incr. Regolo; Ct. Mitragliere, Fuciliere e Carabiniere; Torp. I mpetuoso, Pegaso e Orsa. Le Torp. Impetuoso e Pegaso l'l l settembre, uscite dalla baia di Pollensa, si autoaffondarono al largo. (b) Queste unità furono: Cor. _Roma; Ct. Vivaldi e Da Noli; Torp. Sella e T. 8; Smg. Topazio (affondato per errore da un aereo britannico il 12 settembre); V.A.S. 208, 214, 219, 220, 234 e 247.
69 Il pomeriggio del 10 settembre la corvetta Baionetta con a bordo il Re, il Capo del Governo, maresc. Badoglio, il Capo di S.M. Generale, gen. Ambrosio, i tre Capi di S.M. e gli ufficiali imbarcati verso la mezzanotte a Ortona (una sessantina di persone), giungeva a Brindisi che diventava da quel momento, e tale sarebbe rimasta per alcuni mesi, la capitale del cosiddetto Regno del Sud. A Brindisi il maresè. Badoglio era raggiunto poche ore dopo il suo arrivo da un messaggio del gen. Eisenhower. « L'inefficienza e la passività del Governo di Badoglio durante i primi e critici giorni dell'invasione a Salerno - è stato scritto (11) - provocarono profonda delusione al Quartiere Generale delle Forze alleate. Il pomeriggio del 10 settembre il generale Eisenhower inviò perciò al maresciallo Badoglio il seguente messaggio nella speranza di spingere all'azione gli italiani. « Tutto il futuro e l'onore dell'Italia dipendono da quello che le vostre Forze Armate sono ora pronte a fare. I Tedeschi si sono definitivamente e deliberatamente schierati contro di voi. Essi hanno mutilato la vostra flotta e affondata una delle vostre navi; essi hanno attaccato i vostri soldati e occupati i vostri porti. I Tedeschi sono ora attaccati per terra, per mare e, in misura sempre maggiore, ·dall'aria. Questo è il momento di colpire. Se l'Italia si leva ora come un sol uomo, piglieremo ogni Tedesco per la gola. Sollecito Vostra Eccellenza a rivolgere immediatamente un vibrante appello a tutti i patrioti italiani. Essi hanno già fatto molto localmente, ma l'azione sembra non coordinata e incerta. Essi necessitano di una guida illuminata e, per combattere, occorre un appello che chiarisca al Vostro popolo la situazione quale essa è ora. Vostra Eccellenza è il solo che può far ciò e dare un aiuto a liberare l'Italia dagli orrori di un campo di battaglia. La sollecito ad agire adesso; un ritardo sarà interpretato dal comune nemico come debolezza e mancanza di decisione ». A questo messaggio faceva seguito, il giorno successivo un messaggio comune di Roosevelt e di Churchill al maresc. Badoglio con il quale essi lo invitavano a guidare iI popolo italiano contro il Tedesco invasore. Lo stesso giorno 11 settembre, il Re e il maresc. Badoglio rivolgevano agli italiani i seguenti proclami! Ecco quello del Sovrano. « Italiani! « Per il supremo bene della Patria, che è stato sempre il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell'intento di evitarle più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di un armistizio. « Per la salvezza della capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col Governo e con le autorità militari mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale. (Il) Garland . Op. cit. bibl., pg. 535.
I
70 •
« Italiani!
« Faccio sicuro affidamento su di voi per ogni evento come voi potete contare sino all'estremo sacrificio sul vostro Re. « Che Iddio assista l'Italia in quest'ora grave della sua storia ».
Ecco il proclama del maresc. Badoglio: « Italiani! « Nell'annunciarvi la sera dell'8 settembre la conclusione dell'armistizio io avevo precisato che le nostre Forze Armate non dovevano più compiere atti di ostilità contro le truppe anglo-americane, ma dovevano essere pronte a reagire contro chiunque le attaccasse. « Le Forze Armate tedesche, non appena noto l'armistizio, hanno violentemente occupato città e porti e svolto contro di noi azioni aggressive, sia in terra che in mare e in cielo. « Italiani! « Il momento è molto grave e solo virili decisioni possono salvare 1'1 talia. « Perciò ad ogni atto di imperio e di violenza si risponda in pari modo e con la massima energia. « La mente e il cuore di tutti siano concordi e protesi verso il sacro compito di non lasciar soffocare il nostro Paese ». Sempre l'undici settembre il gen. Roatta, nella sua veste di Capo di S.M. dell'Esercito, diramava l'ordine per radio e per aereo (a mezzo di volantini), di« considerare le truppe tedesche come nemiche». Ma era ormai troppo tardi; la dissoluzione dell'Esercito era già molto avanzata e non era più possibile arrestarla. Questo collasso, ha scritto il Garland (12), « non solo facilitò i piani di Kesselring e gli permise di rivolgere tutta la sua attenzione all'invasione alleata a Salerno, ma privò .anche il Re e il Governo Badoglio degli argomenti che essi avrebbero potuto invocare per raggiungere una miglior posizione nei negoziati con gli Alleati » (13). « Certo, è stato scritto (14 ), - il Governo del maresciallo Badoglio era un Governo e Brindisi era la sede del Governo italiano, ma si trattava di astrazioni giuridiche le quali, per quanto essenziali nei rapporti politici con l'interno e l'esterno, non trasformavano un uomo con alcuni collaboratori in un effettivo Governo dotato di uffici operosi. In concreto a Brindisi si aveva una rappresentanza politica dello Stato italiano e un Comando militare». Ed infatti , dei membri del Gabinetto, solo il maresc. Badoglio e i Ministri della Marina e dell'Aeronautica (l'amm. de Courten e il gen. (12) Garland - Op. cit. bibl. ,pg. 536. ( 13) In una affrellata relazione da Brindisi sulla situazione militare italiana, in data 15 settembre, il gen. Mason MacFarlane, capo della Missione militare alleata giunta in detta città due giorni prima, così concludeva: « Fatta eccezione per la flotta, l'effettivo aiuto militare che possiamo ottenere sarà zero (nil) » (Garland - Op. cit. bibl., pg. 543). ( 14) degli Espinosa - Op. cit. bibl., pg. 40.
71
Sandalli) avevano raggiunto Brindisi (15). Il territorio su cui il Governo di Brindisi estendeva i suoi poteri era limitato alla Sardegna e alle quattro provincie pugliesi di Lecce, Taranto, Brindisi e Bari sulle quali, sebbene non ufficialmente, non si estendeva l'amministrazione del « Governo militare alleato dei territori occupati » (Allied Military Government of Occupied Territories - A.M.G.O.T.) (16). Aggiungasi che l'operato del nostro Governo era sottoposto alla vigilanza della « Missione militare alleata » (Allied Military Mission) istituita presso lo stesso, la quale, con a capo il generale britannico Frank Noel Mason MacFarlane, era giunta a Brindisi il mattino del 13 settembre (17).
(15) Durante questo periodo furono stretti collaboratori del ministro de Courten - del quale costituivano il Gabinetto - il cap. vasc. T. Baslini, il ten. vasc. E. Brizzi e il ten. di porto F. Bozzini. (16) L'A.M.G.0.T. era l'organismo creato dalle Potenze alleate per amministrare i territori occupati, liberando da questo peso le truppe combattenti e ponendosi come scopo primario « la sicurezza delle Forze di occupazione e le loro linee di comunicazione ». Il non aver esteso i poteri di questo organismo ai territori sopra indicati trasse origine evidentemente dall'interesse politico degli Alleati che il Governo di Brindisi da essi riconosciuto, come effettivamente era, il legittimo Governo italiano, non fosse ulteriormente indebolito, cosa che si sarebbe senza dubbio verificata se ad esso non fosse stata lasciata una piccola parte del territc.tio nazionale su cui esercitare la sua potestà, sia pure sotto vigilanza alleata. ('17) Era compito della missione di « trasmettere al Governo italiano le istruz.ioni militari del Comandante Supremo [alleato], di raccogliere informazioni e di trasmetterle [al predetto Comandante] e di promuovere quella coordinata azione contro i tedeschi delle Forze Armate e delle popolazioni italiane che fosse possibile ottenere» (« Foreign Relations ,,, cit. bibl., 1943, vol. Il, pg. 407). Capo della missione - istituita il 12 settembre - era il generale britannico Frank Noel Mason MacFarlane, che aveva come Capo di S.M. il generale americano Maxwell D. Taylor. La missione era divisa in cinque sezioni: militare, navale, aeronautica, comunicazioni e politica. Cessò la sua attività itl 9 novembre 1943. Le sue funzioni passarono aJJa « Commissione alleata di controllo» (Allied Contro! Commission . A.C.C.).
73
Capitolo IV L'ACCORDO NAVALE CUNNINGHAM - DE COURTEN (23 SETTEMBRE 1943) LA FIRMA A MALTA DELL'« ARMISTIZIO LUNGO» (29 SETTEMBRE 1943) LA DICHIARAZIONE DI GUERRA ALLA GERMANIA E LA COBELLIGERANZA CON GLI ALLEATI (13 OTTOBRE 1943)
1 L'accordo navale Cunningham - de Courten (23 settembre 1943)
Come si è precedentemente veduto, con il « memorandum di Quebec » gli Alleati avevano dichiarato che le condizioni armistiziali sarebbero state modificate in favore dell'Italia alla luce dell'importanza dell'aiuto che il Governo e il popolo italiani avrebbero realmente dato alle Nazioni Unite contro la Germania per la restante parte della guerra. L'occasione di prestare questa cooperazione si presentò prestissimo per la Marina. « Al tramonto del 13 settembre - scrive l'amm. Da Zara (1) - l'amm. Willis mi ha fatto dire che desiderava vedermi d'urgenza sulla Nelson. « Giungo a bordo verso le 19,00 e subito l'ammiraglio mi porta nel suo studio e mi fa una completa esposizione della situazione in Corsica dove truppe italiane stanno combattendo accanto ai Francesi per la liberazione dell'isola dai Tedeschi. Quindi, a nome dell'amm. Cunningham, mi chiede se sono disposto a inviare due caccia per rifornire di armi e munizioni le truppe italiane. « Mi rendo conto che la missione dei due caccia ha un valore pratico molto limitato e che essa ha, più che altro, il valore d'un gesto. « Proprio per questo l'aderire o no alla richiesta implica una responsabilità non lieve non essendo io a conoscenza della situazione generale, delle intenzioni del nostro Governo e delle sue vedute nei riguardi della condotta da tenere per preparare e favorire gli ulteriori sviluppi politici e mili tari della sua linea di condotta. (I) Da Zara Alberto - « Diario degli avvenimenti dal 6 settembre al 18 otto· bre 1943 » cit. bibl. L'amm. Da Zara era l'ammiraglio italiano più anziano fra quelli al comando di unità presenti a Malta dal 10 settembre al 18 ottobre 1943. Era imbarcato sulla Cor. Duilio, quale Comandante della 5' divisione.
74 « D'altra parte un rifiuto, mentre significherebbe rinuncia a priori a possibilità ricche di vantaggi, potrebbe aumentare la diffidenza degli Inglesi nei nostri riguardi e risolversi in un danno per la Nazione. « Senza l'apparenza della più piccola esitazione aderisco perciò alla richiesta dell'amm. Willis, mostrandomi contento della possibilità che mi si offre così repentina d'impiegare le nostre navi. Poiché però i due caccia debbono recarsi a Biserta per imbarcare le armi occorrenti, pongo come riserva che la missione sia approvata dal gen. Castellano che è in condizioni senza dubbio migliori delle mie per apprezzare la situazione (2). « L'amm. Will.is, palesemente soddisfatto della mia pronta adesione, approva il mio modo di vedere ... « Alle ore 02,00 del 14 settembre... i Ct. Legionario e Oriani partono per Biserta ... Al cap. vasc. Baldo (3) ho affidato una mia lettera per il gen. Castellano e gli ho dato incarico di illustrargli con maggiori dettagli il mio pensiero e le mie vedute circa la convenienza di facilitare e di accelerare quanto più possibile il processo di evoluzione in modo da giungere rapidamente a un preciso orientamento ... << Poche ore dopo ricevo dall'amm. Willis la seguente lettera: "My dear Admiral, I much appreciate the prompt way you acted on my request to sai! two of your destroyers last night. I feel sure that the use of these ships for the purpose we discussed can do nothing but good and will be a very definite contribution to the freeing of Italy from the clutches of the Germans " ». I due Ct. compirono regolarmente la loro missione portando in Corsica 30 tonnellate di munizioni destinate alle truppe italiane e 200 commandos americani. Si iniziava così la collaborazione della nostra Marina con le Forze Alleate (4 ), collaborazione che doveva divenire sempre più consistente nel quadro delle norme d'impiego stabilite dall'accordo intervenuto il
(2) Il 3 settembre, dopo la firma dell'armistizio, e prima ancora che i messaggi di Eisenhower e di Badoglio lo rendessero di pubblica ragione, per desiderio del primo era stata costituita presso il Comando in Capo delle Forze alleate la « Missione militare italiana», con compiti di collegamento con il Comando Supremo italiano. Capo della missione era il gen. Castellano. L'8 novembre 1943 fu costituita anche la « Missione navale italiana» presso il Comando in Capo navale delle Forze alleate in Mediterraneo (amm. A Cunningham). Capo di questa missione, fu il cap. vasc. E. Giuriati. Nel Novembre 1944 il cap. vasc. Giuriati fu sostituito nell'incarico dal parigrado F. Capponi. (3) Era il Comandante del Legionario e della 14· squadriglia Ct., della quale faceva parte anche l'Oriani. {4) Ad esser esatti il primo atto di collaborazione si ebbe il mattino del 13 settembre con il colloquio fra il caip. freg. A. Michelagnoli e l'amm. americano Hewitt (delle Forze alleate sbarcate a Salerno) per la collaborazione della 2• flottiglia M.A.S., di base a Capri, con le Forze stesse (Fioravanzo - Op. cit. bibl., (pg. 253 ). Ma la missione dei due Ct. Legionario e Oriani fu quella che ebbe maggiore influenza sul rapido evolvere dello stato d'animo degli Alleati verso la nostra Marina.
75 23 settembre fra l'amm. Andrew Cunningham e l'amm. Raffaele de Courten. Fin dai primi contatti avvenuti a Brindisi fra il Governo italiano e la Missione militare alleata, il primo aveva espresso il proprio vivo desiderio che la Marina da guerra e quella mercantile italiane potessero dare il loro contributo, in armonia con il « memorandum di Quebec », all'opera di resurrezione del Paese mediante la loro partecipazione allo sforzo bellico allealo contro la Germania. Il comportamento di questa ci dava infatti il diritto e il dovere di reagire con le armi, anche se ufficialmente non esisteva stato di guerra tra le due Nazioni. Da questa richiesta e dai vantaggi rilevanti che gli Alleati avrebbero ritratto dal poter impiegare al loro fianco le nostre due Marine, nacque l'incontro che ebbe luogo a Taranto il 23 settembre 1943, sull'Incr. Euryalus, tra l'amm. Andrcw Cunningham, Comandante in Capo delle Forze alleate del Mediterraneo (5), e l'amm. Raffaele de Courten (6). E' da rilevarsi che le condizioni d'armistizio a quella data vigenti erano esclusivamente quelle dell'« armistizio corto » di Cassibile il quale, come abbiamo veduto, conteneva le seguenti disposizioni per quanto riguarda specificamente le navi da guerra e mer~antili italiane: Art. 4 « Trasferimento immediato della flotta italiana ... nelle località che potranno esser indicate dal Comandante in Capo alleato, unitamente alle disposizioni dettagliate sul loro disarmo che saranno da lui stabilite ». (5) L'amm. Andrew Cunningham il mese seguente fu nominato « Primo Lord del Mare» (carica corrispondente alla nostra di Capo di Stato Maggiore) e fu sostituito, nella carica di Comandante in Capo navale delle Forze alleate del Mediterraneo, dal suo omonimo e cugino amm. John Cunningham. (6) L'amm. Cunningham ha così sintetizzato l'incontro (Op. cit. bibl., pg. 572): « Il 22 settembre partii da Malta per Taranto con un incrociatore per chiarire alcune incertezze circa la Marina da guerra e la Marina mercantile italiane. Il mio principale motivo di preoccupazione stava nel fatto che le condizioni della resa - l'« armistizio corto» firmato in Sicilia il 3 settembre - erano state preparate dai soldati senza consultare né me né alcuno del mio Stato Maggiore. In seguito a ciò diverse importanti questioni navali erano rimaste imprecisate. Il mio principale obiettivo era quello di ottenere che la Marina mercantile italiana (o quanto rimaneva della stessa) fosse utilizzata al più presto possibile per la causa alleata. Desideravo anche prendere accordi per le unità minori della flotta italiana, cacciatorpediniere e così via, onde utilizzarle in lavoro di scorta... « L'ammiraglio de Courten, il Ministro italiano della Marina, benché molto abbattuto, si dimostrò piacevolmente ben disposto e non ci fu difficile giungere ad un accordo. Poiché allora non v'era un Governo italiano riconosciuto, l'accordo fu redatto sotto forma di un documento tra l'amm. de Courten e me, documento noto come « l'accordo Cunningham-de Courten » ... « L'ammiraglio de Courteo si dimostrò successivamente persona d'onore che manteneva tutto quello che prometteva ... » (N.d.A. - L'affermazione dell'amm. Cunningham che non v'era un Governo italiano riconosciuto non è esatta. Il Governo Badoglio fu sempre riconosciuto dagli Alleati come il legittimo Governo italiano).
76
Art. 5 « Il naviglio mercantile italiano potrà esser requisito dal Comandante in Capo alleato per provvedere alle necessità del suo programma militare-navale». E' da ricordarsi altresì che l'« obiettivo fondamentale» che l'amm . de Courten si era proposto nel partecipare al convegno, era quello « di ottenere che la flotta italiana potesse al più presto riprendere la propria attività, nel quadro della liberazione del territorio nazionale, in condizioni onorevoli e tali da rispeltare il principio della sovranità nazionale» (7). All'inizio della riunione (8), che si svolse nella più completa cordialità, l'amm. Cunningham presentò all'amm. de Courten, pregandolo di esaminarlo e di presentargli le sue eventuali osservazioni e proposte, un « Memorandum of Agreement on the Employment and Disposition of Italian Fleet and Mercantile Marine», datato 19 settembre 1943. Il memorandum formò oggetto di un approfondito esame il quale si concluse con l'approvazione del documento così come presentato, salvo una piccola aggiunta, di cui sarà fatto cenno in seguito, al comma c) del paragrafo 1. Esso non venne però firmato dalle due parti; cosicché assunse il carattere di un « gentlemen's agreement » (9). L'accordo, riportato in allegato nel suo testo integrale (allegato 6), si componeva di un preambolo e di cinque paragrafi. Se ne riportano qui di seguito, con commento, i punti salienti. Preambolo
Si richiamava, quale fonte dell'accordo, all'armistizio, secondo il quale - si diceva nel memorandum - « ali Italian warships and the Italian Mercanti•l e Marine were placed inconditionally at the disposal of the United Nations », e al desiderio espresso successivamente dal Re d 'Italia e dal Governo italiano che le navi e la Marina suddette collaborassero con gli Alleati nel proseguimento della guerra. Nulla da dire per questa seconda parte; per la prima invece l'affermazione che le navi da guerra e la Marina mercantile italiane fossero state poste incondizionatamente a disposizione delle Nazioni Unite, (7) Rapporto dell'amm. dc Courten al Comando Supremo (fg. 1467 S del 27 settembre 1943). (8) Vi presenziarono, da parte italiana, anche l'amm. Bruto Brivonesi, Comandante in Capo del Dipartimento M.M. di Taranto, il cap. vasc. Ernesto Giuriati e il cap. corv. Gustavo Lovatelli quale interprete. (9) Vedasi in tal senso la lettera ufficiosa dell'amm. de Courten dell'8 agosto 1944 all'amb. Renato Prunas, Segretario Generale del Ministero Aff. Esteri. L'accordo ebbe peraltro un indiretto riconoscimento ufficiale due mesi dopo con l'atto di modifica firmato il 17 novembre 1943, come si vedrà in seguito, dall'amrn. de Courten, per l'Italia, e dall'amm. McGregor, per la Gran Bretagna. li Governo di Londra comunque non contestò mai l'accordo, che pubblicò anzi in un « Libro bianco• del novembre 1945 assieme agli altri documenti armisti7:iali (fatta eccezione per il « memorandum di Quebec») .
77
andava sicuramente al di là della lettera degli articoli 4 e 5 dell'armistizio in alto riportati, se non dello spirito dell'armistizio stesso, preso nel suo complesso. La nostra situazione era però tale che non era saggio irrigidirsi su questa questione di pura forma con il rischio di perdere gli indubbi vantaggi sostanziali che l'accordo presentava. Ben più gravi espressioni conterrà l'« armistizio lungo » che il maresc. Badoglio sarà costretto a firmare pochi giorni dopo a Malta. Paragrafo 1
I punti di rilievo di questo paragrafo erano tre: a) Si stabiliva il principio che quelle navi da guerra che fossero state impiegate per collaborare attivamente allo sforzo alleato (saranno poi praticamente tutte, salvo le corazzate) lo sarebbero state agli ordini del Comandante in Capo navale delle Forze alleate del Mediterraneo (10), secondo accordi da prendersi tra il Comandante in Capo delle Forze alleate (11) e il Governo italiano. Era questo un riconoscimento di completa parità morale con le altre Marine alleate, dato che queste, quando operanti nel Mediterraneo, erano tutte agli ordini del Comandante in Capo navale delle Forze alleate del Mediterraneo. Le navi che non fossero state impiegate, sarebbero state poste in riserva e dislocate in porti stabiliti, ove sarebbero state assoggettate a quelle « misure di disarmo » che fossero state ritenute necessarie. La disposizione riguardava essenzialmente le corazzate che gli Alleati non prevedevano di impiegare; il termine « misure di disarmo » era sostanzialmente eguale a quello usato dall'armistizio, il quale parlava di « disposizioni dettagliate di disarmo ». L'amm. de Courten chiese che, per ragioni etiche, non si parlasse di misure di disarmo » ma di « misure di sicurezza ». Nella sua relazione al Comando Supremo (fg. 1467 S del 27 settembre 1943) egli ha scritto: «La parte inglese ha concordato». Peraltro nel testo dell'accordo pubblicato dal Governo di Londra il 6 novembre 1945 continua a figurare il termine « measures of disarmament ». Evidentemente ci fu un malinteso oppure l'amm. Cunningham ci ripensò. b) L'accordo disponeva che l'Italia avrebbe dovuto restituire senza indugio, secondo le istruzioni che avrebbe ricevuto dal Comandante in Capo delle Forze alleate, le navi da guerra delle Nazioni Unite (leggi essenzialmente della Francia e della Jugoslavia) cne essa aveva catturato e che stava utilizzando. Questa restituzione, si precisa(<
(10) All'epoca, l'amm. Andrew Cunningham; dopo poche settimane e per tutto il resto della guerra l'amm. John Cunningham. (11) All'epoca, il gen. D.D. Eisenhower; successivamente al maresc. H.M. Wilson e il maresc. H.R.L.G. Alexander.
78 va, non avrebbe pregiudicato in alcun modo « i negoziati che potranno in seguito aver luogo per quanto riguarda il rimpiazzo di perdite di navi delle Nazioni Unite causate da azione italiana ». Alla prima parte della disposizione non poteva muoversi obiezione; la seconda parte poteva invece far rizzare un po' le orecchie ma, in fondo, la sua logica interpretazione era che l'Italia avrebbe potuto esser chiamata in futuro a effettuare il rimpiazzo di navi alleate di cui essa aveva provocato la perdita, ma che tale eventuale rimpiazzo avrebbe avuto luogo sulla base di negoziati tra l'Italia e l'altra o le altre Parti interessate. Era, tutto sommato, un principio non illogico e, come tale, accettabile. L'amm. de Courten chiese soltanto, e l'ottenne, che fosse precisato che i negoziati cui ci si riferiva fossero « negoziati tra i Governi ». c) L'ultimo comma del paragrafo era importante in quanto riconosceva chiaramente che le disposizioni dell'accordo costituivano una modifica delle condizioni armistiziali, precisando, giusta il « documento di Quebec», che la misura di questa modifica sarebbe stata in funzione della entità della collaborazione italiana. Il concetto che le disposizioni dell'accordo modificavano quelle armistiziali era riaffermato dal paragrafo 4. Paragrafo 2
In questo paragrafo si stabiliva che i rapporti tra il Comandante in Capo navale alleato del Mediterraneo e il Ministro della Marina sarebbero stati mantenuti da un ufficiale ammiraglio alleato (Flag Officer, Liaison) distaccato presso quest'ultimo (12). L'opera di questo alto ufficiale sarebbe stata integrata da quella di una piccola missione navale italiana di collegamento, da istituirsi presso il Comandante in Capo navale del Mediterraneo, come era previsto dal successivo paragrafo 4 (13). Paragrafo 3
Il paragrafo indicava in dettaglio il modo in cui le autorità alleate prevedevano di impiegare i vari tipi di unità. Si prevedeva di utilizzare quattro incrociatori e tutto il naviglio minore (Ct., Torp., M.A.S., dragamine, etc.). Non era previsto invece l'impiego delle corazzate, degli altri incrociatori e, almeno in un primo tempo, dei sommergibili.
(12) Sarà in seguito conosciuto sotto la sigla F.0.LJ. (Flag Officer Liaison Italy). (13) Come si è già detto, fu costituita 1'8 novembre e venne retta inizialmente dal cap. vasc. E. Giuriati.
79 L'applicazione dell'accordo fu poi pm ampia di quella suindicata. Infatti si può dire, in sintesi, che tutti i tipi di unità furono impiegati, eccezion fatta per le corazzate (14). Paragrafo 4
Si indicavano in sintesi, in questo paragrafo, quali sarebbero stati i riflessi che l'accordo - modificando i termini dell'armistizio avrebbe avuto sullo status della nostra Marina. « Una forte percentuale della Marina da guerra italiana - era detto testualmente - rimarrà in tal modo in attività di servizio, mantenendo la condotta delle proprie navi e combattendo a fianco delle Forze delle Nazioni Unite contro le Potenze dell'Asse » ( 15). Paragrafo 5
Il paragrafo si riferiva alla Marina mercantile e accoglieva anche per essa il principio di trattamento morale di parità con le Marine mercantili alleate. L'accordo stabiliva infatti che il nostro naviglio mercantile sarebbe stato messo in « pool » con quello alleato per esser impiegato, nel comune interesse, con bandiera ed equipaggi italiani e alle stesse condizioni stabilite per le navi delle Nazioni Unite. L'amm. de Courten chiese e ottenne che un nostro rappresentante facesse parte dell 'organo direttivo del «pool» (16 ). In sintesi può dirsi che con quest'accordo, « che modificava le condizioni d'armistizio», sia la Marina da guerra che quella mercantile (14) Su questo impiego più vasto del previs to influì senza dubbio Churchill il quale il 2 ottobre 1943 scriveva al Primo Lord dell'Ammiragliato e all'amm. Cunningham (Op. cil. bibl. ( [), pg. 214-215): « Non possiamo permettere alle unità della Marina italiana di restare oziose ad Alessandria o altrove». Proponeva quindi di utilizzare in Pacifico k due corazzate moderne tipo « Vittorio Veneto» e, per il bombardamento di difese terrestri nella Manica e nell'Oceano Indiano, le tre antiquate tipo « Duilio». « Gli incrociatori e le altre navi, concludeva, debbono esser utilizzati tutti a l massimo. Non possiamo peruTietterci di tenere in ozio nei porti del Mediterraneo navi d'alto valore bellico». (15) Da una lettera che il gcn . Eisenhower diresse il 18 settembre 1943 al Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani per sollecitare la definizione della politica alleata nei riguardi dell'Italia, si rileva che, a tal data, si doveva ancora decidere definitivamente se impiegare la nostra flotta con eçiuipaggi italiani o se procedere invece alla sua cattura. Eisenhower chiedeva infatti: « Per esempio, le unità dell'Esercito italiano debbono esser disarmate e disciolte in conformità dell'arrnisti1.io oppure debbono esser impiegate per aiutare attivamente le nostre forze? La Marina dovrà esser catturata o impiegata con marinai italiani?» ( « Forcign Relations » cit. bibl. 1943, Voi. II, pg. 369; Toscano - Op. cit. bibl 11). ,(16) In seguito a quest'accordo il I ottobre 1943 la Direzione Generale della Marina Mercantile tu trasferita dal Ministero delle Comunicazioni al Ministero della Marina. Direttore Generale ne fu nominato, con la stessa data, l'amm. squad. Pietro Barone.
80 italiane venivano inserite nello sforzo bellico alleato su piede di parità morale con le altre Marine « al fine di concorrere al proseguimento della lotta contro le Potenze dell'Asse» (17). L'importanza dell'accordo è ancora maggiore se si tiene conto che le sue clausole non erano il risultato di mercanteggiamenti tra le parti, ma erano quelle, con una piccola aggiunta, che ci erano state proposte dagli Alleati. Da questo momento le due Marine italiane erano legittimate a guardare serenamente al futuro e a dedicarsi ai loro nuovi compiti con l'impegno e la buona volontà necessari. Due giorni dopo la conclusione dell'accordo, il 25 settembre, il Sovrano indirizzava ai marinai il seguente messaggio. « Marinai d'Italia, or sono pochi giorni, e già sembrano secoli, voi avete lasciato in silenzio i nostri porti per obbedire, in perfetta disciplina, alle condizioni dell'armistizio, chiesto e accettato per il supremo interesse del Paese. « Ho condiviso tutta la profonda amarezza della vostra partenza ed ho offerto con voi alla Patria questa nuova dura prova di dedizione e di sacrificio. « Ora che, per il leale e generoso riconoscimento del Comandante in Capo anglo-americano, il mare, testimone e geloso custode del vostro valore, riudirà l'eco possente della vostra fede, vi giunga la voce grata e commossa del Re. « Nuove prove vi attendono, nuove glorie vi arrideranno. « Marinai d'Italia, dimostrate a tutti quanto ogni italiano può e sa dare per la libertà e la salvezza della Patria. Vittorio Emanuele» L'accordo, entrato in vigore il giorno stesso in seguito all'approvazione immediata datagli dal maresc. Badoglio, ebbe la sua prima attuazione il giorno successivo a Malta (di iniziativa delle autorità britanniche) con l'imbarco su sei Ct. inglesi d'altrettanti nostri ufficiali perché prendessero pratica con i metodi di scorta e i sistemi di segnalazione anglo-americani. Due giorni dopo, il 26 settembre, la M. S. 74 partiva da Brindisi con informatori da sbarcare in territorio sotto controllo tedesco e il piroscafo Pola salpava da Beirut per trasportare a Castelrosso militari alleati. Nel quadro dell'accordo era subito predisposto il rientro in patria da Malta e da Alessandria d'Egitto degli incrociatori, delle siluranti, del naviglio minore e di un'aliquota di sommergibili (per l'esattezza 9), (17) Le frasi tra virgolette sono riprese dal documento dei Governi di Lon· dra e di Washington al testo dell'accordo quando lo pubblicarono il 6 novembre 1945.
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rientro che ebbe inizio il 4 ottobre e che fu completato nel giro di crrca quindi giorni (18). Il rientro di queste unità consentì alla Marina di dare allo sforzo alleato nella guerra contro la Germania quella cooperazione di cui sarà indicato più avanti il consuntivo.
2. La firma a Malta dell'« armistizio lungo » (29 settembre 1943)
Nel mentre l'accordo fra i due ammiragli stava concretandosi nel modo favorevole per noi che abbiamo veduto, un altro del tutto diverso stava per esserci imposto: alludo al cosidetto « armistizio lungo » che i1 maresc. Badoglio - come egli scrisse a Roosevelt e a Churchill il 20 novembre 1943 - fu «costretto» a firmare a Malta il 29 settembre. Nel precedente capitolo secondo (1) è stata esposta in sintesi la storia dell'« armistizio corto » e dell'« armistizio lungo» ed è stato detto come, di fronte all'assoluta convenienza, per non dire necessità, di ottenere dal Governo italiano l'accettazione delle condizioni di resa prima del 9 settembre (data fissata fin dalla metà d'agosto per lo sbarco a Salerno) Roosevelt e Churchill autorizzassero il gen. Eisenhower a condurre e concludere le trattative sulla base dello « short armistice ». Nell'intesa però che, ottenuta la firma di questo documento, egli avrebbe dovuto richiedere al Governo italiano anche la firma del « long armistice », facilitato in ciò dall'ultima clausola dell'« armistizio corto », con la quale gli Alleati si riservavano di comunicare le condizioni di carattere politico, economico e finanziario che l'Italia avrebbe dovuto osservare. Nel quadro di queste direttive, il gen. Eisenhower il 3 settembre 1943, nel dare notizia al Comitato dei Capi di Stato Maggiore angloamericani dell'avvenuta firma del!'« armistizio corto », aggiungeva che « la sottoscrizione formale dell'" armistizio lungo" avrebbe avuto luogo in un momento conveniente per i piani operativi alleati>> (2). Quindici giorni dopo, ed esattamente il 18 settembre, il gen. Eisenhower, nel rivolgersi nuovamente al Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani per prospettare loro la necessità che fosse definita la politica alleata verso il Governo Badoglio, così si esprimeva: ( 18) Le corazzate Italia e Vittorio Veneto, con l'equipaggio ridotto a circa il 50 per cento, furono trasferite nel Gran Lago Amaro, nel canale di Suez, ove rimasero sino ai primi di febbraio 1947. Le corazate Duilio, Doria e Cesare, con l'equipaggio ridotto a circa il 40 per cento, restarono a Malta sino al giugno 1944. I sommergibili rimasti a Malta, con personale ridotto e con la nave appoggio Miraglia (sostituita il 18 ottobre dalla Quarnarolo). furono 14, ma anche essi vennero successivamente impiegati. {1) Vedasi Cap. II, Sez. 2.
(2) Garland . Op. cit. bibl., pg. 484.
82 « Il maresc. Badoglio afferma che l'Italia è ora "de facto", in stato di guerra... La principale questione che ci si presenta, e che ha collegamenti molto importanti con le nostre operazioni in Italia, è lo status da riconoscere all'Amministrazione Badoglio e all'Italia nel suo complesso. Questa importante questione di carattere politico guiderà tutta la nostra attività esecutiva, sia nel campo militare e politico. che in quello della propaganda. « Badoglio ha fatto più volte riferimento allo spirito del messaggio del 16 luglio del Presidente [Roosevelt] e del Primo Ministro [Chur· chili] (3 ). Egli ci fa notare che la sua Amministrazione sta coscienziosamente e lealmente applicando le condizioni dell'armistizio e che ha consegnato (has surrendered) la flotta italiana. Il popolo italiano e le Forze Armate italiane naturalmente considerano un armistizio sinonimo di cessazione delle ostilità; la sua Amministrazione invece sta conducendo la guerra contro i Tedeschi. Il popolo e l'Esercito italiani, chiede Badoglio, come potranno capire che questo è il loro dovere se non sarà riconosciuto all'Italia almeno lo status di cobelligerante? Molti dei problemi che ci si presentano in Italia e che influiscono direttamente sulle nostre operazioni militari dipendono dalla risposta che i nostri Governi daranno. Noi abbiamo come istruzioni di carattere generale quella di aiutare le unità italiane e i •s ingoli cittadini che resistono ai Tedeschi o che combattono contro di essi, nonché quella dell'impiego delle navi italiane. In esecuzione di queste istruzioni, con le divisioni italiane esistenti nella zona Calabria-Taranto stiamo costituendo un Corpo che sarà posto ·s otto il comando dell'Vlll armata e impiegato per la difesa fissa dei porti etc. Due o tre altre divisioni che si renderanno disponibili in conseguenza dello sgombero della Sardegna da parte dei Tedeschi, saranno impiegate in modo analogo successivamente. Le divisioni italiane in Corsica collaborano ora con le Forze francesi e stanno combattendo contro i Tedeschi. Due incrociatori italiani sono impiegati per il trasporto, con notevole rischio, di truppe e di materiali dal Nord-Africa alla Corsica (4). Tutto questo, tuttavia, necessario com'è per il nostro successo, è incompatibìle (inconsistent) con le condizioni dell'armi·s tizio e, siccome dovrò incontrarmi tra breve con il maresciallo Badoglio, dovrei poterlo rassicurare su numerose questioni che avranno profondi riflessi sulle nostre relazioni di carattere militare con l'Italia durante il periodo delle ostilità attive. Per esempio, le unità dell'Esercito italiano debbono esser disarmate e disciolte in conformità dell'armistizio oppure debbono esser impiegate per aiutare attivamente le nostre Forze? La Marina dovrà esser catturata o
(3) Vedasi Cap. II, Sez. 11. ( 4) Eisenhower sì riferiva evidentemente alla m1ss10ne compiuta in quei giorni, su richiesta delle autorità navali alleate, dai Ct. Legionario e Oriani. (Vedasi Cap. IV. Sez. I).
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impiegata con marinai italiani? Le organizzazioni paramilitari alleate lavoreranno con le corrispondenti organizzazioni italiane? ... « Ciò pone la delicata questione di come comportarci a questo punto per quanto riguarda la firma dell'« armistizio lungo ». Il maresc. Badoglio non comprende chiaramente la necessità di firmare questo documento. Nel suo pensiero l'imposizione di questo armistizio è incompatibile (inconsistent) con la cooperazione attiva italiana nello sforzo bellico contro la Germania». Eisenhower passava quindi a esporre il proprio punto di vista sulle soluzioni da adottarsi, punto di vista che sintetizzava come segue in un successivo telegramma del 20 settembre. « Nelle nostre future relazioni con l'Italia non vi sono che due alternative: 1) accettare e rafforzare il Governo legale d'Italia sotto il Re e Badoglio e considerare questo Governo e il popolo italiano quali cobelligeranti, ma con la loro attività militare sottoposta alla mia direzione, in armonia con le condizioni dell'armistizio, e, naturalmente, con la facoltà da parte mia di stabilire quelle condizioni militari, politiche e amministrative che, di tanto in tanto, ritenessi necessarie. Nei miei poteri sarebbe compresa - in base al disposto dell'art. 12 dell'« armistizio corto» - la facoltà di imporre, mediante direttive, quelle clausole dell' « armistizio lungo » che potessero rendersi necessarie per quanto riguarda i rifornimenti, l'impiego del naviglio, il campo economico etc.; 2) metter da parte questo Governo, istituire un Governo Militare alleato dell'Italia occupata e accettare i pesantissimi impegni connessi. « Di queste due alternative, sotto il profilo militare, raccomando fortemente la prima. Poiché il Governo Badoglio per divenire cobelligerente dovrebbe dichiarare guerra alla Germania e, praticamente quindi, al Governo fascista repubblicano, si avrebbe in tal modo un punto naturale di convergenza per tutti gli elementi desiderosi di combattere contro il fascismo. << I benefici che noi abbiamo già ottenuto con l'armistizio concludeva il gen. Eisenhower nel suo messaggio del 18 settembre - sono enormi. Abbiamo effettuato gli sbarchi in Calabria e a Taranto senza quasi combattere e, fra breve, avremo occupato Sardegna e Corsica: questo per non parlare della flotta. Tuttavia abbiamo di fronte a noi una dura e rischiosa campagna nella quale i nostri rapporti con gli Italiani possono significare per noi un successo completo anziché parziale... Mi rendo conto che la linea di condotta da me suggerita avrà ripercussioni politiche e potrà incontrare opposizioni e critiche notevoli. Mi raccomando però che il peso che sarà posto su di noi lo sia
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sulla base delle necessità militari, le quali, a mio parere, dovrebbero costituire il fattore predominante » (5). Quasi contemporaneamente il Governo di Londra faceva pressioni su quello di Washington perché si procedesse senza ritardo a ottenere dal maresc. Badoglio la firma dell'« armistizio lungo» (la cui paternità, come si è veduto, era britannica), il quale avrebbe dovuto prendere il posto di quello sottoscritto a Cassibile. A un passo ufficiale in questo senso fatto dall'ambasciata britannica a Washington il 16 settembre, aveva fatto seguito infatti, il successivo 21, un messaggio di Churchill a Roosevelt, messaggio che così suonava: « Sarebbe assai più facile per noi svolgere il nostro compito se l'atto integrale di resa [l'armistizio lungo]. anche se in certo qual modo superato, potesse esser firmato ora. E ' vero che molte clausole non possono venire adempiute dall'Amministrazione di Brindisi nell'attuale situazione, ma, a mano a mano che risaliremo la Penisola e trasferiremo il territorio conquistato al Governo italiano, questi problemi diverranno concreti. Non vogliamo metterci nella situazione di mercanteggiare su ogni nostra richiesta fatta a quel Governo. Più attenderemo e più difficile diverrà ottenere la firma dell'atto. Spero perciò che Eisenhower ottenga la firma di Badoglio al più presto possibile» (6 ). Il presidente Roosevelt era però riluttante a seguire il punto di vista britannico e, dopo essersi accordato con Churchill, il 22 settembre inviava al gen. Eisenhower, in risposta alla sua richiesta, le seguenti direttive da osservarsi nei riguardi del Governo italiano: a) ·sospensione sino a nuovo ordine della firma dell'« armistizio lungo»; b) autorizzazione a proporre di tanto in tanto sulla base delle necessità militari - l'alleggerimento delle clausole dell'armistizio allo scopo di mettere gli Italiani in grado di combattere con maggiore efficacia contro la Germania; e) riconoscimento al Governo italiano dello status di cobelligerante nella guerra contro la Germania (7), a condizione che esso dichiarasse guerra a questa e nell'intesa che ciò non avrebbe pregiudicato (5) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1943, Vol. II, pg. 367.371. Vedasi pure Toscano - Op. cit., bibl. (Il). H.L. Hopkins, la cui influenza alla Casa Bianca era tale da esser paragonata a. quella di Rasputin alla corte dello zar Nicola, avuta conoscenza della proposta di Eisenhower si espresse subito in senso contrario al suo accoglimento. « Spero che non incoraggerete Eisenhower a riconoscere l'Italia come cobelligerante, scrisse in un appunto per Roosevelt. Ciò la metterebbe al livello degli altri nostri alleati. Non ritengo che ci siano prove sufficienti per fidarsi di Badoglio e del Re ... Non vedo perché, se Eisenhower desidera impiegare navi ed equipaggi italiani, egli non lo faccia senz'altro, qualora ritenga di potersene fidare. Ma mi ripugna l'idea di veder legalizzata questa faccenda, sinché non si sia visto molto più chiaro su Badoglio e il Re». (Sherwood - Op. cit. bibl., pg. 345-346). (6) « Foreign Relations » - cit. bibl. . 1943, Voi. II, pg. 364-365 e 372-373. (7) Nel già citato messaggio del 21 settembre a Roosevelt Churchill aveva in proposito così scritto: « Il problema di dare al Governo Badoglio la posizione
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in alcun modo il diritto del popolo italiano a decidere, quando i tedeschi fossero stati espulsi dalla Penisola, la forma di governo desiderata; d) trasferimento delle funzioni del Governo Militare aJJeato e di quelle della Commissione Alleata di Controllo a una Commissione Alleata dipendente dal Comandante in Capo e avente il compito « di dare direttive e istruzioni di tanto in tanto al Governo Badoglio sui problemi militari , politici e amministrativi »;
e) incoraggiare un vigoroso impiego delle Forze Armate italiane contro la Germania. Senonché nel frattempo Churchill aveva interessato Stalin in merito alla sua proposta di far firma. e al più presto da Badoglio l'« armistizio lungo » e ne aveva ricevuto il pieno appoggio. Messo di fronte a questa nuova circostanza, Roosevelt si arrese e il 25 settembre modificò la clausola a) delle istruzioni inviate due giorni prima ad Eisenhower disponendo che fosse fatto firmare da Badoglio l'« armis tizio lungo» qualora ciò avesse potuto essere ottenuto sollecitamente» (8). Ma anche le clausole b) e d) delle istruzioni suddette furono praticamente rese inoperanti dalla posizione, più rigida ancora di quella britannica, assunta dal Governo di Mosca con sua nota del 26 settembre. In essa si diceva infatti che il Governo sovietico non vedeva il motivo di attenuare le condizioni dell'armistizio (cosa comunque che avrebbe potuto aver luogo soltanto con il consenso dei tre Governi) né di creare, al posto del Governo Militare alleato e della Commissione Alleata di Controllo, la Commissione Alleata indicata da Roosevelt (9). Praticamente quindi le istruzioni di cui trattasi furono ridotte a quelle c) ed e). Questi sono gli avvenimenti che portarono alla decisione alleata di convocare il maresc. Badoglio a Malta il 29 settembre per imporgli la firma dell'« armistizio lungo» e per esercitare pressioni perché l'Italia dichiarasse guerra alla Germania. Per quanto riguarda quest'ultima questione, Badoglio personalmente non era contrario a una decisione del genere per dimostrare agli Alleati che il Governo di Brindisi, il legittimo Governo italiano, era
di alleato non rientra nel nostro immediato programma. Basterà la cobelligeranza. Su questa base noi dovremmo lavorare per la graduale trasformazione dell'Italia in una effettiva forza nazionale contro la Germania, ma, come abbiamo detto, essa dovrà guadagnarsi il biglietto. I servizi utili resi [dagli Italiani) contro il nemico saranno da noi riconosciuti nel rivedere le condizioni armistiziali ». (« Foreign Relations » cit. bibl. - 1943, Voi. II, pg. 372-373). A questa presa di posizione contraria al riconoscimento dell'Italia come alleata, il Governo di Londra si attenne intransigentemente anche in seguito. (8) « Foreign Relations » cit. bibl., . 1943, Voi. II, pg. 376. (9) « Foreign Relations » cit. bibl. . 1943, Voi. II, pg. 377-378.
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cumpletamente schierato dalla loro parte (10). [I Re però era contrario a procedervi immediatamente, ritenendo che un passo così grave avrebbe potuto essere incostituzionale, se effettuato prima che il Governo fosse rientrato a Roma e che fosse stato ricostruito su basi più larghe (11). Questa almeno era il motivo ufficiale addotto dal Sovrano a giustificazione del suo atteggiamento, motivo che egli espose anche al gen. Mason MacFarlane in un colloquio che ebbe con lo stesso il 26 settembre. E però probabilmente nel vero degli Espinosa (12) quando dice che l'effettiva ragione del « no » del Sovrano doveva ricercarsi nel suo desiderio di negoziare la dichiarazione di guerra in termini di aiuti di armamento per le nostre Forze terrestri, di trasporto nel continente delle divisioni dislocate in Sardegna, di retrocessione di territori occupati etc. « Il Sovrano, egli scrive, non si opponeva alla guerra, ma soltanto intendeva che la guerra stessa, già iniziata in linea di fatto, venisse dichiarata, e quindi trasferita sul piano di diritto, soltanto in cambio di concessioni da parte alleata che fossero in sé dei guadagni e consentissero di combattere in modo consistente». Al fine di preparare Badoglio all'incontro, Eisenhower inviò a Brindisi il gen. Smith perché si incontrasse con lui, il che avvenne il pomeriggio del 27 settembre (13). In quest'incontro furono consegnate al maresciallo due copie del1' « armistizio lungo» facendogli presente che esso conteneva quelle condizioni di carattere politico, economico e finanziario che il Governo italiano si era impegnato di accettare con l'articolo 12 dell'« armistizio corto», dichiarazione senza dubbio vera ma anche reticente, perché il documento conteneva pure clausole militari diverse da quelle dell'armistizio di Cassibile. Gli Alleati riconoscevano, fu ammesso, che il corso degli avvenimenti aveva già reso inattuali alcune clausole, rna il documento doveva essere firmato per due ragioni: per soddisfare l'opinione pubblica alleata e per evitare ogni possibilità di futuri malintesi. La firma, venne aggiunto, era prevista in occasione dell'incontro che avrebbe avuto a Malta, due giorni dopo, tra il maresciallo e il gen. Eisenhower. In ogni modo, fu concluso, gli Alleati avrebbero applicato le clausole sottoscritte attenendosi allo spirito del « documento di Quebec», secondo il quale le clausole stesse sarebbero state modificate in favore dell'Italia in misura corrispondente all'entità del contributo da essa dato alle Nazioni Unite nella restante parte della guerra contro la Germania. Il maresc. Badoglio si riservò di parlare della cosa con il Re e di dare una risposta il mattino seguente. (10) Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 133. (11) Garland . Op. cit. bibl., pg. 547; Puntoni . Op. cit. bibl., pg. 174. (12) degli Espinosa - Op. cit. bibl., pg. 92. (13) Il gen. Smith era accompagnata dai due consiglieri politici del gcn. Eisenhower (H. Macmillan e R. Murphy) e dal gen. Mason MacFarlane, Capo della Missione Militare alleata presso il Governo di Brindisi.
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Il gen. Smith affrontò quindi gli altri problemi sul tappeto; in particolare quello della dichiarazione di guerra alla Germania da parte dell'Italia, con il conseguente riconoscimento a questa, da parte degli Alleati, della veste di cobelligerante. « In favore della dichiarazione di guerra alla Germania, - è stato scritto (14) - Badoglio apprezzò gli argomenti di Smith, vale a dire: l'acquisto da parte dei soldati italiani dello status di legittimi belligerenti (15) e la preparazione dell'opinione pubblica alleata a future modifiche delle condizioni d'armistizio. Smith disse che tali modifiche avrebbero potuto comprendere mutamenti nel Governo Militare alleato e il ritorno al Governo Badoglio dell'amministrazione della Sicilia ». Il mattino successivo Badoglio incontrò nuovamente gli emissari di Eisenhower ai quali comunicò che il Sovrano lo aveva autorizzato a firmare l'« armistizio lungo » ma che aveva confermato la sua posizione negativa circa la dichiarazione di g11erra alla Germania. Si riporta qui di seguito, nel suo punto saliente, la descrizione dell'incontro fattane dall'inglese Macmillan, data l'importanza della sua testimonianza su una questione .così delicata, quale quella trattata (16). « Il giorno dopo, 28 settembre, tornammo a vederci. Badoglio ci disse che ora poteva parlare a nome del Sovrano. Ciò che più contava, ci fece però osservare, era di riesaminare minuziosamente le 44 clausole dell'« armistizio lungo». Come maledissi gli esperti del Foreign Office! Molte di queste condizioni erano già inapplicabili. L'attuazione di numerose altre esulava dalle possibilità del Governo italiano ... Badoglio protestò ripetutamente contro il titolo, « Atto di resa», e contro l'articolo 1 (A), il quale stabiliva che le Forze italiane di terra, mare e aria, ovunque dislocate, si arrendevano incondizionatamente. Come riferii a Londra, egli disse... che la frase « resa incondizionata » non esisteva nell'« armistizio corto»; tirarla fuori adesso, dopo quasi quattro settimane, durante le quali gli Italiani avevano fatto del loro
(14) Garland - Op. cit. bibl., pg. 548. (15) Perché, secondo il diritto internazionale, sorga fra due Potenze lo
stato di guerra, con la conseguenza di far acquistare ai componenti le loro Forze Armate la veste di legittimi belligeranti, non è necessario che vi sia una formale dichiarazione di guerra ma è sufficiente che vi sia, da parte di una delle Potenze stesse, un atto di ostilità da cui risulti in modo non dubbio l'« animus bellandi •, la volontà cioè di far sorgere lo stato di guerra. Tenuto conto dell'atteggiamento assunto 1'8 settembre dalle Forze tedesche nei riguardi delle nostre e, successivamente, da queste ultime verso le prime, non v'è dubbio che, giuridicamente, tra Italia e Germania il 26 settembre era già in atto lo stato di guerra, anche se questa non era stata formalmente dichiarata. L'argomento addotto dagli angloamericani che con tale dichiarazione, e soltanto con questa, i nostri combattenti avrebbero assunto lo status di legittimi belligerani era perciò giuridicamente priva di ogni seria base. La verità è che agli Alleati non interessava tanto tutelare i nostri combattenti quanto avere da parte nostra un gesto di rilievo che servisse la loro propaganda. (16) Macmillan - Op. cit. bibl., pg. 506-507.
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meglio per osservare onorevolmente le clausole dell'armistizio firmato, sarebbe stato nocivo e persino pericoloso. Rispondemmo che avremmo cercato di s uperare queste difficoltà in un modo o nell'altro; il più semplice era quello di una lettera del generale Eisenhower nella quale egli riconoscesse, a nome dei Governi verso i quali era responbilc, l'effettivo cambiamento intervenuto, dopo il 3 settembre, nello status dell'Italia, che era divenuta da allora una collaboratrice delle Nazioni Unite ... Eravamo tutti contrari al wodo di procedere che ci era stato imposto, e nessuno più di Eisenhower. Ma fummo costretti ad andare sino in fondo» (17). Il pomeriggio del 28 settembre Badoglio si imbarcò sull'Incr. « Scipione l'Africano >• accompagnato dal gen. Ambrosio e dall'amm. de Courten, giungendo a Malta la mattina del giorno successivo» (18 ). Qui la regia della cerimonia era stata affidata all'amm. A. Cunningham. « I Governi inglese e americano, egli ha scritto (19), desideravano vivamente che i termini completi della resa fossero firmati da Badoglio con una certa solennità. Proposi che teatro della firma fosse una nave da battaglia della Forza H di Malta, ed Eisenhower mi incaricò di provvedere in proposito. A tutta prima pensai di alzare la mia insegna -sulla mia vecchia nave, la Rodney, ma poi decisi che l'incontro avvenisse sulla Nelson, nave ammiraglia di Willis. « Eisenhower, con il suo Capo di S.M., Smith; i tre Comandanti in Capo, Alexander, Tedder ed io; lord Gort, Governatore di Malta; il vice ammiraglio Willis e i signori Macmillan e Murphy si riunirono a bordo della Nelson il mattino del 29 settembre. Badoglio, de
(17) Questa descrizione coincide sostanzialmnete con quella lasciataci dal maresc. Badoglio (Op. cit. bibl., pg. 132-133), descrizione che, per completezza di documentazione, si riporta qui di seguito. « Verso il 26 settembre, scrive il maresciallo, si presentarono a mc i delegati di Eisenhower e mi presentarono il testo dell'armistizio nel quale, come essi affermavano, erano state conglobate le clausole militari con quelle politiche e amministrative. Presi un giorno di tempo per esaminare il documento; si trattava di un'alterazione delle condizioni firmate il 3 settembre... Chiamai i delegali alleali e dissi loro che il mio delegato non aveva mai concordato con il Comando alleato una resa senza condi1.ioni e che, cambiando ora, in modo così palese e grave, gli impegni reciprocamente presi, chi mancava alla parola data e alla firma apposta non era il Governo italiano ma erano quelli Alleati. Se siffatta azione avrebbe potuto esser in parte scusata, se compiuta dal vinto nella speranza di sottrarsi a gravami troppo pesanti, era senza alcun dubbio ingenerosa e non onorevole da parte del vincitore, con il quale, in quel momento, il vinto era in piena collaborazione. « L'amarezza e il dolore mi avevano tanto eccitato che i delegati alleati dissero subito che non erano essi i redattori di quel documento e che, ad ogni modo, io ne avrei discusso, prima di firmarlo, nell'incontro che tra breve avrei avuto col generale Eisenhower•. (18) Il gcn. Sandalli e il gen. Roatta si avvalsero di un aereo. (19) Cunningham - Op. cit. bibl., pg. 573.
89 Courten, Ambrosio e altri italiani erano già arrivati con un incrociatore italiano. Il maresciallo fu ricevuto dalla guardia d'onore dei Royal Marines e con l'equipaggio della « Nelson » schierato al completo in parata. Effettuate le presentazioni, scendemmo nell'alloggio con Badoglio per discutere le condizioni della resa ... Non so cosa sia stato detto nella conversazione privata tra Eisenhower, Smith e Badoglio, ma neanche allora si affrontò adeguatamente la questione del futuro (disposal) della flotta italiana. A questa omissione sarebbe stato poi posto rimedio - con mia viva contrarietà - aggiungendo una clausola al "Cunningham-de Courten Agreement" » (20). Cosa effettivamente si siano detto i tre nel loro incontro a quattr'occhi non si sa esattamente. Secondo la versione datane dal maresciallo (21), durante il colloquio (cui partecipò anche il gen. Mason MacFarlane), egli non mancò di osservare che il nuovo armistizio « portava una radicale modifica alle clausole militari già concordate», e di esporre gli argomenti che militavano contro tale modifica. Il gen. Mason MacFarlane, prima, e il gen. Eisenhower, dopo, pur riconoscendo che vi era effettivamente « un'alterazione nelle condizioni militari» (di cui essi non erano responsabili, non essendo i compilatori del nuovo documento) gli esposero però le gravi conseguenze che ne sarebbero venute all'Italia dalla mancata firma, dato che i loro Governi erano decisi a considerarla, in tal caso, « come una semplice Nazione vinta e in parte occupata » e ad agire in conseguenza. Di fronte a questo pericolo e alle assicurazioni di Eisenhower che non avrebbe consentito per il momento la pubblicazione del nuovo armistizio e che si sarebbe impegnato a fondo per far togliere da questo le espressioni mortificanti che non erano nel primo (22), Badoglio firmò. Dopodiché, scrive degli Espinosa (23 ), « si mise in tasca la copia del duro impegno accettato ... e non fece parola con nessuno del documento
(20) Allude evidentemente alla modifica in peggio del protocollo che il Governo italiano fu costretto ad accettare, e l'amm. de Courten a firmare, il 17 novembre 1943. Se ne parlerà più avanti. (21) Badoglio . Op. cit. bibl., pg. 145-148. (22) Della firma del « lungo armistizio» non fu data notizia che dopo un mese ( « Times ,, del 31 ottobre); il testo fu però tenuto segreto sino al 6 novembre 1945, malgrado le pressioni in senso contrario fatte sul Governo di Washington da quello di Londra nel novembre 1943. Le pressioni inglesi non ebbero seguito soprattutto per la fermezza di Eisenhower che si oppose alla pubblicazione (come si ricorderà, egli considerava l'imbroglio dell' « armistizio corto» e di quello «lungo» uno « sporco affare») dicendo che la questione non era politica ma militare. ( «Foreign Relations », cit. bibl. - 1943, Voi. Il, pg. 390-391, 396 e 398). La modifica al testo, per togliervi soprattutto la frase « resa incondizionata », avvenne, come vedremo, il 9 novembre 1943, ma fu subordinata all'accettazione da parte nostra (17 novembre 1943) di una modifica in peggio dell'accordo navale Cunningham-de Courten. • (23) degli Espinosa - Op. cit. bibl., pg. 87-88.
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firmato che per molto tempo rimase inesistente come egli si sforzava di renderlo » (24). Lo ·s tesso giorno Eisenhower gli indirizzò la seguente lettera (25). « Mio caro maresciallo Badoglio, le clausole dell'armistizio al quale noi abbiamo or ora apposto le nostre firme sono in aggiunta all'armistizio militare corto firmato dal suo rappresentante e dal mio il 3 settembre 1943. Esse sono basate sulla ·s ituazione esistente prima della cessazione delle ostilità. Sviluppi successivi hanno considerevolmente modificato lo status dell'Italia che è divenuta in realtà (in effect) un « co-operator » delle Nazioni Unite. « E' pienamente riconosciuto dai Governi a nome dei quali io agisco che queste clausole sono state superate sotto alcuni aspetti dai successivi avvenimenti e che parecchie sono cadute in disuso o sono già state eseguite. Noi riconosciamo anche che, nel momento attuale, il Governo italiano non può dare esecuzione ad alcune clausole; il non far ciò causa le esistenti condizioni non sarà considerato una mancanza di buona fede da parte dell'Italia. Tuttavia il documento da noi firmato rappresenta le richieste che il Governo italiano è tenuto ad osservare quando sarà in condizione di farlo. « Resta inteso che le clausole sia di questo documento che dell'armistizio militare corto del 3 settembre possono esser modificate di quando in quando se le necessità militari o la misura della cooperazione da parte del Governo italiano lo faranno ritenere desiderabile. « Sinceramente. Dwight D. Eisenhower ». La lettera evidentemente si proponeva di attenuare gli effetti negativi prodotti nell'animo del maresc. Badoglio dal boccone amaro che aveva dovuto ingoiare dandogli atto che l'Italia, con il suo comportamento dopo 1'8 settembre, era divenuta in realtà un « co-operator » delle Nazioni Unite e che alcune clausole del nuovo armistizio erano superate o già eseguite e che altre ancora non erano per il momento eseguibili, in considerazione dell'esistente situazione. Non mancava però di ricordare che il Governo italiano aveva il dovere di osservarle quando fosse stata in condizioni di farlo. Inoltre la forma indeterminata con cui era redatto l'ultimo periodo apriva la via alla possibilità per il vincitore, di modificare in peggio per noi, con suo atto unilaterale, le clausole dei due armistizi. E l'espe~ rienza recente non lasciava alcun dubbio sul modo in cui gli Alleati si sarebbero comportati qualora i loro interessi, militari o no, li avessero consigliati di avvalersi di tale possibilità.
(24) L'amm. de Courten ha detto all'autore del presente lavoro di aver avuto conoscenza del!'« armistizio lungo» soltanto nel marzo 1944. (25) Garland - Op. cit. bibl., pg. 549-550.
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Ultimato che fu il loro colloquio confidenziale conclusosi con la firma del « long armistice », Eisenhower e Badoglio, si riunirono con j loro consiglieri attorno al grande tavolo del quadrato ufficiali della Nelson per prendere in èsame tre grossi problemi sul tappeto: la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania, l'allargamento del Governo di Brindisi con elementi di sicura fede antifascista, la partecipazione delle truppe italiane alla guerra contro i Tedeschi (26). Sulla prima questione Eisenhower insistette perché l'Italia procedesse alla dichiarazione di guerra invocando, a sostegno di tale punto di vista, gli argomenti già esposti dal gen. Smith nel suo colloquio di Brindisi del 27 settembre. Aggiunse che, in ogni modo, per gli Alleati tale dichiarazione era la « conditio sino qua non » per la restituzione all'Italia dell'amministrazione dei territori italiani occupati dalle truppe alleate. Badoglio gli rispose che, personalmente, era d'accordo per la dichiarazione di guerra, ma questa materia era di esclusiva competenza del Re, al quale avrebbe riferito. Per quanto riguarda il secondo argomento Badoglio fece presente che l'idea del Sovrano era di integrare il Governo con i Capi dei singoli partiti esistenti in Italia e con le persone più influenti. In proposito aggiunse che era intenzione· del Re di avvalersi, come Ministro degli Esteri, di Dino Grandi, alla cui iniziativa in sede di Gran Consiglio del fascismo si doveva la caduta di Mussolini. Eisenhower gli rispose che sulla questione Grandi avrebbe riferito al proprio Governo e a quello britannico ma che, in ogni modo, sarebbe stato opportuno, per evitare motivi di attrito, che gli Alleati fossero informati preventivamente in via confidenziale dei nomi delle persone che si voleva chiamare al Governo. A sua volta caldeggiò per l'incarico di Ministro degli Esteri, il conte Sforza, quale persona gradita a Washington. Sul terzo argomento la discussione mise in evidenza l'ostilità britannica e la benevolenza americana sull'impiego dell'Esercito italiano nelle operazioni contro i Tedeschi. Eisenhower tuttavia, pur dichiarandosi favorevole a tale impiego, precisò che i nostri reparti sarebbero stati equipaggiati soltanto con le armi italiane cadute in mano degli anglo-americani; che solo una parte delle divisioni italiane, quella rappresentante cioè una «élite», ·s arebbe stata impiegata in vere e proprie operazioni belliche e che i restanti uomini sarebbero stati utilizzati, disarmati, nelle retrovie, nei porti, etc. (27). (26) Vedasi dettagliato resoconto della seduta redatto dal magg. Ruspoli (interprete) e dal magg. Maggini (stenografo) in Toscano - Op. cit. bibl., (Il) nonché (IV), pg. 108-118. (27) Si riporta qui di seguito il brano del verbale che interessa direttamente la Marina: « Ambrosio: chiedo notizie circa l'invio di sommergibili in Adriatico. MacFarlane (molto deciso): « Rispondo categoricamente di no perché il parere degli esperti è che l'Adriatico ha profondità troppo scarsa» (Ambrosio si rivolge a de Courten ma la cosa non ha seguito perché E isenhower pone fine alla seduta) ». (Toscano - Op. cit. bibl. (TV), pg. 117).
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L'incontro si chiuse così senza che si addivenisse ad alcuna conclusione, ma esso fu egualmente utile perché consentì alle due parti di discutere direttamente tre dei loro principali problemi politici e militari allora sul tappeto (28). « Nel pomeriggio, scrive Badoglio (29), andai insieme con il ministro de Courten a visitare le nostre navi che erano ancorate in una rada poco distante. « Rividi, con intensa commozione, quegli splendidi equipaggi che con tanto valore si erano battuti. Dissi agli Ufficiali parole di conforto, promettendo loro il massimo interessamento per farli al più presto rientrare in azione» (30). Il giorno seguente, 30 settembre, il Quartiere Generale delle Forze alleate diramava il seguente comunicato: « Ieri il Comandante in Capo alleato ha incontrato il maresciallo Badoglio per discutere questioni militari di mutuo interesse. La conferenza è stata tenuta a Malta ... Il principale argomento in discussione è stato il metodo per rendere più efficienti gli sforzi militari italiani contro il comune nemico tedesco. Alcune unità delle Forze militari italiane di terra, di mare e dell'aria sono già state impegnate contro il comune nemico» (31). Non può sicuramente dirsi che questo comunicato, ancorché ufficiale, fosse molto veritiero (32 ). Benché mirante probabilmente ad esercitare una pressione sul Governo italiano perché dichiaras·se guerra alla Germania, esso si risolse di fatto in un successo per il Governo stesso di fronte all'opinione pubblica che non sapeva come esattamente stessero le cose. Tacendo, come da promessa di Eisenhower, l'avvenuta firma del nuovo armistizio, ponendo intorno allo stesso tavolo il Comandante in Capo alleato e il Capo del Governo italiano
(28) In proposilo Macmillan ha scritto (Op. cit. bibl., pg. 508): « Il "lungo armistizio" non avrebbe mai dovuto esser formulato, e tutte le noie che ci trovammo a dover affrontare per farlo sottoscrivere furono solo una perdita di tempo. Quelli che si trovavano riuniti a bordo della magnifica nave di Sua Maestà sapevano che era così. Perciò la cerimonia vera e propria non riempì di soddisfazione alcuno degli interessati». · (29) Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 148. (30) degli Espinosa (Op. cit. bibl., pg. 88) così scrive in proposito: « Nel pomeriggio del giorno stesso il maresciallo Badoglio passò in rivista la flotta italiana, all'ormeggio fuori di Marsa Scirocco. In quell'occasione, i responsabili della vita italiana, passando in una motosilurante dinanzi alle navi da guerra dell'Italia, sentirono che lì, in quelle macchine solide e fini, in quegli uomini che le muovevano, era la riserva dalla quale l'Italia, come unità politica, poteva trarre nuova energia cli vita. Esse erano la vera mallevadoria con la quale l'Italia poteva rientrare nella società democratica ». (31) degli Espinosa · Op. cit. bibl., pg. 89. (32) Questo comunicato mi fa venire in mente la frase di Churchill (Op. cit bibl. (I), pag. 450): « In tempo di guerra la verità deve esser protetta da una cortina di bugie».
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per discutere questioni di comune interesse, dando come praticamente operante la cobelligeranza italiana a fianco degli Alleati, il comunicato poneva infatti il nostro Governo, e quindi l'Italia, su un piedistallo di indipendenza e di prestigio ben diverso da quello che effettivamente era.
3. Gli articoli dell' « armistizio lungo » interessanti specificamente la Marina. (1)
Nel capitolo II sono stati riportati gli articoli dell'« armistizio corto» che riguardavano specialmente la Marina Militare e quella Mercantile. Quesli articoli non furono sostituiti da quelli corrispondenti dall'«armistizio lungo » ma vennero da questi integrati, come risulta chiaramenle dai commi terzo e quarto del preambolo di questo documento, il cui Lesto è riportato nell'allegato 7. L'« armi-stizio lungo» era costituito - come è stato detto - da un preambolo e da 44 articoli. Di questi 44 articoli, 26 erano lo sviluppo, con innovazioni per alcuni, degli 11 articoli di carattere militare dell'« armistizio corto»; 10 erano di carattere politico, economico e finanziario che gli Alleati si erano riservati di far conoscere con l'articolo 12 dell'armistizio di Cassibile; 8 riguardavano l'istituzione di una Commissione di Controllo alleata presso il Governo italiano (2) e di una Missione italiana presso la suddetla Commissioni:! (3), la definizione .di alcuni termini (quali « Nazioni Unite», « territorio italiano» ecc.) e, infine, l'entrata in vigore e la scadenza dell'armistizio (4). In sintesi può dirsi che il complesso di quesli articoli conferi va agli Alleati pieni poteri sulla vita interna, finanziaria, economica e militare della Nazione (5).
(I) Il testo dell'armistizio fu reso di pubblica ragione contemporaneamente a Washington, Londra e Roma il 6 novembre 1945. (2) Suo compilo era quello di regolare e assicurare l'esecuzione delle norme armistiziali in conformità degli ordini e delle direttive generali del Comandante in Capo alleato. (3) Suo compito era quello di rappresentare presso la Commissione di Con· trollo gli interessi italiani e di trasmettere alle competenti nostre autorità gli ordini di questa. (4)Costiluivano il primo gruppo gli articoli da I a 22 nonché quelli numero 27, 28, 32 e 34; il secondo, gli articoli da 23 a 26, da 29 a 31 e 33, 35 e 36; il terzo, gli articoli da 37 a 44. (5) Macmillan (Op. cit. bibl., pag. 484) così ha definito il documento: « Era un documento formidabile, che conteneva dettagliate misure politiche, economiche e finanziarie e metteva quasi ogni aspetto degli affari italiani in mano degli Alleati per un periodo di tempo indefinito ».
94 Gli a r ticoli che riguardavano specificamente la Marina Militare e quella Mercantile erano gli otto qui di seguito riportati (6). Art. I « (A) - Le Forze italiane, di terra, mare e aria, ovunque dislocate, con questo atto si arrendono incondizionatamente». Nota - Questa clausola, squisitamente militare, 11011 esisteva nel1'« armistizio corto » e aveva quindi carattere di innovazione in peggio per noi.
Art. 3 « Il Comando Supremo italiano prenderà tutte le misure necessarie per proteggere ... le installazioni portuali ... dalla cattura da parte degli alleati dell'I talia (7) e dagli attacchi di questi ... Fatta eccezione per quelle Forze italiane il cui impiego, per gli scopi di cui sopra, potrà esser autorizzato dal Comandante in Capo alleato, tutte .le altre Forze di terra, mare e aria rientreranno o rimarranno nelle loro caserme, nei loro campi o sulle loro navi in attesa di disposizioni da parte delle Nazioni Unite per quanto riguarda il loro status e il loro trattamento. In via di eccezione il personale imbarcato si trasferirà in quelle installazioni a terra che le Nazioni Unite potranno indicare ». Nota - La prima parte dell'articolo (quel la, cioè, concernente la protezione delle installazioni portuali) era analoga a quella del secondo periodo dell'articolo 7 dell'« armistizio corto»; la seconda parte era nuova.
Art. 7 « Le navi da guerra italiane di ogni tipo, ausiliarie e onerarie comprese, saranno radunate, secondo gli ordini che verranno impartiti, nei porti indicati dal Comandante in Capo alleato e ne sarà disposto come verrà stabilito da quest'ultimo. (Nota - Se alla data dell'armistizio tutta la flotta italiana sarà già radunata in porti alleati, quest'articolo sarà del seguente tenore: « Le navi da guerra italiane di ogni tipo, ausiliarie e onerarie comprese, rimarranno, sino a nuovo ordine, nei por ti ove sono attualmente radunate e ne sarà disposto come verr à stabilito da i Comandante in Capo alleato » ). Nota - Quest'articolo era cor rispondente allo spirito, se non alla lettera, dell'articolo 4 dell' « armistizio corto ».
(6) Si omettono quegli articoli che riguardavano tutte e tre le Forze Armate, quali quelli della cessazione immediata delle ostilità, della smobilitazione delle forze eccedenti, della comunicazione agli Alleati dei luoghi ove erano dislocate nostre Forze Armale; della liberazione dei prigionieri di guerra alleati ecc. (7) Cioè da parte dei Tedeschi e dei loro alleali.
95 Art. 9 « Salvo restando quanto disposto dai successivi articoli 14, 15 e 28 (A) e (D), a tutte le navi mercantili, da pesca o di altro tipo, di qualunque bandiera... trovantisi in acque dell'J talia o di territori. dalla stessa occupati, sarà impedito di partire, in attesa che si sia proceduto al controllo della loro identità e del loro status».
Nota · Questa clausola non trovava riscontro nell'armistizio di Cassibile ed era in contrasto con il « documento di Quebec » e il « promemoria Dick » i quali stabilivano che tutte le navi mercantili si dovessero recare, come quelle da guerra, nei porti indicati dal Comandante in Capo alleato.
Art. 14 « (A) Tutte le navi italiane, mercantili, da pesca e di altro tipo, ovunque si trovino, nonché quelle che saranno costruite o completate durante il periodo di validità del presente atto, a cura delle competenti autorità italiane saranno messe a disposizione delle Nazioni Unite, in buone condizioni di manutenzione e di navigabilità, in quei luoghi, per quegli scopi e per quei periodi di tempo che potranno essere indicati dalle Nazioni stesse. E' vietato il trasferimento a bandiere neutrali o nemiche. Gli equipaggi rimarranno a bordo in attesa che venga loro comunicato se continueranno ad esser impiegati o se saranno sciolti. Sarà immediatamente esercitato qualunque diritto di opzioni esistente per il riscatto, il riacquisto o la ripresa in possesso di navi italiane, o già italiane, che fossero state vendute o in altro modo trasferite o noleggiate durante la guerra. Queste disposizioni si applicheranno sia alle navi che agli equipaggi. « (B) Tutti ... gli impianti portuali saranno tenuti a disposizione delle Nazioni Unite per quei fini che esse potranno stabilire».
Nota . Il comma (A) di quest'arti colo non solo era molto più dettagliato del corrispondente articolo 5 dell'armistizio di Cassibile, ma anche dello stesso più pesante per noi. Questo infatti prevedeva in modo esplicito che l'uso del nostro naviglio mercantile da parte alleata avvenisse sotto forma di requisizione, cioè dietro compenso. Il disposto del comma (B) era analogo, se non simile, a quello del primo periodo dell'articolo 7 dell'armistizio di Cassibile.
Art. 15 « Le navi mercantili, da pesca e di altro tipo delle Nazioni Unite (comprese quelle dei Paesi che abbiano rotto le relazioni diplomatiche con l'Italia) trovantisi in mano italiana, saranno consegnate, ovunque si trovino, alle Nazioni Unite - anche se vi sia stato passaggio di proprietà a seguito di sentenza di Corte delle prede o in altro modo - e saranno radunate nei porti che verranno indicati
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<lalle Nazioni stesse perché ne sia disposto come queste decideranno Il Governo italiano adotterà le misure necessarie perché abbia luogo il passaggio del diritto di proprietà. « Tutte le na, i neutrali, mercantili, da pesca e di altro tipo, impiegate dall'Italia o sotto il 'ilio controllo, saranno radunate come sopra indicato, in attesa di accordi per il loro trattamento finale. « Il Governo italiano, se richiesto, provvederà, a sue spese, alle necessarie riparazioni alle suddette navi Il Governo italiano prenderà altresì tutte le misure necessarie per garantire che navi e carichi non siano danneggiati ». Nota - Non esisteva nell'« armistizio corto» articolo eguale o analogo.
Art. 27 « Il personale e il materiale delle Forze... navali... di qualsiasi Paese contro il quale una dclk Nazioni Unite conduca le ostilità o di qualsiasi Potenza da detto Paese occupata, nonché le navi mercantili, da pesca e di altro tipo ... degli stessi Paesi o Potenza po tranno esser attaccati e catturati, ovunque si trovino, entro o sopra il territorio o le acque dell'Italia».
Nota - Articolo eguale o analogo non esisteva nell' « armistizio corto».
Art. 28 « (A) - In attesa di ulteriori istruzioni, alle navi da guerra comprese quelle ausiliarie ed onerarie - delle Potenze o Paesi di cui al precedente articolo 27, le quali si trovino in porti o in acque dell'Italia o di territori da questa occupati, sarà impedito di partire. « (B) - Al personale ... dei Paesi o Potenze di cui al precedente articolo 27, il quale si trovi in territorio italiano o dall'Italia occupato, sarà impedito di partire. In attesa di ulteriori istruzioni sarà internato. « (C) ... « (D) Il Governo italiano si conformerà alle istruzioni emanate dal Comandante in Capo alleato concernenti l'internamento e il sequestro nonché il trattamento, l'utilizzazione o l'impiego successivi delle suddette persone, navi ... ».
Nota - Anche questo articolo non trovava riscontro ncll'« armisti.lio corto ».
Dal confronto di queste clausole con quelle corrispondenti dcli'« armistizio corto» e, più ancora, dal confronto degli interi testi dei due documenti non c'è dubbio che l'armistizio di Malta costituiva un grosso passo indietro rispetto a quello di Cassibile sia nella forma
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(basti pensare che, a differenza di tale accordo, il nuovo parlava di senza condizioni ») che nella sostanza, quanto nello spirito che lo informava. E ciò pur tenendo conto dei poteri amplissimi che l'articolo 10 dell'« armistizio corto» attribuiva al Comandante in Capo alleato (8) . Il « lungo armistizio» infatti, lungi dal contenere semplicemente quelle condizioni di carattere politico, economico e finanziario che il 3 settembre gli Alleati si erano riservati di comunicare, non solo rielaborava dettagliatame;nte con animus più rigoroso le clausole di carattere militare, ma vi aggiungeva condizioni anteriormente non previste. Il che costituiva indubbiamente un sopruso del vincitore a danno del vinto. Le vicende attraverso le quali Gran Bretagna e Stati Uniti erano giunti ai due armistizi sono state precedentemente indicate (9); come sono state indicate le ragioni in forza delle quali si addivenne alla decisione, giustificabile soltanto sulla base del « Vae Victis», di farci sottoscrivere, a firma avvenuta dell'« armistizio corto», anche quello «lungo», ben più grave sotto tutti gli aspettì. Non è quindi il caso di tornare sull'argomento. Malta rappresentò senza dubbio il prevalere della posizione britannica, che aveva trovato in Stalin un valido appoggio, mirante ad appesantire le catene con cui l'Italia era tenuta legata. « resa
4. La dichiarazione di guerra alla Germania e la cobelligeranza con gli Alleati (13 ottobre 1943)
Nei giorni che seguiranno immediatamente l'incontro di Malta Roosevelt, su sollecitazioni di Eisenhower, si fece parte sollecita per aver il consenso di Churchill e di Stalin a mantenere segreto il « lungo ar(8)« In base al "lungo armistizio" scrive degli Espinosa (Op. cit. bibl., pag. 85) il Governo italiano perdeva completamente la sua sovranità; non disponeva di Forze Armate né di rappresentanze diplomatiche, cessava dal suo diritto di battere moneta, e veniva messo agli ordini del Comando Militare alleato. Se di sovranità ancora si poteva discorrere, essa era divenuta uno strumento nelle mani del vincitore, utile a questi per eseguire le sue volontà, senza apparirne il responsabile. Il cittadino italiano, poi, perdeva, ad opera dei liberatori, quella m inima libertà di stampa che aveva raggiunto dopo il 25 luglio, perdeva la facoltà di lasciare il territorio nazionale secondo le provvidenze legisla'tive del suo paese, ed infine cessava dal diritto di comunicare con l'estero. Tutte le sue ricchezze private e pubbliche cadevano sotto la potestà sovrana del vincitore, e nemmeno il diritto di abitare nella sua casa gli poteva apparir certo. Mai, salvo che in guerre coloniali, il vincitore aveva esercitato il diritto della forza con tale ampiezza. Ma che fare? Che significato poteva avere un rifiuto a firmare? ... Non firmare significava soltanto chiudere l'esigua fessura per cui la Nazione italiana poteva passare per uscire dall'abisso della sconfitta». · Più in sintesi l'on. Bonomi così si espresse il 26 luglio 1944 parlando ai funzionari del Ministero degli Esteri: « L'Italia ha dovuto accettare le condizioni di resa che le sono state imposte. Queste condizioni sono durissime. Tutta la nostra vita interna ed esterna, tutta la nostra attività economica e finanziaria, tutti gli indirizzi dell'Ammimstrazione civile e militare sono sottoposti alla volontà vigilante delle Nazioni Unite». (9) Vedasi Cap. II, Sez. 2.
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mistizio » e a togliere dallo stesso alcune delle espressioni pm mortificanti nonché per concordare una dichiarazione a tre con cui accettare come cobelligerante l'Italia, se e quando questa avesse dichiarato guerra alla Germania. Ottenuti tali assensi dette ordine ad Eisenhower di esercitare pressioni perché re Vittorio Emanuele dichiarasse guerra alla Germania (1 ). A questi non restò che piegarsi (2) e il giorno 11 ottobre il marcsc. Badoglio inviò al nostro ambasciatore a Madrid il seguente telegramma: « Vostra Eccellenza è incaricata da S.M. il Re di comunicare all'ambasciatore di Germania a Madrid, affinché lo partecipi al suo Governo, che, di fronte ai continui e intensificati atti di guerra compiuti contro gli Italiani dalle Forze Armate tedesche, l'Italia si considera dalle ore 15 (ora di Greenwich) del 13 ottobre in stato di guerra con la Germania ». Lo stesso giorno 13 si ebbe una dichiarazione alla stampa del maresc. Badoglio sul programma del suo Governo e una dichiarazione dei Governi di Londra, Washington e Mosca sulla cobelligeranza dell'Italia. La dichiarazione del marcsc. Badoglio fu la seguente: Governo da mc presieduto fu costituzionalmente nominato da S.M. il Re. « Scopo unico del mio Governo è quello di liberare il Paese dall'oppressione tedesca. E' evidente che tale liberazione non può essere raggiunta se non unendo strettamente la nostra azione militare con quella degli Anglo-Americani. « Per raggiungere in pieno questo scopo occorre che tutti coloro che amano soprattutto l'Italia concorrano, secondo le loro forze, a quest'opera di redenzione. E il Governo, che ha bisogno d i questo aiuto, promette di completarsi al più presto possibile ricorrendo ai più noti uomini politici dei diversi partiti, in modo da assumere una fisionomia di Governo completamente e sinceramente democratico. « Non appena finita la guerra con la vittoria certissima. il Governo attuale considererà come finita la sua azione, e sarà pienamente soddi« Il
(I) « Foreign Relalions » cit. bibl., 1943, Vol. Il, pg. 384.
(2) In proposito Garland (Op. cit. bibl., pag. 553) così si esprime: « Solo come risultato della continua pressione alleata, quando il suo Governo era praticamente un prigioniero degli Alleati, egli [il Re] capitolò e dichiarò guerra alla Germania». Un'idea della non facile situazione in cui si trovava il Governo di Brindisi è data da questo piccolo episodio. li nostro Governo poteva comunicare soltanto per il tramite degli Alleati con le nostre rappresentanze diplomatiche nei paesi neutrali (che erano quelle di Ankara, Berna, Buenos Aires, Dublino, Kabul, Lisbona, Madrid e Stoccolma). Di conseguenza il telegramma diretto all'ambasciatore a Madrid perché provvedesse alla formalità della dichiarazione d i guerra fu dovuto inoltrare per il tramite della Commissione militare alleala istituita presso il nostro Governo. Nello stesso modo, fu data notizia di tale avvenimento alle altre rappresentanze diplomatiche.
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sfatto di aver diretto l'azione del Paese per eliminare l'occupazione tedesca. Perciò il Governo prende sin d'ora il formale impegno di lasciare, al cessare delle ostilità, perfettamente libero il popolo italiano di scegliere ìl Governo che meglio gli converrà per gli scopi non meno grandi della pace e della ricostruzione. « Detto impegno era già stato preso nel decreto di scioglimento della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, nel quale era dichiarato che quattro mesi dopo la cessazione delle ostilità, si sarebbero fatte le elezioni. « Quel che fu detto allora si ripete oggi; il Governo attuale ha un compito preciso; guidare il Paese sino alla pace, poi cessare il suo mandato » (3). La dichiarazione dei tre Governi alleati suonava così: « I Governi della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica riconoscono la posizione del R. Governo italiano così come è stata delineata dal maresciallo Badoglio e accettano la collaborazione attiva della Nazione italiana e delle sue Forze Armate come cobelligeranti nella guerra contro la Germania. « Gli eventi militari successivi dell'8 settembre e il brutale maltrattamento inflitto dai Tedeschi alla popolazione italiana che hanno portato alla dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania hanno, di fatto, reso l'Italia stessa cobelligerante e i Governi americano, britannico e sovietico continueranno a collaborare con il Governo italiano su questa base. « I tre Governi prendono atto dell'impegno assunto dal Governo italiano di rimettersi alla volontà del popolo italiano dopo che i Tedeschi saranno stati cacciati dall'Italia, ed è inteso che nulla potrà diminuire il diritto assoluto e libero del popolo italiano di decidere nei modi costituzionali sulla forma democratica di governo che esso vorrà avere alla fine. « I rapporti di cobelligeranza fra il Governo d'Italia e quelli delle Nazioni Unite non possono di per se stessi incidere sulle condizioni armistiziali recentemente firmate, che conservano la loro piena efficacia e che potranno essere modificate soltanto da accordi fra i Governi alleati alla luce dell'aiuto che il Governo italiano sarà in grado di dare alla causa delle Nazioni Unite» (4).
(3) degli Espinosa, Op. cit., bibl., pag. 96-97; Del Mare e Acquaviva, Op. cit. bibl., pag. 32. (4) Il testo della dichiarazione era stato preparato da Eisenhower ed era più favorevole all'Italia di quello definitivo sopra riportato. Fra l'altro non conteneva l'ultimo comma che, con altre modifiche di minor importanza, fu introdotto per volontà britannica. L'Unione Sovietica vi dette la sua adesione il 2 ottobre (Vedansi « Foreign Relations », cit. bibl., 1943, Vol. II, pag. 379-381, 383 e 387-388; degli Espinosa, Op. cit. bibl., pag. 97; Toscano, Op. cit. bibl. (IV), pag. 126-127; Vailati, Op. cit. bibl. (III), pag. 361 e 373-74).
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Sarebbe stato logico che con l'annuncio della cobelligeranza fosse stato chiuso il capitolo del nemico sconfitto per far luogo a quello di una stretta collaborazione militare dell'Italia con ]e Nazioni Unite nella lotta contro la Germania. L'ultimo comma della dichiarazione non lasciava però alcun dubbio: nonostante la cobelligeranza, l'Italia continuava ad esser considerata un nemico sconfitto. In sostanza, mentre Eisenhower il 20 settembre aveva scritto che verso l'Italia era possibile soltanto una delle seguenti politiche, quella della resa senza condizioni o quella della cobelligeranza, gli Alleati le adottarono entrambe con le contraddizioni e la confusione che la cosa implicava e i malcontenti che provocò in Italia (S). A questo punto viene spontaneo chiedersi: cosa significa esattamente cobelligeranza? In cosa si diversifica dall'alleanza? Il Cansacchi (6) così si esprime in proposito « La distinzione tra alleanza e cobelligeranza è assai discussa in dottrina e ha, in ogni caso, più portata politica che giuridica. Si ritiene prevalentemente che l'alleanza generi tra gli Stati contraenti un'associazione di intenti assai più intima che non la cobelligeranza e comporti quindi una cooperazione non soltanto nel campo militare, ma anche, e sovrattutto, in quello politico per il conseguimento di dati fini politici al momento della restaurazione dello stato di pace. La cobelligeranza, invece, si limita ad una semplice coordinazione dell'attività militare esplicata dai singoli Stati, che si trovano a combattere un nemico comune». Sul piano pratico come applicarono gli Alleati la cobelligeranza? Rispondo con le parole di uno studioso (7). « La cobelligeranza presupponeva logicamente una separazione, presso gli Alleati, delle responsabilità fasciste da quelle del resto del Paese, rappresentato dal Governo con cui stringevano l'accordo e dalle popolazioni ostili ai Tedeschi ... La cobelligeranza restò invece uno stato giuridico crudelissimo, inventato per non perdere l'aiuto militare, che (5) ~ Molte circostanze - ha scritto il Toscano (Op. cit. bibl. (IV], pag. 133-34) contribuirono a determinare questo deludente risultato. In primo luogo la coesistenza di due politiche simultanee degli Alleati verso l'Italia: quella britannica, radicata nella dichiarata resa incondizionata e non desiderosa di un vero e proprio contributo italiano (nel campo terrestre] e quella americana, ispirata prevalentemente alla cobelligeranza. In secondo luogo, i nostri contrasti polìtici interni, che, pur essendo comprensibili per il ritorno alla democrazia dopo la caduta del regime [fascista], in parte paralizzarono l'attività governativa e in parte resero meno chiare le prospettive nello sforzo bellico. Infine, e soprattutto, perché, dopo tante delusioni, dopo tante catastrofi militari, e dopo tante distruzioni, prevalevano la stanchezza e la sfiducia in una Nazione che riteneva di esser uscita dalla lotta e d'aver già pagato il prezzo per gli errori commessi. Solo la parte più viva e più sana del Paese intendeva ancora seriamente lottare per assicurare più sollecitamente all'Italia un posto dignitoso nell'ambito delle Nazioni Unite, ma gli ostacoli venivano da ogni parte, nemica ed amica, e, forse, tale parte più viva e più sana costituiva solo una minoranza eletta ». (6) Cansacchl Giorgio, « Nozioni di diritto internazionale bellico», III edizione, Giappichelli, Torino, 1957, pag. 28. (7) Tamaro, Op. cit. bibl., pag. 143-144.
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l'Italia democratica voleva dare, e insieme per non liberarla dalla pesante servitù dell'armistizio e delle future espiazioni. « Considerata nel suo complesso e nella sua essenza giuridica, la detta cobelligeranza costituiva una coordinazione degli interessi delle due parti, che nel corso della guerra avrebbe dovuto via via diventare più strettamente unita, collegando l'Italia democratica e gli Alleati su un piano sempre più vasto. Era in realtà un accordo, cioè un contratto, e la sua stipulazione aveva elevato l'Italia democratica alla posizione di parte contraente, dandole il diritto di ricevere per quanto dava. Come parte contraente, è ovvio, non poteva più esser parte nemica, perché con i nemici non si fanno contratti. L'accordo, appunto in quanto con tratto, avrebbe dovuto vincolare anche l'altro contraente, che l'aveva accettato. Ma Badoglio dichiarò guerra alla Germania senza contrattare - e forse non gli fu possibile - il seguito della cobelligeranza, credendo che gli altri agissero in buona fede e con sincera intenzione e che il tempo e il contributo militare a:vrebbero reso possibile cambiare lo status politico del paese, conformemente alla promessa di Quebec. Vane illusioni! Gli Alleati, avvenuta che fu la dichiarazione di guerra alla Germania da parte dell'Italia, le riconobbero, come da intese, lo status di cobelligerante ma tutto si esaurì lì » (8). In prosieguo si vedrà come non fosse lontana dal vero l'amara conclusione cui è giunto il Tamaro. Qui basta ricordare che il 27 aprile 1944 Badoglio, nel riferire al nuovo Consiglio dei Ministri sulla politica estera da lui svolta, dichiarò che « la cobelligeranza era una parola vuota senza alcun valore » (9); che il 22 agosto successivo Churchill, mentre era in visita in Italia, inviò a Eden un telegramma in cui gli diceva che questa avrebbe dovuto esser considerata da allora in p oi« un amichevole cobelligerante e non più uno Stato nemico» (10) e che Macmillan, soffermandosi nelle sue Memorie sulla situazione italiana nel settembre di tale anno, così si esprime: « Se non era ancora possibile fare una pace definitiva o addivenire a un'alleanza [con l'Italia ] non potevamo fare qualcosa per trasformare in realtà l'espressione « cobelligerante »? (11) 5. Le modifiche all' «armistizio lungo » (9 novembre 1943) e all'accordo Cunningham - de Courten (17 novembre 1943)
La politica alleata verso l'Italia del bastone e della carota (molto baston e e pochissima carota) doveva manifestarsi ulteriormente ai primi del mese di novembre. (8) Vedasi sullo scarso peso che ebbe la cobelligeranza, sia nel corso del conflitto che nella stesura del trattato di pace, A. Messineo, « La ratifica del trattato di pace con l'Italia» in « La civiltà cattolica», quaderno 2329 del 5 luglio 1947. (9) Vailati, Op. cit. bibl. (III), pag. 560. (10) Woodward, Op. cit. bibl. (II), Vol. III, pag. 444 e 447. (11 ) MacMillan, Op. cit. bibl., pag. 640.
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Il nove di detto mese il gen. Mason MacFarlane presentava infatti al maresc. Badoglio un protocollo nel quale erano indicate le modifiche di forma che - nel quadro delle assicurazioni date a Malla al maresc. Badoglio dal gen. Eisenhower - gli Alleati erano disposti a d apportare all'« armistizio lungo». Il protocollo è riportato per intero in allegato (alleg. 8). Dal suo esame si rileva che le modifiche erano sostanzialmente quelle qui di seguito riportate: a) Il titolo originale del documento (« atto di resa dell'Italia ») era sostituito dal seguente « Condizioni aggiuntive di armistizio con l'Italia». b) Alla clausola l (A) così redatta: « Le Forze Italiane di terra, mare e aria, ovunque dislocate, sj arrendono incondizionatamente» era tolto « incondizionatamente ».
c) L'avverbio «incondizionatamente», in cambio, era portato nell'ultimo comma del preambolo il quale, nella versione originale, diceva semplicemente che le condizioni dell'armistizio di Malta erano « accettate dal maresciallo Pietro Badoglio ... ». Con la modifica tali condizioni venivano invece « accettate incondizionatamente dal maresciallo Pietro Badoglio ... ». d) Nel preambolo, accanto a Stati Uniti e Gran Bretagna, quali Potenze contraenti in nome delle Nazioni Unite, era aggiunta l'Unione Sovietica.
Tutto qui il succo delle modifiche, delle quali, le prime due erano a noi favorevoli, mentre la terza si presentava come la manifestazione della volontà dei vincitori di mantenere nel documento, sia pur con diversa collocazione e portata, l'avverbio « incondizionatamente». La concessione di queste modifiche - di pura forma e,. tutto sommato, modeste - era però subordinata dagli Alleati all'accettazione da parte del nostro Governo di una modifica sostanziale all'accordo Cunningham-de Courten, il cui testo - è bene sottolinearlo - era praticamente quello da essi stessi proposto. Come si ricorderà, con quest'accordo « sull'impiego e il trattamento della flotta e della Marina mercantile italiane» queste erano impiegate, a favore dello sforzo bellico delle Nazioni Unite contro le Potenze dell'Asse, sulla base di principi che le ponevano su un piano di parità morale con le Marine alleate. In particolare era disposto che tutte le nostre navi avrebbero continuato a battere bandiera italiana e ad esser armate con equipaggi italiani. L'accordo prevedeva anche che « i rimpiazzi » che avrebbe ro potuto esser richiesti in futuro all 'Italia per le perdite di navi da essa inferte alle Marine alleate, sarebbero stati oggetto di « negoziati tra i Governi» (1). (I) Vedasi la precedente sezione
I di questo capitolo nonché l'allegato 6.
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Gli Alleati chiedevano ora (vedasi allegato 9) che fosse introdotta nel testo dell'accordo una clausola (chiamiamolo cautelativa, di salvaguardia) secondo la quale essi, ove lo avessero ritenuto del caso, avrebbero potuto svincolarsi, con decisione unilaterale, dall'osservanza dell'accordo stesso nei riguardi di alcune o di tutte le nostre navi! In altre parole il vincitore, pentito forse di aver troppo concesso, pretendeva ora, in forma ricattatoria, di tornare ad avere verso le navi stesse quei poteri illimitati che si era attribuiti con le clausole armistiziali. Quale era l'origine di questa clausola voluta dagli Anglo-Americani? Non difficoltà incontrate nel dare applicazione al'1'accordo, che era stata larga e senza contrasti. E allora? Quando era stato stipulato il « Cunningham-de Courten agreement » non era ancora noto (almeno così sembra) che l'URSS desiderava avere la consegna di una parte della nostra flotta. Era stato infatti in un momento successivo, durante la Conferenza di Mosca dell'ottobre, che essa - come si seppe molto più tardi - aveva chiesto la rapida consegna d'una consistente quota della nostra flotta (1 corazzata, 1 incrociatore, 8 Ct., 4 sommergibili e 40.000 tonn. di naviglio mercantile) da utilizzare, a rafforzamento della propria, con equipaggi e bandiera sovietici ( 2). L'accoglimento di tale richiesta, cui Stati Uniti e Gran Bretagna avevano aderito in linea di principio, avrebbe trovato però un ostacolo giuridico nell'accordo ·C unningham-de Courten secondo il quale, come si è già veduto, le nostre navi, non solo avrebbero continuato a battere bandiera italiana e ad esser armate con equipaggi italiani, ma avrebbero potuto esser utilizzate pure in conto riparazione dei danni inferti dalla Marina italiana a quelle alleate soltanto in seguito a « negoziati tra i Governi »: logicamente tra il Governo italiano e quello o quelli interessati al risarcimento. La sola via che Gran Bretagna e Stati Uniti avevano per riacquistare piena libertà d'azione onde far fronte alla richiesta sovietica (e anche per ogni altra futura evenienza) (3) era quella di modificare l'accordo intervenuto fra i due ammiragli. E questa via fu seguita in modo deciso e intransigente (4). (2) Vedasi Cap. V, Sez. 5. (3) Churchill nelle sue Memorie (Op. cit. bibl. (I) pag. 214 e 743) non ha nascosto che era sua intenzione di chiedere a fine guerra che fossero cedute alla Gran Bretagna le due corazzate da 35.000 tonn.: Italia e Vittorio Veneto. (4) L'ipotesi sopra formulata sulle cause che dettero origine alla modifica dell'accordo Cunningham-de Courten trova conferma in una lettera dell'ammiraglio A. Cunningham del 7 agosto r946. In risposta a una lettera dell'arnm. de Courten (4 agosto 1946) in cui questi lo pregava di esercitare la sua influenza per ottenere che le condizioni imposte alla Marina italiana dal trattato di pace (che, come vedremo, non fu negoziato ma imposto) fossero conformi allo spirito di collaborazione e ai fattori morali che stavano alla base dell'accordo del 23 settembre 1943, l'ammiraglio britannico (che aveva da poco lasciato il servizio
104 Comunque sia il maresc. Badoglio, pur di ottenere che dal « lungo armistizio » sparisse l'espressione mortificante: « Le Forze italiane di terra, mare e aria, ovunque dislocate, con quest'atto si arrendono incondizionatamente», era disposto a piegarsi alla prepotenza alleata, ma di parere diverso fu l'amm. de Courten il quale convinse il Capo del Governo a presentare al gen. Mason MacFarlane, per l'inoltro al Comando in Capo delle Forze alleate ad Algeri, il promemoria seguente recante la data del 9 novembre 1943. « In relazione all'emendamento al "Cunningham-de Courten agreement " relativo all'impiego della flotta italiana, posto dalle Nazioni Unite come condizione di firma del protocollo di modifica delle « Condizioni aggiuntive di armistizio", il Governo italiano rileva quanto segue: « 1. Il " Cunningham-de Courten agreement " è stato esaminato e accettato di mutuo accordo fra il Ministro della Marina italiano e l'ammiraglio Cunningham il 23 settembre u.s., in regime di armistizio, con lo scopo di permettere alla flotta italiana di fornire il proprio contributo allo sforzo alleato per la prosecuzione della guerra. In esso è chiaramente affermato che le navi da guerra italiane sarebbero state impiegate agli ordini del Comandante in Capo navale del Mediterraneo secondo accordi fra il Comandante in Capo Alleato ed il Governo italiano. « 2. Il " Cunningham-de Courten agreement " è in corso di larga e completa applicazione da più di un mese e l'attuazione dei provvedimenti relativi non ha dato luogo a nessun contrasto fra il Ministro italiano della Marina e ,il Comandante in Capo navale del Mediterraneo: anzi la cooperazione della flotta italiana, per mutui accordi, è stata anche più ampia di quanto fosse inizialmente previsto. « 3. Il Governo italiano, a un mese e mezzo di distanza dalla conclusione del "Cunningham-de Courten agreement ", non vede di conseguenza l'opportunità di introdurre in esso una clausola aggiuntiva la quale potrebbe sembrare in contrasto con lo spirito di collaborazione sempre dimostrato dalla Marina italiana. E ciò tanto più in quanto tale clausola viene suggerita quando l'Italia si trova da quasi un mese in stato di cobelligeranza con le Nazioni Unite. « 4. Il Governo italiano ritiene perciò opportuno di richiamare l'attenzione sulla formulazione della clausola aggiuntiva là ove si parla di attivo) così si espresse: « Da ufficiale di Marina a ufficiale di Marina, posso dirLe che provo comprensione per i Suoi sentimenti nei riguardi delle clausole navali del trattato di pace, ma, nelle attuali circostanze, non posso far altro che ricordarLe l'atto di modifica del nostro accordo del 23 settembre 1943, atto che Lei firmò a Brindisi il 17 novembre di tale anno. Questo documento, come ricorderà, diceva chiaramente che il nostro accordo non intaccava in alcun modo il diritto delle Nazioni Unite di disporre di tutta o di parte della ,flotta italiana come esse avessero creduto meglio. So benissimo che allora Lei protestò contro questo documento ma il solo fatto che i Governi alleati avessero ritenuto necessario d'addivenire a questa decisione era un'indicazione di quello che sarebbe potuto accadere ».
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decisioni unilaterali delle Nazioni Unite, da notificarsi al Governo italiano di volta in volta. « 5. Il Governo italiano fa presente che la clausola aggiuntiva potrebbe peraltro essere accettata qualora fosse modificata nella forma seguente, la quale, pur aderendo sostanzialmente al desiderio delle Nazioni Unite, sarebbe conciliabile con le naturali esigenze italiane: « E' inteso e concordato che le norme del presente accordo relative all'immediato impiego e al trattamento delle navi da guerra e mercantili italiane non pregiudicano la possibilità che alcune o tutte le navi italiane siano impiegate in quegli altri modi che le Nazioni Unite possano ritenere convenienti ai fini di guerq1. Le loro proposte a questo riguardo saranno discusse di volta in volta con il Governo italiano». L'esito di questo passo fu però negativo, come risulta dal seguente promemoria che il generale K.A. Joyce, che era succeduto al gen. Mason MacFarlane, consegnò al maresc. Badoglio il 17 novembre 1943. « Il Generale Eisenhower diceva il gen. Joyce - mi ha informato che non è in grado di raccomandare ai Governi alleati che venga accettata la modifica dell'Accordo navale da Lei proposta in quanto è convinto che detta modifica non sarebbe accettata. « I Governi alleati hanno aderito alla proposta del Governo italiano di modificare le clausole di resa "lunghe" ma, al fine di chiarire e definire la loro posizione e i loro diritti nei riguardi delle Marine da guerra e mercantile italiane, essi hanno chiesto una dichiarazione aggiuntiva all'Accordo navale la quale riconosca il diritto delle Nazioni Unite di adottare nei riguardi alcune o di tutte le navi italiane quelle misure che le Nazioni stesse riterranno opportune. L'accordo navale modificato deve essere considerato come un atto che descrive dettagliatamente un modo importante in cui il Governo italiano può contribuire efficacemente alla vittoria, riconoscendo alle Nazioni Unite il diritto di indicare i modi in cui la collaborazione italiana può essere data il più efficacemente possibile. « Se il Governo italiano non può accettare l'Accordo navale modificato nel modo comunicato, l'Atto di resa firmato a Malta non subirà modifiche e resterà come era originariamente redatto, affermante cioè che le Forze italiane di terra, mare e aria si sono arrese senza condizioni. L'Accordo navale, che non è stato ancora firmato, diverrà automaticamente un accordo di lavoro, suscettibile di quelle modifiche che le Nazioni Unite potranno desiderare ». In questa situazione il maresc. Badoglio confermò il suo intendimento di accettare il sopruso alleato; l'amm. de Courten invece fu di parere opposto perché, accettando la clausola cautelativa voluta dagli Anglo-Americani, si sarebbe rinunciato, per un vantaggio di forma, sia pure importante, a un vantaggio di sostanza. La divergenza di vedute fra i due uomini fu superata con l'accet-
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tazione da parte dell'ammiraglio della seguente soluzione (5): egli avrebbe firmato, ma avrebbe accompagnato la sua firma con una dichiarazione scritta in cui avrebbe fatto presente di far ciò in obbedienza agli ordini del maresc. Badoglio e avrebbe espresso le riserve già fatte in merito alla clausola di cui trattasi. Il 17 novembre perciò l'amm. dc Courten, nella sua veste di Ministro della Marina e di parte dell'accordo che recava il suo nome e quello dell'amm. A. Cunningham, firmò il documento che apportava all'accordo stesso le modifiche volute dagli Alleati. Per l'amm. Cunningham firmò l'amm. R. McGregor, Flag Officer Liaison, Italy. Il documento è riportato nell'allegato 9. Contemporaneamente l'amm. de Courten presentò la seguente dichiarazione che fu consegnata anche al delegato alleato: « In obbedienza agli ordini di S.E. il maresciallo Badoglio, Capo del Governo, ho firmato le clausole aggiuntive al preambolo ed all'ultimo paragrafo del "Cunningham-de Courten agreement ", richieste dai Governi alleati per la firma delle modifiche alle « Condizioni aggiuntive di armistizio ». « Nel procedere a tale firma, chiedo che sia preso atto della seguente dichiarazione: « Ritengo mio dovere mettere in chiaro rilievo che la richiesta di inserzione di queste clausole, avanzata a poco meno di due mesi dall'incontro con sir Andrew Cunningham, allora Comandante in Capo della flotta alleata del Mediterraneo, altera lo spirito dell'accordo con- • eluso fra l'amm. Cunningham e me. Le clausole di tale agreement erano state proposte, in regime di armistizio, dallo stesso ·amm. Cunningham, il quale mi aveva invitato ad esaminarle ed a comunicargli le mie osservazioni e considerazioni: poiché era stato raggiunto il completo accordo sul testo presentato da parte alleata e poiché l'agreement ha avuto finora la più larga e completa applicazione senza nessun contrasto, né nella lettera né nello spirito, non avevo e non ho alcuna ragione di pensare che esso dovesse essere modificato e completato con una ulteriore clausola di carattere cautelativo. Tale clausola appare in antitesi con la collaborazione attiva data finora dalla Marina italiana e con la palese dimostrazione della leale disposizione della flotta italiana ad intensificare fino al massimo limite il suo contributo alla condotta della guerra contro il comune nemico, nello spirito della cobelligeranza in atto"» (6).
(5) Le altre due soluzioni suggerite al maresc. Badoglio dallo stesso amm. de Courten erano le seguenti: firmava il maresciallo, come Capo del Governo; l'amm. de Courten si dimetteva da Ministro della Marina e avrebbe firmato il nuovo Ministro. Il maresc. Badoglio scelse delle tre alternative quella indicata nel testo e l'ammiraglio si uniformò a tale scelta. (degli Espinosa - Op. cit. bibl., pg. 194). (6) La dichiarazione fu resa di pubblica ragione il 6 novembre 1945 unitamente all'atto di modifica.
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In conseguenza di questa firma entrò in vigore anche il protocollo di modifica delle clausole dell'« armistizio lungo», che era stato firmato il 9 novembre dal maresciallo Badoglio e dal gen. Mason MacFarlane (7). Tre giorni dopo, il 20 novembre, il maresc. Badoglio inviava al presidente Roosevelt e al primo ministro Churchill la seguente lettera: « Signor Presidente (Signor Primo Ministro), « Le sarò molto grato, signor Presidente (signor Primo Ministro), se vorrà trovare tempo e modo di esaminare alcune brevi considerazioni sulle modifiche riguardanti l'armistizio e le clausole navali che io, come Capo del Governo italiano, e l'ammiraglio de Courten, come Ministro della Marina, ci siamo trovati nella dura necessità di dover firmare, dopo aver invano proposto una modifica che, a nostro avviso, sarebbe stata indubbiamente più rispondente alla situazione di diritto e di fatto attualmente esistente fra i nostri Paesi. « Riassumo in breve il mio pensiero. « L'armistizio firmato per mio ordine il 3 settembre dal generale Castellano non conteneva alcuna clausola che accennasse alla resa dell'Italia. Come Lei sa, erano clausole principalmente di carattere militare. Mi fu detto allora che, in seguito, mi sarebbero state presentate ulteriori clausole, ma soltanto di carattere civile. « Il 29 settembre, quando già avevamo da parte nostra dato leale esecuzione a tutte le disposizioni dell'armistizio e quando era stata già iniziata, con la piena approvazione della Missione anglo-americana, la fase della vera e propria collaborazione, fui costretto, a Malta, a firmare le clausole aggiuntive, che alteravano e aggravavano le condizioni dell'armistizio firmato il 3 settembre e che avevano per titolo: « Atto di resa dell'Italia ». « Dinanzi alle mie rimostranze, il generale Eisenhower si impegnò a far presenti ai Governi alleati le ragioni del mio disaccordo e a proporre loro la cancellazione di diverse frasi particolarmente ed inutilm ente lesive per il buon nome della nuova Italia e pregiudizievoli, a mio avviso, per la causa comune, che era ed è mio fermissimo proposito di sostenere con ogni mezzo a mia disposizione. « Il generale Eisenhower del resto, in data 29 settembre, mi scriveva fra l'altro quanto segue: "The Supplementary terms of the armistice are based upon the situation obtaining prior to the cessation of h ostilities. Developments since that time have altered considerably (7) li desiderio del maresc. Badoglio che sui documenti che avevano sanzionato la nostra uscita dal conflitto non comparisse l'espressione « resa senza condizioni » o analoga fu completamente frustrato dal trattato di pace, nel cui preambolo si legge « ... premesso ... che l'Italia, essendosi arresa senza condizioni, ha firmato le condizioni di armistizio il 3 e il 29 settembre 1943 ... ». Alla Conferenza di Parigi del 1946 l'Italia non aveva mancato di far presente che l'espressione « resa senza condizioni » doveva essere tolta perché non esisteva nell'armistizio del 3 settembre e perché il protocollo di Brindisi del 9 novembre l'aveva tolta dall'armistizio di Malta, ma la sua voce - voce di Potenza vinta - era rimasta inascoltata!
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the status of Italy. It is fully recognised by the Governments on whose behalf I am acting that severa! of the clauses have become obsolescent ". « E ancora più esplicitamente il 17 ottobre scorso il Capo della Missione alleata mi assicurava formalmente per iscritto: " In confirmation of the statement which I have already made to you orally, I have the honor to inform you that the American, British and Soviet Governments have approved the amendments to the document containing the Long Armistice terms which you desired". « Malgrado ciò e nonostante gli ulteriori passi fatti con il passaggio dalla cooperazione alla cobelligeranza e le assicurazioni ricevute, il documento mi viene restituito corretto in parte, ma contenente ancora la parola "resa", non esistente nelle condizioni primitive. « La stessa cosa è avvenuta anche per le clausole navali. « Il 23 settembre quest'ultima questione fu lungamente ed esaurientemente discussa fra l'ammiraglio Cunningham e l'ammiraglio de Courten e portata ad una ·conclusione accettata da ambo le Parti. « Ora, a più di trenta giorni di distanza, mi si presenta una nuova modifica in cui si concede finalmente la promessa e annunziata cancellazione delle parole che avevano dato motivo alle mie rimostranze, ma, insieme, si condiziona la sua firma da parte alleata all'accettazione da parte nostra di una ulteriore clausola navale, che torna ancora una volta su una materia già concordata e discussa e aggrava sensibilmente la posizione dell'Italia. · « Sono stato costretto, ripeto, ad accettare questa modifica, ma spero tuttavia, signor Presidente (signor Primo Ministro), ch'Ella cercherà di farla riesaminare sulla base della proposta da me presentata. « Mi sia lecito ricordare che, in questo periodo, i tre quarti delle Forze navali italiane collaborano con le Forze navali alleate; che Forze italiane si sono battute in Sardegna ed in Corsica contro i Tedeschi; che Forze italiane si battono, in condizioni particolarmente dure e difficili, in Croazia, Montenegro e Grecia, insieme a Greci e Serbi; che Forze italiane si battono nelle isole dell'Egeo insieme a Forze inglesi; che i nostri patrioti si battono in Alta Italia, in condizioni disperate, contro i Tedeschi sabotandone le linee di comunicazione e di rifornimento. « Mi sia lecito altresì ricordare che, nella zona liberata, non solo abbiamo soddisfatto tutte le richieste degli Alleati, ma abbiamo anche insistito sempre perché alle nostre truppe fosse concesso di concorrere alla liberazione del Paese, cosa che ci è stata infine parzialmente accordata. « Il mio Governo, nella sua presente temporanea formazione e nelle attuali circostanze, assicura, a mio giudizio, quelle garanzie d'ordine e di stabilità che è interesse comune mantenere; del resto, come Lei sa, esso dovrà esser 1sostituito, appena giunti a Roma, da altro che meglio e più compiutamente rappresenti la nuova Italia, nata fatico-
t09 samente fra difficoltà di guerra ed interne estremamente dure. Ii mio Governo assiste perciò con un po' di amarezza al costante e crescente aggravarsi di condizioni già discusse e accettate da parte dei Governi alleati. E di ciò stenta veramente a rendersi conto, privo com'è di comunicazioni, di qualunque fonte di informazione col mondo esterno, di contatti diretti con le diecine di milioni di italiani che vivono all'estero e con le sue rappresentanze diplomatiche, senza cioè quegli elementari attributi di libertà che pur intendiamo da parte nostrn introdurre lealmente ·nel nostro Paese. « Ed è per questo, signor Presidente ~signor Primo Ministro), ch'io mi permetto di rivolgermi direttamente a Lei, fiducioso che, tenendo conto delle molte, gravi e dolorose difficoltà che la Nazione italiana attraversa, del fermissimo proposito del mio Governo e mio di batterci al Vostro fianco contro il nemico comune, della mia volontà di dare al Paese quelle libere istituzioni democratiche che sono la Vostra forza, Ella continuerà ad ispirare la Sua azione nei nostri confronti a quei criteri di umana equità di cui Ella indubbiamente è fra i più grandi e rispettati assertori nel mondo » (8). Alla lettera - a quanto risulta suno dei due destinatari.
non fu data cisposta da nes-
Malgrado questi contrasti, la collaborazione delle nostre Marine, da guerra e mercantile, con quelle alleate continuò sino alla fine del conflitto, e anche oltre questo, con ·spirito fiducioso, divenendo anzi sempre più ampia e più apprezzata, come lo dimostrano i numerosi riconoscimenti di cuf si parlerà più avanti.
(8) Questo documento - così come il « memorandum di Quebec» - non fu pubblicato quando il 6 novembre 1945 gli armistizi e i documenti con essi connessi furono resi di pubblica ragione dagli Alleati. Ciò non mancò di rilevare il nostro Ministro degli Esteri, De Gasperi, in una sua lettera del 6 novembre 1945 all'ambasciatore americano in Italia, A.C. Kirk, (e verosimilmente anche a quello britannico). « Sarebbe stata un'eccellente cosa, scrisse De Gasperi, pubblicare anche la lettera che il 20 novembre 1943 il maresc. Badoglio inviò al presidente Roosevelt e al primo ministro Churchill, lettera che, a nostro parere, riassume in modo veramente efficace la prima fase deHe relazioni tra l'Italia e gli Alleati e illustra le reali condizioni dell'epoca, le condizioni ambientali e lo spirito in cui il popolo italiano iniziò quella piena e leale collaborazione con le Nazioni Unite che doveva condurre poi a più promettenti risultati». (« Foreign Relations » - cit. bibl. 1945, Voi. IV, pg. 1082).
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Capitolo V IL PERIODO DELLA COBELLIGERANZA
1. Le operazioni militari per la liberazione della Penisola. (1)
Gli sbarchi delle Forze alleate nel territorio continentale italiano furono, tre, ed avvennero: - nella zona di Reggio Calabria (operazione « Baytown » in codice), all'alba del 3 settembre (8a armata britannica; al comando del maresc. Montgomery); - nel golfo di Salerno (operazione « Avalanche » in codice), all'alba del 9 settembre (S• armata americana, al comando del gen. Clark); - a Taranto, il pomeriggio del 9 settembre (1• divisione aviotrasportata). Queste Forze formavano il 15° Gruppo d'armate agli ordini del maresc. Alexander. Aveva così inizio quella campagna alleata per la conquista dell'Italia continentale che - in conseguenza della strenua difesa tedesca organizzata per successive linee di resistenza - doveva durare venti mesi, ed esattamente sino al 2 maggio 1945, data in cui ebbero fine le ostilità nella Penisola. (1) Durante la campagna d'Italia furono: a) Comandanti Supremi alleati del teatro d'operazioni del Mediterraneo: gen. D.D. Eisenhower (S.U.) sino al 7 gennaio 1944; maresc. H.M. Wilson (G.B.) dall'8 gennaio all'll dicembre 1944; maresc. H.R!L.G. Alexander (G.B.) dal 12 dicembre 1944; b) Comandanti del 15° Gruppo di armate in Italia: maresc. H.R.L.G. Alexander (G.B.) sino all'l 1 dicembre 1944; gen. M.W. Clark (S.U.) dal 12 dicembre 1944; c) Comandanti dell'8• armata britannica: gen. B.L. Montgomery (G.B.) sino al dicembre 1943; gen. O. Leese (G.B.) dal dicembre 1943 al settembre 1944; gen. R.L. McCreery (G.B.) dall'ottobre 1944. d) Comandanti della 5• armata americana: gen. M.W. Clark (S.U.) sino all'll dicembre 1944; gen. L.K. Truscott (S.U.) dal 12 dicembre 1944. Le Forze tedesche, costituite dal Gruppo d'armate del sud-ovest (10• e 14' armata), furono al comando del maresc. A. Kesselring sino a fine marzo 1945 e, successivamente, del gen. H. von Vietinghoff.
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LE OPERAZIONI MILITARI IN 1TALIA
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- - - - -1138 , , , , , , , • , Linea invernale 1943/44 aGustav• • • • • • Linea mvernale 194.4J45 •Gotica• ~ Avanzata nelle armate alleate ===:, Avanzata dell'Esercito Italiano di liberazione
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Tale campagna può dividersi, in linea generale, in tre periodi: 1943, 1944 e 1945. Durante il primo periodo le Forze alleate, superato il momento cr itico dello sbarco a Salerno, iniziarono la loro salita verso nord (la s· armata lungo il versante tirrenico, 1'8· armata - con il gruppo sbarcato a Taranto - lungo quello adriatico) ma dovettero fermarsi, malgrado i ripetuti attacchi, di fronte alla cosidetta « linea invernale» tedesca (chiamata anche « linea Gustav ») che era stata precedentemente organizzata a difesa lungo il corso del Garigliano e del suo affluente Rapido per seguire poi il crinale degli Appennini e il corso del Sangro sino all'Adriatico. In questo periodo il nostro « 1° Raggruppamento motorizzato» entrato in linea nella zona di Cassino, inquadrato nella 5 a armata americana - ebbe il battesimo del fuoco a Monte Lungo (8-16 dicembre 1943) ove, nonostante l'inferiorità d'armamento e le poco felici condizioni nelle quali fu impiegato inizialmente, pervenne alla conquista della posizione subendo perdite sanguinose (2). Per sbloccare la situazione, nel gennaio del 1944, contemporaneamente a un attacco di carattere diversivo lungo il Garigliano e a Cassino, gli Alleati effettuavano uno sbarco ad Anzio (operazione « Shingle » in codice) con il duplice obiettivo di tagliare le linee di comunicazione della « linea Gustav » e di liberare Roma. L'offensiva fallì però di fronte alla tenace resistenza tedesca; poco mancò anzi che le truppe sbarcate non fossero ributtate in mare (3). L'offensiva era ripresa il maggio seguente (operazione « Diadem » in codice) e, questa volta, portava allo sfondamenLo della « linea Gustav » e alla liberazione di Roma (4 giugno 1944). La successiva avanzata condusse le Forze alleate - appoggiate dall'azione di disturbo condotta contro i tedeschi dalle formazioni partigiane - sino alla nuova linea di resistenza approntata dal maresciallo Kesserling, la « Gotica », e ivi si attestarono - dopo averla in parte intaccata - in attesa che fosse trascorso l'inverno. Alla fine dell 'offensiva questa linea partiva da Massa, sul Tirreno, attraversava l'Appennino, correva sulle alture a sud di Bologna, fiancheggiava la riva destra del fiume Savio e raggiungeva l'Adriatico una diecina di chilometri a nord di Ravenna (4). (2) L'atto di nascita del Raggruppamento portava la data del 28 settembre 1943; era costituito inizialmente da 5.000 uomini circa con 295 ufficiali, 387 sottufficiali e 500 automezzi. Nell'azione dell'8-16 dicembre le perdite furono di 94 morti, 290 dispersi e 151 feriti. (Stato Maggiore Esercito - Op. cit. bibl. (I), pg. 272; Op. cit. bibl. (III), pg. 149-153). (3) Durante questo ciclo di operazioni, il 15 febbraio 1944, l'aviazione alleata ridusse lo storico convento di Montecassino a un cumulo di macerie nella convinzione, dimostratasi poi erronea, che esso fosse usato dai Tedeschi come caposaldo difensivo e osservatorio. (4) Il 6 giugno 1944 era avvenuto lo sbarco alleato sulle coste della Normandia (operazione « Overlord " in codice); per appoggiare questa operazione un
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A queste operazjoni partecipò, in un primo tempo (febbraio-aprile), il nostro « Raggruppamento motorizzato», tornato in linea rafforzato nel suo organico (5), e, successivamente (maggio-settembre), il « Corpo italiano di liberazione » C.I.L.) che, dal 17 aprile, ne aveva preso il posto e che operò nel settore adriatico, inquadrato nell'8a armata britannica (6). Anche sugli altri fronti, e in maniera ben più grave, la Germania era sulla difensiva. Sul fronte occidentale, Forze alleate sbarcate in Normandia e in Provenza, vinta la resistenza tedesca, avevano liberato la Francia, il Belgio e parte dell'Olanda, arrivando, nel dicembre 1944, al confine della Germania. Sul fronte orientale i rovesci tedeschi erano stati altrettanti gravi. A fine 1944 le truppe sovietiche erano infatti schierate su un fronte che, partendo da Memel, sul Baltico, dirigeva, grosso modo, verso sud passando per Varsavia, Budapest e Belgrado. Ciò aveva provocato
altro sbarco era effettuato il 15 agosto sulle coste mediterranee della Francia (operazione « Anvil » in codice). Per compiere questa seconda operazione erano state tolte dal fronte italiano 7 divisioni e forti aliquote d'aviazione, benché il maresc. Alexander avesse fatto presente che, se gli fossero state lasciate le forze di cui disponeva, egli aveva profonda fiducia di poter, entro l'anno, liberare dai Tedeschi l'Italia settentrionale, occupare quindi Trieste e marciare successivamente su Vienna attraverso il passo di Lubiana. Una tale operazione, egli diceva, sarebbe stata di aiuto ali'« Overlord » più dello sbarco sulle coste mediterranee francesi. Il piano d'Alexander, benché appoggiato da Churchill e dai Capi di Stato Maggiore britannici, non ebbe seguito per la decisa opposizione americana (Macmillan - Op. cit. bibl., pg. 602-608; Dupuy Op. cit. bibl., Vol. II, pg. 110; Byant - Op. cit. bibl. (II), Voi. I, pg. 192-196). (5) L'operazione più importante, in questo periodo, del nostro Raggruppamento fu quella per la conquista e la successiva difesa del massiccio di Monte Marrone (31 marzo-10 aprile), nel settore nord di Cassino. (6) Il C.I.L. raggiunse in breve volgere di tempo la forza di 22.000 uomini circa e una struttura rispondente alle esigenze di più complesse e vaste attività operative (Stato Magg. Esercito - Op. cit. bibl. (I), pg. 273). Di esso facevano parte i battaglioni « Bafile » .e «Grado» del ricostituito reggimento « S. Marco»: i marinai delle due unità combatterono fianco fianco con i commilitoni dell'Esercito, con pari ardore ed entusiasmo. Il C.I.L. svolse ininterrotta attività bellica sino a fine agosto 1944 portandosi, dalle Mainarde, sino ad Urbino e Peglio, a contatto con il margine meridionale della « linea Gotica ». Le tappe del suo cammino furono, a partire dalle Mainarde, la liberazione di Crecchio e Orsogna (8 giugno), di Guardiagrele e Chieti (9 giugno), di Sulmona (11 giu~no), deWAquila (13 giugno), di Teramo (15 giugno) nonché di Ascoli Piceno (18 giugno) e Macerata (30 giugno). 11 9 luglio il Corpo, dopo aver superato il fiume Potenza e aver combattuto aspramente per alcuni giorni, entrava a Filottrano; il 19, attraversato il Musone sotto violento fuoco nemico, occupava Santa Maria Nuova e, il giorno successivo, lesi, spingendosi, ai primi di agosto, sino a Corinaldo. Di lì, ricevuto l'ordine di spostarsi sulla sinistra, il 17 e il 18 agosto riprendeva l'offensiva ~vendo per obiettivo Urbino e Peglio che raggiungeva alla fine di agosto. Ai primi di settembre il Corpo venne gradatamente trasferito nelle retrovie formando i nuclei attorno ai quali si costituirono i « Gruppi di combattimento» dei quali si parlerà più avanti. (Stato Magg. Esercito - Op. cit. bibl. (III), pg. 154-165).
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il crollo militare della Romania (24 agosto 1944 j, della Finlandia (4 ·s ettembre), della Bulgaria (9 settembre) e dell'Ungheria (fine 1944) e alla richiesta da parte delle stesse di un armistizio. In Estremo Oriente anche il Giappone era ormai sulla difensiva e la s.ua sorte era segnata. Il 1945 si presentava quindi per gh Alleati sotto buoni auspici, né essi li smentirono. Sul fronte italiano l'offensiva alleata ebbe inizio il 5 aprile 1945 sul vérsante tirrenico e il 10 sul rimanente fronte, sino all'Adriatico. La battaglia fu aspra e violenta. Superata la tenace resistenza tedesca, le truppe alleate (delle quali facevano parte quattro « Gruppi di combattimento » italiani) (7) rompevano la linea di difesa nemica ad Argenta (17 aprile), nel settore orientale, e a La Spezia (24 aprile), in quello occidentale, dilagando - favorite dall'insurrezione generale partigiana (25 aprile) - nella pianura padana e in Liguria. Il 29 aprile era firmato dal gen. Wolff l'atto di resa incondizionata delle Forze tedesche (7) I « Gruppi di combattimento», istituiti il 23 luglio 1944, presero il posto del C.I.L. La loro forza era di circa 9.000 uomini, inquadrati da 400 ufficiali. I Gruppi istituiti furono sei: quattro («Cremona», «Friuli», «Folgore» e « Legnano») parteciparono all'offensiva finale iniziata il 10 aprile. (Stato Magg. Esercito - Op. cit. bibl. (I), pg. 275). Del Gruppo «Folgore» faceva parte · il reggimento « S. Marco» formato da tre battaglioni: « Bafile », «Grado» e «Caorle». I Gruppi di combattimento svolsero sin al 10 aprile un'intensa attività di pattuglia; poi presero parte all'offensiva alleata che si realizzò con la rottura delle linee nemiche e con l'inseguimento sino alla disfatta delle Forze tedesche. Il Gruppo «Cremona», all'inizio dell'offensiva, forzato il Senio, prese Alfonsine, superò quindi il Santerno proseguendo velocemente verso nord, malgrado l'accanita res.istenza tedesca, liberando Cavarzere, Chioggia, Mestre e Venezia. Il Gruppo «Friuli» il 10 aprile varcò il Senio costituendo sulla sponda settentrionale una robusta testa di ponte, dopo aver respinto violenti contrattacchi nemici. Partecipò quindi all'inseguimento delle Forze tedesche in ritirata entrando in Bologna il 21 aprile. Il Gruppo «Folgore» partecipò all'offensiva avanzando nelle valli Santerno e Sallustra, scontrandosi a Case Grizzano con i Tedeschi. Ne derivò uno dei combattimenti più duri di tutta la guerra di liberazione, risoltosi nella notte sul 20 aprile con l'abbandono da parte del nemico di tale posizione chiave a sbarramento della direttrice che dall'Appennino tosco-emiliano porta a •Bologna. Il Gruppo « Legnano» iniziò l'offensiva verso nord con il compito d'attaccare la linea difensiva tedesca predisposta a cavaliere dell'Indice. Tr<!volta la resistenza nemica, avanzò verso Bologna, ove entrò il 21 aprile. Di qui avanzò ulteriormente sino ai laghi di Como e di Garda e ai passi alpini. I primi tre Gruppi operarono inquadrati ne11'8• armata britannica; il quarto nella s• armata americana (Stato Maggiore Esercito - Op. cit. bibl. (III) pg. 89-92 e 165-171). Una nostra più sostanziale partecipazione alle operazioni fu resa impossibile dalla decisa ostilità del Foreign Office, come lo dimostra il seguente episodio. Verso la metà del 1944 il Comando Supremo alleato chiese l'autorizzazione a costituire e armare tre divisioni italiane. Il Foreign Office espresse parere contrario perché « se facciamo più largo posto all'Esercito italiano sarebbe poi difficile per noi imporre all'Italia quelle dure condizioni relative alle colonie e alle frontiere che noi pensiamo [di imporle] al ristabilimento della pace». (Woodward - Op. cit. bibl. (III), Voi. III, pg. 440).
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LINEA MORGAN 14°
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JUGOSLAVIA
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M. Aquila
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MAR ADRIATICO
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c..,t,,.. c1e1 1eee c ...1... d•i trattati di Rapalo(192(0 o Roma(1924)
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in Italia e il 2 maggio cessava nella Penisola ogni atto di ostilità organizzata. La campagna d'Italia era così finita (8). Il 3 maggio Churchill inviò al nostro Presidente del Consiglio, Bonomi, il seguente telegramma (9): « 1. In occasione della resa delle Forze tedesche in Italia, mando a V.E., in nome del Governo di S.M. del Regno Unito, un messaggio di vive congratulazioni per la definitiva liberazione del territorio italiano dal nostro comune nemico e, in particolare, per la parte svolta dalle Forze regolari italiane e dai patrioti dietro le linee. « 2. La consapevolezza di aver contribuito a questa vittoria >senza precedenti e di aver materialmente accelerato la liberazione del suolo patrio sarà, confido, fonte di forza per il popolo italiano nei giorni non meno impegnativi che ci aspettano ... ,< 3. Porgo a V. E. gli auguri del Governo di S. M. per la grande· opera di ricostruzione che ora si presenta al Governo e al popolo italiani. (8) E' da ricordarsi, per l'influenza che ebbe sul Trattato di pace, che nel mese di marzo 1945 apparve chiaro che il maresc. Tito, sostenuto dall'Unione Sovietica, non intendeva accettare il punto di vista alleato secondo il quale le truppe anglo-americane, in caso di ritirata o crollo delle Forze germaniche, avrebbero dovuto occupare tutta la Venezia Giulia fino alle frontiere del 1939, nell'intesa che ogni decisione sull'assegnazione dei territori eventualmente contestati, sarebbe stata rimessa al Trattato di pace. Da diversi indizi risultò infatn fuori di dubbio che, verificandosi un cedimento delle Forze tedesche, quelle jugoslave avrebbero cercato di occupare la più larga parte possibile del territorio italiano a ponente del confine prebellico. La stampa jugoslava ufficialmente ispirata non faceva inoltre mistero della « ferma determinazione » dei popoli jugoslavi di annettere Trieste e l'Istria al loro paese e della inutilità e pericolosità di qualsiasi tentativo che fosse stato compiuto per ostacolare il raggiungimento di questo fine. E di fatto avvenne che, negli ultimi giorni del conflitto, le Forze regolari e partigiane jugoslave, superato il confine italo-jugoslavo del 1939, si spinsero rapidamente verso occidente entrando a Trieste, Gorizia e Tolmino prima che vi giungessero le truppe anglo-americane. Ne seguì una delicata e tesa situazione risolta con un accordo fra le due parti firmato a Belgrado il 9 giugno, in applicazione del quale le Forze jugoslave si ritirarono a levante della cosiddetta « linea Morgan » (dal nome del negoziatore alleato, il gen. W.D. Morgan, Capo di S.M. del maresc. Alexander) e dalla città di Pola e suoi dintorni. I territori a occidente di tale linea (zona A) e Pola, in attesa delle decisioni del Trattato di pace, rimasero sotto l'amministrazione militare anglo-americana; quelli a oriente della linea stessa (zona B) sotto l'amministrazione militare jugoslava. La « linea Morgan », partendo a nord dal monte Mangart, al'la frontiera italo-austriaca del 1939, scendeva verso sud lasciando dalla parte occupata dalle truppe anglo-americane Gorizia, Monfalcone e Trieste e sboccando al mare poco a sud di questa città, nella baia di S. Bartolomeo, tra punta Sottile e punta Grossa. (Vedasi cartina) Per dettagli sulle trattative di cui sopra con gli jugoslavi, vedasi Woodward Op. cit. bibl. (II), vol. III, pg. 367-382. (9) Churchill · Op. cit. bibl. (Il), pg. 612.
118 <• 4. Guardo con fiducia al tempo, che non potrà molto tardare, in cu1 l'Italia, le cui Forze hanno cooperato in guerra con quelle delle Nazioni Unite, lavorerà con queste nelle fatiche più fruttuose della pace»~
Pochi giorni dopo (7 maggio) a Reims e, il giorno successivo, a Berlino, era sottoscritto l'atto di resa senza condizioni di tutte le Forze tedesche. La resistenza del Giappone - cui l'Italia aveva dichiarato guerra il 15 luglio - non -doveva durare ancora a lungo. Il 10 agosto infatti · (cioè il giorno successivo allo scoppio della seconda bomba atomica) il Governo di Tokio fece conoscere che era pronto ad arrendersi incondizionatamente e il 14 agosto le Forze giapponesi cominciarono a deporre le armi. Il 2 settembre nella baia di Tokio, a bordo della corazzata Missouri, era firmato l'atto formale di resa. Il secondo conflitto mondiale aveva così fine.
2. L'allargamento del Governo Badoglio e la questione istituzionale.
Prima d'affrontare -
sia pure a grandi linee -
questo problema,
è opportuno, per meglio inquadrarlo, riportare quanto ha scritto in
proposito Woodward (1). « Come il Foreign Office aveva previsto, i Governi britannico e americano dovettero affrontare difficili e fastidiosi problemi politici non appena le Forze alleate sbarcarono nel territorio continentale italiano. La soluzione di questi problemi fu resa più ardua della considerevole disparità esistente tra il punto di vista britannico e quello americano sul trattamento da fare all'Italia. « Le truppe britanniche e quelle dei Dominions combattevano contro l'Italia dal 1940: l'entrata in guerra di quest'ultima era stato un atto di voluta aggressione il quale era stato preceduto da una lunga serie di atti analoghi e che fu seguito da un ingiustificato attacco della Grecia. « La pubblica opinione britannica non poteva dimenticare la guerra abissina, l'aiuto italiano al generale Franco, le millanterie di Mussolini sull'Asse Roma-Berlino e in tentativi dell'Italia di indebolire l'influenza inglese nel Medio Oriente. « Negli Stati Uniti invece l'ostilità verso l'Italia era piccola. I primi atti di aggressione di Mussolini avevano toccato ·s olo indirettamente gli interessi americani e, invero, per un curioso par".:losso, l'opinione pubblica americana si era manifestata più energica nel biasimare la Gran Bretagna per non aver arrestato gli atti illeciti di Mussolini che nel biasimare il popolo italiano per la sua acquiescenza agli atti stessi. Inoltre vi era un grosso blocco di elettori di origine italiana i cui suffragi l'Amministrazione non poteva permettersi il lusso di perdere. (1) Woodward - Op. cit. bibl. (I), pg. 232-233.
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Questo blocco non era fascista ma condivideva l'opinione degli italiani della madre patria che il solo fatto di essersi schierati contro la Germania, quando i tedeschi stavano perdendo la gùerra, aveva cancellato la precedente collaborazione eun. questi e giustificava le richieste dell'Italia di esser trattata come alleato. Aggiungasi che né il Presidente né la pubblica opinione americana si rendevano conto del peric·o ìo dèrivante, per l'ordine pubblico in Italia, dalla politica delle fazioni e del rischio che i comunisti potessero esserne gli ultimi beneficiari. Era più facile ritenere. che la ten.d enza britannica a ::;ostenere, almeno temporaneamente, il Re e il maresciallo Badoglio fosse dovuta alla particolare tenerezza del Primo Ministro per i regimi monarchici e conservatori e che la Gran Bretagna, per le sue pretese mire imperialistiche nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, desiderasse tenere in soggezione l'Italia » (2). Si è accennato nel precedente capitolo III a quelle che erano le condizioni del Governo Badoglio nei primi tempi del suo arrivo a Brin(2) « Tutte le informazioni in mio possesso - scriveva Churchill a Roosevelt U 6 novembre 1943 - tendono a mostrare che perderemmo molto scìogliendo la presente combinazione Re-Badoglio. Vittorio Emanuele non conta nulla per noi, ma la sua associazione con Badoglio ci ha consegnato di fatto la flotta italiana, che ci rende ora utilissimi servigi, e questa stessa associazione ci assicura attualmente la fedeltà di grandissima parte dell'infelice Esercito e del popolo italiano ... Perché lovremmo accrescere il fardello dei nostri soldati, britannici e americani, in marcia verso Roma, indebolendo qualcuno di questi aiuti? Noi non dobbiamo, a mio parere, incoraggiare un mutamento del regime Badoglio-Re, finché non ci siamo stabiliti a Roma e possa costituirsi un Governo italiano a base realmente larga ... E' un fatto che dobbiamo restare attaccati a quello che abbiamo sino a quando non saremo certi di poter avere qualcosa di meglio, e questo potrà essere soltanto quando avremo Roma in nostro possesso». (Churchill - Op. cit. bibl (I), pg. 216; « Foreign Relations » cit. bibl. 1943, Voi. II, pg. 420). « L'attuale Governo affermava il Primo Ministro britannico il 13 febbraio 1944 tornando sull'argomento con Roosevelt - è il Governo legittimo d'Italia: con esso noi abbiamo concluso un armistizio in forza della quale la Marina italiana si è consegnata a Malta e combatte al nostro fianco insieme con alcuni reparti dell'Esercito e dell'Aviazione italiani. Questo Governo si atterrà alle nostre istruzioni assai più di qualunque altro che potessimo eventualmente costituire dopo lunghe trattative. D'altro canto, esso esercìta sulla flotta e su gli ufficiali dell'Esercito etc., una maggiore autorità di qualunque altro Governo costituito con i superstiti relitti dei partiti politici, nessuno dei quali possiede il minimo titolo per governare, né -per elezione né per diritto». (Churchill - idem, pg. 576). E ancora il 15 marzo 1944, sempre a Roosevelt: « Ho consultato stamane il Gabinetto di guerra in merito alla proposta che i Governi britannico e americano accettino senza ulteriori indugi il programma dei sei partiti. Il Gabinetto di guerra mi prega di assicurarvi che esso condivide pienamente il vostro desiderio di costituire il Governo italiano su basi più ampie... ma è convinto che sia meglio attendere la conquista di Roma prima di separarci dal Re e da Badoglio e ciò perché a Roma sarà possibile formare un Governo più rappresentativo e più solido di quello che si potrebbe costituire ora... I miei colleghi non ritengono che i sei partiti rappresentino effettivamente la democrazia o la Nazione italiana e che possano attualmente sostituire il Governo italiano in carica, che ha lealmente ed efficacemente collaborato con noi». (Churchill - idem. pg. 584).
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disi; un Governo, ·si, legittimo, ma ridotto a pochi uomini, con poteri limitati a una piccola parte del territorio nazionale e sottoposto nell'esercizio di tali poteri - alla supervisione di una Missione militare alleata. Non a torto è stato scritto che il Governo italiano era praticamente un prigioniero degli Alleati (3). Come se ciò non bastasse, a vincolarne ulteriormente la libertà d'azione si pose la cosiddetta « questione istituzionale ». Infatti i sei partiti che si erano costituiti dopo il 25 luglio (il liberale, il democristiano, il democratico del lavoro, l'azionista, il socialista e il comunista) subordinarono la loro partecipazione al Governo all'abdicazione immediata del Re, responsabile - essi dicevano - di essersi « congiunto di corpo e di anima al fascismo» (4). Il parere del Sovrano era invece nel senso che non si dovesse parlare di abdicazione o di modifiche al sistema istituzionale sino a quando non fosse stata conclusa la pace. Nel frattempo, non appena Roma fosse stata liberata dai Tedeschi, si sarebbe dovuto costituire un Ministero a larga base che comprendesse esponenti di tutti i partiti (5 ). In questa situazione, sia per ragioni pratiche che di opportunità politica, sia sotto il premere del gen. Eisenhower perché il Governo « allargasse la sua composizione politica e rafforzasse la sua •s truttura
(3) Garland - Op. cit. bibl., pg. 553. (4) Vedasi in degli Espinosa (Op. cit. bibl., pg. 216 e 266) il discorso di Benedetto Croce del 14 dicembre 1943 a Radio-Napoli e la mozione approvata il 29 gennnaio 1944 dal Congresso di Bari dei sei partiti. In un primo tempo Cr~ce e Sforza avevano chiesto l'abdicazione del Re, la rinuncia alla successione del Principe ereditario e l'elevazione al trono del figlio di questo con un Reggente, data la sua minor età (dichiarazione alla stampa del maresc. Badoglio del 13 novembre 1943 in degli Espinosa - Op. cit. bibl., pg. 190) . .(5) Il gen. Puntoni (Op. cit. bibl., pg. 198) così scrive sotto la data del 23 gennaio 1944 « Alle 18, in seguito ad espressa richiesta del Sovrano, viene ricevuto MacFarlane. Il Re comunica al Capo della Missione alleata le sue intenzioni circa la situazione pohtica: non si deve parlare di abdicazione o di modifiche al sistema istituzionale sino a quanto non sia rioccupata Roma e non sia conclusa la pace. Perché non sorgano equivoci Sua Maestà consegna a MacFarlane un appunto in cui sono contenute tali precisazioni ed esprime il desiderio che il suo pensiero sia portato a conoscenza dell'opinione pubblica a mezzo della radio e della stampa ... Il promemoria dice: 1) Il Ministero attuale durerà sino al ritorno del Governo italiano nella capitale. 2) Non appena Roma sarà liberata dai Tedeschi si dovrà costituire un Ministero a larga base che comprenda esponenti di. tutti i partiti e non comprenda uomini in qualche modo compromessi con il fascismo. 3) Entro quattro mesi dalla pace si dovrà eleggere la Camera dei deputati. 4) Il Parlamento potrà liberamente discutere le istituzioni e potrà riformarle anche totalmente. 5) Il Paese, liberamente consultato, sarà arbitro delle sue sorti. 6) La Corona seguirà fedelmente la volontà del Paese manifestata dai rappresentanti della Nazione liberamente eletti. 7) Qualunque diversa linea di condotta minaccerebbe in questo delicato momento l'autorità, la legittimità e la forza dello Stato, condizioni essenziali per proseguire la lotta contro i Tedeschi e contro i residui del fascismo».
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amministrativa» (6), il 13 novembre 1943 il maresc. Badoglio dichiarava alla stampa che, non potendo costituire un nuovo Governo con i più eminenti esponenti politici, in considerazione dell'atteggiamento assunto dai partiti ·s ul problema dell'abdicazione del Re, con il consenso di questo avrebbe completato il Governo con esperti tecnici, in rappresentanza dei Ministri titolari rimasti a Roma. Ad essi sarebbe stata data la veste di Sottosegretari di Stato aventi, mediante decreto, la necessaria autorità per la trattazione e la risoluzione degli affari dei ·· rispettivi Ministeri. Il Governo risultò così praticamente costituito, dal 16 novembre, oltre che dal maresciallo Badoglio, Capo del Governo e Ministro degli Esteri (ad interim), dall'amm. R. de Counen, Ministro per la Marina, dal gen. R. Sandalli, Ministro per l'Aeronautica e da undici Sottosegretari (fra questi uno per la Marina Mercantile nella persona dell'amm. P. Barone). (7). Questo Governo rimase in vita sino all'll febbraio 1944, data in cui - in occasione della restituzione all'amministrazione italiana della Sicilia e di tutti i territori continentali a sud dei limiti settentrionali delle province di Salerno, Potenza e Bari e del trasferimento da Brindisi a Salerno della sede del Governo - venne sostituito da un nuovo Gabinetto, al di fuori dei partiti politici, costituito da dodici Ministri. Capo del Governo e Ministro degli Esteri ne fu il maresc. Badoglio; Ministro per la Marina l'amm. de Courten (8).
{6) Si tenga presente che nella Conferenza tenuta a Mosca dai Ministri degli Esteri dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nell'ottobre 1943, era stata approvata, tra le altre, una dichiarazione sull'Italia secondo la quale avrebbe dovuto esser data al popolo italiano « ogni possibilità di stabilire le sue istituzioni di Governo e di altro tipo sulla base dei principi democratici». Tra le misure da adottarsi a tal fine si affermava come « essenzale che il Governo italiano fosse reso più democratico con l'inclusione di rappresentanti di quei settori del popolo italiano che si sono sempre opposti al fascismo ». (7) Questa decisione di Badoglio ottenne il pieno appoggio alleato. In una sua lettera a Sforza in data 19 novembre, il Segretario di Stato americano, Hull, così si esprimeva: « Attualmente il principale interesse deve esser quello della cacciata dal territorio italiano del Tedesco invasore e della sua completa sconfitta nonché quello della mobilitazione, a tal fine, del massimo delle risorse che la parte liberata dell'Italia può devolvere a questa causa ... Ritengo pertanto che Ella... dovrebbe appoggiare pienamente lo sforzo militare dell'Italia nonché il maresc. Badoglio, quale suo Capo responsabile. Per il momento, tenuto conto del punto morto cui si è giunti, sembra che il nuovo temporaneo Gabinetto sia la sola soluzione possibile ed io sono sicuro che Ella non creerà difficoltà a Badoglio durante il periodo interinale per il quale il nuovo Gabinetto è stato costituito » ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1943, Vol. Il, pg. 429). {8) Pochi giorni dopo, il nuovo Governo ebbe il pieno appoggio di Churchill. Parlando ai Comuni il 22 febbraio egli - dopo aver premesso che gli Alleati ave vano firmato l'armistizio con Vittorio Emanuele e il maresc. Badoglio (« che costituivano e costituiscono ancora il Governo legittimo d'Italia ») e che non era convinto che si sarebbe potuto formare per il momento un qualsiasi altro Governo capace di dare maggiori garanzie agli Alleati - così concluse: « E' a Roma che può esst:re formato un Governo italiano su più vasta base».
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Un complesso d'avvenimenti doveva però portare alla caduta entro breve tempo di questo Gabinetto che venne •sostituito da altro cui parteciparono rappresentanti dei sei partiti. Il 13 marzo 1944 l'URSS - a conclusione di contatti intervenuti tra i due Governi all'insaputa di Londra e Washington - accoglieva la richiesta avanzata da parte italiana di stabilire relazioni dirette tra i due Paesi mediante lo scambio di rappresentanti · muniti dello statuto diplomatico d'uso (9) Ciò costituiva per il Governo di Badoglio un indubbio successo, non solo dal punto di vista internazionale ma anche da quello interno, perché il riconoscimento, sia pure de facto, di tale Governo da parte dell'Unione Sovietica, campione delle correnti più arditamente progressiste, toglieva molte frecce all'arco dei sei partiti italiani all'opposizione. Poco dopo tornava in Italia, come capo del partito comunista italiano, Palmiro Togliatti il quale, in una sua conferenza stampa del 1° aprile, disse che - in considerazione della necessità di permettere all'Italia di dare un valido contributo alla guerra contro i Tedeschi - il suo partito era pronto a differire la soluzione della questione istituzi~nalc e a partecipare a un Governo di concentrazione nazionale presieduto da Badoglio. La formazione d'un tale Gabinetto fu facilitato ulteriormente da un compromesso sulla questione istituzionale proposto da Enrico De Nicola ed accettato dal Re. Secondo tale compromesso ques_ti non avrebbe abdicato ma avrebbe reso subito di pubblica ragione di aver deciso
(9) L'iniziativa dell'operazione fu dell'Unione Sovietica. Il 10 gennaio 1944 Vyshinsky in un colloquio con Badoglio non si era mostrato contrario a stabilire contatti diretti tra i due Paesi. Il 7 marzo, mentre l'Italia era ancora sotto lo choc delle dichiarazioni di Roosevelt sulla cessione all'Unione Sovietica di una parte della flotta italiana (vedasi la seguente sezione 5), il rappresentante russo nel « Consiglio consultivo per l'Italia ,., Bogomolov, riprese il filo del discorso dichiarando a Badoglio che il suo Governo era pronto ad accogliere una richiesta italiana nel senso suddetto. La proposta venne accolta immediatamente e il 13 marzo l'ufficio stampa del Governo italiano diramò il seguente comunicato « In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da parte italiana, il Governo dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ed il Regio Governo hanno convenuto di stabilire relazioni dirette tra i due Paesi. In conformità di tale decisione sarà proceduto tra i due Governi senza indugio allo scambio di Rappresentanti muniti dello statuto diplomatico d'uso,., Rappresentante italiano a Mosca fu nominato il ministro plenipotenziario Pietro Quaroni; rappresentante sovietico presso il Governo italiano, fu il signor Milchail Kostylev, diplomatico di carriera. (Vedasi Toscano . Op. cit. bibl. (VI ); Vailati · Op. cit. bibl. (Ili), pg. 514-23). Gran Bretagna e Stati Uniti non ritennero di seguire l'esempio sovietico, ma mandarono in Italia due loro rappresentanti con la veste formale di membri del « Consiglio consultivo per l'Italia ». Essi furono, per la Gran Bretagna, l'ambasciatore Noel Charles, e, per gli Stati Uniti, il ministro plenipotenziario Alexander
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di ritirarsi dalla vita pubblica il giorno stesso in cui le truppe alleate fossero entrate in Roma, nominando Luogotenente Generale del Regno, per l'esercizio dei poteri reali, il Principe di Piemonte. La notizia della decisione presa nel senso suddetto dal Sovrano era resa nota il 12 aprile (10) e il 21 successivo era formato il nuovo Governo, nel quale tutt'e sei i partiti erano rappresentati (11). Esso sarebbe però rimasto in carica meno di due mesi, ed esattamente sino al 6 giugno, data in cui, per il passaggio dell'esercizio dei poteri reali al Principe di Piemonte, in conseguenza della liberazione di Roma (4 giugno 1944), il maresc. Badoglio presentò le dimissioni del Gabinetto.
C. Kirk. {La ripresa delle relazioni diplomatiche, con scambio di rappresentanti muniti dello statuto diplomatico d'uso, ebbe luogo il 25 ottobre 1944). Nota - Il « Consiglio consultivo per l'Italia» (Advisory Council for Italy) era stato istituito presso la « Commissione di Controllo alleata» (ma da questa indipendente) dalla Conferenza di Mosca dell'ottobre 1943 fra i Ministri degli Esteri dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Il suo compito era duplice; quello di vigilare sull'organizzazione del controllo esercitato sull'Amministrazione italiana per assicurare l'osservanza dell'armistizio da parte di questa e quello di dare pareri in merito al Comandante Supremo alleato, quale presidente della Commissione di Controllo. Il Consigilo, composto inizialmente dai rappresentanti della Gran Bretagna, degli Stati Uniti, dell'Unione Sovietica e del Comitato di liberazione nazionale francese, fu integrato, in un secondo tempo, con quelli della Grecia e della Jugoslavia. Tenne la sua prima seduta il 30 novembre 1943 (« Foreign Relations » cit. bibl. . 1943, Voi. II, pg. 431-438). ,(10) Il giorno stesso fu radiodiffuso il seguente messaggio del Sovrano: « Il popolo italiano sa che sono sempre stato al suo fianco nelle ore gravi e nelle ore liete. Sa che otto mesi or sono ho posto fine al regime .fascista e ho portato l'Italia, nonostante ogni pericolo e rischio, a fianco delle Nazioni Unite nella lotta di liberazione contro il nazismo. L'Esercito, la Marina, l'Aviazione, rispondendo al mio appello, si battono intrepidamente da otto mesi contro il nemico, fianco a fianco con le truppe alleate. Il nostro contributo alla vittoria è, e sarà, progressivamente più grande. Verrà il giorno in cui, guarite le nostre profonde ferite, riprenderemo il nostro posto, _da popolo libero, accanto alle Nazioni libere. « Ponendo in atto quanto ho già comunicato alle autorità alleate e al mio Governo, ho deciso di ritirarmi dalla vita pubblica nominando Luogotenente Generale mio figlio, Principe di Piemonte. Tale nomina diverrà effettiva, mediante il passaggio dei poteri, lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno in Roma. Questa mia decisione, che ho ferma fiducia faciliterà l'unità nazionale, è definitiva e irrevocabile». (degli Espinosa - Op. cit. bibl. pg., 334). La nomina divenne effettiva - cun la liberazione di Roma - il 5 giugno successivo. Terminava così, dopo nove mesi di esistenza, il « Regno del Sud». Due anni dopo (9 maggio 1946), re Vittorio Emanuele abdicò a favore del figlio, che salì al trono con il nome di Umberto II. (ll) Era costituito, oltre che dal maresc. Badoglio, Presidente del Consiglio e Ministro degli E steri (ad interim), da cinque Ministri senza portafoglio (B. Croce, C. Sforza, G. Di Rodinò, P. Togliatti, P. Mancini) e da undici Ministri. Ministro della Marina l'amm. R. de Courten.
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Incaricato di formarne uno nuovo, egli il 9 giugno si recò a tal fine da Salerno a Roma, ma, non essendo riuscito nell'intento (12), l'incarico venne affidato a Ivanoe Bonomi (13). Il maresciallo Badoglio spariva così, e definitivamente, dalla scena politica italiana. La serie dei successivi Governi è indicata nell'allegato I . I due problemi che avevano reso così difficili i primi tempi del Governo di Brindisi (questione istituzionale e partecipazione al Governo dei nuovi partiti politici ) erano stati risolti a Salerno ed essi non si ripresentarono nel pur travagliato periodo successivo alla liberazione di Roma.
3. Il rito rno all'amministrazione italiana di territori occupati dagli Alleati.
In conseguenza degli avvenimenti verificatisi successivamente al1'8 settembre, l'Italia venne divisa (e tale rimase sino alla fine del conflitto, nella primavera del 1945) in due tronconi: il Centro-Nord, occupato praticamente dalle truppe tedesche, sotto il Governo Mussolini installato a Salò, sul lago di Garda, e in altre sedi viciniori; il Sud, occupato dalle truppe anglo-americane, con il Governo italiano installato, prima, a Brindisi e, poi, a Salerno e a Roma. Il Governo Mussolini esercitava la sua potestà - sotto il controllo di fatto delle autorità germaniche - su tutto il territorio italiano a nord della linea del fuoco, eccezion fatta per l'Alto Adige e la Venezia Giulia (1); il Governo Badoglio e quelli che lo seguirono avevano tale
(12) « E' noto, scrive la Vailati (Op. cit. bibl. (Il) pg. 182), come Badoglio fu accolto, il 9 giugno 1944, da Bonomi, Ruini, De Gasperi, Nenni e Cianca, riuniti nel salone del Grand Hotel. Emersi dalla pace dei chiostri, essi ritengono che, per avere un Governo sinceramente e completamente democratico, si debba avere per capo non un militare, non appartenente ad alcun partito, ma un uomo politico, indicato in Bonomi... A Badoglio non rimane che prendere atto, senza rimpianti. Gli sia concessa soltanto una dichiarazione: « Voi siete riuniti ora intorno a questo tavolo in Roma liberata, non perché voi, che eravate nascosti o chiusi nei conventi, abbiate potuto fare qualcosa: chi ha lavorato sin'ora, assumendo le più gravi responsabilità, è quel militare che, come ha detto Ruini, non appartiene ad alcun partito». Vedasi anche, nello stesso senso, Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 218. (13) Il nuovo Gabinetto fu riconosciuto dagli Alleati soltanto quando tutti i Ministri ebbero accettato per iscritto tutti gli impegni (ivi compresi quelli del· l'« armistizio lungo •) assunti dai precedenti Governi e si furono impegnati a non riaprire la questione istituzionale senza il preventivo consenso dei Governi alleati. (1) L'Alto Adige e la Venezia Giulia erano stati in pratica annessi al Terzo Reich e messi, rispettivamente, sotto il controllo dei Gauleiter del Tirolo e della Carinzia (Boschesi - Op. cit. bibl., pg. 63, 110 e 148).
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csercmo - sotto il controllo ufficiale delle autorità alleate (2) - limitatamente a quella parte del territorio della penisola a sud della linea di combattimento non sottoposta al « Governo militare alleato dei territori occupati » (Allied Military Government of Occupied Territory - A.M.G.0.T.) (3). La diversità esistente fra i trattamenti fatti ai due Governi si spiega con la diversità delle situazioni. Al nord, Hitler non poteva, per evidenti ragioni di opportunità politica, trattare ufficialmente come occupato il territorio su cui si estendeva la potestà dell'alleato e amico Mussolini; al sud, il Governo italiano, per quanto accettato dagli Alleati come cobelligerante, rimaneva sempre per essi il Governo di un paese vinto in regime di armistizio e, come tale, soggetto a quel trattamento che il vincitore avesse ritenuto più conveniente per i suoi interessi militari e politici. I territori su cui si estendevano i poteri del Governo di Brindisi, ai suoi inizi, erano di fatto quelli, come si è veduto nel capitolo III, della Sardegna e delle province pugliesi di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto (4). L'importanza di allargare il territorio su cui esercitare i propri poteri fu immediatamente sentita dal Governo di Brindisi e fu subito sollevata dal Re in una sua lettera diretta personalmente il 21 settembre 1943 a re Giorgio VI e al presidente Roosevelt. « Attualmente il mio Governo si diceva nella lettera - esercita i poteri civili su quattro province delle Puglie e sulla Sardegna: esso trarrebbe un notevolissimo rafforzamento morale e politico nei confronti del Governo illegale del nord, ove gli fosse consentito di estendere la propria giurisdizione anche sul rimanente territorio occupato, Sicilia compresa.
(2) Tale azione fu svolta, sino al 9 novembre 1943, dalla « Missione militare alleata» {Allied Military Mission - A.M.M.) e, successivamente, dalla Commissione di Controllo alleata» fAllied Contro! Commission - A.C.C.). (3) Secondo le norme di diritto internazionale che regolano l'occupazione bellica del territorio nemico, lo Stato occupante può istituire un Governo militare nel territorio occupato ed esercitare - con determinate limitazioni - il potere di comando e di coercizione sugli abitanti al fine di provvedere alla sicurezza del suo esercito e al mantenimento dell'ordine pubblico locale. L'organo creato dagli Alleati a questo scopo, durante la campagna d'Italia, fu appunto l'A.M.G.O.T. (divenuto semplicemente iA.M.G. - ,, Allied Military Government » - dal 18 ottobre 1943) il cui fine era quello di liberare le truppe combattenti dal peso dell'amministrazione dei territori occupati, avendo come suo fine primario « la sicurezza delle Forze d'occupazione e le loro linee di comunicazione». (Vedasi in proposito « A Review of Allied Commission in Italy - July 10, 1943 to May 2, 1945 » pag. 8-9. Per le direttive date in merito al gen. Eisenhower dai Governi di Washington e Londra vedansi « Foreign Relations » cit. bibl. - 1943, Voi. I, pg. 715-719). (4) In cifra tonda 36.000 Km.' con una popolazione di 3 milioni di abitanti rispetto a una superficie dell'Italia di 310.000 Km.' e una popolazione di 40 milioni di abitanti.
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TERRITORI RESTITUITI ALL'AMMINISTRAZIONE 1T ALlANA PRIMA DELLA FINE DEL CONFLITTO IL 2 MAGGIO 1945
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Territori rimasti sempre sotto amministrazione Italiana Temton rest1tu1t1 a ll' amm 1m s1raz10-
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« L'esercizio del polere civile su di una notevole parte del territorio nazionale consentirebbe, fornendo una maggiore scelta di uomini politici, la ricostruzione politica del Paese, da completarsi col ritorno al regime parlamentare, da me sempre auspicato». Le risposte furono le seguenti. Quella del presidente Roosevelt, datata 30 settembre, così diceva: « E' mio desiderio che l'amministrazione civile delle zone italiane riconquistate sia assunta dal Governo italiano, nel limite consentito dagli interessi militari e sotlo la vigilanza (supervision) del Comandante Supremo alleato ». Quella di re Giorgio, del 4 ottobre, era del seguente tenore: « Il mio Governo è disposto ad addivenire a un accordo, su base provvisoria, in merito alla proposta di Vostra Maestà che la giurisdizione del Governo Italiano, da esercitarsi sotto la vigilanza (supervision) dei Governi alleati, sia estesa alla Sicilia e, successivamente, alle altre zone del territorio continentale italiano a mano a mano che saranno liberate dai Tedeschi» (5). Come si vede, restituzione, si, ma sottoposta alla condizione che l'esercizio dei poteri del nostro Governo fosse soggetto alla vigilanza delle autorità alleate. Il primo trasferimento dei territori occupati all'amministrazione italiana avvenne quattro mesi dopo, ed esattamente 1'11 febbraio 1944. Esso riguardava la Sicilia e le isole dipendenti (salvo Pantelleria, Lampedusa, Linosa e Lampione) nonché le province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Matera e Salerno. In tal modo risultarono sotto la giurisdizione del Governo italiano, oltre alla Sicilia e alla Sardegna, tutti i territori continentali sino ai confini settentrionali delle province di Salerno, Potenza e Bari (cioè sino a Positano sulla costa meridionale della penisola Salentina, nel Tirreno, e alla foce dell'Ofanto, in Adriatico). Sui territori restituiti, le autorità militari alleate - andando al di là di quanto scritto da re Giorgio VI e da Roosevelt - si riservarono però diritti e poteri così ampi che consentivano loro di interferire in tutti i campi della vita italiana, rendendo in tal modo più difficile il già difficile compito del Governo italiano. « Bella notizia scriveva il gen. Puntoni nel commentare l'annuncio del concesso trasferimento (6) - ma purtroppo polvere negli occhi per chi non conosce la verità delle cose. Noi siamo gli amministratori e gli Alleati continuano ad essere j veri padroni di tutto ». A questa restituzione ne seguirono altre, a mano a mano che le truppe alleate avanzavano verso nord. Esse furono, prima della Hne delle ostilità (2 maggio 1945), tre, tutte con restrizioni a favore degli Alleati, come stabilito per la prima.
{5) Per i testi completi vedasi Castellano (6) Puntoni - Op. cit. bibl., pg. 240.
(Op. cit. bibl (Il), pg. 225-231).
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Il 20 luglio 1944 furono restituite all'amministrazione italiana le province di Foggia, Avellino, Benevento, Napoli (escluso il comune e il porto di Napoli ) e Campobasso; il 15 agosto, le province di Roma, Littoria (Latina) e Frosinone: il 16 ottobre, le province di Chieti, Pescara, Teramo, L'Aquila, Rieti e Viterbo. Con queste restituzioni l'amministrazione italiana, sia pure con le limitazioni derivanti dalle clausole armistiziali e da quelle che accompagnavano le restituzioni stesse, alla fine delle ostilità si estendeva sulla Sardegna e sulla Sicilia nonché sul territorio della Penisola a sud di una linea spezzata che, partendo dalla foce del Chiarone, nel Tirreno, raggiungeva quella del Tronto, in Adriatico. Gli aitri territori vennero trasferiti gradualmente alla nostra amministrazione del periodo compreso tra il 9 maggio 1945 e il 15 settembre 1947 (data di entrata in vigore del Trattato di pace) (7).
4. Tentativi fatti per una rev1s10ne delle clausole armistiziali e il cambiamento della cobelligeranza in alleanza.
La posizione internazionale dell'Italia, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, può così sintetizzarsi: l'Italia si trovava giuridimente nella posizione di una Potenza la quale, dopo esser stata in guerra con le Nazioni Unite, si era loro arresa e che, benché fosse stata riconosciuta successivamente dalle stesse quale cobelligerante, non era loro alleata. I problemi che si presentavano quindi al nostro Governo per migliorare la nostra situazione in questo settore erano due e reciprocamente influenzantesi: quello della revisione delle condizioni armistiziali e quello della trasformazione della cobelligeranza in alleanza. Si è già parlato delle condizioni armistiziali rilevandone l'estrema durezza, ma non v'è dubbio che, in pratica, esse ,s arebbero risultate molto meno pesanti se gli organi alleati incaricati di vigilare sulla loro osservanza da parte nostra avessero esercitato le loro funzioni con quello spirito da cui traeva origine la promesa fattaci con il « memorandum di Quebec ».
(7) La restituzione avvenne come segue: - 9 maggio 1945 - province di Perugia, Terni, Ascoli Piceno, Macerata, Pesaro, Grosseto, Siena, Arezzo e Ancona (tranne il comune di Ancona); - 18 giugno 1945 - province di Firenze, Pisa, Livorno e Pistoia (tranne i comuni di Livorno, Colle Salvetti e Pisa); - 5 agosto 1945 - province di Lucca. Massa, Forlì, Ravenna. Bologna. Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza; - 31 dicembre 1945 - tutti i restanti territori dell'Italia settentrionale, meno quelli delle province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume; - 15 settembre 1947 - province di Udine e di Gorizia (con esclusione ovviamente del « Territorio Libero di Trieste» e dei territori ceduti alla Jugoslavia).
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Tali organi furono sostanzialmente due: la « Missione militare alleata », di cui si è già parlato (1 ) , la quale, giunta a Brindisi il 13 settembre 1943, cessò di funzionare il 9 novembre successivo, e la « Commissione di Controllo alleata» (Allied Control Commission - A.C.C.), che ne prese il posto (2) e che continuò a ·svolgere la sua attività - sia pure con poteri sempre più ridotti dall'inizio del 1945 - sino all'entrata in vigore del Trattato di pace, nel settembre 1947 (3). Compito della Commissione di Controllo era quello di mantenere le relazioni tra le Nazioni Unite e il Governo italiano nonché di sorvegliare che questo osservasse le clausole armistiziali e ·s i comportasse in modo conforme agli interessi degli Alleati (4). Presidente dell'A.C.C. era, « ex officio», il Comandante Supremo delle Forze alleate del Mediterraneo (5), ma praticamente lo era il Commissario Capo. Questi furono tre, durante il periodo delle ostilità, e precisamente: il generale americano K. A. Joyce (10 novembre 194314 gennaio 1944), il generale britannico F.N. Mason MacFarlane (15 gennaio-22 giugno 1944) e il capitano di vascello statunitense E.W. Stone dal 23 giugno 1944 sino al 25 maggio 1945, data in cui - essendo cessato il conflitto - assunse le funzioni di presidente. La Commissione - costituita quasi esclusivamente da ufficiali americani e inglesi - era divisa in quattro sezioni (militare, politica, economica e amministrativa, telecomunicazioni e trasporti). Ogni sezione era suddivisa a sua volta in sottocommissioni, fra le quali è da ,segnalarsi particolarmente, per l'argomento che ci interessa, la « Navy SubCommission » (6).
(1) Vedasi Cap. III. {2) Il 25 ottobre 1944 la Commissione modificò il suo nome divenendo ufficialmente « Commissione alleata» (Allied Commission - A.C.) « Il controllo però, commenta il gen. Puntoni nella sua opera citata in bibliografia (pag. 254), t·esta sempre; se non è zuppa è pan bagnato ». (3) Ad esser esatti v'era un terzo organo, il « Consiglio consultivo per l'Italia » (Advisory Council for ltaly) - al quale si è già accennato nella precedente sezione 2 di questo capitolo - il quale aveva il compito: a) di vigilare sull'organizzazione del con troll o esercì ta to sull'Amministrazione italiana per assicurare la osservanza dell'armistizio da parte di questa e, b) di dare pareri in merito al Comandante Supremo alleato, quale presidente della Commissione di Controllo. A differenza dei due organi alleati citati nel testo, il Consiglio consultivo non poteva però avere alcun rapporto diretto con il Governo italiano. ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1943, Voi. II, pg. 435). (4) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1943 - Voi. Il., pg. 438. (5) In ordine di tempo, come si è già veduto nella precedente sezione 1. di questo capitolo, il gen. Eisenhower e i marescialli britannici, Wilson ed Alexander. Dal 10 novembre 1944 sino al 25 maggio 1945 le funzioni di presidente furono esercitate, con la veste di « Acting President », dall'inglese Harold Macmillan, consigliere politico del Comandante Supremo. (6) L'organizzazione della Commissione subì radicali modifiche agli inizi del 1945 in relazione al « Memorandum Macmillan », di cui si parlerà più avanti.
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Sul modo in cui le condizioni d'armistizio erano interpretate e il controllo effettuato, si riportano qui di seguito, in ordine cronologico, tre testimonianze; le prime due di due nostri Presidenti del Consiglio dei Ministri, la terza di un giornalista. Così scriveva Badoglio (7) in una lettera diretta verso la metà di marzo 1944 al gen. MacFarlane, in risposta a una comunicazione in cui questo lo informava di una decisione dell'A.C.C.: « Si tratta dunque, come sempre, d'un ulteriore arbitrario aggravamento delle condizioni d'armistizio, o, nel migliore dei casi, d'una interpretazione sempre più restrittiva e illiberale delle sue clausole. « Tutto ciò non è affatto giustificato ... Ora io vorrei molto ·sinceramente dirLe che codesto sistema e codesti metodi corrispondono esattamente a un lento e progressivo processo di asfissia. L'Amministrazione alleata non ·s i limita infatti alla sorveglianza dell'attività amministrativa e governativa italiana, ma interferisce in ogni anche minimo particolare della vita del Paese e decide in modo e forma categorici e imperativi. Così che io e il mio Governo siamo davvero ridotti ad essere semplici strumenti ed esecutori delle decisioni alleate, pur mantenendo di fronte al Paese tutte le responsabilità di atti e fatti alla cui formazione non abbiamo mai in alcun modo concorso. « Nessun Governo, in qualunque modo composto, può, a lungo andare, reggere con queste progressive, umilianti e, soprattutto, sterili limitazioni. E sarebbe forse, non dirò migliore cosa, ma certamente più sincera e aperta, se l'Amministrazione alleata, qualora voglia effettivamente governare il Paese, si decidesse a governarlo direttamente, senza tramiti ». « I rapporti fra Italia e gli Alleati scriveva alcuni mesi dopo il Presidente del Consiglio, Bonomi, ai colleghi di Gabinetto (8) - si basano, come è noto, sulle condizioni di armistizio, le quali tuttavia hanno avuto in molti casi un'interpretazione estensiva, oppure sono state modificate o aggravate da accordi particolari intervenuti successivamente tra le varie amministrazioni italiane e le corrispondenti autorità alleate di controllo. Inoltre, indipendentemente da qualsiasi accordo, le autorità alleate esercitano di fatto in vari casi ingerenze che ostacolano gravemente il normale funzionamento degli organi e delle autorità italiane ». Ai primi di ottobre del 1944 così ·s i esprimeva il giornalista Giuseppe D'Amico sulla rivista « Politica Estera». (9) « Esistono tutt'ora nell'Italia liberata due Governi: quello del presidente Bonomi e quello del comandante Stone. I due per usare, con tutto rispetto, una recente frase del signor Churchill, "sono amici".
(7) Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 176. (8) Lettera della Presidenza del Consiglio dei Ministri nr. 1/ 581/C. del 22 settembre 1944. (9) « Politica Estera» - 1944, nr. 9, pg. 3.
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I sentimenti del comandante Stone verso di noi sono, inoltre, sicuri e provati. Ma i rapporti amichevoli che esistono tra Commissione di Controllo alleata e Governo italiano non impediscono e non possono impedire che il secondo sia ad ogni pié sospinto inceppato o paralizzato dal primo anche in tutti quei settori che, essenziali per la vita dello Stato italiano, non hanno connessione diretta o indiretta con l'andamento delle operazioni belliche o con quei piani alleati di intervento nella ricostruzione dell'Italia, nei quali il controllo trova oggi la sua legittimazione. « Non solo nelle regioni che per motivi bellici sono tutt'ora sotto l'amministrazione militare anglo-americana, ma anche nel territorio restituito al nostro Governo, la Commissione di Controllo è, in una veste o in un'altra, onnipresente. E' onesto riconoscere che, in non pochi settori, la sua presenza giova, ma è altrettanto doveroso affermare, con la più amichevole lealtà, che in molti casi essa nuoce. « Nuoce materialmente e moralmente. Materialmente perché crea continui conflitti di competenza, divide e polverizza le responsabilità, fa incerta e contraddittoria l'azione degli organi amministrativi italiani. Moralmente perché rende ancora più lento e precario lo sviluppo di quella delicata pianta che è l'autogoverno. Pianta che venti anni di fascismo hanno imbastardita in Italia e che necessita quindi, qui più che altrove, estreme cure per poter sanamente allignare. « Una simile diarchia sarebbe più che nociva in un territorio che la guerra avesse lasciato pressocché illeso negli animi e nelle cose. E' deleteria sui nostri animi e sul nostro suolo, devastato da saccheggi e distruzioni nazifasciste, da scontri di eserciti, da bombardamenti aerei e navali». Quali furono i passi fatti dai nostri governanti in questo settore per cercare di uscire dalla morta gora? Quali furono i risultati dei passi compiuti? Prima di passare a questa esposizione si riporta qui di seguito (al fine di avere un quadro per quanto possibile veritiero dei sentimenti che si agitavano, almeno durante i primi tempi, nell'ambiente alleato) la seguente lettera a carattere ufficioso scritta ìl 2 dicembre 1943 dal contrammiraglio britannico W.I.A. Waller al capitano di vascello C. Tallarigo. Il primo era il Comandante in Capo del Mar Rosso e della Zona del Canale; il secondo era il comandante dell'incr. « Eugenio di Savoia » che, da circa un mese, era dislocato a Suez per cooperare - nel quadro del « Cunningham-de Courten Agreement » - con le Forze alleate. La lettera era in risposta ad una del giorno precedente del comandante Tallarigo con la quale questi si doleva delle restrizioni cui era sottoposto, nelle relazioni con la terra, l'equipaggio della sua nave, restrizioni che non erano da ritenersi conformi - egli diceva a llo status di « co-operating ship, quale era l'Eugenio di Savoia ». Le idee espresse dall'amm. Waller nella sua lettera corrispondevano allo
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stato d'animo dell'epoca di larghi strati dell'opinione pubblica alleata (10). Ecco il testo della lettera: « Caro comandante Tallarigo, ho ricevuto la Sua lettera del 1° dicembre e l'ho studiata attentamente. Credo che molte difficoltà e incomprensioni potranno evitarsi per il futuro se Le espongo adesso chiaramente la diversità fra il punto di vista da Lei espresso nella Sua lettera e quello della maggioranza del personale alleato attualmente in Egitto, il quale costituisce una grossa percentuale della popolazione locale. « I non italiani considerano la questione come segue: la Nazione italiana, senza alcuna distinzione, si è unita al loro nemico comune nella guerra per i suoi propri interessi ed ha appoggiato la Germania anche nei suoi atti peggiori. Gli italiani hanno occupato la Grecia, parte della Francia ed altri territori e quindi, inevitabilmente, vengono ritenuti da questa gente responsabili in gran parte della miseria e della fame che si sono verificate ed ancora permangono i.n detti territori occupati. « Gli eventi che hanno preceduto l'armistizio hanno prodotto un cambiamento di sentimenti in un numero di italiani sufficiente per abbattere il vecchio regime ma non sufficiente per controllare le azioni dell'intera Nazione. « La flotta italiana, o almeno la maggior parte di essa, era convinta della desiderabilità che il nuovo regime assumesse il potere ed obbedì perciò, con molto buon senso, agli ordini che derivavano da quanto stabilito dall'armistizio. « Un ulteriore sviluppo fu l'accettazione da parte alleata della cobelligeranza nei riguardi delle Forze italiane che obbedivano agli ordini del nuovo regime. « Questa decisione, come Lei certo sa, non fu gradita sotto alcuni aspetti nemmeno in Gran Bretagna e in America. Essa fu infatti molto discussa e provocò un notevole risentimento nelle Nazioni alleate continentali. « Queste ultime accettarono la situazione per lealtà verso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, ma lo fecero senza alcun sentimento amichevole verso gli italiani e con molto risentimento e rimostranze per il fatto che gli italiani, che avevano oppresso i loro popoli in Grecia ed in Francia, non dovessero ora subire la normale punizione di divenire prigionieri di 6uerra. « Questi alleati e, fino ad un certo punto, i militari dei gradi inferiori delle Forze britanniche e americane, non sono affatto disposti ( 10) « La trucolenza e il tradimento degli italiani [sic] furono cause di molte sofferenze per il nostro popolo [quello britannico]. La nostra opinione pubblica nutriva un particolare risentimento verso lo sciacallo Mussolini e coloro che avevano sostenuto o scusato la sua politica. La trasformazione da nemico sconfitto in qualcosa di simile a un amico e alleato era un processo che aveva bisogno di tempo». i(Così scriveva Macmillan - Op. cit. bibl., pg. 508 - riferendosi alla situazione esistente a fine settembre 1943).
