italiano». 8 Insomma, una squadra invidiabile e a cui certo Stuparich poteva sentirsi onorato di appartenere. «Non meno prestigiose le collaborazioni degli scrittori. […] Fra esse spiccavano i nomi di Borgese, Pirandello, Jahier, Tozzi, Rosso di San Secondo, Ada Negri, Marino Moretti, Guido da Verona, Adriano Tilgher, Carlo Carrà e infine D’Annunzio. […] Anche se nel caso di alcuni nomi si tratterà di una collaborazione più vantata che effettiva». 9 Una compagnia, anche in questo caso, di alta qualità. «Nel complesso», conclude Germinario, «la “Rivista di Milano”, considerato il prestigio intellettuale di numerosi collaboratori, si presentava come una rivista di ottimo livello culturale, libera da pregiudizi politici, ferma restando, naturalmente l’opposizione durissima e scontata al bolscevismo russo».10 E su di essa Stuparich esordisce il 20 novembre 1919, passando al vaglio dell’indagine, così il titolo del contributo, La crisi di Trieste11: crisi che, spiegherà nel cuore del breve saggio, è sostanzialmente «crisi morale». Una superficie inquieta, tutta frastagliata di avvii e di incertezze, intorbidata da entusiasmi e da disgusti appare la vita di Trieste. […] Nello stato di fosforescenza che ne segue, le considerazioni risultano imperfette e contraddittorie. Trieste la si vede allo stesso modo rifiorire come la si vede avvizzire, allo stesso modo si calcola la possibilità ch’essa riprenda la sua funzione di grande emporio, come quella ch’essa deperisca sino a diventare un piccolo borgo di pescatori. […] E allora, come si fa a risolvere la crisi? “Il rimedio è evidente”, - rispondono tutti […] si aumenti il tonnellaggio, si regolino i servizi ferroviari e postali, si aprano le frontiere. […] La verità è che le difficoltà sono inerenti alla sostanza del rimedio. […] Il governo di fronte a queste difficoltà, fa di tutto perché si mantengano e si complichino, non facendo niente secondo una direttiva netta e decisa. […] Nitti […] che per eccellenza nasconde sotto programmi solidi e frasi oggettive la vuotezza delle sue idee, la fannullona caparbietà, le proprie mire interessate e ambiziose, ha trovato nell’ambiente triestino il terreno più adatto per sgovernare, dove nessuna sincerità sa contrapporsi alla sua falsità, ma con essa si amalgamano l’incertezza e le confusione dei cittadini. Così la crisi che è veramente materiale, centrata cioè nel problema commerciale-economico, si rivela fondamentalmente spirituale, morale. […] Di
8 Ivi, p. 169. 9 Ivi, p. 171. 10 Ivi, p. 174. 11 Impossibile non ricordare, per l’analogia tematica (ma il taglio in Stuparich è di psicologia collettiva e lo stile piuttosto letterario), il contributo di Oberdorfer, I problemi della Venezia Giulia, comparso sull’«Unità» il 14 giugno 1919, forse, nelle sue quattro sezioni (dedicate ai problemi politici, scolastici, amministrativi, economici), l’approfondimento più centrato delle criticità giuliane che sia stato prodotto nell’immediato dopoguerra. Stuparich non lo cita ma probabilmente lo tiene presente, mantenendosi però per coraggio propositivo (ma senza risparmiare d’altra parte qualche frecciata alla diffusa tentazione, nell’Italia vincitrice, di considerare Trieste “città conquistata”) ben al di qua delle soluzioni che dettava all’abile dirigente politico del partito socialista l’intelligente pragmatismo, lo spirito di concretezza, e soprattutto il rifiuto di ogni pregiudizio e dogmatismo (si ricorda, a solo titolo di esempio, il suggerimento che la lingua della minoranza venisse studiata anche nelle scuole della maggioranza).
Prima del silenzio
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