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STATO
MAGGIORE UFFICIO
DELL'ESERCITO STORICO
ORESTE BOVIO
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
ROMA 1996
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PRESENTAZIONE
L'Ufficio Storico ha già pubblicato nel passato opere dedicate alla storia dell'esercito e questo volume potrebbe perciò essere considerato ridondante. Non è così e non soltanto per l'ovvio motivo che se i fatti sono immutabili diversa ne può essere l'interpretazione. L'opera che vede oggi la luce si caratterizza, infatti, per un taglio del tutto particolare: ad una prima e più estesa sezione dedicata alla ricostruzione critica degli avvenimenti ne seguono altre due, rivolte rispettivamente a delineare la personalità di coloro che più hanno inciso sulla vita dell'esercito ed a ricordare quelle tradizioni che costituiscono l'alimento spirituale della forza armata. IL CAPO UFFICIO (Col. c. s.SM Riccardo TREPPICCIONE)
AVVERTENZA
Questa storia dell'esercito italiano, pensata e scritta per i giovani ufficiali allievi della Scuola di Applicazione, è tuttavia rivolta anche ad un più vasto pubblico interessato a conoscere meglio l'esercito - strumento indispensabile anche oggi per uno Stato che intenda mantenere la propria indipendenza politica - attraverso una prima,ma non sommaria, informazione. Il volume non si propone di aprire nuovi orizzonti storiografici come non intende perpetuare anacronistiche visioni agiografiche, vuole essere una ricostruzione, onesta ed essenziale, delle vicende che hanno contrappuntato in pace ed in guerra la vita dell'esercito dalla formazione dello Stato unitario ai nostri giorni. L'AUTORE
PARTE I
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
I. LE RADICI
I. L'esercito italiano, anche se costituito con l'apporto generoso e vitale di tutti gli eserciti degli Stati pre-unitari e dell'esercito meridionale garibaldino, adottò al suo nascere tradizioni , ordinamenti e dottrina d'impiego dell'esercito sardo. La storia dell'esercito italiano deve pertanto iniziare con un'analisi , sia pure rapida, delle condizioni dell 'esercito sardo al momento dell'unificazione.
2. Come ha notato il Pieri "il Piemonte usciva dalla prima guerra d'indipendenza sconfitto la prima e la seconda volta; e ad onta di ciò l'esercito conservava la sua saldezza ed il suo prestigio di fronte allo straniero" ( I)_ Anche all'interno dello stato subalpino, nonostante le tante ed aspre polemiche generate dalla sconfitta, la tradizionale considerazione che circondava l'esercito non era diminuita. Governo e Parlamento, non sempre concordi, erano però consapevoli che l'indipendenza e la libertà dello Stato dipendevano dalla solidità e dal prestigio dell 'esercito. Ancor prima della firma del trattato di pace, fu iniziata, infatti, una previdente e razionale attività di riordinamento dell 'esercito, sotto la guida dell'energico generale Alfonso Ferrero della Marrnora (2}, per la terza volta ministro deJla Guerra. In realtà ali' epoca l'esatta denominazione del ministero era "di Guerra e Marina", perché solo nel 1861 Cavour separò l'amministrazione delle due ·Forze Armate ed istituì per la Marina un apposito ministero, di cui fu il primo titolare. Nel corso di questa trattazione sarà presa in esame esclusivamente l'attività dell'esercito e, quindi, anche per brevità, ci si riferirà sempre al ministro e al ministero della Guerra. La lunga permanenza nell'incarico, dal 10 novembre 1849 al 20 gennaio 1860, se non si considera la breve interruzione dovuta alla spedizione di Crimea, consentì al giovane generale di attuare una totale riforma dell'apparato militare che, messo alla prova nel 1859, dimostrerà un notevole grado di efficienza. (I) Pieri, S10ria militare del Risorgimemo. Guerre ed insurrezioni. Einaudi, Torino 1962, pag. 568. (2) Vds. il breve profilo biografico del La Marmara nella parte 11 di questo volume.
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STORIA DELL'ESERCITO !TALIAN0(186 1 - 1990)
3. In ordine di importanza il primo problema che il La Marmora dovette affrontare fu la scelta del modello di organizzazione militare. All'epoca i modelli di organizzazione militare adottati nei paesi europei erano sostanzialmente due, quello prussiano, detto anche esercito di numero, e quello francese, definito anche esercito di caserma e esercito di qualità (3). Il primo modello si incentrava sulla tripartizione fra: esercito permanente a larga intelaiatura, con ferma relativamente breve per addestrare il maggior numero di uomini; milizia mobile per completare le unità dell'esercito permanente e, soprattutto, per costituire nuove unità da affiancare a quelle in vita fin dal tempo di pace; milizia territoriale per il presidio del paese. Al fine di rendere più celeri le operazioni di mobilitazione e per conferire un soddisfacente grado di amalgama alle unità costituite all'emergenza, le operazioni di reclutamento e di mobilitazione erano attuate su scala regionale. Il secondo modello di organizzazione intendeva utilizzare le risorse economiche e finanziarie dello stato più che le sue potenzialità demografiche, anche sulla base delle esigenze politico-strategiche. Il sistema prevedeva perciò l' incorporazione di una parte soltanto del contingente di leva, la cosiddetta I" categoria, per un lungo periodo, normalmente da cinque ad otto anni. Una ferma così prolungata trasformava di fatto il coscritto in un soldato professionale, ben addestrato e permeato di quello spirito militare che allora si riteneva dai più una componente necessaria di un esercito solido ed affidabile. Al fine di cementare maggiormente i componenti di una stessa unità si cercava di alimentare lo spirito di corpo anche con l'adozione di un sistema di reclutamento e di mobilitazione a carattere nazionale. La parte maggiore del contingente di leva, denominata categoria, riceveva un affrettato addestramento di qualche settimana e costituiva, con i congedati della I" categoria, il serbatoio di alimentazione delle unità in guerra. Il sistema di reclutamento in vigore nell'esercito sardo, dovuto alle riforme di Carlo Alberto, era un tentativo di annonizzazione dei due modelli anzidetti. Per l'arma di fanteria, in pratica gli otto decimi dell'esercito, erano previsti: quattordici mesi di effettivo servizio; sette anni di permanenza nella forza dei rispettivi reggimenti, con la possibilità di eventuali richiami per istruzione o per la mobilitazione; altri sette anni, infine, nella riserva che avrebbe potuto ess,e re richiamata in servizio solo in caso di guerra ed impegnata solo per il servizio territoriale. Gli appartenenti all'arma di cavalleria ed al corpo reale di artiglieria avevano un obbligo di servizio di soli tredici anni, per contro erano assoggettati ad una ferma effettiva di trentasei mesi. Al fine di conferire ai reparti una più marcata professionalità e di reperire
n•
(3) All'epoca esistevano anche altri tipi di organizzazione militare: quello dei piccoli eserciti di volontari, completati da una riserva e da una mjlizia territoriale anch'essa a base volontaria (Gran Bretagna e Stati Uniti): quello degli eserciti di mjJizia, interamente basati sulla mobilitazione e privi di una struttura permanente (SviZ7,era. Norvegia).
LE RADICI
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idonei elementi da promuovere sottufficiali, accanto ai coscritti vi ci-ano i soldati d'ordinanza. volontari con ferma di otto anni e senza successivo obbligo di passare nella riserva una volta congedati . Verso la metà degli anni Quaranta la proporzione tra i soldati d'ordinanza cd i coscritti era di due a uno, 16.000 soldati di ordinanza e 8.000 coscritti. Il reclutamento, a base regionale per la fanteria, era attuato su scala nazionale per il resto dell'esercito. Le campagne del 1848 e del I 849 avevano rivelato notevoli carenze professionali dei Quadri ed un insufficiente grado di addestramento dei soldati, specie di quelli richiamati. Il La Marmora era perciò convinto che il nuovo esercito non dovesse cambiare fisionomia al momento di entrare in guerra, nessuna costituzione di nuove unità, dunque, soltanto il completamento di quelle esistenti fin dal tempo di pace - generalmente mantenute ad un livello organico pari a due terzi delle tabelle - con la mobilitazione delle più giovani classi di riservisti. In tale modo si sarebbe anche risolto il problema dell'inquadramento dei reparti, non essendo più necessario ricorrere ad improvvisati ufficiali provinciali. Il convincimento che le modalità di reclutamento e di mobilitazione dell'esercito sardo non avessero risposto in modo adeguato alle esigenze della guerra era largamente condiviso. Nel 1851 il "Maggiore d' Artiglieria in ritiro, Professore emerito della Regia Militare Accademia" Carlo Corsi <4> scriveva, infatti, nel suo Dell'esercito piemontese e della sua organizzazione, che il sistema di reclutamento voluto da re Carlo Alberto era tale "per cui il passaggio dal piede di pace al piede di guerra poteva effettuarsi in meno di quaranta giorni, presentando in campo un esercito di 90.000 uomini, capace di essere successivamente rinforzato da altri 50.000 e così portato a 140.000 combattenti", ma aggiungeva subito dopo le seguenti puntuali e logiche considerazioni: "Ma, se imprendiamo ad esaminare questa massa imponente di gente armata, troviamo: da un canto un esercito poco agguerrito e mal comandato e dall'altro una riserva senza utilità immediata. "Diciamo esercito poco agguerrito, perché composto per 1/1 O circa di soldati permanenti e per 9/1 O di soldati provinciali, vale a dire di soldati che, per una incalzante ed imperfetta educazione militare e per un lungo soggiorno in congedo illimitato, sono poco abituati alle pratiche del mestiere delle armi, ai doveri della milizia e alle leggi della disciplina. Diciamo esercito mal comandato perché il rapporto fra il numero degli ufficiali che comandano e quello dei soldati che ubbidiscono è a mala pena di J ad 80 ... Diciamo, finalmente, riserva senza utilità immediata, perché sprovveduta
(4) L·omonimia tra il dimenticato piemontese maggiore Carlo Corsi ed il più illustre toscano Carlo Corsi mi ha fatto erroneamente attribuire, nel volume Sacerdoti di Marte, l' opera del primo al secondo. Faccio ammenda dell'errore.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIAN0(1861 • 1990)
di Quadri ed interamente formata di soldati provinciali, che hanno compiuto il periodo di congedo illimitato e che, quando vengono richiamati sotto le armi, sognano il tugurio, la moglie, ed i figli, anzichè gli allori da cogliersi sul campo di battaglia". La prima guerra d'indipendenza aveva poi anche dimostrato che il piccolo regno di Sardegna non era in grado di sostenere adeguatamente sotto il profi lo logistico un esercito che superasse le centomila unità, non esistendo sufficienti risorse finanziarie per inquadrare, equipaggiare, armare e sostenere un ' armata di più grandi dimensioni. E con uno strumento operativo così ridotto non sarebbe stato possibile battere l'armata austriaca, forte di ottantamila uomini e saldamente appoggiata ad ,un robusto sistema difensivo costituito dalle fortezze del quadrilatero. La capacità operativa dell'annata austriaca era poi ancora rafforzata dalla possibilità di ricevere adeguati e tempestivi rinforzi , potendo usufruire di numerose e capaci linee di comunicazione che non sarebbe stato agevole interrompere. In proposito l'esperienza del 1848 era stata indicativa: la pur attiva insurrezione popolare in Carnia e nel Cadore non era riuscita ad impedire l'arrivo dei rinforzi al maresciallo Radetzky. In conseguenza il regno di Sardegna avrebbe potuto ritentare la sorte contro l'Austria soltanto se si fosse assicurato l'aiuto di un potente alleato, con il quale raggiungere la necessaria superiorità. Non potendo confrontarsi con il probabile avversario sul piano numerico, l'esercito sardo doveva almeno realizzare una superiorità qualitativa, e poiché il livello tecnologico degli eserciti dell'epoca era molto equilibrato, la necessaria superiorità poteva realizzarsi soltanto nel grado di prontezza e nel livello dell'addestramento. Solo con un rapido completamento di unità ben addestrate, dislocate fin dal tempo di pace in prossimità del confine, l'esercito sardo avrebbe potuto fronteggiare, in attesa dell'arrivo delle truppe alleate, la possibile iniziativa austriaca. Sulla base di questi logici e soprattutto realistici presupposti, la decisione del La Marrnora di riordinare l'esercito sardo secondo il modello di ordinamento denominato francese o di qualità, appare corretta. Non deve essere dimenticato, inoltre, che a tale decisione si arrivò dopo un lungo ed accurato approfondimento di tutti gli aspetti della questione, al punto che il giovane ministro non esitò ad inviare a Berlino ed a Vienna due suoi validi collaboratori, i capitani Giuseppe Govone (5) e Genova Thaon di Revel (6), perché studiassero con attenzione le modalità di reclutamento e di mobilitazione dell'esercito prussiano e di quello austriaco, considerati a ragio(5) Vds. il breve profilo biografico del Govone nella parte II' di questo volume. (6) Genova Thaon di Revel (1817-191 O). Ufficiale d'artiglieria partecipò alle campagne del 1848-49. alla spedizione in Crimea. alle campagne del 1859. del 1860 e del 1866 meritando quat1ro ricompense al valor mili1are. Maggior generale nel 186 I, tenente generale nel I866, comandò i corpi d'annata II e lii. Fu ministro della Guerra nel gabinetto Rattazzi dall'aprile all'ouobre del I 867. Deputato per più legislature, fu nominato senatore nel 1879. Collocato nella riserva nel 1886. Pubblicò vari volumi di ricordi e di storia militare.
LERAO!Cl
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ne "campioni rappresentativi" dei due possibili modelli di ordinamento. Non sembra pertanto condivisibile l'opinione di alcuni storici di scuola marxista che attribuiscono la scelta del La Marmora, approvata poi dal parlamento subalpino, alla preoccupazione di costituire un esercito che soprattutto offrisse la garanzia di saper mantenere l'ordine costituito, anche con pregiudizio della capacità operativa in caso cli guerra (7 l. Il problema di come strutturare l'esercito, per conferirgli da un lato la necessaria capacità operativa e dall'altro limitarne le dimensioni entro i ristretti limiti consentiti dalle finanze dello stato, non era, del resto, di facile soluzione. Tutti erano d'accordo nel ripudio dell'esercito di mestiere che, oltre tutto, non avrebbe avuto le motivazioni spirituali per condurre una guerra per la liberazione d'Italia e tutti concordavano sul principio dell'obbligatorietà del servizio militare, ma quando si passò dal piano teorico dell'enunciazione dei principi a quello pratico di definizione della legge cominciarono le discussioni. La legge La Marmora, se così può essere chiamata, fu il meglio che la communis opinio delle classi dirigenti dell'epoca consentiva. Ogni altra interpretazione deve essere considerata aprioristica e preconcetta. Nel febbraio 1851 il La Marmora presentò in Parlamento il suo progetto di legge sul reclutamento dell'esercito, progetto che divenne legge dello Stato solamente il 20 marzo 1854 a causa di un lungo e travagliato iter parlamentare<8). In sostanza la nuova legge prevedeva: - la suddivisione per sorteggio degli iscritti nelle liste di leva in due categorie nella proporzione stabilita anno per anno; - due specie di ferma di servizio, quella d'ordinanza di otto anni -con facoltà di rafferma per altri tre - per i carabinieri, gli armaioli, i musicanti, i volontari, i soldati promossi sottufficiali - e quella provinciale di undici anni, che per gli iscritti nella 1• categoria (coloro che avevano sorteggiato un numero basso) comportava cinque anni di effettivo servizio sotto le armi e sei anni nella posizione di congedo illimitato a disposizione delle autorità per un eventuale richiamo in caso di guerra e per gli iscritti alla rr• categoria (i fortunati che avevano estratto un numero alto) comportava soltanto un periodo di addestramento basico di quaranta giorni e la possibilità di essere richiamati per brevi periodi di istruzione e in caso di guerra; - l'esonero dal servizio: dei non idonei fisicamente ; di coloro che erano gravati da particolari carichi familiari; dei seminaristi, anche di culto acattolico, purché non superassero la percentuale di I ogni 20.000 abitanti; di coloro che erano stati condannati per reati infamanti; (7) Cfr. G. Rochat e G. Massobrio, Breve storia del/"eserciro italiano dal 1861 al /943, Einaudi. Torino 1978. pagg. 14 e seguenti. (8) L"articolo 75 stabiliva la riserva di legge sul regolamento della leva, disposizione che il Parlamento interpretò in modo estensivo ritenendosi competente a fissare durata dell'obbligo di leva, casi di dispensa e di esenzione, entità del contingente annuo. ecc. Come ha osservato l'Uari quest'articolo, unitamente alla legge 23 marzo 1853 che riconosceva al solo Parlamento r approvazione delle spese. costitul il principale strumento di controllo parlamentare sulla politica militare del regno.