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ad accettare ~he l'ultimo convertito alla causa alleata debba di punto in bianco entrare nella loro amicizia e che sia trattato come quelli a fianco dei quali essi hanno combattuto e sofferto durante gli ultimi anni. « Questo sentimento verrebbe ora rapidamente acuito se militari italiani in uniforme assumessero l'aria ed il comportamento di amichevole eguaglianza in pubblici locali. « Parlo di fatti, e non di quello che è "giusto", perché recentemente un assembramento piuttosto ostentato di militari italiani in uniforme ha quasi provocato al Cairo uno spiacevole incidente. « Il fatto è, caro comandante Tallarigo, che quando si è fatto, oppure quando la propria Nazione ha fatto, un grave e rattristante errore, è assolutamente necessario lasciar decorrere un periodo di tempo sufficientemente lungo perché i rancori si attutiscano e, nel contempo, evitare qualsiasi atto che tale errore possa rievocare. « Credo che questo risulterà evidente ad un uomo della Sua intelligenza e condizione ... ». « La prego di credere che è doloroso per me... » (11). Dopo questa premessa passiamo ora alle iniziative prese dal nostro Governo nella questione in esame. Credo che il primo passo sia stato fatto dal Re con la sua lettera, di cui si è già parlato (12), indirizzata il 21 settembre 1943 a re Giorgio VI e al presidente Roosevelt. In questa lettera egli, fra l'altro, richiamava infatti l'attenzione dei destinatari sul problema importantissimo del cambio imposto tra lira e sterlina aggiungendo: « un trattamento più favorevole di quello adottato in Sicilia avrebbe ripercussioni morali e politiche incalcolabili per la causa comune». Le risposte che ne ricevette furono del tutto generiche, ma, mentre Roosevelt si limitò a rispondere a quanto richiesto, re Giorgio VI
(11) Questi sentimenti - lo vedremo anche più avanti - erano duri a morire, come dimostra questo episodio di cui il cap. vasc. E. Giuriati ebbe diretta conoscenza dall'amm. C. Morgan con il quale si era incontrato a Londra il 9 ottobre 1945. L'amm. Morgan (che era stato il capo del F.O.L.I. - Flag Officer Liaison Italy . per oltre un anno e che, in tale veste aveva potuto valutare il sostanziale contributo dato agli Alleati dalla nostra Marina) nell'estate di tale anno, finito il conflitto, aveva preso l'iniziativa di informarne i propri compatrioti a mezzo della B.B.C. A tal fine aveva preparato il testo che si proponeva di leggere alla trasmissione e, avuto il placet dall'Ammiragliato e dal Foreign Office, lo inviò alla B.B:C. onde stabilisse l'orario e le modalità della trasmissione. La B.B.C. non dette risposta alla richiesta dell'amm. Morgan, limitandosi, all'insaputa di questo, a fare un sunto del documento ricevuto che, tradotto in italiano, fu radiodiffuso il pomeriggio del 7 settembre 1945 durante la trasmissione « London calling Italy » ( « La voce di Londra » ). Il desiderio dell'amm. Morgan di informare gli inglesi dell'attività svolta dalla nostra Marina durante la cobelligeranza, andò quindi completamente deluso. (Lettera ufficiosa del cap. vasc. Giuriati a\l'amm. de Courten del 15 ottobre 1945). ( 12 ) Vedasi sezione 3. di questo capitolo.
134 ritenne opportuno andare ollre scrivendo testualmente. « Debbo nel contempo porre in chiaro che, mentre il mio Governo è disposto a trattare con que llo di Vostra Maestà su una base "de facto", per quanto riguarda le questioni collegate con l'esecuzione dell'armistizio e con l'espulsione del Tedesco invasore dal suolo italiano, è da escludere che il Governo di Vostra Maestà possa esser riconosciuto come alleato » ( 13 ). La nostra dichiarazione di guerra alla Germania, con il contemporaneo riconoscimento della nostra cobelligeranza da parte degli Alleati (13 ottobre 1943), dava lo spunto all'amm. de Courten di scrivere pochi giorni dopo al Comando Supremo, nella sua veste di Capo di Stato Maggiore della Marina, la seguente lettera: (14) « ... La situazione di cobelligeranza, riconosciuta all'Italia dalle Nazioni Unite, ma accompagnata da dichiarazioni anglo-americane, di fonte ufficiosa e ufficiale, secondo le quali le clausole dell'armistizio rimarrebbero in vigore e potrebbero esser modificate solo alla luce del grado di assistenza che le Forze Armate italiane daranno alle Nazioni Unite, impone la necessità di chiarire con gli Anglo-Americani i caratteri ed i limiti della cobelligeranza e di determinare il grado di assislenza delle Forze Armate italiane nonché i rapporti di causa ad effetto esistenti Lra tale assistenza e le conseguenti modifiche alle clausole d'armistizio. « Questo problema presenta particolare interesse per la R. Marina perché, dato il sostanziale contributo che le Marine militare e mercantile possono portare fin da ora ( ed anzi già stanno portando) alle operazioni belliche anglo-americane in Mediterraneo e in vista della prossima estensione di tale contributo nel più vasto e importante campo oceanico, è necessario mettere .in rilievo senza indugio la grande importanza della cooperazione marittima italiana e fissare, almeno in linea di massima, le progressive modifiche che questa assistenza può e deve portare nella interpretazione delle clausole d'armistizio e delle condizioni di cobelligeranza. « Nelle mie relazioni dirette con l'amm. Power, rappresentante alleato presso il Ministero della Marina (15), ho già accennato ad alcune questioni di particolare interesse per la Marina ... , ma ritengo indispensabile che siano concretate direttive di carattere generale ... ». Il Comando Supremo, con lettera a firma del Capo di Stato Maggiore Generale (gen. Ambrosio), rìspondeva due giorni dopo nel modo seguente: (16) « Non credo cl).e sia il caso di negoziare fin da ora le attenuazioni (13) I testi delle lettere sono riportati in Castellano - Op. cit. bibl. (11) pg. 225-231. (14) Stato Maggiore Marina, fg. nr. 2216/ S del 19 ottobre 1943. {15) L'amm. britannico A.J. Power era il capo della sezione navale della Missione militare alleata. (16) Comando Supremo - Ufficio Operazioni - nr. 2153/0P del 21 ottobre 1943.
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alle clausole dell'armistizio in base alla nostra cobelligeranza: in ogni modo è questione di Governo e V .E., quale Ministro, potrà, ove lo creda, far presente la cosa all'Ecc. il Capo del Governo ». A questa risposta, indubbiamente sorprendente, l'amm. de Courten replicava (17) che vi sono problemi di Governo (quale quello di cui sopra) « che hanno stretto riferimento con la condotta operativa della guerra» e che egli aveva ritenuto necessario di chiedere in proposito un preventivo esame di carattere collegiale « in modo che eventuali proposte all'Ecc. il Capo del Governo risultassero fondate e appoggiate dal concordante giudizio dello Stato Maggiore Generale». Sottoponeva quindi la questione al maresc. Badoglio, il quale il 27 gennaio 1944 si rivolgeva direttamente a Roosevelt con una lettera, fattagli pervenire a mezzo del generale americano Donovan, in cui diceva fra l'altro: « Per esser in grado di infondere speranza nel Paese e galvanizzarlo, io debbo esser assistito da Lei perché se sono sempre e soltanto considerato come il rappresentante di un Paese che è stato conquistato e che ha chiesto un armistizio, io non posso avere il prestigio atto a dare al mio popolo un indirizzo vigoroso nella guerra di liberazione. Un gesto di generosità da parte Sua aumenterebbe il contributo che gli Alleati si aspettano da noi. « Mio caro Presidente, se l'Italia che sta combattendo lo stesso com une nemico fosse dichiarata alleata, Lei avrebbe l'eterna gratitudine degli italiani d'Italia e degli Stati Uniti». A questa lettera Roosevelt rispose il 21 febbraio in tono molto cortese impegnandosi ad esaminare la richiesta quando fosse stato costituito in Italia un Governo allargato a tutti i partiti antifascisti, p rovvedimento indispensabile per poter « organizzare la condotta della guerra su larga scala internazionale, come lo status di alleanza richiedeva » (18). Sulla questione tornava Badoglio il 26 marzo successiv.o in una lettera al Capo della Commissione alleata di controllo, il generale MacFarlane. « Lei sa, gli disse, che la parola cobelligeranza è ancora una formula vana perché si appoggia un icamente sull'armistizio. Lei sa altresì che m oltissime clausole degli armistizi del 3 e del 29 settembre sono da considerarsi decadute, perché già por tate ad esecuzione o materialmente impossibili ad eseguirsi o sostituite da altri accordi ecc. « Ora io mi domando e Le domando se non sarebbe opportuno per noi e per tutti - come io fermamente ritengo - che tali docum enti fossero sostituiti da uno nuovo che scartasse tali clausole decadute e definisse in modo p reciso la cobelligeranza, quale è uscita da sei mesi di lealissima collaborazione; adeguare, insomma, la situa(17) S tato Maggiore Marina, nr. 2690/ S del 27 ottobre 1943. (18) Bac,toglio . Op. cit. b ibl. pg., 169 e 188; Vailati · Op. cit. bibl. (III), pg. 470 e 524-525; « Foreign Relations,. cit. bibl. . 1944, Voi. III , pg. 1012 e 1031.
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zionc internazionale italiana a quella che è, oggi, la reale cd effettiva situazione di fatto » (19). Ma anche questo passo non ebbe alcun pratico seguito. Esito negativo ebbe pure un nuovo intervento di Badoglio presso Roosevelt effettuato verso la metà di aprile. Prendendo spunto da quanto dettogli dal Presidente americano nella sua lettera del 21 febbraio, il Maresciallo - premesso che l'Italia era alla vigilia della costituzione di un Governo che avrebbe incluso anche i rappresentanti dei principali gruppi antifascisti (il che effettivamente avvenne il 21 aprile) - il Maresciallo, dicevo, così si esprimeva nella sua lettera: « Io desidero uni camente dirLe che sarebbe saggio e umano che l'avvento del nuovo Governo democratico italiano fosse accompagnato dal pieno riesame delle durissime condizioni di armistizio a noi fatte sei mesi fa: cioè, in breve, che fosse accompagnato dal passaggio dell'Italia dalla cobelligeranza all'alleanza. « Nessuna occasione più propizia, nessuna occasione più favorevole. Lei stesso, inoltre, lo ha affermato nella Sua leltera. E nessuno meglio di Lei, signor Presidente, potrebbe adempiere al compito di rendere contemporaneo l'imminente avvento della nuova Italia democratica con il suo definitivo inserimento nelle Nazioni Unite. « Gli Stati Uniti assumerebbero in tal modo, in Itali a e nel Mediterraneo, una parte importante di fronte a tutte le altre Potenze; si assicurerebbero decisa e decisiva influenza in Italia e negli affari italiani; neutralizzerebbero ogni azione e influenza dall'Est; scioglierebbero la rigida e intransigente politica britannica, richiamandola verso mete e compiti più costruttivi. Per di più galvanizzerebbero l'intera Nazione italiana, sia nel Sud che nel Nord, per la lotta finale contro i Tedeschi e per l'opera di ricostruzione del Paese su quelle basi liberali e democratiche, che sono il Suo e il nostro comune ideale» (20). La lettera venne evidentemente a conoscenza del Foreign Office che si affrettò a intervenire presso lo State Departmcnt (telegramma del 20 aprile) facendo presente che l'Italia, anche se cobelligerante, « non deve dimenticare la sua posizione di nemico sconfitto né richiedere i privilegi di un'alleata: quante più concessioni faremo ora, tanto più difficile sarà imporre quelle sanzioni che gli Alleati giudicheranno desiderabili ... alla fine della guerra». La missiva concludeva che Londra
(19) Badoglio - Op. cit. bibl. pg., 177; Vailati . Op. cit. bibl. (III), pg. 528529. Poch i giorni prima, il 19 marzo, il Segretario Generale del Ministro degli Esteri, Prunas, parlando con MacFarlane gli aveva detto « che bisognava fare qualcosa per regolare la presente situazione secondo la quale l'Italia era e un nemico sconfitto e una Nazione cobelligerante» ( « Foreign Relation » cit. bibl. 1944, Voi. I II, pg. 1069). (20) Vailati - Op. cit. bibl. (l ii ), pg. 540; « Foreign Relations" - cit. bibl. 1944, Vol. III, pg. 1087.
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non riteneva, « per il momento», di accordare all'Italia lo status di alleato e che si riservava di accordarsi in tal senso anche con Mosca (21). Lo State Department aderì al punto di vista britannico cosicché la risposta che il 29 aprile Roosevelt dette a Badoglio non poteva esser praticamente che negativa. A differenza della prima fu però poco cortese. « Una revisione delle condizioni d'armistizio, diceva, ovviamente potrebbe avvenire dopo che fossero state consultate le autorità militari e come risultato di un'azione concertata tra i Governi alleati. La cosa, tuttavia, ha la mia piena considerazione ... « Posso io frattanto parlare ancora con quella franchezza che i miei concittadini e i Suoi preferiscono? Ora che l'Italia si è mossa nella direzione di un Governo veramente democratico, l'opinione pubblica degli Stati Uniti guarda vivissimamente a che vi sia chiara prova che il popolo italiano è appassionatamente e sinceramente risoluto a respingere l'invasore fuori del proprio suolo e a contribuire a quella vittoria comune, il cui prezzo è stato rialzato dalla defezione di parte dell'Italia sotto il fascismo (22). Io so che tutti i patrioti italiani condividono il pensiero dei popoli delle Nazioni Unite: che gli Italiani devon dar prova di non cercare spurie riabilitazioni per mezzo di aiuti esterni ma di voler la rigenerazione nazionale e internazionale dell'Italia a mezzo di loro coraggiosi sforzi » (23). Malgrado questi insuccessi il Gove:rno italiano continuò a svolgere la sua opera di persuasione sui rappresentanti diplomatici in Italia dei « tre Grandi», gli ambasciatori Kostylev (U.R.S.S.), Kirk (Stati Uniti) e Charles (Gran Bretagna) (24). Fra gli incontri che scaturirono da questa attività è da ricordarsi quello che avvenne il 13 maggio fra il Segretario Generale del Ministero degli Esteri, amb. Prunas, e l'amb. Kirk. Nella relazione del colloquio che fece il 16 maggio al maresc. Badoglio, Prunas racconta che Kirk gli aveva detto di ritenere che, per il momento, il cambiamento di status invocato dall'Italia non fosse possibile, dato che esso avrebbe sollevato il malcontento della Francia, della Jugoslavia e della Grecia, le quali erano convinte d'aver indubbiamente maggiori titoli di noi a un trattamento di favore. Ciò comunque non significava che non si dovesse insistere verso questo obiettivo, ma che bisognava considerarlo raggiungibile dopo lungo cammino. In ogni .(21) Vailati - Op. cit. bibl. (III), pg. 557; « Foreign Relations » cit. bibl. 1944, Voi. III, pg. 1105. (22) Richiamo evidente alla Repubblica di Salò. (23) Vailati - Op. cit. bibl. (III), pg. 557-558; « Foreign Relations » cit. bibl. 1944, Voi. III, pg. 1106. (24) Questi ultimi due, come si è veduto, avevano formalmente la veste di membri del « Consiglio consultivo per l'talia », non essendo state ancora riprese, all'epoca (maggio 1944), le relazioni diplomatiche. tra Italia, Stati Uniti e Gran Bretagna, il che avvenne il successivo ottobre.
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modo, finché tate cammino fosse stato in atto, sarebbe stato utile per noi di cercare di svuotare gli armistizi con una lenta e tacita opera d'erosione, anziché con gesti e iniziative aperte e solenni (25). Contemporaneamente anche il Foreign Office, informato della difficile situazione italiana dall'amb. Charles a ciò sollecitato, stava rivedendo il suo atteggiamento, come risulta dal seguente brano di un memorandum che Eden inviò a Hull il 25 maggio (26). « E' convincimento del Governo di sua Maestà che sarebbe prematuro a questo stadio dare all'Italia lo status di alleata. Una tale mossa non sarebbe ben accolta dall'opinione pubblica britannica e sarebbe ostacolata al massimo da Francesi, Greci e Jugoslavi, che si sdegnerebbero amaramente se l'Italia fosse posta sul loro stesso piano. La concessione immediata dello status d'alleata potrebbe inoltre rendere molto imbarazzante per gli Alleati la posizione dell'Italia, quando si addiverrà alle trattative di pace. « Tuttavia proseguiva il memorandum - per non adottare un atteggiamento del tutto negativo verso le rinnovate richieste dell'Italia per un miglioramento del suo status, il Governo di Sua Maestà sarebbe disposto a prender in esame l'abolizione dell'attuale regime d'armistizio e a concludere un trattato preliminare di pace con il Governo italiano, appena la situazione lo permetta e il Governo italiano abbia sufficiente autorità per parlare a nome dell'intero popolo italiano ».
(25) L'amb. Kirk ai primi di maggio si era già intrattenuto con il maresc. Badoglio e, a seguito di tale colloquio, aveva suggerito a Washington, d'accordo con i suoi collaboratori, la desiderabilità di un gesto che avrebbe dovuto consistere, a suo parere, nel riconoscimento dell'Italia della veste di alleato o, in alternativa, secondo parere d'altri, in concessioni meno impegnative quali, ad esempio, la revisione dello status dei prigionieri di guerra italiani in mano alleata, il riesame delle clausole armistiziali con l'eliminazione di quelle superate o di difficile attuazione. L'undici maggio il Dipartimento di Stato aveva risposto che riteneva prematuro sollevare la questione dello status dall'alleanza per l'Italia « non soltanto per l'impressione sfavorevole che questa mossa avrebbe avuto su Francesi, Greci e Jugoslavi, i quali tutti avevano sofferto le conseguenze dell'aggressione italiana, ma anche perché avrebbe avuto come conseguenza la disintegrazione dell'intera macchina della Commissione di Controllo e delle condizioni d'armistizio, mentre era ancora lontana la data in cui l'Italia, quale Potenza sconfitta, avrebbe dovuto inevitabilmente divenire firmataria di un Trattato di pace con le tre Potenze vincitrici ». Il Dipartimento di Stato era invece d'accordo sull'opportunità e la desiderabilità di affrontare la questione dei prigionieri di guerra e di eliminare o modificare quelle norme armistiziali superate o di difficile attuazione. ( « Foreign Relations ,, cit. bibl. 1944, Voi. III, pg. 1107, 1109, 1110; Vailati - Op. cit. bibl. (III), pg. 561-566). Come si vede, nel colloquio con Prunas, Kirk si era attenuto strettamente alle istruzioni ricevute. (26) « Foreign Relations » cit. bibl. . 1944, Voi. III, pg. 1116; Vailati. Op. cit. bibl. (III) pg. 571-573.
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Tenuto conto della piega favorevole che la cosa sembrava prendere e, in particolare, del suggerimento avuto dall'amb. Kirk di cercare di svuotare gli armistizi con lenta e tacita opera di erosione, l'amb. Prunas il 22 maggio scriveva una lettera ufficiosa al ministro de Courten per informarlo dell'esito dell'incontro e per chiedergli di volergli comunicare quali erano, a parere della Marina, gli articoli dei due armistizi già portati a conclusiva esecuzione o decaduti o di impossibile esecuzione o sostituiti da successivi accordi. Per la sopravvenuta liberazione di Roma e il successivo trasferimento del Ministero della Marina da Taranto alla capitale, la risposta ebbe luogo con ritardo ed esattamente con lettera dell'amm. de Courten nr. 327 /U.T. del 14 agosto 1944. Se ne riporta il testo integrale rappresentando essa il pensiero della Marina in materia di revisione delle condizioni armistizi ali ( 27). « Caro Prunas. « Rispondo alla tua del 22 maggio nr. 3181. « 1) Da un attento esame dei due armistizi e dei documenti connessi ho rilevato: « a) L'armistizio del 3 settembre contiene esclusivamente clausole militari. Le clausole di carattere politico, economico e finanziario dovevano esser comunicate in un secondo tempo (art. 12). Esse sono contenute infatti nell'armistizio supplementare del 29 settembre. « Senonché in questi si compresero, in contrasto con quanto stabilito dal'l'art. 12 predetto, disposizioni di carattere militare le quali estendono ed aggravano gli impegni da noi assunti il 3 settembre. Sembra quindi che esista una valida ragione giuridica per richiedere la revoca delle clausole militari del 29 settembre, che il maresc. Badoglio si è trovato nella necessità di accettare. « b) Le clausole dei due armistizi sono state redatte partendo dal presupposto che il territorio italiano non occupato dagli anglo-americani sarebbe rimasto sotto l'autorità del Governo italiano: soltanto le province di Taranto, Bari, Brindisi e Lecce, nonché la Sardegna, si sono trovate in questa condizione. « Su tale considerazione si basano, ad esempio, gli articoli 18, 19, 20 e 21 dell'armistizio del 29 settembre i quali hanno avuto una limitata e non integrale applicazione e che potrebbero quindi esser eliminati.
« c) Lo sviluppo degli avvenimenti dopo 1'8 settembre, culminati con gli accordi di Cunningham-de Courten, la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania e l'accettazione da parte degli Stati Uniti, In-
(27) Detta lettera infatti fu confermata dalla Marina al Ministero degli Esteri con foglio nr. 811/U.T. del 14 dicembre 1944.
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ghilterra e U.R.S.S. della collaborazione attiva della Nazione e delle Forze Armate italiane nel quadro della cobelligeranza, hanno profondamente modificato lo status dell'Italia. « Come ebbe a riconoscere il gen. Eisenhower nella sua lettera in data 29 settembre 1943 al maresc. Badoglio, le condizioni dell'armistizio sotto alcuni riguardi sono state rese inefficaci dai successivi avvenimenti e parecchie delle clausole devonsi considerare cadute in desuetudine (obsolescent). « d) La possibilità di un riesame di tutta la situazione armistiziale e di cobelligeranza fra l'Italia e le Nazioni Unite è preveduta, oltre che dall'articolo 43 dell'armistizio del 29 settembre, dal « documento di Quebec», dal paragrafo 1 lettera e) dell'accordo Cunningham-de Courten e dalla dichiarazione del 13 ottobre 1943 con cu i Stati Uniti, Inghilterra e U.R.S.S. hanno accettato l'Italia come cobelligerante. « Churchill nel suo discorso del 24 maggio u.s. ha dato atto dell'apporto che Esercito, Marina ed Aviazione italiani hanno dato e danno alla causa comune. Né va passato sotto silenzio il contributo dei patrioti, la cui importanza morale e pratica è stata riconosciuta dal gen. Alexander, delle amministrazioni civili e soprattutto della massa degli italiani. Essa ha mantenuto dovunque un ordine, una tranquillità, una capacità di rinuncia e di sacrificio esemplari. Essa ha lavorato duramente nei campi, nelle rare fabbriche e officine superstiti, lungo le strade, tra le rovine, sulle navi, nei porti, nelle retrovie. Il popolo italiano ha dato tutta la sua attività, nella situazione più avversa e demoralizzante, per la sua conservazione, è vero, (il che è nell'ordine naturale delle cose) ma anche per il comune sforzo bellico. « Sembrami perciò che esistano i presupposti di diritto e di fatto perché si possa invocare equamente una revisione del nostro status. « 2) Esaminati uno ad uno gli articoli di carattere militare-marittimo dei due armistizi sono giunto alla conclusione che soltanto alcuni articoli hanno ancora oggi pieno valore. Gli altri o si riferiscono all'immediata situazione post-armistiziale, e sono quindi perenti, o non .sono mai entrati in vigore, o debbonsi considerare esplicitamente modificati o aboliti dall'accordo Cunningham-de Courten o, dal nostro status di cobelligeranti o dalle condizioni imposteci in occasione della progressiva restituzione delle province meridionali. ., « Il risultato 'dettagliato di questo esame è riportato nell'allegato (28) dal quale risulta che gli articoli i quali hanno ancora pieno vigore costituiscono norme frammentarie, integrate, per '1a parte Marina, dagli accordi Cunningham-de Courten e dalle direttive di carattere operativo concordate fra gli Stati Maggiori.
(28) Si omette l'allegato, dato che esso non presenta più un qualche interesse.
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« 3) ln questa situazione mi sembra che non sia il caso di pensare a modificare l'armistizio nel senso di ottenere l'abrogazione delle norme superate ma che convenga invece cercare di regolare ex-novo il nostro status. « Se si esclude, almeno per ora, la possibilità di un'aUeanza, non resta, almeno mi pare, che inquadrare in un apposito strumento i nostri doveri e i nostri diritti di cobelligeranti. « Per la parte militare si potrebbe partire dalla base degli articoli dell'armistizio ancora vigenti, aggiornandoli con gli elementi risultanti dall'accordo Cunningham-de Courten e dalle successive intese intervenute con il Comando Supremo e gli altri Ministeri militari, in base al criterio fondamentale di sostituì re alle disposizioni di carattere imperativo, contenute nell'armistizio, impegni volontari, assunti da parte nostra per il buon esito della causa comune. Sarebbe molto utile, ad esempio, sanzionare il principio che, indipendentemente dall'applicazione a'll'Italia della legge "Affitti e prestiti", l'importo della mano d'opera e degli altri servizi che vengono dati agli Alleati, sia portato a nostro credito. « Tutto questo lavoro di analisi, prima, e di sintesi, dopo, dovrebbe mirare ad un accordo di cobelligeranza, che non si limiti a codificare la nostra attuale situazione, ma che la migliori; che non sia di carattere definitivo, ma che preveda la possibilità di un'ulteriore evoluzione in connessione con il nostro apporto alla guerra. « Un accordo che non tenesse conto di questi due principi basilari sarebbe per me dannoso. La nostra odierna situazione, pur così gravosa, ha in fondo il vantaggio di essere non ben definita e di poter evolvere con continuità a nostro favore. « Se gli Anglo-Americani non volessero o potessero aderire al nostro punto di vista, non so quanto converrebbe accontentarci di un semplice successo di forma che potrebbe costare anche assai caro, n on essendo da escludere che gli Alleati considerino pagata con le poche concessioni finora accordate la promessa fatta di rivedere il nostro status alla luce del nostro apporto. « 4) Dal momento che siamo in argomento, vorrei prospettarti la convenienza di estendere l'esame alla ·s ituazione creata nei territori restituiti all'Italia dalle note condizioni alle quali la restituzione stessa è stata subordinata. « Come certamente sai, tali condizioni danno agli Alleati poteri amplissimi. « Non conosco esattamente quali siano gli accordi intervenuti fra gli Alleati e i Governi del Belgio, Olanda, Norvegia, Lussemburgo e Francia, relativamente all'amministrazione civile dei rispettivi territori, quando liberati. « Comunque, penso che, se riuscissimo a ottenere trattamento eguale, ne avremmo, indipendentemente da eventuali vantaggi pratici. un
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indubbio beneficio di carattere politico, poiché verremmo a trovarci sullo stesso piano di queste Nazioni, pur non facendo parte delle Nazioni Unite. « Ti ho esposto le mie idee ... » (29). La questione della revisione dello status dell'Italia subì una pausa d'arresto con la caduta del Governo Badoglio, avvenuta nel giugno 1944. Essa fu risollevata dal presidente Bonomi, che - come si è veduto - era succeduto al Maresciallo, in occasione del suo incontro con il Primo Ministro britannico recatosi in visita a Roma dal 21 al 23 agosto 1944 (30). Sta di fatto che, al rientro in patria, Churchill, come ebbe a dire nel suo discorso alla Camera dei Comuni del 28 febbraio 1945, fece una serie di proposte al proprio Governo « intese a mitigare il rigore della occupazione alleata in Italia» (31 ). Da queste proposte, discusse poi fra Churchill e Roosevelt nel loro incontro di quell'anno a Quebec (32), trasse origine la cosiddetta « dichiarazione di Hyde Park» del 26 settembre 1944 (33) la quale, per usare sempre la parola del Premier britannico, « mirava ad attenuare in modo tangibile l'atteggiamento delle Potenze vittoriose verso il popolo italiano e a mostrare il loro desiderio d'aiutarlo adeguatamente a riprendere il suo posto tra le Nazioni europee ». Questa dichiarazione (che avrebbe trovato completa attuazione soltanto cinque mesi dopo con il « memorandum Macmillan » del 24
(29) Sulla base dei dati raccolti, il Ministero degli Esteri preparò successivamente uno schema di accordo di 18 articoli che avrebbe dovuto sostituire i due armistizi. Tale schema non ebbe però alcun pratico seguito. (30) In occasione di questa visita Churchill inviò al popolo italiano un suo messaggio con « parole di incoraggiamento e di speranza», ma anche con il seguente ammonimento: « Quando una Nazione si è lasciata cadere sotto il dominio di un regime tirannico non può andare esente dalla punizione che i delitti commessi da questo regime meritano, e, naturalmente, noi non possiamo dimenticare le circostanze nelle quali si è svolto l'attacco di Mussolini contro Francia e Gran Bretagna, quando noi eravamo i più deboli e si pensava che la Gran Bretagna sarebbe perita per sempre, cosa che non è poi accaduta. In ogni modo, parlando a nome dei miei concittadini (ma anche gli altri Alleati vittoriosi debbono dire la loro parola) io credo che la Nazione britannica sarà felice di vedere il giorno in cui l'Italia, di nuovo libera e volta al progresso, prenderà posto tra le Nazioni amanti della pace». (Il testo integrale è riportato in « Politica Estera» nr. 3, marzo 1945, pg. 93). (31) Questa iniziativa - è stato scritto (Woodward - Op. cit. bibl. (Il), Voi. Ili, pg. 447) - traeva origine dalla decisione che l'Italia, pur dovendo continuare a sottostare al regime armistiziale, doveva esser considerata un « amichevole cobelligerante e non più un nemico». Il che era una riconoscimento che, sino allora, la cobelligeranza era stata una parola vana. (32) Il secondo incontro di Quebec tra Churchill Roosevelt ebbe luogo dal 13 al 16 settembre 1944. (Il primo incontro era avvenuto nell'agosto 1943, all'epoca della missione a Lisbona del gen. Castellano). (33) Hyde Park era la residenza del presidente Roosevelt.
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febbraio 1945) prevedeva, tra l'altro, che all'Amministrazione italiana sarebbe stata concessa gradualmente una sempre maggiore autorità, che - a prova di tale indirizzo - la « Commissione di controUo alleata», avrebbe modificato il suo nome in « Commissione alleata» e che, infine, sarebbero state ristabilite relaziòni diplomatiche normali tra i tre Paesi con scambio di rappresentanti aventi rango di ambasciatori (34). Pochi giorni prima della pubblicazione della « dichiarazione di Hyde Park», ed esattamente il 22 settembre, il presidente Bonomi si era rivolto a tutti i colleghi di Gabinetto con una lettera (35) che così cominciava: « Vari elementi in mio possesso autorizzano a ritenere non improbabile la possibilità di addivenire con gli Alleati in un futuro non lontano ad un'equa revisione della situazione dell'Italia. I favorevoli sviluppi della situazione militare sui vari fronti ... rendono tanto più desiderabile una sollecita revisione del genere che permetterebbe oltre tutto di scindere e distinguere la particolare posizione dell'Italia da quella delle altre Potenze tutl'ora in guerra con gli Alleati». Per questi motivi, proseguiva la lettera, si rendeva necessaria « la preparazione di una serie di proposte da sottoporre agli Alleati nella sede ed occasione che si potranno presentare ». A tal fine era richiesto che ogni Ministero inviasse a quello degli Esteri le notizie di sua competenza sulle interferenze delle autorità alleate nella sfera di attività della Amministrazione italiana. La raccolta di tali notizie, si precisava era « in funzione d'una revisione dell'attuale situazione armistiziale nonché d'un possibile allentamento degli odierni pesantissimi controlli e delle non meno ingombranti ingerenze alleate in tutti gli aspetti della vita della Nazione». La Marina, raccolte che ebbe le notizie richieste, le trasmise al Ministero degli Affari Esteri (36), non senza far presente però che « le autorità anglo-americane avrebbero potuto trovare facilmente negli accordi armistiziali una norma che, direttamente o per analogia, si prestasse a giustificare giuridicamente qualsiasi loro interferenza ». Tali notizie sono riportate nelt'allegato 10. Eravamo così giunti alle soglie del 1945 senza che, praticamente, quakhe sostanziale mutamento fosse intervenuto nel regime armistiziale e nello status dell'Italia; la « dichiarazione di Hyde Park » conti-
(34) La dichiarazione preannunciava inoltre provvedimenti per « lenire la fame, le malattie e il timore» (invio di aiuti sanitari e di rifornimenti essenziali, provvedimenti per la ricostruzione dell'economia italiana etc.) facendo presente che « questi provvedimenti dovevano asser considerati anzitutto come un mezzo per permettere all'Italia e al suo popolo d'impegnare in pieno le loro risorse nella lotta per sconfiggere la Germania e il Giappone». (Il testo integrale è riportato in « Politica Estera», nr. 3, marzo 1945, pg. 96). (35) Lettera nr. 1/581/C del 22 settembre 1944. (36) Foglio 811/ U.T. del 14 dicembre 1944.
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nuava infatti ad essere - nella sua parte principale almeno - una semplice enunciazione di principi. Nel frattempo però il punto di vista del Dipartimento di Stato sulla questione aveva subito un'evoluzione a nostro favore. Secondo il Dipartimento di Stato era ormai opportuno, alla luce della situazione creatasi in Italia, che - come aveva •s uggerito il Governo britannico nel mese di maggio - il regime armistiziale cui era sottoposta l'Italia fosse sostituito da altro basantesi su un trattato preliminare di pace da negoziarsi con il Governo di Roma, trattato che avrebbe dovuto però non solo salvaguardare gli interessi delle Forze alleate operanti in Italia, ma rinviare anche al trattato di pace definitivo, da stipularsi alla fine del conflitto, alcune questioni particolarmente importanti e delicate quale, ad esempio, quella delle frontiere. Il Foreign Office invece era ora del parere che le concessioni fatte all'Italia con la « dichiarazione di Hyde Park » fossero sufficienti e che non fossé più di attualità la proposta da lui stesso avanzata nel mese di maggio 1944 per « rafforzare la posizione del Governo Badoglio e incoraggiarlo con l'adozione di misure che non fossero del tutto negative di fronte alle sue ripetute richieste di un miglioramento dello status internazionale dell'Italia». Al massimo si sarebbe potuto dire al Governo italiano che, alla fine del conflitto, il trattato di pace con l'Jt.alia sarebbe stato stipulato prima di quello con la Germania (37). Una soluzione quale quella caldeggiata dallo State Department osservava il Foreign Office a sostegno della propria tesi - fra l'altro avrebbe reso più difficile imporre all'Italia, a guerra finita, quelle dure disposizioni sulle sue frontiere, le sue colonie e la sua flotta che si pensava già di applicarle. In ogni modo - si concludeva da parte britannica - se, nonostante queste obiezioni, si fosse ritenuto opportuno stipulare subito un trattato di pace, questo « avrebbe dovuto contenere non solo norme che - essendo le ostilità ancora in corso - salvaguardassero le esigenze militari, ma anche norme sul trattamento delle colonie e della flotta italiane e sulla revisione delle frontiere italiane prebelliche. Un trattato infatti che non avesse contenuto queste clausole penali e che si fosse limitato a misure miranti a migliorare lo status dell'Italia non sarebbe stato compreso in Gran Bretagna e nei Paesi alleati» (38). Un trattato di questo genere, chiedeva il Foreign Office, stipulato quando il conflitto era ancora in atto, sarebbe stato però conveniente sia per gli Alleati che per il Governo italiano? (39).
(37) Woodward - Op. cil. bibl. (Il), Voi. III, pg. 469; « Foreign Relations • cit. bibl. - 1945, Voi. IV, pg. 992-994, 1103-1104, 1109-1110. (38) Woodward - Op. cit. bibl. (11), voi. III, pg. 472-473. (39) Per maggiori dettagli sulla intera questione vedasi Woodward - Op. cit. bibl. (II), voi. III, pg. 440-444 e 468-477; « Foreign Rclations • cit. bibl. - 1945, vol. IV, pg. 992-1103.
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Questo contrasto tra i due punti di vista, che si risolse poi con il prevalere di quello britannico, provocava una stasi che aggravava sempre più la situazione italiana ( 40). Il Governo di Roma cercò allora di sbloccarla approfittando della riunione dei « tre Grandi» avvenuta a Yalta dal 4 all'l l febbraio 1945. A questi esso inviò infatti un appello nel quale chiedeva che fosse « riesaminato il durissimo trattamento fatto all'Italia nel settembre 1943 » e faceva presente che l'equivoca situazione della cobelligeranza gli impediva « di suscitare e alimentare nella Nazione quelle energie d'alta tempra morale che derivano dalla coscienza di un sacrificio dignitosamente e liberamente compiuto. « E ' quindi anche nell'interesse della causa comune, concludeva il messaggio, che si sostituiscano alle soluzioni autori tari e e alle formule di tutela e di controllo previste dall'armistizio, soluzioni nuove di fiduciosa e dignitosa associazione con le Potenze alleate» (41). L'appello italiano non fu ufficialmente incluso fra le questioni all'ordine del giorno della Conferenza di Yalta, ma fu discusso in termini generali fra le delegazioni americana e britannica, i cui punti di vista in proposito erano, come si è visto, difformi. Il contrasto fu superato con l'aggiornare la questione in attesa degli effetti che avrebbe avuto sul Governo e sull'opinione pubblica italiani il cosiddetto « memorandum Macmillan », nel quale erano pre(40) Woodward - (Op. cit. bibl. (Il), Vol. III, pg. 468) individua come segue i motivi da cui traeva origine l'atteggiamento americano meno rigido di quello britannico: « Gli americani non erano stati attaccati dall'Italia e l'opinione pubblica americana era incline a liberare il popolo italiano da responsabilità per la politica del regime fascista: il numeroso gruppo di elettori di origine italiana esistente negli Stati Uniti incoraggiava con un'abile propaganda questa tendenza e il suo appoggio politico non era questione che il Presidente e l'Amministrazione potessero ignorare. Il Presidente inoltre era più ben disposto verso gli Italiani che verso i Francesi. Aggiungasi che il Dipartimento di Stato continuava ad esser influenzato da sospetti profondamente radicati nei riguardi del colonialismo britannico e delle idee conservatrici del Primo Ministro. In ogni modo gli Americani erano ansiosi di "liquidare" al più presto possibile l'intera situazione derivante dalla guerra in Europa ». Per quanto riguarda l'atteggiamento britannico l'americano Garland (Op. cit. bibl. pg. 269) scrive che « le preoccupazioni provocate dalla flotta italiana avevano fatto sorgere nell'animo britannico il desiderio di vendetta, e l'amara esperienza di Churchill e di Eden con Mussolini aveva fatto loro sposare la tesi di una pace punitiva per l'Italia». Woodward stesso racconta (Op. cit. bibl., (Il), Voi. III, pg. 471) che gli Americani non facevano mistero della loro convinzione che il Governo di Londra « wished to keep Italy down», mentre il loro Governo « wanted to help the Italians ». (Vedasi in proposito lo studio di Aga Rossi citato in bibliografia). (41) Inoltre il messaggio chiedeva aiuti, soprattutto in materia alimentare e di trasporti: che fossero soppressi gli oneri finanziari, resi eccessivamente onerosi da un'interpretazione troppo lata dell'armistizio; che i prigionieri di guerra italiani in mano alleata potessero partecipare alla lotta per un nuovo mondo, non come prigionieri, ma come uomini liberi. (Il testo completo è riportato in « Politica Estt:!ra » nr. 3, mano 1945, pag. 109).
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cisate le concessioni fatte loro dagli Alleati, in applicazione della « dichiarazione di Hyde Park». Con questo documento (che prendeva il nome dell'« Acting President » della Commissione alleata, che era dichiarato non un punto di arrivo ma un ulteriore passo verso la normalizzazione della situazione internazionale italiana, e che fu reso di pubblica ragione il 24 febbraio 1945) era annunciata, con decorrenza immediata, una serie di provvedimenti miranti ad allentare i controlli armistiziali (42). Tra questi provvedimenti erano da segnalare i seguenti: a) abolizione della sezione politica della Commissione alle,:tta; b) autorizzazione al Governo italiano a condurre direttamente le sue relazioni con gli altri Governi anziché per il tramite della Commissione alleata; c) cessazione del controllo della suddetta Commissione sul!"attività legislativa del nostro Governo; d) cessazione del pari del controllo alleato sulle nomine dei Ministri e degli alti funzionari, fatta eccezione per alcune aventi particolare importanza nel campo mili tare ( 43); e) trasformazione dei rapporti fra la Commissione alleata e il Governo italiano in rapporti di consultazione e di consulenza. Venivano inoltre promesse concessioni nei riguardi dei prigionieri di guerra e aiuti per la ricostruzione italiana (44). La fine delle ostilità in Europa non fece però desistere il Governo di Washington dal suo intendimento che - in attesa dell'entrata in vigore del trattato di pace - in Italia il regime armistiziale fosse sostituito da un regime basato su accordi stipulati con il Governo italiano. In esecuzione di questo intendimento alla Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1943) il presidente Truman - premesso che « lo status anomalo [ dell'Italia J di cobelligerante e di nemico arresosi incondizionatamente» ostacolava gli sforzi degli Alleati e degli Italiani stessi per migliorare la situazione economica e politica del paese e che la stipulazione del trattato di pace avrebbe richiesto parecchi mesi almeno - raccomandò che l'« armistizio corto» e le numerose clausole superate di quello « lungo » fossero rimpiazzati da alcuni impegni da parte del Governo italiano. (42) Il lungo tempo . 5 mesi . intercorsi tra la « dichiarazione di Hyde Park» e il « memorandum Macmillan » fu dovuto, in parte, ai contrasti di vedute tra Americani e Inglesi e, in parte, alla complessità delle questioni trattate dal documento, le quali riguardavano l'intero campo delle relazioni (politiche, economiche, amministrative ecc.) tra gli Alleati e il Governo italiano. (43) Fra queste, le nomine a Ministro della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica nonché quelle riguardanti alcuni alti gradì delle tre Forze Armate. (44) Per maggiori dettagli vedasi MacMillan - Op. cit. bibl., pg. 671-672.
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La proposta incontrò però l'opposizione di Churchill il quale - a conferma del punto di vista britannico - dichiarò che non riteneva conveniente rinunciare ai poteri e ai diritti che gli armistizi attribuivano agli Alleati e che, in ogni modo, gli accordi che si sarebbero dovuti stipulare con il Governo di Roma avrebbero dovuto regolare anche alcune vitali questioni quali quelle del futuro delle colonie, delle frontiere e della flotta dell'Italia, cosa che non era prevista dalle intese suggerite dagli Americani. Stalin invece non sollevò obiezioni di fondo ma subordinò il suo assenso al riconoscimento da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna ( che non ne vollero sapere) dei Governi saliti al potere in Romania, Bulgaria e Ungheria con la protezione delle armi sovietiche, dopo l'occupazione di questi territori. L'iniziativa di Truman si ridusse quindi ad una intesa tra i « tre Grandi» che la conclusione del trattato di pace con l'Italia avrebbe avuto la precedenza su quella degli analoghi trattati con gli altri Paesi e che i Governi di Washington, Londra e Mosca avrebbero appoggiato una richiesta dell'Italia d'esser ammessa come membro delle Nazioni Unite (45).
(45) Vedasi Woodward - Op. cit. bibl. (I) pg. 550-554. La questione non fu però abbandonata dagli Stati Uniti. Essa venne infatti ripresa in esame, su loro iniziativa, dal Consiglio dei Ministri degli Esteri delle quattro grandi Potenze riunitesi a Parigi nella primavera del 1946 e condusse ad un accordo che formò oggetto d'un protocollo, firmato il 16 maggio, il quale avrebbe dovuto regolare i rapporti fra l'Italia e gli Alleati sino all'entrata in vigore del trattato di pace. Con questo protocollo - disse il Segretario di Stato Byrnes nel suo radiodiscorso al popolo americano del 20 maggio 1946 - era concessa al Governo italiano « la libertà più ampia che gli possa essere data senza un trattato formale di pace ». In particolare esso prevedeva che l'« armistizio lungo» fosse abrogato e che le relazioni tra l'Italia e le Nazioni Unite (rappresentate da Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia) fossero regolate dall'« armistizio corto», modificato come indicato nel protocollo stesso. Tra le modifiche previste c'era quella che aboliva Ja Commissione alleata; gli Alleati avrebbero però conservato, a mezzo di una speciale sezione del Comando Supremo alleato, il controllo - già esercitato dall'abolita Commissione - « della quantità e della qualità di tutte le Forze Armate italiane nonché della produzione degli armamenti». Nessun mutamento sarebbe però dovuto avvenire per quanto si riferiva alla Marina militare la quale, per il suo « impiego e trattamento », avrebbe continuato ad esser sotto il comando e il controllo del Comandante Supremo alleato (in altre parole praticamente, non formalmente, avrebbe continuato ad aver vigore l'accordo Cunningham-de Courten). Il protocollo - era precisato - non pregiudicava in alcun modo qualsiasi rivendicazione derivante dagli avvenimenti bellici che una qualsiasi Nazione Unita avrebbe potuto avanzare verso l'Italia né avrebbe potuto costituire un precedente per le decisioni finali che sarebbero state prese nei riguardi dell'Italia dal trattato di pace. Ma anche questo atto non ebbe alcun seguilo. (Vedansi « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. II, pg. 216-217 e 436-439 nonché Voi. V, pg. 825-873).
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Riassumendo, la poszzwne internazionale dell'Italia alla vigilia dei negoziati per il trattato di pace nell'estate 1945 restava giuridicamente quella che era nell'ottobre 1943, dopo che essa aveva dichiarato guerra alla Germania. Era cioè la posizione d'una Potenza la quale, dopo essere stata in guerra con le Nazioni Unite, si era loro arresa sulla base di un. armistizio fortemente lesivo per la sua sovranità e che, successivamente, era stata da esse accolta al loro fianco come cobelligerante nella guerra contro le Potenze dell'Asse, senza che ciò portasse a una modifica delle clausole armistiziali, le quali conservavano la loro piena validità. Unica differenza di pratico rilievo fra le due posizioni era quella che, negli ultimi tempi, con. la « dichiarazione di Hyde Park» e il relativo « memorandum Macmillan », erano stati resi meno severi i controlli e le interferenze alleate sull'attività del nostro Governo, sia al centro che nell'ambito dei territori restituiti alla sua amministrazione. Questa posizione giuridica particolare e, in certo qual modo, contraddittoria (un vero pasticcio nel campo del diritto) aveva fatto sorgere un profondo equivoco psicologico fra l'Italia e le Potenze alleate. Da noi si dava ormai per certo, sulla base della promessa di Quebec, che l'Italia, con il suo comportamento nel corso della cobelligeranza, si fosse guadagnata, per dirla con Churchill, il biglietto di ritorno; nel campo alleato invece l'Italia, in definitiva, continuava ad esser considerata un nemico vinto, da trattarsi come tale ( 46) .
5. Richiesta di immediata cessione d'una rilevante parte della flotta italiana avanzata dall'Unione Sovietica.
La partecipazione della Marina italiana alla guerra contro la Germania a fianco delle flotte alleate era in atto da oltre cinque mesi quando, nel pomeriggio del 3 marzo 1944, stazioni alleate radiodiffusero un comunicato Reuter il quale dava una notizia che, non solo fu imprevista e improvvisa come un fulmine a ciel sereno, ma che minacciò di provocare una tempesta. Il comunicato Reuter era il seguente: « Il presidente Roosevelt ha dichiarato all'odierna conferenza-stampa che navi da guerra italiane sono pronte per esser inviate alla Marina russa e che le trattative per il trasferimento di circa un terzo della flotta italiana alla Russia sono quasi terminate. « Il presidente Roosevelt ha aggiunto che Stati Uniti e Gran Bretagna stanno già usando parte del tonnellaggio italiano e che ora si sta stabilendo quante di queste navi, o il loro equivalente, possono
(46) Vedasi in senso analogo G. Vedovato « La politica estera italiana» in di studi politici internazionali», fase. ottobre-dicembre 1977.
« Rivista
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essere trasterite alla Russia. Il maresciallo Stalin ha sollevato la questione a mezzo del suo ambasciatore a W;i,shington. « Il presidente Roosevelt ha precisato che, finché durerà la guerra, gli Alleati impiegheranno contro il nemico tutte le navi [italiane] utilizzabili e che dopo la guerra sarà deciso qualco!>a di più definitivo. Richiesto se le navi [ da consegnarsi alla Russia] sarebbero state equipaggiate con personale italiano, il Presidente ha risposto: « Alcune si, altre no ». La questione delle navi italiane, riparate nelle isole Baleari, ha detto, è di competenza del Governo spagnolo. « Il presidente Roosevelt ha spiegato che, essendosi l'Italia arresa a Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia, era stato ritenuto conveniente di ripartire la flotta italiana sulla base di un terzo circa a ciascuna Potenza. Egli non ha voluto dire quanto tonnellaggio era interessato alla questione » (1). La notizia - gravissima in se stessa, anche se non molto chiaramente espressa - era ulteriormente aggravata, se possibile, dal modo con cui essa era stata resa nota, senza cioè che il nostro Governo ne fosse stato in alcun modo preavvisato, e dal fatto che essa era la prova tangibile del carattere illusorio della promessa di Quebec e dell'inutilità quindi, per usare una espressione di Churchill, « di guadagnarsi il passaggio nel campo dei vincitori ». D'urgenza, scrive degli Espinosa (2), il maresc. Badoglio convocò i Ministri e alle dieci il Consiglio si riunì in un'atmosfera di drammaticità. Il Maresciallo dichiarò che, se Governi inglese e americano non avessero dato precisazioni soddisfacenti, il Governo italiano si sarebbe dimesso e il Re non ne avrebbe nominato un altro. I Ministri approvarono ad unanimità e subito venne trasmessa alla Commissione alleata di controllo la richiesta di precisazioni, assieme alla decisione presa ... Gli stessi partiti dell'opposizione accusarono la crudeltà del colpo e si dichiararono solidali con il Governo». Più particolareggiata è la descrizione di quei gravi momenti fattane dal maresc. Badoglio (3 ). « La notizia diffusasi con estrema celerità, come più specialmente accade per le notizie cattive, destò allarme nel Paese, ed una grande agitazione fra gli equipaggi. Invitai subito il Ministro della Marina a far pervenire a tutte le navi l'assicurazione che della questione mi sarei subito occupato io, e che raccomandavo ad Ufficiali ed equipaggi una fiduciosa calma ( 4). Pregavo poscia il generale Mason MacFarlane di venire da me e l'informavo che io non
(1) « Foreign Relations » cit. bibl. - « The Conference at Cairo and Tehran, 1943 », pg. 876. (2) degli Espinosa - Op. cit. bibl. pg. 300. (3) Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 180. (4) Il mattino del S marzo lo Stato Maggiore della Marina trasmise ai Comandi dipendenti la seguente comunicazione: « Non traete deduzioni affrettate da notizie radio et abbiate fiducia opera Governo con consueta unanime disciplina che est così grande forza per il Paese alt de Courten » (telegr. nr. 7897/S del 5 marzo).
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avevo alcuna informazione ufficiale che la comunicazione della Reuter corrispondesse a verità, ma che se, purtroppo, ciò fosse stato vero, il Governo da me presieduto avrebbe dato immediatamente le dimissioni in segno di protesta, assicurandolo che nessun'altro Governo si sarebbe costituito qualora tale provvedimento, veramente non meritato, fosse stato mantenuto. Gli comunicavo inoltre che, mentre ero riuscito dalla data dell'armistizio ad ottenere che tutta la nostra Marina lealmente adempisse gli obblighi da me assunti, non potevo assicurare in alcun modo, nel caso presente, che tutte le navi, in qualunque posto esse fossero, non si autoaffondassero come ultima e decisiva protesta contro la decisione preannunciata da Roosevelt. Il generale Mason MacFarlane, che si dimostrava oltremodo sorpreso e addolorato, mi pregò di non voler prendere alcun provvedimento fino a che non gli fosse giunta una comunicazione ufficiale da parte dei Governi alleati e di non far in proposito alcuna comunicazione alla stampa. Aderii senz'altro a questa proposta, indubbiamente ragionevole ». Ed infatti si limitò a far diramare (4 marzo) il seguente comunicato: « Il Governo italiano ha appreso soltanto attraverso la radio ed i telegrammi di stampa da Washington le dichiarazioni che sarebbero state fatte dal presidente Roosevelt a proposito di presunte trattative circa la destinazione e l'utilizzazione di parte della flotta italiana. « Quantunque le predette notizie siano, per il modo con cui sono giunte a sua conoscenza, tutt'ora frammentarie e imprecise, il Capo del Governo, maresciallo Badoglio, si è tuttavia posto· personalmente ed immediatamente in contatto con i rappresentanti alleati, cui ha chiesto le più ampie, urgenti, necessarie precisazioni al riguardo, riservandosi di comportarsi e di agire in conseguenza. « Il Governo italiano ha in questa occasione riconfermato il suo fermissimo proposito - che ha avuto del resto, or sono pochi giorni, l'alto riconoscimento del Primo Ministro britannico alla Camera dei Comuni - di collaborare nella piena misura delle sue possibilità allo sforzo bellico degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e della Russia e il suo più vivo desiderio di raggiungere soluzioni concordate allo scopo di ulteriormente sviluppare e rafforzare tale collaborazione nell'interesse della causa italiana e comune» (5).
(5) Il maresc. Messe, Capo di Stato Maggiore Generale, in una sua lettera nr. 11588/0p. del 5 marzo 1944, diretta al maresc. Badoglio nella sua veste di Capo del Governo, premesso che la dichiarazione del presidente Roosevelt, benché non molto chiara nel testo noto, lasciava intravedere che si fosse di fronte a un trasferimento in forma definitiva delle nostre navi all'Unione Sovietica, così proseguiva: « Se questa è la reale intenzione alleata, essa contrasta con l'interpretazione che è stata sempre data in sede ufficiale e nella pubblica opinione alle clausole dell'armistizio nonché con lo spirito della cobelligeranza che ha sorretto e guidato l'opera della Marina. Segnalo inoltre a V.E. che, a parte le ovvie conseguenze di sfaldamento del nostro potenziale bellico, tale determinazione
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A questo punto è opportuno vedere quali erano i precedenti di questa faccenda, avvalendosi delle pubblicazioni ufficiali e ufficiose che sono successivamente comparse (6). DaJl'esame di queste si rileva che il 22 oltobre 1943, durante la Conferenza di Mosca dei Ministri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna e U.R.S.S. (rispettivamente Hull, Eden e Molotov), quest'ultimo, premesso che l'Italia aveva recato gravi danni al popolo e all'economia sovietica - particolarmente alle Marine da guerra e mercantile - chiese, al fine di poter intensificare la lotta contro la Germania, che « fossero cedute immediatamente all'Unione Sovietica - prendendole dal complesso di oltre 100 navi da guerra cadute in mano degli Alleati in conseguenza della capitolazione dell'Italia - le seguenti unità: 1 nave di linea, 1 incrociatore, 8 cacciatorpediniere e 4 sommergibili e che esse fossero inviate subito in porti settentrionali dell'Unione Sovetica ». Chiese altresì che anche 40.000 tonnellate di navi mercantili - da prelevarsi dalle oltre 150.000 tonnellate di naviglio caduto sotto il controllo delle Forze Armate anglo-americane - fossero immediatamente inviate in Mar Nero (7). Sia Hull che Eden accettarono di sottoporre immediatamente ai loro Governi la richiesta, cosa che fecero caldeggiandone l'accoglimento. « E' mia impressione telegrafava infatti Hull a Roosevelt (8) che le autorità sovietiche desiderano questo naviglio come un segno per convincere il loro popolo che noi riconosciamo la parte che le Forze sovietiche hanno avuto nel collasso dell'Italia e come una prova che
avrebbe gravi riflessi sullo spirito dei nostri equipaggi. Non è da escludere che possano essere indotti a reazioni violente. Se invece la dichiarazione intende riferirsi alla dipendenza operativa, con equipaggi completamente italiani e sotto la nostra bandiera, di unità della flotta dall'uno anziché dall'altro degli Stati Maggiori navali delle Nazioni Unite, non vi è dubbio che i nostri marinai parteciperanno con assoluta fedeltà alla guerra anti-tedesca in qualunque parte del mondo, come hanno fatto fin'ora in Mediterraneo e in Atlantico. Ciò sarebbe visto anzi con favore se varrà a significare una partecipazione più attiva; specialmente per quanto riguarda le navi da battaglia. Ho letto oggi sui giornali che V.E. ha preso netta posizione in proposito, ma col presente foglio ho voluto esprimere il mio pensiero sul delicato argomento •. (6) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1943, Voi. I, pg. 612-613, 642-644, 669, 672-674, 685, 687, 695-696, 714-715, 751 (riguardano la Conferenza di Mosca); « Foreign Relations • cit. bibl. « The Conference at Cairo and Tehran 1943 •, pag. 113, 173, 261, 597, 852, 862, 873-878 (riguardano la Conferenza di Teheran e i documenti angloamericani post-conferenza sulla questione); Churchill - Op. cit. bibl. (I), pg. 231-232, 310-312, 457-458, 528-534; Woodward - Op. cit. bibl. (Il), Voi. II, pg. 586-587 e 604-61 l. (7) « Foreign Relations • cit. bibl. . 1943, Voi. I, pg. 612-613 e 714-715 nonché « Foreign Relations » cit. bibl. - « The Conference at Cairo and Tehran 1943 ", pg. 113. La richiesta che la consegna delle navi da guerra avvenisse in porti sovietici del Mar Artico, anziché in quelli del Mar Nero, come sarebbe stato più facile, dipendeva del fatto che, secondo la Convenzione di Montreux del 1938 sul regime degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, le navi da guerra belligeranti non potevano attraversare gli stretti stessi, se la Turchia era neutrale, come effettivamente era. (8) « Foreign Relations • cil. bibl. - 1943, Voi. I, pg. 672.
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i nostri tre Paesi collaborano tra loro. Credo che sia in questo spirito che le autorità stesse hanno fatto ogni sforzo per venirci incontro nelle proposte da noi avanzate in altri campi e che esse non potrebbero comprendere una nostra riluttanza a compiere quello che sembra loro un piccolo gesto, tanto più che noi non abbiamo potuto accettare le loro due sole proposte, quelle concernenti la Turchia e la Svezia. Io non posso insistere troppo sull'importanza che, a quel che sembra, le autorità sovietiche danno all'accettazione da parte nostra di questa richiesta, ma ritengo che sarebbe di grande importanza, per cementare lo spirito di cooperazione che ha avuto inizio in questa conferenza, se un'accettazione della loro richiesta, almeno in linea di principio, potesse essere prontamente data, sia pur rinviando ad un secondo tempo l'esame delle questioni tecniche ». « Io darei molto telegrafava Eden a Churchill - (9) per poter concludere la conferenza con qualche prova tangibile della nostra buona volontà. Sono più che certo che se io potessi dar loro [i dirigenti sovietici] qualche incoraggiante messaggio sul loro desiderio di avere una piccola parte della flotta italiana, l'effetto psicologico sarebbe di gran lunga superiore al valore delle navi, qualunque esso possa essere. Il nostro ambasciatore e Harriman (10) condividono pienamente questo punto di vista. Qualora non fosse possibile dare una risposta specifica prima della mia partenza, sarebbe per me di massimo aiuto poter almeno dire al signor Molotov che, in linea di principio, conveniamo che il Governo sovietico abbia una parte delle navi italiane passate agli Alleati e che la proporzione da loro chiesta è ragionevole. Se poteste far questo per aiutarmi sono certo che i frutti giustichcranno più che largamente il vostro gesto. Vi prego di darmi il vostro aiuto». Il 26 ottobre Washington così rispondeva a Hull (11): « Il Presidente desidera che il naviglio italiano, sia da guerra che mercantile, attualmente in possesso degli Alleati sia usato ovunque esso possa prestare il servizio più utile per la causa alleata (cor.formemente alle clausole dell'accordo Cunningham-de Courten, se e come modificato) senza addivenire ,per ora ad alcun trasferimento di diritti di proprietà sul naviglio stesso a nessuna Nazione. Tale questione ... potrà essere definita in un secondo tempo, nel rispetto degli interessi di tutte le Nazioni alleate, senza influire ora negativamente sull'attuale e sul futuro sforzo bellico dell'Italia contro la Germania». Avendo Hull fatto presente che tale risposta aveva deluso le autorità sovietiche, il 30 ottobre Roosevelt così pr2cisava allo stesso il suo pensiero (12): « Tutto quello che io desidero è che le navi [italiane] siano usate per lo scopo bellico più utile, qualunque esso sia. Io spero
(9) Churchill - Op. cìt. bibl. (I), pg. 310. (10) Harriman era l'ambasciatore americano a Mosca. (11) « Foreign Rclations », cit. bibl. - 1943, Voi. I, pg. 643-644. (12) « Foreign Rclations », cil. bibl. - 1943, Voi. I, pg. 687.
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che i Sovietici possano usare il loro terzo, e non vedo motivo per il quale non potrebbero farlo. Personalmente penso che, dopo la guerra, il tonnellaggio italiano dovrebbe esser distribuito equamente per il definitivo uso degli Alleati. Non è certamente il momento di frapporre indugi nell'uso di questo tonnellaggio da parte delle tre Nazioni » ( 13). Il 29 ottobre, Churchill, sentito il Gabinetto di guerra, così rispose a Eden (14). « In linea di principio siamo disposti a ric0noscere il diritto da parte dei Russi a una parte della flotta italiana ... « Attualmente l'unico posto in cui le navi italiane potrebbero venir cedute ai russi potrebbe essere o Arcangelo o Murmansk. Le navi da guerra italiane non sono sicuramente adatte a operare nelle acque artiche e necessiterebbero di un lungo periodo di lavori per l'adattamento. Dobbiamo anche vigilare a che una cessione immediata ai Russi non produca un cattivo effetto sulla collaborazione italiana. E' importante per l'Italia aver la propria bandiera sui mari contro la Germania. Non vogliamo provocare un rifiuto, da parte degli italiani, d'eseguire gli importanti lavori che essi fanno per noi nell'arsenale di Taranto. Non possiamo esser certi che non affonderebbero alcune delle navi che essi hanno sottratto alle grinfie tedesche, se sapessero che debbono
(13) Quale fosse il pensiero di Roosevelt in merito risulta più chiaramente ancora dal verbale (qui di seguito riportato in stralcio), della riunione che egli ebbe con il Comitato dei Capi di Stato Maggiore americani, il 19 novembre 1943, per esaminare le questioni che sarebbero state discusse all'imminente Conferenza di Teheran. « In merito alle Marine, da guerra e mercantile, italiane, l'amm. King disse di ritenere che i Sovietici non potessero pretendere navi italiane. « Il Presidente rispose che sarebbe stata miglior cosa consentire, come segno cli buona volontà, che l'U.R.S.S. avesse un terzo delle navi, senza però il trasferimento del diritto di proprietà (title). Disse che non avremmo dovuto esser preoccupati per l'atteggiamento italiano in proposito. L'idea era di mantenere in possesso degli Alleati le navi italiane e di impiegarle nel miglior modo, secondo le necessità. Noi certamente impediremo (will prevent) il sorgere di una futura Marina italiana di una certa consistenza. Dopo aver usato queste navi come meglio ritenuto, noi potremmo discutere la questione della loro definitiva proprietà e, in questa occasione, restitu ire agli Italiani alcune di queste navi. Egli non vedeva obiezioni a che le navi date all'U.R.S.S. fossero equipaggiate con personale sovietico se i Sovietici avessero avanzato ragionevoli proposte circa l'uso delle navi stesse». Precedentemente (10 novembre 1943) il Comitato dei Capi di Stato Maggiori americani aveva espresso il seguente parere sull'argomento: « Dato che l'U.R.S.S. ha accettato l'Italia come cobelligerante, il Comitato dei Capi di Stato Maggiore ritiene che nessuna nave italiana, da guerra o mercantile, dovrebbe essere trasfe. rita ai Sovietici con passaggio di proprietà e d'immatricolazione. Esso ritiene tuttavia che l'uso di navi italiane da parte dei Sovietici durante l'ulteriore corso della guerra sia accettabile, purché naturalmente, non comporti il passaggio del diritto di proprietà» (« Foreign Relations » cit. bibl. · « The Conference at Cairo and Tehran 1943 », pg. 261 e 273). (14) Churchill · Op. cit. bib.l (I), pg. 310-311.
154 essere affidate a equipaggi stranieri. Gli italiani fanno molto per noi m questo momento ... Dobbiamo pertanto vigilare contro ogni divulgazione di tutto ciò, sino a quando non si possa provvedere contro gli effetti sfavorevoli. Una volta che la distribuzione della flotta italiana cominciasse, francesi, jugoslavi e greci avanzerebbero le loro richieste, che non sono modestissime. « Per queste ragioni, sarebbe meglio rimandare il problema fino all'"Eureka" (15). « E' vero che abbiamo guadagnato un certo numero di navi mercantili italiane, ma il tutto è inferiore a quello che dobbiamo fornire per le esigenze minime del territorio conquistato, così che siamo notevolmente sbilanciati, dato che la maggior parte di queste navi italiane è soltanto adatta al traffico locale. « Hull ha riferito questa richiesta al suo Governo? Sarebbe essenziale che ci trovassimo d'accordo». Più tardi, lo stesso giorno, Churchill tornava sul medesimo argomento telegrafando a Eden (16): << Se gli Americani sono d'accordo, potreste dire a Molotov che, in linea di principio, conveniamo che il Governo sovietico abbia una parte deHe navi italiane catturate e che la proporzione da esso chiesta è ragionevole. Presumo che la corazzata che egli chiede non sia della classe « Littorio »(17). Particolari e date di consegna debbono essere stabiliti tenendo conto delle operazioni e badando a non perdere la collaborazione italiana con una ·pubblicità precipitosa. Questo è molto importante». In sintesi può dirsi che il pensiero di Roosevelt e di Churchill particolarmente del primo - era che la maggior parte della flotta italiana avrebbe dovuto esser suddivisa fra i vincitori; non conveniva però procedere subito alla ripartizione, ma rinviarla a fine conflitto, soprattutto perché, in quel momento - come riconosceva il Premier br itannico - gli italiani facevano molto per gli Alleati. In questa situazione la Conferenza di Mosca si chiuse senza che nulla fosse deciso sulla questione, ma nell'intesa che essa sarebbe stata r ipresa in esame dai « tre Grandi » nel loro incontro che sarebbe avvenuto di lì a un mese a Teheran. In questa sede il problema fu risollevato da Stalin e da Molotov durante una colazione che ebbe luogo il I. dicembre 1943 all'ambasciata sovietica. Rispose Roosevelt « che gli Alleati erano entrati in possesso di un gran numero di navi mercantili italiane e di un numero più piccolo
(15) Denominazione convenzionale della Conferenza di Teheran fra Roosevelt, Churchill e Stalin (28 novembre-!. dicembre 1943). (16) Churchill · Op. cit. bibl. (I), pg. 311-312. (17) Nel prosieguo del telegramma Churchill esprimeva l'intendimento di far attribuire alla Gran Bretagna, a fine conflitto, le due corazzate della classe « Littorio».
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di navi da guerra [sic] e che egli era del parere che tali unità dovessero essere usate da Stati Uniti, Gran Bretagna e U.R.S.S. per la causa comune sino alla fine della guerra, epoca in cui avrebbe potuto aver luogo la loro ripartizione, da effettuarsi sulla base del titolo e del possesso (division based on title and possession) ». Replicò Molotov « che l'Unione Sovietica avrebbe usato queste navi durante la guerra nel quadro del comune sforzo bellico e che la questione della loro proprietà avrebbe potuto esser discussa dopo la guerra». Dopo questa precisazione sia Roosevelt che Churchill si dichiararono pronti ad aderire alla richiesta sovietica, che era « piccola cosa di fronte ai tremendi sacrifici della Russia ». Fu quindi convenuto che le unità richieste alla conferenza di Mosca sarebbero state consegnate, se possibile, in porti del Mar Nero o, in caso contrario, in porti del Mar Artico e che la consegna sarebbe avvenuta di lì a due mesi circa (cioè verso la fine del gennaio 1944) onde lasciare alle autorità anglo-americane il tempo necessario per concordare la cosa con quelle italiane ed « evitare in tal modo ogni possibilità di ammutinamento della flotta italiana e l'affondamento delle navi.»(18) Un ventina di giorni dopo, ed esattamente il 20 dicembre, l'ambasciatore americano a Mosca, Harriman, chiese al presidente Roosevelt cosa era stato fatto per la consegna delle navi italiane, onde aver elementi per rispondere qualora, nell'incontro che avrebbe avuto qualche giorno dopo con Molotov, questi gli avesse chiesto notizie in merito. Il giorno successivo Roosevelt gli rispose con il seguente telegramma, di cui dava conoscenza a Churchill: « E' mia intenzione che le navi italiane che si sono arrese, a cominciare dai primi di febbraio e sino a un terzo del loro totale, siano utilizzate nel quadro dello sforzo bellico sovietico appena potranno essere distolte dal loro attuale impiego a favore dello sforzo bellico aNeato. « La loro proprietà sarà decisa dopo la resa dei nostri comuni nemici. « Ho chiesto al Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani di dare i necessari ordini al gen. Eisenhower» (19). Detto Comitato fece però subito presente di ritenere conveniente che le navi da guerra italiane non fossero consegnate ai Russi per qualche mese, almeno sino a quando non avessero avuto luogo gli sbarchi alleati sulle coste francesi della Normandia (Operazione « Overlord») e della Provenza (Operazione « Anvil » ), previsti per la fine della primavera 1945. Il Comitato fece presente altrcsì che la prevista consegna
(18) « Foreign Relations » cit. bibl. 1943 », pg. 597. (19) « Foreign Relations » cit. bibl. 1943 », pg. 852.
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avrebbe probabilmente provocato reazioni da parte della Marina italiana, reazioni che avrebbero potuto estendersi all'Esercito e all'Aviazione, con gravi danni per gli Alleati. Per quanto riguarda le navi mercantili il Comitato ricordò che esse erano quasi tutte in cattive condizioni e che erano già utilizzate in Mediterraneo (20). Il Foreign Office, per suo conto - dopo avei rilevato, in un messaggio di Eden del 31 dicembre a Churchill, che a Teheran non era stato promesso ai Russi un terzo della flotta italiana ma, come essi stessi avevano richiesto, 1 corazzata, 1 incrociatore, 8 cacciatorpediniere, 4 sommergibili e 40.000 tonnellate di naviglio mercantile - dichiarò di non condividere il parere del Comitato suddetto che fosse rinviata di alcuni mesi la consegna ai Russi delle unità italiane, dato che ciò avrebbe fatto pessima impressione su Stalin. D'altra parte, aggiungeva, « noi abbiamo i mezzi - ad esempio i rifornimenti di viveri - per costringere gli Italiani a cooperare sino a un certo limi te »(21). Churchill convenne che il più importante aspetto della questione era quello di non irritare Stalin e di mantenere la promessa fattagli a Teheran. E in tal senso egli rispose a Eden e :t Roosevelt, il quale il 9 gennaio 1944 gli aveva mandato un telegramma in cui concludeva: « Le clausole molto sagge dell'accordo Cunningham conferiscono alle Nazioni Unite il diritto di disporre di una o di tutte le navi italiane nel modo che esse riterranno più opportuno (22). E' molto importante che noi ci acquistiamo e conserviamo la fiducia del nostro alleato sovietico ed io sono perciò persuaso che si debba fare tutto il possibile per giungere a una soluzione in base alla quale le navi italiane richieste dai Sovietici siano ad essi consegnate a partire dai primi di febbraio ... « Desidero vivamente conoscere la vostra opinione ... E' ovviamente impossibile per ciascuno di noi due agire isolatamente nella questione: comunque ritengo che conveniate con me sulla necessità di non venire meno all'impegno é\ssunto nei confronti dello zio Joe » (23). Si deve a Churchill se la consegna delle nostre navi non ebbe luogo - almeno per il momento - e se si addivenne ad altra soluzione il cui onere fu quasi esclusivamente a carico della Gran Bretagna e che egli riuscì a far prevalere superando la riluttanza di Roosevelt e la malcelata ostilità di Eden. « Io ritenevo ha scritto Churchill - che l'immediato trasferimento di quelle navi da guerra, che gli Italiani avevano con tanta risolutezza condotto sino a Malta e consegnato nelle nostre mani, avreb-
(20) Woodward - Op. cit. bibl. (Il), Voi. Il, pg. 605-606. (21) Woodward - Op. cit. bibl. (II), Voi. II, pg. 605. ,(22) Non lo conferiva nel testo originale ma soltanto, come si è visto precedentemente, con la modifica imposta - dopo la conferenza di Mosca - con protocollo del 17 novembre 1943. (23) Churchill - Op. cit. bibl. (I), pg. 528-529.
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be potuto avere ripercussioni assai dannose sulla loro collaboraziont: con gli Alleati. Per tutto il 1943 avevo mirato non soltanto a ottenere la resa dell'Italia ma anche a farla schierare al nostro fianco, con tutto ciò che tale mutamento significava per lo sviluppo della guerra e per la futura sistemazione dell'Europa. Ero perciò disposto a insistere energicamente presso i1 Gabinetto di guerra e l'Ammiragliato affinché compissimo un grosso sacrificio e dessimo ai Russi in temporaneo prestito, sino al trasferimento delle navi italiane, un certo numero di navi britanniche piuttosto che spezzare il cuore degli Italiani in quel momento così critico, e, a mio parere, gravido di tante conseguenze per il futuro» (24). Dopo essersi consultato con i colleghi di Gabinetto (25) e con l'Ammiragliato Churchill il 16 gennaio 1944 inviava a Roosevelt un telegramma nel quale - premesso che a Teheran non si era mai parlato di un terzo della flotta italiana ma soltanto di 14 navi da guerra e di 40.000 tonnellate di naviglio mercantile, e che le obiezwni sollevate dal Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani erano « mo! to solide » proponeva l'invio a Stalin di un messaggio comune del seguente tenore:
(24) Churchill - Op. cit. bibl. (l), pg. 530 . Ad evitare malintesi è però opportuno chiarire subito che l'iniziativa di Churchill trasse origine ben poco dal suo desiderio di « non spezzare il cuore degli Italiani » ma soprattutto, per non dire esclusivamente, dalla convinzione - condivisa dal Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americano - che il momento per effettuare il trasferimento delle navi italiane non era adatto a causa delle operazioni alleate, in corso o di prossimo inizio, per le quali la cooperazione italiana era molto utile. Ciò risulta in modo evidente dal seguente stralcio della lettera che Churchill e Roosevelt il 23 gennaio 1944 inviarono a Stalin. « Sarebbe pregiudizievole per gli interessi di noi tutti, scrivevano i due statisti, effettuare ora qualsiasi trasferimento o farne parola agli Italiani fino a quando la loro cooperazione non avrà più importanza operativa ». E successivamente (lettera sempre a Stalin del 9 marzo 1944): « Non vi è dubbio sul nostro diritto di disporre della flotta italiana; si tratta semplicemente di esercitarlo con il minor danno per il nostro comune interesse». (Carteggio Churchill-Stalin, cit. bibl. pg. 243-245 e 273-274 ). (25) Eden espresse parere contrario alla proposta soluzione dicendo che essa non avrebbe soddisfatto quella che, a suo parere, era il principale movente della richiesta di Stalin: aumento di prestigio che gli sarebbe venuto dall'acquisizione delle navi italiane (Woodward - Op. cit. bibl. tII), Voi. II, pg. 607). La politica del Foreign Office verso l'Italia durante tutto il periodo armistiziale fu certamente di molta severità. Tale orientamento fu senza dubbio dovuto jn modo determinante ad Eden, che ne era il capo e che era « violentemente antitaliano », come ebbe a dichiarare il gen. Alexander di ritorno dalla Conferenza di Potsdam, ove Io aveva incontrato (vedansi « Foreign Relations » cit. bibl. 1945, Voi. IV, pg. 1015). Prova di questo suo stato d'animo - cui non erano estranei probabilmente i bocconi amari che egli aveva dovuto trangugiare ai tempi di Mussolini - è il fatto che egli fu uno dei pochissimi, per non dire l'unico, degli uomini con responsabilità di governo, a scrivere che le condizioni dell'armistizio con l'Italia « lungi dall'essere dure, erano piuttosto blande». (A. Eden - « Le memorie di Anthony Eden - La resa dei conti - 1938-1945 », Garzanti, Milano. 1968. pg. 527).
158 « 1) Il Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-americani ritiene che in questo momento sarebbe dannoso per i nostri comuni interessi effettuare qualsiasi trasferimento di navi, o anche solo fare qualche accenno in proposito agli Italiani. Se tuttavia, dopo aver considerato attentamente la questione, voi desiderate ugualmente che si proceda alla consegna, faremo approcci segreti con Badoglio allo scopo di concludere gli accordi necessari ... « 2) Noi tuttavia ci rendiamo perfettamente conto dei pericoli insiti in questa soluzione e proponiamo pertanto la seguente alternativa. La corazzata britannica « Royal Sovereign » è stata appena rimessa in efficienza negli Stati Uniti ed è fornita di radar per tutti i tipi del suo armamento. La Gran Bretagna ha inoltre disponibile anche un incrociatore. Queste unità sarebbero concesse in prestito temporaneo al Governo sovietico e batterebbero bandiera sovietica sino al momento in cui, senza pregiudizio per le operazioni belliche, si possa procedere al trasferimento delle navi italiane ».
Dopo uno scambio di telegrammi tra i due uomini ,d i Stato (26), il 23 gennaio fu inviato a Stalin un messaggio comune redatto nella sostanza come sopra indicato, con l'aggiunta peraltro che Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero dato in prestito temporaneo all'Unione So-· vietica anche 40.000 tonnellate di naviglio mercantile (27). La risposta di Stalin (29 gennaio 1944) fu sgarbata ma non negativa. « Devo dichia:rare anzitutto, scrisse, che dopo la vostra comune risposta affermativa alla richiesta da me formulata a Teheran per la consegna di parte della flotta italiana entro il mese di gennaio, io ritenevo che la questione fosse chiusa e non mi passò mai per il capo l'idea che tale decisione, presa e approvata da noi tre, potesse esser riveduta in qualsiasi modo. E questo tanto più per il fatto che nel frattempo, come fu allora concordato, la faccenda avrebbe dovuto esser completamente sistemata con gli Italiani. Apprendo ora invece che le cose non stanno così e che della consegna non si è neppure fatto cenno agli Italiani. « Tuttavia, per non complicare la questione che ha tanta importanza per nostra lotta comune contro la Germania, il Governo sovietico è disposto ad accettare la vostra proposta di trasferire in Russia da porti
(26) Roosevelt propose, in un primo momento, di chiedere al Governo italiano di dare gli 8 Ct e i 4 Smg. Churchill fece presente il pericolo di un tale passo che avrebbe portato a conoscenza di detto Governo quello che « bolliva in pentola». Roosevelt non insistette. Si risolse la questione non parlando nel messaggio a Stalin né dei caccia né dei sommergibili. Tra i due statisti fu convenuto che l'incrociatore sarebbe stato dato dagli S.U. e il naviglio mercantile metà per ciascuno. (27) Churchill - Op. cit. bibl. (I), pg. 231-232; Woodward - Op. cit. bibl. (II), Voi. II, pg. 607-608. Il testo del messaggio è riportato in « Carteggio ChurchillStalin » cit. bibl., pg. 243-245.
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mglesi la corazzata « Royal Sovereign » e un incrociatore... Accettiamo egualmente di ricevere dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti 40.000 tonnellate di naviglio mercantile ... « E' importante che non si verifichino altri rinvii nella definizione della questione e che tutte le navi suindicate - che saranno da noi utilizzate sino a quando non ci verranno consegnate quelle italiane ci siano consegnate entro il mese di febbraio. « Nella vostra risposta non si accenna però minimamente alla consegna all'Unione Sovietica di 8 cacciatorpediniere e di 4 sommergibili italiani, consegna che voi, signor Primo Ministro, e voi, signor Presidente, avete approvato a Teheran ... Dal' momento che l'intera flotta italiana è sotto il vostro controllo, il mantenimento dell'impegno preso a Teheran ... non dovrebbe presentare alcuna difficoltà. Sono disposto peraltro ad accettare che, in cambio delle unità italiane, ci venga consegnato un egual numero di cacciatorpediniere e di sommergibili britannici o americani. Ad ogni modo la questione non può esser assolutamente rinviata, ma deve esser risolta contemporaneamente a quella della consegna della corazzata e dell'incrociatore, così come fu tra noi convenuto a Teheran» (28 ). In questa situazione Churchill, benché « profondamente scoraggiato dal tono della risposta di Stalin », si dichiarò disposto (al fine di evitare i risèhi insiti di una richiesta al Governo italiano degli 8 cacciatorpediniere e dei 4 sommergibili) a consegnare ai Russi 8 « vecchi ma ancora efficienti » caccia britannici. E in tal senso telegrafò a Roosevelt, chiedendogli di fornire i 4 sommergibili. La risposta fu che gli Stati Uniti non ne potevano dare alcuno e che i 4 battelli « fossero richiesti agli Italiani o semplicemente tolti loro». Churchill riuscì allora a convincere l'Ammiragliato a prestare ai Russi anche 4 moderni sommergibili. Di questa decisione il 23 febbraio fu data comunicazione a Stalin, il quale però non si mostrò ancora soddisfatto e chiese che, degli 8 cacciatorpediniere, 4 almeno fossero moderni (29). La questione era a questo punto quando Roosevelt, senza consultarsi con Churchill, fece il 3 marzo, durante una conferenza-stampa, la dichiarazione riportata all'inizio di questa sezione. La dichiarazione colse di sorpresa H Governo di Londra e, in modo particolare, Churchill, che tanto si era adoperato perché la questione non venisse a conoscenza del Governo e della Marina italiani. A una domanda di spiegazioni rivoltagli dal Primo Ministro britannico, Roo-
(28) Churchill . Op. cit. bibl. (1), pg. 532-533. In un telegramma che inviò a Roosevelt il 1. febbraio 1944, Churchill così commentò la risposta di Stalin: « Cosa polelc aspettarvi da un orso, se non un grugi:iito?,. (« Foreign Rclalions » cit. bibl., « Thc Confcrence at Cairo and Tehran 1943 .., pg. 874. (29) Woodward - Op. cit., bibl. (II), Voi. II, pg. 608-609.
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:,...:velt rispose che aveva detto quanto aveva detto « in risposta a insi stenti domande ». L'unica cosa che c'era ormai da fare era quella di cercare di assicurare il Governo italiano e di portare a buon fine la trattativa con Stalin. Per quanto riguarda il primo aspetto Churchill, d'intesa con Roosevelt, il 10 marzo fece alla Camera dei Comuni la seguente dichiarazione: « Come il presidente Roosevelt ha detto, la questione del futuro impiego e della sorte del la flotta italiana è stata oggetto di alcuni colloqui. In particolare è stato preso in esame il rafforzamento immediato della Marina sovietica sia con risorse anglo-americane, sia con quelle italiane (30). Su questi colloq ui io non ho dichiarazioni da fare, salvo che, per il momento, non è previsto alcun mutamento negli accordi intervenuti con le autorità della Marina italiana, secondo i quali le navi italiane e i loro equ ipaggi partecipano alla lotta comune contro il nemico nei teatri di guerra in cui attualmente operano. Ci si renderà conto senza dubbio che è preferibile che il problema generale della sorte delle flotte nemiche o cx-nemiche sia lasciato in sospeso sino alla fine della guerra contro la Germania e il Giappone, quando l'intera questione potrà esser presa in esame dagli Alleati vittoriosi, ed esser risolta secondo diritto e giustizia » (31 ). Il giorno successivo il presidente Roosevelt, in una conferenza-stampa, osservava che la sua dichiarazione di una settimana prima era stata mal riportata dai giornalisti. Egli aveva parlato infatti di colloqui in corso per il trasferimento alla Russia « di circa un terzo della flotta italiana o dell'equivalente di un terzo», ma la sua dichiarazione era stata divulgata generalmente mutilata della sua seconda parte, che pur era di fondamentale importanza (32).
(30) Come si noterà, la dichiarazione distorceva alquanto la verità e taceva sul punto chiave della questione che le navi anglo-americane erano prestate all'Unione Sovietica, in attesa c he li: fosse consegnato un numero equivalente di navi italiane. (3 1) Sulla questione Churchill, ritornò in un suo discorso ai Comuni il 5 giugno 1945 nel quale disse, fra l'altro: « Si pose allora la questione di come soddisfare la richiesta mol to ragionevole e naturale della Russia sovietica. Il Gover, no di Sua Maestà non desiderava che l'Italia fosse privata allora della sua Marina, la quale costituiva una parte èssenziale della vita nazionale, che noi eravano decisi di salvaguardare. Noi proponemmo perciò che alla richiesta avanzata dalla Russia sovietica di avere la sua parte della Marina italiana fosse fatto fronte da Stati Uniti e da Grnn Bretagna. Di conseguenza fu anche concordato che le navi italiane, per il momento, continuassero a servire la causa alleata, cosa che avevano fatto con disciplina e con vigore, e che un numero equivalente di navi da guerra · e mercantili britanniche o americane fosse consegnato in temporaneo prestito alla Marina sovietica. Ciò lascia alla Conferenza della pace ogni decisione sulla Marina italiana». {32) Il F.O.L.I. (Flag Officer Liaison ltaly) 1'11 marzo inviò al ministro de Courten la stguente lettera nr. 1044/ 31: « Ho ricevuto l'ordine di trasmct terLe per Sua informazione riservata - la seguente comunicazione da parte del Comitato dei Capi di Stato Maggiore anglo-
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Con queste dichiarazioni, come ha scritto Badoglio (33 ), la questione, « più o meno elagantemente rabberciata», fu posta per il momento a tacere con l'Italia. Restava ancora da portare a buon fine la trattativa con Stalin. Questo, forse ammaestrato dall'immediata reazione del Governo Badoglio alla dichiarazione di Roosevelt, non insistette nella sua richiesta che almeno 4 degli 8 cacciatorpediniere fossero moderni, accontentandosi dell'assicurazione che tutti quelli che gli sarebbero stati consegnati erano perfettamente idonei a lavoro di scorta e che, a suo tempo, gli sarebbero state date le navi italiane, come convenuto a Teheran. In conseguenza dell'intesa raggiunta, furono consegnate all'U.R.S.S., le seguenti unità: Cor. Incr. Ct. Ct. Ct. Ct. Ct. Ct. Ct. Ct. Smg. Smg. Smg. Smg.
Royal Sovereign Milwaukee St. Albans Brìghton Richmond Chelsea Leamington Roxburgh Georgetown Churchill Unbroken Unison Ursula Sunfish
(dislocamento 29.150 tons) ) » 7.050 ( » 1.090 » ) ) ( 1.090 ) ( 1.090 » ) ( 1.090 ( » ) 1.090 ( » 1.090 » ) ( ) 1.090 ( 1.090 » ) » ) ( 768 ( 646 » ) ( 646 » ) ( » 646 » ) (
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Complessivamente erano 14 unità per un tonnellaggio di 47.626 tons, al quale si dovevano aggiungere 40.000 tonnellate di naviglio mercantile.
americani: "A Teheran fu concordato- che le navi della Marina italiana fossero impiegate nei luoghi in cui esse potevano essere utilizzate nel modo più efficace contro il comune nemico. Fu anche concordato, in linea di principio, che la Russia aveva diritto di godere anch'essa dell'aumento della potenza navale alleata derivante dalla resa della flotta italiana. La Russia ha ora urgente bisogno di aumentare la sua potenza navale. Per il momento la Gran Bretagna e Stati Uniti daranno in prestito alla Russia alcune delle loro navi, quale contropartita dell'aiuto che stanno ricevendo dalla Marina italiana. Non è previsto per il momento alcun trasferimento di navi italiane alla Russia"». Collegato con la suddetta comunicazione è il seguente telegramma che lo Stato Maggiore della Marina inviò ai Comandi dipendenti: « Informo che secondo comunicazioni ufficiali, non è previsto alcun trasferimento di navi italiane alla Russia alt. Le Nazioni Unite provvederanno con loro naviglio a incrementare la flotta russa in proporzione dell'incremento che esse hanno ricevuto dalla flotta italiana. alt. Potete quindi continuare serenamente il vostro lavoro alt de Courten ». (telegr. 8779/S dell'll .marzo 1943). (33) Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 181.
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Tutte le unità erano britanniche, salvo l'incrociatore. Esse furono prese in consegna da equipaggi sovietici in porti inglesi (34) e, come da intese, furono restituite dai Sovietici quando essi, a guerra finita, vennero in possesso delle unità italiane loro attribuite, come vedremo, dal Trattato di pace (35). Non c'è alcun dubbio che l'incauta dichiarazione di Roosevelt fu un campanello di allarme per quella che avrebbe potuto essere la sorte della nostra flotta alla fine del conflitto. Tuttavia quel richiamo a un trattamento secondo diritto e giustizia, a vittoria ottenuta, contenuto nella dichiarazione fatta da Churchill alla Camera dei Comuni il 10 marzo 1944 lasciava adito a ben sperare ed era uno stimolo a una sempre maggiore collaborazione allo sforzo bellico alleato onde guadagnar titoli a nostro favore, nel quadro della promessa fattaci con il « memorandum di Quebec». Viene spontaneo, a chiusura di questa vicenda, chiedersi quali furono i motivi da cui trasse origine la dichiarazione con la quale Roosevelt dette notizia all'opinione pubblica della richiesta sovietica, che era stata avanzata mesi prima, che aveva raccolto la sua piena adesione, che aveva provocato - onde facilitarne l'accoglimento - la nota modifica all'accordo Cunningham-de Courten e che sarebbe stato sicuramente più conveniente per gli Alleati tenere nascosta alla vittima designata. In proposito si possono avanzare solo ipotesi.
(34) Le operazioni di consegna non dovettero avvenire in un clima di cordialità se Churchill sentì il bisogno, il 28 maggio 1944, di inviare al Primo Lord dell'Ammiragliato e al Primo Lord del Mare il seguente messaggio: « 1. Non esitate a usare le maniere brusche con i Russi quando diventano eccessivamente arroganti. E' meglio rispondere con le maniere e con l'atteggiamento che con parole precise, che possono esser riferite; si possono anche trascurare alcune forme abituali di cortesia verso persone di rango elevato, quando queste si comportano in maniera intollerabilmente offensiva. Si dovrebbe far sentire, senz'altro ai Russi che non abbiamo paura di loro. « 2. Viceversa, si dovrebbe rispettare rigorosamente il cerimoniale da essi eventualmente richiesto circa la consegna delle navi (unità da guerra britanniche anziché italiane) in modo da ottenere un vistoso successo propagandistico. Non intendo certamente fare comunicazioni al maresciallo Stalin in merito a ciò: tocca ai Russi mostrarsi riconoscenti e non a voi mostrare deferenza... Per questo trasferimento di navi non è stata mai pronunciata una sola parola di ringraziamento: eppure siamo noi che abbiamo sopportato l'onere maggiore dello sforzo necessario per soddisfare le loro richieste di naviglio». (Churchill · Op. cit. bibl. (I), pg. 773). (35) Le unità restituite furono 12 anziché 14, dato che un cacciatorpediniere (Churchill) e un sommergibile (Sunfish) erano andati perduti. Le unità italiane consegnate all'U.R.S.S. furono le seguenti, oltre a naviglio minore ed ausiliario: 1 corazzata (Giulio Cesare), 1 incrociatore (Duca d'Aosta) , 2 cacciatorpediniere, 4 torpediniere e 2 sommergibili.
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Io penso che si sia trattato di un lapsus del Presidente che, preso alla sprovvista dalle pressanti domande fattegli sulla questione dai giornalisti duranle la conferenza-stampa, non ebbe l'accortezza di rispondere negativamente o, quanto meno, con un « no comment ». Su tutta la questione Roosevelt e Churchill, come abbiamo visto, avevano sempre agito consultandosi reciprocamente: « è ovviamente impossibile per ciascuno di noi due agire isolatamente nella questione», aveva scritto Roosevelt a Churchill, il 9 gennaio. Qualora la dichiarazione fosse stata premeditata, perché propt1io questa, volta Roosevelt avrebbe dovuto astenersi dal consigliarsi previamente con il Premier britannico? La tesi dell'improvvisazione della dichiarazione trova conferma, a mio avviso, nell'errore in essa contenuto che all'Unione Sovietica dovesse esser consegnato un terzo della flotta italiana. Infatti se la dichiarazione fosse stata preparata tale errore non sarebbe stato commesso. Altra tesi è che si sia lrattato di una mossa antirussa, di un tentativo cioè di alienare le simpatie del popolo italiano dall'Unione Sovietica, mostrandogli quali erano i veri sentimenti di questa verso l'Italia. In altre parole sarebbe stata una prima manifestazione della sorgente rivalità tra le Potenze occidentali e la Russia (36 ). Questa interpretazione è però in contrasto con l'atteggiamento che Roosevelt tenne in tutta questa vicenda, atteggiamento, come si è visto, orientato favorevolmente (molto più di quello di Churchill) verso la richiesta di « uncle Joe ». Inoltre nel 1944 i rapporti tra le tre grandi Potenze, per quanto non sempre cordiali, non erano ancora tesi come li diventarono negli anni successivi. E' probabìle peraltro che questa interpretazione sia stata quella che i dirigenti del Cremlino dettero alla dichiarazione del Presidente americano perché, come si è visto (37), l'U.R.S.S., pochi giorni dopo, senza consultare Londra e Washington, fece un gesto indubbiamente amichevole - anche se interessato - verso l'Italia, col riprendere con essa le relazioni diplomatiche.
6. Trattative con la Spagna per il rilascio delle nostre navi da guerra da essa ~nternate alle Baleari 1'11 settembre 1943 (1)
Prima di iniziare l'esposizione dei fatti relativi alla questione in esame è opportuno richiamare l'attenzione sui seguenti principi relativi alla neutral,ità marittima, accolti dalla XIII Convenzione dell'Aja del 1907: (36) Toscano - Op. cit. bibl. (VI). (37) Vedasi la sezione 2 di questo capitolo. (1) Sulla questione vedasi Ludovico Gallarati Scotti « L'internamento di navi da guerra italiane nella Spagna neutrale» - Giuffré, Milano 1945.
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a) Le navi da guerra belligeranti - eccezion fatta per il caso di avaria o di maltempo - non possono restare più di 24 ore nei porti, rade o mare territoriale di una Potenza neutrale. Il termine di 24 ore decorre dal momento dell'arrivo della nave; se però questa richiede di rifornirsi di combustibile e tale rifornimento, per disposizione di legge della Potenza neutrale, può aver inizio soltanto 24 ore dopo l'arrivo, la durata legale del soggiorno è portata a 48 ore (2). b) Nei porti e rade neutrali le navi da guerra belligeranti « possono » effettuare i rifornimenti che loro occorrono ma nei limiti necessari « per completare il loro approvvigionamento normale del tempo di pace». E' fatta eccezione per il combustibile, per il quale - in linea di principio - esse « non possono » superare il quantitativo che è necessario per consentir loro di raggiungere il più vicino porto del loro Paese (3). c) Qualora la nave da guerra belligerante, alla scadenza della durata legale del soggiorno, non lasci il porto, la rada o il mare territoriale della Potenza neutrale, questa ha il diritto e il dovere di internare la nave con il suo equipaggio per tutta la durata della guerra (4). d) La Potenza neutrale deve applicare in modo eguale ai due belligeranti le condizioni e le restrizioni da esse emanate per quanto riguarda l'ammissione nei suoi porti, nelle sue rade e nel suo mare territoriale delle navi da guerra belligeranti (5). Come è stato precedentemente accennato (6), nel tardo pomeriggio del 9 settembre l'Incr. Attilio Regolo, i Ct. Mitragliere, Carabiniere e Fuciliere e le Torp. Pegaso, Impetuoso e Orsa, dopo aver raccolto morti e superstiti della Cor. Roma (622 persone), in mancanza d'ordini e ·di notizie sulla situazione, dirigevano verso le Baleari per sbarcarvi feriti, morti e naufraghi, rifornirsi di combustibile e acqua e riunirsi quindi alle altre unità della Forza navale. Stante la differenza di velocità fra le unità, si formarono due gruppi: uno, costituito dall'incrociatore e dai tre Ct., al comando del cap. vasc. Giuseppe Marini; l'altro, composto dalle tre torpediniere, al comando del cap. freg. Riccardo Imperiali. Alle ore 8 del 10 settembre il gruppo Marini entrava a Port Mahon (isola di Minorca) chiedendo a quella autorità marittima di sbarcare i morti, i feriti e i naufraghi e di far rifornimento d'acqua e di combustibile. (2) Art. 12, 14 e 19, 3° comma, XIII Conv. (3) Art. 19, 1° e 2° comma, XIII Conv. (4) Art. 24 XI II Conv. (5) Art. 9 XIII Conv. (6) Vedasi Cap. III e alleg. 4
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Le domande furono accolte meno quella relativa al combustibile per il quale si fece presente che ne sarebbe stato richiesto l'invio da Palma de Maiorca, essendone il porto sprovvisto. A questa risposta il comandante Marini osservò (e tale osservazione rinnovò il pomeriggio all'ammiraglio spagnolo avente giurisdizione sulle Baleari) che il termine di 24 ore di permanenza avrebbe dovuto avere inizio, di conseguenza, dal momento in cui fosse stato concesso il combustibile richiesto (7). Il comandante Marini nel frattempo aveva preso contatti telefonici con la nostra ambasciata a Madrid chiedendo notizie sulla situazione politico-militare onde potersi opportunamente regolare. Gli fu risposto che si era privi di notizie sicure e fu consigliato, ove non fosse stato messo in condizioni di riprendere il mare, di assoggettarsi all'internamento. Il giorno successivo, 11 settembre, allo scadere delle 24 ore dall'arrivo delle unità, il rifornimento del combustibile non era ancora avvenuto. Ciononostante le autorità marittime del porto comunicarono ai quattro comandanti che il Governo di Madrid aveva ordinato l'internamento delle unità stesse non avendo esse lasciato le acque nel termine prescritto. All'osservazione che l'internamento non era legittimo dato che non era stato fornito il richiesto combustibile fu risposto che gli ordini ricevuti erano precisi. In questa situazione ai quattro Comandanti non restava che sottoporsi all'internamento (navi ed equipaggi) facentlo però porre a verbale il loro dissenso. Ciò fu fatto inserendo nel verbale d'internamento la seguente clausola. « I comandanti si sottomettono alla decisione ... pur manifestando il loro disaccordo sulla decisione di internamento, ritenendo essi che si debba applicare alle loro navi il disposto dell'art. 9 (della XIII Conv. dell'Aja) circa la proroga del periodo di permanenza». Il gruppo delle tre torpediniere al comando del cap. freg. Riccardo Imperiali arrivò anch'esso nelle acque spagnole, ed esattamente nella baia di Pollensa (isola di Maiorca), il mattino del 10 settembre. Tutte e tre le unità chiesero di sbarcare i morti, i feriti e i naufraghi, domanda che fu accolta. I comandanti delle Torp. Pegaso e Impetuoso ritennero, sulla base delle notizie di cui disponevano, che la soluzione da adottarsi fosse quella di autoaffondare le loro navi. A tale fine alle 3 h dell'l 1 settembre lasciarono la baia di PoHensa, e, usciti dalle acque spagnole, autoaffondarono le due unità. Gli equi-
(7) E' da notarsi che, secondo la legislazione allora vigente in Spagna, la for nitura del combustibile avrebbe potuto esser effettuata soltanto dalla Marina Militare o dalla CAMPSA, ente parastatale che deteneva il monopolio dei prodotti petroliferi nel paese.
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paggi raggiunsero lerra con le imbarcazioni e furono internati dalle autorità spagnole. Il comandante del!'« Orsa» decise invece di seguire la via del gruppo Marini e chiese alle autorità locali il rifornimento di combus tibile. Questo non gli fu accordato e l'unità venne internata con il suo equipaggio. Nel r elativo verbale, a richiesta del comandante italiano, fu inserita la seguente clausola: « Il comandante della nave e il R. Console d'Italia formulano le più ampie riserve riguardo all'inlernamento ... Essi intendono con la presente dichiarazione lasciare impregiudicato ogni eventuale diritto da sostenere in sede superiore». Si rifugiarono in Spagna, subendovi l'internamen to come le altre unità, anche le motozattere Mz. 780 e Mz. 800 nonché il motoscafo di salvataggio d'alto mare dell 'Aeronautica Rama. Da parte della nostra ambasciata a Madrid furono compiuti subito passi presso quel Governo al fine di ottenere il rilascio delle unità internate (8 ). La tesi secondo la quale il Governo spagnolo giustificò il proprio operato fu che, secondo i termini della XIII Convenzione dell'Aja, il rifornimento di combustibile alle navi da guerra belligeranti è una facoltà, non un dovere della Potenza neutrale. Inoltre il fatto che il combustibile non venga fornito tempestivamente per mancanza dello stesso sul posto, non interrompe il termine di permanenza legale di 24 ore, il quale continua a decorrere dal momento dell'arrivo dell'unità belligerante; di conseguenza questa deve esser internata, anche se il combustibile non è stato fornito, qualora essa non parta allo scadere di tale termine. La tesi della nostra ambasciata fu invece diametralmente opposta. L'interpretazione della XI lI Convenzione, essa sostenne, secondo la quale il rifornimento di combustibile alle navi da guerra belligeranti sarebbe in facoltà della Potenza neutrale e non un obbligo per essa, è in contrasto con lo s pirito e con le norme della Convenzione stessa. L'obbligo del rifornimento è comunquè fuori di ogni discussione quando la Potenza neutrale abbia già consentito il rifornimento di unità dell'opposto belligerante. E, durante il conflitto in atto, la Spagna aveva già rifornito di combustibile, nei suoi porti, unità tedesche. Per quanto riguarda infine la questione se la manc;::a tempestiva fornitura del combustibile interrompe o no la decorrenza del periodo
(8) La nostra amba-;ciata tu appoggiata negli interventi presso il Governo di Madrid da quelle americana e britannica, le quali fecero anche preseme che il combustibile necessario per le navi avrebbe potuto esser fornito dagli Alleali, qualora il mancato rifornimento fosse dipeso da st:arsezza dello stesso sul mercato spagnolo.
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di permanenza legale di 24 ore, la tesi della nostra ambasciata tu cht' « se la fornitura non ha luogo per deficie11za di combustibile sul posto, il termine di perrnanenza non può cominciare a decorrere finché il rifornimento stesso non abbia inizio ». Come si vede, erano due tesi troppo contrastanti per trovare un punto d'incontro. Eravamo alla fine di ottobre del J943; le truppe tedesche erano ancora ai Pirenl!i e le Forze alleate sbarcate a Salerno avevano subito un colpo d'arresto sul Volturno. Ciò non poteva non avere il suo peso suU'atteggiamento delle autorità spagnole. La questione fu ripresa agli inizi del 1944 da Stati Uniti e Gran Bretagna, i cui poteri a trattare in nome dell'I talia derivavano loro dagli accordi armistiziali, e si concluse il 29 aprile di tale anno con un accordo fra le Potenze secondo il quale la risoluzione della controversia sarebbe stata affidata a un arbitrato. Tale accordo era un successo per la diplomazia anglo-americana poiché otteneva l'assenso spagnolo a rimettere la questione alla decisione di un arbitro, ma era un successo più di forma che di sostanza per ch é nulla si diceva circa la formu la alla quale l'arbitro avrebbe dovuto rispondere, circa il nome dell'arbitro e circa l'epoca entro cui la decisione avrebbe dovuto esser presa. Era solo un primo passo e nulla più. Per quanto riguarda l'Italia, l'accordo, benché vantaggioso, era senza dubbio mortificante per essa dato che era stata tenuta ed era rimasta estranea a questa intesa che riguardava cose sue. L'onere di portare a buon fine l'impresa rimase quindi a Gran Bretagna e Stati Uniti e si deve soprattutto allo spirito di iniziativa e alla tenacia dell'ambasciatore americano se il 29 dicembre 1944 si giunse ad un accordo fra l'ambasciatore stesso e il Ministro degli Esteri spagnolo (9). L'accordo stabiliva: J ) I Governi spagnolo e americano si impegnavano a sottoporre la controversia alle decision i del prof. Yanguas Messia, ordinario di d iritto internazionale presso l'Un iversità di Madrid, e di attribuire al suo responso il valore di lodo arbitrale, ai sensi dell'accordo del 29 aprile 1944. 2) Il quesito al quale il prof. Yanguas Messia avrebbe dovuto rispondere era il seguente: « Contiene l'art. 19 della XIII Convenzione dell'Aja l'obbligo per lo Stato neutrale di un'attiva collaborazione al fine d i rendere possibile
(9) La situazione militare, come si ricorderà, a fine 1944 era profondamente m utata r ispetto a quella di fine 1943. La Francia era tornata saldamente in mano alleata; i tedeschi non erano più ai Pirenei e la loro definitiva sconfitta appariva ogni giorno sempre più certa.
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il rifornimento di combustibile a navi da guerra belligeranti ancorate nelle sue acque, oppure, al contrario, il rifornimento di combustibile è una facoltà di dette navi, la quale, ove non possa essere esercitata opportunamente, non esclude la stretta applicazione della regola delle 24 ore?». 3) Le Parti contraenti accettavano il responso del giurista quale intèrpretazione autentica dell'articolo 19 della XIII Convenzione, limitatamente al caso in questione, e in conformità di tale responso sarebbero state tratrate le navi italiane alle Baleari. 4) Nessuna successiva richiesta sull'argomento sarebbe stato più possibile in futuro. All'accordo erano uniti due protocolli: il primo diceva che l'accordo stesso - stipulato dagli Stati Uniti nell'interesse delle Nazioni Unite - sarebbe entrato in vigore con l'adesione del Governo britannico; il secondo che Stati Uniti e Gran Bretagna ne avrebbero data notizia al Governo italiano per l'accettazione da parte dello stesso. Questi gli accordi scritti: verbalmente poi il Ministro degli Esten spagnolo dette all'ambasciatore americano riservata assicurazione sull'esito favorevole dell'arbitrato. Il giorno 6 gennaio 1945 il Governo inglese dette la sua adesione all'accordo; seguì 1'8 gennaio quella del Governo italiano. Pochi giorni dopo il prof. Yanguas Messia presentò il proprio responso che qui si riassume. 1) Alla domanda se l'articolo 19 della XIII Convenzione dell'Aja comportava « l'obbligo per lo Stato neutrale di un'attiva collaborazione al fine di rendere possibile il rifornimento di combustibile », la risposta fu: no. « Il senso grammaticale, logico e giuridico [dell'articolo) è scritto nel lodo arbitrale - non attribuisce allo Stato neutrale un dovere attivo di collaborazione per l'approvvigionamento, incompatibile, d 'altronde, con la concezione dello Stato dominante nel 1907, concezione che faceva lo Stato estraneo a compiti di carattere commerciale, circoscrivendone la natura a organo di diritto, il cui dovere specifico, come neutrale, consisteva semplicemente - nel campo che ora analizziamo - in una missione di polizia e di vigilanza, tendente a impedire che le navi da guerra belligeranti rifugiate nelle sue acque le utilizzassero come base di operazioni, compromette11do in tal modo la neutralità dello Stato che ad esse aveva permesso l'accesso ». 2) Al quesito se « il rifornimento di combustibile costituiva una facoltà delle navi da guerra belligeranti », la risposta fu affermativa nel senso che queste avevano la facoltà d'approvvigionarsi del combustibile loro occorrente rivolgendosi al mercato. Se però nello Stato neutrale il mercato del combustibile era soggetto al permesso dell'autorità go,·ernativa (10), questa era tenuta a rilasciarlo tempestivamente, salvo
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che vi ostassero i suoi doveri di neutrale (11), ovvero il diritto di conservazione o le necessità vitali dello Stato stesso (12). 3) Alla domanda se l'impossibilità del tempestivo rifornimento di combustibile sospendeva o no la decorrenza del termine delle 24 ore, l'arbitro non rispose con un'affermazione di principio, come nei due casi precedenti, ma si limitò a risolvere il particolare caso sottopostogli. E lo risolvette affermando che le riserve fatte dai comandanti all'atto dell'internamento e le successive note di protesta delle ambasciate interessate avevano interrotto la decorrenza del termine delle 24 ore entro il quale le navi belligeranti avrebbero dovuto esercitare la facoltà di rifornirsi. Era d'uopo pertanto che tale termine ricominciasse a decorrere dal momento della notifica del lodo arbitrale. Questa ebbe luogo il 14 gennaio, dopo che il Governo spagnolo aveva fatto affluire sul posto ove si trovavano le unità il combustibile necessario. Nelle 24 ore le unità - che nel frattempo si erano preparate a muovere dopo sedici mesi di inattività - si rifornivano del prezioso liquido e il 15 gennaio 1945 iniziavano il viaggio di rimpatrio. « In mezzo a tante tristezze e al disagio che tutt'ora persisteva nei riguardi di noi italiani - scrisse l'ex-ministro degli Esteri Guariglia, che si trovava in quei giorni a Madrid - (13) fu gran conforto sapere che gli equipaggi delle nostre navi, ai quali, come di regola, era stato offerto di scegliere tra la partenza e la permanenza in Spagna, avevano l"ipreso al completo il mare (dove li aspettavano ancora pericoli e fatic he ... ) con lo stesso spirito di obbedienza a l Re col quale avevano lasciato 1'8 settembre i porti italiani per volgere la prora verso il nemico del giorno prima. Solo una diecina d'uomini, su oltre 2500, ch iese di rimanere in Spagna. La nostra Marina dette così un'altr a prova di abnegazione e di totale dedizione agli interessi della Patria».
7. L'attività delle Marine da guerra e mercantile italiane nel periodo della cobelligeranza. (1)
Stabilitisi il 23 settembre 1943, con l'accordo Cunningham-de Courten , lo s tatus delle navi della Marina da guerra e della Marina mercantile italiane e le condizioni in cui esse avrebbero cooperato allo sforzo
(10) T ale era il caso della Spagna, come si è veduto. (11) Ad esempio, dovere di non consentire imbarchi di combustibile eccedenti 1 limiti consentiti dalla Convenzione. (12) Richiamo, in certo qual modo, alla situazione in cui si trovava nel settem1943 la Spagna, soprattutto verso la Germania. (13) Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 752. (I) Al con tributo beUico dell'Esercito alla guerra di liberazione contro la Germania con il « Raggruppamento Motorizzato», il « Corpo italiano di liberazione»
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bellico alleato contro la Germania, nostre unità da guerra e mercantili iniziavano subito la loro attività a fianco degli Anglo-Americani, prima ancora che, in seguito alla dichiarazione di guerra alla Germania da parte dell'Italia (13 ottobre 1943), venisse riconosciuta a questa la veste di cobelligerante. Questa cooperazione non solo divenne sempre più stretta e più ampia durante i venti mesi di guerra comune contro la Germania, ma si protrasse anche a lungo dopo la fine delle ostilità. MARINA DA GUERRA
I comp1t1 inizialmente assegnati alle nostre navi da guerra furono progressivamente ampliati, in relazione, alle aumentate esigenze della condotta della guerra, all'aspirazione della Marina italiana a intensificare il suo contributo allo sforzo bellico in tutle le sue forme (2), e anche alla crescente fiducia delle Marine alleate nella lealtà e nella validità dell'opera della nostra. Quasi tutte le navi della flotta, che erano rimaste in porti sotto nostro controllo o che erano riuscite a raggiungere quelli sotto controllo degli Alleati, trovarono così impiego. Fecero eccezione solo le
e i « Gruppi di combattimento» si è già accennato precedentemente nella sezione 1 di questo capitolo. A tale contributo (che non fu di maggior peso, non per nostra volontà o impossibilità, ma per le limitazioni che gli anglo-americani - soprattutto per volere di Londra - posero a una nostra più ampia partecipazione) è da aggiungere quello delle unità di lavoratori e delle unità di specializzati (salmeristi, portuali, genieri, pionieri ecc.) che operarono fin sulle prime linee, nonché l'opera dei prigionieri di guerra in mano alleata. L'utilità di questo contributo risulta dalle seguenti cifre riferentisi all'aprile 1945: unità di lavoratori e unità di specializzati, 196.000 uomini; prigionieri di guerra inquadrati in unità di lavoro, 278.000, impiegati in lavori vari, 154.000 (Ministero della guerra « Considerazioni relative all'Esercito nei riguardi del trattato di pace», cit. bibl., pg. 15). Il contributo bellico dato dall'Aeronautica si sviluppò quasi esclusivamente nel settore balcanico in appoggio alla divisione « Garibaldi » e alle forz.e partigiane jugoslave. Questo contributo è rappresentato dalle seguenti cifre: 4.155 azioni belliche nel corso di 11.196 voli con 24.199 ore di volo. A questo contributo deve aggiungersi quello fornito con i trasporti aerei di carattere non bellico (9.022 voli con 12.273 ore di volo, tonn. 2.559 di materiale trasportato unitamente a 30.860 persone) nonché quello dato dalle « Compagnie servizi aviazione», messe a disposizione degli Alleati per svolgere servizi logistici e tecnici vari (servizi di manovalanza; servizi di guardia ad aeroporti, impianti, depositi ecc.; servizi tecnici vari, quali CO· struzione di piste, deminamento, bonifica antimalarica ecc.) (Ministero dell'Aeronautica - « Considerazioni relative all'Aviazione militare italiana nei riguardi del Trattato di pace», cit. bibl., pg. 14-19, nonché Lodi - Op. cit. bibl., pg. 249../250 e 259-261 ). (2) Ciò non solo in vista della promessa del « documento di Quebec», ma anche, e soprattutto, per il dovere da tutti sentito di non permettere che il territorio nazionale fosse liberato dall'occupazione tedesca senza un nostro apprezzabile contributo.
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corazzate che non ebbero modo di esser utilizzate per mancanza in Mediterraneo di obiettivi consoni al loro tipo (3). Indipendentemente dal contributo dato alla Resistenza ( 4), i principali aspetti dell'attività svolta dalla Marina durante la cobelligeranza possono esser schematicamente riassunti nel modo che segue (S) (6). Si trattò di un'attività che non si segnalò con avvenimenti di particolare risonanza, non esistendo più in Mediterraneo - ove prevalentemente si svolse - consistenti forze navali avversarie, ma che impose a uomini e mezzi un diuturno e logorante impegno. Missioni di guerra.
Con questa denominazione si designano le missioni che ebbero per scopo di prevenire o contrastare operazioni nemiche in Mediterraneo e in Atlantico. Nel Mediterraneo si trattò di interventi in occasione di azioni tedesche contro le isole egee e jonichc, di bombardamenti costieri ecc. Queste missioni furono in tutto 76 per un percorso totale di 61.816 miglia e vi parteciparono 100 unità di vario tipo (cacciatorpediniere, torpediniere, corvette, M.S., M.A.S. e navi ausiliarie). In queste missioni
(3) Le corazzate Doria, Cesare e Duilio che, come si è veduto nel capitolo IV, erano rimaste internate a Malta anche dopo l'accordo Cunningham-de Courten, rimpatriarono rispettivamente 1'8 il 17 e il 27 giugno 1944.
Le corazzate Italia e Vittorio Veneto - internate nel Gran Lago Amaro nel canale di Suez - rimpatriarono invece solo alla vigilia della firma del trattato di pace, ed esattamente il 9 febbraio 1947. Un sondaggio fatto dall'amm. de Courten il 24 luglio 1945 presso il Comandante in Capo navale delle Forze alleate del Mediterraneo, amm. John Cunningham, per utilizzare le due unità e allre unità italiane in Pacifico contro il Giappone (cui l'Italia aveva dichiarato guerra il 15 luglio) ebbe esito negativo. L'ammiraglio britannico rispose infatti che le due navi non erano adatte alla guerra oceanica e che, inoltre, esse non erano ammodernate come sarebbe stato necessario. La resa del Giappone, avvenuta poco dopo (15 agosto), pose fine alla questione. Può esser interessante ricordare qui che, fin dal 2 ottobre 1943, Churchill aveva chiesto all'Ammiragliato britannico di esaminare se era conveniente o no attrezzare le due unità per la guerra nel Pacifico e che sulla questione era tornato il 31 gennaio 1944 (Churchill - Op. cit. bibl. (I), pg. 214 e 272). (4) Vedasi in proposito · Fioravanzo . Op. cit. bibl. pg. 421-490; W. Ghetti « La Marina nella lotta partigiana» in « Rivista Marittima» Aprile 1975, pg. 37-48. (5) I dati statistici potuti reperire non sono sempre concordanti. Quelli qui di seguito riportati - che si riferiscono al periodo 15 settembre 1943-30 giugno 1945 sono stati tratti (salvo espressa dichiarazione contraria) dalla pubblicazione del Ministero della Marina intitolata « Considerazioni relative alla Marina Militare nei riguardi del Trattato di pace», citata in bibliografia. Mi sono avvalso anche, oltre che di documenti d'archivio, dell'opera del Fioravanzo citata pÙr essa in bibliografia. (6) La collaborazione della Marina con gli Alleati - come si è già detto - continuò lungamente anche dopo la fine delle ostilità, soprattutto nel campo dei trasporti militari e del dragaggio.
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andarono perdute, oltre a unità minori, il Ct. Euro e le Torp. Stocco, Sirtori e Cosenz. In Atlantico operarono, con base a Freetown, dal novembre 1943 al marzo 1944, gli Incr. Duca degli Abruzzi e Duca d'AosLa i quali, in cooperazione con unità similari britanniche e francesi, compirono 12 crociere (per circa 40.000 miglia) di ricerca e di caccia di corsari e violatori di blocco tedeschi. Missioni speciali.
Le missioni speciali possono raggrupparsi nelle categorie che seguono. a) Sbarco di informatori e sabotatori sulle coste controllate dal nemico e loro ricupero. Queste operazioni furono affidate, nelle zone più vicine, a M.S. •.! M.A.S. e, in quelle più lontane, a sommergibili. Esse furono oltre 250 e, per la maggior parte, vennero effettuate in Adriatico. b) Sbarco sulle coste controllate dal nemico (specialmente dell.,;. Balcania) di materiali destinati a patrioti; ricupero di militari sbandati. Queste missioni furono affidate, in un primo tempo, a torpediniere, sommergibili, M.S. e V.A.S.; successivamente anche a motozattere. Esse ammontarono a 32; circa 1600 furono gli uomini ricuperati.
c) Rilievi idrografici. Queste missioni avevano lo scopo di compiere rilievi idrografici nei luoghi ove erano previsti sbarchi alleati, onde facilitarne il successo. Furono affidate generalmente a M.S. e M.A.S. e vennero spesso compiute in collaborazione con unità alleate. d) Operazioni dei mezzi d'assalto della Marina italiana e di
quelle alleate. Il Ct. Grecale e la M.S. 74 furono appositamente attrezzati per questo tipo di missioni, il cui compito era quello di avvicinare alle basi e ai porti da violare gli operatori subacquei e di attenderli per l'eventuale ricupero. Tra le azioni dei mezzi d'assalto sono da ricordare particolarmente il forzamento del porto di La Spezia (21 giugno 1944) e di quello di Genova (19 aprile 1945), occupati dai tedeschi. La prima azione provocò l'affondamento dell'incroc. Bolzano, in corso di lavori, e il danneggiamento di un sommergibile; la seconda l'affondamento della n.p.a. Aquila, anch'essa ai lavori.
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Le missioni speciali compiute furono complessivamente 335 con 95.701 miglia di percorso. Per queste missioni furono impiegate complessivamente 413 unità. Attività antisommergibile.
Alla vigilanza e alla caccia antisommergibile furono normalmente destinate M.S., M.A.S., V.A.S. e unità ausiliarie di piccolo tonnellaggio che compirono complessivamente 2.438 missioni per un totale di 150.606 miglia. Dragaggio.
A questo serv1z10, vitale per la sicurezza della navigazione nelle zone minabili, furono adibite in media, a turno, 60 unità le quali, nell'espletamento del loro compito, percorsero complessivamente 325.000 miglia. Scorta di convogli.
Le missioni di scorta erano eseguite principalmente sulle rotte che dai porti dell'Africa settentrionale e di Malta conducevano ai porti italiani, e viceversa. Esse furono effettuate con cacciatorpediniere, torpediniere, corvette e navi ausiliarie. I principali dati concernenti quest'attività sono i seguenti: Convogli italiani
Convogli alleati
Numero dei convogli scortati
278
I .343
1.621
Numero dei piroscafi scortati
301
10.442
10.743
1.530.000
80.574.000
82.104.000
85.903
283.513
369.416
Numero delle unità di scorta impiegate
326
2.722
3.048
Miglia percorse dalle unità di scorta (a)
105.979
657.837
763.816
Tonnellatt! di stazza lorda dei piroscafi scortati Miglia percorse dai convogli
Totali
. (a) La differenza tra le miglia percorse dai convogli e quelle percorse dalle umtà di scorta è dovuta al fatto che queste evoluivano attorno alle navi da proteggere nell'tntento di meglio salvaguardarle da sorprese di sommergibili.
174 Trasporto di personale e di materiali.
L'impiego di navi da guerra per trasporto di uomini e dei materiali in loro dotazione fu adottato soprattutto per ragioni di rapidità e di sicurezza. La parte di gran lunga maggiore di uomini e di materiali fu tr asportata dagli incrociatori e dai cacciatorpediniere. I principali dati relativi a quest'attività, che si svolse tra i porti dell'Africa settentrionale e quelli italiani e tra questi ultimi, sono i seguenti: Trasporto di uomini e materiali italiani
Trasporto di uomini e materiali alleati
Totali
765
4.890
5.655
Miglia percorse
244.290
517.013
761.303
Uomini trasportati
281.919
154.643
436.562
Tonnellate di materiali trasportate
16.252
374.733
390.985
Numero delle unità impiegate
Attività di addestramento di unità navali ed aeree alleate.
Il concorso all'addestramento di unità navali ed aeree alleate fu dato in Mediterraneo, in Atlantico, in Mar Rosso e nell'Oceano Indiano. A questa attiviità parteciparono due incrociatori, una nave coloniale, cacciatorpediniere, torpediniere e sommergibili, i quali compirono complessivamente 2.090 missioni, che comportarono 20.508 ore di moto con un percorso di 135.330 miglia. Aviazione marittima.
L'aviazione marittima era dotata esclusivamente di idrovolanti da ricognizione; quelli che, alla ·proclamazione dell'armistizio, raggiunsero le basi alleate furono dislocati a Taranto (il maggior numero), Brindisi e Cagliari. L'attività di questi aerei - che ebbe subito inizio a fianco delle aviazioni alleate - fu prevalentemente rivolta a missioni di ricerca e soccorso di naufraghi, di ricerca e caccia di sommergibili e di scorta antisommergibile delle navi; eseguirono anche un centinaio di missioni speciali per trasporto di persone in territorio nemico e per ricupero delle stesse nonché per accertamento di movimenti di truppe nemiche. Il numero degli apparecchi efficienti ogni mese variò da 25 a 30; le missioni furono complessivamente 1.214 per 4.333 ore di volo. I
175 Il reggimento « S. Marco ». (7)
Una certa disponibilità di personale, che si verificò per varie ragioni dopo l'armistizio, consentì alla Marina di concorrere anche alle operazioni sul fronte terrestre ricostituendo il reggimento « S. Marco», che nel 1917-18 aveva combattuto nel basso Piave per la difesa di Venezia. Il reggimento, inizialmente costituito su uno e, poi, su due battaglioni ( « Bafile » e « Grado »), dopo un periodo di intenso addestramento in terra di Puglia, entrò in linea sul fronte di Cassino ai primi dell'aprile 1944, alla diretta dipendenza di un Comando alleato, per passare poi a quella del « Corpo italiano di liberazione », inquadrato nel quale combatté sino alla fine dell'estate. Ritirato dal fronte, riordinato e ricompletato negli effettivi, accresciuto di un terzo battaglione (« Caorle»), raggiunse nell'inverno 1944-45 il suo nuovo posto di combattimento in Romagna, inserito nel Gruppo di combattimento « Folgore», con il quale partecipò all'offensiva finale conclusasi con la resa delle Forze tedesche in Italia (29 aprile 1945). Il reggimento, da una forza iniziale di 1.100 uomini, arrivò alla consistenza di 3.400 unità pagando il suo tributo di sangue alla causa della libertà con la perdita di 479 valorosi. Uno speciale reparto del reggimento « S. Marco » fu quello indicato con la sigla N.P. (Nuotatori-Paracadutisti), anch'esso ricostituito a Taranto, il quale operò dal giugno 1944 alla fine del conflitto. Il reparto N.P. era composto da personale specializzato in azioni di sabotaggio e di sorpresa, compiute generalmente partendo da punti di sbarco alle spalle delle linee nemiche. Le azioni del reparto N.P. furono più di 50, compiute con il concorso di M.S. e M.A.S ., che li trasportavano sino al punto prescelto per lo sbarco (8). La cooperazione nelle basi navali.
L'attività della Marina nelle basi navali, per cooperare con gli Alleati, si svolse inizialmente nei porti di Taranto, Brindisi, Bari e Napoli; successivamente in tutti gli altri porti a sud della « linea Gotica », a mano a mano che essi venivano liberati.
(7) Per quanto riguarda gli episodi di guerra contro i Tedeschi nel campo terrestre nei quali la Marina ebbe parte durante il periodo immediatamente successivo all'8 settembre, sono da ricordare quelli della Maddalena, di Piombino, di Castellammare di Stabia, di Cattaro, di Cefalonia, di Corfù e di Simi (Dodecanneso). Ma il luogo ove l'episodio si trasformò in una vera e propria azione di guerra fu l'isola di Lero, sede della principale base navale del Dodecanneso; l'isola s'arrese soltanto dopo cinquanta giorni quando ebbe esaurito tutte le possibilità e i mezzi di difesa, con italiani e inglesi combattenti fianco a fianco. {8) Vedasi Fioravanzo · Op. cit. bibl., 320 e seg.
176
Di qt1este basi quella che dette il massimo contributo allo sforzo bellico alleato fu senza dubbio la base di Taranto che - per la vastità degli specchi d'acqua, per Ja presenza di un grande arsenale e del cantiere navale Franco Tosi, per i limitati danni riportati dai bombardamenti anglo-americani e per l'entità delle difese - offriva le più ampie possibilità logistico-tecniche e le migliori condizioni di sicurezza. Il contributo dato dalla Marina agli Alleati in questo campo si svolse sotto un triplice aspetto: difensivo, logistico e tecnico. Esso può riassumersi come segue (9): a) Organizzazione de1la difesa delle basi con: - batterie antiaeree e navali; - ostruzioni retalì e sbarramenti antinavi, antisommergibili e antiaerei; -reti di avvistamento antiaereo, stazioni di vedetta e stazioni di riconoscimento; - vigilanza foranea nelle immediate vicinanze dei porti a mezzo di naviglio minuto antisommergibile. b) Prestazione di mezzi ausiliari e di natanti di uso portuale, quali rimorchiatori, cisterne per acqua e nafta, maone ecc. c) Collaborazione nell'organizzazione ed esercizio dei porti e nelle operazioni di carico e scarico dei piroscafi mediante la prestazione, tra l'altro, di mano d'opera militare per il compimento di queste operazioni. La forza media messa a disposizione dalla Marina a questo fine fu di 4.000 uomini (10). d) Cessione in uso di immobili di ogni tipo della Marina (caserme, ospedali, locali per uffici, per alloggi, per magazzini ecc.) in aggiunta agli immobili requisiti per conto degli Alleati (11). e) Cessione di linee telegrafiche e telefoniche, di apparecchiature telegrafiche, telefoniche e telescriventi; esercizio, per conto degli Alleati
(9) Vedasi Fioravanzo - Op. cit. bibl., pg. 311 e seg. (10) Da aggiungersi il personale fornito dall'Esercito. (11) In Taranto, a titolo d'esempio, furono messi a disposizione degli Alleati, in cifre arrotondate: - appartamenti privati e magazzini civili: t.800; - autorimesse e officine private: 30; - alberghi e ristoranti: tutti meno 2; - scuole e caserme: tutte meno il deposito C.R.E.M.; - ospedali: metà ospedale della Marina; - magazzini della Marina: due terzi. Nel territorio della provincia di Taranto furono posti a disposizione degli Alleati: - fabbricati: 190; - aziende agricole (masserie): 30; - scuole e caserme: molte.
177
stessi, di linee telegrafiche e telefoniche e della linea radiotelegrafica della Marina. f) Esecuzione di lavori a navi alleate, o al diretto servizio degli Alleati, da parte degli arsenali e delle officine della Marina e degli stabilimenti dell'industria privata sottoposti al controllo della Marina. Rilevante parte di questi lavori furono eseguiti attingendo quasi esclusivamente i materiali necessari dalle residue scorte rimaste nei magazzini della Marina (12). Alla fine del conflitto, nel maggio 1945, la flotta italiana era ridotta alle unità indicate nell'allegato 11 che, per comodità del lettore, si
(12) A titolo d'esempio, nel periodo settembre 1943-luglio 1945, nell'arsenale di Taranto e nell'officina d.i Brindisi furono effettuati i seguenti lavori a favore degli Alleati:
I
Sede
Unità da combattimento alleate
Piroscafi e navi ausiliarie alleate
Piroscafi nazionali in servizio alleato
Taranto
307
936
98
Brindisi
320
322
41
627
1.258
139
Totali
N:eUo stesso periodo, durante l'esecuzione di detti lavori, furono immesse in bacino: Unità da Piroscafi e combattimento I navi ausiliarie alleate alleate
Sede
Piroscafi nazionali in servizio alleato
Taranto
311
190
44
Brindisi
184
73
20
495 ·
263
64
Totali
Totale delle unità degli Alleati,. o al loro servmo, riparate nei due suddetti stabilimenti di lavoro: 2.024. Totale delle unità stesse immesse in bacino: 822.
178
riassume nella tabelJa che segue, limitatamente al naviglio da combattimento: Cor. Incr. A Incr. B Ct. Torp. Corv. Srng. M.S. M.A.S. M.E. V.A.S.
n.
Totali
n.
5
))
» ))
» » ))
» » ))
tonn.
143.120
»
))
9 11 22 19 36 16 16 4 14 152
)> ))
))
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))
» )) ))
tonn.
53.189 17.646 16.179 12.730 24.344 960 309 140 952 269.569
Dal confronto tra questo tonnellaggio e quello delle unità recatesi in porti sotto controllo alleato nel settembre 1943, in esecuzione dell'armistizio, si rileva che nel periodo della cobelligeranza andarono perdute unità da combattimento per tonnellate 6.959 (13) e precisamente (14): Torp. Smg. M.A.S. M.S. V.A.S.
n.
Totali
n.
)) ))
» ))
»
4.917 1.440 174 360 68
tonn.
6.959
6
tonn.
2 9 6 1
»
24
» ))
Se a queste unità perdute durante la cobelligeranza si aggiungono, come appare non illogico, le perdite subite in relazione all'esecuzione dell'armistizio del 3 settembre 1943, ne risulta che le unità da combat-
(13) Unità che, in esecuzione dell'armistizio, nel settembre 1943 raggiunsero porti sotto controllo alleato, tonn. 268.227; unità che raggiunsero allora porti spa· gnoli e, successivamente, porti sotto controllo alleato, tonn. 11.017 (vedasi tabella riportata nel Cap. III). Totale, tonn. 279.244. Successivamente all'esecuzione dell'armistizio, tonn. 2.716 di naviglio catturato alla Francia e alla Jugoslavia prima dell'8 settembre furono a queste restituite. Di conseguenza il totale di cui sopra risultò ridotto a tonn. 276.528. La differenza tra questa cifra e quella del tonnellaggio a fine conflitto nel maggio 1945 (tonn. 269.569) ci dà il tonnellaggio perduto nel periodo della cobelli. geranza, che è pari a tonn. 6.959. (14) I nominativi delle unità perdute il cui numero è indicato nella tabellina soprariportata, sono i seguenti: Torp. Impetuoso, Pegaso, Cosenz, Stocco, Sirtori, ed E11ro; Smg. Axum e Settembrini; M.S. 12, 15, 21, 23, 26 e 33; M.A.S. 432, 507 , 509, 517. 534, 54 1, 546, 555 e 559; V.AS. 206.
179
timento andate perdute dal 9 settembre 1943 alla fine del conflitto nel maggio 1945 sono state complessivamente 163 per 151.748 tonnellate (15). A queste perdite si debbono aggiungere, per avere un quadro completo,quelle subite dal naviglio ausiliario e da quello in costruzwne ( 16 ). Il tributo di sangue dato dalla Marina (personale militare e militarizzato ) si riassume nella cifra di 8.518 uomini morti o dispersi, come risulta in dettaglio della seguente tabella ( 17): A bordo
A terra
Internati
Formazioni partigiane
Totali
Ufficiali
146
112
25
22
305
Sottufficiali
431
401
45
33
910
Sottocapi e comuni
2.430
3.697
679
491
7.297
5
1
-
-
6
4.211
749
546
8.518
Personale
Tecnici di ditte militarizzate Totali
3.012
Questo vasto e complesso contributo dato dalla nostra Marina, durante venti mesi di cobelligeranza, alla causa delle Nazioni Unite (che coincideva con quella nazionale) è stato più volte e in varie occasioni riconosciuto non solo dai Comandanti alleati, con i quali navi e servizi hanno avuto rapporti di dipendenza operativa o di collaborazione attiva, ma anche, da Capi politici alleati. Nell'allegato 12 sono riportati i principali di tali riconoscimenti; mi limito a riportare qui il seguente, stralciato dal discorso che il primo ministro britannico Churchill pronunciò alla Camera dei Comuni il 5 giugno 1945, un mese dopo la conclusior1e vittoriosa del conflitto: « L'im-
(15) Tali cifre sono state così ottenute: Unità perdute in esecuzione dell'armistizio (vedasi la tabella del Cap. III): unità perdute in combattimento: 12 per 41.096 tonn.; unità rimaste in porti sotto controllo tedesco: 124 per 100.614 tonn.; unità rimaste in porti sotto controllo giapponese: 3 per 3.079 tonn. Totale 139 per 144.789 tonn. Unità perdute durante la cobelligeranza: 24 per 6.959 tonn. Totale generale: 163 unità per 151.748 tonnellate. (16) Per quelle in costruzione all'8 settembre 1943 le perdite - per quanto riguarda le navi da combattimento - furono di 118 unità. (vedasi più in dettaglio il Cap. III). (17) Dati forniti dalla Dir. Centr. Organizzazioni e Metodi (Centro elaborazione dati - II Sezione Marina) del Min. Difesa.
180
missione della flotta italiana nel complesso delle Forze navali alleate fu decisamente di aiuto. Alcune di queste navi hanno prestato servizio in Mediterraneo come unità da guerra, altre come unità da trasporto e da esse è stato compiuto molto lavoro di gran valore. Esse hanno operato anche nell'Oceano Indiano e in missioni di pattugliamento contro i corsari in Atlantico. Gli arsenali hanno reso importanti servizi ... ».
MARINA MERCANTILE ( 18)
Soddisfatte le condizioni e le disposizioni formulate nello « short armistice » e nd « documento di Quebec», l'accordo Cunningham-de Courten del 23 settembre 1943 stabilì, come si è veduto. che il nostro naviglio mercantile fosse messo subito in « pool » con quello alleato per esser impiegato, su piede di parità con questo e con bandiera ed equipaggi italiani, nel comune interesse. Così, sin dai primissimi giorni susseguenti all'armistizio, tutte le navi efficienti iniziarono il loro servizio a beneficio deHa causa alleata che, da quel momento, coincideva con la nostra. Le unità non efficienti vennero messe al più presto possibile in conaizioni di navigare e furono quindi poste a disposizione delle autorità alleate.
Complessivamente furono impiegate, in media, al servizio deglì Alleati, 90 unità per 300.000 tonnellate di stazza lorda, senza tener conto del naviglio di piccolo cabotaggio impiegato per sopperire alle urgenti esigenze di rifornimento dell'Esercito alleato sul fronte italiano (19). Inoltre equipaggi italiani furono imbarcati su navi alleate. Nell'applicazione dell'armistizio e nel periodo della cobelligeranza la Marina Mercantile italiana, come risulta dall'allegato 13, ha perduto 203 unità di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate, per complessive 836.139 T.S.L. In tali cifre sono comprese, come appare non illogico, anche le perdite subite in relazione all'esecuzione dell'armistizio del 3 settembre 1943. Sta di fatto che, alla fine del conflitto, il naviglio mercantile italiano era ridotto a 77 unità di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate, per complessive 370.375 T.S.L. Tale tonnellaggio era poco pìù del 10
(18) Con la data del 1° ottobre 1943 la Direzione Generale della Marina Mercantile, già facente parte del Ministero delle Comunicazioni, fu trasferita al Ministero della Marina. Con la stessa data l'incarico cli Direttore Generale fu affidato all'amm. squadr. Pietro Barone, al quale succedette, nel maggio 1944, il ten. gen. A.N. Carlo Matteini. (19) I dati sono stati presi dalla pubblicazione del Ministero della Marina intitolata « Considerazioni relative alla Marina Mercantile nei riguardi del trattato di pace» citata in bibliografia.
181
per cento del tonnellaggio che l'Italia possedeva quando era entrata in guerra nel giugno 1940 (20). Il contributo dato dalla nostra Marina Mercantile alla causa delle Nazioni Unite, durante i venti mesi della cobelliger.a nza, fu più volte riconosciuto dalle autorità del mondo marinaro alleato il cui pensiero venne così sintetizzato dal Comandante in Capo navale del Mediterraneo, amm. John Cunningham, in occasione di una riunione che ebbe luogo a Roma nei giorni 30 e 31 maggio 1945 per esaminare alcune fondamentali questioni relative all'impiego della flotta mercantile italiana: « I compiti affidati alla Marina Mercantile italiana, disse l'ammiraglio, sono stati completamente ed efficacemente assolti».
Cessate le ostilità, il Governo italiano, in preparazione dei negoziati per il trattato di pace, predispose una valutazione economica dell'apporto dato dall'Italia alla guerra contro la Germania. Tale valutazione ebbe per forza di cose un valore di larga massima, sia per la difficoltà di raccogliere notizie esatte ed esaurienti, sia per la difficoltà di dare un valore economico ad alcune prestazioni difficilmente esprimibili in valore monetario, sia per il continuo aumento dei prezzi, dovuto alla ininterrotta e forte diminuzione del potere di acquisto della lira. Le conclusioni di questo lavoro formarono oggetto del « Memorandum sulle questioni economico-finanziarie connesse col trattato di
(20) La situazione era così riassunta da un noto esperto di cose marittime, Pino Fortini, in un articolo intitolato: « L'avvenire della Marina Mercantile», pub· blicato nel numero di febbraio 1945 della rivista « Politica Estera». « Certo, scriveva Fortini, la situazione attuale della Marina Mercantile nazionale non è confortante. Avevamo, nel giugno 1940, tre milioni e mezzo di tonnellate lorde: solo il 10 per cento ne rimane all'Italia liberata... E quel che ci rimane naviga quasi tutto nel Mediterraneo al servizio più che altro degli Alleati; così impongono le clausole dell'armistizio. In un primissimo tempo essi si erano accontentati d'utilizzare il naviglio di stazza lorda superiore alle 300 tonnellate; successivamente anche le unità inferiori - in genere motovelieri - furono dichiarate necessarie alle esigenze belliche. Cosicché oggi praticamente rimangono esenti dal controllo solo i motovelieri di portata lorda inferiore a 10 tonnellate e i velieri. E del naviglio controllato... solo una parte non cospicua serve ai rifornimenti civili. « Altre unità nostre ci sono, certo, nei porti dell'Italia ancora occupata, ma, man mano che si procede verso nord, si trovano porti tramutati in cimiteri di navi poiché i nazi~ti affondano o demoliscono (anche sullo scalo), dopo averlo spogliato, quanto non possono o non convenga loro portar via... Parecchie di tali navi sarà certo possibile ricuperare e riattare... ma si tratta pur sempre di magre cifre e, più che altro, di naviglio minore ».
182
pace», presentato dal Governo italiano a quelli alleati il 25 giugno 1946 (21). Da esso si rileva che il valore economico del contributo dato dalle Marine Militare e Mercantile italiane allo sforzo bellico alleato era calcolato come segue sulla base dei dati raccolti sino a fine aprile 1946 (22). MARINA MILITARE (23)
-
Valutazione economcia del servizio prestato dalle navi da guerra Danni subìto dalle unità da guerra Danni subìti dalle opere marittime militari Cessioni di materiale e prestazioni varie a favore degli Alleati Capitalizzazione delle pensioni di guerra ai familiari di caduti o dispersi dopo 1'8 settembre 1943
L. L. L.
40.273.610.000 174.957.431.000 172.703.954.000
L.
20.181.241.000
L.
393.000.000
Totale L.
408.509.236.000
MARINA MERCANTILE (24)
-
Valutazione economica del servizio prestato dalla Marina Mercantile L. L. Danni subìti da unità mercantili Capitalizzazione delle pensioni di guerra ai familiari di caduti o dispersi dopo 1'8 sett. 1943 L. Totale L.
6.760.702.000 63.162.175.000 7.000.000 69.929.877.000
(21) Il memorandum era stato preceduto da altro analogo. rna meno completo e basantesi su dati statistici più frammentari, presentato al Comitato dei Supplenti dei Ministri degli Esteri nell'aprile precedente. (22) Le cifre indicate sono in « lire 1946 ». Esse furono determinate applicando ai valori anteguerra (1938-39) il coefficiente di ragguaglio 15,1 (memorandum, pg. 56). Le valutazioni riguardanti sia la Marina Militare che quella Mercantile furono opera del!'« Ufficio studi economico-finanziari per le trattative post-belliche» (Marieco), istituito nell'ambito del Ministero della Marina e retto dal!'amm. Paolo Maroni. (23) Memorandum, pg. 43. Le cifre sono arrotondate. {24) Memorandum, pg. 43. Le cifre sono arrotondate.
PARTE II
IL
TRATTATO
DI
PACE
'
185
Capitolo VI PROCEDURA ADOTTATA PER LA PREPARAZIONE DEL PROGETTO E DEL TESTO DEFINITIVO DEL TRATTATO DI PACE
La procedura per la preparazione del trattato di pace con l'Italia (come di quelli con la Finlandia, la Romania, la Bulgaria e l'Ungheria) fu stabilita dalle Conferenze di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945) e di Mosca (16-26 dicembre l 945) nonché, all'inizio dei suoi lavori, da quella .di Parigi (29 luglio-15 ottobre 1946) (1). A Potsdam il compito di preparare i trattati di pace fu affidato ad un organo di nuova costituzione, il « Consiglio dei Ministri degli Esteri » composto dai Ministri delle cinque grandi Potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, Francia e Cina), ass istiti ognuno da un Sostituto, che lo avrebbe rappresentato in Consiglio in caso di sua assenza. Il Consiglio nell'espletamento del compito affidatogli non avrebbe però lavorato sempre con tutt'e cinque i suoi membri, ma la sua composizione sarebbe stata diversa a seconda del trattato da predisporre. Il Consiglio infatti avrebbe dovuto esser composto soltanto da quelli dei cinque Ministri i cui Stati erano firmatari, o considerati tali, dell'armistizio riguardante la Potenza cui si riferiva il trattato di pace da prepararsi. Di conseguenza il Consiglio sarebbe stato composto dai Ministri dell'Unione Sovietica, di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia per la preparazione del trattato di pace con l'Italia; dai primi tre per l'elaborazione dei trattati con Romania, Bulgaria e Ungheria e dai primi due soltanto per quanto riguardava il trattato con la Finlandia. Il progetto di trattato di pace con l'Italia avrebbe dovuto esser preparato per primo dato che essa - leggevasi nel comunicato della
(1) La Conferenza di Potsdam ebbe luogo tra Truman, Stalin e Churchill, sostituito quest'ultimo il 28 luglio da Attlee in seguito all'esito delle elezioni politiche in Gran Bretagna. La Conferenza di Mosca avvenne tra i Ministri degli Esteri dell'Unione Sovietica, di Gran Bretagna e degli Stati Uniti; rispettivamente V.M. Molotov, E. Bevin e J .F. Byrnes. Alla Conferenza di Parigi parteciparono i seguenti ventun Stati: Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna, U.R.S.S., Australia, Belgio, Bielorussia, B rasile, Canadà, Cecoslovacchia, Etiopia, Grecia, India, Jugoslavia, Norvegia, Nuova Zelanda. Olanda, Polonia, Sud-Africa e Ucraina.
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Conferenza di Potsdam - « è stata la prima delle Potenze dell'Asse a rompere con la Germania, alla cui sconfitta ha dato un sostanziale (materiai) contributo; (2) si è unita ora agli Alleati nella lotto contro il Giappone (3); si è liberata dal regime fascista e sta facendo buoni progressi verso il ristabilimento di un governo e di istituzioni democratiche » (4). Completata che fosse stata la preparazione dei cinque progetti di trattato di pace - fu stabilito alla Conferenza di Mosca - il Consiglio dei Ministri degli Esteri avrebbe dovuto convocare una conferenza internazionale perché li sottoponesse ad esame. A questa conferenza avrebbero dovuto essere invitate le cinque grandi Potenze nonché « tutte quelle altre Nazioni Unite che avevano preso parte attiva, con forze militari importanti (substantial), alla guerra contro gli Stati nemici • europei e cioè: Australia, Belgio, Bielorussia, Brasile, Canada, Cecoslovacchia, Etiopia, Grecia, India, Jugoslavia, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Sud Africa e Ucraina. In totale ventun Stati (5).
(2) Malgrado ciò, nel preambolo del Trattato di pace, l'apporto dato dall'Italia alla causa alleata con la cobelligeranza .fu presentato in modo così stentato ed agro da far dire a De Gasperi, nel suo discorso del 10 agosto 1946 alla Conferenza di Parigi, che evidentemente esso era stato formulato in tal modo per ridurre la portata della nostra cobelligeranza e per non porre il preambolo in contrasto con la durezza degli articoli che lo seguivano. (3) L'Italia aveva dichiarato guerra al Giappone il 15 luglio 1945. Fin dal marzo 1944 la questione era stata sollevata dal maresciallo Badoglio il quale, in un suo colloquio con il generale MacFarlane - praticamente il Capo delJa Commissione di Controllo alleata -, gli aveva detto che « desiderava che le forze italiane, specialmente la flotta, partecipassero alla guerra contro il Giappone». La questione non ebbe seguito per il momento anche per le incertezze sorte sull'opportunità d'un tale gesto. Comunque essa fu riproposta un anno dopo (marzo 1945) dal nostro ambasoiatore a Washington, Tarchiani, il quale, nel presentare le credenziali a Roosevelt, fece presente che era intenzione dell'Italia di dichiarare guerra al Giappone per dimostrare « la sua viva simpatia per gli Stati Uniti». Roosevelt non solo espresse il proprio apprezzamento per tale intendimento ma dispose anche che gli Stati Uniti facessero i necessari passi per ottenere il nulla osta dei Governi di Londra, Mosca e Parigi (bisogna ricordare che tale consenso, come quello americano, era necessario, dato che eravamo in regime armistiziale), nulla osta che fu concesso dopo qualche incertezza, specialmente da parte della Gran Bretagna. {Vailati - Op. cit. bibl. (III), pg. 523; Tarchiani - Op. cit. bibl., pg. 38-39 e 72-77; « Foreign Relations », cit. bibl. · 1946, Voi. IV, pg. 813-814). (4) Nel comunicato della Conferenza leggevasi anche, riguardo all'Italia, che la conclusione del Trattato di pace avrebbe « reso possibile ai tre Governi di soddisfare il loro desiderio d'appoggiare una richiesta dell'Italia di divenire membro delle Nazioni Unite». (5) La Norvegia, avendo soltanto rotto le relazioni diplomatiche con l'I talia, non partecipò ai lavori delle Commissioni politico-territoriale ed economico-finanziaria per l'Italia, create nel senso della conferenza. Per la stessa ragione la Norvegia non figurò tra i partecipanti al trattato di pace relativo all'I talia. Albania, Egitto, Messico, Cuba, Austria, I ran ed Iraq furono ammessi dalla Conferenza ad esporre cli fronte alla stessa i loro punti di vista riguardo al progetto di trattato di pace con l'Italia ( « Foreign Relations » cit. bibl., 1946, Voi. III, pg. 186-187, 250 e 321).
187
Questa conferenza non avrebbe però avuto poteri decisionali (cosa che avrebbe potuto mettere in pericolo gli accordi raggiunti in seno dal Consiglio dei Ministri degli Esteri), ma avrebbe avuto il carattere di organo consultivo. In altre parole essa non avrebbe potuto modificare i progetti di trattato sottoposti al suo esame, ma avrebbe potuto soltanto « raccomandare » al Consiglio suddetto di apportarvi quelle modifiche che essa avesse ritenuto del caso (6). Tali « raccomandazioni » non sarebbero state però vincolanti per il Consiglio (7). Ai Paesi ex nemici - ripetendo la prassi instaurata a Versailles al termine della prima guerra mondiale - non sarebbe stato consentito di prendere parte attiva e continuata alla conferenza. Essi avrebbero potuto soltanto esporre per iscritto il loro punto di vista sulle varie questioni (8), e illustrarlo oralmente soltanto se invitati a farlo. Nessuna forma di trattativa, nessuna discussione paritetica sarebbe stata però loro concessa. Non c'è alcun dubbio che un qualsiasi accordo stipulato con questa umiliante procedura avrebbe avuto il carattere di un diktat, poiché ad esso sarebbe mancato praticamente il consenso del vinto, anche se esso fosse stato formalmente dato, sotto il premere degli avvenimenti, con la sottoscrizione dell'accordo stesso (9). Questi gravi difetti della procedura adottata furono coraggiosamente denunciati dal Ministro degli Esteri belga, Spaak, nel suo discorso dell'8 ottobre 1946 all'Assemblea plenaria della conferenza. « Sarebbe
(6) Il Consiglio dei Ministri degli EsLeri propose alla conferenza che le « raccomandazioni » della stessa, per esser prese in esame dal Consiglio, avrebbero dovuto raccogliere la maggioranza dei due terzi dei votanti. Di fronte alla reazione di alcune Potenze minori (Australia, Olanda, Grecia, etc.), e malgrado l'opposizione sovietica, la conferenza decise però che sarebbero state presentate al Consiglio dei Ministri degli Esteri anche le «raccomandazioni» che avessero raccolto la maggioranza semplice dei suffragi; distintamente però da quelle approvate a maggioranza dei due terzi. (7) La decisione d'affidare praticamente alle cinque grandi Potenze il compito di preparare i trattati di pace traeva origine evidentemente, oltre che dalla parte preminente, o non secondaria, che esse avevano avuto nel conflitto, anche dal principio accolto dallo statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite secondo il quale il mantenimento della pace del mondo consigliava di riconoscere loro - nella conduzione degli affari internazionali - quella posizione di predominio e cli guida che esse avevano di fatto nel consorzio internazionale. (8) Ad aggravare la. posizione delle Potenze vinte fu stabilito dalla conferenza che i memorandum da esse presentati, per esser presi ufficialmente in esame avrebbero dovuto esser fatti propri da una delle Potenze vincitrici ed esser pre· sentati da questa come un proprio emendamento. (9) La Società delle Nazioni aveva ammonito, nel 1926, che « il rispetto della sovranità degli Stati esige che nessuna opera di carattere internazionale sia realizzata senza il consenso delle Nazioni interessate» e, nel 1936 e 1937, che « un atto diplomatico il quale si presenta sotto forma di un trattato internazionale non costituisce un trattato se la concordanza delle volontà delle parti non è di fatto realizzata». (Vedasi Vedovato . Op. cit. bibl. (I), pg. XVIII).
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ingiusto - egli disse - (10) non rilevare l'enorme fatica compiuta dai "Grandi" per preparare i progetti, e come sia utile cominciare una discussione in ventuno con un testo già pronto sotto gli occhi. « Ma è veramente necessario e saggio che i "Grandi" ci vincolino, come hanno fatto, alle proposte che ci hanno presentato, proposte che la procedura trasforma praticamente in decisioni prima ancora che siano discusse? Questa procedura ha un altro effetto: quello di paralizzare le iniziative e il concorso che possono portare i piccoli Stati, giacché è molto difficile e quasi impossibile ottenere una maggioranza di due terzi e perfino una semplice maggioranza, quando le grandi Potenze non concordino con l'emendamento suggerito ... (11) .... Confesso di aver spesso votato contrariamente alla mia convinzione trovandomi di fronte al dilemma che ci si doveva e poteva risparmiare: o contrastare la soluzione che i "Grandi" avevano fissato e deciso di non mutare, per non far crollare un edificio dagli stessi costruttori riconosciuto fragile, o dar torto a coloro cui in coscienza sentivo di dover dar ragione. Simili errori si potevano evitare se, nei primi stadi della procedura, all'opera dei "Grandi" si fosse più strettamente collegata quella dei Paesi direttamente interessati; se almeno nelle Commissioni della Conferenza si fosse loro permesso di lavorare su piede di eguaglianza perfetta; se si fossero maggiormente favorite le conversazioni dirette tra le Parti interessate, contentandosi di offrir loro i buoni uffici e arbitrando solo in caso che risultasse impossibile un accordo». Conclusa che fosse stata la « Conferenza dei ventuno», - fu deciso dai tre «.Grandi » a Mosca - il Consiglio dei Ministri degli Esteri avrebbe dovuto procedere alla redazione definitiva dei trattati di pace tenendo presenti le « raccomandazioni » ricevute dalla Conferenza stessa, senza esser però tenuto, come già detto, ad accettarle.
Riassumendo, l'elaborazione del trattato di pace con l'Italia (e di quelli deJle quattro Potenze europee minori uscite sconfitte dal conflitto) avrebbe dovuto passare, e passò, attraverso le seguenti fasi: 1) Preparazione, ad opera del Consiglio dei Ministri degli Esteri, dei progetti di trattato. Ciò il Consiglio fece durante la sua prima sessione (Londra, 11 settembre-2 ottobre 1945) e la seconda (Parigi, 25 aprile-16 maggio e 15
(10) Per il testo del discorso vedasi « Politica Estera» 1946, nr. 47, pg. 1427. {11) E' qui da ricordare, per aver un quadro per quanto possibile veritiero di come sì svolsero ì lavori, che, deì 78 articoli e 9 allegati di cui ìl progetto dì trattato di pace con l'Italia era composto, 65 articoli e 3 allegati avevano avuto l'unanime consenso dei quattro Ministri, consenso che, non poche volte, era stato il frutto di laboriosi compromessi, che nulla avevano a che fare con ì principi di giustizia e di equità. Ben consci di ciò, i quattro Ministri si impegnarono tra di loro a sostenere concordemente tali articoli e tali allegati qualora alla conferenza fossero state presentate proposte di modifiche agli stessi le quali non avessero raccolto il loro unanime assenso.
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giugno-12 luglio 1946 ), avvalendosi anche dell'opera dei Sostituti dei Ministri, i quali tennero sedute anche nei periodi intermedi. 2) Esame dei progetti di trattato da parte della « Conferenza delle 21 Potenze». Questa si riunì a Parigi dal 29 luglio al 15 ottobre 1946 (12). 3) Stesura dei testi definitivi dei trattati ad opera del Consiglio dei Ministri degli Esteri. Ciò questo fece durante la sua terza ed ultima sessione che tenne a New York dal 4 novembre al 12 dicembre 1946. 4) Firma dei trattati di pace. Ebbe luogo a Parigi il 10 febbraio 1947. Per quanto riguarda particolarmente l'Italia non c'è dubbio che la procedura concordata le fu rigorosamente applicata. In sede d'elaborazione del progetto di trattato di pace - a Londra, prima, e a Parigi, poi - le venne consentito d'esprimere il suo punto di vista per iscritto limitatamente alle principali questioni e di illustrare oralmente soltanto quelli relativi alla questione della Venezia Giulia, alla frontiera italo-austriaca e, limitatamente alla regione dell'alta Val Roja, ad alcuni' aspetti delle richieste francesi sulla frontiera occidentale. Aggiungasi che, durante questa fase dei lavori, essa non fu mai ufficialmente informata delle decisioni prese dai quattro Ministri, costringendola in tal modo ad impostare la sua azione, nei ristretti limiti consentitile, basandosi unicamente sulle scarse e non sempre esatte informazioni che erano trapelate sull'andamento dei negoziati. E' ovvio che in questa situazione - la quale comportava, fra l'altro, l'eliminazione d'ogni forma di discussione fra le due parti il Governo italiano non ebbe la materiale possibilità di tutelare adeguatamente gli interessi nazionali, come ne avrebbe avuto il diritto. Né le cose andarono meglio alla Conferenza di Parigi pve le norme che ne regolavano i lavori e l'accordo intervenuto tra i quattro Grandi
(12) Le sedute iniziali della conferenza furono impiegate per consentire ai singoli delegati di esporre il punto di vista dei rispettivi Governi e per risolvere questioni di carattere procedurale. Iniziò quindi il lavoro delle commissioni istituite con il compito di studiare, secondo la rispettiva competenza, le diverse parti dei cinque progetti di trattato e di riferire alla conferenza in seduta plenaria (perché ne facesse oggetto di « raccomandazione » al Consiglio dei Ministri degli Esteri) quali fossero gli articoli che si proponeva di non modificare e quali fossero le modifiche da ap)IOrtare agli altri. Le commissioni il cui lavoro interessò particolarmente l'Italia furono tre: quella politico-territoriale per l'Italia, quella economico-finanziaria per l'Italia e quella militare {unica per tutt'e cinque i progetti di trattato). Le ultime sedute plenarie della conferenza furono dedicate all'esame delle proposte avanzate dalle commissioni e all'approvazione delle « raccomandazioni » da presentare al Consiglio dei Ministri degli Esteri.
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di sostenere concordemente in questa sede le decisioni che avevano adottato all'unanimità in Consiglio dei Ministri, fecero sì che non vi fossero per noi serie possibilità di ottenere sostanziali modifiche alle clausole del progetto di trattato sottoposto all'esame della conferenza (13).
(13) Ecco cosa ha scritto sull'andamento della conferenza - con riferimento all'Italia - un testimone oculare, sia pure modesto, l'autore di questo lavoro, il quale trovavasi a Parigi quale componente la nostra delegazione nella veste di esperto nelle questioni interessanti la Marina Mercantile (stralcio della sua relazione al Ministero della Marina in data 30 settembre 1946): « La situazione dell'Italia alla conferenza è stata ed è tutt'ora penosa. « I suoi rappresentanti sono stati ascoltati complessivamente 8 volte (on. De Gasperi, sui vari problemi in generale; on. Saragat, sul confine occidentale; on. Bonomi - due volte - sul confine orientale e sulle clausole coloniali; l'amb. Tarchiani - tre volte - sulle riparazioni e sulle clausole economiche; i generali Trezzani e Ajmone-Cat e il cap. vasc. Giuriati - in assenza dell'amm. de Courten - sulle questioni militari). Non vi è stato alcun contraddittorio. Pronunciato il discorso e risposto ad alcune domande di chiarimento, i nostri rappresentanti sono stati riaccompagnati alla porta. « Alla nostra delegazione è stato consentito di presentare dei memorandum per esporre i propri punti di vista in merito agli articoli del progetto di trattato e agli emendamenti presentati dalle venti Potenze. Il valore di tale concessione è stato svuotato di ogni pratico valore quando si è stabilito che i memorandum stessi, per essere presi ufficialmente in esame, dovevano essere fatti propri da una di tali Potenze e da questa presentati come propri emendamenti. Conseguenza: del centinaio di memorandum presentati dall'Italia, i nove decimi sono finiti nel cestino; quei pochi che sono stati oggetto di emendamenti sono stati quasi tutti respinti oppure ritirati dai loro presentatori. « La verità è che il progetto di trattato è il risultato di sudati compromessi fra i tre "Grandi" e del loro brillante secondo: la Francia. Essi pertanto non sono affatto disposti a vedere annullato o sostanzialmente modificato il loro faticoso lavoro d'oltre un anno. Espressione di tale volontà è l'accordo intervenuto fra loro d'opporsi a qualsiasi emendamento tendende a modificare le clausole del progetto di pace suJ!e quali essi si sono già messi unanimemente d'accordo e di riservarsi il diritto di non accogliere le "raccomandazioni" di modifica al progett9 di trattato che potranno essere avanzate dalla conferenza. « Questa, in fondo, non è altro che un nobile consesso riunito per soddisfare l'amore proprio degli Stati minori e per mimetizzare con tinte democratiche la dittatura dei "Grandi". « Praticamente è un'umiliazione per le Potenze di secondo rango le quali vedono il loro ruolo ridotto a quello di suggeritori di modifiche, il cui accoglimento è rimesso al beneplacito dei Quattro. « La levata di scudi dell'Australia all'inizio della conferenza in difesa dei piccoli Stati è miseramente fallita e già non se ne parla più. Il Primo Ministro australiano, vista la fine miseranda dei sHoi nobili sforzi, ha preso l'aereo e se ne è jl)rnato a casa. « Su tutta la conferenza d'altra parte pesa come un incubo il contrasto, che ormai non si cerca nemmeno più di nascondere, fra il gruppo anglo-sassone e quello slavo. La divisione del mondo in due blocchi contrapposti, che sino a un anno fa era considerata come una calamità da evitarsi a qualunque costo, è or mai un fatto compiuto e, cosa soprattutto inquietante, il conflitto fra i due camp i antagonisti va aggravandosi invece di attenuarsi. La stampa internazionale parla senza ambagi di nuvole all'orizzonte foriere di un nuovo conflitto...
191 Né vi furono cambiamenti a New York quando i quattro Ministri degli Esteri si riunirono nuovamente sul finire del 1946 per dare forma definitiva al trattato ( 14 ). « E' innegabile ha scritto il ministro Sforza nella relazione con cui presentò all'Assemblea Costituente, per la ratifica, il trattato che la posizione italiana poté esser precisata soltanto con notevoli limitazioni, -soprattutto che non vi fu mai negoziato, e che pertanto non si ·può parlare di partecipazione italiana all'elaborazione del trattato. Non fu mai concessa ai rappresentanti italiani la possibilità di trattativa né in sede di Consiglio dei Ministri degli Esteri, né in sede di Conferenza di Parigi >>.
« In questa atmosfera, parlare di pace è molto difficile e più difficile ancora concordare un trattato che contemperi equamente gli interessi dei vincitori con quelli del vinto, gettando i semi di una futura collaborazione, anziché quelli di nuovi con fii tti. « E questo compito è tanto più difficile quando il vinto, per la sua posizione geografica, può essere utilissimo per colui nella cui orbita esso graviterà. « Ecco per~hé dalla Conferenza di Parigi non potrà uscire una pace che tal nome meriti. Essa sarà un compromesso tra gli opposti interessi dei due gruppi: quelli dell'Italia saranno tenuti in considerazione solo se e in quanto coincidenti con quelli dei vincitori ». (14) In questa occasione il Governo italiano, il 3 novembre, diresse ai quattro Ministri degli Esteri una nota in cui sintetizzava il proprio pensiero sull'insieme del progetto di trattato. Successivamente l'amb. Tarchiani fu ammesso a illustrare oralmente al Consiglio dei Ministri degli Esteri il punto di vista italiano sul problema di Trieste (6 novembre) e sulle clausole economiche (21 novembre).
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Capitolo VII IL CONFINE CON LA JUGOSLAVIA E IL PROBLEMA MARITTIMO ADRIATICO
1. Il punto di vista italiano.
Il Governo italiano aveva fatto ritorno da poco a Roma quandQ l'amm. de Courten, il 26 agosto 1944, scrisse la seguente lettera ufficiosa nr. 362/UT all'ambasciatore Renato Prunas, Segretario Generale del Ministero degli Esteri. « Caro Prunas, come forse ti è noto, con l'avvenuto trasferimento del Ministero della Marina a Roma ho potuto ricostituire nel mio Gabinetto l'Ufficio Trattati, a capo del quale ho destinato l'ammiraglio Rubartelli che tu ben conosci (1). « Tra i problemi che sto facendo riprendere in esame dal suddetto ufficio rivestono particolare importanza quelli di carattere navale che saranno oggetto di discussione nelle prossime trattative di pace, discussioni alle quali dovremo esser preparati qualunque debba essere la veste con cui parteciperemo alle trattative stesse. « Poiché gli argomenti di speciale competenza della Marina si inquadrano nel problema generale delle nostre necessità future di carattere territoriale, militare, economico etc. di cui penso tu debba essere il coordinatore, attiro la tua attenzione sull'opportunità di realizzare al più presto la nostra preparazione in materia, per la quale ti prego contare, come sempre, sull'appassionata collaborazione della Marina. « Cordiali saluti ». O) 1L'Ufficio Trattati della Marina fu istituito praticamente nel 1918 come dell'Ufficio del Capo di Stato Maggiore, con il compito di provvedere agli studi e alle pratiche riguardanti il diritto marittimo di guerra. Nel 1923 il suo campo d'attività venne esteso agli studi e alle pratiche concernenti i trattati e, in via generale, le questioni di .carattere internazionale interessanti la Marina. Fu nel 1928 che detto Reparto assunse la denominazione di « Ufficio Trat· tati ». Nel 1933, mantenendo denominazione e compiti, esso passò a far parte dell'Ufficio di Gabinetto del Ministro. « V Reparto»
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Pochi giorni dopo, ed esattamente il 13 settembre 1944, era costituita presso il Ministero degli Esteri una « Commissione confini» a carattere interministeriale con il compito di provvedere allo << studio dei confini terrestri italiani ». La Commissione, nella quale la Marina era rappresentata dall'amm. Rubartelli, tenne il 16 settembre la sua prima seduta, che fu dedicata soprattutto al problema dei nostri confini con la Jugoslavia (2). Il presidente della Commissione, il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, marchese Visconti Venosta, dopo aver fatto un quadro non lieto di come si presentava la situazione, pose come direttiva per gli studi da compiersi che quosti fossero impiantati « sul concetto della difesa della nazionalità e non su quello delle frontiere strategiche » (3). Durante la discussione si legge nel verbale della seduta l'amm. Rubartelli « osserva che, se dagli studi da compiersi deve esser escluso il problema strategico, la Marina ha pochi altri argomenti da far valere. Quanto poi al problema strategico in Adriatico, esso poggia sul controllo di ambedue le sponde, o per lo meno,. sul possesso di alcune basi su quella orientale, come Pola, con le isole di Cherso e Lussino, l'isola di Lagosta, Cattaro etc. « In risposta prosegue il verbale - il marchese Visconti Venosta rileva che una nostra rivendicazione dalmata non ha assolutamente alcuna possibilità d'esser sostenuta. Ritiene viceversa sostenibile ia difesa di Pola e degna d'esame quella delle isole di Cherso e Lussino. Tenendo presente quale è la situazione di fatto, occorre quindi :he la Marina suggerisca una soluzione pratica e attuabile, non trascurando l'influenza del nuovo fattore aeronautico ».
* * * Prima di procedere oltre è opportuno, a più facile comprensione di quanto verrà detto, un'esposizione, sia pur rapidissima e sintetica, dei precedenti storici della questione adriatica concernente i nostri confini marittimi in quel mare.
(2) Le richieste di modifiche al nostro confine del Brennero e a quello occidentale non -erano state ancora avanzate all'epoca da Austria e Francia. (3) Verbale della seduta. Il gen. Luigi Chatrian - rappresentante dello Stato Maggiore Generale nella Commissione - in un suo studio su « Il fattore strategico nella determinazione delle frontiere terrestri "· presentato il 4 ottobre 1944 alla Commissione, così si espresse in proposito: « Conoscenza degli uomini e della storia, cosciente amor di patria, tecnicismo militare impongono di ritenere: - che chi mal chiude le porte di casa si espone fatalmente a lasciarvi agevolmente penetrare i malintenzionati e a subirne le prepotenze; - che, dal riconoscimento del diminuito valore difensivo delle frontiere, deve derivare, non un colpevole spirito di rinuncia, ma il dovere di difendere sino al possibile l'intangibilità di ogni palmo di terreno delle frontiere stesse, per non ridurne ulteriormente l'intrinseca capacità difensiva».
Nel 1914, alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, il territorio italiano nell'alto Adriatico giungeva sino alla foce dell'Aussa, nella laguna di Marano. Restava quindi all'Austra-Ungheria, oltre a Trieste, tutta la costa istriana e quella dalmata, con i relativi arcipelaghi, sino al confine con il Montenegro, nella zona di Antivari. Seguiva per breve tratto ( 40 km circa) la costa montenegrina e, quindi, quella albanese con la rada di Valona e l'antistante isola di Saseno, che ne dominava l'entrata (4). Tale sistemazione territoriale, in conseguenza della profonda differenza morfologica delle due coste (importuosa e aperta quella italiana; ricca di insenature e di ottimi porti, con un antemurale di isole nella parte mediana, quella austro-ungarica) dava all'Impero asburgico un'indiscussa supremazia strategica su tutto il bacino centraJ.e dell'Adriatico. Infatti se, a nord, le basi di Venezia e di Pola si neutralizzavano vicendevolmente, e, a sud, dalla base di Brindisi era possibile esercitare un soddisfacente controllo sul Canale d'Otranto e ( quindi sull'accesso all'Adriatico e sull'uscita dallo stesso), nella parte mediana di questo mare, ai molti e ben protetti ancoraggi della costa orientale (Lussinpiccolo, Vallone di Berguglie, Porto Tajer, Sebenico, Vallegrande, Porto San Giorgio, Rogosnizza, Gravosa, Cattaro), faceva riscontro, su quella occidentale, la mancanza di un adatto porto cui le nostre forze navali potessero appoggiarsi per contrastare tempestivamente attacchi contro il nostro territorio e il nostro traffico marittimo, condotti di sorpresa da forze nemiche provenienti dall'opposta sponda. A questa situazione l'Italia cercò di porre riparo occupando nel dicembre del 1914 Valona (in risposta all'infiltrazione in Albania di forze irregolari montenegrine, serbe e greche) e successivamente (falliti i passi fatti presso il Governo di Vienna per avere compensi territoriali in Trentino e in Adriatico sulla base del principio accolto dall'articolo 7 della Triplice Alleanza) (S), stipulando con Gran Bretagna, Francia e Russia il Patto di Londra (26 aprile 1915 ). In forza di que(4) E' quì opportuno ricordare che l'Italia, dall'epoca della sua unità in poi, aveva sempre considerato necessario per la sua sicurezza che la costa albanese - situata all'ingresso dell'Adriatico e fronteggiante a breve distanza la costa pugliese - non cadesse sotto il dominio o l'influenza dell'Impero asburgico o di altra grande Potenza. Sua direttiva politica quindi era stata sempre quella di appoggiare la costituzione in Albania di uno Stato indipendente (il che avvenne nel dicembre 1912), possibilmente sotto la sua influenza. Ciò a migliore salvaguardia dei suoi interessi strategici, specificamente riconosciutile dalla Conferenza degli Ambasciatori con la Dichiarazione di Parigi del 7 novembre 1921, secondo la quale « ogni modificazione delle frontiere albanesi costituiva un pericolo per la sicurezza strategica dell'Italia ». (5) L'Italia il 3 agosto 1914 aveva dichiarato la sua neutralità, dichiarazione che giuridicamente era pienamente conforme alle clausole dell'alleanza che la legava all'Austria-Ungheria e alla Germania. Questa alleanza faceva infatti obbligo all'Italia di scendere in campo a fianco delle due suddette Potenze solo nel caso in cui esse fossero state attaccate e non quando, come era avvenuto
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st'accordo l'Italia, se fosse entrata in guerra a fianco delle suddette Potenze entro un mese, avrebbe avuto in Adriatico e in Albania (6), a guerra vittoriosamente conclusa, i seguenti compensi territoriali (7): il bacino dell'Isonzo con Gorizia e Gradisca; Trieste e l'Istria secondo la linea di confine Tarvisio Monte NevosoVolosca (nel golfo di Fiume), linea che (coincidendo con lo spartiacque delle Alpi Giulie) era stata sempre considerata, dalla scienza e dalla tradizione, il limite naturale della penisola italiana; le isole istriane di Cherso e Lussino, con la isole minori e gli isolotti vicini; la Dalmazia da Lisarica a Capo Planca, con adeguato retroterra (in questa zona trovavansi le città di Zara e Sebenico); tutte le isole dalmate, eccetto quelle di Veglia, Pervicchio, Gregorio, Colli e Arbe, a nord, e di Zirona, Bua, Solta, Brazza, Giuppana e Calamotta, a sud; l'isola di Pelagosa; Valona con l'isola di Saseno e un adeguato retroterra per assicurarne la difesa.
allora, esse fossero attaccanti. Siccome la posizione assunta dall'Italia era in armonia con il trattato di alleanza, questa continuò a sussistere e fu appunto in base all'art. 7 di tale atto che essa chiese compensi all'Austria-Ungheria. Tale articolo prevedeva infatti che, nel caso in cui l'Austria-Ungheria o l'Italia avessero modificato con una occupazione temporanea o permanente lo statu quo dei Balcani o delle coste e isole ottomane nell'Adriatico e nel mar Egeo, ciò avrebbe com· portato il diritto per l'altra parte a un soddisfacente compenso per i vantaggi, territoriali o d'altra natura, che l'occupante avesse tratto dalla sua azione. Attaccando e invadendo la Serbia e tentando d'ingrandirsi nei Balcani, l'Austria aveva creato i presupposti per l'applicazione di tale articolo e la legittima richiesta di compensi da parte dell'Italia. (6) Il Patto prevedeva anche compensi del Trentino (frontiera al Brennero), nella zona di Adalia, in Asia minore (in caso di sfacelo dell'Impero turco) e in Africa (in caso di sfacelo dell'Impero coloniale tedesco). Prevedeva altresl la sovranità dell'Italia sulle isole del Dodecanneso, da essa occupate durante la guerra libica. (7) I principi che avevano guidato i governanti italiani a chiedere i compensi accordati dal Patto di Londra erano questi: assicurare all'Italia una frontiera terrestre che fosse quella delle Alpi e migliorare la sua situazione nell'Adriatico « al fine di liberarla da quella condizione di inferiorità assoluta e pericolosa che le è stata imposta sino ad oggi ». Queste richieste, era precisato, « le quali mirano a garantirle l'avvenire, indipendentemente dall'atteggiamento che potranno avere oggi o domani gli Stati vicini, concordano con i principi che hanno regolato il modo d'agire delle Potenze Alleate e Associate e ciò anche se esse si scostano in parte dalla rigorosa applicazione della formula etnica ». (Memorandum presentato dalla delegazione italiana alla Conferenza della pace il 7 febbraio 1919).
