internazionale, ed è di queste crisi che si scontano gli effetti più diretti nella città giuliana, diventata, con la ridefinizione confinaria, l’ultima Thule del mondo capitalistico e democratico. Mentre continuava l’esodo dall’Istria, con qualche rallentamento provocato dalle autorità jugoslave, avveniva, in giugno, il fatto clamoroso della rottura fra Tito e Stalin, che, nel nuovo clima che andava creandosi, avrebbe potuto avere effetti negativi, si pensava, sulle rivendicazioni italiane. Aprendo degli spiragli per una nuova collocazione della Jugoslavia in politica estera, la svolta spingeva gli americani a una maggior disponibilità nei confronti delle richieste di Tito: per le potenze occidentali «la Jugoslavia era divenuta un interlocutore degno di ogni riguardo, sotto certi aspetti anche più interessante della stessa Italia». 7 Da parte sua il dittatore jugoslavo, ormai ai ferri corti con il grande fratello sovietico, «guarda con perplessità a un territorio libero in cui la maggioranza dei comunisti sarebbe stata di osservanza stalinista». 8 Una situazione insomma di particolare e allarmante complessità. Apriva però uno spiraglio alle speranze italiane la nota tripartita con la quale, con il secondo fine di influenzare le elezioni di aprile, USA, Inghiltera e Francia avevano espresso la volontà di restituire all’Italia l’intero TLT, compresa la zona B già dal 1945 in saldo possesso jugoslavo. Chiarisce lo stato d’animo di Stuparich tanto la Licenza a Trieste nei miei ricordi, l’autobiografia che vedeva la luce proprio allora («infelice generazione la nostra, che vedemmo prima salire la realtà verso il sogno più bello e poi ripiombare giù, più giù d’ogni temuto incubo»9) che la disponibilità a presentare, firmandone la prefazione, il volume collettivo Istria e Quarnaro italiani, edito dal CLN dell’Istria e curato da Baccio Ziliotto e Mario Mirabella Roberti. Miscellanea veramente “battagliera”, se questo aggettivo ha un senso: Biagio Marin vi commentava l’esodo chiarendo che «avremmo forse potuto salvare la vita rinnegando l’anima nostra e riducendoci schiavi di coloro che per secoli e secoli erano stati gli schiavi per nome e definizione e funzione». 10 Camillo De Franceschi chiudeva il suo contributo scagliandosi contro «l’iniqua pace del 1947» che aveva provocato «il rincrudimento di dissidi e conflitti fra due popoli confinanti in mal segnati termini, d’impossibile stabilità». 11 Antonio Fonda Savio pronosticava una rivincita dell’italianità «che tornerà a splendere domani, quando il monumento di Sauro sarà riedificato sulla riva di Capodistria, e le sue ossa, avvolte nel
7 Negrelli, Introduzione a Schiffrer, Dopo il ritorno dell’Italia a Trieste (1954-1969). Scritti e interventi polemici presentati da G. Negrelli, Del Bianco, Udine, 1992, pp. 5-6. 8 Ara e Magris, Trieste - Un’identità di frontiera, cit., p. 158. 9 Stuparich, Trieste nei miei ricordi, cit., p. 291. 10 Baccio Ziliotto e M. Mirabella Roberti, a cura di, Istria e Quarnaro italiani, Editoriale San Giusto, Trieste-Perugia, 1948, p. 109. 11 Ivi, p. 52.
Voce della «città esclusa»
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