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STORIA OELL.ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
- la possibilità di evitare di prestare il servizio militare mediante: lo scambio di numero, un vero e proprio contratto con il quale un giovane poteva scambiare per denaro il proprio numero di sorteggio, che lo ascriveva alla I" categoria, con quello di altro giovane, della stessa lista di leva, assegnato alla n• categoria. L'operazione comportava il pagamento al Tesoro di una somma notevole per quei tempi, inizialmente 100 lire e poi 200; - la liberazione o affrancazione, mediante il versamento al Tesoro di una somma molto ingente, 3100 lire inizialmente e poi 4200, somma che serviva allo Stato per pagare il premio dì rafferma al soldato anziano che sostituiva il liberato. Il numero delle liberazioni dipendeva quindi dal numero dei soldati disposti a raffermarsi; - la surrogazione, tra fratelli oppure con altro giovane. Anche in questo caso era necessario il versamento al Tesoro di una somma elevata: 1250 lire. Ad eccezione della Savoia, il reclutamento avveniva su base nazionale. Molto probabilmente il provvedimento era stato suggerito dall'opportunità di meglio amalgamare tra loro piemontesi, liguri e sardi, questi ultimi solo da qualche anno soggetti alla coscrizione. L'esperienza della spedizione di Crimea, durante la quale il corpo di spedizione aveva perso 1300 uomini per un'epidemia di colera, convinse il La Marmora della necessità dì accrescere l'aliquota dì riserva da cui attingere per iI completamento delle unità. Nel maggio I 857 egli presentò al Parlamento un progetto dì legge che estendeva l'iscrizione alla Ir categoria a tutti gli idonei non compresi nella r . La proposta, fortemente osteggiata dai parlamentari che non volevano aumentare l'entità dei soggetti alla fenna, passò soltanto per il personale intervento dì Cavour ma, di fatto, fu neutralizzata dagli stessi parlamentari che continuarono come per il passato a fissare per la n• categoria un contingente annuo di 4000 elementi. Da notare che l'entità dei coscritti della 1• categoria era stabilita in 9000 unità. Giudicare la legge del 1854 con la sensibilità sociale di oggi condurrebbe a conclusioni errate. Indubbiamente la possibilità per tutti gli iscritti di leva di essere esonerati dagli obblighi di servizio era solo teorica, le somme da versare al Tesoro come contropartita erano tanto notevoli da riservare di fatto il beneficio solo alle classi abbienti. Alcrettanto indubbiamente il Parlamento si dimostrò sollecito solcanto dì evitare condizioni troppo dure ai giovani di estrazione borghese. Lo stesso ministro della Guerra, dopo aver accennato alle perplessità giustamente espresse da molti militari per i gravi inconvenienti cui dava luogo la facolcà della surrogazione, a causa della scarsa qualità dei surroganti, finì con il considerare tale istituto un male necessario, posto a tutela "dei giovani studiosi" che, se chiamati alle armi, avrebbero dovuto "rinunciare spesso per sempre alle carriere e professioni liberali con sorte troppo dolorosa che non tocca alle classi di cittadini a cui la milizia non toglie l'arte o il mestiere." Da rimarcare però che le somme pagate dai "liberati" e dai "surrogati"
LE RADICI
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erano impiegate d!al Tesoro per il reclutamento di personale volontario, dal quale l'esercito traeva buona parte dei sottufficiali e che il contingente annuo di leva era largamente superiore alle necessità dell'esercito. 4. La ristrutturazione dell'esercito non trascurò naturalmente i Quadri, che beneficiarono di due leggi fondamentali, volte a stabilirne lo stato giuridico ed a meglio disciplinarne l'avanzamento. La prima legge, del maggio 1852, oltre a stabilire che il grado conferito dal Re costituisce lo stato dell'ufficiale e che il grado è distinto dall'impiego, fissava le condizioni che determinavano la perdita di tale grado, le posizioni nelle quali poteva essere collocato l'ufficiale (in servizio attivo, in disponibilità, in aspettativa), le cause di riforma e di revoca dall ' impiego. La seconda legge, del 13 novembre 1853, fissava i criteri che dovevano essere osservati per le promozioni ed i periodi mjnimi di permanenza nei vari gradi. Le norme generali che regolavano l'avanzamento erano le seguenti: - i posti da sottotenente vacanti in ogni reparto dovevano essere riservati per un terzo a vantaggio dei sottufficiali dello stesso reparto; - le promozioni a tenente avvenivano tra i sottotenenti dello stesso reparto per anzianità; in guerra le promozioni erano regolate a scelta del Re per un terzo e per il resto in base all'anzianità; - le promozioni a capitano avvenivano tra i tenenti della stessa arma, per due terzi ad anzianità e per il resto a scelta; in guerra avvenivano tra i tenenti dello stesso reparto, metà a scelta e metà per anzianità; - i maggiori erano nominati tra i capitani di tutte le armi, Stato Maggiore compreso, per metà a scelta e per metà in base all'anzianità; - i tenenti colonnelli e i colonnelli erano nominati a scelta tra gli ufficiali di grado immediatamente inferiore di tutte le armi; - i maggior generali, infine, erano nominati a scelta tra i colonnelli di tutte le armi. Norme particolari regolavano l'avanzamento degli ufficiali dei corpi reali di artiglieria e del genio, dello Stato Maggiore e dei carabinieri: - corpo reale d'artiglieria e corpo reale del genjo: i sottotenenti venivano promossi al grado superiore esclusivamente per anzianità, salvo in guerra, quando le promozioni avvenivano per un terzo a scelta; - corpo reale di Stato Maggiore: i capitani erano scelti tra i tenenti di tutte le anni in possesso dei requisiti necessari per essere ammessi nel corpo; gli ufficiali superiori potevano essere scelti tra quelli di grado immediatamente inferiore del corpo o degli altri reparti. - corpo dei carabinieri reali: i sottotenenti erano scelti tra i marescialli d'alloggio, mentre i tenenti provenivano per due terzi dai sottotenenti degli altri reparti dell ',esercito e per il resto da quelli del corpo, sempre in base all'anzianità: i capitani provenivano dai tenenti del corpo per metà a scelta e
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIAN0(186J - 1990)
per metà in base all'anzianità; i maggiori e i tenenti colonnelli erano scelti tra gli ufficiali del corpo di grado immediatamente inferiore; i colonnelli, infine, erano nominati a scelta tra i tenenti colonnelli del corpo o tra i colonnelli degli altri reparti. Le successive leggi del 21 gennaio 1854 e del 4 aprile 1855 introdussero alcune modificazioni: con la prima si stabili che un terzo dei posti da sottotenente disponibili fosse riservato, in pace, ai sottufficiali della stessa anna, e in guerra a quelli dello stesso reggimento, mentre le promozioni a tenente dovevano avvenire, in pace, tra i sottotenenti della stessa arma e per anzianità, e in guerra tra quelli dello stesso reggimento, per un terzo a scelta. La seconda legge, infine, stabilì che le promozioni a sottotenente, a tenente e a capitano delle armi di fanteria e di cavalleria, dovevano avvenire, sia in pace in guerra, esdusivamente per arma. Per quanto riguarda i periodi minimi di permanenza nei vari gradi la legge prescriveva che per essere promossi: - sottotenenti, occorreva aver compiuto 18 anni, aver servito almeno due anni come sottufficiale oppure avere i requisiti stabiliti dagli istituti militari; - tenenti e capitani, occorreva aver prestato servizio per due anni nel grado inunediatamente inferiore; - maggiori, occorrevano quattro anni di servizio da capitano; - tenenti colonnelli, occorrevano tre anni di servizio da maggiore; - colonnelli, era necessario aver prestato servizio per due anni come tenente colonnello; - maggior generali, infine, occorrevano tre anni di servizio da colonnello. Le deroghe ammesse a queste regole erano solo due, valide solo in tempo di guerra: in caso di azione"posta all'ordine del giorno dell'annata", per l'impossibilità di completare altrimenti i posti vacanti. In tempo di guerra tutti i periodi minimi di permanenza nei vari gradi erano dimezzati. Una legge d'avanzamento innovatrice e coraggiosa, che mirava a far progredire celermente nella carriera i migliori. Il sistema di avanzamento a scelta stimolava i più intelligenti ed i più volenterosi allo studio e tendeva a creare tra gli ufficiali superiori un sano spirito di emulazione e di iniziativa. Non deve essere sottaciuto il fatto che una legge così articolata consentiva, almeno potenzialmente, nella delicata e sempre difficile valutazione comparata dei meriti, la piaga del favoritismo e dell'arbitrio, non adeguatamente arginata dai prescritti periodi minimi di permanenza nei vari gradi. Per il momento l'austera severità delle "commissioni d'avanzamento" rappresentava una sufficiente garanzia di equità e la legge fu accolta con favore,specie dai Quadri più giovani provenienti dalla borghesia. L 'attività riformatrice non si limitò al settore giuridicoamministrativo, regolò anche con criteri più moderni l'annoso problema delle pensioni e delle retribuzioni. Con la legge del 27 giugno 1850 fu finalmente sancito il diritto inalienabile del militare alla pensione, per anzianità di servizio o per invalidità. Il periodo minimo di servizio per avere diritto alla pensione di anzianità fu fissato dalla legge in trenta anni per gli ufficiali generali, per gli
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LE RADICI
ufficiali superiori e per i capitani, in venticinque anni per gli ufficiali subalterni, per i sottufficiali e per i militari a lunga ferma, in venti anni per i cappellani e per i medici. Per quanto riguarda l'entità delle pensioni si riporta la tabella allegata alla legge.
IMPORTO MlNIMO
GRADO ED IMPIEGO
ANNUO DELLA PENSIONE
AUMENl'O ASNUO PER IMPORTO MASSIMO OGXI Mi"-0 DI 51:R\'lZIO ANNUO IN PIU' OPER OGNI DELLA PENSIONE CAMPAGNA
generale d'armata
6.000
100
8000
tenente generale
4.200
90
6.000
maggiore generale
3.300
60
4.500
colonnello
2.700
45
3.600
tenente colonnello
2. 160
42
3.000
maggiore
1.800
35
2.500
capitano
1.400
25
1.900
tenente. veterinario in I•
920
24
1.400
sottotenente, veterinario in 2•
720
22,50
1.170
guardarme. maresciallo d'alloggio dei carabinieri reali
540
15
840
furiere maggiore. tamburino maggiore. trombettiere maggiore, capo musica
360
14,50
650
furiere, sergente. capo armaiolo, infermiere maggio,·e
300
li
520
caporale furiere, caporale, capo operaio, brigadiere, vice brigadiere e appuntato dei carabinieri, musicanti, trombettieri di cavalleria e artiglieria, sellai. morsai, armaio li, maniscalchi. infermieri
220
9
400
sottocaporali, tamburini, trombctticri. soldati, vivandieri
200
7,50
350
Per le pensioni di invalidità: la cecità, l'amputazione di entrambe le mani o di entrambe le gambe davano diritto al massimo della pensione di anzianità prescritta per il grado, maggiorata del cinquanta per cento. Per invalidità minor importanza erano previsti minori emolumenti, sempre però maggiori di quelli
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO ( 1861 - 1990)
per anzianità. Con la legge del 25 marzo 1852 furono riordinati gli stipendi degli ufficiali, sopprimendo l'antica usanza delle razioni giornaliere di pane, ma mantenendo in vita quella di foraggio corrisposta in contanti e calcolata una lira. La legge, oltre a prevedere indennità varie a seconda del grado e dell'impiego (spese di rappresentanza, spese di cancelleria, supplementi di paga per gli ufficiali dei carabinieri), fissava entità diverse di paga annua a seconda dell'arma o del corpo di appartenenza. Si riportano le principali tabelle.
UFFICIALI GENERALI
PAGA ANNUA
RAZIONI GIONALIERE DI FORAGGIO
GENERALE D 'ARMATA
9.600
5
TENENTE GENERALE
8.400
4
MAGGIOR GENERALE
7.200
3
GRADO ED IMPIEGO
UFFICIALI DELLE ARMI DI LINEA
Fanteria Beraglicri
Cavalleria
Artiglieria
Genio
Treno
GRADO ED IMPIEGO Paga Annua
Raz. Paga Raz. Paga Rai. Paga Raz. Paga Raz. giorn. giorn. giorn. giorn. giorn. for. Annua for. Annua for. Annua for. Annua for.
Colonnello
6.000
2
6.600
6
6.400
3
6.400
2
6.400
3
Tenente colonnello
4.000
2
4.500
4
4.500
3
4.500
2
4.500
2
Maggiore
3.500
I
4.050
4
3.600
3
3.600
2
3.500
2
Aiutante maggiore in 1~
J.600
-
-
-
scc. sec. sec. sec. sec. sec. grado grado grado grado grado grado
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LE RADICI
segue tabella UFFICIALI DELLE ARMI DI LINEA
Fanteria Beraglieri
Ca,·alleria
Artiglieria
Genio
Treno
GRADO ED IMPIEGO Raz. Paga Raz. Paga Raz. Paga Raz. Paga Raz. giorn. gioro. giorn. giorn. giorn. Annua for. Annua for. Annua for. Annua for. Annua for. Paga
secon. secon. secon. secon. secon. secon. grado grado grado grado grado grado
Aiutante maggiore in 2•
1.500
Cappellano
1.700
-
1.700
-
1.700
-
1.700
Capitano 1• cl.
2.400
-
3.000
3
2.700
2
2.700
-
2.400
2
Capitano 2• cl.
2.100
-
2.700
3
2.400
2
2.400
-
-
-
Tenente l • cl.
-
-
2.000
2
1.700
2
1.700
-
-
-
Tenente 2• cl.
-
-
1.700
2
1.500
2
1.500
-
-
Tenente
1.450
-
-
-
-
-
-
-
1.700
2
Sonotenente
1.300
1.400
2
1.400
2
J.400
-
1.700
2
-
-
-
UFFICIALI DEL CORPO REALE DI STATO MAGGIORE GRADO ED IMPIEGO
RAZIONI SOPRASSOLDO PAGA ANNUA GIONALIERE GJORN. IN OCC. DI DI FORAGGIO CAMPAGNA GEODETICA
COLONNELLO
6.600
3
12
TENENTE COLONNELLO
4.500
3
12
MAGGIORE
4.050
3
10
CAPITANO Dl l'
3.000
2
IO
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
UFFICIALI DEI CARABINIERI PAGA ANNUA + SUPPLEMENTO
RAZIONI GIORNALIERE DI FORAGGIO
COLONNELLO
6.000 + 1.200
4
TENENTE COLONNELLO
4 500 + 1.200
4
MAGGIORE
4.050 + 900
4
CAPITANO
3.000 +
3
AlUTANTE MAGGIORE TN 1•
secondo il grado
secondo il grado
AlUT ANTE MAGGIORE IN 2•
secondo il grado
secondo il grado
TENENTE
2.050 +
500
2
SOTTOTENENTE
1.200 + 400
2
GRADO ED IMPIEGO
600
Come dimostrano le tabelle sopra riportate la "giungla delle retribuzioni" non è un fatto recente! Se si considera, inoltre, che le indennità erano a volte molto cospicue -l'indennità annua di rappresentanza dell'ispettore generale dell'esercito era di 5.400 lire, quella dei comandanti delle divisioni militari di Torino, Genova ed Alessandria addirittura di 6.000 lire -si giunge alla conclusione che, almeno nelle specifico settore, la nuova legge riordinò ben poco, limitandosi a sancire situazioni di privilegio createsi con gli anni e che non giovavano certo alla compattezza dei Quadri. 5. Anche il settore ordinativo fu ampiamente toccato dalle riforme del La Marmora, molto sollecito nel recepire gli ammaestramenti tratti dall'infelice esperienza del 1848 - 49. Tralasciando i numerosi ammodernamenti apportati ali' organizzazione territoriale - incentrata sempre sui comandi di divisione (Torino, Genova ed Alessandria), di sottodivisione (Chambery, Cagliari, Nizza e Novara) e di piazza - saranno esaminati i provvedimenti riguardanti l'esercito di campagna. La fanteria fu definitivamente ordinata su dieci brigate monoarma di due reggimenti: Granatieri di Sardegna (1 ° e 2° reggimento granatieri), Savoia (1 ° e 2° reggimento fanteria), Piemonte (3° e 4°), Aosta (5° e 6°), Cuneo (7° e 8°), della Regina (9° e 10°), Casale (11° e 12°), Pinerolo (13° e 14°), Savona (15° e 16°), Acqui (17° e 18°). Ogni reggimento si articolava in quattro battaglioni, ciascuno dei quali contava quattro compagnie di I 50 uomini. Battaglioni quindi più smilzi, ma più comandabili e più agili. Con la soppressione delle compagnie reggimentali granatieri e cacciatori furono incrementati i battaglioni bersaglieri, che raggiunsero il numero di
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dieci, uno per ogni brigata. Naturalmente questo nuovo ordinamento non ebbe il favore di tutti, soprattutto l'aumento notevole dei battaglioni bersaglieri fu aspramente criticato. La questione è ancora attuale, sotto certi aspetti, e si è ripetutamente posta a tutti gli ordinatori. Gli elementi fisicamente e moralmente migliori debbono essere lasciati in tutte le unità, assicurando così a tutte un discreto livello di rendimento, oppure è meglio raggrupparli in poche unità di tono elevato, accettando però un inevitabile scadimento nelle unità restanti? Nessuno ha mai dato una risposta convincente a tale problema; sul momento, considerando anche un'analoga iniziativa dell'esercito austriaco, che aveva raddoppiato i suoi battaglioni cacciatori, la rifom1a fu considerata utile e dal ministro e dai suoi giovani ed entusiasti collaboratori che se "non erano tali da potersi paragonare a uno Stein, a uno Scharnhorsl, a uno Clausewitz, i ricostruttori dell'esercito tedesco nel periodo 1807-1813, erano però dei galantuomini e dei valent'uomini portati ad accogliere quanto di meglio la prassi ufficiale del tempo sembrava offrire" <9>. Con il regio decreto del 3 gennaio 1850 anche la cavalleria fu riordinata. Nella campagna del 1848 la cavalleria sarda, tutta pesante ed ordinala in grossi reggimenti di sci squadroni, si era dimostrata poco idonea ai terreni della pianura lombarda, ricca di corsi d'acqua e di siepi. Con il nuovo ordinamento il La Marmora cercò di rimediare, attuando una non facile manovra di mediazione tra gli elementi più tradizionalisti dell'arma, che ancora ritenevano la cavalleria in grado di agire con l' urto, e quelli più innovatori che volevano impiegare la cavalleria soltanto nell'esplorazione. La cavalleria fu pertanto ordinata su quattro reggimenti di cavalleria pesante (Nizza, Piemonte Reale, Savoia e Genova), armati di lancia, pistola e sciabola per l' azione d'urto e su cinque reggimenti di cavalleggeri (Novara, Aosta, Saluz.zo, Monferrato e Alessandria) armati di moschetto, pistola e sciabola per l'azione esplorante. Tutti i reggimenti erano su quattro squadroni attivi e uno di deposito. L ' artiglieria 0 0) fu completamente riordinata con il regio decreto del ottobre 1850. Per quanto riguarda i reparti operativi fu previsto: il reggimento operai su una brigata <11l operai ed una brigata pontieri; il reggimento da piazza su due brigate, ciascuna su sei compagnie; il reggimento da campagna su una brigata a cavallo su due batterie e sei brigate campali, ciascuna su tre batterie. Nonostante una forte corrente di pensiero, capeggiata dal Cavalli ( 12), rite nesse le batterie campali troppo pesanti ed auspicasse una riduzione dei calibri, il La Marrnora mantenne in servizio i tradizionali pezzi da 8 e da 12
(9) P. Pieri. op. cit.. pag. 570. ( 10) All'epoca la denominazione ufficiale dell'artiglieria era Corpo Reale d'Artiglieria. (I I) All'epoca la brigata era l'equivalente dell'odierno gruppo. ( 12) Giovanni Cavalli (1808-1897). Ufficiale d'aniglieria panecipò da maggiore alle campagne del 1848- 1849 e da colonnello a quella del '59. Comandante dell 'aniglieria dell'esercito della Lega. con il grado di tenente generale comandò l'accademia di artiglieria e genio. Deputato e senatore. Ideatore del cannone rigato a retrocarica, di numerosi tipi di affusto e di un equipaggio da ponte.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
libbre. Tutte le batterie, da campagna e da piazza, divennero però monocalibro mentre in precedenza accanto aj cannoni coesistevano due obici da 12 o da 15 cm, rispettivamente per le batterie da campagna e per quelle da piazza. Nel 1852 fu riordinato il genio 0 3) che, per quanto riguarda i reparti operativi, fu articolato in un reggimento zappatori su due battaglioni, ciascuno ili cinque compagnie. Non meno importanti furono le riforme operate nel settore logistico. Già il 30 ottobre 1850 un regio decreto riordinò tutto il corpo sanitario militare imprimendo al servizio di sanità un deciso impulso all'ammodernamento e al miglioramento delle prestazioni. In questo settore il La Marmora potè giovarsi della collaborazione di Alessandro Riberi, il vero fondatore della medicina militare italiana <14>. Le tappe fondamentali di tale rinnovamento possono essere così individuate: citato regio decreto che stabilì nuove e più moderne procedure per l'immissione dei medici nell'esercito, nuovo sviluppo di carriera, nuova articolazione degli ospedali; fondazione del Giornale di medicina militare nel 185 l, vera palestra, ancor oggi valida, per migliorare la preparazione professionale dei medici; regio decreto del 26 giugno 1853 che istituiva il deposit0 farmaceutico militare per la produzione dei medicamenti, fino ad allora acquistati dal commercio, ed introduceva nel corpo sanitario anche i farmacisti, operanti nelle appena costituite farmacie degli ospedali militari; la creazione della compagnia infermieri militari, a cui fu affidato il compito di assistere i ricoverati e di amministrare contabilmente gli ospedali. Tale compagnia nel 1856 fu incorporata nel battaglione d'amministrazione. Naturalmente si pose una particolare cura nel riordino del servizio di commissariato, sia per la branca vestiario sia per quella del vettovagliamento. Proprio in quest'ultimo settore fu realizzato il provvedimento più incisivo: la panificazione in proprio. Lo sviluppo delle ferrovie consigliò poi al La Marmora di procedere anche al riordinamento del servizio trasporti, riducendo sensibilmente i reparti addetti al traino animale. Con il regio decretO 12 dicembre 1852, infatti, il corpo del treno di provianda <15 ) cambiò denominazione in corpo del treno di armata e fu articolato su sole quattro compagnie. Contemporaneamente vedeva la luce l'Istruzione sul trasporto delle truppe per mezzo delle ferrovie, segno concreto dell'interesse dell'amministrazione militare verso il nuovo mezzo di trasporto. li riordinamento dell'organizzazione logistica fu completato con la pub-
( 13) All'epoca la denominazione ufficiale del genio era Corpo Reale del Genio.