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Inoltre: sarebbero state neutralizzate tutte le isole dalmate non attribuite all'Italia nonché: - la costa da Capo Planca alla radice della penisola di Sabbioncello; - la costa da un punto situato a 10 km. a sud di Ragusa Vecchia sino alla foce del fiume Vojussa (una diecina di chilometri a nord di Valona), eccezion fatta per la costa montenegrina. sarebbe stata eretta in Stato indipendente, neutralizzato e sotto protettorato dell'Italia, la parte centrale dell'Albania (8). La conclusione vittoriosa della guerra lasciava logicamente sperare al Governo di Roma di poter realizzare le promesse ricevute con il Patto di Londra, ma, come è noto, le cose andarono diversamente per l'opposizione del nuovo Stato dei Serbi, Croati e Sloveni, sorto dallo smembramento dell'Impero austro-ungarico (9), opposizione che trovò valido appoggio soprattutto nel presidente americano Wilson il quale, non legato dal suddetto Patto, si oppose alla sua integrale applicazione. Egli propose infatti con memorandum del 14 aprile 1919 - non cessando mai di sostenerlo sino alla fine della Conferenza della pace - che il confine tra l'Italia e il nuovo Stato non fosse stabilito sulla linea Tar· visio-Monte Nevoso-Volosca (come era stato concordato a Londra nel 1915) ma che fosse arretrato su quella che fu chiamata la « linea Wilson ». Questa linea partendo, a sud, dal canale dell'Arsa, sulla costa orientale istriana, dirigeva verso nord con andamento serpentino, lungo all'incirca il 14° meridiano, sino a poco oltre il 46° parallelo, da dove
(8) In uno studio del problema adriatico presentato dallo S.M. della Marina al proprio Ministro il 13 ottobre 1914 (prot. nr. 271 P.R.R.) si legge quanto segue: « E' indubitato che il dominio del mare Adriatico è tenuto da chi ne possiede la sponda orientale e le molte isole che la fronteggiano. Dal lato prettamente militare l'occupazione di tale sponda sarebbe quindi vantaggiosa e tanto maggiormente quanto più estesa essa fosse». Lo studio proseguiva quindi riconoscendo le gravissime difficoltà che si frapponevano alla integrale realizzazione di un tale programma ed enunciava come segue gli acquisti territoriali che sarebbero stati necessari come minimo per acquistare l'effettivo dominio · dell'Adriatico: 1°) l'Istria fino al confine tra l'Austria e Ungheria (che sboccava al mare tra Abbazia e Fiume); 2°) le isole esterne che dall'Istria si estendono fino all'altezza di Sebenico; 3°) alcune isole del gruppo delle Curzolane e specialmente Lesina, Lissa, Curzola, Lagosta e Meleda. Lo studio concludeva che, in considerazione dell'importanza strategica del porto di Cattaro per esser esso « vicino al Canale d'Otranto e quindi all'accesso dell'Adriatico», sarebbe stato utile la sua neutralizzazione mediante trattato. (9) Le rivendicazioni jugoslave (Jugoslavia - cioè Slavia meridionale - fu il nome che il nuovo Stato assunse successivamente) in un primo tempo arrivarono sino all'Isonzo. Esattamente esse prevedevano che il confine tra i due Paesi fosse quello italo-austriaco del 1915 con una leggera modifica che lasciava all'Italia, tra Cormons e il mare, una sottile zona di forma triangolare.
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LINEA WI I.SON 14"
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Confine del 1866
Confine dei trattati di Rapallo(192CO • Roma(1924)
linea Witson
C.
____,,,,.--------
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proseguiva verso nord-ovest, lungo la linea di displuvio delle acque, sino al Tarvisio. In sintesi, secondo Wilson, all'Italia avrebbe dovuto esser attribuito il bacino dell'Isonzo e la parte occidentale dell'Istria; alla Jugoslavia la parte orientale di questa penisola. La Dalmazia - ivi compresa la città di Fiume, retta da regime speciale - avrebbe dovuto passare sotto la sovranità jugoslava con le isole antistanti, eccezion fatta per l'isola di Lissa, che avrebbe dovuto divenire italiana unitamente alla città di Valona, in Albania. Le isole dalmate avrebbero dovuto esser smilitarizzate (10). Il divario tra le disposizioni del Patto di Londra e il punto di vista del Presidente americano era troppo grande per poter essere accettato dal Governo italiano, anche se l'Italia dipendeva dall'aiuto statunitense per far fronte alle difficoltà economiche e alimentari in cui si dibatteva. Il dissenso fu vieppiù aggravato dalle divergenze sulla sorte della città di Fiume, che Wilson intransigentemente negava all'Italia, e che questa, con altrettanta fermezza, rivendicava per il suo carattere italia-
(10) Durante la discussione sull'argomento che ebbe luogo il 19 aprile in seno al « Consiglio dei Quattro» (Wilson, Lloyd George, Clemenceau e Orlando) il Presidente americano così si espresse a proposito degli argomenti strategici invocati dall'Italia in appoggio delle sue rivendicazioni riguardanti la Dalmazia. « Non posso immaginare che una flotta jugoslava, sotto il regime della Società delle Nazioni, possa costituire una minaccia per l'Italia. L'unico rischio sarebbe un'alleanza stretta della Jugoslavia con qualche altra Potenza allo scopo di attaccare l'Italia». Gli rispose il nostro Ministro degli Esteri, Sonnino, che accompagnava Orlando: « Debbo dire che noi non abbiamo mai chiesto condizioni di vantaggio strategico per qualsiasi eventuale offensiva; ma unicamente condizioni indispensabili di difesa e di sicurezza... Anche con le garanzie teoriche della Società delle Nazioni una piccola flotta nemica potrebbe celarsi dietro le isole della costa orientale dell'Adriatico, e di là sfidare qualsiasi Società delle Nazioni. Ciò è stato provato anche durante l'attuale guerra... Non attribuire all'Italia la costa che richiede, significherebbe lasciare aperta una tentazione a chi voglia attaccarci». (A. Torre - « Versailles . Storia della Conferenza della pace» - l.S.P.I., Milano, 1940, pg. 333 e 341-343). Successivamente Wilson - durante i tentativi che vi furono per trovare un'intesa tra i contrastanti punti di vista - con memorandum del 7 giugno 1919 (presentato anche a nome di Lloyd George e di Clemcnceau) propose a Orlando che Fiume (con piccolo territorio compreso tra la linea Wilson e quella del Patto di Londra e con 'le isole di Cherso e Veglia) fosse eretta in Stato Ubero e che Città Libera, sotto la protezione della Società delle Nazioni, divenisse Zara. Qualora questa soluzione fosse stata accolta, la linea Wilson (che avrebbe costituito la linea di confine tra il nuovo Stato e l'Italia) avrebbe subito una leggera modifica a favore di quest'ultima nella sua parte meridionale: il suo sbocco al mare sarebbe stato portato infatti dal canale dell'Arsa a Fianona. All'Italia - che in tal modo avrebbe acquisito la zona di Albona - sarebbero state attribuite inoltre alcune isole dalmate e cioè Lussino, Unie, Sansego, Asinello, Premuda, Ulbo, Selve, Scarda, Melada, Isola Lunga, Incoronata e le isole antistanti a Zara, a nord; Lissa, Pomo, S. Andrea, Busi, Cazza e Lagosta, a sud. (Vedasi L. Aldrovandi Marescotti » · « Nuovi ricordi» - Mondadori, Milano, 1938. pg. 46-50).
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nissimo, benché tale città non figurasse tra i territori che, secondo il Patto di Londra, avrebbero dovuto passare sotto la sovranità dell'Italia. Non deve quindi meravigliare se, in questa situazione, non fu possibile trovare alla Conferenza della pace un punto d'intesa e che si decidesse di rinviare a tempi migliori la determinazione dei confini italo-jugoslavi (11). Questi furono stabiliti circa un anno dopo fra le due Parti direttamente interessate con il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920) il quale riconobbe all'Italia tutti i territori a ponente della linea Tarvisio-Monte Nevoso-Volosca, come previsto dal Patto di Londra, la città di Zara (con piccolissimo retroterra) nonché le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa con le isole minori e gli isolotti adiacenti. La città di Fiume, con esiguo retroterra, venne eretta in Stato Libero, il quale ebbe però vita breve (12). Tre anni dopo infatti esso passò sotto la sovranità italiana con gli accordi di Roma del 27 gennaio 1924 tra Italia e Jugoslavia. Anche in Albania - ricostituitasi in Stato indipendente dopo le traversie del periodo bellico - il Patto di Londra non ebbe applicazione integrale (13) ma l'Italia riuscì egualmente ad estendervi progressivamente la sua influenza, coronando questa sua azione nel 1939 con la proclamazione dell'unione dinastica tra i due Paesi. In conseguenza degli avvenimenti sopra ricordati può dirsi che, alla vigilia del seçondo conflitto mondiale, nel 1939, la situazione adriatica era la seguente sotto il profilo strategico: prevalenza dell'Italia nell'alto e nel basso Adriatico; della Jugoslavia nel bacino centrale. Il crollo della Jugoslavia, di fronte all'attacco concentrico delle Potenze dell'Asse nell'aprile 1941, e il suo seguente smembramento (14) porsero all'Italia la possibilità di risolvere a suo favore in modo totali-
(11) I trattati di pace con l'Austria (S. Germain del 10 settembre 1919) e con l'Ungheria (Trianon del 4 giugno 1920) non parlano perciò di quale sarebbe stato il confine tra Italia e Jugoslavia nei territori ceduti, già appartenenti all'Impero austro-ungarico. Essi si limitano a riportare, rispettivamente, la rinuncia dell'Austria e dell'Ungheria a ogni loro diritto o titolo sui territori della vecchia monarchia asburgica rimasti fuori dei loro nuovi confini. (12) Gabriele D'Annunzio - che i.l 12 settembre 1919 aveva occupato militarmente la città, sgomberata dalle nostre truppe regolari, istituendovi la « Reggenza del Carnaro » - non approvò l'accordo e dichiarò che non avrebbe lasciato la città. Il Governo di Roma decise allora di costringervelo con la forza e si ebbe così il doloroso « Natale fiumano di sangue» (25-26 dicembre 1920). (13) Con il Trattato di Tirana del 3 agosto 1920 l'Italia restituì all'Albania Valona, che essa aveva occupato nel dicembre 1914; mantenne però il possesso dell'isolotto di Saseno, all'ingresso della rada, che conservò sino alla fine del 1943. {14) Dalle rovine della Jugoslavia risorsero la Serbia e il Montenegro e nacque la Croazia. Il restante territorio fu annesso alla Germania, all'Italia, all'Albania, alla Bulgaria e all'Ungheria.
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tario il problema adriatico. Il 3 maggio, d'intesa con la Germania, essa si annetteva la parte meridionale della Slovenia sino a Lubiana compresa e il 18 successivo stipulava con il nuovo Stato di Croazia un accordo il quale le attribuiva all'incirca quei territori e quelle isole della Dalmazia che le erano stati promessi dal Patto di Londra (ma che non aveva poi ottenuto) nonché Cattaro, con adeguato retroterra. L'accordo sanciva inoltre la smilitarizzazione delle isole e della zona costiera assegnate alla Croazia ( 15). * * * Torniamo ora, dopo questo « excursus », ai lavori della « Commissione confini ». Il Ministro della Marina - che da tempo aveva portato la sua attenzione sulla questione - aderendo all'invito formulato dal presidente della « Commissione confini » durante la seduta cui si è precedente fatto cenno, il 12 novembre 1944 (prot. nr. 767 /UT) inviava a quello degli Esteri uno studio su « Il confine orientale italiano » specificando che esso rispecchiava il punto di vista della Marina in merito (16). Questo studio - che per la sua importanza si riporta integralmente nell'allegato 14 - così concludeva: « Il punto di vista della Marina è che, pur riconoscendo l'impossibilità di riappellarsi alle decisioni del Patto di Londra, che pure erano state sancite in riconoscimento di nostre ben chiare e ammesse esigenze politico-militari, si debba almeno insistere sulle rivendicazioni dei confini liberamente concordati a Rapallo fra Italia e la Jugoslavia. « Resta comunque inteso che il minimum atto a garantire una relativa sicurezza dei confini terrestri e marittimi orientali dell'Italia, si riassume, a parere della Marina, nei seguenti punti: a) possesso integrale dell'Istria e delle isole di Cherso e Lussino; b) neutralizzazione di Cattaro; c) costituzione dell'Albania in Stato indipendente garantito da trattati internazionali (17). Tale minimum deve rappresentare una posizione di assoluta intransigenza. Qualora si dovesse prevedere di dover negoziare le nostre richieste, bisognerebbe evidentemente impostare la questione del confine orientale su nostre più vaste pretese ».
(15) Le zone costiere assegnate alla Croazia erano due: quella Morlacca, a nord, tra Fiume (italiana) e Tribagno con l'isola di Pago; quella meridionale che, partendo poco a sud di Spalato (italiana) giungeva sino alla zona di Cattaro (pure italiana) con le isole di Brazza, Lesina, Giuppana e Calamotta. (16) Lo studio era inviato successivamente anche allo Stato Maggiore Generale. (17) « Ferme restando - era detto in altra parte dello studio - le ragioni di natura ideale ed etnico-economica per le quali si dovrebbe rivendicare il pOS· sesso anche di Zara e Lagosta, già assegnateci dal Trattato di Rapallo».
202 Come è facile rilevare le richieste della Marina miravano a far mantenere all'Italia quella prevalenza strategica nell'alto Adriatico che essa aveva ottenuto con il Trattato di Rapallo e ad assicurarle una non insoddisfacente situazione nel settore meridionale. La necessità di mantenere il possesso di tutta l'Istria e delle isole di Cherso e Lussino era confermato dalla Marina in uno studio della « linea Wilson » fatto, dal punto di vista strategico-marittimo, nel marzo 1945, a richiesta dello Stato Maggiore Generale, a ciò sollecitato dal Ministero degli Esteri. Tale studio, dopo aver premesso che erano ancora valide le ragioni che avevano fatto respingere nel 1919 la linea suddetta, così concludeva: « Qualora la "linea Wilson" dovesse esser presa a base di future discussioni bisognerebbe preparare lo studio di un suo spostamento a levante tale da garantire la sicurezza dell'Istria e di Pola e da assicurare all'Italia le isole di Cherso e Lussino. « E' bene mettere in chiaro che il solo possesso di Pola, dell'Istria e di Cherso e Lussino non è sufficiente, data la configurazione della costa orientale dell'Adriatico e l'intricatissimo sistema di isole che la protegge, ad assicurarci una situazione strategica dominante o anche soltanto vantaggiosa in Adriatico, ma tale possesso è assolutamente indispensabile per garantirci una certa sicurezza almeno nell'alto Adriatico e per consentirci d'opporci a ogni tentativo di sbarco sulle spiagge del Veneto e dell'Emilia. « Tale possesso ovviamente non avrebbe però alcun valore se la linea di confine passasse a una distanza tale da quelle basi da permetterne la diretta offesa da parte della nazione confinante, o addirittura la loro occupazione con un colpo di mano all'inizio delle ostilità». Questo punto di vista era condiviso dallo Stato Maggiore Generale che, in una sua lettera del 20 giugno 1945 (prot. n. 234) diretta al Ministero degli Esteri, così si esprimeva: « Da quanto sopra esposto è dimostrato che, dal punto di vista militare, .. .le necessità di conservare la base di Pola, per le esigenze della difesa dell'alto Adriatico, richiede il possesso dell'intera penisola e delle antistanti isole di Cherso e Lussino, etnograficamente a maggioranza italiana. E pertanto il confine non può esser più arretrato della linea Vena-Caldiera. » A questo punto si presentò un problema di metodo: nei futuri negoziati (se negoziati vi fossero stati) sarebbe stato più convenien;e impostare le nostre richieste sul confine del Trattato di Rapallo (per poi cedere gradatamente, se necessario, fino a fermarci, sulla« linea Wilson ») oppure richiedere senz'altro come confine questa linea, sia pure opportunatamente modificata?
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Questa seconda soluzione era quella che trovava più seguito al Ministero degli Esteri, ove si riteneva che la situazione esistente non concedesse di mantenere i confini fissati a Rapallo (18); mentre gli ambienti militari erano propensi per la prima alternativa perché « in trattative del genere bisogna chiedere sempre di più, non nella speranza di riuscire, ma per poter cedere sino ad arrivare, nella peggiore delle ipotesi, al minimo delle nostre pretese »(19). In questa situazione, a richiesta del Capo di Stato Maggiore Generale, gen. Claudio Trezzani (20), fu investito della cosa il « Comitato di difesa» che si riunì il 23 agosto 1945 sotto la presidenza dell'on. Parri, Presidente del Consiglio dei Ministri e con l'intervento, oltre che del gen. Trezzani, del Ministro degli Esteri, on. De Gasperi, e dei tre Ministri militari, on. Jacini, amm. de Courten e on. Cevolotto. L'on. De Gasperi, nell'esporre la situazione, dichiarò che (21), a suo parere non era possibile, tenuto conto della situazione, sostenere la linea di Rapallo ma che occorreva « aggrapparsi » alla « linea Wilson », che aveva un certo seguito in America, benché non fosse perfetta né per noi né per gli Jugoslavi. Di parere diverso fu l'on. J acini il quale dichiarò di considerare pericoloso accettare senz'altro, come base delle trattative, la « linea Wilson » tanto più che il confine di Rapallo poteva esser difeso con due validi argomenti: uno geografico (tale confine era quello naturale perché corrispondeva con lo spartiacque delle Alpi Giulie) e uno giuridico (il Trattato di Rapallo era stato stipulato fra liberi Governi democratici in epoca precedente all'avvento al potere del fascismo). All'on. Jacini si associarono l'amm. de Courten, l'on. Cevelotto e il gen. Trezzani. Successivamente l'on. De Gasperi, accennando alla questione adriatica, dichiarò che la richiesta di Cherso e Lussino, dato il suo chiaro carattere strategico, avrebbe potuto esser giudicata sospetta e proseguì « comunque, occorre sostenere che, se l'Italia dovrà smilitarizzare Pola, la J ugoslavia dovrà fare altrettanto nei confronti delle Bocche di Cattaro. Soprattutto sarà necessario che l'Albania sia effettivamente resa indipendente». Dalla riunione apparve evidente quale era la via già scelta dal Ministro degli Esteri e il suo intendimento di abbandonare senz'altro la linea
(18) Vedasi verbale della seduta del 13 agosto 1945 della « Sottocommissione per la frontiera orientale » della « Commissione confini ». (19) Lettera dello Stato Maggiore Generale al Presidente del Consiglio dei Ministri n. 290 del 18 agosto 1945. Vedasi pure il verbale della seduta del 13 agosto 1945 della « Sottocommissione per la frontiera ·orientale» della « Commissione confini ». (20) Il gen. Trezzani era succeduto nella carica di Capo di S.M. Generale al maresciallo Messe nei primi mesi del 1945. Come si ricorderà, il maresciallo Messe era stato nominato Capo di S.M. Generale nel novembre 1943 in sostituzione del gen Ambrosio. (21) Vedasi il verbale della seduta.
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di Rapallo per quella Wilson, sfumando gli altri punti chiave sui quali la Marina riteneva che« non si dovesse assolutamente transigere». Senza dubbio tale scelta, come i fatti più tardi dimostreranno, era quella più aderente alla situazione internazionale esistente, ma è comprensibile che essa non fosse condivisa da molti perché il rinunciare senz'altro a una difesa, sia pure elastica, del confine di Rapallo significava rinunciare, prima ancora di conoscere esattamente gli orientamenti della controparte, a quel minimum che i tecnici ritenevano indispensabile per garantire una relativa sicurezza dei confini orientali del paese (22). Sta di fatto che nel memorandum rimesso dal Governo italiano al Consiglio dei Ministri degli Esteri qualche giorno prima dell'inizio dei lavori della sua sessione di Londra (11 settembre-2 ottobre 1945) (23) premesso che l'Italia era disposta, sia pure con doloroso sacrificio, a
(22) Il 22 agosto 1945, cioè il giorno prima della riunione del « Comitato di difesa», il ministro De Gasperi, come successivamente si seppe, aveva indirizzato al Segretario di Stato americano, Byrnes, una lettera nella quale esponeva il punto di vista italiano sui principali problemi che si sarebbero presumibilmente presentati nella preparaz,ione del Trattato di pace con l'Italia. Ciò all'evidente scopo non solo di informarlo su quello che era il pensiero del Governo italiano sulle varie questioni ma di cercare anche di giungere a una pace negoziata. Sul problema dei futuri confini tra l'Italia e la Jugoslavia, la lettera così si esprimeva: « Volentieri ammetto che, da un punto di vista etnico ed economico, la Jugoslavia ha diritto ad alcune rettifiche dell'attuale frontiera, benché essa sia stata liberamente concordata fra i due Paesi a Rapallo nel 1920. Noi riteniamo che la linea proposta dal presidente Wilson, possa essere presa come base per tale rettifica. Questa linea significherebbe per l'Italia la penosa perdita di due città italiane, Fiume e Zara (la cui autonomia dovrebbe essere garantita da statuti speciali) e di circa 80.000 Italiani, mentre riunirebbe alla Jugoslavia oltre 100.000 Slavi ... L'Italia ritiene che sia necessaria la cooperazione con la Jugoslavia ... : per questo motivo essa sarebbe pronta, se richiesta, ad accettare la smilitarizzazione di Pola purché la stessa misura sia adottata per la base navale di Cattaro e a condizione che la piena indipendenza dell'Albania costituisca un ulteriore elemento di sicurezza e di equilibrio in Adriatico ». { « Foreign Relations » - cit. bibl. - 1945, voi. IV, pg. 1023-1029). Questa presa di posizione sulla questione da parte del nostro Ministro degli Esteri, non soddisfece, quando ne venne a conoscenza, il ministro de Courten che, in una lettera ufficiosa indirizzatagli l'll marzo 1946 (nr. 879/UT), fece rilevare che « pur essendo stata presentata la completa indipendenza dell'Albania come una delle condizioni per la sicurezza e l'equilibrio dell'Adriatico, non sono state indicate come proposte del Governo italiano quelle che, come risulta dalla memoria della Marina del novembre 1944, io pensavo avrebbero dovuto essere considerate le posizioni di estrema concessione, se non fosse stato possibile di conseguirne di più favorevoli ». (23) Il memorandum è riportato a pagina 9 e seguenti dell'opuscolo pubblicato dal nostro Ministero degli Esteri in occasione della Conferenza di Parigi (29 luglio-15 ottobre 1946) intitolato « La frontière italo-jugoslave - Déclarations officielles et autres documents présentés par le Gouvernement Italien au Conseil des Ministres des Affaires Etrangères (Septembre 1945-Juillet 1946) avec une Préface » - Roma agosto 1946. Quando il memorandum fu scritto e presentato, il Governo italiano non era stato ancora informato ufficialmente del punto di vista del Governo jugoslavo.
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cercare e ad accettare una soluzione della questione che non fosse quella del Trattato di Rapallo - così continuava: « E' perciò necessario trovare la base per un compromesso. Se si abbandona la linea alpina del displuvio delle acque propriamente detta [ quella del Trattato di Rapallo], la quale costituisce la vera linea per una frontiera razionale, questa base potrebbe esser trovata nella linea che il presidente Wilson propose ufficialmente nel 1919 ... Dal punto di vista geografico la linea Wilson corrisponde, con lievi modifiche, all'unico tracciato alternativo, al di qua dell'attuale frontiera, che poggi su elementi topografici naturali della regione. Dal punto di vista della sicurezza, questa linea offre, con alcune lievi modifiche, l'ultima possibilità per l'Italia di provvedere in questo settore a una difesa organica ... « Il Governo italiano è fermamente convinto che il problema della Venezia Giulia non può esser risolto in modo equo e duraturo se esso non è inquadrato nel complesso del problema adriatico. Qualsiasi sistemazione dell'Adriatico, qualunque essa sia, esercita forzatamente un'influenza fondamentale sulle relazioni dell'Europa occidentale con l'Europa orientale. Tale fu d'altronde il principio cui si ispirò Wilson che tenne conto nelle sue proposte dell'esistenza di una base italiana in Albania e suggerì non solo l'assegnazione all'Italia di Zara e di numerose isole, ma anche l'istituzione di uno speciale regime per Fiume. « Un arretramento della frontiera sulla base della linea Wilson non dovrebbe quindi andare disgiunto da un riesame generale della questione adriatica che potrebbe aver luogo di massima sulla base dei seguenti principi: indipendenza dell'Albania, eventualmente con opportune garanzie d'ordine internazionale; misure di neutralizzazione e smilitarizza zione per quanto riguarda alcuni porti dell'Adriatico; statuto speciale per il "Corpus separatum" (24) di Fiume; regime speciale per Zara ».
2. La prima sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (Londra, 11 settembre · 2 ottobre 1945). I concetti sopra esposti De Gasperi ripeteva sostanzialmente nella esposizione del punto di vista italiano fatta il 18 settembre successivo a Londra di fronte al Consiglio dei Ministri degli Esteri. Se ne riportano i punti salienti (1). « L'Italia democratica disse De Gasperi - vuol fare ogni sforzo per contribuire ad una soluzione equa. Essa potrebbe richiamarsi al Trattato di Rapallo, liberamente stipulato tra i due popoli in epoca pre-
(24) Fiume fece parte dal 1779 al 1918 al regno d'Ungheria come separatum », cioè con certe autonomie.
« Corpus
(1) 11 testo integrale del discorso è riportato a pag. 29 e seg. dell'opuscolo del Ministero degli Esteri precedentemente citato in nota.
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fascista, il quale fissa la frontiera attuale e garantisce l'autonomia di Fiume come "Corpus separatum". Ma l'Italia è disposta a transigere. La linea etnica ideale non esiste e, sventuratamente, è ormai costume europeo che, quando si tratta di zone miste, le statistiche vengono contestate da una parte e dall'altra... Io mi limito qui a dichiarare che il Governo democratico italiano è d'accordo che si tenti di ricongiungere al territorio slavo il più gran numero possibile dei nuclei slavi a ponente della frontiera attuale, nei limiti indispensabili però a salvaguardare la vitalità di Trieste e delle altre città italiane, in modo che ciò non provochi la disintegrazione economica della regione ... A nostro parere una frontiera che prenda per base la "linea Wilson" potrebbe costituire un'onesta linea di demarcazione tra i due Paesi ... Essa presuppone, beninteso, una legislazione reciproca idonea a fornire tutte le garanzie alle minoranze d'ambo le Parti; essa presuppone che Fiume, il porto a disposizione del retroterra jugoslavo, riprenda il suo antico statuto autonomo, destinato a salvaguardare il suo carattere nazionale; presuppone infine che una rinnovata amicizia tra l'Italia e la Jugoslavia ... assicuri la tutela del carattere italiano sia di Zara che delle altre minoranze italiane ... « Noi accettiamo questa pesante responsabilità ( quella di esser pronti ai suddetti sacrifici J per contribuire alla pacificazione dell'Adriatico la quale, in questo modo, con qualche eventuale smilitarizzazione e con l"indipendenza dell'Albania, potrà essere considerata assicurata». Riassumendo possiamo dire che la richiesta italiana presentata al Consiglio dei Ministri degli Esteri poteva così sintetizzarsi: «linea Wilson», come base per stabilire la nuova frontiera; indipendenza dell'Albania, eventualmente con opportune garanzie di carattere internazionale; eventuali misure di smilitarizzazione per alcuni porti (non indicati, ma che, nel pensiero di De Gasperi, secondo quanto aveva detto in sede di Comitato di difesa e scritto al segretario di Stato Byrnes, avrebbero dovuto essere Cattaro e Pola); regimi speciali per Fiume e Zara, onde preservarne il carattere italiano. Nessun accenno alle isole di Cherso e Lussino, benché la gran maggioranza della popolazione (specie di questa ultima) fosse italiana, perché tale richiesta avrebbe potuto esser giudicata sospetta, dato il suo carattere strategico. Il divario fra le richieste della Jugoslavia (2) e quelle dell'Italia (3 ),
(2) La Jugoslavia chiese l'attribuzione di tutto il territorio a levante di una linea di confine che, partendo, a nord, da Monte Cavallo di Pontebba, scendeva verso sud, press'a poco per meridiano, sino a sboccare al mare alla foce dell'Aussa nella laguna di Marano (come il vecchio confine del 1866 tra Italia e AustriaUngheria), attribuendo alla Jugoslavia, nella parte centrale e settentrionale, anche territori al di quà della frontiera del 1966. (Vedasi piantina riportata più avanti nella sezione 3). (3) E' qui opportuno ricordare - come è stato rivelato da documenti diplomatici pubblicati anni dopo - che nessuno dei « tre Grandi » era favorevole all'accoglimento integrale delle richieste italiane. L'Unione Sovietica sposava quasi completamente il punto di vista della Jugoslavia. La Gran Bretagna e gli
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ma soprattutto la rivalità fra i « tre Grandi » (4), non consentì al Consiglio dei Ministri degli Esteri di dare al problema una soluzione da tutti accettata. Fu raggiunta soltanto un'intesa, il 19 settembre, secondo la quale i Sostituti dei Ministri degli Esteri, dopo appropriate indagini sul posto, avrebbero dovuto avanzare proposte circa i futuri confini italojugoslavi, i quali avrebbero dovuto correre lungo « la linea che rappresenta, in via generale, la linea di demarcazione etnica e che lascia sotto dominazione straniera una quantità minima di persone appartenenti all'una o all'altra nazionalità.» (5) A illustrazione della suddetta decisione si riporta qui di seguito quanto riferiva in merito al Ministero degli Esteri il nostro ambasciatore a Mosca, Quaroni, con telespresso del 12 ottobre 1945 (protocollo nr. 924/110). Le notizie comunicate, precisava l'ambasciatore, gli erano state confidenzialmente fornite da un'alta personalità non russa che aveva preso parte alla Conferenza di Londra. « La delt:gazione sovietica, si leggeva nella relazione, ha, in massima, difeso il punto di vista jugoslavo, ma con meno violenza di quanto gli Anglo-Sassoni si aspettassero. Per questa ragione la delegazione americana, contrariamente a quella che era la sua intenzione, non ha creduto di proporre come base di discussione la "linea Wilson", ritenendoln Stati Uniti ritenevano che l'Italia avrebbe dovuto rinunciare non solo ad ogni pretesa sull'Albania (cui avrebbe dovuto cedere l'isola di Saseno) ma anche su Zara e sull'isole dalmate. Per quanto riguarda la Venezia Giulia, sia Londra che Washington concordavano che tale regione avrebbe dovuta esser divisa tra Italia e Jugoslavia e che Trieste (con il porto internazionalizzato) avrebbe dovuto restare italiana. Gli Stati Uniti, entrando più dettagliatamente nella questione, proponevano che il confine italo.jugoslavo fosse determinato sulla base, della « linea Wilson » con alcune modifiche in favore della Jugoslavia a nord e in fa. vore dell'Italia a sud. Le modifiche a nord erano suggerite soprattutto da ragioni etniche; quelle a sud, oltreché da ragioni etniche, anche da ragioni economiche onde lasciare all'Italia le miniere di carbone e di bauxite che erano importanti per la sua vita economica (Memorandum britannico del 12 settembre 1945 e memorandum americano del 14 settembre 1945 in « Foreign Relations » cit. bibl. 1945, Voi. Il, pg. 135 e seg. nonché 177 e seg). (4) In un radiodiscorso del 6 ottobre 1945 J.F. Dulles (componente la delegazione americana e futuro Segretario di Stato) così si espresse: « Alla Conferenza di Londra, il Consiglio dei Ministri degli Esteri ha iniziato il compito di preparare la pace. Non è un compito facile. Lo sarebbe se si trattasse di imporre la volontà dei vincitori ai vinti; ma prima di giungere a questo punto i vincitori debbono cercare di mettersi d'accordo su quella che dovrà essere la loro comune volontà. Di conseguenza noi ora non stiamo negoziando la pace con l'Italia o con la Romania o con la Germania, ma la stiamo negoziando con l'Unione Sovietica, la Gran Bretagna, la Francia e le altre Nazioni Unite. Queste Nazioni hanno interessi differenti e differenti ideali, occorre conciliarli con discussioni, non con opera di coercizione. Tutto ciò non è agevole». (5) Dai documenti diplomatici pubblicati anni dopo risulta che, prima ancora di sentire De Gasperi, il Consiglio dei Ministri degli Esteri aveva deciso (3· seduta del 14 settembre) di assegnare alla Jugoslavia Zara e le isole dalmate e che l'Italia dovesse rinunciare ad ogni pretesa sull'Albania, ivi compresa l'isola di Saseno ( « Foreign Relations » cit. bibl., - 1945, voi. II, pag. 162 e 462).
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troppo favorevole all'Italia e temendo che - qualora tale proposta fosse stata presentata - la delegazione sovietica avrebbe ritirato la sua adesione al principio della ripartizione della zona su basi etniche, il che, nelle circostanze attuali, era considerato come il meglio che si potesse sperare di ottenere per l'Italia. « Secondo il mio interlocutore, gli Americani e gli Inglesi ritengono che la "linea Wilson" non sia stata fissata soltanto in base a criteri puramente etnici ma tenendo conto anche della opportunità, allora, di lasciare nelle mani dell'Italia le due principali vie di comunicazione e che questo criterio sia prevalso sul primo. Nello stato attuale della questione (la posizione dell'Italia essendo oggi assai differente da quella del 1919) essi erano venuti alla conclusione che, se si cominciava a sollevare questioni economiche, strategiche, di vie di comunicazione ecc., si rischiava di mettersi su di un terreno che avrebbe potuto alla fine risultare più favorevole alla Jugoslavia che a noi. Visto che la Russia accettava il criterio etnico, avevano creduto preferibile adottare questo, con esclusione di ogni altro, come quello che permetteva di salvare per l'Italia il massimo salvabile. « Essendomi stato ripetuto che l'idea, più o meno generalmente adottata, era appunto una linea che lasciasse all'incirca tanti Italiani sotto gli Jugoslavi, quanti Slavi sotto l'Italia e che, sotto questo punto di vista, la "linea Wilson" era troppo favorevole all'Italia ho espresso lii mia meraviglia e ho chiesto se, per il calcolo delle minoranze, si fosse tenuto conto esclusivamente della situazione entro limiti della "linea Wilson" o entro i limiti della nostra frontiera anteguerra. In quest'ultimo caso, ho osservato, tenuto conto dei grossi gruppi etnici italiani di Fiume Zara, nonché di alcune isole, non mi pareva ci potesse esser tanta sproporzione tra gruppi rispettivi degli Italiani e degli Slavi che venivano a trovarsi sotto dominazione straniera. « Il mio interlocutore mi ha detto che, a quanto gli constava, nelle decisioni della confer~nza non era stato precisato se, e in quale misura, si dovesse tener conto dei gruppi italiani di Fiume, di Zara e delle isole, ma che l'impressione generale degli Anglo-Americani era che sarebbe stato difficile fare accettare questa tesi ai Russi. Sia l'Inghilterra che l'America erano desiderose di salvare all'Italia il massimo possibile, in quanto giusto, del suo antico territorio; erano in ogni modo fermamente decise a non mollare, sotto qualsiasi forma o pretesto, sulla città di Trieste. Dovevamo però renderci conto che, purtroppo, lo sviluppo delle circostanze aveva fortemente compromesso la situazione e che, a voler chiedere troppo, si rischiava di non ottenere nulla. Potevamo esser sicuri delle loro migliori intenzioni a nostro riguardo, ma non dovevamo andare più in là di quanto era possibile ». E' probabilmente in conseguenza di queste notizie, o d'altre analoghe informazioni ricevute, che il Governo italiano ritenne opportuno di abbandonare la sua esplicita richiesta d'un confine sulla base della "linea Wilson" per ripiegare su un confine a base etnica. Nel memo-
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randum rimesso ai Sostituti dei Ministri degli Esteri all'inizio del marzo 1946 (6) esso infatti, mentre confermava tutte le altre richieste avanzate nel mese di settembre del precedente anno per una sistemazione generale della questione adriatica, non si richiamava più, per il confine in Istria, alla linea Wilson, ma si dichiarava « pronto ad accettare come base di discussione il principio etnico, in modo da lasciar il minor numero possibile di Slavi in territorio italiano, ferma restando tuttavia la necessità di salvaguardare il più possibile la vita economica dei territori situati sia dall'una che dall'altra parte della nuova frontiera».
3. I lavori della Commissione incaricata di presentare proposte sul futuro confine tra Italia e Jugoslavia.
Durante il mese di marzo 1946 un'apposita Commissione di esperti, nominata dai Sostituti dei Ministri degli Esteri e composta da rappresentanti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dalla Francia e dell'Unione Sovietica, si recò nella Venezia Giulia per raccogliere, come stabilito, i dati necessari per determinare il confine italo-jugoslavo (1). Sulle indagini svolte, la Commissione riferi con rapporto datato 27 aprile 1946 dal quale risultava che l'indagine era stata limitata alla Venezia Giulia, ignorando gli altri territori popolati notoriamente a maggioranza italian-a come Fiume, Zara, Cherso e Lussino (2). Ciò fece sorgere il fondato dubbio, lavorando la Commissione secondo istruzioni ricevute dai Sostituti, che l'assegnazione agli Jugoslavi di questi territori fosse già stata decisa (3). Come era facile prevedere, i rappresentanti delle quattro Potenze nella Commissione non riuscirono a trovare un punto d'intesa sulla linea di confine tra l'Italia e la Jugoslavia da proporre congiuntamente al Consiglio dei Ministri degli Esteri. Di conseguenza ognuno di essi propose una propria linea e le quattro furono presentate unite al rapporto. (6) Per il testo del memorandum vedasi pag. 33 e seg. dell'opuscolo del Ministero degli Esteri precedentemente citato in nota. (1) Le istruzioni che i Sostituti dettero alla Commissione non coincisero esattamente con quanto deciso dal Consiglio, ma ne erano una logica interpretazione estensiva. La Commissione, secondo le istruzioni ricevute, avrebbe dovuto infatti svolgere il suo compito tenendo conto « non soltanto della composizione etnica dei territori su cui avrebbe svolto l'inchiesta, ma anche delle loro caratteristiche economiche e geografiche ». (2) Il testo del rapporto è riprodotto quasi integralmente a pag. 47 e seg. dell'opuscolo del Ministero degli Esteri precedentemente citato in nota. (3) Ed infatti il 14 settembre 1945 - come si è già veduto, - il Consiglio dei Ministri degli Esteri aveva deciso che Zara e le isole dalmate (ivi comprese Cherso e Lussino) fossero attribuite tutte alla Jugoslavia ( « Foreign Relations » cit. bibl., 1945, Vol. II, pg. 162 e 462).
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LE LINEE DI CONFINE PROPOSTE 14'
USTRIA ....
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JUGOSLAVIA
MAR ADRIATICO
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Confine del 18116
C.onfine dei trattati di Rapallo(192(& • Roma(1924)
;.,.tnea Y.'llsor
Linea delle richieste jugoslave Linea sovietica L inea francese Linta britannica
Linea americana
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Esse, come risulta dalla piantina qui riportata, correvano tutte a ponente della "linea Wilson"; quella che se ne allontanava di meno era la linea del rappresentante americano. La linea del rappresentante sovietico accoglieva quasi integralmente le richieste della Jugoslavia assegnando a questa non solo l'intera Venezia Giulia con Gorizia, Monfalcone, Trieste, Pola etc., ma anche territori al di qua della frontiera italo-austriaca del 1866. Le linee dei rappresentanti francese , britannico e americano, partendo, a nord, dal monte Forno, dirigevano verso sud, coincidendo press' a poco sino al fiume Quieto e lasciando Gorizia, Monfalcone e Trieste all'I talia. Al fiume Quieto la linea francese continuava per sud-ovest lungo tale fiume fino alla sua foce presso Cittanova; la linea britannica, dal Quieto, proseguiva verso sud sboccando al mare presso Punta Cavallo, nel golfo del Quarnaro, lasciando all'Italia tutta la costa occidentale istriana e la parte estrema meridionale di quella orientale; la linea americana seguiva all'incirca la linea britannica sino nei pressi di Gimino per piegare quindi verso est, giungendo al mare a Fianona, nel canale di Faresina, che separa l'Istria dall'isola di Cherso.
4. La seconda sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (Parigi, 25 aprile - 12 luglio 1946) e il progetto di trattato dallo stesso preparato.
Il rapporto della Commissione di esperti e le proposte di confine dagli stessi presentate furono prese in esame dal Consiglio dei Ministri degli Esteri durante la prima parte della sua seconda sessione svoltasi a Parigi dal 25 aprile al 16 maggio 1947. Furono ascoltati, come nella precedente sessione di Londra, il rappresentante jugoslavo (Kardelj) e quello italiano (De Gasperi). De Gasperi - che parlò il 3 maggio (1) - dopo aver rilevato che il rapporto della Commissione era incompleto perché l'inchiesta non era stata estesa « a tutte le zone contestate e, in particolare, ai territori popolati soprattutto da Italiani, quali Fiume... Zara e le isole di Cherso e di Lussino » - passò all'esame critico delle quattro linee di confine proposte dagli esperti, esprimendosi come segue. La linea sovietica, egli disse, « fa completamente astrazione dal principio etnico e, di conseguenza, dallo stesso criterio accolto a Londra come base di un'equa soluzione ... La nuova frontiera non lascerebbe più minoranze slave nel territorio italiano, ma, per contro, consegnerebbe alla Jugoslavia 600.000 Italiani circa, secondo le odierne valutazioni, e 487.000 se ci si tiene alle statistiche del 1910 ».
(1) Il testo integrale del suo intervento è riportato a pag. 68 e seg. dell'opuscolo del Ministero degli Esteri precedentemente citato in nota.
212 La linea francese, aggiunse, « toglie all'Italia, e non so sulla base di quali principi (2). l'Istria sud-occidentale attribuendo alla Jugoslavia città riconosciute italiane dallo stesso rapporto degli esperti, come Parenzo, Rovigno e Pola (3) ... Secondo questa soluzione 89.000 Slavi resterebbero al di qua della frontiera contro 190.000 Italiani che rimarrebbero al di là ». « La linea del delegato britannico, proseguì, ci esclude dal bacino dell'Arsa», mentre la linea proposta dal delegato americano « è senza dubbio quella che si allontana di meno dal tracciato della "linea Wilson"', soprattutto nell'Istria meridionale ». « Indipendentemente da queste nozioni etniche, concluse De Gasperi, è evidente che questi tracciati dovranno esser sottoposti a un nuovo esame, alla luce delle caratteristiche economiche e geografiche dei territori attraversati ». Ma anche questa volta i quattro Ministri degli Esteri, cosi come era avvenuto otto mesi prima a Londra, non riuscirono a trovare una soluzione del problema che fosse accettata da tutti. Da parte sovietica venne perfino respinta la proposta avanzata sul finire della sessione da parte americana e britannica di risolvere la questione sulla base della linea francese ( 4 ). Alla chiusura dei lavori del Consiglio, avvenuta il 16 maggio, il problema del nostro confine orientale rimaneva quindi ancora aperto, ma senza dubbio il modo intransigente con cui l'Unione Sovietica appoggiava le richieste jugoslave, rendeva ogni giorno sempre più tenui le speranze di risolverlo in modo equo (5 ). La questione nel frattempo era stata seguita dalla Marina con sempre crescente ansietà. Il suo Stato Maggiore non aveva condiviso infatti il modo in cui era stata impostata dagli Esteri la difesa del
(2) Si seppe dopo che la linea francese si basava sul principio dell' « equilibrio etnico». Secondo questo principio il numero degli Italiani abitanti nel territorio che avrebbe dovuto divenire jugoslavo avrebbe dovuto essere eguale al numero degli Slavi residenti in territorio italiano. Nel tracciare la linea non si era però tenuto conto degli Italiani abitanti a Fiume, a Zara e nelle isole. (3) Il rapporto della Commissione di esperti cosl si esprime sulle indagini svolte nell'Istria occidentale e meridionale (par. 76): « L'elemento italiano è stabilito nelle città situate sulla costa o presso la costa e in un numero importante di località rurali dell'Istria occidentale. Esso costituisce la maggioranza e, in certi casi, la quasi totalità della popolazione di numerose città situate sulla costa o presso la costa; in alcune città dell'interno dell'Istria occidentale o meridionale, esso rappresenta un'importante minoranza... •. (4) Vedansi in proposito i discorsi di Byrnes e di Bevin, rispettivamente del 20 maggio e 4 giugno 1946, riportati in « Politica Estera», 1946, pg. 640 e 699. (5) In una lettera al presidente Truman in data 23 maggio 1946 De Gasperi, riferendosi ai lavori sino allora compiuti dal Consiglio dei Ministri degli Esteri, così si esprimeva: « Non posso astenermi dal sottolineare che la pubblica opinione italiana è attualmente sotto la penosa impressione provocata dalla constatazione
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problema adriatico: nessuna esplicita richiesta era stata avanzata (almeno sino al 3 maggio 1946) per ottenere l'attribuzione di Cherso e Lussino, come nessun chiaro cenno era stato fatto per la neutralizzazione di Cattaro, due punti che la Marina aveva dichiarato essenziali e inderogabili per un minimo di sicurezza in Adriatico. Inoltre nuvole minacciose si erano andate addensando agli inizi del 1946 su un altro punto particolarmente delicato per la nostra difesa adriatica: l'indipendenza dell'Albania. Notizie degne di fede erano concordi infatti nel confermare la sempre crescente influenza sovietica in quel paese, non solo in campo politico ma anche in quello militare. Si parlava, ad esempio, di costruzione di fortificazioni effettuate con l'aiuto dei Russi sulle montagne che dominano la rada di Valona onde attrezzarla a base navale, i cui veri beneficiari sarebbero stati questi ultimi. Su ciò il ministro de Courten, con la sua lettera ufficiosa dell'l 1 marzo 1946 (prot. 879/UT), aveva richiamato l'attenzione del ministro De Gasperi aggiungendo: « L'ipotesi di una rada di Valona fortificata e in possesso di uno Stato vassallo della Russia, svellendo uno dei cardini della nostra sicurezza in Adriatico, imporrebbe di riesaminare il problema della frontiera orientale per considerare se e come sarebbe possibile riportarlo in termini accettabili per noi » ( 6). che le dicussioni sui problemi italiani che hanno avuto luogo a Londra e a Parigi hanno messo in evidenza un gioco di politiche di potere nel quale le questioni italiane sono state oggetto di mercanteggiamenti, anziché esser esaminate nel quadro delle misure atte ad assicurare una pacificazione effettiva e definitiva dell'Europa ». Riferendosi particolarmente alla questione dei futuri confini italojugoslavi, De Gasperi aggiungeva: « Sulla frontiera orientale il naturale confine etnico è minacciato da continui ripiegamenti dalla « linea Wilson » verso la « linea Morgan », il che espose parecchie centinaia di migliaia di italiani - i cui avi hanno sempre abitato queste regioni - al più tragico e incerto futuro sotto dominio straniero». E più avanti: « Per quanto riguarda l'importantissimo problema della Venezia Giulia il punto di vista dell'Italia in favore del principio etnico accolto dalla « linea Wilson » è troppo conosciuto ed apprezzato per esser oggetto di nuovo esame. Ho già avuto occasione di dire che né il mio Governo né altro Governo italiano popolarmente eletto potrebbe firmare in futuro un trattato di pace che desse alla Jugoslavia Trieste e la parte della Venezia Giulia a predominanza italiana. Desidero sottolineare qui che, qualora i Quattro non riuscissero a raggiungere un accordo su tali basi, l'Italia desidererebbe che la questione fosse deferita alla Conferenza delle ventuno Potenze o, se ciò non dovesse avvenire, a una più grande assemblea come le Nazioni Unite ». ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Vol. II, pg. 442 e seg.). (6) Ecco la risposta del ministro De Gasperi (lettera ufficiosa 71/2721/2008 del 29 marzo 1946). « Caro de Courten, rispondo alla tua dell'l 1 marzo corrente recante il numero 879/UT. « Condivido pienamente il tuo punto di vista circa la interdipendenza del confine orientale e la sistemazione adriatica, punto di vista di cui erano già stati fatti partecipi i Governi alleati. « In relazione ora alle voci concernenti le fortificazioni di Valona e il controllo sovietico sull'Albania, ho nuovamente richiamato l'attenzione di Londra, Washington e Parigi sul problema adriatico come noi lo vediamo, sottolineando
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L'esito deludente con cui si era chiusa il 16 maggio la prima parte della seconda sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri accrebbe le preoccupazioni tanto da decidere il ministro de Courten a tornare sulla questione delle nostre frontiere marittime adriatiche. In una sua lettera nr. 2024/UT del 29 maggio diretta all'on. De Gasperi, nella sua veste di Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, e per conoscenza, al Capo di Stato Maggiore Generale, gen. Trezzani, egli così si esprimeva, in vista della nuova riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri, preannunciata per il 15 giugno: « 1) Il problema delle frontiere marittime adriatiche nella realtà non è che un aspetto - il più vivo attualmente - del problema più generale delle frontiere marittime dell'Italia. Ma non è escluso che, a suo tempo, possa esser necessario richiamare l'attenzione anche su altri settori delle nostre frontiere marittime (7). « 2) Le informazioni sin'ora pervenute inducono a ritenere che, nelle discussioni fra gli Alleati relativamente alle frontiere orientali dell'Italia, non sia stato affrontato il lato più importante di questo problema, dal punto di vista della sicurezza nazionale, ossia quello delle frontiere marittime. Né risulta che tale argomento sia stato toccato dal Governo italiano nelle decise prese di posizione assunte più volte contro paventate intenzioni dei Ministri degli Esteri sulla sistemazione della nostra frontiera terrestre orientale. « Ciò era forse inevitabile. Appaiono ovvie le ragioni per le quali i Ministri degli Esteri hanno impostato il problema unicamente sui fattori etnici ed economici della Venezia Giulia; ed evidentemente il nostro Governo non ha potuto, in un primo tempo almeno e nella sua difficile situazione internazionale, opporre alle tesi degli Alleati, fondate prevalentemente su argomenti di carattere pacifico, considerazioni di indole prevalentemente militare, quali sono quelle a difesa delle nostre richieste circa la frontiera marittima. « Ma la sistemazione politica dell'Adriatico orientale si avvia ormai a stabilizzarsi secondo linee che difficilmente potranno essere modificate in avvenire; sull'Italia incombe quindi la minaccia di essere privata di ogni ragionevole sicurezza in Adriatico, sì da far temere
il fatto che una baia di Valona in possesso di terzi Stati sposta i termini di tutta la questione e incide indirettamente sull'equilibrio del Mediterraneo. « Ho insistito sul fatto che l'indipendenza dell'Albania è condizione indispensabile di una nostra sicurezza, sia pure relativa. Non mancherò di tener presenti questi punti ogni volta che se ne presenterà l'occasione e mi riservo di comunicarti ogni eventuale nuovo elemento che ci dovesse risultare in merito ». {7) Allusione alle voci correnti di limitazioni di carattere militare che sarebbero state richieste dalla ;Francia per la costa ligure e per la parte settentrionale della Sardegna; dalla Gran Bretagna, per la Sicilia e la Sardegna; da Gran Bretagna e Stati Uniti per le isole di Pantelleria, Lampedusa, Lampione e Linosa.
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che essa possa essere oggetto di aggressioni da levante prima che ogni misura di sicurezza collettiva possa essere messa in atto per opporvisi. « Nella sua Memoria del novembre 1944 sul confine orientale italiano, e in altre successive, il Ministro della Marina aveva riassunto nei seguenti tre punti le condizioni ritenute essenziali e inderogabili per un minimo di sicurezza in Adriatico: a) possesso integrale dell'Istria e di Cherso e Lussino; b) neutralizzazione di Cattaro; c) indipendenza dell'Albania. « Queste condizioni sono tali da escludere ogni intenzione di supremazia dell'Italia nell'Adriatico e ogni sua possibilità di una eventuale politica offensiva verso altri Stati: esse mirano unicamente ad evitare che le coste adriatiche italiane divengano un facile obiettivo <;ii offese dal mare e una distesa di spiagge aperte ad ogni invasione. « 3) Alla luce delle tendenze manifestatesi alla recente sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri sembra che nessuna delle predette condizioni abbia probabilità di essere realizzata: le sistemazioni che si vanno delineando nei riguardi dell'Istria, della Dalmazia e dell'Albania, pregiudicherebbero ogni seria possibilità di difesa dell'Italia in Adriatico e creerebbero una situazione ancora più grave di quella esistente prima della guerra 1915-18, della quale sono state pure sperimentate tutte le ripercussioni deleterie nel corso del primo conflitto mondiale. « Vorrei ricordare a questo proposito che anche l'assetto dato all'Adriatico dal Trattato di Rapallo era stato in quei tempi considerato lungi dall'essere soddisfacente: e questo non per considerazioni nazionalistiche, ma per obiettiva valutazione del problema marittimo, esaminato dal punto di vista esclusivamente tecnico. « Fra le varie "linee" proposte dagli Alleati per la suddivisione dell'Istria sembra vada riscuotendo i maggiori consensi quella francese che, come è noto, ci priverebbe anche di Pola a favore della Jugoslavia. Di Cherso e Lussino non si è neppure parlato, per quanto le considerazioni di carattere etnico militino colà a nostro deciso favore (14.000 abitanti Italiani contro 4.900 Slavi). Ogni eventuale illusione su una possibile indipendenza dell'Albania sembra dover crollare di fronte alla realtà delle fortificazioni che i Russi starebbero costruendo a difesa della baia di Valona. Trieste, aspramente contesa all'Italia dalla Jugoslavia sotto il vessillo del puro nazionalismo, appare in realtà l'obiettivo di una politica la quale mira soprattutto alla fiorente industria di costruzioni navali ed aeronautiche esistente in quella zona. « Si affaccia quindi la possibilità che tutto il mondo slavo venga a gravitare sulle nostre frontiere orientali, terrestri e marittime, avendo a propria disposizione, non so]o le basi navali di Sebenico, Cattaro, Valona e probabilmente pure di Pola, ma anche un poderoso strumento
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di lavoro per la creazione in posto di una potente flotta da guerra e mercantile e di una solida aviazione. « In tali deprecabili condizioni ben limitate possibilità difensive resterebbero alla flotta italiana, ridotta a prevedibili modeste proporzioni e costretta ad appoggiarsi soltanto alle due basi di Venezia e di Brindisi, situate ai due estremi dell'Adriatico. Per i ben noti rapporti di distanza fra gli opposti obiettivi e per le altrettante note condizioni orografiche delle coste, eventuali operazioni di sbarco sulle nostre sponde, in base all'esperienza della presente guerra, avrebbero grandi probabilità di successo. Quale valore avrebbe in tal caso anche una buona linea di difesa del nostro confine terrestre? Sarebbe come chiudere le finestre di una casa su di una strada minacciata, ma lasciare aperta la porta, anzi più porte, sulla stessa strada. « 4) Mi sembra quindi necessario che il Governo italiano compia ogni sforzo per evitare che venga a crearsi in Adriatico una situazione che, dal punto di vista strategico-marittimo, potrebbe diventare assai pericolosa per l'Italia. « Penso che in tale intervento il Governo italiano dovrebbe trovare l'appoggio dell'Inghilterra, la quale non dovrebbe gradire una quasi assoluta mancanza di sicurezza per le navi che intendesse in avvenire mandare ad operare in Adriatico. « Per un'altra considerazione ancora la Gran Bretagna dovrebbe avere interesse ad impedire il realizzarsi in Adriatico della situazione che oggi si sta profilando. Brindisi, come si è già detto in altre occasioni, serve non già di chiusura ma di sentinella del Canale d'Otranto, soltanto quando abbia, per compagna di guardia, Valona. Ma, con quest'ultima base in mani ostili, anche Brindisi perderebbe parte della sua efficacia, e una flotta dislocata in Adriatico avrebbe così la possibilità di irrompere in Mediterraneo inosservata e indisturbata. « Concludendo, ritengo mio dovere manifestare a V.S. le gravissime preoccupazioni eh.e suscitano nella Marina le possibili o forse prevedibili soluzioni del problema delle frontiere adriatiche, con la conseguente situazione che ivi profilerebbesi ai danni dell'Italia ... « Vorrei pertanto richiamare l'attenzione di V.S. sulla necessità che, pur riconoscendo le difficilissime condizioni nelle quali i nostri rappresentanti possono svolgere la loro azione diretta alla tutela dei vitali interessi italiani, tale azione tenga adeguato conto anche dei seguenti criteri: - necessità di non limitare l'esame delle frontiere orientali d'Italia al pur importantissimo settore terrestre, ma di impostare il problema in un quadro più generale, estendendolo al settore marittimo del quale è chiara la essenziale importanza; - insistere affinché, in occasione della prossima riunione dei Ministri degli Esteri, il Governo italiano sia invitato ad esporre il
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IL NUOVO CONFINE ORIENTALE E IL TERRITORIO LIBERO DI TRrESTE SECONDO IL PROGETTO DI TRATTATO DI PACE 14'
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JUGOSLAVIA
• CODAOPO
OSTUMIA• • sENOSECCHIA
M. Aquila
•
MAR ADRIATICO
-
Cottfine dei tr•ttati di Ropallo(192ct • Roma(1924 )
Zona da costituirsi in •Territorio libero di Trieste • -
...__ _ .J] Zona da cedere alla Jugoslavia
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proprio punto di vista anche sulla questione delle frontiere marittime »(8). Il 15 giugno si riuniva di nuovo a Parigi il Consiglio dei Ministri degli Esteri (9), il quale, senza più ascoltare un rappresentante italiano (10), il 3 luglio « in applicazione d'un compromesso derivante da cause del tutto estranee al merito delle questioni concernenti la frontiera italo-jugoslava e la regione giuliana e non in attuazione di un ponderato esame di elementi obiettivi » (11), decideva, abbandonando il principio etnico: - che tutti i territori a levante della « linea francese » fossero ceduti dall'Italia alla Jugoslavia; - che la città di Trieste - con un territorio, a ponente di tale linea, d i 740 km2 circa, il quale andava, sull'Adriatico, dalla foce del Timavo a quella del Quieto - fosse eretta in Stato Libero; - che restasse all'Italia la residua parte dei territori acquistati con la guerra 1915-18 ed esattamente la conca di Tarvisio, a nord, e la zona del basso Isonzo, a sud, con Cormons, Gorizia, Gradisca e Monfalcone. I n/ merito a questa decisione del Consiglio dei Ministri degli Esteri è da ricordarsi anzitutto che la « linea francese » era già molto meno favorevole all'Italia delle linee americana e britannica e che essa lasciava alla Jugoslavia gran parte dell'Istria occidentale dalla Commissione di inchiesta stessa riconosciuta a netta maggioranza italiana. Comunque essa attribuiva all'Italia tutti i territori a ponente della
(8) Lo stesso 29 maggio 1946 il ministro de Courten, con lettera nr. 2036/ UT, richiamò l'attenzione del ministro De Gasperi sulle notizie di stampa secondo le quali anche il gruppo delle isole di Pelagosa (appartenente a l Regno delle due Sicilie sino alla fine di questo nel 1860, occupato arbitrariamente dall'Austria nel 1875 e attribuito all'Italia dal Trattato di Rapallo del 1920) era già stato assegnato alla Jugoslavia dal Consiglio dei Ministri degli- Esteri. Tale gruppo di isole - aggiungeva l'amm. de Courten - per la sua posizione avanzata verso levante nell'Adriatico centrale, costituiva un buon punto d'osservazione e, pertanto, la sua assegnazione alla Jugoslavia avrebbe costituito un ulteriore peggioramento della nostra situazione mit_itare in quel mare. Dai documenti diplomatici pubblicati anni dopo risulta che la decisione di cedere le isole di Pelagosa alla Jugoslavia era stata effettivamente presa dal Consiglio dei Ministri degli Esteri nella seduta del 2 maggio 1946. Tale cessione era stata subordinata a due condizioni: che il gruppo fosse smilitarizzato e che fossero tutelati i diritti di pesca dei cittadini italiani nelle acque del gruppo ( • Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. II, pg. 208-214 ). (9) Seconda parte della sessione dal 15 giugno al 12 luglio 1946. (10) Benché ciò fosse stato ufficialmente richiesto dal nostro Governo con messaggio del 30 giugno 1946. (11) Vedasi pag. 6 dell'opuscolo del Ministero degli Esteri precedentemente citato in nota.
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linea stessa, Trieste compresa. Con la decisione ora presa dal Consiglio dei Ministri degli Esteri di creare lo « Stato Libero di Trieste » con territorio compreso interamente nella zona che la « linea francese» assegnava all'Italia, si peggiorava ulteriormente il trattamen to fatto a quest'ultima. Era così perduto per l'Italia circa il 90 per cento della Venezia Giulia con centri italianissimi quaH Trieste, Capodistria, Pirano, Umago, Cittanova, Parenzo, Rovigno e Pola, nonché Fiume e Zara e le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa (12). Delle tre condizioni ritenute dalla Marina essenziali e inderogabili per un minimo di sicurezza in Adriatico, due non erano state raggiunte (13); la terza, l'indipendenza dell'Albania, era fortemente insidiata dalla crescente influenza su questo Paese dell'Unione Sovietica. Avuta notizia della decisione adottata dal Consiglio dei Ministri degli Esteri, il ministro De Gasperi il 2 luglio gli inviava il seguente messaggio: « La soluzione progettata non è accettabile. In particolare l'attribuzione alla Jugoslavia della zona italiana dell'Istria occidentale sino a Pola creerebbe una ferita insopportabile alla coscienza nazionale italiana ». Come era prevedibile, tale messaggio non ebbe alcun seguito e la decisione del Consiglio dei Ministri degli Esteri sopra riportata trovò posto negli articoli 3, 4, 11, 16 - par. 1 - e 22 del progetto del trattato di pace che il Consiglio predetto presentò alla Conferenza delle 21 Potenze riunitasi a Parigi il 29 luglio successivo ( 14).
(12) Da aggiungersi, in Albania, l'isola di Saseno all'ingresso della baia di Valona. (13) Il possesso dell'Istria con Cherso e Lussino e la neutralizzazione di Cattaro. (14) Il Consiglio Superiore di Marina nella sua adunanza del 28 luglio 1946 prese in esame gli articoli del progetto di trattato di pace riguardanti direttamente o indirettamente la Marina esprimendo il parere che « delle condizioni di carattere materiale che ci si vuole imporre, la più grave sia quella dei nuovi confini, perché con essi si aprirebbero le nostre frontiere terrestri in modo così completo da rendere insolubile tutto il problema della difesa naz,ionale e, quindi, anche quella parte di esso che compete alla Marina. « Basti osservare, per esempio, che se il problema della difesa del litorale adriatico era di ardua soluzione fino al 1915, quando !',A ustria possedeva le coste da Graclo a Cattaro e quando nessuna limitazione era posta ai nostri armamenti, esso si presenta in forma assai più grave ora che anche l'Albania entra in pieno nel sistema a noi prospicente, e che si vorrebbero porre ai nostri dispositivi di difesa e ai nostri armamenti in genere limitazioni e vincoli strettissimi ».
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s. La conferenza di Parigi (29 luglio · 15 ottobre 1946). Alla Conlerenza di Parigi il punto di vista italiano fu perorato subito dal ministro Nenni in un suo incontro che ebbe il 31 luglio con il Segretario di Stato americano, Byrnes (1); successivamente (per non parlare dei contatti extra-conferenza) (2) dal presidente del Consiglio De Gasperi nel suo discorso del 1O agosto alla Conferenza radunata in seduta plenaria, e con i memorandum presentati sulla questione dalla nostra delegazione (3 ). ìllustrati il 2 settembre dall'on. Bonomi di fronte alla Commissione politico-territoriale per l'Italia della Conferenza stessa (4). Tale punto di vista può riassumersi nel modo che segue. Nessuna ragione etnica, storica, geografica, economica o morale poteva giustificare la separazione dall'Italia da popolazioni che si erano sempre considerate italiane e che desideravano continuare a rimanere tali. Con la soluzione accolta dal progetto di trattato di pace, contro circa 10.000 Slavi che sarebbero rimasti in Italia e 50.000 del Territorio Libero di Trieste, vi sarebbero stati circa 180.000 Italiani (compresi quelli di Zara e delle isole) che sarebbero rimasti in Jugoslavia e 266.000 nel Territorio Libero (5). Ciò significava rinnegare il principio etnico, che il Consiglio dei Ministri degli Esteri, nella sua sessione di Londra del settembre 1945, aveva fissato come criterio per stabilire la nuova linea di confine. Opportunità quindi di interpellare le popolazioni interessate per conoscerne la volontà e avere così una guida sicura per sottoporre a revisione la soluzione adottata dal progetto di trattato. Qualora non si fosse ritenuto conveniente accogliere - come giustizia ed equità avrebbero richiesto - questa proposta, sarebbe stato necessario: (1) P. Nenni all'epoca era Ministro senza portafoglio nel secondo Gabinetto De Gasperi; divenne Ministro degli Esteri il successivo 18 ottobre, dopo la chiusura della Conferenza di Parigi. Per una sintesi del colloquio vedansi « Foreign Relations,. cit. bibl. - 1946, Voi. III, pg. 46-48. (2) Da ricor darsi fra questi quelli di De Gasperi con Byrnes del 10 e 22 agosto. Una sintesi dei due colloqui è riportata in « Foreign Relations ,. cit. bibl. 1946, Voi. III, pg. 173-174 e 267-269. (3) I memorandum in proposito furono tre, distinti dalle sigle seguenti: Doc. nr. 10 (P}, sulle clausole territoriali riguardanti la frontiera del Territorio Libero di Trieste (art. 3, 4 e 16); Doc. nr. 35 (G), su Fiume e Zara; Doc. nr. 7 (P), sull'Albania (art. 21-26). (« Forcign Relations,. cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 123-129, 138-139 e 149-151). (4) I due d iscorsi di De Gasperi e Bonomi sono riportati in Vedovato - Op cit. bibl. (I) pg. 491-499 e 505-51 1. (5) Dati del censimento del 1921.
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a) che il confine fra la Jugoslavia e l'Italia, così come stabilito dal progetto di trattato, fosse modificato a favore di quest'ultima nella vallata alta e media dell'Isonzo e nella zona di Gorizia; b) che anche il confine tra la Jugoslavia e il Territorio Libero di Trieste fosse modificato onde includere in quest'ultimo, perché abitate in gran maggioranza da Italiani, la parte occidentale dell'Istria a sud di Cittanova, così come delimitata dalla « linea britannica», nonché l'isola di Lussino. Questa soluzione avrebbe portato all'inclusione di Pola nel Territorio Libero. Siccome questo Territorio, ai sensi .del progetto di trattato, avrebbe dovuto essere smilitarizzato e neutralizzato, ne conseguiva che la stessa sorte avrebbe subìto la base navale di detta città, il che avrebbe rappresentato un contributo sostanziale alla sicurezza dell'Italia e della Jugoslavia. L'Italia approvava infine senza riserve le clausole della piena sovranità e indipendenza dell'Albania e non sollevava obiezione alcuna alla retrocessione a questa dell'isola di Saseno. In armonia con quanto sopra, con lettera dell'll settembre l'onorevole Bonomi chiedeva al Presidente della Commissione politico-territoriale per l'Italia, a nome del Governo italiano, « dì voler sottoporre alla Commissione l'opportunità di raccomandare al Consiglio dei Ministri degli Esteri che la linea etnica destinata a dividere la frontiera fra i due Stati [ Italia e Jugoslavia] fosse determinata in base a una libera consultazione della volontà delle popolazioni interessate» (6). Ma nemmeno la Jugoslavia, sia pure per opposte ragioni, fu soddisfatta del modo in cui il progetto di trattato di pace aveva risolto il problema dei confini tra i due Paesi. « La proposta del Consiglio dei Ministri degli Esteri che accetta la "linea francese" come frontiera della Jugoslavia con l'Italia e il Territorio Libero di Trieste - fu il suo punto di vista (7) - abbandona il principio della linea etnica, impedisce l'unificazione nazionale del piccolo popolo sloveno, priva questo popolo del complesso della sua costa e gli preclude uno sbocco al suo mare, priva il litorale sloveno di tutti i suoi centri urbani. In breve [ questa proposta J sacrifica i vitali interessi di una Nazione alleata ». Per questi motivi la delegazione jugoslava non mancò di dichiarare ripetutamente che il Governo di Belgrado non avrebbe potuto accettare la soluzione proposta e che non avrebbe firmato il trattato
(6) La lettera è riportata in « Relazioni Internazionali» - 1946, nr. 15, pg. 10. (7) Dalla relazione della « Commissione politica-territoriale per l'Italia» riportata in « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 318. Altro punto di discordia fu quello dei principi che avrebbero dovuto esser inclusi nello statuto del Territorio Libero di Trieste.
222 di pace se essa non fosse stata modificata in modo soddisfacente per .a Jugoslavia (8). Malgrado queste contrastanti prese di posizione dei due principali interessati contro il modo in cui il progetlo di tratlato aveva risolto il problema - e forse anche per questa ragione - la Conferenza non « raccomandò » alcuna sostanziale modifica alle disposizioni del progetto stesso che abbiamo esaminato (9), lasciando cadere la proposta italiana di risolvere la questione mediante un plebiscito fra le popolazioni interessate. 6. La terza sessione del Consiglio dei Minis tri degli Esteri (New York, 4 novembre - 12 dicembre 1946) e le sue decisioni finali.
La parola definitiva era quindi ormai rimessa al Consiglio dei Ministri degli Esteri che si riunì in terza sessione a New York il 4 novembre 1946. Ai quattro Ministri il nostro Governo il 3 di detto mese fece pervenire una nota la quale così si esprimeva sull'argomento in esame: « Il trattato, nella soluzione dei problemi relativi alla frontiera orientale fra l'Italia e la Jugoslavia ... , segue criteri strategici e politici i quali sono in aperto contrasto con le aspirazioni nazionali delle popolazioni interessate e non offrono garanzie per la protezione delle minoranze. In particolare il Governo italiano insiste perché, nella delimitazione della frontiera orientale, si proceda secondo il criterio della linea etnica fissato dalla Conferenza dei Quattro a Londra nel settembre 1945, ricorrendo al plebiscito nelle zone contestate, secondo la richiesta delle popolazion i istriane e la proposta formulata alla Conferenza di Parigi dalla delegazione italiana. Tale principio il Governo rivendica anche nella eventualità della cr eazione del Territorio Libero di Trieste, le cui frontiere dovrebbero almeno esser estese alle zone incontestabilmente italiane di Parenzo e di Pola » ( 1). La richiesta che, nel determinare i confini italo-jugoslavi, si dovesse seguire il principio della linea etnica ricorrendo, se fosse stato necessario, al plebiscito nelle zone contestate, era riaffermato dall'amb. Tarchiani il 6 novembre, parlando al Consiglio dei Ministri degli Esteri (2), e il 12 successivo dal Governo italiano in una nuova nota al Consiglio stesso (3). (8) Vedansi « Foreign Relations,. cit. bibl. - 1946, Voi. III, pg. 468, 580581 e 697. (9) Vedansi « Foreign Relations" cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 889-890. (1) Il testo completo della nota è riportato in « Relazioni Internazionali • 1946, nr. 22, pg. 10. (2) Il testo completo del discorso è riportato in « Politica Estera» - 1946, pg. 1426. (3) Il testo completo della nota è riportato in « Relazioni Internazionali " 1946, nr. 24, pg. 10.
223
Tutto fu comunque inutile: il Consiglio dei Ministri degli Esteri, forte anche del consenso ricevuto dalla Conferenza di Parigi, confermò sostanzialmente, per quanto riguarda il confine orientale italiano e la questione adriatica, le clausole del progetto di trattato prima esaminate. In forza di queste clausole l'Italia cedeva: - alla Jugoslavia tutto il territorio della Venezia Giulia a levante della « linea francese», sboccante al mare alla foce del Quieto, nonché Fiume, Zara e le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa; - al Territorio - Libero di Trieste le terre a ponente della linea francese sino al nuovo confine italiano, che raggiungeva il mare alla foce del Timavo; - all'Albania l'isola di Saseno.
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Capitolo VIII LE LIMITAZIONI ALLE OPERE MILITARI DI ALCUNI NOSTRI TERRITORI
l. Il punto di vista italiano.
Alla fine delle ostilità nel 1945 si ebbe sentore che la Gran Bretagna intendeva far includere nel trattato di pace una clausola che imponesse all'Italia la smilitarizzazione, sotto controllo internazionale, delle isole di Pantelleria, Lampedusa, Lampione e Linosa e che gli Stati Uniti non avevano nulla da obiettare in merito (1 ). La questione, esaminata dal nostro Comitato di difesa nella riunione del 23 agosto 1945, non fu ritenuta di una qualche gravità, dato che la mancanza d'acqua e di porti in dette isolE! nonché lo sviluppo dell'aviazione riducevano notevolmente il valore militare delle isole stesse (2). Agli inizi del 1946 si venne a sapere che, nella sessione del Consiglio dei Ministri degJi Esteri svoltasi a Londra nel settembre 1945, la Francia aveva chiesto - oltre a « rettifiche minori » alla frontiera tra i due Paesi - che fosse sottoposto a limitazioni di carattere militare il versante italiano della frontiera stessa (3) . In relazione a queste voci si ritenne opportuno che, nel memorandum del Ministero degli Esteri dell'aprile 1946 con il quale furon presentati i tre memorandum di carattere tecnico concernenti quello che, nel pen-
{1) Durante la sessione di Londra del Consiglio dei Ministri degli Esteri (11 settembre-2 ottobre 1945) la Gran Bretagna propose la smilitarizzazione delle isole di Pantelleria, Lampedusa, Linosa e Lampione nonché limitazioni agli apprestamenti militari della Sardegna e della Sicilia. Gli Stati Uniti si associarono alla proposta britannica per Pantelleria, Lampedusa, Linosa e Lampione. Le due proposte furono esaminate e discusse dal Consiglio il 14 e il 17 settembre 1945 e . approvate integralmente, con riserva però da parte del delegato sovietico, Molotov. (« Foreign Relations » cit. bibl. - 1945, Voi. II, pg. 137, 139, 162 e 462, 180, 211 e 467). (2) Vedasi verbale della seduta. (3) La richiesta fu presentata ed esaminata durante le sedute del 14 e 17 settembre dal Consiglio. Questo approvò la richiesta di « rettifiche minori » alla frontiera italo-francese e prese atto, senza decidere, di quella di sottoporre a limitazioni di carattere militare il versante italiano della frontiera stessa ( « Foreign Relations,. cit. bibl. - 1945, Vol. II, pg. 160 e 462, 204 e 466).
22(,
siero del Governo italiano, avrebbe dovuto essere il futuro ordinamento delle Forze Armate italiane, fosse inserito quanto segue (4): « La posizione geografica dell'Italia è tale da renderla inevitabilmente, nell'ipotesi di conflitti interessanti la regione mediterranea, zona strategica di grande importanza sia per le forze navali sia per le forze aeree. Ciò avvalora la necessità per l'I talia di un minimo di mezzi di difesa che le consentano, in caso di aggressione, la difesa delle sue basi navali ed aeree. « Eventuali smili tarizzazioni, oltre ledere il principio di sovranità, sarebbero anzitutto in aperto contrasto con il carattere difensivo del progettato organismo militare [ dell'Italia J: non si potrebbe infatti senza contraddizione consentire la difesa delle frontiere e vietare quei lavori che per essa sono indispensabili. In secondo luogo tali clausole, specie se applicate ai punti più sensibili delle frontiere terrestri o marittime, assumerebbero per il popolo italiano il significato dell'intenzione di tenerlo permanentemente in stato d'impotenza obbligandolo a subìre, non potendo respingere aggressioni, qualunque imposizione. « Per contro ed anche allo scopo di dimostrare spirito di comprensione e di venire incontro ad eventuali esigenze di talune Potenze - l'Italia è disposta a prendere l'impegno di disarmare talune fortificazioni a carattere offensivo delle sue frontiere terrestri e marittime» (5) .
2. Il progetto di trattato preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri.
Purtroppo a nulla valse questa manifestazione di buona volontà da parte dell'Italia perché, ai prim i del giugno 1946, si venne a conoscenza (1) che la Francia, oltre alla smilitarizzazione di una fascia del nostro territorio lungo la frontiera larga 30 km (2) aveva chiesto limitazioni
(4) Di questi documenti sarà parlato più avanti. Il memorandum del Min. Aff. Esteri era intitolato: « Considerazioni generali relative all'ordinamento delle Forze Armate italiane nei riguardi del trattato di pace». Gli altri tre memorandum avevano il seguente titolo: « Considerazioni relative all'Esercito (oppure alla Marina Militare o dell'Aviazione Militare) nei riguardi del trattato di pace». (5) L'Italia successivamente dichiarò (memorandum del 5 maggio 1946) d'esser disposta a smilitarizzare, nel quadro di un accordo generale, le seguenti zone del confine con la Francia: zona del monte Chaberton e territorio situato lungo il Roja. Non sollevò inoltre obiezioni contro la smilitarizzazione delle isole di Pantelleria, Lampedusa, Lampione e Linosa. (I) Vedansi telespresso Min. Aff. Est. - D.G. Aff. Poi. - 756/C e 760/C rispettivamente del 9 e IO giugno 1946, nonché lettera da Parigi del cap. vasc. E. Giuriati al ministro de Courtcn in data 7 giugno stesso anno. (2) Una timida proposta avanzata dal ministro Bevin che la smilitarizzazione fosse applicata anche al territorio francese fu sdegnosamente respinta dal ministro Bidault, il quale disse che, se ciò fosse avvenuto, la Francia sarebbe stata punita « per il crimine d'esser stata la. vittima di un'aggressione» ( «Foreign Relations ,. cit. bibl. . 1946, Voi. II, pg. 339).
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TERRITORI SOTTOPOSTI A LIMITAZIONI NELLE OPERE MILITARI SECONDO ILPROGETIO DI TRATTATO DI PACE
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per le opere militari della Riviera ligure e della zona della Maddalena e che analoghe misure erano state domandate successivamente dall'Unione Sovietica per il nostro territorio lungo la frontiera con la Jugoslavia, nonché per la costa veneta (3). Inutile fu la reazione immediata del Capo di Stato Maggiore Generale, gen. Trezzani, il quale, in una sua lettera del 14 giugno (prot. nr. 696/ 76-V) diretta all'on. De Gasperi, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, si dichiarò contrario all'accettazione di « simili esose condizioni del Trattato di pace» le quali « equivalevano praticamente alla totale apertura delle porte di casa sulle pianure piemontese e lombardo-veneta o, in termini più semplici, a consegnarci mani e piedi legati in balìa della prima velleità offensiva anche di una sola delle Nazioni confinanti ». Ma anche questo chiaro ed energico intervento della massima autorità militare italiana non ebbe alcun pratico effetto. Il progetto di tratt::.to di pace adottato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri ai primi di luglio mantenne le limitazioni tanto giustamente criticate, aggravandole anzi con quella della penisola salentina e dell'isola di Pianosa, in Adriatico (4). Ecco in sintesi queste limitazioni: a) smilitarizzazione delle isole di Pantelleria, Lampedusa, Linosa e Lampione (nel canale di Sicilia) e di Pianosa (in Adriatico) (art. 42) (5); b) distruzione, con divieto di costruirne di nuove: - delle fortificazioni e delle opere militari permanenti, per una profondità di 20 km, nel territorio italiano lungo le nuove frontiere con la Francia e la Jugoslavia (artt. 40 e 41, nr. 1, 2 e 3); - delle postazioni permanenti di artiglieria per la difesa costiera nonché delle opere navali nella zona della Maddalena (art. 43, nr. 1); - delle opere permanenti per la manutenzione e l'immagaz(3) All'osservazione del ministro Bevin che non vedeva la ragione per la quale dovessero esser adottate per la frontiera orientale e il versante adriatico misure analoghe a quelle stabilite per la frontiera occidentale e il versante tirrenico, il ministro Molotov rispose che le due questioni dovevano essere trattate separatamente ma che, « per ragioni di giustizia, si sarebbe dovuto assumere un atteggiamento analogo in ambedue i casi» (Foreign Relations ,. cit. bibl. · 1946, Voi. II, pg. 338). (4) Il progetto di trattato è riportato, limitatamente alle clausole militari, navali ed aeree, nell'allegato 16. (5) La decisione di smilitarizzare l'isola di Pianosa fu presa dal Consiglio dei Ministri degli Esteri nella seduta del 2 maggio 1945, su proposta del delegato sovietico Molotov, contemporaneamente alla decisione di cedere alla Jugoslavia il gruppo delle isole Pelagosa, con l'obbligo che fosse smilitarizzato (« Foreign Relations » cit. bibl. · 1946, Voi. II, pg. 208 e 214).
229
zinamento di siluri, di mine marine e di bombe in Sicilia e in Sardegna (art. 43, nr, 2 e 4); c) mantenimento dello statu quo: - delle basi e delle opere navali permanenti, per una profondità di 15 km, nella costa ligure (dal confine sino a Moneglia) e nella costa veneta (dal confine sino alle bocche del Po comprese) (artt. 40 e 41, nr. 4); - delle opere militari, navali ed aeronautiche permanenti nella penisola salentina a levante del meridiano 17° 45' E. G. (cioè a levante del meridiano che taglia la costa, in Adriatico, a circa 20 km a nord di Brindisi e, nello Jonio, a circa 50 km a sud di Taranto (art., 41 , numero 5) (6); - delle fortificazioni permanenti e delle opere militari, navali ed aeronautiche in Sicilia e in Sardegna (art. 43, nr. 3). Le clausole suddette, come tutte le clausole di carattere militare, avrebbero dovuto restare in vigore (art. 39) sino a quando non fossero state modificate, in tutto o in parte, con accordo tra l'Italia e le altre Potenze contraenti oppure tra il Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e l'Italia, una volta che questa ne fosse divenuta membro. Per chi aveva una minima esperienza di cose internazionali non c'era dubbio che questa clausola era una di quelle destinate a restare sulla carta. Era evidente infatti l'estrema difficoltà che un accordo potesse essere raggiunto al di fuori dell'Organizzazione delle Nazioni Unite dato che esso avrebbe dovuto raccogliere il consenso di tutte le altre Potenze contraenti. Né più facile si sarebbe presentata la cosa quando l'Italia fosse stata ammessa all'ONU, non foss'altro perché un qualsiasi accordo in proposito avrebbe dovuto raccogliere il consenso di tutt'e cinque le grandi Potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna, URSS, Francia e Cina) che godevano nel Consiglio di sicurezza del diritto di veto (7). (6) La limitazione fu adottata su proposta del delegato sovietico, Molotov. {7) Il Consiglio Superiore di Marina, come si è veduto nel capitolo precedente, nella sua adunanza del 28 luglio 1946 prese in esame gli articoli del progetto di trattato di pace riguardanti direttamente o indirettamente la Marina, esprimendo, sulla questione presa in esame in questo capitolo, il seguente parere: « Ha particolarmente colpito l'attenzione del Consiglio la proibizione che si vorrebbe porre all'aggiornamento delle nostre installazioni militari nella penisola salen· tina: essa implicherebbe il graduale decadimento delle installazioni esistenti e, per conseguenza, la soppressione pratica da parte nostra di qualunque controllo sullo sbocco dell'Adriatico, il che renderebbe, fra l'altro, di valore mediterraneo quelle basi dell'opposta sponda che finora avevano avuto soltanto funzione adriatica. Gravissima sembra inoltre al Consiglio la completa smilitarizzazione .delestuario della Maddalena, che aprirebbe un adito estremamente facile all'invasione della Sardegna ».
230 Non appena ebbe conoscenza delle clausole suddette del progetto di trattato di pace la Marina intervenne presso lo Stato Maggiore Generale, che coordinava tutta la materia, presentandogli il 29 luglio un promemoria sulle deleterie conseguenze che le clausole suindicate, se approvate, avrebbero avuto per la nostra sicurezza nel campo marittimo. « La Marina, diceva il promemoria, ha ripetutamente dichiarato e dimostrato che, per un minimo di sicurezza in Adriatico, è i,ndispensabile all'Italia realizzare le seguenti tre condizioni: a) possesso integrale dell'Istria e delle isole di Cherso e Lussino; b) neutralizzazione di Cattaro; c) indipendenza dell'Albania. « Il progetto di trattato di pace concordato a Parigi non soltanto esclude praticamente la realizzazione delle suddette condizioni, ma stabilisce altresì per l'Italia delle cessioni territoriali e delle limitazioni militari tali da creare in Adriatico, come in Tirreno, una situazione estremamente grave dal punto di vista strategico-marittimo». Ria~sunte quindi le cessioni e le limitazioni suddette stabilite per il versante adriatico, il promemoria così proseguiva: « Quanto sopra significa che, se tali cessioni e limitazioni fossero approvate, di fronte a un nemico in possesso de1Je basi navali di Pola, Sebenico e Cattaro, per non parlare di Valona, e che potrebbe sfruttare le ben note possibilità consentite dalla conformazione orografica della costa e dell'arcipelago dalmati, l'Italia potrebbe appoggiare le sue modestissime forze navali soltanto alla base di Venezia, al nord, e a quella di Brindisi, al sud, entrambe vincolate all'imposizione di non migliorare le già ridotte condizioni di efficienza in cui si trovano. « E' ovvio che in tale catastrofica situazione non si potrebbe nemmeno parlare d'una possibilità per la Marina italiana di difendere le coste adriatiche da attacchi dal mare nonché di proteggere i nostri traffici màrittimi lungo le coste stesse ». Dopo aver successivamente passato in esame la difficile situazione strategico-marittima che sarebbe stata creata in Tirreno dalle restrizioni di carattere militare imposte per la costa ligure .nonché per la Sardegna e la Sicilia (8), il promemoria concludeva che le esaminate disposizioni del progetto di trattato, se approvate, avrebbero privato l'Italia, sul fronte marittimo, di ogni possibilità di autodifesa cui essa, come ogni altro Paese, aveva diritto.
(8) « Di fronte alle possibilità offensive che presentano la Corsica e la Tunisia, non vincolate ad alcuna restrizione - diceva il promemoria - gran parte della costa tirrenica della penisola resterebbe completamente esposta ad attacchi dal mare ai quali difficilmente potrebbero opporsi le poche unità della Marina italiana, necessariamente suddivise nelle oasi di La Spezia, Napoli e della Sicilia». :,
Le osservazioni della Marina erano integralmente accolte e fatte p roprie dallo Stato Maggiore Generale che ne dava comunicazione al Mi nistero degli Esteri con lettera 777 /61-E del 2 agosto 1946 nella quale erano pure indicate le nefaste conseguenze che avrebbero avuto anche nel campo della difesa terrestre le clausole di cui trattasi, se approvate dalla Conferenza delle 21 Potenze. Con particoltre vigore si era espresso in proposito pochi giorni prima il Capo di Stato Maggiore Generale, gen. Trezzani, in una sua lettera al Presidente del Consiglio, Dc Gasperi (9). In questa lettera il gen. Trezzani, dopo aver indicato i motivi per cu i le clausole in parola avrebbero reso materialmente impossibile la difesa del Paese. arrivava alla conclusione che, dal punto di vista militare, l'unica cosa da farsi era quella di non firmare il trattato di pace, aggiungendo però subito dopo: « Comprendo bene le difficoltà insormontabili che si affacciano al nostro Governo, ma d'altra parte ritengo mio stretto dovere rappresentare con crudo realismo quale è la nostra situazione militare affinché chi dovrà difendere i nostri interessi possa avere un'idea precisa e reale delle nostre necessità ». 3. La Conferenza di Parigi (29 luglio · 15 ottobre 1946) e le decisioni finali del Consiglio dei Ministri degli Esteri (New York, 4 novembre . 12 dicembre 1946) .
La questione delle limitazioni ai nostri apprestamenti difensivi stabilite dal progetto di trattato fu sollevata nei suoi termini generali sia dall'on. Nenni nel colloquio che egli ebbe con il Segretario di Stato a mericano, Byrnes, il 31 luglio 1946 (1), sia dal presidente De Gasperi, nel suo discorso di pochi giorni dopo alla Conferenza radunata in seduta plenaria (2). Essa fu invece affrontata in modo particolare, in tutti gli aspetti (9) Foglio 770/76-V del 29 luglio 1946. (1) « Nenni (è detto nella sintesi del colloquio riportata in
« Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. III, pg. 46-48) parlò della severità delle limitazioni militari imposte all'Italia e chiese se almeno non potesse esser posto ad esse un limite di tempo. Sarebbe stato incoerente, egli disse, di mantenere l'Italia in stato di disarmo permanente e senza speranza, specialmente dopo che fosse stata ammessa all'ONU ». (2) « In un congresso di pace - disse De Gasperi - è estremamente antipatico parlare di armi e di strumenti di guerra. Vi debbo accennare tuttavia perché nelle predisposizioni prese dal progetto di trattato contro un presumibile r iaffacciarsi di u n pericolo italiano, si è andati tanto oltre da rendere precaria la nostra capacità difensiva connessa con la nostra indipendenza. Mai, mai nella nostra storia moderna, le porte di casa furono così spalancate, mai le nostre possibilità di difesa furono così limitate. Ciò vale per la frontiera orientale come per certe rettifiche dell'occidentale ispirate non certo ai criteri della sicurezza collettiva. Né questa volta ci si fa b alenare la speranza di Versailles, cioè il proposito di un disarmo generale, del qu ale il disarmo dei vinti s.arebbe
232 interessanti direttamente la Marina, dall'amm. dc Courten - che si trovava a Parigi per seguire i lavori della Conferenza nella sua veste di Capo di Stato Maggiore della Marina - (3) in un suo promemoria per la nostra delegazione del 17 agosto. Il promemoria cominciava con una premessa chè così suonava. « In linea generale queste clausole apparirebbero ispirate al criterio di impedire che determinate fasce di frontiera possano esser sistemate come basi di partenza per azioni aggressive da parte dell'Italia. Nella realtà esse incidono direttamente sui diritti di sovranità e soprattutto pongono l'Italia in inaccettabili condizioni di inferiorità, non corrispondenti ai principi di autodifesa e di uguaglianza fra gli Stati accolti dallo statuto delle Nazioni Unite » ( 4 ). Il documento passava quindi a esaminare le varie limitazioni aventi particolare peso per la Marina suddividendole in tre gruppi: limitazioni riguardanti zone interessanti prevalentemente la Francia, zone interessanti prevalentemente la Francia e la Gran Bretagna e zone interessanti prevalentemente la Jugoslavia. solo un anticipo"· (Il testo completo del discorso è riportato in Vedovato - Op. cit. bibl. (1), pg. 491-499). (3) Nel mese di giugno, in conseguenza del risultato del referendum istituzionale, era stata proclamata la Repubblica e ne era stato eletto Capo provvisorio l'on. Enrico De Nicola il quale, nell'accettare le dimissioni del Governo che l'on. De Gasperi, seguendo la prassi, gli aveva presentato, gli aveva conferito l'incarico di formare il nuovo. Questo venne costituito il 15 luglio e in esso il Dicastero della Marina, così come era avvenuto da tempo per quelli della Guerra e dell'Aeronautica, fu affidato a un civile, l'on. Giuseppe Micheli. L'amm. de Courten, che dal 25 luglio 1943 aveva ricoperto le cariche di Ministro e di Capo di S.M., mantenne quest'ultima, dalla quale si dimise però pochi giorni dopo (quando fu reso di pubblica ragione il progetto di trattato di pace) in segno di protesta contro le clausole riguardanti la Marina; soprattutto contro quella che trattava come preda bellica parte della nostra flotta. "Da queste dimissioni - egli dichiarò successivamente (sua intervista pubblicata dal « Giornale d'Italia» del 24 dicembre I946, riportata nell'allegato 21) - soprassedetti solo in seguito all'invito esplicito del Governo di portare la mia testimonianza nelle imminenti trattative che si sarebbero svolte durante la Conferenza di Parigi "· Sul finire del mese di dicembre 1946 - quando, dopo la sessione di New York del Consiglio dei Ministri degli Esteri, si venne a conoscenza che il testo definitivo del Trattato di pace era ispirato agli stessi criteri del progetto di trattato presentato e discusso alla Conferenza di Parigi - l'amm. de Courten dette le sue dimissioni da Capo di Stato Maggiore e chiese contemporaneamente di cessare dal servizio permanente effettivo. Ciò a conferma della sua protesta contro le clausole del Trattato. (Vedasi la sopracitata intervista). (4) Richiamo particolarmente ai seguenti articoli dello statuto delle N.U.: art. 1, par. 2 (• Gli scopi delle N.U. sono... 2) lo sviluppo di amichevoli relazioni fra le Nazioni fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodecisione dei popoli...»); art. 2, par. I («L'Organizzazione si fonda sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i suoi membri ... »); art. SI (« Nessuna disposizione di questo statuto intacca l'innato diritto di autodifesa individuale o collettiva qualora un membro delle Nazioni Unite sia oggetto di un attacco armato e ciò sino a quando il Consiglio di sicurezza non abbia prese le necessarie misure per mantenere la pace e la sicurezza internazionali...»).
233 I) Limitazioni riguardanti zone interessanti prevalentemente la Francia
(art. 40 e 43, r par.).
« 1) La limitazione mirante praticamente a stabilizzare nelle condizioni attuali la situazione militare marittima della zona costiera ligure - diceva il promemoria - appare particolarmente importante, nei suoi riflessi, perché essa, voluta dalla Francia senza ragioni plausibili, come risulta da informazioni ufficiose, ha avuto la conseguenza di indurre la Jugoslavia a chiedere analoghe limitazioni per determinate zone adratiche. L'abolizione di questa clausola, se conseguita, avrebbe quindi il probabile risultato di facilitare la corrispondente abolizione dei vincoli richiesti dalla Jugoslavia. « Non è possibile sostenere che le limitazioni nella capacità militare della costiera ligure rispondano al criterio di impedire la sistemazione di impianti a carattere offensivo; appare ovvia invece la illazione che si tratta di misure intese a vincolare la capacità difensiva dell'Italia, contrariamente al diritto di autodifesa. La clausola è poi praticamente inop~rante dal punto di vista marittimo: infatti, in un limitato teatro operativo come il Tirreno settentrionale, gli impianti militari marittimi della zona non soggetta a restri1.ioni (La Spezia) sono largamente sufficienti ad ogni necessità operativa. « La clausola lede quindi i diritti di autodifesa senza risultato pratico e propongo perciò che se ne chieda l'abolizione». « 2) Circa la clausola che impone la smilitarizzazione dell'estuario della Maddalena e l'abolizione della base navale ivi esistente osservo: a) la posizione ha perduto quasi completamente il suo valore strategico offensivo; b) essa ha importanza solo difensiva nel senso di impedire che l'estuario possa esser occupato da altri, interdicendo così il libero transito nelle Bocche di Bonifacio. « Se limitazioni devono essere imposte, esse dovrebbero esser ristrette nel senso di impedire le postazioni di armi atte a portare l'offesa nelle acque territoriali altrui, ma non sarebbe giusta né logica una totale abolizione dei mezzi difensivi. « Da informazioni ufficiose risulterebbe che la richiesta della Francia di includere questa clausola nel trattato è stata ispirata dal desiderio di evitare la minaccia di offesa che dalla posizione militare della Maddalena potrebbe derivare alla Corsica, dove viceversa la Francia non vuole essere costretta a creare organi1.2azioni difensive. Poiché la clausola, imponendo un vincolo all'Italia, non è accompagnata da alcuna garanzia per la stessa, sembra che essa potrebbe essere sostituita da una norma la quale preveda un accordo reciproco fra le Nazioni interessate, fondato sul criterio del libero uso delle Bocche di Bonifacio. « Propongo quindi che venga richiesto che la clausola in parola sia così modificata: "L'Italia si impegna, dopo l'entrata in vigore del presente trattato, a entrare in negoziati con la Francia per stabilire le reci-
234 proche misure di smilitarizzazione atte a determinare condizioni di mutua sicurezza nelle Bocche di Bonifaccio" ». II) Limitazioni riguardanti zone interessanti prevalentemente la Francia e la Gran Bretagna (art. 43, par. 2, 3 e 4). « Le limitazioni che interessano sia Gran Bretagna che Francia sono quelle stabilite per la restante parte della Sardegna e per la Sicilia. Esse comportano l'abolizione delle installazioni permanenti per la manutenzione e l'immagazzinamento di determinate armi ( torpedini, siluri e bombe) nonché la stabilizzazione nelle condizioni attuali delle fortificazioni permanenti e delle installazioni militari, navali ed aeronautiche. « Per quanto riguarda il primo punto si osserva che, specie per quanto si riferisce alle torpedini, armi essenzialmente difensive, l'abolizione richiesta implica un grave vincolo alla possibilità di tempestiva sistemazione di sbarramenti difensivi. « Il secondo punto incide invece sul diritto dell'autodifesa, come già messo in rilievo parlando delle limitazioni che ci verrebbero imposte per la costiera ligure. « Propongo quindi che venga richiesto che le clausole sopra esaminate siano sostituite dalla seguente: "L'Italia si impegna a limitare i suoi apprestamenti militari in Sardegna e in Sicilia a quelli strettamente necessari alla difesa di tali isole" ».
III) Limitazioni riguardanti zone interessanti prevalentemente la Jugoslavia (art. 41, par. 4 e 5). Il promemoria - dopo aver affermato che la sistemazione territoriale stabil:ra dal progetto di tratlato di pace per il versante adriatico, qualora approvata, non avrebbe consentito all'Italia di poter provvedere adeguatamente alla tutela della propria sicurezza in Adrialico - aggiungeva che la situazione era ulteriormente aggravata dalle clausole che imponevano limitazioni agli apprestamenti militari nella costiera veneta e in quella della penisola salentina. « Queste clausole proseguiva il promemoria - implicano la rinuncia da parte nostra alla facoltà di qualsiasi miglioramento od aggiornamento tecnico delle basi navali di Venezia e di Brindisi, le cui installazioni risentono ancora dello stato di fatto preesistente al 1943. « Propongo quindi che sia richiesta l'abolizione di queste due clausole e che, al fine di poter rimellere in discussione la sicurezza delle frontiere orientali italiane, sia proposto alla Conferenza che le due clausole sopra indicate siano sostituite con una clausola generale del segtiente tenore: "L'Italia si impegna, dopo l'entrata in vigore del presente trattalo, ad entrare in negoziati con le quattro Grandi Potenze, la Jugoslavia e l'Albania per de/ inire le reciproche misure di smilitarizzazione atte a determinare condizioni di pace e di mutua sicurezza in Adriatico" ». Come si sarà forse notato, nessuna richiesta di abolizione o di modifica era suggerita per le clausole che imponevano la smilitarizzazione
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delle isole di Pantelleria, Lampedusa, Lampione, Linosa (art. 42) e Pianosa (art. 11). Per le prime quattro delle suddette isole la cosa si spiega con il fatto che - come già si è veduto - tale misura non era considerata militarmente grave ritenendosi che lo sviluppo dell'aeronautica avesse ridotto notevolmente il valore strategico di tali isole, mancanti - fra l'altro - d'acqua e di porti. Per l'isola di Pianosa la rinuncia a ogni obiezione alla sua smilitarizzazione derivava dallo scarso valore militare della stessa. La nostra delegai:_ione accolse tutte le sopraindicate proposte dell'amm. de Courten, che, integrate con altre dell'Esercito relative alle limitazioni per gli apprestamenti militari dei territori lungo le frontiere con la Francia e la Jugoslavia, furono inserite nei memorandum sulle clausole militari del progetto di trattato presentati il 20 agosto alla Conferenza (Doc. nr. 1 (M) e (Doc. nr. 1 bis (M) (5). Le proposte. furono inoltre illustrate in contatti extra-conferenza tra i tecnici e, da ultimo, nelle dichiarazioni fatte dal gen. Trezzani il 12 settembre di fronte alla Commissione militare della conferenza. Questa, nelle sedute che tenne il 29 e 31 agosto e il 17 settembre, prese in esame gli articoli di cui trattasi del progetto di trattato (cioè gli art. 40, 41, 42 e 43, oltre che il 39) unitamente agli emendamenti proposti da alcuni dei suoi membri (6). Fra questi emendamenti quello della Nuova Zelanda all'articolo 39 (secondo il quale gli armamenti da lasciare all'Italia avrebbero dovuto esser fissati non dal Trattato di pace ma dall'O.N.U .) (7) e quelli agli articoli 39, 40, 41 e 43 presentati nel corso dei lavori dal Sud Africa (che accoglievano buona parte delle modifiche richieste dall'Italia con i due memorandum sopra citati) (8). (5) I memorandum italiani sono riportati in « Fore1gn Relations » cit. bibl. 1946, Voi. IV pg. 167-179. In essi si affrontava, fra le altre, anche la questione della revisione delle clausole militari, navali cd aeronautiche (disciplinata dall'art. 39 del progetto di trattato) chiedendo che alla stessa si procedesse entro due anni. La questione era stata già prospettata da Nenni a Byrnes - come si è già veduto - nel loro colloquio del 31 luglio, ma questi aveva fatto sapere, dopo alcuni giorni, di ritenere adeguato il disposto dell'articolo 39 così come predisposto. ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. III, pg. 48 e 268). (6) Come si ricorderà (vedasi Cap. VI), secondo le norme di procedura della conferenza, i memorandum dei paesi ex-nemici non erano presi ufficialmente in esame se non erano fatti propri, come emendamenti. da una delle Potenze vincitrici. D'altra parte i memorandum italiani, consegnati al Segretariato della conferenza il 20 agosto, furono da questo distribuiti alle delegazioni delle Potenze partecipanti alla conferenza stessa soltanto il 10 settembre! (7) Qualora la proposta fosse stata accolta, disse il delegato della Nuova Zelanda, essa sarebbe stata un positivo inizio di quei provvedimenti per un disarmo di carattere generale, rientranti nei compiti dell'O.N.U. (« Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. III, pg. 310, nota 82). i{8) Gli emendamenti furono presentati dalla delegazione del Sud Africa come Ùn riconoscimento dei due anni di cobelligeranza dell'Italia a fianco degli
236 QuesLi emendamenti a noi favorevoli non incontrarono però il favore della maggioranza della Commissione, cosicché il delegato della Nuova Zelanda ritirò il suo prima che andasse in votazione, in ciò imitato dal rappresentante del Sud Africa per gli emendamenti relativi agli articoli 41 e 43, dopo che quelli riguardanti gli articoli 39 e 40, messi ai voti, erano stati respinti a forte maggioranza (9). In sintesi può dirsi che la Commissione militare approvò praticamente come formulati nel progello di trattato i cinque articoli di cui sopra è cenno ( 10) e che, successivamente, la Conferenza - adeguandosi completamente al parere della Commissione - non « raccomandò » al Consiglio dei Ministri degli Esteri alcuna sostanziale modifica agli articoli stessi ( 11). Questo, nella sua terza ed ultima sessione tenuta a New York sul finire del 1946, rendeva definitive le clausole del progetto di trattato testé esaminate, nonostante l'invito rivolto dal Governo italiano ai quattro Ministri, con una nota del 3 novembre del ministro Nenni (12), di riconsiderare, fra le altre, le clausole di cui trattasi, le quali, unitamente alle altre militari, « lasciavano l'Italia indifesa e in uno stato di soggezione che incideva sulla sua stessa indipendenza ».
Alleati, cobelligeranza cui il progetto di trattato aveva dato poco peso ( « Foreign Relations " cit. bibl. . 1946, Voi. lii, pg. 470, nota 22). (9) Vedansi « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. III, pg. 309-311, 329-330 e 470.472; Voi. IV pg. 171-172 e 412-419. (10) Vedansi « Foreign Relations " cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 412-419. (11) Vedansi « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 889-890. (12) Nenni il 18 ottobre era succeduto a De Gaspcri nella carica di Ministro degli Esteri. Il testo completo della nota è riportato in « Relazioni internazionali» - 1946, nr. 22, pg. IO.
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Capitolo IX IL TRATTAMENTO FATTO ALLA MARINA MILITARE
1. Il punto di vista italiano.
Ai primi del mese di maggio 1945 con la resa senza condizioni della Germania avevano fine le ostilità in Europa e si profilava all'orizzonte il pericolo di una nuova guerra, quella tra i vincitori, per decidere quale sorte riservare ai vinti e come suddividersi i frutti della vittoria. La Marina, come si è veduto precedentemente, aveva già messo allo studio da mesi i problemi di carattere navale che prevedibilmente si sarebbero posti nelle trattative di pace, ponendo particolarmente l'accento sulla questione adriatica, ma altri ve ne erano di non minore importanza. Primo fra tutti quello della sorte della nostra flotta, in merito alla quale si nutriva fiducia che la questione sarebbe stata definita - come aveva affermato Churchill nel suo discorso ai Comuni del 10 marzo 1944 - (1) « secondo diritto e giustizia», il che implicava che, nel decidere, si sarebbe tenuto conto - come promesso dal « documento di Quebec » - del sostanziale e riconosciuto contributo dato dalle nostre navi alla causa delle Nazioni Unite nei venti mesi della cobelligeranza. E questa fiducia trovava conforto nel fatto che l'assicurazione di Churchill era posteriore alla chiusura dello scalpore sollevato dalla dichiarazione di Roosevelt del 3 marzo 1944 sulla cessione all'Unione Sovietica di un terzo circa delle nostre unità (2).
(1) Vedasi Cap. V., Sez. S. (2) L'ombra di questa dichiarazione era però di quando in quando rievocata da notizie giornalistiche come quella, priva di fondamento, riportata da alcuni giornali sul finire del luglio 1945, secondo la quale in quei giorni 6 nostre unità (3 cacciatorpediniere e 3 torpediniere) erano state consegnate all'Unione Sovietica. La notizia provocò la seguente smentita pubblicata dai giornali del 26 luglio. « Il Ministero della Marina ha dichiarato all'agenzia "Ansa" che la- .notizia riferita da alcuni giornali relativa alla consegna di navi italiane alla Russia, consegna che, secondo la stessa notizia, sarebbe già stata effettuata in un porto italiano, è destituita di qualsiasi fondamento. « Nessuna nave da guerra italiana, dal momento dell'armistizio, ha cambiato bandiera e nessuna cessione di navi italiane all'una o ad altra delle Nazioni Unite è prevista dalle condizioni di armistizio. Le questioni della sorte delle
238 Né si pensava - e giustamente stante le diversità delle situazioni dei due Paesi - che avrebbe potuto influire sulla sorte della nostra flotta la decisione presa dai « tre Grandi» alla Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945) di ripartire tra loro, come preda bellica, tutte le superstiti navi della flotta tedesca (3). Tenuto conto di quanto sopra la Marina, dopo approfondito esame della questione, ritenne che la linea di condotta da seguire nei contatti e negli eventuali negoziati che vi sarebbero stati con le Potenze vincitrici per la preparazione del trattato di pace, fosse impostata sui capisaldi che seguono: I) Nel « documento di Quebec » era stato promesso all'Italia che il trattamento che le sarebbe stato riservato sarebbe dipeso « dall'entità
dell'aiuto realmente dato dal Governo e dal popolo italiani alle Nazioni Unite contro la Germania durante Ja rimanente parte della guerra». Forte di questa promessa la Marina non solo aveva osservato lealmente - a prezzo di enormi sacrifici morali e materiali - le clausole dell'armistizio, ma, prima ancora che l'Italia venisse accettata dagli Alleati come cobelligerante, aveva iniziato quella collaborazione attiva con le Marine alleate (protrattasi per venti mesi) del cui valore e della cui entità erano testimoni i molti riconoscimenti alleati. (4). 2) A conclusione avvenuta del trattato di pace l'Italia, come esplicitamente affermato dai « tre Grandi» a Potsdam, sarebbe stata ammessa nell'Organizzazione delle Nazioni Unite. navi italiane potranno essere eventualmente trattate in occasione della futura Conferenza della pace. « In questo momento la Marina italiana è impegnata a dare il suo contributo nella lotta contro il Giappone, a fianco delle Marine delle Nazioni Unite». (Nota - Per quanto riguarda quest'ultima affermazione si ricorda - vedasi Cap. V. Sez. 7 - che in quei giorni erano in corso passi del ministro de Courten presso il Comandante in Capo navale delle Forze alleate del Mediterraneo per ottenere che unità italiane partecipassero in Pacifico alla guerra contro il Giappone, cui l'Italia aveva dichiarato guerra il 15 luglio. La cosa però non ebbe seguito perché, si disse da parte alleata, le nostre navi non erano adatte alla guerra oceanica e non erano adeguatamente ammodernate. La resa del Giappone - 15 agosto - pose fine alla questione). (3) Le decisioni adottate in proposito furono le seguenti: a) tutte le navi di superficie - escluse quelle affondate e quelle già catturate dalle Potenze alleate, ma comprese quelle in costruzione o ai lavori - sarebbero state suddivise in parti eguali fra Unione Sovietica, Gran B retagna e Stati Uniti; b) tutti i sommergibili sarebbero stati affondati, salvo trenta che sarebbero stati suddivisi in parti eguali, a scopo sperimentale e tecnico, fra le predette tre Potenze; e) le armi. le munizioni e gli altri materiali costituenti le scorte delle navi da ripartire, sarebbero state consegnate a quella delle tre Potenze che avesse ricevuto le navi cui le scorte appartenevanò. (4) Vedansi in proposito il Cap. V. Sez 7 nonché l'allegato 12.
239 Orbene, tra i principi contenuti nello statuto di questa Organiuazione ve ne erano almeno tre che avevano rilevanza per la questione in esame, e cioè: a) ogni Nazione aveva il diritto innato di difendersi dalle aggressioni armate di cui potesse essere oggetto (art. 51 ); in forza di tale diritto ogni Nazione aveva titolo legittimo a mantenere quel minimo di armamenti che Je potesse garantire una prima protezione del proprio territorio in attesa che le Nazioni Unite venissero in suo aiuto; b) ogni Stato membro dell'Organizzazione delle Nazioni Unite era tenuto, se richiesto dal Consiglio di sicurezza di questa, a concorrere con proprie Forze al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali (art. 43); c) uno degli obiettivi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite era quello di realizzare misure di regolamentazione degli armamenti e possibilmente di disarmo (art. 11, 26 e 47). Per quanto sopra, si concludeva, giustizia ed equ ità richiedevano che il trattato di pace lasciasse all'Italia la flotta che ancora possedeva la quale, per le sue caratteristiche quantitative e qualitative non poteva nemmeno assicurarle un'adeguata autodifesa (5), e che fosse lasciato alla futura attività dell'Organizzazione delle Nazioni Unite il regolamento definitivo degli armamenti navali dell'Italia, da effettuarsi tenendo conto della sua particolare situazione economico-geografica, delle Forze assegnate alle altre Nazioni e degli impegni che sarebbero gravati su di lei come membro dell'Organizzazione. D'altra parte togliere ora all'Italia qualcuna di quelle navi con le quali essa aveva combattuto attivamente e lealmente a fianco delle Potenze alleate durante i venti mesi della cobelligeranza, sarebbe stato in contrasto con i più elementari principi di giustizia. Ciò non significava peraltro che l'Italia non . fosse disposta a prendere in esame ragionevoli richieste di risarcimento che fossero state avanzate dalla Francia, dalla Jugoslavia e dalla Grecia per le navi che essa aveva loro catturato in occasione dell'occupazione dei rispettivi ter· ritori e che non aveva potuto restituire dopo la firma dell'armistizio (6).
(S) La consistenza della flotta operante italiana alla fine del conflitto (vedasi l'allegato 11) era di 270.000 tonn. in cifra tonda. L'esame qualitativo di questa flotta metteva però in evidenza lo squilibrio esistente tra i vari tipi di navi e la presenza di molte unità che, per la loro vetustà, per il logorìo di una prolungata e intensa attività e per il loro mancato aggiornamento ai progressi tecnici, potevano considerarsi alla fine della loro esistenza. (6) A) - La convenzione d'armistizio tra l'Italia e la Francia del 24 giugno 1940 conteneva una clausola (la 12) secondo la quale tutte le navi da guerra francesi, salvo quelle necessarie per la difesa dei territori coloniali. avrebbero dovuto esser concentrate nei porti della Francia che sarebbero stati indicati e qui rimanere, smobilitate e disarmate, sotto il controllo dell'Italia e della Germania. li Governo italiano dichiarava in cambio che non avrebbe impiegato
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Gli ambienti responsabili della Marina avevano fiducia che la nostra tesi avrebbe trovato benevola accoglienza, almeno presso tre delle Potenze incaricate di procedere alla preparazione del trattato di pace ed esattamente presso Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia (7). E ciò non
durante la guerra le unità francesi poste sotto il suo controllo e che non avrebbe avanzato pretese su di esse alla conclusione della pace. Analoga clausola conteneva l'armistizio fra la Germania e la Francia. Nonostante l'atteggiamento tenuto da una quota non irrilevante della flotta francese (parte della quale passata alla dissidenza e parte fattasi internare dagli inglesi ad Alessandria d'Egitto) tale clausola fu osservata, per quanto le riguardava, da Italia e Germania sino al novembre 1942, epoca in cui - per premunirsi dalle conseguenze dello sbarco anglo-americano nell'Africa settentrionale (Casablanca, Orano e Algeri) e dall'atteggiamento assunto dalle Forze del Governo di Vichy ivi dislocate - occuparono la Tunisia, la Corsica e tutto il territorio metropolitano francese. Durante questa operazione la quasi totalità della flotta francese che trovavasi a Tolone si autoaffondò all'atto dell'entrata nella base delle truppe tedesche (27 novembre). In conseguenza di questo fatto l'Italia e Germania decidevano di catturare e di impiegare direttamente quelle unità francesi che erano ancora impiegabili e di demolire sul fondo le unità di cui non era ritenuto conveniente il ricupero, al fine di utilizzare il materiale che ne sarebbe stato ricavato. L'Italia si impadronì in tal modo, a Tolone e a Biserta, portandoli · in Italia, (oltre a naviglio minore ed ausiliario) di 8 cacciatorpediniere, 3 torpediniere, 2 avvisi e 6 sommergibili per complessive 26.000 tonn. circa. Di queste unità 2 cacciatorpediniere (per 3.500 tonn.) furono restituiti alla Francia dopo l'armistizio, nell'ottobre 1943. B) - Quando, nell'aprile 1941, le truppe italiane occuparono la Dalmazia, l'Italia si impadronì di quasi tutta la Marina jugoslava (che praticamente non op· pose alcuna attiva resistenza) ed esattamente (oltre al naviglio minore ed ausiliario) di 1 piccolo e vetusto incrociatore da 2.360 tonn., 4 cacciatorpediniere (di cui 1 in costruzione), 6 piccole antiquate torpediniere, 2 sommergibili e 6 MS da 60 tonn. Il tutto per complessive 12.000 tonn. circa. Di queste unità, 2 torpediniere, per 550 tonn., furono restituite dopo l'armistizio, nel dicembre 1943. C) - Praticamente l'Italia non si impadronì' di alcuna nave da guerra greca perché le unità della Marina ellenica che non andarono perdute durante il periodo 28 ottobre 1940-23 aprile 1941 (data questa della cessazione delle operazioni belliche in Grecia) si unirono alle Forze britanniche. E' da ricordarsi peraltro che il 15 agosto 1940 (quando ancora non esisteva stato di guerra tra i due Paesi) un nostro sommergibile operante in Egeo, per un complesso di disgraziate circostanze, aveva silurato ed affondato nelle acque dell'isola di Tino il piccolo e antiquato incrociatore « Elli » 2.100 tonn. Finita che fu la gu erra, da parte del Governo di Atene si chiese che l'Italia consegnasse alla Grecia una propria unità in sostituzione di quella affondata («Un elementare senso di giustizia - disse il reggente Damaskinos parlando nell'isola di Tino nel quinto anniversario dell'affondamento - esige che sia data alla Grecia u na nave italiana in sostituzione dell'incrociatore "Elli" » . Vedasi « Il Popolo» del 18 agosto 1945). Per dettagli su quanto sopra esposto, si rinvia a E. Bagnasco « Navi incorporate nella Marina italiana durante la seconda guerra mondiale» in « Rivista Marittima », ottobre 1961, pag. 21-48. (7) Documenti diplomatici pubblicati nel dopoguerra dimostrano come questa fiducia non fosse infondata. Un Comitato nominato dal Governo americano per studiare il problema della clausole di carattere militare da introdursi nel trattato di pace con l'Italia (Comitato composto da rappresentanti del Dipartimento di Stato e di quelli della Guerra e della Marina) nella relazione in
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solo per il buon fondamento degli argomenti su cui essa si basava, ma anche per un motivo di carattere politico-militare. « In conseguenza dell'avanzata verso occidente delle Forze sovietiche sino alla linea Stettino-Adriatico, si legge in una memoria dell'epoca dell'Ufficio Trattati della Marina, l'Italia è divenuta la frontiera in Mediterraneo dell'Europa occidentale. Per le sue caratteristiche, per la sua civiltà, per le sue tradizioni essa non vuole esser assorbita dall'avanzata slava; se ciò avvenisse gravi conseguenze ne verrebbero, oltre che all'Italia, a tutto il mondo libero ... E' quindi chiaro interesse non solo del nostro paese, ma anche della Gran Bretagna, dell'Europa occidentale e dell'America, che la posizione dell'Italia (e quindi anche l'efficienza delle sue Forze Armati:! ) non sia inàebolita ma rafforzata »(8). merito presentata il 6 settembre 1945 suggerì infatti una soluzione che quasi combaciava con quella della nostra Marina. Esso propose infatti che - in attesa dei provvedimenti di regolamento degli armamenti che l'Organizzazione delle Nazioni Unite avrebbe dovuto adottare in osservanza dell'art. 26 del suo statuto - fossero lasciate all'Italia le navi che essa possedeva (le più recenti delle quali, del resto, erano qualitativamente inferiori a quelle analoghe americane) con l'obbligo: a) di consegnarne a Francia, Grecia, Jugoslavia e Albania (a titolo di risarcimento per i danni navali loro inflitti) una limitata parte (l'Incr. Regolo, 1 Ct., 6 Corv .. 2 Smg. e una ventina di piccole unità); b) di indirizzare la futura attività delle sue Forze navali a scopi esclusivamente difensivi e di sostegno delle Nazioni Unite.(« Foreign Relations » cit. bibl. . 1945, Voi. IV, pg. 1034· 1047). Purtroppo - come vedremo - questo suggerimento non fu accolto. Anche da parte britannica vi erano autorevoli correnti non mal disposte verso la nostra Marina. come risulta da questo telegramma inviato il 6 agosto 1945 al Dipartimento di Stato dall'ambasciatore americano A.C. Kirk, consigliere politico del Comandante Supren;o alleato nel Mediterraneo, che era allora il maresc. Alexander. « Fra le dichiarazioni fatte daU'amm. John Cunningham [Comandante in Capo navale nel Mediterraneo] durante una discussione sul proposto trattato di pace con l'Italia - scriveva Kirk - vi è quella, fatta in termini molto energici, che la Marina è la sola delle tre Forze Armate italiane che ha mantenuto un buon "esprit de corps" e che sia un fattore positivo per il mantenimento della stabilità in questo paese [l'Italia]. Di conseguenza, egli ha detto, è importante, dovendo la Marina italiana esser ridotta, che ciò sia fatto in modo da non offenderne senza necessità il prestigio. Egli personalmente deplorava - ha aggiunto - la decisione che, a quel che sembrava, era stata presa a Teheran di trasferire alla Russia navi da guerra italiane e ha detto che sarebbe stata una vera iattura se ciò fosse avvenuto. Egli ha altresì affermato che la maggior parte degli Italiani che ragionano si rendono conto che esigenze di carattere finanziario non avrebbero consentito all'Italia di mantenere in armamento le corazzate e che non sarebbe stato perciò difficile, con ogni probabilità, di persuadere gli Italiani di fare a meno di questo tipo di unità e di accontentarsi di altri tipi di navi. Comunque, egli ha <.:oncluso, nella peggiore delle ipotesi dovrebbe esser permesso all'Italia di affondare o di demolire le navi che fossero eccedenti alle sue necessità. In seguito al colloquio che ho avuto in proposito con il maresc. Alexander, ho buon motivo di credere che egli condivida il punto di vista dell'amm. Cunningham " (« Foreign Relations ,. cit. bibl. 1945, Voi. IV, pg. 1017) (8) E che anche questo argomento fosse un argomento valido lo dimostra il fatto che sia a Washington che a Londra ci si preoccupò - nello stabilire i criteri che si sarebbero dovuti seguire nel preparare il trattato di pace con l'lta-
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I fatti dimostreranno purtroppo come, anche in questo caso (l'altro è quello della questione adriatica, di cui si è parlato nel precedente
capitolo), a.Ila Marina ci si facessero illusioni su quelli che erano i reali intendimenti nei nostri riguardi dei reggitori delle Potenze, vincitrici e sul valore che essi attribuivano alla « promessa di Quebec » (9) e al « sostanziale contributo » (10) da noi dato alla causa alleata durante i venti mesi di cobelligeranza ( 11 ). Le direttive elaborate dalla Marina furono approvate dal Comitato di difesa nella seduta del 23 agosto 1945 (12) e, opportunamente sviluppate e documentate, formarono oggetto di un ampio promemoria della
lia - di evitare di fare a questa - tradizionalmente e naturalmente legata al mondo occidentale - un trattamento che potesse spingerla a orientarsi verso Mosca o, quanto meno, che si risolvesse in un vantaggio per questa (vedansi « Foreign Relations » cit. bibl. - 1945, Vol. II, pg. 1034-1047 nonché _Woodeward Op. cit. bibl. (Il), Vol. III, pg. 478-479). A giudicare però dai fatti, a questo fattore non si dette un sostanziale peso, lasciando, soprattutto a Londra, che prevalesse il criterio di una pace punitiva (se non cartaginese come si pensava di fare con la Germania), criterio che trovò pienamente consenziente l'Unione Sovietica, la quale non aveva ovviamente alcun interesse a sostenere un paese gravitante nel campo avversario. (9) E' sintomatico che il « memorandum di Quebec», benché dovesse considerarsi strettamente collegato con lo « short armistice », non fu pubblicato assieme agli altri documenti armistiziali, quando di questi gli Alleati dettero pubblica conoscenza il 6 novembre 1945. (10) Comunicato della Conferenza di Potsdam. (11) Sul valore · attribuito dagli inglesi alla nostra cobelligeranza può far luce il seguente episodio. In un colloquio amichevole che l'amm. Paolo Maroni ebbe a Napoli il 19 settembre 1945 con il Comandante in Capo navale alleato in Mediterraneo, l'amm. britannico John Cunningham, il discorso cadde sull'intervista concessa il giorno precedente dal maresc. Alexander durante la quale egli aveva detto che la futura flotta italiana sarebbe stata « una forza piccola, mobile ed efficiente» ma priva di navi di linea e di sommergibili. Alla domanda dell'amm. Maroni se tale , notizia fosse vera l'amm. Cunningham rispose, sia pure a titolo privato, in modo· affermativo. « E allora, replicò l'amm. Maroni a che sono valsi i venti mesi di attiva e proficua cobelligeranza?». « Essi avranno gran peso; fu la rispostct, perché, a differenza della Germania, a cui saranno lasciati. soltànto "occhi per piangere" (senza una sola nave, senza un solo aereo, senza un cantiere, senza un arsenale, senza una scuola militare o navale) all'Italia sarà invece concesso di possedere una flotta piccola ma efficiente e capace di futuro sviluppo, benché priva di navi di linea e di sommergibili ». (12) La seduta .fù presieduta dal Presidente del Consiglio, on. Parri. Vi parteciparono il Ministro degli Esteri, on. De Gasperi, i Ministri militari· - on. Jacini, amm. de Courten, on. Cevolotto - nonché il Capo di S.M. Generale, gen. Trezzani. Il ministro De Gasperi, nella sua lettera scritta il giorno prima al Segretario di Stato americano (vedasi capitolo VII), parlando.. delle nostre Forze Armate si era limitato a dire: « L'Italia sarà lieta di cooperare, nel sistema di sicurezza delle Nazioni Unite, con adeguato contributo militare proporzionato alla sua posizione». ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1945, Voi. II, pg. 106-108 e, Vol. IV, pg. 1022-1029).
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Marina che, inviato al Ministero degli Esteri ( 13 ), fu da questo trasmesso ai nostri rappresentanti diplomatici a Londra, Washington, Mosca e Parigi (14).
2. La prima sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (Londra, 11 settembre - 2 ottobre 1945).
L'undici settembre si aprì a Londra la prima sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (1) per dare inizio alla preparazione dei trattati di pace, primo fra tutti quello con l'Italia. Le sue sedute, che si potrassero sino al 2 ottobre, furono segrete né ad esse parteciparono o presenziarono rappresentanti delle Potenze vinte interessate. L'Italia inviò a Londra una propria delegazione per seguire da vicino - per quanto possibile - l'andamento dei lavori. Della delegazione
(13) L'invio fu fatto con foglio 1870/ UT del 28 agosto 1945, diretto personalmente al ministro De Gasperi. (14) Non è stato possibile appurare in quale forma la trasmissione ebbe luogo. In una lettera ufficiosa del Segretario Generale del Min. Aff. Est., Prunas, al ministro de Courten in data 3 settembre 1945 (nr. 742) è detto testualmente che copia del promemoria era stata « immediatamente trasmessa agli ambasciatori a Londra [Carandini], Washington [Tarchiani] e Mosca [QuaroniJ ». (All'ambasciatore a Parigi, Saragat, copia del documento fu inviata alcuni giorni dopo). Sta di fatto che il cap. vasc. Giurati, facente parte come esperto navale della delegazione italiana inviata a Londra per seguire da vicino i lavori della prima sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (11 settembre-2 ottobre 1945), in una sua lettera del 5 ottobre segnalava al ministro de Courten che alla nostra ambasciata gli era stato detto che il Ministero degli Esteri, nel tn\smettere il promemoria della Marina, non aveva dato alcuna istruzione su come considerarlo: se considerarlo cioè espressione del punto di vista della Marina o del Governo. Quanto sopra il comandante Giurati confermava nella relazione di fine missione in data 15 ottobre prospettando « la necessità di interessare il Ministero degli Esteri perché facesse pervenire a Londra precise istruzioni al riguardo » . E' evidentemente in seguito a sollecitazione avu te in tal senso che il Segretario Generale del Min. Aff. Esteri, Prunas, così scriveva il 20 ottobre (lettera ufficiosa nr. 3/1850) al ministro de Courten: « Caro Ministro, due parole per assicurarti che gli ambasciatori Carandini . e Tarchiani sono stati autorizzati ad avvalersi del noto memoriale della R. Marina ... E' superfluo aggiungere che è stato loro confermato che esso rispecchia il punto di vista u fficiale italiano sull'argomento». (1) Essi furono, per gli Stati Uniti, J.F. Byrnes (suo sostituto J .C. Dunn); per la Gran Bretagna, E. Bevin (suo sostituto sir R.H. Campbell); per l'U.R.S.S., V.M. Molotov (suo sostituto Gusev); per la Francia, Bidault (suo sostituto Gouve de Murville); per la Cina, Wang Shih Chih (suo sostituto V.K. Wellington Koo). La presidenza delle sedute fu tenuta a turno con inizio con il ministro Bevin.
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era capo il nostro Ministro degli Esteri De Gasperi (2), il quale poté esporre al Consiglio il punto di vista dell'Italia soltanto sulla questione del nostro confine orientale. Della delegazione facevano parte, il cap. vasc. E. Giuria ti (3 ), quale esperto navale e il comm. G. Fortini, come esperto nelle questioni della Marina mercantile. Nonostante la segretezza delle sedute, parecchie notizie filtrarono ed esse permisero di stabilire che, sul problema del trattamento da farsi alle nostre Forze Armate, non vi erano state sostanziali divergenze di opinioni tra i quattro Ministri, e che questi si erano trovati d'accordo sul principio che l'Italia avrebbe dovuto possedere Forze Armate di modesta entità, atte a consentirle una prima difesa contro un'aggressione, in attesa dell'aiuto delle Nazioni Unite ( 4).
(2) De Gasperi si trattenne a Londra dal 17 al 23 settembre. Durante la sua assenza funzionò da Capo-delegazione il marchese Visconti Venosta, Sottosegretario agli Esteri. (3) Al cap. vasc. Giurati l'amm. de Courten affidò, perché la consegnasse all'amm. Andrew Cunningham, allora Primo Lord del Mare, la seguente lettera, datata 18 settembre. « Signor Ammiraglio... Nell'imminenza delle decisioni che dovranno definire l'avvenire dell'Italia e della sua Marina, il mio pensiero ricorre spesso al nostro incontro di due anni or sono, quando furono gettate le basi di quella collaborazione, a cui la Marina ha la coscienza di aver adempiuto con ogni energia e con esemplare spirito di sacrificio. « Le Sue parole di stima e di fiducia nella _Marina italiana, furono per me, nell'ora tragica che il Paese attraversava, di conforto e di aiuto: in esse vidi il primo segno di quella rinascita a cui ogni sforzo nostro è ancor oggi dedicato. « La Marina confida che quanto essa ha compiuto in questi due anni non sarà dimenticato, e che non si vorrà menomare una somma di energie e di ideali che tanto possono contribuire all'ordine e alla ricostruzione dell'Italia... ». La risposta - del 6 ottobre - fu la seguente: « Mio caro Ammiraglio... Ricorderò sempre il nostro incontro di due anni fa quando l'ondata della guerra si era abbattuta con tutto il suo impeto sul Suo Paese con conseguenze così disastrose per le vostre Forze Armate. « Ricordo ancora l'aiuto che la Marina italiana ha dato alla causa alleata nella fase finale della guerra in Mediterraneo e per questa cooperazione la Marina britannica è stata molto grata. « Solo il tempo mostrerà ciò che l'avvenire riserverà alla Marina italiana ... ». (4) A) - Radiodiscorso alla Nazione di Byrnes in data 5 ottobre 1945: « All'inizio vi fu qualche divergenza di vedute fra i partecipanti alla conferenza circa i modi con cui procedere alla limitazione degli armamenti [dell'Italia]. Noi ritenevamo che l'Italia dovesse contare sulle Nazioni Unite per la propria difesa contro un'aggressione e che non dovesse impegnarsi in una corsa agli armamenti quando tutte le sue risorse sono così necessarie per risanare la sua economia civile. Questo punto di vista è stato accettato da tutti» (Vedasi « United State and Italy, 1936-46 » - cit. bibl., doc. 87). Durante una conferenza stampa tenuta pochi giorni dopo, il Presidente del Consiglio, Parri, riferendosi all'affermazione di Byrnes secondo la quale l'Italia avrebbe dovuto contare sulle Nazioni Unite per la sua difesa, affermò che un
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Per quanto riguarda in particolare la Marina si seppe che - all'inizio della conferenza - erano state presentate due proposte, ambedue molto restrittive: una dalla Gran Bretagna e una dagli Stati Uniti. La prima prevedeva che fossero lasciate all'Italia 2 corazzate antiquate (a consumazione, senza possibilità di sostituzione), 6 incrociatori, 2 cacciatorpediniere di squadra, 20 torpediniere e 20 corvette, oltre a naviglio minore e ausiliario. La seconda era molto generica limitandosi a prevedere l'assegnazione all'Italia delle Forze strettamente necessarie per la propria difesa e per fornire eventuali contingenti militari all'Organizzazione delle Nazioni Unite (5). Mentre i lavori del Consiglio erano in corso, alla voce del Reggente greco, Damaskinos - che domandava la consegna da parte dell'Italia di una nave in sostituzione dell'affondato incrociatore « Elli » - si univa quella della stampa francese la quale chiedeva che l'Italia ricompensasse
tale princ1p10 avrebbe potuto esserci imposto ma che non sarebbe stato accettato dalla pubblica opinione se non ne fosse stata data la giustificazione. Egli aggiunse che, in ogni modo, l'Italia era pronta ad addivenire a misure di disarmo, purché fossero adottate da tutte le Nazioni. (Nota - Nell'aprile 1919 - come si è veduto nel capitolo VII - al nostro Ministro degli Esteri, Sonnino, che invocava argomenti strategici a sostegno delle nostre rivendicazioni riguardanti la Dalmazia, il presidente Wilson, per respingerle, si richiamò all'aiuto che l'Italia, se aggredita, avrebbe ricevuto dalla Società delle Nazioni. Alla distanza di ventisei anni il segretario di Stato Byrnes, malgrado la deludente prova fornita dall'istituzione ginevrina, ricorreva ad analogo argomento per deludere le legittime aspettative dell'Italia). B) - Lettera de/l'ambasciatore italiano a Mosca, Quaroni, al Ministero degli Esteri. (Fg. Min. Aff. Est. nr. 924/ 410 del 12 ottobre 1945). « Da un'alta personalità non russa, che ha preso parte alla Conferenza di Londra, ho avuto confidenzialmente le seguenti informazioni: ... Per quanto riguarda le limitazioni delle Forze Armate e dell'industria bellica italiana il mio interlocutore si è limitato a dirmi che su questo argomento non c'è stata praticamente alcuna discussione; tutti si sono messi presto d'accordo sulle proposte americane le quali, mi ha detto, non si basano su criterio punitivo, ma partono dal punto di vista -della necessità di tener conto del fatto che l'Italia non ha risorse sue da buttar via in spese militari e che l'America non può consentire a che i fondi che dovrà spendere in Italia vengano usati a questo scopo. Non ho potuto avere dettagli sulle limitazioni effettive che ci verranno imposte, né sulla forma che assumérà il relativo controllo ». (5) « The New York Times » del 26 settembre 1945, per la proposta inglese; lo stesso giornale del 13 settembre, per la proposta americana. Da ricordarsi ancora, come si è già veduto: a) l'intervista concessa dal maresc. Alexander (Comandante Supremo alleato nel Mediterraneo) all'Associated Press il 18 settembre, nella quale egli aveva dichiarato - come si è visto precedentemente che la futura flotta italiana sarebbe stata limitata a « una forza piccola, mobile ed efficiente» ma priva di navi di linea e di sommergibili; b) il colloquio del 19 settembre tra l'amm. P. Maroni e l'amm. J. Cunningham (Comandante in Capo navale delle Forze alleate in Mediterraneo) durante il quale la notizia suddetta era stata sostanzialmente confermata.
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la Francia (per le navi presele a Tolone e a Biserta e non restituite) con un egual tonnellaggio di unità della sua flotta (6). Tutte le notizie, in ogni modo, concordavano nel senso che la sessione del Consiglio si era chiusa senza che nulla di definitivo fosse stato deciso sulla questione che stiamo esaminando. Da documenti ufficiali pubblicati successivamente è possibile ricostruire con esattezza l'andamento dei lavori del Consiglio. Effettivamente, come era trapelato, le delegazioni di Gran Bretagna e Stati Uniti avevano presentato al Consiglio due memorandum concernenti i principi che avrebbero dovuto esser seguiti nella preparazione del progetto di trattato di pace con l'Italia. Quello britannico, avente il titolo «Draft Heads of Treaty with Italy», recava la data del 12 settembre; quello americano, intitolato «Suggested Directive to Deputies From the Council of Foreign Ministers to Govern Them in the Drafting of a Treaty of Peace With Italy», era datato 14 settembre. Il primo (7), molto dettagliato, era stato preparato dal Foreign Office, come ci racconta il Woodward (8), secondo le seguenti direttive: « Noi desideravamo che un'Italia democratica, liberata dal Fascismo, tornasse ad essere un utile e prospero Stato europeo. Ritenevamo inoltre necessario che a questo Stato fosse data una ragionevole possibilità di vita e di sviluppo economico al fine di impedire che esso si rivolgesse verso il Comunismo e cadesse così sotto l'influenza russa. Tenuto conto della sua posizione geografica, noi volevamo mantenere con l'Italia relazioni amichevoli e accoglierla come membro di un'organizzazione dell'Europa occidentale che fosse eventualmente sorta dopo la guerra. Il nostro interesse in un'Italia amica era aumentato dalle tendenze della politica russa in Europa e dal contegno recentemente tenuto verso di noi dal maresciallo Tito. « D'altra parte non era neanche il caso di pensare che l'Italia potesse esser considerata ancora una grande Potenza. Era necessario dimostrare all'Italia e al mondo che l'aggressione non paga; l'Italia avrebbe dovuto perciò avere la pena meritatasi con la sua passata condotta e per aver partecipato alla guerra a fianco della Germania. Di conseguenza il trattato di pace avrebbe dovuto prevedere la cessione da parte dell'Italia di territori metropolitani e d'oltremare e una riparazione da parte della stessa; tutto ciò non avrebbe dovuto però esser spinto sino al punto da porre in pericolo la stabilità interna ed economica del paese. Noi avremmo dovuto inoltre fare attenzione alla suscettibilità italiana in materia di forma e incoraggiare gli Italiani con il facilitare la loro ammissione nell'Organizzazione delle Nazioni Unite». (6) Vedasi « Il Giornale del Mattino» del 14 settembre 1945; telegr. Min. Aff. Est. D.G.A.P. nr. 6550 e 7065 del 18 e 30 settembre 1945. (7) « Foreign Relations » cit. bibl. . 1945, Voi. II, pg. 135-147 (8) Woodward · Op. cit. bibl. (II), Voi. III, pg. 478-479.
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Le disposizioni concernenti la Marina contenute nello schema di trattato proposto dalle autorità britanniche erano le seguenti: (9) 1) La flotta italiana avrebbe dovuto esser costituita come segue: 2 vecchie corazzate, a consumazione;
3 incrociatori con cannoni di calibro non superiore a 6 pollici (152 mm) ( 10); 2 cacciatorpediniere di squadra; 20 torpediniere; 20 corvette. Da aggiungersi quel numero di piccole unità di superficie che fosse stato possibile mantenere in armamento con un contingente di 3.000 uomini, ufficiali compresi (art. 35). Divieto di rimpiazzare le due vecchie corazzate lasciate e di possedere navi portaerei (art. 38, par. a), e 37). 2) Le « Principali Potenze Alleate» avrebbero ·deciso il da farsi per le navi dell'Italia in soprappiù a quelle lasciatele (art. 37). 3) La forza del personale della Marina avrebbe dovuto aggirarsi sui 18.000 uomini, tutti volontari a lunga ferma. Sarebbe stato proibito il servizio di leva, c0me pure ogni forma di istruzione militare navale a persone non facenti parte della Marina da guerra (art. 36 e 39). 4) Distruzione di quelle fortificazioni e installazioni navali che fossero state indicate dalle Potenze vincitrici e divieto di costruirne di nuove senza il loro consenso (art. 40). 5) Divieto di costruire o possedere comunque qualsiasi materiale bellico - ivi comprese •l e navi da guerra e gli aeromobili militari - in soprappiù a quello che l'Italia era autorizzata a possedere (art. 52, par. a). 6) Divieto di costruire o sperimentare « armi a grande gettata, missili guidati o installazioni analoghe, mine marine, siluri, sommergibili nonché naviglio specializzato d'assalto» (art. 32). Le disposizioni di cui ai suddetti commi da 1) a 5) avr ebbero dovuto restare in vigore sino a quando il Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite non avesse disposto altrimenti; i divieti di cui
(9) Oltre a quelle, come già detto nel precedente capitolo, che prevedevano la smilitarizzazione di Pantelleria e delle isole Pelagie (1L ampedusa, Linosa e Lampione) nonché limitazioni di carattere militare per la Sicilia e la Sardegna (art. 12 e 31). (10) Nella seduta tenuta dal Consiglio il 27 aprile 1946 il Ministro Bevin disse che il numero degli incrociatori doveva intendersi di 5 e che il numero di 3 risultante nel documento presentato il 12 settembre 1945 era dovuto a errore di copiatura ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. II, pg. 128).
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al comma 6), invece, avrebbero dovuto aver valore vincolante senza alcun lìmite di tempo (art. 34). Era prevista inoltre l'istituzione di un « Ispettorato Alleato » con il compito di sorvegliare che l'Italia rispettasse le clausole militari del trattato. Le spese per questo organo - che sarebbe rimasto in vita sino a quando le « Principali Potenze Alleate » lo avessero ritenuto conveniente - sarebbero state a carico dell'Italia (art. 56-58). L'Italia, infine, quando fosse stata ammessa nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, avrebbe dovuto fornire a questa, per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, quelle Forze che la stessa le avesse richiesto (art. 59 e 60)(11 ). H documento americano (12) era meno ampio e più generico e, per quanto riguarda gli armamenti da consentire all'Italia, prevedeva (13) che questi - terrestri, navali ed aerei - fossero « strettamente limitati alle necessità: a) del mantenimento dell'ordine in Italia (14); b) di quegli eventuali contingenti militari, in aggiunta ai suddetti, che potessero essere necessari al Consiglio di sicurezza [ dell'Organizzazione delle Nazioni Unite] » (15).
(11) Le clausole militari dello schema di trattato presentato dalla delegazione britannica furono telegrafate a Washington da quella americana per le eventuali osservazioni dei Dipartimenti della Guerra e della Marina. La risposta ricevutane concludeva così: « Per quanto ci riguarda riteniamo che le clausole dello schema britannico siano di una durezza non necessaria, sia nella sostanza che nella forma, e che esse provocherebbero in Italia sentimenti di risentimento che potrebbero esser sfruttati in un secondo tempo per alienarci l'opinione pubblica italiana. La durezza delle clausole causerebbe una continua· agitazione... e potrebbe anche incoraggiare il ricorso a sotterfugi per accrescere segretamente gli armamenti. Inoltre l'Ispettorato Alleato - che secondo gli inglesi dovrebbe essere un organo di lunga durata con il compito di esercitare un controllo più rigido di quello dell'Organizzazione delle Nazioni Unite - darebbe la pos,1b:!ità di inteferenze e interventi continui negli affari interni italiani da parte di quelle Potenze i cui interessi non fossero quelli di favorire l'esistenza di Forze Armate italiane idonee a garantire la sicurezza o la legittima difesa ( « Foreign Relations cit. bibl. . 1945, Voi. II, pg. 135, nota 73). Anche al Comando Supremo alleato nel Mediterraneo il progetto di trattato britannico, preso nel suo complesso, era generalmente considerato molto, troppo severo, sia nella sostanza che nella forma ( « Foreign Relations » cit. bibl. · 1945, Vol. IV, pg. 1032 e 1052-1053). . (12) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1945, Voi. Il, pg. 179-181. (13) Oltre alla smilitarizzazione, come già detto nel precedente capitolo, di Pantelleria, Lampedusa, Linosa e Lampione. (14) Questa espressione fu così modificata dal Consiglio nella seduta del 17 settembre: « a) del mantenimento dell'ordine nel territorio italiano e della difesa locale alle frontiere italiane» ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1945, Vol. II, pg. 204 e 466 ). (15) Le proposte del documento americano evidentemete non sposavano il punto di vista del Comitato interministeriale statunitense cui si è fatto precedentemente cenno; esse traevano origine piuttosto dalla seguente direttiva che il 15 giugno il Dipartimento di Stato aveva inviato a quelli della Guerra e della Marina circa il trattamento da farsi all'Italia in materia militare. « Come le
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La questione del trattamento da farsi alle Forze Armate italiane fu presa in esame dal Consiglio dei Ministri degli Esteri in tre sedute (la priIT'a del 14, le altre due del 15 settembre) durante le quali - dopo aver apportato alcuni lievi ritocchi ai due documenti presentati dalla delegazione britannica e da quella americana - fu raggiunto rapidamente 1'accordo di affidare ai Sostituti la preparazione delle clausole militari del progetto di trattato di pace, da effettuarsi nell'osservanza dei principi generali accolti dai due documenti (16) . Benché le notizie sui lavori del Consiglio che erano trapelate fossero tutt'altro che rosee, i responsabili della Marina non si perdettero d'animo, non solo perché esse avrebbero potuto essere non esatte, ma soprattullo perché - come unanimamente si diceva - nulla di definitivo era stato deciso e non si doveva quindi escludere che i quattro Ministri degli Esteri - tenuto conto della validità degli argomenti addotti dalla Marina a sostegno della sua tesi - potessero tornare, almeno in parte, sulle deliberazioni che avevano adollato.
3. I passi fatti nell'intervallo tra la prima e la seconda sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri a sostegno del nostro punto di vista. Ebbe così inizio tutta una serie di interventi ufficiosi presso esponenti e componenti delle Marine alleate (interventi che si protrassero sino alla conclusione del trattato di pace) miranti a convincerli della fondatezza delle nostre richieste e ad ottenerne quindi l'appoggio per il loro accoglimento ( 1).
altre Potenze del suo rango - si diceva - l'Italia dovrebbe essere incoraggiata a far affidamento in futuro, per la propria sicurezza, soprattutto sull'Organizza1.ione delle Nazioni Unite. Per l'immediato periodo post-bellico è nostro proposito di imporre all'Italia quelle restrizioni che sono necessarie per salvaguardare gli altri paesi da un aggressione italiana. Tuttavia, al fine di assicurare al· l'Italia una vera indipendenza, questo paese non dovrebbe vedere le sue Forze difensive ridotte al punto da costit uire per i suoi vicini un invito a ricorrere nei suoi riguardi all'aggressione o al ricatto diplomatico. La formula è perciò "parziale disarmo con permesso di Forze limitate",. (« Foreign Relations,. cit. bibl. - 1945, Vol. IV, pg. 1008-1009). (16) « Foreign Relations » cit. bibl. · 1945, Voi. II, pg. 204 e 466, 210212 e 467. (1) Questo atteggiamento è tanto più ammirevole se si tien conto che, alle indiscrezioni non confortanti che erano trapelate circa le decisioni - sia pur non definitive, a quanto si diceva - del Consiglio dei Ministri degli Esteri, si dovevano aggiungere noti,de non proprio liete inviale da Londra al ministro de Courten dal comandante Giurati. • L'ambasciatore Carandini, scriveva questi il 22 settembre, è, nel complesso, il più pessimista di tutti, perché gli eventi hanno dimostrato che l'appoggio americano su cui tutti contavano, è mancato in pieno: i: proprio la dclcF:azionc americana è quella più chiusa e contraria
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Così il 4 novembre il ministro de Courten, prendendo lo spunto dal rientro in Italia dei nostri sommergibili che avevano operato in Atlantico in cooperazione con la Marina americana, dirigeva al Ministro della Marina degli Stati Uniti, James Forrestal, una lettera nella quale diceva fra l'altro: « Colgo volentieri questa opportunità per sottoporre con fiducia alla Sua attenzione la questione delle sorti future della Marina italiana, che naturalmente mi stanno particolarmente a cuore. « La Marina italiana ha applicato con la massima lealtà le clausole dell'armistizio; ha partecipato con fedeltà ed onore alla guerra contro la Germania; era desiderosa di dare il suo contributo alla guerra contro il Giappone. La Marina è quindi intimamente convinta che profonde ragioni morali ed etiche giustifichino la sua fiducia attesa di un trattato di pace che sanzioni ufficialmente il suo diritto di conservare la flott~ che essa attualmente possiede e che ha operato per venti mesi a fianco delle Marine alleate fino al termine della ostilità. « Ogni decisione contraria avrebbe gravi ripercussioni sul morale degli ufficiali e degli equipaggi ... Ancora più ingiustificata e grave, per le possibili reazioni, apparirebbe l'eventuale imposizione di cedere navi della Marina italiana ad altre Nazioni. « Non ignoro che eventuali esigenze di carattere generale e necessità interne di stretta economia possano suggerire soluzioni diverse da quella fiduciosamente attesa; ritengo tuttavia della massima importanza che sia fatto tutto il possibile per trovare formule concordate che - nella salvaguardia dei valori morali - consentano di attendere e superare senza difficoltà il periodo tra il trattato di pace e l'applicazione dei principi dello statuto delle Nazioni Unite. « Non sembra che la ricerca di tali formule debba presentare particolari difficoltà poiché la nostra flotta è contenuta in modesti limiti ed è anche poco equilibrata nella sua composizione. Essa quindi potrebbe esser mantenuta nella sua forma attuale: rientrerebbe poi nell'applicazione dello statuto delle Nazioni Unite (nella cui Organizzazione è previsto che l'Italia entri dopo la firma del trattato di pace) determi-
a qualunque forma di contatti». E successivamente (lettera del 1° ottobre). • Ho la precisa impressione che né Carandini né l'on. Visconti Venosta considerino il problema della Marina come molto importante. Da un punto di vista generale questo potrebbe essere anche abbastanza logico, soprattutto se il trattato di pace venisse discusso nel suo complesso: ma invece la tendenza è di trattare una questione alla volta, e quindi un sacrificio fatto in un campo, difficilmente è compensato con un vantaggio in un altro "· E alcuni giorni dopo (lettera del 5 ottobre): « Mi preme confermarLe la mia impressione che qui tutto l'ambiente degli Esteri, anche se non lo dice, considera il problema della Marina poco importante e, di più, ritiene che la fondamentale richiesta illustrata nel promemoria della Marina sia insostenibile. Inoltre all'ambasciata si sos.tiene che il Ministero degli Esteri non le ha ancora dato alcuna istruzione nei riguardi di tale promemoria ».
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nare le eventuali sue limitazioni nel quadro generale del disarmo delle varie Nazioni, nonché stabilire i mezzi per l'autodifesa da assegnarsi ad ogni Nazione e i'l contributo di Forze Armate che ciascuna di esse dovrà mettere a disposizione del Consiglio di sicurezza ». La risposta, molto breve, tardò ad arrivare (essa portava la data del 27 dicembre) e, benché cortese nella forma, fu molto deludente nella so.stanza. In essa Forrestal infatti, dopo aver rinnovato « il suo apprezzamento, già precedentemente espresso, per la cooperazione data dalla Marina italiana alle Autorità alleate», così si esprimeva circa il suo futuro: « Come Lei afferma, numerosi fattori dovranno esser presi in esame per la risoluzione di questo problema e posso dire che tali fattori sono già tutti oggetto di serio e attento esame da parte del nostro Governo ». Il lungo ritardo con cui la risposta era stata inviata e il tono di questa erano quanto mai eloquenti. Evidentemente Forrestal, ben sapendo come stavano le cose e la parte determinante che gli Stati Uniti vi avevano avuto a Londra perché esse fossero indirizzate nel senso in cui erano state dirette, non poteva dare alcuna di quelle assicurazioni da noi ansiosamente attese, ma avrebbe dato sicuramente prova di buon gusto se - tenuto conto del valore che era stato di fatto attribuito alla nostra cooperazione - si fosse astenuto dal rinnovarci il suo apprezzamento per la stessa. Nell'intervallo fra le due lettere sopra indicate, ed esattamente· il 1° dicembre 1945, il ministro de Courten, approfittando della presenza a Napoli del Comandante in Capo navale del Mediterraneo, l'ammiraglio britannico John Cunningham, si era incontrato con questo e, durante il colloquio, gli aveva consegnato, con preghiera di farlo pervenire all'Ammiragliato, un promemcria sull'avvenire della nostra Marina. Questo documento - sostanzialmente analogo alla lettera a Forrestal - dopo aver esposto le argomentazioni a sostegno della richiesta dell'Italia di conservare la flotta, modesta e non equilibrata, che le era rimasta alla fine del conflitto, concludeva chiarendo un punto vago della lettera succitata, esattamente là ove parlava di « formule concordate che - nel'la salvaguardia dei valori morali - consentissero di attendere e superare senza difficoltà il periodo tra il trattato di pace e l'applicazione dei principi dello statuto delle Nazioni Unite ». « Riconosciuto che sia dal trattato di pace il diritto dell'Italia a conservare la flotta che essa attualmente possiede - diceva il punto 7° del promemoria consegnato a Cunningham - non è detto che, nell'attesa delle decisioni che saranno prese dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, tutte le navi da guerra debbano esser mantenute in pieno armamento. « E' evidente che, dovendo le risorse economiche del Paese esser dedicate, nella massima misura possibile, alle opere di ricostruzione, è dovere della Marina limitare allo stretto indispensabile gli oneri finanziari da essa richiesti. Ed è infatti già previsto che non tutte le navi
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(2) Lettera del m1msLro de Courten al Ministro degli Esteri nr. 3208/UT in data 11 dicembre 1945.
253 rere tecnko in merito) fece subito notare che l'Ammiraglio britannico era uno, sia pure influente, dei numerosi organi analoghi delle Potenze alleate cui avrebbe potuto esser richiesto un parere in proposito. « Posso dire però, continuò, che l'Ammiragliato riconosce in pieno che 'la Marina italiana ha eseguito il suo compito fedelmente e con lealtà, ragione per cui essa sarà trattata con generosità. Credo che le verrà concesso di continuare a sussistere, contrariamente a quanto avverrà per le flotte tedesca e giapponese. Però, date le pèrdite inflitte alle Potenze alleate, sarebbe assurdo sperare che l'Italia possa conservare tutte le navi che oggi possiede. Sia il numero che il tipo delle unità che le verranno lasciate, sia il modo in cui saranno cedute le altre, è una decisione che spetta unicamente al Consiglio dei Ministri degli Esteri. « Ad esso le Autorità navali britanniche non potranno che dare un consiglio, nel formulare il quale esse dovranno tener naturalmente conto delle richieste di alcune Nazioni alleate. « Ad occidente c'è la Francia che ha una sola nave di linea e che non accetterà certamente che l'Italia ne abbia cinque; a oriente la Grecia e la Jugoslavia vorranno sicuramente rimpiazzare le loro perdite; qualche cosa vorrà senza dubbio anche il colosso del Nord. In queste condizioni non vedo come l'Italia possa rimanere con la flotta che possiede, la quale attualmente è la più forte del Mediterraneo. « Non mancherò comunque di far conoscere a'll'Ammiragliato le ragioni italiane, di cui comprendo il valore morale, ma conosco anche molto bene il punto di vista pieno di spirito di vendetta di alcuni ex nemici ... Fra queste quattro mura posso dire che apprezzo altamente il valore del'la Marina italiana e che questo sentimento è condiviso dalle alte sfere navali britanniche e americane, però, a causa di quello spirito di vendetta al quale ho già accennato, a un certo momento saranno invocate (con tutto il loro peso sulle decisioni da adottare) ragioni politiche, nelle quali gli ufficiali di Marina non avranno voce in capitolo. So solamente che la Marina italiana non potrà conservare tutte le navi che attualmente possiede, ne voglio dare delle false speranze in questo senso al Ministro ... « Ho saputo che elementi della Marina ita'liana avrebbero intenzione di sabotare le navi che dovrebbero esser cedute (3) ... Se questo dovesse avvenire le unità sabotate dovrebbero esser sostituite da altre, prelevate dal nucleo che rimarrebbe all'Italia ». Non si può far certo colpa all'amm. Cunnigham di non esser stato esplicito anche se egli tacque sul punto principale e cioè che era stata proprio la Gran Bretagna - praticamente l'Ammiragliato - a proporre quelle mutilazioni e quelle limitazioni della Marina italiana che erano
(3) La risposta dell'amm. de Courten fu « Anche in questo è questione di misura, ma non nascondo che qualsiasi cessione creerebbe una bruttissima sensazione tra gli equipaggi».
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state accettate nella quasi loro interezza dal Consiglio dei Ministri degli Esteri nella sua sessione di Londra. Ai due citati interventi ufficiosi molti altri se ne aggiunsero presso personaggi in posizione di minor responsabilità ma la cui voce avrebbe potuto avere in ogni modo favorevoli riflessi per la nostra causa. Cito per tutti, a titolo d'esempio, l'ammiraglio americano Ellery W. Stone, Capo della Commissione Alleata. Si giunse persino a interessare, al di fuori dell'ambiente militare, un principe della Chiesa, il cardinale statunitense Strik, che, sul finire del febbraio 1946, si trovava a Roma. Nel frattempo i Ministri degli Esteri dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti e di Gran Bretagna si erano incontrati a Mosca per superare le divergenze dei punti di vi~ta - non in materia militare - emerse nel loro incontro di Londra ( 4 ). L'incontro ebbe esito positivo, cosicché il 18 gennaio 1946 i Sostituti dei suddetti Ministri e di quello francese si riunivano a Parigi per preparare i progetti di trattato di pace con l'Italia nonché con Ungheria, Romania, Bulgaria e Finlandia. Le voci che trapelarono ben presto su questo lavoro non furono liete per la Marina perché confermavano quelle che erano corse in occasione della sessione di Londra del Consiglio dei Ministri degli Esteri (5). E a pensare che, proprio in quel periodo, il ministro Bevin dichiarò ai Comuni che l'Italia aveva fatto molta strada per guadagnarsi il « biglietto di ritorno » e che la direttiva cui il Governo britannico si sarebbe attenuto era che « l'Italia non doveva esser trattata al tavolo della pace come se Mussolini fosse ancora vivente » ! ( 6 ). Ai primi di marzo il Ministero degli Affari Esteri inviava a quelli della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica un telespresso che così si esprimeva (7): « L'Ambasciatore a Londra ha comunicato in data S u.s. quanto segue: "Con lettera in data 4 corrente ambasciatore Gusev (8), in qualità di presidente di turno del Comitato dei Supplenti, accusa ricevuta, a nome quattro delegazioni, dei memoriali e documenti su frontiera italojugoslava, frontiera italo-austriaca e colonie italiane. "Predetto chiede inoltre conoscere se Governo italiano intenda sottoporre memorandum o punto di vista per iscritto su altri aspetti del trattato di pace. (4) ·L a riunione ebbe luogo dal 16 al 26 dicembre 1945. I tre Ministri erano Molotov, Byrnes e Bevin. (5) Telespressi Min. Aff. Est. - D.G.A.P., nr. 189· e 214, rispettivamente del 20 e 25 febbraio ln946, con notizie inviate dall'ambasciata di Washington. (6) Discorso del 22 febbraio 1946. Resoconto « Reuter », riportato da « Politica Estera» 1946, nr. 9, pag. 222. (7) Telespresso - D.G.A.P. nr. 275 del 7 marzo 1946. (8) Era il «Sostituto» sovietico.
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"Lettera Gusev costituisce implicitamente accettazione formale richiesta presentare nostro punto di vista scritto anche su questioni sulle quali non, dico non, siamo ancora invitati a esprimerci (militari, politiche etc.)". « Questo Ministero esprime per parte sua parere favorevole a che - oltre alla documentazione già inviata per loro conoscenza agli ambasciatori a Londra, Parigi, Washington e Mosca, in relazione a.i problemi militari connessi con il trattato di pace - sia ufficialmente fatto pervenire al Consiglio dei Supplenti, sotto forma di memorandum, come è già stato fatto per le questioni di carattere territoriale, il punto di vista del Governo italiano. « Questo Ministero lascia a codesto, ove concordi, di compilare (in lingua italiana e inglese) tale rriemorandum, che questo Ministero avrà cura di trasmettere al Consiglio dei Supplenti pel tramite dell'ambasciata a Londra ». In seguito a questa lettera, ognuno dei tre Ministeri militari provvedeva, sotto l'azione coordinatrice dello Stato Maggiore Generale, alla compilazione del memorandum richiestogli. Quello del Ministero della Marina è riportato nel .s uo testo integrale nell'allegato 15. Esso era intitolato « Considerazioni relative alla Marina militare nei riguardi del trattato di pace» ed era sostanzialmente una rielaborazione e uno sviluppo dei concetti già espressi nel promemoria, del quale si è già parlato, inviato al Ministero degli Affari Esteri con foglio l870/UT del 28 agosto 1945 (9) nonché delle idee esposte dal ministro de Courten nella sua lettera del 4 novembre 1945 al Ministro della Marina degli Stati Uniti, Forrestal, e nel suo incontro del 1° dicembre successivo con l'amm. J. Cunningham. Si indicano comunque qui di seguito, per comodità del lettore, i punti essenziali di tale documento. , 1) La consistenza della Marina, diceva il memorandum, all'atto dell'armistizio era - non tenendo conto del naviglio ausiliario - di tonn. 424.033; nella fedele esecuzione delle clausole armistiziali erano andate perdute 144.789 tonn. di naviglio (in parte autoaffondatosi per non cadere in mano tedesca e in parte distrutto per effetto dell'offesa germanica dura nte il trasferimento verso le basi alleate) e altre 9.675 nel successivo periodo della cobelligeranza (10). In definitiva, alla fine delle ostilità, la (9) Era omessa soltanto (per evidenti motivi di negoz1az1one, essendo il memorandum destinato non ad uso del Ministero degli Affari Esteri, ma ad esser presentato ai vincitori) la parte ove si diceva che si era disposti a prendere in esame ragionevoli richieste di risarcimento che fossero state presentate da Francia, Jugoslavia e Grecia per le perdite navali da esse subìte in conseguenza della nostra azione. Questo argomento fu però toccato nel memorandum, a seguito di questo, presentato al Consiglio dei Ministri degli Esteri il 27 giugno 1946. (10) Per maggiori dettagli vedasi Cap. V, Sez. 7.
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consistenza della Marina era ridotta a tonn. 269.569, cifra notevolmente svalutata, dal punto di vista qualitativo, dallo squilibrio esistente fra i vari tipi di navi (5 corazzate, 9 Incr. B, 11 Ct, 22 Torp., 19 Corv. e 36 Smg.) nonché dalla preesnza di molte unità logore o antiquate. 2) Per ragoni di carattere etico, inerenti al comportamento della Marina all'atto dell'armistizio e nel periodo di cobelligeranza, l'Italia chiedeva anzitutto che le fosse confermato il possesso della flotta che ancora possedeva: decisioni che l'avessero privata di qualcuna di quelle navi che durante 20 mesi avevano operato a fianco di quelle delle Nazioni Unite, e che erano state per il popolo italiano simbolo di ordine e di disciplina, sarebbero state assai onerose e difficilmente accettabili. 3) Era stato autorevolmente ed esplicitamente affermato che, a conclusione avvenuta del trattato di pace, l'Italia sarebbe stata ammessa nell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Ciò implicava che, nella formulazione del trattato suddetto, si dovesse tener conto dei principi accolti dallo statuto di tale Organizzazione. Tra questi ve ne erano tre che avevano rilevanza per il problema navale: l'autodifesa è un diritto innato in ogni Nazione (art. 51 ); ogni membro dell'Organizzazione è tenuto, se richiesto, a concorrere con le proprie Forze al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali (art. 43); uno degli scopi dell'Organizzazione è quello di realizzare misure di regolamentazione degli armamenti e possibilmente di disarmo (art. 11, 26 e 47). In relazione a questi principi si faceva presente quanto segue: a) Autodifesa - Logiche ed evidenti considerazioni relative alla situazione geografico-economica dell'Italia permettevano di concludere con sicurezza che, per assicurare l'autodifesa delle sue frontiere marittime e dei suoi traffici marittimi essenziali, l'Italia doveva poter disporre di una Forza navale composta prevalentemente da unità a carattere difensivo, ossia da incrociatori, unità di scorta, corvette, motosiluranti e sommergibili di modesto tonnelbggio (le unità sottili per la sorveglianza e la scorta del naviglio mercantile, gli incrociatori per l'indispensabile appoggio alle unità sottili, i sommergibili per contribuire alla sicurezza di zone di particolare interesse e per l'addestramento dei mezzi antisommergibili). Ovviamente la possibilità di un'efficace difesa nel campo navale pr~supponeva la disponibilità di un'adeguata Forza aerea, dalla quale il progetto per la Marina prescindeva (11). Le navi dei tipi accennati che questa ancora possedeva erano senza dubbio insufficienti ai compiti dell'autodifesa; ciò avvalorava la richiesta che esse le fossero integralmente lasciate e che nel trattato di pace non fossero inserite clausole che potessero pregiudicare la determinazione della Forza navale difensiva che sarebbe stata assegnata all'Italia dall'Or-
(11) Al problema accennava il memorandum del Ministero dell'Aeronautica.
257 ganizzazione delle Nazioni Unite, tenendo conto della sua particolare situazione geografico-economica e delle Forze assegnate alle altre Nazioni. b) Forze a disposizione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite - Nella fiducia che, ammessa a far parte di tale Organizzazione, l'Italia fosse chiamata a contribuire alla costituzione delle Forze Armate a disposizione dell'Organizzazione stessa, essa riteneva che le corazzate (<Italia» e« Vittorio Veneto» avrebbero potuto rappresentare un apporto apprezzabile, che l'Italia sarebbe stata ben lieta di dare. La posizione dell'Italia in Mediterraneo valorizzava inoltre l'importanza delle sue basi navali. Ciò rendeva ancora più evidente la necessità che fossero assicurate all'Italia Forze sufficienti a consentirne la difesa, onde assicurarne l'uso alle Forze dell'Organizzazione evcntuamente chiamate ad operare in Mediterraneo. c) Regolamentazione degli armamenti - Le misure di regolamentazione degli armamenti, e possibilmente di disarmo, previste dallo statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite avrebbero portato senza dubbio a un complesso di limitazioni sia nel campo qualitativo che quantitativo. Evidenti ragioni di equità richiedevano quindi che all'Italia fosse lasciata la flotta che ancora possedeva, rimettendo alla futura attività dell'Organizzazione suddetta il regolamento definitivo dei suoi armamenti navali. 4) L'Italia, per facilitare la redazione del trattato di pace, riteneva opportuno, mentre formulava le sue richieste, precisare le direttive che intendeva seguire nella gestione futura della sua Marina, nell'ipotesi che dette richieste fossero state accolte. Tali direttive, ispirate a criteri puramente difensivi, potevano così riassumersi: a) ridurre al minimo l'onere finanziario relativo al mantenimento delle sue Forze navali: - mantenendo in servizio solo l'aliquota moderna delle sue unità da combattimento leggere e sottili; - adibendo due o tre corazzate al servizio di navi scuola, eventualmente accettando una riduzione del loro potenziale bellico. Se le corazzate Italia e Vittorio Veneto fossero state poste a disposizione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, il servizio suddetto sarebbe stato affidato alle tre corazzate tipo « Doria »; in caso contrario ci si sarebbe avvalsi a tal fine delle corazzate Italia e Vittorio Veneto, radiando e demolendo le altre tre di tipo antiquato; - adeguendo il naviglio ausiliario alle necessità della Marina quale sarebbe risultata dalla nuova organizzazione; - radiando e demolendo il naviglio eccedente, se non utilizzabile per servizi civili.
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b) Ridurre le basi navali al numero strettamente indispensabile alla consistenza della flotta. c) Ridurre la forza del personale a circa 40.000 uomini, 3.5004.000 ufficiali e 36.000 tra Sottufficiali e militari di bassa forza, escluso il personale adibito alla difesa costiera e contraerea delle basi navali. (12) d) Limitare i lavori alle navi a quanto necessario per mantenerne l'efficienza, rinunciando ad ogni programma di radicali trasformaziom. Con questi provvedimenti la consistenza della flotta, per quanto riguarda le unità da combattimento, sarebbe stata ridotta da 270.000 to11n. a sole 100.000 tonn. circa. (13)
In sintesi con il memorandum si chiedeva che - tenuto conto del comportamento della Marina all'atto dell'armistizio e nel successivo pcnodo della cobelligeranza contro la Germania - non le fosse tolta alcuna delle navi che ancora possedeva (la cui consistenza, d'altra parte, non era tale qualitativamente da consentirle di far fronte alle necessità difensive del paese) rimettendo all'Organizzazione delle Nazioni Unite ogni decisione sui futuri armamenti navali dell'Italia, nel qu.::tdro generale delle misure che tale Organizzazione avrebbe dovuto prendere, per disposizione statutaria, al fine di regolamentare gli armament1. Nel frattempo l'Italia, conscia com'era delle preminenti necessità della ricostruzione civile, avrebbe dato un carattere strettamente difensivo alle sue Forze navali (sia da combattimento che ausiliarie), radiando o demolendo il naviglio eccedente, se non utilizzabile per servizi civili. Il memorandum, rimesso al Ministe ro degli Affari Esteri il 10 aprile, venne da questo presentato al Consiglio dei Ministri degli Esteri - unitamente ai memorandum dei Ministeri della Guerra e dell'Aeronautica ( 14)
(12) Al problema della difesa costiera accennava il memorandum del Ministero della Guerra; a quello della difesa contraerea il memorandum del Ministero dell'Aeronautica. (13) Secondo quanto esposto nel memorandum del luglio 1946, di cui si parlerà più avanti, queste 100.000 tonnellate sarebbero state costituite da 8 incrociatori, 9 cacciatorpediniere, 18 torpediniere, 20 corvette, 8 sommergibili e un adegualo numero di motosiluranti. A queste unità si sarebbero dovuto aggiungere 50.000 tonn. di naviglio ausiliario nonché 2 o 3 corazzate adibite a navi scuola, previa eventuale riduzione del loro potenziale bellico. La scelta delle unità da conservare in servizio, il cui tonnellaggio complessivo avrebbe raggiunto le 100.000 tonn., era stata effettuata seguendo il criterio di conservare in attività le unità più efficienti e quelle che richiedevano in minor misura quei lavori di modifica e di miglioramento imposti dai progressi che la tecnica aveva realizzalo durante gli ultimi anni. (14) I memorandum dei Ministeri della Guerra e dell'Aeronautica prevedevano che - in attesa della regolamentazione degli armamenti prevista dallo statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite - la consistenza dell'Esercito e dell'Aeronautica fosse stabilita nella misura sotloindicata, che era quella necessaria per far fronte alla prima difesa del paese contro aggressioni esterne e per con-
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- come espressione del punto di vista in merito del Governo italiano (15). La presentazione fu fatta con un memorandum introduttivo d'accompagnamento, datato aprile 1946, contenente alcune considerazioni generali sui tre documenti nonché l'indicazione di alcuni punti da tener presenti nel loro esame. Ecco i principali di questi punti: a) nel formulare le richieste e i programmi avanzati si era escluso che il futuro trattato avrebbe potuto disporre la smilitarizzazione di zone delle frontiere terrestri e marittime nazionali, dato che un provvedimento del genere sarebbe stato in aperto contrasto con il carattere che si voleva dare all'organismo militare italiano. Non si sarebbe potuto infatti, senza cadere in contraddizione, consentire la difesa del territorio nazionale e vietare quei lavori che per essa erano indispe!1sabili; b) nel predisporre le richieste e i programmi stessi non si era tenuto alcun conto del criterio di relatività rispetto alle Forze d'altri Stati confinanti, criterio tuttavia fondamentale, anche sotto lo stretto punto di vista difensivo. Ne derivava che a tali richieste e a tali programmi doveva esser riconosciuto un carattere transitorio, tanto più che la situazione degli armamenti di ogni Nazione sarebbe stata presa in esame a breve scadenza dall'Organizzazione delle Nazioni Unite; c) nonostante il carattere minimo delle richieste avanzate nei tre memorandum, l'Italia era disposta alla loro più ampia discussione in relazione ai suggerimenti delle Potenze alleate. Le notizie che erano pervenute, mentre si procedeva alla preparacorrere, in caso di necessità, al man tenimento dell'ordine interno, a sostegno delle Forze di polizia. Esercito: 236.000 uomini (non comprese in tale cifra le aliquote necessarie per i Carabinieri e per la difesa contraerea del territorio) dotati a sufficienza, in ogni campo, dei mezzi di armamento più moderni. Aeronautica: conservare lo stato di fatto esistente, costituito da 3 stormi da caccia (198 velivoli), 3 stormi per compiti di esplorazione strategica, bombardamento leggero e ricognizione (96 velivoli), 2 stormi per idro-soccorso (64 velivoli) e I stormo circa per le scuole, per il mantenimento della linea di cui sopra e per i servizi di collegamento e speciali (Sezione della Presidenza del Consiglio, Reparto Volo dello Stato Maggiore etc.). Era peraltro necessario prevedere in un futuro non immediato un congruo sviluppo dei reparti destinati alla cooperazione aerea con l'Esercito e con la Marina nonché l'istituzione - al momento praticamente non esis tente - di un'adeguata organizzazione di difesa contraerea del territorio (avvistamento, segnalazione e allarme, reazione aerea, reazione terrestre, protezione). ( 15) In considerazione dell'importanza che la questione presentava, fra il Ministero della Marina e quello degli Esteri fu concordato che il memorandum - di cui furono fatte 500 copie a stampa - venisse distribuito senza attendere che fossero ultimati quelli relativi dell'Eesercito e all'Aeronautica nonché il memorandum introduttivo d'accompagnamento. In seguito a tale accordo lo stesso 10 aprile il Ministero degli Esteri ne mandò 10 copie all'ambasciata a Londra perché - in attesa di poter presentare ufficialmente i quattro documenti - a guadagno di tempo ne fosse iniziata subito la distribuzione in via ufficiosa al Comitato dei Sostituti.
260 zione dii questi memorandum, sulle intenzioni nutrite dai vincitori nei riguardi delle nostre Forze Armate, non erano state certamente tranquillanti. « Per quanto riguarda il disarmo aveva telegrafato il 18 marzo l'ambasciata di Londra al nostro Ministero degli Esteri (16) - Dunn mi ha dichiarato che, per quanto riguarda i nostri armamenti terrestri, marittimi ed aerei, i punti di vista americano e inglese concordano, in massima, per una soluzione ragionevole che consentirà alla nostra Marina di assolvere limitati compiti per la nostra sicurezza in Mediterraneo e al nostro Esercito di garantire l'ordine interno e la prima difesa contro un'aggressione locale dall'esterno, in attesa dell'intervento degli organi di sicurezza collettiva. lI punto di vista del Governo americano è che sia da escludere uno sviluppo delle nostre Forze Armate eccedente questi limitati compiti ». « Secondo accenni fattirni - aveva telegrafato il nostro ambasciatore a Washington il 28 marzo (17) - gli Inglesi avrebbero insistito e insisterebbero al Consiglio dei Sostituti a Londra per limitare a un terzo la nostra flotta da guerra ... Interlocutore ha. aggiunto che da vari Stati vi erano già richieste per spartizione del nav,iglio da guerra italiano che risulterà eccedente a quello che il trattato di pace lascerà all'Italia ». E che le cose si mettessero male ne fu la prova la seguente comunicazione, sia pure non ufficiale, che l'ambasciatore britannico a Roma d'ordine del suo Governo - aveva fatto sul finire del mese di marzo al nostro Ministero degli Esteri (18). « Il Governo di Sua Maestà è venuto a conoscenza che le Autorità italiane potrebbero prendere in considerazione la possibilità di affondare alcune navi della loro flotta qualora esse fossero loro richieste dal trattato di pace. « Faccio presente in forma non ufficiale e privata che, a parere del Governo di Sua Maestà, una tale azione potrebbe risolversi soltanto in un danno per l'Italia e che essa, naturalmente, costituirebbe una violazione delle condizioni armisbiz,iali. « Contemporaneamente tale azione sarebbe contraria agli interessi dell'Italia perché, se qualcuna delle navi destinate ad esser consegnata a una Potenza alleata dal Trattato di pace fosse affondata, un egual numero di unità sarebbe tolto dalla flotta lasciata all'Italia » (19).
(16) Telespresso - Min. Aff: Est. - D.G.A.P. nr. 340 del 20 marzo 1946 - Dunn era il Sostituto del Segretario di Stato americano. (17) Telespresso · Min. Aff. Est. - D.G.A.P. nr. 411 del 1° aprile 1946. (18) Lettera ufficiosa del Segr. Gen. del Min. Aff. Est., amb. R. Prunas, al ministro de Courten, nr. 400 del 28 marzo 1946. (19) Come si ricorderà un discorso del genere aveva fatto l'amm. J. Cunningham al ministro de Courten nel loro incontro del 1° dicembre 1945.
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4. La seconda sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (Parigi, 25 aprile . 12 luglio 1946).
I n questa ·s ituazione ebbe m1uo a Parigi la seconda sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri, che doveva svolgersi in due tempi: dal 25 aprile al 16 maggio, e dal 15 giugno al 12 luglio. La questione della sorte della flotta italiana fu presa in esame dal Consiglio il 27 aprile. Come questa si fosse ,s volta non si seppe esattamente dato che le sedute del Consiglio erano segrete. Trapelarono però subito notizie con discreta generosità e la stampa ne parlò ampiamente ( 1); non fu perciò diffìicile farsi un'idea abbastanza esatta delle decisioni che erano <State prese. Eccole in sintesi: - delle navi che possedeva, l'Italia avrebbe conservato 2 corazzate, 4 incrociatori, una ventina di cacciatorpediniere e torpediniere complessivamente e un pari numero di èorvette. Nessun sommergibile le ,s arebbe stato lasoiato; - esperti navali alleati avrebbero sottoposto ad esame il problema di come ripartire le navi italiane e proposto quindi al Consiglio, per le decisioni, quali di dette unità lasciare all'Italia (nei limiti numerici sopra indicati) e come suddividere le restanti fra le Potenze vincitrici. Queste notizie - che provocarono vivo malcontento e vivaci reazioni anche nell'opinione pubblica - fecero cadere le restanti speranze che si nutrivano per una soluzione della questione che avesse tenuto conto della « promessa di Quebec » e del comportamento della Marina durante la cobelligeranza. Il senso di amarezza e di sconforto che ne seguì fu reso più acuto dai commenti in proposito di alcuni organi di stampa alleati. Scriveva l'americano « New Herald Tribune» del 3 maggio, dopo aver riportato alcune notizie sulle decisioni che erano state prese sulla nostra flotta: « Sta diventando sempre più evidente che l'Italia sarà gravemente colpita dalle condizioni del trattato che ad essa sarà presentato dagli Alleati, salvo che la progettata conferenza delle ventun Nazioni per la pace europea non riesca ad apportarvi delle modifiche. L'opinione generale dei circoli vicino al Consiglio dei Ministri è la stessa che esisteva al Dipartimento di Stato [ degli Stati Uniti] prima della riunione del Consiglio e cioè che sarà assai difficile per le piccole Nazioni di provocare dei grossi cambiamenti nel documento che sarà loro presentato dai
(1) Vedansi, ad esempio, per la stampa italiana, « Il Messaggero», « Italia Nuova », « Il Popolo», « Risorgimento Liberale» del 28 aprile; per la stampa straniera, « New Herald Tribune» del 29 aprile e 3 maggio, « The Times » del 4 maggio.
