SAGISTICA POLICO-CIVILE DI GIANI STUPARICH

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urgenza il bisogno di interventi equilibrati e chiarificatori; un’operazione dove «La Voce» aveva la pretesa di inserirsi costruttivamente, pur prendendo alimento (e in un certo senso legittimandola) «dall’inquietudine psicologica e morale che contraddistingue l’atteggiamento delle classi giovanili della borghesia di fronte agli aspetti della vita italiana contemporanea». 8 Da qui l’eclettica vivacità del foglio fiorentino, con le sue varie anime e con quel certo tono di sfida che tanto piacque ai giovani d’allora: «espressione di forze eterogenee e contraddittorie», condizione che fu, nel tempo stesso, «la sua forza e il suo limite, la causa della sua nascita e della sua fine».9 Lo spirito “interventista” della rivista si concretizzava in una brillante opera di mediazione e di sintesi, utilissima in un Paese ancora solo geograficamente europeo e frammentato – le sue mille città e province – in infinite scaglie eterogenee: vi scrivevano, fra tanti giovani ansiosi di rinomanza intellettuale, i protagonisti più noti del fronte anti-positivista e anti-giolittiano, vi si svolgevano inchieste di ampio respiro («sulla Questione meridionale, sull’Irredentismo, sul Canton Ticino, sulla Filosofia Italiana, sulla Questione sessuale» per cedere la parola a Prezzolini 10), vi si presentavano artisti e pensatori fra i più significativi dell’Europa del momento, Claudel, Bergson, Sorel, ecc., per restare sulla cengia più alta, e con loro un intero repertorio di nomi della cultura internazionale, molti dei quali, ha osservato tuttavia severamente Carpi, andranno poi a sfilare sulla passerella lukácsiana della Distruzione della ragione.11 Se non faceva difetto alla «Voce» una scintilla di spirito d’avventura e perfino qualche controllata inclinazione “sovversiva”, almeno quanto una certa sorniona disponibilità ad acrobazie intellettuali («sia Papini che Prezzolini una cosa avevano chiara fin da principio, e cioè che l’uomo è un punto di assoluta libertà, ossia rischio totale e possibilità infinita»12) nel segno di quella «rinascita dell’idealismo» su cui Croce avrebbe scritto il suo celebre saggio del 190813 per rimettere la questione entro limiti di equilibrio e razionalità (ma si veda di Croce anche la pagina squillante della Storia d’Italia, 1928, in cui esalta il superamento «del semplicismo positivistico»14 in una impetuosa rinascenza del pensiero), era proprio al magistero crociano che guardava la rivista – o meglio Prezzolini, come si dovrà ancora vedere – per garantirsi un solido ed inattaccabile baricentro intellettuale. D’altra parte, com’è stato correttamente osservato, «il crocianesimo 8 A. Romanò, Introduzione a Id., a cura di, La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, III, «La Voce», Romanò, Einaudi, Torino 1960, p. 14. 9 Pellegrini, «La Voce» e i vociani, cit., p. 515. 10 Prezzolini, La cultura italiana (1927), Corbaccio, Milano 1938, p. 161. 11 U. Carpi, «La Voce» - Letteratura e primato degli intellettuali, De Donato, Bari 1975, p. 12. 12 Garin, Cronache di filosofia italiana - 1900-1943, cit. p. 23. 13 B. Croce, Per la rinascita dell’idealismo, in Id. Cultura e vita morale, Laterza, Bari 1955. 14 Id., Storia d’Italia dal 1817 al 1915 (1928), Laterza, Bari 1984, p. 226.

A Firenze nell’orbita della «Voce»

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