(14) Vds. il breve profilo biografico del Riberi nella parte II di questo volume. (15) Si riporta l'etimologia del termine "treno di provianda" dal I volume dell'opera La logistica dell'esercito italiano di F. B0t1i: "1reno deriva dal francese train, "complesso delle parti su cui si stabilisce la cassa del carro. della carretta e simili. Il termine è passato poi ad indicare, in senso lato, il complesso di uomini, quadrupedi e carri, riuniti in uno speciale reparto, con i quali si trasponano gli altrezzi ed i materiali di un esercito. Provianda (tedesco Proviant. francese provende veuovaglie, viveri. U Tommaseo-Bellini fo derivare il termine da provvedere e vivanda uniti insieme) significa provvigioni da bocca, vettovaglie ..
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blicazione di una completa ed organica regolamentazione logistica nei primi mesi del 1859, proprio nell'imminenza della guerra con l'Austria. 6. Il convincimento del La Marmora e dei suoi giovani collaboratori che fosse necessario elevare il tono culturale ed il livello professionale degli ufficiali e dei sottufficiali determinò una rifonna radicale di tutto l'ordinamento scolastico dell'armata sarda. Con il regio decreto dell' 8 ottobre I 857 furono riordinati criteri di ammissione, programmi e metodi di insegnamento della Regia Militare Accademia di Torino, fin dai tempi della Restaurazione unico istituto di reclutamento e di formazione degli ufficiali sardi. Gli aspiranti all ' ammissione, che dovevano aver compiuto almeno quindici anni, erano selezionati con esami orali nelle seguenti materie: principi di algebra, geometria piana, lettere italiane e francesi, catechismo e calligrafia. Gli allievi delle armi di linea seguivano un corso triennale al termine del quale, se idonei, erano promossi al grado di sottotenente ed inviati ai reparti. Gli allievi delle armi speciali, artiglieria e genio, frequentavano un corso quadriennale. Se idonei e, quindi, promossi sottotenenti, dovevano ancora frequentare per un biennio la Scuola Complementare, applicandosi allo studio delle materie più svariate: geodesia, mineralogia, fortificazione campale e permanente, teoria delle mine, impiego dell'artiglieria, arte militare. Per i soli artiglieri era ancora previsto l' insegnamento della balistica, del disegno e del materiale d'artiglieria mentre ai soli genieri era riservato lo studio dell'architettura civile e militare, delle costruzioni, delle fortificazioni militari e della progettazione. Anche con questo nuovo ordinamento fu mantenuto in vita il criterio, ormai del tutto sorpassato, di unificare nella stessa persona il costruttore e l'ufficiale per cui si continuò a ritenere indispensabile che l'ufficiale di artiglieria dovesse anche essere in grado di progettare e sovraintendere alla costruzione di una bocca da fuoco e che l'ufficiale del genio dovesse anche progettare e costruire caserme e fortezze. Naturalmente quello che acquisiva l'ingegnere andava a scapito dell'ufficiale. La diversa durata del corso di studi provocò, un pò alla volta, la peregrina convinzione - durata nell'esercito italiano praticamente fino al secondo dopoguerra- che solo gl.i studi a carattere scientifico costituissero un valido banco di prova per selezionare gli ufficiali e che, quindi, gli avanzamenti a scelta dovessero privilegiare gli ufficiali provenienti dalle cosiddette armi dotte. Nei tempi lunghi quest' orientamento didattico soffocherà spesso l'estro creativo, l'iniziativa operosa, l'anelito al rinnovamento degli ufficiali delle armi di linea, tenuti lontani dai centri decisionali dell'esercito. Per quanto fin dal I 815 per entrare in Accademia fosse sufficiente "una civil nascita", l'elevato ammontare della retta annuale, 900 lire piemontesi, limitava molto il numero delle famiglie in grado di avviare i figli alla carriera militare e, di conseguenza, molto limitata era la possibilità di selezionare con
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estremo rigore -come sarebbe stato auspicabile - gli aspiranti aJla carriera. Forse consapevole di quanto fosse in pratica difficoltoso entrare in Accademia, il La Marmora cercò di aumentare le "vocazioni" riordinando il Collegio Militare, scuola appunto "atta a preparare allievi idonei all'ammissione nella regia militare accademia, ricevendo giovani uscenti dai pubblici corsi elementari e fornendo loro l'educazione e l'istruzione necessaria per poter proseguire nella stessa militare accademia gli studi superiori militari" (l6). Anche la frequenza di questo istituto era piuttosto costosa, 600 lire piemontesi la retta annua e 300 lire le spese di prima vestizione. Lo Stato però si accollava metà della retta per gli allievi meglio classificati e per i figli di genitori particolannente meritevoli nei confronti dell'amministrazione militare. Il corso di studi, quinquennale, prevedeva: - primo anno: grammatica italiana, grammatica francese, geografia fisica, storia sacra, elementi di aritmetica, calligrafia, nozioni militari; - secondo anno: grammatica italiana, grammatica francese, geografia europea ed asiatica, storia greca, aritmetica, calligrafia, OOL.ioni militari; - terL.O anno: lingua italiana, grammatica francese, geografia italiana, storia romana, principi d'algebra, disegno della figura, calligrafia; - quarto anno: lettere italiane, lettere francesi, geografia politica deirEuropa moderna, sLOria del medioevo, geometria piana, nozioni di storia naturale, disegno lineare, disegno della figura e del paesaggio, calligrafia; - quinto anno: lettere e storia della letteratura italiana, lettere e storia della le!leratura francese, geografia degli stati sardi, storia patria, geometria solida, matematica, elementi di logica e di metafisica, disegno lineare, disegno della figura e del paesaggio. Gli allievi che superavano il quinto anno erano ammessi di diritto ali' Accademia. Al fine di migliorare il reclutamento dei sottufficiali, tratti dai soldati d'ordinanza, esisteva uno speciale reparto, il battaglione dei figli dei militari, destinato a: "ricevere giovani figli di militari od appartenenti ad altre famiglie poco favorite dalla fortuna, e somministrare ai medesimi un'educazione ed istruzione militare intesa a fomJre all'esercito soldati atti a riuscire buoni sottufficiali"( 16). Il corso di studi, a LOtale carico dello Stato, comprendeva: lingua e composizione italiana, elementi di geometria. di disegno e di topografia; elementi di geografia e di storia; calligrafia, tenuta dei registri e pratica di cancelleria. Non mancavano gli insegnamenti di carattere specificamente militare: regolamento di disciplina, codice penale militare, scuola formale, nuoto, schemrn di baionetta e lezioni di tiro. Coloro che superavano il corso di studi ed avevano
( 16) Cosl recitava il R.D. del 18 luglio 1857.
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compiuto diciassette anni erano inviati ad un reggimento di fanteria, dove contraevano la ferma d'ordinanza ed iniziavano la carriera del sottufficiale. L'instancabile attività del La Marmora si rivolse anche al personale già in servizio. Già il 4 dicembre I 849, un mese dopo la sua nomina a ministro, il La Marmora sottopose alla firma del sovrano un decreto che istituiva la Scuola Normale di fanteria destinata al perfezionamento professionale di un certo numero di ufficiali che, a loro volta, avrebbero poi istruito gli ufficiali dei rispettivi reggimenti . L'anno successivo la scuola, ribattezzata Scuola Militare di Fanteria, fu trasferita da Torino ad Ivrea ed aperta anche ai sottufficiali meritevoli di divenire ufficiali dopo la frequenza di un corso biennale. A Pinerolo fu aperta la Scuola Militare di Cavalleria con compiti analoghi. Per quanto riguarda il corso biennale per i sottufficiali, nel secondo anno le nozioni di geometria e di fortificazione erano sostituite da quelle di veterinaria. Le riforme più incisive e innovatrici riguardarono però i militari di truppa. La circolare n. 490 del 12 novembre 1849 istituì per la prima volta presso i reparti dell'esercito le "Scuole reggimentali per l'istruzione primaria, gli esercizi di ginnastica e gli elementi d'arte militare". Il criterio che aveva portato all'istituzione di questi corsi era il convincimento che " ... anche la modesta ed appropriata coltura dell'ingegno, nonché la gagliardia del corpo conferiscano alla disciplina e al valore, come per esse il soldato si distolga dall'ignavia e dalle ignobili passioni che sono frutto dell'ozio e dell'ignoranza, onde nasce più frequente l'indisciplina... ;" il documento precisava poi che " ... in siffatti assegnamenti si avrà sempre presente che non si tratta di mutare i soldati e i sottufficiali in mezzi letterati, bensì solo di mettere gli uni e gli altri in grado di scrivere un rapporto intelleggibile, e di tenere i conti dell'amministrazione." Responsabilì delle scuole reggimentali furono i comandanti di reparto, che ne dovevano rispondere al ministro tramite i comandanti di brigata e di divisione. I corsi si tenevano nelle camerate e nei locali mensa da novembre ad aprile. Gli interessati erano sia i soldati ed i caporali, sia i sergenti; i primi si riunivano per battaglione in sezioni di 20 o 30 individui ciascuna, i secondi si riunivano per reggimento in classi uniche. Le materie di studio-lettura, calligrafia, aritmetica e composizione-erano insegnate da sottufficiali e da ufficiali che avevano seguito appositi corsi presso la Scuola di Fanteria; gli ufficiali curavano l'istruzione dei sottufficiali ed impartivano ai caporali e ai soldati lezioni di composizione, mentre i sottufficiali da parte loro insegnavano a leggere ed a scrivere ai caporali e ai soldati. Durante l'anno si svolgevano periodicamente prove tese ad accertare il grado ed i progressi nell 'istruzione fino agli esami.che venivano sostenuti ad
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aprile. Le esercitazioni ginniche che si svolgevano d'inverno, avevano lo scopo "non d'insegnare ai soldati agili e destri di loro natura a fare esercizi rischiosi e fuori del comune, ma bensì di rendere disinvolti quelli che lo sono meno, vale a dire di sviluppare le forze dei più, e dare ai muscoli quella flessibilità cbe non possono avere se non con l'uso." Le materie di studio per i caporali ed i soldati erano le seguenti: - terza classe: principi di lettura, calligrafia, calcolo mentale, esercizi di nomenclatura; - seconda classe: lettura e calligrafia, scrittura sotto dettatura, rudimenti di grammatica, prime regole d'aritmetica, nozioni sul sistema metrico-decimale, modo di comporre i rapporti e gli specchi, continuazione degli esercizi di nomenclatura; - prima classe: grammatica e calligrafia, esercizi di componimento, aritmetica sino alle proporzioni comprese, sistema metrico-decimale, continuazione del modo di comporre rapporti e specchi, continuazione degli esercizi di nomenclatura. L'insegnamento nelle tre classi riservate ai sottufficiali, prevedeva la geometria, il disegno, la topografia e tutta la contabilità militare; nel 1859 il ministero istitul, a livello di brigata o di reggimento, dei corsi di lingua francese destinati a tutti quei sottufficiali che sarebbero andati alla scuola di Ivrea. Le succitate disposizioni attuative mettono bene in evidenza il carattere essenzialmente pragmatico che si volle conferire ai numerosi corsi d'istruzione. Nella loro prosa essenziale le norme sgombravano il campo da possibili future gonfiature di tipo culturale e chiarivano che le istruzioni dovevano essere finalizzate esclusivamente alle necessità dell'esercito. E fu cura personale del La Marmora controllare anno per anno le relazioni dei comandanti di reggimento sull'esito dei corsi e promuovere le necessarie modifiche ai programmi cd alle metodiche di insegnamento al fine di ottenere il miglior rendimento possibile. 7. L'attività riformatrice si occupò anche del settore più propriamente tecnico e quasi tutti i regolamenti ed i manuali di impiego furono rinnovati o diramati per la prima volta. Meritano una particolare citazione il Regolamento di disciplina militare e d'istruzione e servizio intemo per la fameria, il manuale sul maneggio delle artiglierie, quello sulle armi portatili, l'impiego degli zappatori del genio. Nel quadro di una preparazione alla guerra ali' Austria, ormai traguardo chiaro e ben definito della politica del regno, furono rimodernate le fortificazioni di Alessandria e di Casale, furono avviati i primi studi per un organico progetto di mobilitazione che tenesse conto della nuova realtà ferroviaria e fu anche attuato qualche miglioramento nel campo degli armamenti con l'adozione della carabina rigata Miniè per i battaglioni bersaglieri.
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Anche il campo dottrinale fu investito dalla provvida attività riformatrice del La Marmora. Nel 1855 vide la luce l'Istruzione sulle operazioni secondarie della guerra che completava il Regolamento per l'esercizio e le evoluzioni della fanteria di linea del 1853 e le Istruzioni pratiche di artiglieria del 1852. La nuova pubblicazione, che segnò il trapasso dalla tattica geometrica a quella topografica, "ordinò in maniera sistematica ed armonica i criteri-guida ai quali ispirare le scelte taniche nelle varie fasi del combattimento conferendo al terreno, piattaforma di ogni manovra e di ogni allo tattico, la preminenla rispeno ad ogni altro fattore, compresa la regolarità geometrica delle formazioni e degli ordini di movimento e di battaglia" <17). Un gran salto di qualità, che riportò l'esercito sardo nel campo tattico allo stesso livello dei migliori eserciti europei. "In sintesi, la determinazione della dottrina tallica e le innovazioni apportate ai procedimenti di azione -come, ad esempio, la definizione di quelli riguardanti il com balli mento in ordine sparso- fecero respirare ali' armata un'aria nuova che le fu di grande giovamento morale e tecnico" 08). Deve infine essere ricordata l'ultima realizzazione del La Marrnora, il Codice penale militare per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, emanato il I 0 ottobre 1859. La promulgazione di un nuovo codice si era resa necessaria per adattare le norme della legislazione penale militare ai nuovi principi di diritto pubblico sanciti dallo S1atuto. Il Parlamento subalpino, quello stesso Parlamento che aveva abolito il foro ecclesiastico, non ebbe alcuna esitazione ad approvare le nuove norme, riconoscendo così, e per il tempo di pace e per il tempo di guerra, la legittimità della giurisdizione penale militare, non come conservazione di un antico privilegio ma come necessità giuridica, in ossequio al criterio della specializzazione del giudice, per assicurare cioè al giudizio un maggior tecnicismo affidando al giudice più adatto la materia penale militare che è, secondo il Vico, "di delicatezza imparagonabile a quella di qualsiasi altra materia giuridicamente rilevante, e per la specie e la rilevanza degli interessi offesi, e per l'intensità dei vincoli che costringono gli agenti, e per le condizioni irriproducibili di ambienti in cui essi operano". Con il nuovo codice scomparvero finalmente le pene corporali, tranne quella di morte, nonchè, salvo lievi differenze dovute alla diversi1à dello stato giuridico, la distinzione tra le pene riservate agli ufficiali e quelle per i sollufficiali ed militari di truppa. Altra particolarità del nuovo codice fu la più completa trattazione dell'istituto del bando. Fu infatti riconosciuta, una volta dichiarato lo stato di guerra, al comandante in capo dell'esercito, ed ad altri comandanti di grado inferiore che fossero impossibilitati a comunicare con lui, la facoltà di emanare bandi
17) F. S1efani. La storia dtlla do11rina t degli ordinamenti dell'esercito italiano. volumi 3, Ufficio Storico Su110 Maggiore Esercito, Roma 1984-1989. Voi. I, pag. 97. (18) F. Stefam, ibidem.