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quat Lro Grandi ... Per quanto riguarda il Governo italiano è chiaro che, non avendo esso alcun suo portavoce al tavolo del Consiglio, potrà far conoscere la sua opinione soltanto dopo che le clausole saranno state stabilite e che, in definitiva, dovrà accettare il trattato che gli sarà presentato senza esser stato prima interpellato ... « Una preoccupazione che è emersa dai circoli vicini al Consiglio è quella che, se le clausole sulla flotta stabilite dai quattro Grandi fossero ritenute troppo gravi dalle autorità navali italiane, queste potrebbero fare affondare le loro unità piuttosto che sottomettersi a delle condizioni che esse considerassero vergognose per un cobelligerante. Questa è una lontana pos9ibilità, ma è un definito timore degli esperti navali ben informati delle reazioni provocate a Roma dalle decisioni dei quattro Grandi ». Di altro tono (acido, ma in piena armonia con le direttive del Foreign Office e con lo spirito del progetto di trattato di pace britannico da cui traevano origini le decisioni del Consiglio dei Ministri) era il commento comparso nel numero del 4 maggio dell'autorevole « The Times: "La decisione del Consiglio, si diceva, benché abbia provòcato scalpore nella stampa italiana, è giusta e ragionevole. Le disposizioni per il disarmo dell'Italia sono meno drastiche di quelle imposte alla Germania. Eppure, benché le possibilità dell'Italia per un'aggressione non abbiano mai rivaleggiato con quelle del suo alleato nordico, il suo spirito aggressivo è rimasto sfrenato sino all'ora della disfatta militare. Dal 1919 l'Italia è stata un continuo fattore di disturbo nella politica mediterranea; anche prima dell'avvento del regime fascista il suo atteggiamento verso i vicini meno forti ha riscosso l'approvazione di pochi osservatori. Oggi, quando le risorse italiane sono urgentemente necessarie per ripristinare il benessere del popolo italiano e, se possibile, per risarcire parte dei danni arrecati agli altri dall'aggressione italiana, non sarebbe giustificato consentire o incoraggiare un tentativo dell'Italia di riacquistare la sua posizione di Potenza navale o militare» (2).
(2) E' nel clima di avvilimento e di delusione venutosi a creare in conseguenza delle decisioni del Consiglio dei Ministri degli Esteri che si inserisce lo spiacevole episodio che segue. Come si è precedentemente veduto, il 10 aprile il Ministero degli Affari Esteri aveva inviato alla nostra ambasciata a Londra dieci copie del memorandum preparato dalla Marina dicendole che - in attesa di ricevere quelli relativi all'Esercito o all'Aeronautica - a guadagno di te mpo ne iniziasse subito la distribuzione ai Sostituti. A quanto pare (e di ciò si ebbe più tardi conferma) l'ambasciata non si era comportata nel senso indicatole cosicché il memorandum non era ancora pervenuto nelle mani dei quattro Ministri degli Esteri quando essi si riunirono il 27 aprile per decidere sulla sorte della nostra flotta. Di ciò la Marina ebbe subito notizia da sicura fonte alleata. E' molto probabile, per non dir sicuro. che, anche se la distribuzione avesse avuto luogo, nulla sarebbe cambiato nella decisione adottata dal Consiglio dei Ministri degli Esteri, ma è certo che una tale negligenza (che ricordava l'atteggiamento agnostico tenuto dall'ambasciata di Londra, nei riguardi del problema navale, durante la prima sessione di detto Consiglio) era inconcepibile e giu-
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Il cap. vasc. E. Giuriati (che, come si ricorderà, era già stato a Londra nel settembre 1945, durante la prima sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri) , subito inviato a Parigi per cercare, attraverso rapporti con i membri del Comitato degli esperti navali alleati, di avere ulteriori e più sicure notizie, riuscì, dopo aver superato una certa resistenza, a mettersi in contatto soprattutto con gli esperti inglesi e americani e a raccogliere così informazioni se non complete - per il comprensibile riserbo dei suoi interlocutori sui punti più delicati - certo sufficienti per farsi un'idea più ampia e più esatta della situazione. Si riuscì così a sapere - a integrazione di quanto già si conosceva: - che le due corazzate lasciate all'Italia non erano né l'Italia né la Vittorio Veneto; - che le quattro Potenze, pur essendo d'accordo sul numero e sui tipi delle navi da lasciarci, non concordavano su quali esse dovessero stifica pienamente la violenta lettera di protesta scritta dal m1mstro de Courten al ministro degli Esteri De Gasperi (foglio 1610/ UT del 30 aprile 1946), lettera che si riporta nella sua parte sostanziale. « Non è necessario che io metta in rilievo a V.S. diceva la lettera - l'eccezionale gravità della omessa consegna del documento. La mancata conoscenza, da parte dei quattro Ministri, delle nostre argomentazioni non può non aver esercitato una dannosa influenza sulle decisioni concretate a Parigi; essa è suscettibile di avere gravi ripercussioni anche sulle condizioni del Trattato di pace nel campo navale, apparendo ora assai più difficile far recedere gli Alleati da decisioni divenute di pubblico dowinio. « In queste condizioni mi corre J'obbligo di manifestare a V.S. la mia deplorazione per questa grave trascuratezza, la cui responsabilità dovrebbe, a mio parere, essere determinata per le conseguenti esemplar i sanzioni. « Non è ammissibile che leggerezza od insipienza di uomini, in contrasto con le disposizioni ricevute, possa compromettere il risultato di lunghi sforzi intesi ad ottenere il riconoscimento dell'attività e del sacrificio di migliaia e migliaia di marinai e ad evitare alla Nazione il peso morale e materiale di ingiustificate sanzioni. « Come avrebbero potuto i quattro Ministri degli Esteri, nell'esaminare il problema del futuro della nostra Marina, tener giusto conto dei fattori a noi favorevoli, se nel momento decisivo essi non avevano ancora avuto comunicazione del punto di vista dell'I talia sull'argomento? Eppure questo è avvenuto». Dagli atti non risu lta se, e in caso affermativo, cosa sia stato risposto. Sta di fatto comu nque che il memorandum fu presentato ufficialmente al Consiglio dei Ministri degli Esteri soltanto il 10 maggio 1946 con nota 4229 della nostra Rappresentanza diplomatica a Parigi! La verità è che negli ambienti del nostro Ministero degli Affari Esteri il problema delle Forze Armate era considerato - forse non completamente a torto - come un problema già deciso in partenza dai vincitori, sul quale ben poco c'era da fare, e, in ogni caso, di importanza non primaria come erano quelli delle colonie, delle riparazioni e soprattutto della Venezia Giulia. Sintomatico è che un diplomatico così abile ed intelligente come era l'ambasciatore Quaroni - all'epoca nostro rappresentante a Mosca - ritenesse opportuno richiamare l'attenzione (in una lettera al suo Ministero datata 15 aprile) sul pericolo di farsi ipnotizzare dalla questione del confine orientale, facendo passare in seconda linea le altre, nel loro complesso d'importanza non minore (Telespresso Min. Aff. Est. - D.G.A.P. nr. 591 del 4 maggio 1946).
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l.!Ssere, specialmente per gli incrociatori e i cacciatorpedinieri. Infattì mentre gli Anglo-Americani erano del parere di lasciare all'Italia le unità più efficienti, i Russi e i Francesi erano di opposto avviso; - che ci sarebbe stato vietato il possesso di alcuni tipi di unità, soprattutto dei sommergibili; - che si era discusso (radio discorso di Byrnes del 20 maggio) a quale titolo sarebbero state consegnate agli Alleati le unità che avrebbero dovuto es,ser ad essi cedute dall'Italia: a titolo di preda bellica ( come sostenevano i Russi) o a titolo riparazioni (come avevano proposto gli Americani)? I documenti diplomatici sulla questione pubblicati nel 1970 dal Governo americano (3) ci consentono oggi di conoscere come andarono effettivamente le cose. Nel corso del mese di marzo il Comitato dei Sostituti aveva dato incarico al Comitato degli esperti navali ( 4) di ,s ottoporre ad esame l'articolo 35 dello schema di trattato di pace con l'Italia presentato dal delegato britannico durante la sessione di Londra del Consiglio dei Ministri degli Esteri e da questo, come si è veduto, accettato (unitamente ad analogo ma più generico documento americano) come base per la redazione, a cura dei Sostituti, delle clausole militari del trattato di pace. Dell'esame effettuato il Comitato degli esperti rese conto in un suo rapporto del 15 aprile che qui di seguito si riporta nei suoi punti essenziali. Anzitutto quale era il testo dell'articolo da sottoporre ad esame? Eccolo: « La flotta della Marina italiana sarà limitata a: 2 vecchie corazzate, 3 incrociatori con cannoni di calibro non superiore a 152 mm. (6 pollici), 2 cacciatorpediniere di squadra, 20 torpediniere, 20 corvette, quel numero di piccole unità di superficie che può esser equipaggiato e mantenuto in armamento con un contingente di 3.000 uomini, ufficiali compresi ». E' da rilevarsi, per quanto riguarda gli incrociatori, che, come disse il ministro Bevin nella seduta del Consiglio del 27 aprile, il loro numero
(3) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Vol. II, pg. 58-60, 128-134, 139. (4) Il Comitato era così costituito: cap. vasc. Pryce (Stati Uniti), cap. vasc. Mackay (Gran Bretagna), commodoro Yakovlev (U.R.S.S.), cap. vasc, Rebuffel (Francia).
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doveva intendersi di 5, dato che il numero di 3 risultante nel documento presentato, era dovuto a errore di copiatura (5). L'esame dell'articolo mise in evidenza la differenza di vedute su alcuni punti fra gli esperti di Stati Uniti e Gran Bretagna, da una parte, e quelli dell'Unione Sovietica e della Francia dall'altra, come risulta dalle seguenti proposte sul numero di navi da lasciare all'Italia, che non fu possibile conciliare. Stati Uniti Gran Bretagna Corazzate Incrociatori Caccia torpediniere Torpediniere Corvette
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Unione Sovietica Francia 2 3
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3
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Per quanto si riferisce agli incrociatori l'esperto americano, pur dando la sua preferenza al numero di 5, suggerì, in via di compromesso, di stabilirlo in 4. L'esperto britannico si dichiarò pronto ad accettare tale compromesso purché lo fosse anche dagli altri, ma i rappresentanti francese e sovietico non accettarono tale soluzione. Per quanto riguarda l'ultima parte dell'articolo il Comitato si trovò invece d'accordo che esso fosse modificato ristrettivamente come segue: « quel numero di piccole unità da combattimento, come dragamine, navi pattuglia, piccole cannoniere (eccetto le motosiluranti) e piccole unità ausiliarie, come rimorchiatori, trawlers, navi appoggio, che può esser equipaggiato e mantenuto in armamento con un contingente di. 2.500 uomini, ufficiali compresi ». Il Comitato propose inoltre che all'articolo fosse aggiunto un altro comma del seguente tenore: << Durante il periodo necessario per il dragaggio delle mine, l'Italia sarà autorizzata ad equipaggiare temporaneamente un numero suppletivo di dragamine con un contingente supplementare di non più di 2.000 uomini, ufficiali compresi ». Il rapporto del Comitato degli esperti navali fu preso in esame dal Consiglio dei Ministri degli Esteri nella sua seduta del 27 aprile, durante la quale gli argomenti presi in esame furono sostanzialmente tre: a) entità della flotta da lasciare all'Italia;
(5) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1945, Vol. II, pg. 139; 1946, Vol. II, pg. 128. (6) Siccome l'Italia aveva in servizio solo 19 corvette, doveva esser autorizzata a completare una delle corvette in costruzione o a ricu perare e ripristinare una di quelle affondate.
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b) trattamento da farsi al naviglio italiano che sarebbe risultato eccedente; c) trattamento da farsi al naviglio italiano in costruzione o danneggiato. Esaminiamoli separatamente.
Entità della flotta da lasciare all'Italia. E' qui da ricordare, a titolo di premessa, che tutt'e quattro le Potenze erano d'accordo di non lasciare all'Italia tutta la flotta in attività di servizio che essa ancora possedeva. Il progetto di trattato di pace preparato dal Governo britannico, e da questo presentato alla sessione di Londra del Consiglio dei Ministri degli Esteri, non lasciava alcun dubbio in proposito e l'esser stato esso accettato da parte dei delegati statunitense, •s ovietico e francese come base per la redazione del progetto di trattato di pace, era prova evidente di quello che era il loro pensiero. Si trattava quindi di stabilire ora, quante e quali unità lasciare all'Italia. Il problema del quanto era stato affrontato, come abbiamo veduto, dal Comitato degli esperti navali, che però non era riuscito a raggiungere un'intesa sul numero di incrociatori, di cacciatorpediniere e di torpediniere da lasciare all'Italia. Il Consiglio dei Ministri risolse la questione con l'accettazione, per gli incrociatori, del compromesso che era stato suggerito infruttuosamente, in sede di Comitato degli esperti, da quello americano, e, per cacciatorpediniere e torpediniere, con l'adesione del gruppo franco-sovietico, al punto di vista anglo-americano. L'entità della flotta da lasciare all'Italia risultò pertanto così stabilita: Corazzate 2 Incrociatori 4 Cacciatorpediniere 4 Torpediniere 16 Corvette 20 Da notarsi che, durante la discussione, il ministro francese Bidault fece presente che il punto di vista del suo Governo era che la flotta italiana non avrebbe dovuto superare quella francese del Mediterraneo e che, nello stabilire quale avrebbe dovuto essere la flotta da lasciare all'Italia, si sarebbe dovuto indicare, per ogni categoria di navi, non solo da quante ma anche da quali unità sarebbe stata costituita, evitando di lasciare agli Alleati quelle più antiquate o in cattive condizioni. In accoglimento di questa richiesta e delle proposte avanzate dal Comitato degli esperti, il Consiglio decise quindi: I) che il Comitato predetto gli indicasse per le decisioni:
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a) quali navi maggiori , entro i limiti numerici sopra indicati, lasciare ali 'Italia; b) quali unità minori - da combattimento e ausiliarie - lasciare alla stessa. Il loro numero avrebbe dovuto esser pari a quello che sarebbe stato possibile equipaggiare e mantenere in armamento con un contingente di 2.500 uomini; c) il numero massimo di uomini che la Marina italiana ,s arebbe stata autorizzata a mantenere in servizio (7); 2) che fosse introdotta nel trattato una clausola secondo la quale l'Italia sarebbe stata autorizzata a conservare, sino alla fine delle operazioni di dragaggio delle mine, un limitato numero di dragamine (quello equipaggiabile con 2.000 uomini) in aggiunta a quello che le sarebbe stato lasciato (8). Trattamento da farsi al naviglio italiano che sarebbe risultato eccedente
Il progetto di trattato di pace presentato alla sessione londinese del Consiglio dei Ministri degli Esteri da parte della delegazione britannica lasciava impregiudicata tale questione; si limitava infatti a dire che ogni decisione in merito sarebbe stata di competenza delle « Principali Potenze Alleate ». Il documento presentato da parte americana nella stessa sede due giorni dopo, ignorava il probl,~ma. Il Consiglio dei Ministri degli Esteri decise che il naviglio che sarebbe risultato in soprappiù a quello lasciato all'Italia, se di superficie, fosse ripartito tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, Francia. Grecia e Iugoslavia, se sommergibile, venisse distrutto, salvo una piccola aliquota da suddividere, per essere utilizzata a scopi sperimentali, fra le quattro grandi Potenze (9). Raggiunto che fu quest'accordo, il Segretario di Stato americano pose la questione del titolo secondo il quale avrebbe dovuto aver luogo la consegna. A titolo di preda bellica o in conto riparazioni? Molotov rispose senza esitazione che le unità cedute dovevano esserlo come preda bellica, analogamente a quanto era stato deciso a Potsdam per le navi tedesche, chiudendo evidentemente gli occhi di fronte a una verità solare e cioè che la Marina italiana - a differenza di quella tedesca - aveva a suo credito verso gli Alleati venti mesi di collaborazione, data loro lealmente e pienamente, nel quadro della "promessa di
(7) Il progetto inglese parlava di 18.0VO uomini, tutti volontari a lunga ferma. (8) « Foreign Rclations » cit. bibl. - 1946, Voi. II, pg. 128-129 e 139. (9)Il trattamento fatlo ai sommergibili era identico a quello usato per quelli germanici ed era dovuto alla netta presa di posizione in proposito della Gran Bretagna che, come osservò scherzosamente Byrnes, « era allergica ai sommergibili».
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Quebec". Byrnes, che aveva sollevato la questione al probabile scopo di far considerare consegnate in conto riparazioni le navi che l'Italia avrebbe dovuto cedere e addolcirle così l'amara pillola che avrebbe dovuto trangugiare, non trovando adeguato appoggio in Bevin e Bidault, a quel che risulta non insistette (10). Raggiunta così un'intesa, i quattro Ministri si trovarono d'accordo di affidare al Comitato degli esperti navali l'incarico di presentar loro proposte per la ripartizione delle navi eccedenti, attenendosi alle seguenti direttive: - prendere anzitutto in esame le richieste della Grecia e della Jugoslavia, tacitandole con unità di superficie; - ripartire quindi in modo equo tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia le restanti unità di superficie e una piccola aliquota dei sommergibili ( 11 ).
Trattamento da farsi al naviglio italiano in costruzione o danneggiato. La questione fu insistentemente sollevata da Molotov allo ,s copo dichiarato di aumentare il numero delle unità da ripartire tra gli Alleati. E ciò benché Bevin dichiarasse che, secondo il suo Governo, tutte tali unità avrebbero dovuto esser demolite e che Byrnes aggiungesse che gran parte di esse ri•s ultavano non riparabili. Fu infine deciso di rimettere la questione al Comitato degli esperti navali perché la esaminasse, riferendo in merito ( 12). Queste notizie così dettagliate e sicure che lasciavano ben poche speranze sul ,trattamento che i quattro Grandi avrebbero riservato alla nostra flotta, non erano però a conoscenza degli ambienti responsabili della Marina, i quali erano costretti a condurre la loro azione ,sulla base delle informazioni non sempre concordanti, ricavate dalla stampa e dai contatti con gli ambienti americani e britannici, per ovvie ragioni portati a gettare acqua sul fuoco onde evitare possibili energiche e forse drastiche reazioni da parte nostra.
(10) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. II, pg. 422-423. Nel radiodiscorso tenuto il 20 maggio 1946, con il quale riferì alla Nazione americana sui lavori del Consiglio dei Ministri degli Esteri, Byrnes così si espresse sulla questione. « Il Governo sovietico insiste che parte delle navi da guerra italiane che si sono arrese alle Marine degli Stati Uniti e della Gran Bretagna siano divise con lui. Esso dice che queste navi sono preda bellica. Ma la preda bellica appartiene alla Nazione che l'ha catturata. L'Unione Sovietica non ha mai diviso con le Nazioni alleate alcuna preda bellica da lei catturata. Noi siamo pronti a darle in conto riparazioni una parte delle navi da guerra italiane arresesi a noi; essa però si rifiuta di riceverle a tale titolo». Malgrado queste buone intenzioni del Segretario di Stato americano, sta di fatto che Molotov ebbe partita vinta. (11) « Fòreign Relations » cit. bibl. . 1946, Voi. II, pg. 129-134 e 139. (12) « Foreign Relations » cit. bibl. . 1946, Vol. II. pg. 129-134 e 139.
269 In altre parole le notizie che si avevano erano decisamente cattive ma si sperava che un richiamo alla famosa "promessa di Quebec" e alla leale e sostanziale collaborazione data dalla Marina agli Alleati durante la cobelligeranza, avrebbe potuto portare a ripensamenti da parte del Consiglio dei Ministri degli Esteri e a una revisione di quanto esso aveva deciso - così si pensava - a titolo non definitivo. E' da questa speranza che trasse origine la lettera che il ministro de Courten scrisse il 29 maggio 1946 all'on. De Gasperi, nella sua veste di Presidente del Consiglio e di Ministro degli Esteri (13). Se ne riportano - integralmente - i punti salienti, data la loro importanza. « Secondo le informazioni sino ad ora pervenute diceva la lettera - i Ministri degli Estez-i avrebbero raggiunto un accordo di principio, assai generico, circa la consistenza della futura flotta italiana e circa l'assegnazione delle eccedenze, ma nessuna decisione sairebbe stata presa sulle unità da lasciare all'Italia e su quelle da ripartire. « Sembrerebbe 'inoltre che, fino ad ora, l'attitudine anglo-americana sia stata quella di ricercare una soluzione che, mentre permetta alla flotta italiana di conservare una sufficiente consistenza, ne salvi il prestigio, adottando per le eventuali cessioni una formula compatibile con il senso di onore della Marina italiana. A tale criterio deve probabilmente intendersi inspirata la proposta Byrnes per l'inclusione della voce "navi da guerra" tra quelle previste per il pagamento delle riparazioni. Si sono infine avute notizie, in massima attendibili, circa le richieste che, da parte di varie Nazioni, ,s arebbe,ro state avanzate nei riguardi del naviglio italiano eccedente. Ciò ha portato varie fonti, anche ufficiali, ad usare l'espressione "bottino di guerra" nei riguardi del naviglio italiano. « Ritengo necessario precisare fin d'ora che tale espressione non è né fondata né ammissibile; essa sarebbe in contrasto con lo spirito e la lettera dell'armistizio firmato il 3 settembre e dell'annesso "documento di Quebec", in base ai quali la flotta italiana si è trasferita nelle basi controllate dagli Alleati, e soprattutto dell'accordo Cunningham - de Courten. « In ogni modo, in base alle notizie sopra accennate, è possibile formulare qualche considerazione ad integrazione di quelle che hanno formato oggetto del memorandum dell'aprile u.s., in cui era illustrato e documentato il punto di' vista italiano su questo problema. Consistenza della futura flotta italiana. « a) Dal punto di vista quantitativo il memorandum ha già affermato che la cifra di 100.000 tonnellate di naviglio (ad esclusione delle coraz« 1)
(13) La lettera - inviata per conoscenza al gen. Trezzani, Capo di Stato Maggiore Generale - portava il numero 2024/UT. Essa trattava, nella sua prima parte, della questione adriatica; questa parte è stata riportata nel precedente Cap. VII.
270 zate), a cui la Marina italiana intenderebbe ridursi, costituisce un minimo che non può essere ulteriormente ridotto senza che siano compromesse le vitali necessità difensive dell'Italia. « b) Dal punto di vista qualitativo è ovvia la neces•s ità che la cifra di 100.000 tonnellate sia raggiunta con il naviglio attualmente più efficiente; in realtà si tratta sempre di navi che, per quanto moderne, sono state soggette ad un enorme logorio e che non hanno potuto avere negli ultimi anni i regolari periodi di lavori, indispensabili alla loro completa efficienza, né i rimodernamenti imposti dai progessi della scienza e della tecnica. « E' inoltre da escludere che le numerose navi da guerra affondate nei porti italiani, o quelle che, all'atto dell'armistizio, erano in costruzione, possano essere in futuro utilizzate. Accurati accertamenti hanno permesso di stabilire che Ja quasi totalità delle unità che potranno essere recuperate dovranno essere demolite e che quelle che erano in costruzione, dopo le distruzioni ed asportazioni effettuate dai tedeschi, non si trovano nelle condizioni di poter esser ultimate. « Insisto inoltre sulla necessità, già prospettata nel memorandum, di utilizzare le due corazzate maggiori per uso di navi scuola: la massima parte dell'attrezzatura scolastica della Marina è andata distrutta e la sua ricostruzione comporterebbe spese, lavoro e materiali che andrebbero in gran parte sottratti al lavoro di ricostruzione nazionale. « c) Secondo notizie di varia fonte, il trattato potrebbe contenere il divieto per l'Italia di possedere alcune categorie di unità; in particolare, sommergibili. E' necessario confermare che una simile misura, unilaterale nei confronti dell'Italia, sarebbe a,s sai grave ed ingiusta. « Per quanto riguarda i sommergibili, a parte le ben note considerazioni atte a dimostrare che è intendimento italiano conservare pochissime unità a scopo puramente difensivo, è necessario riaffermare che non può essere negato all'Italia il diritto a mantenerne un piccolo numero, strettamente indispensabile per l'addestramento delle unità antisommergibili. E ciò almeno fino a quando una convenzione internazionale non stabilisca la generale abolizione di questo mezzo bellico. Questa tesi potrebbe forse trovare appoggio da parte delle Nazioni minori, che prenderanno parte alla Conferenza delle 21 Nazioni e che avranno lo stesso nostro interesse a disporre di sommergibili per scopi difensivi. « 2) Utilizzazione del naviglio eccedente alla consistenza della futura Marina italiana. « a) La reazione suscitata nel popolo italiano quando, all'inizio della riunione di Parigi, affiorarono le notizie relative ad un'eventuale ripartizione tra varie Nazioni di navi italiane, dimostra quanto il problema marittimo 5ia sentito in I talia, e come tale eventualità rivesta un carattere che trascende dallo stretto campo militare per assumere quello di problema nazionale.
27i « Se quindi la decisione della ripartizione di alcune eccedenze, di per se stessa contrastante con le richieste presentate dal Governo italiano con il suo memorandum dell'aprile u.s., dovesse intendersi irrevocabile, sia pure in linea di principio, è necessario che il Governo italiano determini tempestivamente i termini entro i quali tale deprecata eventualità potrebbe essere considerata accettabile.
« b) A questo scopo vorrei mettere in evidenza la necessità di una soluzione che tenga conto dei seguenti punti fondamentali: - le clausole navali del trattato di pace dovrebbero contenere un preambolo che, riconoscendo il comportamento della Marina italiana all'atto dell'armistizio ed il contributo da essa dato alla guerra contro la Germania, sancisca il principio che il naviglio militare italiano non può essere considerato bottino di guerra; - la consistenza della flotta difensiva assegnata all'Italia dovrebbe esser adeguata alla sua situazione ed alle sue necessità; - il naviglio eccedente alla flotta difensiva sarà in massima utilizzato, dopo la sua demolizione, ai fini della ricostruzione nazionale; - una parte di tale naviglio eccedente potrebbe essere utilizzata dal Governo italiano per il pagamento di riparazioni a quelle Nazioni cui tale diritto sarà riconosciuto dalle grandi Potenze (sembra peraltro che vi siano ben limitate prospettive che tale concetto sia accolto dagli interessati) . ·· « c) Si potrebbe inoltre convenire sulle necessità di compensare in qualche modo quelle Nazioni mediterranee, le cui Marine ebbero più a soffrire in seguito all'occupazione del loro territorio; purché ciò ,sia effettuato con modalità che salvaguardino l'onore della Marina italiana e siano inspirate a criteri di equità e di giustizia ». La lettera passava quindi ad esaminare quali avrebbero potuto esser le proposte di compensi navali ai Paesi mediterranei con i quali l'Italia era stata in guerra, cioè Francia, Jugoslavia e Grecia. Dopo aver indicato quali erano le perdite da noi inflitte alle flotte di queste Potenze (14) e aver premesso che, secondo alcune recenti informazioni, la Francia si sarebbe accontentata di un « gesto » che le desse soddisfazione più moralmente che materialmente per le perdite subite (15), la lettera avanzava le proposte che seguono.
Francia
Ricupero e ripfi.stino di qualche unità da guerra francese affondata nei nostri porti e cessione, eventualmente, di qualche unità di piccolo
(14) Non si riportano qui essendo state indicate all'inizio di questo capitolo. (15) All'atto pratico tali informazioni (che pur venivano da alti ufficiali della Marina francese) si dimostrarono non fondate.
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tonnellaggio, non a titolo di preda bellica, ma quale « sostituzione simbolica di quel tonnellaggio di cui potremmo esser chiamati a rispondere ».
Jugoslavia Cessione di alcune unità antiquate a titolo di simbolica e parziale sostituzione delle 7 unità jugoslave, per circa 6.000 tonn., da noi catturate e definitivamente perdutesi prima dell'armistizio. « Giova tener presente, si diceva nella lettera, che al momento del collasso dell'Esercito jugoslavo (aprile 1941), a parte del Ct. Zagreb, che fu fatto saltare, e un sommergibile, che prese il mare per unirsi alle Forze alleate, tutte le altr~ unità della Marina jugoslava, non tentarono in alcun modo di opporsi alla cattura. Tale mancanza di qualunque attiva resistenza deve esser tenuta presente nel valutare le richieste jugoslave ... come lo deve il fatto che, di tutte le unità che componevano la Marina jugoslava. nel 1941, solo pochissime erano relativamente moderne. Tutte le altre erano antiquatissime ed adatte •solo a servizi ausiliari.
Grecia Cessione di un'unità a titolo di sostituzione dell'antiquato incrociatore Elli di 2.100 tonn. Tale unità avrebbe dovuto essere di caratteristiche analoghe a quelle del predetto incrociatore. La le ttera così terminava: « Concludendo, vorrei richiamare l'attenzione di V.S. sulla necessità che, pur riconoscendo le difficilissime condizioni nelle quali i nostri rappresentanti possono svolgere la loro azione diretta alla tutela dei vitali interessi italiani, tale azione tenga adeguato conto anche dei seguenti criteri: - insistere affinché, in occasione della prossima riunione dei Ministri degli Esteri (16), il Governo italiano sia invitato a esporre oralmente il proprio punto di vista anche sulla questione della flotta (17); - richiedere che un esperto italiano partecipi ai lavori del Comitato degli esperti navali. L'azione del nostro rappresentante potrebbe esser assai utile per cercare di prevenire il raggiungimento di un accordo su clausole, la cui gravità potrebbe creare una situazione molto delicata (18) ».
(16) Quella che ebbe luogo dal 15 giugno al 12 luglio. (17) L'Italia era stata invitata a fare esporre oralmente il proprio punto di vista al Consiglio dei Ministri degli Esteri, soltanto per la questione del confine orientale. A ciò aveva provveduto De Gasperi prendendo la parola di fronte al Consiglio il 18 settembre 1945, a Londra, e il 3 maggio 1946, a Parigi. (18) Le due richieste non ebbero alcun effettivo seguito.
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Mentre a Roma era in corso di stesura la lettera di cui sopra, a Parigi si era riunito il Comitato degli esperti navali per far fronte ai compiti affidatigli dal Consiglio dei Ministri il 27 aprile e, particolarmente, a quello di proporre quali navi - entro i limiti quantitativi stabiliti dal Consiglio stesso - lasciare all'Italia. Questo lavoro si concluse - come risulta da documenti pubblicati nel 1970 dal Governo di Washington (19) - con un rapporto in data 22 giugno che conteneva proposte concordate per tutti i tipi di unità - da combattimento e ausiliarie - salvo che per due: incrociatori e cacciatorpediniere. Su questi due punti infatti non era stato possibile conciliare il punto di vista degli esperti britannico e americano - che volevano lasciare all'Italia le unità più efficienti - e quello degli esperti sovietico e francese - che volevano esattamente il contrario. Le due soluzioni di compromesso che erano state suggerite non avevano incontrato la generale accettazione . . Ecco i punti di contrasto (20).
Incrociatori Proposta anglo-americana
Proposta franco-r ussa
Proposta di compromesso
Duca degli Abruzzi Garibaldi Eugenio di Savoia Duca d'Aosta
Eugenio di Savoia Duca d'Aosta Montecuccoli
Duca degli Abruzzi Garibaldi
Cadorna
Montecuccoli Cadorna
t(19) « Foreign Rclations » cit. bibl. . 1946, Vol. II, pg. 584-587, 603-606, 678679, 688-689, 695-696. (20) Si riportano qui di seguito le date di impostazione e di entrata in servizio nonché il dislocamento standard e l'armamento principale deJle unità sotto indicate. incrociatori - Duca degli Abruzzi e Garibaldi: 1933-1937, 8.000 tonn., 10 cann. da 152 mm.; Eugenio di Savoia e Duca d'Aos ta: 1932-1936, 7.400 tonn., 8 cannoni da 152 mm.; Montecuccoli: 1931-1935, 7.052 tonn., 8 cannoni da 152 mm .; Cadorna: 1930-1933, 5.089 tonn., 8 cannoni da 152 mm. Ct. - Tipo «Artigliere»: 1937-1938, 1.646 tonn., 4 cannoni da 120 mm e 6 lanciasiluri da 533; Oriani: 1935-1937, 1.594 tonn., 4 cannoni da 120 mm e 6 lanciasiluri da 533; Grecale: 1931-1934, 1.472 tonn., 4 cannoni da 120 mm. e 6 lanciasiluri da 533; Da Recco: 1927-1930, 1.654 tonn., 6 cannoni da 120 mm e 4 lanciasiluri da 533; Riboty: 1915-1917, 1.405 tonn., 8 cannoni da 102 mm e 4 lanciasiluri da 450.
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Cacciatorpediniere Proposta anglo-americana
Proposta franco-russa
Proposta di compromesso
4 Ct. della classe « Artigliere »
Oriani Grecale Da Recco Riboty
2 Ct. della classe Artigliere Grecale Da Recco
Le unità degli altri tipi da lasciare all'Italia sulle quali gli esperti si erano messi d'accordo (fra di esse vi erano le corazzate Daria e Duilio) erano indicate in un elenco allegato al rapporto, elenco che - con piccole modifiche e completato con i nomi degli incrociatori e dei cacciatorpediniere prescelti dal Consiglio dei Ministri - venne ,successivamente inserito come allegato IV/ A nel progetto di trattato di pace preparato da detto Consiglio. Il rapporto degli esperti fu preso in esame dal Consiglio dei Ministri degli Esteri in tre sedute che ebbero luogo sul finire del giugno 1946, durante le quali si manifestarono tra i quattro Ministri le divergenze che avevano già diviso gli esperti. La decisione presa alla fine (29 giugno) fu quella che, per incrociatori e cacciatorpediniere, fossero accolte le due soluzioni di compromesso suggerite, e che, per gli altri tipi di unità, venissero adottate le proposte avanzate dagli esperti. Durante queste sedute Molotov - rendendosi evidentemente conto dell'estrema durezza e della iniquità del trattamento fatto dal Consiglio alla Marina italiana - propose che il Consiglio stesso diffidasse il Governo italiano a non affondare o danneggiare le navi da consegnare agli Alleati, avvertendolo che, se ciò fosse avvenuto, ne sarebbe ,s tate chiamato a rispondere. La proposta, benché insistentemente avanzata, fu respinta sia da Bevin che da Byrnes, i quali dichiararono che il Consiglio non aveva veste per fare un tale passo, dato che la Marina italiana non era ,s otto il controllo dello stesso ma dipendeva operativamente dal Comandante in Capo navale britannico nel Mediterraneo, il quale aveva già fatto gli opportuni passi in merito presso le competenti autorità italiane. Tutti furono comunque d'accordo che fossero accuratamente evitate «fughe» di indiscrczfoni sui nomi delle unità che era stato deciso di lasciare all'Italia e di quelle che avrebbero dovuto essere consegnate agli Alleati. Ed effettivamente nulla si seppe in merito sino a quando non fu pubblicato il progetto di trattato di pace. Le indiscrezioni che fu possibile raccogliere confermarono in cambio, completandole, le notizie di cui si era già venuti a conoscenza e cioè: che la flotta lasciata all'Italia sarebbe stata costituita da 2 corazzate antiquate, 4 incrociatori, 4 caccia1
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torpediniere, 16 torpediniere e 20 corvette; che all'Italia sarebbe stato vietato il possesso di alcuni tipi di unità, fra i quali i sommergibili; che il naviglio in soprappiù sarebbe stato ripartito tra gli Alleati come preda bellica; che il personale della Marina non avrebbe dovuto superare la cifra, ufficiali compresi, di 22.500 uomini. Queste informazioni permisero alle autorità italiane di rendersi definitivamente conto di quanto dure e ingiuste fossero le clausole navali che avevano raccolto l'approvazione dei quattro Ministri degli Esteri. Venne quindi deciso di fare un ultimo tentativo per cercare di ,s alvare il salvabile e, a tal fine, la nostra rappresentanza diplomatica a Parigi, il 27 giugno - in esecuzione di ordine ricevuto - presentò al Consiglio dei Ministri degli Esteri un nuovo memorandum sulla questione (21). In esso il Governo italiano, nel mentre confermava quanto esposto nel memorandum dell'aprile precedente, poneva particolarmente l'accento sulla non accettabilità per il popolo italiano di una eventuale cessione ad altre Nazioni di una parte di quelle navi che per più di venti mesi avevano combattuto a fianco di quelle alleate. Il Governo italiano, proseguiva il documento, era pronto peraltro a prendere in esame - in negoziati con i Governi interessati, come previsto dagli accordi Cunningham-de Courten - eventuali rimpiazzi di unità alleate andate perdute, in particolari casi, in conseguenza di azioni della Marina italiana (22). Si riporta comunque qui di seguito - data la sua importanza il testo integrale del memorandum. « Il Governo italiano esso diceva - ritiene necessario di richiamare l'attenzione del Consiglio dei Ministri degli Esteri sulle questioni riguardanti la Marina italiana cui si riferiscono le disposizioni del trattato di pace. « Tali questioni hanno per l'Italia un carattere che oltrepassa il campo strettamente militare per prendere l'aspetto di un problema nazionale. « Nei momenti più difficili della vita del Paese, e particolarmente al momento dell'armistizio e nel corso del periodo che lo seguì, la Marina italiana è stata, con il suo contegno, un esempio di lealtà, di disciplina e di spirito di sacrificio. Di conseguenza qualsiasi decisione
(21) A differenza del memorandum a stampa dell'aprile, a questo memorandum non fu data ampia diffusione ed esso rimase praticamente circoscritto all'ambiente diplomatico. (22) Quest'ultimo punto era la parte praticamente nuova rispetto a quanto esposto nel memorandum a stampa dell'aprile. Esso trovava evidentemente la sua origine nella lettera scritta il 29 maggio dal ministro de Courten al presidente De Gasperi.
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che possa ferirla nel suo onore e ne] suo prestigio si ripercuoterebbe certamente in modo grave non solo sulla Marina stessa ma anche sulla grande maggioranza del popolo italiano. « Il punto di vista ufficiale del Governo italiano su questo argoménto è e resta quello contenuto nel memorandum dell'aprile 1946, stampato a cura del Ministero della Marina e trasmesso al Segretario Generale del Consiglio dei Ministri degli Esteri con nota nr. 4229 del 10 maggio 1946 (23). « Questo memorandum espone, avvalendosi di una ricca documentazione, il contributo dato dalla Marina italiana alla guerra contro la Germania, le perdite gravissime da essa subite durante la guerra stessa e le ragioni tecniche, morali e di giustizia sulle quali si basano le richieste contenute nella parte conclusiva del memorandum stesso. Esso prova, inoltre, che da parte dell'Italia non c'è né l'intenzione né la possibilità di mantenere in avvenire una Marina potente e che, al contrario, l'I talia - persuasa com'è della necessità di concentrare tutte le sue energie sulla ricostruzione nazionale - è pronta a ridurre la sua Marina a un livello inferiore perfino alle pure esigenze difensive. « In queste condizioni, un'eventuale imposizione di cedere a<l altre Nazioni una parte delle navi che per più di 20 mesi hanno combattuto a fianco di quelle alleate, non sembrerebbe accettabile al popolo italiano, per il suo carattere punitivo e per le sue ripercussioni. Una tale unilaterale decisione non terrebbe infatti in alcun conto le numerose ragioni che giustificano pienamente la prima delle rich ieste avanzate dal memorandum (24). D'altra parte il Governo italiano de;;idera, in proposito, richiamare l'attenzione del Consiglio dei Ministri degli Esteri sullo spirito e sulla lettera dell'accordo Cunningham-de Courten. Fin dal 23 settembre 1943, cioè prima che fosse firmato l'armistizio di Malta, quest'accordo stabiliva le condizioni che avrebbero regolato l'impiego della flotta italiana. Fra l'altro, esso prevedeva che l'eventuale rimpiazzo di navi perdute dalle Nazioni alleate nel corso della guerra contro l'Italia avrebbe dovuto essere deciso a mezzo di negoziati fra i Governi. Il Governo italiano ha sempre interpretato questa clausola nello spirito stesso dell'accordo: per esser precisi, esso ha sempre r itenuto che, riconoscendo alla flotta italiana il diritto di partecipare alla guerra con le proprie navi, con la propria bandiera
(23) Il memorandum è riportato nell'allegato 15. Il punto di vista del Governo italiano in esso esposto può così sintetizzarsi: che fossero lasciate all'Italia tutte le navi che ancora possedeva e che fosse rimessa all'O.N.U. ogni decisione sui suoi armamenti navali, nel quadro delle misure di regolamentazione generale degli armamenti. Nel frattempo l'Italia avrebbe ridotto le sue Forze navali da combattimento (e, corrispondentemente, quelle ausiliarie) a 100.000 tonn. circa, dando loro un carattere difensivo. (24) Quella che fossero lasciate all'Italia tutte le navi che ancora possedeva.
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e con i propri equipaggi, l'accordo implicitamente riconosceva che l'eventuale rimpiazzo di navi perdute dalle Nazioni alleate - benché ammesso in linea di principio - avrebbe dovuto esser limitato, nella sua eventuale applicazione, a dei casi part.icolari e, soprattutto, avrebbe dovuto esser deciso sulla base di negoziati ai quali il Governo italìano sarebbe stato invitato a partecipare. Questa convinzione è stata confermata nella Marina e nel popolo italiano dai numerosi riconoscimenti alleati del contributo dato dalla Marina italiana, riconoscimenti che sono stati riportati nel già citato memorandum. « Il Governo italiano ha perciò l'onore di chiedere che il Consiglio ctei Ministri degli Esteri, prima di addivenire a una decisione in merito, voglia esaminare con cura l'indicato memorandum e che gli venga consentito di contribuire direttamente alla soluzione del problema. Nell'occasione esso assicura di esser deciso a portare, negli eventuali negoziati, il più largo spirito di comprensione e la precisa volontà di collaborare per il raggiungimento di una soluzione soddisfacente. « Il Governo italiano ritiene che soltanto in questo modo sarà possibile giungere ad un accordo che sia basato su principi di giustizia e che possa ricevere dal popolo italiano la più sincera adesione». Ma anche questo ultimo tentativo si dimostrò infruttuoso perché il Consiglio dei Ministri degli Esteri concluse i suoi lavori (12 luglio) senza sentire sulla questione alcun rappresentante italiano e senza modificare - come si venne a sapere - le clausole di cui si aveva conoscenza.
5. Il progetto di trattato preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri.
Tenuto conto di quanto sopra i nostri Ministri degli Esteri e della Marina decisero - senza attendere la pubblicazione del progetto di pace - di preparare, sulla base delle notizie di cui si era in possesso, un altro memorandum destinato soprattutto alle 21 Potenze che avrebbero partecipato alla Conferenza di Parigi, convocata per il 29 luglio. Questo memorandum fu intitolato « Osservazioni del Governo italiano sulle clausole navali della bozza del trattato di pace » e di esso si iniziò la distribuzione sul finire del mese di luglio (1). Come si può rilevare dal suo testo riportato integralmente nell'allegato 17 - esso si componeva sostanzialmente di due parti: la
(1) Del memorandum furono fatte, a stampa, 450 copie. Il 28 luglio esso fu distribuito dalla nostra delegazione alla Conferenza di Parigi alle delegazioni di tutte le 21 Potenze partecipanti alla conferenza stessa. Contemporaneamente, alle delegazioni di quelle delle Potenze predette che ancora non lo avevano avuto (cioè a tutte, salvo a quelle degli Stati Uniti, della Gran B retagna, dell'Unione Sovietica e della Francia) fu distribuito anche il memorandum a stampa dell'aprile precedente.
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prima aveva, diciamo così, carattere storico-giuridico, la seconda entrava invece nel vivo della questione sulla sorte riservata alla nostra flotta. Nella prima parte si ricordava che il trasferimento della flotta italiana in porti sotto controllo alleato, neJ settembre 1943, era avvenuto sulla base dell'« armistizio corto» (nel quale non era fatto alcun cenno, senza riserva alcuna, a consegna di unità o a resa delle medesime) e dell'impegno preso dagli Alleati con il « documento di Quebec » di modificare a favore dell'Italia le condizioni di detto armistizio in misura proporzionale all'entità dell'aiuto che l'Italia avrebbe realmente dato alle Nazioni Unite nella restante parte della guerra contro la Germania. « Se fossero state imposte condizioni diverse e lesive del loro onore - diceva il memorandum - le navi italiane non si sarebbero trasferite a Malta e, per evitare di cadere in mano tedesca, si sarebbero autoaffondate ». 'il memorandum passava quindi a esaminare l'accordo Cunningham-de Courten - definito « documento essenziale, nel suo valore giuridico e morale, per qualunque decisione che debba esser presa nei riguardi della Marina italiana» - ricordando come esso accogliesse il duplice principio: a) che le navi da guerra italiane avrebbero continuato a battere la loro bandiera e ad esser equipaggiate con personale italiano e, b) che eventuali futuri compensi a quelle delle Nazioni Unite che avessero subìto perdite navali a seguito di azioni italiane, sarebbero stati fissati con negoziati tra Governi. L'emendamento dell'accordo voluto dagli Alleati nel novembre 1943 - concludeva in proposito il memorandum - « non può esser interpretato come una modifica dei termini dell'agreement relativi allo status della Marina italiana e tanto meno della clausola relativa a un eventuale compenso di perdite alleate » (2). Nella seconda parte il documento - riprendendo gli argomenti sviluppati nel memorandum a stampa dell'aprile 1946 e in quello successivo del 27 giugno - erano esposte le obiezioni del Governo italiano sulle decisioni che - secondo le notizie pervenutegli - il Consiglio s~esso avr ebbe adottato in merito alla consistenza quantitativa e qualitativa della futura flotta italiana e alla ripartizione tra gli Alleati, come preda bellica, del naviglio che sarebbe risultato eccedente. Il memorandum così concludeva. « Il Governo italiano ritiene di aver dimostrato cht! i principi informatori della bozza del trattato di pace, quali risultano dalle notizie pervenutegli, non sono accettabili, in quanto giuridicamente e moralmente ingiusti e lesivi dell'onore della Marina italiana.
(2) ln realtà l'emendamento - come si è veduto - fu introdotto nel preambolo ed esso perciò si riferiva a tutte le clausole dell'accordo.
279 « Il Governo italiano insiste quindi nelle richieste presentate nel memorandum dello scorso aprile, che sono ispirate al criterio di giungere ad un'equa soluzione di questo importante problema nazionale, pur attraverso necessari sacrifici. « Il Governo italiano conferma infine di esser pronto a trattare, con spirito di comprensione, eventuali compensi per perdite causate da azioni italiane alle Marine alleate ».
Nel frattempo, chiusa che fu il 12 luglio la sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri, i loro Sostituti avevano provveduto alla stesura definitiva del progetto di trattato che, completato il 18 luglio, venne rimesso subito al nostro Governo (3). Si ebbe così modo di sapere esattamente come i quattro Ministri de~li Esteri ci avevano trattato e quale sarebbe stata con ogni probabilità la nostra sorte definitiva, dato che la Conferenza, al cui vaglio il progetto sarebbe passato, ben poco avrebbe potuto fare per modificarlo - quand'anche l'avesse voluto - non avendo essa poteri dispo5ìtivi, ma soltanto quello di presentare al Consiglio dei Ministri degli Esteri « raccomandazioni » che esso poteva anche non accogliere. Di che tipo di documento si trattasse nel suo complesso è chiara prova la seguente frase di uno dei suoi autori, il segretario di Stato americano Byrnes, il quale, nel dare il 15 luglio al popolo americano un resoconto del lavoro compiuto dai quattro Ministri, così si espresse: « I progetti di trattato sui quali ci siamo messi d'accordo non sono i migliori che la saggezza umana potesse escogitare, ma sono quanto di meglio la saggezza umana ha potuto formulare perché i quattro principali Alleati si potessero mettere d'accordo» (4).
(3) Il progetto di trattato fu pubblicato ufficialmente il 30 luglio, ma già da alcuni giorni la stampa americana lo aveva reso di pubblica ragione. Esso è riportato, limitatamente alle clausole militari, navali ed aeree, nell'allegato 16. (4) « Politica Estera" - 1936, pg. 896. Commentando il progetto di trattato in un articolo dal titolo « Storia di alcune delusioni», (« Politica Estera• · 1936, pg. 779) Ferruccio Parri, che era stato Presidente del Consiglio dei Ministri dal giugno al dicembre 1945, così concludeva: « Cadono ormai tutte le illusioni. Ed è bene che cadano, il più rapidamente possibile, con il minimo possibile di piagnistei e di declamazioni... Devono cadere le illusioni che la politica di Bevin e di Bidault, che riposano su un fondo più o meno celato di rancori nazionali e di interessi particolari, sia di una sostanza mollo diversa da quella di Molotov. Bevin e Byrnes difendono non tanto Trieste italiana quanto vogliono tenervi aperta la porta all'influenza anglosassone e chiuderla a quella russa. Che l'Italia fosse oggetto e non soggetto della sua pace, su questo spero che l'opinione pubblica italiana non abbia dubbi da un pezzo. Spero che sia ormai chiaramente inteso che oggetto della contesa non è il buono o cattivo diritto dell'Italia, ma l'interesse stesso delle Pofenze giudici e contendenti... Prendiamo atto che andiamo verso una pace semicartaginese "·
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Ecco in sintesi le principali clausole del progetto interessanti la Marina (5): 1) Delle navi costituenti la flotta italiana solo un'aliquota era lasciata all'Italia; le restanti, dovevano esser messe a disposizione dei Governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'Unione Sovietica e della Francia come preda bellica (6) oppure esser affondate in acque profonde o esser demolite. Un tale trattamento - che sarebbe apparso dolorosamente logico all'atto dell'armistizio (e che avrebbe avuto senza dubbio in quel momento le sue logiche conseguenze) - dopo la « promessa di Quebec» e venti mesi di cobelligeranza aveva il colore e l'essenza di un sopruso basato sulla forza. Quali erano in dettaglio le disposizioni del progetto?
a) Navi in servizio Il trattamento loro riservato era quello che risulta dalla tabella che segue (art. 47, 48, 49 e Alleg. IV) (7).
(5) Per comodìtà del lettore, onde possa confrontarle con le disposizioni del progetto di trattato, si riportano qui di seguito le richieste italiane, quali risultano dai tre memorandum presentati al ConsigÌio dei Ministri degli Esteri: quello a stampa dell'aprile, quello del 27 giugno e quello a stampa del luglio. L'Italia chiedeva che le fossero lasciate tutte le navi che ancora possedeva e che fosse rimessa all'O.N.U. ogni decisione sui suoi armamenti navali, nel quadro delle misure di regolamentazione generale degli armamenti. Nel frattempo l'Italia avrebbe ridotto le sue Forze navali da combattimento (e, corrispondentemente, quelle ausiliarie) a 100.000 tonn. circa, dando loro un carattere difensivo. L'Italia inoltre si dichiarava pronta a trattare, con sp.irito di comprensione, eventuali compensi per perdite di navi alleale causate da azioni italiane. (6) Che la cessione delle unità avvenisse a titolo di « preda bellica» o « bottino di guerra», che dir si voglia, il progetto di trattalo esplicitamente non lo diceva, ma che avvenisse a questo titolo non c'era alcun dubbio, come lo dimostrano i lavori del Consiglio dei Ministri degli Esteri. (7) 1L a suddivisione del naviglio da guerra in tre gruppi ( « Navi da combat. timento maggiori », « Navi da combattimento minori » e « Navi ausiliarie») nonché la composizione dei gruppi stessi è del progetto di trattato di pace e non dell'autore. I tonnellaggi sono in tonnellate metriche e sono stati calcolati sulla base dei dislocamenti standard ufficiali riportati, per la quasi totalità delle navi, nel1' « Annuario Ufficiale . R. Marina » del 1940, pg. 500 e seg. « Dislocamento standard» è il dislocamento della nave ultimata, con il suo equipaggio al completo, pronta a salpare, avente a bordo tutte le dotazioni previste per il tempo di guerra, ma senza il combustibile e l'acqua di riserva per l'alimentazione delle caldaie.
281
Tipi di navi
Navi lasciate all'Italia
Navi Navi da affon dare da mettere in acque a disposizione profonde delle quattro (almeno 100 Potenze braccia= 182m.) Tonncll. Nr. s tandard
Tonnell. Nr. standard
Navi da combattimento maggiori Corazzate 2 48.000 Incrociatori 4 28.141 Cacciatorped. 4 6.418 Torpediniere 16 10.797 Corvette 20 13.400 Avvisi Sommergibili Totali
46
106.756
Totali
Tonnell. Nr. standard
Tonnell. Nr. standard
143.120 53.189 17.646 16.179 13.400 2.207 24.344
3 5 7 6
95.120 25.048 11.228 5.382
1 8
2.207 6.735
28
17.609
5 9 11 22 20 I 36
30
145.720
28
17.609
104
270.085
16 15 4
1
960 289 140 408 1.084 2.546 665
16 15 4 14 26 16 1
960 289 140 952 3.318 2.546 665
Navi da combattimento minori
I
MS M.A.S. M.E. V.A.S. Dragamine Motozattere Cannoniere
8 19
544 2.234
6 7
16 27
2.778
65
6.092
92
8.870
2 12 21 29 1
4 14 32 14 1 3
24.270 9.742 5.812 899 2.832 1.580 1.272
6
26 53 43 2
3 1 1 2
10.882 7.383 3.627 2.268 3.600 650 4.960 2.763 4.675
1 1
930 500
35.152 17.125 9.439 3.167 6.432 2.230 6.232 2.763 4.675 540 930
Totali
74
42.238
70
46.947
Totali generali
147
151.772
165
198.759
Totali
Navi ausiliarie Petroliere Cister. per acqua Rim. grandi e medi Rim. piccoli Navi scuola Navi trasporto Navi appoggio Navi officina Navi idrografiche Posamine Navi serv. fari Navi posacavi
1
6
2 1 2
540
1 1
28
17.609
1
50(1
144
89.185
340
368.140 (8)
(8) La differenza di 650 tonn. tra questa cifra di 368.140 tonn. e quella di 367.490 risultante dall'allegato 11 (situazione alla fine del conflitto nel maggio 1945) deriva dal fatto che il progetto di trattato consentiva all'Italia di conservare, in aggiunta alle 19 corvette in servizio a tal epoca, anche una unità di tal tipo, da scegliersi tra quelle affondate o in costruzione (fu la Bombarda). E' da ricordarsi inoltre che gli autori del progetto di trattato avevano con· siderato navi da combattimento i dragamine, le motozattere, nave Eritrea e nave Illiria che, secondo la classificazione italiana seguita nell'allegato 11, dovevano considerarsi invece navi ausiliarie.
282 In cifra tonda quindi, del tonnellagio in serv1Z10, soltanto il 41 % sarebbe rimasto all'Italia; il 54% avrebbe dovuto esser messo a disposizione, come preda bellica, delle quattro grandi Potenze; il restante 5%, costituito da sommergibili, avrebbe dovuto esser affondato in acque profonde, anziché essere demolito, come sarebbe stato più logico, onde consentire almeno all'Italia d'utilizzare i materiali e i rottami che ne sarebbero stati ricavati. E' da aggiungersi che le unità comprese nel 41 % lasciato all'Italia non costituivano un complesso equilibrato e completamente efficiente, sia per la disarmonia esistente tra le consistenze dei vari tipi di unità, sia perché parecchie di queste erano vetuste o logorate da sei anni di incessante attività. b) Navi non in servizio ( 8 bis) Il trattamento loro fatto era praticamente il seguente (art. 49);
Navi tecnicamente trasformabili per impieghi di carattere civile. Se non erano trasformate per tali impieghi, dovevano esser demolite.
Navi tecnicamente non trasformabili per impieghi di carattere civile. Se erano galleggianti (ivi comprese quelle in costruzione già va rate), avrebbero dovuto esser affondate in acque profonde almeno 50 braccia (91 metri). Se erano in costruzione, ancora sullo scalo, avrebbero dovuto esser demolite. Se erano affondate in porti o acque italiane poco profonde, avrebbero dovuto esser rese irricuperabili, se non erano d'intralcio alla navigazione; avrebbero dovuto esser demolite su) posto oppure esser ricuperate e quindi riaffondate in acque profonde almeno 50 braccia (91 metri), in caso contrario. Non v'è chi non veda l'assurdità di procedere, in determinati casi, all'eliminazione delle unità mediante il loro affondamento in acque profonde, anziché a mezzo di demolizione, dato che quest'ultima, pur consentendo ai vincitori di raggiungere ugualmente il loro scopo, avrebbe presentato non trascurabili vantaggi per la dissestata economia italiana. 2) Delle navi da combattimento lasciatele, l'Italia non avrebbe potuto rimpiazzare le due corazzate; il rimpiazzo degli altri tipi di unità avrebbe potuto essere effettuato senza superare il tonnellaggio
(8 bis) - Perché velusle o irreparabilmente danneggiate, perché affondale, perché in costruzione o in allestimento.
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standard globale in servizio di 67.500 tonnellate, e soltanto con unità dei tipi consentitile (9). Infatti essa non avrebbe potuto costruire in futuro (nemmeno per l'estero), né sperimentare o possedere comunque, oltre alle corazzate, seguenti tipi di unità o di armamenti (art. 44, 46, SO e alleg. V/ A): -
-
navi portaerei; sommergibili; motosiluranti; proiettili guidati o ad autopropulsione e dispositivi per il loro lancio; cannoni di gettata superiore a 30 Km.; mine marine funzionanti ad influenza; siluri con equipaggio (10).
3) Gli effettivi della Marina - escluso il personale dell'aeronautica navale - non avrebbero dovuto superare, ufficiali compresi, i 22.500 uomini. Tale cifra avrebbe potuto esser però aumentata di 2.500 unità sino a quando non fosse stato ultimato il dragaggio delle mine poste in opera durante la guerra. Divieto di dare, sotto qualsiasi forma, un'istruzione navale a persone non facenti parte di tali effettivi (art. 51). 4) Le clausole di cui sopra, diceva l'art. 39, sarebbero rimaste in vigore sino a quando non fossero state modificate, in tutto o in parte, con accordo tra l'Italia e le altre Potenze contraenti oppure tra il Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e l'Italia, una volta che questa ne fosse divenuta membro. Era questa una norma destinata a priori a non avere alcun pratico seguito perché - come si è visto nel precedente capitolo - nel primo caso, la modifica avrebbe dovuto raccogliere l'approvazione di tutte le Potenze contraenti e, nel secondo caso, perché si sarebbero dovute realizzare due condizioni: l'ammissione dell'Italia nell'Organizzazione delle Nazioni Unite e, successivamente, il consenso alla modifica di tutt'e cinque le grandi Potenze che godevano nel Consiglio di sicurezza del diritto di veto.
Su queste clausole, ch1 prese in esame in cinque sedute dal 28 (9) Il tonnellaggio standard globale delle navi da combattimento ( maggiori e minori complessivamente) lasciate all'Italia, tolte le due corazzate che non potevano esser rimpiazzate, era, in cifra tonda, di 61.000 tonnellate. Nessun limite il progetto di trattato poneva alla sostituzione delle navi ausiliarie. ( 10) I cosiddetto « maiali » nel gergo della Marina.
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luglio al 1° agosto, il Consiglio Superiore di Marina, riunito in Comitato Supremo, si espresse nel modo che segue ( 11 ): « 1) Per quanto riguarda le limitazioni quantitative e qualitative per la flotta, appare evidente che esse sono state accuratamente studiate in modo da rendere impossibile quella autodifesa il cui principio pur sembrava fosse stato in massima accolto. « E' chiaro che di quelle limitazioni le più gravi sono le qualitative, in quanto l'esclusione completa di alcuni tipi di navi, come i sommergibili ed i M.A.S., e di alcuni tipi di armi, come quelle a razzo e le mine ad influenza, incidono proprio su quei mezzi che potrebbero in qualche modo consentirci dì risolvere il nostro problema difensivo anche con limitati mezzi finanziari. « Queste limitazioni e quelle, sia pure parziali, che si vorrebbero porre alla formazione del personale, denotano la precisa intenzione di consentirci soltanto la possibilità di preparare dei mezzi di guerra che potrebbero essere messi a disposizione di altri quali elementi costitutivi di forze maggiori e più complete, ma che da soli non potrebbero servirci. « Il Consiglio richiama anche l'attenzione sulla formazione disarmonica e sulla cristallizzazione ìn forma decisamente antiquata che si vorrebbero imporre alla nostra flotta, nonché sulla illogicità dei criteri scelti per l'indicazione nominativa delle navi che ci verrebbero lasciate: basti accennare alla non omogeneità dei complessi e alla designazione di alcune siluranti che, anche a termini del progetto di trattato, non dovrebbero essere più considerate, a causa della loro estrema vetustà, come navi efficienti (12). « 2) Ma il Consiglio ritiene che queste considerazioni, che non estende ai particolari perché già ampiamente trattati dallo Stato Maggiore, siano di valore secondario rispetto ad una, principale ed essenziale, che si presenta inaccettabile a priori, quella che tratta da preda di guerra una parte delle nostre navi. « Il Consiglio fa sue tutte le osservazioni di fatto e di diritto esposte in proposito, nelle due memorie citate (13), dallo Stato Maggiore della Marina. Né i membri del Consiglio, tutti attori in maggior o minor misura del gesto del 9 settembre 1943, possono dimenticare gli affidamenti impliciti ed espliciti ricevuti in quei giorni, quando la Marina diede l'esempio di lealtà e di disciplina che tutti conoscono e
(11) Ai sensi dell'art. 13 del D.L.L. 1° febbraio 1945, nr. 123, il Ministro per la Marina poteva disporre che il Consiglio si riunisse in Comitato Supremo quando avesse dovuto trattare affari la cui natura lo avesse reso opportuno. Presero parte alle riunioni, oltre all'amm. de Courten, gli ammiragli di squadra L. Sansonetti, Bruto Brivonesi, A. Da Zara, R. Oliva e L. Biancheri. (12) Il progetto stabiliva in 20 anni dall'entrata in servizio il limite di età per tutti i tipi di unità da combattimento. ( 13) I due memorandum a stampa dell'aprile e del luglio 1946 (alleg. 15 e 17).
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che portò dall'altra parte tante belle navi ancora intatte non solo ndle armi ma anche negli animi; navi e animi ancora pienamente disposti a combattere e cioè non vinti. « Quell'obbedienza fu confortata dall'impegno che, per essa, sarebbero state migliorate le condizioni imposte al Paese e dall'affidamento che le bandiere non sarebbero state ammainate. « Lo stesso Comandante in Capo della flotta avversaria, nel ricevere il gruppo maggiore delle nostre navi, confermò che "non vi era discussione su questo punto". « Dopo d'allora le nostre navi hanno lealmente operato per venti mesi a fianco degli antichi avversari. Oggi, e solo oggi, sì dice loro che erano preda di guerra. Ebbene, una tale condizione non può essere non diremo accettata, ma nemmeno ·discussa. « Le altre condizioni, quelle relative ai vincoli di numero e qualità,, possono essere trattate e, se veramente il Paese potesse trarne sostanziale ed adeguato giovamento, possono essere anche accettate, perché una Marina con poche navi e poche armi può sempre risorgere, specialmente quando ha dietro di sé la tradizione che la nostra si è acquistata con tanto sangue nell'ultima guerra. « D'altra parte il Consiglio, conoscendo bene lo stato d'animo della Marina, sente il dovere di fare presente che l'ordine di consegnare le navi come se fossero preda di guerra produrrebbe in essa una profonda frattura. per lo meno morale. « Quali che siano le conseguenze, quella condizione va respinta formulando la più viva protesta contro la slealtà di coloro che accolsero onorevolmente le nostre navi al proprio fianco, quando si trattava di combattere, e che le vogliono trattare da preda di guerra, ora che il pericolo è passato. « In queste considerazioni si riassume il pensiero unanime del Consiglio Superiore di Marina riunito in Comitato Supremo. « 3)
In sintesi il Consiglio esprime parere: A) che, in riconoscimento della cobelligeranza, sia da chiedersi, come indispensabile premessa, un trattamento delle navi esuberanti diverso da quello proposto; potrebbero essere prese in considerazione le seguenti condizioni nell'ordine di preferenza: a) demolizione e ricupero dei materiali; b) radiazione, parziale demolizione e cessione come materiale ricuperabile, in luogo di altri materiali che dovessimo cedere; c) radiazione e volontaria cessione in piena efficienza, in conto riparazioni, attraverso un ente civile; B) che, una volta ottenuta questa concessione pregiudiziale, si debba insistere per ottenere un miglioramento delle altre condizioni, nell'ordine di preferenza che potrà venire indicato dallo Stato Maggiore della Marina».
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Questa fu la pos1z1one presa ufficialmente dal maggior organo consultivo della Marina. Senza dubbio pero i sentimenti di amarezza e di delusione dei marinai italiani furono resi più efficacemente - anche per la maggior libertà di espressione consentita dal carattere privato - nella lettera che il comandante Giuriati il 2 luglio, dopo aver avuto conoscenza nella loro parte sostanziale delle clausole navali del progetto, aveva inviato all'esperto britannico, cap. vasc. R.G. Mackay, il quale - dimentico che dette clausole traevano origine da quelle del progetto presentato dal Governo di Londra , nel settembre 1945, al Consiglio dei Ministri degli Esteri - si era con lui lamentato che da parte italiana non fossero stati dovutamente apprezzati gli sforzi fatti dagli Anglo-Americani al fine di ottenere per l'Italia una soluzione più favorevole. Ecco il testo della lettera. « Caro Comandante, questa non intende essere né una le ttera ufficiale né l'espressione della reazione del Governo italiano alla bozza del trattato di pace. Il punto di vista ufficiale dell'ltalia sulle questioni relative alla sua futura Marina è stato espresso nella nota trasmessa il 27 giugno u.s. al Consiglio dei Ministri degli Esteri: essa è chiarissima e non necessita di alcun commento. Vi è tutta\iia qualcosa che non può trovar posto in alcun documento ufficiale, e che penso sia mio dovere esporLe con franchezza di marinaio . « Come sa, sono assente dall'Italia da oltre un mese, un periodo che è stato per il mio Paese denso di avvenimenti (14), e ciò rende assai difficile per me di conoscere i reali sentimenti ora prevalenti nella Marina italiana. Questa non può essere quindi che una lettera strettamente personale, che io Le indirizzo quale rappresentante qui dell'Ammiragliato britannico e nel presupposto che Le possa interessare di conoscere i sentimenti di un ufficiale italiano che, avendo fatto il suo dovere durante la guerra, dal 7 sette mbre 1943 è stato in contatto piuttosto stretto con la Marina inglese. Durante quest'ultimo periodo ho cercato, nei limiti delle mie possibilità, ed in completa buona fede, di contribuire alla c reazione di una rinnovata atmosfera di mutua comprensione tra la Marina inglese e quella italiana. « La Marina italiana ha fatto la guerra perché questo era il suo dovere. Noi , voglio dire gli ufficiali di un certo grado, sapevamo benissimo, come nessun altro nel Paese, quanto disperata fosse l'impresa. Apprezzavamo al suo giusto valore la forza, l'efficienza e lo spmto della Marina britannica. Non portavamo con noi sentimenti d'odio
( 14) Da segnalarsi fra questi il referendum sulla forma istituzionale che aveva avuto luogo il 2 giugno.
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verso l'Inghilterra che ci aiutassero nella nostra lotta, e ciò rendeva il nostro compito ancora più difficile. Ciò nonostante affrontammo delle perdite terribili, e tenemmo duro solo perché il nostro spirito ed il nostro senso dell'onore non vennero mai meno. Eravamo ancora pronti, alla vigilia dell'armistizio, ad affrontare una battaglia finale, di cui sape·vamo che il risultato poteva essere solo l'affondamento di tutte le nostre navi. « L'armistizio fu firmato, e, con un vero sforzo morale, tutte le nostre unità andarono a Malta soltanto perché sapevano che la loro bandiera non sarebbe stata ammainata. Il comportamento della Marina inglese in quell'occasione (u pienamente apprezzato dai nostri marinai; permettendo alle nostre navi di mantenere la loro bandiera ed i loro equipaggi e di operare al vostro fianco, ci faceste intendere - così almeno noi interpretammo il vostro atteggiamento - che non nutrivate dei sentimenti d'odio verso la Marina italiana, o, per lo meno, che ne rispettavate il suo senso dell'onore e che vi attenevate ai principi de] "fair play". « Durante tutto il periodo della cobelligeranza la Marina italiana si comportò con lo stesso spirito e la stessa lealtà di prima. Il lavoro svolto dalle navi italiane e le perdite sostenute sono anche troppo noti. Non credo sia onestamente possibile indicare un solo esempio di indisciplina o di cattiva volontà. Ciò nonostante, e come regola generale, la Marina inglese non assunse una vera attitudine amichevole nei confronti di quella italiana: in tutti i contatti giornalieri ci faceste sentire che eravamo ancora i nemici. Ciò non poteva essere, in genere, né completamente comprensibile, né accettabile, per la nostra natura latina: siamo più pronti di voi a dimenticare e perdonare. « In Marina, tuttavia, eravamo perfettamente consci di cosa la guerra in Mediterraneo avesse significato per voi; ci rendevamo perciò conto del vostro punto di vista e comprendevamo che spettava a noi di guadagnarci il "biglietto di ritorno". Abbiamo fatto ogni possibile sforzo per guadagnarlo; e se di più non è stato fatto, ciò non può certo essere imputato a mancanza di volontà da parte nostra. Tutte le dichiarazioni ufficiali e non ufficiali a questo riguardo da parte inglese, e ne vennero da ogni parte, diffusero le convinzioni che il "biglietto di ritorno" era stato ben meritato. « Anche in questo caso è possibile che la nostra natura latina ci abbia portato, poco saggiamente, a credere nelle buone parole. Comunque siamo giunti alla preparazione di una bozza del trattato di pace convinti che la Marina inglese - dopo tre anni di nostro duro lavoro - avesse apprezzato, nel suo giusto peso, il valore morale della Marina italiana. Non credevamo di aver acquistata la vostra amicizia, ma credevamo fermamente che la Marina inglese avrebbe evitato a quella italiana condizioni di pace ingiuste ed umilianti. Sapevamo che una radicale riduzione della nostra flotta era inevitabile, ed eravamo
28& pronti ad accettare tale sacrificio. Eravamo fermamente convinti. tuttavia, che avevamo acquistato il diritto ad essere trattati con spirito di comprensione, e non in un modo che significherebbe solo vendetta e punizione. Soprattutto credevamo di aver acquisito il diritto di poter esprimere e discutere le nostre ragioni e le nostre opinioni. << Siamo messi invece di fronte ad un "diktat", che non ci consente altra alternativa che firmare. Ciò significa dover cedere quasi tutte le nostre navi migliori, dopo tre anni che esse hanno lavorato al vostro fianco e benché alcune di esse stiano ancora operando nel vostro interesse. Ciò è qualcosa che nessuno nella Marina italiana potrà comprendere o accettare. « Posso solo immaginare quali saranno le reazioni nel seno della stessa. Prima di tutto l'impressione generale sarà che siamo stati ingannati. Tutti i marinai italiani penseranno di esser stati indotti a combattere ed a lavorare duramente per tre anni solo perché voi _avevate bisogno della loro opera, ma che il vostro scopo finale fin dall'inizio è stato quello di distruggere la Marina italiana. Il vostro atteggiamento al momento dell'armistizio sarà interpretato come un deliberato, ingannevole espediente per impedire l'autoaffondamento della flotta italiana in un momento in cui ne avevate bisogno. Essi penseranno che ora, 110n avendo più bisogno di lei, adottate una soluzione che può solo significare la sua sparizione. « Tutto ciò può sembrare a voi ingiusto e non vero. So abbastanza bene come siete giunti al presente compromesso. Ciò non può impedire tuttavia che la vostra azione sia giudicata in base ai risultati, e la generale. convinzione della Marina italiana è che l'Inghilterra, ed in particolare la Marina britannica, ha la responsabilità delle attuali decisioni. Dall'armistizio in poi la Marina italiana è stata agli ordini del Comandante il Capo del Mediterraneo, un ammiraglio inglese, e non agli ordini di un Comandante americano, russo o francese. L'Ammiragliato britannico era perciò il solo che poteva realmente aver compreso Io spirito della Marina italiana. Se l'Inghilterra avesse avuto un effettivo interesse a mantenere in vita una flotta italiana, e se tutte le dichiarazioni a favore della Marina italiana fossero state sincere, sarebbe stato compito ddl'Ammiraglio britannico di sostenere le ragioni della Marina italiana e di evitare condizioni di pace che essa non potrà accettare. « La naturale conseguenza di tutto ciò sarà la diffusione di un sentimento anti-inglese nella Marina e in tutta l'Italia. Non posso credere che questa fosse la vostra intenzione, tanto più che quando l'armistizio fu firmato quasi tutti in Italia pensavano che sarebbe stato conveniente per entrambe le Nazioni, ed assai facile per l'Italia, di ritornare a quella comprensione che, prima del fascismo, aveva sempre stretto i legami tra l'Inghilterra e l'Italia. « Sfortunatamente questi sono i fatti. Non potrà non comprendere che se le attuali condizioni di pace saranno messe in esecuzione,
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molti degli ufficiali e dei marinai che andarono a Malta I'8 settembre 1943 riterranno di essere stati allora condotti in una direzione completamente errata, e cercheranno di rimediare ora al loro errore (15). « La prego di voler credere che non cerco di essere troppo drammatico o patetico ma che cerco soltanto di rendere chiare il più possibile le cose, anche se le mie parole possono sembrare assai rudi. Il mio solo scopo è un appello, modesto come può essere, prima che qualcosa di irreparabile venga effettuato. Avendo ancora fiducia e considerazione nella Marina britannica, spero che, anche nella presente situazione, possa essere trovato il modo di evitare condizioni di pace che comporterebbero il completo sfaldamento della Marina italiana t le amare reazioni che allo stesso inevitabilmente seguirebbero. « Mi creda suo ..... »
6. La Conferenza di Parigi (29 luglio - 15 ottobre 1946).
Malgrado l'amarezza in loro provocata dalle clausole navali del progetto di trattato e le scarse probabilità che vi erano che esse potessero essere sostanzialmente modificate a seguito di una netta presa di posizione a nostro favore da parte della Conferenza di Parigi, i responsabili della Marina non si dettero per vinti, sorretti, come giustamente erano, dalla consapevolezza dell'equità delle loro richieste. Da questa consapevolezza trasse origine l'iniziativa presa dall'amm. de Courten (non appena ebbe conoscenza, in seguito alla sua pubblicazione, del testo del progetto di trattato) di rivolgersi con lettera ad alcuni esponenti delle Marine britanniche e statunitense con i quali aveva avuto precedentemente rapporti, per pregarli - in considerazione del leale, valido e riconosciuto apporto dato dalla Marina italiana (15) In quei giorni, di fronte alle not1Z1e - sia pure non sicure e frammentarie - che erano trapelate sulle decisioni prese dal Consiglio dei Ministri degli Esteri, non pochi, nell'ambito della Marina, si chiedevano cosa sarebbe stato doveroso fare se le notizie disastrose che si avevano fossero risultate veritiere. In particolare si chiedevano cosa si sarebbe dovuto fare nei riguardi delle navi che avrebbero dovuto esser cedute come preda bellica. Consegnarle o, affrontémdo le già minacciate sanzioni dei vincitori, affondarle? E' da questa situazione che - in vista della imminente pubblicazione del progetto di trattato di pace - trasse origine il seguente telegramma in cifra (nr. 45083) che il Ministero della Marina inviò il 22 luglio a tutti gli alti Comandi: « Decifri da solo alt Est prevedibile che nei prossimi giorni vengano pubblicate notizie circa schema trattato pace preparato da quattro Ministri Esteri con notamento nominativi unità navali che si propone lasciare Italia alt Richiamate in forma opportuna attenzione personale dipendente, soprattutto imbarcato, su carattere di proposta dello schema, le cui clausole non debbono essere interpretate come definitive alt Governo est fermamente deciso continuare difendere diritti ed integrità nostra Marina Alt Occorre che in questo delicato momento siano comunque evitati atti o manifestazioni che possano esser pregiudizievoli difesa nostra causa».
290 alla causa alleata durante la cobelligeranza - di esercitare la loro alta influenza perché le clausole navali del trattato di pace fossero conformi al contributo da essa dato, nonché alla sua dignità e al suo senso dell'onore (1). Delle risposte ricevute merita di essere riportata, per il sentimento di umana comprensione che da essa promana e per l'importanza del suo contenuto (le altre ebbero carattere protocollare), quella dell'amm. Andrew Cunningham, che recava la data del 7 agosto 1946. Eccola: « Mio caro ammiraglio, ho ricevuto or ora la Sua lettera del 4 agosto della quale La ringrazio. « Senza dubbio Lei saprà che sono ormai a riposo avendo lasciato in giugno il mio incarico di Primo Lord del Mare all'amm. sir John D. Cunningham, al quale ho trasmesso la Sua lettera. « Da ufficiale di Marina a ufficiale di Marina posso dirLe che provo comprensione per i Suoi sentimenti nei riguardi delle clausole navali del trattato di pace, ma, nelle attuali circostanze, non posso far altro che ricordarLe il protocollo di modifica del nostro accordo del 23 settembre 1943, protocollo che Lei firmò a Brindisi il 17 novembre di tale anno. Questo documento, come ricorderà, diceva chiaramente che il nostro accordo non intaccava in alcun modo il diritto delle Nazioni Unite di disporre di tutta o di parte della flotta italiana come esse avessero creduto meglio. So benissimo che Lei allora protestò contro questo protocollo, ma il solo fatto che i Governi alleati avessero ritenuto necessario d'addivenire a questa decisione era un'indicazione di quello che sarebbe potuto accadere». Alla Conferenza di Parigi la questione del trattamento fatto dal progetto di trattato alla nostra flotta fu posta ufficialmente sul tappeto dal presidente De Gasperi nel discorso che egli tenne alla Conferenza riunita in seduta plenaria il 10 agosto. « Circa le questioni militari - egli disse - le nostre obiezioni potranno più propriamente esser esposte alla Commissione rispettiva. Basti qui riaffermare che la flotta italiana, dopo essersi data tutta alla cobelligeranza ed aver operato in favore della causa comune per tre anni, fino a tutt'oggi, sotto
(1) Tali personalità furono: l'amm. Andrew Cunningham, già Comandante in Capo delle Forze navali alleate nel Mediterraneo e Primo Lord del Mare; l'amm. John Cunningham, già Comandante in Capo delle Forze navali alleate nel Mediterraneo e, al momento, Primo Lord del Mare; l'amm. Algernon Willis, Comandante in Capo delle Forze navali alleate nel Mediterraneo, alla cui di· pendenza la flotta italiana ancora operava; il Sig. James Forrestal, Ministro della Marina americana; l'amm. C.W. Nimitz, Capo di Stato Maggiore della Marina americana.
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propria bandiera agli ordini del Comandante Supremo del Mediterraneo, non può oggi, per ovvie ragioni morali e giuridiche, venir trattata coJJ'le bottino di guerra. Ciò non esclude che, nello spirito degli accordi Cunningham-de Courten essa contribuisca, entro giustificati limiti, a restituzioni o compensi ». La questione fu però trattata dettagliatamente sotto tutti i suoi aspetti in un nuovo memorandum a stampa, preparato dalla Marina, che integrava e modificava in parte i due precedenti e che il 20 agosto venne inviato dalla nostra delegazione, come Doc. nr. 5 (M), alla Segreteria Generale della Conferenza per la distribuzione alle varie delegazioni, quale espressione del punto di vista del Governo italiano (2). Il memorandum, intitolato « Osservazioni ag~iuntive del Governo italiano sulle clausole navali del progetto di trattato di pace », è riportato integralmente in allegato (all. 18); se ne sunteggiano qui di seguito i punti salienti: l) Il Governo italiano, per le ragioni esposte nel memorandum del luglio, confermava di « non poter accettare in alcun modo», ritenendola , « immorale, ingiusta e lesiva dell'onore della Marina>>, la clausola secondo la quale sarebbe stata praticamente considerata preda bellìca quella parte della flotta italiana che avrebbe dovuto esser messa a disposizione dei Governi delle quattro Potenze. Il Governo italiano confermava peraltro « di essere pronto a trattare, con spirito di comprensione, eventuali compensi relativi a perdite causate da azioni italiane alle Marine alleate e di esser pronto altresì a demolire o, se possibile, adibire a servizi civili le navi eccedenti ». 2) Una flotta quale quella che il progetto di trattato prevedeva che fosse lasciata all'Italia era « assolutamente insufficiente ad assicurarle un minimo di possibilità d'autodifesa » - come era stato dimostrato nei due memorandum a stampa dell'aprile e del luglio - a causa « della lunghezza delle coste dell'Italia, della vulnerabilità di tanti suoi importanti obiettivi attaccabili dal mare e della necessità vitale per il Paese di non vedere interrotte le sue linee di traffico d'oltremare e di cabotaggio». 3) Per quanto riguarda in particolare le unità - da combattimento e ausiliarie - che il progetto prevedeva che fossero conservate dalJ'Italia, il Governo italiano osservava quanto segue: a) tra le navi da combattimento ve. ne erano di quelle che, avendo superato i 20 anni di servizio, erano da considerarsi - ai sensi dell'allegato V/ A del progetto stesso - prive di valore bellico per la loro vetustà. Inoltre alcune altre unità (ad esempio l'Incroc. Cadorna e il Ct. Da Recco) non potevano essere impiegate, per le loro caratteristiche, ,(2) Del memorandum furono fatte 400 copie che vennero distribuite largamente anche al di fuori della Conferenza, sia a Parigi che a Roma.
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con le altre unità similari di cui era previsto che l'Italia mantenesse il possesso. Questa infine - come era stato dimostrato nei due memorandum citati - aveva la necessità di possedere almeno una piccola aliquota di sommergibili per l'addestramento delle unità antisommergibili nonché un certo numero di motosiluranti, unità che, mentre per la limitata autonomia non potevano avere carattere offensivo, erano invece particolarmente indicate per la difesa e la sorveglianza ravvicinata delle coste; b) delle navi ausiliarie non poche erano vetuste (una quindicina aveva superato 30 anni di servizio e due i 50); alcune altre, che le erano indispensabili, le erano state addirittura tolte (ad es., alcune cisterne per acqua, alcuni rimorchiatori d'alto mare, il pontone Anteo etc.). Ciò premesso il Governo italiano faceva presente che, pur convinto della necessità di ridurre al minimo indispensabile i suoi armamenti navali, riteneva che la consistenza della flotta italiana non avrebbe dovuto discendere al disotto delle seguenti cifre:
Navi da combattimenti maggiori Corazzate Incrociatori Cacciatorpediniere Torpediniere Corvette Sommergibili
2 6 8 12 20 4 Totale
52
Navi da combattimento minori M .S. M.A.S. V.A.S.
12 12 14 1 30
Posamine Dragamine
Totale 69
Navi ausiliarie Petroliere Navi cisterne per acqua Rimorchiatori grandi e medi Rimorchiatori piccoli Navi scuola Navi trasporto
3 20 38 29 2 4
(6 delle quali per la Guardia di Fin.) (di cui 4 da costniirsi)
293
12 (3) 3 1
Motozattere Navi appoggio Navi officina Navi idrografiche Navi per servizio fari Navi posacavi Totale
2 4
1 119
Il memorandum indicava quindi - mantenendosi entro i limiti quantitativi suddetti - i nomi delle navi di cui l'Italia chiedeva di mantenere il possesso, facendo cadere naturalmente la sua scelta (salvo che per le corazzate) sulle unità più efficienti. Tenuto conto dei dislocamenti delle navi indicate, i tonnellaggi corrispondenti al complesso di dette unità erano i seguenti:124.328
69
tonn. tonn.
nr.
121
tonn.
130.700
Navi ausiliarie
nr.
119
tonn.
58.107
Totali generali
nr.
240
tonn.
188.807 (4)
Navi da combattimento maggiori Navì da combattimento minori
nr. nr.
52
Totali navi da com battimento
6372
Togliendo dal tonnellaggio delle navi da combattimento le 48.000 tonn. delle due corazzate (Daria e Duilio) - che si prevedeva di utilizzare come navi scuola e che, comunque, non potevano essere rim-
(3) Le motozattere furono incluse nel naviglio ausiliario e non in quello da combattimento (come era stato fatto nel progetto di trattato) dato che le ca· ratteristiche di queste unità erano tali che esse non potevano essere considerate mezzi da sbarco, ma vere e proprie navi da trasporto, come era provato dal· l'impiego che ne era stato sempre fatto. (4) I tonnellaggi corrispondenti al complesso delle unità lasciate all'Italia dal progetto di trattato di pace erano i seguenti: tonn. 106.756 nr. 46 Navi da combattimento maggiori tonn. 2.778 Navi da combattimento minori nr. 27
Totali navi da combattimento
nr. 73
torui. 109.534
Navi ausiliarie
nr. 74
tonn. 42.238
Tòtali generali nr. 147 tonn. 151.772 In sintesi, i tonnellaggi richiesti dall'Italia erano superiori, rispetto a quelli corrispondenti concessile dal progetto di trattato, di 21.000 tonn. circa per le navi da combattimento e di 16.000 tonn. in cifra tonda per il naviglio ausiliario.
294 piazzate quando radiate -- r,,stava un tonndlaggio di 82.000 tonn . circa, inferiore di 18.000 tonn. in cifra tonda a quello di 100.000 tonn. indicato nei due memorandum a stampa dell'aprile e del luglio. Il tonnellaggio delle navi ausiliare era invece superiore di circa 8.000 tonn. a quella di 50.000 tonn. richiesto nei due suddetti documenti. 4) Le navi che sarebbero risultate eccedenti (5) - se non utilizzate (sulla base di negoziati cui il Governo italiano era pronto a partecipare con spirito di comprensione) per eventuali compensi alle Marine alleate, a risarcimento delle perdite loro causate da azioni italiane avrebbero dovuto esser adibite a servizi civili o, se ciò non fosse stato possibile, esser demolite, impiegando per la ricostruzione del Paese i materiai i che se ne sarebbero stati ricavati. Affondarle in acque profonde, come prescritto dall'art. 49 del progetto di trattato, sarebbe stata un'assurdità perché avrebbe imposto all'Italia, economicamente stremata, di disperdere ingenti quantitativi di materiali di cui aveva urgente bisogno. 5) I divieti stabiliti dagli articoli 50 e 44 del progetto di trattato secondo i quali l'Italia nou avrebbe potuto costruire né sperimentare né possedere comunque alcuni tipi di unità e di armi (particolarmente sommergibili, motosiluranti, armi a razzo e mine ad influenza) avrebbero impedito all'Italia di mantenere aggiornati con le continue nuove conquiste della tecnica i propri armamenti difensivi, già cosi drasticamente ridotti, diminuendo ulteriormente, di conseguenza, le sue già limitate possibilità di difcsa. 6) La cifra di 22.500 uomini - ufficiali compresi - stabilita come f urza massima della Marina italiana dall'articolo 51 del progetto di trattato, non avrebbe consentito a questa, come già era stato indicato nel memorandum a stampa del luglio, di far fronte ai suoi compiti difensivi, soprattutto in considerazione del numero delle sue basi, sparse su oltre 8.500 Km. di costa, e delle esigenze dèlla difesa costiera. Sulla base del documento sopra sintetizzato, con memorandum Doc. nr. 5 bis (M) (presentato dalla nostra delegazione alla Segreteria Generale della Conferenza per la sua distribuzione ai membri della Conferenza lo stesso 20 agosto) furono formulate le proposte di mo-
{5) Le unità che sarebbero risultate eccedenti erano le seguenti: navi da combattimento rnaggiori, nr. 51 per nr. 143.500 tonn. (3 corazzate - Italia, Vittorio Veneto e Cesare; 3 incrociatori - Montecuccoli, Cadorna e Pompeo Magno; 3 cacciatorpediniere; 10 torpediniere e 32 sommergibili); navi da combattimento minori, nr. 12 per 1.092 tonn. (4 M.S.; 3 M.A.S.; 4 M.E. e l cannoniera). Totali delle navi da cornba1timento, nr. 63 unità per 144.642 tonn. Da aggiungersi una quarantina di navi ausiliarie (fra le quali 3 grosse petroliere, 6 navi cisterna per acqua e 29 rimorchiatori) per circa 36.000 tonn.
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difica ai relativi articoli del progetto di trattato, cioè agli articoli 47, 48, 49, 50 e 51 nonché all'allegato IV (6). Parallelamente a questa azione ufficiale, nell'ambito della Conferenza, ne fu svolta un'altra ufficiosa, ai margini della stessa, da parte dell'amm. de Courten (recatosi a tal fine a Parigi dall'8 al 30 agosto) e del cap. vasc. Giuriati (che seguì sul posto i lavori della Conferenza stessa dal suo inizio alla fine). Questa azione fu effetluata soprattutto a meno di contatti dei nostri due rappresentanti con i rappresentanti navali alleati (7) e dei risultati della stessa l'amm. de Courten dette notizia alla nostra delegazione con lettera nr. 37032 del 27 agosto, lettera che si riporta integralmente per le sua importanza. « I. Durante la mia attuale permanenza a Parigi scriveva l'amm. de Courten - ho cercato, perfezionando ed ampliando i contatti con i rappresentanti navali alleati già presi dal cap. vasc. Giuriati, di formarmi una chiara visione delle tendenze delle delegazioni più importanti nei riguardi del problema generale della flotta italiana, e soprattutto dei due punti fondamentali: a) la necessità di evitare che la flotta italiana sia considerata bot· tino di guerra, b) la necessità di aumentare la consistenza della flotta lasciata all'Italia. « II.Riassumo qui di seguito le mie impressioni: « Gran Bretagna La parte militare dell'Ammiragliato britannico, in dipendenza anche della sempre più complessa situazione internazionale, ha modificato il suo punto di vista, inizialmente poco favorevole ad un nostro consistente sviluppo in determinati tipi di naviglio, e sta ora cercando di appoggiare, se pure non integralmente, la nostra tesi su ambedue
(6) Il documento è riportato in « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 174-179. (7) I principali colloqui che l'amm. de Courten ebbe durante la sua permanenza a Parigi furono quelli con i seguenti esperti: amm. Deramond, S. Capo di S.M. della Marina francese (14 agosto); gen. Theron, della delegazione del Sud Africa (16 agosto); Mr Alexander, Primo Lord dell'Ammiragliato (24 agosto); amm. Dutra, della delegazione brasiliana (27 agosto); gen. Pope, della delegazione canadese (28 agosto); Mr. Dunn, assistente del Segretario di Stato americano (28 agosto); gen. Mossor, della delegazione polacca, Presidente della Commissione militare (29 agosto); amb. fQo Ping Sheung, della delegazione cinese, Vice-presidente della Commissione militare (30 agosto). Il cap. vasc. Giurati prese e mantenne contatti durante la Conferenza con i seguenti esperti: cap. vasc. Mackay e cap. corv. Emmet, della delegazione britannica; cap. vasc. Pryce, della delegazione americana; amm. Karpunin della delegazione sovietica; amm. Rebuffel, della delegazione francese; amm. Dutra, della delegazione brasiliana; gen. Delvoye, della delegazione belga; col. Van Der Groon e cap. vasc. Stam, della delegazione olandese; cap. vasc. Buchanan, della delegazione australiana; gen. Theron, della delegazione del Sud Africa; cap. vasc. Constas, della delegazione greca.
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i seguenti punti: aumento della consistenza della flotta e conseguente riduzione della eccedenza da ripartire come compenso per i danni inflitti alle Marine alléate. « Questo mutato atteggiamento delle sfere dirigenti navali non è seguito, od è seguito molto lentamente, dal Primo Lord dell'Ammiragliato, Mr. Alexander, e dalla direzione politica della Gran Bretagna Mr. Alexander, nel colloquio avuto con mc, ha tenuto a mettere in evidenza che le clausole navali del trattato risultano essere il compromesso, raggiunto faticosamente in sede politica, fra le diverse contrastanti tesi sostenute dalle quattro grandi Potenze; di conseguenza, non è nel quadro tecnico, ma in quello più elevato dei dirigenti politici, che potrebbe essere trovato un miglioramento delle clausole navali, miglioramento che peraltro non gli pare f acilmentc raggiungibile. Ha concluso col dire che avrebbe sottoposto la questione al Ministro degli Esteri. Nel frattempo tuttavia continuano i contatti con i rappresentanti della Marina britannica per trovare formule conciliative dei differenti punti di vista. « Stati Uniti La situazione si presenta analoga, se pure con una più costante tendenza della Marina americana ad appoggiare le nostre richieste: il che potrebbe forse servire ad agevolare una presa di posizione della parte politica. Si deve tuttavia notare che la concezione del "bottino di guerra" è stata una trovata del Segretario di Stato, Byrnes, per neutralizzare le richieste navali della Russia: ma, non essendo stata accompagnata da una valida resistenza a tali richieste, essa ha finito col peggiorare la situazione nei nostri confronti. « Francia E' risultato concordemente che la Francia, ancora più che la Russia, ha cercato in ogni modo di ridurre ai minimi termini la consistenza della nostra flotta e di farsi attribuire una parte sostanziale dell'eccedenza. Particolarmente sensibile si è dimostrata la Francia nei riguardi delle navi da battaglia moderne; si è adoperata in conseguenza perché esse non rimangano all'Italia. « Accenni anglo-americani all'opportunità di metterci d'accordo con la Francia, per assicurarci il suo appoggio nelle questioni navali, sono stati presi in considerazione: ma l'accoglienza dello Stato Maggiore della Marina francese alle nostre ~< avances », favorevole, in linea di principio, sulla necessità di ripristinare rapporti cordiali fra le due Marine, è stata praticamente negativa quando s: è trattato di avviare conversazioni concrete. Il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina francese mi ha esplicitamente affermato di non potere entrare in dettagliate trattative se non con l'autorizzazione della parte politica. E questo ha praticamente fermato ogni ulteriore progresso. « D'altro canto non deve nascondersi che, finché l'impostazione del problema delJe eccedenze è fondato sull'attribuzione in blocco di esse alle quattro grandi Potenze per la successiva ripartizione fra le Marine interessate, negoziati particolari non hanno senso.
297 « Russia Il contatto fra l'amm. Karpunin, esperto navale russo, ed il cap. vasc. Giuriati ha messo in rilievo una rigida concezione da parte russa della teoria del bottino di guerra ed una scarsa volontà di rapporti diretti. Un accenno ad ulteriori contatti è stato lasciato cadere.
" Sud Africa, Australia e Brasile - Ho trovato in queste delegazioni larga comprensione dei nostri punti di vista, se pure con diverse vedute circa i modi di realizzazione, in tutto od in parte, delle nostre richieste. « Grecia Da un colloquio del cap. vasc. Giuriati con il cap. vasc. Constas, esperto navale greco, si è ricevuta l'impressione che sussista uno spirito generale di accordo con noi e che sia possibile arrivare attraverso negoziati, se e quando potranno essere fatti, ad una formula conciliativa nel campo dei compensi. « Belgio e Olanda I contatti avuti sono stati di carattere generico per la limitata <::onoscenza dei problemi navali da parte degli esperti appartenenti all'Esercito, ma possono aver servito a rafforzare una tendenza generale di comprensione.
« III. In sostanza, appare chiaramente che risultati positivi potranno essere conseguiti solo se il problema della flotta sarà, sia pure nelle grandi linee, esposto e chiarito ai capi politici delle delegazioni, soprattutto delle quattro grandi Potenze, ::i.ffinch~ essi possano trarne le sperate deduzioni. Infatti, anche ammesso che le nostre richieste vengano sostenute ed ottengano una maggioranza, le relative "raccomandazioni" potranno essere accolte dal Consiglio dei quattro soltanto se almeno Inghilterra, America e Francia saranno disposte ad accettarle. « Fino a quando tale direttiva non sia stata concretata dalle tre Nazioni suddette, le ulteriori conversazioni con gli esperti navali, le quali saranno coltivate con ogni cura, potranno aver solo carattere secondario. « In particolare ritengo indispensabile che da parte della nostra delegazione politica sia svolta un'azione definita e specifica per ottenere che:
a) l'attenzione dei Ministri degli Esteri britannico ed americano sia attratta sul problema della flotta italiana, onde renderli più accessibili alle opinioni dei loro consiglieri tecnici; b) i capi delle delegazioni dei Dominions esercitino la loro influenza sulla delegazione britannica in senso favorevole alla presa in considerazione del le nostre richieste; c) il Ministro degli Esteri francese sia indotto a consigliare ai dirigenti della Marina francese un atteggiamento più benevolo verso la Marina italiana.
298 « IV. Deve notarsi a questo proposito che il problema della flotta si presta ad essere trattato in forma separata dalle altre questioni sul tappeto, in quanto è problema a sé stante, senza riferimenti o collegamenti diretti con le altre parti del trattato ». La questione - a richiesta dell'amm. de Courten - fu presa in esame il giorno successivo (28 agosto) nel corso di una riunione cui parteciparono gli esponenti della nostra delegazione, i quali convennero sull'opportunità che fosse svolta adeguata azione in merito, sul piano politico, presso le delegazioni delle quattro maggiori Potenze. Tale compito fu affidato all'amb. Carandini, all'amb. Tarchiani e all'on. Saragat per i passi da compiersi, rispettivamente, presso le delegazioni britannica, americana e francese; agli ambasciatori Quaroni e Reale congiuntamente per il da farsi presso la delegazione sovietica. Dalle decisioni adottate dalla Conferenza sul problema di cui trattasi risulta chiaro che anche questa azione fu del tutto infruttuosa.
Gli articoli del progetto di trattato riguardanti la flotta furono presi in esame dalla Commissione militare della Conferenza nel periodo 2-19 settembre: in prima lettura dal 2 al 7 di dcttci mese; in seconda lettura dal 14 al 19 seguenti, dopo aver ricevuto ufficialmente dalla Segreteria della Conferenza, il 10 settembre, il citato memorandum ìtalano Doc. nr. 5 bis (M) (8) e aver ascoltato il 12 successivo le dichiarazioni in merito lette al Comitato stesso dal cap. vasc. Giuriati, a nome dell'amm. de Courten, impossibilitato a farlo personalmente in conseguenza delle ferite riportate in un incidente automobilistico. Degli emendamenti agli articoli del progetto di trattato presentati ed esaminati dalla Commissione in sede di prima lettura sono da segnalarsi per la loro importanza quello della Jugoslavia all'art. 47 e quello dell'Australia agli articoli 48 e 58 (9). L'emendamento jugoslavo chiedeva che le navi maggiori da combattimento da lasciare all'Italia - fissate dall'art. 47 del progetto di trattato in 2 corazzate, 4 incrociatori, 4 cacciatorpediniere, 16 torpediniere e 20 corvette - fossero così ridotte: 1 corazzata, 3 incrociatori, 12 torpediniere e 14 corvette (10). L'emendamento australiano all'art. 48 - relativo alla sorte delle navi che fossero risultate in eccedenza a quelle lasciate all'Italia (8) Lettera del cap. vasc. Giuriati alla delegazione italiana alla Conferenza nr. 25/P del 5 settembre 1946. Il memorandum Doc. nr. 5bis (M) era stato presentato dalla nostra delegazione alla Segreteria della Conferenza il 20 agosto! (9) I due documenti sono riportati in « Foreign Relations » cit. bibl. · 1946, Voi. IV; quello jugoslavo (C.P. (Gen) Doc. 1. U. 15) a pg. 743; quello australiano (C.P. (Gen) Doc. 1. B. 8) a pg. 667. (10) Il delegato jugoslavo (amm. Manola) dichjarò che l'emendamento IJresentato era necessario perché l'art. 47 del progetto di trattato, così come formulato, lasciava all'Italia una Marina più grande di quelle dell'Albania, della Grecia e della Jugoslavia messe assieme, il che avrebbe costituito una minaccia per quest'ultima (« Foreign Relations » • cit. bibl. 1946, Voi. III, pg. 335).
299 chiedeva che esso fosse così modificato: « La questione della sorte delle unità della Marina italiana in eccedenza sarà sottoposta all'esame del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in relazione al compito che gli è devoluto di preparare progetti per l'istituzione di un s istema di regolamentazione degli armamenti e in considera?ione del fatto che le decisioni sulla sorte dì tali unità saranno facilitate dalla formulazione dei ci tati piani da parte del Consiglio predetto. Qualora questi piani non fossero stati stabiliti entro il termine di tre mesi decorrenti dall'entrata in vigore del presente trattato, le unità navali in eccedenza saranno distrutte o messe in condizioni di non poter esser usate per fini bellici ». Analoghe modifiche, diceva l'emendamento australiano, avrebbero dovuto essere apportate all'art. 58, relativo al materiale bellico che sarebbe risultato eccedente. Come si noterà, l'emendamento australiano sposava in parte la richiesta italiana formulata ufficialmente con il memorandum a stampa dell 'aprile 1946, secondo il quale la soluzione del problema degli armamenti navali italiani avrebbe dovuto esser rinviata all'O.N.U., per esser risolta nel quadro di una regolamentazione dì carattere generale degli armamenti. La Commissione militare non ritenne però di accettare i due emendamenti e, nella seduta che tenne il 2 settembre, li respinse ambedue a forte maggioranza: con 16 voti contrari, 2 favorevoli e 3 astensioni )'jugos lavo; con 15 voti contrari, 3 favorevoli e 3 astensioni l'australiano (11 ). In sintesi può dirsi che, in sede di prima lettura, la Commissione approvò gli articoli del progetto di trattato riguardanti la Marina (artt. 47, 48, 49, 50, 51 e 58) e i relativi allegati (allcg. IV e V) senza apportare ad essi alcuna sostanziale modifica. Il 12 settembre il punto di vista italiano sulle clausole navali fu esposto alla Commissione, come già detto, dal cap. vasc. Giuriati, il quale sintetizzò neJle sue dichiarazioni (riportate integralmente nell'allegato 19) le richieste e gli argomenti a loro sostegno dettagliatamente esposti nei tre memorandum a stampa dell'aprile, del luglio e dell'agosto (J 2). (II) « Foreign Relations » - cit. bibl. - 1946, Vol. III, pg. 335-336. Durante la discussione dell'emendamento australiano il delegato americano (amm . Conolly) si dichiarò contrario al suo accoglimento affermando che il disposto dell'art. 48 del progetto di trattato si basava sui normali diritti dei belligeranti e sul fatto che la flotta italiana si era arresa. D'altra parte, concluse, alla redazione dell'articolo si era arrivati dopo quasi un anno di studi e la delega.Lione americana era convinta che, nella situazione esistente, esso rappresentava la soluzione più saggia. (« Foreign Relations » cit. bibl. . 1946, Voi. III, pg. 336). ( 12) Sulle clausole relative alle limitazioni degli apprestamenti difensivi in alcuni nostri territori (vedi Cap. VIII) parlò il gen. Trezz.ani, su quelle concernenti l'Aeronautica i.J geo. Ajmone-Cat.
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A fine espos1z10ne, al nostro rappresentante furono poste due domande: una dal delegato americano (amm. Conolly), relativa alle necessità della Marina in fatto di personale, e una dal delegato britannico, che era il Primo Lord dell'Ammiragliato, Mr. Alexander. Questi chiese se l'Italia riconosceva che le Potenze alleate avevano tenuto pieno conto dei servizi resi alla causa alleata dalla Marina italiana nel periodo post-armistiziale, dato che esse avevano concesso all'Italia di conservare una Marina, mentre ne avevano vietato il possesso ad altri Stati ex-nemici (evidente allusione alla Germania e al Giappone). La risposta del comandante Giuriati fu che la principale obiezione dell'Italia si riferiva all'art. 48, il quale trattava la flotta italiana come preda di guerra, cosa che non corrispondeva né ai patti firmati dagli Alleati (chiara allusione all'accordo Cunningham-de Courten nel suo testo originale) né al comportamento della flotta italiana durante la cobelligeranza (palese accenno al "documento di Quebec"). Per quanto riguarda poi l'art. 47, aggiunse il comandante Giuriati, le richieste italiane - di lieve entità - miravano a ottenere che la flotta lasciata all'Italia avesse un minimo di omogeneità e d'organicità. L'Italia riconosceva, concluse, che, a differenza di quanto fatto per altri Stati, una flotta le era stata lasciata, ma non poteva non rilevare che essa - così come risultava dal progetto di trattato - era di pochissimo valore bellico, cosa che diminuiva moltissimo il valore della concessione fatta (13). La fase dei lavori della Commissione in sede di esame in seconda lettura degli articoli del progetto relativi alla flotta fu caratterizzata da due iniziative, una della delegazione del Sud Africa e una di quella albanese. La prima (così come aveva fatto per gli articoli del progetto di trattato che stabilivano le limitazioni per gli apprestamenti militari di alcuni territori italiani) presentò una serie di emendamenti agli articoli 47 (con l'allegato IV/ A), 48, 49, 50 e 51 del progetto stesso, emendamenti che erano a noi favorevoli perché accoglievano in parte - in riconoscimento dei due anni di cobelligeranza dell'Italia a fianco degli Alleati - le richieste di modifica avanzate da quest'ultima. L'iniziativa della delegazione albanese era invece d'altra natura perché mirava ad ottenere una sostanziale riduzione della flotta da lasciare all'Italia. A tal fine essa presentò un memorandum in èui richiedeva, per l'art. 47, una modifica identica a quella formulata dalla Jugoslavia
(13) Lettera del cap. vasc. Giurati al Min. Marina nr. 33/.P del 12 settembre. I n senso analogo « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Vdl. III, pg. 441. La richiesta presentata dalla nostra delegazione che delle due domande e delle relative risposte fosse data notizia nel verbale della seduta della Commissione, fu da questa respinta (« Foreign Relations » cit. bibl. - 1946. Vol. III, pg. 673).
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con l'emendamento che la Commissione aveva respinto, come s1 I! veduto, nella seduta del 2 settembre (14). La richiesta venne decisamente appoggiata dalla Jugoslavia che, per farla esaminare dalla Commissione, la fece oggetto di un proprio emendamento. Quale risultato ebbero le due iniziative? Praticamente si risolsero in un nulla di fatto perché tutti gli emendamenti presentati furono respinti dalla Commissione o vennero ritirati dalle delegazioni che li avevanò presentati (15).
(14) Con memorandum qel 30 agosto 1946 (« Foreign Relations » cit. bibl. · 1946, Vol. IV, pg. 799-804) l'Albania chiese che l'art. 47 del progetto di trattato fosse modificato in modo da ridurre come segue il numero delle navi da combattimento maggiori da lasciare all'Italia: 1 corazzata, 3 incrociatori, 12 torpediniere e 14 corvette e che, « in considerazione dei danni sofferti dalla piccola Marina albanese in conseguenza dell'oppressione fascista e della necessità per l'Albania di possedere alcune unità per la protezione delle sue acque territoriali», le fosse data « una ragionevole quota delle unità navali italiane proporzionata alle sue necessità ». (15) Ecco la sorte dei singoli emendamenti: art. 47 e all. IV/A . Emendamento jugoslavo che sposava la richiesta albanese. Ritirato con la dichiarazione del delegato jugoslavo, da mettere a verbale, che la Jugoslavia riteneva che la « flotta italiana, come prevista dal progetto di trattato di pace, costituiva una minaccia per la sicurezza della Jugoslavia e dell'Albania ». Emendamento sud-africano il quale domandava che fosse aumentata la flotta da lasciare all'Italia (come richiesto da questa, ma con 24 motocannoniere al posto di 24 motosiluranti, e con esclusione dei sommergibili). Respinto con 20 voti contrari e 1 favorevole. art. 48 . Emendamento sud-africano il quale chiedeva che l'articolo fosse esaminato prendendo come base di discussione la richiesta italiana mirante a evitare che le navi eccedenti fossero trattate come preda bellica. Il delegato sudafricano (gen. Theron) lo ritirò di fronte alla netta presa di posizione contro l'emendamento del rappresentante americano, cap. vasc. Pryce, che parlò a nome delle quattro grandi Potenze. are. 49 . Emendamento sud-africano il quale proponeva che i sommergibili eccedenti potessero esser privati, prima di esser affondati, di tutti i macchinari utilizzabili a scopi civili. Respinto con 17 voti contrari, 1 favorevole e 2 astenuti. art. 50 · Emendamento del Sud-Africa il quale, accogliendo la richiesta italiana, chiedeva che il tonnellaggio globale che l'Italia era autoriz.z ata a raggiungere con le nuove costruzioni fosse portato da 67.500 a 82.000 tonn. Ritirato dal delegato sud-africano in seguito al risultato negativo della votazione sull'emendamento relativo all'art. 47 e all'allegato IV/ A. · art. 51 . Emendamento sud-africano il quale domandava che il personale che la Marina italiana era autorizzata a possedere fosse elevato (in adesione parziale alla richiesta italiana) da 22.500 a 30.000 uomini. Di fronte all'atteggiamento negativo assunto dai delegati sovietico (amm. Karpunin) e francese (amm. Rebuffel), il delegato sud-africano (gen. Theron) ritirò l'emendamento facendo però mettere a verbale la sua richiesta che la questione venisse ulteriormente esaminata dal Consiglio dei Ministri degli Esteri. (Vedansi lettere del cap. vasc. Giurati al Min. Marina 40/ P e 51/P rispettivamente del 14 e 23 settembre nonché « Foreign Relations » cit. bibl. · 1946, Voi. III, pg. 471, 477. 485 e 486: Voi. IV, pg. 417 e 418).
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Dall'esame delle conclusioni cui giunse la Commissione al termine dei suoi lavori, sintetizzate nella relazione che essa presentò alla Conferenza, (16) si rileva che essa: a) approvò senza sostanziali modifiche gli articoli 48, 50, 51 e 58 nonché gli allegati IV e V; b) propose una d1versa formulazione dell'art. 47 con l'aggiunta di un comma in cui si diceva che l'Italia, per effettuare le operazioni di dragaggio e sino alla fine di queste, avrebbe potuto mantenere in servizio, a tal fine. un numero di unità superiore a quello concessole dal trattato (17); c) raccomandò che l'art. 49- fosse modificato in modo da consentire all'Italia di demolire (per utilizzarne il rottame), an1.iché affondarle in acque profonde, le navi di superficie non in servizio galleggianti (ivi comprese quelle in costruzione già varate), nonché quelle affondate che fossero state ricuperate (I 8); d) suggerì che all'allegato V fosse aggiunto un quarto paragrafo con la definizione del termine «smilitarizzazione», definizione di cui forniva il testo (19).
(16) La relazione è riportata in « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 412-419. (17) Questa disposizione era integrata con la proposta di un apposito articolo secondo il quale l'Italia, all'entrata in vigore del trattato di pace, sarebbe stata invitata a divenire membro della « Commissione per la zona mediterranea» dell'« Organizzazione internazionale di dragaggio per lo sminamento delle acque europee », con l'obbligo di mettere a disposizione della « Commissione Centrale di dragaggio» la totalità dei suoi mezzi di tal tipo sino alla fine delle operazioni. (18) La modifica fu proposta dalla delegazione americana. Restava quindi l'obbligo per l'Italia d'affondare in acque profonde soltanto i 28 sommergibili che sarebbero risultati eccedenti dopo la consegna alle Potenze alleate degli 8 ad esse destinati come preda bellica. (19) Il 19 settembre - appena la Commissione militare ebbe terminati i suoi lavori sulle clausole navali del progetto di trattato riguardante l'Italia l'esperto navale britannico, cap. vasc. Mackay, tenne ai giornalisti italiani una conferenza stampa, di carattere non ufficiale, allo scopo di esporre loro il punto di vista inglese sulla questione. Tale punto di vista era così sintetizzato in una velina distribuita agli intervenuti: « Risulta chiaro dalle cifre delle votazioni che l'Italia non ha ottenuto alcun considerevole appoggio fra le diciassette Nazioni chiamate a esaminare la soluzione proposta dalle quattro maggiori Potenze... Il risultato del dibattito nella Comissione militare è il seguente: l'opinione mondiale è più favorevole alla soluzione presentata dal Consiglio dei Ministri degl~ Esteri piuttosto che alle modifiche proposte dal memorandum italiano... Sembra che il da farsi più conveniente per l'Italia sia quello di accettare tale soluzione, che ha raccolto l'approvazione del mondo in generale, e quello di concentrare tu tte le sue energie sullo sviluppo e il mantenimento in piena efficienza delle Forze lasciatele dal progetto di trattato... Noi siamo pienamente disposti a dare assistenza materiale e tecnica alla Marina italiana ... ». Avuto notizia di quanto sopra, · il giorno successivo il cap. vasc. Giurati teneva a sua volta alla nostra stampa una conferenza nella quale, dopo aver con·
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Avuto notizia delle concJusioni cui era giunta la Commissione militare, il Ministero della Marina decise di sollecitare un intervento di quello degli Esteri e, a tal fine, il ministro Micheli diresse al Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, De Gasperi, la seguente lettera: (20) « Caro De Gasperi,
come ben sai, entro il 15 ottobre p.v. l'Assemblea Generale della Conferenza di Parigi dovrebbe approvare lo schema definitivo del trattato di pace da proporre alla sanzione delle quattro maggiori Potenze. « In considerazione dei risultati completamente negativi dei lavori della Commissione militare, ritengo che sarebbe opportuno che il Governo italiano presentasse alla Conferenza, prima che abbia luogo l'Asemblea Generale, un succinto memorandum nel quale sia fissato, in modo chiaro e definitivo, di fronte alla storia e al Paese, il punto di vista italiano nei riguardi dello schema di trattato proposto, quale risulta dopo l'esame della Commissione. « Le direttive di tale memorandum dovrebbero, a mio parere, essere stabilite dal Consiglio dei Ministri, a somiglianza di quanto avvenne prima dell'inizio della Conferenza, quando il Consiglio stesso fissò le direttive che avrebbero dovuto essere seguite dalla nostra delegazione di Parigi. « Per quanto riguarda la Marina militare riterrei necessario e doveroso protestare con la massima energia contro la clausola, particolarmente grave dal punto di vista morale, che impone la consegna di più della metà della nostra flotta come "bottino di guerra" (art. 48), perché tale clausola appare in contrasto con gli impegni presi dagli Al-
futato l'asserzione che le decisioni della Commissione militare potessero considerarsi l'espressione dell'« opinione mondiale», così concludeva: « Non possiamo affatto dichiararci soddisfatti né della procedura seguita, né della poca serietà con cui sono state discusse le varie clausole, senza prendere in minima considerazione quanto abbiamo esposto. « Abbiamo il dovere e il diritto di dire che le clausole navali che ci sono imposte sono soltanto il frutto di un compromesso, per raggiungere il quale gli Alleati hanno deliberatamente calpestato gli impegni da loro stessi proposti e sottoscritti in un momento in cui avevano bisogno della Marina italiana. « E' quindi perfettamente inutile che ora si cerchi di darci consigli o farci vaghe promesse: ne abbiamo avute fin troppe. Solo i fatti, e non le parole, potranno dimostrare al popolo italiano se vi è veramente qualcuno disposto ad aiutarlo ... « Sino alla fine continueremo a sostenere che il trattamento fatto alla Marina, in particolare con l'articolo 48, costituisce un magnifico esempio di ingiustizia e di malafede». (Lettera del cap. vasc. Giurati al Min. Marina, nr. 53/P del 23 settembre 1943, con le due veline). (20) Nr. 3280/UT del 27 settembre 1946.
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leati, quando le sorti del conflitto non erano ancora decise, e con il notevole contributo dato dalla Marina italiana alla causa alleata. « Energica protesta dovrebbe altresì essere sollevata contro la decisione che stabilisce per le Forze navali italiane una condizione che non assicura all'Italia un'adeguata possibilità di autodifesa (art. 47 alleg. IV/ A) e ciò malgrado che lo statuto delle Nazioni Unite consideri l'autodifesa un diritto innato in ogni Stato. « I nfine dovrebbe esser protestato contro la disposizione che impone l'affondamenro di circa 30 sommergibili (art. 49) » (21). Nella sua 36" seduta plenaria, tenuta il 9 ottobre, la Conferenza prese in esame le clausole del progetto <li trattato relative alla flotta, adeguandosi completamente, nel formulare le sue « raccomandazioni » al Consiglio dei Ministri degli Esteri, alle proposte della Commissione militare (22). Al Consiglio spettava ora l'ultima parola. 7. La terza sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (New York, 4
novembre - 12 dicembre 1946) e le sue decisioni finali.
La terza sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri si aprì a New York il 4 novembre (1); il giorno precedente il Governo italiano, come si è già veduto, aveva fatto pervenire ad ognuno di essi una nota sulle varie questioni connesse con il trattato di pace. Su quella riguardante il nostro apparato militare ia nota così si esprimeva: « La smilitarizzazione delle frontiere e le clausole militari del trattato lasciano l'I talia indifesa e in uno stato di soggezione che incide sulla sua stessa indipendenza. La mutilazione della Marina ha il carattere di una sanzione ingiustificabile di fronte al contributo da essa dato alla guerra a fianco delle flotte delle Nazioni Unite e alle perdite
(21) Non risulta che agli Esteri sia stato considerato opportuno dare un seguito a questa lettera. Anche alla Marina si era ben consci che molto difficil, mente un ulteriore passo del nostro Governo avrebbe potuto avere favorevoli risultati ma, malgrado ciò, si era ritenuto che fosse conveniente fare il passo proposto per dare al popolo italiano e, in particolare, agli ufficiali e ai marinai della Marina, dolorosamente colpiti dalle notizie giunte da Parigi, la certezza che nulla era stato trascurato per difendere la nostra causa. (Vedasi promemoria per il ministro Micheli dell'Ufficio Trattati della Marina del 25 settembre 1946). (22) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Vol. IV, pg. 889-890, 900-901, 913-914. Australia e Nuova Zelanda si astennero nella votazione sull'art. 48; l'Australia anche in quella sull'art. 58. La Jugoslavia fece mettere a verbale il suo dissenso sull'alleg. IV/ A. ( « Foreign Relations » cit. bibl. . 1946, Voi. III, pg. 729730 e 752). {1) I quattro Ministri furono Byrnes, Bevin, Molotov e Couve de Murville per la Francia
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ingenti che ha subito, unitamente alle Forze dell'Esercito e dell'Aeronautica, combattendo contro il nemico comune» (2) Ma - come vedremo - anche questo ultimo richiamo a una più equa decisione (u sostanzialmente inutile (3). Al Consiglio dei Ministri degli Esteri, si posero, per quanto riguarda la nostra flotta, due problemi: I) decidere sulle « raccomandazioni » in merito fattegli dalla Conferenza di Parigi e dare quindi forma definitiva ai relativi articoli del trattato; 2) procedere alla spartizione fra i vincitori delle unità italiane elencate nell'allegato IV / B del progetto di trattato, qualora il principio di considerare preda bellica dette unità fosse stato confermato. In merito al primo problema le decisioni prese dal Consiglio furono le seguenti: (4) a) accettò la « raccomandazione » delia - Conferenza di Parigi di dare una nuova formulazione all'art. 47 del progetto e di aggiungervi un comma con il quale si autorizzava l'Italia a mantenere in servizio, per le operazioni di dragaggio e sino alla fine di queste, un numero di unità superiore a quella concessole dal trattato; b) su proposta francese e sovietica all'art. 48 (quello che disciplinava la consegna ai vincitori delle unità eccedenti), aggiunse un comma secondo il quale, nel caso che alcune di queste unità fossero andate perdute o fossero state irreparabilmente danneggiate, l'Italia avrebbe dovuto sostituirle con un tonnellaggio equivalente da trarsi, a scelta dei vincitori, dal contingente di navi lasciatele (5);
(2) Il testo completo della nota è riportato in « Relazioni Internazionali » 1946, nr. 22, pg. 10. (3) A New York la tutela dei nostri interessi presso il Consiglio dei Ministri degli Esteri fu affidata all'amb. Tarchiani, al quale venne affiancato, come esperto in materia navale, il cap. vasc. Giuriati. Questi poté così riprendere i contatti che aveva instaurato e mantenuto a Parigi con gli esperti navali dei quattro Ministri; in modo particolare con quelli anglo-sassoni, il cap. vasc. britannico Mackay e il cap. vasc. americano Pryce. (4) Decisioni adottate dal Consiglio nella sua seduta del 12 dicembre 1946 (« Foreign Relations » cit. bibl. · 1946, Voi. II, pg. 1491-1493). (5) Come si ricorderà, il timore che l'Italia non consegnasse le navi che doveva cedere come preda bellica, ma che le autoaffondasse o le sabotasse gravemente, tormentava da tempo i vincitori. Ne aveva parlato l'amm. Cunningham all'amm. de Courten nel loro incontro del 1° dicembre 1945; sull'argomento era tornato a fine marzo 1946 l'ambasciatore britannico, d'ordine del suo Governo, con il Ministero degli Esteri; la questione era stata sollevata da Molotov in sede di Consiglio dei Ministri degli Esteri nelle sedute del 24 e 28 giugno 1946 ( « Foreign Relations » cit. bibl. . 1946, Voi. II, pg. 605 e 678-679); un passo in merito era stato fatto infine dal Dipartimento di Stato americano sul finire delì'ottobre 1946.
306 c) accettò la « raccomandazione » della Conferenza di Parigi di modificare l'art. 49 del progetto in modo da consentire all'Italia di demolire (per utilizzarne il rottame), anziché affondarle in acque profonde, le navi di superficie non in servizio galleggianti (ivi comprese quelle in costruzione già varate) nonché quelle affondate che fossero state ricuperate. Integrò inoltre l'articolo con una clausola di carattere generale, proposta dalla Gran Bretagna, secondo la quale l'Italia, prima di demolire o di affondare le unità di qualsiasi tipo (ivi compresi i sommergibili) indicate nell'articolo stesso, avrebbe potuto togliere dalle stesse tutto quel materiale, non avente caratt.:!re bellico, che fosse stato suscettibile di impiego civile; d) in accoglimento di proposta presentata dagli Stati Uniti, ap· provò un aumento degli effettivi della Marina di 2.500 unità, portandoli da 22.500 come stabilito dall'art. 51 del progetto, a 25.000; e) aggiunse 16 dragamine magnetici, che gli Stati Uniti avevano ceduto all'Italia, nell'elenco delle unità che questa avrebbe potuto conservare; (6) f) accettò infine la « raccomandazione » della Conferenza di Parigi di aggiungere all'allegato V del progetto un quarto paragrafo con la definizione del termine « smilitarizzazione». Tutto sommato può dirsi che le modifiche apportate alle clausole del progetto di trattato furono cosa molto modesta e che, in ogni modo, non lenivano quello che era il vero punctum dolens: la cessione come preda bellica di oltre la metà della nostra flotta. Per quanto riguarda il secondo problema, quello della spartizione fra i vincitori delle navi che dovevano esser loro cedute, le notizie che si ebbero allora furono pochissime: si seppe che l'Unione Sovietica avrebbe voluto una delle due nostre corazzate più moderne (la Vittorio Veneto o l'Italia) ma che Stati Uniti e Gran Bretagna non avevano aderito a tale richiesta; si seppe pure che il Comitato navale del Consiglio era stato incaricato di preparare un protocollo il quale avrebbe dovuto: - indicare - secondo le direttive approvate dal Consiglio - come sarebbero state ripartite tra i vincitori le navi che l'Italia avrebbe dovuto consegnare; - istituire un'apposita Commissione delle quattro Potenze con l'incarico di regolare e sorvegliare le operazioni di consegna di tali unità alle Potenze interessate. Nessuna notizia trapelò invece sul come la ripartizione era stata effettuata.
(6) Si trattava dei 16 dragamine della classe «Anemone» da circa 215 tonn.
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Da documenti pubblicati anni dopo dal Governo americano (7) risulta che la questione di cui trattasi fu esaminata dai quattro Ministri degli Esteri in due sedute, il 6 e il 12 dicembre 1946. Durante la prima seduta il Consiglio prese in esame un rapporto preparato dal suo Comitato navale il 5 agosto precedente contenente proposte sul come effettuare la ripartizione delle navi che l'Italia avrebbe dovuto consegnare. Questo rapporto indicava quali unità dare alla Grecia, alla Jugoslavia e alla Francia; con il rimanente naviglio il Comitato - non essendo riuscito a trovare un accordo sul modo di ripartirlo tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica - aveva fatto tre gruppi, ognuno con una corazzata (il gruppo A con l'Italia, il gruppo B con la Cesare, il gruppo C con la Vittorio Veneto), lasciando al Consiglio di decidere a chi assegnarli. In apertura di seduta Byrnes, prendendo spunto dalle richieste presentate anche daJl'Olanda e dal Brasile di avere un compenso per le navi loro affondate dall'Italia (8), propose, appoggiato da Bevin, di demolire o di affondare le navi che l'Italia avrebbe dovuto consegnare, cosa che avrebbe posto fine a ogni discussione sulla loro ripartizione. La proposta egli rinnovò nel corso della seduta, ma non se ne fece nulla per l'opposizione di Molotov (Couve de Murville non si pronunciò). Si passò allora a discutere a chi assegnare i tre gruppi delle navi italiane preparati dal Comitato navale, ai quali il Consiglio doveva dare un destinatario. ,M olotov, si battè per avere il gruppo A o il gruppo C (dei ,q uali - come si è veduto - facevano parte, rispettivamente, l'Italia e la Vittorio Veneto), ma si scontrò contro l'opposizione di Bevin e di Byrnes. Alla fine fu deciso che il gruppo A sarebbe andato agli Stati Uniti, il gruppo C alla Gran Bretagna e il gruppo B, con la Cesare, all'Unione Sovietica. Su un punto tutt'e quattro si trovarono d'accordo senza discutere e cioè su quello di mantenere il più stretto ~c::greto sulla discussione e sul come era stata fatta la ripartizione delle navi che l'Italia avrebbe dovuto consegnare. E ciò per evitare possibili reazioni da parte dei marinai italiani (9). (7) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Vol. II, pg. 1455-1462, 1464, 1546-1550, 1555-1556. (8) Le richieste dell'Olanda e del Brasile non vennero accolte dal Consiglio; Stati Uniti e Gran Bretagna si impegnarono di soddisfarle con proprie unità. ,(9) a) Da « Foreign Relations » - cit. bibl. - 1946, Vol. II, pg. 1461 (verbale della seduta del 6 dicembre). « Mr. Bevin Vi potrebbero esser grosse reazioni a questa assegnazione. Desidero che non avvenga nessun affondamento o qualcosa di simile. Noi abbiamo fermamente diffidato il Governo italiano e gli ammiragli della flotta, ma penso che sarebbe molto poco saggio rendere pubblica, attualmente, questa discussione. « M. Couve de Murville - Penso che tutti saremo d'accordo che questa è una discussione molto import~nte e che nulla di quanto abbiamo discusso debba
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Il Consiglio concluse i suoi lavori sulla questione con la decisione di affidare al Comitato navale l'incarico di preparare un protocollo, da sottoporre alla firma dei quattro Governi, il quale avrebbe dovuto: a) indicare - sulla base di quanto deciso dal Consiglio - come sarebbero state ripartite fra i vinci tori le navi che l'Italia avrebbe dovuto consegnare; b) istituire una Commissione, composta da rappresentanti delle quattro Potenze, con il compito di definire i dettagli dei trasferimenti di tali unità alle Potenze interessate; c) disporre la restituzione alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, da parte dell'Unione Sovietica, delle unità che questa aveva avuto in prestito nel 1944, in sostituzione, come si ricorderà, delle navi italiane promessele a Teheran.
comparire sulla stampa. Spero che ognuno di noi darà istruzioni in tal senso al rappresentante della propria stampa. « M. Molotov - D'accordo. « Mr. Byrnes · Concordo con Mr. Bevin. Sappiamo cosa sono i marinai; se essi ritenessero che sarebbe cosa saggia affondarle potrebbero dire: "Bene, per noi è sufficiente, le affonderemo''». b) Da « Foreign Relations » cit. bibl. . 1946, Vol. II, pg. 1549 (verbale della seduta del 12 dicembre). « Mr. Bevin · Ci siamo trovati d'accordo sulla ripa.r tizione e io mi auguro sinceramente che i nomi delle navi assegnate non compaiano nella stampa. « (Tu tti d'accordo) ,.,_
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Capitolo X IL TRATTAMENTO FATTO ALLA MARINA MERCANTILE
I. Il punto di vista italiano.
Come si è veduto precedentemente, il nostro naviglio mercantile soddisfatto che ebbe lealmente, come quello militare, le condizioni e le disposizioni dell'« armistizio corto » e del « documento di Quebec» allo stesso allegato - dall'accordo Cunningham-de Courten del 23 settembre 1943 fu immesso nel pool del naviglio mercanttile alleato (1). Tutte le navi efficienti iniziarono quindi subito il loro servizio a favore della causa alleata, in e fuori del Mediterraneo. Furono così complessivamente impiegate in media - su piede di parità con il naviglio mercantile alleato e con bandiera ed equipaggi italiani - 90 unità per 300.000 tonnellate di stazza lorda, senza tener conto del naviglio di piccolo cabotaggio utilizzato per sopperire alle urgenti esigenze di rifornimento dell'Esercito alleato sul fronte italiano. Inoltre equipaggi italiani furono imbarcati su navi alleate. Alla fine delle ostilità, nel maggio 1945, la flotta mercantile italiana (che nel giugno 1940, mettendo a calcolo le sole navi di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate, era costituita da 772 unità per complessive 3.310.584 T.S.L.) era ridotta a 77 navi per un totale 370.375 T.S.L. ! Era quindi necessario muoversi al più presto per cercare di salvare il salvabile di quello che ancora esisteva e <li evitare che nel trattato di pace fossero posti vincoli o limitazioni che potessero ostacolare il risorgere della nostra flotta (2).
(I) Vedasi Cap. IV, Sez. 1 Nel pool alleato furono immesse, in li:iea di massima, le navi di stazza lorda superiore alle 300 tonnellate. Il poo, - cui aderirono 18 Stati, tra i quali la Gran Bretagna e gli Stati Uniti - aveva il compito di utilizzare ai fini comuni il naviglio che ne faceva parte gestendolo, sotto direzione unitaria e senza distinzione di bandiera, come un complesso appartenente a un solo armatore, eliminando così interferenze e concorrenz~ (Vcd ..1si in proposito « Situazione marittima italiana» in « Politica Estera» nr. 11, 1946). (2) E' da ricordarsi in proposito che alla Conferenza di Pusdam (17 luglio-2 agosto 1945) i « tre Grandi» avevano deciso che tutte le navi mercantili tede-
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Il Ministero della Marina - da cui, dal periodo di Brindisi, la Marina mercantile dipendeva (3) - dette quindi subito inizio ai relativi studi onde avere elementi per definire - di intesa con quello degli Esteri - la linea di condotta che sarebbe stato conveniente adottare in sede di stipulazione del trattato di pace. Per ben comprendere le conclusioni cui si giunse è necessario ricordare alcuni dati di fatto da cui esse trassero, sia pure in parte, origine. Il primo di questi dati di fatto è il seguente. Il 10 giugno 1940 una fortissima aliquota della nostra flotta mercantile (trattavasi di 179 unità di stazza lorda superiore alle 1000 tonnellate per complessive 1.026.000 T.S.L.), non preavvertita tempestivamente dell'imminente inizio delle ostilità, era stata sorpresa dalla dichiarazione di guerra mentre trovavasi in navigazione fuori del Mediterraneo o, addirittura, in porti nemici. In particolare, per quanto interessa l'argomento in corso di esame: - 28 unità, per complessive 144.658 T.S.L., erano state catturate e, successivamente confiscate, dalla Gran Bretagna nei suoi porti, ove esse si erano recate per normali operazioni commerciali o, addirittura, per esser sottoposte al controllo anticontrabbando di guerra esercitato dalle autorità britanniche; - 68 altre navi, per complessive 415.724 T.S.L. (4), non potendo rientrare in Mediterraneo ne raggiungere i porti dell'Africa Orientale, per sfuggire alla cattura da parte francese o inglese, si erano rifugiate in acque di Stati neutrali che, in un secondo tempo, avevano · rotto le relazioni diplomatiche con l'Italia (Egitto, Iran, Colombia, Venezuela, Uruguay) o erano entrate in guerra contro di essa (Stati Uniti, Panama, Costarica, Cuba, Messico, Brasile), catturando e confiscando le navi di cui trattasi o, comunque, impossessandosene e impiegandole (direttamente o no) senza corrispondere alcun compenso ai legittimi proprietari. L'altro dato di fatto è questo. Nel periodo 10 giugno 1940 - 8 settembre 1943 l'Italia era venuta in possesso (per cattura e confisca, sequestro, cessione in gestione da
sche - eccezion fatta per quelle impiegate nella navigazione interna e costiera considerate necessarie per l'economia di pace della Germania - fossero ripartite in parti eguali fra l'Unione Sovietica, Stati Uniti e Gran Bretagna. La prima avrebbe dovuto provvedere però, con la sua quota, ad indennizzare adeguatamente la Polonia per le perdite subìte; Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero dovuto fare altrettanto con le altre Potenze alleate, le cui Marine mercantili avessero subito gravi danni. (3) Era incaricata di sovraintendere alla stessa la « Direzione Generale della Marina Mercantile,. retta, all'epoca, dal ten. gcn. A.N. Carlo Matteini. (4) Effettivamente si trattava di 75 unità, ma 7, delle 19 rifugiatesi nelle acque brasiliane, nel 1941 le avevano abbandonate nel tentativo di raggiungere le coste atlantiche della Francia occupate dai tedeschi. Cinque erano riuscite nell'impresa.
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parte della Germania etc.) di naviglio di alcune Potenze alleate; precisamente della Francia, della Jugoslavia, della Grecia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti . Trattavasi in linea di massima - salvo che nel caso della Francia - di unità di modesto o piccolo tonnellagio o, addirittura, da diporto (5). Di questo naviglio, un'aliquota era affondata in mare aperto o nei porti prima dell'8 settembre 1943; un'altra aliquota, molto piccola, era stata restituita dopo tal data alle autorità alleate; la restante parte, rimasta in acque controllate dai tedeschi, era andata praticamente tutta perduta, in navigazione o nei porti. Delle unità affondate nei porti solo una porzione era ricuperabile e reimpiegabile. Le conclusioni degli studi compiuti sulla questione dal Ministero della Marina, (con l'apporto anche del « Comitato dell'armamento "italiano») (6), furono da questo raccolte in un documentato promemoria che, con lettera d'accompagnamento e di chiarimento nr. 2006/UT del 7 settembre 1945, venne inviato al Ministero degli Esteri. Tale promemoria, intitolato « Considerazioni relative alla Marina mercantile italiana nei riguardi del trattato di pace », si componeva sostanzialmente di due parti. Nella prima, costituita da tre paragrafi, erano messi in luce i titoli a nostro favore verso gli Alleati ed erano svolti gli argomenti a giustificazione delle richieste che si proponeva di presentare loro in sede di trattative di pace (7). Tali richieste - si diceva nella lettera di accompagnamento - « si basano soprattutto sull'attuale deficitaria consistenza della nostra flotta mercantile e sulla necessità, quindi, di integrarla al più presto con ogni possibile mezzo. Esse possono ben considerarsi giustificate in considerazione della leale applicazione delle clausole armistiziali da parte della Marina mercantile, dell'apporto da essa dato alla causa alleata, delle gravissime perdite e dei gravis(5) Il caso della Francia, di gran lunga il più importante, fu risolto successivamente con l'accordo intervenuto fra le due parti il l<> giugno 1946, alla vigilia della Conferenza di Parigi. In forza di quest'accordo il Governo italiano ricuperò e rimise in perfette condizioni dì navigabilità, a proprie spese, 10 piroscafi fran· cesi affondati in acque italiane, consegnandoli quindi al Governo francese. Questo, in compenso, cedette al Governo italiano i relitti di altri 20 piroscafi fran· cesi affondati nelle nostre acque. Il naviglio degli altri Stati di cui l'Italia era entrata in possesso può esser così sommariamente indicato: Jugoslavia, fra piccole unità e unità maggiori, 52.000 T.S.L. circa; Grecia, tra piccole unità (in gran parte recuperate dal fondo) e unità maggiori, circa 42.000 T.S.L.. ivi compresi 7 piroscafi (27.000 T.S.L. circa) avuti in gestione dalla Germania; Gran Bretagna, 3 piroscafi e una sessantina di panfili ; Stari Uniti, una ventina di panfili. (6) Fu sostituito il 6 settembre 1945 dalla « Confederazione italiana degli armatori». (7) Tali richieste furono def initiva111ente precisate nel memorandum a stampa del maggio 1946, riportato integralmente, in questa sua parte, più avanti. Si omette perciò - per evitare ripetizioni - di riportarle qui.
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simi danni subiti dal nav1g110, dalle attrezzature portuali e dagli organismi armatoriali nel periodo della cobelligeranza». Nella seconda parte, costituita dal quarto paragrafo, si prendeva in esame il problema delle richieste di risarcimento che avrebbero potuto esser avanzate dagli Alleati per la mancata restituzione dopo l'armistizio di loro navi di cui l'Italia era venuta comunque in possesso durante la prima fase della guerra. In proposito si suggeriva di adottare la seguente linea di condotta, da seguirsi, in linea generale, qualora la questione si fosse posta: a) Naviglio alleato che all'8 settembre 1943 era rimasto in porti o acque controllati dai tedeschi. L'eventuale risarcimento avrebbe dovuto esser a carico della Germania. Tuttavia l'Italia avrebbe potuto impegnarsi, se richiesta, a facilitare il ricupero delle unità affondate nei suoi porti. b) Naviglio alleato affondato prima dell'8 settembre 1943. La questione avrebbe potuto esser presa in esame in connessione con quella delle 96 unità italiane (delle quali si è precedentemente parlato) di cui alcune Potenze alleate si erano impossessate e che erano successivamente affondate. « Le varie questioni a cui si è fatto cenno nel promemoria allegato - concludeva la già citata lettera di accompagnamento - dimostrano che il problema della Marina mercanti le, per la sua complessità e per i suoi numerosi riflessi nel campo della ricostruzione e dell'economia nazionale, non può esser trattato, sia pure nelle sue linee generali, senza l'intervento di" esperti ». Di conseguenza era proposto che della delegazione italiana, di cui era previsto l'invio a Londra in occasione della riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (8), facesse parte anche il Dr. Giuseppe Fortini, funzionario della Direzione Generale della Marina Mercantile, nonché un rappresentante del Comitato dell'armamento italiano dato che i « contatti mantenuti per anni dagli armatori italiani con l'amhientc armatoriale britannico avrebbero potuto facilitare il raggiungimento di soluzioni favorevoli al· l'Italia ». La proposta della Marina fu accolta (9) e il Dr. Fortini si recò a Londra, ma egli non ebbe alcuna possibilità di prestare la sua opera perché l'Italia non fu richiesta di far conoscere il suo parere in merito. A quanto risultò sucèessivamente, la questione non fu specificatamente presa in esame dai quattro Ministri; essa non era stata però
(8) Questa ebbe inizio l'll settembre 1945 e si protrasse sino al 2 ottobre. (9) Il promemoria fu dal Ministero degli Esteri inviato aIJe nostre ambasciate di Washington e Londra per loro opporluna norma di linguaggio. (Lettera ufficiosa dell'amb. Prunas, Segretario Generale del Mio. Aff. Esteri., al ministro de Courten, nr. 44/ 24956 del 31 ottobre 1945).
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dimenticata dagli autori del « Dratt Heads of Treaty with Italy » pr~sentato al Consiglio dal Governo britannico, documento di cui si ebbe conoscenza anni dopo e di cui si è già parlato nel precedente capitolo. Se ne riportano qui di seguito i principali articoli che interessavano, direttamente o indirettamente, la materia (10): Art. 98 « L'Italia dovrà fornire per un anno a sue spese alle Potenze Associate quelle navi che saranno necessarie per specifici scopi militari (ad esempio, navi trasporto truppe e navi ospedali per il rimpatrio di truppe dalle zone di operazione) ».
Art. 99 « Nessuna limitazione sarà imposta alla Marina mercantile o alle costruzioni navali italiane. Peraltr0: a) le costruzioni navali italiane e le attività della Marina mercantile italiana non saranno sovvenzionate in alcun modo; b) le navi e i materiali che saranno costruiti non conterranno componenti tedeschi o giapponesi . . . . . . . . .. ».
Art. 103 « L'Italia rinuncia a qualsiasi "claim" riguardo:
a) a qualsiasi atto od omissione delle Nazioni Unite nei riguardi dei beni italiani compiuto in vista dello scoppio della guerra o dopo di esso o in armonia con le misure di guerra di carattere eccezionale da esse adottate; b) ai decreti e ordini delle Corti delle prede delle Nazioni Unite, sia nel caso che i relativi procedimenti siano stati interrotti, sia nel caso contrario; c) all'esercizio o all'asserito esercizio dei diritti di belligerante; d) . . . . . . . . . . . . .
e) in via generale, a qualsiasi rivendicazione di carattere pecuniario che si basi su avvenimenti accaduti prima dell'entrata in vigore del trattato [di pace] ». La questione subiva quindi un periodo di stasi dovuto all'interruzione dei lavori del Consiglio dei Ministri degli Esteri sino alla fine dell'aprile 1946, ma essa era mantenuta viva nei nostri organi di stampa. Cito per tutti i due articoli, di chiara ispirazione ufficiosa, intitolati « Situazione marittima italiana » » e « La Marina mercantile e la
00) « Foreign Relations », cit. bibl. . 1945, Vol. II, pg. 145-146.
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pace» comparsi rispettivamente nei numeri 11 (17 marzo 1946) e 19 (12 maggio) della rivista « Politica Estera ». Fu nell'aprle 1946, in vista dell'imminente inizio a Parigi della seconda sessione del Consiglio suddetto, che il Ministero della Marina decise, d'intesa con quello degli Esteri, di esporre in un memorandum a stampa da presentarsi al Consiglio stesso - analogamente a quanto fatto per la Marina da guerra - il punto di vista e le richieste italiane relative alla Marina mercantile. Di qui l'origine del documento intitolato « Considerazioni relative alla Marina mercantile nei riguardi del trattato di pace» che altro non era che uno sviluppo ed un completamento della prima parte del promemoria, di cui si è prima parlato, che la Marina aveva inviato al Ministero degli Esteri nel precedente settembre (11 ). Questo memorandum, di cui fu . iniziata la divulgazione il 20 maggio (12). dopo una parte introduttiva in cui si metteva in evidenza con ricca documentazione statistica - l'importanza fondamentale che la Marina mercantile aveva per l'economia nazionale, entrava nel vivo dell'argomento. Si riporta qui di seguito integralmente questa parte del documento, data la sua importanza. « 3.
Apporto della Marina mercantile alla cobellìgeranza
« Soddisfatte le condizioni e le disposizioni formulate nello "short armistice" e nel documento aggiuntivo di Quebec, l'accordo Cunningham-de Courten del 23 settembre 1943 stabilì l'immediato impiego del naviglio mercantile italiano alle stesse condizioni di quello alleato, immettendolo nel "pool" delle Nazioni Unite. Così, sin dai primissimi giorni susseguenti l'armistizio, tutte le navi efficienti iniziarono il servizio, in Mediterraneo e fuori, a beneficio della causa alleata: le unità non efficienti venner o, compatibilmente con la disponibilità dei mezzi di r iparazione, messe al più presto in condizioni di navigare e quindi poste a disposizione delle autorità alleate. « Complessivamente, sono state impiegate in media, al servizio degli Alleati, 90 unità per 300.000 T.S.L., senza tener conto del naviglio di piccolo cabotaggio che è stato impiegato per sopperire alle urgenti
(11) Essendo il memorandum destinato al Consiglio dei Ministri degli Esteri si ritenne opportuno non includervi, per ovvi motivi, la seconda parte del promemoria del settembre 1945, relativa al problema delle richieste di risar cimento che avrebbero potuto esser avanzate dagli Alleati per danni subiti dal loro naviglio mercantile in conseguenza di nostra azione. (12) Del memorandum furono fatte 600 copie a 'itampa. Di queste, parte furono distribuite direttamente dal Ministero della Marina; 400 vennero invece mandate al Ministero degli Esteri « con preghiera di volerne curare la massima divulgazione e il più sollecito inoltro alle nostre Rappresentanze all'estero e alle Rappresentanze estere in Italia». (Fg. Ministero Marina nr. 1928/UT del 20 maggio e 2629/UT del 20 luglio 1946).
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esigenze di rifornimento dell'Esercito alleato sul fronte italiano. Inoltre equipaggi italiani sono stati imbarcati sotto bandiera alleata. « Di notevole entità è stato pure l'apporto italiano all'organizzazione dell'esercizio dei porti, nonché degli stabilimenti di costruzioni e riparazioni navali. « Nell'applicazione dell'armistizio e nel periodo della guerra di libera zione, la Marina Mercantile italiana ha perduto 203 unità di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate, per complessive 836.139 T.S.L. In tali cifre sono ovviamente comprese le navi che, trovandosi all'atto dell'armistizio in porti controllati dai tedeschi e dai giapp0nesi e non essendo in condizioni di potersi sottrarre alla cattura, si autoaffondarono in applicazione degli ordini ricevuti. « Il contributo dato dalla Marina mercantile italiana alla causa delle Nazioni Unite, durante la cobelligeranza, è stato più volte riconosciuto dalle alte autorità del mondo marinaro alleato. Tale riconoscimento fu così sintetizzato dal Comandante in Capo navale del Mediterraneo, ammiraglio John Cunningham, in occasione della riunione tenuta il 30 maggio 1945 al Ministero della Marina:" .. .i compiti affidati alla Marina mercantile ·s ono stati completamente ed efficacemente assolti". « 4.
Situazione attuale della Marina mercantile
« Il naviglio mercantile italiano è uscito dal conflitto notevolmente diminuito. « Quasi il 90% del naviglio di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate è andato perduto per fatti di guerra o è stato catturato. « Soltanto una parte molto esigua del naviglio perduto potrà essere, con grande spesa, ricuperata e rimessa in efficienza. A tutt'oggi il tonnellaggio delle navi riportate a galla e in parte ripristinate ammonta complessivamente a circa 135.000 T.S.L. « In sostanza oggi esiste sotto bandiera nazionale un complesso di circa 500.000 tonnellate di navi di stazza lorda superiori alle 500 tonnellate (13). « Altre 250.000 tonnellate sono previste fra costruzioni m corso e nuove ordinazioni, ma gravissime sorto le difficoltà di proseguire ed ultimare i lavori per deficienza di materiale e gli alti costi. « Anche il naviglio di cabotaggio ha subìto gravi perdite ed è ridotto ad un terzo della consistenza primitiva, ossia si aggira sulle 60.000 tonnellate.
(13) In cifra tonda, 370.000 T.S.L. a fine conflitto nel maggio 1945 (vedasi allegato 13) più 135.000 T.S.L. ricuperate posteriormente.
316 « Inoltre là dove c'era un naviglio piuttosto omogeneo, capace di rispondere sia alle esigenze dei servizi di linea che a quelle del traffico libero, oggi si trova una accozzaglia di navi dei tipi più disparati, con le quali nessun servizio continuativo potrebbe essere disposto. « Intanto, distrutte ormai tutte le scorte, esaurita ogni possibilità di nuove risorse sul suolo nazionale, tenuti presenti i più urgenti bisogni della ricostruzione, anche le più caute previsioni inducono a ritenere che le importazioni essenziali dovranno, nei prossimi anni, aumentare ad una cifra che si presume oscillerà, per quanto si riferisce ai traffici via mare, sui 22 milioni di tonnellate di merci in entrata. E d'altra parte anche l'esercizio del cabotaggio nazionale dovrà prevedibilmente essere intensificato, in relazione alla graduale ripresa delle normali attività, dato che i mezzi terrestri, stradali, ferroviari ed anche quelli di navigazione interna, sottoposti a sistematiche distruzioni, hanno perduto la primitiva efficienza. « E' evidente dunque che le attuali assai limitate scorte di naviglio non consentiranno alla Marina mercantile di garantire nemmeno un minimo dei trasporti essenziali. L'Italia potrebbe, è vero, ricorrere alla bandiera estera, ma l'impiego del naviglio straniero comporta uno sborso di divise, mentre è nota l'attuale disperata situazione valutaria nella quale si dibatte il Paese, cosicché anche tale ricorso si rende, nonostante le più drastiche limitazioni dei consumi, del tutto impossibile, in confronto della massa delle merci che dovremmo trasportare per soddisfare le nostre, pur elementari, esigenze. « L'attuale consistenza del naviglio mercanti+le italiano deve pertanto ritenersi irrisoria in confronto sia dei bisogni dell' approvvigionamento del Paese che della necessità di ridistribuzione delle merci dai mercati interni meglio forniti o dai porti più importanti di sbarco verso quelli minori. Né si può dire che l'acquisto delle 50 navi "Liberty", recentemente proposto dal Governo italiano, possa colmare la segnalata deficienza di naviglio, sia perché il mezzo milione circa di tonnellate di portata che verrebbe sotto bandiera italiana è di gran lunga inferiore alle esigenze dei nostri trasporti, sia anche per il fatto che le navi "Liberty", per le loro caratteristiche, non sono impiegabili in tutti i settori che interessano i rifornimenti italiani. « D'altra parte la necessità di aumentare la consistenza del nostro naviglio si impone anche per motivi umanitari e di carattere sociale. La massima parte dei nostri marittimi si trova adesso in piena disoccupazione, tanto da costituire non solo un onere finanziario per lo Stato ma anche una fonte di gravi preoccupazioni. Il rimettere in moto la macchina armatoriale agevolerebbe il graduale assorbimento di questa massa di bisognosi e darebbe anche nuovamente lavoro agli impiegati delle aziende stesse e delle industrie connesse. Anche i cantieri lavorano oggi con ritmo troppo lento, tanto da far prevedere, qualora la situazione non si normalizzi, la chiusura di alcuni importanti impianti, con licenziamento di numerosi lavoratori.
317 « 5
Richieste
«L'Italia odierna non ha fini imperiali né di prestigio da conseguire. Essa vuole soltanto vivere e lavorare; essa, in tema di Marina mercantile, chiede soltanto che non siano frapposti vincoli alla sua attività tradizionale; essa ritiene necessario possedere un naviglio da carico sufficiente a rispondere alle sue esigenze essenziali ed un naviglio di linea che assicuri i collegamenti indispensabili con le isole e con le comunità italiane all'estero e l'esercizio di linee redditizie dal punto di vista economico e della bilancia dei pagamenti italiani. Anche l'industria delle costruzioni navali è tradizionale nel nostro Paese; l'Italia chiede quindi che gli impianti esistenti conservino la loro efficienza per poterla dedicare a costruzioni e riparazioni del naviglio mercantile. « Su tali considerazioni si basano le richieste che seguono. « L'Italia specificatamente chiede che: « a) le sia integralmente restituito i,l naviglio che è a disposizione delle Nazioni Unite; « b) nessun vincolo o limitazione sia frapposto al libero esercizio della navigazione italiana. Tali vincoli o limitazioni sarebbero in contrasto con i fondamentali principi di equità e di giustizia più volte enunciati dalle Nazioni Unite. « E' ovvio, d'altra parte, che l'attuale consistenza della flotta mercantile italiana e la depressa situazione economica del Paese non consentirebbero per lungo tempo la ripresa di quei servizi regolari di navigazione che furono istituiti in passato per considerazioni di prestigio e con criteri di discriminazione, ma permetterebbero soltanto l'esercizio di quelle poche linee di navigazione strettamente indispensabili alle esigenze nazionali; « c) nessun vincolo o limitazione sia posto al libero esercizio dei suoi cantieri navali la cui attività è indispensabile ai fini della ricostruzione del naviglio mercantile. E' . da tener presente inoltre che, qualora si volesse restringerne l'attività, grave sarebbe la disoccupazione della mano d'opera specializzata e di quella, numerosissima, delle industrie ausiliarie connesse; « d) sia dato un compenso alle unità mercantili italiane comunque impiegate al servizio delle Nazioni Unite. L'Italia considera suo diritto che, nella regolamentazione delle questioni economiche che verrà stabilita nel trattato di pace, sia tenuto conto di tale compenso, che le spetta in base all'articolo 5 dello "short armistice" e all'articolo 5 dell'accordo Cunningham-de Courten (14).
(14) L'articolo 5 dello « short armistice » (mantenuto integralmente in vigore dal « long armistice »} stabiliva che il naviglio mercantile italiano avrebbe potuto essere «requisito» dal Comandante navale alleato. Orbene la requisizione comporta un compenso cd esclude implicitamente la cattura e la confisca.
318 « Peraltro, in considerazione delle inderogabili esigenze della ricostruzione nazionale, è desiderabile che le Nazioni Unite svincolino, sin da ora, le navi italiane trattenute al loro servizio; « e) venga riconosciuto all'Italia il diritto di proprietà sulle navi
mercantili nazionali affondate fuori delle sue acque metropolitane, che, all'B settembre 1943, non erano state ancora ricuperate e catturate. « Tale richiesta si basa sulla considerazione che con l'armistizio è venuta a cessare, per le autorità alleate, la facoltà di esercitare il diritto di preda sul naviglio mercantile italiano. Tale considerazione si appoggia sui due articoli già citati nel precedente paragrafo. E poiché qualcuna delle Nazioni Unite ha ricuperato dopo 1'8 settembre 1943, considerandolo preda bellica, naviglio italiano affondato nei suoi porti e nelle sue acque territoriali o in porti delle colonie italiane, l'Italia chiede che tali navi le vengano restituite, salvo naturalmente il pagamento delle spese sostenute per le operazioni di ricupero e di ripristino; « f) sia restituito all'Italia il naviglio che, rimasto al 10 giugno 1940 nei porti delle Nazioni Unite, è stato da queste successivamente
sequestrato, catturato o comunque detenuto. « Indipendentemente delle considerazioni giuridiche che convalidano il suo diritto e che saranno prospettate più ampiamente quando se ne presenterà l'occasione (15), l'Italia considera che, in linea generale e di principio, l'impostazione data dalle Nazioni Uniti ai problemi relativi alla cattura, confisca, sequestro, ecc. di naviglio mercantile italiano, debba essere riveduta alla luce del contribut0 dato dall'Italia alla causa alleata in 20 mesi di cobellige ranza; « g) siano concesse all'Italia, da parte della Germania e del Giappone, riparazioni in natura per i danni arrecati al naviglio italiano, ai
· patrimoni delle Compagnie di navigazione e alle attrezzature portuali, in conseguenza dell'armistizio e della cobelligeranza. « L'Italia, pur con le riserve relative all'accertamento dei danni subìti, di cui non è ancora possibile determinare· l'entità precisa, consi-
Tale articolo trovava conferma dell'articolo 5 dell'accordo Cunningham-de Courten il quale testualmente diceva: « E' intenzione che la Marina mercantile italiana debba operare nelle stesse condizioni del naviglio mercatile delle Nazioni Unite ... ». (15) Tali considerazioni si basavano sulla VI convenzione dell'Aja del 1907 la quale stabilisce che « è desiderabile» che alle navi mercantili belligeranti sorprese dall'inizio delle ostilità in un porto nemico sia concesso un termine entro il quale partire liberamente per raggiungere il porto di destinazione o altro porto loro indicato. La nave che non parta entro il termine prescritto o alla quale non sia concesso di partire non può essere confiscata ma solo seques trata e deve essere restituita alla fine della guerra. La convenzione è chiara e i suoi principi sono accolti anche dalla nostra « legge di guerra», approvata con R.D. 8 luglio 1938, nr. 1415, ma essa, durante il conflitto 1939-1945, non era giuridicamente vincolante perché non era stata ratificata da tutti i belligeranti.
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dera di aver diritto a partecipare, per lo meno in questo determinato settore, alla regolamentazione del risarcimento dei danni di guerra che verrà imposto alla Germania e al Giappone dalle Nazioni Unite. « L'Italia esprime la sua profonda fiducia che le richieste da essa formulate vengano esaminate, non solo alla luce deU'apporco dato nei 20 mesi di cobelligeranza e ai gravi danni subiti nella lotta contro la Germania, ma anche, e soprattutto, tenendo conto delle sue imprescindibili necessità di vita ». 2. Il progetto di trattato preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri.
La questione della Marina mercantile, durante la sessione di Parigi del Consiglio dei Ministri degli Esteri (25 aprile-12 luglio 1946), non fu esaminata in modo autonomo - così come fatto per la Marina da guerra - ma inserita in quelle di natura economica. Per questo motivo e per il carattere modesto - non solo sotto il profilo quantitativo - di quello che restava della nostra Marina mercantile (cosa questa che non faceva notizia) poche indiscrezioni trapelarono sulle decisioni adottate in merito dai quattro Ministri. Si dovette attendere perciò la pubblicazione del progetto di trattato di pace da questi predisposto per conoscerne le clausole. Esse si riportano qui di seguito, inquadrandole nelle richieste avanzate dall'Italia con il memorandum a stampa sopra riportato. a) Richiesta che ci fosse integralmente restituito il naviglio mercantile ,a disposizione delle Nazioni Unite. In parole semplici questa richiesta significava: « Lasciatemi tutto naviglio mercantile che mi è rimasto e ridatemi la disponibilità di quello che voi ancora utilizzate». Il progetto di trattato di pace, conformemente ai nostri desideri, non conteneva alcuna clausola che prevedesse la cessione di nostre navi alle Potenze vincitrici. Da documenti pubblicati nel dopoguerra si rileva che fu però presa in esame la convenienza di cedere alcune di esse a titolo riparazioni. Nel maggio 1946 gli Stati Uniti proposero infatti che all'Unione Sovietica fossero date, a tale titolo, le due motonavi Vu,lcan.ia e Saturnia. Non se ne fece però nulla, fra l'altro per divergenza di vedute sul valore da attribuire alle stesse) calcolato in 25 milioni di dollari da parte americana e da 7 a 10 da parte sovietica) (16). \
(16) « Foreign Relations » • cit. bibl. - 1946, Voi. II, pg. 420, 422-423, 529 e 534. E' interessante notare che, nel luglio 1945, in occasione della Conferenza di Potsdam, il punto di vista sostenuto dagli Stati Uniti era stato che « La Marina mercantile italiana non dovrebbe esser utilizzata per riparazioni dato che essa è una importante fonte di valuta estera per l'Italia». (« Foreign Relations » - cit. bibl. . « The Confereoce of Berlin » - 1945, Vol. II, pg. 1091).
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b) Richiesta che nessun vincolo o limitazione fosse frapposto al libero esercizio della navigazione italiana. La richiesta fu integralmente accolta: nessun vincolo o limitazione in merito stabiliva infatti il progetto di trattato.
c) Richiesta che nessun vincolo o limitazione fosse posto al !ibero esercizio dei cantieri italiani. Il progetto di trattato di pace non prevedeva alcun vincolo o limitazione all'attività dei nostri cantieri per quanto riguarda la costruzione di naviglio mercantile. Per quanto si riferiva invece al naviglio da guerra, l'articolo 46 del progetto stabiliva che l'Italia non avrebbe potuto costruirne in misura superiore a quella che era necessaria per la flotta che l'Italia era autorizzata a possedere o dei tipi dei quali le era vietato il possesso. ·Ne derivava quindi praticamente che l'industria cantieristica italiana non avrebbe potuto costruire alcun tipo di unità da guerra per conto di Potenze estere. d) Richiesta che fosse dato un compenso alle unità mercantili
italiane comunque impiegate al servizio delle Nazioni Unite. Nessuna esplicita disposizione in senso contrario era contenuta nel progetto di trattato.
e) Richiesta che venisse riconosciuto all'Italia il diritto di proprietà sulle sue navi mercantili affondate in porti o in acque territoriali delle sue colonie o delle Nazioni Unite e da queste non ricuperate e catturate prima dell'8 settembre 1943 .. f) Richiesta che fosse restituito all'Italia il naviglio mercantile che, rimasto al IO giugno 1940 nei porti delle Nazioni Unite, era stato da queste successivamente sequestrato, catturato o comunque detenuto. L'articolo 66 del progetto di trattato stabiliva che l'Italia avrebbe dovuto rinunciare a presentare qualsiasi reclamo contro le misure che la riguardavano prese dalle Nazioni Unite posteriormente al 1° settembre I 939, in dipendenza diretta dello stato di guerra. La rinuncia riguardava sia i reclami contro i provvedimenti adottati da quelle Nazioni Unite che successivamente a tal data avevano dichiarato guerra all'Italia, sia i reclami contro i provvedimenti di quelle di tali Potenze che si erano limitate a rompere le relazioni diplomatiche con essa. Ad evitare ogni dubbio l'articolo precisava che, nei provvedimenti contro i quali l'Italia avrebbe dovuto rinunciare a presentare reclamo, erano comprese: - le decisioni dei Tribunali delle prede riguardanti navi e merci italiane; - le misure adottate dalle Nazioni Unite nei riguardi del naviglio ita liano.
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Che queste norme trovassero una giustificazione soltanto sul principio del « vac victis» r.i sulta chiaro dalle seguenti considerazioni: 1) Mentre con la prima delle due suddette disposizioni si imponeva all'Italia di considerare valide le decisioni dei Tribunali delle prede alleati (si pensi, ad esempio, che alcune di esse avevano convalidato perfino catture effettuate in porti neutrali!), dall'altro, con l'allegato VIII del progetto di trattato, si dava alle Nazioni Unite il diritto di chiedere al Governo italiano (che era tenuto a darvi seguito) la revisione delle sentenze del Tribunale delle prede italiano che esse avessero ritenuto non conformi al diritto internazionale. 2) La rinuncia a presentare reclami riguardava i provvedimenti presi non solo dalle Nazioni Unite che erano state in guerra con l'Italia ma pure i provvedimenti di quelle di esse che avevano semplicementre rotto i rapporti diplomatici con la stessa; riguardava anche le misure adottate quando l'Italia era ancora neutrale nonché quando, come cobelligerante, combatteva a fianco degli Alleati! (17) g) Richiesta che fossero concesse all'Italia da parte della Germania e del Giappone riparazioni in natura per i danni arrecati, dopo l'8 settembre 1943, al naviglio italiano, ai patrimoni delle Compagnie di navigazione e alle attrezzature portuali.
(17) Nell'opuscolo intitolato « La Marina Mercantile Italiana e il Trattato di Pace», presentato dalla « Confederazione Italiana degli Armatori» ai delegati per la Conferenza di Parigi nel settembre 1946, si legge a pg 6 e 7: « La sola rottura delle relazioni diplomatiche non seguita da uno stato di guerra non ha dato mai luogo nella storia dei popoli a misure di confisca o simili da parte di una Nazione sui beni appartenenti a!la Nazione con la quale è venuta alla rottura. « E' facile osservare che, se una Nazione ha compiuto catture, confische, sequestri o atti simili quando non era in stato di guerra con l'Italia, essa ha compiuto atti contrari al diritto delle genti, i quali restano tali anche se posteriormente sia entrata in guerra con l'Italia. Che alcune Nazioni abbiano compiuto atti tendenti ad avere la disponibilità delle navi italiane rifugiate nei loro porti, quando non erano ancora in conflitto con l'Italia, può spiegarsi con la deficienza mondiale di naviglio determinato dai bisogni di guerra dei Paesi già in conflitto; ma questo fatto non legittima lè misure prese... « Messasi l'Italia accanto alle Potenze Alleate e Associate nella lotta contro i tedeschi, ripugna al diritto e alla morale pensare che, mentre i popoli lottavano insieme per una causa comune impegnando sangue e beni, contro un cobelligerante gli altri cobelligeranti potessero esercitare ancora sequestri, catture, prede. Oltre tutto ciò violerebbe l'accordo preciso 23 settembre 1943 Cunningham-de Courtcn in cui il Comandante delle Forze navali alleate nel Mediterraneo stabilì col Ministro italiano de Courten che il naviglio mercantile italiano sarebbe stato impiegato alle stesse condizioni dì quello alleato nel pool delle Nazioni Unite... Ciò esclude che il naviglio italiano dopo 1'8 settembre 1943 potesse esser ancora oggetto di misure ostili da parte delle Potenze Allea!'! e Associate ».
322 Malgrado l'incontestabile fondatezza di questa richiesta (18), l'art. 67 del progetto di trattato stabiliva che l'Italia avrebbe dovuto rinunciare a tutti i suoi diritti - ivi compresi i crediti - verso la Germania, sorti durante il periodo 3 settembre 1943-8 maggio 1945. In base a questa norma l'Italia avrebbe dovuto quindi rinunciare non solo a rivendicare i suoi beni asportati dalle truppe tedesche e ai suoi crediti verso la Germania, ma anche a ogni equa riparazione per i danni arrecatile, spesso per spirito di vendetta, dopo l'armistizio. Il progetto conteneva inoltre due altre disposizioni interessanti la Marina mercantile quella dell'art. 65 e quella dell'art. 68. L'art. 65 stabiliva che l'Italia avrebbe dovuto restituire in buon stato ai legittimi proprietari i beni, asportati con la forza o la costrizione dal territorio di una Nazione Unita ad opera di una Potenza dell'Asse, i quali si fossero trovati in Italia all'atto dell'entrata in vigore del trattato di pace. Ciò, praticamente, significava obbligo per la Marina mercantile di restituire in buon stato ai legittimi proprietari tutte le navi mercantili alleate trovantisi danneggiate o affondate in acque o in porti italiani ( quelle in condizioni di navigabilità erano già state restituite in applicazione dell'accordo Cunningham-de Courten). E' da osservarsi in proposito che parte di queste unità erano state portate in Italia dai Tedeschi dopo 1'8 settembre 1943 e che il loro danneggiamento o affondamento era dovuto, per la maggior parte dei casi, ai Tedeschi stessi o, addirittura, agli Alleati. Era quindi ingiusto voler addossare all'Italia la responsabilità anche di perdite e di danni ad essa non ascrivibili. Al massimo avrebbe potuto esser chiamata a rispondere - naturalmente nei limiti della propria capacità economica - delle perdite e dei danni ad essa addebitabili. L'art. 68 disponeva che l'Italia avrebbe dovuto restituire in perfetto stato ai cittadini delle Nazioni Unite i beni loro appartenenti che, trovandosi in Italia all'inizio del conflitto, erano stati sottoposti a misure di controllo da parte delle autorità italiane, in conseguenza dello stato di guerra. L'articolo disponeva inoltre (a differenza di quello di cui al precedente caso) che, qualora il bene non avesse potuto esser restituito, il Governo italiano sarebbe stato obbligato a corrispondere un indennizzo agli aventi diritto.
(18) « L'Italia in sostanza ha fatto due guerre - era scritto nel citato opuscolo della « Confederazione Italiana degli Armatori» - una contro gli Alleati (e ne ha pagato e ne sta pagando le conseguenze), l'altra accanto agli Alleati. E' ovvio che, dall'8 settembre in poi, essa ha diritto, di fronte alla Germania, allo stesso trattamento delle altre Nazioni che hanno combattuto per la stessa causa».
323 Da quanto sopra derivava l'obbligo, per la Marina mercantile, di restituire in perfetto stato ai cittadini delle Nazioni Unite le navi mercantili loro appartenenti che, sorprese in acque o porti italiani dall'insorgere dello stato di guerra, erano state sottoposte dalle nostre autorità a misure di sequestro. Se le navi fossero andate perdute l'Italia avrebbe dovuto corrispondere un indennizzo a chi di ragione. In sintesi può dirsi che le limitazioni e gli obblighi in materia di Marina mercantile che il progetto di trattato prevedeva per l'Italia erano i seguenti: a) divieto, praticamente, per i cantieri italiani di costruire navi da guerra per Potenze estere (art. 46); b) rinuncia a qualsiasi reclamo contro le decisioni dei Tribunali delle prede nonché contro le altre misure adottate a danno delle nostre Davi mercantili, dopo il 1° settembre 1939, dalle Nazioni Unite; sia da quelle che erano entrate in guerra contro l'Italia, sia da quelle che si erano limitate a rompere le relazioni diplomatiche (art. 66); c) rinuncia a qualsiasi reclamo contro la Germania per le perdite e i danni inflitti al naviglio mercantile e alle attrezzature portuali dell'Italia dopo l'armistizio (art. 67); d) obbligo di restituire a chi di diritto, in buon stato, le navi mercantili, asportate con la forza o la costrizione dai porti di una Nazione Unita ad opera di una Potenza dell'Asse, le quali all'atto dell'entrata in vigore del trattato di pace, si fossero trovate danneggiate o affondate in acque o porti italiani (art. 65); e) obbligo di restituire ai loro proprietari, in perfetto stato, le navi mercantili. delle Nazioni Unite che, sorprese in acque o porti italiani dall'insorgere dello stato di guerra, erano state sottoposte dalle nostre autorità a misura di controllo. La mancata restituzione avrebbe comportato l'obbligo per l'Italia di corrispondere un indennizzo agli aventi diritto (art. 68).
3. La Conferenza di Parigi (29 luglio - 15 ottobre 1946) e le decisioni finali del Consiglio dei Ministri degli Esteri (New York, 4 novembre · 12 dicembre 1946).
Si era così giunti alla vigilia della Conferenza di Parigi, la cui apertura era stata fissata per il 29 luglio. Nel frattempo però, in seguito all'esito del referendum istituzionale (2 giugno 1946), vi era stata una crisi di Governo risoltasi alla metà di luglio con la costituzione del secondo Gabinetto De Gasperi e l'istituzione del Ministero della Marina mercantile. Cessava così ogni competenza in merito del Ministero della Marina il quale aderì peraltro alla richiesta del nuovo Dicastero che, nella
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delegazione italiana alla Conferenza di Parigi, il proprio esperto, il Dr. Giuseppe Fortini, fosse affiancato, con eguale veste, dal ten. col. Comm. Giovanni Bernardi che, presso il Ministero della Marina, aveva trattato sino allora le questioni riguardanti la Marina mercantile connesse con il trattato di pace. A Parigi la tutela di questi problemi fu compito soprattutto della sezione economica della nostra delegazione (nella quale i due esperti furono inseriti) e venne effettuata, sulla base delle direttive generali prima esposte, sia con la presentazione - a mezzo di memorandum del punto di vista italiano sulle varie clausole del progetto di trattato e degli emendamenti ad esse proposti in sede di Conferenza (1), sia con l'illustrazione orale dei memorandum, fatta il 16 settembre dall'ambasciatore Tarchiani di fronte alla Commissione economico-finan~iaria della Conferenza (2). Tra gli emend~menti proposti agli articoli del progetto sono da segnalare tre, presentati dalla Jugoslavia. Con uno (3) (riferentisi all'articolo 64) si chiedeva che fra le fonti con cui l'Italia avrebbe dovuto provvedere al pagamento delle riparazioni venisse compreso il naviglio mercantile; con il secondo (4) che la portata dell'articolo 65 (relativo alla restituzione delle navi mercantili trovantisi danneggiate o affondate in acque o porti italiani dopo esser state asportate con la forza o la costrizione, da una Potenza dell'Asse, dai territori delle Nazioni Unite) fosse estesa, prevedendo un indennizzo per le unità andate definitivamente perdute; con il terzo (5) (riguardante l'allegato III, contenente le disposizioni economiche e finanziarie relative ai territori ceduti) si domandava che l'Italia trasferisse allo Stato successore, in buone condizioni, tutte le unità mercantili iscritte all'inizio del conflitto in porti dei territori ceduti. Da parte della delegazione italiana non si mancò di fare presente quanto segue in merito ai suddetti emendamenti: a) Emendamento dell'art. 64 - Tenuto conto della grave situazione della flotta mercantile italiana, ridotta a circa 500.000 T.S.L.,
(1) I memorandum furono i seguenti: Doc. nr. 26 (E), sulle conseguenze economiche del trattato di pace; Doc. nr. 12 (E) e Doc. nr. 53 (E), relativi all'art. 65 del progetto di trattato; Doc. nr. 35 (E), relativo all'art. 66, par. 1 C); Doc. nr. 15 (E), relativo all'art. 67; Doc. nr. 16 (G), relativo all'allegato VIII e Doc. nr. 9 (E), relativo a vari articoli. (« Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 179-187, 189-191, 191-193, 196-197 e 216-217 · Non riportati quivi i Doc. nr. 53 (E) e Doc. nr. 9 (E) sopra citati). (2) Il discorso è riportato in Vedovato · Op. cit. bibl. (I), pg. 520-527. (3) C.P. (Gen.) Doc. nr. I. U. 17 (« Foreign Relations » cit. bibl. 1946. Voi. IV, pg. 743-745). (4) C.P. (Gen.) Doc. nr. 1. U. 18 ( « Foreign Relations » cit. bibl. 1946, Voi. IV, pg. 745-746). (5) C.P. (Gen.) Doc. nr. 1. U. 24 (« Foreign Relations » cit. bibl. 1946, Voi. IV, pg. 748-751)
325 qualsiasi cessione di naviglio, sia pure a titolo di riparazioni, avrebbe pesantemente inciso sul già instabile equilibrio della bilancia dei pagamenti con il peso degli ulteriori noli che si sarebbero dovuti corrispondere alle Marine straniere per provvedere alle importazioni necessarie alla sopravvivenza del paese (6). b) Emendamento all'art. 65 - L'allargamento del campo di applicazione di questo articolo, così come richiesto dalla delegazione jugoslava, avrebbe reso insopportabilmente pesante il già grave onere che esso costituiva per l'Italia e avrebbe snaturato fondamentalmente la portata e lo spirito dell'articolo stesso il quale - in applicazione dei principi della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 5 gennaio 1943 - imponeva all'Italia l'obbligo della restituzione delle navi di queste Nazioni ancora in acque italiane, e non anche l'obbligo di corrispondere un indennizzo - come si richiedeva - per quelle andate perdute. A queste il progetto di trattato provvedeva con le « riparazioni », disciplinate da altro articolo, il 64 (7). c) Emendamento all'aUegato 1/f - La richiesta jugoslava, fu fatto osservare, sarebbe stata giustificata se si fosse limitata a domandare la consegna di navi di proprietà di cittadini o società che, ai .sensi del trattato di pace, avessero acquistata la nazionalità dello Stato successore. La richiesta, così come formulata, era perciò priva di ogni seria base dato che, come è noto, l'iscrizione di una nave in un determinato porto è una formalità puramente amministrativa e non può valere come elemento per stabilirne la proprietà (8). Di questi tre emendamenti la Conferenza accolse parzialmente com'è sotto indicato - il primo, respinse il secondo e non si pronunciò sul terzo, rinviandolo all'esame del Consiglio dei Ministri degli Esteri (9).
Concludendo e riassumendo, la Conferenza non presentò « raccomandazioni » di modifiche alle clausole del progetto di trattato di pace che interessavano la Marina mercantile; « raccomandò» soltanto che nel testo definitivo del trattato fosse disposto che le motonavi Saturnia e Vulcania avrebbero potuto esser richieste in conto riparazioni dall'Albania, dall'Etiopia, dalla Grecia e dalla Jugoslavia, una volta che fosse stato definito il valore da attribuire alle due unità.
(6) Memorandum Doc. nr. 9 (E) (7) Memorandum Doc. nr. 53 (E). (8) Memorundum Doc. nr. 9 (E). (9) « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Voi. IV, pg. 889-891 e 902-904.
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La parola definitiva fu pronunciata dal Consiglio dei Ministri degli Esteri durante la sua terza sessione, che tenne a New York sul finire dell'anno. Esso accolse la « raccomandazione» della Conferenza relativa alle motonavi Saturnia e Vulcania nonché l'emendamento della Jugoslavia, riguardante le navi mercantili iscritte in porti dei territori ceduti, ma con le modifiche richieste, in sede di Conferenza, dalla nostra delegazione.
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Capitolo XI IL TRATTATO DI PACE
Il trattato si componeva di un preambolo, di 90 articoli, suddivisi in 11 parti, e di 17 allegati. Nell'alle~ato 20 di questo studio sono riportati il preambolo, gli articoli e gli al legati del trattato interessanti particolarmente la Marina; se ne indicano peraltro qui di seguito i punti salienti, con commenti e chiarimenti miranti ad illustrarli. Ciò porterà in alcuni casi alla ripetizione di cose precedentemente dette, soprattutto in sede di esame del progetto di trattato. Si è ritenuto però di accettare questo inconveniente pur di fornire al lettore un quadro, per quanto possibile organico e completo, delle disposizioni del trattato prese in esame.
1. Il preambolo.
li preambolo si componeva sos tanzialmente di due parti: la prima indicava i nomi delle Potenze contraenti, cioè quelli delle venti « Poten1,e Alleate e Associate », da una parte, e quello dell'Italia, dall'altra; la seconda, costituita da quattro «considerando », voleva esser sostanzialmente una sintesi degli avvenimenti (visti con l'occhio del vincitore) da cui traevano origine le clausole del trattato. Dopo aver affermato, nel primo « considerando », che l'Italia per aver partecipato sotto il regime fascista, al Patto Tripartito con la Germania e il Giappone e aver intrapreso una guerra di aggressione - aveva la sua parte di responsabilità nella guerra (1), il trattato così continuava nel secondo: (1) L'on. Nitti, uno statista di indubbia fede antifascista, parlando all'Assemblea Costituente il 26 luglio 1947, durante la discussione per la ratifica del trattato, affermò che non era vero - come si diceva - che il fascismo fosse il maggior responsabile della guerra, ma che ben più profonde erano le cause di questa, attribuibili anche ai vincitori. (Vedansi « Atti dell'Assemblea Costituente» - Discussioni - Voi. VI, pg. 6295). Questi concetti erano ripresi nell'ordine del giorno Ruini-Nitti che l'Assemblea Costituente, alla quasi unanimità, approvò il 31 luglio 1947. In esso si diceva infatti, tra l'altro, che responsabili della « guerra funesta,. era il regime fascista • assieme alle forze che dall'estero lo hanno sostenuto».
328 « Considerando che, a seguito della vittoria delle Forze alleate e con l'aiuto degli elementi democratici del popolo italiano, il regime fascista è stato rovesciato in Italia il 25 luglio 1943 e che l'Italia, dopo aver capitolato senza condizioni, ha firmato le clausole d'armistizio del 3 e del 29 settembre dello stesso anno ... ». Sono state precedentemente indicate le ragioni per le quali, e non solo a mio parere, è in contrasto con la verità storica la tesi che, in occasione dell'armistizio di Cassibile (quello che conta, perché fu in base ad esso che l'Italia depose le armi), vi sia stata da parte di questa una resa senza condizioni (2). Non starò quindi a ripetermi e mi limiterò ai punti essenziali. Nelle intenzioni di Londra e di Washington effettivamente le cose avrebbero dovuto andare così: presentazione da parte del Governo italiano di un documento in cui offriva la resa senza condizioni e firma, in un secondo tempo, delle condizioni che gli sarebbero state presentate. Ed infatti il 18 agosto fu inviato al gen. Eisenhower un telegramma in cui gli si diceva - in armonia sostanzialmente con la direttiva di cui sopra - di inviare a Lisbona due ufficiali del suo Stato Maggiore per incontrarvi il gen. Castellano, al quale avrebbe dovuto essere detto che « la resa senza condizioni dell'Italia era accettata sulla base delle clausole del documento consegnatogli » (3), cioè dello « short armistice ». Senonché - ormai è largamente provato - il gen. Eisenhower e i suoi collaboratori, al fine di rendere più facile l'accettazione da parte dell'Italia delle clausole armistiziali presentatele e la sua uscita dal conflitto prima del previsto sbarco a Salerno, ritennerb conveniente di evitare accuratamente che l'espressione « resa senza condizioni» comparisse nel testo dell'armistizio e che fosse pronunciata dai delegati 3lleati nel corso degli incontri che portarono alla firma dell'armistizio di Cassibile (4). E' vero che detta espressione comparve successivamente nel documento di Malta che il maresc. Badoglio si trovò nella necessità di firmare, ma, indipendentemente dal valore di questo « sporco affare », come ebbe a definirlo Eisenhower, sta il fatto che l'umiliante frase, in seguito alle proteste di Badoglio, fu tolta dal documento stesso con protocollo firmato dalle due parti a Brindisi il 9 _novembre 1943. L'averla riesumata dopo due anni di cobdligerama e averla inserita nel trattato di pace non fa certo onore ai suoi autori che, così facendo, non solo si assunsero la responsabilità di un falso sul piano
(2) Vedasi Cap. II, Sez. 8. (3) Garland - Op. cit. bibl., pg. 556. (4) Vedasi Macmillan . Op. cit. bibl., pg. 504. Per il modo in cui tali incontri si svolsero vedansi le sezioni 4, 5, 6 e 7 del precedente Cap. II.
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storico ma anche quella di disconoscere la firma apposta dagli Alleati sul protocollo suddetto (5). Tutto ciò è tanto più sconcertante e amaro se si pensa che di « resa senza condizioni » non c'è cenno nei trattati di pace riguardanti la Finlandia, la Romania. la Bulgaria e l'Ungheria. Il terzo « considerando» riconosceva che l'Italia aveva preso « una parte attiva» alla guerra contro la Germania e affermava che, avendo essa dichiarato guerra a quest'ultima, era divenuta « in tal modo cobelligerante». A Potsdam nel luglio 1945 i tre Grandi avevano dichiarato che l'Italia aveva dato alla vittoria alleata un « sostanziale contributo» (« a materiai contribution »). Perché nel trattato il valore di questo contributo fu declassato? Perché, come disse De Gasperi (6), una « formulazione così stentata e agra della cobelligeranza?» Che era avvenuto della « promessa di Quebec»? La verità è che gli artefici del trattato per giustificarne l'estrema durezza non solo aggravarono il carattere della resa italiana presen tandola come incondizionata, ma ridussero anche il significato e il valore della cobelligeranza. « La cobelligeranza, ha scritto giustamente un noto studioso (7), restò uno stato giuridico crudelissimo, inventato per non perdere l'aiuto militare che l'Italia democratica voleva dare, e che gli Alleati desideravano, e insieme per non liberarla dalla pesante servitù dell'armistizio e dalle future espiazioni». L'ultimo « considerando », confermando la promessa fatta dai tre Grandi a Potsdam, impegnava, sia pure in modo implicito, le venti Potenze Alleate e Associate firmatarie del trattato ad appoggiare la richiesta dell'Italia di essere ammessa nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, una volta che esso fosse stato concluso. Fra i vantaggi che tale ammissione avrebbe presentato per l'Italia v'era quello che essa avrebbe potuto facilitare, ai sensi dell'art. 46 del trattato (il 39 del progetto) la revisione delle clausole militari del trattato stesso. Cosa avvenne di questa promessa è a tutti noto: l'Italia, pur avendo presentato subito, nel 1947, la domanda d'ammissione, dovette attendere sino alla fine del 1955 per vederla accolta! E ciò per il «veto» postovi dall'Unione Sovietica, la quale - malgrado l'impegno preso - subord inò il suo assenso all'accoglimento della richiesta italiana, all'accettazione da parte degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia di quelle presentate dagli Stati balcanici ex-nemici, trovantisi nella sua sfera d'influenza (Romania, Bulgaria e Ungheria).
(5) E ciò malgrado il richiamo faltovi dalla delegazione italiana alla Conferenza di Parigi con memorandum Doc. nr. 1 (P). (6) Discorso del 10 agosto 1946 alla Conferenza di Parigi in seduta plenaria. (7) Tamaro · Op. cit. bibl., pg. 143.
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2. Le clausole territoriali. Le clausole territoriali prevedevano, per quanto riguarda il territorio metropolitano: a) sul confine occidentale, la cessione alla Francia, in quattro punti della frontiera, di territori, piccoli di estensione, ma di elevato valore economico e soprattutto strategico (art. 2 e 6) (1 ). b) sul confine orientale: - la cessione alla Jugoslavia dei territori della Venezia Giulia a levante della « liuea francese» (sboccante al mare alla foce del Quieto), le città di Fiume e Zara nonché le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa, con gli isolotti adiacenti (art. 3, 22 e 11 ); - la costituzione in « Territorio Libero di Trieste » delle terre situate a ponente della nuova frontiera jugoslava sino al nuovo confine italiano (che raggiungeva il mare alla foce del Timavo). (articoil 21, 4 e 22)(2).
(1) I quattro punti ove avvennero le modifiche di confine erano i seguenti: colle del Piccolo San Bernardo; altopiano del Moncenisio; monte Tabor-Chaberton; valli superiori della Tinea, della Vesubia (le cosiddette « Terre di caccia»), e della Roja (con Briga e Tenda). Questa cessione fu definita da fonte insospettabile (il gesuita A. Messineo nell'articolo « La ratifica del trattato di pace con l'Italia », pubblicato in « La civiltà cattolica», quaderno 2329 del 5 luglio 1947) « ingiusta appropriazione, per bassi interessi strategici ed economici, di un territorio, sempre stato italiano e vitale per la difesa e le industrie del paese». (2) Come è noto, per un complesso di ragioni (fra le quali preminenti i contrasti tra Italia e Jugoslavia e le rivalità tra le grandi Potenze) il « Territorio Libero di Trieste» non venne realizzato come entità statale dopo l'entrata in vigore del trattato di pace. Esso continuò ad essere perciò amministrato dalle autorità militari anglo-americane, nella « zona A» (quella cioè a ponente della « linea Morgan » che come si è veduto nella sezione 1 del capitolo V divideva in due parti il Territorio, sboccando al mare pochi km a sud di Trieste) e dalle autorità militari jugoslave, nella « zona B » (quella a levante di detta linea di demarcazione). In questa situazione del tutto insoddisfacente, tra le principali Potenze interessate (Italia, Jugoslavia, Stati Uniti e Gran Bretagna) del 1954 si raggiunse un accordo su « misure di carattere pratico » che formò oggetto di un « memorandum d'intesa », firmato a Londra il 5 ottobre di tale anno. Con questo atto - che raccolse anche il consenso dell'Unione Sovietica e della Francia - la « zona A» venne affidata all'amministrazione civile italiana, la « zona B » fu confermata invece all'amministrazione jugoslava, però non più militare ma anch'essa a carattere civile. Con il trattato di Osimo fra l'Italia e Jugoslavia del 10 novembre 1975 (entrato in vigore nell'aprile 1977) la linea di demarcazione tra le due zone è divenuta linea di confine, cosicché la « zona A» (Km2 210, con la città di Trieste} è tornata a far parte del territorio italiano e la « zona B » (km' 539, con le cittadin'e di Capodistria, Pirano, Umago e Cittanova) è divenuta territorio jugoslavo.
331 IL NUOVO CONFINE ORIENTALE E IL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE 14•
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332
e) la n:slituzione all'Albania dell'isola di Saseno (art. 28) (3)(4).
3. Le clausole militari.
La prima delle clausole militari, la 46, riguardava Ja loro durata e disponeva che esse sarebbero rimaste in vigore fino a quando non fossero state modificate, in tutto o in parte, con accordo tra le venti Potenze Alleate e Associate firmatarie del trattato e l'Italia oppure, dopo che questa fosse divenuta membro dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, con accordo tra il Consiglio di sicurezza e l'Italia. Delle due vie la prima non era agevole, tenuto conto del numero delle Potenze con cu i l'Italia avrebbe dovuto raggiungere un'intesa; la seconda era più semplice solo apparentemente perché, sia l'ammissione dell'Italia nell'Organizzazione delle Nazioni Unite che l'eventuale accordo di modifica delle clausole militari avrebbero dovuto ricevere l'approvazione del Consiglio di sicurezza, ove le cinque grandi Potenze (Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, Francia e Cina) godevano di diritto di veto. Di conseguenza il « no» di una sola di queste Potenze avrebbe paralizzato i « si » di tutti gli altri membri del Consiglio. E così effettivamente avvenne, come abbiamo veduto, dal 1947 al 1955, per il veto opposto dall'Unione Sovietica alla nostra ammissione dell'Organizzazione. La situazione era ulteriormente aggravata dal fatto che l'articolo non prevedeva alcun termine - come l'Italia aveva richiesto a Parigi (I) - entro il quale le clausole militari avrebbero dovuto esser riprese in esame, non foss'altro per adeguarle ai rapidissimi progressi tecnici nella costruzione delle armi e dei mezzi bellici in genere. Infine mentre nei trattati di pace che posero fine alla prima guerra mondiale il disarmo dei vinti era considerato come il primo passo verso una limitazione generale degli armamenti di tutti gli Stati. la cui realizzazione era affidata alla Società delle Nazioni, nulla del genere esisteva nel trattato che ci riguardava (come in quelli riguardanti la Finlandia, la Romania, la Bulgaria e l'Ungheria) malgrado l'esplicito richiamo fattovi da De Gasperi nel suo discorso del 10 agosto alla Conferenza
(3) Altre rinuncie territoriali erano quelle riguardanti le isole del Dodecanneso, cedute alla Grecia (art. 14) e le colonie (Eritrea, Somalia e Libia) , la cui sorte definitiva fu rimessa ad un accordo tra le quattro grandi Potenze, da concludersi entro un anno dall'entrata in vigore del trattato di pace (art. 23). {4) Per maggiori dettagli vedansi N. Rodolico - " I nuovi confini d'Italia,. in e Nuova Antologia"· 1947, fase. maggio-agosto; G. Bernardi . « I nuovi confini d'Italia» in " Rivista Marittima "· 1947, fase. maggio e giugno. (1) Memorandum Doc. nr. 1/ Bis (M) (vedasi Cap. VIII) e dichiarazioni del gcn. Trezzani del 12 settembre 1946 alla Commissione militare della Conferenza.
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di Parigi e benché la regolamentazione degli armamenti fosse uno dei compiti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (2). A) Limitazioni alle opere militari di alcw1i nostri territori
La dizione degli articoli che davano norme in proposito era farraginosa, complicata nella terminologia e dall'uso di aggettivi qualificativi. Comunque le limitazioni imposte possono così riassumersi nelle loro linee generali.
Frontiere con La Francia e la Jugoslavia Nel territorio italiano, per una profondità di 20 km dalla frontiera, dovevano esser distrutte, né potevano esser ricostruite, le fortificazioni e le opere militari permanenti (art. 47 e 48 nr. 1, 2 e 3).
Costa ligure e costa veneta Nella costa ligure (dalla frontiera con la Francia sino a Moneglia, nella Riviera di levante) e nella costa veneta ( dalla frontiera con il Territorio Libero di Trieste sino alle bocche del Po comprese) non potevano esser ampliate, per una profondità di 15 km, le basi e le opere navali permanenti esistenti né esserne costruite di nuove (art. 47 e 48 numero 5).
Penisola Salentina Nella Penisola Salentina, a levante del meridiano 17° 45' E.G. ( cioè a levante del meridiano che taglia la costa, in Adriatico, a circa 20 km a nord di Brindisi e, nello Jonio, a circa 50 km a sud di Tararito) non potevano esser ampliate le opere militari, navali ed aeronautiche permanenti esistenti, né esserne costruite di nuove (art. 48 nr. 6) (3).
Sicilia Dovevano esser distrutte le opere permanenti per la manutenzione e l'immagazzinamento di siluri, di mine marine e di bombe (art. 50, numero 2). I noltre non potevano esser ampliate le fortificazioni permanenti e le opere militari, navali ed aeronautiche esistenti, né esserne costruite di nuove (art. SO, nr. 3 e 4).
Sardegna Nella parte settentrionale della Sardegna, entro un raggio di 30 km dalle acque territoriali francesi nelle Bocche di Bonifacio (cioè nel territorio della Maddalena e nel suo retroterra). dovevano esser (2) Art. 11, 26 e 47 deJlo statuto dell'O.N.U. (3) La limitazione colpiva quindi il « tacco dello stivale » con tutta la costa fronteggiante il Canale di Otranto.
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TERRITORI SOTTOPOSTI A LIMITAZIONI NELLE OPERE MJLIT ARI
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335 distrutte le postazioni permanenti di artiglieria per la difesa costiera nonché le opere navali esistenti, né era consentito costruirne di nuove (art. 50, nr. 1 e 4). Nella restante parte della Sardegna valevano le stesse limitazioni s1abilite per la Sicilia (art. SO, nr. 2, 3 e 4).
Isole di Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Lampione (nel canale di Sicilia) e Pianosa (in Adriatico). Tali isole dovevano esser smilitarizzate (art. 49 e alleg. XIII/D). Le distruzioni e le smilitarizzazioni su indicate dovevano esser effettuate entro un anno dall'entrata in vigore del trattato. B) Limitazioni qualitative riguardanti le navi e altro materiale bellico
L'Italia non avrebbe potuto né possedere, né costruire, né sperimentare: (4) - armi atomiche (art. 51); (S) - proiettili guidati o ad autopropulsione (fatta eccezione per siluri navali) e dispositivi per il loro lancio (art. 51); cannoni di gittata superiore a 30 km (art. 51); siluri e mine marine funzionanti ad influenza (art. 51); (6) siluri con equipaggio (art. 51 ); (7) corazzate (art. 59, nr. l); (8) - navi portaerei (art. 59, nr. 2); (9) - sommergibili o altre unità subacquee (art. 59, nr. 2) (10) (4) Dato che il divieto era diretto all'I talia (art. 51, 59 nr. l e 2, 64 nr. 2 e 53) ne derivava che esso non solo colpiva le sue Forze Armate ma si estendeva anche alla sua industria la quale non avrebbe potuto quindi costruire nemmeno per l'estero nessuno dei tipi di armi o di mezzi proibiti. (5) Questo divieto non esisteva nel progetto di trattato. (6) Il divieto, nel progetto di trattato, era limitato alle mine. (7) « Torpilles humaines » nel testo francese, « torpedoes capable of being manned » in quello inglese, « maiali » nel gergo della nostra Marina. (8) Le due corazzate che vennero lasciate all'Italia, Andrea Doria e Caio Duilio, lo furono a consumazione, senza cioè la facoltà di sostituirle. Il trattato definiva corazzata (alleg. XIII/A) la « nave da combattimento, diversa da quella portaerei, il cui dislocamento standard superi le 10.000 tonnellate o che sia munita di un cannone di calibro superiore a 203 mm (8 pollici) » . (9) Il trattato definiva nave portaerei (alleg. XIII/ A) la « nave da combattimento di qualsiasi dislocamento che sia stata progettata o adattata principalmente per trasportare e impiegare aeromobili». (10) Questo divieto fu sostenuto dalle due Potenze anglo-sassoni; in modo particolare dalla Gran Bretagna, tanto da ·far dire scherzosamente a Byrnes che gli Inglesi erano allergici ai sottomarini (Riunone pomeridiana del 27 aprile 1946 del Consiglio dei Ministri degli Esteri in « Foreign Relations » cit. bibl. · 1946, Vol. II, pg. 132).
336
motosiluranti (art. 59, or. 2); (11). mezzi navali d'assalto (art. 59, nr. 2); (12) - aeromobili progettati principalmente come bombardieri, con dispositivi interni per il trasporto di bombe (art. 64 nr. 2) (13) Tenuto conto delle nostre possibilità economiche, i più gravi di questi divieti - per quanto riguarda la Marina - erano quelli concernenti le armi a reazione, le mine e i siluri funzionanti ad influenza, i sommergibili e le motosiluranti. Le richieste avanzate dalla nostra delegazione alla Conferenza di Parigi perché questi divieti fossero tolti, o almeno attenuati (14 ), non vennero accolte. La giustificazione ufficiale che venne data a questi divieti fu che essi colpivano mezzi offensivi. E' noto « urbi et orbi » che è estremamente difficile stabilire quali mezzi siano offensivi e quali difensivi e ne sono prova eloquente gli sterili tentativi che furono fatti a tal fine a Ginevra nel 1932, in seno alla Conferenza del disarmo. Molto più semplice e onesto sarebbe stato dire che le Potenze Alleate e Associate si erano avvalse, nel fissare i divieti, dei poteri loro derivanti dall'aver vinto la guerra.
(11) .Il trattato definiva motosilurante (allegato XIII/ A) le « nave di dislocamento inferiore a 200 tonn., avente una velocità di oltre 25 nodi e impiegante siluri». La questione del divieto delle motosiluranti fu presa in esame, da ultimo, durante la sessione di New York del Consiglio dei Ministri degli Esteri, dato che questo divieto non era previsto nei progetti di trattato con la Romania e la Bulgaria. Si pose cioè il problema se consentire il possesso di questo tipo di unità anche all'Italia o se estenderne il divieto anche alle due suddette Potenze. Nella discussione che ebbe luogo il 3 dicembre 1946 il ministro francese Couve de Murville si oppose all'abolizione del divieto per l'Italia affermando che questa, durante il conflitto, aveva usato offensivamente questo mezzo, del quale avrebbe potuto costruire in futuro molti esemplari, se il divieto fosse stato tolto. Per ragioni di uniformità, Molotov, benché a malincuore, accettò che il divieto fosse inserito anche nei trattati con la Romania, la Bulgaria, l'Ungheria e la Finlandia ( « Foreign Relations » cit. bibl. - 1946, Vol. II, pg. 1385). (12) Il trattato definiva mezzo d'assalto (alleg. XIII/A: « a) qualsiasi tipo di imbarcazione specialmente progettata o adattata per operazioni anfibie; b) qualsiasi tipo di piccola imbarcazione specialmente progettata o adattata per portare una carica esplosiva o incendiaria per l'attacco di navi o porti ». (13) Il trattato di Versailles del 1919 (art. 191) e gli altri trattati che posero fine alla prima guerra mondiale furono senza dubbio più blandi. Il solo diviet0 che imposero ai vinti nel campo navale fu infatti quello di possedere sommergibili. (14) Per i missili, ad esempio, fu chiesto che il divieto non riguardasse quelli per la difesa antiaerea, anticarro e antisbarco (memorandum Doc. nr. 1 (M) e Doc. nr. 1 bis (M); per i sommergibili e le motosiluranti fu chiesto che ce ne fossero lasciati rispettivamente almeno 4 e 24 (memorandum a stampa dell'agosto 1946 - Doc. nr. 5 (M)).
337 C) Limitazioni quantitative riguardanti la flotta
Delle navi costituenti la flotta italiana un'aliquota era lasciata all'Italia; un'altra aliquota era messa a disposizione (praticamente come preda bellica, benché questa espressione o altra analoga non figurasse nel testo del trattato) dei Governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'Unione Sovietica e della Francia; una terza aliquota infine doveva esser affondata o demolita. Come in dettaglio si vedrà più avanti, delle 353 unità in servizio, per un tonnellaggio standard (15) complessivo di 371.485 tonn (16): - 163, per 155.272 tonn. erano lasciate all'Italia; - 162, per 198.604 tonn. dovevano esser poste a disposizione dei Governi delle suddette quattro Potenze; - 28, per 17.609 tonn., costituite esclusivamente da sommergibili, dovevano esser affondate in acque profonde non meno di 100 braccia (182 metri in cifra tonda). (Art. 56, 57, 58 e alleg. XII). Le unità non in servizio (perché irreparabilmente danneggiate, perché in costruzione o in allestimento. perché affondate in porti o acque poco profonde) dovevano esser demolite, eccezion fatta per quelle che, potendo esser tecnicamente trasformate per impieghi di carattere civile, fossero state sottoposte effettivamente a tale trasformazione (art. 58). Esaminiano ora in dettaglio queste disposizioni. a) Navi lasciate all'Italia (art. 56. alleg. XII/ A e art. 59).
Le unità lasciate all'Italia erano quelle in servizio nominativamente elencate nell'allegato XII/A del trattato (riportato nell'allegato 20 del presente lavoro); numericamente erano le seguenti: (17)
Navi da combattimento maggiori Corazzate Incrociatori· Cacciatorpediniere
2
tonn.
4 4
» »
48.000 28.141 6.418
(15) Il tonnellaggio standard è quello calcolato sulla base dei dislocamenti standard delle navi prese in esame. Dislocamento standard di una nave è quello della nave ultimata, con il suo equipaggio al completo, pronta a salpare. avente a bordo tutte le dotazioni previste per il tempo di guerra, ma senza il combustibile e l'acqua di riserva per l'alimentazione delle caldaie. (16) Le cifre di cui sopra (comprensive dei 16 dragamine magnetici ceduti dagli Stati Uniti all'Italia) erano così costituite: 209 unità da combattimento per 282.300 tonn. e 144 unità ausiliarie per 89.185 tonn. (17) I tonnellaggi sono in tonnellate metriche e sono stati calcolati sulla base dei dislocamenti standard ufficiali riportati, per la quasi totalità delle navi, dell'« Annuario Ufficiale - R. Marina» del 1940, pg. 500 e seg.
338 10.797 13.400
16 20
»
46
tonn.
106.756
V.A.S.
8
tono.
Dragamine
35 (18)
544 5.734
Torpediniere Corvette Totali
))
Navi da combattimento minori ))
43
tonn.
6.278
Petroliere Cisterne per acqua Rim. grandi e medi Rim. piccoli Navi scuola Navi trasporto Navi appoggio Navi officina Navi idrografiche Navi servizio fari Navi posacavi
2 12 21 29 1 3 1 1 2 1 1
tonn.
»
10.882 7.383 3.627 2.268 3.600 650 4.960 2.763 4.675 930 500
Totali
74
tonn.
42.238
46 43
tono.
106.75Q 6.278
89
tono.
113.034
74
tono.
42.238
163
tono.
155.272
Totali
Navi ausiliarie » » » ))
» ))
))
» »
Riepilogo Navi da combatt. maggiori Navi da combatt. minori Totali Navi ausiliarie Totali generali
))
Del complessivo tonnellaggio standard, in serv1z10 posseduto dall'Italia (371.485 tonn., di cui 282.300 in navi da combattimento e 89.185 in navi ausiliarie) era lasciato quindi all'Italia, in cifra tonda, il 42 % del tonnellaggio totale, il 40% di quello in unità da combattimento e il 47% di quello in unità ausiliarie. (18) Ivi compresi i 16 dragamine magnetici tipo YMS per circa 3.500 tonn. ceduti dagli Stati Uniti all'Italia (Drag. Azalea, Begonia, Dalia ecc.).
339
La cifra suddetta di 113.034 tonn. di naviglio da combattimento era però temporanea perché comprensiva delle 48.000 tonn. delle due corazzate Andrea Daria e Caio Duilio che non potevano esser rimpiazzate, quando radiate. Un esame obiettivo della situazione sotto i suoi vari aspetti portava alla conclusione che, senza ombra di dubbio, il complesso di unità lasciatale non consentiva all'Italia di far fronte alle sue necessità di difesa derivante dalla lunghezza e dalla particolare configurazione delle sue coste. dalla vulnerabilità di tanti suoi obiettivi attaccabili dal mare e dalla necessità vitale per il Paese che non venissero interrotte le linee di traffico d'oltremare e di cabotaggio. Tale inidoneità derivava da diversi fattori, sia per le navi da combattimento che per quelle ausiliarie. Per le prime il loro complesso era, sotto il profilo quantitativo, insufficiente: sotto il profilo qualitativo, non era equilibrato per la disarmonia esistente tra le consistenze dei vari tipi di unità, per la mancanza di sommergibili e di motosiluranti, per le condizioni o la vetustà di molte unità che non ne consentivano più un utile impiego bellico. Si citano fra queste le due corazzate Daria e Duilio, l'incrociatore Cadorna, il Ct. Da Recco, le Torp. Abba, Carini, Fabrizi, Giovannini, Mozambano, Mosto e Pilo nonché un certo numero di dragamine. Il tutto per circa 60.000 tonn. rispetto alle 113.034 lasciateci. Né vi era la possibilità - ammesso che le esigenze della ricostruzione nazionale ce lo avessero consentito - di porre subito riparo con acquisti o nuove costruzioni alla situazione dato che il trattato stabiliva (art. 59, nr. 3, 4 e 5) che nessun acquisto o impostazione di navi da combattimento avrebbe potuto aver luogo prima del 1950 e che i rimpiazzi, da effettuarsi esclusivamente con unità dei tipi non vietati, avrebbero dovuto avvenire in modo da non superare il tonnellaggio standard globale in servizio di 67.500 tonn. (19). Le considerazioni sull'insufficienza, sia sotto l'aspetto quantitativo che quello qualitativo, fatte per le navi da combattimento valevano
(19) Come si è veduto, le navi da combattimento lasciateci avevano globalmente - con le due corazzate - un tonnellaggio standard di 113.000 tonn. in cifra tonda. Togliendo da tale cifra le 48.000 tonn. delle due suddette unità, lasciateci a consumazione senza facoltà di rimpiazzo, restava un tonnellaggio standard di incrociatori, Ct, torpediniere, corvette e unità minori di 65.000 tonn. Di qui l'origine della cifra di 67.500 tonn. posta dal trattato come tonnellaggio standard massimo raggiungibile in futuro dall'Italia in navi da combattimento. Unico punto favorevole era che all'Italia era lasciata la più ampia libertà di scelta dei tipi di unità con cui utilizzare tale tonnellaggio, purché non si trattasse naturalmente di quei tipi di cui le era vietato il possesso. Il rimpiazzo delle navi ausiliarie non era sottoposto ad alcuna restrizione.
340 anche per le navi ausiliarie, dalla cui congruità dipende l'efficienza del sostegno logistico delle Forze oper anti (20). Basti pensare che, delle 12 cisterne per acqua lasciate all'Italia, una (Stura) era un pontone senza motori; un'altra (Pescara) era già stata radiata; una terza (Tronto) aveva 57 anni di servizio e che altre quattro (Simeto, Frigido, Ofanto e Oristano) avevano superato i 30 anni di età. Dei 21 rimorchiatori grandi e medi, più della metà aveva superato i 30 anni di servizio e soltanto uno (Atlante) era idoneo a essere impiegato per operazioni di rimorchio e salvataggio in alto mare. Delle 3 navi da trasporto, una (Messina) aveva oltre 50 anni di età e un'altra (Tarantola) era una piccola unità impiegabile soltanto per trasporto di personale all'interno delle basi. b) Navi da mettere a disposizione delle quattro Potenze (art. 57 e alleg. XII/B).
Le unità che l'Italia doveva mettere a disposizione dei Governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'Unione Sovietica e della Francia erano quelle in servizio indicate nell'allegato XII/B del trattato (riportato nell'allegato 20 del presente lavoro); numericamente erano le seguenti:
Navi da combattimento maggiori Corazzate
3
tonn.
Incrociatori
5
))
Cacciatorpediniere
7
))
Torpediniere Avvisi
6
))
1
))
Sommergibili
8
))
30
tonn.
Totali
95.120 25.048 11.228 5.382 2.207 6.735 145.720
(20) Lo Stato Maggiore della Marina così si esprimeva in un suo appunto del 24 ottobre 1946 per indicare il perché delle richieste relative al naviglio ausiliario che aveva presentato: « L'Italia, data la sua particolare configurazione, ha la necessità di mantenere in esercizio un numero cospicuo di basi navali. Infatti la penisola italiana, con il suo protendersi nel Mediterraneo Centrale. forma tre bacini marittimi separati, pressocché indipendenti tra loro (Adriatico, Jonio e Tirreno), ognuno dei quali ha bisogno di almeno una base di appoggio per le unità assegnatevi (Brindisi, Taranto, La Spezia). Inoltre è anche indispensabile mantenere, sia pure come semplici punti di appoggio, alcuni sorgitori con modesta attrezzatura per le soste e le esercitazioni (Venezia, Augusta o Messina e Cagliari). « Fissate le suddette minime necessità dell'Italia in fatto di basi e di punti d'appoggio ne derivano alcune imprescindibili esigenze di naviglio ausiliario ».
341
Navi da combattimento minori M.S. M.A.S. M.E. V.A.S.
Dragamine Motozattere Cannoniere Totali
14 15 3
tonn.
6 7
»
16 1
»
62
tonn.
5.937
4
tonn.
14 32 14 1 3 1
»
24.270 9.742 5.812 899 2.832 1:580 1.272 540
» » » »
840 (21) 289 105 (22) 408 1.084 2.546 665
Navi ausiliarie Petroliere Cisterne per acqua Rim. grandi e medi Rim. piccoli Navi scuola Navi trasporto Navi appoggio Posamine
))
» » ))
»
--Totali
tonn.
46.947
30 62
tonn. »
145.720 5.937
92
tonn.
151.657
70
»
46.947
162
tonn.
198.604
70
Riepilogo Navi da combatt. maggiori Navi da combatt. minori Totali Navi ausiliarie Totali generali
Del complessivo tonnellaggio standard in serv1z10 posseduto dall'Italia (371.845 tonn., di cui 282.300 in navi da combattimento e 89.185 in navi ausiliarie) doveva esser messo quindi a disposizione dei Governi delle quattro Potenze, in cifra tonda, il 53% del tonnellaggio totale, il 54% di quello in navi da combattimento e il 53% di quello in navi ausiliarie.
(21) Nel progetto di trattato erano 16 per 960 tonn. {22) Nel progetto di trattato erano 4 per 140 tonn.
342 Fra le unità che l'Italia ·perdeva. erano comprese, oltre alle due corazzate più grandi e moderne (Italia e Vittorio Veneto) (23), molte delle navi da combattimento e ausiliarie più recenti e in migliori condizioni d'efficienza (ad es. l'incr. Duca d'Aosta, i Ct. Legionario, Velite e Mitragliere); tutt'e sei le torpediniere; la nave coloniale Eritrea; la cisterna per acqua Tirso; i rimorchiatori Tifeo, Vigoroso, Nereo, Porto Adriano ecc. Le unità avrebbero dovuto esser consegnate in condizioni di emcienza (« entièrement équipés », « in operational condition » ), con le loro dotazioni di materiali per l'impiego delle armi e di pezzi di ricambio al completo nonché con tutta la documentazione tecnica necessaria (art. 57, nr. 1/b). La consegna avrebbe dovuto esser effettuata entro 3 mesi dall'entrata in vigore del trattato; qualora alcune unità non avessero potuto essere approntate entro il suddetto termine, questo avrebbe potuto esser prorogato dai quattro Governi per il tempo necessario all'esecuzione dei lavori (art. 57, nr. 1/c). Inoltre, per ogni unità avrebbe dovuto esser consegnata, entro un anno e nella misura fissata dai quattro Governi. una dotazione di riserva di pezzi di ricambio e di materiali per l'impiego delle armi (art. 57, nr. l/d). I dettagli della consegna sarebbero stati fissati da un'apposita « Commissione navàle delle quattro Potenze » da istituirsi con protocollo a parte (art. 57, nr. 2) (24). Come si vede, (i vincitori non si accontentavano di entrare in possesso delle unità.. nelle condizioni in cui si trovavano, ma le volevano in condizioni di efficienza, con tutte le dotazioni, pronte all'impiego. Ciò significava un onere finanziario per le esauste casse dello Stato italiano di alcuni miliardi, miliardi del 1947 (25). Nel corso di quanto precedentemente esposto si è visto come i vincitori - consci evidentemente della cattiva azione che stavano facendo all'Italia nell'imporle la consegna come preda bellica della maggior parte di quelle navi che per venti mesi avevano combattuto al loro fianco - avessero il timore che quelle ad essi destinate fossero affondate ~nziché consegnate.
(23) Le due corazzate (che nel settembre 1943 gli Alleati avevano fatto trasferire nei Laghi Amari (Canale di Suez), ove erano rimaste, con equipaggi ridotti) furono autorizzate a rientrare in Italia alla vigilia della firma del trattato di pace, nel febbraio 1947. (24) Di questo protocollo fra le quattro Potenze, firmato il 10 febbraio 1947, contemporaneamente al trattato di pace, si parlerà più avanti. (25) Il trattato di Versailles del 1919 fu senza dubbio più blando; esso stabilì infatti (art. 185 e 188) che le navi fossero consegnate nello stato in cui si trovavano. Lo stesso dicasi per gli altri trattati di pace che misero fine alla prima guerra mondiaJe.
343
Da questo timore trasse ongme l'ultima clausola, la 3, dell'art. 57 del trattato, la quale così si esprimeva: « Nel caso in cui una o più delle navi elencate nell'allegato XII/B per esser trasferite, per un qualsiasi motivo andassero perdute o subissero un danno che non fosse possibile riparare prima della data stabilita per il trasferimento, l'Italia si impegna a rimpiazzare detta o dette unità con un equivalente tonnellaggio tratto dalle unità indicate nell'allegato XII/ A ( cioè da quelle lasciate all'Italia]. La o le unità di rimpiazzo saranno scelte dagli ambasciatori in Roma degli Stati Uniti d'America, della Francia, del Regno Unito e dell'Unione Sovietica » (26). e) Navi da affondare o demolire (art. 58)
Il trattato disponeva come segue: Navi in servizio Tutti i sommergibili galleggianti - esclusi gli 8 da mettere a disposizione delle quattro Potenze - dovevano esser affondati in acque profonde almeno 100 braccia (182 metri), entro 3 mesi dall'entrata in vigore del trattato (27). Erano 28 unità per un tonnellaggio standard di 17.609 tonn., pari, in cifra tonda, al 5% del tonnellaggio totale (371.485 tonn.) e al 6% di quello complessivo delle navi da combattimento (282.300 tonn.) (28). Navi non in servizio (28 bis) Nei loro riguardi si sarebbero dovute prendere le seguenti misure (i termini decorrevano dall'entrata in vigore del trattato).
(26) Secondo l'art. 67 - che riguardava tutt'e tre le Forze Armate - l'Italia avrebbe dovuto mettere a disposizione dei Governi delle quattro Potenze - secondo le disposizioni che avrebbe ricevuto dagli stessi - anche tutto il « materiale bellico» in suo possesso che fosse stato in eccedenza a quello consentitole per le Forze Armate che era autorizzala a conservare. Cosa dovesse intendersi per « materiale bellico,. Io diceva l'allegato XIII/ C che ne dava una definizione largamente comprensiva perché includeva in tale espressione, oltre al materiale bellico vero e proprio, anche « gli impianti e i macchinari industriali specialmente progettati per la produzione e la manutenzione del materiale sopra indicato [ cioè del materiale bellico vero e proprio) e che non possono esser tecnicamente trasformali per usi civili ». (27) Secondo il Trattato di Versailles (art. 188) e gli altri trattati che posero fine alla prima guerra mondiale, i sommergibili dei vinti, che non potevano esser consegnati ai vincitori perché erano in costruzione o in condizioni di non poter navigare, dovevano esser demoliti. (28) Erano i sommergibili Hl, H2, H4, Speri, G. da Procida, Mameli, Pisani, Manara, Fratelli Bandiera, Menotti, Squalo, Bragadino, Corridoni, R. Settimo, !alea, Galatea, Diaspro, Onice, Turchese, Otaria, Brin, Zoea, Cagni, C.B.8, C.B.9, C.B.10, C.B.11, C.B.12. (28bis) Perché irreparabilmente danneggiate, perché in costruzione o in allestimento, perché affondate in porti o in acque poco profonde.
344
• Unità ausiliare trasformabili per impieghi di carattere civile Se non erano trasformate per tali impieghi, avrebbero dovuto esser demolite entro 2 anni. • Altre unità
Se galleggianti o in costruzione avrebbero dovuto esser demolite entro 9 mesi (29). Se affondate nei porti o in acque poco profonde dell'Italia: - se non erano d'intralcio alla navigazione, avrebbero dovuto esser rese irricuperabili entro un anno; - se erano d'intralcio alla navigazione, avrebbero dovuto esser demolite, sul posto o previo ricupero, entro due anni (30). L'Italia, prima di affondare o demolire le unità, in osservanza di quanto sopra esposto: - avrebbe dovuto ricuperare i materiali e i pezzi ricambio necessari per completare le dotazioni delle navi da mettere a disposisione :lei Governi delle quattro Potenze; - avrebbe potuto ricuperare per proprio uso quei materiali e quei pezzi di ricambio di carattere non bellico, facilmente utilizzabili per impieghi di carattere civile (31). D)
Limitazione riguardanti gli effettivi della Marina
Ai sensi dell'art. 60 del trattato gli effettivi della Marina dovevano esser ridotti entro 9 mesi a 25.000 uomini, ufficiali compresi (32), ma escluso ìl personale dell 'aeronautica navale (33). Tale cifra era aumentata di altre 2.500 unità per le operazioni di dragaggio delle mine, ma soltanto sino al compimento di questo.
(29) Secondo il progetto di trattato le unità galleggianti, anziché demolite, avrebbero dovuto essere affondate in acque profonde almeno 50 braccia (91 metri). (30) Secondo il progetto di trattato le unità che fossero state ricuperate, anziché demolite, avrebbero dovuto esser affondate in acque profonde almeno 50 braccia (91 metri). (3 1) Questa seconda disposizione non esisteva nel progetto di trattato. (32) Il progetto di trattato fissava tali affettivi in 22.500 uomini, ufficiali compresi. (33) Tale personale faceva parte degli effettivi dell'Aeronautica fissati in 25.000 uomini, ufficiali compresi (art. 65).
345
Era infine vietato impartire un'istruzione navale sotto qualsiasi forma a persone non facenti parte di detti effettivi (34 ). Per quanto riguarda il personale v'era un articolo, il 16, che riguardava tutti i cittadini italiani e pertanto anche la Marina. Diceva testualmente questo articolo: « L'Italia non incriminerà né in altro modo molesterà i cittadini italiani, compresi i componenti delle Forze Armate, per il solo fatto di aver espresso simpatia per la causa delle Potenze Alleate e Associate o di aver svolto azione a favore della causa stessa durante il periodo compreso tra il 10 giugno 1940 e la data di entrata in vigore del presente trattato». Non può sfuggire ad alcuno l'eccezionale gravità di questo articolo e il suo carattere profondamente immorale dato che con esso veniva assicurata l'immunità perfino ai militari che durante la guerra si fossero resi colpevoli di tradimento verso il loro Paese! Quest'articolo non esisteva nel progetto di trattato; esso trasse origine da un emendamento presentato alla Conferenza di Parigi, sia pure in .forma diversa, dalla delegazione jugoslavia e purtroppo approvato, benché a maggioranza semplice. Esso era tanto più odioso se confrontato con l'art. 45, secondo il quale l'Italia avrebbe dovuto prendere tutte le necessarie misure per arrestare e consegnare alle Potenze vincitrici, a richiesta di queste, loro cittadini trovantisi in territorio italiano, accusati di aver tradito durante la guerra il loro Paese o di aver collaborato con i nemici di questo. Come si vede, due pesi e due misure.
4 . Le clausole riguardanti la Marina mercantile.
Le disposizioni riguardanti la Marina mercantile non formavano un corpo a sé ma erano incluse quasi esclusivamente negli articoli di ca·attere economico. Esse potevano raggrupparsi in due grandi categorie: disposizioni che imponevano all'I talia di non fare alcune determinate cose (cioè Ji rinunciare all'esercizio di certi suoi diritti) e disposizioni che le
(34 L'alleg. XII/B così definiva, nel suo paragrafo 3, l'istruzione navale. navale comprende lo studio e la pratica dell'impiego delle navi da guerra e degli impianti navali nonché lo studio e l'impiego di tutte le apparecchiature e di tu tti i mezzi di addestramento usati per la condotta della guerra navale, fatta eccezione per le apparecchiature e i mezzi che sono normalmente utilizzati per scopi civili. Comprende altresì l'insegnamento, la pratica e lo studio organico della tattica navale, della strategia e del lavoro di stato maggiore, ivi compresa l'esecuzione di qualsiasi operazione e manovra che non sia necessaria pPr l'impiego pacifico delle navi ». « L'istruzione
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imponevano invece di fare alcune altre specificate cose (cioè di consegnare o di restituire determinate categorie di naviglio in suo possesso). A) Disposizioni che imponevano di « non fare»
Le principali di queste disposizioni erano le seguenti. 1) L'articolo 53, accogliendo il disposto dell'articolo 46 del progetto di trattato, stabiliva che l'Italia non avrebbe potuto costruire navi da guerra (non erano comprese però in questa espressione quelle ausiliarie) dei tipi dei quali le era vietato il possesso o in misura superiore a quella necessaria per la flotta che essa era autorizzata a possedere. Ne derivava quindi praticamente che l'industria cantieristica italiana non avrebbe potuto costruire alcun tipo di unità da guerra per conto di Potenze estere. 2) L'articolo 76 (il 66 del progetto) imponeva all'Italia la rinuncia a presentare contro le Potenze Alleate e Associate qualsiasi reclamo ( « claim ») derivante direttamente dalla guerra o dai provvedimenti da esse adottati, a seguito dell'esistenza di uno stato di guerra in Europa, nel periodo compreso tra il 1° settembre 1943 e l'entrata in vigore del trattato. La rinuncia riguardava sia i reclami contro i provvedimenti adottati da quelle Nazioni Unite che erano state in guerra con l'Italia, sia i reclami contro i provvedimenti di quelle di tali Potenze che si erano limitate a rompere le relazioni diplomatiche(l). In altre parole si imponeva all'Italia di passare la spugna sopra i non lievi danni che i vincitori e i loro caudatari (compresi quelli che si Grano limitati alla rottura delle relazioni diplomatiche) le avevano arrecato anche nel periodo della sua neutralità, dal 1• settembre 1939 al 10 giugno 1940, in quello della cobelligeranza, quando essa combatteva al loro fianco, e, persino, dopo la fine delle ostilità, durante la gestazione del trattato! Quale era praticamente la portata di questo articolo? Eccola in breve: a) Rinuncia a qualsiasi richiesta di danni per i non pochi atti di arbitrio che erano stati compiuti a danno del nostro naviglio mercantile dalle autorità britanniche nell'esercizio del controllo della navigazione neutrale dal 1° settembre 1939 al 10 giugno 1940, quando l'Italia non era entrata ancora in guerra. I « rapporti Pietromarchi » dell'li maggio e 9 giugno 1940 non erano parti di fantasia.
(1) Le Nazioni Unite che erano state in guerra con l'Italia erano, in aggiunta alle 20 firmatarie del trattato, una diecina. Una diecina erano pure quelle che si erano limitate a rompere le relazioni diplomatiche.
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b) Rinuncia a presentare qualsiasi reclamo contro i provvedimenti di confisca o di altra natura coercitiva, adottati nei riguardi di 68 nostri piroscafi, per 415.724 T.S.L., che, all'entrata in guerra dell'Italia il 10 giugno 1940, si erano rifugiati in porti di dieci Nazioni Unite, allora neutrali, le quali successivamente erano entrate in guerra con l'Italia o avevano rotto le relazioni diplomatiche con la stessa (2). c) Rinuncia ad impugnare le sentenze delle Corti delle prede alleate nei riguardi di navi italiane e loro merci catturate dalle Potenze Alleate e Associate dal 1° settembre 1939 all'8 settembre 1943, anche se alcune erano evidentemente delle storture giuridiche (3) o basate su principi giuridici controversi (4). L'imposizione fattaci di procedere a questa rinuncia, come a quella analoga di cui alla lettera seguente, si mostra più che mai come un
(2) Queste Potenze - vedasi l'allegato 13 - erano le seguenti (tra parentisi il numero dei piroscafi): Stati Uniti (28), Messico (10), Costarica (1), Cuba (1), Brasile (12), che successivamente avevano dichiarato guerra all'Italia; Venezuela ,(6), Colombia (2), Uruguay (2), Egitto (2), Iran (4), che in un secondo tempo avevano rotto le relazioni diplomatiche. Con alcune di queste Potenze, a trattato di pace entrato in vigore, l'Italia stipulò accordi di carattere bilaterale con i quali la portata dell'articolo esaminato fu quanto meno attenuata. Ad esempio: Stati Uniti · Alle 28 unità che nel giugno 1940 si erano rifugiate in porti degli Stati Uniti se ne erano aggiunte altre 6 da essi acquistate, durante la guerra, dal Brasile e dal Venezuela. In totale erano 34 unità, ridotte a 13 nel 1947. Nel giugno di tale anno queste 13 unità (tra le quali i due grossi piroscafi da passeggeri Conte Biancamano e Conte Grande) furono restituite ai loro aventi diritto da parte degli Stati Uniti i quali, in sostituzione delle 24 andate perdute, consegnarono gratuitamente un pari tonnellaggio di loro piroscafi del tipo « Liberty ». (Vedasi « Rivista Marittima» · 1947, settembre, pg. 152-153; dicembre, pg. 330-331; « Relazioni Internazionali» - 1947, pg. 444 e 536). Brasile · Con accordo tra i due Paesi dell'8 ottobre 1949 il Brasile restituì 7 delle 11 navi che, rifugiatesi nel giugno 1940 nei suoi porti, aveva successivamente acquistato con patto di riscatto a fine guerra e che, nell'agosto 1942, alla sua entrata in guerra, aveva confiscato, dopo aver rescisso i contratti di acquisto. (3) Ad esempio, quelle che avevano legittimato la cattura e ordinato la confisca della nave-ospedale Laurana e dei piroscafi Duchessa d'Aosta e Pollenza, catturati in acque spagnole. (4) Ad esempio, molte nostre unità affondate nei porti e nelle acque dell'Africa Orientale e del Nord Africa erano state catturate formalmente dalle autorità britanniche prima del loro recupero, che era stato effettuato in un secondo tempo, dopo 1'8 settembre 1943 o, addirittura, dopo la fine delle ostilità. Siccome la cattura è una presa di possesso, una « apprehension », potevano considerarsi legittime le catture fatte quando, essendo le navi ancora a fondo, tale « apprehension » non era possibile? Se la risposta era negativa dovevano considerarsi non valide le catture delle navi recuperate dopo 1'8 settembre 1943 e, a maggior ragione, di quelle riportate a galla dopo il maggio 1945. In proposito i punti di vista non concordavano. Da parte italiana si sosteneva che la cattura di navi affondate non era valida; le Corti delle prede britannniche erano invece di parere contrario dato che i relitti, esse dicevano, pur essendo a fondo, si trovavano sotto l'effettivo controllo delle autorità alleate d'occupazione.
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vero e proprio sopruso se si tiene conto che con l'allegato XVII/ A il trattato dava alle Potenze vincitrici la facoltà di chiedere al Governo italiano (che era tenuto a darvi seguito) la revisione delle sentenze del Tribunale delle prede italiane che esse avessero r itenuto non conformi al diritto internazionale! d) Rinuncia del pari a impugnare le sentenze delle Corti delle prede alleate che avevano legittimato le catture effettuate da alcune Potenze Alleate o Associate di navi italiane trovate nei porti o nelle acque territoriali dalle Potenze stesse occupati o liberati dopo l'B settembre 1943, legittimazione che era in contrasto con il principio generale secondo il quale - in mancanza di espressa disposizione in senso contrario - l'armistizio sospende le ostilità e, quindi, anche l'esercizio del diritto di preda. E nei due armistizi, sia in quello di Cassibile che in quello di Malta, una clausola che prevedesse la continuazione dell'esercizio del diritto di preda non c'era. C'era invece qualcosa di più: in quello di Cassibile si diceva « expressis verbis » (art. 5) che il naviglio mercantile italiano poteva esser « requisito» dal Comando in Capo alleato; l'accordo Cunningham-de Courten disponeva a sua volta che le navi mercanti I i italiane sarebbero state impiegate, con bandiera ed equipaggi italiani, alle stesse condizioni fissate per le navi mercantili delle Nazioni Unite; dal 13 ottobre 1943 infine all'Italia era stata riconosciuta la veste di cobelligerante a fianco delle Nazioni Unite. Tutto ciò significava senza ombra di dubbio che l'esercizio del diritto di preda verso le nostre navi da parte alleata doveva considerarsi sospeso dall'B settembre 1943 o, nella peggiore delle ipotesi, dal 31 ottobre di tale anno (5). 3) L'articolo 77 (67 del progetto) imponeva aJl'Italia la rinuncia a presentare qualsiasi reclamo ( « claim ») per i danni arrecatile dalla Germania durante il periodo della cobelligeranza, fatta eccezione per
(5) Gli Anglo-Americani si associarono a questo punto di vista, che ritennero conforme, non solo alla lettera dell'armistizio e allo status di cobelligerante dell'Italia, ma anche allo spirito dello sforzo bellico delle Nazioni Unite. Di conseguenza non esercitarono il diritto di preda, a mano mano che risalivano verso il nord della penisola, nei riguardi delle nostre navi rimaste nella zona sotto occupazione tedesca, anche se esse erano state utilizzate dalle Forze germaniche. Francia, Jugoslavia e Grecia - soprattutto le prime due - si comportarono invece in modo diametralmente opposto nei riguardi delle nostre navi trovate nelle acque dei rispettivi territori (la Jugoslavia anche per le navi trovate nelle acque della Venezia Giulia) a mano a mano che essi erano abbandonati dai Tedeschi. Le tre Potenze sostennero infatti che la cattura e la conseguente confisca di deite navi erano legittime avendo esse svolto, al servizio delle Forze d'occupazione germaniche, attività ostile a danno degli Alleati. La questione, a trattato di pace entrato in vigore, fu risolta in alcuni casi con accordi bilaterali fra l'Italia e le altre Parti interessate. Ad esempio, con la Grecia con accordo del 31 agosto 1949 (art. 50 e paragrafo 8 del relativo protocollo di firma); con la Jugoslavia con accordo del 18 dicembre 1954 (art. 9 e 2).
349 i reclami miranti a ottenere la restituzione dei beni identificabili che, con la forza o la costrizione, erano stati portati dal territorio italiano in quello tedesco da parte delle Forze Armate o delle autorità civili ledesche. Ciò, tra l'altro, significava, non solo rinuncia da parte dell'Italia alla richiesta di una riparazione per i danni arrecati dai Tedeschi, dopo l'armistizio, al nostro naviglio e alle opere portuali, ma anche rinuncia a riehiedere gli indennizzi dovutile per le centinaia di noleggi di nostre unità fatti dalla Mittelmeer Reederei e per le requisizioni effettuate dai Comandi della Marina Germanica (6). B) Disposizioni che Imponevano di « fare »
Ecco le principali. 1) L'art. 74/B, nel fissare l'ammontare delle « riparazioni » che l'Italia avrebbe dovuto pagare ad Albania, Etiopia, Grecia e Jugoslavia, stabiliva - accogliendo la « raccomandazione » della Conferenza di Parigi - che ognuna di queste Potenze avrebbe potuto richiedere, in conto di quanto dovutole, le monotavi da passeggeri da 24.000 T.S.L. Saturnia e Vulcania o una di esse e che il Governo italiano, se una tale richiesta fosse stata presentata, avrebbe dovuto accoglierla (7). 2) L'art. 75 (65 del progetto di trattato) stabiliva che l'Italia avrebbe dovuto restituire in buon stato ai legittimi proprietari i beni asportati con la forza o la costrizione dal territorio di una Nazione Unita ad opera di una Potenza dell'Asse, i quali si fossero trovati in Italia all'atto dell'entrata in vigore del trattato di pace. Praticamente ne discendeva l'obbligo per l'Italia di restituire in buono stato a chi di diritto tutte le navi mercantili alleate trovantisi danneggiate o affondate in acque o in porti italiani (8). Come si è precedentemente detto parlando del progetto di trattato, parte di queste unità erano state portate in Italia dai Tedeschi dopo 1'8 settembre 1943 e il loro danneggiamento o affondamento era dovuto, nella maggior parte dei casi, ai Tedeschi stessi o, addirittura, alle Forze alleate. Era ingiusto quindi voler addossare all'Italia la responsabilità anche di perdite e di danni ad essa non addebitabili. 3) L'art. 78 (68 del progetto di trattato) disponeva che l'Italia avrebbe dovuto restituire in perfetto stato ai cittadini delle Nazioni
(6) Flore - Op. cit. bibl., pg. 537. (7) Nessuna delle quattro Potenze citate si avvalse della facoltà concessale. (8) Quelle in condizioni di navigabilità erano già state restituite in applicazione degli accordi Cunningham-de Courten.
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Unite i beni loro appartenenti che, trovandosi in Italia all'inizio del conflitto, erano stati sottoposti a misure di controllo da parte delle autorità italiane, in conseguenza dello stato di guerra. L'articolo disponeva inoltre (a differenza di quello di cui al precedente paragrafo 2) che, qualora il bene non avesse potuto esser restituito, il Governo italiano avrebbe dovuto corrispondere agli aventi diritto un indennizzo pari ai due terzi della somma necessaria per acquistare un bene equivalente a quello non restituito. Di qui l'obbligo per l'Italia di restituire in per/etio stato ai cittadini delle Nazioni Unite le navi loro appartenenti che, sorprese in acque o por:ti italiani dall'insorgere dello stato di guerra, erano state sottoposte dalle nostre autorità a misure di sequestro. La mancata restituzione avrebbe comportato il dovere di corrispondere a chi dì ragione un indennizzo nella misura sopra indicata. Tutto questo avrebbe potuto esser considerato anche giusto se l'art. 76 del trattato non avesse imposto all'Italia - come si è visto poco sopra - di non impugnare in alcun modo le misure di confisca o di altra natura coercitiva adottate dalle Nazioni Unite nei riguardi dei 68 nostri piroscafi che il 10 giugno 1940, quando dette Nazioni erano ancora neutrali, si erano rifugiati nei loro porti (9). S. Clausole varie.
Le clausole di questo tipo che interessavano particolarmente e rano quelle dell'articolo 86 e dell'articolo 90. L'articolo 86 stabiliva che, per un periodo non superiore a 18 mesi dall'entrata in vigore del trattato, gli ambasciatori in Roma degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica, avrebbero rappresentato, agendo di comune accordo, le Potenze Alleate e Associate « per trattare ("pour trailer", "in dealing") con il Governo italiano tutte le questioni relative all'esecuzione e all'interpretazione» del trattato, fornendo al Governo stesso « i consigli, i pareri tecnici e i chiarimenti che potessero esser necessari per assicurare l'esecuzione rapida ed efficace del trattato, sia nella lettera che nello spirito » ( 1). (9) Le questioni poste dall'applicazione degli articoli 75 e 78 furono in alcuni casi risolti con accordi bilaterali fra l'Italia e le altri Parti interessate. Così, ad esempio, con la Grecia, con gli accordi del 31 agosto 1949 (art. 47 e 48) e del 5 agosto 1953; con la Francia, oltre che con l'accordo del 1° giugno 1946, di cui .,i è già parlato nella sezione I del capitolo X, con quello del 28 novembre 1950 (art. l) e con lo scambio di note avvenuto in Roma il 29 luglio 1953; con la Jugoslavia, con l'accordo del 6 agosto 1949. (1) I quattro ambasciatori furono: per gli Stati Uniti, James Clement Dunn; per la Gran Bretagna, Victor A.L. Mallet; per l'Unione Sovietica, Mikkhail Kostylev; per la Francia, Jacques Fouque Duparc.
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Come si vede quindi la competenza dei quattro ambasciatori era quella di trattare, di dare consigli, pareri tecnici e chiarimenti, non di dare ordini; nel caso che le due Parti non fossero riuscite a raggiungere un accordo, la questione avrebbe dovuto esser rimessa per la decisione - così disponeva l'art. 87 - a una commissione composta da un rappresentante di ciascuna delle due Parti e da un terLO membro scelto dalle stesse di comune accordo. Quest'articolo, come vedremo più avanti, ebbe molta importanza per dirimere le non poche questioni che si posero in sede di consegna delle navi che il trattato assegnava alle Potenze vincitrici. L'articolo 90 è da segnalare per le discussioni c he dette luogo in Italia al momento della ratifica del trattato. Esso era del seguente tenore: « Il presente trattato, i cui testi francese, inglese e russo faranno fede, dovrà esser ratificato dalle Potenze Alleate e Associate. Esso dovrà esser ratificato anche dall'Italia. Esso entrerà in vigore immediatamente dopo il deposito delle ratifiche da parte degli Stati Uniti d 'America, della Francia, del Regno Unito di Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord e dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste. Gli strumenti di ratifica saranno depositati, nel più breve tempo possibile, presso il Governo della Repubblica francese. « Per quanto concerne ciascuna delle Potenze Alleate e Associate i cui strumenti di ratifica saranno depositati in epoca successiva, il trattato entrerà in vigore alla data del deposito ... ». Che cosa significava, sotto il punto di vista strettamente giuridico, quest'articolo? Che il trattato sarebbe entrato in vigore, che avrebbe esercitato i suoi effetti, anche se l'Italia, non lo avesse ratificato? Per essere esatti anche se non avesse proceduto al deposito della sua ratifica? Secondo una tesi - la quale si basava su una interpretazione letterale dell'articolo - non potevano esservi dubbi in proposito: la ratifica dell'Italia, ancorché prevista dal trattato, non era necessaria per l'entrata in vigore di questo. Ess·o sarebbe divenuto operante con il deposito delle ratifiche da parte delle quattro grandi Potenze, ancorché il deposito di quella italiana non fosse ancora avvenuto (2). Secondo un'altra tesi, per rispondere correttamente al quesito non ci si poteva fermare all'interpretazione letterale dell'articolo, ma occorreva distinguere fra entrata in vita ed entrata in vigore del Trattato. Sotto il primo aspetto - dato che il trattato, benché sostanzialmente imposto e non liberamente negoziato, era pur sempre un atto (2) In questo senso, ad es., Giannini Op. cit. bibl. pg. 59, nonché - come risulta dai discorsi pronunciati all'Assemblea Costituente in occasione della discussione per la ratifica del trattato - l'on. Benedetto Croce e numerosi altri membri di tale Assemblea.
352 contrattuale tra l'Italia, da una parte, e le venti Potenze Alleate e Associate, dall'altra - era fuori di ogni dubbio che il deposito della ratifica dell'Italia, prevista esplicitamente dal trattato, era « conditio sine qua non » della sua entrata in vita, della sua giuridica esistenza. Di conseguenza quand'anche tutt'e venti le Potenze Alleate e Associate avessero proceduto al deposito delle loro ratifiche, il trattato non sarebbe giuridicamente esistito sino a quando non avesse avuto luogo il deposito délla ratifica dell'Italia. Per quanto riguarda il secondo aspetto, era del pari chiaro che l'entrata in vigore del trattato (dopo che esso, in seguilo all'avvenuto deposito della ratifica italiana, avesse acquistato giuridica esistenza) avrebbe potuto avvenire soltanto con il deposito delle ratifiche di tutt'e quattro le grandi Potenze. Pertanto anche se l'Italia e le sedici minori Potenze Alleate e Associate avessero effettuato il deposito delle loro ratifiche, il trattato, benché giuridicamente esistente, non avrebbe potuto spiegare i suoi effetti sino al deposito delle rispettive ratifiche da parte degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'Unione Sovietica e della Francia. Questa tesi era così sintetizzata da un noto cultore di diritto internazionale: « Nessun dubbio che il trattato, per entrare in vita, ha bisogno della ratifica italiana, senza la quale esso non esiste. Ma anche una volta divenuto validamente esistente, per divenire poi efficace nei confronti di qualsiasi Potenza che l'abbia ratificato, esso ha bisogno delle ratifiche dei " quattro Grandi", prima delle quali non può essergli data applicazione » (3 ). Secondo questa tesi quindi - che fu quella accolta e sostenuta dal Governo italiano - era necessario, perché il trattato potesse esplicare i suoi effetti, che avesse avuto luogo, oltre che il deposito delle ratifiche delle quattro grandi Potenze, anche quello della ratifica italiana; la mancanza del deposito di una sola di esse lo avrebbe impedito (4).
* * * Una
fonte insospettabile, il gesuita Messineo, parlando senza
(3) R. Ago - « Valore giuridico della ratifica italiana» in « Relazioni Internazionali ,. - 1947, nr. 32-33 pg. 509-510. Nello stesso senso G. Balladore Pallieri « Le disposizioni generali del Trattato,. in « Relazioni Internazionali,. 1947, nr. 7, pg. 100-101 e 493; T. Perassi « L'aspetto giuridico della ratifica,. in « La Voce Repubblicana» del 23 luglio 1947; alcuni membri dell'Assemblea Costituente (Adonnino, Bassano ...). (4) Come vedremo più avanti, il 15 settembre 1947 ebbe luogo il deposito delle ratifiche da parte degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'Unione Sovietica, della Francia e dell'Italia; di conseguenza il giorno stesso il trattato entrò in vigore. Il trattato fu ratificato anche da tutte le altre sedici Potenze Alleate e Associate. Avvalendosi della facoltà loro concessa dall'art. 88 del trattato, aderirono a questo, acquistando la veste di Potenze Associate, il Pakistan, l'Albania, l'Irak e il Messico.
353 peli sulla lingua del trattato, ha definito le sue clausole il I'isultato di un « compromesso oppressore a carico di chi era ormai nell'impossibilità di difendersi», dichiarandole, « nella loro ingiustizia e nella loro gravità, contrarie agli impegni solennemente assunti dai vincitori con la presto rinnegata Carta Atlantica, con le promesse esplicite fatte al popolo italiano prima e dopo la sua capitolazione e col fatto della cobelligeranza ripetutamente riconosciuta ». E così concludeva: « E' chiaro che il trattato italiano, un trattato iniquo ... poggia sopra una flagrante ingiustizia, la quale a sua volta scaturisce dall'assoluta dimenticanza d'impegni a suo tempo assunti. Le Nazioni Unite hanno tradito l'Italia, giacché non si può qualificare con un termine meno forte un trattato nel quale i suoi quattro compilatori, lungi dal tener conto della pro;nessa di Quebec, della cobelligeranza e dello sforzo militare ed economico cui si è sobbarcato il popolo italiano, nei duri mesi della guerra combattuta sul suo suolo, per aiutare il conseguimento della vittoria, hanno accumulato clausole sopra clausole, l'una più offensiva dell'altra, l'una più umiliante dell'altra, trattandolo con un'asprezza che non poteva esser maggiore, se avesse combattuto fiho all'ultimo momento contro i suoi nemici di prima » (5). Quanto sopra da un punto di vista generale. Per quanto si riferisce alle clausole militari, lo Stato Maggiore Generale così si esprimeva in un suo promemoria del gennaio 1947 intitolato « Conseguenze militari del trattato di pace», compilato in vista della firma del trattato stesso. « Del trattato di pace diceva il promemoria - interessano, dal punto di vista militare, le clausole territoriali (art. 2, 3 e 4) e quelle militari propriamente dette (articoli dal 46 al 67). « Le cessioni territoriali sancite dal trattato sono tali da rendere facile e rapida qualsiasi aggressione esterna in corrispondenza della :rontiera occidentale e di quella orientale. « Le clausole relative allo smantellamento delle opere permanenti le restrizioni per l'eventuale loro ricostruzione in una fascia di 20 km. di spessore lungo detti confini (art. 47, 48 e 50), praticamente significano divieto - almeno per un lungo periodo di tempo - di rimediare con l'ausilio della fortificazione all'iniquo e sfavorevole tracciato dei 1;onfini. « L'entità e l'armamento delle Forze Armate consentiteci dal tra.ttato (articoli dal 51 al 66) sono assolutamente inadeguati alle necessità della difesa dei predetti confini terrestri e della grande estensione delle nostre coste ... « Al peso di una così sfavorevole situazione materiale si aggiungono, in campo morale: la ripercussione sul nostro sentimento nazio(S) A. Messineo « La ratifica del trattato di pace con l'Italia» in « La civiltà cattolica», q ..,aderno 2329 del S luglio 1947.
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nale del trattato che, con estrema durezza e piena sconoscenza del periodo della nostra partecipazione alla lotta comune, viola apertamente i principi di autodifesa; il deprimente effetto della insicurezza delle frontiere sulle possibilità di ripresa e di sviluppo economico ed industriale del nostro Paese e, specialmente, dell'alta Italia, e, infine, il continuo stato di tensione in cui sono costrette a vivere le popolazioni di ampie zone di confine. « Da un esame più particolareggiato delle clausole del trattato si desume:
Per le frontiere terrestri: ad occidente la perdita del Moncenisio e della Valle Stretta nonché l'accennata smilitarizzazione di confine (che in quel tratto comprende l'intero spessore della fascia montana) consentono a forze provenienti da occidente di scendere in poche ore nella valle della Doria Riparia e, di qui, raggiungere quella del Chisone. « Occupate queste valli, l'intera difesa alpina occidentale è infranta, con una breccia di oltre 40 km di ampiezza, alimentata da due grandi rotabili ed una ferrovia. « La perdita del triangolo Torino - Milano - Genova significa l'annientamento di ogni ulteriore possibilità di reazione del Paese. « b) ad oriente per almeno due terzi siamo riportati al confine del 1866, notoriamente impostoci dall'Austria per averci in assoluta soggezione militare. « Qui le caratteristiche della zona di confine, la smilitarizzazione e la scarsità delle forze concesseci dal trattato non consentono neppure di pensare alla possibilità di un'utile difesa della frontiera. « Molto problematica è anche la possibilità di organizzare le difese su una linea più arretrata (ad es. quella del Piave) per la sua estensione e per la grande sproporzione fra le scarse forze disponibili e quelle che sarebbero necessarie ( terrestri, aeree e marittime). « Il confine impostoci spalanca quindi irrimediabilmente la porta orientale d'Italia sulla pianura veneto-padana. Le città di Gorizia, Udine e Monfalcone sono costantemente soggette ad un semplice colpo di mano. « 1)
« a)
Per le frontiere marittime: « a) in Adriatico: Pola, Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa sono cedute alla Jugoslavia, Saseno all'Albania; ci è vietato di stabilire nuove basi o installazioni navali permanenti e di svi luppare quelle esistenti indicate a !l'art. 48. « Ciò significa che un'eventuale coalizione di Stati in possesso delle basi di Pola, Sebenico, Catlaro e Valona può sfruttare le favorevolissime caratteristiche morfologiche della costa e dell'arcipelago dalmata, mentre l'Italia è costretta ad appoggiare le insuffi"cienti forze navali « 2)
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concesselc dal trattato alle uniche due basi di Venezia e di Brindisi, enormemente distanti fra loro e, per sovrappiù, vincolate entrambe all'imposizione di non migliorare le menomate loro condizioni di efficienza. « In tale situazione è evidente l'impossibilità per la Marina italiana di difendere le coste adriatiche da attacchi dal mare nonché di proteggere il traffico marittimo lungo le coste stesse. « b) in Tirreno: la smilitarizzazione della Liguria, della Sardegna e della Sicilia, in contrapposto alle possibilità offensive della Corsica e della Tunisia, fa sì che gran parte della costa tirrenica della Penisola e centri urbani di primo piano siano soggetti ad attacchi dal mare, contro i quali poco o nulla possono le scarse unità della Marina. « Neppure da prendere in considerazione, naturalmente, la possibilità per la Marina di far fronte ad eventuali contemporanei attacchi in Adriatico e in Tirreno e, pertanto, è del tutto infirmato il principio di autodifesa cui l'Italia - come qualsiasi altro Paese - ha diritto per l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Per quanto concerne le limitazioni alle singole Forze Armate: « a) in campo spirituale talune di quelle relative alle Forze marittime sono profondamente lesive del nostro sentimento nazionale e in aperto contrasto con ogni legge di guerra, con le reiterate promesse e con lo stesso diritto di autodifesa. « I sacrifici sostenuti, il sangue generosamente versato, lunghi mesi di appassionata e leale cobelligeranza ci avevano indubbiamente fatto guadagnare per lo meno il diritto a che le navi impiegate nella lotta comune non fossero considerate, a guerra finita, come semplice bottino di guerra. « 3)
« b) in campo tecnico contrastano con l'incoercibile diritto di autodifesa e sono di particolare gravità: - la proibizione di studiare e sperimentare armi moderne, atomiche e a reazione; - le drastiche riduzioni imposte alla Marina ed all'Aeronautica, messe entrambe in condizioni di non poter far fronte neanche parzialmente alle necessità difensive della Nazione; - la indeterminatezza della durata delle limitazioni in questione e della eventuale loro revisione (art. 46) ».
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PARTE III
LA FIRMA E L'ESECUZIONE DEL TRATTATO DI PACE
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Capitolo XII LA FIRMA DEL TRATIATO E LA SUA RATIFICA
Il Consiglio dei Ministri degli Esteri, prese che ebbe, nella sua sessione di New York, le decisioni sulle questioni ancora in sospeso, prima di sciogliersi (12 dicembre 1946) affidò al Comitato dei Sostituti l'incarico di procedere alla redazione dei testi definitivi dei trattati nelle tre lingue ufficiali: francese, inglese e russo. Il lavoro si protrasse per alcune settimane tanto che il testo definitivo del trattato riguardante l'Italia fu consegnato alla nostra ambasciata a Washington, da parte del Segretario Generale del Consiglio, soltanto il 16 gennaio 1947 (1). Presane conoscenza, il nostro Ministro degli Esteri, Nenni, il 20 gennaio convocava i rappresentanti diplomatici in Roma degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'Unione Sovietica e de11a Francia e c:onsegnava loro una nota in cui, dopo aver affermato che il trattato urtava la coscienza nazionale, specie per le clausole territoriali, dichiarava che si trovava nella necessità di formulare le più espresse riserve e di chiedere che fosse riconosciuto il principio della revisione del trattato sulla base di accordi bilaterali con gli Stati interessati, sotto il controllo e nell'ambito dell'O.N.U. Lo stesso giorno il Governo italiano riceveva l'invito a inviare a Parigi il 10 febbraio il suo o i suoi plenipotenziari al fine di procedere alla firma del trattato, fissata per tale giorno. Si pose quindi in tutta la sua urgenza la necessità di decidere se firmare o no, decisione resa più difficile dal fatto che, proprio in quei giorni, si ebbe una nuova crisi di Governo risoltasi il 3 febbraio con la conferma di De Gasperi alla Presidenza del Consiglio (3" Gabinetto De Gasperi) ma con la sostituzione di Nenni con Sforza al Ministero degli Esteri (2). (l) La sostanza delle clausole definitive riguardanti la Marina era però venuta a conoscenza delle autorità di questa verso la metà del dicembre 1946. Immediatamente l'amm. de Courten - come si è già detto nella sezione 3 del capitolo VIII - aveva presentato le sue c.limissioni da Capo di Stato Maggiore della Marina e aveva chiesto contemporaneamente di cessare dal servizio permanente effettivo. Ciò soprattutto come protesta contro le suddette clausole. (Vedasi la sua intervista riportata nell'allegato 21). (2) Sforza rimase al Ministero degli Esteri per circa quattro anni e mezzo, sino al luglio 1951.
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Sulla questione se firmare o no, i pareri erano discordi come risulta dai due brani sotto riportati. « Che cosa salveremmo non firmando? - si scriveva da una parte (3). I retori della monarchia e del nazionalismo ... rispondono che salveremmo l'onore... Ma quando si ha la responsabilità del destino di un popolo che vuol vivere, che ha diritto di vivere, e che non vuol suicidarsi, il dovere è un altro. « Non abbiamo pane per tutti. Non abbiamo carbone. Non abbiamo ferro. Non abbiamo rame. Non abbiamo riserve auree. E abbiamo in casa un esercito d'occupazione, neri e marocchini compresi. Una gran parte della popolazione vive di ripieghi. Abbiamo ancora alcuni milioni di vani distrutti. Non abbiamo un letto per tutti. I nostri focolari sono spenti. Il nostro mare è deserto. Le nostre coste sono indifese e deserte. Se non firmiamo, in sei mesi saremo alla rovina totale. ·E cosa avremo salvato? Non Briga e Tenda, che i francesi possono occupare quando vogliono senza colpo ferire. Non Pola, che gli jugoslavi deterrebbero con il consenso delle Potenze vincitrici. Non flotta, che non avrebbe altra possibilità che quella di inabissarsi. Con quale speranza? Che una nuova guerra tra gli alleati d: ieri, combattuta sul nostro territorio, ci risollevi dal cimitero? ». : « Firmare senza esservi materialmente e visibilmente obbligati si affermava dall'altra parte (4) - significava una nuova resa e l'accettarla ... con la rettorica di una protesta verbale, ci avrebbe resi indegni d'ogni mitigazione e di ogni revisione ... Firmare il trattato senza farselo imporre a forza voleva dire accettarlo. Una renitenza accompagnata da sacrifici e rotta unicamente dalla miseria ci avrebbe riscattato dall'ignominia della resa e avrebbe sollevato dinanzi al mondo la questione italiana». Prevalse la decisione di firmare, fortemente voluta da De Gasperi e Sforza come un passaggio obbligato per consentire al nostro paese di reinserirsi nella Comunità internazionale e di marciare verso la piena liberazione e la piena eguaglianza. « La responsabilità di questa dolorosa decisione dirà Sforza parlando all'Assemblea Costituente il 24 luglio 1947 - fu presa dalL'on. De Gasperi e da me, confortati non solo dal favorevole avviso dei partiti che erano allora al Governo con noi, ma anche d'altri gruppi i cui capi, con franchezza: e decisione, ci dichiararono la loro solidarietà ». Peraltro - onde dare alla firma anche il caratte1é: di una protesta contro il trattato, sia pur tacita - fu deciso che il plenipotenziario non fosse un membro del Governo ma un funzionario, l'ambasciatore A. Meli Lupi di Soragna. Inoltre - per evitare ogni dubbio sull'interpretazione da darsi all'articolo 90 del trattato stesso circa il va(3) R. Pacciardi in « La Voce Repl;lbblicana » dell'l 1 febbraio 1947. (4) Tamaro - Op. cit. bibl., pg. 54.
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lare determinante della ratifica italiana (S) - venne stabilito che la firma fosse apposta soltanto se fosse stata accettata dai vincitori la seg_uente dichiarazione, da depositarsi prima della firma stessa: « Il Governo italiano appone la sua firma al trattato subordinandola alla ratifica che spetta alla sovrana decisione dell'Assemblea Costituente, alla quale è attribuita dalla legislazione italiana l'approvazione dei trattati internazionali ». La dichiarazione venne accettata e il pomeriggio del 10 febbraio, nella « Galerie de la Paix » del Quai d'Orsay, il nostro plenipotenziario apponeva Ja sua firma sul documento. A completamento e commento di tale atto, il giorno successivo il ministro Sforza inviava a tutt'e venti i Governi firmatari la seguente nota: « Il Governo italiano, firmando un trattato che non è stato chiamato a negoziare e che sarà sottoposto all'approvazione dell'Assemblea Costituente, ha voluto provare che affronta gli atti più dolorosi per affrettare l'avvenire di una vera pace costruttiva nel ·mondo. « Ma il suo primo dovere verso i Governi firmatari e i loro popoli è di esprimersi e di agire con la più assoluta lealtà. Questa lealtà gli impone di ricordare che i trattati di pace sono eseguibili solo se sostenuti dalla coscienza morale dei popoli. « Il popolo italiano ha la coscienza di aver agito coatto di fronte al regime che lo trascinò poi nella guerra e che tanti all'estero sostennero con le loro lodi. Il popolo italiano non poté mostrare al mondo il suo vero carattere che riuscendo a liberarsi per il primo da un regime d'oppressione e fornendo poi agli Alleati, durante la guerra di liberazione, dei vantaggi diretti e indiretti cui non è stata resa sufficiente giustizia. « Il Governo italiano mancherebbe all'onore il patrimonio che gli è più sacro - se non avvertisse gli Alleati che il trattato peggiora ancora, nelle clausole territoriali, economiche, coloniali e militari, quell'atmosfera di soffocazione demografica che pesava praticamente sul popolo italiano e che è in gran parte origine di tanti mali per noi e per gli altri. Il Governo italiano stima che è un interesse diretto delle grandi democrazie di rivedere per il bene generale le loro relazioni col problema italiano, che è un aspetto essenziale del riassetto mondiale. « Pur ammettendo tanti errori passati, l'espiazione del popolo ita:Iiano è stata sì dura fino alla firma odierna che noi ci sentiamo per l'avvenire in diritto, come Italiani e come ci.'ttadini del mondo, di contare su una revisione radicale di quanto può paralizzare o avvelenare la vita di una Nazione di quarantacinque milioni di esseri umani congestionati su un suolo che non li può nutrire ». Su quest'ultimo argomento tornava aì primi di marzo il Presidente dell'Assemblea Costituente, on. Terradni, in un messaggio diretto agli (5) Vedasi Cap. XI, Sez. 5.
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organi legislativi delle quattro grandi Potenze nel quale chiedeva, a nome dell'Assemblea stessa, che « nell'ambito dell'O.N.U. e con pacifici accordi tra i Paesi interessati », fossero rivedute le condizioni di pace fatte all'Italia, onde risparmiarle « mutilazioni territoriali intollerabili al sentimento nazionale; ingiuste umiliazioni al suo Esercito, alla sua Aviazione e alla sua Marina, prodigatisi nella lotta comune; oneri economici e finanziari insostenibili da un popolo stremato e immiserito». Sul finire del mese di giugno il ministro Sforza presentava all'Assemblea Costituente il disegno di legge per l'approvazione del trattato ponendo in tal modo in forma ufficiale il problema: ratificare o non ratificare? Più ancora che al momento della firma le opinioni furono divise, spinte in ciò anche da due circostanze: la non corretta interpretazione da parte di alcuni dell'art. 90 del trattato secondo la quale la ratifica italiana era irrilevante al fine del perfezionamento e dell'entrata in vigore del trattato stesso; il fatto che l'Unione Sovietica - a differenza della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e della Francia - sino a quel momento non aveva ancora proceduto alla ratifica del documento né si sapeva se e quando lo avrebbe fatto. Quali erano i punti di disaccordo? Da parte di alcuni si sosteneva che ragioni di coerenza politica e di prestigio nazionale imponevano, al di sopra di ogni considerazione e necessità contingente, di non ratificare un documento contenente troppe ingiustizie per il popolo italiano; da parte di altri - che costituivano la maggioranza - · si riteneva invece convenisse, subendo lo stato di necessità, procedere alla ratifica in modo da chiudere definitivamente con il passato e porre fine al regime armistiziale in atto da quattro anni, ridando così al paese la sua libertà morale e politica. Coloro che erano di quest'ultima opinione si suddividevano però in due correnti. Secondo i seguaci di una di queste correnti non si sarebbe dovuto procedere subito alla ratifica, ma si sarebbe dovuto attendere che fosse avvenuto prima il deposito di quelle dei « quattro Grandi », operazione che era condizione essenziale per l'entrata in vigore del trattato. Ratificare subito, essi dicevano, sarebbe stato un atto non solo scioccamente inutile, essendo esso privo di ogni effetto giuridico immediato, ma anche in contrasto, per la sollecitu"dine con cui sarebbe stato compiuto, con la nostra affermazione che ratificavamo soltanto perché costrettivi da uno stato di necessità. A parere dei seguaci dell'altra corrente, dal momento che l'Italia doveva accettare il trattato come una dura necessità, meglio ratificarlo subito senza attendere il deposito delle ratifiche delle quattro grandi Potenze. Un tale atto di buona volontà sarebbe stato la prova del nostro sincero desiderio di inserirci lealmente nel concerto delle Nazio-
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ni, procurandoci certamente vantaggi d'ordine politico e morale. Questo era anche il punto di vista del Governo. Come era prevedibile, queste divergenze d'opinioni si manifestarono anche in sede di Assemblea Costituente ove, al termine di un accanito e drammatico dibattito protrattosi dal 24 al 31 luglio, il Governo fu autorizzato, a maggioranza, a depositare la ratifica dell'Italia quando avesse avuto luogo il deposito di quelle delle quattro grandi Potenze (6). Questa possibilità si presentò non lontana il 29 agosto, data in cui l'U.R.S.S., rompendo gli indugi, ratificò anch'essa il trattato. Due settimane dopo infatti - esattamente il 15 settembre - aveva luogo a Parigi il deposito delle ratifiche: alle ore 12, quello delle quattro Potenze; mezz'ora dopo, quello italiano, effettuato dal nostro ambasciatore in Francia, Quaroni. La sera il Presidente del Consiglio, De Gasperi, tenne alla radio il seguente discorso alla Nazione: « Scende in quest'ora la notte su una delle più tristi giornate della nostra storia. Tutto è stato detto ormai sul fatale scorcio di tempo che ci ha condotto al doloroso epilogo. Ma in questo momento non è il caso di imprecare contro il passato, bensì di raccoglierci tutti in un senso di dignitosa fiducia nella rinascita del nostro Paese. « Fratelli che venite ingiustamente strappati dalle braccia della Madre antica, abbiate nell'animo e alimentate, giorno per giorno, la certezza che l'Italia non vi abbandonerà perché non vi sono frontiere che possano spezzare i vincoli di civiltà e di sangue che vi uniscono alla popolosa e sempre crescente famiglia italiana. Se l'Italia, che oggi è stremata e tutta squassata dai conflitti del dopoguerra, pur reagisce come può, domani, che diventerà sempre più robusta per gli incomparabili sforzi del suo lavoro e del suo ingegno e per l'espansione del suo spirito pacifico e di fraternità democratica, potrà certo offrirvi una più sicura tutela morale. Scenda pure la notte sui nuovi cippi di separazione, ma già il sole di domani tornerà a risplendere sulla sempre antica unità dei cuori e sulla storia comune. « Fratelli separati, voi non siete soli a soffrire stasera. Soffrono tutte le terre italiane e soffrono più vivamente in esse coloro che si sono battuti per la libertà e la giustizia e par quasi che si riaprano le cicatrici dei feriti e gemano gli spiriti di coloro che hanno lasciato la vita sui campi di battaglia, sul mare, nelle prigioni, nei campi di martirio. « Tutti soffriamo, ma tutti racchiudiamo nell'animo la stessa risolutezza, la stessa fede in un mondo migliore, la stessa certezza che l'Italia avrà una luminosa funzione di pace nel mondo. Tutti sentiamo che 1il dovere dell'ora non è di ribellarci al destino più forte di noi con gesti che colpirebbero la Patria nostra più che l'ingiustizia altrui, ma (6) Ecco l'esito delle votaz1cni: Presenti 410, favorcvol: 262, contrari 68, aste· nuti 80. Molti gli assenti.
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di comprimere nella nostra fierezza i sentimenti dell'animo, trasformandoli in energia di opere disciplinate e ricostruttive. « Sentono questo supremo dovere anche i nostri valorosi marinai, combattenti di una flotta che meritava compensi, non sanzioni, perché aveva servito con gloria la causa della libertà. Ma noi, popolo lavoratore e navigatore, dimostreremo a! mondo alta la nostra disciplina e la fede nazionale che abbiamo nel cuore e la volontà irremovibile di far rispettare la bandiera della nuova Italia libera, democratica e pacifica, in tutte le terre e su tutti i mari. « Questa mia voce accorata, ma ferma, giunga consolatrice anche negli accampamenti dei profughi dell'Africa e fra gli Italiani rimasti nelle antiche colonie, le quali furono rinnovate economicamente ed elevate a civiltà dal tenace lavoro e dal duttile impegno dei nostri colonizzatori. Il trattato ci lascia aperta la via di una amministrazione fatta a nome di tutti, onde preparare i popoli indigeni all'autogoverno. Da oggi in poi dovremo raddoppiare i nostri sforzi perché questa via, a cui ci destinano i meriti e le prove del passato, ci sia lealmente dischiusa. « Si è oggi ammainata anche qualche bandiera delle Forze di occupazione. Il compito degli occupanti, si sà, è sempre ingrato e non è facile che esso raccolga riconoscimenti. Tuttavia sarebbe ingiusto dimenticare che queste Forze d'armi sono state accompagnate da mirabili opere di assistenza e di fraternità sociale, le quali, dopo il crollo e la disfatta, ci hanno salvato dalla fame e dalle epidemie, sempre fa. tali nella storia delle altre guerre, e permesso di riprendere la nostra vita sociale ed economica. « Anche se vi furano qua e là inevitabili errori, sento che il popolo italiano mi autorizza a esprimere la cordialità dei nostri sentimenti e a riaffermare la nostra fiducia che i soldati delle Nazioni Unite, i quali combatterono in 1talia la guerra per la libertà e l'indipendenza dei popoli e che hanno esperimentato da vicino lo sforzo che le nostre formazioni regolari e volontarie fecero per la nostra liberazione, saranno i primi a sostenere innanzi all'opinione pubblica dei loro Paesi e fuori del mondo delle Nazioni Unite, che le clausole del trattato di pace - riconosciute inadeguate ed eccessive dallo stesso Governo americano, cui fa eco questa sera un telegramma del ministro Bevin al mio collega Ministro degli Esteri - che queste clausole vengano rivedute, corrette e attenuate, affinché l'Italia, quest'Italia fremente di energie popolari, possa dcdicart> il suo lavoro e la sua cultura secolare alla costruzione di un mondo senza guerre e senza dittature, governato in libertà e secondo giustizia ». Il giorno stesso, 15 settembre ,i l trattato entrava in vigore (7). (7) Le altre 16 Potenze firmatarie ratificarono tutte il trattato, eccezion fatta per la Bielorussia e l'Ucrania. Aderirono inoltre al trattato: Albania, l rak, Messico e Pakistan.
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Capitolo XIII LA COMMISSIONE NAVALE DELLE QUATTRO POTENZE
Come si è veduto precedentemente (1 ), l'art. 57 del trattato di pace - dopo aver indicato nel suo paragrafo 1 le condizioni e i termini in cui avrebbero dovuto avvenire i trasferimenti delle navi che l'Italia avrebbe dovuto mettere a disposizione delle quattro principali Potenze alleate - precisava nel paragrafo 2: « I dettagli dei suddetti trasferimenti saranno fissati da una Commissione delle quattro Potenze da istituirsi con un separato protocollo » (2). Questo protocollo fu firmato dalle Potenze suddette lo stesso giorno della firma del trattato di pace, cioè il 10 febbraio 1947. Esso si componeva di due parti, con un allegato alla prima. La prima parte era costituita da otto paragrafi e riguardava il trasferimento alle Potenze beneficiarie delle navi che l'Italia avrebbe dovuto mettere a disposizione degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'Unione Sovietica e della Francia. Eccone le principali disposizioni: a) le navi elencate nell'allegato XII/B del trattato che l'Italia doveva mettere a disposizione delle quattro Potenze, sarebbero state ripartite come era indicato nell'allegato al protocollo. Questo allegato - come vedremo in dettaglio nel capitolo seguente - la spartiva fra sette Potenze: Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, Francia, Grecia, Jugoslavia e Albania. Della sicurezza e della manutenzione di queste unità sino all'avvenuta loro consegna alla Potenza beneficiaria, sarebbe stato responsabile il Governo italiano (par. 1); b) i sette Governi beneficiari potevano rinunciare a ritirare tutte o parte delle navi loro assegnate, ma, in questo caso, le quattro grandi Potenze avrebbero dovuto assicurarsi che il Governo italiano demolisse o affondasse, entro nove mesi dall'entrata in vigore del trattato (]) Vedasi Cap. XI, Sez. 3 c). (2) Il testo surriportato è la traduzione di quello inglese; quello francese. non era identico nella parte iniziale che era la seguente: « Le modalità dei trasferimenti e delle consegne sopra indicati saranno fissate ... ». Ambedue i testi erano definiti autentici . (art. 90).
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di pace, le navi da combattimento (non quindi quelle ausiliarie) alla cui consegna era stato rinunciato (par. 2/B); (3) c) era istituita una commissione che avrebbe preso il nome di « Commissione navale delle quattro Potenze», con il compito di « prendere tutte le misure di dettaglio (4) necessarie per effettuare il trasferimento alle Potenze beneficiarie delle unità eccedenti della flotta italiana, unitamente ai loro pezzi di ricambio e ai loro materiali per l'impiego delle armi, come stabilito dalle clausole navali del trattato di pace » (p.1r. 3). La Commissione si sarebbe dovuta riunire a Parigi subito dopo la firma del trattato di pace per compiere tutto quel lavoro preliminare che fosse stato possibile effettuare prima dell'entrata in vigore del trattato; successivamente avrebbe dovuto trasferirsi a Roma, O\'e avrebbe funzionato sotto l'autorità degli ambasciatori degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica (par. 4 e 5). « Gli ordini e le istruzioni della Commissione diceva il paragrafo 6 - saranno dati a nome dei quattro ambasciatori e saranno comunicati da questi al Governo italiano per l'esecuzione ». La Commissione avrebbe avuto il diritto di avvalersi dell'opera di rappresentanti della Grecia, della Jugoslavia e dell'Albania, quando fossero state discusse questioni interessanti questi Stati, nonché di chiedere l'intervento di quei rappresentanti italiani che avesse giudicato necessari per il compimento del suo lavoro (par. 7). La seconda parte del protocollo si componeva di due paragrafi e riguardava la restituzione alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, da parte dell'Unione Sovietica, di quelle unità che questa aveva avuto in prestito, come si ricorderà, nel 1944 (5). La restituzione, si diceva, avrebbe dovuto avvenire, per quanto possibile, contemporaneamente al trasferimento all'Unione Sovietica delle navi italiane che le erano state assegnate (par. 9). Del testo di protocollo il Governo italiano ebbe comunicazione il 24 marzo 1947, limitatamente però alla prima parte e senza allegato (6 ). Del testo completo (sempre però senza l'allegato) si ebbe notizia sul (3) Con lettera del 10 febbraio 1948, diretta al ministro Sforza, gli ambasciatori in Roma delle quattro ,P otenze - rendendosi evidentemente conto che entro i 9 mesi dall'entrata in vigore del trattato (cioè entro il 15 giugno 1948) non avrebbero potuto essere demolite tutte le unità da combattimento alla cui consegna Stati Uniti e Gran Bretagna avevano rinunciato - comunicarono che, fermo restando l'obbligo della demolizione, sarebbe stato sufficiente che - entro la suddetta data fossero state apportate alle navi di cui trattasi almeno determinate e specificate distruzioni che ne avrebbero annientato il valore bellico. ( 4) La terminologia usata, questa volta era uguale sia nel testo inglese che in q ueHo francese. (5) Vedasi Cap. V, Sez. 5. (6) Nota dell'ambasciatore di Francia in Roma al Min. Aff. Est. nr. 85 del 24 marzo 1947.
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finire del successivo aprile in seguito a pubblicazione fattane, sotto forma di « Libro bianco» (Cmd. 7078), dal Governo britannico. Il testo dell'allegato fu portato a conoscenza del nostro Governo successivamente, con l'impegno però da parte sua di mantenerlo segreto sino a quando non fosse stato autorizzato dalle quattro Potenze a divulgarlo. Questa autorizzazione venne concessa il 10 dicembre 1947 (7) e due mesi dopo (esattamente il 10 febbraio I948) ìl documento venne reso di pubblica ragione a mezzo stampa. Come stabilito dal protocollo, la Commissione navale, appena fu firmato il trattato di pace, si riunì a Parigi per dare inizio, in attesa dell'entrata in vigore del trattato stesso, al lavoro preliminare per il trasferimento alle Potenze beneficiarie delle unità italiana elencate nell'allegato XU/B. Ben presto essa si accorse però che, per procedere nel suo lavoro, avrebbe avuto bisogno di un complesso di notizie che soltanto un rappresentante della Marina italiana avrebbe potuto darle. Di conseguenza ai primi di marzo, verbalmente, e sul finire di detto mese, per iscritto, essa chiese - tramite il Comando in Capo navale alleato (8) - che un « qualificato rappresentante del Governo italiano» si recasse a Parigi per fornire le notizie e i chiarimenti di cui la Commissione abbisognava. Fu così che, dopo alcune incertezze, (9) il cap. vasc. E. Giuriati partecipò, prima ufficiosamente e, poi, ufficialmente, quale rappresentante italiano, ad alcune riunioni della Commissione (10). Fu in tal modo possibile venire a conoscenza degli intendimenti e dei punti di vista della Commissione, alcuni dei quali eran() in contrasto con quelli italianì. (7) Lettera del Presidente della Commiss10ne navale al ministro Sforza n. 29/J del IO dicembre 1947. (8) E' da ricordarsi che, all'epoca, vigeva ancora il regime armistiziale e che la Marina italiana dipendeva dal Comandante in Capo navale alleato, che era l'ammiraglio inglese Willis. (9) Le incertezze derivano dal dubbio se fosse conveniente o meno che, prima della ratifica del trattato da parte dell'Italia, un suo rappresentante partecipasse alle sedute della Commissione, la quale stava predisponendo quanto necessario per dargli applicazione. Fu deciso per il «si,, perché tale partecipazione non sarebbe !,lata incompatibile con la piena libertà di decisione dell'Assemblea Costituente per quanto riguarda la ratifica del trattato, e perché essa ci avrebbe consentito di conoscere tempestivamente le intenzioni degli Alleati, permettendoci così di meglio tutelare i nostri interessi. ( 10) Il comandante Giurati partecipò ufficiosamente - nella veste di accompagnatore di un ufficiale del Comando in Capo navale alleato - alle sedute della Commissione del 13 e 14 marzo 1947; ufficialmente - quale rappresentante del Governo italiano - a quelle dal 21 aprile al 15 maggio. Il 25 maggio la Commissione sospese i suoi lavori in attesa dell'entrata in vigore del trattato di pace e il comandante Giuriati, destinato ad altro incarico, cessò definitivamente di occuparsi della cosa.
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I principali punti di dissenso erano due: i poteri della Commissione e la posizione del rappresentante italiano nella stessa (11). Per quanto riguarda il primo punto il Governo italiano riteneva che la Commissione, essendo alle dipendenze dei quattro ambasciatori, non potesse avere poteri più ampi di quelli attribuiti loro dal trattato di pace, il quale specificava (art. 86) che essi - agendo di concerto avi-ebbero « trattato » con il Governo italiano « tutte le questioni relative all'esecuzione e all'interpretazione» del trattato di pace, fornendo al Governo stesso « i consigli, i pareri tecnici e i chiarimenti » che fossero stati necessari. Pertanto la Commissione navale non poteva avere il potere di impartire « ordini e istruzioni » al Governo italiano, a nome e per il tramite dei quattro ambasciatori, come - cadendo in contraddizione - stabiliva l'art. 6 del protocollo, al quale l'Italia era stata tenuta completamente estranea (12). La Commissione navale riteneva invece di avere il potere - in forza dell'art. 6 del protocollo e del paragrafo 2 dell'art. 57 del trattato di pace - di dare al Governo italiano « ordini e istruzioni » per tutto quanto si riferiva all'applicazione di quest'ultimo articolo. Cioè sia per stabilire i dettagli dei trasferimenti delle unità che l'Italia doveva consegnare, sia per interpretare le varie disposizioni dell'articolo stesso (13). Sul secondo punto - quello della posizione del rappresentante italiano nella Commissione - il punto di vista del Governo italiano era che il nostro rappresentante, almeno dopo l'entrata in vigore del trattato di pace (15 settembre 1947)·, avesse titolo per « trattare», come previsto dall'art. 86 dello stesso, tutte le questioni che si riferivano all'interpretazione e all'esecuzione del documento medesimo. Di conseguenza il Governo italiano avrebbe considerate impegnative per se stesso le decisioni della Commissione navale soltanto se raggiunte d'accordo con il rappresentante italiano (14). La Commissione navale sosteneva invece che - in forza dell'art. 7 del protocollo e del paragrafo 2 dell'art. 57 del trattato di pace - le sue
(11) Altri punti di · dissenso erano l'interpretazione da darsi al termine « in operational condition » (le navi dovevano infatti esser trasferite « in operational condition ») e quando dovevano aver inizio i lavori da farsi alle unità da consegnare (subito dopo la firma del trattato, sosteneva la Commissione; dopo l'entrata in vigore di questo, diceva la Marina, d'accordo con gli Esteri). Questi punti di contrasto si manifestarono soprattutto quando, dopo l'entrata in vigore del trattato, la Commissione iniziò in Roma la sua attività. (12) Nota verbale del Min. Aff. Est. all'ambasciata di Francia in Roma nr. 593/ Segr. Po!. del 10 aprile 1947. (13) Nota verbale dell'ambasciata di Francia in Roma al Min. Aff. Est. in data 4 novembre 1947, in risposta a quella di quest'ultimo del 10 aprile. (14) Note verbali del Min. Aff. Est. all'ambasciata di Francia in Roma nr. 593/ Segr. Poi. del IO aprile 1947 e nr. 20805/82 del 1° luglio 1947.
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decisioni erano pienamente valide anche se non avessero raccolto il consenso del rappresentante italiano (15). Alla fine, dopo un ulteriore scambio di note (16), sul finire dell'anno fu raggiunto un accordo sulle seguenti basi: a) la competenza della Commissione navale riguardava esclusivamente i « dettagli dei trasferimenti», intendendosi per tali solamente quelli indicati nel paragrafo 1 dell'art. 57 del trattato, come del resto era chiaramente indicato nel paragrafo 2 dell'articolo stesso; b) le decisioni adottate dalla Commissione, nei limiti della propria competenza, non escludevano che il Governo italiano, quando avesse avuto da sollevare obiezioni in merito alle decisioni medesime, si rivolgesse ai quattro ambasciatori per il loro riesame, nel quadro di quanto disposto daU'art. 86 del trattato; c) le questioni relative all'esecuzione cte1 trattato che esulassero dal campo di competenza della Commissione navale e quelle concernenti l'interpretazione dello stesso, sarebbero state trattate dal Governo italiano con i quattro ambasciatori direttamente, come stabiliva l'art. 86; d) presso la Commissione navale - che dopo l'entrata in vigore del trattato di pace si era trasferita da Parigi a Roma - la Marina italiana avrebbe nominato un proprio ufficiale con il compito di collaborare, nei limiti della competenza della Commissione stessa, con i componenti di questa. Tenuto conto· peraltro che detto ufficiale non avrebbe partecipato alle decisioni di questa, egli non sarebbe stato investito del potere di prendere impegni a nome del Governo italiano. Risolte in tal modo le divergenze che si erano manifestate fra le due parti circa i poteri della Commissione e i poteri del rappresentante italiano nella stessa, questa iniziò effettivamente la sua attività che si protrasse sino al 5 maggio 1949 (17). Rappresentanti italiani presso la Commissione furono, sino al luglio 1948, il cap. vasc. A. Michelagnoli e, successivamente, il cap. freg. M. Sacchi, i quali, nell'espletamento del loro incarico, dipendevano all'Ufficio Trattati della Marina (retto dall'amm. div. Luigi Rubartelli), al quale era stato devoluto il compito di svolgere - nell'osservanza delle direttive impartite dallo Stato Maggiore - tutte le pratiche interessanti la Marina connesse con l'applicazione del trattato di pace (18). (15) Nota verbale dell'ambasciata di Francia in Roma al Ministero Affari Esteri in data 4 novembre 1947, in risposta a quelle di quest'ultimo di cui alla nota precedente. (16) Nota del Min. Aff. Est. all'ambasciata di Francia in Roma nr. 1974/Segr. Poi. del 27 novembre 1947, lettera dei quattro ambasciatori del 4 novembre al ministro Sforza e lettera di risposta di questo in data 2 dicembre. (17) I membri della Commissione furono; per gli Stati Uniti il cap. vasc. R.F. Pryce; per la Gran Bretagna il contramm. Beverley; per l'U.R.S.S. il contramm. Karpunih; per la Francia, il contramm. G. Rebuffel. (18) Fg. Min. Dif. - Mar. - Gabinetto nr. B/ 1658 del 6 marzo 1947.
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Capitolo XIV L'ESECUZIONE DELLE CLAUSOLE DEL TRATTATO RIGUARDANTI LA FLOTTA (1)
1. La ripartizione e la consegna delle unità che dovevano esser messe
a disposizione delle quattro Potenze.
La resa di pubblico dominio del testo definitivo del trattato, la sua firma e, più ancora, la sua ratifica riproposero a non pochi, nell'ambito della Marina, il problema che si era presentato nel passato luglio quando era stato conosciuto il progetto di trattato di pace preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri. Cosa era cioè doveroso fare nei riguardi delle navi che si sarebbero dovute cedere come preda bellica? Consegnarle o, affrontando le sanzioni minacciate dai vincitori, affondarle? (2) Rendendosi conto della necessità di far conoscere a ufficiali, sottufficiali e marinai il pensiero in proposito dei Capi responsabili della Marina, l'amm. F. Maugeri (che dal 1° gennaio 1947 aveva sostituito quale Capo di Stato Maggiore l'amm. de Courten, dimessosi da tale carica sul finire dell'anno precedente per protesta contro le clausole del trattato di pace) (3) affrontò subito il problema nei contatti che ebbe con il personale in occasione delle visite fatte il mese stesso a Napoli, Messina, Taranto e Brindisi nonché, successivamente, alle altre principali basi. (1) Dalle clausole militari del trattato che imponevano all'Italia un «fare», interessavano la Marina, in modo diretto e particolare, oltre a quelle relative alla flotta, le clausole riguardanti la smilitarizzazione totale delle isole di Pantelleria e di Lampedusa (art. 49) e la smilitarizzazione parziale del territorio della Maddalena e del suo retroterra (art. 50, nr. 1). Per quanto si riferisce alle isole di Pantelleria e di Lampedusa, la loro smilitarizzazione era stata praticamente effettuata in modo severo dalle autorità militari alleate - che si avvalsero, a tal fine, dei poteri loro concessi dall'art. 11 dell'armistizio di Cassibile - prima ancora dell'entrala in vigore del trattato di pace. Per quanto riguarda il territorio della Maddalena e il suo retroterra, le misure di smilitarizzazione prescritte furono adottate - sotto il discreto ma vigile controllo delle autorità navali francesi - entro il 15 settembre 1948, come prescritto. (2) Vedasi Cap. XI . Sez. 3 e). (3) Vedansi . Cap. VIII, Sez. 3 e Cap. XII.
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Il pensiero dei Capi responsabili della Marina (quale risulta dalle esposizioni che egli fece in queste prese di contatto e da un rapporto sulle clausole navali del trattato da lui presentato il successivo giugno alla « Commissione per i trattati intérnazionali » dell'Assemblea Costituente) può così sintetizzarsi: a) le clausole navali del trattato erano, nel loro complesso, moralmente e materialmente gravissime, ingiuste e immorali perché non tenevano in alcun conto il comportamento della Marina all'atto dell'armistizio e il contributo da essa dato agli Alleati durante la cobelligeranza. Malgrado ciò, se il Governo e l'Assemblea Costituente avessero deciso, nell'interesse superiore della Nazione, di accettarlo, sarebbe stato dovere di tutti gli appartenenti alla Marina di ubbidire e di assoggettarsi al doloroso sacrificio di eseguire le stabilite consegne, purché esse avvenissero in modo da non suonare offesa all'onore e alla dignità della bandiera: b) qualsiasi gesto mirante ad evitare tale consegna, sia pur comprensibile sotto il profilo del sentimento, era condannabile anche perché si sarebbe risolto sul piano pratico in un ulteriore danno per la Marina, la quale sarebbe stata costretta a sostituire le navi non consegnate, perché affondate o gravemente danneggiate, con altre da scegliersi dai vincitori tra le poche lasciateci, già insufficienti per i bisogni, sia pur minimi, di una difesa (4). Quest'azione di persuasione veniva proseguita anche nei mesi successivi; in modo particolare nell'imminenza del deposito della nostra ratifica del trattato, come risulta dalla seguente lettera nr. 36746 che il 6 settembre 1947 il Capo di Stato Maggiore diresse a tutti gli · Alti Comandi: « 1. L'avvenuta ratifica del trattato di pace da parte delle quattro grandi Potenze e dell'Italia fa ritenere che la data della sua entrata in (4) Il problema fu posto in questi termini dall'on. Gasparotto (già Ministro della Difesa dal 3 febbraio al 30 m~ggio 1947) nel discorso pronunciato all'Assemblea Costituente il 24 luglio 1947, durante la discussione per la ratifica del trattato_ « Apro una parentesi: non può non preoccuparci il fatto che nella Marina italiana è corsa voce più volte che vi è chi intende ribellarsi. Io, Ministro del tempo, ho ritenuto di intervenire e ho richiamato quei giovani ardenti, che intendevano sacrificarsi con un atto di fierezza alla clausola ingiuriosa, facendo loro intendere che il Governo italiano soltanto ha facoltà di scegliere il modo in cui provvedere alla dignità della Marina italiana. « Il Capo di S.M. domanda su questo delicato argomento la solidarietà dell'Assemblea. L'Assemblea è certamente concorde nell'esonerare la Marina italiana da qualunque responsabilità di quello che possa . accadere. Alla dignità ci penserà il Governo italiano. L'Assemblea difende fin da ora i nostri valorosi marinai, che si sono tanto sacrificati nella lunga guerra, dall'accusa e dal sospetto di debolezza. (Voci dell'Assemblea «Bene»). « Essi hanno sempre fatto salvo l'onore delle loro navi e la maestà della tradizione militare e hanno diritto alla riconoscenza del Paese ... » (Atti dell'Assemblea Costituente - Dis,ussioni - VoL VI).
373
vigore, coincidente con il deposito a Parigi delle ratifiche stesse, sia imminente. « 2. Tale data non deve segnare alcuna soluzione di continuità nel nostro cammino perché lo spirito della Marina è stato ed è sempre forte e vitale e d'altra parte l'attività marinara sta riprendendo con rinnovato vigore a bordo, nelle esercitazioni, nelle crociere e, soprattutto, nelle scuole, ove i giovani si preparano per poter esser degni delle tradizioni dei caduti e degli anziani. « Inoltre è tuttora in corso da parte del Governo e dei Capi militari della Marina una tenace azione per far si che, non solo sia salvaguardato l'onore e la dignità dei marinai d'Italia, ma che, anche nel campo materiale, ogni pratica possibilità di miglioramento delle dure clausole del trattato possa esser conseguita. « 3. Tale opera abbisogna però del compatto e solidale appoggio di tutti gli appartenenti alla Marina italiana attraverso la più salda e consapevole disciplina, elemento di incalcolabile forza e valore per sostenere la nostra giusta causa. « 4. Ogni gesto o atteggiamento unilaterale, anche se ispirato ai più alti ideali, potrebbe compromettere la possibilità di raggiungere gli scopi prefissi e deve perciò essere assolutamente evitato, nel diretto interesse della Marina ed in quello supremo della Nazione. « 5. Prego estendere la presente comunicazione a tutti i dipendenti, commentandone l'importanza essenziale».
Parallelamente a questa azione presso gli ufficiali, i sottufficiali e i marinai ne era svolta un'altra presso le autorità politiche, chiedendo
loro che fossero svolti passi presso le quattro grandi Potenze perché rinunciassero alla consegna delle quote di naviglio loro assegnate. Una richiesta in questo senso l'amm. Maugeri presentò, ad esempio, nel rapporto, già citato, presentato nel giugno 1947 alla « Commissione per i trattati internazionali » dell'Assemblea Costituente. Essa fu anche presentata al Ministro della Difesa, Cingolani, alla vigilia del deposito della nostra ratifica, con il seguente promemoria datato 4 settembre 1947. « In occasione dell'imminente deposito delle ratifiche del trattato di pace, segnalo all'attenzione di V.E. le preoccupanti reazioni che possono verificarsi nella Marina in conseguenza dell'entrata in vigore del trattato stesso. « Sto provvedendo a ricordare a ufficiali, sottufficiali e marinai la necessità di una leale disciplina, richiamandomi alla fiducia che l'azione del Governo e delle alte autorità della Marina salvaguardi, in sede di applicazione del trattato, l'onore e le tradizioni della Marina e ottenga vantaggiose revisioni delle clausole. « Faccio perciò presente a V.E. la necessità che il Governo, a mezzo del Ministro degli Esteri, richiamandosi ai passi già fatti presso le quat-
374 tro Potenze, richieda alle due principali di esse, Stati Uniti e Gran Bretagna, che, contemporaneamente o immediatamente dopo la ratifica del trattato, compiano un amichevole gesto di rinuncia alle aliquote del naviglio italiano loro assegnate ». Quest'ultima richiesta l'amm. Maugeri rinnovò al Presidente del Consiglio, De Gasperi, in un incontro che ebbe con lui nella tarda serata del 12 settembre, alla presenza del Ministro della Difesa, Cingolani. Nell'occasione egli non mancò di fare presente chiaramente che la consegna di unità quali l'Italia e la Vittorio Veneto, che per la Marina avevano il carattere di un simbolo, avrebbe potuto portare a seri incidenti (non ostante la piena lealtà dei Capi di questa agli ordini del Governo) con conseguenze certamente non desiderabili né desiderate. Come è stato indicato precedentemente nell'esporre le clausole navali del trattato (5), le unità che l'Italia avrebbe dovuto mettere a disposizione degli Stati Uniti, della Gran Brettagna, dell'Unione Sovietica e della Francia erano: -
Navi da combattimento maggiori
nr.
30 tonn. 145.720
-
Navi da combattimento minori Navi ausiliarie
»
62
))
))
70
»
Totali
5.937 46.947
nr. 162 tonn. 198.604
Con l'allegato al protocollo firmato dalle quattro Potenze il 10 febbraio, contemporaneamente al trattato di pace, dette unità furono ripartite come risulta dalla tabella che segue:
Stati Stati Uniti Gran Bretagna Unione Sovietica Francia Grecia Jugoslavia Albania Totali
Navi comb. magg.
Navi comb. minori
Nr.
Tonn.
Nr.
Tonn.
Nr.
Tonn.
3 3
37.226 37.399 40.487 20.601 7.400 2.607
11 11 16 14
785 702 1.039 1.314
12 14
5.391 3.770 9.938 26.706
9 l
1.432 665
-
62
5.937
70
10 10
1 3
- --30
-
145.720
(5) Vedasi Cap. XI, Sez. 3 e).
-
-
Navi ausiliarie
19 19 1 5
Totali Nr.
26
Tonn.
43.402
254 888
-
45 43 2 17 1
41.871 51.464 48.621 7.654 4.927 665
46.947
162
198.604
28
375 Aderendo alle richieste della Marina, il Ministero degli Esteri, prima ancora che il trattato entrasse in vigore, iniziò passi presso le Potenze interessate per cercare di ottenere che esse rinunciassero alla consegna, almeno in parte, delle unità di cui erano benficiarie e che fosse cambiato il titolo delle consegne che sarebbero state effettuate: consegne non a titolo di « preda di guerra», di « bottino di guerra», ma come compenso per i danni arrecati durante la guerra dalla Marina italiana a quella del Paese interessato. Questa iniziativa, per usare le stesse parole del ministro Sforza (6), « portò ad accordi con Stati Uniti e Inghilterra, che generosamente rinunciarono alla quota loro dovuta; . . . . . . . . ad accordi. favorevoli anche con la Francia e la Grecia e, in un certo senso, persino con l'Unione Sovietica e la Jugoslavia». Di questi accordi sarà parlato più avanti. Come si ricorderà, il trattato faceva obbligo di consegnare le unità in condizioni di efficienza (« in operational condition »), con le dotazioni dei materiali per l'impiego delle armi e dei pezzi di ricambio al completo, nonché con tutta la documentazione tecnica necessaria. La consegna avrebbe dovuto essere effettuata entro 3 mesi dall'entrata in vigore del trattato (cioè entro il 16 dicembre 1947), salvo prorog~ concessa dalla Commissione navale delle quattro Potenze, qualora essa fosse stata resa necessaria dai lavori da compiersi sulle unità. Entro il 16 settembre 1948 infine avrebbe dovuto esser consegnata, per ogni unità trasferita, una dotazione di riserva, fissata dalla predetta Commissione, sia dei materiali per l'impiego delle armi che dei pezzi di ricambio. Come si vede, molti erano i motivi che - data la divergenza degli interessi - avrebbero potuto portare a dissensi tra le due parti. Ed infatti non mancarono, né furono pochi, i contrasti di opinioni tra le autorità navali italiane e la Commissione navale delle quattro Potenze su come dovevano essere interpretate alcune disposizioni del trattato; in modo particolare, come si è già detto, su quando dovessero esser iniziati i lavori alle unità da consegnare (subito dopo la firma del trattato, secondo la Commissione; dopo l'entrata in vigore di questo, secondo la Marina) e su cosa significasse consegna « in operational condition ». Per quanto riguarda la procedura da seguirsi per la consegna delle unità, essa fu così stabilita, onde rendere più trangugiabile il boccone amarissimo: a) i lavori da compiersi alle navi sarebbero stati effettuati esclusivamente presso cantieri civili; b) non appena fosse avvenuta la consegna della nave al cantiere, l'equipaggio militare sarebbe sbarcato e l'unità stessa sarebbe stata ra(6) Sforza · Op. cit. bibl. pg. 433.
376 diata dal « Quadro del naviglio militare dello Stato», cessando in tal modo di far parte della Marina militare; c) il cantiere avrebbe quindi provveduto, oltre che al guardienaggio, all'esecuzione dei lavori, sulla base di note già concordate con la Marina. Nessun equipaggio militare straniero avrebbe potuto esser inviato, da parte dello Stato cui la nave era destinata, nelle sedi ove si effettuavano i lavori; sarebbe stata consentita soltanto la presenza di qualche tecnico, in abito civile, durante l'ultima fase dei lavori e durante le prove; d) la consegrni della nave allo Stato beneficiario sarebbe stata effettuata nel porto non italiano che sarebbe stato stabilito di comune intesa tra la Commi ssione navale e le autorità della Marina. Il trasferi· mento dell'unità, che avrebbe battuto bandiera mercantile, sarebbe stato eseguito a mezzo di equipaggi civili italiani (7). La consegna avrebbe avuto luogo, senza alcuna cerimonia e pubblicità, dopo l'ese· cuzione di semplici prove dimostrative di funzionamento. Firmato che fosse stato l'atto di consegna, la bandiera italiana sarebbe stata ammainata; la nuova sarebbe stata alzata soltanto dopo la partenza dell'equipaggio italiano. Ei.saminiamo ora quali furono le quote di naviglio attribuite dal protocollo del 10 febbraio 1947 a ognuna delle sette Potenze beneficiarie e la sorte delle quote stesse. A) La quota degli Stati Unltl
Le unità assegnate agli Stati Uniti erano le seguenti:
Navi da combattimento maggiori Cor. Italia Smg. Dandolo Smg. Platino
tonn. » ))
35.560 956 710
Navi da combattimento minori M.S. Il M.S. 24 M.S. 31
tonn. ))
»
60 60 60
(7) Per questa incombenza ci si avvalse di cooperative di ex-marinai della Marina militare, in considerazione della conoscenza, sia pure generica, che essi avevano delle unità. Queste cooperative furono cinque: C.A.I.M. (Cooperativa Armamento Imprese Marittime) di Genova; C.I.MA.CO. (Compagnia Italiana Marittima Commerciale) di Roma; S.E.RI.DE.NA. (Società Equipaggiamenti Riparazioni Demolizioni Navali) di La Spezia; S.C.A.M. (Società Cooperativa Associazioni Marinai) di La Spezia; S.A.C.M.I. (Società Anonima Cooperativa Marinai d'Italia) di Napoli.
377
M.A.S. 523 M.A.S. 538 M.A.S. 547 M.A.S. 562 M.E. 38 M.Z. 744 M.Z. 758 M.Z. 776
» »
» ))
» ))
»
»
20 20 20 22 35 174 174 140
Navi ausiliarie
Petroliera Prometeo Nave cist. Dalmazia Nave cist. Idria Rim. Arsachena Rim. Cefalù Rim. Gaeta Rim. Marechiaro Rim. Porto Torres Rim. Teulada Rim. Noli Rim. Volosca Rim. Gen. Valfrè
tonn. » » » » » » » » »
» »
1.096 2.948 269 161 132 195 127 230 100 55 78 ?
Erano quindi 3 navi da combattimento maggiori per tonn. 37.226; 11 minori per tonn. 785 e 12 ausiliarie per tonn. 5.391. In totale 26 unità per tonn. 43.402. Ai primi del luglio 1946 - quando stava per concludersi la fa.se di preparazione del progetto del trattato di pace ad opera del Consiglio dei Ministri degli Esteri - il nostro ambasciatore a Washington, Tarchiani, su istruzioni di palazzo Chigi, aveva compiuto passi esplorativi presso il Dipartimento di Stato per saggiare la disponibilità di quel Governo a rinunciare alla consegna della quota del nostro naviglio che gli sarebbe stata attribuita dal suddetto trattato. Benché il risultato di tale sondaggio fosse stato positivo, il Ministero degli Esteri, d'intesa con quello della Marina, si astenne, per il momento, dal compiere alcun passo in merito avendo ritenuto conveniente attendere, prima di muoversi ufficialmente, che sul progetto di trattato si fosse pronunciata la Conferenza di Parigi. Fu soltanto ai primi del successivo ottobre, quando ormai era evidente quale sarebbe stato il trattamento fatto alla nostra flotta, che la questione fu ripresa e sollevata in modo ufficiale con la seguente lettera che De Gasperi, nella su~ veste di Ministro degli Esteri, indirizzò il 9 ottobre 1946 al Segretario di Stato americano, Byrnes.
378 « Caro Mr. Byrnes,
da alcune conversazioni ufficiose che hanno avuto luogo or è qualche tempo fra i Rappresentanti italiani e americani, si è avuta l'impressione che il Suo Governo non sarebbe alieno dal considerare l'opportunità di restituire al momento opportuno un'aliquota delle navi che saranno assegnate agli Stati Uniti in virtù dell'art. 48 del progetto di trattato di pace. « Io non so se quest'idea abbia nel frattempo fatto strada. Ma so che un'iniziativa siffatta avrebbe certamente una forte ripercussione su tutta l'opinione pubblica italiana, che è tenacemente legata alla sua Marina e che ha constatato con profonda amarezza che le nostre argomentazioni in favore di una qualche modificazione di detto articolo, come di pressocché tutti gli altri settori del trattato di pace, non hanno avuto quel sia pur modesto risultato che l'attività e i sacrifici della Marina italiana in favore della causa comune avrebbero indubbiamente meritato. « Mi permetta di esprimere dunque la mia speranza che questo gesto possa effettivamente esser realizzato ... « Creda, caro Mr. Byrnes ... ». Sulla questione ritornava De Gasperi in occasione della visita da lui fatta nel gennaio 1947 a Washington, ove l'iniziativa era accolta con simpatia, pur precisandosi che si riteneva inopportuno darle un seguito prima che il trattato fosse entrato in vigore. Come abbiamo veduto, ciò avvenne il 16 settembre 1947; venti giorni dopo, ed esattamente il 4 ottobre, il ministro Sforza, parlando all'Assemblea Costituente, poteva annunciare di constargli ufficiosamente, ma in modo certo, che gli Stati Uniti avevano deciso di rinunciare all'intera quota del nostro naviglio loro spettante (8) . Ed infatti il giorno successivo l'ambasciatore americano in Roma, Dunn, inviava al ministro Sforza la seguente lettera: « Eccellenza, su istruzioni del mio Governo ho l'onore di trasmetterLe il seguente messaggio del Segretario di Stato: « Il Governo degli Stati ha deciso di rinunciare a tutte le navi italiane assegnategli in base al trattato di pace con l'Italia e al protocollo navale delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947.
(8) Nel dare quest'annuncio il ministro Sforza diceva fra l'altro: « Il popolo italiano capirà che giustizia all'Italia è stata resa perché... sentiva che era una ferita al nostro sentimento di giustizia p colpirci ingiustamente i'n quella Marina da guerra che spontaneamente, eroicamente, stoicamente ha servito la causa non solo di noi ma anche degli altri Stati». (Assemblea Costituente - Resoconto sommario della seduta pomeridiana del 4 ottobre 1947).
379 « Il Governo degli Stati Uniti non ha dimenticato i validi servizi resi dalla Marina italiana, in collaborazione con le nostre Forze navali, durante il periodo della cobelligeranza dell'Italia. E' desiderio del Governo degli Stati Uniti che queste navi vengano demolite e utilizzate dall'Italia, conformemente alle disposizioni del protocollo, come contributo alla ripresa dell'economia italiana. In tal modo questi mezzi bellici potranno concorrere alla ricostruzione dell'Italia e all'instau;a. zione di una vita pacifica per il popolo italiano ». « Approfitto di questa occasione... ».
Come si vede quindi gli Stati Uniti rinunciavano alla consegna dell'intera loro quota con il solo obbligo per il Governo italiano di demolire, entro il 15 giugno 1948, giusta il disposto del protocollo delle quattro Potenze, le unità da combattimento di qualsiasi tipo (3 maggiori e 11 minori, per complessive 38.011 tonn.). All'ambasciatore Dunn il ministro Sforza rispondeva subilo (7 ottobre) con la seguente lettera: « Signor Ambasciatore, Le sarei grato se, in risposta al messaggio del Segretario di Stato gentilmente trasmessomi con Sua lettera F.O. nr. 504 del 5 corrente, Ella volesse comunicare al gen. Marshall (9) quanto segue: "Sono estremamente grato a V.E. di avermi voluto comunicare che il Governo degli Stati Uniti, memore dei validi servizi resi dalla Marina italiana durante il periodo della cobelligeranza, ha deciso di rinunciare a tutte le navi italiane assegnategli in base al trattato di pace con l'Italia e al protocollo navale delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947. "Vostra Eccellenza ha voluto anche manifestarmi il desiderio del Suo Governo che tali unità, demolite e utilizzate dall'Italia, conformemente alle disposizioni del protocollo, possano contribuire alla ripresa dell'economia italiana. "Ho l'onore di comunicare a. V.E. che il Governo italiano ha preso atto con speciale soddisfazione di questa decisione del Governo degli Stati Uniti, decisione di cui apprezza soprattutto l'elevato significato morale e che, appresa da tutto il popolo italiano con vivo senso di gratitudine, varrà a stringer ancor più i vincoli di amicizia che uniscono le due Marine e i due Paesi". « Voglia gradire, signor Ambasciatore... ». Contemporaneamente vi fu uno scambio di telegrammi fra i Capi di Stato Maggiore delle due Marine. Ecco il telegramma inviato dall'amm. C.W. Nimitz all'amm. Maugeri: « Apprendo con grande piacere che il mio Governo ha deciso di rinunciare alla consegna di tutte le navi italiane assegnategli in base
(9) (I gcn. Marshall era il Segretario di Stato dell'epoca.
380
al trattato di pace con l'Italia. Questo atto ha avuto il pieno appoggio della Marina americana che ha avuto la possibilità di seguire da vicino, durante le operazioni contro il comune nemico, il coraggio della Marina italiana e il contributo da lei dato allo sforw bellico alleato. I servizi resi alle Forze operanti alleate, sia a terra che a bordo, hanno fatto sorgere nel nostro ambiente navale un senso di profondo rispetto per la condotta e la disciplina esemplari degli ufficiali e dei marinai della Marina italiana. « Come Capo di Stato Maggiore della Marina degli Stati Uniti prego di far giungere agli Stati Maggiori ed agli Equipaggi l'espressione del mio apprezzamento per il loro contributo alla causa alleata e la speranza che il mutuo rispetto e l'amicizia che esiste tra le due Marine siano mantenuti per sempre». A questo telegramma l'amm. Maugeri così rispose immediatamente: « Il Suo messaggio che mi comunica l'avvenuta rinunzia da parte del Governo degli Stati Uniti alla consegna delle navi ad esso assegnate dal trattato di pace, ha profonda eco nel mio animo e in quello di tutti coloro che servono nella Marina Militare. Desidero pertanto esprimere a Lei e a tutti i componenti della Marina degli Stati Uniti, che tanta gloria hanno conquistato in tutti i mari, il nostro commosso ringraziamento. « Da quando la Marina italiana si schierò a fianco degli Alleati, essa mai dubitò che la sua leale condotta e il contributo da lei dato alla causa comune sarebbero stati riconosciuti. I sentimenti di cameratismo sincero e cordiale che tra le nostre due Marine si sono formati e che trovano nel Suo messaggio espressioni così nobili e generose, costituiscono una grande e sicura forza per il nostro avvenire. « Accolga i miei personali cordialissimi saluti ». Le navi da combattimento maggiori {la Cor. Italia e i Smg. Dandolo e Platino) furono demolite sotto il vigile controllo dell'ambasciata ame-
ricana in Roma (10). Le navi da combattimento minori (3 M.S., 4 M.A.S., 1 M.E. e 3 M.Z. ), salvo alcune che furono demolite, vennero invece conservate con il tacito consenso americano e adibite, negli anni successivi, a compiti ausiliari, assumendo altre denominazioni (M.V. - Motovedette - le M.S.; M.E .B. - Motoscafi efficienza ridotta per affondamento bombe i M.A.S.; M.T.C Mototrasporti costieri - le M.Z.).
(10) L'ambasciata americana, con memorandum del 18 maggio 1948 diretto al Ministero degli Esteri, sollecitò in modo piuttosto brusco che non fossero ritardate sulle navi quelle distruzioni minime di cui alla lettera dei quattro ambasciatori del 10 febbraio 1948, distruzioni che dovevano esser ultimate entro il 15 giugno 1948. (Vedasi Cap. XIII).
381
Le navi ausiliarie, come consentiva espressamente il protocollo, continuarono a esser utilizzate negli impieghi per i quali erano state costruite. B) La quota della Gran Bretagna
Le unità assegnate alla Gran Bretagna dal protocollo delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947 erano le seguenti: Navi da combattimento maggiori Cor. Vittorio Veneto Smg. Alagi Smg. Atropo
tonn. )) ))
35.560 630 1.209
Navi da combattimento minori M.S. 72 M.S. 73 M.S. 74 M.A.S. 433 M.A.S. 434 M.A.S. 510 M.A.S. 514 M.E. 41 M.Z. 784 M.Z. 800 M.Z. 831
tonn. )) )) )) ))
)) ))
))
)) )) ))
60 60 60 13,5 13,5 20 20 35 140 140 140
Navi ausiliarie Nave cist. Metauro Nave cist. Timavo Nave appoggio Anteo Posamine Fasa.na Nave trasp. Giuseppe Messina Rim. Carbonara Rim. Lisca.nera Rim. Mesco Rim. Procida Rim. Salvare Rim. Sant'Antioco Rim. N. 2 Rim. N. 3 Rim. N. 24
tonn. ))
» )) ))
)) )) ))
)) )) ))
)) )) ))
269 602 1.272 540 ?
106 162 87 120 227 173 72 72 68
Erano quindi 3 navi da combattimento maggiori per tonn. 37.399; 11 minori per tonn. 702 e 14 ausiliarie per tonn. 3.770. In totale, 28 unità per tonn. 41.871.
382
I passi fatti dal nostro Governo i-,resso quello britannico per ottei1ere la rinuncia alla consegna di parte almeno delle suddette unità furono analoghi a quelli compiuti presso il Governo americano: ai primi di luglio 1946, passo esplorativo ad opera dell'ambasciatore Carandini; arresto quindi di ogni iniziativa in attesa delle decisioni in merito della Conferen.!a di Parigi; lettera del 9 ottobre del ministro De Gasperi al ministro Bevin, identica a quella indirizzata al Segretario di Stato americano. Ma mentre a Washington la nostra richiesta era stata accolta con simpatia in tutti gli ambienti, a Londra essa incontrò, sì, la compr~nsione dal Foreign Office (ove si riteneva peraltro che la qut!stione non avrebbe potuto esser presa in esame prima dell'entrata in vigore del trattato di pace), ma anche la riluttanza dell'Ammiragliato e degli ambienti economici (11). Di qui la necessità di mantenere il problema sempre acceso, cosa che l'ambasciatore Carandini fece con ripetuti richiami allo stesso nei suoi contatti con il Foreign Office e con il ministro Bevin. E ciò anche su istruzioni del nostro Ministero degli Esteri, il quale il 27 giugno 1947 (12), l'incaricava di rimettere al Foreign Office un promemoria la cui parte saliente era la seguente: « Con vivo senso di sollievo il Governo italiano ha recentemente constatato che il protocollo navale relativo all'art. 57 del trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio I 947. prevede che ognuna delle quattro Potenze ha il diritto di non accettare la quota di naviglio assegna tale. « Questa facoltà ove attuata - rappresenterebbe un notevole contributo alla pacificazione generale degli animi ed eliminerebbe nel popolo italiano una delle maggiori cause di amarezza verso il trattato. « Il Governo italiano confida che il Governo britannico vorrà per parte sua far uso di tale facoltà rinunciando integralmente alla quota della Marina da guerra italiana assegnatagli dal Trattato e lasciandola per demolizione e utilizzo a favore dell'economia italiana per opere di ricostruzione. « Il Governo italiano ritiene in questa sede di dover ricbiamare la particolare attenzione sulle due navi da 35.000 tonn. Italia e Vittorio Veneto la cui cessione effettiva avrebbe gravi ripercussioni sul morale della Marina e sullo stato d'animo dell'opinione pubblica» (13). La questione si pose con tutta urgenza nel •settembre successivo con l'entrata in vigore del trattato di pace e, più ancora, dopo la rinuncia alla loro quota di naviglio fatta dagli Stati Uniti all'inizio di
,(11) Telespr. Min. Aff. Est. . Aff. Poi. a Min. Dif. · Mar., nr. 244 e 277 rispettivamente del 17 e 24 febbraio 1947. (12) Telespr. Min. Aff. Est. . Aff. Poi. a Min. Dif. - Mar., nr. 1064 del 27 giugno 1947. (13) All'epoca non era ancora noto con certezza quale delle due unità fosse stata assegnata alla Gran Bretagna.
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ottobre. Essa fu pertanto uno degli argomenti che formarono oggetto dei colloqui tra i ministri Bevin e Sforza, che ebbero luogo a Londra dal 27 al 31 ottobre 1947 (14). L'esito di questi colloqui fu felice, come risulta dal seguente punto 5 del comunicato che fu diramato alla fine dell'incontro. « 5. Desiderando aiutare l'Italia e la ripresa generale dell'Europa, e tenuto conto delle misure già prese e in corso in tale •senso, il Governo britannico ha deciso che - fatta eccezione per alcune unità minori (15) - le navi da guerra [italiane] ad esso assegnate dal trattato di pace e dal protocollo navale delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947 siano lasciate in possesso del Governo italiano perché le utilizzi con l'osservanza dell'art. 2/b del protocollo navale, il quale dispone che alcune categorie di unità devono esser demolite o affondate» (16). Questa era la parte dell'accordo di cui fu data notizia ufficiale; ve ne era però un'altra che, per il momento, fu taciuta, e cioè che il Governo italiano, come contropartita della rinunzia fatta da quello britannico, avrebbe messo a disposizione di questo, « entro un anno, 20.000 tonn. di rottami [ferrosi] contro rimborso della spesa per la mano d'opera sostenuta in Italia per ottenere i rottami nonché delle spese per il trasporto degli stessi fino al porto di consegna in Italia » (17). Le navi da combattimento maggiori (la Cor. Vittorio Veneto e i Smg. Alagi e Atropo) furono demolite. Le navi da combattimento minori (3 M.S.; 4 M.A.S.; 1 M.E. e 3 M.Z.), salvo alcune che furono demolite, vennero invece conservate con il tacito consenso britannico e adibite, negli anni successivi, a compiti
(14) Il ministro Sforza fu accompagnato, nella veste di esperto navale, dal contramm. C. Pecori Giraldi, S. Capo di S.M. (15) Con nota dell'ambasciata britannica in Roma nr. 80/ 25/48 in data 11 maggio 1948, il Governo britannico comunicò a quello italiano di aver deciso di rinunciare alla consegna anche di queste unità minori, non meglio specificat~ nell'accordo del 31 ottobre 1947. (16) L'accordo avvenne nella forma di uno scambio di lettera fra i due Ministri. Nella sua lettera il ministro Bevin poneva fortemente l'accento sull'obbligo del Governo italiano di osservare il disposto dell'art. 2/ b del protocollo navale (obbligo di demolire o affondare entro il 15 giugno 1948 le unità da combattimento di qualsiasi tipo) e chledeva al Governo italiano l'impegno di non avvalersi della concessione del Governo di Londra come precedente per richiedere concessione analoga ai Governi francese e g:reco, per le navi loro assegnate. (17) ·Anche quest'accordo avvenne nella forma di uno scambio di lettere tra i due Ministri. In esse non era fatto alcun cenno alle contemporanee lettere precedentemente citate, di cui pur erano una diretta conseguenza, e la concessione era presentata come un contributo italiano per fronteggiare « la necessità che il Governo di S.M. del Regno Unito aveva di rottami». Il motivo per cui non fu data notizia di questa parte dell'accordo è evidente se si pensa che gli Stati Uniti, pochi giorni prima, avevano rinunciato gratuitamente alla loro quota di naviglio.
384 ausiliari, assumendo altre denominazioni (M.V. - Motovedette - le M.S.; M.E.B. - Motoscafi efficienza ridotta per affondamento bombe - i M.A.S.; M.T.C. - Mototrasporti costieri - le M.Z.). Le navi ausiliarie - come consentiva espressamente il protocollo - continuarono a esser utilizzate negli impieghi per i quali erano state costruite. Le 20.000 tonn. di rotami ferrosi, che l'Italia si era impegnata a fornire alla Gran Bretagna come contropartita, vennero tutte consegnate, ma, per un complesso di motivi ascrivibili ad ambedue le parti, la consegna fu ultimata soltanto nel gennaio 1952, cioè con notevole ritardo rispetto alla data prevista, che era quella del 31 ottobre 1948. C) La quota della Francla
Le unità assegnate alla Francia dal protocollo delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947 erano le seguenti (18):
Navi da combattimento maggiori Incr. Pompeo Magno* Incr. Attilio R egolo Incr. Scipione Africano Ct. Legionario Ct. Mitragliere Ct. Oriani Ct. Velite Smg. Giada* Smg. Vortice* Avviso Eritrea
tonn. )) ))
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3.416 3.416 3.416 1.646 1.646 1.593 1.646 710 905 2.207
Navi da combattimento minori M.S. 35 M.S. 54 * M.S. 55 * M.A.S. 540 * M.A.S. 543 M.A.S. 545 * V.A.S. 237 * V.A.S. 240 * V.A.S. 241 * M.Z. 722 * M.Z. 726 *
tonn. )) ))
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60 60 60 20 20 20 68 68 68 174 174
(18) Le navi il cui nome è seguito da un asterisco sono quelle alla cui consegna, come si vedrà appresso, la Francia rinunciò.
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M.Z. 728 * M.Z. 729 * M.Z. 737 *
tonn. » »
174 174 174
Navi ausiliarie Petroliera Tarvisio Petroliera Urano* Nave cist. Anapo Nave cist. Bisagno Nave cist. Sprugola * Nave.cist. Tirso Nave trasp. Panigaglia * Rim. Ercole Rim. Lipari * Rim. Nereo Rim. Porto Quieto Rim. Porto Tricase Rim. Promontore * Rim. Taormina Rim. Vado Rim. Licata* Rim. N. 23 * Rim. N. 28 * Rim. N. 36 *
tonn. ))
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11.090 10.720 182 182
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212
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1.104 930 362 254 345 230 230 118 280 161 66 86 68 86
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Erano quindi 10 navi da combattimento maggiori per tonn. 20.601; 14 minori per tonn. 1.314 e 19 ausiliarie per tonn. 26.706. In totale 43 unità per tonn. 48.621. Sia durante i mesi di giugno e luglio 1946 - quando il Consiglio dei Ministri degli Esteri stava preparando il progetto di trattato di pace da sottoporre alla Conferenza di· Parigi - che durante lo svolgimento di questa, rappresentanti della Marina (19) avevano preso contatti a Parigi con esponenti di quella francese per cercare di regolare direttamente in via preliminare (in analogia con quanto fatto per il naviglio mercantile) (20) le questioni pendenti tra le due Marine. Tali tentativi erano però caduti nel vuoto, essendosi sostenuto da parte francese che la cosa - per i suoi aspetti politici - esorbitava dalla competenza delle autorità militari. Risultato negativo aveva dato anche qualche cauto passo esplorativo fatto in sede politica, cosa che, d'altra parte, non può meravigliare, a.lla luce dell'atteggiamento decisamente duro tenuto in materia navale
(19) Furono, prima, il cap. vasc. E. Giuriati, poi l'amm. R. de Courten. (20) Accordo del 1° giugno 1946. Vedasi Cap. X, Sez. 1.
386 <lal rappresentante francese in seno al Consiglio dei Ministri degli Esteri (21). Egual esito aveva avuto un altro tentativo fatto agli inizi del 1947 dopo che il sig. Gazzola, funzionario della Presidenza del Consiglio _·r ancese, aveva detto, durante un colloquio con un funzionario della nostra ambasciata a Parigi, che gli ambienti della Marina d'oltr'Alpe non erano alieni da iniziare contatti diretti sulla questione con la Marina italiana. Questa era la situazione quando il 16 settembre 1947,· in seguito all'entrata in vigore del trattato di pace, si pose il problema della consegna alla Francia della quota assegnatale del nostro naviglio. Quali fos·s ero le idee in proposito della vicina repubblica risulta in modo chiaro dal seguente estratto dell'articolo di fondo dell'ufficioso « Le Monde» del 26 ottobre 1947, quando gli Stati Uniti avevano già rinunciato alla quota loro attribuita delle nostre navi e si profilava quasi sicuro analogo gesto da parte britannica. « La Francia, diceva l'articolo, ha la ferma volontà di dimenticare i vecchi litigi e di ritrovare l'amicizia italiana. Ma essa ha perduto 24.000 tonn. di navi efficienti passate sotto bandiera italiana. Inoltre la Marina italiana si è impossessata, dopo l'autoaffondamento della flotta a Tolone, di un certo numero di navi che ha ricuperato e di un notevole quantitativo di materiale. I danni subìti sono stati valutati a più di sei miliardi di franchi del 1939. « Se alcuni Paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che dispongono di potenti Marine da guerra ... , possono permettersi di attenuare le clausole navali del trattato di pace, la stessa cosa non è possibile per la Francia. La parte che le è stata assegnata non è che il riconoscimento di un suo elementare diritto; ricuperare quello che è suo. E' ben chiaro che, per quanto riguarda la Francia, la parte del trattato che si riferisce alla flotta italiana è fuori di ogni discussione ». Malgrado questi precedenti non confortati, l'amm. Rubartelli, in un colloquio che ebbe il 14 novembre 1947 con l'amm. Rebuffel (22), gli chiese se non sarebbe stato possibile per la Francia rinunciare alla quota di navi assegnatale dietro impegno da parte dell'Italia di consegnarle
(21) Fu, ad esempio, il Ministro degli Esteri francese, Couve de Murville, che, nella sessione di New York del Consiglio, si oppose all'abolizione del divieto, fatto all'Italia nel progetto di trattato, di possedere motosiluranti; fu su proposta fran co-russa che, nella stessa sede, fu introdotta nel trattato la disposizione secondo la quale, nel caso che alcune delle unità da cedere fossero andate perdute o fossero state irreparabilmente danneggiate, l'Italia avrebbe dovuto sostituirle con altre tratte dal contingente lasciatole. (Vedansi rispettivamente Cap. XI, Sez. 3 B) e Cap. IX, Sez. 7). (22) L'amm. L. Rubartelli - come si è già detto - era il Capo dell'Ufficio Trattati della Marina; l'amm. G. Rebuffel era il rappresentante della Marina francese nella Commisione navale delle quattro Potenze.
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in cambio un certo numero di unità di nuova costruzione, da ·s tabilirsi di comune intesa. Un accordo in tal senso, osservò l'amm. Rubartelli, avrebbe influito positivamente sui rapporti tra le due Marine e i due Paesi (23). L'amm. Rebuffel si riservò di dare una risposta dopo aver parlato Jella cosa con il suo ambasciatore. La risposta fu data il 26 novembre, dopo che erano stati interpellati il Ministero degli Esteri e quello della ,f arina francesi. Essa fu completamente negativa (24). Prima di procedere oltre è opportuno - per ben comprendere quello che fu l'atteggiamento della nostra Marina nella delicata e amara questione del trasferimento ai vincitori delle unità indicate dal trattato di pace - sintetizzare quelle che erano Je sue idee in merito, non soltanto per la quota dovuta alla Francia, ma anche per quelle da consegnare agli altri beneficiari che - a differenza degli Stati Uniti e della Gran Bretagna - non avevano rinunciato alle stesse. La Marina riteneva che in proposito non si potesse non tener conto dei seguenti dati di fatto intervenuti dopo la firma del trattato di pace: a) la rinuncia all'aliquota di navi loro assegnata da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, ossia da parte delle due sole grandi Potenze contro le quali la Marina italiana aveva effettivamente combattuto; b) la mancata ammissione dell'Italia all'O.N.U. - per motivi ai quali essa era del tutto estranea - dovuta al fatto che non tutte le Potenze Alleate e Associate avevano mantenuto l'impegno preso con il trattato di pace di appoggiarne l'ammissione in detta Organizzazione (25). Di conseguenza l'Ital.ia si vedeva preclusa la possibilità di avvalersi dell'art. 46 di detto trattato per procedere a una revisione delle clausole militari; c) il graduale continuo peggioramento della situazione internazionale che aveva diviso gli Stati vincitori in due blocchi rivali, cosa che avrebbe potuto portare a un nuovo conflitto nel quale l'Italia, con le Forze del tutto insufficienti lasciatele, si sarebbe trovata nella situazione del vaso di terra cotta, di manzoniana memoria, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Quanto sopra - diceva la Marina - imponeva e giustificava che ogni sforzo fosse fatto per ottenere che anche le altre cinque Po-
(23) Promemoria dell'Ufficio Trattati nr. 109 del 14 novembre 1947. (24) Promemoria dell'Ufficio Trattati nr. 110 del 26 novembre 1947. (25) Come meglio si vedrà nel successivo capitolo XV, la domanda di ammi'l sione nell'O.N.U. presentata dall'Italia nel maggio 1947, dopo la firma del trattato di pace,non fu accolta che nel 1955 per il veto postovi ripetutamente (agosto 1947, ottobre 1947, aprile 1948, settembre 1949 e febbraio 1952) dall'Unione Sovietica.
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tenze cui l'Italia doveva cedere naviglio rinunciassero alla consegna della loro quota o, quanto meno, a una parte non soltanto simbolica della stessa. Qualora, ciò nonostante, fosse stato giocoforza trasferire del naviglio, ci si sarebbe dovuti battere con ogni energia perché: - la consegna non fosse considerata compiuta a titolo di « preda bellica», di « bottino di guerra», rria come un compenso per le perdite inflitte durante il conflitto dalla Marina italiana a quella cui le navi dovevano esser cedute; - la consegna delle unità fosse scaglionata nel tempo il più possibile per evitare anche le reazioni che il trasferimento contemporaneo di molte navi avrebbe potuto provocare nell'ambito della Marina e nell'opinione pubblica (26). La Marina sperava che il suo punto di vista avrebbe avuto l'appoggio degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e non aveva perciò mancato di far sondaggi in proposito presso quelle Marine a mezzo degli addetti navali a Washington (cap. vasc. F. Baslini) e Londra (cap. vasc. P. Mengarini). L'esito di tali passi non era stato però conforme alle aspettative. La Gran Bretagna, come abbiamo già veduto, nel rinunciare alla propria quota, aveva richiesto all'Italia l'impegno di non avvalersi di tale concessione come precedente da invocare nei contatti con la Francia e la Grecia miranti a ottenere da esse la rinuncia alle loro quote. Né vi era fondato motivo per ritenere che il Governo di Londra avrebbe preso l'iniziativa di un passo, a favore della nostra tesi, presso quello di Mosca perché - a parte il fatto che la consegna all'Unione Sovietica delle navi italiane era la premessa per la restituzione da parte di questa delle unità prestatele dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti del 1944 - (27) i motivi di attrito fra i due Paesi erano già tanti che sarebbe stato poco saggio aumentarli ulteriormente con una presa di posizione da parte britannica in appoggio ai nostri desiderata. « Eseguite le clausole del trattato; quanto prima lo farete tanto meglio sarà», fu il consiglio ripetutamente dato dall'Ammiragliato al nostro addetto navale (28). Analogo fu sostanzialmente l'atteggiamento degli Stati Uniti: « Fate fronte prontamente agli obblighi assunti verso la Francia e la Grecia, fu infatti la loro risposta, sia pur cercando di ottenere che la consegna avvenga a titolo diverso da quello di « bottino di guerra». Cercate pure di prendere tempo con l'Unione Sovietica, la Jugoslavia e l'AI-
(26) Promemoria dell'Ufficio Trattati nr. 113 del 29 dicembre 1947 e 118 del1'11 marzo 1948; lettera del Ministro della Difesa, Facchinetti, al Presidente del Consiglio De Gasperi, nr. 1329/ UT del 26 marzo 1948. {27) Vedasi Cap. V, Sez. 5. {28) Lettera ufficiosa del cap. vasc. Mengarini all'amm. Maugeri in data 11 agosto 1948.
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bania, ma non contate sul nostro appoggio qualora detti Paesi pretendessero l'esecuzione integrale delle clausole del trattato » (29). Torniamo ora alla quota di naviglio che doveva essere assegnata alla Francia. Circa un mese dopo la risposta negativa data sul finire del novembre 1947 dal Governo di Parigi alla soluzione di compromesso prospettata dall'amm. Rubastelli all'amm. Rebuffel, questi - di fronte ai ritardi nelJe consegne delle unità che sarebbero derivati dalla loro rimessa in « operational condition » (30) - tramite la Commissione navale delle quattro Potenze, chiese la pronta consegna nelle condizioni in cui si trovavano dell'avviso Eritrea e della petroliera Tarvisio, avendone la Francia urgente bisogno per le sue necessità in Indocina. Aveva così inizio una lun!'!a schermaglia fra le due parti che doveva concludersi con l'accordo di compromesso del 14 luglio 1948, con il quale furono definite tutte le contestazioni sorte fra le due Marine a causa della guerra (31). La Marina, nel dar notizia al Ministero degli Esteri della richiesta francese relativa alle due unità, faceva presente che, qualora ragioni d'opportunità politica ne avessero consigliato l'accoglimento, questo avrebbe dovuto esser subordinato all'accettazione da parte del Governo di Parigi della condizione che la consegna delle due unità r-osì come si trovavano non avrebbe potuto essere invccata in futuro come precedente per ottenere l'accoglimento di analoghe richieste. Ciò al fine di « procrastinare e diradare nel tempo le consegne delle navi » (32). (29) Lettera ufficiosa del cap. vasc. Baslini all'amm. Maugeri del 7 maggio 1948. Vedansi pure la lettera ufficiosa dell'addetto navale aggiunto a Parigi, cap. freg. G. Pighini, all'amm. Maugeri del 13 maggio 1948 e il telespresso Min. Aff. Est. Aff. Poi. al Min. Dif. · Mar., nr. 1106 del 10 luglio l 948. (30) Tali ritardi derivavano anche dal fatto che il Ministero del Tesoro, benché richiesto fin dal gennaio 1947 e successivamente sollecitato più volte, non aveva concesso, nemmeno in minima parte, i fondi necessari per l'esecuzione dei lavori e per le altre operazioni connesse con le consegne. (31) Durante il lungo negoziato, mentre, in via generale, l'elemento «Marina» delle due parti difese intransigentemente le proprie tesi, l'elemento «Esteri», sia italiano che francese, dette prova di una innegabile duttilità e di un evidente desi· derio di raggiungere un accordo su basi di compromesso. Questa difformità di atteggiamento è comprensibile se si tiene conto che le due Marine erano le dirette interessate e che profondamente diversi erano i loro punti di vista sulle clausole navali del trattato di pace. La Marina italiana - pur riconoscendo di aver fatto man bassa sulle navi francesi autoaffondatesi a Tolone - riteneva di esser stata ingiustamente maltrattata dal trattato di pace, nonostante l'attività da lei svolta durante la cobelligeranza a favore degli Alleati e gli affidamenti da questi avuti con il « memorandum di Quebec » e gli accordi Cunningham·de Courten. La Marina francese, per contro, considerava le clausole navali del trattato soprattutto come la cancellazione e la giusta riparazione dell'affronto che aveva dovuto subire a Tolone ad opera della Marina italiana. (32) « E' mio dovere - scriveva l'amm. Maugeri al ministro della Difesa Facchinetti in una sua lettera nr. 6269 del 30 dicembre 1947 - che il precedente che
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Contemporaneamente prospt'tlava la necessità che si cercasse di ottenere da parte del Governo francese: - la rinuncia alla consegna di una parte non semplicemente simbolica dell'aliquota di naviglio attribuitagli dal trattato di pace e - l'accettazione del principio che il trasferimento delle unità fosse rnnsiderato effettuato, non a titolo di « preda bellica», di « bottino di guerra», ma come restituzione, come compenso, per le perdite subìte durante il conflitto dalla Marina francese ad opera di quella italiana. Il Ministero degli Esteri, nel rispondere in merito (33), comunicava di aver preso contatti con l'ambasciata di Frnucia al fine di conoscere: 1) se il Governo francese sarebbe stato disposto - per non creare precedenti - a concordare con noi una formula con la quale ci venisse dato atto che le due navi erano da considerarsi consegnate in stato di efficienza, come stabilito dall'art. 57 del trattato di pace;
2) se il Governo francese ~arebbe stato altresì disposto, di fronte ad una nostra adesione alla sua richiesta, ad accettare ~he la cessione della quota di naviglio da consegnare a lla Francia fosse cons iderata cffettuta, non a titolo di « bottino di guerra », ma come compenso per i danni arrecati durante il conflitto alla Marina francese da quella italiana. L'ambasciata di Francia, diceva nella sua lettera il Ministero degli Esteri, dopo aver consultato il proprio Governo aveva risposto: - alla prima domanda, in senso affermativo; - alla seconda, che il Governo francese « non era in linea di principio contrario ad accettarla », ma accorreva trovare una « formula adeguata», da concordarsi con le altre tre Potenze rappresentate nella Commissione navale. « Ove pertanto nulla osti per ragioni tecniche da parte di codesto Ministero - concludeva la lettera - lo scrivente riterrebbe opportuno aderire alla richiesta francese e, al tempo stesso, continuare le trattative per concordare le formule che consentano al Governo francese l'accettazione delle nostre proposte». Come si noterà, il Ministero degli Esteri - che stava perseguendo un piano di riavvicinamento tra i due Paesi - aveva ritenuto di ade· rire solo in parte al punto di vista della Marina; per di p1u aveva presentato in forma « addolcita » all'ambasciata francese i due punti che
si creerebbe in caso di accettazione avrebbe come conseguenza la richiesta di altre Potenze (Russia e Jugoslavia specialmente) e della stessa Francia di ricevere subito le navi senza la loro rimessa in efficienza. « Ciò verrebbe a farci perdere i vantaggi che si potrebbero avere diluendo nel lempo le consegne e causerebbe anche una forte scossa morale nell'interno della Marina, mentre scaglionando le consegne, esse sarebbero più facilmente sopportate». (33) Telespr. Min. Aff. Est. · Aff. Poi., nr. 180 del 15 gennaio 1948.
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aveva accolti, accontentandosi da parte di ques ta di assicurazioni non impegnative. Ciò nonostante il Ministro _d ella Difesa, Facchinetti, ritenne di aderire al parere di palazzo Chigi e le due navi. dopo esser state radiate dal « Quadro del naviglio militare dello Stato» ed esser state armate con personale civile, vennero consegnate alle autorità francesi a Tolone il 12 febbraio 1948. Tutto ciò non era però avvenuto senza provocare ripercussioni nell'ambito della Marina, come risulta dalla seguente lettera che l'amm. Maugeri diresse il 24 febbraio al ministro Facchinetti: (34) « EcceJlenza,
Il trasferimento alla Francia delle navi Eritrea e Tarvisio, effettuato nei giorni scorsi, ha costituito per la Marina Militare italiana la prima effetliva applicazione delle dure clausole navali del trattato di pace. « Nel caso particolare, il Tarvisio era una cisterna già da tempo in gestione civile e l'Eritrea, pur ricca di avventurose vicende belliche, aveva caratteristiche prevalentemente ausiliarie. Inoltre le circostanze nelle quali si è effettuato il trasferimento delle due unità possono definirsi del tutto eccezionali. Da parte italiana si trattava infatti di unità da tempo disarmate e lontane dal nucleo attivo della flotta. Per armarle è stato sufficiente un esiguo equipaggio civile che, attraverso una minuziosa selezione, ha potuto essere formato con elementi di provata disciplina. Da parte francese, ovviamente, era stata posta ogni cura per evitare ogni incidente che avrebbe potuto avere sfavorevoli conseguenze future. « Malgrado ciò, le ripercussioni del trasferimento hanno superato le previsioni. Negli ufficiali, nei sottufficiali, nei marinai, oltre al senso di dolore si è ridestato il risentimento verso quella che tutti indistintamente giudicano una palese ingiustizia ed una inutile vessazione. « Vostra Eccellenza che ben conosce i sentimenti dei marinai italiani, può certo comprendere il loro stato d'animo. « Analogo stato d'animo si è manifestato anche nei marinai in congedo, nelle famiglie dei caduti e perfino nelle maestranze. « Chiaro ed ammonitore esempio la reazione delle maestranze di Castellammare di Stabia (rilevata anche dal prefetto) che rese necessario lo spostamento da quella sede dell'Eritrea e del Tarvisio, nei giorni precedenti la partenza. « Ho sentito perciò il dovere di r:1ppresentare a V.E. la situazione con chiarezza onde metterne in rilievo il carattere preoccupante. « In tali circostanze esprimo parere assolutamente contrario ad accelerare o disporre ulteriori trasferimenti di unità alle Potenze asse-
(34) Stato Maggiore della Marina Militare, fg. or. 451/ RP del 24 febbraio 1948.
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gnatarie, almeno fino a quando non siano state ottenute soslanziali e concrete modifiche alle clausole navali del Trallato di pace ». Quest'ullimo periodo traeva origine da una seconda domanda di consegna di unità presentala da parte francese una quindicina di giorni prima. Il 9 febbraio infatti, proprio il giorno dell'arrivo a Tolone dell'Eritrea e del Tarvisio, l'amm. Rebuffel aveva chiesto alla Commissione navale di interessare il Governo italiano perché consegnasse il più presto possibile, nelle condizioni in cui si trovavano, così come era stato fatto per le due suddette unità, le seguenti navi: Ct. Mitragliere Nave cist. Tirso Rim. Ercole Rim. Nereo Rim. Porto Quieto Rim. Porto Tricase Rim. Taormina Rim. Vado La richiesta era stata approvala dalla Commissione che l'aveva consegnata al rappresentante italiano presso la stessa, cap. vasc. Michelagnoli, 1'11 febbraio con la precisazione che la rinuncia francese al beneficio della rimessa in efficienza delle unità da trasferire « non poteva essere invocata dal Governo italiano come un precedente per la consegna delle al tre navi, in osservanza dell'art. 57 del Trattato di pace ». Il nuovo passo francese - oltre a non essere in armonia, con lo spirito almeno, delle intese, sia pure con impegnative, intervenute tra il nostro Ministero degli Esteri e l'ambasciata francese in Roma, in forza delle quali l'Eritrea e il Tarvisio erano stati trasferiti a T.olone - era anche poco corretto perché si era atteso a farlo che le due unità fossero arrivate in Francia. Il Ministro della Difesa, Facchinetti, nel dar notizia della cosa a quello degli Esteri (35), dopo aver richiamato l'attenzione su quanto sopra e aver ricordato le reazioni provocate in Italia dalla consegna dell'Eritrea e del Tarvisio, così concludeva il suo scritto: « Questo Ministero ritiene che debba esser trovato assolutamente il modo di respingere tale domanda o almeno di rinviarne l'accoglimento ad altra epoca più favorevole. « In quest'ultima ipotesi potrebbe, per esempio, esser fatto presente il bisogno che ha il Governo di evitare ogni fonlc di agitazione o addirittura di incideriti, soprattullo in seno alle Forze Armate, nel periodo che precede le elezioni politiche e la necessità quindi che l'esame della richiesta francese sia rinviato a dopo le elezioni stesse, cioè a dopo il 18 aprile p.v.
(35) Fg. Min. Dif.. Mar.. Uff. Tratt., nr. 847 / UT del 25 febbraio 1948.
393 « Tali considerazioni potrebbero forse essere presentate, anziché ai quattro ambasciatori, soltanto a quello francese, richiedendogli anche di dare istruzioni al suo consigliere navale, amm. Rebuffel, di non insistere presso la Commissione navale per la consegna delle navi richieste ». Il Ministero degli Esteri prendeva contatti in proposito con l'ambasciata di Francia la quale, sentito il suo Governo, comunicava il 16 marzo che questo era disposto a non insistere per l'immediato trasferimento di tutte le unità domandate, chiedendo peraltro: a) la consegna di 3 rimorchiatori da iniziarsi subito, ma spaziandola opportunamente nel tempo;
b) l'autorizzazione a due ufficiali francesi di visitare, in abiti civili e in tutta riservatezza, il Ct. Mitragliere e l'Incr. Scipione Africano allo scopo di rendersi conto delle loro caratteristiche tecniche; c) che· il trasferimento del Ct. Mitragliere avesse luogo subito dopo le elezioni politiche del 18 aprile. Il Ministero degli Esteri, nel dar notizia di quanto sopra alla Marina (36), lasciava questa arbitra di decidere in merito alla richiesta visita dei due ufficiali sulle due unità sopra menzionate. Per quanto riguarda le altre due domande esprimeva il seguente parere: - trasferimento del Ct. Mitragliere - « cercare di lasciar cadere, per ora, questa richiesta »; - trasferimento di 3 rimorchiatori - « converrebbe autorizzare il trasferimento almeno di 2 delle 3 unità richieste » e ciò « anche allo scopo di secondare con un atteggiamento conciliante da parte nostra l'azione che andiamo svolgendo direttamente e indirettamente sul Governo di Parigi per ottenere ulteriori concessioni da parte sua». La posizione presa in merito dalla Marina può esser così sintetizzata: (37) - non concedere l'accesso di tecnici sul Mitragliere e sullo Scipione; - lasciar cadere la richiesta del Mitragliere, che doveva esser inquadrata nel problema generale; - lasciare alla responsabilità del Ministro degli Esteri di decidere in merito alla consegna dei 2 rimorchiatori, consegna da farsi comunque dopo il 18 aprile. Questa risposta non fu di gradimento del Ministero degli Esteri il quale così rispondeva: (38)
(36) Telesp. Min. ,Aff. Est. - Aff. Poi., nr. 463 del 16 marzo 1948. (37) Fg. Min. Dif. - Mar. - Uff. Tratt. a Min. Aff. Est., nr.1224/ UT del 19 marzo 1948. (38) Telesp. Min. Aff. Est. - Aff. Pol., nr. 500 del 25 marzo.
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« Questo Ministero non ritiene conveniente, nell'attuale fase dei rapporti italo-francesi, rispondere al Governo di Parigi nel modo prospettato da codesto, e si astiene pertanto, nell'attesa che codesto Dicastero riesamini la questione, da qualsiasi comunicazione al riguardo all'ambasciata di Francia. « Questo Ministero deve peraltro far presente che, a suo giudizio, la posizione assunta da codesto in merito alla questione di cui trattasi ... appare controproducente ai fini che intendiamo raggiungere nello stesso interesse della Marina, tanto per quel che riguarda l'azione attualmente in corso, onde indurre la Francia a ulteriori concessioni, quanto per quelle nuove iniziative che questo Dicastero ha in animo di intraprendere appena possibile ». Nel frattempo erasi verificato un fatto nuovo, la presentazione cioè da parte dell'ambasciata di Francia al Ministero degli Esteri di un promemoria segreto (6 marzo) (39) nel quale - premesso che, causa « le perdite immense subite dalla Marina in conseguenze della guerra>>, il Governo francese « non riteneva possibile di rinunciare nemmeno parzialmente alle navi attribuitegli dal Trattato di pace» - si diceva di ritenere « molto desiderabile » un accordo fra i due Paesi al fine di stabilire le condizioni delle relative consegne. Il Governo francese si dichiarava perciò pronto - in uno spirito di amichevole comprensione e per accelerare il ristabilimento di rapporti cordiali tra le due Marine - ad addivenire ad un accordo basato sui seguenti principi: a) il Governo italiano avrebbe dovuto far eseguire alle navi da trasferire soltanto i lavori strettamente necessari per consentire loro di raggiungere (con i loro mezzi e con le dotazioni dei materiali per l'impiego delle armi e dei pezzi di ricambio) i porti francesi ove avrebbe avuto luogo la consegna; b) il Governo francese avrebbe provveduto a compiere sulle navi consegnate gli ulteriori lavori che fossero stati necessari per porle in ·«operational condition »; c) l'accordo da stipularsi avrebbe dovuto precisare quali sarebbero stati i lavori da compiersi a cura del Governo italiano e quali quelli da effettuarsi a cura del Governo francese. L'accordo avrebbe dovuto fissare altresì le dotazioni dei materiali per l'impiego delle armi e dei pezzi di ricambio; d) le spese per i lavori da eseguirsi dal Governo italiano avrebbero dovuto esser a carico di questo; quelle per gli ulteriori lavori da
(39) Lettera ufficiosa del Segretario Generale del Min. Aff. Est. al Capo cli S.M. della Marina, nr. 426 del 6 marzo 1948.
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compiersi a cura del Governo francese avrebberc, dovuto esser ripartite « in modo il più possibile economico tra i due Paesi»; e) l'accordo, « al fine di meglio far risaltare lo spirito di annc1zia in cui sarebbe stato concluso da una parte e dall'altra, avrebbe potuto contenere una disposizione, conforme alla verità storica. attestante che le navi trasferite dal Governo italiano a quello francese costitui'Vano una restituzione e non la consegna di una parte del bottino di guerra». La reazione della Marina fu anche questa volta negativa. « Alla prova di buona volontà data dal Governo italiano con la consegna delle navi Eritrea e Tarvisio, si diceva nella risposta data al Ministero degli Esteri, (40) il Governo francese ha risposto con una nuova richiesta d'immediata consegna di navi, benché quella delle prime due non dovesse costituire un precedente. Come gesto capace di rendere sopportabile al popolo italiano l'amarezza della consegna di tante navi che tennero sempre alzata con onore la propria bandiera, ha saputo presentare soltanto la proposta di un accordo che mira a risolvere prevalentemente su un piano economico una questione di alto valore spirituale, quale è quella della consegna delle navi. « Anche la proposta di far apparire la cessione delle navi come una restituzione anziché come una cessione di bottino di guerra, benché di per sé rilevante, non sembra tale da far accettare l'accordo nel suo complesso, non essendo accompagnata dalla rinunzia da parte della Francia ad almeno qualche unità. « Fermo restando quanto sopra, si ritiene comunque che la decisione di rinviare a dopo le elezioni del 18 aprile l'esame dei problemi posti da parte francese, dovrebbe essere manifestata dal Governo italiano in modo assolutamente intransigente ». Come si vede, i punti di vista degli Esteri e della Marina su come affrontare la questione nei suoi diversi aspetti non collimavano, con la conseguenza che tutto rimase fermo, non ostante le ripetute sollecitazioni da parte francese. Nessuna esecuzione, sia pure parziale, venne data· infatti, neppure dopo il 18 aprile, alla richiesta presentata dall'amm. Rebuffel alla Commissione navale il 9 febbraio; nessun passo fu fatto, nemmeno dopo le elezioni, per un esame della proposta di accordo consegnata dall'ambasciata di Francia al Ministero degli Esteri i1 6 marzo successivo. In questa situazione il Governo francese - dopo aver sollecitato e ottenuto da quello di Washington un suo intervento presso il nostro Governo perché facesse fronte agli impegni derivantegli dall'art. 57 del trattato di pace - dette incarico al proprio ambasciatore in Roma di fare un energico passo presso il nostro Ministro degli Esteri, Sforza, per sbloccare la situazione.
(40) Fg. Min. Dif. · Mar. - Uff. Tratt. nr. 1150/ UT del 13 marzo 1948.
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Questo passo ebbe luogo sul finire del mese di maggio e, in seguito ad esso, il Ministero degli Esteri, nell'informare della cosa la Marina, così concludeva: « Occorrerebbe pertanto poter dire al più presto alla parte francese che, in linea di massima, accettiamo di discutere sulle basi delle proposte da essa avanzate nel memorandum del 6 marzo a dar corso immediato al trasferime nto dei noti 6 rimorchiatori» (41 ). A questa lettera il nuovo Minis tro della Difesa, R. Pacciardi, così rispondeva: (42) « Sulla questione della consegna delle navi alla Francia questo Ministero non può che affermare il punto di vis ta più volte espresso, secondo il quale l'obbligo di tale consegna è una delle più ingiuste e ingiustificate clausole del Trattato di pace ... « Tenuto conto però delle considerazioni esposte da codesto Dicastero e della presa di posizione del Governo statunitense a sostegno delle richieste francesi, questo Ministero aderisce alla proposta contenuta nel telespresso in riferimento e concorda che sia comunicata all'ambasciata di Francia la nostra accettazione, in linea di massima, a discutere sulle basi delle proposte da essa avanzate nel memorandum del 6 marzo u.s .. « Questo Ministero provvede altresì a dare disposizioni perché i 6 noti rimorchatori siano sollecitamente approntati e consegnati alla Francia man mano che saranno pronti ». Il 9 giugno il Segretario Generale del Ministero degli Esteri, amb. Zoppi, comunicava all'incaricato d'affari di Francia, perché ne informasse il suo Governo, della disponibilità italiana ad iniziare subito conversazioni a livello di esperti per esaminare e approfondire le proposte contenute nel memor andum del 6 marzo e della decisione adottata di approntare e consegnare sollecitamente i 6 rimorchiatori richiesti. Contemporaneamen te gli fece presente che da parte italiana ci si a ttendeva « un concreto gesto di rinuncia ad alcune delle unità, rinuncia che non si sarebbe dovuta limitare però a qualche rimorchiatore o unità similare perc hé, in tal caso, essa non avrebbe avuto alcuna portata, ma avrebbe rischiato anzi di esser controproducente » (43). Pochi giorni dopo - ed esattamente il 16 giugno - tra gli a mmiragli Rubartelli e Rebuffel, assistiti, rispettivamente, dal ministro plenipotenziario Berio e dal consigliere d'ambasciata Sebilleau, avevano inizi conversazioni in merito conclusesi il 10 luglio con la parafatura di un accordo che il 14 seguente fu firmato, per il Governo italiano, dal ministro Sforza e, per quello francese, dall'ambasciatore Fouques Duparc.
(41) Telesp. Min. Aff. Est. - Aff. Poi., nr. 811 del 31 maggio 1948. (42) Fg. Min. Dif. - Mar. - Uff. Tralt., nr. 2392/UT del 4 giugno 1948. (43) Telesp. Min. Aff. Esteri - Aff. Poi. a Min. Dif. - Mar., or. !Z234 giugno 1948.
397 I punti salienti dell'accordo erano i seguenti: (44) 1) Il Governo francese dichiarava che le quarantatre unità della Marina da guerra italiana assegnate alla Francia dal trattato di pace ,, non costituivano un bottìno di guerra, bensì una restituzione intesa a compensare le perdite di unità e materiale navale e aereo-navale, come anche i danni subìti dalla Marina francese in seguito all'occupazione di alcuni porti francesi da parte della Marina italiana nei primi mesi del 1943 » (45). 2) Il Governo francese, in virtù del paragrafo 2/b del protocollo delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947, non richiedeva la consegna delle seguenti unità:
Navi da combattimento maggiori Incr. Pompeo Magno (46) Smg. Giada Smg. Vortice
Navi da combattimento minori ~
M.S. 54 M.S. 55 M.A.S. 540 M.A.S. 545 V.A.S. 237 V.A.S. 240 V.A.S. 241 M.Z. 722 M.Z. 726 M.Z. 728 M.Z. 729 M.Z. 737
{44) L'accordo era costituito da: a) un accordo politico con due allegati (uno conteneva l'elenco delle Pavi che il Governo francese non richiedeva, l'altro l'elenco delle navi da consegnare con l'indicazione delfe date entro le quali la consegna doveva avvenire); b) tre accordi tecnici (uno sulla messa in efficienza delle navi. uno sulle dotazioni dei materiali per l'impiego delle armi e dei pezzi di ricambio e uno sulle ordinazioni all'industria italiana) con due allegati; c) uno scambio di lettere in data 10 luglio tra l'amm. Rebuffel e l'amm. Rubartelli relativo alla rinuncia francese alla consegna dell'Incr. Pompeo Magno. (45) In un articolo intitolato « La flotta italiana e le rivendicazioni francesi», comparso nel nr. 27 (3 luglio 1948) della rivista « Relazioni Internazionali», questa clausola era così commentata: « La formula della "restituzione" in fondo è abile e non del tutto umihante, ma essa maschera una sostanza che evidentemente non cambia ». (46) La rinuncia all'incrociatore era subordinata alla condizione che la consegna delle navi da combattimento maggiori cui la Francia non aveva rinunciato fosse effettuata a Tolone entro il 15 agosto 1948 (Scambio di lettere Rebuffcl-Rubartelli del 10 luglio 1948 ).
398 Navi ausiliarie
Petroliera Urano Nave cist. Sprugola Nave trasp. Panigaglia Rim. Lipari Rim. Promontore Rim. Licata Rim. N. 23 Rim. N. 28 Rim. N. 36
Si trattava quindi della rinuncia - su 43 navi, per tonn. 48.621 a 24 unità, per tonn. 18.805 (3 da combattimento maggiori, per tonn. 5.031; 12 da combattimento· minori, per tonn. l.234; 9 ausiliarie, per tonn. 12.540). 3) Il Governo italiano avrebbe provveduto a mettere le navi da consegnare in condizioni di fare con i loro mezzi. alla velocità di crociera, la traversata La Spezia-Tolone (47). Le consegne sarebbero state effettuate in quest'ultimo porto entro il periodo 14 luglio-1° ottobre 1948 e secondo un programma indicato nell'accordo stesso. 4) Ad avvenuta consegna il Governo francese avrebbe provveduto, a suo carico, alle eventuali ulteriori riparazioni alla M.S ., al M.A.S. e alle
navi ausiliarie. Avrebbe provveduto altresì, sempre a suo carico, alle riparazioni ai 2 incrociatori e ai 4 cacciatorpediniere per le quali non fosse stato necessario materiale specializzato, intendendosi per tale quello « non sostituibile con un pezzo o complesso identico m uso nella Marina francese o che non era prodotto normalmente dall'industria francese». Questo materiale specializzato, come pure quello per l'impiego delle armi e i pezzi di ricambio indicati in apposito elenco, sarebbero stati forniti dal Governo italiano, a sua cura e spese, entro un determinato termine; quelli dei suddetti materiali che non avessero potuto esser forniti dal Governo italiano, avrebbero potuto esser direttamente ordinati all'industria italiana da quello francese cd esser da questo pagati secondo determinate modalità, le quali prevedevano, tra l'altro, l'apertura a tal fine, da parte italiana, di un credito di 2 miliardi a favore del rappresentante della Marina francese in Roma. S) I due Governi contraenti riconoscevano che, con l'esecuzione dell'accordo stipulato, sarebbero state « definite le contestazioni sorte a causa della guerra tra le loro due Marine militari».
(47) Il gruppo delle navi da consegnare era costituito da 2 Incr., 4 Ct., 1 M.S., I MA.S. e 9 navi ausiliarie.
399 Il giorno stesso dell'avvenuta firma il ministro Sforza rilasciava alla stampa le seguenti dichiarazioni. « La conclusione di quest'accordo rientra nel quadro della progressiva ripresa di amichevoli e fecondi rapporti fra l'Italia e la Francia. Era necessario cancellare ogni ombra che potesse ancora persistere tra i due Paesi come conseguenza della guerra. I due Governi lo desideravano; infatti le richieste francesi non erano motivate dal desiderio di entrare in possesso di nostre navi come « bottino di guerra», ma semplicemente miravano ad ottenere un tonnellaggio che potesse compensare le perdite di unità e di materiale navale e aeronavale nonché i danni subiti dalla Marina francese in seguito all'occupazione di alcuni porti della Francia da parte della Marina italiana nei primi mesi del 1943. « Il Governo francese non ha reclamato tutte le navi cui aveva diritto secondo il trattato. Esso ha rinunciato a varie unità da guerra ed ausiliarie che il trattato aveva assegnato alla. Francia e non ha richiesto che in misura molto limitata le riparazioni che, sempre in base al trattato, l'Italia avrebbe dovuto effettuare sulle navi cedute. « E' in queste condizioni che la nostra valorosa Marina da guerra ha accettato con la sua tradizionale disciplina questo nuovo doloroso sacrificio, con la sicurezza che esso sarà largamente compensato dalle ripercussioni che l'accordo firmato avrà sui generali rapporti fra i due Paesi e sulla loro fiduciosa collaborazione avvenire ». Alcuni giorni prima, ed esattamente il 10 luglio, subito dopo la parafatura dell'accordo, il Capo di Stato Maggiore, amm. Maugeri, aveva inviato la seguente lettera alle alte autorità della Marina (48). « 1. Trasmetto per riservata conoscenza di V.E./V.S. il testo dell'accordo parafato in data odierna tra il nostro Governo e quello francese, accordo che sarà firmato e reso pubblico il 14 c.m. « 2. Il Ministro della Difesa ha ordinato che sia data èsecuzione all'accordo predetto, informando che tale doloroso sacrificio è ritenuto necessario dal Governo per il bene del Paese, tenuto conto dei notevoli miglioramenti morali e materiali ottenuti rispetto alle disposizioni del trattato di pace. «3. Nel comunicare quanto sopra a V.E./V.S., prego svolgere azione di persuasione presso i propri dipendenti in modo che la Marina dia ancora una volta prova che antepone gli interessi superiori della Patria ai propri pur giustificati sentimenti ».
Le consegne delle unità alla Francia ebbero luogo regolarmente a Tolone, senza incidenti (49) . (48) Stato Maggiore Marina - Fg. 1620/RP del 10 luglio 1948. (49) Ecco, in ordine cronologico, le date delle consegne effettuate tutte a Tolone: Avv. Eritrea e Petr. Tarvisio (12 febbraio 1948); Ct. Mitragliere (15 luglio); Rim. Ercole e Porto Quieto (20 luglio); Ct. Velite (24 luglio); Rim. Taormina e Vado (29
400
L'accordo del 14 luglio non parlava di obbligo per l'Italia di distruggere o affondare la unità da combattimento alla cui consegna la Francia aveva rinunciato. D'altra parte il protocollo navale delle quattro Potenze era un allo intervenuto esclusivamente tra queste, cui l'Italia era rimasta pertanto del tutto estranea.