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con forza di legge validi nel territorio del loro comando. 8. Una valutazione globale dell'opera di Alfonso La Marmora non può non essere pienamente positiva ed ancor oggi deve essere condiviso il giudizio che ne diede nel 19 I I il Bava-Beccaris: "Fu, infatti, suo grandissimo merito l'aver riorganizzato i Corpi di truppa ed i servizi in ragione del numero e della forza che potevasi costituire ali' atto della guerra; l'aver regolato con norme nuove l'amministrazione e la disciplina; l'aver dotato l'esercito delle leggi fondamentali sullo stato degli ufficiali, sull'avanzamento e sul reclutamento; leggi che furono poi la base di nuovi ordinamenti, ed, infine -prevedendo che un giorno il Piemonte avrebbe ripreso la lotta contro l'Austria- l'aver provveduto a fortificare la frontiera orientale dello Stato e specialmente la linea del Po" (19). Le successive esperienze di guerra dell'esercito italiano avrebbero tuttavia rivelato una lacuna nell'opera del riformatore piemontese: la mancata creazione di un moderno Stato Maggiore. Nel 1855 il La Marmora approvò la pubblicazione Breve istruzione sul servizio degli ufficiali del Corpo Reale di Stato Maggiore in tempo di guerra, ma la nuova Istruzione mantenne al corpo le limitate funzioni attribuitegli da re Carlo Alberto nel 1831, quelle cioè di raccogliere in pace "notizie, specialmente topografiche e militari, opportune a fondare e ad illustrare il sistema strategico dello Stato" e in guerra "dirigere e secondare gli effetti delle operazioni ed in conseguenza agevolare al Capo dell'armata il modo di conoscere e di provvedere ai bisogni della guerra e di mantenere in ordinata considerazione le varie parti dell'armata stessa". Funzioni quindi di carattere meramente esecutivo, lontanissime da quell'attività di collaborazione e di compartecipazione all'azione del Comandante che era già ben delineata nei regolamenti dell'esercito prussiano. Conseguenza di quest'orientamento fu la mancata creazione fin dal tempo di pace degli indispensabili organi di comando e di controllo tattico, mancanza pagata a caro prezzo nella guerra del 1866. Lacuna perciò grave e che non si spiega altrimenti se non con il carattere molto egocentrico del La Marmora, evidentemente convinto che ad un buon comandante non fosse necessario l'aiuto di un organismo chiaramente definito, e con la grande tradizione napoleonica, sempre vivissima in Piemonte, del Comandante che tutto conosce ed a tutto provvede. Sempre in questa prospettiva deve essere valutata la mancanza di una scuola di perfezionamento per gli ufficiali superiori, scuola che avrebbe degnamente completato l'ordinamento scolastico militare. Per quanto riguarda il livello culturale degli ufficiali di grado più elevato (19) F. Bava-Beccaris, L'esercito italiano, le sue origini, suo successivo ampliamento, suo stato attuale, in AA.VV. Cinquanta anni di storia italiana 1860-1910, a cura dell'accademia dei Lincei, Hoepli, Milano 19 li. li saggio, definito cronaca agiografica dalla storiografia marxista, si segnala per l'accuratezza delle informazioni e per l'onestà delle valutazioni. Vds. anche i! breve profilo biografico del Bava-Beccaris nella parte II di questo volume.
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è ancora necessario ricordare brevemente che l'opera riformatrice del La Marmora fu notevolmente agevolata dal generale clima innovatore che si respirava nel regno di Sardegna. L'epoca della Restaurazione -quando Silvio Pellico poteva scrivere: 'Torino paragonata a Milano è una misera cittaduccia di provincia. Non v'è ricchezza e gusto in nulla fuorchè nell'addobbare chiese e far mascherale divote: muove rabbia il vedere tanti bei soldati non per altro che per accompagnare processioni. viatici e simili pretine faccende" <20) - era ormai ben lontana. In attesa di divenire la capitale legale, Torino era diventata in pochi anni la capitale morale degli Ila( iani anche per merito dei tanti fuorusciti politici che vi avevano trovato amichevole asilo. Non solo nell'uni versi là, nel parlamento e nel governo, basti citare per tutti Francesco Dc Sanctis ed Ambrogio Paleopaca, ma anche nell'esercito gli esuli erano stati accolti con favore e vi avevano portato un lievito di vita nuova. Manfredo Fanti <21 l, Enrico Cialdini (22), Domenico Cucchiari (23) -tulli reduci dalla guerra di Spagna contro i Carlisti- Giovanni Durando <24 >, Giacomo Durando <25> -esuli dopo i moti del L831- sono soltanto i nomi di maggiore spicco tra le decine e decine di ufficiali che, transitati nell'esercito sardo dopo il 1848-49, vi compirono una dignitosa carriera. Già nel 1851 un esule napoletano, Girolamo Ulloa <26 >, aveva pubblicato
(20) Lettera di Silvio Pellico al fratello Luigi del 21.6.1820. (21) Vds il breve profilo biografico del Fanti nella parte Il di questo volume. (22) Vds. il breve profilo biografico del Cialdini nella parte Il di questo volume. (23) Domenico Cuccltiari (1806-1900). Laureato in giurisprudenza dovette emigrare dopo i moti del 1831. Combattente nel Portogallo e poi in Spagna, passò nel 1848 nell'esercito modenese e poi in quello sardo con il grado di colonnello. Comandante del 4° fanteria a Novara meritò una medaglia d'argemo al v.m. Maggior generale nel 1855, s1 guadagnò la promozione a tenente generale per il contegno tenuto nel I 859 a San Martino, al comando della 5' divisione. Prese pane alla guerra del 1866 in qualità di comandante del 11 corpo d'annata. Deputato dal I860, nel 1865 fu nominato senatore. (24) Giovanni Duranto (1804-1869). Lasciato il servizio nell'esercito sardo per le sue idee liberali, nel 1831 passò in Portogallo ed in Spagna dove raggiunse il grado di brigadiere. Tornato in Piemonte. comandò nel 1848 la divisione pontificia nel Veneto, distinguendosi a Vicenza. Comandante di divisione a Novara, in Crimea e nella guerra del 1859, comandò il I corpo d'annata a Custoz.a nel 1866, rimanendo fento. Deputato al parlamento e senatore. (25) Giacomo Durando ( 1807-1894). Laureato in legge, segul nel 1831 il fratello in esilio e militò nelle guerre iberiche raggiungendo il grado di colonnello. Rientrando in Italia fu nominato maggior generale dal governo provvisorio di Milano e posto al comando di formazioni volontarie Passa10 all'esercito sardo. resse l'interim della Guerra durante la permanenza del La Mannora in Crimea e, nel 1862. fu ministro degli Esteri. Comandò il Dipartimento Militare di Napoli e fu Presidente del Tribunale Supremo. Deputato per le prime cinque legislature. fu nominato senatore nel 1883 e ranno successivo fu eleuo Presidente del Senato. (26) Girolamo Ulloa (18 10- 1889). Ufficiale dell'esercito napoletano segul Guglielmo Pepe a Venezia e si distinse molto nella difesa della città lagunare. Esule a Torino. fu inviato in Toscana da Cavour nel 1859 per preparare la fusione dell'esercito toscano con quello sardo. Scrittore militare di buon livello pubblicò diversi volumi: L 'eserciro italiano alla battaglia di Custoza. Gli eurcill e la politica italiana. Studio della tattica delle tre armi, La nuova tattica prussiana, I due sistemi di difesa de/l'Italia. oltre al già citato Dell'arte della guerra.
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a Torino un pregevole volume, Dell'arte della guerra, chiara ed organica esposizione del pensiero dello Jomini, scritto per "prorogare tra gli Italiani le più importanti cognizioni dell'arte della guerra, e di renderle, per quanto è possibile, facili alla intelligenza della gioventù". Nel corso del 1856 altri due esuli napoletani, i fratelli Carlo e Luigi Mezzacapo <27> iniziarono la pubblicazione della Rivista Militare, periodico che sviluppò con notevole forza concetti operativi nuovi, addirittura rivoluzionari. I Mezzacapo, infatti, quando l'Italia era ancora divisa in sette Stati, gia dissertavano di una difesa unitaria dell 'intera penisola, affermando che la perdita della pianura padana non avrebbe compromesso la possibilità di reiterare l'azione difensiva appoggiandosi agli Appennini. Anche nel settore economico, pagato il debito di guerra ali' Austria, si registrò una buona ripresa. Le riforme, in questo settore già iniziate da Carlo Alberto e proseguite con maggiore dinamismo dal Cavour, cominciarono a dare frutti rigogliosi, come sempre avviene quando cadono le bardature vincolistiche e si instaura una politica econom ica favorevole alla libera iniziativa. Come ha notato uno storico inglese, John Whittam, "nel 1848 c'erano otto kilometri di Linea ferrata, dieci anni dopo ve n'erano 850, con altri 250 in costruzione.... E fu in questa occasione che furono tenute le prime grandi manovre, utilizzando le ferrovie, i 414 k.ilomclri di nuove strade nazionali ed i 700 kilometri di strade provinciali. E nel corso di future manovre belliche o di piani di mobilitazione non sarebbe stato possibile ignorare i 1256 kilometri di linee telegrafiche." (28>. Soprattutto la rapida espansione delle ferrovie, con la costruzione delle linee Torino-Alessandria-Genova, Susa-Torino e Torino-Vercelli-Novara, rappresentò non solo un incentivo notevole all'industrializzazione del regno ma anche un nuovo strumento operativo per le necessità dell'esercito. Nell'ordinato e laborioso regno di Sardegna del decennio cavouriano molte riforme e molte realizzazioni, pur se attuate dal governo sulla base di considerazioni prevalentemente di carattere economico, si dimostrarono poi, alla prova dei fatti, provvide sotto il profilo militare. 9. La battaglia della Cernaia ( 16 agosto 1855) -nella quale il corpo di spedizione sardo aveva validamente contribuito a respingere l'attacco russo <29> (27) Vds. per entrambi il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
(28) J. Whittam, Storia de/J'esercirn italiano. Rizzoli. Milano 1979. 29) li corpo di spedizione sardo in Crimea al comando del generale Alfonso La Marmora era articolato su due divisioni (generali Alessandro La Marmora e Giovanni Durando). cia.~cuna su due brigate pluriarma (un reggimento fanteria, un battaglione bersaglieri, uno squadrone di cavalleria leggera, una baneria di artiglieria), cd una brigata di riserva per un totale di 18.000 uomini. Il 16 agosto 1855 i Russi tentarono di liberare dall'assedio Sebastopoli e mossero contro le posizioni alleate effettuando lo sforzo principale sulla sinistra, presidiata dai Francesi, e quello complementare sulla destra. tenuta da sette battaglioni sardi eon 18 pezzi. La battaglia, combattuta aspramente da tuni i contendenti. si risolse a favore degli alleati. I Sardi ebbero 184 moni e feriti, tra i quali il generale Rodolfo Gabrielli di Montevecchio, comandante di brigata. Alrri due genera.li morirono durante la campagna. Alessandro La Marmora e Giorgio Ansaldi. per l' epidemia di colera che fece altre 1300 vittime.
LE RADICI
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aveva consolidato il prestigio dell'esercito ed offerto una prima, positiva verifica dell'attività riformatrice del La Marmora, la seconda guerra d 'indipendenza offrì l'occasione per la definitiva conferma della validità dei nuovi ordinamenti. Al 31 gennaio 1859 l'armata sarda contava 48.676 militari di truppa, in pratica i contingenti di I° categoria delle classi alle armi piu alcune migliaia di soldati d'ordinanza. Nel marzo fu decretata la mobilitazione degli appartenenti alla n• categoria che, a causa dell'insufficiente addestramento ricevuto nei cinquanta giorni di istruzione previsti dalla legge, in pratica furono in condizione di rinforzare le unità operanti in Lombardia solo ai primi di luglio. Il necessario completamento dei reggimenti fu però ugualmente realizzato, ricorrendo ai numerosi volontari accorsi soprattutto dal Lombardo-Veneto, dalla Toscana e dai ducati (30). La convenzione militare stipulata nel dicembre 1858 con la Francia proibiva, infatti, l ' impiego di corpi franchi, non volendo Napoleone III conferire al conflitto un carattere anche formalmente rivoluzionario in quanto la sola intenzione di modificare gli assetti stabiliti con il Congresso di Vienna del 1815 costituiva già di per sè un fatto rivoluzionario per molte cancellerie europee. L'armata sarda potè così raggiungere, al momento di entrare in guerra, una forza di circa 60.000 uomini, articolata su cinque divisioni di fanteria (ciascuna su due brigate di fanteria, due battaglioni bersaglieri, un reggimento di cavalleria leggera, tre batterie di artiglieria, una compagnia zappatori del genio), una divisione di cavalleria (su due brigate, ciascuna di due reggimenti di cavalleria pesante) e una riserva d'artiglieria. Poichè Cavour intendeva comunque conferire al conflitto il carattere di guerra nazionale, con una parte dei volontari fu costituito il corpo dei Cacciatori delle Alpi, una piccola brigata su tre smilzi reggimenti di fanteria, al comando del quale fu posto Garibaldi, nominato per l'occasione maggior generale dell'armata sarda. "Singolare compromesso tra la guerra di popolo e la guerra regia" è il giudizio del Pieri sulla vicenda, giudizio che non può non essere condiviso. La breve campagna confermò le tradizionali caratteristiche di solidità e di valore dell'armata sarda e rivelò i progressi compiuti nel decennio precedente: un miglioramento notevole del grado di addestramento della truppa e dei Quadri, un più sp~ccato senso di iniziativa ed un atteggiamento più dinamico dei Quadri, specie di quelli intermedi, un livello di funzionamento finalmente accettabile dei servizi logistici, specie di quello sanitario. Montebello, Palestro, Confienza e soprattutto, per l' entità delle forze impiegate e per la dolorosa rilevanza delle perdite, San Martino furono episodi gloriosi che l'armata sarda allora e l'esercito italiano oggi possono ricordare con legittimo orgoglio. (30) Vds. sull'argomento il bel saggio di Anna Maria lsastia. li volontariato militare nella seconda guerra di indipendenza. in Studi storico-militari 1984. USSME, Roma L985.
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La naturale euforia per la vittoria ed il rapido succedersi, nei mesi successivi alla guerra, di tanti avvenimenti sorprendenti nascosero, tuttavia, alcuni errori ed alcune lacune del sistema militare sardo che un esame più distaccato e più approfondito delle operazioni avrebbe dovuto mettere in risalto per le opportune correzioni: la mancanza di un adeguato comando supremo in grado di pianificare prima e di dirigere poi le operazioni, la mancanza di riserve istruite per il completamento delle unità, l'incompleta preparazione tecnicoprofessionale dei Quadri di grado più elevato.
II. LA NASCITA TUMULTUOSA
I. L' I i luglio 1859 Napoleone III e Francesco Giuseppe si accordarono a Villafranca per porre termine al conflitto, ponendo altresì fine anche al progetto cavouriano di costituire il Regno del!' Alta Italia. Cavour, deluso ed amareggiato, dette le dimissioni. Vittorio Emanuele II dette, invece, prova di molto realismo rifiutandosi di proseguire la guerra all'Austria solo con le sue forze ed accettando la cessione della Lombardia. Forse il re si dimostrò ancora di animo più piemontese che italiano, come sostengono alcuni storici, forse prevalse in lui l'interesse dinastico -un Savoia non poteva non essere, almeno momentaneamente, appagato dal possesso di quella Lombardia che era stata l'irraggiungibile aspirazione di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III- è certo, comunque, che la sua decisione si dimostrò nel seguito degli avvenimenti addirittura provvidenziale per le sorti della nazione italiana. "Villafranca", ha scritto uno storico inglese, "permise all'Italia di staccarsi dall'abbraccio soffocante dell'aJleato francese e consentì al volontarismo di intervenire dove si era fermato l' esercito regolare. Gli accordi di alleanza con la Francia non erano riusciti a liberare l'Italia settentrionale dalle Alpi ali' Adriatico, ma nell'Italia centrale la situazione era molto fluida" O>. In pochi mesi il Regno di Sardegna triplicò la sua estensione territoriale ed il numero dei suoi abitanti, annettendosi, infatti, oltre alla Lombardia, la Toscana, i ducati di Parma e di Modena, le Legazioni pontificie. Anche l'esercito sardo, di conseguenza, si ampliò con una assai vasta modificazione delle zone di reclutamento, tanto che nell 'attesa di potersi ufficialmente denominare esercito italiano, preferì qualificarsi regio esercito, mettendo la sordina alla tradizionale denominazione di armata sarda. Già il 25 ed il 29 agosto, precedendo di molto il trattato di pace, il La Marmora, divenuto presidente del Consiglio pur mantenendo il dicastero della Guerra, sottopose alla firma del sovrano due decreti per sancire la costituzione di una brigata granatieri (3° e 4° reggimento Granatieri di Lombardia), di cinque brigate di fanteria -Brescia ( 19° e 20° reggimento fanteria), Cremona (2 I O e 22°), Como (23° e 24°), Bergamo (25° e 26°) e Pavia (27° e 28°)- e di tre reggimenti di cavalleggeri (Milano, Lodi e Montebello). Il 9 settembre un altro regio decreto sanzionò la costituzione di
( I ) J. Whinam, Sroria dell'esercito italiano (trad. italiana), Rizzoli. Milano 1979, pag. 80.
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sei battaglioni bersaglieri, dall 'XI al XVI. Seguì, subito dopo, la costituzione di nove batterie d'artiglieria da campagna, di cinque compagnie zappatori e di alcuni reparti del treno. Non fu trascurata nemmeno l'organizzazione scolastica: a Milano fu istituito un collegio militare per dare modo alla gioventù lombarda di avvicinarsi all'ambiente militare. La determinazione, politica prima ancora che militare, di fare dell'esercito il mezzo più incisivo e più celere per conferire la necessaria coesione alla Nazione che si andava formando, ebbe, infatti, nel La Marmora un tenace e convinto assertore. La costituzione di un nuovo reparto è, ancora oggi, una questione complessa e che non si risolve in breve tempo. Occorrono uomini, materiali, infrastrutture e, soprattutto, molto tempo perché un reparto può essere considerato veramente tale, può cioè essere considerato pronto per l'impiego, solo quando i Quadri ed i gregari sono affiatati, le norme ed i regolamenti sono stati assimilati, l'addestramento è stato completato per cui tutti conoscono il modo più redditizio dì impiego delle armi e dei mezzi in dotazione e, soprattutto, quando tutti hanno maturato la convinzione di far parte di un organismo efficiente e, quindi, hanno acquisito una ragionevole fiducia in se stessi e nei propri superiori. I regi decreti citati rappresentarono, quindi, solo l'atto di nascita per le nuove unità, che furono effettivamente costituite con gradualità, a mano a mano che le reclute ed i soldati lombardi, già incorporati nell'esercito austriaco, giungevano ad accrescere il nucleo iniziale dei singoli reparti, ollenuto dalla cessione di minori unità da parte dei reggimenti già in vita (2). Ed il problema dì più difficile soluzione fu proprio quello del personale. Dopo l'annistizio di Villafranca erano stati congedati 23.000 volontari, arruolati solo per la durata della guerra, e 12.000 soldati regolari , che avevano terminato gli obblighi di leva. Per ripianare gli organici delle unità bisognò attendere la fine dell'anno, quando fu incorporata la nuova classe.L'Austria contribuì ad aggravare l'esigenza perché restituì i soldati lombardi con molta lentezza, comunque, su un totale di 45.509 militari dì truppa restituiti, nei primi mesi del 1860 ne furono incorporati 37.476. Secondo dati ufficiali forniti dal ministero della Guerra, al la data del 29 febbraio 1860 la forza totale del!' esercito assommava a 127 .557 uomini. Per inquadrare un esercito così accresciuto fu giocoforza aumentare di molto l'entità del corpo ufficiali, ricorrendo a tutte le forme di reclutamento possibili. Alla data del 1° marzo 1860 gli ufficiali in servizio erano 4.990, di cui 2.961 già nei ranghi dell'annata sarda, 18 provenienti dall'esercito austriaco, 31 dalle truppe piemontesi, 157 richiamati dalla disponibilità (la posizione ausiliaria di allora), I l provenienti da formazioni volontarie lombarde del (2) I reggimenti di cavalleria si costituirono con la contribuzione dei reggi menti già in vita, ognuno dei quali cedette uno squadrone (Mi/aJ10 ebbe uno squadrone da Piemonte Reale. uno da Savoia ed uno da Genova cavalleria, lodi ricevette uno squadrone da Nii.za. da Sa/uzzo e da Alessandria. Momebello infine fu costituito con gli apponi di Novara, Aosra e Mo11ferrato).