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Di questa situazione si approfittò - con il tacito consenso francese per non distruggere né affondare le maggiori di tali unità, a differenza di quanto era stato fatto per quelle alle quali avevano rinunciato Stati Uniti e Gran Bretagna. Ecco comunque la sorte subìta dalle unità di cui trattasi: (SO) - Incr. Pompeo Magno - fu conservato come galleggiante con la sigla F. V.i. Ricostruito nel periodo 1953-55, rientrò in servizio come Ct. e con il nome di San Giorgio; - Smg. Giada - fu conservato come galleggiante con la sigla V.2. Ricostruito nel periodo 1952-53, fu adibito con il suo nome a compiti addestrativi; -
Smg. Vortice -
fu conservato come galleggiante con la sigla
V.i. Ricostruito nel 1953-54, fu anch'esso adibito con il suo nome a
compiti addestrativi. - Le navi da combattimento minori (2 M.S.; 2 M.A.S.; 3 V.A.S. e 5 M.Z.), salvo il M.A.S. 540 che fu demolito, vennero conservate e adibite negli anni successivi (analogamente a quanto fatto per quelle alle quali avevano rinunciato Stati Uniti e Gran Bretanga) a compiti ausiliari, assumendo, meno le V.A.S., altre denominazioni (M.V. - Motovedette le M.S.; M.E.B. - Motoscafo efficienza ridotta per affondamento bombe - il M.A.S. 545:M.T.C. - Moto trasporti costieri - le M.Z.). Le navi ausiliarie - come consentiva espressamente il protocollo continuarono a esser utilizzate negli impieghi per i quali erano state costruite.
luglio); Incr. Attilio Regolo (1° agosto); Ct. Oriani (8 agosto); Rim. Nereo e Porto Tricase (10 agosto); Incr. Scipione A/ricano e Ct. Legionario (15 agosto); Cist. Anapo (25 settembre); M.A.S. 543 (26 settembre); Cist. Bisagno (1° ottobre); M.S. 35 (15 dicembre); Cist. Tirso (21 dicembre). Totale 19 unità per tonn. 29.816. Sulle unità da combattimento maggiori il nome, prima del loro trasferimento a Tolone, fu tolto e sostituito con una sigla. Ecco le sigle: Eritrea - El; Mitragliere M 2; Oriani - O 3; R egolo • \R. 4; Velite - .V 5; Legionario ~ L 6; Scipione • S 7. (SO) Si tenga presente che (come vedremo nel capitolo seguente) nel dicembre 1951, le clausole militari furono dichiarate non più vincolanti per l'Italia.
401 D) La quota dell'Unione Sovietica
Le unità assegnate all'Unione Sovietica dal protocollo delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947 erano le seguenti: (51)
Navi da combattimento maggiori Cor. Giulio Cesare Incr. Duca D'Aosta Ct. Artigliere Ct. Fuciliere Ct. Riboty * Torp. Animoso Torp. Ardimentoso Torp. Fortunale Smg. Marea Smg. Nichelio Navi da combattimento minori M.S. 52 M .S. 53 * M.S. 61 M.S. 65 M.S. 75 M.A.S. 516 M.A.S. 519 M.A.S. 520 * M.A.S. 521 * M.E. 40 V.A.S. 245 V.A.S. 246 * V.A.S. 248 M.Z. 778 M.Z. 780 M.Z. 781
Navi ausiliarie Petroliera Stige * Nave cist. Basento Nave cist. Istria Nave cist. Liri Nave cist. Polcevera
tonn. 24.000 7.400 )) 1.646 1.646 1.405 925 925 925 905 710 ))
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60 60 60 60 60 20 20 20 20 35 68 68 68 140 140 140
1.364 179 2.948 162 162
(51) Le navi il cui nome è seguito da un asterisco sono quelle alla cui consegna, come si vedrà appresso, l'Unione Sovietica rinunciò, in esecuzione di un « do ut des » intervenuto tra i due Governi.
402 Nave scuola Cristoforo Colombo Nave trasp. Montecucco Rim. Capodistria Rim. Lampedusa * Rim. Porto Adriano Rim. Ra palio * Rim. Sant'Angelo Rim. Talamone Rim. Tifeo Rim. Vigoroso Rim. N ° 35 * Rim. N° 37 * Rim. N° 80 * Rim. N° 94 *
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2.832 650 67 123 230 280 173 125 ? 395 86 86 38 38
Erano quindi 10 navi da combattimento maggiori per tonn. 40.487; 16 minori per tOlill. 1.039 e 19 ausiliarie per tonn. 9.938. In totale 45 unità, per tonn. 51.464. Benché ci si rendesse conto che difficilmente il Governo di Mosca avrebbe assunto - per quanto riguarda la consegna della quota della nostra flotta attribuitagli dal trattato di pace - un atteggiamento di amichevole comprensione, analogamente a quanto fatto da quelli di Washington e di Londra (52), tuttavia il nostro Ministero degli Esteri, sollecitato dalla Marina (53), nel dicembre 1947 dette istruzioni alla nostra ambasciata a Mosca di prendere contatti con quel Governo « onde sondare, d'intesa con esso, la possibilità di una soluzione in merito che fosse di soddisfazione per entrambi i Paesi. Il non farlo, proseguiva la lettera, potrebbe prestarsi, oltretutto, ad errate interpretazioni quasiché noi non ritenessimo il Governo sovietico capace di quello stesso gesto di comprensione che abbiamo richiesto agli altri due Alleati e che da essi abbiamo già ottenuto » (54 ). La nostra ambasciata fece il passo ordinatole ma ricevette la risposta che il Governo sovietico « non vedeva motivi per rinunciare alla quota spettantegli della nostra flotta» (55), (56). (52) Basti pensare alla richiesta avanzata dal Governo sovietico agli AngloAmericani sul finire del 1943 (quando l'Italia era già stata accolta come cobelligerante) che gli fosse attribuita una parte rilevante della nostra flotta (vedasi Cap. V., Sez. 5) e all'atteggiamento punitivo da lui tenuto durante tutta l'elaborazione del trattato di pace. (53) Fg. Min. Dif. · Mar. - Uff. Tratt. nr. 5299/ UT del 5 dicembre 1947. (54) Telesp. Min. Aff. Est. Aff. Poi. a Min. Dif. . Mar. nr. 2061 del 9 dicembre 1947. (55) Telesp. Min. Aff. Est . . Aff. Poi. a Min. Dif. . Mar. nr. 201 del 19 gennaio 1948. (56) In seguito all'esito negativo di questo passo, siccome la consegna all'Unione Sovietica delle nostre navi avrebbe comportato l'obbligo da oarte di questa
403 La posizione di assoluta intransigenza assunta dal Governo di Mosca non era certo tale da spingere le autorità italiane a dar rapido corso alle operazioni di messa « in operational condition » delle unità da consegnare a detto Governo. Ed infatti alla fine del giugno 1948 - benché da oltre sei mesi fosse scaduto il termine stabilito dal trattato di pace per il trasferimento - nessuna delle unità che dovevano esser cedute aveva ancora iniziato i necessari lavori. Fu così che la Commissione navale delle quattro Potenze il 3 luglio di tale anno comunicò alle autorità italiane: (57) a) che, delle 45 unità dovutegli, il Governo sovietico era disposto a prendere in consegna, nello stato in cui si trovavano, le 33 indicate nella comunicazione stessa (erano quelle senza asterisco nell'elenco sopra riportato) prendendo a suo carico l'esecuzione dei lavori di cui abbisognavano e la relativa spesa; b) che dette unità avrebbero dovuto essere consegnate nel porto di Odessa entro il 15 agosto (cioè entro 40 giorni in cifra tonda); c) che la concessione di cui al precedente paragrafo a) non avrebbe potuto esser invocata dall'Italia come un precedente per le restanti 12 unità che essa avrebbe dovuto ancora consegnare all'Unione Sovietica. Pochi giorni dopo l'ambasciatore russo in Roma rimetteva al nostro Ministero degli Esteri un progetto di accordo da stipularsi fra i due Paesi per stabilire le modalità di consegna delle 33 navi sopra indicate. A questo passo il Ministero degli Esteri rispondeva il 14 luglio con una nota nella quale, dopo aver premesso che il Governo italiano ap· prezzava la dichiarata intenzione di quello sovietico di rinunciare alla rimessa in efficienza delle suddette 33 unità, così proseguiva: « Il Governo italiano ricorda che, delle quattro principali Potenze cui dal trattato di pace sono state assegnate aliquote della flotta italiana, due di esse, e precisamente gli Stati Uniti d'America e ]a Gran Bretagna, vi hanno già totalmente rinunciato - rispettivamente in data 5 ottobre 1947 e in data 31 ottobre 1947 - avvalendosi della fa. coltà loro riconosciuta dall'articolo 2(b) del Protocollo navale firmato a
di restituire a Gran Bretagna e Stati Uniti le unità datele in prestito nel 1944 (vedasi Cap. V., Sez. S) si pensò di sondare i Governi di Washington e di Londra per vedere se essi sarebbero stati disposti a rinunciare alla restituzione delle navi loro dovute dall'Unione Sovietica in cambio della rinuncia da parte di questa alla consegna delle nostre unità. In tal senso furono interessate le nostre ambasciate nelle due capitali anglo-sassoni ma, come era prevedibile, il risultato non fu quello sperato. (Telesp. Min. Aff. Est.. Aff. Pol. e Min. Dif.-Mar. nr. 304 e 662, rispettivamente del 12 febbraio e 8 aprile 1948). (57) Note verbali 71/M del 3 luglio al Min. Aff. Est. e 82/J, stessa data, al rappresentante del Governo italiano presso la Commissione.
404 Parigi il 10 febbraio 1947, e che la Francia, rinunciando a reclamare le navi a titolo di « bottino di guerra », ha reso possibile di negoziare liberamente un accordo, concluso in questi giorni, in base al quale, in relazione ai danni arrecati durante la guerra alla Marina francese da quella italiana, quest'ultima cederà alcune navi il cui tonnellaggio globale è di oltre 18.000 tonnellate inferiore a quello che il trattato di pace riserva alla Francia. In questa occasione il Governo francese ha pure rinunciato ai lavori per la rimessa in efficienza delle navi che verranno ad esso cedute, similmente a quanto ora proposto dal Governo sovietico (58). « Avendo presente il fatto che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia hanno rinunciato a richiedere all'Italia la consegna come « bottino di guerra» delle navi loro assegnate dal trattato e che, per questa ragione, la consegna alla Francia di un numero di navi inferiore a quello previsto dal trattato ha luogo sotto forma di « restituzione», e considerato altresì che, a differenza di quanto è accaduto nei confronti delle Marine americane e soprattutto francese e inglese, la Marina italiana non ha avuto occasione di recare particolari danni, nel corso della guerra, alla Marina sovietica, il Governo italiano ha ritenuto di dover esporre, in dettaglio, all'ambasciata dell'U.R.S.S., lo stato della questione come è stata considerata dai Governi alleati sopracitati. « Già nel gennaio 1948, per il tramite dell'ambasciatore a Mosca, il Governo italiano aveva prospettato al Governo sovietico la possibilità che anch'esso venisse incontro alle aspettative del popolo italiano. Il Governo sovietico non ritenne allora di prendere in considerazione questo suggerimento; tuttavia il Governo italiano, pur dichiarandosi disposto a iniziare con i rappresentanti sovietici opportuni negoziati, ha l'onore di rinnovare in questa occasione il proprio suggerimento e prega l'ambasciata sovietica di volerne rendere edotto il suo Governo e fargli anche presente quale simpatica eco avrebbe in larghi strati dell'opinione pubblica italiana un gesto amichevole da parte dell'Unione Sovietica e quali favorevoli ripercussioni esso indubbiamente avrebbe sulle relazioni fra l'Italia e l'U.R.S.S., che il Governo della Repubblica, per parte sua, si è costantemente sforzato di porre su basi amichevoli e fiduciose ». Ma anche questa volta la risposta fu decisamente negativa. Con nota del 25 luglio infatti l'ambasciata sovietica, dopo aver definita « del tutto insoddisfacente la situazione derivante dalla man(58) Il Governo francese aveva rinunciato ai lavori per la messa in piena effi. cienza delle unità ma aveva ottenuto però la fornitura in natura da parte dell'Italia, come si è veduto, di materiale specializzato e l'apertura di un credito di 2 miliardi per acquisti di materiale di questo tipo da farsi in Italia. Il Governo sovietico invece aveva rinunciato « sic et simpliciter » ai lavori necessari per mettere in piena efficienza le 33 unità di cui aveva chiesto la consegna. Successivamente però domandò e ottenne, come vedremo più avanti, che, in compenso per la sua rinuncia, le spese per il trasferimento delle unità stesse dall'Italia a Odessa fossero a carico del Governo italiano.
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cata osservanza da parte del Governo italiano degli obblighi imposti all'Italia dal trattato di pace per quanto si riferiva alla consegna all'Unione Sovietica delle navi alla stessa assegnate», così concludeva: « Il Governo sovietico pertanto insiste perché il Governo italiano prenda senza indugio le necessarie misure per la consegna all'U.R.S.S. delle navi ad essa destinate, e, in primo luogo, delle 33 alla cui riparazione essa ha rinunciato. « Per quanto concerne la richiesta del Governo italiano diretta a ottenere la rinuncia da parte dell'U.R.S.S. alla quota della flotta italiana assegnatale dal Trattato di pace, il Governo sovietico dichiara che essa non è in alcun modo giustificata. « Il Governo italiano ricorda che gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna hanno rinunciato alle rispettive aliquote e che la consegna della quota che sarà data alla Francia avrà luogo sotto forma di restituzione. In proposito il Governo sovietico deve ricordare i danni enormi arrecati all'U.R.S.S. dall'Italia fascista, alleata della Germania hitleriana, durante la guerra contro l'U.R.S.S. Tali danni non possono in alcun modo essere paragonati a quelli arrecati nel corso della seconda guerra mondiale agli Stati Uniti d'America, alla Gran Bretagna e alla Francia». Ciò nonostante il Governo italiano - sia per dar prova della sua buona volontà, sia nella segreta speranza che ciò valesse ad addolcire l'intransigenza del Governo di Mosca - accedeva alla richiesta sovietica che fossero iniziate conservazioni tra le due Parti per stabilire le modalità di consegna delle 33 navi di cui trattasi. Le conversazioni ebbero luogo tra tecnici, l'amm. Rubartelli e l'amm. Karpunin, e si protrassero per cinque riunioni (dall'l 1 al 21 agosto), svolgendosi sulla base del progetto d'accordo sovietico. Esse si risolsero però in un nulla di fatto essendosi il rappresentante russo r ifiutato di accogliere qualsiasi richiesta di modifica del progetto stesso avanzata dal nostro rappresentante. Di queste richieste le principali erano le seguenti: a) che, nello stipulando accordo, fosse inserita una clausola da cui risultasse che la consegna delle navi non doveva avvenire a titolo di << bottino di guerra », ma come compenso per i danni arrecati alla Marina sovietica da quella italiana; b) che il tonnellaggio da consegnare fosse commisurato ai danni arrecati alla Marina sovietica da quella italiana; c) che il termine di consegna fosse stabilito tenendo conto delle esigenze di carattere tecnico da cui evidentemente era impossibile prescindere. Di fronte all'assoluta intransigenza sovietica il Governo italiano decise di riportare la questione, dal piano delle trattative dirette tra "i due Paesi, su quello del trattato di pace. E ciò fece con una nota del 9 settembre alla Commissione navale delle quattro Potenze nella quale, dopo un resoconto dei negoziati che avevano avuto luogo tra le due
406 parti - specialmente tra l'amm. Rubartelli e l'amm. Karpunin - così concludeva: « Da quanto precede appare evidente che il rappresentante sovietico, anziché negoziare un accordo, si è limitato invece a insistere nell'imporre l'accettazione integrale del progetto sovietico, che il Governo italiano non può sottoscrivere sia per considerazioni di carattere morale, s ia perché comprende alcune clausole la cui esecuzione è materialmente irrealizzabile. « In questa circostanza il Governo italiano dichiara che è sempre stato ed è ancora suo fermo intendimento di eseguire gli obblighi impostigli dall'art. 57 del trattato di pace nei riguardi dell'Unione Sovietica, così come ha fatto con gli altri Stati beneficiari delle medesime disposizioni, a condizione tuttavia che l'esecuzione abbia luogo secondo modalità moralmente accettabili e praticamente realizzabili» (59). Questa energica presa di posizione, benché apprezzabile per il senso di dignità che da essa promanava, era però non facile a mantenersi sia perché, sotto il profilo giuridico, eravamo in evidente stato di inadempienza verso l'Unione Sovietica per quel che si riferiva alle clausole navali che la riguardavano, sia perché, sotto il profilo politico, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, pur mostrando comprensione per le nostre richieste ai Sovietici (60), non avevano mancato di farci amichevolmente presente che, alla lunga, non avrebbero potuto appoggiare la linea di condotta da noi assunta verso questi (61). A toglierci da questa situazione imbarazzante ci porse il destro la stessa Unione Sovietica.
(59) La nota fu inviata dall'amm. Rubartelli al presidente in carica della Commissione, amm. Karpunin, a norr.:e del Governo italiano e con riferimento alla nota della Commissione stessa nr. 71/M, rimessa il 3 luglio - con procedura insolita e tono perentorio - al Ministero degli Esteri. (60) Si cita, a titolo di esempio, il seguente brano della dichiarazione fatta dal rappresentante americano nella Commissione navale, cap. vasc. Pryce, durante la seduta tenuta da questa il 9 settembre 1948. Dopo aver parlato delle « esigenze punitive e dell'intransigenza del Governo sovietico in questa questione,. egli cosl prosegul: « Gli Stati Uniti si rammaricano che l'Unione Sovietica, alla quale sono stati arrecati pochi o punti danni da parte della flotta italiana, si rifiuti di prendere in considerazione concessioni analoghe a quelle fatte all'Italia dal Governo francese, per non parlare della rinuncia totale da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. E' paradossale che i due Governi allt cui Forze l'Italia si è arresa, e che un Governo che ha subìto danni considerevoli da parte del Paese che fu prima, suo nemico, e, poi, cobelligerante, possano chiaramente vedere la via da seguire nell'interesse del futuro della famiglia delle Nazioni Unite e facciano questo gesto di comprensione e di perdono, e che il quarto Governo, che non ha subìto alcuna perdita per opera della flotta italiana, sia il solo a restare inflessibile ,. (Processo verbale della 151' seduta del 9 settembre 1948 della Comm. Nav. 4 Pot.). (61) Min. Aff. Est. - Aff. .Poi. a Min. Dif.-Mar. nr. 1106, 1303 e 1409 rispettivamente del JO luglio, 9 settembre e 9 ottobre 1948.
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All'epoca era a Mosca una nostra delegazione, capeggiata dall'on. La Malfa, incaricata di condurre trattative per il regolamento delle riparazioni da noi dovute all'Unione Sovietica ai sensi del trattato di pace e per la conclusione di accordi di carattere commerciale. Nei contatti avuti fra le due parti, aveva riferito il 5 settembre la nostra ambasciata a Mosca, (62) le autorità sovietiche avevano fatto ch iaramente intendere che le trattative in corso a Mosca - particolarmente quelle per il regolamento delle riparazioni - sarebbero state influenzate dall'andamento di quelle in atto a Roma per la consegna delle navi da guerra, stante la connessione esistente, a loro parere, fra le due questioni. Da parte del nostro Ministero degli Esteri, in un primo tempo si ritenne « preferibile evitare connessione tra trattative La Malfa et quc· stione navale » e in tal senso, il 13 settembre, furono date istruzioni all'ambasciata di Mosca (63). Successivamente però, in seguito a un energico memorandum consegnato personalmente da Molotov all'ambasciatore Brosio il 4 ottobre (64), si stimò conveniente aderire alla tesi sovietica della connessione tra il regolamento delle riparazioni e la consegna delle navi, dato che ciò ci avrebbe consentito di ottenere, come contropartita della con· segna di queste ultime, dei vantaggi nel regolamento delle prime. Fu cosi che il 16 ottobre l'on. La Malfa presentò a Molotov il seguente memorandum. « Nella conversazione avuta con il ministro Mikoyan, alla presenza del vice-ministro Zorin, una quindicina di giorni dopo il mio arrivo, mi fu posto dal Ministro stesso, con ogni cortesia ma con estrema franchezza, la questione della consegna delle navi da parte dell'Italia. La stessa questione mi fu affacciata in una conversazione che ebbi con il ministro Mikoyan alcuni giorni dopo. « Per quanto la questione delle navi non entrasse nell'oggetto delle trattative a me affidate, apparve chiaro che, sottolineandone l'importanza nel corso delle trattative stesse, il ministro Mikoyan intendeva sottoporre all'attenzione mia personale e del Governo italiano la stretta
(62) Telesp. Min. Aff. Est. Aff. Poi. a Min. Dif.-Mar. nr. 1302 del 9 settembre 1948. (63) Telesp. Min. Aff. Est. . Aff. Poi. a Min. Dif..Mar. nr. 1322 del 15 settembre 1948. (64) Nel memorandum si chiedeva che il Governo italiano prendesse « misu· re immediate » per la consegna delle 33 navi da guerra onde porre fine alla « situazione inammissibile » che si era creata in proposito. Non è illogico ritenere che con tale duro memorandum Molotov avesse voluto indirettamente rispondere alla dichiarazione fatta dal nostro ministro Sforza pochi giorni prima (28 set· tembre) che il Governo italiano « aveva la speranza che il problema potesse es· ser riesaminato da parte sovietica sotto nuovi più benevoli aspetti ».
408 connessione che il Governo sovietico stabiliva tra consegna delle navi, riparazioni e trattative commerciali. « Debbo dichiarare, d'altra parte, che, nel campo proprio delle riparazioni, trattativa a me affidata, l'impostazione sovietica rendeva impossibile il raggiungimento di un accordo. Il progetto sovietico delle riparazioni, infatti, consegnatomi durante le conversazioni ......... . introduceva in proposito princìpi e obblighi non previsti assolutamente dal trattato di pace e che la delegazione italiana non avrebbe potuto accettare senza andare oltre i limiti delle proprie responsabilità e del' proprio mandato. « Il Governo italiano tiene, per mio mezzo, a dichiarare, circa le navi, che esso non ha mai pensato di eludere le disposizioni del trattato di pace, ma soltanto di arrivare ad un amichevole accordo con il Governo sovietico, che concedesse all'Italia alleggerimenti analoghi a quelli concordati, ad esempio, con la Francia. Tuttavia, dopo la posizione rigida assunta dal Governo sovietico in materia, dopo la connessione stabilita dal Governo stesso tra i vari argomenti in discussione, e dopo l'impostazione da esso data al regolamento delle riparazioni, si è posto il problema di una più obiettiva esecuzione del trattato di pace in tutte le sue parti , senza ulteriormente discutere su alleggerimenti che il Governo sovietico non voglia spontaneamente consentire, ma anche senza aggravamenti di sorta. « Dopo gli abboccamenti da me avuti a Roma, in relazione anche al passo giorni fa compiuto dal ministro Molotov, il Governo italiano ha attribuito a me e all'ambasciatore Brosio l'onore di comunicare al Governo sovietico quanto segue: - il Governo italiano è pronto a consegnare senz'altro, ossia nel termine strettamente necessario dal punto di vista tecnico, le 33 navi di cui alla comunicazione fatta dal ministro Molotov all'ambasciatore Brosio il 4 ottobre 1958; - contemporaneamente il Governo italiano chiede al Governo sovietico di non insistere sulle disposizioni del suo progetto per le riparazioni e di accettare, come base di regolamento, i principi contenuti p_el progetto italiano. « Il Governo italiano ritiene che in tal caso verrebbe data una soluzione obiettiva e giusta a tali questioni connesse con il trattato di pace, aprendosi così la via, in uno spirito di pace, a una sempre più amichevole e reciproca comprensione nei rapporti tra 1 due Paesi». Il Governo sovietico aderiva due giorni dopo alla suddetta proposta. Erano così poste le premesse per la definizione delle due questioni. L'accordo sulle navi era perfezionato il 6 novembre 1948 con uno scambio di lettere tra l'ambasciatore Brosio e il ministro Molotov nel quale erano indicati il programma e i termini di consegna delle 33 navi ( termine per la partenza dall'Italia delle due ultime - Ardimentoso
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e Fuciliere - 30 giugno 1949) (65) ed era disposto che i dettagli tecnici concernenti le consegne stesse sarebbero stati fissati a Roma da rappresentanti delle Marine dei due Paesi. Nessun cenno l'accordo faceva - e ne vedremo più avanti il perché - alle restanti 12 navi che il trattato di pace assegnava all'Unione Sovietica. « Con il suo contributo a quest'accordo, in cui le navi hanno gìuocato un ruolo positivo e decisivo - telegrafava il 19 novembre l'ambasciatore Brosio al Ministero degli Esteri (66) - la Marina ci ha consentito di pagare le riparazioni con il minimo sacrificio possibile di mezzi e di dignità (67). Nel dar notizia dell'accordo concluso agli alti Comandi della Marina, il Ministro della Difesa, Pacciardi, così chiudeva la sua lettera: (68) « Il gesto che la Marina si prepara a compiere col distaccarsi da queste sue navi ha veramente il significato e il valore di un sacrificio ..... dato che la Russia - a differenza della Francia, della Jugoslavia e della Grecia - non può far valere sosra.nziali danni o perdite causatele dalla Marina italiana. Ma questo sacrificio salva il Paese da una situazione preoccupante nel campo economico-finanziario .... risparmiandogli ferite tali da compromettere le resistenze del suo corpo già dissanguato. « Per questo la Marina, ancora una volta conterrà in silenzio il suo dolore e, con la consueta disciplinata obbedienza, eseguirà gli ordini che il Governo ha creduto di dover dare per il bene del Paese e consegnerà alla Russia le navi che sono a questa assegnate. « Conto sull'elevato senso di patriottismo della S.V. perché la necessità di questo sacrificio sia compresa dagli ufficiali, dai sottufficiali e dai marinai dipendenti e perché l'approntamento e la partenza delle navi avvengano senza incidenti ». Il 9 dicembre l'amm. Rubartelli e l'amm. Karpunin firmavano in Roma il previsto accordo tecnico che era sostanzialmente eguale al progetto presentato dall'ambasciatore sovietico al nostro Ministero degli Esteri ai primi del precedente mese di luglio. In esso erano indicate le modalità per la consegna nel porto di Odessa - nei termini stabiliti dall'accordo del 6 novembre - delle 33 unità, con le relative dotazion,j di pezzi di ricambio e di munizioni, ed era stabilito che le spese per il trasferimento delle navi dall'Italia ad Odessa sarebbero state a carico (65) Nello stabilire questi termini si dovette tener conto, per diverse unità, anche dei tempi che erano necessari per effettuare loro - a spese dell'Italia i lavori indispensabili per poterle trasferire, con i loro mezzi e in sicurezza, dall'Italia a Odessa. (66) Telesp. Min. Aff. Est . . Aff. Poi. a Min. Dif.-Mar., nr. 1609 del 22 novembre 1948. (67) L'accordo per il regolamento delle riparazioni fu firmato 1'11 dicembre 1948. (68) Fg. Min. Dif.-Mar. · Uff. Tratt., nr. 4379/UT dell'8 novembre 1948.
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del Governo italiano, come contropartita alla rinuncia da parte di quello sovietico alla consegna delle unità in « operational condition ». L'accordo si concludeva con la riaffermazione che questa rinuncia non poteva costituire un precedente per la consegna delle restanti 12 navi che l'Italia doveva ancora all'Unione Sovietica. L'accordo ebbe regolare esecuzione - anche se con qualche ritardo nei termini stabiliti per la consegna di alcune unità - né si ebbero a lamentare incidenti. Unica variante allo stesso fu che la consegna delle Cor. Giulio Cesare e dei Smg. Marea e Nichelio fu effettuata nel porto di Valona anziché in quello di Odessa (69) (70). Restava quindi da risolvere, per porre la parola «fine» a questo penoso capitolo delle nostre relazioni con l'Unione Sovietica, la questione della sorte delle 12 restanti unità che il trattato di pace le attribuiva e delle quali essa non aveva sollecitato la consegna, senza peraltro rinunciare alla stessa.
(69) La variante del porto di consegna fu dovuta al fatto che il Governo turco - rispondendo a quello italiano che gli aveva preannunciato il transito negli stretti dei Dardanelli e del Bosforo delle tre unità dirette in Mar Nero aveva risposto che non gli era possibile autorizzarlo perché l'art. 10 della Convenzione di Montreux del 20 luglio 1934 sul regime di tali stretti non consentiva, in tem'po di pace, iJ transito in essi di corazzate e di sommergibili di Potenze non rivierasche del Mar Nero. ·L'accorgimento adottato dal Governo italiano di radiare le tre navi dal quadro del naviglio militare, di far battere loro bandiera mercantile, e di equipaggiarle con personale civile, non era sufficiente - disse il Governo di Ankara - a modificare il loro effettivo carattere. I Governi di Roma e di Mosca si accordarono allora perché la consegna avvenisse a Valona. Le tre unità poterono così - con bandiera ed equipaggi sovietici - transitare per i suddetti stretti. (70) Ecco in ordine cronologico, le date di consegna a Odessa e Valona: Ct. Artigliere (23 gennaio 1949); Cor. Giulio Cesare (6 febbraio); Smg. Marea e Nichelio (7 febbraio); Torp. Fortunale (1° marzo); Incr. Duca d'Aosta (2 marzo); Nave scuola C. Col~mbo (3 marzo); Torp. Animoso (16 marzo); Nave trasporto Montecucco (23 maggio); V.A.S. 245, M.Z. 778, M.Z. 781, Cist. Liri, Cist. Polcevera, Rim. Tifeo, Rim. Capodistria, (2 luglio); M.S. 52, M.S. 61, M.S. 65, M.S. 75, M.A.S. 516, M.A.S. 519, M.E. 40, V.A.S. 248, M. Z. 780, Cist. Basento, Cist. ]stria, Rim. Vigoroso, Rim. Porto Adriano, Rim. Talamone, Rim. Sant'Angelo, (6 luglio); Torp. Ardimentoso (28 ottobre); Ct. Fuciliere (31 gennaio 1950). Quest'ultima unità era pronta a fine ottobre 1949, ma la sua consegna fu ritardata - giustificandola con asserite sopravvenute avarie - per favorire una nostra azione diplomatica in corso da tempo intesa ad ottenere il rilascio di due gruppi di cittadini italiani trattenuti come prigionieri in Unione Sovietica. Le unità consegnate furono quindi 33, per tonn. 47.876. Sulle unità da combattimento maggiori il nome, prima del loro trasferimento a Odessa o Valona, fu tolto e sostituito con una sigla. Ecco le sigle: G. Cesare - Z 11; Artigliere - Z 12; Marea - Z 13; Nichelio . Z 14; Duca d'Aosta - Z 15; Animoso · Z 16; Fortunale - Z 17; C. Colombo - Z 18; Ardimentoso - Z 19; Fuciliere - Z 20.
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Tali unità erano le seguenti: (71) - Ct. Riboty - di 32 anni di età e, come tale, privo di valore bellico. Era bisognoso di ingenti lavori di riparazione. - Rim. Lampedusa, N° 35, N° 80, N° 94 - trattavasi di quattro vecchie unità (mediamente 32 anni di età) e di piccolo dislocamento (mediamente 70 tonn.), idonee soltanto a servizi portuali. - M.S. 53, Petr. Stige, Rim. Rapallo - affondate durante le ostilità e recuperate, erano ridotte in pessime condizioni. - M.A.S. 520, M.A.S. 521 - erano senza motori e con lo scafo in pessime condizioni. - V.A.S. 246, Rim. N° 37 - ambedue le unità erano andate distrutte per cause accidentali prima dell'entrata in vigore del trattato di pace. In sintesi, delle 12 unità, soltanto le prime 5, benché vetuste, erano praticamente in condizioni tali da poter esser rimesse in efficienza e successivamente consegnate all'Unione Sovietica. Per le altre 7 la tesi che, d'intesa con il Ministero degli Esteri, la Marina sostenne in sede di Commissione navale fu che all'Italia non era stato consentito di partecipare alla preparazione del trattato di pace e che pertanto essa non era responsabile se, tra le navi attribuite alle Potenze vincitrici, ve ne erano di quelle in condizioni tali da sconsigliare, non soltanto sotto il profilo economico, la loro rimessa in efficienza. Essa non poteva del pari essere tenuta responsabile della perdita delle 2 navi avvenuta per cause accidentali, per di più prima dell'entrata in vigore del trattato di pace. Di conseguenza l'Italia non aveva alcun obbligo di rimettere in efficienza le 5 unità che erano in condizioni da rendere non conveniente tale operazione e, tanto meno, di sostituire le 2 affondate con altre similari. La sorte delle 12 navi non fu sollevata durante i contatti diretti che le due parti ebbero nel periodo luglio-ottobre 1948, pur essendosi precisato dalla parte sovietica che la sua rinuncia alla rimessa in effi. cienza delle 33 unità richieste non poteva costituire un precedente per la consegna delle restanti 12. Sta di fatto che la questione fu posta soltanto il 1° novembre 1948, d'iniziativa dell'on. La Malfa e dell'amb . Brosio, in un coJloquio che essi ebbero in tal giorno con il ministro Molotov. Prendendo spunto da un accenno da questo fatto alle 12 unità « gli abbiamo fatto rilevare - essi riferirono al Ministero degli Esteri (72) che il suo memorandum del 4 ottobre accennava ripetutamente alle 33 navi e che da ciò avevamo tratto l'impressione che il Governo sovietico
(71) Fg. Min. Dif.-Mar. . Uff. Tratt. a Min. Aff. Est. nr. 4352/ UT del 3 novembre 1948. (72) Telesp. Min. Aff. Est. . Aff. Poi. a Min. Dif.-Mar., nr. 1516 del 2 novembre 1948.
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fosse disposto a compiere un simpatico atto di rinuncia alle rimanenti 12 unità, nel caso che il progetto per le 33 fosse andato a buon fine. Su tale punto Molotov ha risposto che regolassimo per ora la questione delle 33 navi e che, quanto al resto, si sarebbe potuto poi trovare un accordo, lasciando così implicitamente intendere che, se le 33 navi saranno regolarmente consegnate, il Governo sovietico consentirà a rinunciare alle altre ». Tale iniziativa non incontrò però l'approvazione di Roma. Interpellata in merito dagli Esteri, la Marina rispose (73) che, tenuto conto dei vari aspetti della questione, « non sarebbe in alcun modo giustificata la sollecitazione da parte nostra di un atto di rinuncia sovietico che, di fronte all'intran5igenza dimostrata dall'U.R.S.S. per la consegna delle 33 navi, anziché riuscire un atto « simpatico ». come era considerato dalla nostra ambasciata a Mosca, rappresenterebbe per l'Italia una beffa che acuirebbe il dolore della consegna delle navi ». Il Ministero degli Esteri aderiva a tal punto di vista e il 4 novembre telegrafava all'ambasciata a Mosca (74) che la rinuncia sovietica avrebbe avuto « uno scarso valore per noi » e che non conveniva quindi farne menzione nello stipulando accordo. Sarebbe stato in ogni modo opportuno, concludeva prudenzialmente il telegramma, includere possibilmente nell'accordo una clausola da cui risultasse che con esso era chiusa ogni pendenza tra i due Paesi per quanto si riferiva all'esecuzione delle disposizioni di carattere navale del trattato di pace. Una clausola del genere non venne però introdotta, come si è veduto , nell'accordo del 6 novembre 1948 (75) cosicché la questione, non si può negarlo, rimase aperta, almeno sotto l'aspetto giuridico, tanto più che l'accordo tecnico fra i due ammiragli confermava la riserva sovietica circa la non rilevanza dell'accordo del 6 novembre agli effetti della consegna delle 12 residue unità. Sta di fatto comunque che, quando la Marina, poco pm di un anno dopo (esattamente nel 1950), richiese a quella sovietica il rimborso della spesa di f. 14.070.477 da essa sostenuta per conto di quest'ultima, il Governo di Mosca, con memorandum del 16 luglio
(73) Fg. Min. Dif.-Mar. - Uff. Tratt., nr. 4352/UT del 3 novembre 1948. (74) Telesp. Min. Aff. Uff. Est. - Aff. Pol. a Min. Dif.-Mar., nr. 1527 del 6 novembre 1948. (75) A quanto pare, l'ambasciata a Mosca ritenne superflua la clausola caute-
lativa suggerita dal Ministero degli Esteri. Infatti, nel dar notizia a questo dell'avvenuto accordo, l'ambasciatore Brosio così si esprimeva in merito: « Non ho aggiunto l'esplicita clausola circa la completa esecuzione delle disposizioni navali del trattato di pace ritenendo che ciò sia implicito nell'insieme dei documenti costituenti l'accordo. ln5isteremo per l'inclusione di essa nel comunicato finale, dopo che saranno stati raggiunti gli accordi economici». (Telesp. Min. Aff. Est. - Aff. Poi. a Min. Dif.-Mar.. nr. 1539 del 9 novembre 1948). Senza dubbio era un'interpretazione, diciamo così, ottimista dell'accordo. E' da aggiungersi che nemmeno nel comunicato finale apparve una clausola quale quella di cui è cenno.
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1950, comunicò al nostro Ministero degli Esteri che era disposto a rinunciare alle restanti 12 unità assegnategli dal trattato di pace a condizione che il Governo italiano rinunciasse a sua volta al rimborso della ,suddetta somma (76). Da un esame di tutta la questione la Marina, interpellata in merito da quello degli Esteri, giunse alla conclusione che « non vi erano elementi, sia sotto il profilo politico che quello giuridico, per sostenere fondatamente che, con l'accordo del 6 novembre 1948, il Governo sovietico aveva implicitamente rinunciato alla consegna delle 12 navi ». Ritenne perciò opportuno - tenuto anche conto della relativa modestia della somma dovuta dal Governo di Mosca e della convenienza di chiudere definitivamente la penosa questione - di proporre di aderire al «do ut des » suggerito dal Governo sovietico (77). La proposta fu ac(:olta dal Ministero degli Esteri e, con scambio di note fra le due parti avvenuto in Roma nel gennaio 1951 (3-10 gennaio), fu definitivamente chiusa fra di esse ogni pendenza circa l'esecuzione delle clausole navali del trattato di pace.
Non è fuori luogo rilevare infine come l'Unione Sovietica fu la sola, delle Potenze cui furono consegnate nostre navi, che si rifiutò di accettare la nostra richiesta, di puro carattere morale, di considerare la consegna delle unità effettuata non a titolo di « bottino di guerra » ma come compenso per le perdite causate durante il conflitto della Marina italiana a quella sovietica. Fu questa un'ulteriore prova - ammesso che ce ne fosse bisogno - dell'atteggiamento punitivo tenuto dal Governo di Mosca nei riguardi dell'Italia in relazione al trattato di pace. L'accordo intervenuto fra le due parti in merito alle 12 navi alla cui consegna l'Unione Sovietica aveva rinunciato, non faceva alcun obbligo all'Italia di distruggere o affondare le quattro unità da combattimento facenti parte di tale gruppo. D'altra parte il protocollo navale delle quattro Potenze che imponeva un tal obbligo era un atto, come si è veduto, cui l'Italia era rimasta del tutto estranea e pertanto non vincolante per essa. Ecco comunque la sorte subìta dalle unità di cui trattasi, che erano ancora galleggianti nel gennaio 1951: - Ct. Riboty - fu conservato con la sigla F 3 e impiegato per servizi ausiliari; - M.S. 53 - venne demolita; - M.A.S. 520 e M.A.S. 521 - furono conservati e adibiti negli anni (76) La spesa di f 14.070.477 era stata sostenuta dalla Marina per il trasporto a Odessa, per conto dell'U.R.S.S., (che lo aveva richiesto con impegno di rimborso) del munizionamento per le navi precedentemente consegnate. {77) Fg. Min. Dif.-Mar.. Uff. Tratt., nr. 1993/UT del 2 agosto 1950.
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successivi a compiti ausiliari, assumendo la denominazione di M.E.B. (Motoscafo efficienza ridotta per affondamento bombe). Delle unità ausiliarie, due (Petr. Stige e Rim. Rapallo) furono demolite; le rimanenti quattro continuarono a essere utilizzate negli impieghi per i quali erano state costruite. E) La quota della Jugoslavia
Le unità assegnate alla Jugoslavia dal protocollo delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947 erano le seguenti:
Navi da combattimento maggiori Torp. Aliseo Torp. Ariete Torp. Indomito Navi da combattimento minori M.Z. 713 M.Z. 717 (78) Drag. N° 6 Drag. N° 16 Drag. N° 21 Drag. N° 25 Drag. N° 27 Drag. N° 28 Drag. N° 29 Navi ausiliarie. Nave cist. Isarco Rim. Basiluzzo Rim. Molara Rim. Porto Conte Rim. San Remo
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925 757 925 174 174 151 156 156 156 155 155 155 269 110 106 230 173
Erano quindi 3 navi da combattimento maggiori per tonn. 2.607; 9 minori per tonn. 1.432 e 5 ausiliarie per 888 tonn. In totale 17 unità per tonn. 4.927. Stante le non buone relazioni esistenti tra i due Paesi, non si ritenne opportuno, all'entrata in vigore del trattato di pace, di fare passi presso il Governo di Belgrado per cercare di ottenere dallo stesso un alleggerimento delle clausole navali che lo interessavano. Si decise pertanto di adottare un atteggiamento temporeggiatore in attesa che la (78) Affondata durante il conflitto e ricuperata, era ridotta in condizioni tali da non renderne conveniente, sia economicamente che tecnicamente, la riparazione. La Jugoslavia non ne richiese nemmeno la consegna.
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Jugoslavia si facesse parte sollecita per aver la consegna delle unità assegnatele. Ciò avvenne con una richiesta del 17 marzo 1948, presentata per il tramite della Commissione navale delle quattro Potenze (79). Con essa si domandava la consegna per il 5 aprile, nel porto di Spalato, dei 7 dragamine, nelle condizioni in cui si trovavano, restando a carico del Governo jugoslavo tutte le riparazioni di cui eventualmente avessero abbisognato. Tali unità, in osservanza dell'articolo 72 del trattato di pace, erano state poste a disposizione della « Commissione Centrale del Dragaggio» per essere impiegate dalla stessa per liberare dalle mine le acque del Mediterraneo. Fu quindi necessario chiedere alla Commissione stessa di riavere la disponibilità dei 7 dragamine; avutala, si procedette alla loro consegna che venne effettuata a Spalato nei mesi di agosto e settembre, senza che si verificassero incidenti (80). Nel frattempo il Governo jugoslavo, il 4 agosto, sempre tramite la Commissione navale (81), aveva chiesto la consegna delle altre navi (meno, come già detto, la M.Z. 717) (82) nelle condizioni in cui erano, rinunciando, come già aveva fatto per i dragamine, ai lavori per porle « in operational condition ». Siccome era già in corso la consegna dei dragamine si ritenne che il momento fosse particolarmente favorevole per cercare di concludere con la Jugoslavia, in relazione alle navi ancora da consegnare, un accordo analogo a quello stipulato con la Francia il 14 luglio precedente. Tale compito fu affidato, d'intesa fra la Marina e il Ministero degli Esteri, all'amm. Rubartelli che, nella seconda metà d'agosto, ebbe in proposito diversi colloqui con il col. Jezersek, rappresentante jugoslavo presso la Commissione navale delle quattro Potenze. Nel corso di questi colloqui, conclusisi il 30 agosto, l'amm. Rubartelli espose al col. Jezersek i desiderata del Governo italiano, fra i quali, preminenti, erano i due seguenti: a) una dichiarazione del Governo jugoslavo che le navi consegnate non costituivano un « bottino di guerra», ma un compenso per i danni arrecati dalla Marina italiana a quella jugoslava; b) la rinuncia da parte del Governo jugoslavo, oltre che al relitto irreparabile della M.Z. 717, a qualcuna delle altre unità che ancora dovevano essergli consegnate.
(79) Documento della Commissione 58/J del 18 marzo 1948. (80) Ecco, in ordine cronologico, le date di consegna: Drag. N. 6 (19 agosto 1948); N. 16 e N. 21 (25 agosto); N. 25 e N. 27 (27 agosto); N. 28 e N. 29 (14 settembre). (81) Documento della Commissione 91/J del 4 agosto 1948. (82) Si trattava quindi delle torpediniere Aliseo, Ariete e Indomito, della M.Z. 713, della cisterna / sarco e dei rimorchiatori Basiluu.o, Molara, Porto Conte e San Remo.
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Pochi giorni dopo, cd esattamente il 9 settembre, il col. Jezersek comunicò all'amm. Rubarlelli che il suo Governo, cui aveva riferito sui loro colloqui, non riteneva di accogliere i desiderata di quello italiano, il quale era· perciò invitato a dar corso senza ritardo alla consegna delle 9 unità richieste con il memorandum del 4 agos lo. Ciò nonostante le trattative non vennero interrotte e si trascinarono per alcuni mesi parallelamente a quelle riguardanti altre materie (la pesca nelle acque territoriali jugoslave, gli indennizzi per i beni italiani nazionalizzati dall a Jugoslavia etc.) concludendosi il 14 aprile 1949 con un accordo, firmato a Roma dall'amm. Rubartelli e il col. J czersek. Eccone i punti salienti: 1) Il Governo jugoslavo dichiarava che le navi da guerra che l'Italia doveva consegnare alla Jugoslavia ai sensi dell'art. 57 del trattato di pace (83) « non costituiva no un bottino di guerra ma un compenso per le perdite inmtte durante la guerra dalla Marina italiana a quella jugoslava». Dichiarava altresì, a conferma di quanto detto nel memorandum del 4 agosto, che era disposto ad accettare le 9 unità indicate nel memorandum s lesso nelle condizioni in cui si trovavano, rinunciando ai lavori per porle « in operational condition ». 2) Il Governo italiano si impegnava a trasferire a Spalato le suddette unità, con le loro dotazioni di munizioni e di pezzi di ricambio, entro il 2 maggio 1949. La responsabilità del Governo italiano per la sicurezza e la conservazione delle navi suindicate sarebbe cessata con la firma dei relativi atti di consegna, da effettuMsi entro tre giorni daWarrivo a Spalato delle unità. L'accordo ebbe regolare esecuzione, né si ebbero a lamentare incidenti (84). F) La quota della Grecia
Le navi assegnate alla Grecia dal protocollo delle quattro potenze del 10 febbraio 1947 erano 2 per complessive 7.654 tonn., e cioè: Incr. Eugenio di Savoia tonn. 7400 254 Nave cist. Aterno »
(83) Quindi anche i dragamine già consegnati. (84) Ecco in ordine cronologico, le date dl consegna a Spalato: Rim. Basiluzw e Porto Conte (23 aprile 1949); M.Z. 713 (25 aprile); Torp. Indomito (28 aprile); Torp. Ariete (30 aprile); Torp. Aliseo e Rim. San Remo (3 maggio); Cist. Isarco e Rim. Molara (19 maggio) . Le unità consegnate complessivamente alla Jugoslavia furono quindi 16 per tonn. 4.753. Sulle tre torpediniere il nome, prima del loro trasferimento a Spalato, fu tolto e sostituito con una sigla. Ecco le sigle: Ariete - Y 8, Aliseo - Y 9, Indomito - Y 10.
417 Quest'ultima unità, rimessa in efficienza, fu consegnata a Corfù il 5 agosto 1948. Più a lungo andarono invece le cose per l'Eugenio di Savoia, sia per l'importanza dell'unità, sia per il fatto che essa aveva bisogno di almeno due anni di lavori per riparare i gravissimi danni riportati allo scafo e, soprattutto, alla motrice di prora il 29 febbraio 1944, in seguito a urto contro mina (85). Per contro, da parte dell'opinione pubblica greca si attribuiva alla consegna un particolare valore morale e simbolico essendo notorio che l'unità era stata assegnata alla Grecia come compenso per la perdita del piccolo incrociatore Elli, silurato nell'ancoraggio dell'isola di Tino da un sommergibile italiano il 15 agosto 1940, quando la Grecia era ancora neutrale (86). Di qui l'interesse del Governo di Atene di avere al più presto l'unità e l'impossibilità di realizzare questo interesse, se voleva averla << in operational condition », come gliene dava diritto il trattato di pace. D'altra parte, come si è precedentemente veduto, la direttiva seguita dall'Italia per quanto riguarda ]a consegna delle navi era quella di temporeggiare e di cercare di ottenere dalla Potenza interessata alla consegna stessa degli alleggerimenti agli oneri impostile dal trattato di pace. Si iniziarono così dei negoziati fra le due parti che si conclusero con un accordo, firmato a Roma il 29 settembre 1948, i cui punti salienti erano i seguenti: 1) Il Governo greco dichiarava che « l'incrociatore Eugenio di Savoia non costituiva un bottino di guerra bensì una restituzione intesa a compensare i danni inflitti dalla Marina italiana a quella greca durante la guerra 1940-43 ». 2) Il Governo italiano si impegnava ad eseguire a sue spese, entro dieci mesi dalla firma dell'accordo (cioè entro il luglio 1949), tutti i lavori necessari per la rimessa in efficienza dell'unità, fatta eccezione per quelli da compiersi per riparare la motrice di prora. Ultimati che fossero stati detti lavori, l'unità, completa delle dotazioni di bordo (munizioni, pezzi di ricambio etc.), a cura del Governo italiano sarebbe stata trasferita in Grecia e ivi consegnata alle autorità elleniche. 3) La riparazione della motrice di prora sarebbe stata fatta a spese del Governo greco e sarebbe stata effettuata - con ritorno in Italia dell'unità - quando fosse stata ultimata la costruzione (da affidarsi dalla Marina a una ditta specializzata) del materiale necessario per la rimessa in efficienza di tale motrice. (85) Il periodo di due anni per riparare i danni fu considerato nel gennaio 1948 « più che ottimista se si tiene conto delle attuali condizioni dell'Italia», da un comitato di tecnici nominato dalla Commissione navale delle quattro Potenze. (86) Vedasi telesp. Min. Aff. Est. - Aff. Poi. a Min. Dif.-Mar., nr. 409 del S marzo 1948.
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Stipulato che fu l'accordo, la Marina avrebbe dovuto, senza ritardo, compiere i necessari passi per far fronte agli impegni presi, ma ciò avvenne soltanto otto mesi dopo, non avendo il Ministero del Tesoro assegnato tempestivamente i necessari fondi (87). A questa causa di ritardo altre se ne aggiunsero nel corso dei lavori cosicché - stando alle previsioni che era possibile fare nel febbraio 1950 - la consegna della nave, stabilita per la fine di luglio 1949, avrebbe potuto esser effettuata soltanto nel settembre 1950! Era un ritardo di oltre un anno, non stante le ripetute e giustificate proteste del Governo di Atene. In questa situazione la Marina (tenuto conto della data in cui la Soc. ANSALDO, alla quale era stato commissionato, avrebbe dovuto consegnare il materiale per la riparazione della motrice di prora dell'unità e della opportunità di evitare che questa tornasse in Italia con bandiera ed equipaggio greci, per compiere la seconda parte dei lavori) la Marina, dicevo, d'intesa con gli Esteri, prospettò all'ambasciatore di Grecia a Roma la convenienza che la nave fosse consegnata quando fosse stata pronta anche neZ.Za motrice di prora, cosa che si calcolava potesse avvenire sul finire del 1950 ( 88 ). Il Governo di Atene aderì a tale suggerimento cosicché il 1° giugno 1950, con uno scambio di lettere tra il ministro Sforza e l'ambasciatore greco in Roma l'accordo fra le due parti del 29 settembre 1948 fu modificato nel senso che il trasferimento dell'Eugenio di Savoia in Grecia avrebbe dovuto avvenire nella seconda metà del dicembre 1950 e in condizioni di piena efficienza anche per quanto riguardava la motrice di prora. Purtroppo anche la suddetta data non fu rispettata; per ritardi dell'ANSALDO nel fornire il materiale commissionatole, l'approntamento della nave slittò d'altri sei mesi! (89). Di conseguenza fu soltanto il 28 giugno 1951 che l'unità lasciò Ta· ranto per il Pireo, ove il 1° luglio ebbe luogo la consegna. Prima di partire le era stato tolto il nome, ·sostituendolo con la sigla G 2. I Greci la chiamarono Blli. (87) Il Ministero degli Esteri in una sua lettera a quello del Tesoro (Telesp. Aff. Poi. nr. 117 del 27 gennaio 1949) non mancò di fargli presente che con il suo comportamento aveva messo il Governo italiano « in una posizione falsa e imbarazzante, che lo esponeva al giustificato rimprovero di inadempienza di un impegno assunto», e che ciò « non poteva più oltre prolungarsi». (88) Vedasi fg. Min. Dif.-Mar. a Min. Aff. Est. nr. 1081 / UT del 18 aprile 1950. (89) In relazione a questi ritardi la Marina, con una lettera molto dura fece rilevare all'ANSALDO « la penosa e poco dignitosa situazione in cui questi ritardi ponevano il Governo il, quale si vedeva per essi costretto a dichiarare ancora una volta di non poter mantenere gli impegni presi ». (Fg. Min. Dif..Mar .. Uff. Tratt. nr. 2216/UT del 2 settembre 1950).
419 G) La quota dell'Albania
Il protocollo delle quattro Potenze del 10 febbraio 1947 assegnava all'Albania la cannoniera Illiria di 665 tonn. Per comprendere la posizione assunta dall'Italia sulla questione è opportuno fare un po' la storia di questa unità. Nel 1938 il Governo italiano, desiderando mettere a disposizione di re Zogu d'Albania una nave da diporto (90) e non avendone disponibili in Italia, diede incarico alla Marina di acquistare e armare un panfilo adatto allo scopo. Nell'agosto dello stesso anno la Marina acquistò ad Anversa il panfilo belga White Diamond e lo portò in Italia ove alzò bandiera italiana, assunse il nome di Illiria, fu messo in efficenza e venne migliorato nell'arredamento. Ai primi del successivo novembre l'unità ·si trasferì a Durazzo, armato con personale italiano, per disimpegnare il servizio di panfilo reale albanese. Per ovvie ragioni di opportunità, durante questo periodo essa alzò bandiera albanese. A metà dicembre 1938 l' llliria tornò in Italia ove trovavasi, sottoposto a ulteriori lavori, quando, nell'aprile 1939, il Regno d'Albania fu unito al Regno d'Italia. In conseguenza di questo avvenimento il panfilo fu iscritto dalla Marina nel Quadro del naviglio militare con la qualifica di « cannoniera », qualifica erronea trattandosi di unità da diporto, di nessun valore bellico e priva di qualsiasi armamento. E da rilevarsi che sia le spese di acquisto della nave, sia quelle per i lavori cui fu sottoposta e per il suo esercizio (anche durante il breve periodo che rimase a Durazzo), furono sostenute esclusivamente dalla Marina. « Da quanto sopra appare evidente si legge in una lettera che il ministro Sforza diresse il 3 marzo 1948 agli ambasciatori in Roma delle quattro Potenze - che l'Albania non può accampare il benché minimo diritto sul panfilo in argomento per il fatto che questo fu tenuto per un certo tempo a disposizione di re Zogu. « Così pure sarebbe assurda qualsiasi pretesa albanese sull'Illiria a titolo di riparazione, poiché l'Italia, come è noto, non ha causato all'Albania durante la guerra alcuna perdita di navi. « E' da presumersi che l'assegnazione all'Albania dell'unità sia ,stata provocata da errate notizie fornite nel 1946 al Consiglio dei Ministri degli Esteri dal F.O.L.I. (91), il quale - ingannato dal nome della nave e dall'aver questa, quando era a disposizione di re Zogu, inalberato bandiera albanese - ritenne che l'Illiria fosse stata presa dall'I-
(90) L'Albania era legata all'Italia dal trattato di alleanza del 22 novembre 1928. (91) Flag Officer Liaison Italy.
420 talia all'Albania. In base a tali notizie le quattro Potenze avrebbero disposto che il panfilo tornasse all'Albania come una doverosa restituzione ( (92). « Il governo italiano ha pertanto ritenuto necessario di chiarire l'esatta situazione dell'Illiria e di sottoporre la questione all'esame dei quattro ambasciatori. « Il Governo italiano prega, di conseguenza, le LL.EE. gli Ambasciatori dell'U.R.S.S., degli Stati Uniti d'America, di Gran Bretagna e di Francia di voler cortesemente dare disposizioni alla Commissione navale perché, nello svolgimento dei suoi lavori, soprassieda a prendere in considerazione le modalità per la consegna dell'Illiria sino a quando la questione non sarà risolta». La risposta dei quattro ambasciatori venne circa un anno dopo, ai primi di febbraio 1949 e fu negativa. Essa diceva sostanzialmente che, firmando il trattato di pace, il Governo italiano aveva accettato l'impegno di mettere l'Illiria a disposizione delle quattro Potenze, le quali, con il protocollo del 10 febbraio 1947, lo avevano assegnato all'Albania. Di conseguenza era compito della Commissione navale fissare le modalità per la consegna della nave. Era una risposta prevedibile, ma il passo compiuto aveva fatto guadagnare un anno, durante il quale, alle ripetute richieste di notizie circa la consegna dell'unità avanzate dalla Commissione navale, fu risposto che la questione era stata ·s ottoposta, per esser chiarita, all'esame dei quattro ambasciatori. Quando questi fecero conoscere il loro parere era ormai vicina la data in cui la Commissione doveva porre fine alla sua attività (93), cosicché non fu difficile, malgrado i suoi solleciti in merito (94 ), far giungere il giorno in cui la Commi·s sione cessò effettivamente i suoi lavori senza che fosse stata effettuata la consegna dell'unità, che continuò a esser utilizzata dalla Marina sino al giugno 1958, epoca in cui fu radiata dal Quadro del naviglio militare. 2. La distruzione dei sommergibili in servizio che non dovevano esser messi a disposizione delle quattro Potenze Il trattato di pace faceva obbligo all'Italia - come si è precedentemente veduto (1) - di affondare in acque profonde almeno 100 braccia
(92) Questo importante particolare risultava da informazioni confidenziali avute da un membro della Commissione navale nonché dal progetto di trattato di pace (alleg. IV-B) ove, a fianco del nome Illiria, era scritto « (precedentemente albanese) ». (93) 15 marzo 1949, anche se poi la protrasse sino al 5 maggio. (94) Doc. dalla Commissione 111/ F e 112/ F rispettivamente, del 15 e 24 marzo 1949. (1) Vedasi Cap. XI, 3/C.
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( 192 m.), ed entro tre mesi dall'entrata in vigore del trattato stesso (cioè entro il 15 dicembre 1947), tutti i sommergibili in servizio che essa possedeva, eccezion fatta per gli 8 che dovevano mettere a disposizione delle quattro Potenze (art. 58 nr. 1/c) (2). Prima di procedere all'affondamento, l'Italia: - avrebbe dovuto ricuperare i macchinari e i pezzi di ricambio neces·sari per completare le dotazioni dei sommergibili da mettere a disposizione delle quattro Potenze; - avrebbe potuto ricuperare per proprio · uso quei macchinari e quei pezzi di ricambio di carattere non bellico facilmente utilizzabili per impieghi di carattere civile (art. 58 nr. 2 e 3). Durante la Conferenza di Parigi l'Italia non aveva mancato di far rilevare l'assurdità della norma che imponeva di distruggere i sommergibili con l'affondamento, anziché con la demolizione, dato che quello, a differenza di questa, non avrebbe consentito all'Italia, economicamente stremata, di poter disporre di ingenti quantitativi di rottami ferrosi di cui aveva urgente bisogno. La sua voce era rimasta però inascoltata. I sommergibili che dovevano esser affondati erano 28 per 17.609 tonnellate (3).
{2) Il Trattato di pace - oltre a far obbligo all'Italia di affondare in acque profonde tutti i sornmergibili in servizio che essa possedeva, meno gli 8 che doveva mettere a disposizione delle quattro Potenze - le imponeva anche di demolire tutte le unità (sia di superficie che sommergibili) non in servizio (perché irreparabilmente danneggiate, in costruzione, ir. allestimento, affondate in porti o in acque poco profonde), fatta eccezione soltanto per quelle ausiliarie trasformabili per impieghi di carattere civile. Questo vincolo venne osservato tranne che per una piccola aliquota di unità che. sottoposte successivamente a radicali lavori, vennero riutilizzate. Tali unità furono le seguenti: Incrociatore G. Germanico: 1'8 settembre 1943 era in allestimento a Castellammare di Stabia. Affondato dai Tedeschi il 28 settembre, fu successivamente ricuperato e sottoposto, nel periodo 1953-55, a lavori di trasformazione. Rientrò in servizio come Ct. e con il nome di San Marco nel gennaio 1956. Corv. Crisalide e Farfalla: 1'8 settembre erano in corso di costruzione. Gravemente danneggiate dai Tedeschi, furono completate negli anni seguenti, entrando in servizio, la prima, nel settembre 1952, la seconda, nel febbraio 1953. Smg. Bario: all'armistizio era in corso di costruzione a Monfaicone e quivi fu ritrovato affondato alla fine del conflitto. Ricuperato, fu ricostruito nel periodo 1959-61, rientrando in servizio, destinato a compiti addestrativi, con il nome di P. Calvi. (3) I 28 sommergibili erano i seguenti: H 1, H 2, H 4, Speri, G. da Procida, Mameli, Pisani, Manara, Fratelli Bandiera, Menotti, Squalo, Bragadino, Corridoni, R. Settimio, ]alea, Galatea, Diaspro, Onice, Turchese, Otaria, Brin, Zoea, Cagni, C.B. 8, C.B. 9, C.B. IO, C.B. U C.B. 12. A questi 28 se ne dovevano aggiungere 3 piccoli {C.B. 7, C.B. 19, C.M. 1), per complessive 160 tonn. circa, che, in corso di costruzione o allestimento all'8 settembre 1943, erano stati trovati affondati in porti dell'alto Adriatico alla fine del conflitto. In totale erano quindi 31 batte!Ì per 18.000 tonn. in cifra tonda.
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Fin dal gennaio 1947 le autorità navali alleate avevano comunicato alla Marina quali erano i materiali che avrebbero potuto esser sbarcati da tali unità prima del loro affondamento per utilizzarli in impieghi di carattere civile (4) . Fu pertanto possibile, all'entrata in vigore del trattato (15 settembre 1947), dar subito inizio alle operazioni di smantellamento e di sbarco di detti materiali, operazioni che ebbero termine sul finire del s uccessivo novembre. Nel dar notizia di quanto sopra al Ministero degli Esteri (5) la Marina così proseguiva: « Entro il 15 dicembre p.v. si dovrà provvedere all'affondamento delle unità in profondità maggiori di 100 braccia, donde cioè non siano sicuramente più ricuperabili ... Prima di procedervi si ritiene che sarebbe però, più che opportuno, doveroso per il Governo italiano rivolgere un supremo appello alle quattro Potenze onde evitare l'attuazione di un gesto che non trova giustificazione di sorta, e che rappresenta un assurdo e delittuoso sperperamento di materiali cui la ragione si ribella ... « Mentre dal lato militare l'affondamento dei sommergibili non ha infatti alcun significato, in quanto essi sono già stati resi inutilizzabili, ... dal lato economico il materiale siderurgico che si potrebbe ricavare dalla demolizione dei suddetti scafi (circa 10.000 tonn. di rottami) sarebbe di non disprezzabile valore ai fini della riscostruzione nazionale. « Si propone pertanto di compiere i passi che saranno ritenuti più opportuni per cercare di ottenere che l'Italia sia autorizzata a demolire, anziché affondare, i sommergibili di cui trattas i ». La proposta veniva accolta dal Ministero . degli Esteri e il 28 novembre il ministro Sforza inviava agli ambasciatori in Roma delle quattro Potenze una lettera nella quale, dopo aver loro esposto le ragioni che militavano in favore della distruzione dei sommergibili per demolizione anziché per affondamento, così concludeva: « Il Governo italiano, mentre conferma che tutto è stato disposto per l'affondamento degli scafi di cui trattasi entro la data stabilita, lascia alle quattro Potenze di esaminare la questione prospettata alla luce delle sue esposte considerazioni ». La prima risposta ufficiale che si ebbe fu quella sovietica e fu negativa. « In risposta alla Sua lettera del 28 novembre di quest'anno scriveva l'amb. Kostylev al ministro Sforza il JO dicembre - ...ho l'onore di comunicare che, secondo il parere del Governo soviet:~o, la richiesta del Governo italiano pone il problema della revisione di una delle clau-
(4) I materiali di cui fu autorizzato lo sbarco - sotto controllo alleato furono soltanto i seguenti: « motori Diesel, motori elettrici principali, batterie, macchinari ausiliari che non riguardassero l'armamento. (Fg. F.0.L.I. nr. 946/17 del 28 gennaio 1947). {5) Fg. 5066/ UT del 22 novembre 1947.
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sole del Trattato di pace con l'Italia e che pertanto non può esser accolta» (6). Positive furono invece le risposte americana, britannica e francese, tutte del 13 dicembre e sostanzialmente eguali, le quali subordinavano però il loro assenso a due condizioni: che anche le tre altre Potenze fossero del pari d'accordo e che i sommergibili fossero demoliti, sotto il controllo dei quattro ambasciatori, entro il 15 aprile 1948 (7). L'unico ostacolo perché la questione si risolvesse felicemente per noi era quindi rappresentato dal « no » del Governo di Mosca. Lo stesso 13 dicembre il ministro Sforza inviò perciò all'ambasciatore Kostylev una lettera nella quale, dopo aver premesso che la questione era stata sottoposta a nuovo attento esame, così proseguiva: « Da tale esame è apparso che l'accoglimento della nostra richiesta non sembra debba implicare una revisione del trattato, ma semplicemente una variante nella modalità di esecuzione dell'articolo 58, paragrafo c, in quanto con la demolizione, così come con l'affondamento, si raggiungerebbe lo scopo che detto articolo si prefigge, e cioè la soppressione dei sommergibili di cui trattasi (8). « La richiesta del Governo italiano, ispirata unicamente a considerazioni di carattere economico ... è stata favorevolmente accolta dai Governi francese, britannico e nord-americano i quali tuttavia hanno condizionato la loro accettazione a quella del Governo sovietico. « Le sarò pertanto grato, caro Ambasciatore, se vorrà cortesemente far presente quanto sopra esposto al Suo Governo, chiedendo a nome mio di voler riesaminare favorevolmente la questione». Questo riesame portava all'accettazione anche da parte del Governo di Mosca della richiesta italiana e di ciò l'ambasciatore Kostylev dava comunicazione al ministro Sforza con lettera del 16 dicembre, nella quale precisava che l'accettazione stessa non poteva esser però interpretata come una revisione del trattato di pace.
(6) La risposta negativa, e per lo stesso motivo, era confermata il 12 dicembre dal Vice-Ministro degli Esteri <;ovietico Gusev al nostro ambasciatore a Mosca (Telesp. Min. Aff. Est. - Aff. Poi. a Min. Dif.-Mar. nr. 2087 del 12 dicembre 1947). (7) Dalle notizie fornite in merito al Ministero degli Esteri dalle nostre ambasciate a Washington, Londra e Parigi risulta che il Governo americano accolse subito la nostra richiesta e che si adoperò perché facessero altrettanto quelli di Londra e di Parigi che, in un primo tempo, erano perplessi: quest'ultimo soprattutto per l'atteggiamento negativo assunto dalla sua Marina. (Vedansi telesp. Min. Mf. Est. - Aff. Poi a Min. Dif.-Mar. nr. 2024 del 2 dicembre; 2043 e 2044 del 6 dicembre; 2069 del IO dicembre, 2082, 2083 e 2087 del 12 dicembre; 2158 del 22 dicembre 1947). (8) Ciò era vero, ma non c'è dubbio che si trattava, in ogni modo, di una modifica di una precisa norma del trattato di pace, modifica che - comunque fosse chiamata - a stretto diritto avrebbe dovuto raccogliere il consenso di tutti i firmatari del trattato stesso.
424 Occorreva ora dar corso - entro la fissata data del 15 aprile 1948 alla demolizione dei battelli ma ci si accorse subito che, entro tal termine, ben difficilmente essa avrebbe potuto esser ultimata. Di ciò si resero conto anche i quattro ambasciatori i quali, in una loro lettera del 30 gennaio 1948 al ministro Sforza, nel mentre confermavano come improrogabile per la demolizione dei sommergibili la data del 15 aprile 1948, comunicavano che questi sarebbero stati « considerati come demoliti » se, per tale data, avessero subito « almeno» ; le distruzioni allo scafo, all'apparato molare, all'impianto elettrice, e all'armamento indicate nella lettera stessa, distruzioni che erano tali da togliere ai battelli ogni valore bellico. A questa demolizione parziale avrebbe naturalmente dovuto far seguito rapidamente quella totale. Entro la data stabilita, a tutti i battelli furono effettuate: - sotto il vigile controllo dei quattro ambasciatori - le suddette distruzioni, dopo di che essi vennero demoliti in pezzi di peso non superiore alle 10 tonnellate ( 9). Era così chiuso questo doloroso capitolo.
(9) Fg. Min. Dif.-Mar. a Min. Aff. Est. nr. 3019/UT del 14 luglio 1948.
PARTE IV
LA REVISIONE DELLE CLAUSOLE POLITICHE E MILITARI DEL TRATTATO DI PACE
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Capitolo XV LE REVISIONE DELLE CLAUSOLE MIITARI
Il trattato prevedeva espressamente la possibilità della revisione delle ,s ue clausole soltanto per quelle militari (art. da 46 a 72) (1) e disponeva con il suo articolo 46 - come si è veduto - che essa potesse effettuarsi con un accordo tra tutte le Potenze Alleate e Associate e l'Italia oppure, quando questa fosse divenuta membro dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, con accordo tra il Consiglio di ,s icurezza di questa e l'Italia. Non c'è dubbio peraltro che, sulla base dei principi generali che regolano le convenzioni internazionali, anche le altre clausole del trattato (quelle territoriali, quelle politiche, quelle economiche ecc.) avrebbero potuto esser sottoposte a revisione mediante accordo fra tutte le Potenze Alleate e Associate e l'Italia (2). E' da rilevarsi infine che ognuna delle Potenze Alleate e As,s ociate avrebbe potuto, mediante accordi bilaterali con l'Italia, rinunciare, in tutto o in parte, a diritti conferitile dal trattato, a condizione naturalmente che tale rinuncia non fosse di pregiudizio ai diritti delle altre Potenze Alleate e Associate. Accordi di questo genere non avrebbero però potuto esser considerati formalmente accordi di revisione, non modificando essi « de jure » le clausole del trattato cui si riferivano ma praticamente avrebbero portato a una revisione « de facto» di queste clausole, sia pure limitatamente alle Parti firmatarie degli accordi stessi. Di queste tre vie che si sarebbero potuto battere per giungere a una revisione, le prime due non furono potuto ·seguire: non quella di un accordo fra l'Italia e tutte le Potenze Alleate e Associate, per l'atteggiamento negativo in merito assunto dall'U.R.S.S. e da alcuni Stati suoi satelliti; non quella di un accordo tra l'Italia e il Consiglio di sicurezza
(1) Il trattato parlava di « clausole militari, navali ed aeree"· Nel corso del presente capitolo sarà usato, per brevità di linguaggio, il termine « clausole militari» nell'intesa che esso comprende anche quelle navali ed aeree. (2) Le Potenze Alleate e Associate che firmarono il trattato furono, come si è veduto, 20 ma 2 di esse (Bielorussia e Ucraina) non lo ratificarono non divenendo così « Parti Contraenti » del trattato.
428 ddl'O.N.U. per il veto alla nostra ammissione in questa Organizzazione posto dall'Unione Sovietica, in violazione dell'impegno preso con il preambolo del trattato di pace di appoggiare la nostra candidatura (3). Non si può far certamente colpa al Governo italiano di non aver affrontato tempestivamente il problema della revisione del trattato. Questo infatti - come s i è visto precedentemente -(4) non era ancora firmato quando, il 20 gennaio 1947, il nostro Ministro degli Esteri, Nenni, consegnava agli ambasciatori in Roma delle quattro grandi Potenze una nota nella quale, dopo aver affermato che il trattato « urtava la coscienza nazionale», chiedeva che « fosse riconosciuto il principio della sua revisione sulla base di accordi bilaterali con gli Stati interessati». L'll febbraio, cioè poche ore dopo la firma del trattato, il ministro Sforza, da pochi giorni succeduto a Nenni a palazzo Chigi, inviava ai Governi di tutt'e venti le Potenze firmatarie un messaggio in cui, dopo aver sottolineato la durezza del trattato, affermava che l'Italia « s i sen(3) L'ammissione all'O.N.U. di nuovi membri, per disposizione statutaria, è di competenza dell'Assemblea Generale dell'Organizzazione, su raccomandazione del Consiglio di sicurezza della stessa. In quest'organo Stati Uni ti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Francia e Cina hanno diritto di veto nel senso che le decisioni del Consiglio, per essere valide, debbono avere ottenuto il voto favorevole di tutt'e cinque le suddette Potenze. In occasione dell'esame fatto dal Consiglio di sicurezza della domanda di ammissione presentata dal Governo di Roma nel maggio 1947, l'Unione Sovietica - pur riconoscendo che l'Italia aveva tutti i requisiti per esser ammessa subordinò il suo voto favorevole all'accettazione della domanda alla contemporanea accettazione di quelle avanzate dalla Romania, dalla Bulgaria e dall'Ungheria, cosa che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia si rifiutarono di fare, ritenendo che i tre Paesi balcanici non avessero tutti i prescritti requisiti. Di qui il veto sovietico del 21 agosto 1947 all'ammissione dell'Italia e quelli contemporanei degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, e della Francia all'ammissione della Rom.ania, della Bulgaria e dell'Ungheria. La posizione delle due parti rimase immutata anche nei successivi esami della domanda italiana da parte del Consiglio, benché la Corte internazionale di giustizia dell'Aja, con suo parere del 28 maggio 1948, avesse dichiarato illegittima Ja tesi sovietica di poter far dipendere l'ammissione nell'O.N.U. di un nuovo membro dall'ammissione contemporanea di altro aspirante. Da questo contrasto - che trovava la sua origine nella « guerra fredda» in atto tra le due parti derivarono i successivi veti sovietici all'ammissione dell'Italia () 0 ottobre 1947, 10 aprile 1948, 13 settembre 1949 e 6 febbraio 1952) e quelli contemporanei anglosassoni all'ammissione della Romania, della Bulgaria e dell'Ungheria. In occasione dell'ultimo veto l'Italia protestò violentemente a Mosca con nota presentata due giorni dopo nella quale dichiarava che esso « offendeva la dignità della Nazione italiana, ne ledeva un riconosciuto diritto e costituiva, da parte dell'U.R.S.S., la violazione di un impegno da essa sottoscritto e assunto nei confronti dell'Italia con il trattato di pace. Fu soltanto nel dicembre 1955 che - in seguito a un compromesso intervenuto fra le due parti - l'Italia venne ammessa all'O.N.U., unitamente ad altri 15 Paesi. (4) Cap. XII.
429 tiva in diritto per l'avvenire di contare su una revisione radicale di quanto poteva paralizzare o avvelenare la vita di una Nazione di quarantacinque milioni di esseri umani congestionati su un suolo che non li poteva nutrire ». Ai primi del marzo successivo il Presidente dell'Assemblea Costituente, Terracini, indirizzava ai Presidenti degli organi legislativi delle quattro grandi Potenze un messaggio in cui chiedeva che, nell'ambito dell'O.N.U. e attraverso pacifici accordi tra i Paesi interessati, fossero rivedute quelle clausole del trattato che imponevano all'Italia « mutilazioni territoriali intollerabili al sentimento nazionale; ingiuste umiliazioni al suo Esercito, alla sua Aviazione e alla sua Marina, prodigatisi nella lotta comune; oneri economici e finanziari insostenibili da un popolo stremato e immiserito ». Di necessità di revisione parlò il rnini•s tro Sforza nel discorso pronunciato il seguente 24 luglio all'Assemblea Costituente, in occasione della discussione sulla ratifica del trattato. Di « incancellabile diritto dell'Italia alla revisione delle condizioni di pace» si legge infine nell'ordine del giorno approvato dall'Assemblea Costituente il 31 luglio a chiusura del dibattito (5). Malgrado questa netta presa di posizione delle autorità italiane il problema della revisione trovò un ostacolo a una sua fattiva presa in considerazione da parte delle Potenze vincitrici per la tensione tra l'Unione Sovietica e i tre « Grandi» occidentali che, iniziatasi nel 1946, era andata via via accrescendosi nel 1947. Fu così che nel marzo 1948 la Marina inviò agli Esteri una lettera nella quale - dopo aver premesso che, in conseguenza della situazione internazionale (6 ), non era più possibile sperare in una sollecita revisione delle clausole militari che così gravemente incidevano sulle nastre possibilità di difesa - così proseguiva (7): « 4. Il trattato di pace parte dal presupposto di un'intesa fra le grandi Potenze, come lo dimostra chiaramente il fatto che a Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Russia, agenti di concerto e all'unanimità, è dovoluto il controllo dell'esecuzione del Trattato stesso. Lo stesso presuppo-
(5) I testi completi dei documenti citati sono riportati in Vedovato . Op. cit. bibl. (I) pg. 554, 563, 565, 597 e 616. ,(6) Il mese precedente, era avvenuto in Cecoslovacchia il noto colpo di Stato che aveva portato quest'ultima nell'orbita sovietica, accrescendo in grave misura i pericoli insiti nella « guerra fredda». (7) Min Dif.-Mar. - Fg. 1043/ UT del 7 marzo 1948. A questa data, come si è vedu to nel precedente capitolo, Stati Uniti e Gran Bretagna avevano già rinunciato alla consegna delle navi da guerra loro attribuite dal trattato; quella da effettuarsi alle altre Potenze beneficiarie (U.R.S.S., Francia, Jugoslavia e Grecia) praticamente non aveva avuto ancora inizio. (Solo alla Francia erano state consegnate due unità: l'avviso Eritrea e la petroliera Tarvisio).
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sto è a base dello statuto dell'O.N.U., il cui Consiglio di sicurezza può funzionare solo in quanto i cinque Grandi siano animati da spirito di collaborazione. « Oggi invece non solo le grandi Potenze non collaborano ma sono ogni giorno sempre più divise da dissensi. Sulla questione tedesca, su quella della ricostruzione europea, in Grecia, in Corea, nei Dardanelli, esse sono in contrasto. Il Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. è paralizzato dall'abuso che vi si fa i.iel diritto di veto, la Commissione per l'energia atomica è insabbiata, così come la Commissione per la riduzione degli .1rmamenti normali e il Comitato di Stato Maggiore Militare, il quale dovrebbe redigere il piano per la costituzione delle Forze a disposizione dell'O.N.U. La rivalità e il mutuo sospetto fra sovietici e anglo-sassoni fanno si che, in questo oscuro dopoguerra, anziché di pace e di collaborazione, si parli apertamente di possibilità di conflitti fra gli alleati di ieri. Insomma sono completamente mutate di fatto le basi su cui 1si voleva costruire quella pace di cui il trattato con l'Italia avrebbe dovuto essere una delle pietre. « Viene quindi fatto di chiedersi se, data una tale situazione, le Grandi Potenze possano esigere che l'Italia ottemperi a quelle clausole militari che la porranno, più di quanto già non sia, alla mercè del primo aggressore; vien fatto di chiedersi se le grandi Potenze, che sono venute meno alle promesse largamente fatte di ricostruire l'edificio mondiale in base a criteri di mutua tolleranza e comprensiva collaborazione, e che non hanno tenuto fede agli impegni presi con l'Italia nel trattato di pace (8), possano pretendere che l'Italia invece vi si attenga strettamente, a rischio della propria esistenza. « 5. E' noto inoltre che le mutilazioni territoriali e le limitazioni qualitative e quantitative relative alle Forze Armate italiane pongono l'Italia nella condizione di non poter contenere un attacco, sia che venga da oriente che da occidente. Le grandi Potenze invece hanno sostenuto che le Forze Armate lasciate all'Italia sono adeguate alle necessità della sua autodifesà e che, comunque, nel caso che essa fosse vittima in una aggressione, interverrebbero in suo aiuto le Forze dell'O.N.U. « Oggi delle Forze dell'O.N.U. non si parla nemmeno più, mentre i pericoli di aggressione all'Italia sono aumentati, sia in conseguenza della situazione internazionale, sia perché l'Italia costituisce proprio il cuscinetto tra i due blocchi in contrasto. Quindi, anche ammesso che le Forze lasciateci avessero potuto essere sufficienti a difenderci in un mondo pacifico e organizzato efficientemente sui principi della sicurezza collettiva, le stesse Forze non sono più sufficienti oggi che nuvole minacciose si addensano all'orizzonte e che di sicurezza collettiva non si osa nemmeno più parlare.
(8) Evidente allusione al veto posto dall'U.R.S.S. all'ammissione dell'Italia neU'O:N.U.
43'1 « Siccome il diritto all'autodifesa è un diritto naturale inalienabile e imprescrittibile, sia dei singoli che delle collettività, come riconosce l'articolo 51 dello statuto delle Nazioni Unite, sembra che l'Italia abbia il diritto di chiedere che, data la situazione internazionale contingente, sia sospesa almeno l'esecuzione di quelle clausole militari che sanciscono il disarmo delle sue già sguarnite frontiere e la riduzione ai minimi termini delle sue Forze Armate. « 6. Si nota infine che, al di là del cosiddetto "sipario di ferro", vincitori e vinti, organizzati ormai su sistemi politico-sociali analoghi, stanno pianificando le loro direttive: trattati culturali, di amicizia e di mutua assistenza, si stanno intrecciando fra vincitori e vinti. Si assiste così alle risibili misure di controllo del disarmo della Romania, dell'Ungheria, della Bulgaria, attuate dal loro alleato e protettore con i risultati che è facile immaginare. Dopo ciò, non è ammissibile che le grandi Potenze possano pretendere che l'Italia e •s oltanto l'Italia, sia la rassegnata esecutrice di clausole inique, sulle quali ormai gran parte dell'opinione pubblica mondiale ha manifestato la sua disapprovazione. « 7. Concludendo, sembra che le su esposte considerazioni diano al Governo italiano il diritto di chiedere alle grandi Potenze che, tenuto conto: - della manifesta impossibilità di poter raggiungere un accordo con le 20 Potenze Alleate ed As•sociate per una revisione delle clausole militari del trattato; - del mancato indispensabile assenso dell'Unione Sovietica alla domanda dell'Italia di essere ammessa nell'ONU ( dal che deriva l'impossibilità di affrontare in sede di Consiglio di sicurezza la questione della suddetta revisione); - della mutata situazione internazionale che rende ancor più manifesta l'incapacità dell'Italia ad autodifendersi con le sole Forze Armate lasciatele dal Trattato e dietro frontiere completamente sguarnite; - degli avvenimenti che si verificano in altre Nazioni, accomunate all'Italia nella sorte di vinte, e che praticamente svuotano di significato le sanzioni militari imposte a quelle Nazioni;
sia consentito all'Italia di soprassedere all'esecuzione delle clausole militari, navali ed aree del trattato di pace. « Questo Ministero non si nasconde che una simile richiesta, presentata sulla base di considerazioni per le quali è difficile stabilire dove finisca il fondamento giuridico e dove cominci quello politico, avrebbe scarse probabilità di essere accolta dalle grandi Potenze. « Nella migliore delle ipotesi è da prevedere chP e~se esaminerebbero con estrema prudenza la richiesta italiana e quasi certamente non si troverebbero d'accordo sul seguito da darvi. Con ciò la richiesta
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stessa, quand'anche non fosse respinta, resterebbe irrimediabilmente arenata. « Per questo motivo, tenuto conto dell'importanza della posta, specie per quanto riguarda le clausole navali che esigono provvedimenti immediati, concreti e irreparabili, quali la consegna o la distruzione di navi, e della validità degli argomenti che militano a nostro favore, questo Ministero ritiene di dover proporre al Governo di esaminare l'opportunità di compiere, per così dire, un atto di forza, di comunicare cioè alle grandi Potenze che, per le ragioni più sopra esposte, l'Italia 5ospende di dare esecuzione alle clausole militari, navali ed aeree del trattato di pace in attesa che la '>Situazione internazionale si chiarisca » . La risposta degli Esteri fu quella che era prevedibile (9). « La questione posta - diceva la lettera - sia per la intrinseca gravità, sia per la somma di intereS'si che involge, non può esser sollevata nell'attuale momento politico internazionale e interno (10) e, soprattutto, non potrebbe esser sollevata - per raggiungere i fini voluti - se non dopo un'adeguata preparazione diplomatica che ci assicuri gli indispensabili appoggi in campo internazionale». Non restò quindi alla Marina che dar corso all'esecuzione delle clausole del trattato che la riguardavano, cercando di attenuarle con gli accordi di cui si è parlato nel precedente capitolo ( 11). Nell'aprile 1949 l'Italia entrava a far parte del Patto Atlantico assicurandosi in tal modo la certezza che, in caso di aggressione, non (9) Telesp. Min. Aff. Est. - Aff. Poi. nr. 459 del 16 marzo 1948. (10) Erano prossime le elezioni per la formazione del primo Parlamento della Repubblica, elezioni che ebbero luogo il 18 aprile e che costituirono una netta affermazione della Democrazia Cristiana. (11) La posizione contraddittoria in cui le clausole militari del trattato ponevano l'Italia e la necessità quindi di sottoporle a revisione furono ben lumeggiate dal Presidente del Consiglio, De Gasperi, nell'intervista concessa il 25 aprile 1948 ali'« United Press » . « L'Italia vive oggi egli disse - sotto le gravi limitazioni di un trattato e sarebbe assurdo pensare che essa possa considerarsi allo stesso livello delle altre Potenze europee... I suoi armamenti sono oggi limitati e mentre ci viene chiesto di seguire una politica attiva in Europa, ci si impone di spendere alcuni miliardi per far saltare in aria forlificazioni lungo le frontiere, siano esse quelle con la Jugoslavia, siano quelle con la Francia. Ci viene anche prescritto di distruggere la nostra flotta. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno, è vero, rinunciato alle quote di naviglio loro assegnate dal trattato di pace, ma ciò nonostante noi siamo obbl:gati a demolire le unità lasciateci. Mentre io parlo, a La Spezia si stanno demolendo le due navi da battaglia da 35.000 tonn.: Italia e Vittorio Veneto. « Vorrei che si facesse comprendere all'opinione pubblica americana la situazione estremamente contradditoria in cui si trova oggi il nostro Paese. Da una parte vi è un vivo desiderio dell'Italia di condurre una politica più attiva in Europa a fianco delle altre Nazioni. Dall'altra però le limitazioni del trattato di pace, gli obblighi delle clausole militari, quale quelli della smilitarizzazione e della limitazione degli armamenti, ci impediscono di fare la minima delle cose che l'Europa attende da noi». (« Il Tempo» del 26 aprile 1948).
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sarebbe rimasta sola a fronteggiarla e che non le sarebbe mancato come non le mancò - l'aiuto americano per rafforzare le proprie Forze Arn:i.ate (sia pure entro i limiti stabiliti dal trattato di pace) e :lar così loro la capacità di resistere a un attacco armato e di ottemperare, verificandosi il « casus foederis », all'obbligo delfassistenza feciproca fra i firmatari del Patto. Era peraltro nell'ordine naturale delle cose che, permanendo, come )ermaneva, la tensione tra il blocco sovietico e quello atlantico i parecipanti a quest'ultimo avessero tutto l'interesse di dare all'Italia quella ibertà sovrana nel decidere sui suoi armamenti che le era negata dal trattato di pace. E questo interesse era vieppiù acuito dal fatto, noto fa tempo, che l'Unione Sovietica, non curandosi delle proteste dei tre Grandi ,. occidentali, aveva di fatto liberato dai vincoli che i rispettivi trattati di pace imponevano in materia di armamenti alla Romania, alla Bulgaria e all'Ungheria, gravitanti nella sua orbita (12). flria fu solo all'inizio del 1951 che la questione fu pasta chiaramente sul tappeto e lo fu per opera del senatore americano H.C. Lodge che, verso la metà di febbraio di tale anno. con lettera diretta al segretario di Stato Acheson propose che si addivenisse all'abrogazione delle clausole militari del trattato di pace dell'Italia le quali - con le loro limitazioni - rendevano problematico non solo che l'Italia potesse difendersi da un'aggressione, ma, più ancora, che potesse contribuire efficacemente all'organizzazione difensiva del Patto Atlantico. « Il che, concludeva la lettera, era male sia per l'Italia che per tutte le altre Nazioni firmatarie dell'alleanza,. (13). L'idea del sen. Lodge era sposata poco più di un mese dopo dal Senato americano che il 22 aprile - in occasione di un dibattito sull'invio di truppe americane in Europa - approvò a forte maggioranza (67 voti contro 20) una mozione presentata dal sen. A. Watkins con la quale si chiedeva « l'eliminazione dal trattato di pace italiano di tutte 1e disposizioni che impongono limitazioni alle Forze Armate italiane e mpediscono all'Italia di adempiere gli obblighi che le derivano dal Patto Atlantico» ( 14). {12) « I trattati di pace italiano e balcanici - fu osservato - sono nati insieme durante l'equivoco mercanteggiamento che ne caratterizzò l'elaborazione e i legami sono tutt'ora tanto forti che l'Italia non ha potuto ancora entrare nel1'0.N.U. per la mancata ammissione in essa dell'Ungheria, della Bulgaria e della Romania. Se sulle sponde del Danubio i trattati di pace sono considerati ormai « pezzi di carta ,. e la supervisione quadripartita sulla loro applicazione è sfumata, non sussiste più nessuna ragione perché l'Italia debba continuare a esser vincolata dal suo trattato». (« Relazioni Internazionali,. · 1951, pg. 190). (13) Bollettino U.S.I.S. del 21 febbraio 1951. (14) Per obiettività storica è da rilevare che la mozione del Senato americc1no non fu suggerita da una discussione generale sullo status dell'Italia, ma avvenne incidentalmente nel quadro, come già detto, di un dibattito assai animato sull'invio di un certo numero di divisioni americane in Europa. Siccome era intendimento
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Contemporaneamente da parte del nostro Ministro degli Esteri, Sforza, era dato avvio a tutta una vasta azione mirante alla revisione del trattato in tutte le clausole in cui essa era possibile, fra le quali erano naturalmente quelle militari. « A distanza di poco più di quattro anni dal giorno in cui avevo <'.ccettato il Ministero - scrive Sforza nelle sue Memorie - (15) assumendomi la dolorosa responsabilità della firma del trattato di pace, io potevo già dedicarmi allo smantellamento «politico» del trattato stesso, dopo aver mano a mano ottenuto la revisione « de facto » di molte Jarticolari clausole pesanti e assurde. Dico lo smantellamento « politico» o, meglio, come mi sono più volte espresso pubblicamente,« l'estinzione morale » del trattato di pace, giacché non potevo illudere ll}e stesso di riuscire a eliminare giuridicamente tutto intero il trattato nelle sue clausole più dure che erano e sono quelle territoriali. Purtroppo i diritti della guerra sono inesorabili per quanto riguarda i territori conquistati con le armi... In un certo senso, tutta la mia attività di Mintstrq degli Esteri dal '47 in poi riguardò la revisione « de facto» e « politica » del trattato di pace, nello stesso tempo che lo si subiva , de jure », come prova della nostra decisa volontà di cominciare una vita politica e diplomatica nuova ... E se la tensione tra Occidente e Russia impedì il logico e legittimo nostro ricorso al Consiglio ambasciatoriale dei quattro Grandi, prima, e, dopo, all'autorità ben maggiore dell'ONU - da cui il persistente veto sovietico ci escluse (16) - per ottenere una revisione graduale del trattato in quelle sedi naturali, fu giocoforza agire per altra via, sia per le clausole politiche e territoriali (Trieste e Territorio Libero di Trieste) sia per quelle economiche (beni italiani [all'estero] e riparazioni), sia infine per quelle militari. Abbiamo visto come la Dichiarazione tripartita (17) segnasse la pratica fine delle clausole relative a Trieste sancite dal trattato di pace. Circa le clausole economiche e militari, la mia azione dal 147 in poi portò a una moltitudine d'accordi per la liberazione dei beni italiani [all'estero J, conclusi della maggioranza dei membri del Senato (repubblicani soprattutto, ma anche democratici) di limitare il più possibile l'impegno militare degli Stati Uniti in Europa, era logico che si chiedesse una maggior partecipazione degli altri alleati alla difesa di questa. « Ma - osservò il sen. Watkins - come si può chiedere questa maggior partecipazione all'Italia se il trattato di pace non glielo consente? Sciogliamot..: dunque le mani». (« Il Tempo» e il « Messaggero» rispettivamente del 3 e -t aprile 1951). (15) Sforza - Op. cit. bibl., pg. 431 e seg. (16) Le Memorie di Sforza sono del 1952; anteriori quindi all'ammissione dell'Italia nell'O.N.U. (1955). (17) Sforza si riferisce alla Dichiarazione tripartita anglo-franco-americana del 20 marzo 1948 con la quale i Governi di Londra, Parigi e Washington si dichiararono pronti a negoziare ton quello italiano « un protocollo aggiunto al trattato di pace con l'Italia allo scopo di provvedere al ritorno del Territorio Libere;> di Trieste sotto la sovranità italiana ». La cosa non ebbe seguito per l'opposizione dell'Unione Sovietica e della Jugoslavia.
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con i vari firmatari del trattato, compresi gli Stati dell'Europa orientale; portò agli accordi navali ... ; portò alle trattative felicemente concluse per la restituzione all'Italia di alcune grandi e medie unità della sua flotta mercantile, immobilizzate durante il conflitto in acque straniere; ai vari accordi per le riparazioni... al ricupero dell'oro della Banca d'Italia asportato dai tedeschi; e del pari al ricupero di notevoli quantitativi di macchinario industriale e di pregevoli capolavori artistici. « Per le clausole infine, relative alla limitazione degli armamenti, bisognava pur ribellarsi, un giorno, al fatto constatato che tutti i satelliti sovietici avevano ormai violato i loro rispettivi trattati di pace riarmandosi sfacciatamente con la complicità della Russia... Bisognava prendere le nostre misure per non restare troppo indietro nel difendere la nostra sicurezza con mezzi adeguati. Perché non dire dunque apertamente il nostro pensiero in proposito? ... « Sulla base di queste considerazioni, e ritenendo che il collega straniero più adatto ad accogliere una tale apertura fosse il ministro francese Schuman, io indirizzai a lui una lettera personale sull'argomento il 5 di febbraio 1951 ». Il periodo più importante di questa lettera, della quale costituiva praticamente la conclusione, era il seguente: « Ecco, praticamente, quello che mi permetto di chiederLe: se non si possa arrivare finalmente a dichiarare che i rapporti tra l'Italia e gli AUeati (intendo dire i tre Grandi) sono ormai dettati dallo spirito dell'Alleanza Atlantica e che lo spirito che animava il trattato di pace è considerato dagli Alleati come per sempre sorpassato » ( 18). Comunicazione analoga il ministro Sforza indirizzò pochi giorni dopo al Ministro britannico, Bevin, e al Segretario di Stato americano, Acheson . Di questo passo confidenziale, fatto presso i colleghi francese, inglese e americano, Sforza dette notizia all'opinione pubblica con un'intervista concessa il 14 aprile al « New York Times », illustrandolo poi piLt compiutamente in un di>scorso tenuto a Genova il 20 maggio 1951. I tempi erano però ormai maturi - tanto più che la « guerra fredda» non accennava a diminuire - per portare la questione su un piano ufficiale, cosa che fu fatta verso la metà di luglio con la presentazione (18) La parte della lettera che riguardava specificatamente le clausole militari era la seguente: « Quanto alle clausole militari, il pensiero d'Italia è sempre stato, sin qui, che non valesse la pena di mettere il carro davanti ai buoi. Anche oggi questa è la nostra linea di condotta, giacché stiamp sviluppando le nostre forze difensive nei limiti previsti dal trattato di pace, secondo un programma che dovrebbe esser concluso verso la metà del 1952. Ma mi sembra che gli Alleati non possano non concordare con noi sul fatto che, se i Paesi dell'Europa orientale vicini all'Italia e alla Jugoslavia continual1J) ad armarsi al di là dei limiti imposti dai loro rispettivi trattati di pace, un problema urgente può sorgere per l'Italia, problema che De Gasperi ed io non possiamo ignorare a meno di non mettere in pericolo la sicurezza del nostro Paese ».
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a Parigi, Londra e Washington della richiesta di « un'iniziativa internazionale la quale sanzionasse l'estinzione dello spirito del trattato di pace e armonizzasse le sue clausole con l'esistente situazione» (19). La richiesta, sia pure in forma generica, era ribadita da De Gasperi il 31 luglio in occasione della presentazione del suo settimo Gabinetto nel quale, oltre alla Presidenza, aveva assunto il portafoglio del Ministero degli Esteri, in •s ostituzione di Sforza ritiratosi per ragioni di salute. « La logica intrinseca dell'alleanza atlantica e della collaborazione internazionale, egli disse in questa occasione, deve portare alla scomparsa di un trattato di pace che fu concepito e imposto come sanzione di guerra. Prendiamo atto con soddisfazione che tale punto di vista fa dei progressi presso gli Alleati » (20). Ed infatti pochi giorni dopo (esattamente il 22 agosto) il portavoce del Ministero degli Esteri francese rilasciava una dichiarazione nella quale - premesso che il trattato di pace con l'Italia, « concluso in un'atmosfera di grande diffidenza» verso quest'ultima, conteneva clausole che apparivano ormai « offen'sive e ingiustificate», e che il trattamento riservato all'Italia dall'Unione Sovietica presso l'ONU era « ingiusto e discriminatorio » - concludeva che il Governo di Parigi aveva preso l'iniziativa di proporre ai suoi alleati uno scambio di vedute per trovare una formula di « riabilitazione morale » dell'Italia. « Non si tratta - precisava il portavoce - di una revisione del trattato nel senso giurulico della parola. Una revisione del trattato è infatti possibile, in virtù del suo articolo 46, soltanto mediante due procedure, ... ambedue non adottabili per l'atteggiamento assunto dall'URSS. Non si può quindi trattare, allo stato delle cose, che di un adattamento del trattato, a mezzo di accordi bilaterali, il quale tenga conto dei fatti e di quanto, alla luce di questi fatti, esso contiene di penoso e di discriminatorio » (21). A questo comunicato faceva seguito il 26 settembre 1951 una dichiarazione comune dei Governi di Parigi, Washington e Londra la quale era stata concordata, in linea di massima, negli incontri collaterali alla Conferenza atlantica di Ottawa (15-20 settembre) e perfezionata a Washington negli incontri di De Gasperi con i dirigenti americani (24-26 settembre). Eccone il testo: « 1. -
I Governi della Francia, del Regno Unito e degli Stati Uniti
(19) Dichiarazione rilasciata il 17 luglio 1951 dall'incaricato d'affari a Washington, M. Luciolli, dopo la presentazione della richiesta al Dipartimento di Stato ( « Relazioni Internazionali », 1951, pg. 602). (20) « Relazioni Internazionali », 1951, pag. 621. (21) Il testo completo della dichiarazione è riportato in « Rela.zioni Internazionali», 1951, pag. 679.
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hanno esaminato quali siano i mezzi migliori per risolvere, nell'fateresse dello sviluppo armonico della collaborazione tra le Nazioni libere, i problemi posti dal Trattato di pace con l'Italia. « 2. Conformemente al desiderio del p0polo italiano, l'Italia che durante l'ultima parte della guerra ha lealmente collaborato con gli Alleati come cobelligerante - ha ristabilito le istituzioni democratiche. Nello spirito dello statuto delle Nazioni Unite, l'Italia non ha mai cessato inoltre di apportare agli altri Governi pacifici e democratici tutto il concorso che esige la solidarietà fra i popoli liberi. << 3. Ciò nonostante, sebbene l'Italia abbia avuto a varie riprese l'appoggio della maggioranza degli Stati membri votanti all'Assemblea Generale, essa non ha ancora ottenuto, per veto ingiustificabile, l'ammissione nelle Nazioni Unite, malgrado le disposizioni del trattato e del detto statuto.
« 4. Inoltre l'Italia si trova ancora soggetta, in base al trattato di pace, ad alcune restrizioni e incapacità, le quali non corrispondono più alla situazione attuale né allo « status » dell'Italia, come membro attivo e uguale della Comunità delle Nazioni democratiche e pacifiche. « 5. Ognuno dei tre Governi perciò dichiara di essere pronto a considerare favorevolmente una richiesta del Governo italiano tendente a rimuovere, per quanto concerne le sue relazioni individuali con l'Italia, le restrizioni e le discriminazioni permanenti attualmente in atto, le quali siano superate dagli eventi o non giustificate nelle attuali circostanze e che incidano sulla capacità dell'Italia di assicurare la propria difesa (22). « 6. Ognuno dei tre Governi conferma la sua decisione di compiere ogni sforzo per as•sicurare l'ingresso dell'Italia nelle Nazioni Unite. « 7. I tre Governi nutrono la speranza che questa Dichiarazione raccolga vasti consensi tra gli altri firmatari del trattato di pace e che essi siano del pari disposti ad agire nello stesso 1senso » (23).
Come è facile notare questa dichiarazione mirava, sotto il profilo pratico, a una revisione ristretta che, senza toccare diritti acquisiti di terzi, portas·se all'abolizione di restrizioni e limitazioni non più giustificate riguardanti la sovranità italiana; essa era inoltre formulata in modo da permettere che la revisione potesse effettuarsi di fatto a mezzo di una serie di atti bilaterali fra l'Italia e le singole Potenze Alleate e Associate, superando in tal modo l'ostacolo costituito dall'atteggiamento negativo in merito dell'Unione Sovietica e dei firmatari ·.;ituati nella sua sfera di influenza, atteggiamento che non consentiva
(22) Il corviso è dell'autore. (23) « Relazioni Internazionali » · 1951, pag. 755.
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di raggiungere quell'unanimità che era necessaria per una revisione in senso tecnico (24). La dichiarazione era comunicata subito dai tre Governi promotori alle altre diciassette Potenze Alleate e Associate che avevano firmato il trattato nonché alle quattro Potenze che, avendo aderito allo stesso, avevano assunto la veste di Potenze Associate (25). Dodici di questi Paesi accolsero subito favorevolmente la dichiarazione e cioè: Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Grecia, Irak, Messico, Nuova Zelanda, Olanda, Pakistan e Sud Africa. In senso nettamente contrario si pronunciò invece l'Unione Sovietica con una nota fortemente polemica indirizzata 1'11 ottobre ai tre Governi proponenti, nella quale si diceva di!sposta ad acconsentire aile proposte modifiche a due condizioni: a) che ad analoghe modifiche fossero sottoposti anche i trattati di pace della Romania, della Bulgaria, dell'Ungheria e della Finlan dia; b) che l'Italia si ritirasse dal blocco atlantico e non ammettesse nel suo territorio basi militari e Forze Armate straniere. Per quanto riguarda l'ammissione dell'Italia all'ONU il Governo di Mosca confermava il suo noto atteggiamento: era pronto a togliere il suo veto purché altrettanto facessero i tre «Grandi» occidentali nei riguardi dell'ammissione della Bulgaria, della Romania e dell'Ungheria (26 ). Visto che la netta maggioranza delle Potenze partecipanti al tratlato era favorevole ad addivenire a una revisione dello stesso secondo le linee indicate nella dichiarazione tripartita, 1'8 dicembre 1951 il nostro Ministro degli Esteri, De Gasperi, inviava a tutte le ventiquattro
(24) Rispondendo alle critiche rivoltegli in merito alla portata della dichiarazione, De Gasperi, parlando alla Camera dei deputati il 5 ottobre 1951, cosi si espresse: « Che cosa potevamo sperare quando abbiamo parlato di revisione del trattato? C'è davvero qualcuno che poteva pensare di rifare il corso delle cose, di proporre l'annullamento delle clausole territoriali, delle quali si era effettuata o subìta l'esecuzione, e, nei riguardi dei partecipanti al trattato, mettere in non cale i diritti di terzi e le riparazioni sulle quali accordi esecutivi bilaterali costituivano già un impegno contrattuale? ... Nelle intenzioni dei tre proponenti, alle quali certo noi non potevamo opporre argomenti, il tentativo di revisione doveva essere fatto in confronto di tutti i firmatari del trattato; quindi la proposta doveva esser fatta e stillata in modo da non rendere inizialmente e pregiudizialmente negativa la risposta. Ecco perché i limiti di tale revisione sono ristretti e non devono toccare i diritti di terzi... La revisione poteva quindi riferirsi, in fondo, soltanto all'abolizione di limitazioni e di discriminazioni unilaterali riguardanti la sovranità italiana ». (Il testo completo del discorso è riportato in « Relazioni Internazionali» - 1951, pag. 793). {25 Avevano aderito Albania, Irak, Messico e Pakistan. (26) Per il testo della nota e per le reazioni alla stessa da parte americana, inglese e francese, nonché per la presa di posizione in merito dell'Italia (discorso di De Gasperi al Senato del 16 ottobre 1951, nel quale egli parlò di « ingiusto ricatto») vedansi « .Relazioni Internazionali», 1951, pg. 808-810.
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Potenze che lo avevano firmato o che vi avevano aderito la nota che segue. « Ho l'onore di riferirmi alle dichiarazioni ripetutamente fatte dal Governo italiano e alla dichiarazione del 26 settembre dei Governi del Regno Unito, della Francia e degli Stati Uniti, nonché alle dichiarazioni fatte da rappresentanti di altri Governi circa l'anomalia venutasi a creare tra lo spirito e alcune clausole del trattato di pace italiano e la posizione che occupa oggi l'Italia. « La posizione dell'Italia quale membro attivo a parità di condizioni della famiglia delle Nazioni democratiche e amanti della libertà è stata universalmente riconosciuta. Lo spirito del trattato di pace, pertanto, non si accorda più con la situazione oggi esistente. « Il trattato di pace contemplava che l'Italia sarebbe stata ammessa come membro delle Nazioni Unite. Presupposto essenziale era che l'adesione universale ai principi dello statuto delle Nazioni Unite avrebl;:>e garantito la sicurezza dell'intera Comunità delle Nazioni democratiche e avrebbe perciò garantito anche la posizione dell'Italia come un membro a parità di condizioni di tale Comunità. « Questo presupposto, sulla base del quale il trattato di pace italiano fu firmato e ratificato, non è stato soddisfatto. Sebbene il preambolo del trattato prevedesse che l'Italia sarebbe divenuta membro con pieni diritti delle Nazioni Unite, l'ammissione dell'Italia, pur avendo ricevuto in tre occasioni l'appoggio della maggioranza degli Stati membri che votarono nell'As•s emblea Generale, è stata resa impossibile per quattro volte da veti ingiustificati, quando essa venne esaminata in seno al Consiglio di sicurezza. « Poiché l'Italia non fa parte delle Nazioni Unite, essa non può contribuire pienamente al pacifico sviluppo delle relazioni internazionali su una base di parità con le altre Nazioni né farsi valere in seno alle stesse Nazioni Unite per una revisione delle clausole del trattato nella maniera in esso prevista. « Frattanto l'Italia ha ristabilito le istituzioni democratiche, partecipa, in concerto con le altre Nazioni, a numerose organizzazioni internazionali che operano per stabilire pacifiche e feconde condizioni di vita tra i popoli del mondo, amministra un territorio sotto tutela in nome e per incarico delle Nazioni Unite e appoggia gli sforzi delle Nazioni Unite per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. « In queste circostanze, come g1a e stato dichiarato, lo spirito e certe disposizioni restrittive del trattato di pace non risultano appropriate. « Su istruzioni del mio Governo ho l'onore di proporre perciò che il Governo... e gli altri firmatari del trattato, cui identiche note sono state indirizzate, riconoscano che lo spirito del preambolo più non sussiste e che è stato sostituito dallo spirito dello statuto delle Nazioni
440
Unite: che le clausole politiche (articoli da 15 a 18) (27) sono superflue e che le clausole militari, limitatrici del diritto e della capacità di provvedere alla propria difesa (articoli da' 46 a 70 e relativi allegati) non sono conformi alla posizione dell'Italia quale membro, a parità di condizioni, della famiglia delle Nazioni democratiche e amanti della libertà » (28). Delle 24 Potenze interpellate: 15, accolsero senza condizioni la richiesta italiana e cioè Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Grecia, Irak, Messico, Nuova Zelanda, Olanda, Pakistan e Sud Africa; 1 (India) accompagnò la sua adesione con lievi considerazioni di pura forma; 2 (Etiopia e Jugoslavia) subordinarono una loro risposta favorevole al regolamento di particolari aspetti dei loro rapporti con l'Italia; 4 (URSS, Albania, Cecoslovacchia e Polonia) posero come condizione per l'accettazione della richiesta dell'Italia che essa uscisse dal blocco atlantico e che ·si impegnasse a non ammettere nel suo territorio basi militari e Forze Armate straniere;
2 (Ucraina e Bielorussia) non risposero (29), (30). In conseguenza dei larghi consensi raccolti dalla richiesta di revisione avanzata, il Ministerc, degli Esteri, in un suo comunicato del 22 dicembre 1951, dichiarava che l'Italia aveva ormai « superato le umilianti condizioni che 1~ erano state imposte col "diktat" del 1947 », essendo stato riconosciuto che lo spirito del trattato di pace - in particolare del suo preambolo - era stato « sostituito dai principi informatori dello statuto delle Nazioni Unite», che le clausole politiche erano « sorpassate » e che quelle militari erano « decadute» (31 ). Tale
(27) Detti articoli facevano obbligo all'Italia: di assicurare a tutte le persone soggette alla sua giurisdizione il godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 15); di non persegmre in alcun modo i cittadini italiani che, durante il conflitto, avessero agito in favore degli Alleati (art. 16); di non permettere la rinascita nel suo territorio di organizzazioni fasciste o analoghe, (art. 17); di riconoscere i trattati di pace fra le Potenze Alleate e Associate e la Romania, la Bulgaria, l'Ungheria, la Finlandia, l'Austria, la Germania e il Giappone (art. 18). (28) « Relazioni Internazionali», 1951, pag. 961. Il corsivo dell'ultimo comma è dell'autore. (29) Ucraina e Bielorussia, pur figurando tra i Paesi firmatari del trattato, non lo avevano successivamente ratificato, non acquistando in tal modo la veste di « Parti Contraenti » dello stesso. (30) I dati di cui sopra sono stati desunti dal telespresso del Min. Aff. Est. Aff. Pol. a Min. Dif.-Mar. nr. 2084 del 28 novembre 1952. {31) Il comunicato e le contemporanee dichiarazioni in merito di un portavoce di palazzo Chigi sono riportate in « Relazioni Internazionali» 1951, pag. 1012.
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superamento, preciso successivamente detto Ministero a quello della Difesa, doveva considerarsi operante anche nei riguardi degli Stati che non avevano dato la loro adesione alla nota dell'8 dicembre 1951 (32). Per quanto riguarda la Marina, la decadenza delle clausole militari del trattato significava particolarmente: a) fine delle limitazioni riguardanti le opere militari delJa costa ligure e di quella veneta, della Penisola Salentina, della Sicilia e della Sardegna, La Maddalena compresa; b) fine dell'obbligo della smilitarizzazione delle isole di Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Lampione (nel canale di Sicilia) e Pianosa (in Adriatico); c) fine del divieto di possedere alcuni tipi di armi (armi atomiche, proiettrn guidati o ad autopropulsione diversi dai siluri navali, cannoni di gittata superiore a 30 km, siluri e mine marine funzionanti ad influenza, •siluri con equipaggio) e alcuni tipi di navi (corazzate, portaerei, sommergibili, motosiluranti, mezzi navali d'assalto); d) fine del divieto di possedere un tonnellaggio globale di navi da combattimento superiore alle 67.500 tonnellate; e) fine del divieto di superare, per il personale in servizio, la cifra di 25.000 uomini, ufficiali compresi; f) fine del divieto di impartire un'istruzione navale, sotto qualsiasi forma , a personale non in servizio: In sintesi, il superamento delle clausole militari significava, per la Marina, riacquisto della più ampia libertà ·di organizzarsi - entro i limiti delle possibilità finanziarie di cui poteva disporre nel modo ritenuto più conveniente per provvedere alla difesa del Paese e per adempiere gli obblighi a questo derivanti dalle alleanze alle quali isi :!ra legato. La « deminutio capitis » che durava da otto anni aveva così fine.
(32) Fg. Min. Dif. - Gab. al Segr. Gen. Mar. nr. 2855 del 12 luglio 1952. In proposito è da ricordare che, avendo il Governo Sovietico, il 6 febbraio 1952, posto un quinto veto all'ammissione dell'Italia all'O.N.U., due giorni dopo il Governo italiano presentò a quello di Mosca una nota nella quale si diceva, fra l'altro: « Il Governo italiano eleva la più energica protesta contro tale violazione dell'impegno assunto con il trattato di pace e dichiara al tempo stesso che ogni ulteriore applicazione da parte sua degli obblighi che il trattato medesimo ha imposto all'Italia nei confronti dell'U.R.S.S., non potrà che adeguarsi alla situazione determinatasi a causa dell'atteggiamento del Governo sovietico». (La nota è riportata in « Relazioni Internazionali ». 1952, pag. 189).
ALLEGATI
445 Au.a;. l
Presidenti del Consiglio, Ministri per gll Affari Esteri, Ministri per la Marina (per la Difesa dal 3 febbraio 1947), Capi di Stato Maggiore della Marina, dal 25 luglio 1943 al 15 luglio 1953.
Presidenti del Consiglio
Ministri per gli Affari Esteri
Ministri per la Marina
maresc. BADOGLIO Pietro (25-7-1943 • 16-2-1944)
amb. GUARIGLIA Raffaele (25-7-1943 • 15-11-1943)
amm. div. DE COURTEN Raffaele (25-7-1943 - 16-2-1944)
Capi di S.M. della Marina
maresc. BADOGLIO Pietro (16-11-1943 . 16-2-1944) maresc. BADOGLIO Pietro (17-2-1944 • 214-1944)
maresc. BADOGLIO Pietro 17-2-1944 • 21-4-1944)
amm. div. DE COURTEN Raffaele (17-2-1944 - 21-4-1944)
maresc. BADOGLIO Pietro (22-4-1944 · 17-6-1944)
marcsc. BADOGLIO Pietro 22-4-1944 - 17-6-1944)
amm. div. DE COURTEN Raffaele (22-4-1944 • 17-6-1944)
BONOMI Ivanoe (18-6-1944 • 11-2-1944)
BONOMI Ivanoe (20-7-1944 . 11-12-1944)
amm. div. DE COURTEN Raffaele (18-6-1944 - 11-12-1944)
BONOMI Ivanoe (12-12-1944 - 18-6-1945)
DE GASPERI Alcide (12-12-1944 . 18-6-1945)
amm. div. (I) DE COURTEN Raffaele (12-12-1944 - 18-6-1945)
PARRI Ferruccio (19-6-1945 • 10-12-1945)
DE CASPERI Alcide (19-6-1945 - 10-12-1945)
amm. squad. DE COURTEN Raffaele (19-6-1945 • 10-12-1945)
DE GASPERI Alcide (11-12-1945 • 14-7-1946)
DE GASPERI Alcide (I 1-12-1945 . 14-7-1946)
amm. squad. DE COURTEN Raffaele (ll-12-1945 • 14-7-1946)
DE CASPERI Alcide (15-7-1946 • 2-2-1947)
DE CASPERI Alcide (15-7-1946 - 17-10-1946)
MICHELI Giuseppe (15-7-1946 . 2-2-1947)
NENNI Pietro (18-10-1946 • 2-2-1947) (1) Ammiragilo di squadra dal 29-1-1945.
amm. div. (I) DE COURTEN Raffaele (29-7-43 • 31-12-46)
446 Capi di S.M. della Marina
Presidenti del Consiglio
Ministri per gli Affari Esteri
Ministri per la Difesa
DE GASPERI Alcide (3-2-1947 • 30-5-1947)
SFORZA Carlo (3-2-1947 • 3().5-1947)
GASPAROTTO Luigi (3-2-1947 • 3().5-1947)
DE GASPERI Alcide (31-5-1947 . 14-12-1947)
SFORZA Carlo (31-5-1947 • 14-12-1947)
CINGOLANI Mario (31-5-1947 • 14-12-1947)
DE GASPERI Alcide (15-12-1947 • 23-5-1948)
SFORZA Carlo (15-12-1947 • 23-5-1948)
FACCHINETTI Cipriano (15-12-1947 · 23-5-1948)
DE GASPERI Alcide (24-5-1948 . 26-1-1950)
SFORZA Carlo (24-5-1948 . 26-1-1950)
PACCIARDI Randolfo (24-5-1948 • 26-1-1950)
DE GASPERI Alcide (27-1-1950 • 25-7-1951)
SFORZA Carlo (27-1-1950 . 25-7-1951)
DE GASPERI Alcide (26-7-1951 • 15-7-1953)
DE GASPERI Alcide (26-7-1951 . 15-7-1953)
PACCIARDI Randolfo (27-1-1950 . 25-7-1951) amm. squad. FERRERI Emilio PACCIARDI Randolfo (4-1 l-48 • 10-8-55) (26-7-1951 . 15-7-19!-3)
(2) Ammiraglio di squadra dal 16-8-1947.
amm. div. (2) . MAUGERI Francesco (1-1-47 • 3-11-48)
447
Au.EG. 2·A
Armlstlzlo tra l'Italia e le Potenze Alleate, firmato a Casslblle il 3 settembre 1943. (1 ) (Annlstlzlo corto)
Le seguenti condizioni di armistizio sono presentate dal
Generale DWIGHT D. EISENHOWER Comandante in Capo delle Forze alleate
il quale agisce per delega dei Governi degli St!\ti Uniti e della Gran Bretagna e nell'interesse delle Nazioni Unite, e sono accettate dal Maresciallo PIETRO BADOGLIO Capo del Governo italiano 1. italiane.
Cessazione immediata di ogni attività ostile da parte delle Forze Armate
2. - L'Italia farà del suo meglio per non consegnare ai Tedeschi qualunque cosa che possa essere usata contro le Nazioni Unite. 3. - Tutti i prigionieri e gli internati delle Nazioni Unite dovranno essere consegnati immediatamente al Comandante in Capo alleato e nessuno di essi potrà, ora o più tardi, essere trasferito in Germania. 4. - Trasferimento immediato della flotta e degli aerei italiani nelle località che potranno esser indicate dal Comandante in Capo alleato, unitamente alle disposizioni dettagliate sul loro disarmo che saranno da lui stabilite. 5. - Il naviglio mercantile italiano potrà essere requisito dal Comandante in Capo alleato per provvedere alle necessità del suo programma militare-navale. 6. - Consegna immediata agli Alleati della Corsica e di tutto il territorio italiano, sia insulare che continentale, per essere usati come basi di operazioni o per quelli altri scopi che gli Alleati potranno ritenere opportuni. 7. - Garanzia immediata di libero uso da p~rte degli Alleati di tutti i porti e aeroporti del territorio italiano, indipendentemente dall'andamento dell'evacuazione dello stesso da parte delle Forze tedesche. Questi porti e aeroporti dovranno essere protetti dalle Forze Armate italiane finché questo compito sarà assunto dagli Alleati.
(l) Traduzione non ufficiale.
448 8. - Immediato richiamo in Italia, con cessazione di ogni loro partecipazione alla guerra in corso, delle Forze Armate italiane, ovunque dislocate. 9. - Garanzia da parte del Governo italiano che, se necessario, impiegherà tutte le Forze Armate di cui potrà disporre per assicurare una pronta ed esatta osservanza di tutte le disposizioni di questo armistizio. 10. - Il Comandante in Capo delle Forze alleate si riserva il diritto di pl'endere qualsiasi misura che egli ritenga necessaria per la tutela degli interessi delle Forze alleate al fine del proseguimento della guerra. e Il Governo italiano si Impegna di prendere quelle misure amministrative o di altro genere che potranno essere richieste dal Comandante in Capo. [n particolare il Comandante in Capo istituirà un Governo militare alleato in quelle parti del territorio italiano in cui lo riterrà necessario nell'interesse militare delle Nazioni alleate. 11. - Il Comandante in Capo delle Forze alleate a\'l·à il pieno diritto di imporre misure di disarmo, di smobilitazione e di smilitarizzazione. 12. - Altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario, che l'Italia sarà tenuta ad ossen•are, saranno trasmesse successivamente. Le condizioni di questo armistizio non saranno rese di pubblico dominio senza la previa approvazione del Comandante in Capo alleato (2). Il testo inglese sarà considerato quello ufficiale (3 ). Sicilia, 3 settembre 1943. Per il Maresciallo PIETRO BADOGLIO Capo del Governo italiano GIUSEPPE CASTELLANO Generale di brigata addetto al Comando Supremo italiano
Per DWIGHT D. EISENHOWER Generale dell'Esercito degli S.U., Comandante in Capo delle Forze alleate WALTER B. SMITH Maggiore Generale Capo di Stato Maggiore
(2) Ii testo di questo arm1st1z10 fu reso di pubblico dominio dagli Alleati ,a mezzo di un comunicato « Reu ter » l' I I settembre 1943. La pubblicazione ufficiale ebbe luogo il 6 novembre 1945. (3) Il testo sopra riportato è - come già si è detto - una traduzione dal testo in· glese e non il testo ufficiale italiano. E ciò perché quest'ultimo, preparato dagli Alleati è insoddisfacente nella forma. (Il 1esto ufficiale è riportato nel 59• volume della collana « Trattati e Convenzioni Ira l'Italia e &li altri Stati •, edita da Ministero degli Affari Esteri).
449 ALLEG. 2·B
Promemoria da unire alle condizioni d'armistizio presentate dal Generale Eisenhower al Comandante in Capo Italiano. ( 1) (Memorandum di Quebec)
Queste condizioni (2) non contemplano assistenza attiva dell'Italia nel com· battere i Tedeschi. La misura nella quale queste condizioni saranno modificate in favore dell'Italia dipenderà dall'entità dell'aiuto che il Governo e il popolo italiani daranno realmente alle Nazioni Unite contro la Germania durante la rimanente parie della guerra (3). Le Nazioni Unite tuttavia dichiarano senza riserva che, ovunque le Forze italiane o gli Italiani combatteranno contro i Tedeschi o distrug· geranno beni tedeschi od ostacoleranno movimenti tedeschi, essi riceveranno tutto l'aiuto possibile da parte delle Forze delle Nazioni Unite. Nel frattempo, se ver· ranno fornite immediatamente e regolarmente informazioni sul nemico, i bombardamenti degli Alleati saranno dirttti, nel limite del possibile, sugli obiettivi che influiscono sui movimenti e sulle operazioni delle Forze tedesche. La cessazione delle ostilità fra le Nazioni Unite e l'Italia avrà luogo a partire dalla data e dall'ora che saranno comunicate dal generale Eisenhower. Il Governo italiano dovrà assumere l'impegno di proclamare l'armistizio non appena esso sarà annunciato dal gen. Eisenhower e di ordinare alle sue Forze militari e al suo popolo di collaborare con gli Alleati e di resistere ai Tedeschi, da quel momento. Il Governo italiano all'atto dell'armistizio dovrà ordinare che siano immediatamente rilasciati tutti i prigionieri delle Nazioni Unite in pericolo di essere catturati dai Tedeschi.
( I) Traduzione non ufficiale.
Questo documento - il cui titolo ufficiale era « Aide Mémoire to Accompany Condi· tions of Armistice. presented by Generai Eisenhower to Italian Commander in Chief », e che è passato alla storia come « memorandum di Quebec » o « documento di Quebec " era praticamente il testo del telegramma che Roosevelt e Churchill. riuniti a Quebec (Canadà), inviarono al gen. Eisenhower il 18 agosto 1943, dopo essere stati informati dall'ambasciatore britannico a Madrid, sfr Samuel Hoare, della missione a Lisbona del gen. Castellano. Il memorandum fu consegnato dal gen. Smith al gen. Castellano, durante il loro incontro ddla sera del 19 agosto 1943, unitamente allo « short armis1ice », come risulta anche dal suo titolo. Ciò nonostante esso non fu pubblicato né 1'11 settembre 1943, quando det· to armistizio fu reso di pubblica ragione a mezzo di comunicato « Reuter "· né il 6 novembre 1945, quando ttttti i documenti armistiziali furono pubblicati ufficialmente da parte degli Alleati. Il Governo italiano in questa seconda occasione protestò immediatamente, ma inutilmente, per questa omissione dato che il memorandum, disse, « era, di fatto, strettamente collegato nel tempo e, soprattutto, nello spirito, con l'« armistizio corto• del 3 settembre• (Vedansi • Foreign Relations • cit. bibl., 1945, voi. [V, pag .1080 - 1082). (2) Le condizioni cioè dello • short armistice ». (3) Il corsivo è dell'autore.
450 Il Governo italiano all'atto dell'armistizio dovrà ordinare alla flotta italiana e alla maggior parte possibile della Marina mercantile di salpare per porti alleati. Il maggior numero possibile di aerei militari dovrà recarsi in basi alleate. Qualsiasi nave o aereo in pericolo di essere catturato da parte dei Tedeschi dovrà essere distrutto. Nel frattempo vi sono molte cose che il maresciallo Badoglio può fare senza che i Tedeschi si accorgano di quello che si sta preparando. La natura precisa e l'entità della sua azione sono lasciate al suo giudizio; si suggeriscono peraltro Le seguenti direttive generali: l) - resistenza generale passiva di tutto il Paese, se questo ordine può essere trasmesso alle autorità locali senza che i Tedeschi lo sappiano; 2) - piccole azioni di sabotaggio in tutto il Paese, specialmente delle comunicazioni e degli aeroporti usati dai Tedeschi; 3) - salvaguardia dei prigionieri di guerra alleati. Se la pressione dei Tedeschi per farseli consegnare diventasse troppo forte, essi dovranno essere rila· sciati; 4) - nessuna nave da guerra dovrà essere lasciata cadere in mano tedesca. Dovranno essere date disposizioni per esser certi che tutte queste navi possano salpare per i porti indicati dal generale Eisenhower, appena egli ne avrà dato l'ordine. I sommergibili italiani non dovranno essere richiamati dalla Loro missione dato che ciò svelerebbe al nemico il nostro comune intendimento: 5) - nessuna nave mercantile dovrà essere lasciata cadere in mano tedesca. Le navi mercantili nei porti del nord dovranno salpare, se possibile, per i porti indicati dal generale Eisenhower: 6) - non dovrà essere consentito ai Tedeschi d'impadronirsi delle difese costiere italiane; 7) - predisporre piani, da attuarsi al momento opportuno, perché le unità italiane nei Balcani si spostino verso La costa al fine di essere trasportate in Italia dalle Nazioni Unite.
451 ALLEG. '
Istntzioni per i1 trasferimento delle navi da guerra e mercantili italiane ( 1) . ( Promemoria Dick)
Essendo stato concordato che tutte le navi da guerra e mercantili italiane lasceranno le acque dell'Italia il più rapidamente possibile alla proclamazione dell'armistizio da parte delle Nazioni Unite, sono state preparate le istruzioni generali che seguono per facilitare e favorire i necessari trasferimenti.
NAVI DA GUERRA
2. Porti di riunione porti nei quali le navi da guerra potranno recarsi sono terra, Palermo, Malta, Augusta, Tripoli, Haifa e Alessandria.
seguenti: Gibil-
3. Rotte per le navi trovantisi nella costa occidentale [dell'Italia] a) Tutte le navi da guerra trovantisi nelle coste occidentali dell'Italia a nord del 42" parallelo dovranno portarsi a nord della Corsica e far rotta quindi verso sud passando a ponente della Corsica e della Sardegna in modo da arrivare durante le ore diurne al largo del porto di Bona. Quivi incontreranno [navi alleate) che daranno loro istruzioni per l'ulteriore rotta. Le navi - salvo disposizione contraria - non dovranno avvicinarsi al porto di Bona più di S miglia. b) Le navi da guerra trovantisi nei porti occidentali dell'Italia a sud del 42• parallelo dovranno dirigere verso nord lungo la costa sino a raggiungere il suddetto parallelo; dovranno far rotta quindi verso ovest sino alla costa orientale della Corsica, dirigere successivamente verso sud costeggiando la Corsica e la Sardegna e proseguire infine per Bona dove riceveranno istruzioni, come indicato nella lettera a). c) Le piccole un ità trovantisi a nord del 42· parallelo dovranno far rotta per La Maddalena seguendo la costa orientale della Corsica e dirigere quindi, appena possibile, per Bona. Le piccole unità trovantisi a sud del 42· parallelo dovranno rimanere in porto, salvo che vi sia immediato pericolo di cattura da parte dei Tedeschi. In questo caso le unità trovantisi a Napoli o a nord di Napoli dovranno far rotta per Augusta seguendo la costa e attraverso lo stretto di Messina.
(I) Traduzione non ufficiale.
452 4. Rotte per le navi trovantisi nella cnsta orientale [dell'Italia] e in Egeo
a) Tutte le navi da guerra trovantisi a Taranto, in Adriatico o nei porti orientali dell'Italia dovranno dirigere per Malta arrivandovi direttamente, provenendo da est, durante le ore diurne. b) Le unità minori e le piccole unità potranno far rotta direttamente per Augusta. c) Tutte le navi da guerra trovantisi in Egeo dovranno recarsi ad Haifa.
5. Istruzioni per il trasferimento e l'arrivo a) Le navi dovranno salpare appena possibile, dopo il tramonto, il giorno della proclamazione [dell'armistizio) e navigare alla più alta velocità sino al sorgere del giorno. b) ,La velocità dovrà essere regolata in modo che l'arrivo entro la portata dei cannoni dei porti o delle difese costiere degli Alleati non avvenga prima che sia giorno fatto. c) L'avvicinamento alla costa dovrà essere effettuato a bassa velocità (non più di 12 nodi). d) E' importante che le navi da guerra arrivino a gruppi. L'arrivo isolato non è conveniente e dovrà essere evitato per quanto possibile.
6. Istruzioni circa le armi Tutti i cannoni dell'armamento principale ed i lanciasiluri dovranno es<;ere brandeggiati per chiglia. E' concessa invece libertà d'azione per le armi contraeree, ma il fuoco potrà essere aperto soltanto in caso di chiara azione ostile da parte di un aereo.
1. Riconoscimento Tutte le navi da guerra durante il giorno dovranno alzare all'albero di maestra (o all'albero che hanno, per quelle che ne posseggono uno solo) un pennello nero o blu scuro, il più grande possibile. Grandi dischi neri potranno essere posti in coperta come segnale di riconoscimento per gli aerei. Qualora durante la notte fossero incontrate altre navi, per farsi riconoscere saranno accesi i fanali di via con luce attenuata e sarà trasmesso il segnale « G A ». 8. Sommergibili·
a) I sommergibili dovranno navigare in superficie sia di giorno che di notte. b) Quelli provenienti dai porti dell'Italia continentale o della Sardegna dovranno seguire le stesse rotte prescritte per le altre navi da guerra e dovranno essere scortati, se possibile, da unità di superficie. c) I sommergibili in mare dovranno far rolla, in superficie, per il più vicino dei porti indicati nel precedente paragrafo 2.
453 9. Condizioni generali Sia chiaro che le navi dovranno essere pronte, dopo che avranno preso contatto con le autorità alleate, a ricevere a bordo quel personale navale alleato che le autorità suddette potranno ritenere conveniente e che saranno attuate per il momento quelle misure di disarmo che le autorità stesse potranno stabilire. Queste misure di disarmo mirano a garantire la necessaria sicurezza dei porti alleati nei quali le navi da guerra italiane potranno trovarsi all'ancora. 10. Comunicazioni
Dovrà essere osservato nella maggior misura possibile il silenzio radio, ma se navi da guerra italiane o alleate desiderassero comunicare tra loro ciò dovrà avvenire inizialmente su 500 kilocicli. E' prevedibile che saranno date successivamente disposizioni per passare ad una frequenza più adatta, qualora si dovessero effettuare lunghe comunicazioni. MARINA MERCANTILE
11. Porti di riunione Le navi mercantili trovantisi ad ovest del 17° meridiano dovranno far .rotta per Gibilterra; le navi trovantisi in Adriatico o ad est di tale parallelo dovranno dirigere per Alessandria. Le navi trovantisi nelle coste occidentali dell'Italia a nord del 42° parallelo dovranno passare a nord della Corsica o a nord della Sardegna e far quindi rotta diretta per Gibilterra, combustibile permettendolo. Se il combustibile non lo consentisse, esse dovranno dirigere per i porti di Bona o di Algeri arrivandovi in ore diurne. Dovranno chiedere istruzioni prima di entrarvi non essendo consentito far ciò senza esserne stati autorizzati. Le navi trovantisi a sud del 42° parallelo dovranno segu:re la rotta indicata nella lettera b) del paragrafo 3 sino a quando avranno superato verso sud la Sardegna. Le navi trovantisi ad est del 17° meridiano o in Adriatico faranno rotta direttamente per Alessandria arrivando in ore diurne a 12 miglia almeno da questo porto; di qui richiederanno istruzioni.
12. Rièonoscimento Le navi mercantili dovranno alzare all'albero di maestra un pennello nero o blu scuro.
13. Norme per il trasferimento e l'arrivo
L'arrivo nei porti alleati dovrà avvenire sempre in ore diurne, l'avvicinamento dovrà essere effettuato a bassa velocità (non più di 12 nodi). 14. Comunicazioni
Su 500 kilocicli. 4 settembre 1943.
Per il Comandante in Capo del Mediterraneo Commodoro ROYER DICK
454 ALLEG. 4
Cronologia dei principali avvenimenti militari in Italia dal 1° al 9 settembre 1943. ( 1)
r Settembre Nella mattinata si riuniscono presso il maresciallo Badoglio i ministri Guariglia e Acquarone ed i generali Ambrosio e Carboni per udire il resoconto dell'incontro avvenuto il giorno prima a Cassibile tra i generali Castellano e Smith. Al pomeriggio il Re decide d'accettare l'armistizio e, in tal senso, è telegrafato al .Quartiere Generale alleato.
2 Settembre Lo Stato Maggiore dell'Esercito, in esecuzione d'ordine impartitogli il 26 agosto dal gen. Ambrosio, dirama la « Memoria 44 Op. » la quale indicava le direttive da seguire in caso di una probabile e prossima aggressione germanica in forze ( 2). Il documento riproduceva, ampliandole, le prescrizioni precedentemente impartite sullo stesso argomento (3) e non faceva alcun cenno alla probabile conclusione di un armistizio. Ciò in armonia con la direttiva adottata dal maresciallo Badoglio di mantenere in proposito il più stretto segreto onde evitare che la notizia potesse giungere alle orecchie dei Tedeschi, scatenandone la reazione prima che si potesse contare su un aiuto alleato. Destinatari della memoria erano i Comandi di grandi unità dipendenti dallo Stato Maggiore Esercito e non anche quelli dipendenti direttamente dal Comando Supremo che erano: Comando gruppo d'armate E st (Erzegovina, Montenegro e Albania), Comando I la armata (Grecia e Creta) e Comando Superiore Forze Armate dell'Egeo. Essa giunse a destinazione tra il 2 e il 5 settembre, cosicché è da ritenersi che, alla dichiarazione dell'armistizio, gli ordini per la sua applicazione non fossero stati ancora ricevuti dai reparti minori ( 4 ). (1) La cronologia riguarda soltanto i principali avvenimenti interessanti la Marina. Essa è stata redatta sulla base delle numerose fonti bibliografiche e documentarie che è stato possibile consultare, le quali non sempre sono concordi, anche su punti di fondamentale importanza. In questi casi sono state riportate in nota anche le versioni difformi da quella accolta nel testo, versione che l'autore, sulla base delle varie testimonianze e dello svolgimento degli avvenimenti ,ha ritenuto quella veritiera, o, quanto meno, quella più vicina alla realtà. (2) Ordine analogo il gen. Ambrosio non dette agli Stati Maggiori della Marina e dell'Aeronatuica perché si ritenne che l'eventuale colpo di mano tedesco avrebbe interessato prevalentemente l'Esercito. (Vedasi per tutti Rossi - Op. cit. bibl. pg. 199. 204, 222 e 265). La «Memoria" stabiliva fra l'altro, che fossero tenute saldamente La Spezia, Taranto e, possibilmente, Brindisi. (3) La «Memoria" era stata preceduta dal « Foglio 111 C.T. • in data 10 agosto dello S.M. Esercito diretto ai Comandi di grandi unità (ad eccezione di quelle dipendenti direttamente da Comando Supr~mo) con il quale si davano disposizioni sulle misure da adottare nella stessa ipotesi prevista dalla « Memoria 44 Op. ». (4) Vedasi per tutti Rossi - Op. cit. bibl., pg. 202, 203, 207, 222 e 265.
455
3 Settembre 1. - Verso l'alba !'Sa armata britannica, attraversato lo stretto di Messina, sbarca in Calabria (operazione « Baytown » in codice). 2. - Alle ore 17,15 il gen. Castellano firma a Cassibile, quale rappresentante dal maresciallo Badoglio, l' « armistizio corto ». 3. - Lo stesso pomeriggio il maresciallo Badoglio riunisce nel suo ufficio - presente il Capo di S.M. Generale (gen. Ambrosio) - i tre Ministri militari (gen. Sorice, amm. de Courten e gen. Sandalli) (5). Le versioni di quello che egli disse loro non sono concordi, ma quella più accreditata (la quale trova conferma nelle dichiarazioni successivamente rese dagli interessati) (6), è che il maresciallo li informò che, su decisione del Re, erano in corso trattative per la conclusione di un armistizio. La notizia doveva però esser tenuta assolutamente segreta (7).
4 Settembre Nulla di particolare da segnalare.
5 Settembre 1. - Nella tarda mattinata rientra a Roma da Cassibile il magg. Marchesi, latore di documenti affidatigli dal gen. Castellano. Fra questi documenti (oltre al testo dell'« armistizio corto», firmato il 3, e quello dell'« armistizio lungo», consegnato dal gen. Smith al gen. Castellano dopo la firma di quello « corto ») vi erano: - il cosiddetto « promemoria Dick » (dal nome del suo compilatore, il commodoro Royer Dick, Capo di S.M. dell'amm. A. Cunningham) nel quale erano indicati i porti nei quali, all'atto della dichiarazione dell'armistizio, avrebbero dovuto trasferirsi le nostre navi, da guerra e mercantile, nonché le rotte che, a tal fine, esse avrebbero dovuto seguire (vedasi il precedente allegato 3); - una lettera diretta al gen. Ambrosio dal gen. Castellano nella quale que(5) L'amm. de Courten e il gen. Sandalli ricoprivano anche la carica di Capi di S.M. della rispettiva F.A. (6) Soricc, de Courten e Sandalli dichiararono categoricamente. in un secondo tempo, di non essere stati informati dell'avvenuta firma dell'am1istizio prima delle 18 circa dell'8 settembre, quando lo appresero nel corso del Consiglio della Corona (Zangrandi, Op. cit. bibl., pg. 343, 356, 359 e 360). (7) La versione suddetta è quella accolta da Boschesi (Op. cit. bibl., pg. 36); Bragadin (Op. cit. bibl., pg. 371); Fioravanzo (Op. cit. bibl., pg. 30); Sandalli (Relazione del dicembre 1944 sul suo operato di Ministro e Capo di S.M. dell'Aeronautica, pg. 3 e 27); Torsielb (Op. cit. bibl., pg. 88); Vailati (Op. cit. bibl., (Ili) pg. 211). Alti-a versione è che il maresciallo non disse ai tre Minisiri che erano in corso trattative per un armistizio ma che si era deciso di iniziarle. Vedasi sostanziahnente in questo senso Rossi (Op. cit. bibl., pg. 201); Monelli (Op. cit. bibl., pg. 304); Zangrandi (Op. cit. bibl., pg. 100). Profondamente diverse dalle altre sono le versioni dd maresc. Badoglio e del geo. Ambrosie. Il primo (Op. cit. bibl., pg. 112-113) si mantiene nel vago. « Dopo aver esposto I::,_ situazione, egli dice, diedi loro l'ordint:! di provvedere senz'altro alla diramazione ddle istruzioni•. Secondo il gen. Ambrosie, il maresc. Badoglio comunicò invece ai convenuti • l'autor izzazione data al gen. Castellano per l'accettazione dell'armistizio, invitando quindi ognuno a predisporre nella propria competenza e secondo le direttive già date dal Capo di S.M. Generale » (Relazione del 15 dicembre 1943 cit. bibl., pg. 61).
456 st'ultimo - a quanto egli asserisce - lo informava che non aveva potuto avere alcuna notizia sulla precisa località ove sarebbe avvenuto lo sbarco principale e che, per quanto riguardava la data di questo, • da informazioni confidenziali presumo che esso potrà avvenire tra il 10 e il 15 settembre, forse il 12 • (8); - una nota con la comunicazione che, il giorno in cui l'armistizio sarebbe stato dichiarato da parte del Comando alleato, Radio Londra (BBC), fra le 9h e le 10h (ora di Greenwich), avrebbe trasmesso - come segnale di preavviso per le autorità italiane - mezz'ora di musica di Verdi nonché un notiziario di due minuti sull'attività tedesca in Argentina (9). scrive l'amm. de Courten (10) 2. - • Nel pomeriggio del 5 settembre durante il giornaliero convegno operativo con il Capo di S.M. Generale, gen. Ambrosio, questi mi chiese una motosilurante per portare un gruppo di ufficiali italiani da Gaeta a Ustica dove, all'alba del 7, si sarebbe trovata una motosilurante inglese la quale avrebbe ritirato gli ufficiali italiani per portarli a Palermo e avrebbe consegnato due alti ufficiali anglo-americani, che avrebbero dovuto essere trasportati a Gaeta e proseguire poi per Roma. • Il Capo di S.M. Generate ... mi chiese anche, per aggregarlo al gruppo anzidetto, un ufficiale di Marina il quale fosse bene al corrente delta situazione operativa e della dislocazione cd efficienza delle unità della R. Marina. " Delegai il cap. vasc. Giuriati del Reparto operazioni di Supermarina e prospettai la soluzione di inviare una corvetta invece di una motosilurante,· per considerazioni di autonomia e di resistenza al mare. "In tale occasione il Capo di S.M. Generale mi disse che l'invio di questa missione era in relazione con la conclusfone di un'anmistizio, la cui dichiarazione era prevista per uno dei giorni compresi il 10 e il 15 settembre, più probabilmente il 12 o 13. Egli mi comunicò inoltre che, secondo ogni probabilità, la flotta (il cui grosso era concentrato a La Spezia) avrebbe dovuto dislocarsi a La Maddalena (11 ), ove era possibile che il Sovrano si recasse con la famiglia reale ed una parte del Governo•. Il mattino successivo, 6 settembre, il gen. Ambrosio confermò all'amm. de Courten l'« intendimento del Sovrano, qualora la situazione avesse reso precario lo svolgimento delle funzioni di governo a Roma, di trasferirsi a La Maddalena con la famiglia reale e con i Capi militari ... In conseguenza venne stabilito che dall'alba del 9 settembre, le seguenti unità fossero dislocate, pronte a muovere, nei seguenti porti: - 2 caccia (Vivaldi e Da Noli) a Civitavecchia; - 2 corvette a Gaeta; - 2 motoscafi veloci a Fiumicino (li). (8) Castellano - Op. cit. bibl., (ID, pg. 103. (9) Garland - Op. cit. bibl., pg. 490. (10) de Courten - Relazione del 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. I. (11) Come si ricorderà, d'ordine del maresc. Badoglio, il gen. Castellano aveva chiesto al gen. Smith, nel colloquio del 31 agosto, che le nostre navi si concentrassero a La Maddalena, anziché trasferirsi in porti sollo controllo anglo-americano, ma ne aveva avuto risposta negativa. La stessa richiesta il gen. Castellano, d'ordine del gen. Ambrosoi, ripeterà il 7 settembre ma, anche questa volta, con esito negativo. (12) La questione della s:curezza del Re e della famiglia reale, in caso di stipulazione di un armistizio, era stata posta dal consigliere di legazione Lanza d'Ajeta nel suo colloquio del 4 agosto con l'ambasciatore britannico a Lisbona (Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 592). Successivamente era stata sollevata dal gen. Castellano duranti! i colloqui che egli ebbe con il gen. Smith il 19 e il 31 aiOSto, ricevendo assicurazione che i Sovrani sarebbe-
457
6 Settembre l. - Nella mattinata il Comando Supremo dirama il « Promemoria 1 ,. diretto ai tre ·Capi di S.M. Il documento riguardava • il caso che forze germaniche avessero intrapreso
d'iniziativa atti d'ostilità armata contro gli organi di Governo o contro Le Forze Armate italiane, in misura e con modalità tali da rendere manifesto che non si trattava di episoli locali, dovuti all'azione di qualche irresponsabile, bensì d'azione collettiva ordinata». Esso trovava perciò applicazione anche nel caso di attacco tedesco nell'ipotesi di un nostro eventuale armistizio, ipotesi di cui il documento però non faceva cenno. Le principali disposizioni riguardanti la Marina erano le seguer.ti, qualora il promemoria fosse stato attuato: a) catturare o affondare o, quanto meno, inutilizzare le navi da guerra e mercantili tedesche; b) impedire con qualsiasi mezzo che navi da guerra o mercantili italiane cadessero in mano tedesca; c) le navi da guerra italiane in condizione di muovere avrebbero dovuto raggiungere al più presto i porti della Sardegna, della Corsica, dell'Elba, oppure Sebenico o Cattaro; le unità non in condizione di muovere, se minacciate di cat·tura, avrebbero dovuto autoaffondarsi; d) le navi mercantili italiane in condizione di muovere avrebbero dovuto raggiungere al più presto i porti italiani, dalmati o albanesi a sud del parallelo di Ancona, in Adriatico, di quello di Livorno, nel Tirreno; le unità non in condizione di muovere avrebbero dovuto essere rese inutilizzabili per lungo tempo mediante sabotaggio; e) inutilizzare per lungo tempo, mediante asportazioni, gli impianti logistici, gli arsenali, i bacini di carenaggio etc. delle base navali; f) mettere in atto di difesa le basi navali in accordo con l'Esercito. Le direttive impartite dal promemoria dovevano essere attuate alla ricezione del seguente ordine in chiaro impartito dal Comando Supremo ai tre Capi di S.M.; « Attuate misure d'ordine pubblico Promemoria nr. 1 - Comando Supremo "• oppure di iniziativa qualora i collegamenti fossero stati interrotti e ci si fosse trovati di fronte ad atti cli ostilità da parte delle Forze germaniche aventi il carattere di azione collettiva ordinata.
Il promemoria doveva essere restituito al latore; era consentito soltanto prendere gli appunti ritenuti indispensabili, da custodirsi «gelosamente,. dal Capo di S.M. destinatario; gli ordini conseguenti dovevano essere impartiti verbalmente e con assoluta urgenza. Il promemoria fu tardivo perché 1'8 settembre, quando fu dichiarato l'armistizio, i relativi ordini, anche se impartiti, non avevano potuto arrivare a tutti i reparti, soprattutto a quelli dell'Esercito (13). Il promemoria fu recapitato a Supermarina, a mezzogiorno. Immediatamente
ro stati trattati con i dovuti riguardi e che avrebbero potuto utilizzare ,all'occorrenza, una nave da guerra italiana. Il gen. Smith disse anche che il Re, ove lo avesse ritenuto, avrebbe potuto andare a Palermo, « che sarebbe stata evacuata dagli Alleti e dove, in una certa misura, la sovranità italiana avrebbe potuto essere stabilita ». (Castellano - Op. cit. bibl., (Il), pg. 66 e 218) (13} Rossi - Op. cit. bibl., pg. 212 e 224; Fioravanzo - Op. cit. bibl., pg. 5.
458 l'amm. de Courten convocò a Roma per il mattino seguente, 7 settembre, gli ammiragli Comandanti in Capo di Forze navali e di dipartimento (14) (lS) (16). 2. -
Nelle prime ore pomeridiane l'amm. de Courten riceve dalle mani del
gen. Ambrosio - durante il giornaliero incontro - il « promemoria Dick ». « Non essendo a conoscenza dell'avvenuta conclusione dell'armistizio scrive l'amm. de Courten (17) - ritenni che questo promemoria costituisse uno dei docu· menti connessi alle trattative in corso: non mancai peraltro di protestare vivamente presso il Capo di S.M. Generak che un simile documento fosse stato compilato senza la partecipazione d'alcun rappresentante della Marina e per le inten· zioni risultanti da tale documento nei riguardi della dislocazione della parte più importante della flotta, pur apparendo che, almeno formalmente, l'intendimento fosse quello di sottrarre le nostre navi a una manomissione da parte tedesca. « Il Capo di S.M. Generale mi rispose che il documento doveva considerarsi lettera morta, perché era stato richiesto agli anglo-americani che la flotta potesse concentrarsi tutta a La Maddalena (18) e riteneva per certo che non vi sarebbero state difficoltà all'accoglimento di tale richiesta. « Durante la notte prosegue l'amm. de Courten avendo dettagliatamente esaminato il "promemoria Dick" - ritenni necessario di compilare due promemoria». Nel primo egli insisteva sulla necessità ed opportunità che la flotta, in ogni evenienza, fosse riunita a La Maddalena. Nel secondo, premesso: - che il promemoria alleato era • molto oscuro e che prestava il fianco a molte critiche»; - che nella sua redazione era stato evidentemente tenuto conto soltanLO degli interessi britannici senza che nessun esperto italiano avesse potuto far presenti « logiche considerazioni e fondate obiezioni »;
(14) de Courten - Relazione del 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. 4. (15) Lo stesso 6 settembre lo S.M. Esercito diramò la « Memoria 45 Op.• a comp1etamento della « Memoria 44 Op. • del 2 settembre, della quale si è già parlato. La nuova « Memoria » conteneva le disposizioni del « Promemoria l » del Comando Supremo non contenute nella precedente « Memoria 44 Op.•. E' molto probabile , per non dire certo, che la • Memòria 45 Op.» la sera dell'8 set· tembre fosse pervenuta soltanto ai Comandi d'armata (Rossi - Op. cit. bibl., pg. 215 e 224). (16) Lo stesso 6 settembre il Comando Supremo diramò il « Promemoria 2 • diretto al Comando gruppo d'armate Est (Erzegovina, Montenegro e Albania), al Comando 11a armata (Grecia e Creta) e al Comando Superiore Forze Armate dell 'Egeo, Comandi tutti dipendenti direttamente dal Comando Supremo. Tale «promemoria• impartiva direttive qualora avesse avuto luogo un'aggressione tedesca, in conseguenza o no di un armistizio italiano (vi si parlava chiaramente della possibilità di un armistzio separato). Per quanto riguarda la Marina disponeva che, verificandosi tale eventualità, le navi, sia da guerra che mercantili, .dislocate nei porti della Grecia e di Creta rientrassero senz'altro in patria e che quelle dislocate nell'Egeo rimanessero sul posto (era convinzione che l'Egeo sarebbe rimasto in nostro possesso). Le unità in procinto di cadere in mano tedesca avrebbero dovuto affondarsi. Per il precipitare degli eventi e per alcuni contrattempi, la sera dell'8 settembre il documento era pervenuto soltanto al Comando dcll'lla armata, ragione per il cui il Comando Supremo lo sintet izzò, per gli altri due destinatari, in un telegramma (il telescritto 24202 Op.) che, trasmesso alle 0,20 del 9 settembre, giunse a destino due ore dopo (Rossi - Op. cit. bibl., pg. 215 e 217; Ufficio Storico Esercito Op. cit. bibl. (II), pg. 45, 50 e 75). (17) de Courten - Relazione 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. 5. (18) Al capo del gruppo d'ufficiali che la sera del 6 settembre lasciò Gaeta per raggiungere il Comando anglo-americano (vedi il paragrafo seguente )il gcn. Ambrosio consegnò un promeroria per il gen. Castellano con il quaie gli si ordinava di insistere perché la flotta, all'armistizio, salpasse per la Sardegna anziché per i porti alleati (Vailati - Op.
459 - che era lasciato « al completo arbitrio ,. delle autorità alleate la determinazione dei controlli da effettuarsi sulle nostre unità e quella delle misure di disarmo da applicarsi alle stesse, cosicché nessuna disposizione esisteva « a salvaguardia della nostra dignità e della sicurezza delle nostre navi»; - che nessun accenno era fatto « al problema essenziale della bandiera »; così concludeva: « Reputo assolutamente necessario che delicate trattative di questo genere siano effettuate con l'assistenza di nostri esperti navali, i quali siano in grado di tutelare le esigenze della Marina e di tener conto delle peculiari necessità delle Forze navali, tanto più che la questione "Flotta", come già messo in rilievo, ha, nelle presenti circostanze, un'importanza assolutamente predominante ». I due promemoria furono potuti però consegnare al gen. Ambrosia soltanto a mezzogiorno dell'8 settembre, dato che egli si era assentato da Roma dalla sera del 6 settembre al mattino dell'otto. 3. - Alle : 20,30 parte da Gaeta, diretta a Ustica, la corvetta Ibis, con a bordo il gruppo df .ufficiali italiani ( 11 dell'Esercito, I della Marina e 1 dell'Aeronautica) di cui si è · precedentemente parlato. Rappresentante della Marina nel gruppo era, comè si è già detto, il cap. vasc. Ernesto Giuriati al quale l'amm. Sansonetti, Sottocapo di S.M., che lo aveva ricevuto in mattinata, aveva detto di non potergli indicare « né lo scopo, né la località della missione» (19). Data l'importanza e la segretezza di questa era stato incaricato di dirigerla l'amm. Francesco Maugeri, Capo del Reparto informazioni dello Stato Maggiore della Marina. 4. - La sera del 6 settembre il Comando alleato comunica al Comando Supremo - a modifica di quanto prima stabilito (vedasi par. 1 del 5 settembre) che il segnale convenzionale da trasmettersi da Radio Londra il giorno della dichiarazione dell'armistizio, sarebbe stato radiodiffuso fra le ore 11,30 e le 12,45 (ora di Greenwich) e che sarebbe consistito soltanto in due brevi notiziari sull'attività tedesca in Argentina. Il messaggio invitava il Comando Supremo a iniziare l'ascolto dal 7 settembre. (Per ragioni rimaste sconosciute, Radio Londra, benché richiesta fin dal 6 settembre dal Comando alleaio di radiodi.ffondere il segnale convenzionale 1'8 settembre, non vi procedette) (20).
7 Settembre I. - « La mattina del 7 settembre, scrive l'amm. de Courten (21 ). ebbi con l'amm. Bergamini, Comandante in Capo della squadra da battaglia, giunto a Roma per la riunione da me convocata, un colloquio sullo spirito della flotta. Ebbi da lui piena ed esplicita assicurazione che la flotta era pronta ad uscire per combattere nelle acque del Tirreno meridionale la sua ultima battaglia. Mi disse che comandanti e ufficiali erano perfettamente consci della realtà cui sarebbero andati incontro, ma che in tutti era fermissima la decisione di combattere fino all'estremo delle possibilità. Gli equipaggi erano pieni di fede e d'entusiasmo ... Gli accordi presi con l'aeronautica italiana e con quella tedesca e le prove compiute davan buon affidamento il poter finalmente contare sopra una discreta cooperazione aerocit. bibl. (III). pg. 258). Come si è veduto ndla precedente nota li I). la nuova richiesta ebbe esito negativo. (19) Giuriati - Relazione del 12 feboraio 1944, cit. bibl. (20) Vedasi Garland - Op. cit. bibl., pg. 495-496 e 503-504. (21) Relazione del 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. 6.
460 navale. Egli nutriva speranza che, intervenendo ad operazione di sbarco iniziata e traendo profitto dall'inevitabile crisi di quella delicata fase, sarebbe stato possibile infliggere al nemico gravi danni ». 2. - Nella tarda mattinata il Comando Supremo invia a Superesercito, Supermarina e Superaereo il seguente telegramma: « Presenza stamani grosso convoglio a nord di Palermo et intenso movimento piroscafi, mezzi sbarco et unità guerra, comprese n.p.a., constatato ieri al largo Tunisia, fanno ritenere imminente sbarco nemico su Italia centro-meridionale (alt) Siano prese conseguenti misure"· 3. - Alle ore 11,30 Supermarina invia al Comando Supremo questo messaggio: « Si informa che, in relazione all'avvistamento di convogli a occidente e a nord della Sicilia, è stato disposto l'invio i-a agguato di sommergibili (alt) Lo schieramento di dette unità lungo le coste dell'Italia meridionale è quindi di 19 (alt) (22) Si è inoltre disposto perché vengano tenute pronte 8 motosiluranti nei porti del Tirreno meridionale e 3 in quelli dello Jonio "· 4. - Nelle prime ore del pomeriggio ha luogo presso lo Stato Maggiore della Marina la riunione degli ammiragli convocata il giorno precedente dall'amm. de Courten alla ricezione del « Promemoria 1 » del Comando Supremo. Vi parteciparono gli ammiragli comandanti di Forze navali (Somigli, Bergamini, Legnani ! Da Zara) e gli ammiragli comandanti di dipartimento (Maraghini, Casardi, Bruto Brivonesi e Brenta). Vi assistevano il Sottocapo di S.M. (amm. Sansonetti), il Segretario Generale (amm. Ferreri) e il Sottocapo di S.M. aggiunto (amm. Giartosio). Nella riunione - ha scritto l'amm. Brivonesi (23) - « vennero date e illustrate istruzioni intese a fronteggiare la possibilità di un colpo di mano tedesco contro il Governo per riportare il fascismo al potere ». Queste istruzioni derivavano da quelle impartite dal Comando Supremo con il già citato « Promemoria 1 », furono date verbalmente (ma gli intervenuti furono autorizzati a prendere appunti personali) e dovevano essere attuate in seguito a ordine convenzionale impartito da Supermarina (24), ma anche di iniziativa, se necessario, in accordo con i Comandi di corpo d'armata, responsabili della difesa territoriale. « Non ritenni opportuno scrive l'amm. de Courten (25) - dare ai presenti notizia delle trattative in corso per l'armistizio, non avendo ricevuto al riguardo che notizie generiche, sotto il vincolo del segreto » (26 ). « Per facilitare un'azione di comando unitaria sul naviglio minore prosegue l'amm. de Courten - ordinai al Comandante in Capo delle FF.NN. di protezione del traffico (amm. Somigli) di inviare subito due dei suoi ammiragli sottordini (amm. Nomis di Pollone e amm. Martinengo) a La Spezia per assumere (22) Effettivamente furono venti. Undici furono schierati a copertura della costa del basso Tirreno, dal golfo di Gaeta a quello di Paola; nove vennero dislocati nello Jonio a copertura delle coste della Calabria Delle undici unità operanti nel Tirreno due andarono perdute; il Ve/ella, silurato da un sommergibile britannico al largo di Napoli la sera del 7 settembre, e il Topazio, affondato per errore da un aereo inglese a sud del· la Sardegna il 12 settembre. (23) Bru~o Brivonesi - « Diario degli avvenimenti dal 6 al 10 settembre 1943 •. cit. bibl. (24) Questo ordine convenzionale, come si è veduto precedentemente, era il seguente: « Attuate misure d'ordine pubblico Promemoria nr. 1 - Comando Supremo •. (25) de Courten - Relazione del 12 febbraio 1944, par. 7. (26) Sta di fatto che degli otto ammiragli convocati, solo uno, a quanto si sa, percepì la realtà della situazione (fu l'amm. Legnani).
461 direttamente il Comando, rispettivamente, delle siluranti e dei mezzi antisommergibili (corvette, VAS etc.) ed il terzo (amm. Rogadeo) a Taranto con lo stesso scopo. « Avendo così preso contatto diretto con tutti i Comandanti Superiori posti alla dipendenza di Supermarina (giacché, come è noto, Mariprovenza, Marisardegna, Maricorsica, Maridalmazia, Marialbania, Marimorea e Mariegeo dipendevano direttamente per l'impiego dai rispettivi Comandi di FF.A.. ai quali il Comando Supremo aveva comunicato direttamente le sue direttive) avevo la certezza che, in qualunque eventualità, tutti avrebbero saputo come comportarsi ». I 5. - Alle 21h circa giungono a Roma i due ufficiali alleati (il gen. M.D. Taylor e il col. W.T. Gardiner, ambedue americani) imbarcati a Ustica sull'Ibis e diretti alla capitale per concordare con le autorità militari italiane l'aviosbarco della divisione americana da effettuarsi nei pressi di Roma, contemporaneamente allo sbarco alleato via mare (27). Nel colloquio avuto verso le 23h con il gen. Carboni, comandante del corpo d'armata motocorazzato incaricato della difesa di Roma, Taylor gli dice ch e tale sbarco sarebbe avvenuto nella notte fra 1'8 e il 9 settembre, dopo l'annuncio dell'avvenuto armistizio. Il geo. Carboni gli risponde che le autorità italiane erano convinte che tale annuncio e i conseguenti sbarchi avrebbero avuto luogo alcuni giorni più tardi e che per la notte sul 9 non avrebbe avuto la possibilità, tenuto conto dell'aumento intervenuto nelle forze tedesche e dello scarsissimo tempo disporuòile, di schierarsi in modo da garantire la difesa dei campi ove l'aviosbarco avrebbe dovuto avvenire (Cerveteri e Furbara). Il maresc. Badoglio, informato della cosa, alle ore 2 dell'8 settembre telegrafa al geo. Eisenhower che, dati i cambiamenti avvenuti nei rapporti di forza tra le truppe italiane e quelle tedesche nella zona di Roma, non gli era più posibile accettare un armistizio immediato e che non era più possibile dal pari, per il momento, il previsto aviosbarco non avendo egli forze sufficienti per garantire gli aeroporti. Poco prima il gen. Taylor aveva telegrafato al gen. Eisenhower consigliando di annullare l'aviosbarco stesso, consiglio che ovviamente fu accolto. Della notizia portata dal gen. Taylor che la dichiarazione dell'armistizio e i conseguenti sbarchi erano programmati dagli Alleati per 1'8 e il 9 settembre, nessuna comunicazione è data ai nostri Capi militari, nella convinzione che Eisenhower avrebbe accettato la richiesta di rinvio (28) (29). 6. - Nella notte fra il 7 e 1'8 settembre Supermarina - tenuto conto della situazione - comunica ai comandi di FF.NN. un segnale convenzionale alla rìce(27) L'Ibis era rientrata a Gaeta nel pomeriggio del 7 settembre. Dopo che ebbe sbarcato i due ufficiali americani, che proseguirono per Roma in autoambulanza, essa fu inviata nella « deserta rada di Porto Conte, in Sardegna, con l'ordine di restarvi in stretta quarantena fino a nuova disposizione•. (de Courten - Relazione del 12 febbraio 1944, cit. bibl., par. 2). (28) Alle 17h dell'8 settembre i due ufficiali americani ripartirono per Tunisi. Li accompagnava il Sottocapo di S.M. Generale, gen. Rossi, latore di un promemoria in cui di indicavano i motivi che - secondo le autorità militari italiane - rendevano necessario che la proclamazione dell'armistizio non avvenisse prima del 12 settembre. (29) Rossi - Op. cit. bibl., pg. 146-158; Castellano - Op. cit. bibl. (Il), pg. 117-120; Musco - Op. cit. bibl. (I), pg. 136-140; Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 103-104; Churchill Op. cit. bibl. (I), pg. 123-124.
462 zione del quale le navi avrebbero dovuio autoaffondarsi. Questo segnale era. « Raccomando massin:w riserl.:>o "·
8 Settembre 1. - Alle ore 10, quando, sulla base degli avvistamenti fatti, si ebbe la certezza dell'imminenza di uno sbarco in grandi proporzioni, Supermarina - con l'assenso del Comando Supremo - da ordine alle Forze navali da battaglia trovantisi a La Spezia e a Genova di approntarsi per intervenire offensivamente nella zona dello sbarco. « Ordinai alla squadra da battaglia a La Spezia e a Genova - scrive l'amm. de Courten (30) - di accendere, tenendosi pronta a muovere in due ore dalle 14h per il previsto intervento offensivo nella zona di sbarco il mattino del giorno successivo e disposi che fossero perfezionati e messi in atto gli accordi presi con le aeronautiche italiana e tedesca per la cooperazione aerea». 2. - Alle 12h l'amm. de Courten si incontra con il gen. Ambrosio, rientrato nella mattinata da Torino, consegnandogli le due note sul « promemoria Dick,. di cui si è parlato. « Il Capo di S.M. Generale - scrive l'amm. de Courten (31) mi comunica che gli anglo-americani avevano respinto la proposta di concentrare la flotta a La Maddalena (32), consentendo di lasciare a disposizione di S.M. il Re un incrociatore e quattro cacciatorpediniere di scorta. Mi disse altresì che egli stava insistendo per l'accoglimento della proposta italiana e che sperava ancora di riuscire ad ottenere qualcosa. Il Capo di S.M. Generale mi comunicò altresì di attendere ordini prima di far partire da La Spezia la flotta». 3. - L'amm. Bergamini nelle prime ore del pomeriggio (ore 15 circa) convoca a La Spezia, sulla Roma, gli ammiragli e i comandanti da lui dipendenti per informarli su quanto aveva saputo al Ministero nella riunione del giorno prima e ordina le misure da adottare qualora lo svolgersi degli avvenimenti lo avesse richiesto. In particolare fa presente che la situazione era molto grave e che non era da escludere un improvviso tentativo da parte tedesca di impadronirsi delle navi. In considerazione di ciò, alla ricezione del telegramma convenzionale « Attuate misure ordine pubblico Promemoria nr. I . Comando Supremo •, catturare i Tedeschi che si trovavano a bordo e attuare l'« allarme speciale», metter cioè le navi in stato di difesa contro eventuali colpi di mano dell'esterno. In ogni modo, qualunque cosa fosse accaduto, nessuna nave avrebbe dovuto cadere in mano tedesca. A tal fine, alla ricezione del telegramma convenzionale « Raccomando massimo riserbo», dar corso all'autoaffondamento, possibilmente in alti fondali e in prossimità della costa per ridurre le perdite umane. Qualora però le circostanze lo avessero richiesto, procedere all'autoaffondamento anche se non fosse pervenuto il suddetto telegramma convenzionale. 4. - Alle 16,30h circa giunge la risposta del gen. Eisenhower al telegramma inviatogli alle ore 2 della notte dal maresc. Badoglio. Il telegramma era molto duro. « Intendo trasmettere alla radio, diceva, l'accettazione dell'armistizio all'ora fissata. Se voi (o qualsiasi parte delle vostre Forze Armate) non coopererete come precedentemente concordato, farò pubblicare in tutto il mondo i dettagli della questione. Oggi è il giorno ed io conto che voi facciate la vostra parte. (30) de Courten - Relazione del 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. 9 e Fioravanzo Op. cit .bibl., pg. 285. (31) de Courcen - Relazione del 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. 10. (32) Ciò era avvenuto il giorno precedente, 7 settembre.
463 « Non accetto il vostro messaggio di stamani di posporre l'armistizio. Il vostro rappresentante accreditato ha firmato un accordo con me e la sola speranza dell'Italia è legata alla vostra adesione a quest'accordo. Voi avete sufficienti truppe vicino a Roma per assicurare la temporanea sicurezza della città... « I piani erano stati fatti nella persuasione che voi agiste in buona fede e noi siam.o pronti a portare avanti le operazioni militari su questa base. Ogni mancanza da parte vostra nel condurre a termine tutti gli obblighi dell'accordo firmato potrà avere conseguenze gravissime per il vostro paese. Nessuna vostra azione futura potrà allora restaurare la minima fiducia nella vostra buona fede, e la conseguenza sarebbe la dissoluzione del vostro Governo e della vostra Nazione» (33).
5. - Verso le ore 17,30 l'agenzia che da notizia dell'armistizio.
« Stefani,.
capta un dispaccio
e Reuter »
6. - Alle 18,15h circa ha iniziato al Quirinale il Consiglio della Corona convocato - dopo la ricezione della rispos ta di Eisenhower - per un parere sul da farsi. Vi partecipano - sotto la presidenza del Sovrano - il maresc. Badoglio; il Ministro della Real Casa, Acquarone; il Ministro degli Esteri, Guariglia; i tre Ministri militari, gen. Sorice, amrn. de Courtcn e gen . Sandalli (questi due ultimi ,mche Capi di S.M. della rispettiva F.A.); il Capo di S.M. Generale, gen. Ambrosio, accompagnato dal magg. Marchesi; il Sottocapo di S.M. dell'Esercito, gen. De Stefanis (in sostituzione del Capo di S.M., gen. Roatta): il gen. Carboni, comandante del corpo d'armata motocorazzato incaricato alla difesa di Roma. La descrizione che abbiamo della seduta, conclusasi con la decisione del Re di procedere alla dichiarazione dell'armistizio, coincidono nelle loro linee generali, se non nei particolari (34 ), dandoci un'idea del clima di smarrimento in cui si svolse. E ciò non solo per il dramma che si abbatteva sulla Nazione, ma anche perché esso giungeva improvviso sia per gli « iniziati » , quali Badoglio e Ambrosio (che avevano creduto sino all'ultimo che Eisenhower avrebbe rinviata di alcuni giorni, come richiesto, la dichiarazione dell'armistizio), sia, e ancora più, per gli altri che, come ha scritto Guariglia (35), « poco o poco di preciso sapevano di quanto era accaduto nei giorni precede nti». Nella riunione emerse infatti che i tre Ministri militari (due dei quali anche Capi di S.M.), benché fossero stati informati il 3 settembre che era stato deciso d'iniziare trattative per un armistizio, nulla avevano saputo sullo svolgersi di queste e tanto meno dell'avvenuta firma (36), e che il gen. Puntoni, quantunque Primo Aiutante di Campo del Re, era stato tenuto all'oscuro di tutto (37). In proposito Zangrandi riporta il seguente particolare della seduta, reso noto da de Courten in una intervista dallo stesso rilasciata il 7 settembre 1963. (33) Castellano - Op. cit. bibl. (II), pg. 121-123. (34) Vedasi: Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 104-106; Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 704706; Musco - Op. cit. bibl. (II) , pg. 94-98 ove è riportata la relazione della seduta fatta dal magg, Marchesi; Puntoni - Op. cit .bibl., pg. 161-162; Vailati - Op. cit. bibl. (II), pg. 129 e 146; Zangrandi - Op. cit. bibl., 114-117, 343 (nota 9) e 352-363; Monelli - Op. cit. bibl., pg. 318-321. (35) Guariglia Op. cii. bibl., pg. 705. (36) Zangrandi - Op. cit. bibl., pg. 343 (nota 9), pg. 355 (relazione del gen. Sorice del 3 agosto 1944), pg, 359 (dichiarazione rilasciata nel gennaio 1964 dal gen. Sandalli), pg. 360 (intervista del 7 settembre 1963 dell'amm. de Courten); Palermo - Op. cit. bibl., pg. 223. (37) Puntoni - Op. cit. bibl., pg. 161. Del tutto all'oscuro delle trattative, dei passi fatti per un armistizio e della sua firma. erano stati tenuti anche gli altri Ministri che, per di più, non vennero nemmeno invitati al Consiglio della Corona.
464 « Convocato repentinamente al Quirinale, scrive Zangrandi (38) de Courten si trovò di . fronte a un'esposizione di fatti quanto meno stupefacente. Probabilmente lo stesso Re non era al corrente con esattezza della situazione e dei suoi precedenti. Il Re aprì, infatti, la seduta dicendo: "Come lor signori sono informati, gli anglo-americani hanno deciso d'anticipare di qualche giorno la data dell'armistizio ..." (39). « de Courten che era seduto accanto ad Acquarone, si lasciò sfuggire una esclamazione di meraviglia: il Re la udì, si interruppe e lo invitò a parlare. Anche Acquarone lo sollecitò: "Su muoviti, di qualcosa... " gli sussurrò. E de Courten dichiarò francamente al Re: "Veramente io non so niente, né di una firma di armistizfo, né di una data precisa di proclamazione...". Il Re, manifestamente contrariato ma anche come se avesse previsto quella reazione (che traspariva dall'atteggiamento della maggior parte degli altri presenti), si rivolse a Badoglio perché chiarisse con esattezza gli antecedenti e lo stato dei fatti. Il rapporto fu tenuto in luogo di Badoglio (che, a detta di altri, appariva disfatto e quasi sprofondato nella sua poltrona) da Ambrosio •. La veridicità dell'episodio (che non risulta dalle descrizioni della seduta fatte nei loro libri da Badoglio, Guariglia, Puntoni, Carboni, Marchesi, Musco, Monelli, Palermo e Vailati, ma che è stata confermata all'autore di questo lavoro dall'amm. de Courten) trova sostanzialmente conferma in una lettera scritta dal Re ad Acquarone il 17 gennaio 1945 e pubblicata dal settimanale «Oggi» il 21 agosto 1958 (40). In essa il Sovrano così si esprimeva: « Caro Acquarone... Io non ho la memoria che ha Lei, e nemmeno quella che avevo una volta, ma..., se mi rammento bene, le clausole [dell'armistizio] vennero comunicate all'amm. de Courten solo la sera dell'8 settembre... ».
7. - Alle 18,30h, mentre era in corso il Consiglio della Corona, il gen. Eisenhower radiodiffonde da Algeri il seguente proclama (41): « Parla il gen. Dwight D. Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze alleate. Il Governo italiano ha offerto la resa (has surrendered) senza condizioni
(38) Zangrandi - Op. cit. bibl., pg. 360. (39) Alla questione se gli Alleati avessero anticipato o no la dichiarazione dell'armistizio si è già accennato parlando della lettera del gen. Castellano a l gen . Ambrosio (e a lui portata il 5 settembre dal magg. Marchesi) nella quale, come si ricorderà, il gen. Castellano dice di essersi così espresso: « Circa la data (dello sbarco) non posso dir nulla di preciso; ma da informazioni confidenziali presumo che lo sbarcò potrà avvenire tra il 10 e il 15 settembre, forse il 12 ». Benché si trattasse di una notizia non sicura, il gen. Ambrosio si fissò su questa data e tutti gli ordini furono dati per tale giorno. In propo· sito il magg. Marchesi, prendendo la parola al Consiglio della Corona, dice di essersi così espresso; • La proclamazione dell'armistizio da parte alleata era certo per noi una dolorosa sorpresa. A rigore però gli Alleati erano nei termini, o quasi, degli accordi perché la data ipotetica indicata dal gen. Castellano, sulla quale tutti avevano fatto assegnamento, era frutto di una deduzione del generale stesso e dovuta a personali confidenze a lui fatte dal Capo di S.M. alleato, gen. Smith. La data della proclamazione era legata alla principale operazione di sbarco alleta; nonostante le nostre reiterate insistenze non era stato possibile avere notizie circa detta data e la località dello sbarco. Dissi che male era stato non dare credito alla comunicazione fatta durante la notte precedente dal gen. Taylor (che lo sbarco era previsto nella notte fra 1'8 e il 9) e peggio ancora illudersi circa la possibilità d'ottenere una proroga quando era confermato anche dalle nostre notizie che l'operazione alleata aveva ormai preso l'avvio e che nessuno avrebbe più potuto fermarla •. (Re laziorle del magg. Marchesi riportata in Musco - Op. cit. bibl. (Il), pg. 96 e seg.) (40) Vedasi il testo integrale in « Oggi • nr. 34 del 21 agosto 1958, pg. 19-21. (41) Garland - Op. cit. bibl., pg. 508; Depàrtment of State, • United States and Italy · 1936-1946 • Op. cit. bibl., pg. SO.
465 delle sue Forze Armate (42). Come Comandante in Capo alleato ho concesso un armistizio militare le cui condizioni sono state approvate dai Governi del Regno Unito, degli Stati Uniti e dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. In tal modo io sto agendo nell'interesse delle !'fazioni Unite. « Il Governo italiano si è impegnato ad os:....'rvare queste condizioni senza riserve. L'armistizio è stato firmato dal mio rapp ··esentante e dal rappresentante del maresc. Badoglio ed entra in vigore in questo momento. Le ostilità tra le Forze Armate delle Nazioni Unite e quelle dell'Italia cessano immediatamente. « Tutti gli italiani che agiranno ora per aiutare ad espellere dal territorio italiano il Tedesco aggressore avranno l'assistenza e l'aiuto delle Nazioni Unite». Alle ore 19,42 il maresc. Badoglio legge a Radio Roma il proprio messaggio, così concepito ( 43 ): « Il Governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze anglo-americane. « La richiesta è stata accolta. « Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le Forze anglo-americane deve cessare da parte delle Forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza ~Nella stessa serata il Ministero degli Esteri invia alle rappresentanze diplomatiche italiane a Berlino, a Tokio e presso gli altri Paesi al cui fianco l'Italia aveva combattuto sino allora, il seguente telegramma del maresc. Badoglio, da conc;egnarsi ai Governi presso i quali erano accreditate (44). « Nell'assumere il Governo d'Italia al momento della crisi provocata dalla caduta del regime fascista, la nostra decisione, e di conseguenza il primo appello che io rivolsi al popolo italiano, fu di continuare la guerra per difendere il territorio italiano dall'imminente pericolo di una invasione nemica. Non mi nascondevo la gravissima situazione nella quale si trovava l'Italia, le sue deboli possibilità di resistenza, gli immensi sacrifici ai quali essa doveva andare incontro, ma su questa considerazione prevalse il sentimento del dovere che ogni uomo di Stato responsabile ha verso il suo popolo, quello di .evitare cioè che il territorio nazionale diventi preda dello straniero. « E l'Italia ha continuato a combattere, ha continuato a sublre distruttivi bombardamenti, ha continuato ad affrontare sacrifici e dolori nella speranza di evitare che il nemico, già padrone della Sicilia, perdita delle più gravi e delle più profondamente sentite dal popolo italiano, potesse passare sul continente. « Malgrado ogni nostro sforzo le nostre difese sono crollate, la marcia del nemico non ha potuto essere arrestata, l'invasione è in atto. L'Italia non ha più forze di resistenza. Le sue maggiori città, da Milano a Palermo, sono o distrutte od occupate dal nemico, le sue industrie sono paralizzate, la sua rete di comunicazioni, così importante per la sua configurazione geografica, è sconvolta, le
(42) L'affermazione di « resa senza condizione • non risponde a verità (vedasi Cap. Il, Sez. 2). (43) Badoglio - Op. cit. bibl., pg. 106. Il messaggio era stato preventivamente approvato dal gen. Eisenhower. (Rossi - Op. cit. bibl., pg. 163; Zanussi - Op. cit. bibl.,
pg. 125).
(44) Guariglia -
Op. cit. bibl., pg. 708; Del Moro e Acquaviva -
Op. cit. bibl., pg. 9.
466 sue risorse, anche per le gravissime restrizioni delle importazioni tedesche, sono completamente esaurite. « Non esiste punto del territorio nazionale che non sia aperto all'offesa nemica, senza un'adeguata capacità di difesa, come mostra il fatto che il nemico ha potuto sbarcare. come ha voluto, un'ingente massa di forze, che ogni giorno aumenta di potenza, travolgendo ogni resistenza e rovinando il Paese. « In queste condizioni il Governo italiano non può assumersi più oltre la responsabilità cli continuare la guerra che è già costata all'Italia, oltre alla perdita del suo Impero coloniale e alla distruzione delle sue città, l'annientamento delle sue industrie, della sua Marina mercantile, della sua rete ferroviaria e, infine, l'invasione del proprio territorio. « Non si può esigere da un popolo di contim.iare a combattere quando qualsiasi legittima speranza, non dico di vittoria, ma financo di difesa, sia esaurita. « L'Italia, ad evitare la sua totale rovina, è stata pertanto obbligata a rivolgere al nemico una richiesta di armistizio ». 8. -
Alle ore 20 circa ha luogo al Comando Supremo una riunione dei Capi
cli S.M. delle tre Forze Armate. « In questa occasione scrive l'amm. de Courten (45) - ebbi conoscenza delle clausole dell'armistizio, firmato fin dal 3 settembre (46). La lettura delle clausole che riguardavano la Marina mi permise di comprendere il significato del "promemoria Dick". Protestai con il Capo di S.M. Generale per la clausola relativa alla flotta e per essere stato tenuto all'oscuro di essa prospettando la possibilità d'ordinare l'autoaffondamento delle nostre unità con l'invio del prestabilito ordine convenzionale. Ma, avendo preso conoscenza d'un foglio allegato al testo dell'armistizio nel quale era esplicitamente affermato che il trattamento definitivo del quale avrebbe fruito l'Italia sarebbe dipeso dalla lealtà con la quale sarebbero state eseguite le clausole dell'armistizio, decisi di dar pronta e completa applicazione all'accordo concluso dal R. Governo ed esplicitamente approvato da S.M. il Re nella riunione svoltasi poco prima al Quirinale. Dovetti tuttavia far presente che, data l'ora ormai avanzata e lo stato di approntamento delle forze di superficie, non era possibile applicare integralmente ed immediatamente il "promemoria Dick", il quale prevedeva la partenza delle unità italiane dalle nostre basi al tramonto per essere all'alba del giorno successivo, con navigazione ad altissima velocità, in punti prestabiliti. « Mi recai subito al Ministero per l'emanazione di tutti gli ordini relativi all'applicazione delle clausole dell'armistizio, dopo avere pregato il Comando Supremo di inviarmi al più presto copia integrale del testo dell'.armistizio ».
9. - Alle ore 20,30 circa si verifica il primo atto d'ostilità da parte di Forze tedesche che si impadroniscono di sorpresa, presso I.a via Ostiense, dei depositi di carburanti di Mezzocammino e di Valleranello del corpo d'armata motocorazzato, cui era affidata la difesa di Roma. (45) de Courten - Relazione del 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. 12. (46) • Alle 20,30 dell'S settembre ebbi la possibilità di conoscere per la prima volta le clausole dell'armistizio • (discorso dell'amm. de Courten del 14 ottobre 1943 in Fioravanzo - Op. cit. bibl., pg. 285). La Vailati così scrive (Op. cit. bibl. (III) ,pg. 291: « Ambrosio riunl al Comando Supremo i tre Capi di S.M. e lesse loro le clausole dell'armistizio. Particolarmente indignato il Ministro della Marina"· Copia del testo dell'armistizio fu data all'amm. de Courten dal gen. Ambrosio alle ore 2 circa del 9 settembre (Relazione amm. de Courten del 12 febbraio 1944, cit. bibl., par. 13).
467 10. - Alle ore 21 circa radio Malta diffonde il seguente messaggio delJ'amm. A. Cunningham, Comandante in Capo delle Forze navali alleate nel .Mediterraneo, alla flotta e alla Marina mercantile italiane (47): « Marinai della flotta italiana e della Marina mercantile italiana: il vostro Paese ha cessato le ostilità contro le Nazioni Unite. Le Forze Armate tedesche sono ora apertamente ostili al popolo italiano, che hanno così spesso tradito. « Esse hanno intenzione di impadronirsi delle vostre navi mercantili, che sono urgentemente necessarie per collaborare al trasporto di rifornimenti all'Italia, e delle vostre navi da guerra, che occorrono per proteggere questi trasporti dagli attacchi tedeschi. Di conseguenza non affondate le vostre navi e non permettete che esse siano catturate. « Le Forze delle Nazioni Unite sono in attesa di ricevervi e di proteggervi. Salpate con le vostre navi e seguite le istruzioni che stiamo dandovi in nome delle Nazioni Unite. •< Navi nel Mediterraneo: dirigete fino ad un punto in cui non ci sia pericolo di intervento delle Forze Armate tedesche; proseguite quindi verso l'Africa settentrionale o Gibilterra, verso Tripoli o Malta, verso Haifa o Alessandria o verso la Sicilia e ivi attendete lo sviluppo degli avvenimenti. « Navi nel Mar Nero: dirigete verso porti sovietici; se non avete combustibile a sufficienza per fare questo, dirigete allora verso porti neutrali. « Quando incontrate Forze delle Nazioni Unite fatevi riconoscere nel modo seguente: durante il giorno alzando all'albero maestro un gran pennello nero o blu scuro e mostrando in coperta, per farvi riconoscere dagli aerei, dei grandi dischi neri; di notte, se incontrate navi oscurate, accendete i fanali di via con luci attenuate e fate verso le navi oscurate il segnale "G A". Seguite attentamente tutte le istruzioni delle Forze delle Nazioni Unite; esse sono date per garantire la vostra sicurezza. « Uomini della Marina mercantile: se voi riuscite a salvare le vostre navi e promettete quindi alle autorità delle Nazioni Unite di cooperare lealmente con esse sarà possibile per voi di cootinuare a navigare su navi italiane. Quelli di voi che sono nel Mare Egeo o nel Mar Nero, se non possono sfuggire ai Tedeschi, che sono ora vostri nemici, non lascino cadere le loro navi nelle mani di costoro. In caso disperato sabotatele o affondatele piuttosto che farle cadere in mano dei Tedeschi, che le utilizzerebbero contro l'Italia. « Quelle navi che intenderanno agire conformemente a questo messaggio, dovranno chiamare radio Malta o Algeri su 500 kilocicli ». 11. - Verso le 21h l'amm. de Courten, non appena tornato al Ministero dopo il colloquio con il Capo di S.M. Generale, prende contatto telefonico con l'amm. Bergamini a La Spezia per informarlo delle clausole dell'armistizio e fargli presente che il sacrificio amarissimo di eseguire lealmente le clausole del• l'armistizio (le quali prevedevano, sì, il trasferimento delle navi in porti sotto controllo anglo-americano, ma non l'ammaina bandiera e la consegna delle stesse) avrebbe potuto portare in avvenire grande giovamento al Paese in relazione alla promessa contenuta nel memorandum allegato all'armistizio. Gli prospetta inoltre l'opportunità di partire al più presto per La Maddalena, ove era già tutto predisposto per l'ormeggio delle navi, in modo da sottrarle subito alla minaccia
(47) « Daìly Mail » -
Pi . li.
del 9 settembre 1943; Del Mare e Acquaviva -
Op. cit. bibl.,
468 tedesca, all'influenza dell'ambiente terrestre e alle ripercussioni di contatti e discussioni tra Stati Maggiori ed equipaggi d'unità diverse (48). L'amm. Bergamini si riserva di radunare gli ammiragli e i comandanti da lui dipendenti e di riferire entro un paio di ore. 12. - Alle ore 21 Supermarina invia alla V divisione (amm. Da Zara), dislocata a Taranto, il seguente ordine « Tutte le navi in condizioni di muovere passino pronte in. due ore ». 13. - Alle ore 21,04 Supermarina invia al Comando Superiore navale in EstreiÌio Oriente il telegramma che segue: « Navi e sommergibili tentino raggiungere porti inglesi aut neutrali oppure si autoaffondino " (49). 14. - Alle ore 21,08 Supermarina ordina a Betasom (Comando gruppo sommergibili operanti negli oceani) a Bordeaux quanto segue: « Distruggete sommergibili italiani (alt) Ordinate di restituire i sommergibili tedeschi alle autorità germaniche et chiedete libero passaggio per rientrare in Italia con tutti vostri dipendenti» (50). 15. - Alle ore 21,10 Maricosom (Comando in Capo sommeqpbili) trasmt!tte il seguente telegramma a tutti i sommergibili in Mediterraneo: « Dalla ricezione del presente messaggio cessate ogni ostilità». Telegrammi annuncianti la sospensione delle ostilità sono trasmessi successivamente da Supermarina a tutte le unità in navigazione (da guerra e mercantili) nonché a tutti i Comandi militari marittimi. (48) de Courten -
Relazione del 12 febbraio 1944, cit. bibl., par. 13.
In una lettera dell'll aprile 1946 al cap. vasc. A. Galleani, l'amm. R . Oliva dice di aver saputo in un secondo tempo dagli ammiragli L. Sansonetti ed E. Ferreri (rispettivamente Sottocapo dì S.M. e Segretario Generale nel settembre 1943) che, durante questa telefonata, l'amm. de Courten disse all'amm. Bergamini che, secondo le disposizioni armistiziali, le navi al suo comando avrebbero dovuto dirigere per Bona, sulla costa algerina, per proseguire verosimilmente per Malta, ma che si cercava però di ottenere che si fermassero a La Maddalena, ove era opportuno che si trasferissero al più presto (Ufficio Storico M .M . - Archivio post-bellico - XLVII - cartella 105, fase. 4). A quel che risulta, l'amm. Bergamini ritenne conveniente di non dar conoscenza di quanto sopra nemmeno agli ammiragli dipendenti (R. Oliva, E. Accoretti, L . Biancheri e M. Garofalo) cosicché questi ne erano completamente all'oscuro quando, nel pomeriggio del 9 settembre, avvenne la tragedia della Roma e la scomparsa, con essa, dell'amm. Bergamini. Ciò trova conferma nella seguente lettera privata che l'amm. Oliva, il quale lo sostituì nel comando, indirizzò il 2 maggio 1946 all'amm. de Courten: « •••Come ben sai ... l'amm. Bergamini. che pur aveva deciso. come in seguito appresi, di obbedire per amor di patria all'ordine di trasferimento della flotta a Malta comunicatogli per telefono da Roma la sera dell'8 settembre, a nessuno disse d'aver accettato il sacrificio richiestogli.... cosicché, dopo la sua scomparsa con la nave ammiraglia, io mi trovai a dover decidere tra il trasferimento della flotta in un porto alleato, come ordinato con radiotelegramma dal Ministero della Marina, e l'autoaffondamento di essa, che poteva essere da me disposto con la semplice trasmissione d'una frase convenzionale stabilita dall'ammiraglio Bergamini stesso e nota a tutti i comandanti. Ma poiché la bandiera non sarebbe stata ammainata e poiché tu Ministro, in nome del Re ordinavi di attenersi lealmente alle clausole dell'armistizio, decisi d'obbedire a tale ordine,. (Ufficio Sto"rico M.M. Archivio post-bellico XL VII - cartella 105, fase. 4). (49) Erano in E.O. la nave coloniale Eritrea, l'incr. aus. Calitea 2" (ex Ramb 2" ») le cann. Lepanto e Carlotto nonché i smg. Cappellini, Giuliani, Toselli e Cagni (quest'ultimo ancora in navigazione diretto in E.O.). (50) I sommergibili italiani presenti a Bordeaux erano 2: il Bagnolini e il Finz.i. I sommergibili tedeschi sui quali nostro personale si addestrava a Danzica erano 9.
469 16. - Verso le 22h l'amm. Bergamini riunisce a rapporto sulla Vittorio Veneto (la sola unità della Forza navale da battaglia ancora collegata con la terra a mezzo di telefono, dato che le altre erano tutte in rada pronte a muovere in due ore) gli ammiragli e i comandanti dipendenti. Nella riunione l'ammiraglio confermò ai presenti le istruzioni impartite il pomeriggio, disse loro che non sapeva ancora quali ordini sarebbero stati impartiti alla Forza navale da battaglia (se non muoversi o se trasferirsi in Sardegna o altrove) e concluse che, a riunione ultimata, avrebbe parlato per telefono con l'amm. de Courten. Se ci fossero state novità li avrebbe informati (51). 17. - Alle ore 22,35 Supermarina invia a Mariprovenza (Comando M.M. di Tolone) il seguente telegramma: · « Fate raggiungere più prossimo porto nazionale tutte unità italiane in condizione di muovere (alt) Affondate quelle che non possono muovere (alt) Disinteressatevi delle unità francesi». 18. - Verso le 23h l'amm. Bergamini telefona all'amm. de Courten per informarlo che la Squadra sarebbe partita al più presto per La Maddalena con tutte le unità presenti a La Spezia e a Genova, comprese quelle in lavori in condizione di muovere. « Lo assicurai nuovamente scrive de Courten (52) - che nessuna clausola dell'armistizio prevedeva che le nostre navi dovessero ammainare la bandiera ed essere cedute; gli comunicai inoltre che la decisione d'accettare l'armistizio era stata presa per ordine di S.M. il Re e che il Grande Ammiraglio, esempio di dirittura di carattere e di sentimento dell'onore militare, mi aveva confortato poco prima col suo prezioso parere. « Gli dissi infine che a La Maddalena avrebbe trovato gli ordini per la sua successiva linea d'azione. « Alle 3h della notte la Forza Navale era tutta in movimento per La Maddalena, compresi i reparti dislocati a Genova» (53).
9 Settembre 1. - Benché sia in corso in tutta Italia l'azione tedesca per impadronirsi del paese, alle ore 0,20 il Comando Supremo ordina ai tre Stati Maggiori di « non prendere l'iniziativa d'atti ostili contro i germanici» (54), ma soltanto « ad atti di forza reagire con atti di forza ». (51) Ufficio Storico M.M. - Archivio Segreto - Titolo E, CoU. N, pratica amm. R. Oliva. (52) de Courten · Relazione del 12 febbraio 1944 cit. bibl., par. 3. (53) • Non occorre che ricordi - dirà l'amm. de Courten in un'intervista concessa al « Giornale d' Italia,. il 24 dicembre 1946 - che l'applicazione leale dell'ar· mistizìo da parte nostra fu decisa in relazione ai testi dell'armistizio « breve,. e SO· prattutto del documento chiamato di Quebec, ossia di quel documento nel quale Churchill e Roosevelt prendevano impegno di modificare in senso favorevole all'Italia le condizioni dell'armistizio (e non vi era allora che l'armistizio e breve»), in dipendenza della maggiore o minore partecipazione dell'Italia alla guerra contro la Germania. In nessuno dei due documenti vi era alcun cenno alla resa a discrezione e neppure ad un cambio di bandiera: si parlava unicamente di un trasferimento... A questo riguardo voglio ora notare che nel « libro bianco • pubblicato nel novembre dello scorso anno dal Governo britannico sono stati resi di pubblica ragione tutti i documenti relativi all'armistizio. Non è stato però inesplicabilmente incluso tra di essi il documento di Quebec, la cui importanza fu fondamentale e che fu elemento determinante nell'atteggiamento della ·flotta •. (54) Faldella - Op. cit. bibl., pg. 668; Zangrandi - Op. cit. bibl., pg. 134.
470 2. - « Alle ore 4,30 circa scrive l'amm. de Courten (55) - il Capo di S.M. Generale mi comunicò telefonicamente che, in considerazione della situazione militare cretasi attorno a Roma (grossi reparti tedes-chi stavano dirigendo verso la capitale), S.M. il Re aveva stabilito di partire immediatamente per Pescara, dando ordine che i Capi di S.M. lo raggiungessero colà al più presto. In conseguenza dovevo partire entro il più breve tempo per Pescara. Feci presente che ritenevo la mia presenza necessaria a Roma per perfezionare l'emanazione degli ordini relativi all'applicazione dell'armistizio. Il Capo di S.M. Generale mi confermò l'ordine esplicito di S.M., dicendomi di lasciare agli organi di comando centrali il compito di emanare gli ordini ancor necessari. « Convocai immediatamente presso di me il Sottocapo di S.M., il Segretario Generale e il Capo di Gabinetto (56), che pernottavano al Ministero; diedi ordine al primo di assumere la direzione dello Stato Maggiore e al secondo quella del Minister" con la direttiva di applicare integralmente le clausole dell'armistizio e di mantenere integre e compatte le rispettive organizzazioni. Feci ordinare che l'incrociatore leggero Scipione, da Taranto, una corvetta, da Brindisi, ed una da Pola partissero al più presto dirigendo alla massima velocità per Pescara, dove avrei impartito loro dirette disposizioni (57). « Alle 6,30 partii da Roma per raggiungere S.M. il Re " (58). 3. - All'alba sbarcano a Salerno i primi contingenti anglo-americani (operazione « Avalanche » in codice) (59). 4. - Alle ore 5 circa il Re, la Regina, il principe Umberto, il maresc. Badoglio e il ministro Acquarone lasciano Roma diretti a Pescara. Li seguono a breve distanza di tempo il Capo di S.M. Generale, gen. Ambrosie, e il Capo di S.M. dell'Esercito, gen. Roatta, con i due Sottocapi di S.M., gen. De Stefanis e gen. Mariotti, il Ministro e Capo di S.M. dell'Aeronautica, gen. Sandalli, non-
(55) de Courten · Relazione del 12 febbraio 1944 eit. bibl.. par. 14. (56) Erano, nell'ordine, gli ammiragli Luigi Sansonetti ed Emilio Ferreri e il cap. vasc. Giovanni Aliprandi. (57) Le corvette furono la Baionetta da Pola, che giunse a Pescara alle ore 21,05 del 9 settembre, e la Scimitarra, da Brindisi, che vi arrivò alle ore 7 del 10. L'incrociatore Scipione giunse a Pescara pochi minuti dopo la mezzanotte del 9. (58) • L'amm. de Courten - ha scritto il Torsiello (Op cit. bibl., pg. 153) partì alle 6,30 del 9 da Roma: la squadra da battaglia aveva lasciato La Spezia alle ore 3 dello stesso giorno diretta a La Maddalena ... Il de Courten partì dunque dopo essersi assicurato che i suoi ordini fossero stati compresi e in gran parte eseguiti. Partendo diede ordine di diramare, il che avvenne alle ore 11,50 del 9, un suo nobilissimo messaggio in chiaro a tutte le unità navali , a tutti i Comandi della Marina, ovunque fossero, un proclama denso di sensibilità e di invito alla più completa obbedienza, che costituì pe1· tutti un viatico. • Fece tutlo il possibile per orientare i sottordini e per assicurare l'integrale obbedienza alle disposizioni del Re e del Comando Supremo, anche se questa obbedienza, materiata di coesione, costò alla Marina enormi sacrifici, materiali e morali. Lasciò sul posto il suo Sottocapo di S.M., con ordini chiarì e precisi, per assicurare la continuità di funzionamento dello Stato Maggiore; si dimostrò uomo di polso, deciso, risoluto, cosciente delle proprie responsabilità. Soprattutto dimostrò di essere profondamente soldato: come tale non si lasciò travolgere dagli avvenimenti e seppe dominarli con la massima fermezza •. (59) L'ondata d'assalto dell'operazione • Avalanche •. ha scritto il gen. Jaokson, era costituita da tre divisioni con due di rincalzo. A questa forza dovevano essere aggiunte le due divisioni sbarcate il 3 settembre in Calabria, le quali stavano risalendo verso nord, nonché la divisione sbarcata a Taranto nel pomeriggio del 9 settembre. (Jackson · Op. cit. bibl., plf. 133 e 147).
471 ché un folto gruppo di ufficiali, soprattutto del Comando Supremo e dello S.M. Esercito. Prima della partenza il maresc. Badoglio aveva incaricato il Ministro della guerra, gen. Sorice, che rimase a Roma, di informare il Ministro dell'Interno, sen. Ricci, che lo delegava a presiedere il Consiglio dei Ministri (60). Il gruppo principale dei partiti (una sessantina di persone) verso la mezzanotte si imbarca a Ortona sulla Baionetta la quale giunge nelle prime ore del pomeriggio del IO settembre a Brindisi, che diverrà da quel momento, per alcuni mesi, la sede del Governo. 5. - Alle ore 6,31, Supermarina trasmette il seguente telegramma a tutte le autorità a terra e a bordo: « Truppe tedesche marciano su Roma alt. Tra poco Supermarina potrà non poter comunicare alt. Per ordine del Re eseguite lealmente clausole armistizio semialt con questa leale esecuzione la Marina renderà altissimo servizio al Paese alt de Courten ». 6. - Alle ore 6,42 Supermarina invia al Comando della 5° divisione (61) a Taranto il seguente telegramma: « Decifrate da solo alt Partite subito per Malta con navi alla vostra dipendenza escluso Scipione alt Regolatevi in modo arrivare ore diurne provenendo da levante alt Troverete ordini alt Da clausole armistizio est esclusa cessione navi et abbassamento bandiera alt... ». Superati i momenti angosciosi provocati dalla notizia, le unità salpavano alle I7h per Malta, ove giungevano nel pomeriggio del giorno successivo dopo una navigazione senza incidenti, salvo un attacco senza danni alla Duilio da parte di quattro cacciabombardieri tedeschi. 7. - Alle 7h Maricosom ordina ai sommergibili in mare in Mediterraneo di dirigere per Bona (se nel Tirreno) e per Augusta (se nello Ionio) ove avrebbero trovato indicazioni da navi inglesi o americane. Dopo aver indicato i segnali di riconoscimento da adottare, il telegramma così concludeva: « Impegno onore eseguire lealmente clausole armistizio le quali però non, ripeto non, contemplano cessione navi aut abbassamento bandiera». 8. - Alle ore 7,15 Supermarina ordina a tutte le autorità a terra e a bordo d'applicare nei riguardi dei Tedeschi le misure previste dal « Promemoria l ,. del Comando Supremo, in data 6 settembre. 9. - Alle ore 11,50 è diramato in chiaro da Maristat il seguente proclama dell'amm. de Courten: « Marinai d'Italia, durante quaranta mesi di durissima guerra avete tenuto testa alla più potente Marina del mondo, compiendo eroismi che rimarranno scritti a lettere d'oro nella nostra storia e affrontando sacrifici di sangue che vi hanno meritato l'ammirazione della Patria e il rispetto del nemico. Avreste meritato di poter
(60) Dirà più tardi il gen. Sorice: « Mi affrettai a telefonare al ministro Ricci ma questo mi rispose in termini secchi che egli si rendeva dimissionario anche perchè era stato fino allora tenuto all'oscuro dell'armistizio» (Zangrandi - Op. cit. bibl., pg. 148. Vedasi anche Guariglia - Op. cit. bibl., pg. 717). (61) La s• divisione costituiva un reparto staccato delle Forze navali da battaglia, il cui principale nucleo era a La Spezia e a Genova. Era al comando dell'amm. Alberto Da Zara, che alzava la sua insegna sulla Cor. Duilio. La divisione era costituita dalle corazzate Duilio, Daria e Cesare (questa in lavori a Pola con equipaggio ridotto) e dagli incrociatori Cadorna, Pompeo Magr10 e Scipione Africano.
472 compiere il vostro dovere fino all'ultimo combattendo ad armi pari le Forze navali nemiche. e Il destino ha voluto diversamente; le gravi condizioni materiali nelle quali versa la Patria ci costringono a deporre le armi. E ' possibile che altri duri doveri vi siano riservati, imponendovi sacrifici morali rispetto ai quali quello stesso del sangue appare secondario. Occorre che voi dimostriate in questi momenti che la saldezza del vostro animo è pari al vostro eroismo e che nulla vi sembra insopportabile quando i destini futuri della Patria sono in giuoco. Sono certo che in ogni circostanza saprete essere all'altezza delle vostre tradizioni nell'assolvimento dei vostri doveri. « Potete e dovete guardare fieramente negli occhi gli avversari di quaranta mesi di lotta, perché il vostro passato di guerra ve ne dà pieno diritto ». 10. -
Alle ore 12,30 Supermarina dirama il seguente messaggio circolare (62): clausole armistizio alt Cessazione immediata ostilità alt Italia farà ogni sforzo per sottrarre mezzi bellici ai Tedeschi alt Prigionieri britannici siano trasferiti ad autorità nazionali alt Flotta et Aviazione italiana si trasferiranno in località designate con clausola di non consegna e di non abbassamento bandiera alt Per Forze navali principali et piroscafi mercantili del Tirreno tale località est Bona semialt per quelli dello Jonio est Malta semialt per sommergibili est Malta aut Augusta alt Naviglio minore, comprese torpediniere, resta in porti nazionali sicuramente da noi controllati alt Naviglio mercantile est requisibile da anglo-americani alt Consegna immediata della Corsica e di tutto il territorio italiano, isole comprese alt Libero uso per anglo-americani dei porti ed aeroporti alt». « Riassumo
11. - AJle ore 12,50 circa le VAS 234 e 235, dirette da La Spezia verso sud, sono attaccate nei pressi della Gorgona da due motosiluranti tedesche. Nell'impari lotta, data la netta superiorità nella velocità e nell'armamento di quest'ultime, la VAS 234, colpita, si incendia e affonda. Nello scontro trova la morte l'amm. Martinengo imbarcato su questa unità. 12. - Alle 13h circa Suoermarina. avvertita the Forze germaniche avevano occupato con un colpo di mano La Maddalena, ne informa subito con telegramma cifrato l'amm. Bergamini, diretto con la Forza navale al suo comando verso quel sorgitore, ordinandogli di dirigere per Bona (63). Il messaggio è ricevuto alle ore 14,24, mentre la formazione si apprestava a entrare nelle Bocche di Bonifacio. Alle ore 14,45 essa inverte la rotta a un tempo, sulla sinistra, dirigendo verso ponente. Alle 15,38 la formazione, che era del tutto priva di una scorta aerea a sua protezione, subisce un primo attacco, andato a vuoto, da parte di un gruppo di aerei tedeschi.
(62) Soltanto nella mattinata lo Stato Maggiore della Marina aveva ricevuto dal Comando Supremo il testo dell'armistizio. (63) La Forza navale da battaglia (che aveva fatto rotta da La Spezia verso La Maddalena passando a ponente della Corsica) era costituita dalle seguenti unità: Cor. Roma, Italia e Vittorio Veneto; I ncr. Eugenio di Savoia, Duca d'Aosta, Montecuccoli, Duca degli Abruzzi, Garibaldi e· Attilio Regolo, Ct. Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere, Velite, Legionario, Artigliere, Oriani e Grecale; Torp. Libra, Pegaso, Orsa, Orione e Impetuoso.
473 Alle 15.SO altro attacco durante il quale la Roma, colpita da due bombe, alle 16.12 si spezza in chiglia e affonda. Il comando della formazione è assunto dall'amm. Romeo Oliva, Comandante della 7• divisione, il quale, dopo aver ordinato all'incrociatore Regolo, ai et. Mitragliere, Carabiniere e Fuciliere e alle Torp. Pegaso, Orsa e Impetuoso di raccogliere i naufraghi, prosegue la rotta con le restanti unità verso ponente, oggetto di altri quattro attacchi aerei tedeschi. Durante questi attacchi la corazzata Italia è colpita a prua, in modo tale però da non impedire di con· tinuare a navigare alla velocità di 24 nodi (64). Alle 21h il gruppo Oliva - che nel frattempo aveva ricevuto conferma da Supermarina di far rotta per Bona (65) - accosta per sud, giungendo nelle prime ore del giorno seguente al largo della costa algerina. Quiv~ si incontra con una formazione navale britannica con la quale prosegue per Malta, ove giunge il mattino c.lell'll settembre. Il gruppo formato dall'incr. Regolo e dai tre caccia (cap. vasc. Giu seppe Marini), ultimato verso le 18h il recupero dei naufraghi, dopo ore di incertezza per mancanza di ordini e di notizie sulla situazione, prosegue per le isole Baleari, entrando a Port Mahon (isola di Minorca) il mattino del 10 settembre ( 66 ). Anche il gruppo Pegaso (cap. fregata Riccardo Imperiali), pur esso nelle stesse condizioni del gruppo precedente, dirige verso le Baleari dando fondo nella baia di Pollensa (isola di Maiorca) il mattino del 10 settembre (67). 13. - Verso le 17h i Ct. Vivaldi e De Noli ingaggiano combattimento nelle Bocche di Bonifacio con alcune piccole unità tedesche e con le batterie germaniche piazzate sulla costa della Corsica (68). Il Da Noli, dopo esser stato danneggiato da due colpi di artiglieria, urta contro una mina e affonda alle 17,50. Il Vivaldi, colpito anch'esso da colpi di artiglieria, rompe il contatto balistico e dirige verso le Baleari ma, danneggiato ulteriormente durante un attacco aereo tedesco, affonda alle 11,30 del giorno successivo. 14. -
Alle ore 18 una formazione britannica costituita da 1 corazzata a Taranto carica di truppe (la 1• divisione aviotrasportata), le quali sbarcano senza incontrare alcuna opposizione, non essendovi più nella sede né truppe, né unità navali tedesche. ( « Howe » ), 6 incrociatori e 6 cacciatorpediniere giunge
(64) Questi quattro attacchi ebbero luogo alle ore 16.29, 18,00, 18.34 e · 19,10. La corazzata Italia fu colpita nell'attacco delle ore 16,29. (65) L'ordine dato da Supermarina all'amm. Bargamini, con telegramma delle 13,16, di dirigere per Bona non era venuto a conoscenza dell'amm. Oliva, dato che il telegramma era stato cifrato con tabella in possesso soltanto dall'amm. Bergamini. (66) Le quattro unità il mattino successivo furono internate dalle autorità spagnole sino al 15 gennaio 1945. (Vedasi Cap. V., Sez. 6). (67) Il Pegaso e l'Impetuoso, usciti dalla baia di Pollensa il mattino successivo, si autoaffondarono al largo: l'Orsa rimase invece nella baia e fu internata dalle autorità spagnole sino al 15 gennaio 1945. (Vedasi Cap. V., Sei. 6). (68) I due Ct,. partiti dalla Spezia la sera dell'S settembre diretti a Civitavecchia, durante la navigazione (alle 7,41) avevano ricevuto l'ordine di dirigere per La Maddalena e, successivamente (alle 14 circa), di proseguire per Bona, aggregandosi alla Forza navale da battaglia.
474 ALLEG. 5
Situazione della flotta italiana all'8 settembre 1943. ( 1)
CORAZZATE
Roma Italia (ex-Littorio) Vittorio Veneto Doria Duilio *Cavour Cesare
Tonn. 35.560 ,. 35.560 • 35.560 • 24.000 ,. 24.000 » 24.000 • 24.000
INCROCIATORI A (con cannoni da 203 mm) *Bolzano *Gorizia
Tonn. 10.160 " 10.160
INCROCIATORI B (con cannoni da 152 mm o meno)
Pompeo Magno Attilio Regolo Scipione Africano Duca degli Abruzzi Garibaldi Eugenio di Savoia Duca d'Aosta Montecuccoli Cadoma *Taranto
Tonn. 3.416 ,. 3.416 ,. 3.416 8.000 " 8.000 7.400 ,. 7.400 ,. 7.052 5.089 • 3.235
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CACCIATORPEDINIERE *Velite Legionario Mitragliere *Corazziere
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J.646 1.646 1.646 1.646
(1) Non sono comprese nell'elenco le navi ausiJiarie nonch é quelle di qualsiasi tip0 in costruzione o in programma. Nell'elenco sono incluse anche le unità francesi (FR) e quelle jugslave tescluse Auelle ausiliarie) che, catturate, erano da noi impiegate. Le navi i cui nomi sono scrilli in corsivo e con un asterisco sono quelle che l'B settembre non erano pronte all'impiego. I dislocamenti sono standard e in tonnellate metriche e sono quelli ufficiali riportati (per la gran massa delle unità) nell'• Annua rio Ufficia le . R. Ma rina • del 1940, paa. 500 e seauen ti.
475 *Granatiere Fuciliere Carabiniere *Artigliere (ex - Camicia Nera) Oriani *Maestrale Grecale *Dardo *Pigafetta *Zeno Da Recco Vivaldi Da Noli Riboty FR. 21 (ex-Lion) *F.R. l2 (ex-Panth~re) FR. 23 (ex-Tigre) *Premuda (ex- Dubrovnic) *Sebeni'Co (ex- Beograd)
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1.646 1.646 1.646 1.646 1.593 1.472 1.472 1.225 1.654 1.654 l.654 1.654 1.654 1.405 2.475 2.160 2.160 1.910 l.236
TORPEDINIERE *Indomito (2) *Ghibli (2) Impetuoso (2) *Impavido (2) Aliseo (2) Ardimentoso (2) *Animoso (2) Fortunale (2) Ardito (2) Orsa (2) Orione (2) Pegaso (2) *Procione (2) *Ariete Calliope Clio *Lira Libra *Partenope *Aretusa *Cassiopea Sirio *Sagittario Euro *Turbine *Sella (2) Torpediniere di scorta.
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476 Crispi Castelfidardo Calatafimi *Monzambano Solferino *San Martino Giovannini *Montanari *C'ascino *Cosenz *Papa *La Masa Carini Fabrizi Sirtori Stocco Audace Abba Pilo *Vezza Missori Mosto Insidioso T. 1 (3) *T. 3 (3) *T. 5 (3) T . 6 (3) T. 7 (3) T. 8 (3)
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CORVETTE *Urania Baionetta Sibilla Fenice Sfinge Scimitarra Chimera Ape *Camoscio *Pomona Pellicano Gru *Flora Ibis Cormorano Danaide (3) Le torpediniere T. erano ex-juioslave.
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477 Minerva Folaga
*Euterpe *Driade *Persefone *Antilope *Artemù:le *Gabbiano * FR. 51 (ex-Batailleuse)
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SOMMERGIBILI *Sparide (4) *Murena (4) Vortice (4) Marea (4) *C.B. 7 (4) C.B. 8 (4) *C.B. 9 (4) C.B. 10 (4) *C.B. 11 (4) C.B. 12 (4) *Volframio (4) Giada (4) Platino (4) Nichelio ( 4) C.B. 1 (4) C.B. 2 (4) C.B. 3 (4) C.B. 4 (4) C.B. 6 (4) Cagni
*Giuliani Toselli
*Bagnolini *Cappellini
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905 905 905 36 36 36 36 36 36 '110 710 710 710 36 36 36 36 36 1.485 1.052 1.052 1.052 975 1.209 1.139 956 910 623 630 630 630 700 1.354 876 630
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Atropo Zoea
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*Beilul *Aradam *Axum
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*Argo *Finzi
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(4) Dislocamento normaJc.
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478 Onice *Ambra Diaspro Topazio *Ametista Galatea *Sirena Jalea *Serpente Settembrini Settimo Corridoni Bragadino Squalo Menotti Fratelli Bandiera *Manara Pisani *Mameli *Giovanni da Procida *Speri
H. I H. 2 H. 4 H. 6 *F.R. 113 ( ex-Requin) *F.R. 114 (ex-Espadon) *F.R. 115 (ex-Dauphin) *Baiamonti (ex-Smeli) Rismondo (ex-Osvetnik)
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810 810 815 815 823 828 828 828 804 782 782 782 341 341 341 341 990 990 990 64() 640
M.S. (5) N. Il N. 12 N. 15
Tono.
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*N. 16 N. 21
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N . 23 N. 24 N. 26 N. 31 *N. 32 N. 33 *N. 34 N. 35 N. 36
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*N. 41 (ex- Orien ) (5) Il dislocamento indicato è quello contrattuale.
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479 N. 42 (ex- Velebit ) N. 43 (ex- Dinara ) N. 44 (ex- Triglav ) N. 45 (ex- Suvobor ) N. 46 (ex- Rudnik ) N. 51 N. 52 N. 53 N. 54 "N. 55 N. 56 N. 61 *N. 63 N.64 N. 65 *N. 71 N. 72 *N. 73 N. 74 N. 75 N. 76
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*N. 423 N. 424 *N. 430 *N. 431 N. 432 N. 433 N . 434 *N . 437 *N. 502 N. 504 N. 505 N. 507 N. 509 N. 510 *N. 514 *N. 515 N. 516 N. 517 N. 518 *N. 519 *N. 520 N. 521 N. 522 *N. 523 *N. 525 *N. 531
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480 N. 534 N. 538 N. 540 N. 541 *N. 542 *N. 543 N. 544 N. 545 N. 546 N. 547 *N. 549 *N. 550 N. 551 *N. 553 *N. 554 N. 555 *N. 556 *N. 557 *N. 558 N. 559 *N. 561 *N. 562
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M.E. N. 38 (ex-M.A.S. 438) N. 39 (ex-M.A.S. 439) N. 40 (ex-M.A.S. 440) N. 41 (ex-M.A.S. 441)
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V.A.S. (6)
*N. 201 N. 203 N. 204 *N. 205 *N. 206 *N. 207 N. 208 N. 209 *N. 210 N. 211 N. 214 *N. 215 N. 217 *N. 218 N. 219 N. 220 (6) Il dislocamento indicato è quello contrattuale.
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481
*N. 221 N. 222 *N. 224 *N. 225 *N. 226 *N. 227 *N. 228 N. 232 *N. 233 N. 234 *N. 235 N. 236 N. 237 *N. 238 N. 239 N. 240 1 'N. 241 *N. 245 N. 246 *N. 247 N. 248 N. 301 N. 302 N. 303 *N. 304 N. 305 N. 306
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TABELLA RIASSUNTIVA Pronte all'impiego
Totale
Non pronte all'impiego
Tipi di unità N·
Tonn.
N"
Tonn.
N·
Tonn.
6
1 2 1 11 23 11 27 9 23
24.000 20.320 3.235 17.895 17.014 7.340 19.823 540 450
202.680 20.320 56.424 38.546 39.466 16.720 43.588 2.160 933 140 3.056 424.033
Cor. Incr. A Incr. B Ct. Torp. Corv. Smg. M.S. M.A.S. M.E. V.A.S.
9 12 32 14 39 27 25 4 23
178.680 53.189 20.651 22.452 9.380 23.765 1.620 483 140 1.674
Totali
191
312.034
-
-
-
20
1.382
7 2 10 23 55 25 66 3o 48 4 43
128
111.999
319
482 ALLEG. 6
Memorandum d'intesa sull'impiego e il trattamento della flotta e della marina mercantile italiane. ( 1) ( Accordo Cunningham · de Courten)
1. Essendo stato firmato tra il Capo del Governo italiano ed il Comandante in Capo alleato un armistizio in virtù del quale tutte le navi da guerra italiane e la Marina mercantile italiana sono state poste incondizionatamente a disposizione delle Nazioni Unite, e avendo S.M. il Re d 'Italia ed il Governo italiano espresso successivamente il desiderio che la Flotta e la Marina mercantile italiane siano impiegate a favore dello sforzo alleato nella prosecuzione della guerra contro le Potenze dell'Asse, sono stabiliti i principi che seguono concernenti il trattamento delle Marine da guerra e mercantile italiane (2). a) Quelle navi che possono essere impiegate per collaborare attivamente allo sforzo alleato saranno mantenute in armamento e saranno impiegate agli ordini del Comandante in Capo [navale) del Mediterraneo. conformemente a quanto. potrà essere stabilito tra il Comandante in Capo alleato e il Governo italiano. b) Le navi che non possono essere così impiegate saranno poste in riserva e saranno dislocate nei porti che verranno designati, applicando loro quelle misure di disarmo che potranno essere necessarie. c) Il Governo italiano comunicherà i nomi e la dislocazione delle navi da guerra e mercantili attualmente in suo possesso, già appartenenti ad un:i. delle Nazioni Unite. Tali navi saranno restituite senza indugio secondo le istruzioni che potranno essere impartite dal Comandante in Capo alleato. Ciò avverrà senza pregiudizio per i negoziati tra i Governi che potranno aver luogo in seguito per il rimpiazzo di perdite di navi delle Nazioni Unite causate da azione italiana. d) Il Comandante in Capo navale alleato agirà come delegato del Comandante in Capo alleato per tutto ciò che concerne l'impiego della Flotta e della Marina mercantile italiane, il loro trattamento e le questioni connesse. e) Deve essere chiaramente inteso che la misura nella quale le condizioni
(1) Con cordato a Taranto, sotto forma di • gentlemen's agreement •, il 23 settembre 1943 tra l'amm. Andrew Cunningham, Comandante in Capo navale delle Forze alleate del Mediterraneo, e l'amm. Raffaele de Courten, Ministro della Marina italiana. Fu pubblicato il 6 novembre 1945 con un commento dei Governi di Washington e Londra nel quale si riconosceva che t'accordo modificava le condizioni d'armistiziu. Traduzione non urficiale. (2) Con atto del 17 novembre 1943, al preambolo fu aggiunto il seguente comma: • E' inteso e concordato che le norme del presente accordo, relativo a ll'immediato impiego e al trai !amento delle navi da guerra e mercantili italiane, non pregiu· dicano il diritto delle Nazioni Unite di adottare, nei riguardi di alcune o di tutte le navi italiane, quelle altre misure che esse possano considerare opportune. Le loro decisioni a questo >iguardo saranno notificate' di volta in volta al Governo italiano •.
483 dell'armistizio saranno modificate, per consentire l'attuazione degli accordi di cui sopra e di quelli che seguono, dipenderà dall'entità e dall'efficacia della collaborazione italiana. 2. Metodi operativi. Il Comandante in Capo (navale] del Mediterraneo metterà a disposizione del Ministero della Marina italiano - con il personale adeguato - un ufficiale di Marina di alto grado, il quale sarà responsabile verso il Comandante in Capo [navale] del Mediterraneo per tutte le questioni connesse con l'attività della Flotta italiana e sarà il tramite attraverso il quale verranno mantenute le relazioni per quanto riguarda la Marina mercantile italiana. L'uffi. ciale ammiraglio incaricato di questi compiti (Flag Officer, Liaison) terrà informato il Ministero della Marina italiano delle richieste del Comandante in Capo [navale] del Mediterraneo e agirà in stretta collaborazione (con il Ministero stesso] per quanto riguarda l'emanazione di qualsiasi ordine alla Flotta italiana. 3. Trattamento proposto per la flotta italiana. a) Tutte le navi da battaglia saranno messe in riserva in porti che saranno designati e verranno loro applicate quelle misure di disarmo che potranno essere ordinate. Queste misure di disarmo saranno tali da consentire che le navi possano essere messe nuovamente in servizio se ciò sarà ritenuto desiderabile. Ogni nave avrà a bordo un nucleo di personale navale italiano onde mantenerla nelle dovute condizioni. Il Comandante in Capo [navale] del Mediterraneo avrà il diritto di procedere ad ispezioni in qualsiasi momento; b) lncrociia.tori: quegli incrociatori che possono esser d'immediato aiuto saranno mantenuti in armamento. Attualmente si ritiene che una divisione di quattro incrociatori sia sufficiente e che le restanti unità debbano esser mantenute in riserva come le navi da battaglia. ma ad un grado di approntamento maggiore, per essere rimesse in servizio, se richiesto; c) Cacciatorpediniere e torpediniere: si propone di mantenerli in armamento e di usarli in compiti di scorta e analoghi, secondo il bisogno. E' proposto che siano suddivisi in gruppi di scorta. operanti come unità organiche. e che abbiano come basi porti italiani; d) Piccole unità: MAS, dragamine, navi ausiliarie e piccole unità similari saranno impiegati in pieno; accordi dettagliati per la loro migliore utilizzazione saranno presi dal Ministero della Marina italiano col Flag Officer. Liaison; e) Sommergibtli: in un primo tempo i sommergibili saranno tenuti fermi in porti da designarsi; successivamente potranno essere rimessi in servizio, secondo quanto potrà essere richiesto, per collaborare allo sforzo alleato. 4. Status della Marina da guerra italiana. In virtù di queste modifiche alle condizioni d'armistizio. tutte le navi italiane continueranno a battere la loro bandiera. Una forte percentuale della Marina da guerra italiana rimarrà in tal modo in attività di servizio sotto comando italiano, combattendo a fianco delle Forze delle Nazioni Unite contro le Potenze dell'Asse. Allo scopo di facilitare l'impiego delle navi italiane in collaborazione con le Forze alleate, saranno messi a disposizione gli ufficiali di collegamento necessari. Una piccola missione italiana di collegamento verrà istituita presso il Quartier Generale del Comandante in Capo [navale] del Mediterraneo per trattare le questioni riguardanti la Flotta italiana. 5. Marina mercantile. E ' intendimento che la Marina mercantile italiana operi nelle stesse condizioni del naviglio mercantile delle Nazioni Alleate, il quale fa parte di un «pool» che è impiegato come ritenuto necessario nell'interesse di tutte le Nazioni Unite. Nel decidere sull'impiego del naviglio del «pool"
484 sarà tenuto conto naturalmente delle necessità di rifornimento dell'Italia. Il sistema sarà analogo a quello usato nell'Africa settentrionale, dove il « NorthAfrica Shipping Board,. controlla tutto il naviglio statunitense, britannico e francese secondo determinati accordi, che dovranno essere stabiliti in dettaglio per quanto riguarda le navi italiane. Mentre si può prevedere che un'aliquota delle navi italiane lavorerà in Mediterraneo, da e per i porti italiani, occorre tener presente che ciò non accadrà necessariamente sempre, e che è da attendersi che navi battenti bandiera italiana possano essere usate altrove, così come vien fatto per le navi mercantili di tutte le Nazioni Unite. Le navi italiane impiegate secondo quanto indicato in questo paragrafo saranno armate (3) con equipaggi forniti dal Ministero della Marina italiano e batteranno la bandiera italiana.
(3) Con atto del 17 novembre 1943, dopo • saranno armate"· fu aggiunto: • nei limi!i del possibile •.
485 ALLEG. 7
Armistizio tra l'Italia e le Potenze Alleate, firmato a Malta il 29 settembre 1943. ( 1) (ArmbtWo lungo)
ATTO DI RESA DELL'ITALIA (2) Poiché, in conseguenza di un armistizio in data 3 settembre 1943 fra i Go· vernì degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (3), da una parte, e il Governo italiano, dall'altra, le ostilità fra l'Italia e le Nazioni Unite sono state sospese sulla base di alcune condizionì di carattere militare; e poiché, in aggiunta a queste condizioni, in detto armistizio è stato disposto che il Gove rno ìtaliano si impegnava ad osservare anche altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario che gli sarebbero state comunicate success iv amen te; e poiché è opportuno che le condizioni di carattere militare e quelle di carattere politico, economico e finanziario siano comprese in un unico atto, senza che ciò faccia venir meno la validità delle condizioni del suddetto armistizio del 3 settembre 1943; le seguenti condizioni, unitamente a quelle dell'armistizio del 3 settembre 1943, sono le condizioni in base alle quali i Governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (4 ), agenti per conto delle Nazioni Unite, sono disposti a sospendere le ostilità contro l'Italia, purché le loro operazioni militari contro la Germania e i suoi alleati non vengano ostacolate, l'Italia non aiuti in alcun modo queste Potenze ed essa si conformi alle prescrizioni di detti Governi. Queste condizioni sono state presentate dal generale Dwight D. Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze alleate, a ciò debitamente autorizzato, e sono state accettate dal maresciallo Pietro Badoglio, Capo del Governo italiano (5). Art. l (A) - Le Forze italiane di terra, mare e aria, ovunque dislocate, con questo atto si arrendono incondizionatamente (6). (1) Traduzione
non ufficiale dal testo inglese. Questo documento fu reso pubblico
il 6 novembre 1945.
(2) Con protocollo 9 novembre 1943 questo titolo fu cambiato in • Condizioni ag. giuntivc di armistizio con l'Italia •. (3) Con protocollo 9 novembre 1943, dopo • Gran Bretagna •. fu aggiunto « agen•.i nell'interesse di tutte le Nazioni Unitt: •. (4) Con protocollo 9 novembre 1943 la • e » tra Stati Uniti e Gran Bretagna fu sostituita da una virgola e, dopo • Gran Bretagna », fu aggiunto • e dell'Unione Sovietica ». (5) Con protocollo 9 novembre 1943 questo comma fu cosi modificato: « e sono state accettate senza condizioni dal maresciallo Pietro BADOGLIO, Capo del Governo italiano, rappresentante il Comando Supremo delle Forze italiane di terra, mare e aria, e debitamente a ciò autorizzato dal Governo italiano ». (6) Con protocollo 9 novembre 1943 la parola • incondizionatamente» fu cancellata.
486 (B) - La partecipazione dell'Italia alla guerra cesserà ovunque immediata· mente. Non vi sarà opposizione agli sbarchi, ai movimenti e alle altre operazioni delle Forze di terra, mare e aria delle Nazioni Unite. Di conseguenza il Comando Supremo italiano ordinerà la cessazione immediata dalle ostilità di qualunque genere contro le Forze delle Nazioni Unite e disporrà che le autorità navali, militari e aeronautiche italiane, ovunque dislocate, emanino immediatamente ade· guate istruzioni ai comandi dipendenti. (C) - Il Comando Supremo alleato ordinerà inoltre a tutte le proprie Forze navali, militari ed aeree, nonché a tutte le autorità civili italiane e al loro per· sonate, di astenersi immediatamente dal djstruggere o danneggiare qualsiasi bene immobile o mobile, sia pubblico che privato.
Art. 2 Il Comando Supremo italiano fornirà ogni ragguaglio sulla dislocazione e la situazione di tutte le Forze italiane di terra, mare e aria, ovunque esse si trovino, e sulle Forze degli alleati dell'Italia che si trovino in territorio italiano od occupato dall'Italia.
Art. 3
I
n Comando Supremo italiano prenderà tutte le misure necessarie per proteggere gli aeroporti, le installazioni portuali e qualunque altro impianto, dalla cattura da parte degli alleati dell'Italia e dagli attacchi di questi. Il Comando Supremo italiano emanerà altresì tutti i necessari ordini per assicurare il rispetto della legge e il mantenimento dell'ordine nonché per impiegare le Forze Armate di cui dispone per assicurare la pronta e precisa osservanza di tutte le disposizioni del presente atto. Fatta eccezione per quelle Forze italiane il cui impiego, per gli scopi di cui sopra, potrà essere autorizzato dal Comandante in Capo alleato, tulle le altre Forze di terra, mare e aria rientreranno o rimarranno nelle loro caserme, nei loro campi o sulle loro navi in attesa di disposizioni da parte delle Nazioni Unite per quanto riguarda il loro status e il loro trattamento. In via di eccezione il personale imbarcato si trasferirà in quelle installazioni a terra che le Nazioni Unite potranno indicare. Art. 4
I
I 11
11
Le Forze italiane di terra, mare e aria si ritireranno, entro il termine che verrà stabilito dalle Nazioni Unite, dai territori fuori dell'Italia che saranno indicati al Governo italiano dalle Nazioni Unite e si tras.ferirannb in quelle località che saranno stabilite dalle Nazioni stesse. Questi movimenti delle Forze italiane di terra, mare e aria verranno effettuati nei modi che saranno fissati dalle Nazioni Unite e con l'osservanza degli ordini che saranno da esse emanati. Tutti i funzionari italiani egualmente lasceranno i territori come sopra indicati, fatta eccezione per quelli ai quali le Nazioni Unite potranno aver dato il permesso di rimanere. Coloro cui sarà stato concesso questo permesso dovranno uniformarsi alle istruzioni del Comandante in Capo alleato. Art. 5 Nessuna requ1s1Z1one, nessun sequestro o altro provvedimento coercitivo sarà effettuato dalle Forze italiane di terra, mare e aria o da funzion ari italiani
487 nei riguardi di persone o beni trovantesi nelle località indicate ai sensi dell'articolo 4. Art. 6
La smobilitazione delle Forze italiane di terra, mare e aria in soprannumero agli effettivi che saranno indicati, avverrà nei modi che saranno stabiliti dal Comandante in Capo alleato. Art. 7
Le navi da guerra italiane di ogni tipo, comprese quelle ausiliarie ed onerarie, saranno radunate, secondo gli ordini che verranno impartiti, nei porti indicati dal Comandante in Capo alleato e ne sarà disposto come verrà stabilito da quest'ultimo. (Nota . Se alla data dell'armistizio tutta la flotta italiana sarà già radunata in porti alleati, quest'articolo sarà del seguente tenore: « Le navi da guerra italiane di ogni tipo, comprese quelle ausiliarie ed onerarie, rimarranno, sino a nuovo ordine. nei porti ove sono attualmente radunate e ne sarà disposto come verrà stabilito dal Comandante in Capo alleato»). Art. 8
Gli aerei italiani di qualsiasi tipo non decollarono da terra, dall'acqua o dalle navi, salvo ordine del Comandante in Capo alleato. Art. 9
Salvo restando quanto disposto dai successivi articoli 14, 15 e 28 (A) e (D), sarà impedito di partire, in attesa che si sia proceduto al controllo della loro identità e del loro status, a tutte le navi mercantili, da pesca o di altro tipo, di qualsiasi bandiera, nonché a tutti gli aerei e i mezzi di trasporto interno, di qualunque nazionalità, trovantisi in territorio italiano od occupato dall'Italia o nelle relative acque. Art. 10 Il Comando Supremo italiano fomità ogni ragguaglio sui mezzi, installaqualunque nazionalità, trovantisi in territorio italiano od occupato dall'Italia o comunicazioni costruite dall'Italia o dai suoi alleati in territorio italiano o negli accessi allo stesso; sui campi di mine o sugli altri ostacoli per i movimenti via terra, via mare o via aria nonché su ogni altro dettaglio che le Nazioni Unite potranno richiedere in relazione all'uso da parte loro delle basi italiane oppure alle operazioni, alla sicurezza o al benessere delle loro Forze di terra, mare e aria. Forze e mezzi italiani saranno messi a disposizione delle Nazioni Unite, secondo le loro richieste, per rimuovere i suddetti ostacoli. Art. 11
Il Governo italiano fornirà subito degli elenchi indicanti i quantitativi del materiale bellico posseduto e le località ove esso si trova. Eccezion fatta per il caso che il Comandante in Capo alleato decida che ne sia fatto uso, tale materiale sarà posto in magazzino, sotto il controllo che il Comando stesso potrà
488 stabilire. Il trattamento finale del materiale bellico verrà deciso dalle Nazioni Unite. Art. 12
Non vi dovrà essere alcuna distruzione o alcun danneggiamento o - salvo che non sia diversamente disposto dalle Nazioni Unite - alcun spostamento di materiale bellico; di stazioni radio, di radio-localizzazione o meteorologiche; di impianti ferroviari, portuali o d'altra natura nonché, in via generale, di servizi o beni pubblici o privati, di qualsiasi s.o rta, ovunque quanto sopra si trovi. Le autorità italiane saranno responsabili della manutenzione e delle riparazioni necessarie. Art. 13 Salvo che non sia diversamente disposto dalle Nazioni Unite, sono vietate la fabbricazione, la produzione e la costruzione di materiale bellico nonché l'importazione, l'esportazione e il transito dello stesso. Il Governo italiano si uniformerà a quelle istruzioni che saranno impartite dalle Nazioni Unite per la fabbricazione, la produzione o la costruzione nonché per l'importazione. l'esportazione o il transito di tale materiale. Art. 14 (A) - Tutte le navi italiane, mercantili, da pesca e di altro ti9c, ovunqune ti trovino, nonché quelle che saranno costruite o ultimate durante il periodo di validità del presente atto, a cura delle competenti autorità italiane saranno messe a disposizione delle Nazioni Unite, in buone condizioni di manutenzione e di navigabilità, in quei luoghi, per quegli scopi e per quei periodi di tempo che potranno esser indicati dalle Nazioni stesse. E' vietato il trasferimento a bandiere nemiche o neutrali. Gli equipaggi rimarranno a bordo in attesa che venga loro comunicato se continueranno ad esser impiegati o se saranno sciolti. Sarà immediatamente esercitato qualunque diritto di opzione esistente per il riscatto, il riacquisto o la ripresa in possesso di navi italiane, o precedentemente italiane, che fossero state vendute o in altro modo trasferite o noleggiate durante la guerra. Queste disposizioni si applicheranno sia alle navi che agli equipagg,
(B) - Tutti i mezzi italiani di trasporto interno e tutti gli impianti por tuali saranno tenuti a disposizione delle Nazioni Unite per quei fini che esse potranno stabilire.
Art. 15 Le navi mercantili, da pesca e di altro tipo delle Nazioni Unite (comprese quelle dei Paesi che abbiano rotto le relazioni diplomatiche con l'Italia), trovantisi in mano italiana, saranno consegnate, ovunque si trovino, alle Nazioni Unite - anche se v: sia stato passaggio di proprietà a seguito di sentenza di Corte del!::: prede o in altro modo - e saranno radunate nei porti che verranno indicati dalle Nazioni stesse, perché ne sia disposto come queste decideranno. Il Governo italiano adotterà le necessarie misure perché abbia luogo il passaggio del diritto di proprietà. Tutte le navi neutrali, mercantili, da pesca o di altro tipo, impiegate dal-
489 l'Italia o sotto il suo controllo, saranno radunate come sopra indicato, in attesa di accordi sul loro trattamento finale. Il Governo italiano. se richiesto, provvederà, a sue spese, alle necessarie riparazioni alle navi sopra indicate. II Governo italiano prenderà altresì tutte le misure necessarie per garantire che navi e carichi non siano danneggiati. Art. 16 Nessun impianto radio o di telecomunicazione né alcun altro mezzo di comunicazione, situato tanto a terra che a bordo, trovantesi sotto controllo italiano (sia che appartenga all'Italia o ad altra Nazione non facente parte delle Nazioni Unite) potrà trasmettere finché il Comandante in Capo alleato non avrà dato disposizioni per il suo controllo. Le autorità italiane si conformeranno alle disposizioni per il controllo e la censura che il Comandante in Capo predetto potrà emanare per quanto riguarda la stampa e le altre pubblicazioni, le rappresentazioni teatrali e cinematografiche, le radiodiffusioni e qualsiasi altro mezzo di comunicazione. Il Comandante in Capo alleato potrà, a sua discrezione, prender possesso di stazioni radio, di cavi telegrafici o d'altri mezzi di comunicazione. Art. 17 Le navi da guerra - comprese quelle ausiliarie e onerarie - le navi mercantili e di altro tipo, nonché gli aerei delle Nazioni Unite avranno il diritto di usare liberamente le acque territoriali italiane e lo spazio aereo sovrastante il territorio italiano. Art. 18 Le Forze delle Nazioni Unite occuperanno alcune parti del territorio italiano. I territori o le zone di cui trattasi saranno di volta in volta comunicati dalle Nazioni Unite e tutte le Forze italiane di terra, mare e aria saranno ritirate subito da detti territori o zone in conformità delle istruzioni emanate dal Comandante in Capo alleato. Le disposizioni di quest'articolo non pregiudicano quelle del precedente articolo 4. [l Comando Supremo italiano garantirà agli AJleati l'uso immediato di tutti gli aeroporti e di tutti i porti italiani sotto il suo controllo, nonché l'accesso agli stessi. Art. 19
Nei territori e nelle zone di cui al precedente articolo 18 le installazioni navali, militari ed aeree; le centrali elettriche; le raffinerie di petrolio; i servizi pubblici; i porti; le installazioni, le attrezzature e i materiali per i trasporti e le comunicazioni; le altre installazioni o attrezzature nonché le scorte, che le Nazioni Unite potessero richiedere, saranno messe a disposizione di queste a cura delle competenti autorità italiane - in buone condizioni e con il personale necessario per il loro funzionamento. Il Governo italiano metterà a disposizione delle Nazioni Unite anche le altre risorse o gli altri servizi locali ch'esse potessero richiedere.
490 Art. 20 Senza pregiudizio delle disposizioni del presente atto, le Nazioni Unite eserciteranno tutti i diritti di una Potenza occupante nei territori e nelle zone di cui al precedente articolo 18. All'amministrazione di detti territori e zone verrà provveduto mediante bandi, ordinanze e regolamenti. Salvo che non venga altrimenti stabilito, il personale dei servizi amministrativi, giudiziari e pubblici italiani eserciterà le proprie funzioni sotto il controllo del Comandante in Capo alleato. Art. 21 I n aggiunta ai diritti delle Nazioni Unite, relativi al territorio italiano occupato, indicati nei precedenti articoli da 18 a 20. (A) i membri delle Forze terrestri, navali ed aeree delle Nazioni Unite e i funzionari delle stesse avranno il diritto di transitare nel territorio italiano non occupato, o sopra di esso, e a usufruirvi delle facilitazioni e dell'assistenza necessarie per espletare le loro funzioni; (B) le autorità italiane accorderanno alle Nazioni Unite, nel territorio italiano non occupato, tutte le facilitazioni di trasporto da queste richieste, · compreso il libero transito per il loro materiale bellico e i loro rifornimenti. Le autorità stesse vi osserveranno inoltre le istruzioni emanate dal Comandante in Capo alleato concernenti l'uso e il controllo degli aeroporti, dei porti, della navigazione, delle reti e dei mezzi di trasporto interno, delle reti di comunicazione, delle centrali elettriche e dei servizi d'interesse pubblico, delle raffinerie di petrolio, delle scorte nonché degli altri rifornimenti e mezzi di produzione di petrolio ed energia elettrica, che le Nazioni Unite potranno indicare. Art. 22 Il Governo e il popolo italiano si asterranno da qualsiasi azione a danno degli interessi dçlle Nazioni Unite ed eseguiranno in modo pronto ed efficace tutti gli ordini che saranno impartiti dalle Nazioni Unite.
Art. 23 Il Governo italiano metterà a disposizione delle Nazioni Unite la valuta italiana che esse potranno richiedere. Il Governo italiano ritirerà dalla circola-
zione e cambierà in valuta italiana, entro i periodi di tempo e alle condizioni che le Nazioni Unite potranno indicare, tutto l'ammontare esistente in territorio italiano della valuta emessa dalle Nazioni Unite durante le operazioni militari o l'occupazione e consegnerà alle Nazioni stesse, senza alcuna spesa, la valuta ritirata. Il Governo italiano prenderà quelle misure che potranno esser richieste dalle Nazioni Unite per il controllo delle banche e delle aziende situate in territorio italiano, per il controllo dei cambi e delle transazioni commerciali e finanziarie con l'estero e per la regolamentazione del commercio e della produzione; si uniformerà inoltre alle istruzioni emanate dalle Nazioni Unite relative a dette e analoghe materie. Art. 24 Senza autorizzazione del Comandante in Capo alleato o dei funzionari da lui designati, non vi dovranno esser rapporti finanziari, commerciali o d'altro ge-
491
nere con i Paesi in guerra con una delle Nazioni Unite o con i territori occupati da detti Paesi, o con qualsiasi altro Paese straniero. Lo stesso divieto vale per i rapporti finanziari, commerciali o di altro genere a favore dei suddetti Paesi o territori. Art. 25 (A) Saranno interrotte le relazioni con i Paesi in guerra con una delle Nazioni Unite od occupati da uno di detti Paesi. Saranno richiamati i diplomatici, i consoli e gli altri funzionari italiani nonché i membri delle Forze italiane di terra, mare e aria che siano accreditati o inviati in missione presso uno di detti Paesi o in un altro Paese indicato dalle Nazioni Unite. I diplomatici e i consoli di detti Paesi saranno trattati come le Nazioni stesse potranno disporre. (B) Le Nazioni Unite si riservano il diritto di chiedere il ritiro dal territorio italiano occupato di diplomatici e consoli di Paesi neutrali e di prescrivere e formulare norme per disciplinare le comunicazioni fra il Governo italiano e i suoi rappresentanti nei Paesi neutrali nonché le comunicazioni in arrivo e in partenza dei rappresentanti in Italia di detti Paesi. Art. 26
In attesa di ulteriori istruzioni, ai cittadini italiani non sarà concesso di lasciare il territorio italiano senza l'autorizzazione del Comandante in Capo alleato; inoltre in nessun caso essi prenderanno servizio in uno dei Paesi o dei territori di cui al precedente articolo 25 (A). né si recheranno in alcun altro luogo per svolgervi un'attività per conto di uno di detti Paesi o territori. Coloro che attualmente prestano servizio o esercitano un'attività nelle condizioni di cui sopra saranno richiamati con l'osservanza delle disposizioni in merito del Comandante in Capo alleato. Art. 27 Il personale e il materiale delle Forze militari, navali ed aeree di qualsiasi Paese contro il quale una delle Nazioni Unite conduca le ostilità o di qualsiasi Potenza da detto Paese occupata, nonché le navi mercantili, da pesca e di altro tipo, gli aerei, i veicoli e gli altri mezzi di trasporto degli stessi Paesi o Potenze, potranno esser attaccati e catturati ovunque essi si trovino, entro o sopra il territorio o le acque dell'Italia.
Art. 28 (A) In attesa di ulteriori istruzioni, alle navi da guerra - comprese quelle ausiliarie ed onerarie - delle Potenze o Paesi di cui al precedente articolo 27. le quali si trovino in porti o in acque dell'Italia o di territori da questa occupati, sarà impedito di partire. Lo stesso divieto varrà per gli aerei, i veicoli e gli altri mezzi di trasporto di tali Paesi trovantisi in territorio italiano o dall'Italia occupato o nello spazio areo sovrastante a detti territori. (B) Al personale militare, navale ed aeronautico nonché agli altri cittadini dei Paesi o Potenze di cui al precedente articolo 27, i quali si trovino in territorio italiano o dall'Italia occupato, sarà impedito di partire. In attesa di ulteriori istruzioni saranno internati.
492 (C) Saranno sequestrati, e mantenuti sotto sequestro sino a nuovo ordine, tutti i beni trovantisi in Italia appartenenti ai Paesi o Potenze di cui al precedente articolo 27 o ai loro cittadini. (D) Il Governo italiano si conformerà alle istruzioni emanate dal Comandante in Capo 2.lleato concernenti l'internamento e il sequestro nonché il trattamento, l'utilizzazione o l'impiego successivi delle suddette persone, navi, aerei, materiali e beni. Art. 29
Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospettate di aver commesso crimini di guerra o reati analoghi, i cui nomi figu. rino negli elenchi che saranno comunicati dalle Nazioni Unite (7), saranno immediatamente arrestati e consegnati a queste ultime. Saranno osservate le disposizioni emanate in proposito dalle Nazioni Unite. Art. 30
Tutte le organizzazioni fasciste, comprese le varie specialità della Milizia fascista (M.V.S.N.), la Polizia segreta (0.V.R.A.) e le organizzazioni della gioventù fascista, saranno sciolte - se ciò non sia già stato fatto - conformemente alle disposizioni del Comandante in Capo alleato. Il Governo italiano si uniformerà a tutte le ulteriori direttive che le Nazioni Unite potranno dare per l'abolizione delle istituzioni fasciste, il licenziamento e l'internamento del personale fascista, il controllo dei capitali fascisti, la soppressione dell'ideologia e della dottrina fasciste. Art. 31
Tutte le leggi italiane che comportino discriminazioni di razza, colore, fede o di opinione .politica saranno abrogate - se ciò non sia già stato fatto - e le persone detenu te per tali motivi, in osservanza degli ordini delle Nazioni Unite saranno rilasciate e liberate da qualsiasi incapacità giuridica dalla quale fossero state colpite. Il Governo italiano si uniformerà a tutte le ulteriori direttive che il Comandante in Capo alleato potrà dare per l'abrogazione della legislazione fascista e per l'eliminazione di qualsiasi incapacità o interdizione risultante da lla stessa. Art. 32 (A) I prigionieri di guerra appartenenti alle Forze delle Nazioni Unite, o da queste indicate, e i cittadini delle Nazioni stesse (compresi quelli abissini), confi.nati, internati o in qualsiasi altro modo sottoposti a misure restrittive della libertà, i quali si trovino in territorio italiano od occupato dall'Italia, rimarranno ove sono e saranno immediatamente consegnati a rappresentanti delle Nazioni Unite o trattati in quell'altro modo che potrà essere indicato dalle stesse. ·Qualunque trasferimento effettuato nell'intervallo di tempo fra la presentazione e
(7) Con protocollo 9 novembre 1943, dopo
« Nazioni
Unite» fu inserito: • o che
si trovino o si troveranno in territorio controllato dal Comando Militare a lleato o dal Governo italiano • .
493
la firma del presente atto sarà considerato una violazione delle condizioni di questo. (B) Le persone di qualsiasi nazionalità che sono state oggetto di misure restrittive della libertà, di detenzione o di condanna (incluse le condanne in con· tumacia) a motivo dei loro rapporti con le Nazioni Unite o delle loro simpatie per le stesse, saranno rilasciate in conformità degli ordini delle Nazioni Unite e saranno liberate da qualsiasi incapacità giuridica da cui fossero state . colpite. (C) Il Governo italiano prenderà le misure che potranno esser prescritte dalle Nazioni Unite per proteggere le persone e i beni dei cittadini stranieri e i beni degli Stati stranieri. Art. 33
(A) Il Governo italiano osserverà le istruzioni che le Nazioni Unite potranno impartire relativamente alle restituzioni, alle consegne, ai servizi o pagamenti a titolo di indennizzo e ai pagamenti delle spese di occupazione durante il periodo di validità del presente atto. (B) Il Governo italiano lornirà al Comandante in Capo alleato le informazioni che egli potrà richiedere riguardo alle disponibilità finanziarie - sia in territorio italiano che fuori di esso - dello Stato italiano, della Banca d'Italia, di qualunque istituzione statale o parastatale italiana, di qualunque organizzazione fascista o di qualunque persona residente in territorio italiano e, senza il permesso delle Nazioni Unite. non disporrà né permetterà che sia disposto, fuori del territorio italiano, di tali disponibilità. Art. 34 [I Governo italiano. durante il periodo di validità del presente atto, adotterà quelle misure di disarmo, di smobilitazione e di smilitarit.zazione che potranno esser prescritte dal Comandante in Capo alleato.
Art. 35
Il Governo italiano fornirà tutte le informazioni e tutti i documenti richiesti dalle N.azioni Unite. Non potranno esser distrutti o nascosti archivi. verbali, progetti o qualsiasi altro documento o informazione. Art . 36
Il Governo italiano adotterà e applicherà quei provvedimenti legislativi o di altro genere che potranno esser necessari per l'esecuzione del presente atto. Le autorità militari e civili italiane si conformeranno alle istruzioni emanate a tale scopo dal Comandante in Capo alleato. Art. 37
Sarà nominata una Commissione di controllo, che rappresenterà le Nazioni Unite, con il compito di regolare e assicurare l'esecuzione del presente atto, in conformità degli ordini e delle direttive generali del Comandante in Capo alleato.
494 Art. 38
(A) Nel presente atto la locuzione « Nazioni Unite» comprende il Comandante in Capo alleato, la Commissione di controllo e qualsiasi altra autorità che le Nazioni Unite potranno designare. (B) Nel presente atto la locuzione • Comandante in Capo alleato " comprende la Commissione di controllo e quegli altri ufficiali e rappresentanti che il Comandante in Capo alleato potrà designare. Art. 39 Nel presente atto la locuzione • Forze di terra, mare e aria ,. comprende la Milizia fascista nonché qualsiasi altra unità, formazione o corpo militare o paramilitare, che il Comandante in Capo alleato potrà stabilire. Art. 40 Nel presente atto la locuzione « materiale bellico » indica il materiale specificato in quegli elenchi o in quelle definizioni che la Commissione di controllo potrà, di tanto in tanto, rendere noti. Art. 41
La locuzione « territorio italiano» comprende le colonie e i possedimenti italiani nonché, ai fini del presente atto (ma senza pregiudizio della questione della sovranità), anche l'Albania. Tuttavia, salvo nei casi e nella misura in cui le Nazioni Unite potranno decidere altrimenti, le disposizioni del presente atto non saranno applicate nelle colonie e nei possedimenti italiani già occupati dalle Nazioni Unite né riguarderanno l'amministrazione di tali territori né i diritti o i poteri in essi posseduti o esercitati dalle Nazoni stesse. Art. 42
II Governo italiano invierà una delegazione presso la Commissione di controllo con il compito di rappresentarvi gli interessi italiani e di trasmettere alle competenti autorità italiane gli ordini della Commissione stessa.
Art. 43 Il presente atto entrerà in vigore immediatamente e resterà in vigore sino a quando non sarà sostituito da altro accordo o non entrerà in vigore il trattato di pace con l'Italia.
Art. 44 Il presente atto potrà esser denunciato dalle Nazioni Unite, con effetto immediato, se non saranno osservati gli obblighi che esso comporta per l'Italia. In alternativa le Nazioni Unite potranno colpire tali inosservanze con misure adatte alle circostanze, quali l'estensione delle zone di occupazione militare o il compimento di azione punitiva, aerea o di altro tipo.
495 Il presente atto è redatto in inglese e in italiano. il testo inglese essendo quello autentico (8). Il caso di controversia sulla sua interpretazione. prevarrà la decisione della Commissione di controllo. Firmato a Malta il 29 settembre 1943. Maresciallo Pietro B.ADOGLIO Capo del Governo italiano
OWIGHT O. EISENHOWER Generale dell'Esercito degli S.U . Comandante in Capo delle Forze alleate
(8) Il testo sopra riportato è - come già si è detto - una traduzione del testo inglese e non il testo ufficiale italiano. E ciò perchè quest'ultimo, preparato dagli Al· leati, è insoddisfacente nella forma e, talora, anche nella sostanza. (Il testo ufficiale è riportato nel 59° volume della collana • Trat.tati e Convenzioni tra l'Italia e gli altri Stati», edita dal Ministero degli Affari E-steri).
496 ALLEC. 8
Protocollo di modifica dell'armistizio lungo, firmato a Brindisi il 9 novembre 1943. (I)
E ' concordato che il titolo del documento firmato a Malta il 29 settembre 1943 dal maresciallo Pietro Badoglio, Capo del Governo italiano, e dal generale Dwight D. Eisenhower. Comandante in Capo delle Forze alleate, deve essere cambiato in • Condizioni aggiuntive di armistizio con l'Italia "· Sono anche concordate le seguenti ulteriori modifiche di questo documento. Nel 1° paragrafo del preambolo le parole • agenti nell'interesse di tutte le Nazioni Unite» sono inserite fra le parole « Governi • e « da una parte•. Detto paragrafo risulta perciò del seguente tenore: « Poiché, in conseguenza di un armistizio in data 3 settembre 1943, fra i Governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, agenti nell'interesse di tutte le Nazioni Unite. da una parte, e il Governo italiano dall'altra, le ostilità fra -l'Italia e le Nazioni Unite sono state sospese sulla base di alcune condizioni di carattere militare». Nel 4° paragrafo del preambolo le parole « e dell'Unione Sovietica " sono inserite fra le parole « Gran Bretagna» e «Governi» e la parola •e", fra le parole « Stati Uniti » e « Gran Bretagna», è cancellata. Detlo paragrafo risulta perciò del seguente tenore: « Le seguenti condizioni, unitamente a quelle dell'armistizio del 3 settembre 1943, sono le condizioni in base alle quali i Governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica, agenti per conto delle Nazioni Unite, sono disposti a sospendere le ostilità contro l'Italia, a condizione che le loro operazioni militari contro la Germania e i suoi alleati non siano ostacolate, e che l'Italia non aiuti in alcun modo queste Potenze e si conformi alle richieste di detti Governi ». Nel paragrafo 6° del preambolo la parola « senza condizioni» è inserita fra le parole « accettate • e « dal ». Detto paragrafo risulta perciò del seguente tenore: « e sono state accettate senza condizioni dal maresciallo Pietro Badoglio, Capo del Governo italiano, rappresentante il Comando Supremo delle Forze italiane di terra, mare e aria, e debitamente a ciò autorizzato dal Governo ita· liano ». Nell'articolo I (A) la parola « incondizionatamente» è cancellata. Detto articolo risulta perciò del seguente tenore: « Le Forze italiane di terra, mare ed aria, ovunque dislocate, con questo atto si arrendono». L'articolo 29 è modificato in modo da risultare come segue: « Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone (1) Traduzione non ufficiale. li protocollo fu pubblicato. unitamente all '« armisti· zio lungo •. il 6 novembre 1945.
497
sospettate di aver commesso crimini di guerra o reati analoghi, i cui nomi siano inclusi negli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che si trovino o si troveranno in territorio controllato dal Comando Militare alleato o dal Governo italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Nazioni Unite. Saranno osservate tutte le disposizioni emanate a questo r iguardo dalle Nazioni Unite"· Il presente protocollo è redatto in inglese ed italiano, il testo inglese essendo quello autentico. In caso di qualsiasi controversia sulla sua interpretazione, prevarrà la decisione della Commissione di Controllo. Firmato a Brindisi il 9 novembre 1943. Per il Comandante in Capo alleato Tenente Generale NOEL MacFARLANE
Maresciallo Pietro BADOGLIO Capo del Governo Italiano
498 ÀLLEG. 9
Atto di modifica dell'accordo Cunningham - De Courten, firmato a Brindisi il 17 novembre 1943. (1)
L'accordo fra il Comandante in Capo navale delle Forze alleate del MedHerraneo e il Ministro della Marina italiano, riguardante l'impiego della Marina italiana, è modificata come segue: I. Al preambolo deve esser aggiunta la seguente frase: • E-' inteso e concordato che le norme del presente accordo, relativo all'immediato impiego e al trattamento delle navi da guerra e mercantili italiane, non pregiudicano il diritto delle Nazioni Unite di adottare, nei riguardi di alcune o di tutte le navi italiane, quelle altre misure che esse possano considerare opportune. Le loro decisioni a questo riguardo saranno notificate di volta in volta al Governo italiano». 2. L'ultima frase dell'ultimo paragrafo deve esser modificata in modo da risultare come segue: "saranno armate nei limiti del possibile con equipaggi forniti dal Ministero della Marina italiano e batteranno la bandiera italiana». Il presente atto è redatto in inglese e italiano, il testo inglese essendo quello autentico. In caso di qualsiasi controversia sulla sua interpretazione. prevarrà la decisione della Commissione di Controllo. Firmato a Brindisi il 17 novembre 1943. Per il Comandante in Capo navale delle Forze alleate del Mediterraneo Contrammiraglio R. McGREGOR Ammiraglio di collegamento con l'Italia
Ammiraglio R. DE COURTEN Ministro della Marina
(I) Traduzione non ufficiale. L'atto fu pubblicato, unitamente all'accordo Cunningham-de Courten, il 6 novembre 1945.
499 ALLE(;.
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Principali interferenze alleate nella sfera di attività del Ministero della Marina. (1)
Attivi·tà portuale 1. - Non soltanto il porto di Napoli è ancora sottoposto ad un regime di occupazione, ma anche altri porti, che pure sono compresi nel territorio resti· tuito ,al Governo italiano, continuano ad essere occupati dagli Alleati (ad esempio Messina e Palermo). Le esigenze di guerra potranno forse giustificare tale fatto , ma non giustificano il sistema di rigore con cui è attuato, E ' avvenuto, ad esempio, che alcune Capitanerie, interessate a vigilare perché non fossero asportate o manomesse parti di macchinari delle navi affondate. hanno fatto conoscere di non averne la possibilità per le disposizioni impartite nell'ambito del porto delle autorità alleate. 2. - Le operazioni di imbarco, sbarco, deposito e movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale nei porti italiani, prima dell'occupazione alleata si svolgevano sotto la vigilanza delle autorità marittime e venivano eseguite da lavoratori specializzati, iscritti ad apposite organizzazioni dotate di capacità giuridica e soggette al controllo delle autorità marittime. Dalle segnalazioni pervenute dalle Capitanerie di Porto risulta che, per quanto riguarda il lavoro portuale, le autorità alleate non seguono dovunque i medesimi criteri, con pregiudizio del buon andamento delle operazioni portuali. Allo stato attuale, i sistemi vigenti possono essere classificati come segue: a) porti come Napoli, Palermo, Salerno. Molfetta, nei quali le locali autorità alleate, non avendo riconosciuto le organizzazioni dei lavoratori portuali, affidano le operazioru di earico e scarico a elementi estranei alle organizzazioni stesse, il che si risolve in un grave danno per le maestranze da anni addette al lavoro nei porti; b) porti come Monopoli e Barletta, nei quali le locali autorità alleate, pur non avendo riconosciuto le organizzazioni dei lavoratori portuali, si avvalgono di fatto dell'opera dei lavoratori iscritti nelle organizzazioni stesse, pagando però i lavoratori non tramite l'organizzazione della quale essi fanno parte, ma direttamente; c) porti come Gallipoli e Torre Annunziata, nei quali le locali autorità alleate hanno stipulato contratti con imprese private che, per l'esecuzione materiale delle operazioni di carico e di scarico, ricorrono alle organizzazioni portuali; "d) porti come Cagliari, Bari, Brindisi, Taranto e Crotone, nei quali le locali autorità alleate hanno riconosciuto le organizzazioni dei lavoratori portuali, con le quali hanno stipulato appositi contratti. (I) Allegato alla lettera del Ministero della Marina - Gabinetto - Ufficio Trattati: n• 811 U.T., in data 14 dicembre 1944, diretta al Ministero degli Affari Esteri · Segre· teria Gent:rale.
500 Evidentemente l'esclusione dal lavoro dei porti delle organizzazioni portuali e la immissione, in loro vece, di elementi estranei e incontrollati danneggia gli operai incorporati nelle loro organizzazioni e opportunamente vigilati e controllati dalle autorità marittime. Non è superfluo al riguardo accennare che, per quanto la regolamentazione legislativa del lavoro portuale sia stata concretata fra il 1923 e il 1929, le prime basi di un ordinamento del lavoro nei porti furono tuttavia poste anteriormente, allo scopo precipuo di eliminare i molteplici abusi a danno dei lavoratori.
Utilizzazione naviglio mercantile 3. - Tutto il naviglio mercantile nazionale è utilizzato per conto degli Alleati e precisamente: a) le navi superiori alle 300 tonn. sono requisite e sono comprese nel «pool» delle Nazioni Unite ai sensi degli accordi Cunningham-de Courten del 23 settembre 1943. E' noto che tale accordo stabilisce che la Marina mercantile italiana sarà impiegata alle stesse condizioni applicate alle navi mercantili delle Nazioni alleate. A tutt'oggi però non è stato ancora possibile stabilire la retribuzione che dovrà esserci per l'impiego delle nostre navi; b) il naviglio da 10 a 300 tonn. di portata è noleggiato dal Consorzio Gestione Navi (COGENA) e tenuto a disposizione degli Alleati. In definitiva, ai trasporti civili interessanti i rifornimenti del Paese è lasciata un'aliquota di naviglio del tutto insufficiente, benché l'accordo Cunningham-de Courten stabilisca che, nell'impiegare le navi mercantili italiane poste nel « pool • delle Nazioni Unite, sarebbero stati tenuti presenti i bisogni per il rifornimento e il mantenimento dell'Italia. Anche l'impiego del naviglio lasciatoci per i trasporti civili interessanti 1 rifornimenti del Paese (in complesso circa 15.000 tonn. di unità motoveliche), viene costantemente controllato dagli Alleati. Basta ricordare che l'assegnazione di motovelieri viene decisa da uno speciale Sottocomitato costituito in Napoli, composto di due rappresentanti degli Alleati e da un rappresentante del CO-GENA. Tenuto conto dell'importanza che riveste, ai fini dei rifornimenti del Paese, l'uso da parte nostra di un'adeguata aliquota di naviglio, della considerazione che non una nave è stata di fatto lasciata per le esigenze dell'economia nazionale e che le nostre grandi isole sono totalmente isolate, sarebbe opportuno chiedere agli Alleati una revisione delle loro direttive nei nostri riguardi in questo campo.
Ricupero di navi affondate 4. - Il lavoro di ricupero delle navi affondate e sinistrate nei porti nazio· nali non ha potuto sinora essere effettuato con quel ritmo e con quelle direttive richieste dalla necessità di restituire sollecitamente all'armamento un prezioso materiale. Le autorità alleate hanno riservato alla loro esclusiva competenza i ricuperi in alcuni porti dichiarati operativi (Livorno, Ancona, Napoli, Bari, Brindisi e Palermo) e lasciato alle autorità italiane le rimanenti zone. Nei porti riservatisi gli alleati provvedono dii ettamente o a mezzo di privati ai ricuperi e alle demolizioni sul fondo senza dare alcun peso ai gravi e com· plessi interessi dello Stato italiano (navi in regime di requisizione o di noleggio, navi assicurate, etc.).
501 Inoltre, malgrado gli accordi intervenuti. le autorità anglo-americane dispongono talora in merito a relitti trovantisi nelle acque di competenza italiana. Da questo stato di cose deriva un pregiudizio grave non soltanto nei riguardi dell'armamento, che ha urgente necessità di ripristinare il naviglio danneggiato, ma anche nei riflessi dell'organizzazione generale del lavoro di recupero, in considerazione della convenienza di distribuire equamente il lavoro fra le ditte nazionali tecnicamente attrezzate e riconosciute idonee, così per capacità tecnica come per consistenza finanziaria. S1abilimenti di lavoro e materiale
5. - Le ingerenze in atto da parte delle autorità alleate nella sfera degli stabilimenti di lavoro riguardano soprattutto l'Arsenale di Taranto e le ditte che lavoravano per conto della R. Marina in questa zona. In proposito si osserva: a) Le autorità alleate hanno preso il controllo diretto dell'Arsenale di Taranto ed hanno completa ingerenza su tutto quanto viene effettuato nell'Arsenale stesso. L'impiego della mano d 'opera e degli operai è così suddiviso: 2/3 per le unità inglesi, 1/3 per le unità italiane. Ciò causa una progressiva preoccupante diminuzione dell'efficienza delle nostre unità, che non vengono mai riparate radicalmente. b) [I controllo alleato sui nostri magazzini è andato intensificandosi. Le autorità alleate richiedono attualmente di essere tenute al corrente dell'entità dei materiali nei magazzini e spesso di conoscere l'uso fatto del materiale. c) Le autorità alleate hanno preso il diretto controllo di quasi tutti i cantieri, fabbriche e officine che lavorano per conto della Marina. impedendo così l'efficace intervento di quest'ultima nell'andamento dei lavori. Sarebbe opportuno che le autorità alleate lasciassero a quelle italiane Ja completa gestione dell'Arsenale di Taranto e dei suoi magazzini, limitandosi ad avanzare al Comando dello stesso le richieste di quanto necessario per soddisfare le esigenze delle loro unità, nell'intesa che a disposizione delle navi italiane dovrebbe essere lasciato almeno il 50% della potenzialità di lavoro di tale stabi· limento cli lavoro. Analoga disposizione sarebbe necessaria per i cantieri. fabbriche e officine la cui produzione interessa la R. Marina. Per quanto riguarda i materiali, astraendo dalle note difficoltà di avere materiali di proprietà degli Alleati, sta di fatto che ogni iniziativa per ottenere un approvvigionamento diretto sul mercato nazionale di materie prime particolarmente deficitarie, viene praticamente frust rata dalle seguenti circostanze: a) Requisizione da parte degli Alleati di quasi tutti i principali stabilimenti. b) Blocco da parte degli Alleati di quasi tutte le più importanti scorte dei materiali in possesso di tali stabilimenti e di grossisti. e) Blocco delle produzioni eventualmente riattivate negli stabilimenti stessi. d) Lungaggini e incerto esito delle pratiche svolte presso le competenti autorità alleate per ottenere lo sblocco di materiali. In relazione a quanto sopra si riterrebbe particolarmente utile e urgente l'eliminazione o la limitazione delle ingerenze alleate in alcune industrie di cui, ove necessario, sarà fornito l'elenco.
'502 Viveri 6. - Le autorità alleate esercitano un controllo preventivo e, talora, susseguente sulle assegnazioni di viveri fatte alla R. Marina allo scopo di evitare la costituzione di scorte e di limitare in talune sedi la forza della R. Marina. Si ritiene che. stabilita la forza bilanciata massima ed effettuati i prelevamenti entro i limiti di tale forza, nessun ulteriore controllo dovrebbe essere disposto dal Comando alleato, lasciando facoltà alla R. Marina di amministrare i viveri prelevati come ritiene più opportuno. in relazione alle esigenze del servizio.
Regolamentazione 7. - Richiesta da parte delle autorità alleate di avere conoscenza delle circolari contenenti norme di carattere finanziario, amministrativo e contabile, della organizzazione della giustizia militare, etc. con conseguente intervento per modificare talora le disposizioni che vengono emanate.
Personale 8. - Ingerenze dell'autorità alleate nei trasferimenti del personale militare esercitata specialmente con la richiesta cU segnalazione preventiva dei movimenti, creando in tal modo difficoltà e ritardi notevoli nell'esecuzione degli ordini del Ministero. Non mancano casi in cui dalle autorità alleate vengono dati direllamente incarichi a determinate persone appartenenti alla R. Marina, anziché farlo per il tramite delle autorità italiane che. ovviamente, dovrebbero essere arbitre di decidere circa l'utilizzazione del proprio personale.
Giustizia militare 9. - Le ingerenze alleate nella giustizia militare sono di notevole gravità perché intralciano gli organi dell'amministrazione giudiziaria militare nell'esecuzione della loro delicatissima alta funzione. Così, ad esempio, la Marina ha impartito precise cUsposizioni per l'arresto dei suoi dipendenti che, dopo aver disertato, si sono fatti assumere come civiE nell'esecuzione di lavori da parte delle autorità militari alleate. Le autorità alleate, interessate in merito, hanno però risposto che il Comando alleato dovrà autorizzare l'arresto e che, qualora non fosse concesso, non potranno sollevarsi contestazioni. Il che significa che i disertori che trovano occupazione come civili presso gli Alleati possono andare immuni da pena per la diserzione commessa. Le lamentate ingerenze delle autorità alleate nel campo della giustizia militare si sono sino ad oggi svolte: a) Nel promuovere e sollecitare l'adozione da parte del Governo italiano di provvedimenti di amnistia per i reati di diserzione commessi dai militari italiani dal 10 luglio all'8 settembre 1943. Tale amnistia non è stata concessa per la motivata opposizione delle autorità militari italiane le quali hanno dovuto tuttavia concordare con le autorità alleate l'adozione di provvedimenti di particolare clemenza archiviando processi a carico di militari che hanno abbandonato il proprio corpo nel cruciale periodo armistiziale< e non). b) Con la proposta di sostanziali mocUfa:hc degli articoli 147 e 148 del
503 codice penale militare di guerra, modifiche che si vorrebbero apportare con bando, onde istituire, anche in tempo di guerra, la figura del reato dell'illecito allontanamento dal servizio, reato preveduto solo per il tempo di pace. c) Con la richiesta che sia accordata al giudice militare la facoltà ct: ridurre fino a un decimo il minimo della pena per alcuni reati per i quali le autorità alleate ritengono che il nostro codice penale militare di guerra commini pene troppo severe. d) Nel richiedere il perseguire, con maggiore rigore di quanto stabilito dal nostro codice, alcuni reati commessi da militari italiani in danno delle Forze Ar~iate alleate (specie in ordine alla sottrazione di viveri e di merci loro appartenenti ) anche se, per la loro natura ed entità, i fatti illeciti commessi non presentano alcun carattere di gravit·à. e) Nel frequente ingiustificato richiamo fattu dalle autorità alleate agli organi della giustizia militare nei casi di concessione dei benefici di legge accordati dai tribunali militari a coloro che. in base alle nostre leggi , ne hanno diritto. f) Con il rifiuto da parte delle autorità militari alleate di consegnare alla R. Marina persone internate in campi di concentramento per essere interrogate e deferite a giudizio perché colpevoli di attività delatoria in danno di militari della R. Marina e di collaborazione con i Tedeschi. g) Con l'arresto cla parte degli Alleati di militari della R. Marina per fatti già vagliati dalle autorità militari marittime, per i quali si è ritenuto che non esistessero gli estremi per procedere. h) Con pressioni fatte dalle autorità alleate per ottenere la riduzione del personale militare addetto ai tribunali militari, al solo scopo di corrispondere un minor numero di razioni. In una eventuale revisione delle nostre relazioni con gli Alleati, si propone che, nel campo della giustizia militare, venga abolita qualsiasi ingerenza delle autorità anglo-americane e che sia riconosciuto il principio della reciprocità sancita dall'art. 15 del codice penale militare di guerra relativo ai reati commessi a danno delle Forze Armate alleate.
Campo operativo 10. - Nel campo strettamente militare l'ingerenza alleata è molto vasta il che, se è logico sotto alcuni punti di vista, per altri non ha ragione di essere, sia perché suona come una immeritata sfiducia, sia perché crea intralci a tutto danno del servizio. Si riponano, a titolo di esempio, alcuni casi di queste ingerenze: a) Le autorità navali britanniche designano direttamente il nome delle unità richieste per particolari impieghi anziché lasciare alle autorità italiane la scelta delle unità. b) Le autorità alleate hanno talora richiesto di conoscere le misure di carattere disciplinare prese nei riguardi di qualche di·sservizio interno delle navi. e) Le corazzate Italia e Vittorio Venelo sono ancora praticamente internal.::: in acque egiziane, benché con l'equipaggio e bandiera italiani. d) Gli equipaggi delle RR. Navi all'estero sono, di norma. esclusi dalla regolare franchigia. e) Le comunicazioni radio sono controllate in modo troppo grave. sia quantitativamente che qualitativamente.
504 f) Censura da parte delle autorità militari alleate su tutta la posta del personale della R. Marina, benché già censurata dalle autorità militari italiane. g) Impossibilità di comunicare con i nostri informatori all'estero che svolgono attività in stretta collaborazione con le autorità inglesi.
h) Divieto di stabilire comunicazioni r.t. clandestine con elementi della R. Marina trovantisi in territorio occupato a scopi informativi. i) Divieto d'invio diretto in territorio occupato di nostri elementi infor· matori. I) Nelle zone liberate dell'immediato retrofronte la Marina non riesce ad inviare subito i suoi rappresentanti per la raccolta del personale sbandato e per la ricognizione e il ricupero dei materiali, degli immobili e dei mezzi di proprietà dell'Amministrazione militare marittima. Ciò perché è necessario il permesso delle autorità alleate, permesso che viene concesso con notevoli ostacoli, molto tempo dopo la data della liberazione, e soltanto per pochissimi elementi.
505 ALLt;G.
11
Situazione della Flotta Italiana alla fine del conflitto nel Maggio 1945.
NAVI DA COMBATTIMENTO CORAZZATE Italia (ex-Littorio) Vittorio Veneto Doria Duilio Cesare
Tonn. 35.560 ,. 35.560 • 24.000 ,. 24.000 ,. 24.000
INCROCIATORI A (con cannoni da 203 mm) (Nessuno) INCROCIATORI B (con cannoni da 152 mm o meno) Pompeo Magno Scipione Africano Attilio Regolo Duca degli Abruzzi Garibaldi Eugerno di Savoia Duca d'Aosta Montecuccoli Cadorna CACCIATORPEDINIERE Velite Legionario Mitragliere Granatiere Fuciliere Carabi mere Artigliere (ex-Camicia Nera) Oriani Grecale Da Recco Riboty
Tonn.
,.
•
•
,. ,.
" • " Tonn.
•
,. ,.
,.
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,. » »
,.
3.416 3.416 3.416 8.000 8.000 7.400 7.400 7.052 5.089
1.646 1.646 1.646 1.646 l.646 1.646 1.646 1.593 1.472 1.654 1.405
(I) Non sono comprese nell'elenco le navi in c.:ostruzione o in programma. I dislocamenti sono standard e in tonnellate metriche e sono quelli ufficiali ri· portati (per la gran massa delle unità) nell'• Annuario ufficiale . R. Marina,. del 1940, pg. 500 e seguenti.
506 TORPEDINIERE Indomito (2) Aliseo (2) Ardimentoso (2) Animoso (2) Fortunale (2) Orsa (2) Orione (2) Ariete Calliope Clio Libra .\retusa Cassiopea Sirio Sagittario Monzambano Giovannini Carini Fabrizi Abba Pilo Mosto CORVETTE Urania Baionetta Sibilla fenice Sfinge Scimitarra Chimera Ape Pomona Pellicano Gru Flora Ibis Cormorano Danaide Minerva Folaga Driade Gabbiano SOMMERGIBILI Vortice (3) Marea (3) (2) Torpt:diniera di scorta. (3) Dislocamento normale.
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925 925 925 925 925 869 869 757 690 690 690 690 663 652 652 982 185 645 645 625 625 625 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 670 905 905
507 C.B. 8 (3) C.B. 9 (3) C.B. 19 (3) C.B. 11 (3) C.B. 12 (3) Giada (3) Platino (3) Nichelio ( 3) Cagni Atropo Zoea Dandolo Brin Alagi Otaria Turchese Onice Diaspro Galatea Jalea Settimo Corridoni Bragadino Squalo Menotti Fratelli Bandiera Manara Pisani Mameli Giovanni da Procida Speri H. 1 H. 2 H. 4
Tonn.
»
36 36 36 36 36 710 710 710 1.485 1.209 1.139 956 910 630 876 630 630 630 600 609 810 815 815 823 828 828 828 804
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781
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782 782 341 341 341
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M.S. (4) N.
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N. 24
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N. N. N. N. N. N. N. N.
31 35 52 53 54 55 56 61
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N.
64
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(3) Dislocamento normak. (4) Il dislocamento indicato è quello coni rattuale.
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60 60 60 60 60 60 60 60 60 60 60
508 N. N. N. N. N.
65
Tono.
72
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73 74 75
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"
60 60 60 60 60
M.A.S.
N. 433 N. 434 N. 510 N. 514 N. 515 N. 516 N. 519 N. 520 N. 521 N. 57.., N. 538 N. 540 N. 543 N. 545 N. 547 N. 562
Tonn.
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13,.5 13,5 20 20 20 20 20 20 20 20 20
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20 20 20 22
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M.E.
N. N. N. N.
38 39 40 41
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35 35 35 35
V.A.S. (5)
N. 201 N. 204 N. 211 N. 218 N. 222 N. 224 N. 233 N. 235 N. 237 N. 240 N. 241 N. 245 N. 246 N. 248 (5) Il dis.Jocamento indicato i: quello contrattuale.
Tonn. »
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68 68 68 68 68 68 68 68 68 68 68 68 68 68
509 NAVI AUSILIARIE NAVI COLONIALI Eritrea
Tonn.
2.207
Tonn.
625 540
POSAMINE Azio Fasana (ricuperato)
"
DRAGAMINE R.D. 6 R.D. 16 (ricuperato) R.D. 20 (ricuperato) R .D. 21 R.D. 25 (ricuperato) R.D. 27 R.D. 28 R.D. 29 R.D. 32 R.D. 34 R.D. 38 (ricuperato) R.D. 40 R.D. 41 R.D. 102 R.D. 103 R .D. 104 R.D. 105 R.D. 113 R.D. 114 R.D. 129 R.D. 131 R.D. 132 R.D. 133 R.D. 134 R.D. 148 R.D. 149
Tonn.
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151 156 156 156 156 155 155 155 156 156 156 155 155 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
CANNONIERE Illiria
Tonn.
665
Tonn.
3,600 2.832
NAVI SCUOLA Vespucci Colombo
"
NAVI APPOGGIO Miraglia Pacinotti Anteo (ricuperato)
Tonn.
" "
4.960 2.763 1.272
510 NAVI TRASPORTO
Panìgaglia (ricuperata) Buffoluto (ricuperata) Cherso Amalia Messina Giuseppe Messina Monte Grappa (ex-K.T. 10) Monte Cucco (ex-K.T. 32) Tarantola
Tonn.
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930 930 4.050 650 650
•
M. Z. (6)
N. 713 N. 717 (ricuperata) N. 722 N. 726 N. 728 (ricuperata) N. 729 N. 737 N. 744 (ricuperata) N. 758 N. 776 N. 778 N. 780 N. 781 N. 784 N. 800 N. 831
Tonn.
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174 174 174 174 174 174 174 174 174 140 140 140 140 140 140 140
NAVI CISTERNA PER ACQUA a) Unita maggiori
Tirso Po Metauro Sesia Mincio Arno Istria Dalmazia (ricuperata) Frigido
Tonn.
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1.104 3.390 602 1.063 655 644 2.948 2.948 405
b) Unità d'uso focale
Anapo Bisagno Polcevera Liri
(6) Il dislocamento indicato è quello normale.
Tonn.
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182 182 162 162
511 Isarco ( ricuperata) Idria Timavo (ricuperata) Vipacco (ricuperata) Sprugola (ricuperata) Aterno Ofanto Oristano Pescara (ricuperata) Simeto Basento Tronto Stura (ricuperata)
Tonn. ))
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269 269 269 269 212 254 254 254
»
72
»
167 179
» »
110
»
100
NAVI CISTERNA PER NAFTA
Tarvisio Stige (ricuperata) Urano Prometeo Nettuno Lete
Tonn. 11.090 »
1.364
»
10.720 1.096
» »
9.700 1.182
Tonn.
500
Tonn.
395 395 187 280 280 230 230 230 230 230 230 227 345 362 362 254 230 230
»
NAVI POSACAVI
Rampino RlMORCH I ATORI a) Rimorchiatori maggiori
Vigoroso Gagliardo Ventimiglia Rapallo (ricuperato) Taormina( ricuperato) Porto Pisano (ricuperato) Porto Recanati (ricuperato) Porto Fossone Porto Quieto Porto Conte Porto Torres Salvore Nereo Atlante (ricuperato) E rcole Lipari Porto Tricase (ricuperato) Porto Adriano (ricuperato) Tifeo Emilio
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65
512 b) Rimorchiatori d'uso locale
S. Antioco (ricuperato) S. Remo S. Angelo Linosa Molara (ricuperato) Asinara Carbonara (ricuperato) Mesco (ricuperato) Passaro Vado Arzachena (ricuperato) Porto Rosso Noli Marechiaro Portorose (ricuperato) Mestre Chioggia Talamone S. Pietro S. Vito Liscanera (ricuperato) Argentario Abbazia Gaeta Gorgona Lampedusa Lilibeo Piombino Basiluzzo Cordevole Licata Porto Empedocle Promontore Tagliamento Procida (ricuperato) Licosa Teulada (ricuperato) Astico Cafalù (ricuperato) Capraia (ricuperato) Volosca Capodistria (ricuperato) Generale Pozzi Generale Valfré Irene Porto Vecchio S. Bartolomeo (ricuperato) S. Benedetto
Tonn.
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173 173 106 106 106 106
87 87 161 161 227 55 127 78 140
140 125 108
108 162 87 135 195 130
123 124 198 110
78 66
335 118
55 120 108 100 62 132 112
78 67
227 173 173
513 c) Rimorchiatori d'uso locale numerati
N. l N. 2 N. 3
Tonn. »
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N. 4 N. 5 (ricuperato) N. 9 (ricuperato) N. 22 N. 23 N. 24 N. 26 N. 27 N. 28 N. 32 N. 35 N.36 N. 37 (ricuperato) N. 47 N. 52 N. 53 (ricuperato N. 78 (ricuperato) N. 80 N. 94 (ricuperato) N. 96 N. 104
72 72 72 72 86
•
86
•
86 86 68 68 68 68 68 86 86 86 50 55
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44 38 38 72 30
d) Rimorchiatori lagunari
Tonn.
R.L. 1 R.L. 3 R.L. 9 R.L. 10
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48 48 48 48
TABELLA RIASSUNTIVA NAVI DA COMBATTIMENTO
Cor. Incr. A Incr. B Ct. Torp. Corv.
n.
5
Tonn.
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143.120
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9
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V.A.S.
19 36 " » 16 • 16 • 4 » 14
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53.189 17.646 16.179 12.730 24.344 960 309 140 952
Totali
n. 125
Tonn.
269.569
Smg. M.S. M.A.S. M.E.
• 22 »
»
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• •
514 NAVI AUSILIARIE
Navi coloniali Posamine Dragamine Cannoniere Navi scuola Navi appoggio Navi trasporto M.Z. Navi cisterna per acqua a) Unità Maggiori b) Unità d'uso locale Navi cisterna per nafta Navi posacavi Rimorchiatori a) Rimorch. maggiori b) Rimorch. d'uso locale c} Rimorch. d'uso locale numerati d) Rimorch. lagunari
n.
Totali
1
Tonn.
,.
2.207 1.165 3.318 665 6.432 8.995 7.210 2.546
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24 4
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4.992 5.815 1.607 192
n. 188
Tonn,
97.291
Navi da combattimento Navi ausiliarie
n. 152 » 188
Tonn. ,.
269.569 97.921
Totali generali
n. 340
Tonn.
367.490
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13.759 3.366 35.152 500
RIEPIWGO
515 ALLEG. 12
Principali riconoscimenti alleati dell'attività svolta dalla Marina durante la cobelligeranza. ( 1)
A) - Principali riconoscimenti da parte del Primo Ministro britannico W. Churchill.
« •.• la Marina da guerra italiana, non senza rischi e perdite, si è arresa a noi... Da allora, queste forze italiane hanno cooperato con noi nel miglior modo loro possibile e circa 100 navi da guerra italiane stanno ora rendendo importanti servizi nel Mediterraneo e nell'Atlantico... "· (Dal discorso alla Camera dei' Comuni del 22 febbraio 1944 ).
.
...
« ... La flotta italiana sta svolgendo compiti molto utili e importanti per noi, non solo nel Mediterraneo ma anche nell'Atlantico... •. (Dal discorso alla Camera dei Comuni del 24 maggio 1944).
* * * « ... E' necessario d'altronde ricordare che la flotta italiana ha lasciato le sue basi per congiungersi con gli Alleati, malgrado i contrari ordini tedeschi; che essa fu attaccata dall'aviazione tedesca ed ebbe a subire perdite in uomini e in unità, ivi inclusa una moderna nave da battaglia. La sua resa fu accettata dall'Ammiraglio Sir Andrew Cunningham a Malta e deve essere considerata un avvenimento navale onorevole. <L'immissione della flotta italiana nel complesso delle forze navali alleate fu allora decisamente di aiuto. Alcune di queste navi prestarono servizio nel Mediterraneo come unità da guerra, altre come unità da trasporto e da esse fu compiuto molto lavoro di gran valore. Esse operarono anche nell'Oceano lndiano e in missioni di pattugliamento contro i corsari in Atlantico. Gli arsenali hanno reso importanti servizi... "· (Dal discorso alla Camera dei Co. mu11i del 5 giugno 1945).
(1) Traduzioni.
516
B) -
Principali riconoscimenti da parte di Autorità militari alleate.
FLAG OFFICER LIAISON · ITALY AREA COMBINED HEADQUARTERS TARANTO
23 febbraio 1944.
Al MINISTERO DELLA MARINA TARANTO
No. T. A. 1035/11
« In conclusione, il Ministro della Marina può essere sicuro che il contributo dato dalla R. Marina Italiana alla guerra comune nel Mediterraneo ed altrove è pienamente riconosciuto"·
F.to C. MORGAN Contrammiraglio R.N.
** • 23 maggio 1944
FLAG OFFICER LIAISON · IT ALY AREA COMBINED HEADQUARTERS TARANTO
AL MINISTERO DELLA MARINA Maristat . Palazzo Resta TARANTO
No. T. A. 926 Argomento: Operazione « Moonshine ».
Le Autorità militari britanniche hanno richiesto che venga trasmesso agli equipaggi della M. S. 54 e dei M. T. S. M. 230 e 248 il seguente messaggio: « L'operazione che avete ora portata a termine è stata eseguita in condizioni particolarmente difficili e pericolose. La maniera in cui fu eseguita fa grande onore alla Marina Italiana ed, in particolare, agli equipaggi delle imbarcazioni che eseguirono l'operazione. « Quest'ultimo successo è servito ad aumentare la nostra già alta opinione dei "Mezzi speciali" della R. Marina italiana. Vi auguriamo ogni successo nelle vostre future operazioni ». F.to C. MORGAN Contrammiraglio R.N.
* * * Segreto · Riservato Personale FLAG OFFICER LIAISON · ITALY AREA COMBINED HEADQUARTERS TARANTO
Taranto, 27 agosto 1944
Eccellenza, Durante la visita che vi ho fatto lunedì scorso mi avete chiesto gli elementi ed i dati che erano posti a base della mia comunicazione alla riunione plenaria della Commissione Alleata di Controllo.
517 Sono ben lieto di comunicarveli ora, in modo che possiate rendervi conto di quanto è stato compiuto in questi dodici mesi e dell'importanza del contributo che la Marina Italiana ha dato nel proseguimento dello sforzo bellico nel Mediterraneo. So che comprendete perfettamente l'attuale carattere di massima segretezza di queste notizie: pur non essendovi nulla in contrario a che le comunichiate al vostro Stato Maggiore ed ai membri del Governo, vi sarò grato se non ne permetterete la loro pubblicazione in forma sia ufficiale che ufficiosa né la loro utilizzazione come argomento per articoli di giornali o di riviste. Tutto ciò sarà possibile dopo la nostra completa e totale vittoria sul comune nemico. Per quanto riguarda le Navi da Battaglia ho soltanto accennato che erano state modificate le disposizioni e che le tre unità, prima dislocate a Malta, erano ritornate, una a Siracusa e due a Taranto, dove attualmente sono impiegate per addestramento. Sono poi passato a parlare degli Incrociatori e ho detto che dei sei efficienti ve ne sono generalmente quattro o cinque pronti, e che negli ultimi dodici mesi queste unità hanno trasportato, senza inconvenienti, più di 130.000 uomini, i quali ne hanno sostituiti altrettanti delle forze alleate nei servizi portuali, nelle compagnie lavoratori e in molti altri servizi importanti in Italia. Ho citato come esempio il « Montecuccoli » che, negli ultimi nove mesi, ha trasportato 30.000 uomini con 27.000 miglia complessive di navigazione, pari ad 1 volta e 1/4 il giro del mondo all'Equatore. Un magnifico risultato. Ho parlato poco dei Cacciatorpediniere, facendo soltanto presente che le 8 unità disponibili venivano così impiegate: l a Suez come bersaglio per aerei da bombardamento e siluranti (un impiego molto utile), 1 per missioni speciali, 3 per trasporto truppe ed equipaggi, 3 ai lavori. Di un totale di 40 unità tra Torpediniere e Corvette ve ne sono in genere 26 pronte e 14 ai lavori. Ho fatto notare che il loro impiego e stato principalmente in servizi di scorta a convogli e che a tale fine esse sono riunite in reparti complessi alle dipendenze di Comandi Superiori italiani. Ho citato come in questi 12 mesi tali unità abbiano scortato più di 5.000 navi con la perdita di sole due navi. Non sono molto forte in matematica ma penso che ciò equivalga al 0,004%, magnifico primato, pur dovendo far notare come gli attacchi subìti nei tratti Augusta-Napoli e Augusta-Taranto o Brindisi siano stati pochi. Non mi dilungo sui Sommergibili, ma accenno soltanto al fatto che essi stanno compiendo un servizio molto utile nell'addestramento antisommergibile alle Bermude e in Estremo Oriente, nonché « missioni speciali ,. in Adriatico. Di 32 sommergibili disponibili ve ne sono generalmente 22 pronti. Vi sono anche come sapete, 5 sommergibili C. B. il cui impiego ha carattere addestrativo e sperimentale. Passo ora a parlare delle « missioni speciali», delle quali la massima parte è stata compiuta in Adriatico da motosiluranti e da M.A.S., da sommergibili, mezzi da sbarco e piccole torpediniere. Le missioni sono consistite nello sbarco e ricupero di informatori, sabotatori e pattuglie da ricognizione, nello sbarco di rifornimenti e materiale di vario genere, nel ricupero di prigionieri di guerra e in molte altre imprese simili, tutte molto pericolose ed azzardate. 165 missioni di questo genere sono state compiute in questi 12 mesi e, di queste, 150 sono
518 state coronate da pieno successo. Le ragioni per cui le rimanenti 15 non hanno avuto risultato positivo sono: reazioni di fuoco da terra, tempo cattivo, mancata ricezione da terra dei segnali convenzionali prestabiliti o ricezione di segnali non corrispondenti a quelli convenuti, ed altre. In nessuna occasione l'insuccesso fu dovuto a mancanza di volontà, ardimento o coraggio da parte degli ufficiali e marinai italiani che armavano le unità impiegate. Considero ciò un ottimo risultato e voglio congratularmi con tutti, ufficiali e personale, non solo per la loro condotta e per il loro valore, ma anche per la maniera efficacissima e soddisfacentissima con cui hanno portato a termine queste importanti missioni. Devo infine accennare all'opera prestata dagli ufficiali ed operai dell'Arsenale di Taranto e del Cantiere Franco Tosi e credo che le seguenti cifre indichino per sè stesse come questi uomini abbiano fatto ogni sforzo per la rapida riparazione e rimessa in efficienza delle unità da guerra e mercantili britanniche, onde fosse mantenuto in piena efficienza operativa il massimo numero di unità. - Unità britanniche dei vari tipi su cui sono stati eseguiti grandi e piccoli lavori 690 - Unità italiane dei vari tipi su cui sono stati eseguiti grandi e piccoli lavori 230 - Unità alleate e italiane da guerra e mercantili immesse in bacino 575 Per dare una prova dell'efficienza dell'Arsenale, desidero citare il caso del Monitore Abercrombie. Ai primi di luglio il Comandante in Capo del Mediterraneo ha ordinato di eseguire lavori di riparazione su questa unità con precedenza assoluta su qualsiasi altra esigenza, onde avere pronto l'Abercrombie per una importante missione. La nave è stata immessa in bacino l'll luglio; eseguita la visita per l'accertamento delle avarie, è stato fissato il giorno 20 agosto come data di fine lavori. Tutti gli esperti in materia hanno concordemente riconosciuto che il tempo fissato io 40 giorni era molto «stringato" e che lo sarebbe stato in qualsiasi arsenale del mondo con lavoro continuativo diurno e notturno. Gli ufficiali e gli operai dell'arsenale di Taranto sono riusciti a ridurre questo tempo del 25%, portando a termine i lavori in 30 giorni. Il bastimento è uscito dal bacino il 10 agosto ed è partito da Taranto pronto per il combattimento il 14 agosto. Inoltre il Capo servizio G. N. dello Stato Maggiore del Comandante in Capo del Mediterraneo mi ha comunicato che non solo gli sembrava quasi miracoloso l'approntamento dell'unità in così breve tempo, ma anche che la perfezione del lavoro di chiodatura, saldatura e di riparazione era senza dubbio all'altezza dei migliori risultati ottenibili in qualsiasi cantiere britannico o americano. Voglio elogiare cordialmente tutti coloro che hanno contribuito a questo magnifico sforzo, inteso a realizzare l'ordine e il desiderio del mio Comandante in Capo. Per concludere vorrei accennare al contegno generale degli ufficiali e marinai italiani. Sono ormai da sei mesi in Italia e non ho ancora incontrato in strada un marinaio italiano ubriaco o scorretto; devo anzi dire che il contegno e la presenza dei vostri marinai sono sempre stati esemplari e reggono molto favorevolmente il paragone con la tradizione di qualsiasi Marina del mondo. Temo che questa lettera sia più lunga d i quanto volessi, ma so che i dati e le cifre che vi ho scritto vi interessano e spero che non sia ormai lonta no il giorno in cui li potrete pubblicare, se così desiderate.
519 Per quanto riguarda me, posso soltanto dire che sono onorato e fiero ài aver conosciuto e di aver avuto a che fare con uomini che hanno dato un così largo contributo allo sforzo bellico contro il nostro comune nemico, e che di fronte ad esso hanno, in tutte le occasioni, dimostrato un non comune coraggio ed un completo disinteresse per la loro sicurezza personale. Coi sensi della mia alta considerazione, credetemi sinceramente vostro F.to C. MORGAN A S.E. L'AMMIRAGLIO R. DE COURTEN Ministro della Marina ROMA
* * * Segreto - Riservato Personale ALLIED CONTROL COMMISSION ROMA N. 0228
27 agosto 1944 A S.E. IL MINISTRO DELLA MARINA
Penso che V. E. sarà lieto di conoscere il grande ausilio dato dalla R. Marina Italiana alle operazioni clandestine portate a termine dal mio ufficio, in stretta collaborazione con la sezione « Calderini » del S.I.M.. nell'Italia occupata dai tedeschi. Durante l'occupazione tedesca in Roma l'ammiraglio Maugeri diresse una organizzazione di personale di Marina dentro la città, che, benché priva di un sistema diretto di comunicazioni, trasmetteva all'Italia liberata, attraverso un altro gruppo clandestino, informazioni navali di grandissimo valore per le Forze alleate. In particolare, in due occasioni fummo avvertiti tempestivamente di progettati attacchi contro naviglio alleato da parte di MA.S. e « mezzi d'assalto». Quando, immediatamente dopo l'armistizio, fu deciso di stabilire reti nell'Italia del Nord per ottenere informazioni sull'Esercito, la Marina e l'Aviazione, fu la Marina Italiana che provvide quasi tutti gli operatori R.T. necessari. Questi operatori hanno poi dimostrato di essere, sia tecnicamente che come uomini, elementi di primissimo ordine. Parecchi ufficiali di Marina hanno inoltre intrapreso missioni nel territorio occupato dal nemico a capo di reti di informazioni. Uno di questi è attualmente il più brillante dei nostri agenti. Nell'inverno del 1943 sono state inviate missionj nel Nord Italia da Brindisi a mezzo di sommergibili italiani, che hanno eseguito parecchie di queste pericolose 9perazioni. Inoltre, la stazione R.T. ora istituita vicino a Roma, che controlla tutte le comunicazioni con gli informatori, è dotata in gran parte di personale di Marina che si sta dimostrando solerte e tecnicamente competente. Come Voi sapete, la natura del nostro lavoro è tale che non ci pennette di dare pubblici riconoscimenti, ma vorrei assicurare V. E. che i successi ottenuti e la sincera cooperazione dimostrata dalla Marina italiana sono note e pienamente apprezzate dalle più ·alte Autorità alleate. F.to Maggiore PAGE
520 HEADQUARTERS 2677'" REGIMENT OFFICE OF STRATEGIC SERVICES (PROV) APO 512
S.E. IL MINISTRO DELLA MARINA ROMA 21 maggio 1945
Caro Ammiraglio de Courten, Questo Comando è in possesso di una lettera firmata dal vostro rappresentante, capitano corvetta Sicherle, e dal mio ufficiale, Lt. Richard M. Kelly, con la quale vengono formalmente a cessare gli accordi che sono stati in vigore per 16 mesi tra il vostro Ministero e questo Reggimento, e che contemplavano l'uso del N. P. San Marco della R. Marina italiana. Durante i 16 mesi di servizio presso questo Comando, gli uomini del N. P. San Marco hanno portato a termine un numero di importantissime missioni con notevole successo. Il loro lavoro sotto il Lt. Kelly e sotto la direzione del 15th Armv Group ha costituito un vero contributo alla liberazione dell'Italia e all'annientamento delle forze nazifasciste. Nel comunicarvi la cessazione delle nostre relazioni con il N. P. San Marco, desidero esprimervi i miei sinceri ringraziamenti per il magnifico servizio da esso reso a questa organizzazione e alla causa alleata. Sinceramente vostro F.to EDWARD J. F. GLAVIN Colonnello Comandante
* * * SUBMARINE DIVISION SEVENTY-TWO co. FLEET POST OFFICE NEW YORK, N. Y.
22 settembre 1945 dal: COMANDANTE 72• DIV. SOMMERGIBILE al: COMANDANTE l• FLOTTIGLIA SOMMERG. Argomento: Lettera di elogio. 1. Durante gli scorsi 19 mesi i sommergibili della vostra flottiglia sono stati impiegati in cooperazione con i battelli della 72• Divisione sommergibili. 2. Desidero esprimere il mio apprezzamento per la bella cooperazione e per i sinceri sforzi delle unità al vostro comando per un lavoro « ben fatto "· La condotta del vostro personale in località straniere ha destato la nostra ammirazione. 3. Vogliate per favore accettare, e trasmettere ai vostri Comandanti, ufficiali ed equipaggi, i miei più cordiali ringraziamenti. Mi auguro sinceramente che il vostro viaggio di rimpatrio sia rapido e privo di incidenti. 4. Siate sicuro che i vostri sforzi hanno avuto una parte non trascurabile 11el portare questa guerra ad un esito vittorioso.
F.to M. P. RUSSILLO
521 NAVY DEPARTMENT OFFICE OF THE CHIEF OF NAVAL OPERATIONS
WASHINGTON 5 novembre 1945 AL MINISTRO DELLA MARINA ITALIANA Serial 713 P 21 Ca1v Sig. Ministro: E ' per me causa di gran piacere informarvi che il Comandante della nostra
73• Divisione sommergibili ha altamente lodato i sommergibili della R. Marina italiana che hanno prestato servizio sotto il suo comando. Egli ha segnalato ufl'icialmente che il contegno del personale della R. Marina italiana è stato impeccabile, che i Comandanti dei sommergibili hanno cooperato al massimo possibile nel mantenere in efficienza e nell'impiegare i loro battelli, che gli ordini sono stati eseguiti volenterosamente e che. i suggerimenti sono stati accettati con ottimo spirito. Le relazioni sia ufficiali che personali fra ufficiali e marinai americani ed italiani sono state cordiali e simpatiche. I battelli e i Comandanti elogiati nel rapporto del Comandante della divisione sono: T. V. Claudio Celli R. Sommerg. Speri » Attilio Russo » Marea ,. » Giovanni Manunta Vortice » Francesco Castracane » Da Procida » Cesare Buldrini Mameli • Sono felice di aggiungere la mia espressione di apprezzamento per il servizio reso da questi battelli e spero che la presente faccia parte della cartella personale degli ufficiali interessati. La prego di accettare, caro Sig. Ministro, la mia assicurazione della più alta stima. Sinceramente vostro F.to ERNEST J. KING Ammiraglio di Flotta
* ** OFFICE OF THE FLAG OFFICER, ITALY AND LIAISON ROME I5 gennaio 1946 Ammiraglio de COURTEN Ministro della Marina - ROMA N. F.0.I.L. 800/6
Argomento: Reparti disattivazione bombe e mine. Con grnnde soddisfazione ho letto un recente rapporto sul lavoro compiuto dai reparti italiani di base a Venezia per la disattivazione di bombe e mine.
522 Il Comandante del reparto disattivazione bombe e mine N. 2, ch e è stato recentemente sciolto con il trasferimento delle sue attribuzioni ai reparti della Marina Italiana, ha comunicato che. durante gli ultimi sei mesi, più di 890 mine di vario tipo sono state tolte con s uccesso lungo la costa Adriatica settentrionale dal personale italiano addetto alla disattivazione. Questo risultato fa grande onore agli ufficiali ·ed al personale suddetto ed è per me un grande piacere di. portare ciò a vostra conoscenza. F.to Ammiraglio WARREN
* * • NAVY DEPARTMENT OFFICE OF THE CHIEF OF NAVAL OPERATIONS WASHINGTON 25. O. C.
28 gennaio 1946 AL MINISTRO DELLA MARINA ROMA
Serie 835 P 21 Caro Sig. Ministro, Il 5 novembre 1945 l'Ammiraglio di Flotta E. J . King, al quale ho avuto l'onore di succedere come Capo delle operazioni navali. ha indirizzato a V. E. una lettera encomiando ufficiali ed equipaggj di alcuni sommergibili italiani che avevano operato agli ordini del Comandante la 73a Divisione sommergibili della Marina degli Stati Uniti. Ho notato che altri tre sommergibili della R. Marina italiana sono stati argomer;to di un ulteriore rapporto del Comandante la divisione e mi dispiace che essi siano stati omessi nella lettera dell'Ammiraglio di Flotta King. Mi si offre il .grande piacere di informarvi che sono stati compiuti eccellenti servizi dagli ufficiali e dagli equipaggi dei sommergibili ·d ella R. Marina, Atropo, Dandolo e Onice, tutti appartenenti a!Ja l• Flottiglia sommergibili della R. Marina italiana, che è stata comandata, in un primo tempo, dal cap. freg. Emilio Berengan e, successivamente, dal cap. freg. Enrico Marano. Mi è stato ufficialmente riferito che la condotta del personale dei battelli in argomento è stata ottima e che i Comandanti della flottiglia e dei battelli hanno cooperato al massimo grado nel man tenere in efficienza e nell'impiegare le loro unità. Gli ordini sono stati eseguiti volenterosamente ed i suggerimenti sono stati accettati con ottimo spirito. Le relazioni fra ufficiali ed equipaggi americani ed italiani sono state cordiali e piacevoli. Io desidero aggiungere all'elogio del Comandante la divisione le mie personali espressioni di compiacimento per i servizi resi da questi battelli e confido che ciò venga inserito nelle pratiche personali degli ufficiali interessati. Vi prego di gradire, caro Sig. Ministro. le espressioni della mia più alta stima. Sinceramente vostro F.to C. W. NIMITZ
523 OFFICE OF THE CAPTAIN IN CHARGE TARANTO 31 gennaio 1946 All'Ammiraglio CORREALE
MARINARSEN-TARANTO Ora che la Rappresentanza navale britannica, dopo circa due anni e mezzo viene ritirata da Taranto, desidero far conoscere a Voi, al cap. vasc. Rouselle ed ai vostri collaboratori, il nostro apprezzamento per il vostro contributo alla causa alleata, che è sempre stato dato col più alto spirito di cooperazione e buona volontà. Il vostro lavoro è stato del più grande aiuto alla Marina britannica a Taranto, ed ha contribuito in misura considerevole alla disfatta del nostro comune nemico. F.to E.A.E. STANLEY Capitano di Vascello R.N.
* * * OFFICE OF THE CAPTAIN IN CHARGE TARANTO 31 gennaio 1946 All'Ammiraglio PARONA
Comandante in Capo Jonio e Basso Adriatico Con il ritiro da Taranto della Marina britannica, dopo due anni e mezzo, desidero far conoscere a voi ed ai vostri collaboratori il nostro apprezzamento per la loro costante cooperazione e buona volontà nello scopo comune di sconfiggere il nemico. Ora che i nostri sforzi sono stati premiati dalla vittoria, possano le nostre due Nazioni procedere unite nell'amicizia, verso una completa prosperità. F.to E.A.E. STANLEY Capitano di Vascello R.N.
** * OFFICE OF THE CAPTAIN IN CHARGE TARANTO 31 gennaio 1946 All'Ammiraglio DA ZARA
Ispettorato Forze Navali Nel lasciare Taranto voglio esprimere a voi ed ai vostri collaboratori la nostra gratitudine per l'efficacissimo ausilio datoci durante i nostri due anni e mezzo di permanenza in questa base.
524 Auguriamoci di poter sempre alimentare tale spmto di reciproca cooperazione e buona volontà fra le nostre Marine, poiché su tale fondamento è basata una solida amicizia. F.to EA.E. STANLEY Capitano di Vascello R.N.
* .. ,. OFFICE OF THE CAPTAIN IN CHARGE
TARANTO 3 l gennaio 1946 All'Ammiraglio FERRERI Comando Incrociatori Ora che, dopo quasi due anni e mezzo, la Rappresentanza della Marina britannica sta per essere ritirata da Taranto, desidero esprimere a voi, al cap. freg. Barbera, ed ai vostri collaboratori il mio apprezzamento per l'appassionato spirito di cooperazione che avete sempre dimostrato nell'impiegare i vostri incrociatori in mare. Il vostro contributo in tutte le circostanze è stato degno di nota ed avete pienamente giustificato la completa fiducia che la Marina britannica ha sempre riposto in voi. In ogni occasione abbiamo sempre compreso le nostre reciproche necessità e opinioni, e, di conseguenza, le solite difficoltà di collegamento sono scate ridotte al nulla, ed i vostri incrociatori hanno uno stato di servizio del quale possiamo tutti essere fieri. F.to E.A.E. STANLEY Capitano di Vascello R.N.
525 ALLEG. 13
Situazione del naviglio mercantile italiano di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate. (Dati al 10 giugno 1940, all'8 settembre 1943 e al maggio 1945). (1)
- Situazlone al 10 giugno 1940 • Successive nuove costruzioni sino al1'8 settembre 1943 Totale consistenza • Navi perdute per cause di guerra (affondate, catturate etc.) tra il 10 g:ugno e 1'8 settembre 1943 • Navi che, il 10 giugno, sorprese in porti britannici dall'inizio delie ostilità, furono catturate e successivamente confiscate dalla Gran Bretagna (28 per 144.658 T.S.L.) o che, trovandosi a tale data fuori del Mediterraneo, si rifugiarono in acque di Stati neutrali i quali, in un secondo tempo, ruppero le relazioni diplomatiche con l'Ital'a o entrarono in guerra con la stessa (68 per 415.724 T.S.L.) (2) • Perdite per cause varie ( sinistri, demolizioni etc.) Totale perdite sino all'8 settembre 1943 - S ituazione all'8 settembre 1943 • Navi perdute dopo 1'8 settembre 1943 per dare applicazione alle clausole del· l'armistizio, e durante la cobellige· ranza. (3) - Situazione al m aggio 1945
439
1.752.276
96
560.382
18
142.255
553
2.454.913
Numero unità
Tonne!late di stazza lorda
772
3.310.534
61 833
350.843 3.661.427
553 280
2.454.913 1.206.514
203 77
836.139 3i0.375
(I) I dati riportati sono stati presi dalla pubblicazione ufficiale del Ministero della Marina intitolata « Considerazioni relative alla Marina Mercantile nei riguardi del trattato di pace• del maggio 1946. Questi dati possono considerarsi sostanzialmente esatti - anche alla luce di ulteriori elaborazioni - benché successivamente sia risultato che navi consklerate perdute erano soltanto danneggiate in maniera tale d a poter esser riutilizzate e ch e altre, le quali appar ivano semplicemente danneggiate, lo erano però in modo tale da consigliarne la demolizione (vedasi il caso del « Conte di Savoia»). In ogni modo non risulta che esistano a tutt'oggi dati sicuramente esatti. Nei dati sopra riportati non è compreso il naviglio mercantile nemico (francese. jugoslavo etc.) che, caduto io mano dell'I talia, venne da questa utilizzato sino all'8 settembre 1943. (2) Gli Stati neutrali nei cui porti le navi si rifugiarono (tra parentesi il numero delle unità) furono Egitto (2), Iran (4), Colombia (2), Venezuela (6), Uruguay (2) (che ruppero successivamente le relazion i diplomatiche), Stati Uniti t28), Costarica ( 1). Cuba 0). Messico (10) e Brasile (1 2) (che, in u n secondo tempo, entrarono in guerr a). Il trattamento fatto alle navi da questi Stati non fu uguale: le più furono catturate e confiscate; le altre vennero impiegate a titolo diverso, senza però corrispondere alcun compenso ai legittimi proprietari. (3) Sono comprese in queste cifre le unità rimaste 1'8 settembre 1943 in. porti sotto controllo t edesco, in Europa, e giapponese. in Estremo Oriente.
526 ALI.F.G. 14
Il confine orientale italiano e il problema marittimo adriatico. ( 1 )
Dal Golfo di Trieste al Canale di Otranto, l'Adriatico si estende per una lunghezza di circa 1000 Km. bagnando all'ovest le coste italiane e all'est delle regioni abitate da una popolazione meno omogenea e sulle quali diverse Potenze hanno fatto valere diritti. La « questione adriatica» è dunque la questione dell'Adriatico orientale .e l'insieme delle controversie sollevate per l'attribuzione del suo litorale. Non vi è parte di questa lunga striscia di territorio che non sia stato oggetto di un contrasto particolare; donde la complessità del problema che, 3. dir vero, ne congloba cinque, corrispondenti ai cinque principali settori della costa orientale, e cioè: 1. - l'Istria; 2. - Fiume e l'antica costa croato-ungherese; 3. - la Dalmazia; 4. - il Montenegro; 5. - l'Albania. * * * Alla vigilia del conflitto del 1914 la costa orientale adriatica era divisa fra tre Potenze: Austria-Ungheria, Montenegro e Albania. Un primo settore della costa austriaca si estendeva dalla foce dell'Aussa (frontiera italo-austriaca fissata dal trattato di Vienna del 3 ottobre 1866) sino alla costa ungherese. Questa comprendeva Fiume e il litorale croato. Fiume e il suo distretto, Corpus separatum dalla Croazia, dipendeva direttamente dall'Ungheria; il suo statuto, che rimontava all'Imperàtrice Maria Teresa, era stato confermato nel 1868 dall'articolo 66 del compromesso ungaro-croato. Dopo la Croazia, continuando verso sud, veniva il secondo settore della costa austriaca, la Dalmazia, unita all'Austria dopo la soppressione (con i trattati del 1814-1815) delle Province Illiriche istituite da Napoleone I nel 1809 (anteriormente a questa data la Dalmazia apparteneva già all'Austria dato che i possedimenti veneziani le erano stati attribuiti nel 1797 col trattato di Campoformio). All'estremo sud della Dalmazia si sviluppava, per una quarantina di chilometri, la costa montenegrina, cioè i distretti di Antivari e Dulcigno, acquistati dal Regno del Montenegro nel 1878 e 1881. Infine dalla foce della Boiana alla baia di Ftelia si estendevano le coste dell'Albania, la cui indipendenza, proclamata a Valona il 28 novembre 1912, era stata riconosciuta dalle grandi Potenze a Londra il 20 dicembre dello stesso anno <! le cui frontiere erano state provvisoriamente fissate dall'accordo di Londra del maggio 1913. (I) Questo studio fu inviato dal Ministero della Marina a quello degli Esll.!ri con fg 767 /UT del t• novembre 1944.
527
Tale era la situazione di fatto e di diritto alla vigilia della guerra del 1914, situazione che rappresentava per l'Italia, fra l'altro, un'assoluta mancanza di sicurezza marittima in Adriatico. La crisi del 1914 porgeva all'Italia l'occasione di migliorare la sua condizione di inferiorità strategica nell'Adriatico ed il Governo italiano riassunse nel memorandum del 4 marzo 1915, presentato ai Governi inglesi, francese e russo, le conquiste territoriali ritenute indispensabili all'Italia per raggiungere tale scopo. Le richieste italiane furono parzialmente accolte e sancite nel trattato di Londra del 26 aprile 1915 che assegnava all'Italia: - tutta l'Istria fino al Quarnaro; - le isole di Cherso, Lussino, Plavnik, Unie, Canidole, Palazzuoli, San Pietro di Nembi, Asinello, Gruiza e gli isolotti vicini; - la Dalmazia da Lisarica a Capo Planka; - tutte le isole dalmate, eccetto quelle di Veglia, Pervicchio, Gregorio. Coli e Arbe, a nord, e di Zirona, Bua, Solta, Brazza, Giuppana e Calamotta a sud; - l'isola di Pelagosa; - Valona e l'isola di Saseno. Il trattato stabiliva inoltre la neutralizzazione della costa da capo Planka al punto più meridionale della penisola di Sabbioncello, della costa da Ragusavecchia alla foce della Vojussa, compresi i porti di Cattaro, Antivari, Dulcigno, San Giovanni di Medua, Murazzo e delle isole non assegnate all'Italia. E' noto che la Russia nelle trattative che condussero al trattato di Londra contrastò la realizzazione delle aspirazioni italiane. Contro il trattato di Londra gli jugoslavi ava~zarono le rivendicazioni contenute nel memorandum che il Comitato jugoslavo di Londra indirizzò il 15 maggio 1915 ai Ministri degli Esteri di Francia, Inghilterra e Russia, nonché in quello complementare del 13 marzo 1916. Finita la guerra, le due tesi, italiana e jugoslava, si scontrano a Versailles. La tesi italiana, presentata nel memorandum della Delegazione italiana del 7 febbraio 1919, trova un insormontabile ostacolo al suo totale accoglimento in Wilson, tanto che il trattato di San Germano del 10 settembre 1919 non stabilisce i confini fra l'Italia e la Jugoslavia, pur portando la rinuncia dell'Austria ai territori in contestazione fra l'Italia e la Jugoslavia. In seguito ad accordi diretti fra l'Italia e la Jugoslavia, il confine veniva determinato con il trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 e con gli accordi di Roma del 17 gennaio 1924. Con tali accordi l'Italia ottenne la linea del Monte Nevoso quale confine della Venezia Giulia e la città di Fiume. Rinunciò invece alla Dalmazia con le isole, tranne la città di Zara e le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa .
.. * .. La « questione adriatica » doveva risorgere con la guerra attuale. Nell'aprile del 1941 la Jugoslavia crollava in pochi giorni sotto l'urto delle forze italo-tedesche e subito venivano iniziate conversazioni e studi per stabilire le pretese dell'Italia sulla Jugoslavia. La R. Marina sosteneva e dimostrava ancora una volta, alla luce anche della più recente esperienza della guerra in corso - durante la quale la piccola marina jugoslava era stata sufficiente a costringere la ben più forte marina italiana
528 a una estrema cautela nell'organizzazione del traffico marittimo e talvolta persino a interromperlo - che per avere l'assoluta sicurezza nell'Adriatico, l'Italia doveva possedere tutte le spiagge e tutte le isole di quel mare. Le discussioni, però, per quanto svolte nel clima a noi particolarmente favorevole derivante dalla situazione vittoriosa dell'Italia, non portarono al totale soddisfacimento delle richieste italiane. Il 3 maggio 1941 l'Italia annetteva la Slovenia meridionale (provincia di Lubiana) e pochi giorni dopo il territorio e le isole della Dalmazia, come definiti dall'accordo italo-croato del 18 maggio stesso. Per quanto riguarda il Montenegro, questo nell'aprile 1941 era occupato subito dalle truppe italiane e il 12 luglio 1941 ricostituito in Stato indipendente con forma monarchica costituzionale, nell'orbita dell'Italia. I confini del nuovo Stato vennero fissati, verso la Croazia, il 27 ottobre 1941; verso la Serbia e l'Albania in data successiva, ma con carattere provvisorio. Nella nuova sistemazione il Montenegro aveva una cinquantina di chilometri di costa nel distretto di Antivari. Per quanto si riferisce all'Albania, crollata la Jugoslavia, furono compresi nella giurisdizione del Regno d'Albania il Kosovo, la Metochia, la zona costiera di Dulcigno, la alta valle del Lim e una fascia attorno al lago Prespa. * * .,
I concetti di sicurezza rappresentati nelle argomentazioni sostenute dal1'1 talia dal 1914 in poi, pur mantenendo oggi immutata la loro fondatezza, devono
essere aggiornati alla luce degli elementi acquisiti dall'esperienza della presente guerra, soprattutto per quanto si riferisce alla possibilità di operazioni di sbarcc, e all'impiego dell'arma aerea. Gli sbarchi germanici in Norvegia, ed a Creta, quelli alleati in Algeria e Marocco, in Sicilia, a Salerno, ad Anzio, in Francia, in Estremo Oriente, hanno dimostrato che tali operazioni, ritenute in passato difficilmente attuabili, possono essere realizzate se organizzate in grande stile e dopo aver conquistato una forte predominanza aereo-marittima sull'avversario. La costa occidentale dell'Adriatico si presta ·all'effettuazione di operazioni di sbarco e all'avanzata delle forze sbarcate; la costa orientale, per contro, mentre è decisamente proibitiva per sbarchi, è estremamente favorevole alla prepara; zione di simili operazioni negli infiniti ancoraggi che essa presenta e dietro l'occultamento delle numerose isole che la proteggono. L'impiego in massa dell'aviazione ha radicalmente modificato le possibilità di offesa e di difesa del territorio. In particolare fa apparire oggi oltremodo aleatoria la possibilità di mantenere e alimentare possedimenti insulari situati a breve distanza da basi aeree avversarie. Pertanto, se per la prima considerazione apparirebbe opportuno per l'Italia sostenere la necessità di possedere qualche isola dell'Adriatico centrale,. per ostacolare il libero movimento per canali interni delle forze navali appoggiate alle basi della Dalmazia e per offrire una prima barriera ad eventuali operazioni di sbarco muoventi dalla costa orientale, per la seconda considerazione invece tale possesso sarebbe notevolmente svalorizzato dall'impiego dell'arma aerea e si tradurrebbe quindi in un grave e forse inutile onere. Ed allora si pone il quesito se, ferme restando le ragioni di natura ideale ed etnico-economica per la quale si dovrebbé rivendicare il possesso di Zara e di Lagosta, già assegnateci dal trattato di Rapallo, non convenga non insistere sulla
529 richiesta di altre isole dalmate qualora tale insistenza rischiasse di compromet· tere l'ottenimento di quelli che si ritengono i punti chiave indispensabili alla sicurezza dell'Italia in Adriatico. Tali punti chiave, sui quali la Marina ritiene non si debba assolutamente transigere, sono:
possesso dell'Istria, con Pola e le isole di Cherso e Lussino. E' inteso che il confine terrestre dell'Istria dovrebbe esser tale da garan· time la sicura difesa. Cherso e Lussino sono le propaggini della costa istriana e il baluardo di Pola. Il possesso di Pola e di Cherso-Lussino garantisce la sicurezza dell'Italia nel· l'Alto Adriatico e copre la valle del Po dal pericolo di eventuali sbarchi sulle coste italiane nel Golfo di Venezia. Fiume, sotto il punto di vista strategico, non ha grande importanza per l'Italia che possieda Pola. Tale concetto non infirma beninteso le ragioni di altra natura che hanno fatto di questa città una delle più sentite aspirazioni italiane. a) -
Neutralizzazione di Cattaro. Cattaro è una base navale di troppo grande importanza perché l'Italia possa consentire alla eventualità di un suo impiego da parte di una Nazione a noi ostile o gravitante nell'orbita di un gruppo di Potenze aventi interessi contrastanti con i nostri. Esclusa ovviamente la possibilità che Cattaro sia nuovamente assegnata al· l'Italia, non resta che richiederne le neutralizzazione che. del resto, era già stata prevista dal trattato di Londra. Questa soluzione dovrebbe essere raggiunta a qualunque costo, arrivando magari, come estrema ratio. ad offrire in contropartita la neutralizzazione di una base italiana, che non potrebbe essere che Pola. b) -
Indipendenza dell'Albania internazionalmente garantita. Quale sarà, la sorte di questo Stato al termine dell'attuale guerra? E' necessario subito premettere che una qualunque sistemazione di questo Paese che non tenesse conto dei vitali interessi politico-militari ed economici che l'Italia vi ha, sarebbe assolutamente precaria. La storia della formazione dello Stato albanese dal 1913 - per non volere andare più indietro nel tempo - dimostra che l'Italia è stata sempre presente ed ha influito là dove si è discusso dei problemi albanesi. La tesi italiana, sia nei riguardi dell'Austria-Ungheria, prima, che, nei riguardi della Jugoslavia e della Grecia, poi, è stata costantemente quella di promuovere la costituzione di uno Stato albanese indipendente, soddisfacendo però, nella formazione di questo, alcune particolari rivendicazioni territoriali jugoslave e greche ed ottenendo per sé dei «pegni» territoriali come Saseno e Valona col suo rett oterra. Sono ben note le vicende che hanno portato al primo costituirsi di uno Stato indipendente d'Albania - neutralizzato - nel 1913-14, al suo susseguente disfacimento all'inizio della prima guerra mondiale e alla sua ricostituzione nel novembre del 1921 in Stato sovrano ed indipendente. Ad esso vennero dati gli stessi confini del 1913, malgrado le aspre discussioni al riguardo svoltesi fra le delegazioni jugoslave e greca e quella italiana, tendenti, le prime, ad affermare il principio dello smembramento, mentre la nostra, rinunziando ad ogni possesso e) -
530 territoriale e ad ogni forma di mandato, volle riconosciuta la necessità che nel settore meridionale adriatico, al punto cioè cli • chiusura • cli questo mare. vi fosse uno Stato sovrano ed indipendente. A tale necessità, appena sufficiente a garantirci la sicurezza strategica, si aggiunse quella di stabilire che qualsiasi mutamento o perturbamento dell'indipendenza albanese e del suo territorio avrebbe costituito una minaccia per l'Italia. L'interesse albanese e quello italiano coincidevano dunque per tale riguardo \nteramente. L'Italia era quindi la naturale protettrice dell'integrità e della indipendenza albanese e si assumeva l'onere di difenderla ove questa fosse stata minacciata. E tale onere non si assumeva a suo libito ma su richiesta della stessa Albania e previa autorizzazione della S.d.N. Sistemato così il problema dell'Albania, sempre più stretti divennero i legami fra questa e l'Italia i quali, passando attraverso le fasi del • patto di amicizia e sicurezza» del novembre del 1926 e del successivo « trattato difensivo d.i alleanza» del novembre 1927 , culminarono nell'Unione del Regno d'Albania a quello d'Italia nell'aprile del 1939. Chiaro segno che questo evento - pur essendo un atto tipico della disgraziata politica dell'imperialismo fascista - era sentito dalla Nazione albanese e riconosciuto come logico ed inevitabile dalle altre Nazioni confinanti (che una volta accampavano diritti sull'Albania), fu il pronto riconosc;mento della mutata situazione politica da parte della Greci,1 e della Jugoslavia. Si è voluto, attraverso questa rapida scorsa della storia dell'Albania, chiarire i motivi da cui sorge la necessità che l'Italia partecipi alla sistemazione di questo Paese nel dopoguerra e veda confermato il suo diritto ad un esplicito riconoscimento delle sue esigenze cli sicurezza nel settore adriatico meridionale. E' chiaro inoltre che l'Italia non potrebbe mai consentire che una terza Potenza, soprattutto se questa già detiene altre porzioni del litorale adriatico, si insedi sul litorale albanese, a breve distanza dalle sue principali basi marittime meridionali. Pur non potendo più sostenere, per ovvie ragioni, la tesi di un'occupazione o di un mandato sull'Albania, l'Italia può e deve tornare sulla posizione assuntci alla Conferenza della pace del 1919 e chiedere quindi che l'Albania sia ricostituita in Stato indipendente e sovrano. Sarà forse difficile opporsi alle richieste della Grecia e della Jugoslavia miranti ad ottenere la cessione di territori albanesi, ma è di vitale importanza per l'Italia (e non solo per l'Italia, come ·d iremo appresso) che, pur ridotta territorialmente per queste probabili mutilazioni, l'Albania abbia una propria vita autonoma. Ove poi si costituisse quella Federazione Balcanica proposta, su probabile ispirazione russa, dal Ministro degli Esteri del Maresciallo Tito, è certo che l'inserimento dell'Albania in un tale organismo avverrebbe a tutto danno dell'Italia. Si presenterebbe allora la necessità e la opportunità di far valere i nostri antichi diritti su Saseno e Valona, il cui possesso ci permetterebbe, sia di attenuare la nostra inferiorità strategica derivanteci dal fatto di non possedere alcun punto di appoggio sulla costa dalmata, sia di neutralizzare la minaccia che l'eventuale insediamento di una Potenza nemica nei porti albanesi costituirebbe per la chiusura del mare Adriatico. I recenti avvenimenti politici hanno dato l'impressione che l'Inghilterra abbia potuto realizzare l'accordo fra il Governo jugoslavo del Maresciallo Tito e quello del Re Pietro e sia riuscita ad assicurarsi la continuazione della sua influenza sulla Jugoslavia, cosa che. messa in correlazione con l'atteggiamento
531
inglese nei riguardi dell'Albania e della Grecia, chiarisce l'interesse britannico alle sponde orientali adriatiche. Ecco quindi che il problema del futuro dell'Albania, da conflitto di interessi italo-slavo-greco, si sposta, e diviene questione di vitale interesse anche per la politica estera inglese. E' chiaro che, anche se la Russia ha. come pare, rinunziato all'idea di una Federazione Balcanica sotto la sua egida, la spinta naturale della sua politica estera verso il bacino mediterraneo la porterà, a più o meno breve scadenza, a volerne controllare alcuni tratti del litorale. In tale momento entrerà in gioco la posizione geografica e politica dell'Italia quale baluardo orientale estremo alla discesa dello slavismo russo, che, attraverso la Jugoslavia e l'Albania, superando l'Adriatico, cercherà di affacciarsi al Mediterraneo centrale. Si vede quindi che è pure interesse inglese (e forse non soltanto inglese) non solo che la posizione dell'Italia nell'Adriatico sia forte nei riguardi della Jugoslavia, ma anche, e soprattutto, che essa sia di massima sicurezza nei riguardi dell'Albania. Se all'Italia venisse dato cioè - nel quadro di un'Albania indipendente - il controllo di Valona e di Saseno, come riconosciutole dal trattato di Londra, questo le permetterebbe di controllare l'accesso all'Adriatico. Qualora si dovesse assolutamente escludere la possibilità di raggiungere la sua esposta sistemazione del problema albanese, bisognerebbe ritirarsi sul concetto di una Albania la cui indipendenza fosse garantita da opportuni trattati internazionali.
.. * * Concludendo, il punto di vista della Marina è che, pur riconoscendo l'impossibilità di riappellarsi oggi alle decisioni del trattato di Londra, che pure erano state sancite in riconoscimento di nostre ben chiare e ammesse esigenze politico-militari, si debba almeno insistere sulla rivendicazione dei confini liberamente concordati a Rapallo fra l'Italia e la Jugoslavia. Resta comunque inteso che il minimum atto a garantire una relativa sicu rezza dei confini terrestri e marittimi orientali dell'Italia, si riassume, a parere della Marina, nei seguenti punti: a) - possesso integrale dell'Istria e delle isole di Cherso e Lussino; b) - neutralizzazione di Cattaro; c) - costituzione dell'Albania in Stato indipendente garantito da trattati internazionali. Tale minimum deve rappresentare una posizione di assoluta intransigenza. Qualora si dovesse prevedere di dover negoziare le nostre richieste, bisognerebbe evidentemente impostare la questione del confine orientale su nostre più vaste pretese.
532 ALLEG. 15
Considerazioni relative alla Marina Militare nei riguardi del trattato di pace. (*)
RIFLESSI DELLA COBELLIGERANZA SUL TRATTATO DI PACE 1. -
Premessa.
Il trattato di pace con l'Italia è destinato a concludere quegli avvenimenti che, iniziati il 10 giugno 1940 con lo schieramento dell'Italia a fianco della Germania, si sono chiusi il 9 maggio 1945 con la fine della guerra dell'Italia contro la Germania. Se, nella valutazione globale della situazione dell'Italia nei riguardi delle sue responsabilità e delle sue benemerenze, si vuol tener conto delle prime per trarne deduzioni negative, appare logico che debbano essere obiettivamente valutate anche le seconde. Ciò deve consentire di mettere sulla bilancia anche gli elementi positivi, i quali valgono, come fatti concreti, a porre in evidenza più e meglio delle parole, quella differenziazione fra regime e popolo che è una realtà storica. Essa trova infatti la sua conferma nella circostanza che le forze armate italiane, pur avendo compiuto il loro dovere nella guerra di regime, non appena l'orientamento politico è stato conforme al sentimento popolare, hanno svolto, entro i limiti delle loro possibilità, un'appassionata opera per riscattare le colpe non proprie e per dimostrare che la guerra di popolo era ben più profondamente sentita. E questo dovrebbe anche indurre a dare al trattato di pace un'impronta la quale tenga adeguato conto della circostanza che, secondo l'espressione di Winston Churchill, l'Italia con la cobelligeranza si è guadagnata il suo biglietto di ritorno e, conseguentemente, la capacità di riprendere il suo posto nel consesso delle Nazioni democratiche. 2. -
L'applicazione dell'armistizio da parte della Marina italiana.
All'atto dell'armistizio, nonostante il carattere improvviso della notificazione di questo atto che capovolgeva l'orientamento politico e militare della Nazione. le unità navali della Marina italiana che erano in grado di muovere presero il mare ed eseguirono in maniera leale e rigorosa le clausole dell'armistizio, e quelle che non potevano lasciare i porti perché in lavori od in avaria eseguirono l'ordine di autoaffondarsi o di sabotarsi per evitare di essere impiegate dal nemico. (*) Questo memorandum del Ministero della Marina, datalo aprilt: 1946, venne presentalo dal Ministero degli Affari Esteri come espressione del punto di vista ufficiale del Governo italiano e non di quello del Ministero della Marina. Le note sono dell'autore di questo lavoro.
533 Giova ricordare a questo proposito che influenza sostanziale sull'atteggiamento di lealtà dei marinai d'Italia, in un momento di grave crisi spirituale. ebbe il documento di Quebec (Promemoria aggiuntivo alle condizioni di armistizio, presentate dal Generale Eisenhower al Comandante in Capo italiano l. Le parole contenute nel preambolo di questo documento diedero la confortante sensazione che non tutto fosse perduto, ma che esistesse la possibilità di operare attivamente nel senso rispondente all'animo nazionale e di contribuire così alla salvezza dell'avvenire del popolo italiano, possibilità che era condizionata alla libera disponibilità dei mezzi di azione, costituiti per la Marina dalle forze navali di superficie e subacquee. La Marina disponeva I'8 settembre 1943 (escluso il naviglio ausiliario) di 424.033 tonn. ( alle g. 1) (1). Orbene di questo naviglio ben 268.227 tonn., secondo le disposizioni dell 'armistizio, raggiunsero le basi degli Alleati; delle rimanenti 155.806 tonn., I 1.017 tonn., che non poterono raggiungere queste basi, si recarono in porti della Spagna neutrale, l03.693 tonn., impossibilitate a lasciare i porti nazionali, furono nella quasi totalità affondate o sabotate e 41.096 tonn. andarono perdute per effetto dell'offesa tedesca durante il trasferimento dalle acque nazionali alle basi alleate. La dimostrazione più evidente dell'efficacia dei provvedimenti ordinati da? Comando della Marina italiana ed attuati nella maniera più efficace, sotto l'immanente minaccia delle forze armate tedesche, sta nella circostanza che solo dopo molti mesi e dopo molti sforzi riuscì alla Marina nazi-fascista di mettere insieme uno sparuto nucleo di unità navali minori che, per la sua limitata entità e per la sua scarsa capacità offensiva, non fu mai in grado di interferire con le operazioni' militari degli Alleati.
3. -
L'attività della Marina italiana nel periodo della cobelligeranza.
Nel settembre del 1943, prima ancora che l'Italia fosse riconosciuta come Potenza cobelligerante, un accordo fra il Comandante in Capo del Mediterraneo, Ammiraglio Sir A. Cunningham, e il Ministro della Marina italiana, Ammiraglio de Courten, inscriva la flotta italiana nel quadro delle forze annate delle Nazioni Unite. In virtù di tale accordo, le unità della Marina italiana iniziarono subito quella cooperazione navale con gli Alleati che si andò sempre più intensificando in venti mesi di guerra comune contro la Germania. I compiti inizialmente assegnati alle navi italiane furono progressivamente ampliati, in relazione alle aumentate esigenze della condotta della guerra, alla viva aspirazione della Marina italiana di intensificare il suo contributo allo sforzo bellico in tutte le sue forme, e anche alla crescente fiducia delle Marine alleate nella lealtà e nella validità dell'opera della Marina italiana. Quasi tutte le navi della flotta, che erano riuscite a raggiungere i porti sotto il controllo degli Alleati, trovarono così impiego. Feéero eccezione solo le corazzate che non ebbero modo di essere utilizzate per mancanza di obiettivi consoni al loro tipo. Infatti, in seguito alla osservanza da parte della Marina delle clausole dell'armistizio, non rimase in Mediterraneo una forza navale che potesse interferire con le operazioni navali alleate in questo mare. Da tale situazione derivò che, non solo non fu ricbiesto (1) L'allegato non è riprodolto. Vedasi però, più dettagliato il precedente allegato 5 di questo lavoro.
534 l'impiego delle corazzate italiane, ma fu altresì consentilo alle Nazioni Unile di ridurre sensibilmente l'assorbimento di navi da battaglia in questo mare a vantaggio delle operazioni belliche che ebbero per teatro gli Oceani. E' lecito pensare che, qualora la Marina nazi-fascista avesse potuto crearsi in Mediterraneo un nucleo di forze navali suscettibili di contrastare la condotta di guerra alleata o si fossero manifestate situazioni di maggiore assorbimento di forze pesanti in altri teatri operativi, le due corazzate italiane di tipo più moderno sarebbero state utilizzate. Ne è conferma il fatto che, se pure i loro equipaggi furono ridotti per considerazioni di carattere particolarissimo, il nucleo rimasto a bordo fu sempre commisurato alla esigenza fondamentale di assicurare la loro buona efficienza materiale in modo che le navi potessero essere rapidamente approntate per un eventuale loro impiego. L'attività svolta dalla flotta italiana è documentata dalle cifre statistiche ...:ontenute nell'allegato n. 2 (2), le quali valgono a mettere in luce lo spirito di dedizione del quale furono animati Stati Maggiori ed equipaggi. Occorre mettere in rilievo a questo proposito che tale attività portò ad un logoramento sensibile del materiale, dovuto in parte alla intensa utilizzazione del naviglio ed in parte maggiore al fatto che l'aliquota di gran lunga preponderante delle risorse di mezzi e di uomini degli stabilimenti di lavoro della R. Marina (fra i quali ha parte preminente il R. Arsenale di Taranto) fu dedicata prevalentemente alla riparazione e manutenzione di unità delle Marine alleate, nel quadro generale delle superiori esigenze belliche. Sono da ricordare inoltre il contributo di valore è di sangue dato dal Reggimento S. Marco alle operazioni sul fronte terrestre, le rischiose azioni felicemente portate a termine dai mezzi d'assalto della Marina nei porti di Genova e di La Spezia, le numerose missioni speciali eseguite in concorso delle operazioni alleate sulle retrovie del nemico. Merita altresì menzione il notevole apporto dato dalla Marina italiana alla organizzazione ed esercizio dei porti ed alle operazioni di scarico dei piroscafi, elementi di importanza essenziali nello sforzo logistico della campagna d'Italia. Ultimo in ordine di elencazione, ma non di importanza, è il volontario contributo di pensiero dato da tecnici e scienziati della Marina che misero a disposizione degli Alleati il risultato di studi e ricerche, svolti in settori di particolare interesse bellico.
Nell'applicazione dell'armistizio e nel corso della guerra di liberazione, la Marina italiana ha praticamente perduto, in cifra tonda, oltre a tutte le unità che si trovavano ancora in costruzione, 152.000 tonn. di naviglio in servizio, cioè oltre il 35% delle 424.000 tonn. che essa possedeva l'8 settembre 1943. Il contributo di sangue della Marina da guerra alla causa comune si riassume nella cifra di circa 8.500 morti. A queste perdite la Marina italiana guarda con fierezza. Il contributo della Marina italiana alla causa delle Nazioni Unite durante i venti mesi di cobelligeranza è stato più volte ed in varie occasioni riconosciuto, non solo dai Comandanti Navali alleati con i quali la flotta italiana ha avuto rapporti di dipendenza operativa e di collaborazione attiva (allegato n. 3) (3 ). ma anche, in forma solenne, dai Governi alleati.
(2) L'allegato non è riprodotto. I principali dati in esso riportati sono stati inseriti nel precedente Cap. V, Sez. 7 di questo lavoro. (3) L'allegato non è riprodotto. I principali riconoscimenti di Autorità alleate, in esso riportati, sono stati inseriti nel precedente allegato 12 di questo lavoro.
535 Tali riconoscimenti sono stati particolarmente preziosi perché, oltre a dare alla Marina italiana la sensazione viva e incoraggjante dell'apprezzamento della sua opera e della sua capacità tecnica, costituiscono manifestazioni di uno stato d'animo che permette ai marinai d'Italia di considerare con ragionevole ottimismo il futuro della forza armata alla quale essi hanno dedicato le loro energie fisiche e spirituali.
4. -
Conclusione.
La consistenza attuale della flotta operante italiana è ridotta al modesto valore di 270.000 tonn. Ma questa cifra, per sè stessa, può portare a un inesatto apprezzamento: in quanto l'esame qualitativo della composizione di questa flotta dimostra lo squilibrio esistente fra le varie classi di navi e la presenza di molte unità che. per la loro vetustà, per il logorio imposto dalle esigenze di una prolungata ed intensa attività e per il loro mancato aggiornamento ai progressi tecnici, possono considerarsi alla fine della loro esistenza. L'Italia ritiene che non possa prescindersi nella redazione del trattato di pace da alcuni elementi di carattere etico, che balzano evidenti da quanto sopra è detto e che si possono così riassumere: a) non sembra che possa mancare da parte delle Nazioni Unite un adeguato riconoscimento dei valori morali ai quali si è ispirato l'atteggiamento della Marina italiana nel critico periodo dell'armistizio e nelle successive fasi della evoluzione politica italiana; b) l'Italia ha coscienza che la sua Marina ha dato alla causa delle Nazioni Unite, che coincideva con quella nazionale, tutto quello che le è stato chiesto, offrendo in ogni occasione, come all'atto della dichiarazione di guerra al Giappone, di partecipare con tutti i mezzi e con tutti gli uomini allo sforLo di guerra alleato; c) l'Italia pensa che sarebbe contrario ai principi di giustizia, ai quali gli Alleati hanno sempre serbato fede, togliere ad essa qualcuna di quelle navi con le quali le è stato concesso di operare a fianco delle Nazioni alleate; d) l'Italia confida che le Nazioni Unite vorranno tenere conto dell'influenza che avrebbe sullo spirito del popolo italiano, che ha visto nella Marina un saldo simbolo della disciplina e dell'ordine, ogni decisione che ne intaccasse la consistenza ed il prestigio.
L'Italia è quindi intimamente convinta che non possa non esserle confermato il possesso della flotta di cui essa attllalmente dispone. Non è il riconoscimento di un diritto che qui si invoca, bensì l'apprezzamento di fattori spiccatamente etici, i quali non possono non avere un valore e un peso che trascendono anche quelli del diritto, quando siano posti sulla bilancia della giustizia e dell'onore. Per questo l'Italia chiede che non siano prese decisioni le quali, privandola di qualcuna di quelle sue navi che hanno portato sui mari la bandiera italiana accanto a quella delle Nazioni Unite. riuscirebbero assai onerose. se non difficilmente accettabili.
536 II RIFLESSI DEI PRINCIPI DELL'O.N.U. SUL TRATTATO DI PACE E' stato affermato e riconosciuto che la conclusione del trattato di pace costituisce la premessa per l'ammissione dell'Italia nella Organizzazione delle Nazioni Unite. Sembra quindi che il trattato di pace debba tenere conto, nella formulazione delle sue clausole navali, dei principi formulati a San Francisco. Tra questi ve ne sono tre che hanno rilevanza per il problema navale italiano e che vengono successivamente considerati: - l'autodifesa è un diritto inalienabile d i ogni Nazione (articolo SI); - ogni Membro dell'O.N.U. concorrerà con proprie forze al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (articolo 43); - fra gli scopi che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si prefigge vi è quello di promuovere il disarmo e il regolamento degli armamenti (articoli Il. 26 e 47).
llJ
IL PROBLEMA DELL'AUTODIFESA DELL'ITALIA 1. -
Premessa.
La Carta delle Nazioni Unite all'articolo 51 riconosce agli Stati Membri il diritto di autodifesa contro atti di aggressione, sino a quando il Consiglio per la Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Ovviamente il concetto dell'autodifesa, soprattutto nei riguardi degli armamenti navali, implica un criterio di relatività di forze fra le Nazioni, per il quale non esistono, nel momento attuale, le necessarie premesse. Sembra quindi che il problema dell'autodifesa dell'Italia, nella sua integrale complessità, debba essere affrontato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite in sede di esame della regolamentazione generale degli armamenti. Ma. anche con questa riserva, non appare possibile che il trattato di pace, n~l determinare le sorti della attuale Marina italiana, possa prescindere da alcuni elementi di fatto che esercitano una influenza determinante sui lineamenti delle clausole navali del trattato stesso. Giova tuttavia premettere in modo esplicito che l'Italia. nel prospettare i termini generali del problema dell'autodifesa, non ha affatto di mira il possesso di una flotta che, per la sua consistenza o per la sua composizione, possa ritenersi espressione di tendenze espansive o di dominio. L'Italia è perfettamente conscia delle enormi esigenze e difficoltà, inerenti al problema della propria ricostruzione economica e civile, e intende ridurre gli oneri militari alla misura strettamente indispensabile che consenta al suo popolo di attendere aJle laboriose attività di pace senza timore che una improvvisa aggressione possa, nel breve tempo necessario all'intervento delle forze collettive, rendere inevitabile che la lotta contro l'aggressore si svolga sul territorio nazionale e sia più lunga del necessario.
537 2. -
Situazione geografico-economica dell'Italia nei riguardi delle offese dal mare.
Gli elementi geografico-economici dell'Italia possono così riassumersi: a) l'Italia ha una popolazione di 46.000.000 di abitanti distribuita su un territorio limitato (circa 310.000 km. quadrati); b) l'esiguità dell'estensione del territorio nazionale, insufficiente alla popolazione, e la sua assoluta deficienza di materie prime impongono al popolo italiano di importare, per lavorare e per vivere, più di 22 milioni di tonn. all'anno per via di mare. Questi rifornimenti marittimi costituiscono un insop· primibile bisogno per la vita del popolo italiano e da essi dipende l'esistenza dell'intera Nazione; c) le linee di traffico provenienti d'oltremare (Gibilterra, Suez, Dardanelli, Paesi Mediterranei) sono di carattere obbligato; d) la insufficienza delle reti stradale e ferroviaria e la necessità di assicurare i collegamenti con le grandi isole {Sicilia-Sardegna) determinano un traffico costiero e fra il continente e le isole, che deve essere assicurato anche nella eventualità della temporanea interruzione delle linee di traffico d'oltremare; e) l'Italia si protende su tre bacini marittimi, chi:: non hanno possibilità di comunicazioni interne, e le sue coste hanno uno sviluppo di oltre 8.500 Km.: su queste coste si affacciano parecchie delle più popolose ed industriose città italiane; /) quasi tutta la distesa delle coste italiane presenta zone favorevoli ad operazioni di sbarco, sia per i fondali e la natura delle spiagge, sia per la vicinanza al mare di obiettivi importanti; g) la particolare conformazione orografica della penisola italiana fa sl che una gran parte delle sue linee terrestri di comunicazione corra lungo ed in vicinanza delle coste, creando obiettivi facilmente vulnerabili, la cui interruzione è suscettibile di creare gravissime difficoltà per la vita e per la difesa del Paese; h) una forte percentuale della popolazione vive sul mare e dal mare trae mezzi indispensabili per la vita. Giova ricordare che il sig. Balfour alla Conferenza per la limitazione degli armamenti di Washington del 1921 disse: « Italy is not an island, but for the purposes of this debate, she almost counts as an island ». Ed a proposito dei problemi dei rifornimenti che le provengono d'oltremare, il signor Balfour. nella sopracitata occasione, ne segnalò la « extreme difficulty "· Le considerazioni succintamente esposte, alle quali altre ancora potrebbero aggiungersene, mettono in chiara evidenza la estrema delicatezza del problema dell'autodifesa dell'Italia, sia in sé stesso, sia in correlazione con i modi ed i tempi dell'intervento delle forze stabilite per la difesa collettiva. 3. -
Caratteristiche qualitative e quantìtative delle forze navali necessarie per l'autodifesa.
La forza navale destinata ad assicurare l'autodifesa dell'Italia deve essere costituita prevalentemente di unità a carattere difensivo, ossia: incrociatori, unità di scorta, corvette, motosiluranti, sommergibili di modesto tonnellaggio. Anche il più rigoroso esame delle forze qualitative necessarie per l'autodifesa, deve infatti ammettere che, soprattutto in relazione alle caratteristiche geografiche della penisola italiana, unità sottili sono indispensabili per i servizi
538 di sorveglianza e di scorta al naviglio mercantile; che incrociatori costituiscono l'indispensabile appoggio alle unità sottili; e che un limitato numero di sommergibili di modesto tonnellaggio occorre per contribuire alla sicurezza di zone di particolare interesse (approcci alle basi. zone di facile sbarco. ecc.) e che in ogni caso è assolutamente necessario per l'addestramento dei mezzi antisommergibili. Dal punto di vista quantitativo, occorre tener presente che le già accennate particolari condizioni di vulnerabilità costringeranno l'Italia a mantenere la sua modesta flotta difensiva frazionata nelle basi dei tre bacini marittimi, lontana l'una dall'altra. E' questa una particolare situazione strategica dell'Italia, dalla quale non si può prescindere sollo pena di compromettere le basi della autodifesa. L'esame quantitativo delle forze difensive delle quali dispone attualmente l'Italia (circa 125.000 tonn.) (4), dimostra che esse non sono adeguate neppure ad una saltuaria sorveglianza del litorale e ad una anche ridotta protezione del vitale traffico mercantile lungo le coste e fra il territorio continentale e le isole. In queste condizioni quindi il principio dell'autodifesa non appare assicurato. Anche se l'Italia non può e non vuole pensare nel momento attuale a nuove costruzioni, è questa una constatazione di fatto che non può essere passata sotto silenzio. Ovviamente la possibilità di una efficace difesa nel campo navale, presuppone la disponibilità di un'adeguata forza aerea, dalla quale questo studio prescinde. 4. -
Conclusione.
L'Italia chiede che le forze difensive di cui attualmente dispone siano ad essa integralmente lasciate in correlazione coi compiJi e.,;senziali dell'autodifesa. Chiede inoltre che nel trattato di pace non vengano inserite disposizioni le quali possano pregiudicare le decisioni che saranno prese dal/'0.N.U. in merito alla forza navale difensiva dell'Italia, tenendo conto della sua particolare situazione economico-geografica e delle forze assegnate alle altre Nazioni. JV
PARTECIPAZIONE DE:LL'ITALIA ALLE FORZE COLLETTIVE DELL'O.N.U. ED AL LORO IMPIEGO L'Italia confida che, una volta che essa sia entrata a far parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, un'aliquota delle sue forze armate, e quindi della sua flotta, sia designata a disposizione del Consiglio di Sicurezza per costituire, insieme alle forze armate delle altre Nazioni, il contingente previsto dalla Carta di S. Francisco. L'Italia pensa che, a prescindere da quegli altri contributi che le potessero essere richiesti, le due navi da battaglia Italia e Vittorio Veneto potrebbero, in questa eventualità, rappresentare un apporto apprezzabile alla costi(4) Cioè l'intero tonnellaggio posseduto (l70.000 tonn. circa) diminuito di quello delle cinque corazzate (144.000 tonn. circa), come risulta dal precedente allegato Il di questo lavoro.
539 tuzione della forza internazionale e che questa soluzione consentirebbe di conciliare il principio della conservazione dell'attuale flotta (Cap. I . Paragr. 4') con il criterio della disponibilità delle forze necessarie per l'autodifesa (Cap. III). Le possibilità di utilizzazione di queste due corazzate, nell'ipotesi che esse non fossero ritenute necessarie per gli scopi generali dell'O.N.U .. saranno indicate più avanti. Nei riguardi del futuro contributo italiano al mantenimento della pace si prospetta un'altra considerazione, che si ricollega al problema dell'autodifesa. la caratteristica posizione geografica dell'Italia nel Mediterraneo valorit.za l'importanza delle sue basi navali. Si ritiene che le forze dell'O.N.U., chiamate eventualmente ad operare in Mediterraneo, dovrebbero poter contare sul libero uso di tali basi. Ma questo non potrà essere assicurato se le basi non potranno essere efficacemente difese dall'Italia prima che le forze dell'O.N.U. siano in grado di intervenire. V
DISARMO E REGOLAMENTO DEGLI ARMAMENTI L'accenno al compito di promuovere il disarmo ed il regolamento degli armamenti, affidato all'Organizzazione delle Nazioni Unite, vuole soltanto mettere in rilievo due punti di particolare importanza che l'Italia ritiene debbano essere tenuti presenti nella redazione del trattato di pace, allo scopo di dare ad esso un carattere di obiettiva e serena giustizia, evitando gesti suscettibili di generare dolorosi e difficilmente sanabili risentimenti. Questi punti sono: a) l'Italia, per le ragioni già dette e per il suo orientamento di completa aderenza ai principi dell'O.N.U., vedrebbe di buon grado un'approfondita disamina del problema del regolamento degli armamenti e delle più drastiche misure di disarmo, purché questi problemi siano risolti su un piano generale e in modo da assicurare l'efficienza dell'autodifesa della Nazione; b) in considerazione della complessità e vastità degli impegni reciproci e generali, che nasceranno dall'intervento dell'O.N.U. nelle limitazioni qualitative e quantitative degli armamenti, al fine di garantire a ciascun Membro del1'0.N.U. il massimo grado di sicurezza, le clausole del trattato di pace non dovrebbero compromettere il diritto dell'Italia di entrare nell'Organizzazione Internazionale senza aver già subito limitazioni, che la pongano a priori in condizioni di inferiorità. VI
CONCETTI INFORMATORI CIRCA LA GESTIONE FUTURA DELL'ATTUALE MARINA ITALIANA L'Italia ritiene che, per facilitare la redazione delle clausole navali del trattato di pace, sia vantaggioso che, in sede di formulazione delle sue richieste, e con la premessa che esse siano accolte, essa comunichi i concetti informatori ai quali intende ispirare la gestione futura della sua attuale Marina, affinché, dalla enunciazione di tali criteri, risultino evidenti gli orientamenti nettamente difensivi dell'Italia nel campo dei suoi armamenti navali.
540 Tali concetti possono così riassumersi: I°) intendimento di ridurre al minimo l'onere finanziario richiesto allo Stato per la conservazione e la gestione della Marina, in modo che le necessità di autodifesa incidano nella misura più ridotta sulla disponibilità di materie prime e di potenziale umano, indispensabili per la ricostruzione civile ed economica della Nazione;
2·) conseguentemente, per quanto riguarda le forze navali: a) mantenimento in servizio dell'aliquota moderna ed efficiente delle unità leggere e sottili per gli scopi dell'autodifesa; b) radiazione ed eventuale demolizione delle unità leggere e sottili anti· quate od eccessivamente logorate; e) utilizzazione di due-tre navi da battaglia per il servizio navi-scuola del personale volontario e di leva, accettando eventuali riduzioni del loro. potenziale bellico in considerazione del particolare carattere del loro impiego. Se le due corazzate Italia e Vittorio Veneto fossero richieste per la costituzione delle forze internazionali dell'O.N.U., al servizio di navi-scuola sarebbero adibite le tre navi tipo Doria; se invece ciò non avvenisse, la soluzione più economica sarebbe quella di adibire al servizio delle scuole le navi / talia e Vittorio Veneto, il che consentirebbe la radiazione e demolizione delle tre corazzate tipo Doria; d) adeguamento del naviglio ausiliario alle effl : ive necessità della Marina, devolvendo a servizi civili (traffici mercantili, servizio dei porti commerciali, ecc.) le eccedenze utilizzabili; e) assegnazione dei materiali, ricavati dalla demolizione delle unità radiate, alle necessità di ricostruzione civile della Nazione. 3·) riduzione delle basi navali al numero strettamente indispensabile alla consistenza della flotta ed alle esigenze di autodifesa e, se richiesto, dell'O.N.U.; 4·) riduzione della consistenza del personale per adeguarla alle reali necessità della Marina, intensificando l'azione già progredita sulla via di ridur re gli organici di ufficiali, sottufficiali e personale di bassa forza. Con tale provvedimento si prevede attualmente che la consistenza del personale sia ridotto a circa 40.000 uomini, e cioè: 3.500.4.000 ufficiali, 19.500 tra sottufficiali e militari di bassa forza a bordo, 16.500 tra sottufficiali e militari di bassa forza a terra. Nelle suddette cifre non è compreso il personale per la difesa costiera e contro· aerea delle basi navali. 5·) limitazione dei lavori alle navi e agli impianti a quanto necessario per il mantenimento in efficienza, rinunciando ad ogni lavoro di radicale trasformazione. Per valu tare il significato concreto di questo programma si ritiene opportuno accentuare le conseguenze che ne deriverebbero sulla consistenza globale della flotta rispetto al suo attuale valore di 270.000 tonn. Tenendo conto delle · radiazioni previste (circa 25.000 tonn. di naviglio sottile e leggero antiquato e circa 71.000 tonn. di corazzate tipo Doria nell'ipotesi della trasformazione delle navi Italia e Vittorio Veneto in navi-scuola), la flotta avente caratteristiche militari si ridurrebbe a circa 100.000 tonnellate (non incluse ovviamente le 70.000 tonnellate di navi-scuola). Riassumendo, la consistenza della flotta italiana impiegabile, dalla data
541 dell'armistizio all'espletamento del programma sopra esposto, assumerebbe i St' guenti valori: Tonn. 424.033
ali' armistizio alla fine della guerra
"
a riduzioni effettuate
»
269.569 100.000
Queste cifre valgono più e meglio di ogni ragionamento a mettere in evidenza quale sforzo si intenda compiere per ridurre gli oneri militari e quanto sincera sia la determinazione dell'Italia di dare il suo volontario contributo a una politica di disarmo. Peraltro non si può fare a meno di richiamare ancora una volta l'atten· zione sul fatto che la consistenza alla quale saranno ridotte le forze navali italiane risulta inadeguata alle esigenze di una sia pure temporanea autodifesa.