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1849, 1.812 appena licenziati dalla Regia Accademia di Torino, dalla Scuola di Fanteria di Ivrea, da quella di Novara, dalla Scuola di Cavalleria di Pinerolo, o provenienti dai sottufficiali. Contemporaneamente nasceva un altro esercito, quello della Lega dell'Italia centrale. La seconda guerra d'indipendenza aveva provocato negli stati dell'Italia centrale un vasto sommovimento politico che, a sua volta, determinò un nuovo assetto militare della regione. Le vicende politiche sono note, saranno perciò ricordate solo le decisioni che ebbero una grande incidenza sulla nascita dell'esercito italiano. 2. Nel decenni.o precedente all'armistizio di Villafranca l'esercito toscano era stato riordinato con ottimi risultati prima dal De Laugier (3) e poi dal generale Ferrari di Grado, un ufficiale austriaco prestato al granduca. All'inizio del 1859 l'esercito toscano era articolato su: dieci battaglioni di fanteria di linea, ciascuno su sei compagnie; due battaglioni di fanteria leggera; due squadroni di cavalleggeri e tre batterie d'artiglieria da campagna. Anche la gendarmeria, su due battaglioni ed uno squadrone, organizzata sul modello napoletano, rappresentava un valido strumento operativo. Il piccolo esercito disponeva, infine, di un istituto di reclutamento e di formazione per gli ufficiali, il Liceo Militare, e di un collegio per i figli dei militari. Nel complesso 13.000 uomini bene armati e ben addestrati e soprattutto, nonostante il comandante austriaco, permeati di sentimenti schiettamente unitari. Partito il granduca, il 27 aprile 1859, il governo provvisorio affidò l'esercito al generale Ulloa, inviato da Torino, poi sostituito dal colonnello Cadoma (4). Nel giugno, ordinato in una divisione, l'esercito fu avviato in Lombardia, raggiungendo però il Mincio dopo l'armistizio. Del tutto diversa la situazione nel ducato di Modena e Reggio. Qui il piccolo esercito ducale, la Brigata Estense, si mantenne fedele a Francesco V e lo seguì nell'esilio <5), per cui il governo provvisorio potè disporre soltanto di due esili reggimenti di fanteria costituiti con i Cacciatori della Magra, un corpo di volontari organizzato in Lunigiana dal generale nizzardo Ribotti <6). Nel ducato
(3) Cesare De Laugier, nato all'Elba nel 1789, combattè sotto Napoleone in Spagna ed in Russia, passato netrescrcito napoletano di Murat si distinse a Castel Sangro. Nel l 829 entrò nell'esercito t0seano e nel l 848 comandò la divisione toscana alla battaglia di Cu rtatonc e Montanara. Si ritirò dal servizio nel l 85 I. Scrisse dal 1829 al 1838 un 'opera in tredici volumi, Fasti e vicende dei pop<>li italiani dal IROI al 1815. o Memorie di un ufficiale per servire alla storia militare italiana, che il Pieri ha definito "bella e generosa rivendicazione del valore italiano e tale da dover servire in seguito di base per qualsiasi nuovo lavoro su tale argomento", (4) Vds. di Raffaele Cadoma il breve profilo biografico nella pane li di questo volume. (5) La Brigata E.~tense, passata al servizio austriaco, fu dislocala nei pressi di Bassano dove fu sciolta nel I863 (6) Ignazio Ribotti di Molières ( l 809- l 864). Ufficiale dell'esercito sardo dovette lasciare il servizio nel 1831 per motivi politici. Entrato a far pane dell'esercito portoghese e poi di quello spagnolo, nel 1848 sbarcò in Sicilia per partecipare alla rivoluzione. Catturato dai borbonici scontò cinque anni di carcere. Rientrato a Torino fu nominato capitano. Nel l 859 costituì a Massa Carrara i Cacciatori della Magra. tenente generale nel 1860 ebbe il comando della divisione di Modena. Fu deputato nella V li e nell'Vlll legislatura.
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di Parma, dopo la partenza della duchessa Maria Luisa, l'esercito si mise a disposizione del governo provvisorio che, anche con l'apporto di alcune decine di volontari, costituì due reggimenti dì fanteria. Analogamente nelle Legazioni con i resti delle truppe pontificie integrate dai volontari furono costituiti due reggimenti di fanteria, affidati al comando del generale Roselli (7) e del colonnello Masi (8), ed un reggimento di cavalleria. Inoltre, con volontari provenienti dalle Romagne, i fratelli Mezzacapo costituirono in Toscana una seconda divisione su quattro reggimenti di fanteria ed una batteria di artiglieria. Nel complesso, forze del tutto insufficienti. I governi provvisori - retti da Bettino Ricasoli in Toscana, da Carlo Maria Farini nei due ex ducati riuniti e da Lionello Cipriani nelle Legazioni- non erano però in grado di migliorare l'assetto militare dei loro Stati nè il governo sardo, a cui erano rivolti appelli sempre più pressanti, possedeva le risorse umane e finanziarie per provvedere. Parve allora indispensabile attuare almeno un più stretto coordinamento tra le truppe dei tre Stati, per cui si decise di costituire la Lega dell 'Italia centrale con un unico esercito. Marco Minghetti, incaricato di cercare la persona adatta per assumerne il comando, indicò il Fanti, nonostante le perplessità dei mazziniani che avrebbero preferito Garibaldi, già nominato comandante delle truppe toscane. Il Fanti, ricevute assicurazioni dal governo sulla sua riassunzione nell 'esercito sardo, in qualsiasi momento e con lo stesso grado, accettò l'offerta e il 29 agosto 1859 giunse a Modena, sede del nuovo comando. Comandante in seconda fu nominato Garibaldi, decisione poco felice perché si trovarono a dover lavorare insieme "due uomini dotati ciascuno di una propria spiccata personalità e di caratteri assai differenti; non difficile, ma impossibile che si stabilisse fra di loro un duraturo accordo e che fra i due poli opposti non dovessero scoccare potenti scariche elettriche" (9). I primi atti del Fanti furono l'estensione agli ex ducati, alla Toscana e alle Legazioni del sistema di reclutamento piemontese, l'istituzione di una scuola militare a Modena per la formazione degli ufficiali necessari all'inquadramento del nuovo esercito, l'ampliamento delle industrie militari esistenti e la costruzione a Parma di una fonderia per pezzi di artiglieria da campagna. Alla base di questa intensa attività organizzativa vi era l'esigenza di unificare con quelli (7) Pietro Roselli (1808 -1865). Arruolatosi nella milizia pontificia nel 1848 partecipò con il generale Pepe alla campagna in alta Italia. Durante la Repubblica romana ebbe il grado di tenente generale ed il comando dell'esercito. caduta la repubblica si ritirò a vita privata. Nel 1859 organizzò in Emilia una divisione di volontari ed entrò nel 1860 nell'esercito italiano. (8) Luigi Masi (1814-1872). Volontario nel 1848 prese parte nel 1849 alla difesa della Repubblica Romana e di Venezia. Nel 1859 organizzò una colonna mobile di volontari romagnoli e nel 1860 i Cacciatori del Tevere. Entrato neU 'esercito italiano e promosso maggior generale ebbe il comando della brigata Umbria. Nel settembre 1866 fu decorato di medaglia d 'oro al V.M. per il comportamento tenuto nella repressione dei moti di Palermo. Nel 1872 fu promosso tenente generale ed ebbe il comando della divisione di Palermo. (9) L. Mondini. L'unificazione delle/orze armare. in Atti del XL Congresso per la storia del Risorgimento, Roma 1962.
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piemontesi gli ordinamenti militari dei tre diversi Stati, come ha infatti osservato il Whittarn "l'integrazione militare fra l'Italia settentrionale e centrale precedette quella politica e anzi le spianò la strada" (10) . Nel giro di pochi mesi l'esercito della Lega raggiunse 50.000 uomini, ordinati su cinque divisioni. Furono costituite: con i reggimenti modenesi e parmensi e con i volontari emiliani tre divisioni, al comando dei generali Luigi Mezzacapo, Roselli e Ribotti; con i volontari toscani una divisione e fu naturalmente mantenuta in vita la divisione regolare toscana. Furono costituiti, inoltre, undici battaglioni bersaglieri, quattro reggimenti di cavalleria, due reggimenti di artiglieria, uno da campagna ed uno da piazza, ed un reggimento del genio. Tutte queste unità adottarono naturalmente gli ordinamenti ed i regolamenti dell'esercito sardo. Al colonnello piemontese Cavalli fu affidato il comando dell'artiglieria mentre il colonnello Carlo Mezzacapo fu nominato capo di Stato Maggiore. Il corpo ufficiali era costituito da elementi di varia provenienza e di diverso valore, quasi tutti, comunque, erano veterani delle guerre d' indipendenza. Le unità dell'esercito dell'Italia centrale seguirono la numerazione di quelle del regio esercito ed adottarono il medesimo criterio di denominazione. Nacquero così le brigate Pisa (29° e 30° reggimento fanteria), Siena (31 ° e 32°), Livorno (33° e 34°), Pistoia (35° e 36°), Ravenna (37° e 38°), Bologna (39° e 40°), Modena (41° e 42°), Forlì (43° e 44°), Reggio (45° e 46°), Ferrara (47° e 48°), Parma (49° e 50°). I battaglioni bersaglieri furono numerati dal XVU al XXVII, quanto alla cavalleria furono creati tre reggimenti di cavalleggeri, (di Firenze, di Lucca, Usseri di Piacenza) e un reggimento di cavalleria pesante (Vittorio Emanuele cavalleria). Mentre il Fanti provvedeva ad organizzare l'esercito scoppiò il dissidio con Garibaldi. Voci provenienti dallo Stato pontificio davano per imminente una forte sollevazione popolare e il Farini suggerì al Fanti di rinforzare le truppe sul confine meridionale, allo scopo di penetrare rapidamente nel territorio della Chiesa se le truppe papali si fossero nuovamente abbandonate a feroci repressioni come quelle perpetrate a Perugia pochi mesi prima. Il Fanti ordinò perciò al Roselli ed al Mezzacapo di concentrare maggiormente le truppe, dislocate fra Cattolica e Rimini, ed a Garibaldi di spostare la divisione toscana -di cui il Nizzardo aveva il comando diretto- verso Rimini. Gli ordini per Garibaldi prescrivevano: "Qualora una intera Provincia, o anche una sola città si sollevasse e proclamasse volersi unire alle Romagne, e domandasse soccorso per essere protetta contro un nuovo eccidio, simile a quello di Perugia, e per mantenere l'ordine pubblico, in tale evenienza, doversi spedire ai sollevati armi ed armati, in quella misura che le circostanze consiglieranno. Finalmente se il nemico tentasse con la forza di riprendere quei luoghi, le truppe della Lega dovranno opporvisi difendendoli energicamente, nè desisteranno dalle ostilità contro i Pontifici, se non quando abbiano occupato tanto 10) J. Whittam, op. cit.. pag. 86
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terreno quanto riterranno necessario per garantire la loro sicurezza". Il Cipriani ed il Ricasoli, preoccupati per le possibili reazioni francesi, si opposero però alla progettata azione ed ordinarono al Fanti di non far muovere in qualsiasi caso le truppe. Il Fanti, consultatosi con il Farini, rispose che avrebbe preso ordini solo dai tre governi riuniti, ma subito dopo ricevette la seguente lettera di Vittorio Emanuele II, datata 29 ottobre: "Caro Generale, temo che dall'Italia Centrale vada a seguirsi qualche fatto, che turbi lo stato attuale delle cose; ho grave motivo di convincermi che si voglia togliere a Lei ed al Garibaldi il comando delle truppe; in questa condizione di cose credo che sarebbe meglio che Lei dia la sua dimissione e ritorni qua; suggerisca la stessa cosa a Garibaldi; e qualora esso si rifiutasse, lasci a lui la responsabilità di quel che sarà per succedere. A rivederla fra breve". Il generale rassegnò allora le dimissioni. La notizia si divulgò con grande rapidità e ne seguirono vivaci polemiche che costrinsero il Cipriani ed il Ricasoli aJle dimissioni. Il re, anche su pressione di Cavour, invitò il Fanti a riprendere il suo posto e il generale tornò a Modena il 7 novembre. La sera dello stesso giorno Garibaldi fu convocato a Modena e convinto dal generale Solaroli, aiutante di campo del re, dal Farini e dal Fanti a rinunciare al suo progetto. Nella notte però Garibaldi ricevette un falso telegramma che annunciava l'entrata in Romagna delle truppe pontificie e allora ordinò ai suoi reparti di oltrepassare la frontiera. Informato di tale decisione, il Fanti inviò un immediato contrordine ai generali Roselli e Mezzacapo, che fermarono le unità già messe in marcia. Ne seguì un concitato colloquio a Bologna tra il Fanti e Garibaldi, al termine del quale il Nizzardo raggiunse Torino dove il re lo convinse a dimettersi ed a ritirarsi temporaneamente a vita privata. Da questo episodio originò l'aspro contrasto tra il generale Fanti e Garibaldi, destinato a perpetuarsi negli anni successivi e ad esplodere in altri episodi clamorosi. 3. Tornato al potere nel gennaio 1860, Cavour volle il Fanti al ministero della Guerra, consentendogli però di mantenere il comando dell'esercito dell'Italia centrale, "ciò che diede al ministero un carattere spiccatamente annessionista" <11). Nel marzo, dopo i plebisciti e l'annessione della Toscana e dell'Emilia, anche l'esercito dell'Italia centrale confluì nel regio esercito. Il regio decreto del 25 marzo 1860 fissò il nuovo ordinamento dell'esercito, articolato su tredici divisioni (due brigate, Savoia e Cacciatori delle Alpi, non furono indivisionate), riunite in cinque Grandi Comandi Militari -stanziati a Torino, Alessandria, Parma, Brescia e Bologna- che in caso di guerra si sarebbero trasformati in altrettanti corpi d'armata. Nei mesi immediatamente successivi i mutamenti organici furono minimi: i Cacciatori delle Alpi furono incorporati nell'esercito con il nome di bri-
(Il) G. Candeloro, Storia de/1'/talia moderna. voi. IV, Feltrinelli, Milano 1964, pag. 403.
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gala Alpi (51 ° e 52° reggimento fanteria) e la brigata Savoia, dopo la cessione della regione alla Francia, fu ribattezzata brigata del Re. Subito dopo la fusione dei due eserciti la forza risultante fu di 179 .853 militari di truppa, di cui 31.521 provenienti dalle truppe emiliane e 20.455 dall'esercito toscano. Gli ufficiali, alla stessa data, erano 7.346 di cui 1.294 provenienti dalle truppe emiliane e 1062 dall'esercito toscano. Per quanto riguarda i militari di truppa non ci furono problemi. "Nonostante il congedo dei Savoiardi e dei Nizzardi, per l'avvenuta cessione di queste provincie alla Francia", nota il Mazzetti, "le leve piemontesi, lombarde e toscane più le ultime aliquote di cx appartenenti ali' esercito austriaco, restituiti nei mesi successivi, permisero di colmare i vuoti, di congedare gradualmente i volontari tosco-emiliani che non intendevano trattenersi alle armi e di completare gli organici di talune unità di provenienza emiliano-toscana che, al momento dell'annessione, li avevano incompleti" <12). Nel giro di pochi mesi l'armata sarda era divenuta tre volte più grande, ma la dimensione non è sempre un criterio valido per misurare le qualità di un esercito. Ed il nuovo esercito, non più piemontese e non ancora italiano, aveva il suo tallone di Achille nella scarsa professionalità dei Quadri. Già l'abnorme ingrandimento dell'autunno 1859, dovuto all'annessione della Lombardia, aveva provocato un fabbisogno eccezionale di ufficiali al quale si era provveduto con estese promozioni di sottufficiali e con una "produzione" accelerata di sottotenenti licenziati dalle scuole di Ivrea, di Novara e di Pinerolo, l'ulteriore ampliamento, dovuto all'avvenuta fusione con l'esercito dell 'Italia centrale, aggravò la situazione. La maggior parte degli ufficiali di quel l'esercito, ad eccezione di quelli provenienti dall'esercito granducale toscano, aveva ricevuto una preparazione militare insufficiente e, comunque, non adeguata al grado conseguito. Il Corsi, proveniente dall'esercito toscano e, quindi, giudice non preconcetto, anni dopo delle di quegli ufficiali un giudizio severo: "Li ufficiali toscani erano la maggior parte degni di stare alla pari con quelli dell'esercito sardolombardo, ma per effetto delle promozioni avvenute tra il maggio del '59 e il marzo del '60, non pochi di loro avevano sorpassato nei gradi parecchi di quelli, assai più di loro maturi di età, d'esperienza, di servizio militare e di anzianità d'ufficiale, di nota capacità, di sperimentato valore, ecc. I rimanenti erano sottufficiali vestiti da ufficiali o volontari di ieri, cui mancava nove su dieci di quanto richiedasi per buoni ufficiali. Quelli poi delle milizie emiliane quasi tutti avevano fatto carriera a vapore, alcuni erano diventati capitani, maggiori, colonnelli, di primo lancio, senza essere mai stati soldati, oppure avevano servito già molti anni prima come sottufficiali o ufficiali subalterni, e Dio sa di quali milizie, o come guardie del corpo di qualche sovrano, altri avevano sì militato parecchi anni nelle truppe regolari sia del!' Austria, sia di Parma o di
(12) M. Mazzetti, Dagli eserciti pre-unitari all'esercito italiano in "Rassegna Storica del Risorgimento". anno LIX. fascicolo IV. Roma 1972.