CONCLUSI ON I
Con quanto è stato sopra esposto si ritiene aver dimostrato che: J il comportamento della Marina italiana all'armistizio e nelle successive fasi della lotta contro la Germania impone che non le sia tolta alcuna delle navi che hanno operato a fianco delle N,u..ioni Afle(lle: 2°) la consistenza della parte efficiente dell'atcuale forza navale difensiva è inadeguata alle esigenze dell'autodifesa ; 3") il problema delle navi da battaglia può essere risolto attraverso formule che ne prevedano impieghi particolari; 4") rl problema del regolamento definitivo degli armamenti navali del l'Italia deve essere lasciato alla futura attività dell'O.N.U.; S°) l'Italia è conscia delle restrizioni che le sono imposte dalle necessità di ricostruzione civile e che essa è già avviata ad attuarle. 0
)
542 ALLEG. 16
Progetto di trattato di pace con l'Italia del 18 luglio 1946. (1) (Parte IV -· Clausole militari, navali ed aree, con I relativi allegati IV e V)
PARTE IV CLAUSOLE MILITARI, NAVALI ED AEREE
Sezione I - Durata Art. 39 (46 Tr.J Ognuna delle clausole militari, navali ed aeree del presente trattato resterà in vigore finché non sarà stata modificata in tutto o in parte, mediante accordo tra le Potenze Alleate e Associate e l'Italia o, dopo che l'Italia sarà divenuta '°embro delle Nazioni Unite, mediante accordo tra il Consiglio di Sicurezza e l'Italia.
Sezione I I - Limitazioni generali Art. 40 ( 47 Tr.) I. (a) - Il sistema delle fortificazioni e delle installazioni militari permanenti italiane lungo la frontiera franco-italiana e i relativi armamenti saranno distrutti o rimossi. (b) Fanno parte di tale sistema soltanto le fortificazioni d'artiglieria e di fanteria, sia in gruppo che isolate, le casematte di qualsiasi tipo, i ricoveri protetti, gli osservatori e le teleferiche militari, qualunque sia l'importanza di queste opere e l'effettivo loro stato di conservazione o di costruzione, e sia che siano costruite in metallo, in muratura o in cemento, o che siano scavate nella roccia.
(c) - La distruzione o la rimozione prevista dai precedenti commi (a) e (b) dovrà effettuarsi soltanto nella fascia della larghezza di 20 km da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente trattato. e dovrà esser completata entro un anno dall'entrata in vigore dello stesso. 2. - E' vietata qualsiasi ricostruzione delle predette fortificazioni e installazioni. 3. (a) - Ad est della frontiera franco-italiana è vietata la costruzione delle opere seguenti: fortificazioni permanenti in cui possano esser installate armi atte a tirare nel territorio o nelle acque territoriali francesi; installazioni militari permanenti che possano esser usate per condurre o dirigere il tiro nel (1) Traduzione
non ufficiale. Il numero tra parentesi a fianco di quello dei singoli articoli è il numero del corrispondente articolo del trattato di pace.
543 territorio o nelle acque territoriali francesi; attrezzature permanenti per il rifornimento e il magazzinaggio, costruite unicamente per uso delle fortificazioni e delle installazioni di cui supra. (b) - Tale proibizione non riguarda altri tipi di fortificazioni non permanenti né i ricoveri e le installazioni di superficie, che siano destinati unica· mente a soddisfare esigenze di ordine interno e di difesa locale delle frontiere. 4. - Nella fascia costiera, della profondità di 15 km., compresa fra la frontiera franco-italiana e il meridiano 9' 30' E.G., l'Italia non dovrà creare nuove basi navali o installazioni navali permanenti, né ampliare quelle già esistenti. Tale divieto non si estende alle modifiche di minor importanza né ai lavori per la buona conservazione delle installazioni navali esistenti, purché la potenzialità di tali installazioni non sia in tal modo accresciuta nel suo com· plesso. Art. 41 (48 Tr.) I. (a) - Tutte le fortificazioni e le installazioni militari permanenti 1ta liane lungo la frontiera italo-iugoslava e i relativi armamenti saranno distrutti o rimossi. (b) - Le fortificazioni e le installazioni cui si riferisce il precedente comma (a) sono soltanto le fortificazioni d'artiglieria e di fanteria, sia in gruppo che isolate, le casematte di qualsiasi tipo, i ricoveri protetti, gli osservatori e le teleferiche militari, qualunque sia l'importanza di queste opere e l'effettivo loro stato di conservazione o di costruzione, sia che siano costruite in metallo, in muratura o in cemento, o che siano scavate nella roccia. (c) - La distruzione o la rimozione, prevista dai precedenti commi (a) e (b) dovrà effettuarsi soltanto nella fascia della larghezza di 20 km. da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente trattato, e dovrà esser completata entro un anno dall'entrata in vigore dello stesso. 2. - E ' vietata qualsiasi ricostruzione delle predette fortificazioni e installazioni. 3. (a) - Ad ovest della frontiera italo-jugoslava è vietata la costruzione delle seguenti opere: fortificazioni permanenti in cui possano esser installate armi atte a tirare nel territorio o nelle acque territoriali jugoslavi; installazioni militari permanenti che possano esser usate per condurre o dirigere il tiro nel territorio o nelle acque territoriali jugoslavi; attrezzature permanenti per il rifornimento e il magazzinaggio, costruite unicamente per uso delle fortificazioni e delle installazioni di cui sopra. (b) - Tale proibizione non riguarda altri tipi di fortificazioni non permanenti né i ricoveri e le installazioni di superficie, che siano destinati unicamente a soddisfare esigenze di ordine interno e di difesa locale delle rrontiere. 4. - Nella fascia costiera, della profondità di 15 km., compresa tra la frontiera fra l'Italia e la Jugoslavia [e Ira l'Italia e il Territorio Libero di Trieste) e il parallelo 44' SO' N., nonché nelle isole situate lungo tale fascia costiera, l'Italia non dovrà creare nuove basi navali o installazioni navali permanenti, né ampliare quelle già esistenti. Tale divieto non si estende alle modifiche di minor importanza né ai lavori per la buona conservazione delle installazioni navali esistenti, purché la potenzialità di tali installazioni non sia in tal modo accresciuta nel suo complesso.
544 5. - Nella Penisola Salentina ad est del meridiano 17' 45' E.G., l'Italia non dovrà costruire alcuna nuova installazione permanente militare, navale o aerea, né ampliare le installazioni esistenti. Tale divieto non si estende alle modifiche di minore importanza né ai lavori per la buona conservazione delle installazioni esistenti, purché la potenzialità di tali installazioni non sia accresciuta nel suo complesso. Tuttavia sarà consentita la costruzione di opere per l'alloggiamento di quelle forze di sicurezza che fossero necessarie per compiti d'ordine interno e per la difesa locale delle frontiere.
Art. 42 (49 Tr.) l. - Pantelleria, le isole Pelagie (Lampedusa, Lampione e Linosa) e Pianosa (nell'Adriatico) saranno e rimarranno interamente smilitarizzate. 2. - Tale smilitarizzazione dovrà esser completata entro un anno a decorrere dall'entrata in vigore del presente trattato.
Art. 43 (SO Tr.} I. - In Sardegna tutte le postazioni permanenti di artiglieria per la difesa costiera e i relativi armamenti nonché tutte le installazioni navali che siano situate a meno di 30 km. dalle acque territoriali francesi, saranno demolite o trasferite nell'Italia continentale entro un anno dall'entrata in vigore del presente trattato. 2. - In Sicilia e in Sardegna tutte le installazioni permanenti e le attrezzature per la manutenzione e il magazzinaggio di siluri, mine sottomarine e bombe saranno demolite o trasferite nell'Italia continentale entro un anno dall'entrata in vigore del presente trattato. 3. - In Sicilia e in Sardegna non sarà consentito alcun miglioramento o ricostruzione o ampliamento delle esistenti installazioni o fortificazioni permanenti. Tuttavia, fatta eccezione per la zona della Sardegna settentrionale di cui al precedente paragrafo 1, potrà procedersi alla normale manutenzione delle suddette installazioni e fortificazioni permanenti nonché delle armi situate in esse. 4. - In Sicilia e in Sardegna l'Italia non potrà costruire alcuna installazione o fortificazione navale, militare o aerea, eccezion fatta per le opere destinate all'alloggiamento di quelle forze di sicurezza che potessero esser richieste per compiti d'ordine interno. Art. 44 (SI Tr.} L'Italia non dovrà possedere, costruire o sperimentare: (a) alcun proiettile ad auto-propulsione o guidato o alcun dispositivo impiegato per il lancio di tali proiettili; (b) alcun cannone di gettata superiore ai 30 km.; (c) mine sottomarine funzionanti mediante congegno ad influenza; (d) alcun siluro con equipaggio. Art. 45 (52 Tr.) L'Italia non dovrà acquistare, né all'interno né all'estero, né fabbricare materiale bellico di origine o di progetto tedesco o giapponese.
545 An. 46 (53 Tr.) L'Italia non dovrà fabbricare o possedere, né a titolo pubblico o privato, materiale bellico in quantità superiore a quella necessaria per le Forze consentitele dalle sezioni III, IV e V çhe seguono, né di tipi diversi da quelli da queste autorizzate.
Sezione lii - Limitazioni da imporre alla Marina italiana Art. 47 (56 Tr. I I. -
L'attuale flotta italiana sarà ridotta al seguente numero di unità:
(a) Grandi
unità da combattimento 2 4
Navi di linea Incrociatori Cacciatorpediniere Torpediniere Corvette
4 16
20
(b ) Piccole unità da combattimento e navi ausiliarie
Il numero di unità che potrà esser armato e mantenuto in servizio con un numero massimo di 2.500 uomini, ufficiali compresi.
2. - I nomi delle navi che l'Italia sarà autorizzata a conservare conformemente al disposto del precedente paragrafo 1 risultano nell'allegato IV-A. Art. 48 (57 Tr.J
I. - L'Italia adotterà le seguenti misure nei riguardi delle unità che risulteranno eccedenti. (a) - Le unità della Marina italiana indicate nell'allegato IV-B dovranno esser messe a disposizione dei Governi dell'U.R.S.S., degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia. (b) - Le navi da trasferirsi in conformità del comma (a) di cui sopra, dovranno esser completamente allestite, in condizioni di efficienza, con le dotazioni di bordo dei materiali per l'impiego delle armi e dei pezzi di ricambio al completo, nonché con tutta la documentazione tecnica necessaria. (c) - Il trasferimento delle navi sopra indicate sarà effettuato entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente trattato. Tuttavia, nel caso di unità che non potessero esser riparate, entro tre mesi, il termine per il trasferimento potrà esser prorogato dai quattro Governi. (d) - Le dotazioni di riserva dei pezzi di ricambio e dei materiali per l'impiego delle armi per le unità indicate nell'allegato IV-B dovranno esser fornite, per quanto possibile, con le unità stesse. Il saldo di dette dotazioni dovrà esser effettuato nella misura e alle date che saranno . fissate dalle quattro Potenze, ma comunque entro il termine massimo in un anno dall'entrat,a in vigore del presente trattato. (e) - I dettagli dei suddetti trasferimenti saranno fissati da una Commissione delle quattro Potenze da istituirsi con un separato protocollo.
546 Art. 49 (58 Tr.) 1. L'Italia dovrà prendere le seguenti misure per quanto concerne i sommergibili e le altre navi non in condizioni di impiego. I termini di tempo sotto indicati decorreranno dall'entrata in vigore del presente trattato. (a) - Le navi di superficie galleggianti non indicate nell'allegato IV, comprese quelle in costruzione già varate, dovranno, entro sei mesi, esser affondate a una profondità di oltre 50 braccia. (b) - Le navi in costruzione ancora sugli scali, dovranno, entro sei mesi. esser distrutte o demolite per trarne rottami. (c) - I sommergibili galleggianti non indicati nell'allegato IV-B, dovranno esser affondati, entro tre mesi, in mare aperto, ad una profondità di oltre 100 braccia. (d) - Le navi affondate in porti italiani e nei canali d'accesso a detti porti, le quali ostacolino la normale navigazione, dovranno, entro due anni, esser distrutte sul posto oppure esser ricuperate e successivamente affondate a una profondità di oltre 50 braccia. (e) - Le navi affondate in acque italiane poco profonde, le quali non ostacolino la normale navigazione, dovranno, entro un anno, esser messe in condizione di non poter esser ricuperate. (f) - Le navi possono esser trasformate, le quali non rientrino nella definizione di materiale bellico e che non siano elencate nell'allegato IV. potranno esser trasformate per usi civili, altrimenti dovranno esser demolite entro due anni. 2. - L'Italia si impegna a ricuperare prima di procedere all'affondamento, o alla distruzione delle navi e dei sommergibili, come stabilito dal precedente paragrafo - i materiali e i pezzi di ricambio che potessero servire a completare le relative dotazioni di bordo e di riserva che dovranno esser fornite, in base all'art. 48 (d), per tutte le navi indicate nell'allegato IV-B.
Art. 50 (59 Tr.) l. - Nessuna nave di linea potrà esser costruita. acquistata o rimpiazzata dall'Italia. 2. - Nessuna nave portaerei, nessun sommergibile o altra unità sommergibile, nessuna motosilurante, nessun tipo specializzato di navi d'assalto, potrà esser costruito, acquistato, impiegato o sperimentato dall'Italia. 3. - Il tonnellaggio standard globale in navi da combattimento della Ma· rina italiana, escluse le navi di linea ma comprese le navi in costruzione varate. non potrà superare le 67.500 tonn. (2). 4. - Ogni rimpiazzo di navi da combattimento da parte dell'Italia dovrà esser effettuato entro i limiti del tonnellaggio di cui al precedente paragrafo 3. Il rimpiazzo delle navi ausiliarie non sarà sottoposto ad alcuna restrizione. 5. - L'Italia si impegna a non acquistare o impostare navi da combattimento prima del r gennaio 1950, salvo che sia necessario rimpiazzare un'unità (2) (N.d.T.) Per la definizione di « navi da combattimento» vedasi l'allegato V-A. Dalla definizione di « dislocamento standard • (alleg. V-A) si rileva che la tonnellata cui si riferisce il trattato non è quella metrica (1000 Kg) ma quella inglese (1016. Kg).
547
accidentalmente perduta. In questo caso, il dislocamento della nuova unità non dovrà superare di più del 10% il dislocamento dell'unità perduta. 6. - I termini usati in questo articolo sono definiti, nella misura necessaria, nell'allegato V-A. Art. 51 (60 Tr.) 1. - Il personale della Marina italiana non potrà superare i 22.500 uom1m. fra ufficiali e marinai. In tale numero non è compreso il personale dell'aviazione per la Marina. 2. - Durante il periodo di dragaggio delle mine successivo alla guerra, fissato dalla Commissione Internazionale Centrale per il dragaggio delle mine nelle acque europee, l'Italia sarà autorizzata ad impiegare a questo scopo un numero supplementare di ufficiali e marinai non superiore a 2.500. 3. - Il personale della Marina in servizio permanente che risulterà in ecce· denza a quello consentito dal precedente paragrafo 1, sarà gradualmente ridotto come segue, considerandosi decorrenti dall'entrata in vigore del presente trattato limiti di tempo indicati: (a) a 27.500 uomini, entro sei mesi, (b) a 22.500 entro nove mesi.
Due mesi dopo la fine delle operazioni di dragaggio delle mine da partt! della Marina italiana, il personale in soprannumero autorizzato dal precedente paragrafo 2 dovrà esser congedato o assorbito negli effettivi sopra indicati. 4. - All'infuori del personale indicato nei precedenti paragrafi 1 e 2 e di quello dell'aviazione per la Marina autorizzato dall 'art. 56, nessun'altra persona dovrà ricevere, sotto qualsiasi forma , un'istruzione navale, come definita dall'allegato V-B.
Sezione IV · Limitazioni da imporre all'Esercito italiano Art. 52 (61 e 54 Tr) I. - L'Esercito italiano, comprese le Guardie di frontiera, sarà limitato a 185.000 uomini, fra unità combattenti, servizi t! comandi , e a 65.000 Carabinieri. Ciascuno dei due suddetti gruppi potrà tuttavia variare di 10.000 unità purché non vengano superati complessivamentt! 250.000 uomini. L'organizzazione e l'armamento delle Forze italiane di terra e la loro dislocazione nel territoric italiano dovranno esser concepiti in modo da soddisfare unicamente compiti di carattere interno, di difesa locale delle frontiere italiane e di difesa antiaerea. 2. -- L'armamento dell'Esercito italiano non dovrà esser costituito da più di 200 carri armati medi e pesanti.
Art. 53 (62 Tr.) Il personale dell'Esercito italiano in soprannumero a quello autorizzato dal precedente articolo 52, dovrà esser congedato entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente trattato.
548 Art. 54 (63 Tr.) All'infuori del personale che faccia parte dell'Esercito italiano o dei Carabinieri, nessun'altra persona potrà ricevere, sotto qualsiasi forma, un'istruzione militare, come definita dall'allegato V-B.
Sezione V . Limitazioni da imporre all'Aeronautica italiana Art. 55 (64 Tr.) 1. - L'Aeronautica italiana, compresa l'aviazione per la Marina, dovrà esser limitata a una forza di 200 apparecchi da caccia e da ricognizioni e di 150 apparecchi da trasporto, da salvataggio in mare, da addestramento (apparecchi scuola) e da collegamento. Nelle cifre predette sono compresi gli apparecchi di riserva. Tutti gli apparecchi, fatta eccezione per quelli da caccia e da ricognizione, dovranno essere privi di armamento. L'organiznzione e l'armamento dell'Aeronautica italiana e la relativa dislocazione nel territorio italiano dovranno esser concepiti in modo da soddisfare unicamente compiti di carattere interno, di difesa locale delle frontiere italiane e di difesa contro attacchi aerei. 2. - L'Italia non potrà possedere o acquistare apparecchi progettati essenzialmente come bombardieri con sistemazioni interne per il trasporto di bombe.
Art. 56 (65 Tr.) 1. - Il personale dell'Aeronautica italiana, compreso quello dtll'aviazione per la Marina, non potrà superare i 25.000 uomini, fra personale combattente, dei servizi e dei comandi. 2. - All'infuori del personale che faccia parte dell'Aeronautica italiana, nessun'altra persona dovrà ricevere, sotto qualsiasi forma, un'istruzione aeronautica militare, come definita dall'allegato V -B.
Art. 57 (66 Tr.) Il personale dell'Aeronautica italiana in soprannumero a quello autorizzato dal precedente articolo 56, dovrà esser congedato entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente trattato.
Sezione VI - Trattamento del materiale bellico (come è definito dall'allegato V-C) Art. 58 (67 Tr.) 1. - Tutto il materiale bellico italiano in eccedenza a quello consentito per le Forze Armate di cui alle precedenti sezioni IIT. IV e V, dovrà esser messo a disposizione dei Governi dell'Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America e della Francia, in conformità delle istruzioni che dette Potenze potranno dare all'Italia. 2. - Tutto il materiale bellico di provenienza alleata in eccedenza a quello consentito per le Forze Armate di cui alle precedenti sezioni III, IV e V, dovrà esser messo a disposizione della Potenza Alleata o Associata interessata, in conformità delle istruzioni· che la stessa Potenza darà all'Italia.
549 3. - Tutto il materiale bellico di provenienza tedesca o giapponese in eccedenza a quello consentito per le Forze Armate di cui alle precedenti sezioni III, IV e V, e tutti i progetti di provenienza tedesca o giapponese - compresi i prototipi, i modelH sperimentali, le copie cianografiche e i piani esistenti - dovranno esser messi a disposizione dei Governi del Regno Unito, dell'Unione Sovietica. degli Stati Uniti e della Francia, in conformità delle istruzioni che essi potranno dare all'Italia. 4. - L'Italia dovrà rinunciare a tutti i suoi diritti sul materiale bellico sopra citato e dovrà osservare le disposizioni di quest'articolo entro un anno dall'entrata in vi gore del presente trattato, fatta eccezione per quanto è disposto nei p recedenti articoli da 47 a 51. S. - L'Italia, entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente trattato, fornirà ai Governi del Regno Unito, degli Stati Uniti, dell'Unione Sovietica e della Francia gli elenchi di tutto il materiale bellico in eccedenza.
Sezione V/J · Azione preventiva contro il riarmo Germania e del Giappone
Art. 59 (68 Tr.) L'Italia s'impegna a prestare alle Potenze Alleate e Associate tutta la sua collaborazione per impedire che la Germama e il Giappone possano adottare, tuon dei rispettivi territori, misure tendenti al loro riarmo. Art. 60 (69 Tr.)
L'Italia s'impegna a non permettere l'impiego o l'addestramento in Italia di tecnici (ivi compreso il personale dell'aviazione militare o civile) che siano o siano stati cittadini della Germania o del Giappone. Art. 61 (70 Tr.) L'Italia s'impegna a non acquistare o fabbricare alcun aereo civile di progettazione tedesca o giapponese o nel quale importanti elementi siano di fabbricazione o di progettazione tedesca o giapponese.
Sezione Vlll · Prigfonieri di guerra
Art. 62 (71 Tr.) 1. - I prigionieri di guerra italiani saranno rimpatriati il più presto possibile. in conformità degli accordi conclusi tra l'Italia e ciascuna delle Potenze che li detengono. 2. Tutte le spese (comprese quelle per il loro mantenimento) incontrate per il trasferimento dei prigionieri di guerra italiani dai loro luoghi di raccolta, scelti dal Governo della Potenza Alleata o Associata interessata, al luogo del loro arrivo in territorio italiano, saranno a carico del Governo italiano.
550 ALLEGATO IV (3) (vedi art. 47 ) I nomi delle navi elencate nel presente allegato sono quelli che erano in uso nella Marina italiana alla data del 1· giugno 1946.
A) ELENCO DELLE NAVI DA LASCIARE ALL'ITALIA NAVI
DA COMBATTIMENTO MAGGIORI
Navi di linea Doria Duilio
Incrociatori Abruzzi Garibaldi Montecuccoli Cadoma
Cacciatorpedini<ere Carabiniere Granatiere Grecale Da Recco
Torpediniere Abba Aretusa Calliope Carini Cassiopea Clio Fabrizi Giovannini Libra Monzambano Antonio Mosto Orione Orsa Rosolino Pilo Sagittario Sirio
Corvette Ape Baionetta Chimera Cormorano (3) E' l'allegato XII del trallalo di pace.
551 Danaide Driade Fenice Flora Folaga Gabbiano Gru Ibis Minerva Pellicano Pomona Scimitarra Sfinge Sibilla Urania Più una corvetta da ricuperare, completare o costruire NAVI DA COMBATTIMENTO MINORI Dragamine
R.D. Nr. 20, 32, 34, 38, 40, 41, 102. 103, 104, 105, 113, 114. 129, 131, 132, 133, 134, 148. 149. Vedette
V.A.S. Nr 201, 204, 21 l. 218. 222, 224, 233, 235. NAVI AUSILIARIE Navi cisterna per nafta
Nettuno Lete Navi cisterna per acqva
Arno
Frigido Mincio Ofanto Oristano Pescara Po Sesia Simeto Stura Tronto Vipacco Rimorchiatori (grandi)
Abbazia Asinara Atlante Capraia
552 Chioggia Emilio Gagliardo Gorgona Licosa Lilibeo Linosa Mestre Piombino Porto Empedocle Porto Fossone Porto Pisano Porto Rose Porto Recanati San Pietro San Vito Ventimiglia
Rimorchiatori (piccoli) Argentario Astico Cordevole Generale Pozzi Irene Passero Porto Rosso Porto Vecchio San Bartolomeo San Benedetto Tagliamento Nr. I Nr. 4 Nr. 5 Nr. 9 Nr. 10 Nr. 22 Nr. 26 Nr. 27 Nr. 32 Nr. 47 Nr. 52 Nr. 53 Nr. 78 Nr. 96 Nr. 104
[Rimorchiatori lagunari) R.L. l RL. 3 R.L. 9 R.l. IO
553 Nave scuola Vespucci
Navi trasporto · Amalia Messina Montegrappa Tarantola
Nave appoggio Miraglia
Nave officina Pacinotti (nave appoggio sommergibili, da trasformare)
Navi idrografiche Azio (nave posamine, da trasformare) Cherso
Nave per il servizio fari Buffoluto
Nave posacavi Rampino
B) ELENCO DELLE NAVI CHE DOVRANNO ESSER MESSE A DISPOSIZIONE DEI GOVERNI DELL'UNIONE SOVIETICA, DEL REGNO UNITO, DEGLI STATI UNITI D'AMERICA E DELLA FRANCIA NAVI DA COMBATTIMENTO MAGGIORI
Navi di linea Cesare Italia Vittorio Veneto
Incrociatori Aosta Pompeo Regolo Savoia Scipione
Nave coloniale Eritrea
Cacciatorpediniere Artigliere Fuciliere Legionario Mitragliere Oriani Riboty Velite
554 Torpediniere Aliseo Animoso Ardimentoso Ariete Fortunale Indomito
Sommergibili Alagi Atropo Dandolo Giada Marea Nichelio Platino Vortice
NAVI DA COMBATTIMENTO MINORI
Motosiluranti M.S. Nr. 11, 24. 31, 35, 52. 53, 54, 55, 56. 61. 64,
65, 72, 73, 74, 75. M.A.S. Nr. 433, 434, 510, 514, 516. 519, 520, 521.
523, 538, 540, 543, 545, 547, 562. M.E. Nr. 38, 39, 40. 41.
Dragamine R.D. Nr. 6, 16, 21, 25. 27, 28, 29.
Cannoniera Illiria (precedentemente albanese)
Vedette V.A.S. Nr. 237, 240, 241, 245. 246, 248.
Unità da sbarco M.Z. Nr. 713, 717, 722, 726, 728, 729. 737 , 744, 758, 776, 778, 780. 781, 784, 800, 831.
NAVI AUSILIARIE
Navi cisterna per nafta Prometeo Stige Tarvisio Urano
Navi cisterne per acque Anapo Aterno Basento
555 Bisagno Dalmazia Idria Isarco Istria Liri Metauro Polcevera Sprugola Timavo Tirso V.A.S. 226 Rimorchiatori (grandi)
Arsachena Basiluzzo Capo d'Istria Carbonara Cefalù Ercole Gaeta Lampedusa Lipari Liscanera Marechiaro Mesco Molara Nereo Porto Adriano Porto Conte Porto Quieto Porto Torres Porto Tricase Procida Promontori: Rapallo Salvore Sant'Angelo Sant'Antonio San Remo Talamone Taormina Teulada Tifeo Vado Vigoroso Rimorchiatori (piccoli)
Generale Valtré Licata Noli
556 Volosca Nr. 2 Nr. 3 Nr. 23 Nr. 24 Nr. 28 Nr. 35 Nr. 36 Nr. 37 Nr. 80 Nr. 94
Nave appoggio Anteo
Nave scuola Colombo
Nave posamine ausiliaria Fasana
Navi trasporto Giuseppe Messina Montecucco Panigaglia
ALLEGATO V (4)
DEFINIZIONI A) DEFINIZIONI DEI TERMINI NAVALI
Dislocamento standard Il dislocamento standard di una nave di superficie è il dislocamento della nave ultimata, con l'equipaggio al completo, le macchine e le caldaie, pronta a muovere, avente tutto il suo armamento e tutte le sue munizioni, le sue installazioni, il suo equipaggiamento, i viveri, l'acqua potabile per l'equipaggio, le provviste diverse e i materiali di ogni tipo che deve portare in tempo di guerra, ma senza combustibile e acqua di riserva per l'alimentazione delle caldaie. Navi da combattimento
E' considerata nave da combattimento, qualunque sia il suo dislocamento: a) la nave specialmente costruita o adattata per esser unità da combattimento nelle operazioni navali, anfibie o aeronavali, oppure, b) fa nave che abbia una delle seguenti caratteristiche: (1) esser armata con un cannone di calibro superiore a 4,7 pollici ( 120 mm.);
(4) E' l'allegato XIII del trattato di pace.
557 (2) esser armata con più di quattro cannoni di calibro superiore a 3 pollici (76 mm.); (3) esser progettata o attrezzata per il lancio di siluri o la posa di mine; (4) esser progettata o attrezzata per il lancio di proiettili ad autopropulsione o guidati; (5) esser progettata per esser protetta con corazze di spessore superiore a 1 pollice (25 mm.); (6) esser progettata o adattata principalmente per l'impiego in mare dì aerei; (7) esser dotata di più di due catapulte per il lancio di aerei; (8) esser progettata per una velocità superiore a venti nodi ed esser armata con un cannone di calibro superiore a 3 pollici (76 mm.). La nave da combattimento della sottocategoria (a) non è più considerata tale dopo venti anni dalla sua entrata in servizio, a condizione che sia stata privata di tutte le sue armi.
Nave di linea Nave di linea è la nave da combattimento, diversa dalla nave portaerei, il cui dislocamento standard superi le 10.000 tonnellate [inglesi] o che sia munita di un cannone di calibro superiore a 8 pollici (203 mm.). Nave portaerei Nave portaerei è la nave [da combattimento) di qualsiasi dislocamento la quale sia stata progettata o adattata principalmente per il trasporto e l'impiego di aerei. Sommergibile Sommergibile è la nave [da combattimento] progettata per navigare al di sotto della superficie del mare. Tipi specializzati di navi d'assalto 1. - Tutti i tipi di imbarcazioni specialmente progettate o adattate per operazioni anfibie. 2. - Tutti i tipi di piccole imbarcazioni specialmente progettate o adattate per portare una carica esplosiva o incendiaria per l'attacco di navi o porti. Motosilurante La nave di dislocamento inferiore alle 200 tonnellate [inglesi] avente una velocità di oltre 25 nodi e impiegante siluri. BJ DEFINIZIONE DELL'ISTRUZIONE MILITARE, AERONAUTICA E NAVALE
L'istruzione militare [terrestre] è definita come segue: lo studio e la pratica dell'impiego di materiale bellico specialmente progettato o adattato per fini militari [terrestri], e dei relativi mezzi di addestramento; lo studio e l'esecuzione di esercitazioni o di manovre dirette a insegnare o compiere le evoluzioni effettuate dalle forze combattenti durante la battaglia; lo studio organico della tattica, della strategia e del lavoro di stato maggiore.
558 L'istruzione militare aeronautica è definita come segue: lo studio e la pratica dell'impiego di materiale bellico specialmente progettato o adattato per fini militari aeronautici, e dei relativi mezzi di addestramento; lo studio e la pratica di tutte le speciali evoluzioni, compreso il volo in formazione, compiute da aerei nell'effettuare una missione militare aeronautica; lo studio organico della tattica aeronautica, della strategia e del lavoro di stato maggiore. L'istruzione navale è definita come segue: lo studio, la teoria e la pratica dell'impiego di navi da guerra o di installazioni navali, nonché lo studio e l'impiego dei relativi congegni e dispositivi di addestramento usati per ia condotta della guerra navale, eccezion fatta per quelli usati normalmente anche per scopi civili; l'insegnamento, la pratica e lo studio organico della tattica navale, della strategia e del lavoro di stato maggiore. ivi compresa l'esecuzione .di qualsiasi operazione e manovra non necessaria per l'impiego pacifico delle navi. C) DEFINIZIONI ED ELENCO DEL MATERIALE BELLICO
Il termine « materiale bellico», quale usato nel presente trattato, comprende le armi, le munizioni e i materiali specialmente progettati o adattati per usi bellici, di cui all'elenco che segue. Le Potenze Alleate e Associate si riservano il diritto di modificare periodicamente tale elenco alla luce degli sviluppi scientifici futuri. Categoria I l. - Fucili, carabine, rivoltelle e pistole di tipo militare; canne per tali armi e altri pezzi di ricambio non facilmente adattabili per usi civili.
2. - Mitragliatrici, fucili da guerra automatici o a ripetizione e pistole mitragliatrici; canne per tali armi e altri pezzi di ricambio non facilmente adattabili per usi civili; affusti per mitragliatrici. 3. - Cannoni, obici, mortai, cannoni speciali per aerei. cannoni senza culatta o senza rinculo, lanciafiamme; canne per tali armi e altri pezzi di ricambio non facilmente adattabili per usi civili; affusti mobili e fissi per dette armi. 4. - Lanciarazzi; meccanismi di lancio e di controllo per proiettili ad autopropulsione e guidati; affusti relativi. 5. - Proiettili ad autopropulsione e guidati, proiettili [comuni), razzi, cariche, cartucce, sia cariche che scariche, per le armi indicate nei precedenti paragrafi da l a 4. nonché detonatori, cannelli o congegni per farli esplodere o funzionare, fatta eccezione per i detonatori necessari per usi civili. 6. - Granate, bombe, siluri, mine, cariche di profondità, cariche o materiali incendiari, sia carichi che scarichi; tutti i congegni per farli esplodere o funzionare, fatta eccezione per i detonatori necessari per usi civili. 7. - Baionette. Categoria I I
1. - Veicoli da combattimento corazzati; treni armati, tecnicamente non trasformabili per usi civili. 2. - Veicoli meccanici e ad autopropulsione per le armi della Categoria I; telai o carrozzerie militari di tipo speciale, diversi da quelli indicati nel precedente paragrafo 1.
559 3. - Corazze di spessore superiore a tre pollici, usate in guerra a scopo protettivo. Categoria [ Il 1. - Strumenti di puntamento e di calcolo per il controllo del tiro; strumenti per la direzione del tiro; congegni di puntamento per cannoni; congegni di puntamento per il lancio di bombe; graduatori di spoletta; attrezzature per la taratura dei cannoni e degli strumenti di controllo del tiro. 2. - Materiale e imbarcazioni per la posa di ponti d'assalto. 3. - Dispositivi per stratagemmi di guerra e per ingannare il nemico. 4. - Equipaggiamento militare di tipo speciale per il personale, non facil· mente adattabile per usi civili.
Categoria IV 1. - Navi da guerra di ogni tipo, comprese quelle trasformate e le imbarcazioni progettate o destinate al loro servizio o sostegno, che non possano tecnicamente esser trasformate per usi civili. nonché le armi, le corazze, le munizioni, gli aerei e ogni altro impianto, materiale, macchinario e installazione usato sol· tanto, in tempo di pace, sulle navi da guerra. 2. - Imbarcazioni da sbarco e veicoli o materiali anfibi di ogni tipo; imbarcazioni o materiali d'assalto di ogni tipo; catapulte o altri apparati per il lancio di aerei, razzi, armi a propulsione, o qualsiasi altro proiettìle, strumento o congegno, sia con equipaggio che senza, sia guidato che no. 3. - Navi, imbarcazioni, armi, congegni o apparati di qualsiasi tipo, sommergibili o semisommergibili, comprese le ostruzioni specialmente progettate per la difesa dei porti, ma fatta eccezione per il materiale necessario per ricuperi. salvataggi o altri usi di carattere civile; le attrezzature, i pezzi di ricambio, i dispositivi di sperimentazione o di addestramento, gli strumenti o le installazioni specialmente progettati per la costruzione, il collaudo, la manutenzione o il ricovero di dette navi, imbarcazioni, armi, congegni o apparati.
Categoria V
1. - Aerei, montati o smontati, più pesanti o più leggeri dell'aria, proget· tati o adattati per il combattimento aereo mediante l'impiego di mitragliatrici, di lanciarazzi o di pezzi di artiglieria, o per il trasporto e il lancio di bombe, oppure che siano provvisti di uno qualunque dei dispositivi di cui al seguente comma 2 o che, per il modo in cui sono stati progettati o costruiti, possano esser dotati d i uno dei suddetti dispositivi. 2. - Affusti per cannoni per aerei, portabombe, portasiluri, attrezzature per lo sgancio di bombe e siluri, torrette e cupole per cannoni. 3. - Equipaggiamento specialmente progettato per le truppe aerotrasportate e usato soltanto dalle stesse. 4. - Catapulte o apparati per il lancio di aerei imbarcati o di base a terra o per idrovolanti; apparati per il lancio di proiettili volanti. 5. - Palloni da sbarramento.
560 Categoria V I Prodotti asfissianti, mortali, tossici o idonei a mettere fuori combattimento, destinati a fini bellici o fabbricati in quantitativi superiori ai bisogni civili.
Categoria VII Propellenti, esplosivi, materiale pirotecnico o gas liquidi destinati alla propulsione, all'esplosione o alla carica del materiale bellico di cui alle precedenti categorie, o destinati a esser usati in connessione con il materiale bellico stesso, i quali non possano esser utilizzati a scopi civili o che siano fabbricati in quantitativi superiori ai bisogni civili.
Categoria VIII Impianti e macchinari industriali specialmente progettati per la produzione e la manutenzione dei materiali sopra indicati e che non possano esser tecnicamente trasformati per usi civili.
561 Au.EC. 17
Osservazioni del Governo Italiano sulle clausole navali della bozza del trattato di pace. (*) I PREMESSA
J. - Il Memorandum dell'aprile 1946 sulle Considerazioni relative alla Marina. Militare nei riiguardi del trattato di pace ( l ), contiene gli elementi di fatto e numerosi dati che dimostrano il contributo e le perdite della Marina italiana durante la guerra contro la Germania, la necessità e il diritto dell'Italia di mantenere una Marina .a deguata ai compiti dell'autodifesa, ed infine il diritto morale acquisito dall'Italia di poter disporre di tutte quelle unità che, per oltre 20 mesi, si sono battute a fianco delle Nazioni Unite. Rendendosi conto della necessità cli addivenire a riduzioni di armamenti che potessero facilitare la conclusione dei trattati di pace, il Governo italiano ha prospettato inoltre, nel Memorandum suddetto, la sua disposizione a ridurre la flotta attuale ad un livello inferiore anche alle minime esigenze difensive, provvedendo alla radiazione e distruzione di tutte le unità antiquate, ed utilizzando una parte delle navi maggiori per compiti di navi-scuola. Il Governo italiano ha insistentemente chiesto, in relazione alle formali dichiarazioni alleate al riguardo, di essere ammesso ad esporre e discutere il proprio punto di vista al Consiglio dei Ministri degli Esteri, su tutte le questioni relative al trattato di pace. Per quanto riguarda le questioni navali, ciò non solo non è stato consentito, ma le notizie fino ad ora pervenute permettono di stabilire che il Consiglio è giunto ad alcune decisioni, nei riguardi della Marina italiana, che non sembrano tenere in alcun conto le argomentazioni e la documentazione presentate dal Governo italiano. In mancanza di qualunque comunicazione ufficiale al riguardo, il Governo italiano può per ora, in base alle notizie più attendibili, esporre le proprie osservazioni soprattutto sulle questioni di principio, riservandosi di completarle con altre di carattere tecnico e di dettaglio, quando saranno note, nella loro forma definitiva, le clausole della bozza del trattato. 2. - La situazione morale e giuridica della Marina italiana, derivante dalle trattative di armistizio, non era stata pienamente messa in rilìevo nel Memorandum in quanto questo era stato compilato per uso delle Potenze direttamente interessate alle trattative di armistizio e che quindi ne avevano seguito l'andamento. In allegato sono riportati i documenti relativi alle trattative di armistizio, connessi con l'impiego e le sorti della Marina italiana (2). L'armistizio firmato il 3 settembre 1943 a Cassibile, e conosciuto come corto (*) Il memorandum è datato
« Roma-Luglio 1946 •. Le note sono dell'autore. (l) E' riportato nell'allegato 15 di questo lavoro. (2) Si omettono perchè riportati nel testo o negli altri allegati di questo lavoro.
562 armistizio {3), nei riguardi della flotta italiana così si esprime ( art. 4): « l mmediato trasferimento della flotta italiana in quelle località che saranno designate dal Comandante in Capo Alleato, con i dettagli di disarmo che saranno da lui fissati ». E, nel suo art. 12, il documento afferma che « altre condizioni di carattere politico, economtco e finanziario, che l'ltalia dovrà impegnarsi ad eseguire, saranno trasmesse in seguito ». Nessun cenno quindi, nel corto armistizio, a consegna di unità, né a resa delle medesime, né a successive clausole militari. Al corto armistizio era unito un pro-memoria, conosciuto come document o di Quebec (3) il quale contiene la seguente premessa fondamentale: • Le condizioni di armistizio non contemplano l'assistenza attiva dell'Italia nel combatter•; i tedeschi. La misura nella quale le condizioni suddette saranno modificate a favore dell'Italia dipenderà dall'entità dell'aiuto qfettivamente dato dal Governo e dal popolo italiani alle Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della guerra». A questa premessa seguono varie istruzioni circa il modo migliore in cui l'Italia avrebbe potuto collaborare alla causa alleata; tra l'altro, per quanto riguarda la flotta, è detto: « li Governo italiano al momento dell'armistizio deve dare ordine alla flotta italiana... di partire per porti alleati... Qualsiasi nave in pericolo di esser catturata da parte dei tedeschi deve essere distrutta... Nessuna nave da guerra deve essere lasciata cadere in mano tedesca ». Queste e solo queste sono le condizioni in base alle quali sono stati impartiti gli ordini per il trasferimento a Malta della flotta italiana; queste e solo queste sono le condizioni in base alle quali le navi italiane hanno fedelmente eseguito gli ordini ricevuti; queste e solo queste sono le condizioni in base alle quali le navi non pronte a muovere sono state distrutte dai loro equipaggi, nonostante la violenta e rabbiosa reazione tedesca. Nessuna di tali condizioni stava ad indicare che le navi italiane dovessero arrendersi e tanto meno essere consegnate alle Nazioni Unite. Al contrario, il documento di Quebec, prevedendo il loro impiego contro la Germania, ammetteva già, in principio, che esse avrebbero continuato a rimanere sotto la completa sovranità italiana. Se fossero state imposte condizioni diverse, e lesive del loro onore, le navi italiane non si sarebbero trasferite a Malta, e, per evitare di cadere in mano tedesca, si sarebbero autoaffondate. Le intenzioni alleate furono confermate dall'atteggiamento assunto nei confronti delle navi italiane dopo il loro arrivo a Malta. Nessunta ivisura contraria alla dignità nazionale fu imposta loro, e dopo soli pochissimi giorni già venivano richieste due unità italiane per una missione di rifornimento delle forze alleate che si battevano in Corsica contro i tedeschi, missione che fu regolarmen te eseguita. Il 23 settembre 1943 il Comandante in Capo del Mediterraneo, Ammiraglio Cunningham, si incontrava a Taranto con il Ministro della Marina italiana, Ammiraglio de Courten, e tra essi veniva discusso e concordato il testo di un documento, noto come Cunningham-de Courten agreement (4), che stabiliva le modalità d'impiego e lo status della Marina italiana. Questo documento è essenziale, nel suo valore giuridico e morale, per qualunque decisione che debba essere presa nei riguardi della Marina italiana. (3) E' riportato nell'allegato 2 di questo lavoro. (4) E' riportato nell'allegato 6 di questo lavoro.
563 Esso costituiva la logica conseguenza del trasferimento effettuato dalla flotta italiana e riconosceva la piena sovranità dell'Italia sulle proprie navi, confermando esplicitamente quanto era già implicito nei documenti di Cassibile e di Quebec. L'art. 4 così si esprime: « Status della Marina italiana. - In virtù di queste modifiche dei termini dell'Armistizio, tutte le navi italiane continueranno a battere la loro bandiera. Una larga parte della Marina italiana continuerà così a rimanere in attività di servizio avendo la condotta delle proprie navi e combat-
tendo a fianco delle Forze delle Nazioni Unite contro le Potenze dell'Asse». Questa dizione e lo spirito stesso dell'agreement escludono chiaramente la
resa di cui del resto il documento non fa nemmeno cenno. D'altra parte non può nemmeno essere sostenuto che l'agreement avesse solo carattere temporaneo e contingente: esso infatti, nel suo articolo 1 (c), tratta anche dell'eventuale futuro compenso, da parte della Marina italiana, di perdite sostepute dalle Nazioni alleate a causa di azioni italiane. Tale articolo, riferendosi alla restituzione di unità catturate alle Nazioni Unite nel corso della guerra (restituzione che fu poi scrupolosamente eseguita), così si esprime • ...Ciò avverrà senza pregiudizio per i negoziati tra i Governi che potranno in seguito
aver luogo in merito al rimpiazzo di navi perdute dalle Nazioni alleate a causa di azione italiana ». Questo articolo può quindi essere interpretato solo come una affermazione di principio, la cui applicazione si intendeva subordinata allo effettivo contributo della Marina italiana nella guerra contro la Germania e a liberi negoziati tra il Governo italiano e le parti in causa. A questo ultimo riguardo è da rilevare che le parole • tra i Governi ,. furono inserite nel testo dell'agreement a richiesta dell'Ammiraglio de Courten, dopo che, nel corso della discussione con l'Ammiraglio Cunningham, era stato chiarito e approfondito il significato di tutto l'articolo. Il 29 settembre 1943, a Malta, veniva sottoposto per la firma al Maresciallo Badoglio, Capo del Governo italiano. un nuovo testo dell'armistizio, conosciuto come lungo armistizio (5). Contrariamente agli impegni assunti con il corto armistizio, gli Alleati modificavano, nel nuovo testo, anche le clausole militari, imponendo, tra l'altro, la resa incondizionata delle forze armate italiane. Sono note le proteste avanzate dal Maresciallo Badoglio; la loro fondatezza fu riconosciuta dagli Alleati, prima con la lettera che il Generale Eisenhower indirizzò al Maresciallo Badoglio al momento della firma (6) e poi con gli emendamenti al lungo armistizio (7), nei quali, tra l'altro, veniva tolta la parola « incondizionata» dalla frase relativa alla resa delle forze armate italiane. Tuttavia gli Alleati subordinarono la firma del nuovo documento (novembre 1943) ad un emendamento al Cunningham-de Courten agreement. E a nulla valsero le proteste del Maresciallo Badoglio (8), contro questa nuova imposizione, non giustificata, dopo r.he da due mesi l'agreement era in piena applicazione e mentre navi italiane operavano dovunque a fianco degli Alleati con loro completa soddisfazione. L'emendamento (9), per quanto si riferisce alla Marina da guerra, così si (5) E' riportato nell'allegato 7 di questo lavoro. (6) E' riportata nel Cap. IV. Sez. 2 di questo lavoro. (7) Sono riportati nell'allegato 8 di questo lavoro. (8) I tre documenti (promemoria del mar. Badoglio del 3 nov. 1943; promemoria del gen. Joyce del 17 nov. 1943; lettera del mar. Badoglio del 20 nov. 1943 a Roosevelt e Churchill) sono riportati nel Cap. IV, Sez. 5 di questo lavoro. (9) E' riportato nell'allegato 9 di questo lavoro.
564 esprime: « E' inteso e concordato che le norme del presente accordo relativo all'immediato impiego e al trattamento delle navi da guerra italiane non alterano il idiritto delle Nazioni Unite di prendere quelle altre disposizioni relative a parte o a tutte le navi italiane, che esse considerino opportune. Le loro decisioni a questo riguardo saranno notificate di volta in volta al Governo italiano». A sua volta l'Ammiraglio de Courten accompagnò la firma di tale emendamento con una protesta che rimàse acquisita agli atti ufficiali (10). Comunque tale emendamento, per quanto in antitesi con lo spirito dell'agreement e con la palese dimostrazione della leale disposizione della flotta italiana offerta in due mesi di collaborazione in tutti i mari, può essere solo interpretato come una clausola cautelativa che gli Alleati vollero inserire, onde avere una maggiore libertà d'azione nell'impiego immediato, e cioè nel corso della guerra, della flotta italiana. Né, in effetti, essi utilizzarono mai l'emenda· mento per modificare le norme concordate per l'impiego della Marina italiana, che anzi furono estese oltre la lettera stessa dell'agreement. E' inoltre evidente che l'emendamento non può essere interpretato come una modifica dei termini dell'agreement relativi allo status della Marina italiana e tanto meno della clausola relativa ad un eventuale compenso di perdite alleate. In conclusione, nessuno dei documenti firmati dal Governo italiano, anche se ad esso imposti dagli Alleati, contiene frasi e principi tali da giustificare, alla conclusione della pace, una imposizione alleata di cessione di naviglio, sotto qualunque forma.
II CLAUSOLE DEL TRATTATO DI PACE RELATIVE ALLA CONSISTENZA DELLA FLOTTA ITALIANA 1. Consistenza quantitativa
E' anzitutto da mettere in rilievo quanto è già stato esposto nel Memorandum circa la necessità che i problemi relativi al disarmo ed al regolamento degli armamenti siano risolti su un piano generale in sede dell'U.N.O. L'Italia non può quindi che considerare ingiusta un'attuale imposizione di limitazione dei suoi armamenti. L'esperienza del trattato di Versailles, del resto, conferma che imposizioni di tal genere non si risolvono affatto in una generale limitazione degli armamenti; esse inevitabilmente determinano, in chi tali imposizioni ha dovuto subire. la necessità di risolvere il problema della propria sicurezza, e divengono quindi la prima causa di attriti che sono fra le origini dei conflitti. Con le proposte avanzate nel capitolo VI del Memorandum, la consistenza della flotta italiana sarebbe stata ridotta a 2 navi da battaglia, 8 incrociatori, 9 cacciatorpediniere, 18 torpedinieri, 20 corvette, 8 sommergibili ed un adeguato numero di motosiluranti; a tali unità andavano aggiunte quelle ausiliarie per un tonnellaggio complessivo di circa 50.000 tonnellate. Tale consistenza, per le considerazioni esposte nel capitolo IV del Memorandum, è già insufficiente ad assicurare quel minimo di possibilità di auto-difesa a cui l'Italia ha diritto. Secondo le notizie fino ad ora pervenute, il Consiglio dei Ministri degli Esteri avrebbe invece fissata la consistenza della flotta italiana in 2 navi da (10) E'
riportata nel Cap. IV, Sez. 5 di questo lavoro.
565 battaglia, 4 incrociatori, 4 cacciatorpediniere. 16 torpediniere, 20 corvette. nessun sommergibile. Il Governo italiano osserva che la riduzione a 4 del numero degli incrociatori non permetterebbe di costituire un'adeguata forza di sostegno alle unità sottili. soprattutto in considerazione della sfavorevole situazione geografico-strategica dell'Italia; e che 9 cacciatorpediniere sono già organicamente insufficienti per una flotta ben equilibrata, anche nei limiti sopra considerati. e per· le esigenze derivanti dalla protezione dei traffici. Il Governo italiano considera poi particolarmente grave la prevista totale abolizione dei sommergibili. Tale mezzo na sempre costituito per le minori potenze marittime un'arma essenzialmente difensiva; la loro generale abolizione potrà essere decisa solo in sede dell'U.N.O., ma, finché tale decisione non sia raggiunta, sarebbe ingiusto applicarla nei confronti dell'Italia, che è senza dubbio tra le nazioni più vulnerabili dal mare. Come poi è stato messo in evidenza nel Memorandum, una piccola aliquota di sommergibili è in ogni modo indispensabile per l'addestramento delle unità antisommergibili; e se nemmeno tale aliquota fosse concessa all'Italia. ciò costituirebbe una inaccettabile costrizione. perché metterebbe l'Italia nelle condizioni di non potersi nemmeno difendere dalle minacce di un'arma che le viene negata, ma che può invece essere impiegata contro di essa con immense possibilità, data la vitale importanza dei suoi traffici marittimi. 2. Composizione qualitativa Le riduzioni alle quali l'Italia è disposta, ed illustrate nel Memorandum (capitolo VI). presuppongono la radiazione di tutte le unità antiquate. Sarebbe infatti contrario a qualunque criterio organico ed economico che una flotta, già ridotta quantitativamente ad un livello inferiore alle minime esigenze difensive, fosse poi in gran parte composta di navi di tipo superato. Quasi tutte le navi esistenti, anche se di tipo moderno, possono del resto considerarsi di efficienza limitata, sia per il logorio a cui sono state sottoposte durante sei anni di incessante attività. sia perché non è stato possibile, negli ultimi anni. provvedere a lavori di rimodernamento corrispondenti allo sviluppo della tecnica. Secondo le notizie pervenute, il Consiglio dei Ministri degli Esteri avrebbe invece stabilito le unità che devono costituire la flotta italiana, comprendendovi unità moderne ed antiquate. Ciò costituirebbe un ulteriore inaccettabile peggioramento della composizione qualitativa, e starebbe a significare la deliberata volontà di privare la flotta italiana di qualunque efficienza organica, in contrasto con le decisioni di principio adottate dalle maggiori Potenze. che hanno in varie circostanze dichiarato di voler lasciare all'Italia una Marina adeguata ed efficiente. Per quanto riguarda le navi da battaglia è necessario ricordare le considerazioni esposte nel Memorandum circa l'impiego che l'Italia intende fare di tali unità. Poiché è da ritenere che. in base alle decisioni del Consiglio dei Ministri degli Esteri, le navi italiane non vengano per ora richieste per la costituzione di forze internazionali a disposizione dell'U.N.O., l'Italia chiede nuovamente di poter disporre delle sue due navi da battaglia maggiori, da impiegarsi come navi-scuola. Ciò corrisponde soprattutto ad una necessità di carattere economico, in quanto molte delle attrezzature scolastiche, di cui la Marina disponeva a terra in varie località, sono andate distrutte per cause di guerra, e la
566 loro ricostruzione rappresenterebbe un onere assai grave; è quindi evidente la convenienza di impiegare a tale scopo quelle navi di cui l'Italia dispone, ed esuberanti alle sue necessità difensive. D'altra parte le due navi da battaglia moderne sono assai più adatte di quelle di vecchio tipo, perché più spaziose e dotate di sistemazioni interne più moderne e più corrispondenti alle necessità di insegnamento. Per dimostrare in ogni modo che non intende impiegare tali unità a scopo offensivo, l'Italia ha dichiarato di essere disposta ad effettuare riduzioni del loro potenziale bellico entro limiti da convenire. Il mantenimento in servizio delle due suddette navi rappresenterebbe anche un giusto riconoscimento morale della lealtà e dello spirito di sacrificio dimostrati dalla Marina italiana al momento dell'armistizio: tali unità furono infatti le prime a soffrire della reazione tedesca contro la flotta italiana, mentre questa eseguiva il previsto trasferimento. Ancor oggi la nave da battaglia Italia non ha potuto essere riparata dai danni subìti durante l'attacco aereo sferrato dai tedeschi, con l'impiego di nuove armi, al largo della Sardegna. il 9 settembre 1943, e durante il quale la nave da battaglia Roma fu affondata, causando la perdita del Comandante in Capo della flotta e di un elevato numero di ufficiali e marinai.
ru CLAUSOLE DEL TRATTATO DI PACE RELATIVE ALLA UTILIZZAZIONE DEL NAVIGLIO ECCEDENTE 1. - Le osservazioni su questo argomento, di vitale importanza per il futuro della Marina italiana, non possono prescindere dalle considerazioni giuridiche e morali riassunte nella Premessa; ad esse devono essere aggiunte tutte quelle diffusamente esposte nel Memorandum, che dimostrano l'entità dello sforzo sostenuto dalla Marina italiana nel periodo di cobelligeranza, sforzo pienamente riconosciuto e valutato dagli stessi Alleati. Tale valutazione è del resto riassunta nel commento ufficiale, concordate tra i Governi inglese ed americano, ai documenti relativi all'armistizio, presen· tato dal Ministro degli Esteri inglese al Parlamento nel novembre 1945 e che così si esprime: « Con la cooperazione del Governo italiano, le forze armate italiane sono state adoperate, fino al massimo limite utilizzabile, al servizio delle Nazioni Unite, ed hanno sostanzialmente contribuito alla liberazione del· l'Italia e alla vittoria finale».
2. - Il trattato di pace prevederebbe la suddivisione della flotta italiana in due blocchi: uno che costituirebbe la flotta lasciata all'Italia, ed uno da met· tere a disposizione delle Nazioni Unite, per una successiva suddivisione tra quelle Nazioni che hanno partecipato alla guerra contro l'Italia. Ciò corrisponde a voler considerare una parte della flotta italiana bottino di guerra, paragonan· dola cioè a materiale bellico catturato sui vari fronti di guerra, e dimenticando che le navi italiane sono sempre rimaste sotto sovranità italiana e si sono battute per 20 mesi a fianco degli alleati. Questa concezione non può in nessun modo essere accettata dal Governo italiano, che la considera immorale, profondamente ingiusta e contraria alla lettera e allo spirito di tutti gli accordi sottoscritti dagli Alleati.
567 Il Governo italiano nt1ene che, se un mm1mo di equità e di giustizia deve essere alla base del trattato di pace, questo deve riconoscere, in principio, il diritto dell'Italia di disporre di tutte le navi che attualmente possiede, ivi comprese, quindi, quelle eccedenti alle sue necessità attuali.
3. - Il Governo italiano ha già reso noto di essere disposto a radiare e demolire il naviglio eccedente le attuali necessità difensive, mettendo il materiale di ricupero a disposizione dello sforzo di ricostruzione nazionale. La deficienza di materie prime in Italia può essere colmata solo con importazioni dall'estero; il contributo, anche se limitato, di una risorsa già esistente nel Paese, dovrebbe quindi essere apprezzato da quelle Nazioni che dichiarano essere interesse non solo dell'Italia, ma anche di tutta l'Europa, la rapida ricostruzione ed il risanamento economico dell'Italia. 4. - Il Governo italiano si rende conto dell'opportunità di contribuire con un suo gesto alla pacificazione generale ed è quindi disposto ad entrare in negoziati coi Governi delle singole Nazioni, ed a trattare gli eventuali compensi, anche sotto forma di riparazioni di guerra, per le perdite da esse subite. Come è già stato ufficialmente comunicato nella Nota trasmessa al Consiglio dei Ministri degli Esteri a Parigi il 27 giugno u.s. ( 11 ), il Governo italiano è pronto a portare in tali trattative il massimo spirito di comprensione, con la fiducia d'altra parte che le eventuali richieste siano formulate in base a criteri di equità e di giustizia e tengano conto dell'effettiva situazione di fatto e di diritto. In questo modo sarà possibile raggiungere una soluzione, soddisfacente per tutte le parti in causa, nece~saria per ottenere una vera distenzione generale e la rapida ripresa di relazioni amichevoli.
IV ALTRE CLAUSOLE TI Governo italiano ha avuto finora solo informazioni assai generiche sulle altre clausole navali del trattato di pace, ed in conseguenza si riserva di trasmettere eventuali osservazioni al riguardo. In linea di principio, tuttavia, esso deve rilevare che altre limitazioni all'organizzazione militare marittima italiana costituirebbero una menomazione di sovranità, e, se decise unilateralmente nei confronti dell'Italia, la metterebbero in condizioni di inferiorità, aumentando le sue difficoltà a realizzare un minimo di autodifesa. Una limitazione che appare assai grave ed inaccettabile è quella relativa al personale della Marina che, secondo informazioni raccolte, non dovrebbe superare la cifra di 22.500 uomini. Ovvie considerazioni di carattere economico imporranno all'Italia di ridurre al minimo indispensabile i suoi bilanci militari, e quindi anche la forza presente alle armi; tuttavia è chiaro che nel fissare questa cifra non è stato tenuto conto della particolare configurazione geografica dell'Italia, e dei gravosi compiti che ne derivano alla Marina, indipendentemente dall'entità della flotta. In opportuna sede tecnica il Governo italiano può dimostrare che la cifra suddetta è assolutamente insufficiente, e che, anche apportando tutte le possibili riduzioni, la forza della Marina italiana non può (11) E' riportata nel Cap. IX, Sez. 4, di questo lavoro.
568 scendere di molto al disotto dei richiesti 40.000 uomini, senza compromettt:rt: il funzionamento di servizi essenziali. CONCLUSIONI
Il Governo italiano rtttene di aver dimostrato che i principi informatori della bozza del trattato di pace (quali risultano dalle notizie pervenutegli), non sono accettabili, in quanto giuridicamente e moralmente ingiusti, e lesivi dell'onore della Marina italiana. Il Governo italiano insiste quindi nelle richieste presentate nel Memorandum dello scorso aprile, che sono inspirate al criterio di giungere ad una equa soluzione di questo importante problema nazionale, pur attraverso necessari sacrifici. Il Governo italiano conferma infine di essere pronto a trattare, con spirito di comprensione, eventuali compensi relativi a perdite causate da azioni italiane alle Marine alleate.
569 ALLEC.
18
Osservazioni aggiuntive del Governo italiano sulle clausole navali del progetto del trattato di pace. ( *)
CONSIDERAZIONI DI PRINCIPIO Esaminiamo il progetto del trattato di pace, il Governo italiano presenta, nei capitoli che seguono, alcune osservazioni tecniche e di dettaglio, in aggiunta a quelle già esposte nel Memorandum del luglio 1946, sulle clausole navali stabilite dal Consiglio dei Ministri degli Esteri. Il Governo italiano deve però premettere le seguenti considerazioni gene· rati di principio circa alcuni argomenti delle clausole stesse.
1. Cessione del naviglio eccedente Il progetto del trattato di pace elenca all'articolo 48 (ali. 4 B) le navi da guerra e ausiliarie che il Governo italiano dovrebbe mettere a disposizione dei Governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell'U.R.S.S. e della Francia. Questa clausola deriva evidentemente dal considerare una parte della flotta italiana come .bottino di guerra. Il Governo italiano, per le ragioni esposte nel Memorandum del luglio 1946, conferma di non poter accettare in alcun modo tale concezione, ché considera immorale, ingiusta e lesiva dell'onore della Marina. Il Governo italiano conferma peraltro di essere pronto a trattare, con spirito di comprensione, eventuali compensi relativi a perdite causate da azioni italiane alle Marine alleate e di essere pronto altresì a demolire o, se possibile, adibire a servizi civili le navi eccedenti.
2. Consistenza della flotta lasciata all'Italia Nei due Memoràndum rispettivamente dell'aprile 1946 e del luglio 1946 il Governo italiano ha ampiamente dimostrato che, a causa della lunghezza delle coste dell'Italia, della vulnerabilità di tanti suoi importanti obiettivi attaccabili dal mare, della necessità vitale per il Paese · che non siano interrotte le linee di traffico d'oltremare e di cabotaggio, una flotta quale quella che il progetto del trattato di pace prevede di lasciare all'Italia è assolutamente insufficiente ad assicurarle un minimo di possibilità di autodifesa. Nel capitolo che segue saranno formulate più dettagliate osservazioni e proposte al riguardo.
(*) Il memorandum è datato « Roma-Agosto 1946 • .
570 3. Navi over-age
Tra le navi lasciate all'Italia figurano delle unità che hanno superato gli anni di servizio che lo stesso progetto del trattato di pace mette come limite alla loro classifica come navi da guerra. Ciò ovviamente non ha senso, in quanto verrebbero lasciate all'Italia, come navi da guerra, delle unità che, per la loro vetustà, non possono più essere considerate tali. Seguono proposte concrete al riguardo. 4. Sommergibili e motosiluranti
Nei due Memorandum già citati il Governo italiano aveva rappresentato la necessità per l'Italia di possedere almeno una piccola aliquota di sommergibili per l'addestr-a mento delle unità antisommergibili. Ove tale richiesta non fosse accolta, l'Italia si troverebbe nelle condiz.ioni di non poter nemmeno addestrarsi a difendersi dalle minacce di un'arma che le è negata ma che potrebbe essere impiegata contro di essa con immense possibilità, data la vitale importanza dei suoi traffici marittimi. Per le motosiluranti si osserva che tale tipo di naviglio di limitata autonomia è un'arma difensiva per eccellenza ed è particolarmente indicata per la difesa e la sorveglianza ravvicinata delle coste. Inoltre le motosiluranti, per il loro limitato costo, sono armi difensive specialmente realizzabili da Paesi economicamente poveri come l'Italia.
5. Naviglio ausiliario Le unità del naviglio ausiliario sono tutte passibili di essere adibite a serv1Z1 marittimi civiH per i quali l'Italia è iortemente deficitaria. Il Governo italiano ritiene che le clausole militari del trattato di pace non dovrebbero entrare in merito alla sorte delle unità di tale tipo considerate eccedenti alle necessità militari e il cui possesso da parte dell'Italia ha riflessi unicamente nel campo economico. Nel capitolo che segue saranno fatte presenti le indispensabili necessità della Marina Militare nei riguardi del naviglio ausiliario. Le navi di cui non fosse autorizzata l'appartenenza alla Marina Militare dovrebbero quindi essere trasferite alla Marina Mercantile per necessità civili.
6. Personale L'articolo 51 del progetto del trattato di pace assegna 22.500 uomini alla Marina italiana. Come è già stato fatto presente nel Memorandum del luglio 1946, tale forza è insufficiente alle necessità della Marina italiana, soprattutto in considerazione del numero delle sue basi, sparse su oltre 8.500 Km. di costa, e delle esigenze della difesa costiera. Si rileva poi che la forza assegnata all'Italia non è proporzionata a quella lasciata ad altre Nazioni. Per esempio, la Bulgaria con un tonnellaggio comptessivo di 7.250 tonn. potrà mantenere una forza di 3.500 uomini, la Romania con 15.000 tonn. 5.000 uomini, la Finlandia con 7.250 tonn. 3.500 uomini. Applicando le stesse percentuali, la Marina italiana dovrebbe poter disporre di 50-70.000 uomini, mentre ne ha richiesto soio ·40.000.
571 II
COMPOSIZIONE DELLA FLOTTA PREVISTA DAL PROGETTO DI TRATTATO DI PACE Il Memorandum « Osservazioni del Governo italiano suite clausole navali della bozza del trattato di pace » del luglio 1946 era stato compilato sulla base delle notizie più attendibili allora in possesso del Governo italiano, secondo le quali la consistenza della flotta italiana sarebbe stata fissata in: 2 navi da battaglia, 4 incrociatori, 4 cacciatorpediniere, 16 torpediniere, 20 corvette., nessun sommergibile; e in tale consistenza sarebbero state comprese unità moderne ed antiquate. Nessuna informazione era pervenuta circa gli intendimenti del Consiglio dei Minis tri degli Esteri riguardo le unità da guerra minori ed il naviglìo ausiliario. Il Memorandum prescindeva pertanto da questi tipi di navi sui quali non si aveva ragioni di ritenere che sarebbero state imposte all'Italia limitazioni di sorta. L'articolo 47 del progetto del trattato di pace, mentre conferma le informazioni sopra dette circa la consistenza dei principali tipi di navi da guerra che verrebbero lasciati all'Italia e la composizione della sua flotta con unità antiquate e moderne, stabilisce altresì esclusioni e riduzioni nelle navi da guerra minori e nel naviglio ausiliario. Presa conoscenza dell'elenco delle navi che dovrebbero costituire la futura flotta italiana (allegato 4 A del progetto del trattato di pace). il Governo italiano presenta le seguenti ulteriori osservazioni al riguardo.
NAVI DA GUERRA Incrociatori Il Cadorna è l'unico superstite delle unità di questo tipo e non può essere utilmente impiegato con nessuno degli altri incrociatori, perché di caratteristiche troppo diverse. Tenuto conto degli elementi della situazione geografico-economica esposti nel Memorandum dell'aprile 1946 e delle particolari condizioni di vulnerabilità dal mare dell'Italia, si ritiene che il numero degli incrociatori lasciati all'Italia non debba essere inferiore a 6 unità, di cui 4 di tipo omogeneo con cannoni da 152 mm. e 2 di tipo omogeneo con cannoni da 135 mm.
Cacciatorpediniere Il cacciatorpediniere Da Recco è in serv1z10 da oltre 16 anni e, secondo le norme dei trattati prebellici sulle limitazioni navali, deve pertanto considerarsi un •tipo « over-age ». Per le sue caratteristiche esso non può essere impiegato con gli altri cacciatorpediniere lasciati all'Italia. Per le stesse ragioni citate per gli incrociatori, il Governo italiano ritiene che debbano essere lasciati all'Italia almeno 8 cacciatorpediniere.
572 Torpediniere Le torpediniere Abba, Carini, Fabrizi, Giovannini, Monzambano, MosLo e Pilo sono di tipo superatissimo, essendo in servizio da oltre 20 anni e quindi, in base alla definizione dell'allegato 5 A del progetto del trattato di pace, basterebbe togliere loro l'armamento perché cessassero « ipso facto» di essere navi da guerra. In particolare si rileva poi che la cannoniera di scorta Giovannini ha un dislocamento di sole 182 tonn. e che anche nella più benevola ipotesi non può essere considerata come una torpediniera. Il Governo italiano chiede pertanto che gli siano lasciate per lo meno 12 unità moderne di questa categoria. Sommergibili Per le ragioni già esposte, il Governo italiano nt1ene indispensabile che gli siano lasciati almeno 4 sommergibili per l'addestramento delle unità antisommergibili.
Motosiluranti e M.A.S. Necessitano almeno 12 unità di ciascun tipo per assicurare la sorveglianza ravvicinata delle coste.
Posamine Non è lasciato all'Italia alcun posamine, mentre è ovvio l'impiego esclusivamente difensivo -di tale tipo di nave.
Dragamine Il progetto del trattato di pace assegnerebbe all'Italia 19 dei 26 dragamine che essa oggi possiede. Sembra assurdo che debbano essere imposte all'Italia limitazioni in questo tipo di navi, quando essa ne è particolarmente deficitaria, al punto che gli Alleati le hanno dato in prestito una quarantina di tali unità per assolvere efficacemente il compito del dragaggio.
Vedette Verrebbero assegnate all'Italia 8 delle 14 vedette che possiede. Poiché le vedette sono attualmente impiegate come dragamine, valgono per questo tipo di navi le stesse considerazioni fatte sopra per i dragamine. A dragaggio ultimato è previsto che gran parte delle vedette passi al servizio della Guardia di Finanza che non dispone di proprie unità, andate perdute. Si chiede quindi che tutte le 14 vedette siano lasciate all'Italia.
NAVIGLIO AUSILIARIO Petroliere Di queste navi, solo 3 di piccola portata (Lete, Prometeo , Stige) sono t-ffettivamente unità della Marina Militare e ad essa indispensabili per servizi di
573 squadra e delle basi. Le tre petroliere di maggiore portata ( Urano, Tarvisio, Nettuno) sono di proprietà delJo Stato, ma date in gestione a Società armatoriali per i rifornimenti del Paese. Non dovrebbero pertanto essere prese nei loro riguardi misure che riguardano la Marina Militare. Navi cisterna per acqua
Sono lasciate all'Italia soltanto 12 delle 27 navi cisterna che attualmente possiede. Di tali 12 navi, una (Stura) e un pontone senza motori; un'altra (Pescara) è già stata radiata; una terza (Tronto) ha 57 anni di servizio e altre quattro (Frigido, Ofanto, Oristano, Simeto) hanno oltre 30 anni di età. Se si tiene conto delle sopradette condizioni qualitative, del numero delle basi fra le quali le cisterne dovrebbero essere suddivise per i servizi della flotta , e del fatto che la Marina deve con tali unità provvedere al rifornimento idrico di molte isole (Tremiti, Lipari, Lampedusa, Vulcano, Ustica, Ventotene, Ischia, Procida, ecc.), se ne deduce che l'assegnazione di questo tipo di naviglio ausi· liario è del tutto irrisoria. Per i suddetti servizi sono indispensabili almeno 8 cisterne di pon~ta maggiore di 300 tonnellate e 12 cisterne di portata minore. Rimorchiatori grandi e medi
Il progetto del trattato di pace contt:!mpla l'assegnazione all'Italia di 21 rimorchiatori grandi e medi dei 53 che attualmente possiede. Di tali 21 rimorchiatori assegnati, più della metà hanno oltre 30 anni di vita e soltanto l'Atlante è idoneo ad essere impiegato per operazioni di rimorchio e salvataggio in alto mare. In tal modo l'Italia disporrebbe di un solo rimorchiatore per servizi di salvataggio su tre mari e non avrebbe modo di far fronte a quegli impegni di carattere internazionale che ogni Nazione marittima ha nei riguardi del salvataggio di unità sinistrate al largo. E' noto d'altra parte che anche l'armamento privato italiano è tortemente deficitario in questo campo. Per tali ragioni, è essenziale che siano lasciati all'Italia almeno 4 rimorchiatori d'alto mare e 34 rimorchiatori grandi e medi. Nav i scuola
Viene lasciata all'italia soltanto la nave Vespucci. Sono invece necessarie entrambe le unità, una per gli allievi ufficiali e l'altra per gli allievi nocchieri. Si deve rilevare poi che trattasi di navi notoriamente di nessun valore bellico e alle quali sono legate le più care tradizioni della Marina. Navi trasporto
Vengòno lasciate all'Italia 3 delle 6 navi trasporto che possiede. Di tali 3 però, il A. Messina è una vecchia nave di oltre SO anni. già adibita a pontone, e il Tarantola è una piccola unità impiegabile soltanto per trasporto di personale all'interno delle basi. Si chiede che siano lasciate all'Italia almeno 4 navi trasporto efficienti.
574 Motozattere
Nessuna unità di questo tipo è lasciata all'Italia. Si fa notare che, nella attuale crisi 'di mezzi di trasporto, tali unità sono necessarie per trasporto di materiali tra le varie sedi della Marina. Per tale servizio ne occorrono almeno 12. Navi appoggio
Il pontone Anteo è attualmente indispensabile per lo sgombero dei relitti dai porti. In questa categoria deve essere compresa anche la nave Eritrea che nell'allegato S del progetto del trattato è considerata come sloop. Tale unità è necessaria alla Marina italiana come nave appoggio per le torpediniere. Dovendo rinunziare a una unità di questo tipo sarebbe preferibile mantenere in servizio l'Eritrea anziché il Pacinotti. Navi per servizio fari
Si chiede di mantenere in servizio anche 3 motozattere acquistate- a tale scopo dalla Marina britannica come residui di guerra.
CONCLUSIONI
Come è già stato detto, la consistenza quantitativa della flotta che il progetto del trattato di pace prevede di lasciare all'Italia è di gran lunga insufficiente ad assicurarle un .minimo di possibilità di autodifesa ed è palesemente disarmonica nella proporzione dei vari tipi di navi. Riesaminato accuratamente il problema della sua difesa marittima, anche nel quadro delle limitazioni generali imposte dal progetto del trattato di pace, il Governo italiano, pure convinto della necessità di ridurre al minimo indispensabile i suoi armamenti navali, ritiene che la consistenza della flotta italiana non dovrebbe assolutamente discendere al disotto delle seguenti cifre: Navi da guerra
Naviglio ausiliario
2 navi da battaglia
3 petroliere minori
6 incrociatori
20 cisterne per acqua
8 cacciatorpediniere 12 torpediniere 20 corvette 4 sommergibili 12 motosiluranti 12 M.A.S. 14 vedette(*) 1 posamine 30 dragamine
38 rimorchiatori grandi e medi 29 rimorchiatori piccoli 2 navi scuola 4 navi trasporto 12 motozattere 3 navi appoggio 2 navi idrografiche 4 navi per servizi fari I nave posacavi 1 nave officina
I nomi delle navi da guerra e ausiliarie che l'Italia chiede le siano lasciate sono riportati nell'elenco allegato. (*) 6 delle quali da cedere alla Guardia di
Finanza.
575 111 UNITA' DA AFFONDARE O DEMOLIRE L'articolo 49 del progetto del trattato di pace stabilisce che: a) le navi di superficie galleggianti non comprese nell'Allegato 4 del progetto del trattato dovrebbero essere affondate; b) 28 dei 36 sommergibili che l'Italia oggi possiede dovrebbero essere affondati (gli altri 8 dovrebbero essere ceduti); e) le navi che, affondate nei porti, sono di ostacolo alla navigazione, dovrebbero essere demolite sul posto, oppure ricuperate e quindi riaffondate in acque profonde; d) le navi affondate in acque italiane, non di ostacol~ alla navigazione, dovrebbero essere danneggiate ulteriormente onde non poter essere recuperate. Potrebbero essere risparmiate soltanto le navi aventi caratteristiche tali da poter essere trasformate in navi per usi civili. Appare evidente l'assurdità, dal punto di vista economico, di tali disposizioni che imporrebbero ad una Nazione economicamente stremata come l'Italia di disperdere ingenti quantitativi di materiali. altrimenti utilizzabili per quella ricostruzione di cui ha urgente bisogno e alla quale concorrono gli Alleati anche con l'invio di materiale dello stesso genere. Il Governo italiano chiede pertanto che le unità che dovrebbero essere affondate siano invece demolite e che i materiali ricavati dalle demolizioni siano assegnati alle necessità della ricostruzione civile della Nazione.
IV NUOVE COSTRUZIONI 1. L'articolo 50 del progetto del trattato di pace proibisce all'Italia di impostare unità di rimpiazzo prima del 1950. Nessuna osservazione vi sarebbe da fare al riguardo qualora tutte le unità lasciate all'Italia fossero efficienti e di tipo non troppo antiquato, poiché il Governo italiano è animato dal deciso intendimento di ridurre al minimo l'onere finanziario richiesto allo Stato per le necessità militari. La suddetta limitazione non appare invece accettabile per le unità antiquate e di tipo superato alle quali si è accennato nell'esame della consistenza della flotta assegnata all'Italia. 2. Ovviamente la cifra di tonn. 67.500 per la consistenza globale delle navi da guerra della flotta italiana (fatta eccezione per le corazzate) dovrebbe essere modificata in correlazione alle richieste di cui al capitolo II del presente Memorandum. 3. In base al combinato disposto degli articoli SO e 44, l'Italia non potrebbe possedere né fabbricare né esperimentare navi porta-aerei, sommergibili o altre unità subacquee, motosiluranti, mezzi d'assalto, proiettili a razzo o guidati e relativi apparecchi di lancio, cannoni di gettata superiore a 30 km., mine marine a influenza, siluri con equipaggio.
576 Ferma restando la considerazione già fatta sull'intendimento del Governo italiano di ridurre al minimo le spese militari, si deve osservare che le proibizioni di cui sopra impedirebbero all'Italia di mantenere i propri armamenti difensivi, già così drasticamente ridotti, aggiornati con le continue nuove conquiste della tecnica e ridurrebbero quindi ulteriormente le sue già limitate possibilità di difesa. Ciò vale soprattutto per le motosiluranti, per le armi a razzo e per le mine ad influenza, il cui impiego consentirebbe all'Italia di risolvere il problema difensivo, costiero e contraereo, anche con limitati mezzi finanziari. ALLEGATO COMPOSIZIONE DELLA FLOTTA RICHIESTA DAL GOVERNO ITALIANO <*l NAVI DA GUERRA PRINCIPALI
Corazzate (2) Doria
Duilio
Incrociatori (6) Duca degli Abruzzi Duca d'Aosta
Eugenio di Savoia Garibaldi
Attilio Regolo Scipione Africano
Granatiere Grecale Legionario
Mitragliere Velite
Cassiopea Clio Fortunale Libra
Orione Orsa Sagittario Sirio
Cacciatorpediniere (8) Artigliere Carabiniere Fuciliere
Torpediniere (12 l Animoso Aretusa Ariete Calliope
Corvette (20) Ape Baionetta Chimera Cormorano Danaide Driade Fenice
Flora Folaga Gabbiano Gru Ibis Minerva Pellicano
Pomona Scimitarra Sfinge Sibilla Urania unità da designarsi
Sommergibili (4) Marea Nichelio (*) (N.d.A.) Per sto lavoro.
Platino
Vortice
dislocamenti delle sottoindicate unità vedasi l'allegato Il di que-
577 NAVI DA GUERRA MINORI
Motosiluranti ( 12) M.S. 54 M.S. 55 M.S. 56
M.S. 24 M.S. 31
M.S. 35 M.S. 52
M.S. 65 M.S. 72
M.S. 61
M.S. 73 M .S. 75
521
543
523 538
545 547
540
562
224 233 235 237 240
241 245 246 248 (*)
M.A.S. (12)
510 514 516 520 V.A.S. (14) 201 204
211 218 222
Posamine ( 1) Fasana Dragurnme (30) R.D.
6
R.D. R.D. R.D. R.D. R.D. R.D. R.D.
16 20 21
25 27 28 29 R.D. 32
R.D. 34 R.D. 38 R.D. 40
R.D. 41 R.D. 102 R.D. 103
R.D. 104 R.D. 105 R.D. 113
R.D. 114 R.D. 129 R.D. 131 R.D. 132 R.D. 133 R.D. 134 R.D. 148 R.D. 149 4 unità da costruirsi
NAVI AUSILIARIE
Petroliere (3) Lete
Prometeo
Stige
Istria Liri Metauro Mincio Ofanto Oristano Po
Polcevera Sesia Sprugola Timavo Tirso Vippaco
Cisterne per acqua (20) Anapo Arno Bisagno Dalmazia Frigido Idria Isarco
(*) 6 delle quali da cedere alla Guardia di Finanza.
578 Rimorchiatori grandi e medi (38)
Abbazia Arsachena Asinara Atlante Carbonara Chioggia Ercole Gaeta Gagliardo Gorgona Lampedusa Lìcosa Lipari
Liscanera Mesco Mestre Molara Nereo Piombino Porto Adriano Porto Conte Porto Fossone Porto Pisano Porto Quieto Porto Recanati Porto Torres
Porto Tricase Rapallo SaJvore Sant'Angelo Sant'Antioco San Remo Talamone Taormina Tifeo
Vado Ventimiglia Vigoroso
Rimorchiatori piccoli (29)
N.
I
N. 53
N.
4
N. 78 N. 96 N. 104 R.L. 1 R.L. 3
N. 5 N. 9 N. 22 N. 26
N. 27 N. 32
R.L. 9 R.L. 10
N. 47 N. 52
Argentario Astico
Col., Pozzi Cordevole Irene Passaro Porto Rosso Porto Vecchio S. Bartolomeo S. Benedetto Tagliamento
Navi scuola (2)
Colombo
Vespucci
/.Javi trasporto ( 4)
Giuseppe Messina Montecucco
Montegrappa
Panigaglia
758 776 778 780·
781 784
Eritrea
Miraglia
Motozattere (12)
728
729 737 744
800
831
Navi appoggio (3)
Anteo Navi idrografiche (2)
Azio
Cberso
579 Navi per servizio fari (4 )
Buffoluto 3 motozattere (landing craft) (*) Navi posacavi ( 1)
Rampino Navi officina (1 l
Pacinotti
(*) Acquistate dall'Inghilterra quali
nc!Siduati di guerra.
580 ALLEG. 19
Dichiarazioni sulle clausole navali del progetto di trattato di pace relative alla Marina, lette il 12 settembre 1945 dal Cap. Vasc. E. Giurati - a nome dell'amm. R. de Courten - alla Commissione Militare della Conferenza di Parigi.
Signor Presidente, Signori Delegati, I memorandum italiani dell'aprile 1946, del luglio 1946 e dell'agosto 1946, relativi alla Marina militare italiana, sono stati distribuiti a tutte le delegazioni. Essi espongono in dettaglio il punto di vista dell'Italia sui tre problemi fondamentali, che il progetto di trattato di pace si proponè di risolvere, e precisamente:
1. - lo statuto della flotta italiana, che ne fissa la consistenza (art. 47) e ne regola lo sviluppo (art. SO); 2. -
il corrispondente statuto del personale della Marina italiana (art. 51 );
3. - la sorte del naviglio eccedente, sia in costruzione od affondato, articoli ( 48-49). Prima di esporre le ragioni che hanno indotto l'Italia a proporre alcune modifiche alle clausole navali del progetto di trattato di pace e prima di chiarire il significato e la portata di queste modifiche, vorrei richiamare di nuovo brevemente l'attenzione della Commissione su un punto che, a parere del Governo italiano, è essenziale nella impostazione del problema. Si tratta dell'interpretazione da dare al carattere attuale della flotta italiana: in altre parole, può e deve la flotta italiana essere considerata bottino di guerra? A voi è noto che, all'atto dell'armistizio, la flotta italiana si è attenuta nella maniera più leale e più rigorosa ed a prezzo di notevoli perdite di materiale e di uomini, alle disposizioni dell'armistizio breve e del documento di Quebec. Cosa dicevano questi documenti? Essi dicevano ai marinai italiani: « trasferite le vostre navi pronte nei porti controllati dagli Alleati, distruggete quelle che non sono in condizioni di muovere, fate in modo che nessun elemento di potenza militare cada nelle mani dei tedeschi; se voi farete questo, e se con le vostre navi porterete il vostro contributo alla vittoria contro la Germania, le clausole dell'armistizio saranno progressivamente e proporzionatamente modificate a favore dell'Italia•. A nessuno di voi può sfuggire quale influenza determinante sugli equipaggi abbiano avuto queste promesse che significavano: l'avvenire è nelle vostre mani; dalle vostre azioni dipenderanno il futuro atteggiamento degli Alleati nei vostri riguardi e le sorti della vostra Patria. A voi è noto anche come, di fronte alla prova di disciplina offerta il 9 settembre 1943 dalla flotta italiana, nessuna misura di sicurezza sia stata praticamente presa nei suoi confronti; anzi, dopo solo quattro giorni, il Comandante in Capo
581 navale del Mediterraneo chiedeva la collaborazione attiva di navi da guerra italiane, collaborazione immediatamente data. Vi è pure noto r::he questa collaborazione, ufficialmente sanzionata in un accordo fra il Comando in Capo alleato in Mediterraneo ed il Ministero italiano della Marina, andò gradatamente sviluppandosi in estensione ed in confidenza fino a comprendere praticamente tutta la flotta italiana in tutti i mari. La collaborazione navale, appoggiata dalla dichiarazione di guerra alla Germania, che creò la ·cobelligeranza, e da quella al Giappone, tu impostata sopra una base pienamente onorevole per la Marina italiana e non diede mai luogo a nessun contrasto, al più piccolo incidente. Gli uomini di mare inglesi ne possono far fede. Oggi ancora, a quasi tre anni da quel giorno, le nostre navi, dopo venti mesi di guerra a fianco delle Marine alleate, svolgono la loro attività battendo la loro bandiera, con i loro comandanti e con i loro equipaggi, sotto l'alta dipendenza del Comandante in Capo navale alleato in Mediterraneo, su un piede di assoluta parità morale. Ebbene, oggi si vorrebbe dire agli equipaggi ed al popolo italiano, che ha sempre seguito la Marina nella sua fatica ed ha visto in essa l'esempio della lealtà, della disciplina e del senso dell'onore: « Tutto è cambiato, le vostre navi da questo momento diventano bottino di guerra, sono considerate da coloro stessi, a fianco dei quali avete combattuto, alla stregua di materiale da guerra abbandonato sul campo di battaglia da un nemico in fuga e in dissoluzione"· Come possono comprendere questa concezione i marinai italiani e con essi il popolo italiano tutto, di cui sono l'orgoglio? I marinai delle corazzate ai quali è stato detto di mantenere le loro unità in perfetta efficienza per il caso potessero servire per la causa comune, e lo hanno fatto nelle più dure condizioni di vita? Gli equipaggi degli incrociatori che, fra il 1943 ed il 1944, operarono in Atlantico meridionale contro i corsari tedeschi, a fianco degli incrociatori inglesi, americani, francesi? Gli equipaggi delle siluranti che hanno scortato 80 milioni di ·tonnellate di naviglio mercantile alleato in convogli, interamente affidati alla loro vigilanza? Gli equipaggi dei sommergibili che hanno dato il loro apprezzato contributo alla preparazione bellica alleata a Malta, a Kaifa, ad Alessandria, a Gibilterra, ad Aden, a Colombo, alle Bermude ed a Guantanamo? Gli equipaggi delle motosiluranti che in Adriatico ed in Tirreno hanno operato nelle forme più pericolose? Il personale dei mezzi d'assalto che ha compiuto azioni audaci spalla a spalla con i compagni britannici? E' chiaro che questo completo mutamento di indirizzo non potrebbe non provocare un vivo e giustificato turbamento, che vogliamo assolutamente evitare. Voi potrete obiettare che le parole bottino di guerra non ricorrono nel testo del progetto. Ma quale altro significato può essere attribuito alla proposta suddivisione della flotta italiana in due parti, di cui la maggiore, comprendente gran parte delle navi migliori, dovrebbe essere consegnata alle quattro grandi Potenze per una successiva spartizione, alla quale l'Italia sarebbe totalmente estranea? Io penso che, se voi vorrete immedesimarvi nella situazione di spirito del personale della flotta italiana e considerare con serena obiettività, e direi con senso cavalleresco, le considerazioni che vi ho esposto, non potrete arrivare che ad una sola conclusione: la flotta italiana non può e non deve sotto nessun punto di vista essere considerata e trattata come bottino di guerra. Per questa ragione l'Italia ha costantemente affermato il suo diritto morale a disporre della flotta che ha cooperato nella guerra contro la Germania.
582 Voi potrete dirmi che la formula da voi materializzata nel par. I dell'art. 48 c.:onsente di dare, senza discussioni, riparazioni alle Marine che hanno avuto danni dalla Marina italiana. Ma ciò è in palese contrasto con l'accordo concluso con l'ammiraglio Cunningham, nel quale è esplicitamente dichiarato che l'eventuale rimpiazzo di perdite navali sostenute dagli Alleati per causa italiana sarebbe stato definito • mediante negoziati fra i Governi». Ed a questi negoziati, voi lo sapete, l'Italia è pronta ad adire con spirito di comprensione e di giustizia, mentre ritiene che l'eccedenza di navi possa anche essere utilizzata per sanare almeno in parte la grave deficienza di materie prime, occorrenti per la ricostruzione economica nazionale A questi principi si ispira la modifica da noi proposta all'art. 48, il quale considera: 1° - l'impegno dell'Italia ad entrare in pronti negoziati con le Nazioni interessate per devolvere parte delle eccedenze a compensi per perdite navali causate dall'Italia, prevedendo, in caso di mancato accordo, l'intervento di una Commiss ione che offra le maggiori garanzie; 2° - la consegna delle navi sopradette nelle attuali condizioni, salvo accordi per eventuali riparazioni e per la fornitura di materiali dì rispetto e di riserva; 3° - la demolizione delle navi eccedenti, non consegnate a titolo di riparazione, per fornire materiali alla ricostruzione civile. L'art. 47 praticamente fissa, in modo provvisorio, lo statuto della flotta italiana. Dico in modo provvisorio in quanto appare chiaro che questo statuto risente da un lato della composizione attuale della flotta italiana, quale è uscita dalla tormenta della guerra, e d'altro lato delle disposizioni dell'art. 48 relative alla creazione di una eccedenza destinata a determinati scopi: inoltre l'art. 39 prevede che tale statuto è suscettibile di future modifiche. Ma, anche in queste condizioni, appare necessario che alla flotta italiana sia data, per quanto possibile, una struttura equilibrata, in modo che essa risponda ad un minimo di esigenze tecniche ed organiche. L'allegato 4/ A del progetto di trattato dimostra che questo principio non è stato tenuto in alcun conto. Quali sono gli argomenti che, sotto questo punto di vista, meriterebbero a parere nostro di essere di nuovo sottoposti alla vostra attenzione? Desidero esporveli e commentarveli brevemente. Prima di tutto il numero delle unità da guerra lasciate all'Italia. Nel memorandum dell'aprile 1946 l'Italia, dopo avere esposto le circostanze di fatto che, rendono oneroso il problema dell'autodifesa (lunghezza e vulnerabilità delle coste; situazione geografica dei bacini marittimi, interessanti la difesa marittima della penisola, e delle basi navali; volume e caratteristiche del traffico marittimo ecc.), aveva esposto il suo intendimento ~i ridurre la propria flotta difensiva (escluse corazzate, motosiluranti e dragamine) a circa 100 mila tonnellate, così ripartite: incrociatori
8
caccia torpediniere
9
»
14.587
torpediniere
18
,.
14.119
corvette
20
,.
13.400
sommergibili
8
,.
6.735
Tonn. 48.100
583 li vostro progetto riduce la consistenza di queste classi di navi a 58.000 tonnellate circa così ripartite:
incrociatori
4
cacciatorpediniere torpediniere corvette sommergibili
4 16 20 nessuno.
Tonn. 28.141 ,. 6.418 ,. 10.797
,.
13.400
Se voi tenete anche conto delle condizioni attuali, a Voi ben note, delle navi italiane, logorate da un lungo periodo di intensa attività, e della conseguente impossibilità di contare in media su più di due terzi di navi in armamento, vi apparirà giustificata la richiesta di una lieve modifica in più e in meno di alcune classi di navi assegnate all'Italia, ossia: incrociatori da 4 a 6 Tonn. 37.632 cacciatorpediniere torpediniere
da 4 a 8 da 16 a 12
12.994
,.
9.072
La riduzione delle torpediniere da 16 a 12 compensa numericamente l'aumento dei cacciatorpediniere. Quanto ai due incrociatori chiesti in più, si tratta di due navi tipo •Regolo"• la cui inclusione nella classe incrociatori è puramente formale, in quanto sono navi che, per il loro dislocamento e le loro caratteristiche . rientrano piuttosto nel novero dei cacciatorpediniere di squadra. Il vostro progetto riduce la consistenza di queste classi di navi a 58.000 ll secondo punto su cui richiamo la vostra attenzione riguarda il modo con cui è stata fatta la scelta delle unità da lasciare all'Italia, scelta che non si ispira ad akun criterio organico di omogeneità (inclusione del « Cadorna,. e del « Da Recco ») e soprattutto contrasta con il criterio della valutazione delle navi « over age ». Sono state infatti incluse, specie fra le torpediniere. molte unità che sono • over-age », non solo in base ai criteri finora vigenti loecondo i trattati navali del recente passato, ma anche in base alla determinazione dei limiti di età fatta dal progetto di trattato. In questo modo sarebbero attribuite all'Italia, come • navi da combaltimento • unità che, per la loro vetustà, non possono essere più considerate tali e per le quali basta lo sbarco dell'armamento perchè ces· sino di essere considerate materiale da guerra. Nell'allegato 4/ A del progetto non è stato incluso inoltre nessun sommeriibile. Non è qui il caso di riprendere in esame la questione se i sommergibili debbano ei:.sere considerati mezzi offensivi o difensivi. Qui giova mettere in evidenza due considcra,ioni. Il provvedimento di una totale abolizione dei sommergibili solo per l'Italia non appare equo. In ogni modo rimane l'argomento fondamentale dell'addestramento dei mezzi antisommergibili: come è possibile concepire che siano la:.1:bti all'ltali.1 questi ultimi, in correlazione con la disposibilità di sommergibili da parte di tutte le Marine, e poi non si dia il modo a questi mezzi di pn.•pararsi a bene assolvere la loro funzione? Deve l'Italia, esposta come essa è alle ofl csc al suo traffico marittimo, essenziale alla vita nazionale, essere lasciata senza la possihililà di difendersi contro azioni del naviglio subacqueo? L'Italia ritiene che, in linea provvisoria, questa contraddizione espressa nel progett,, di trattato debba c~sere eliminata, lasciandole almeno 4 sommergibili. Vi è poi nel progetto una omissione, che non appare rispondente allo spirito
584 del progetto dì trattato: la totale abolizione delle motosilJlranti. Non può esservi dubbio che sì tratta di mezzi sostanzialmente difensivi: basti pensare alla loro limitata autonomia ed alle loro qualità manne e logistiche per dedurne che essi sono strettamente vincolati alle loro basi. Come potrebbe l'Italia provvedere alla difesa di 8.500 km. di coste se non disponendo di un certo numero di unità minori?- Per di più sono mezzi economici che ben si prestano a facilitare all'Italia la soluzione del problema difensivo senza eccessivamente gravare sullo stremato bilancio nazionale. Si può anche pensare a limitazioni nel loro dislocamento (portato nelle definizioni al valore di 200 tonnellate) ed eventualmente nella loro autonomia: ma non sembra che possa negarsi all'Italia il diritto di disporre di un , erto numero di unità di questo tipo, che abbiamo definito, in base all'attuale disponibilità, in 12 MS ed in 12 MAS. In via subordinata si vuol fare presente che questo diritto è stato riconosciuto ad altre Nazioni (come Finlandia, Romania e Bulgaria) che, dal punto di vista delle esigenze difensive, appaiono trovarsi in condizioni assai più favorevoli dell'Italia. Riassumendo le considerazioni svolte, la compos1z1one della flotta italiana (grandi e piccole unità da combattimento) sarebbe la seguente (escluse le 2 antiquate corazzate): Incrociatori
6
Caccia torpedini.ere
8
»
12.994
Torpediniere
12
»
9.072
Corvette
20
»
13.400
Sommergibili
4
"
3.230
MS e MAS
24
:.
962
"
540
Posamine difensive
Tonn. 37.362
Dragamine
30
,.
3.918
Vedette dragamine
14
,.
952
Totale unità da combattimento
Tonn. 82.700
L'Italia ritiene tuttora . che la cifra di 100.000 tonn. richiesta sia quella più corrispondente alle sue minime esigenze; essa pensa in ogni caso che la cifra di 83.000 tonn. con le proposte varianti qualitative possa costituire un equo compromesso tra la sua richiesta iniziale e le 67.500 tonnellate assegnate dal progetto di trattato. Vorrei infine richiamare la vostra attenzione sulla questione del naviglio ausiliario. In nessuno dei trattati preesistenti è stata limitata l'assegnazione di tale naviglio, trattandosi di unità che, per le loro stesse caratteristiche, non costituiscono elementi di forza e sono utilizzabili per le necessità civili di altri Ministeri (Interni, Finanze, Lavori pubblici. Marina Mercantile, ecc.) Detto criterio incide, oltre che sulla efficienza dell'organizzazione militare marittima, sulla possibilità già prevista di utilizzare parte delle unità eccedenti l'immediato fabbi· ~ogno della flotta per servizi di carattere civile, il cui potenziamento è diretta· men te connesso con la ricostruzione economica nazionale. Non voglio appesantire la mia esposizione con un esame dettagliato della
585 situazione attuale delle singole classi di naviglio ausiliario, delle necessità della Marina soprattutto per quanto si riferisce a cisterne per acqua ed a rimorchiatori, delle particolari circostanze che inducono ad insistere sulla richiesta di questa o qÙella speciale nave ausiliaria. Penso che soprattutto si debba accogliere il principio della esclusione del naviglio ausiliario dalle clausole del trattato di pace e che dovrebbero essere comprese in questa definizione anche i dragamine i quali, per le loro caratteristiche, non possono essere definiti unità da combattimento, neppure ai sensi dell'allegato 5/ A al progeLto di trattato. Concludendo, la modifica proposta al testo dell'arr. 47 è puramente formale: sostanziali sono le proposte di modifica all'allegato 4/ .4 (e conseguentemente all'allegato 4/B). Ma confido che voi siate rimasti convinti che le modeste modifiche richieste nell'assegnazione di grandi e piccole navi da combattimento, rispondono ad una serena ed obiettiva valutazione delle necessità difensive dell'Italia. L'altro articolo del progetto di trattato di pace che influisce sulla struttura della flotta italiana è l'art. SO. Sembra all'Italia che un collegamento fra le clausole militari del trattato ed i principii fondamentali dell'ONU sia, più che opportuno, necessario. Tale collegamento è in parte dato dall'art. 39: ed il memorandum relativo alle clausole militari illustra le modifiche che converrebbe fossero apportate all'art. 39 in questo ordine di idee. Ma un analogo accenno dovrebbe. essere fatto nell'art. 50, a proposito dei tipi di unità la cui costruzione risulta inibita all'Italia, mettendo in relazione questi vincoli col problema della regolamentazione degli armamenti da effettuarsi nel quadro dell'ONU. Questo è il punto sostanziale della modifica proposta dall'Italia, mentre altre piccole modifiche non sono che la conseguenza delle varianti da noi proposte alla formulazione dell'articolo 47. L'art. 49 del progetto di trattato contiene le disposizioni relative alle unità in costruzione od affondate nei porli e nelle acque italiane. A tale riguardo deve essere rilevata la poca opporLunità, dal punto di vista economico, di quelle norme che imporrebbero ad una Nazione, economicamente povera e distrutta come l'Italia, di disperdere ingenti quantitativi di materiali. Basti pensare che il blocco maggiore delle unità attualmente a galla da affondare, è costituito da circa 30 sommergibili; non possiamo immaginare se e quali particolari motivi possano rendere indispensabile l'eliminazione per affondamento di tali unità, dato che sarebbe facile stabilire per trattato una forma sicura di controllo per accertare la loro effettiva demolizione. Comunque si consideri il valore enorme dei materiali che l'Italia potrebbe ricuperare da tali demolizioni. Si chiede quindi che le unità che dovrebbero essere affondate siano invece demolite e che i relativi materiali di r!cupero siano utilizzati per la ricostruzione nazionale. Si richiede anche di rettificare alcuni termini di tempo stabiliti per le distruzioni, per adeguarli alle effettive possibilità. ::...·art. 51 limita a 22.500 uomini gli effettivi concessi alla Marina italiana, escluso il personale dell'aviazione navale. Nei memorandum è già stata messa in rilievo la insufficienza di questa cifra, sia nei riguardi della flotta (anche nei limiti previsti per essa dall'attuale progetto di trattato), sia e soprattutto per 1 servizi a terra, che includono i compiti della difesa costiera. La Marina italiana aveva calcolato le sue necessità sulla cifra di circa 40.000 uomini ed aveva comunicato, nel memorandum dell'agosto 1946, che su tale cifra sarebbe stato possibile effettuare qualche riduzione in base alle clausole del progetto. Tale calcolo è stato fatto ed ha portato alla constatazione che è possibile
586 una diminuzione di circa il 12,5% sulla primitiva richiesta, arrivando così alla cifra di 35.000 uomini, che è indicata nella modifica proposta e per il cui raggiungimento si prevede il termine unico di sei mesi dall'entrata in vigore del trattato. Siamo pronti a fornire tutti gli elementi tecnici necessari per giustificare questa necessità. A questo proposito si deve anche rilevare, in via subordinata, che il paragone con le assegnazioni di personale alle altre Marine è marcatamente a nostro sfavore. Come è stato già accennato, si· tratta di Nazioni in cui la difesa costiera presenta assai minori esigenze di quelle dell'Italia. Alla Bulgaria sono concesse 7.250 tonnellate di naviglio e 3.500 uomini, equivalenti a 0,48 uomini per tonnellata; alla Finlandia sono concessi 10.000 tonnellate di naviglio e 4.500 uomini con 0,45 uomini per tonnellata; alla Romania sono concessi 15,000 tonnellate di naviglio e 5.000 uomini con 0,38 uomini per tonnellata: questa percentuale scende per l'Italia a 0,14 uomini per tonnellata, sulla base di 22.500 uomini per circa 152.000 tonnellate, quali previste dal progetto. Applicando alla Marina italiana le stesse percentuali sopra indicate, spetterebbe all'Italia un'assegnazione variabile fra 50.000 e 72.000 u9mini: la nostra dchiesta si limita a 35.000 uomini, con circa 0,23 uomini per tonnellata. Dalla caduta del fascismo sono stato a capo della Marina ed è stato mio compito guidarla attraverso gravi e non facili eventi. So di avere richiesto ed ottenuto da essa spirito di devozione al bene della Patria e lealtà: i riconoscimenti alleati sono stati per la Marina e per me conforto alla nostra fatica e nello stesso tempo hanno convalidato la sensazione viva che, da parte alleata, il comportamento ed il contributo della Marina italiana sarebbero stati tenuti in giusto conto alla conclusione della pace. Siamo oggi alla resa dei conti e siamo invece posti di fronte ad un progetto di trattato che, nelle sue clausole navali, delude e ferisce profondamente non solo la Marina, ma tutto il popolo italiano.
Ritengo di avere illustrato, sia pure sommariamente, le ragioni di questi sentimenti. La nostra interpretazione dei patti firmati con l'Italia dagli Alleati può essere forse discussa da un punto di vista esclusivamente giuridico. Ma agli Alleati è noto che la Marina ed il popolo italiano li hanno sempre apertamente e . pubblicamente interpretati come un impegno morale di ben altra portata e valore: che su di esso è stata basata la nostra leale collaborazione di tre anni: che durante tutto il periodo della cobelligeranza attiva tale interpretazione italiana non è mai stata esplicitamente smentita. Per questa ragione ti progetto di trattato, nella sua forma auuale, sarebbe interpretato dalla Marina e dal popolo italiano come un disconoscimento delle promesse ad essi fatte.
Quando vi dico che, nella vostra sensibilità militare, voi non potete accogliere il principio giuridico delle clausole navali del progetto di trattato, io difendo la Marina alla quale ho l'onore di appartenere, ma difendo anche la concezione stessa dell'onore militare, che è altrettanto vostro quanto nostro retaggio. Non posso tacere a questo proposito che la mancata approvazione dell'emendamento all'art. 48 proposto dall'Australia, il quale collegava direttamente e logicamente il problema della riduzione degli armamenti italiani attuali a quello più generale della riduzione degli armamenti, e sembrava perciò veramente appropriato agli scopi a cui dovrebbe tendere il trattato. lascia molto perp lessi sul Vl'ro spirito delle clausole navali del progetto.
587 Le richieste italiane sono formulate con spirito di accordo e di comprensione e sono adeguate alle minime esigenze di autodifesa: pur evitando alla Marina italiana gravi sacrifici di ordine morale, esse aprirebbero la strada ad una soluzione del problema sullo stesso piano lealmente accettabile al quale erano ispirate le clausole dell'accordo con l'ammiraglio Cunningham, che hanno dato così soddisfacenti risultati nel campo della collaborazione durante venti mesi di guerra. Questi risultati costituiscono la migliore dimostrazione che la valutazione ed il rispetto dei valori spirituali creano solide fondamenta per un felice avvenire, al quale miriamo sinceramente nella amichevole convivenza delle Nazioni amanti della pace.
588 Au.a.. 2C\
Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate e Associate, firmato a Parigi il t'O febbraio 1947. ( 1) (Preambolo; Parte IV - Clausole mllltari, navali ed aeree con i relativi allegati XII e Xlii; Parte V - Ritiro delle Forze :ùleate; Parte Xl - Clausole finali). (2)
L'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, gli Stati Uniti d'America, la Cina, la Francia, l'Au· stralia, il Belgio, la Repubblica Sovietica Socialista di Bielorussia, il Brasile, il Canadà, la Cecoslovacchia, l'Etiopia, la Grecia, l'India, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Polonia, la Repubblica Sovietica Socialista d'Ucrania, l'Unione del Sud Africa, la Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia, in appresso indicate com e « Potenze Alleate e Associate», da una parte e l'Italia, dall'altra, premesso che l'Italia, sotto il regime fascista, ha partecipato al Patto Tripartito con la Germania e il Giappone, che ha intrapreso una guerra di aggressione e che ha, in tal modo, provocato uno stato di guerra con tutte le Potenze Alleate e Associate e con altre Nazioni Unite, e che essa porta la sua parte di responsabilità per la guerra; e premesso che, a seguito delle vittorie delle Forze alleate e con l'aiuto degli elem en ti democratici del popolo italiano, il regime fascista è stato rovesciato in Italia il 25 luglio 1943, e che l'Italia, essendosi arresa senza condizioni, ~a firmato le condizioni di armistizio il 3 e il 29 settembre del medesimo anno; e premesso che, dopo l'armistizio suddetto, Forze Armate italian e, sia governative che appartenenti al Movimen to della Resistenza, hanno preso una parte attiva alla guerra contro la Germania e che l'Italia ha dichiarato guerra alla Germania il 13 ottobre 1943 divenendo, in tal modo, cobelligerante n ella guerra contro la Germania stessa; e premesso che le Potenze Alleate e Associate e l'Italia desiderano concludere un trattato di pace che, conformandosi ai principi di giustizia, regoli le questioni che ancora sono pendenti a seguito degli avvenimenti sopra ricordati, e ch e costituisca la base di a michevoli relazioni tra di esse, permettendo così alle Potenze Alleate e Associate di appoggiare le domande che l'Italia presenterà di entrare a (I) Traduzione non ufficiale. (La traduzione ufficiale, pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale del 24 dicembre 1947, adopera una fraseologia navale e militare non sempre corretta). Il numero tra parentes i a fianco di quello dei singoli articoli è il numero d el corrispondente articolo del progetto di trattato di pace. (2) Le parti del trattato non riportate sono le seguenti: parte I - Clausole territoriali (art. I - 14); parte II - Clau sole politiche (art. 15 - 44); parte III - Criminali di guerra (art. 45); parte VI - Richieste (ctaims) derivanti dalla guerra (art. 74 77); parte VII - Beni, diritti e interessi (art. 78 - 81); parte VIII - Relazioni economiche generali (art. 82); parte IX - Regolamento delle controver sie (art. 83); parte X Clausole economiche varie.
589 far parte delle Nazioni Unite e di aderire anche a qualsiasi convenzione stipulata sotto gli auspici delle Nazioni Unite stesse; hanno perciò convenuto di dichiarare la cessazione dello stato cli guerra e di concludere, a tal fine, il presente trattato di pace, e hanno, di conseguenza nominato i plenipotenziari sottoscritti, i quali, dopo aver presentato i loro pieni poteri, trovati in buona e debita forma, hanno concordato le disposizioni che seguono:
PARTE IV CLAUSOLE MILITARI, NAVALI ED AEREE
Sezione I - Durata di applicazione Art. 46 (39 Pr.) Ognuna delle clausole militari, navali ed aeree del presente trattato rest<'rà in vigore finché non sarà stata modificata, in tutto o in parte, mediante accordo tra le Potenze Alleate e Associate e l'Italia o, dopo che l'Italia sarà divenuta membro delle Nazioni Unite·. mediante accordo tra il Consiglio di Sicurezza e l'Italia.
Sezione II - Limitazioni gemrali Art. 47 (40 Pr.) 1. (a) - Il sistema delle fortificazioni e delle installazioni militari permanenti italiane lungo la frontiera franco-italiana e i relativi armamenti saranno distrutti o rimossi; (b) - Fanno parte di tale sistema soltanto le fortificazioni d'artiglieria e di fanteria, sia in gruppo che isolate, le casematte di qualsiasi tipo, i ricoveri protetti per il personale, per le provviste e per le munizioni, gli osservatori e le teleferiche militari, qualunque sia l'importanza di que: te opere e l'effettivo loro stato di conservazione o di costruzione, e sia che siano costruite in metallo. in muratura o in cemento, o che siano scavate nella roccia. 2. - La distruzione o la rimozione prevista dal precedente paragrafo 1 dovrà effettuarsi soltanto nella fascia della larghezza di 20 km. da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente trattato, e dovrà essere completata entro un anno dall'entrata in vigore dello stesso. 3. - E' vietata qualsiasi ricostruzione delle predette fortificazioni e installazioni. 4. (a) - Ad est della frontiera franco-italiana è vietata la costruzione delle opere seguenti: fortificazioni permanenti in cui possano essere installate armi atte a tirare nel territorio o nelle acque territoriali francesi; installazioni militari permanenti che poss,mo esser usate per condurre o dirigere il tiro nel territorio o nelle acque territoriali francesi; attrezzature permanenti per il rifornimento e il magazzinaggio, co:,truìte unicamente per uso delle fortificazioni e delle installazioni di cui sopra; (b) - Tale proibizione non riguarda altri tipi di fortificazioni non per
590 manenti né i . ricoveri e le installazioni di superficie, che siano destinati unicamente a soddisfare esigenze di ordine interno e di difesa locale delle frontiere. 5. - Nella fascia costiera, della profondità di 15 km., compresa fra la frontiera franco-italiana e il meridiano 9° 30' E.G., l'Italia non dovrà creare nuove basi navali o installazioni navali permanenti, né ampliare quelle già esistenti. Tale divieto non si estende alle modifiche di minor importanza né ai lavori per la buona conservazione delle installazioni navali esistenti, purché la potenzialità di tali installazioni non sia in tal modo accresciuta nel suo complesso. Art. 48 (41 Pr.)
1. (a) - Tutte le fortificazioni e le installazioni militari permanenti italiane lungo la frontiera italo-jugoslava e i relativi armamenti saranno distrutti o rimossi; (b) - Le fortificazioni e le installazioni cui ii riferisce il precedente comma (a) sono soltanto le fortificazioni d'artiglieria r di fanteria, sia in gruppo che isolate, le casematte di qualsiasi tipo, i ricoveri protetti per il personale, per le provviste e per le munizioni, gli osservatori e le teleferiche militari, qualunque sia l'importanza di queste opere e l'effettivo loro stato di conservazione o di costruzione, e sia che siano costruite in metallo, in muratura o in cemento, o che siano scavate nella roccia. 2. - La distruzione o la rimozione prevista dal precedente paragrafo 1 dovrà effettuarsi soltanto nella fascia della larghezza di 20 km. da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente trattato, e dovrà esser completata entro un anno dall'entrata in vigore dello stesso. 3. - E' vietata qualsiasi ricostruzione delle predette fortificazioni e installazioni. 4. (a) - Ad ovest della frontiera italo-jugoslava è vietata la costruzione delle seguenti opere: fortificazioni permanenti in cui possano esser installate armi atte a tirare nel territorio o nelle acque territoriali jugoslavi; installazioni militari permanenti che possano esser usate per condurre o dirigere il tiro nel territorio o nelle acque territoriale jugoslavi; attrezzature permanenti per il rifor. nimento e il magazzinaggio, costruite unicamente per uso delle fortificazioni e delle installazioni di cui sopra; (b) - Tale proibizione non riguarda altri tipi di fortificazioni non permanenti né i ricoveri e le installazioni di superficie, che siano destinati unicamente a soddisfare esigenze di ordine interno e di difesa locale delle frontiere. 5. - Nella fascia costiera, della profondità di 15 km., che va dalla frontiera italo-jugoslava e da quella fra l'Italia e il Territorio Libero di Trieste sino al parallelo 44° SO' N., nonché nelle isole situate lungo tale fascia costiera, l'Italia non dovrà creare nuove basi navali o installazioni navali permanenti, né ampliare quelle già esistenti. Tale divieto non si estende alle modifiche di minor importanza né ai lavori per la buona conservazione delle installazioni navali esistenti, purché la potenzialità di tali installazioni non sia in tal modo accresciuta nel suo complesso. 6. - Nella Penisola Salentina ad est del meridiano 17° 45' E .G., l'Italia non dovrà costruire alcuna nuova installazione permanente militare, navale o aerea, né ampliare le installazioni esistenti. Tale divieto non si estende aJle modifiche di minore importanza né ai lavori per la buona conservazione delle installazioni esistenti, purché la potenzialità di tali installazioni non sia accresciuta nel suo complesso. Tuttavia sarà consentita la costruzione di opere per l'alloggiamento
591 di quelle forze di sicurezza cht: fossero necessarie per compiti d'ordine interno e per la difesa locale delle frontiere.
Art. 49 (42 Pr.) 1. - Pantelleria, le isole Pelagie (Lampedusa, Lampione e Linosa) e Pianosa (nell'Adriatico) saranno e rimarranno smilitarizzate. 2. - Tale smilitarizzazione dovrà esser completata entro un anno a decorrere dall'entrata in vigore del presente trattato.
Art. 50 (43 Pr.) 1. - In Sardegna tutte le postazioni permanenti di artiglieria per la difesa costiera e i relativi armamenti nonché tutte le installazioni navali che siano situate a men.o di 30 km. dalle acque territoriali francesi, saranno demolite o trasferite nell'Italia continenta!c- entro un anno dall'entrata in vigore del presente tratt~to. In Sicilia e in Sardegna tutte le installazioni permanenti e le attrezzature per la manutenzione e il magazzinaggio di siluri, mine marine e bombe saranno demolite o trasferite nell'Italia continentale entro un anno dall'entrata in vigore dal presente trattato. 3. - In Sicilia e in ~ardegna non sarà consentito alcun miglioramento o ricostruzione o ampliamento delle esistenti installazioni o fortificazioni perma· nenti. Tuttavia, fatta eccezione per la zona della Sardegna settentrionale di cui al precedente paragrafo 1, potrà procedersi alla normale manutenzione delle suddette installazioni e fortificazioni permanenti nonché delle armi situate in esse. 4. - In Sicilia e in Sardegna l'Italia non potrà costruire alcuna installa· zione o fortificaziont: navale, militare o aerea, eccezion fatta per le opere destinate all'alloggiamento di quelle forze di sicurezza che potessero esser richieste per compiti d'ordine interno.
:r -
Art. 51 (44 Pr.) L'Italia non dovrà possedere, costruire o sperimentare: (a) alcuna arma atomica; (b) al~un proi..:ttile ad auto-propulsione o guidato o alcun dispositivo impiegato per il lancio di tali proiettili (eccezion fatta per i siluri e i dispositivi per il loro lancio, facen, i parte dell'armamento normale delle navi consentite dal presente trattato); (c) alcun cannone di gettata superiore ai 30 km., (d) mine marine o siluri funzionan ti mediante congegno ad influenza; (e) alcun siluro con equipaggio. Art. 52 (45 Pr.) L'Italia non potrà acquistare, né all'interno né all'estero, né fabbricare "1ateriale bellico di origine o di progetto tedesco o giappo· ,ese. Art. 53 ( 46 Pr.) L'Italia non dovrà fabbricare o possedere, né a titolo pubblico o privato, materiale bellico in quantità superiore ·a quella necessaria per le Forze consentitele dalle sezi ,ni III, IV " V che seguono, né di tipi diversi da quelli da queste autorizzati.
592 Art. 54 (52 - 2° comma - Pr.)
Il numero totale dei carri armati medi e pesanti delle Forze Armate italiane noh dovrà esser maggiore di duecento. Art. 55 (non esisteva nel progetto) Tn nessun caso un ufficiale o sott'uffi.ciale dell'ex Milizia fascista o dell'ex Esercito repubblicano fascista potrà esser ammesso, con il grado d'ufficiale o di sott'ufficiale, nella Marina, nell'Esercito e nell'Aeronautica italiani o nei Carabinieri, fatta eccezion per coloro che siano stati riabilitati dai competenti organi, in conformità della legge italiana.
Sezione III - Limitazioni della Madna italiana Art. 56 (47 Pr.) 1. -
La flotta italiana attuale sarà ridotta alle unità indicate nell'allegato
XII/A. 2. - Unità supplementari non indicate nell'allegato XII e utilizzate esclusivamente per la rimozione delle mine, potranno continuare a esser impiegate sino al compimento della rimozione delle mine, nel modo che sarà stabilito dalla Commissione Centrale Internazionale per il dragaggio delle mine nelle acque europee. 3. - Entro due mesi dal compimento della rimozione delle mine, quelle di tali unità supplementari che siano state prestate alla Marina italiana da altre Potenze saranno a queste restituite; tutte le altre unità saranno disarmate e trasformate per usi civili.
Art. 57 (48 Pr.)
1. - L'Italia disporrà come segue delle unità della Marina italiana indicate nell'allegato XII/B. (a) - Dette unità saranno messe a disposizione dei Governi dell'Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America e della Francia. (b) - Le navi da trasferirsi in conformità del comma (a) di cui sopra, dovranno esser completamente allestite, in condizioni di efficienza (in operational condition), con le dotazioni di bordo dei materiali per l'impiego delle armi e dei pezzi di ricambio al completo, nonché con tutta la documentazione tecnica necessaria. (c) - Il trasferimento delle navi sopra indicate sarà effettuato entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente trattato. Tuttavia, nel caso di unità che non potessero esser riparate entro tre mesi, il termine per il trasferimento potrà esser prorogato dai quattro Governi. (d) - Le dotazioni di riserva dei pezzi di ricambio e dei materiali per l'impiego delle armi per le unità sopra indicate dovranno esser fornite, per quanto possibile, con le unità stesse. Il saldo di dette dotazioni dovrà esser effettuato nella misura e alle date che saranno fissate dai quattro Governi, ma comunque entro il termine massimo di un anno dall'entrata in vigore del presente trattato.
593 2. - I dettagli dei suddetti trasferimenti saranno fissati da una Commissione delle quattro Potenze da istituirsi con un separato protocollo. 3. - Nel caso in cui unità indicate nell'allegato XII/B per un qualsiasi motivo andassero perdute o subissero un danno che non potesse esser riparato entro la data fissata per il trasferimento, l'Italia s'impegna a sostituirle con un tonnellaggio equivalente tratto dalle unità cti cui all'allegato XH/ A. La o le unità di rimpiazzo saranno scelte dagli ambasciatori in Roma dell'Unione Sovietica. del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America e della Francia. Art. 58 ( 49 Pr.l 1. - L'Italia dovrà prendere le seguent~ misure per quanto concerne sommergibili e le altre navi non in condizioni d'impiego. I termini di tempo sotto inctièati decorreranno dall'entrata in vigore del presente trattato. (a) - Le navi di superficie galleggianti non indicate nell'allegato Xll, com· prese quelle in costruzione già varate, dovranno. entro nove mesi , esser distrutte o demolite per trarne rottami. (b) - Le navi in costruzione ancora sugli scali. dovranno. entro nove mesi, esser distrutte o demolite per trarne rottami. (c) - I sommergibili galleggianti non indicati nell'allegato XII/B, do· vranno esser affondati, entro tre mesi, in mare aperto, ad una profondità di oltre 100 braccia. (d) - Le navi affondate nei porti italiani e nei canali d'accesso a detti porti, le quali ostacolino la normale navigazione, dovranno, entro due anni, esser distrutte sul posto oppure esser ricuperate e successivamente distrutte o demo· lite per trarne rottami. (e) - Le navi affondate in acque italiane poco profonde, le quali non ostacolino la normale navigazione, dovranno, entro un anno, esser messe in condizione di non poter esser ricuperate. (f) - Le navi che possono esser trasformate, le quali non rientrino nella definizione di materiale bellico e che non siano elencate nell'allegato XII, potranno esser trasformate per usi civili, altrimenti dovranno esser demolite entro due anni. 2. - L'Italia si impegna a ricuperare - prima di procedere all'affondamento o alla distruzione delle navi e dei sommergibili, come stabilito dal precedente paragrafo 1 - i materiali e i pezzi di ricambio che potessero servire a completare le dotazioni di bordo e di riserva che dovranno esser fornite, in base all'art. 57, paragrafo 1, per tutte le navi indicate nell'allegato XII/B. 3. - L'Italia potrà inoltre, sotto il controllo degli ambasciatori in Roma dell'Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America e della Francia, ricuperare quei materiali e quei pezzi di ricambio di carattere non bellìco, che siano facilmente utilizzabili nell'economia civile italiana.
Art. 59 (50 Pr.) 1. - Nessuna nave di linea potrà esser costruita, acquistata o rimpiazzata dall'Italia. 2. - Nessuna nave portaerei, nessun sommergibile o altra unità sommergibile, nessuna motosilurante, nessun tipo specializzato di navi d'assalto, potrà esser costruito, acquistato, impiegato o sperimentato dall'Italia. 3. - Il tonnellaggio standard globale in navi da combattimento della Ma-
594 rina italiana, escluse le navi di linea ma comprese le navi in costruzione varate, non potrà superare le 67.500 tonn. (3). 3. - Ogni rimpiazzo di navi da combattimento da parte dell'Italia dovrà esser effettuato entro i limiti del tonnellaggio di cui al precedente paragrafo 3. Il rimpiazzo delle navi ausiliarie non sarà sottoposto ad alcuna restrizione. 5. - L'Italia s'impegna a non acquistare o impostare navi da combattimento prima del 1° gennaio 1950, salvo che sia necessario rimpiazzare un'unità - che non sia una nave di linea - accidentalmente perduta. In questo caso il dislocamento della nuova unità non dovrà superare di più del dieci per cento il dislocamento dell'unità perduta. 6. - I termini usati in questo articolo sono definiti, ai fini del presente trattato, nell'allegato XIII/ A. Art. 60 (51 Pr. ) 1. - Il personale della Marina italiana non potrà superare i 25.000 uomm1, fra ufficiali e marinai. In tale numero non è compreso il personale dell'aviazione per la Marina. 2. - Durante il periodo di dragaggio delle mine, che sarà fissato dalla Commissione Internazionale Centrale per il dragaggio delle mine nelle acque europee, l'Italia sarà autorizzata ad impiegare a questo scopo un numero supplementare di ufficiali e marinai non superiore a 2.500. 3. - Il personale della Marina in servizio permanente che risulterà in eccedenza a quello consentito dal precedente paragrafo 1. sarà gradualmente ridotto come segue, considerandosi decorrenti dall'entrata in vigore del presente trattato limiti di tempo indicati: (a) a 30.000 uomini, entro sei mesi, (b) a 25.000 entro nove mesi. Due mesi dopo la fine delle operazioni di dragaggio delle mine da parte della Marina italiana, il personale in soprannumero autorizzato dal precedente paragrafo 2 dovrà esser congedato o assorbito negli effettivi sopra indicati di 30.000 o 25.000 uomini. 4. - All'infuori del personale autorizzato dai precedenti paragrafi I e 2 e di quello dell'aviazione per la ltfarina , autorizzato dall'art. 65, nessun'altra persona dovrà ricevere, sotto qualsiasi forma, tm'istruzione navale, come definita dall'allegato XIII/B.
Sezione IV - Limitazioni dell'Esercito italiano Art. 61 (52, t· comma, Pr) L'Esercito italiano, comprese le Guardie di frontiera , sarà limitato a 185.000 uomini, fra unità combattenti, servizi e comandi, e a 65.000 Carabinieri. Ciascuno dei due suddetti gruppi potrà tuttavia variare di 10.000 unità purché non vengano superati complessivamente 250.000 uomini. L'organizzazione e l'armamento delle Forze italiane di terra e la loro dislocazione nel territorio italiano dovranno esser
(3) (N.d.T.) Per la definizione di « navi da combattimento• vedasi l'alleg. XIII / A. Dalla definizione di « dislocamento standard • (allegato XIII/ A) si rileva che la tonnellata cui si riferisce il trattato non è quella metrica (1000 kg) ma quella inglese (1016 kg).
595 -concepiti in modo da soddisfare unicamente compiti di carattere interno, di difesa locale delle frontiere italiane e di difesa antiaerea. Art. 62 (53 Pr.) Il personale dell'Esercito italiano in soprannumero a quello autorizzato dal precedente articolo 61, dovrà esser congedato entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente trattato. Art. 63 (54 Pr.) All'infuori del personale che faccia parte dell'Esercito italiano o dei Carabinieri, nessun'altra persona dovrà ricevere, sotto qualsiasi forma. un'istruzione militare, come definita dall'allegato XIII/B.
Sezione V - Limitazioni dell'Aeronautica italiana Art. 64 (55 Pr.)
1. - L'Aeronautica italiana, compresa l'aviazione per la Marina, dovrà esser limitata a una forza di 200 apparecchi da caccia e da ricognizione e di 150 apparecchi da trasporto, da salvataggio in mare, da addestramento (apparecchi scuola) e da collegamento .Nelle cifre predette .sono compresi gli apparecchi di riserva. Tutti gli apparecchi, fatta eccezione per quelli da caccia e da ricognizione, dovranno essere privi di armamento. L'organizzazione e l'armamento dell'Aeronautica italiana e la relativa dislocazione nel territorio italiano dovranno esser concepiti in modo da soddisfare unicamente compiti di carattere interno, di difesa locale delle frontiere italiane e di difesa contro attacchi aerei. 2. - L'Italia non potrà possedere o acquistare apparecchi progettati essenzialmente come bombardieri con sistemazioni interne per il trasporto di bombe. Art. 65 (56 Pr.) 1. - Il personale dell'Aeronautica italiana, compreso quello del!':, viazione per la Marina, non potrà superare i 25.000 uomini, fra personale combattente, dei servizi e dei comandi. 2. - All'infuori del personale che faccia parte dell'Aeronautica italiana, nessun'altra persona dovrà ricevere, sotto qualsiasi forma, un'istruzione aeronautica militare, come definita dall'allegato XIII/ B.
Art. 66 (57 Pr.) Il personale dell'Aeronautica italiana in soprannumero a quello autorizzi.to dal precedente articolo 65, dovrà esser congedato entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente trattato.
Sezione VI - Trattamento del matèriale bellico (come è definito dall'alleg. XIIJl(.i Art. 67 (58 Pr.) 1. - Tutto il materiale bellico italiano in eccedenza a quello consentito per le Forze Armate di cui alle precedenti sezioni III, IV e V, dovrà essere messo a
596 disposizione dell'Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America e della Francia, in conformità delle istruzioni che dette Potenze potranno dare ali 'Italia. 2. - Tutto il materiale bellico di provenienza alleata in eccedenza a quello consentito per le Forze Armate di cui alle precedenti sezioni Itl, TV e V, dovrà esser messo a disposizione della Potenza Alleata o Associata interessata, in con· formità delle istruzioni che la stessa Potenza darà all'Italia. 3. - Tutto il materiale bellico di provenienza tedesca o giapponese in ecce· denza a quello consentito per le Forze Armate di cui alle precedenti sezioni ITl. IV e V, e tutti i progetti di provenienza tedesca o giapponese - compresi i prototipi, i modelli sperimentali, le copie cianografiche e i piani esistenti - dovranno esser messi a disposizione dei quattro Governi, in conformità delle istruzioni che essi potranno dare ali 'Italia. 4. - L'Italia dovrà rinunciare a tutti i suoi diritti sul materiale bellico sopra citato e dovrà osservare le disposizioni di quest'articolo entro un anno dall'entrata in vigore del presente trattato, fatta eccezione per quanto è disposto nei precedenti articoli 56, 57 e 58. 5. - L'Italia, entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente trattato, for· nirà ai quattro Governi gli elenchi di tutto il materiale bellico in eccedenza.
Sezione VTJ · Azione preventiva contro il riarmo della Germania e del Giappone Art. 68 (59 Pr.) L'Italia s'impegna a prestare alle Potenze Alleate e Associate tutta la sua collaborazione per impedire che la Germania e il Giappone possano adottare, fuori dei rispettivi territori, misure tendenti al loro riarmo. Art. 69 (60 Pr.) L'Italia s'impegna a non permettere l'impiego e l'addestramento in Italia di tecnici - ivi compreso il personale dell'aviazione militare o civile - che siano o siano stati cittadini della Germania o del Giappone. Art. 70 (61 Pr.) L'Italia s'impegna a non acquistare o fabbricare alcun aereo civile di progettazione tedesca o giapponese o nel quale importanti elementi siano di fabbri· cazione o di progettazione tedesca o giapponese.
Sezione VITI . Prigionieri di guerra Art. 71 (62 Pr.) 1. - I prigionieri di guerra italiani saranno rimpatriati al più presto pos· sibile, in conformità degli accordi conclusi tra l'Italia e ciascuna delle Potenze che li detengono. 2. - Tutte le spese, comprese quelle per il loro mantenimento, incontrate per il trasferimento dei prigionieri di guerra italiani dai loro luoghi di raccolta, scelti dal Governo della Potenza Alleata o Associata interessata, al luogo del loro arrivo in territorio italiano, saranno a carico del Governo italiano.
597 Sezione IX - Dragaggio delle mine Art. 72 (non esisteva nel progetto) A decorrere dall'entrata in vigore del presente traHato, l'Italia sarà invitata a entrare a far parte della Commissione per la zona mediterranea dell'Organi7.zazione Internazionale per il dragaggio delle mine nelle acque europee e manterrà a disposizione della Commissione Centrale per il dragaggio delle mine tutte le sue unità destinate a questo fine, sino alla fine del periodo del dragaggio postbellico delle mine, come verrà stabilito dalla Commissione Centrale.
PARTE V RITIRO DELLE FORZE ALLEATE Art. 73 (63 Pr) I . - Tutte le Forze Armate delle Potenze Alleate e Associate dovranno esser ritirate dall'Italia al più presto possibile e comunque non oltre novanta giorni dall'entrata in vigore del presente trattato. 2. - Tutti i beni italiani per i quali non sia stato corrisposto un compenso e che si trovino in possesso delle Forze Armate delle Potenze Alleate e Associate in Italia, all'entrata in vigore del presente Trattato dovranno esser restituiti al Governo italiano entro lo stesso periodo di novanta giorni o dovranno dar luogo alla corresponsione di un adeguato compenso. 3. - Tutte le somme in banca e in contanti di. cui, all'entrata in vigore del presente trattato, le Forze delle Potenze Alleate e Associate abbiano la disponibilità e che siano state fornite gratuitamente dal Governo italiano, dovranno esser restituite ugualmente o dovranno dar luogo a un equivalente accreditamento a favore del suddetto Governo.
PARTE Xl CLAUSOLE FINALI Art. 86 (75 Pr.) J. - Durante un periodo che non supererà i diciotto mesi a decorrere dall'entrata in vigore del presente trattato, gli ambasciatori in Roma dell'Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America e della Francia, agendo di concerto, rappresenteranno le Potenze Alleate e Associate per trattare con il Governo italiano tutte le questioni relative aWesecuzione e all'interpretazione del presente trattato. 2. - I quattro ambasciatori daranno al Governo italiano i consigli, i pareri tecnici e i chiarimenti che potranno esser necessari per assicurare l'esecuzione rapida e fattiva del presente trattato, sia nella lettera che nello spirito. 3_ - Il Governo italiano fornirà ai quattro ambasciatori tutte le informazioni necessarie e tutta l'assistenza che essi potranno richiedere nell'esercizio delle funzioni ad essi conferite dal presente trattato.
598 Art. 87 (76 Pr.) 1. - Salvo il caso che una diversa procedura sia specificamente preveduta da altro articolo del presente trattato, qualsiasi controversia relativa all'interpretazione o all'esclusione del trattato stesso, che non sia stata regolata con negoziati diplomatici diretti, sarà sottoposta ai quattro ambasciatori, agenti come è stabilito dall'articolo 86. 1n tal caso però gli ambasciatori non saranno vincolati all'osservanza dei termini di tempo fissati in detto articolo. Ognuna di queste controversie che essi non dovessero aver risolto entro due mesi, a richiesta di una delle parti in conflitto, sarà sottoposta - salvo il caso che queste si siano accordate su un altro modo di dirimere la controversia - ad una Commissione composta . da un rappresentante di ciascuna di esse e da un terzo membro. da esse scelto di comune accordo tra i cittadini di un terzo Stato. Qualora ~ntro un mese non sia stato raggiunto tra le due parti un accordo sulla designazione del terzo membro, ciascuna di esse potrà chiedere al Segretario Generale delle Nazioni Unite di procedere alla relativa designazione. 2. - La decisione presa da parte della maggioranza della Commissione costituirà la decisione di questa e sarà accettata dalle parti come definitiva e vincolante.
Art. 88 ( 77 Pr.) I. - Ogni membro delle Nazioni Unite non firmatario del presente trattato, il quale sia in guerra con l'Italia. come pure l'Albania, potrà aderire al trattato e, dal momento dell'adesione. sarà considerato. ai fini del trattato stesso, una Potenza Associata. 2. - Gli atti di adesione saranno depositati presso il Governo della Repubblica francese e avranno vigore dal momento del loro deposito.
Art. 89 (non esisteva nel progetto) Le disposizioni del presente ·trattato non conferiranno alcun diritto o beneficio ad alcun degli Stati indicati nel preambolo come Potenze Alleate e Associate, o ai rispettivi cittadini. sino a quando detto Stato non sarà divenuto parte del trattato con il deposito del proprio atto di ratifica. Art. 90 (78 Pr.) Il presente trattato. i cui testi francese , inglese e russo sono quelli autentici, dovrà esser ratificato dalle Potenze Alleate e Associate. Esso dovrà esser ratificato anche dall'Italia. Esso entrerà in vigo~ immediatamente dopo il deposito delle ratifiche da parte dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, del Regno Unito di Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord, degli Stati Uniti d'America e della Francia. Gli atti di ratifica saranno depositati, nel più breve termine possibile, presso il Governo della Repubblica francese. Per quanto concerne ciascuna delle Potenze Alleate o Associate i cui atti di ratifica saranno depositati successivamente, il trattato entrerà in vigore alla data del deposito. 11 presente trattato sarà depositato negli archivi del Governo della Repubblica francese che ne rimetterà copia certificata conforme a ognuno degli Stati firmatari.
599 ALLEGATO XII (4) (Vedi l'art. 56) I nomi delle navi elencate nel presente allegato sono quern che erano in uso nella Marina italiana alla data del 1° giugno 1946. A) ELENCO DELLE NAVI CHE L'ITALIA POTRA' CONSERVARE NAVI DA COMBATTIMENTO MAGGIORI
Navi di linea Andrea Doria Caio Duilio
Incrociatori Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Giuseppe Garibaldi Raimondo Montecuccoli Luigi Cadorna
Cacciatorpediniere Carabiniere Granatiere Grecale Nicoloso da Recco
Torpediniere Giuseppe Cesare Abba Aretusa Calliope Giacinto Carini Cassiopea Clio Nicola Fabrizi Ernesto Giovannini Libra Monzambano Antonio Mosto Orione Orsa Rosolino Pilo Sagittario Sirio
Corvette Ape Baionetta Chimera Cormorano Danaide Driade (4) E' l'allegato IV del progetto di trattato di pace.
600 Fenice Flora Folaga Gabbiano Gru Ibis Minerva Pellicano Pomona Scimitarra Sfinge Sibilla Urania Più una corvetta da ricuperare, completare o costruire (5)
NAVI DA COMB'ATTIMENTO MINORI
Dragamine R.D. Nr. 20, 32, 34, 38, 40, 41, 102, 103, 104, 105. 113, 114, 129, 131, 132, 133, 134, 148, 149, nonché 16 unità del tipo YM<; acquistate dagli Stati Uniti d'America (6 )
Vedette VAS Nr. 201, 204, 211 , 218, 222, 224, 233, 235
NAVI AUSILIARIE
Navi cisterna per nafta Nettuno Lete
Navi cisterna per acqua Arno Frigido Mincio Ofanto Oristano Pescara Po Sesia Simeto Stura Tronto Vipacco
(5) (N.d.T.) Sarà la corvetta Bombarda. (6) (N.d.T.) Si tratta dei 16 dragami!1P. magnetici costieri da 290 tonn. standard di dislocamento della classe • Fiori • (Azalea, Begonia, Dalia etc.).
601 Rimorchiatori (grandi)
Abbazìa Asinara Atlante Capraia Chioggia Emilio Gagliardo Gorgona Licosa Lilibeo Linosa Mestre Piombino Porto Empedocle Porto Fossone Porto · Pisano Porto Rose Porto Recanati San Pietro San Vito Ventimiglia Rimorchiatori (piccoli)
Argentario Astico Cordevole Generale Pozzi Irene Passero Porto Rosso Porto Vecchio San Bartolomeo San Benedetto Tagliamento Nr. I Nr. 4 Nr. 5 N r. 9 Nr. 22 Nr. 26 Nr. 2.7 Nr. 32 Nr. 47 Nr. 52 Nr. 53 Nr. 78 Nr. 96 Nr. 104 [Rimorchiatori lagunari]
R.L.
t
602 R.L. 3 R.L. 9 R.L. 10 Nave scuola
Amerigo Vespucci Navi trasporto
Amalia Messina Montegrappa Tarantola Nave appoggio
Giuseppe Miraglia Nave officina
Antonio Pacmotti (nave appoggio sommergibili, da trasformare) Navi idrografiche
Azio (nave posamine. da trasformare) Cherso Nave per il servizio fari
BuffoluLo Nave posacavi
B) ELENCO DELLE NAVI CHE DOVRANNO ESSER MESSE A DISPOSIZIONE DEI GOVERNI DELL'UNIONE SOVIETICA, DEL REGNO UNITO, DEGLI STATI UNITI D'AMERICA E DELLA FRANCIA NAVI DA COMBATTIMENTO MAG<.;/ORI Navi di linea
Giulio Cesare Italia Vittorio Veneto /n.crocéarori
Emanuele Filiberto Duca d'Aosta Pompeo Magno ALtiiio Regolo Eugenio di Sarnia Scipione Africano Nave coloniale
Eritrea Cacciatorpediniere
Artigliere Fuciliere Legionario Mitragliere
603 Alfredo Oriani Augusto Riboty Velite
Torpediniere . Aliseo Animoso Ardimentoso Ariete Fortunale Indomito
Sommergibili Alagi Atropo Dandolo Giada Marea Nichelio Platino Vortice NAVI D.4 COMBATTIMENTO MINORI
Motosiluranti MS Nr. Il, 24, 31, 35. 52 . 53. 54. 55. 61. 65. 72, 73, 74. 75 MAS Nr. 433, 434, 510. 514, 516, 519, 520. 521, 523, 538, 540, 543. 545. 547. 562
ME Nr. 38. 40, 41
Dragamine RD Nr. 6. 16, 21. 25 . 27, 28. 29
Cannoniera Illiria
Vedette VAS Nr. 237. 240. 241. 245, 246, 248
Unità da sbarco MZ Nr. 713, 717. 722, 726, 728, 729. 737. 744. 758. 776, 778. 780. 781. 784. 800. 831
NAVI .4USJUARII::
Navi cisterna per nafta Prometeo Stige Tarvisio Urano
Navi cisterna per acqua Anapo Aterno
604 Basento Bisagno Dalmazia Idria Isarco Istria Liri Metauro Polcevera Sprugola Timavo Tirso Rimorchiatori (grandi)
Arsachena Basiluzzo Capo d'Istria Carbonara Cefalù Ercolt Gaeta Lampedusa Lipari Liscanera Marechiaro Mesco Molara Nereo Porto Adriano Porto Conte Porto Quieto Porto Torres Porto Tricase Procida Promontore Rapallo Salvore Sant'Angelo Sant'Antìoco San Remo Talamone Taormina Teulada Tifeo Vado Vigoroso Rimorchiatori (piccoli)
Generale Valfré Licata Noli
605 Volosca Nr. 2 Nr. 3 Nr. 23
Nr. 24 Nr. 28 Nr. 35 Nr. 36 Nr. 37 Nr. 80 Nr. 94 Nave --appoggio .
Anteo Nave scuola
Cristoforo Colombo Nave posamine ausiliaria
Fasana Navi trasporto
Giuseppe Messina Montecucco Panigaglia
ALLEGATO XIII (7)
DEFINIZIONI A) TERMINI
NAVALI (Vedi l'art. 59)
Dislocamento standard
Il dislocamento standard di una nave di superficie è il dislocamento della nave ultimata, con l'equipaggio al completo, le macchine e le caldaie, pronta a muovere, avente tutto il suo l'armamento e tutte le sue munizioni. le sue jnstallazioni, il suo equipaggiamento, i viveri, l'acqua potabile per l'equipaggio, le provviste diverse e i materiali di ogni tipo che deve portare in tempo di guerra, ma senza combustibile e acqua di riserva per l'alimentazione delle caldaie. Il dislocamento standard è espresso in tonnellate inglesi (Kh. 1016). Navi da combattimento
E' considerata nave da combattimento, qualunque sia il suo dislocamento: I) la nave specialmente costruita o adattata per esser un'unità da combattimento nelle operazioni navali. anfibie o aeronavali, oppure (/) E' l'allegato V del progetto di trattato di pace, nel quale non c'era però la parte D (Definizione dei termini • smilitarizzazione" e • smilitarizzato•).
606 2) la nave che abbia una delle seguenti caratteristiche: (a) esser armata con un cannone di calibrv superiore a 4,7 pollici (120 mm.): (b) esser armata con più di quattro cannoni di calibro superiore a 3 pollici (76 mm.); ( c) esser progettata o attrezzata per il lancio di siluri o la posa di mine; ( d) esser progettata o attrezzata per il Lancio di proiettili ad autopropulsione o guidati; (e) esser progettata per esser protetta con corazze di spessore superiore a J pollice (25 mm.); (f) esser progettata o adattata principalmente per l'impiego in mare di
aerei; (g) esser dotata di più di due catapulte per il lancio di aerei; (h) esser progettata per una velocità superiore a venti nodi ed esser armata con un cannone di calibro superiore a 3 pollici (76 mm.). La nave da combattimento della sottocategoria J) non è più considerata tale dopo venti anni dalla sua entrata in servizio, a condizione che sia stata privata di tutte le sue armi.
Nave di linea Nave di linea t' la nave da combattimento. diversa da una nave portaerei, il cui dislocamento standard superi le 10.000 tonnellate [inglesi] o che sia munita di un cannone di calibro superiore a 8 pollici (203 mm.).
Nave portaerei Nave portaerei è la nave da combattimento di qualsiasi dislocamento la quale sia stata progettata o adattata principalmente per il trasporto e l'impiego di aerei.
Sommergi•bile Sommergibile è la nave progettata per navigare al di sotto della superficie del mare.
Tipi specializzati di navi d'assalto I. - Tutti i tipi di imbarcazioni specialmente progettate o adattate per operazioni anfibie. 2. - Tutti i tipi di piccole imbarcazioni specialmente progettate o adattate per portare una carica esplosiva o incendiaria per l'attacco di navi o porti.
Motosilurante La nave di dislocamento inferiore alle 200 tonnellate [inglesi) avente una velocità di oltre 25 nodi e impiegante siluri.
607 8) ISTRUZIONE MILITARE AERONAUTICA E N.4.VALE
(Veui gli articoli 60, 63 e 65) 1. - L'istruzione militare (terrestre) è definita come segue: lo studio e la pratica dell'impiego di materiale bellico specialmente progettato o adattato per fini mìlitari (terrestri]. e dei relativi mezzi di addestramento; lo studio e l'esecuzione di esercitazioni o di manovre dirette a insegnare o compiere le evoluzioni effettuate dalle for·zc combattenti durante la battaglia; lo studio organico della tattica, della strategia e del lavoro di stato maggiore.
2. - L'istruzione militare aeronautica è definita come segue: lo studio e la pratlca dell'impiego di materiale belli<.:o specialmentt progettato o adattato per fini militari aeronautici, e dei relativi mezzi di addestramento; lo studio la pratica di tutte le speciali e\'oluzioni, compreso il volo in formazione, compiute da aerei ndl'effettuare una missione militare aeronautica; lo studio organico della tattica aeronautica, della strategia e del lavoro di stato maggiore.
e
3. - L'istruzione navale è definita come segue: lo studio e la pratica dell'impiego di navi da guerra o di impianti navali, nonche lo st,1dio e l'impiego dei relativi congegni e dispositivi di addestramento usati per la condotta della guerra navale, eccezion fatta per quelli usati normalmente anche per scopi civili; ,''insegnamento, la pratica e lo studio organico della tattica navale, della strategia e del lavoro di stato maggiore, ivi compresa l'esecuzione di qualsiasi operazione e manovra non necessaria per l'impiego pacifico delle navi. C) DEFINIZIONE ED ELENCO DEL MATERIALE BELLICO
(Vedi l'art. 67) Il termine « materiale bellico», quale è usato nel presente trattato, comprende le armi, le munizioni e i materiali specialmente progettati u adattati per usi bellici, di cui all'elenco che segue. Le Potenze Alleate e Assodate si riservano n diritto di modificare periodicamente tale elenco alla luce det~li sviluppi scientifici futuri .
Categoria I 1. - · Fucili, carabine, rivoltelle e pistole di tipo militare; canne per· tali armi e altri pezzi di ricambio non facilmente adt>ttabili per usi civili. 2. - Mitragliatrici, fucili da g1.,erra automatici o a ripetizione è piswle mitraglia~rici: canne per tali armi e altri pezzi di ricambio non facilmente adattabili per us.i civili; affusti per mitragliatrici. 3. - Cannoni, obici, mortai, cannoni speciali per aerei, cannoni senza culatta o senza rinculo, lanciafiamme; canne per tali armi e altri pezzi di ricambio non facilmente adattabili per usi civili; affusti mobili e fissi per dette armi. 4. -- Lanciarazzi; meccanismi di lancio e di controllo per proiettili ad auto· propulsione e guidati; affusti relativi. 5. -- Proiettili ad autopropulsione e guidati, proiettili [comuni), razzi, cariche, carrucce, sia cariche che scariche, per le armj indicate nei precedenti para· grafi da 1 a 4 nonché detonatori, cannelli o congegni per farli esplodere o funzionare, fat ta eccezione per i detonatori nect~ssari per usi civili. 6. - Granate, bombe, siluri, mine, cariche di profondità, l:ariche o mate-
608 riali incendiari, sia carichi che scarichi; tutti i congegni per farli esplodere o funzionare, fatta eccezione per i detonatori necessari per usi civili. 7. - Baionette.
Categoria II I. - Veicoli da combattimento corazzati; treni armati, tecnicamente non trasformabili per usi civili. 2. - Veicoli meccanici e ad autopropulsione per le anni della Categoria I: telai o carrozzerie militari di tipo speciale, diversi da quelli indicati nel precedente paragrafo 1. 3. - Corazze di spessore supedore a tre pollici, usate in guerra a scopo protettivo.
Categoria lii I. - Strumenti di puntamento e di calcolo per il controllo del tiro; strumenti per la direzione del tiro; congegni di puntamento per cannoni ; congegni di puntamento per il lancio di bombe; graduatori di spoletta: attrezzature per la taratura dei cannoni e degli strumenti di controllo del tiro. 2. - Materiale e imbarcazioni per la posa di ponti d'assalto. 3. - Dispositivi per stratagemmi di guerra e per ingannare il nemico. 4. - Equipaggiamento militare di tipo speciale per il personale, non facilmente adattabile per usi civili.
Categoria IV I. - Navi da guerra di ogni tipo, comprese quelle trasformate e le imbarcazioni progettate o destinate al loro servizio o sostegno, che non possano tecnicamente esser trasformate per usi civili, non~hé le armi, le corazze, le munizioni, gli aerei e ogni altro impianto, materiale, macchinario e installazione usato soltanto, in tempo di pace, sulle navi da guerra. 2. - Imbarcazioni da sbarco e veicoli o materiali anfibi di ogni tipo; imbarcazioni o materiali d'assalto di ogni tipo; catapulte o altri apparati per il lancio di aerei, razzi, armi a propulsione, o qualsiasi altro proiettile, strumento o congegno, sia con equipaggio che senza, sia guidato che no. 3. - Navi, imbarcazioni, armi, congegni o apparati di qualsiasi tipo, sommergibili o semisommergibili. comprese le ostruzioni specialmente progettate per la difesa dei porti, ma fatta eccezione per il materiale necessario per ricuperi. salvataggi o altri usi di carattere ci\'ile; le attrezzature, i pezzi di ricambio, i dispositivi di sperimentazione o di addestramento, gli strumenti o le installazior i specialmente progettali per la costruzione, il collaudo, la manutenzione o il ri.::c vero di dette navi, imbarcazioni, armi, congegni o apparati. Categoria V
I. - Aerei, mon tati o smontati, più pesanti o più legger i dell 'aria, progettati o adattati per il combattimento aereo mediante l'impiego di mitragliatrici, di lanciarazzi o di pezzi di artiglieria, o per il trasporto e il lancio d1 hombe.
609 oppure che siano provvisti di uno qualunque dei dispositivi di cui al seguente paragrafo 2 o che, per il modo in cui sono stati progettati o costruiti , possano esser dotati di uno dei suddetti dispositivi. 2. - Affusti per cannoni per aerei, portabombe. portasiluri. attrezzature per lo sganciò di bombe e siluri, torrette e cupole per cannoni. 3. - Equipaggiamento specialmente progettato per le truppe aerotrasportate e usato soltanto dalle stesse. 4. - Catapulte o apparati per il lancio di aerei imbarcati o di base a terra o per idrovolanti; apparati per il lancio di proiettili volanti. 5. - Palloni da sbarramento.
Categoria V I Prodotti asfissianti, mortali, tossici o idonei a mettere fuori combattimento. destinati a fini bellici o fabbricati in quantitativi superiori ai bisogni civili.
Categoria V I I P ropellenti, esplosivi. materiale pirotecnico o gas liquidi destinati alla propulsione. all'esplosione o alla carica del materiale bellico di cui alle precedenti categorie, o destinati a esser usati in connessione con il materiale bellico stesso, i quali non possano esser utilizzati a scopi civili o che siano fabbricati in quantitativi superiori ai bisogni civili.
Categoria V Ili Impianti e macchinari industriali specialmente progettati per la produzione e la manutenzione dei materiali sopra indicati e che non possano esser tecnicamente trasformati per usi civili.
D) DEFINIZIONE
DEI
TERMINI
• SMILlTARIZZAZIONE .
E
SM!LlTARIZ-
ZATO »
(Vedi gli articoli 11, 14, 49 e l'articolo 3 dell'allegato Vl) (8) Ai fini del presente trattato i termini «smilitarizzazione » e « smilitarizzato » comportano il divieto, nel territorio e nelle acque territoriali di cui trai· tasi: di installazioni e di fortificazioni navali, militare ed aeree e dei loro armamenti; di ostacoli militari, navali ed aerei artificiali; dell'istruzione militare in tutte le forme; della fabbricazione di materiale bellico. Tale divieto non si estende al personale per la sicurezza interna e all'istruzione militare che gli è necessaria purché tale personale non superi il numero che è indispensabile per far fronte ai comp1t1 di carattere interno e purché sia dotato di armi che possano essei· trasportate e impiegate da una sola persona.
(8) (N.d.T.) Gli articoli li l' 14 del trattato e l'art. J ddJ'allegaLo VI. Qui non t"Ì· portati, riguardavano rispettivamente l'isola di Pelagosa. le isole del Dodecanneso e il Territorio Libero di Trieste che - come le isole di Pantelleria, Lampedusa, Lampione, Lincsa e Pianosa (art. 49) - dove\·ano esst:re e rimanere smilitarizzati.
610 ALLEG. 21
Intervista concessa dall'amm. R. de Courten in occasione delle sue dimissioni da Capo di Stato Maggiore della Marina e della sua richiesta di cessazione dal servizio permanente effettivo. ( « Giornale d'Italia .,. del 24 dicembre 1946).
Domanda Il Paese è rimasto colpito nell'apprendere le sue dimissioni interpretandole come una protesta contro le clausole del trattato di pace riguardanti la Marina. Cosa può dirci?
Risposta - In realtà la ragione principale che mi ha indotto a lasciare la carica di Capo di Stato Maggiore della Marina e a chiedere l'allontanamento dal servizio permanente effettivo deve ricercarsi nelle clausole del trattato di pace. Non occorre che ricordi che l'applicazione leale dell'armistizio da parte nostra è stata decisa in relazione ai testi dell'armistizio « breve ,. e, soprattutto, del documento chiamato di Quebec, ossia di quel documento nel quale Churchill e Roosevelt prendevano impegno di modificare in senso favorevole all'Italia le condizioni dell'armistizio ( e non vi era allora che l'armistizio « breve ») in dipendenza della maggiore o minore partecipazione dell'Italia alla guerra contro la Germania. In nessuno dei due documenti vi era alcun cenno né alla resa a discrezione, né a un cambio di bandiera; si parlava unicamente di un trasferimento della flotta in porti sotto controllo alleato. Voglio notare a questo riguardo che nel « libro bianco » pubblicato dal Governo britannico il 6 novembre 1945, sono stati resi di pubblica ragione tutti i documenti relativi all'armistizio. Non è stato inesplicabilmente compreso tra di essi il « documento di Quebec», che era stato elemento determinante nell'atteggiamento della flotta. Durante il periodo di guerra contro la Germania, la mia opera è stata diretta precipuamente a incitare Stati Maggiori ed equipaggi a compiere .il loro dovere, spesso nelle più difficili condizioni di vita materiale, nella certezza che i sacrifici da essi compiuti sarebbero stati esattamente valutati nel quadro del « documento di Quebec ». Viceversa le clausole navali del progetto di trattato, quali erano state formulate dai quattro Ministri degli Esteri nelle riunioni di Parigi della primavera scorsa, avevano impostato il problema su una riduzione della flotta italiana ad un determinato livello (il qua}e appariva oltremodo basso, anche per i semplici compiti di autodifesa previsti dallo statuto dell'O.N.U.) ma soprattutto sul criterio di considerare la resìdua parte della flotta italiana come bottino di guerra. Questa tesi, sebbene giustificata dai compilatori del progetto di trattato con considerazioni superiori di ordine politico, non poteva assolutamente es·s ere accolta. Ouest'è la ragione per la quale nel luglio scorso. non appena il progetto
611 di trattato vennt: reso noto. presentai le mie dimissioni da Capo di Stato Maggiore della Marina, alle quali soprassedetti solo in seguito all'invito esplicito del Governo di portare la mia testimonianza nelle trattative che si sarebbero svolte a breve scadenza durante la Conferenza di Parigi. Si deve tener presente che in tutti i documenti che avevo compilato come Ministro della Marina (e che erano stati accettati dal Governo italiano per la presentazione a tutti i Governi interessati) per chiarire il punto di vista italiano sulla futura sorte della Marina, avevo sempre sostenuto. come sostengo, che il considerare la flotta italiana come bottino di guerra era ingiusto, immorale e lesivo dell'onore della Marina stessa. Devo anche ricordare che, nell'accordo da me concluso con l'amm . Cunningham nel settembre 1943 a Taranto, era stato esplicitamente stabilito che eventuali trattative per il risarcimento dei danni inflitti dalla Marina italiana alle Marine alleate nel corso della guerra 1940-1943 avrebbero dovuto svolgersi mediante negoziati fra Governi. Durante la Conferenza di Parigi il punto di vista del Governo italiano nei riguardi del problema navale fu di nuovo largamente esposto e commentato, sia in colloqui particolari che in seduta plenaria. sempre sostenendosi che la soluzione adottata avrebbe dovuto essere tale da salvaguardare il buon diritto e l'amor proprio della Marina italiana. La delegazione australiana. ad esempio, aveva presentatO una proposta (la quale sarebbe stata accettabile da parte nostra) secondo la quale l'eccedenza della flotta italiana avrebbe dovuto essere messa a disposizione dell'O.N.U. , in attesa di un piano generale di disarmo, nell'intesa che, qualora questo piano non fosse stato concretato entro un determinato termine di tempo, l'eccedenza stessa avrebbe dovuto essere demolita a vantaggio dell'economia italiana. Ma le richieste italiane e le proposte delle delegazioni che erano entrate nello spirito della necessità di salvaguardare i diritti della Marina italiana. non ottennero alcun risultato. Quando ebbi conoscenza che il trattato definitivo concretato a New York era ispirato agli stessi criteri del progetto di trattato preparato e discusso a Parigi, mi ritenni nella necessità morale di presentare le dimissioni da Capo di Stato Maggiore e di chiedere l'allontanamento dal servizio permanente effettivo, decisione che mi è stata molto dolorosa, ma che rispondeva ad un imperativo di coscienza.
Domanda -
La Marina che il trattato di pace ci lascia risponde alle no-
stre esigenze?
Risposta - Come ho già accennato, la Marina che ci viene lasciata è insufficiente al minimo di autodifesa. Sono soprattuttu deplorevoli le imposizioni di non conservare motosiluranti e sommergibili, che sono mezzi tipici per la difesa. Per quanto riguarda il rimanente naviglio, si deve tener presente che tutto il problema del futuro aspetto della guerra marittima e in via di rapida c::voluzione in conseguenza dei progressi tecnici realizzati nei mezzi di guerra, e che, d'altra parte, tutto il naviglio, uscito da un periodo di intensissima attività, si trova in condizioni di efficienza relativa. fn ultima analisi la Marina che ci viene lasciata, se fosse integrata da nuclei, anche limitati, di motosiluranti e di sommergibili potrebbe consentirci di
612 lluperare il periodo dj transmone tra la fine dela guerra ed una eventuale ed au· spicabile ripresa di una politica marittima italiana.
Domanda - Quali sono state le Sue relazioni con le autorità navali inglesi in questo periodo? Risposta - Sono state sempre ottime, ed ho trovato sempre nel campo navale britannico la più larga comprensione degli stati di spirito della Marina itaUana, il più leale apprezzamento dell'opera svolta dalla stessa nella guerra contro di loro e in quella con loro, nonché la manifestazione della comprensione della necessità per l'Italia di una Marina forte e disciplinata. Il contrasto tra le manifestazioni dei Capi navali britannici e le clausole navali del trattato di pace, può trovare la sua spiegazione nell'intervento dei fattori politici, per i quali evidentemente il problema navak era soltanto una faccia di un problema molto più vasto e più complesso.
613
ABBREVIAZIONI USATE
add. nav. = addetto navale Aer. Aeuronautica amb. = ambasciatore amm. ammiraglio amm. div. ammiraglio di divisione amm. squad. = ammiraglio di squadra A.N. = anni navali (Corpo di ufficiali) Avv. = avviso cap. capitano cap. corv. = capitano di corvetta cap. freg. capitano di fregata cap. vasc. = capitano di vascello Cap. = capitolo Capo S.M. = Capo di Stato Maggiore Capo S.M. Gen. Capo di Stato Maggiore Generale col. = colonnello Comm. = commissario (Corpo di Ufficiali) contramm. contrammiraglio Cor. = corazzata Corv. corvetta Ct. cacciatorpediniere ci'isl. dislocamento disl. stand. dislocamento standard Drag. dragamine ed. = edizione fg. = foglio gen. = generale G.N. genio navale (Corpo di ufficiali) Incr. facrociatore magg. = maggiore maresc. = maresciallo M.A.S. = motoscafo antisommergibHi Min. Aff. Est. = Ministero degli Affari Esteri Min. Dif.-Mar. Ministero della Difesa . Marina Min. Mar. = Ministero della Marina min. pleo. ministro plenipotenziario = motosilurante M.S. motozattera M.Z. N. cist. nave cisterna N.p.a. nave portaerei N. trasp = nave trasvorto nr. = numero on. onorevole
=
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61 4 op. cit. bibl. pg,
par. Petr. Pm. Rim. S.M. segr. leg. sen. Sez. Smg. telegr. telesp. ten. col. ten. vasc. tonn. tonncll. Torp.
V.A.S.
= opera citata in bibliografia
= pagina = paragrafo
= petroliera = posamine
= rimorchiatore
= Stato Maggiore = segretario di legazione
= senatore = sezione
= sommergibile = telegramma = telespresso
= tenente colonnello
= tenente di vascello
= tonnellata = tonnellaggio = torpediniera
= vedetta antisommergibili
615
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Comunità Internazionale " uova Antologia • « Politica Estera• « Rassegna di politica e di storia • « Relazioni Internazionali• « Rivis ta di studi politici internazionali• « Rivista Marittima• ~ Storia contemporanea • «
C) PrincipaU documenti (oltre alla ricca documentazione dell'Ufficio Storico della Marina Militare). ALLIED COMMISSION IN ITALY: « A Review of Allied Military Govemment and of the Allied Commission in ltaly - July 10, 1943 to May 2, 1945 • - Roma, 1945. AMBROSIO gen. VITTORIO: « Relazione • sugli avvenimenti dalla perdita della Tunisia (maggio 1943) alla cessazione dalla carica di Capo di Stato Maggiore General e (novembre 1943). (Dattiloscritto di 106 pagine e 4 allegati, datato 15 dicembre 1943). BRIVONESI amm. BRUTO: « Diario degli awenimenti dal 6 al 10 settembre 1943 ,. (Dattiloscritto di 9 paginc con 8 allegati, datato 14 ottobre 1943). DA ZARA arnm. ALBERTO: « Diario degli awenimenti dal 6 settembre al 18 ottobre 1943 • (Dattiloscritto di 57 pagine). de COURTEN amm. RAFFAELE: « Ordini emanati dallo Stato Maggiore della R. Marina prima, all'atto e dopo l'armistizio in relazione "alle comunicazioni e agli ordini del Capo di Stato Magiiorc Generale • (Relazione dattiloscritta di 15 pagine, datata 12 febbraio 1944, redatta a Taranto, in gran parte a memoria per mancanza di documenti). DEPARTMENT OF STATE: « United States and Italy, 1936-1946 . Documentary Record • . Washington, 1946. DEPARTMENT OF STATE: « Making thc Peace Trcaties • . Washington, 1948.
619 DEPARTMENT OF STATE: « Foreign Relations of the United States ». Di questa collana sono stati consultati i seguenti volumi, citandoli come « Foreign Relations » con l'indicazione dell'anno cui si riferiscono e del numero del volume: - « The Paris Peace Conference 1919 • - Voi. V - Washington, 1944. - « The Conference at Cairo and Tehran 1943 • - Washington, 1961. - « Diplomatic Papers 1943 . Voi. I . Generai» Washington. 1963. - « Diplomatic Papers 1943 Voi. II . Europe • Washington, 1964. - « Diplomatic Papers 1944 Voi. III • . Washington, 1965. - « Diplomatic Papers 1945 Voi. II - Generai . Political and Economie Matters • · Washington, 1967. - « Diplomatic Papers 1945 - Voi. IV . Europe » • Washington, 1968. « Council of Foreign Ministers • - 1946 . Voi. II - Washington, 1970. « Paris Peace Conference - Proceedings • . 1946 - Voi. III . Washington, 1970. « Paris Peace Conference - Documents • - 1946 . Voi. IV - Washington, 1970. - « The British Commonwealth - Western and Centrai Europe • . 1946 - Voi V · Washington, 1969. « Eastern Europe • The Soviet Union • - 1946 - Voi. VI . Washington, 1969. GIURIATI cap. vasc. ERNESTO - « Relazione sugli avvenimenti dal 6 al 23 settembre 1943 » (Dattiloscritto di Il pagine, datato 16 giugno 1944). MINISTERO DEGLI AflFARI ESTERI: « La frontière italo-jugoslave - Déclarations officielles et autres documents présentés par le Gouvernment Italien au Conseil des Ministres des Affaires Etrangères (Septembre 1945-Juillet 1946) avec une Préface • Roma - agosto 1946. MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI: « Considerazioni generali relative all'ordinamento delle Forze Armate italiane nei riguardi del trattato di pace •. (Memorandum introduttivo ai tre che seguono) · Roma . aprile 1946. MINISTERO DELL'AERONAUTICA: « Considerazioni relative all'Aviazione Militare nei riguardanti <lei trattato di pace» . Roma, aprile 1946. MINISTERO DELLA GUERRA: « Considerazioni relative all'Esercito nei riguardi del trattato di pace » • Roma, aprile 1946. MINISTERO DELLA MARINA: « Considerazioni relative alla Marina Militare nei riguardi del trattato di pace » - Roma, aprile 1946. MINISTERO DELLA MARINA . « Considerazioni relative alla Marina Mercantile nei riguardi del trattato di pace • - Roma, maggio 1946. MINISTERO DELLA MARINA: « Osservazioni del Governo •italiano sulle clausole navali della bozza del trattato di pace» - Roma, luglio 1946. MINISTERO DELLA MARINA: « Osservazioni aggiuntive del Governo italiano sulle clausole navali del progetto del trattato di pace » - Roma, agosto 1946. ** Armistizio fra l'Italia e le Potenze Alleate, firmato a Cassibile il 3 settembre 1943, e l'unito « memorandum di Quebec». ** Accordo Cunningham-de Courten del 23 settembre 1943 sull'impiego e il trattamento della Flotta e della Marina Mercantile italiane. ** Armistizio fra l'Italia e le Potenze Alleate, firmato a Malta il 29 settembre 1943. ** Recueil de textes à l'usage des Conférences de la Paix . Parigi 1946 ** Trattato di pace fra l'Italia e · 1e Potenze Alleate e Associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947.
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INDICE
PRESENTAZIONE
PREMESSA
Pag.
5
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7
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li
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PARTE I GLI ARMISTIZI E LA COBELLIGERANZA
,Cap. I - La situazione militare dell'Italia dal 25 luglio al1'8 settembre 1943 l. La situazione al 25 luglio 1943 . 2. Le Forze italiane e tedesche nella Penisola al 25 luglio e all'S settembre 1943
Cap. II - Le prese di contatto con gli Alleati per l'uscita dal conflitto e la firma a Cassibile dell'« armistizio corto» (3 settembre 1943) 1. Come venne da noi impostato il problema della nostra uscita dal
• 21
conflitto
•
25
3. Le missioni d'Ajeta e Serio
•
32
4. La prima missione Castellano
34
6. La seconda missione Castellano
• • •
7. La firma a Cassible dell'« armistizio corto• (3 settembre 1943)
•
50
•
54
»
63
2. « Armistizio corto» e
« armistizio
lungo•
s. La missione Zanussi
8. Gli articoli Marina
dell'« armistizio
corto• interessanti
specificamente
la
Cap. III - La dichiarazione dell'armistizio e il trasferimento a Brindisi del Governo Cap. IV - L'accordo navale Cunningham-de Courten (23 settembre 1943); la firma a Malta dell'« armistizio lungo »
44 45
622
(29 sellembre 1943); la dichiarazione di guerra alla Germania e la cobelligeranza con gli Alleati (J 3 ottobre 1943) Pag.
I. L'accordo navale Cunningham-de Courten (23 settembre 1943)
73
81
2. La firma Malta dell'« armistizio lungo • (29 settembre 1943) 3. Gli articoli dcli'« armistizio lungo• interessanti specificamente la Marina . . . . . . . . . . . . . . 4. La dichiarazione di guerra alla Germania e la cobelligeranza con gli Alleati (13 ottobre 1943) 5. Le modifiche ali'• armistizio lungo• (9 novembre 1943) e all'accordo na\'ale Cunningham-<le Courten (17 novembre 1943) .
93
•
97
•
101
•
111
•
118
Cap. V - Il periodo della cobelligeranza I. Le operazioni militari per la liberazione della Penisola .
2. L'allargamento del Governo Badoglio e la questione istitu7ionale 3. Il ritorno all'amministrazione italiana di Alleati
territori occupati
dagli
124
4. Tentativi fatti per una revis ione delle clausole armistiziali e il cambiamento della cobc lligera07a in alleanza .
•
128
5. Richiesta di immediata cessione di una rilevante parte della flotta italiana avanzata dall'Unione Sovietica .
•
148
•
163
•
169
6. Trattative con la Spagna per il rilascio delle nostre navi da guerra
da essa internate alle Baleari 1'11 settembre 1943 . 7. L'attività delle Marine da guerra e mercantile italiane nel periodo della cobdligcrann
PARTE H lL TRATTATO DI PACE
Cap. VI - Procedura adottata per la preparazione del progetto e del testo definitivo del trattato di pace
185
Cap. VII - Il confine con la Jugoslavia e il problema marittimo adriatico I . Il punto di vista italiano .
•
193
2. La prima sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (Londra, 11 settembrc-2 ottobre 1945) .
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205
3. I lavori della Commissione incaricata di presentare proposte sul futuro confine tra Italia e Jugoslavia .
•
209
4 La seconda sessione del Consiglio de Ministri degli Esteri (Parigi, 25 aprile-12 luglio 1946) e il progetto di trattato dallo stesso preparato .
•
211
623 5. La Conferenza di Parigi (29 luglio-15 ottobre 1946) . 6. La terza sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (New York, 4 novembre-12 dicembre 1946) e le sue decisioni finali .
Pag
220
•
222
Cap. VIII - Le limitazioni alle opere militari di alcuni nostri territori I. Il punto di vista italiano .
•
225
2. Il progetto di trattato preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri
•
226
3. La Conferenza di Parigi (29 luglio-15 ottobre 1946) e le decisioni finali del Consiglio dei Ministri degli Esteri (New York, 4 novembre-12 di· cembre 1946) .
•
231
1. Il punto di vista italiano .
•
237
2. La prima sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (Londra, 11 settembre-2 ottobre 1945) .
• 243
3. I passi fatti nell'intervallo tra la prima e la seconda sessione del Consiglio dei Ministr,i degli Esteri a sostegno del nostro punto di vista
•
249
4. La seconda sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (Parigi. 25 aprile-12 luglio 1946)
•
261
5. Il progetto di trattato preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri
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277
6. La Conferenza di Parigi (29 luglio-15 ottobre 1946) .
•
'289
7. La· terza sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri (New York, 4 novembre-12 dicembre 1946) e le sue decisioni finali
• 304
Cap. IX - Il trattamento fatto alla Marina Militare
Cap. X - Il trattamento fatto alla Marina Mercantile 1. Il punto di vista italiano
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309
2. Il progetto di trattato preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri
»
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3. La Conferenza di Parigi (29 luglio-15 ottobre 1946) e le decisioni finali del Consiglio dei Ministri degli Esteri (New York, 4 novembre-12 dicembre 1946).
• 323
Cap. XI - Il trattato di pace 1. Il preambolo .
•
2. Le clausole territoriali
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3. Le clausole militari
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332
»
333
A) Limitazioni alle opere militari di alcuni nostri territori
327
624 B) Limitazioni qualitative riguardanti le navi e altro materiale bellico C) Limitazioni quantitative riguardanti la flotta . D) Limitazioni riguardanti gli effettivi della Marina 4. Le clausole riguardanti la Marina Mercantile
Pag.
335
•
337
• 344 •
345
A) Disp0sizioni che imp0nevano di « non fare •
• 346
B) Disposizioni che imponevano di • fare ,.
• 349
5. l.1<1usole varie .
•
350
PARTE III LA FIRMA E L'ESECUZIONE DEL TRATTATO DI PACE
Cap. XII - La firma del trattato e la sua ratifica
• 359
Cap. XIII - La Commissione navale delle quat r ro Potenze
• 365
Cap. XIV - L'esecuzione delle clausole del trattato riguardanti la flotta I. La ripartizione e la consegna delle unità che dovevano esser messe a disp0sizione delle quattro Potenze
•
371
A) La quota degli Stati l Jniti .
•
376
B) La quota della Gran Bretagna
• 381
C) La quota della Francia .
•
D) La quota dell'Unione Sovietica E) La quota della Jugoslavia
• 401 • 414
F) La quota della Grecia
• 416
G) La quota dell'Albania
• 419
2. La distruzione dei son1mcrgibili in servizio che non dovevano esser messi a disposizione d ~lle quattro Potenze .
384
• 420
PARTE IV LA REVISIONE DELLE CLAUSOLE POLITICHE E MILITARI DEL TRATTATO DI PACE
Cap. XV - La revisione delle clausole militari
• 427
625
ALLEGATI 1 . Presidenti del Consiglio, Ministri per gli Affari Esteri, Ministri per la Marina (per la Difesa dal 3 febbraio 1947), Capi di Stato Maggiore della Marina, dal 25 luglio 1943 al 15 luglio 1953 . . 2/A . L', armistizio corto•, tinnato a Cassibilc il 3 settembre 1943
Pag.
445
•
447
2/ B . Il • memorandum di Quebec •, unito ali'• armistizio corto•
•
449
3 . Il • promemoria Dick • del 4 seucmbre 1943 .
•
451
4 . Cronologia dei principali avvenimenti militari in Italia dal settembre 1943
1° al 9 •
454
5 • Situazione della flott:i italiana all'8 settembre 1943 .
•
474
6 . L'accordo Cunningham-de Courten del 23 settembre 1943
•
482
7 . L'• armistizio lungo • . firmato a Malta il 29 settembre 1943
•
485
8 . Il protocollo di modifica dell'« armistizio lungo•, firmato a Brindisi il 9 novembre 1943
•
496
9 . L'atto di modifica dell 'accordo Cunningham-de Courten, Brindisi il 17 novembre 1943 .
•
498
10 . Principali interferenze alleate nella sfera di attività del Ministero della Marina (fg. 811 /UT del 14 dicembre 1944) .
•
499
11 . Situazione della flotta italiana alla fine del conflitto nel maggio 1945 .
•
505
12 . Principali riconoscimenti alleati dell'attività svolta dalla Marina durante la cobelligeranza .
•
515
13 . Situazione del naviglio mercantile italiano di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate (Dati al IO giugno 1940, all'8 settembre 1943 e al maggio 1945)
•
525
firmato
a
14 . Il confine orientale italiano e il problema mai-ittimo adriatico (memorandum del Ministero della Marina in data t• novembre 1944) . . . .
526
15 · Considerazioni relative alla Marina Militare nei riguardi del trattato d"1 pace (memorandum del Governo italiano dell'aprile 1946) . . . .
532
16 . Estratto del progetto di trattato di pace preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri (18 luglio 1946) .
•
542
17 · Osservazioni del Governo italiano sulle clausok navali della bozza del trattato di pace (luglio 1946) .
•
561
18 . Osservazioni aggiuntive del Governo italiar,o sulle clausole navali del progetto del trattato di pace (agosto 1946) .
•
569
19 . Dichiarazioni sulle clausole navali del progetto di trattato d1 pace relative alla Marina, lette dal cap. vasc. E. Giuriati - a nome dell'amm. de Courtcn - alla Commissione militare della Conferenza di Parigi il 12 settembre 1946 .
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580
20 · Estratto del trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 .
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588
21 · Intervista concessa dall'amm. R . de Courten in occasione delle sue dimissioni da Capo di S.M. della Marina e della sua richiesta di cessazione dal servizio permanente effettivo (• Giornale d'Italia ,. del 24 dicem. bre 1946)
•
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626 ABBREVIAZIONI USATE BIBLIOGRAFIA CONSULTATA INDICE
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613
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