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Modena, sia del Papa, sia dello stesso Piemonte, ma ora avevano fatto ad un tratto un salto di uno, due, tre gradi. Non parlo di quelli che venivano per dritta linea dalle milizie venete o romane del '48 e '49 e simili, e tantomeno per gli altri, che per qualsivoglia motivo, non erano degni di vestire la divisa di ufficiale. Questi ultimi dovevano essere licenziati, e lo furono infatti o prima o poi, ma gli altri tutti, toscani ed emiliani, furono ammessi e confermati nell'esercito italiano coi loro gradi e la loro anzianità, per lo che si videro sgambate e salti di un effetto meraviglioso, che potevano andar d'accordo con mille, tra buone e cattive ragioni politiche, ma nemmeno con una discreta ragione militare" (13). Il Fanti si era reso conto del problema e riordinò le scuole di reclutamento perchè fossero in grado, negli anni a venfre, di licenziare un numero di ufficiali pari almeno al numero di quelli che ogni anno lasciavano il servizio. "La regia militare accademia, istituita allo scopo di formare giovani ufficiali per le varie armi dell'esercito, si è resa insufficientissima per l'aumento che le mutate condizioni hanno richiesto nelle forze militari del Regno, "così iniziava la relazione del Fanti che accompagnava il regio decreto del 13 marzo 1860, con il quale l'istituto fu riservato alla preparazione dei soli ufficiali delle armi di artiglieria e del genio. Fu, quello del Fanti, un provvedimento imposto dalla necessità di provvedere in tempi brevissimi all'inquadramento di tanti nuovi reparti, cionondimeno fu un provvedimento errato, destinalo a pesare non poco sulla coesione del corpo ufficiali. E' stato già notato come la diversa durata dei corsi ed il diverso iter degli studi avessero creato nell'armata sarda una certa frattura tra le armi "di linea" e quelle "dotte», nell'esercito italiano tale frattura fu resa più evidente anche dalla separazione fisica degli allievi ufficiali, che non ebbero più nulla in comune, nemmeno il rango formale dell'istituto di formazione, che per fanti e cavalieri fu chiamato semplicemente scuola e non accademia. Il regio decreto del I3 marzo 1860 conteneva, comunque, anche un provvedimento positivo, la retta annuale per la frequenza dell'accademia ridotta da 900 a 600 lire e le spese per il corredo dimezzate, segno evidente della volontà del ministro di allargare le basi del reclutamento anche alla media borghesia. Il compito di formare i sottotenenti di fanteria fu assolto dalla scuola di Ivrea, con una riduzione della durata del corso da due ad un anno. Il 9 maggio I 860, inoltre, fu istituita a Modena una seconda scuola di fanteria con gli stessi compiti attribuiti a queJia di Ivrea. La Scuola Militare di cavalleria di Pinerolo assolse l'incarico di formare i sottotenenti di cavalleria con analoghe modalità. La Regia Scuola di Colorno dell'esercito parmense ed il Liceo Militare di Firenze dell'esercito toscano furono riordinati e trasformati in collegi militari, assumendo organici e compiti identici agli omologhi istituti già funzionanti ad Asti ed a Milano. Il Fanti cercò di migliorare anche le condizioni materiali dei Quadri, che il generale rincaro dei prezzi di quegli anni aveva reso ancora meno soddisfa-
(13) C. Corsi, 1844-1869- vemicinque anni in Italia, Firenze 1870, voi. II, pag. 13.
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centi. Con il regio decreto del 15 marzo 1860 furono fissate nuove retribuzioni che, tuttavia, risultarono del tutto inadeguate, specie per gli ufficiali inferiori. A titolo di esempio si riporta la tabella n. 3, scelta tra le 25 allegate al regio decreto perchè è qlllella che riguarda gli ufficiali di fanteria che costituivano l'aliquota più numerosa del corpo ufficiali.
PAGHE ASSEGNATE AGLI UFFICIALI GENERALI ED A QUELLI DI FANTERIA DI LINEA PAGA ANNUA
PAGA MENSILE
GENERALE D' ARMATA
15.000
1.250,00
LUOGOTENENTE GENERALE
12.000
1.000,00
MAGGIOR GENERALE
9.000
750,00
COLONNELLO
6.600
550,00
LUOGOTENENTE COLONNELLO
5.000
416,60
MAGGIORE
4.000
333,30
CAPITANO DI 1• CLASSE
2.800
233,30
CAPITANO DI 2• CLASSE
2.500
208,30
LUOGOTENENTE
1.800
150,00
SOTTOTENENTE
1.600
133,30
GRADO
Naturalmente il Fanti non dovette risolvere soltanto problemi di forza. A mano a mano che l'esercito si ingrandiva, e vi affluivano ufficiali e soldati di provenienza eterogenea e di mentalità, abitudini e livello culturale diversi, il problema dell ' addestramento diveniva più complesso e più urgente. Al fine di dare subito un notevole incremento ali' addestramento tattico dei Quadri e delle truppe il Fanti prescrisse anche la sospensione delle scuole di corpo istituite a suo tempo dal La Marmora -sospese le scuole di lettura, di scrittura, ecc., ma non quelle di contabilità- affinchè tutto il tempo disponibile venisse impiegato anche durante la stagione invernale, fino ad allora utilizzata prevalentemente per le scuole di corpo, per i tiri al bersaglio, la scuola dei cacciatori, la scherma di baionetta e di bastone, il servizio di avamposti, le marce e i regolamenti militari, questi ultimi trattati nei soli giorni piovosi, prassi ancora oggi in uso nei reparti dell'esercito italiano.
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4. Nel settembre dello stesso anno, di fronte alla trionfale avanzata garibaldina e constatata l'impossibilità di far scoppiare a Napoli un movimento insurrezionale controllato dai moderati, Cavour decise di far muovere verso sud l'esercito, col triplice scopo di occupare la maggior parte del territorio pontificio, bloccare un possibile pericoloso sviluppo dcli' iniziativa garibaldina verso Roma, consolidare definitivamente le stesse conquiste garibaldine, esposte al pericolo di una riscossa borbonica e di un intervento delle Grandi Potenze. La validità dell'ordinamento adottato in primavera permise di far fronte alla sempre grave minaccia austriaca sul Mincio e sul Po con tre corpi d'armata, ciascuno su tre divisioni, e di muovere verso sud con gli altri due. Il Fanti, ricevuto il comando della spedizione, in pochi giorni mise le truppe sul piede di guerra: il IV corpo d'armata (4•, 71 e I31 divisione), guidato dal generale Cialdini, si concentrò verso Rimini mentre il V corpo d'armata (t• e 14• divisione), guidato dal generale Morozzo della Rocca, si raccolse tra Arezzo e Sansepolcro. Rimesso l'interim del ministero della Guerra nelle mani del generale Alliaud, I' I I settembre 1860 il Fanti diede inizio alla campagna con l'avvertimento di Cavour "di condurre le operazioni militari in guisa da evitare ogni apparenza di collisione colle truppe francesi" e di comportarsi in modo "che la nostra condotta sia tale, da poter essere sempre giustificata, se non presso la diplomazia, almeno presso l'opinione pubblica". Le truppe pontificie, al comando del generale Lamoricière, contavano non più di 14.000 uomini attivi, dei quali appena un quarto proveniva dalle province dello Stato della Chiesa, il rimanente era formato da volontari belgi, irlandesi, francesi , svizzeri e tedeschi. n grosso dell'esercito era costituito dalla fanteria, mentre l'artiglieria, trenta pezzi, e la cavalleria, cinque squadroni, erano anche qualitativamente assai carenti. 11 corpo di spedizione del Fanti, forte di 33.000 uomini, contava settantotto cannoni e trenta squadroni di cavalleria. La campagna iniziò l' 11 settembre con azioni contemporanee sulle due direttrici, umbra e marchigiana: Il Morozzo della Rocca occupò Città di Castello e scese, attraverso Fratta (Umbertide), verso Perugia; il Cialdini passò il confine presso Cattolica e con la 4• divisione marciò su Pesaro, mentre la 13• e la 7• divisione conquistavano Fossombrone e Fano. Il giorno 13, la 7• divisione giunse a Senigaglia e la 13", che aveva occupato Urbino la sera precedente, entrò a Gubbio. Contemporaneamente un'avanguardia della 1• divisione guidata dal generale de Sonnaz avanzava verso Perugia, conquistata nella serata del 14 settembre, dopo l'arrivo sul posto del Fanti e del della Rocca che costrinsero alla resa il generale pontificio Schmidt. Il 15 settembre fu la volta di Foligno a capitolare, e il giorno successivo il Fanti inviò una colonna al comando del generale Brignone verso Spoleto, conquistata il 17. La colonna proseguì immediatamente in direzione di Terni, Narni e Rieti, consentendo, con l'occupazione di queste località, il controllo della strada proveniente da Roma e l'accesso alle regioni napoletane attraverso L'Aquila. Il Cialdini, che il 15 settembre aveva cominciato ad avanzare da Senigaglia su Ancona, occupando Osimo il 16, aveva intanto sconfitto i ponti-
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fici a Castelfidardo il 18. Tra il 20 e il 22, il della Rocca operò attivamente tra Macerata e Ascoli, reprimendo su ordine del Fanti alcuni tentativi di rivolta sanfedista nelle campagne e catturando diversi reparti di sbandati pontifici. Allo stesso tempo il Fanti cominciò a predisporre i piani per l'investimento di Ancona, in cui era riuscito a rifugiarsi il Lamoricière: attacco principale sulla destra, in prossimità del mare, da parte del V corpo; attacco diversivo del IV sulla sinistra; bombardamento della squadra navale sul fronte marittimo della piazza. L'operazione doveva essere breve, data la grande superiorità numerica delle forze piemontesi, anche perchè un lungo assedio sarebbe stato "inopportuno per ragioni politiche". L'investimento combinato dalla terra e dal mare cominciò il 24 settembre, il 26 cadde il quartiere di Borgo Pio e il giorno successivo fu la volta <lei Lazzaretto. Rafforzata l'artiglieria alle spalle del porto e fattosi più insistente il bombardamento della flotta, Ancona capitolò la sera del 29. Il bilancio della campagna fu positivo sotto tutti gli aspetti: in soli 18 giorni le truppe del Fanti avevano conquistato cinque città murate, due roccaforti e una piazza di guerra (Ancona); si erano impadronite di 20.000 fucili, 28 pezzi da campagna e 500 cavalli; avevano fatto 18.000 prigionieri e avevano avuto soltanto 579 morti e feriti. Il 2 ottobre Cavour da Torino si complimentò con Fanti .. per il modo mirabile col quale ella ha condotte le operazioni di questa stupenda campagna" augurandosi di rivederlo presto, "giacchè trattasi ora di organizzare un nuovo esercito, e ciò non si può fare senza ministro della Guerra". Il Pieri ha scritto che la campagna delle Marche e dell'Umbria, "per la rapidità fulminea del successo completo, era una pagina gloriosa per le armi italiane, e anche i capi avevano mostrato innegabile capacità". Dopo la conquista di Ancona il Fanti si recò immediatamente a Torino, per conferire con Vittorio Emanuele Il e con Cavour: fu deciso di continuare la campagna per andare incontro a Garibaldi, fermo da settembre sulla linea del Volturno. Il re partì subito per Ancona dove il 3 ottobre assunse il comando delle truppe nominando suo capo di Stato Maggiore il Fanti, promosso generale d 'armata. Le truppe cominciarono a passare il Tronto il I O ottobre, il corpo di spedizione, diminuito della 13" divisione e della brigata Bologna, lasciate di presidio nelle province appena occupate, era di circa 25.000 uomini, più altri 5.000 che, al comando del generale Brignone, raggiunsero Napoli per mare. I borbonici contavano ancora 40.000 uomini attivi a Capua, Gaeta e sul Volturno ed altri 5.000 circa di presidio nelle province ancora rimaste in possesso di Francesco Il. Sconfitti al passo del Macerone il 20 ottobre dall'avanguardia del generale Griffini, i borbonici si ritirarono verso il Garigliano lasciando una guarnigione a Capua. Il 26 ottobre Garibaldi, al quadrivio della Taverna della Catena nei pressi di Teano, incontrò l'avanguardia dell'esercito che scendeva dal Molise. Ciò che avvenne in quella circostanza è fin troppo noto: Garibaldi salutò in Vittorio Emanuele il "re d'Italia" e ne ricevette in cambio una calorosa stretta di mano.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (186 I - 1990)
Il corpo d'armata del Cialdini proseguì verso il Garigliano, mentre quello del della Rocca, affiancato dai garibaldini, si diresse su Capua, conquistata dopo un breve bombardamento il 2 novembre. I borbonici forti di circa 30.000 uomini, operarono un vigoroso tentativo di resistenza a Mola di Gaeta (Formia) il 4 novembre, ma i sardi, guidati personalmente dal Fanti e dal de Sonnaz, li attaccarono con grande energia, sconfiggendoli. Le perdite italiane ammontarono a 150 morti e feriti, quelle borboniche a 300, oltre a circa 200 prigionieri. "I soldati borbonici si erano ben battuti, ma erano stati nell'insieme mal condotti" è il giudizio del Pieri su questo fatto d'acme molto poco conosciuto. Una parte dei borbonici si rifugiò all'interno della fortezza di Gaeta, un'altra, al comando del generale Ruggeri, si ritirò verso Itri e Fondi. Il generale de Sonnaz la inseguì, ma quando l'accerchiamento, che avrebbe consentito la cattura di 11.000 uomini, stava per realizzarsi si intromise il generale Goyon, comandante del corpo d'occupazione francese di Roma, che permise alle truppe del Ruggeri di entrare a Terracina, in territorio pontificio, dove deposero le armi. Il 5 novembre iniziò l'assedio di Gaeta, il Fanti, predisposti i piani generali, su invito di Cavour lasciò al Cialdini il comando e raggiunse il re a Napoli il 9 novembre, riprendendo il suo posto di ministro della Guerra. 5. L'assedio di Gaeta si concluse il 13 febbraio 1861 <14), quello di Messina il 12 marzo ( l5), queUo di Civitella del Tronto, ultimo presidio ad abbassare il vessillo borbonico, il 20 dello stesso mese ( l6), il Fanti non aveva però atteso la fine delle ostilità per procedere ad un ulteriore riassetto dell'esercito. Con il regio decreto del 24 gennaio 1861 fu adottato un nuovo ordinamento che sanzionò per: - il corpo di Stato Maggiore, ordinato su 210 ufficiali (10 colonnelli, 20 tenenti colonnelli, 28 maggiori, 90 capitani e 60 tenenti), la creazione della Scuola di Applicazione del corpo, alla quale si poteva accedere solo per esami e della durata di due anni; - l'arma dei carabinieri reali, un ordinamento su 13 legioni territoriali ed 1 allievi; - l'arma di fanteria: la costituzione della brigata Granatieri di Napoli (5° e 6° reggimento Granatieri di Napoli) e di 5 brigate di fanteria; Umbria (53° e 54° reggimento fanteria), Marche (55° e 56°), Abruzzo (57° e 58°), Calabria (59° e 60°) e Sicilia (61 ° e 62°). Il reggimento granatieri e quello di fanteria fu ordinato su tre battaglioni, ciascuno su sei compagnie. I battaglioni bersaglieri salirono a 36, dal XVlll al XXXVI;
(14) L'assedio di Gaeta durò a lungo a càusa dei molto interventi di Napoleone III e per la presenza di navi francesi nel porto che impedirono l'investimento della piazza dal lato mare. I borbonici si batterono comunque molto dignitosamente ed ebbero 500 caduti per azioni di guerra, 360 per il tifo e 800 feriti o ammalati: gli italiani 50 caduti e 350 feriti. (15) L'attacco vero e proprio alla cittadella di Messina fu iniziato solo il 12 marzo e si concluse nello stesso giorno, dopo 6 oro di intenso bombardamento. ( 16) La fortezza di Civitella, situata in posizione molto forte, resistette ad un assalto guidar o dal generale Luigi Mezzacapo e capitolò per ordine di Francesco Il.
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- l'arma di cavalleria, la suddivisione in specialità: 4 reggimenti di cavalleria pesante (Nizza, Piemonte Reale, Savoia e Genova), 6 reggimenti di cavalleggeri (Saluzw, Monferrato, Lodi, Alessandria, Lucca, Usseri di Piacenza), 6 reggimenti di lancieri (Novara, Aosta, Milano, Montebello, Firenze. Vittorio Emanuele) e un reggimento Guide. I reggimenti furono ordinati su 6 squadroni attivi e un deposito. - l'arma di artiglieria, il nuovo ordinamento su sei comandi territoriali, 8 comandi locali di 1• classe, 3 di 2• e 9 di 3°, 18 direzioni di stabilimento; 1° reggimento operai (4 compagnie maestranze, 4 compagnie artificieri, 1 compagnia armaioli, I compagnia deposito); 2°, 3° e 4° reggimento da piazza (3 brigate ciascuna su 6 compagnie, 1 compagnia deposito); 5°, 6°, 7° e 8° reggimento artiglieria da campagna (ciascuno su 8 brigate di 2 batterie, 2 batterie di deposito); 9° reggimento pontieri (su 2 brigate, ciascuna su 4 compagnie, e 1 compagnia deposito); - l'arma del genio, l'ordinamento su 10 direzioni territoriali e 2 reggimenti zappatori (ciascuno su 3 battaglioni di 6 compagnie zappatori ed 1 deposito); - per il corpo del treno d'armata, un ordinamento su 3 reggimenti (ciascuno su 8 compagnie attive ed I deposito); - per il corpo di amministrazione, un'articolazione su 7 compagnie infermieri, 4 compagnie di sussistenza, 1 compagnia ordinanze. Il regio decreto modificò anche l'ordinamento dei comandi. L' esercito fu ripartito in 6 corpi d'armata, il I dislocato a Torino (2' divisione a Torino, IO" a Piacenza, 11 • ad Alessandria), il II a Milano (3' divisione a Milano, 6" a Brescia, 2• a Cremona), il III a Panna (S· divisione a Piacenza, a Parma, 12' a Modena), il IV a Bologna (41 divisione a Bologna, 7• a Forlì, 13• ad Ancona), divisione a Firenze, 15" a Terni), il VI a Napoli (14" divisione il V a Firenze a Napoli, 16• a Salerno, 17" a Chieti). Ogni corpo d'armata disponeva di una brigata di cavalleria (su 2 reggimenti, 1 di lancieri e I di cavalleggeri), di I compagnia zappatori, di 1 distaccamento del corpo di amministrazione, di I reparto del treno e di I squadrone Guide. Le divisioni di fanteria erano tutte su 2 brigate (ciascuna su 2 reggimenti), 2 battaglioni bersaglieri, 3 batterie d 'artiglieria da campagna. Non inquadrate nei corpi d'armata, vi erano ancora: - la divisione di riserva di cavalleria su 2 brigate, ciascuna su 2 reggimenti di cavalleria pesante, e 2 batterie a cavallo; - la riserva generale d'artiglieria su 10 batterie da campagna. Anche con questi ultimi aumenti organici l'esercito non raggiunse le dimensioni che all'epoca si ritenevano ottimali: una divisione di fanteria per ogni milione di abÌltanti. L'esercito italiano, infatti, con una popolazione di 22 milioni di abitanti avrebbe dovuto mettere in linea 22 divisioni e non 17. La pesante situazione finanziaria dello Stato e la mancanza di Quadri qualificati non permisero al Fanti di organizzare uno strumento operativo di maggiori dimensioni; la contrazione nei reggimenti di fanteria dei battaglioni da 4 a 3, con conseguente aumento delle compagnie di ciascun battaglione da 4 a 6, e
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l'aumento a 6 degli squadroni nei reggimenti di cavalleria furono imposti proprio dalla necessità di ridurre il fabbisogno di ufficiali superiori! Il La Mam1ora ritenne questi modesti ritocchi organici addirittura esiziali per l' efficienza dell'esercito ed auaccò il Fanti alla Camera con tanta arroganza da provocare un intervento di Cavour. l problemi di più difficile soluzione, comunque, non furono le intemperanze del La Marmora ma l'incorporazione dell' esercito borbonico e lo scioglimento di quello garibaldino. L'aperta ostilità al nuovo regno manifestata dalle truppe borboniche in molte occasioni convinse il governo a congedare gli elementi più anziani. Con il decreto del 20 dicembre 1860, infatti, si richiamarono in servizio per il 31 gennaio 1861 soltanto gli ex soldati dell'esercito borbonico appartenenti alle leve dal 1857 al 1860. Il termine di presentazione dovette essere prorogato al I O giugno, tuttavia a tale data si erano presentati ai reparti appena 20.000 soldati. Soltanto con energiche pressioni, di cui si tratterà nel capitolo successivo, fu possibile raddoppiare tale numero. Per quanto riguarda gli ufficiali il governo decise di immetterli nell'esercito nazionale, dopo il giudizio favorevole di un'apposita commissione e sulla base del grado rivestito il 7 settembre 1860, giorno in cui Garibaldi era entrato a Napoli. Tale commissione -composta da ufficiali dei due eserciti e presieduta dal generale De Sauget, proveniente dall'esercito borbonico- espresse parere favorevole all'ammissione per 2.311 ufficiali, di cui 862 appartenenti ai servizi sedentari e 363 medici, veterinari e cappellani. 6. Molto più complessa e molto più traumatica fu la soluzione del secondo problema, lo scioglimento dell'esercito meridionale garibaldino, forte di 7 .343 ufficiali e di 45.496 militari di truppa (17)_ Sul finire della campagna uno dei più stretti collaboratori di Garibaldi, il Sirtori aveva elaborato un progetto per cui l'esercito meridionale si sarebbe trasformato in un corpo d'annata, denominato Cacciatori delle Alpi, di cinque divisioni, ciascuna di due brigate. Il corpo d'armata, costituito tutto da volontari e con ufficiali sul cui grado e sulle cui capacità avrebbe deciso una commissione di generali garibaldini, sarebbe stato dislocato in sedi sparse per tutta l'Italia in modo da di venire centro di raccolta immediata di altri volontari , nell'eventualità di una guerra ali' Austria. Ultimo particolare, i componenti del corpo avrebbero indossato la g iubba rossa ed il cappello da bersagliere. L'll novembre 1860 Vittorio Emanuele II cercò di risolvere la questione in un colloquio col Fanti, con il della Rocca e con il Parini, dimostrandosi (17) Il Mondini, nell'opera già citata, a proposito delle dimensioni dell'esercito meridionale osservò: "a Marsala sbarcarono i Mille; ne combatterono circa 8 mila a Milazzo e 22-23 mila al Volturno, quindi la metà e più dei componenti dell'esercito meridionale non aveva preso parte alle operazioni e non aveva neppure adeguata esperienza di vita militare; 1.700 ufficiali avevano avuto la nomina in Sicilia, quando le operazioni militari si erano già trasferite in continente. e non si erano più mossi dall'isola".
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favorevole al progetto Sirtori, ma il Fanti fu irremovibile, forte del suo incarico ministeriale, nel sostenere la necessità di congedare l'esercito meridionale e per non provocare l'Austria e perchè l'equiparazione degli ufficiali garibaldini a quelli del!' esercito regolare sarebbe stata palesemente pregiudizievole per la carriera di questi ultimi. Nonostante l'irritazione del sovrano il Fanti, sostenuto da Cavour, preparò un decreto, emanato poi il I 6 con la data dell' 11, nel quale era previsto: per i militari di truppa, che non volessero contrarre un arruolamento biennale, l'immediato congedo con una gratifica pari a tre mesi di paga; per gli ufficiali la possibilità di entrare a far parte di un corpo di volontari, separato dall'esercito regolare, con il grado e l'a nzianità che una "Commissione mista" avrebbe determinato, oppure il congedo con sei mesi di stipendio a titolo di gratifica; per gli ufficiali ed i militari della Guardia Nazionale mobilitata da Garibaldi una gratifica pari ad un mese di paga; per gli inabili per ferita il diritto a pensione. Il decreto suscitò un grandissimo malcontento tra i volontari e provocò sul momento numerose manifestazioni di indisciplina, specie tra i reparti che inquadravano volontari meridionali. II Molfese, che ha dedicato all'argomento un ampio saggio (18>. respinge come superficiale l'opinione che il diverso comportamento del volontario settentrionale e di quello meridionale fosse dovuto esclusivamente al diverso livello di maturità culturale e politica e lo attribuisce, invece, al bisogno della piccola borghesia meridionale di procacciarsi un impiego, aggiungendo: "D'altronde, un qualsiasi movimento, anche genericamente rivoluzionario, i cui fautori non aspirassero alla materiale partecipazione del potere conquistato, in tutti i suoi livelli, sarebbe un ben singolare moviment0". L'affermazione lascia però perplessi perchè riduce l'indubbia tensione ideale, che animò nel Risorgimento anche la borghesia meridionale, al desiderio di procurarsi un posticino retribuito a spese del nuovo Stato unitario. Ci sembra una visione eccessivamente pessimistica e quasi ingiuriosa per i volontari meridionali, certo più ingiuriosa del decreto cavouriano che pure lo studioso tanto depreca. Il governo Cavour non si lasciò intimidire ed i volontari furono congedati, solo 60 sottufficiali e 9 soldati accettarono di arruolarsi nell'esercito regolare. Per gli ufficiali la vicenda fu molto più lunga e contrastata, anche se alla fine si giunse ad una soluzione di compromesso che, tuttavia, assicurò all'esercito gli elementi migliori. Fu costituita, prima a Napoli e poi a Torino, una speciale commissione di scrutinio, presieduta dal generale Morozzo della Rocca e di cui fecero parte anche tre generali garibaldini, Cosenz, Medici e Sirtori, che procedette con rigore all'esame dei precedenti militari degli ufficiali garibaldini che avevano chiesto di transitare nell'esercito.
(18) F. Molfese, Lo scioglimento dell'eserciro meridionale garibaldino (1860-1861), in "Nuova Rivista Storica", n. 1/1960.
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Tutti gli autori sono concordi nel condannare il comportamento della commissione, ritenuto addirittura vessatorio, e per il numero elevato degli ufficiali giudicati non idonei, e per il tempo eccessivo impiegato per lo scrutinio, forse con la segreta speranza che i candidati ritirassero la domanda di ammissione. Per evitare il ripetersi a Napoli di manifestazioni di protesta, con il regio decreto del 16 gennaio 1861 Cavour ordinò per il 16 febbraio l' accantonamento in Piemonte di tutti gli ufficiali e della truppa residua, disponendo aitresì che il trasferimento avvenisse a spese degli interessati. Nonostante l'evidente angheria, 2.766 ufficiali volontari raggiunsero le nuove sedi. Il 30 marzo 1861 Garibaldi denunciò il "dualismo" che si era voluto creare tra l'esercito regolare e quello meridionale e decise di recarsi a Torino, evidentemente con lo scopo di interrogare il governo alla Carnera sulla politica militare. Cavour non si fece cogliere di sorpresa e lo prevenne. L'll aprile 1861 fu pubblicato, infatti, il decreto che istituiva il Corpo Volontari Italiani "ma (che) in realtà lo liquidava definitivamente, riducendolo ad organismo puramente di quadri. Infatti era previsto un organico per i vari comandi e servizi di circa 2.200 ufficiali, da scegliersi ad opera dei generali garibaldini sui ruoli di quelli riconosciuti dalla commissione di scrutinio; ma tutti gli ufficiali designati dovevano essere collocati in disponibilità o in aspettativa per riduzione di corpo. La bassa forza sarebbe stata costituita tutta da volontari che avessero assolto gli obblighi di leva o anche da minori di 19 anni, l'arruolamento veniva rinviato ad un imprevedibile futuro." 0 9). Si arrivò così al famoso dibattito parlamentare del 18, I 9 e 20 aprile, dibattito ricco di spunti polemici, di toni drammatici e melodrammatici, di dimissioni presentate e ritirate, nel quale furono discusse le scelte di fondo della poliLica militare italiana, fino ad allora sempre prese sulla base di regi decreti e mai sanzionate dalle leggi. Per quanto riguarda l'aspetto propositivo del dibattito è sufficiente dire che Garibaldi propose, in sostanza, di trasformare la guardia nazionale in una "guardia mobile", costituita con la leva generale di tutti i cittadini Lra i 18 e i 35 anni non incorporati ancora nell'esercito e nella marina. La guardia mobile, articolata in divisioni analoghe a quelle dell'esercito e inquadrata da ufficiali eletti dai gregari, avrebbe costituito un secondo esercito da affiancare a quello regolare nella prevista guerra contro I' AusLria. li Parlamento non poteva accettare una tale proposta che, in pratica, avrebbe concesso le armi a tutta la popolazione, senza alcuna seria possibilità di controllo, e provocato un allarme generale in tutte le cancellerie europee. Garibaldi non si rendeva forse completamente conto nè della situazione internazionale, nè di quella sociale, tutto preso dai suoi generosi propositi di affrancare dal dispotismo straniero il Veneto ed il Lazio, ma i membri del
( 19) F. Molfese, op. cit.. pag. 41.
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Parlamento non erano disposti a mettere in discussione quanto già era stato ottenuto sul piano dell'unificazione nazionale nè a consegnare lo Stato in mano alle classi subalterne. E così la proposta di Garibaldi fu dichiarata "degna di considerazione", discussa a lungo cd alla fine trasformata profondamente dalla legge del 4 agosto I 861. che previde una guardia nazionale su base censuaria, con ufficiali di nomina regia, articolata in 220 battaglioni. "Il dibattito del 1861 segna dunque la vittoria definitiva dell'elemento dinastico-professionale e la rinuncia allo sfruttamento totale delle risorse militari del paese", ha scritto il Ceva <20), è necessario però valutare se la "rinuncia" dipese solo dal proposito cavouriano di non perdere il controllo del processo risorgimentale e da quello della borghesia di evitare il pericolo che la rivoluzione nazionale si trasformasse in rivoluzione sociale e non anche da altri e più rispettabili e concreti motivi di ordine interno e di ordine internazionale. "La nazione in armi presuppone e non determina coesione sociale, maturità culturale e saldezza politica" (21), fattori che non esistevano allora in Italia e, quindi, la decisione del Parlamento che sanzionè> la definitiva vittoria della corrente moderata su quella mazziniana e, di conseguenza, l'esistenza di un solo esercito, fu saggia, previdente e, soprattutto, realistica. 7. Con il dibattito parlamentare dell'aprile 1861 si chiuse in pratica il tormentato periodo di gestazione e di nascita dell'esercito italiano. Il 4 maggio comparve sul Giornale Militare la Nota n. 76: "Vista la legge in data 17 marzo, colla quale S.M. ha assunto il titolo di Re d ' Italia, il sottoscritto rende noto a tutte le autorità, Corpi ed Uffici militari che d'ora in poi il Regio Esercito dovrà prendere il nome di Esercito Italiano, rimanendo abolita l'antica denominazione di Armata Sarda. Tutte le relative inscrizioni ed intestazioni, che d'ora in avanti occorre di fare o di rinnovare, saranno modificate in questo senso. (Il Ministro della Guerra M. Fanti). La presente inserzione serve di partecipazione ufficiale." Tuttavia la creazione del corpo Volontari Italiani non aveva risolto il problema del passaggio degli ufficiali dell'esercito meridionale in quello italiano. La commissione, presieduta ora dal generale Biscaretti di Ruffia, continuò nel severo scrutinio e un anno dopo, quando, morto Cavour, il governo era presieduto dal Rattazzi ed il Fanti non era più ministro della Guerra, l .997 ufficiali garibaldini furono finalmente ammessi a far parte dell'esercito italiano (regio decreto del 28 marzo 1862 che contestualmente scioglieva il Corpo Volontari Italiani). Si trattò indubbiamente di un notevole apporto: 6 tenenti generali, 6 maggiori generali, 34 colonnelli, 47 tenenti colonnelli, 130 maggiori, 384 capitani, 393 tenenti e 874 sottotenenti, più 125 medici, veterinari e
(20) L. Ceva, Le forze armare, UTET, Torino 1981. pag. 35. (21) C. Jean, Giuseppe Garibaldi - Guerra di popolo e guerra per bande nell'ltalia del Ri.torgimemo, in Rivista Militare. n. l/1982.
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cappellani. Nel corso del 1862 entrarono nei ranghi anche 177 sottotenenti provenienti dagli istituti di reclutamento e 1.022 provenienti dai sottufficiali, mentre le perdite complessive del corpo ufficiali nello stesso anno ammontarono a 743, di cui 242 dimessisi volontariamente, 175 collocati a riposo, 138 rimossi dal grado, 31 perduti per cause diverse e 141 deceduti. Poichè, sempre nel 1862, entrarono nel!' esercito altri 148 ufficiali di diversa provenienza, alla fine dell'anno il totale degli ufficiali raggiunse le 16.051 unità. 8. Come si è visto il processo di unificazione dell'esercito fu lungo, travagliato, a volte tumultuoso. E non poteva essere altrimenti. "Il Risorgimento - è stato affermato - non è quello delle polemiche di parte, come non è nemmeno il facile idillio che la tradizione celebrativa presenta: è il dramma di un popolo che cerca la sua strada; che cerca, faticosamente, se stesso; è il dramma del nostro travagliato sorgere a nazione; con le sue ombre e le sue luci, e i suoi tormenti e le sue colpe, e i suoi vizi e gli errori" <22 l. Anche il processo di unificazione dell'esercito fu una parte di quel dramma e non fu, ovviamente, nè rapido nè semplice, nè, tantomeno, indolore -così come, del resto, non furono rapidi, semplici ed indolori, i processi di unificazione finanziaria ed amministrativa- nè fu esente, come tutti gli accadimenti umani, da gravi incomprensione, risentimenti meschini, atteggiamenti egoistic i. Non è pertanto accettabile il giudizio di coloro che vogliono vedere nell 'unificazione dell 'esercito, soprattutto per quanto attiene allo scioglimento dell'esercito garibaldino, il trionfo del partito conservatore che avrebbe insabbiato nell'accentramento autoritario ogni fermento sociale, trionfo che sarebbe stato propiziato anche da una casta militare retrograda, arroccata su posizioni oltranziste e gelosa dei propri privilegi. Prima di tutto l'unità d'Italia fu il risultato della fusione e dell'integrazione di due linee politiche, fondamentalmente contrastanti nell'ispirazione ideologica e nella pratica realizzazione della prassi di lotta, anche se entrambe tendevano allo stesso obiettivo unitario, quella del partito moderato cavouriano e quella del mazziniano partito d'azione. Ad un certo punto del processo unitario la linea cavouriana fece proprie le istanze fondamentali della linea avversaria ed ebbe partita vinta. Non si dimentichi, infatti, quanto Salvemini disse ai suoi studenti dell'università di Harvard già nel 1936: "Chi fece l'Italia? Mazzini o Cavour? L 'uno e l' altro. Mazzini fu l'apostolo, Cavour lo statista. Mazzini creò il problema, Cavour lo risolse. Cavour raccolse dove Mazzini aveva seminato". In secondo luogo occorre considerare, sempre per uscire dalla disputa ideologica ed approdare sul terreno dell'indagine storica, che gli ordinamenti (22) F. Valsecchi, Garibaldi e Cavour. in Nuova Antologia. n. luglio 1960. pag. 314.
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militari di uno Stato sono sempre in stretta correlazione con le strutture politiche, economiche e sociali di quello Stato e che, quindi, anche il congedamento dell'esercito meridionale garibaldino non fu un problema solo di carattere ordinativo-militare. fu un problema. invece, di carattere politico-costituzionale e che la sua concreta soluzione non poteva, di consegucnLa, non essere coerente con la soluzione data a tutto il problema dell'unificaLione italiana: uno stato na1ionale rigidamente unitario.
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1. Prima ancora che la Nota del ministro Fanti ne decretasse la nascita ufficiale l'esercito italiano dovette affrontare un'esigenza di carattere del tutto eccezionale, la lotta contro il brigantaggio nell'Italia meridionale. Il termine brigantaggio, ormai entrato nella consuetudine anche storiografica (ll, è riduttivo. In realtà, soprattutto nei primi anni, il fenomeno ebbe connotazioni tali che il termine più appropriato per definirlo sarebbe quello di guerra civile. L ' immagine di Garibaldi che, nel novembre 1860, si imbarca per Caprera, novello Cincinnato, con un sacco di sementi ed un rotolo di stoccafisso, dopo aver donato all'ingrato Vittorio Emanuele II un regno ricco, prospero e felice per l'avvenuta liberazione dall'assolutismo borbonico, è soltanto una delle tante caritatevoli olografie tramandate dai manuali di storia. In realtà nell'autunno 1860 la situazione politica, sociale ed economica del vecchio reame era drammatica e il pur valoroso esercito meridionale garibaldino aveva si battuto le truppe borboniche, ma non aveva assunto l'effettivo controllo del territorio ed ogni giorno di più l'ostilità di larghi strati popolari si manifestava con sommosse e tumulti. Già ai primi di agosto, in Sicilia, la rivolta contadina, non del tutto domata, aveva ripreso vigore. Bronte, episodio troppo noto per essere ancora ricordato, non fu certo un caso isolato. In molte località, infatti, i contadini credettero che la caduta del regime borbonico rappresentasse anche l'occasione favorevole per risolvere finalmente il problema della terra, del resto incautamente promessa loro anche dal dittatore, desideroso di ottenerne l'appoggio. La situazione non era molto diversa neJle province meridionali, anzi era aggravata in quelle contrade dagli incitamenti alla rivolta degli emissari di Francesco II, che sperava di poter ripetere la fortunata operazione sanfedista del 1799, e del clero, che considerava il governo di Torino ostile alla Chiesa e
(I) Cfr.:F. Mo)fese, Storia del brigantaggio dopo l'unità, Feltrinelli, Milano 1966; G. Rochat e G. Massobrio, Breve storia de/l 'esercito italiano dal 1861 al 1943, Einaudi, Torino 1978; L. Ceva, Le forze amuite, UTET, Torino 1981.0pere tutte, specie le prime due, molto critiche nei confronti dell'operato dell'esercito. Un diverso punto di vista è espresso da C. Cesari. Il brigantaggio e l'opera de/l'esercito italiano dal 1860 al 1870, Ausonia, Roma 1920 e da L . Tuccari, Memoria sui principali aspetti tecnico-operativi della lolla al brigantaggio dopo l'unità (18611870). in "Studi storico-militari 1984", USSME, Roma 1985. Di questo ultimo saggio, equilibrato e puntuale, mi sono avvalso largamente.
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che, quindi, paventava la prossima unione. Specie nel Sannio e nel Matese, regioni dove più era accentuata la miseria delle plebi rurali, già nel settembre si erano formate bande di insorti che, appoggiate dal clero più retrivo e sostenute dalla presenza in zona di alcuni reparti borbonici ancora efficienti, si abbandonavano al saccheggio ed agli eccidi. Nell'imminenza della decisiva battaglia del Volturno Garibaldi dovette far intervenire piccoli reparti dell'esercito meridionale per reprimere manu militari i tumulti verificatisi a S. Antimo, a Irpino, a Colle, a Circello, a Castelpagano. Queste sporadiche azioni di repressione non raggiunsero alcun effetto duraturo, la rivolta anzi si estese e per gli elementi liberali, considerati responsabili dell'improvvisa caduta di un regime, negatore della libertà ed oppressivo quanto si vuole ma pur sempre titolare di un largo consenso da parte del clero e degli strati popolari più arretrati, furono giorni tristissimi. Emblematici al riguardo i fatti di Isernia. La disgraziata cittadina era stata "conquistata" da alcune bande di partigiani borbonici il 30 settembre ed alla "conquista" era seguito il massacro degli elementi liberali completato dal saccheggio delle abitazioni dei cittadini più facoltosi. Ripresa dai garibaldini, la cillà era stata nuovamente abbandonata alle bande brigantesche il 5 ottobre, dopo violenti scontri nei quali erano stati uccisi circa 100 garibaldini. Garibaldi, per ristabilire la situazione, inviò allora ad Isernia una colonna di circa 500 uomini, in gran parte volontari meridionali, al comando del bergamasco Francesco Nullo. La colonna, attaccata di sorpresa ed accerchiata il J 7 ottobre da una banda di gendarmi, soldati e volontari borbonici al comando del maggiore De Liguori, fu massacrata e soltanto il Nullo con pochi altri garibaldini riuscì a scampare all'eccidio (2). 2. L'esercito italiano, giunto nel territorio dell'ormai ex Regno delle Due Sicilie verso la fine dell'ottobre 1860, non dovette perciò misurarsi solo con le residue forze borboniche, compito per il quale era preparato e che assolse con rapidità dando prova di una buona capacità operativa, ma affrontare anche la lolla al brigantaggio, evenienza, almeno in quelle dimensioni, imprevista e per la quale non era preparato nè sotto il profilo tecnico nè sollo quello psicologico. Senza aver potuto disporre del tempo necessario per comprendere la situazione e per riconoscere il terreno, comandi ed unità si trovarono immersi in una realtà mutevole ed equivoca e pagarono lo scotto inevitabile dell'inesperienza. L'esercito dovette, infatti, intervenire con immediatezza perché nel Casertano, in Basilicata, in Puglia, in Calabria, un pò dappertutto insomma, i contadini, passati rapidamente dalla speranza alla delusione, erano ormai in rivolta, unica fonna di azione politica loro consentita dalle condizioni di estre-
(2) Crf. P.G. Jaeger, Francesco li di Borbone, l'ultimo re di Napoli. Mondadori, Milano 1982, pagg. 150 e seguenti.
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ma arretratezza sociale nella quale si trovavano. Non entra nelle finalità di questo volume giudicare l'azione governativa e disquisire con quali leggi riformatrici e con quali misure sociali la rivolta, forse, avrebbe potuto essere pacificamente spenta. In realtà il compito di ristabilire la sicurezza delle comunicazioni e dei commerci e di garantire la tranquillità delle popolazioni fu affidato all'esercito, che necessariamente lo assolse nell'unico modo possibile per un esercito dell'epoca: con la forza. 3. Molti studi recenti hanno messo in luce il carattere ludico della guerra, la lotta al brigantaggio fu crudele ma non fu un'antica festa. Fu una lotta senza generosità, senza quartiere, intessuta di ferocia, di viltà, di egoismi, di tradimenti, nella quale l'esercito inevitabilmente offuscò la propria immagine e si espose al rischio di essere considerato non l'espressione più genuina di tutta la nazione ma il braccio armato e brutale delle classi più abbienti. Ed è quest'ultima interpretazione del suo operato che l'esercito rifiuta. Certo comandanti e gregari ebbero la "mano dura", non si preoccuparono di pacificare ma unicamente di reprimere, non dovrebbe però essere difficile comprendere che, di fronte a tante e feroci dimostrazioni di ostilità da parte di una popolazione creduta amica, ufficiali e soldati -poco importa che fossero piemontesi o toscani, lombardi o romagnoli- dovettero provare inizialmente sentimenti di doloroso stupore, di bruciante delusione e poi di totale rifiuto. E se poi non si vuole misurare il passato con il metro dell'oggi ed attribuire a chi è vissuto in epoche diverse la colpa di non aver sentito problemi che allora erano sconosciuti almeno ai più, è necessario valutare quale fosse a metà Ottocento la communis opinio sul diritto di proprietà, sul come dovessero essere trattati coloro che si ribellavano in armi, sulle misure da adottare per lenire le piaghe dell'indigenza. Non deve, inoltre, essere trascurato un altro fattore che contribuì a mantenere a lungo separati la popolazione e l'esercito: la diversità delle tradizioni e delle usanze e la difficoltà di comunicare tra loro per la diversità dei dialetti. La differenza tra il modo di pensare dei "piemontesi", come sbrigativamente furono definiti luni i settentrionali, e quello dei meridionali rese difficili i rapporti anche tra l'amministrazione civile del nuovo Stato ed i ceti più istruiti ed evoluti. Si rileggano le pagine di un fortunatissimo romanzo, Il gattopardo, là dove raccontano la missione a Donnafugata dell 'egregio cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo, funzionario di prefettura! L 'efferatezza del comportamento delle bande brigantesche e delle plebi rurali inferocite determinarono fatalmente le direttive sempre più drastiche dei comandi e le modalità di impiego sempre più duramente repressive dei reparti, con il seguito di errori ed orrori che ogni guerra civile comporta. Un solo episodio, quello di Pontelandolfo, può servire a chiarire quanto sia stata aspra e difficile l'attività dell'esercito che oggi si vuole giudicare con tanta acribia definendola di una "brutalità difficilmente immaginabile" <3>. (3) G. Rochat e G. Massobrio, op.cii.. pag. 49.
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li 7 agosto 1861 scoppiò a Pontelandolfo, durante una processione religiosa, una rivolta: il municipio invaso, le case dei possidenti saccheggiate, i liberali uccisi e gettati su mucchi di fascine in fiamme. L'II mattina arrivò nel paese, per ripristinare l' ordine, un distaccamento del 36° fanteria, cinquanta uomini in tutto, al comando del tenente Cesare Bracci. Il paese era, almeno in apparenza, tranquillo ma non appena i soldati vi entrarono furono accolti da una turba minacciosa ed urlante. Il tenente Bracci si rese conto del pericolo e cercò riparo con i suoi uomini in una vecchia torre, ma fu un provvedimento inutile. Nonostante il fuoco vigoroso dei soldati, la folla inferocita scardinò la porta, si riversò nell'interno dell'edificio e, dopo aver ucciso quei soldati che vi erano asserragliati, rincorse i pochi che erano riusciti a fuggire saltando da una finestra e tutti li finì a colpi di pietra, di bastone e di roncola. Al tenente Bracci, gravemente ferito, una donna schiacciò la testa con una pietra. Due giorni dopo, quando arrivò sul posto il XVlll battaglione bersaglieri, la testa dell'ufficiale era nella chiesa di Pontelandolfo, infilata su una croce, orribile ex-voto sanfedista. La reazione del battaglione bersaglieri fu naturalmente dura, forse "brutale", ma la severità del giudizio potrebbe essere molto attenuata se si volesse considerare con sufficiente equanimità la reazione del comandante alla vista di tanta efferatena, rea?ionc opinabile e forse censurabile su un piano strettamente giuridico, ma largamente comprensibile sul piano umano. E Pontelandolfo non fu un caso isolato. Venosa, Ripacandida, Ginestra, Casalduni subirono l'invasione delle bande ed in quest'ultima località furono massacrati anche cinquanta bersaglieri, con la benedizione del clero locale, sempre disponibile alla celebrazione di festosi Te Deum di ringraziamento per "la liberazione dal governo piemontese". Altri studiosi hanno espresso la convinzione che il brigantaggio avrebbe potuto essere combattuto meglio, e con minore spargimento di sangue, dall'esercito meridionale garibaldino. troppo in fretta smobilitato. L'impiego di truppe costituite in gran parte da elementi meridionali, più vicine quindi alla mentalità ed ai costumi delle popolazioni da pacificare, avrebbe probabilmente potuto evitare molte incomprensioni, smussare qualche angolo, impedire che almeno la parte più incolta e più arretrata delle plebi contadine identificasse nel soldato italiano non il fratello ma il conquistatore, anche se la triste sorte toccata alla colonna Nullo induce a considerare l'ipotesi con qualche cautela. Non vi è dubbio, poi, che una politica di rifonne sociali avrebbe rimosso secolari dif!idenze nei confronti dello Stato e legato alle nuove istituzioni larghi strati popolari. Del resto anche i contemporanei più illuminati avevano compreso che l'origine del brigantaggio era di natura prevalentemente sociale e non politica. Nei primi mesi del 1863 una commissione parlamentare d'inchiesta <4 > percorse in lungo ed in largo le province meridionali per accertare le cause del brigantaggio, proporre rimedi, controllare il comportamento (4) Nella commissione, costiiuita da nove deputati e presieduta dal Sirtori, generale di provenienza garibaldina. fu magna par.i Giuseppe Massari. estensore della relazione finale.
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dell'esercito, verificare il funzionamento degli organi amministrativi. Nella relazione conclusiva, presentata dalla commissione al governo, si può leggere: "la vita del brigante abbonda d'attrattive per il povero contadino, il quale, ponendola a confronto con la vita stentata e misera che egli è condannato a menare, non ricava di certo dal paragone conseguenze propizie per l'ordine sociale". Che poi la borghesia italiana, che in pratica monopolizzava la rappresentanza parlamentare, non "abbia voluto accogliere le aspirazioni sociali delle masse popolari e contadine perché giudicava di dover pagare un prezzo troppo alto per l'unificazione nazionale, quale richiedeva la soluzione dei problemi sociali del Mezzogiorno" (5) può anche essere vero, ma non se ne può certo addossare la colpa all'esercito. La legge Pica, dal nome del parlamentare abruzzese che ne fu il proponente, in vigore dall'agosto 1863 al 31 dicembre 1865, che consentiva ai tribunali militari di giudicare anche i civili rei o sospetti di far parte delle bande brigantesche, e che conferiva quindi all'autorità militare un potere eccezionale, produsse certo un vu/nus nell'ordinamento democratico dello Stato. Indubbiamente l'esercito apprezzò quella legge, che garantiva una rapida ed esemplare punizione dei rei, ma è altrettanto indubitabile che l'esercito non cercò di sostituirsi all'autorità civile e che i tribunali militari non si spinsero, di massima, al di là della legge, come attesta il grande numero di assoluzioni (6>. E non mancarono, tra i militari, uomini che compresero perfettamente le cause del fenomeno e che non limitarono la loro attività alle operazioni di repressione, ma la estesero in ogni settore della vita economica e sociale, collaborando attivamente con le autorità locali e con il governo al fine di venire incontro ai bisogni delle popolazioni, come il generale Govone che il 2 aprile 1863 indirizzò "All'onorevole Signor Generale Sirtori, deputato presidente della Commissione del brigantaggio, TORINO" una sua memoria sulle cause del brigantaggio dove il fenomeno era analizzato con notevole perspicacia e con grande obiettività e dove le responsabilità delle classi preminenti erano chiaramente indicate. Lo scritto è troppo esteso per essere riportato integralmente, due citazioni sono però sufficienti a dimostrare quanto i giudizi e le opinioni del Gov,one fossero equilibrati e rispondenti alla situazione: " .... Quindi io esprimo il parere che la causa del brigantaggio sia nello stato sociale del paese e nelle condizioni del proletariato; senza dubbio non intendo escludere assolutamente molte altre cause che l'aiutano, quali la politica, la tradizione, il richiamo degli sbandati e quelle altre che si vorrà. Sta di fatto che l'Autorità governativa scopre a Napoli parecchi comitati borbonici in relazione con i briganti. -Consta anche per prove irrefragabili che il brigantaggio esistente sulla frontiera Pontificia (il quale si distingue alcunchè
(5) Affennazioni contenute in una relazione presentata al convegno storico su Gli eventi del 1860 nel Casertano, tenutasi a Vairano Patenora. il 25-26 onobre 1982. (6) Cfr. G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, voi. V, La costruzione dello stato unitario, Feltrinelli. Milano 1968, pag. 20 I.
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da quello interno) è pagato ed organizzato a Roma dal Borbone colla connivenza delle Autorità Pontificie.- Come è altresì vero che il soggiorno di Francesco Il a Roma dà correntemente, con una speranza di impunità, coraggio ai compromessi a persistere. La tradizione, che celebra ancora alcuni capi dell'epoca del Cardinale Ruffo, esercita senza dubbio influenza. -Anche gli sbandati somministrano un buon contingente al brigantaggio. La religione, che è divenuta pel proletario un paganesimo estraneo alla morale, non è più un ritegno pel brigante, che uccide cd è coperto di immagini sacre. Ma la opinione che svolgo sta in ciò che, senza la condizione sociale del proletariato e del paese intero, tutte queste cause riunite non avrebbero di mollo bastato a farlo sorgere e durare, come non sorgerebbe nell'Appennino della Toscana e dell'Emilia, delle Marche, dell'Umbria, ove gli antichi sovrani fossero pure amati dal popolo assai più che il contadino napoletano possa amare (se ama, il che non credo affatto) la Dinastia borbonica.... Ho esposto fin qui come io credessi che il motore intimo del brigantaggio fosse la costituzione sociale del proletario, il quale soffre la fame, la poca equità dei signorotti; e come non attribuissi uguale importanza alle cospirazioni borboniche, come andasse compresa la divisione esistente dei borbonici e liberali e come essa desse origine a vendette e persecuzioni che non mancavano di influire sul brigantaggio. Ora domando alla Commissione di potere estendermi alquanto sui disordini che notai ncll'amministraL.ione della giustizia e sui disordini delle Amministrazioni comunali, sui disordini della guardia nazionale e sull'impotenza dell'amministrazione politica a porvi riparo. Con ciò intendo far maggiormente palese come i tribunali non siano una guarentigia per la morale pubblica ed una tutela del povero contro il ricco,- come sovente le guardie nazionali e le Amministrazioni comunali riescano più ad aumentare il malcontento ed il male del brigantaggio col disordine sociale che a tranquillare le passioni e a difendere il Comune dal brigante... " Anche semplici militari di leva erano ben consapevoli di essere coinvolti in una lotta priva di ideali. Gaetano Negri, il futuro sindaco di Milano, così scrisse al padre " .... io sono ributtato da questa guerra atroce e bassa, dove non si procede che per tradimenti ed intrighi, dove spogliamo il carattere di soldati per assumere quello di birri e sospiro all'istante di abbandonare quest'atmosfera di delitti e di bassezza... ". li prezzo pagato dall'esercito fu altissimo. Oltre alle centinaia e centinaia di caduti, le perdite per le malattie epidemiche e per gli strapazzi fisici furono sensibilissime. Nel 1864 la brigata Pinerolo non potè partecipare al consueto campo d'arma estivo perché "tuttora affranta dai mali sofferti nelle province meridionali" <7>. E la Pinerolo non fu la sola grande unità decimata da un ciclo operativo antibrigantaggio. In un rapporto, inviato il 14 agosto sempre del
(7) Dalla relazione s11/l 'Ammi11is1raziorze del/li Guerra nel 1864. Cassone. Firenze 1865.
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1864 dal comando cJella zona militare di Melfi -Bovino al 6° Gran Comando Militare di Napoli. :-ono ,egnalate .. fehhri pcrnicio,e ahbat1utesi sulle truppe" tanto che "'la forLa <li~ponihilc delle compagnie è rnlo11a ai min1P1i termini. Di ogni compagnia appena 14 o 15 uomini sono abilitati a man.:iarc: gli altri sono tulli ammalati. Su :m uomini spediti in perlu~trazione 15 dove11ero tornare in rae~e sorra carri. compre~o ruffìciale e la gu1cJa. Alcuni solda11 morirono.... fu necessario adihire bersaglieri al governo dei cavalli. rerchè ,u 56 caval leggeri del 4° <;quadrone Lodi solo 6 erano d1),ponih1h ... :·. Anche allora l"operato dell"e~ercito. nonmtante I tanti sacrifici compiuti da ufficiali e soldati ~pesso in situa1ioni di esasperato disagio. non ru adeguatamente riconosciuto. I governi dell'epoca. infa11i. anche per giu,1ificat1 moti, i d1 politica estera. cercarono cJi minimi77are le dimen,1oni dclr1n1ervcnto militare e la gravità delle rihcllioni ... fino al punto di non riconoscere I" opera dell'cserc1to contro il brigantaggio come campagna d1 guerra e di !imitare al massimo la conces., ione di ricompem,e a quei valoro~1 che, nell'adempimento di un incre,cioso dovere. avevano lasciato la vita.. !8l_ Eppure r esercito Italiano. tenuto all · obbedicn,a alle leggi dello Stato ~ernndo le antiche cd universali leggi dell"onor militare. compì. allora come ~cmpre. tulio il ,uo dovere tcstimon1ando anche in quella dolorosa ed ingrata c1rcostan1a di e~sere. come d1~se Lu1g1 Sc11cmhrini al Senato... il lilo d1 ferro che ha cuc ito in:-.icmc l"hal ,a'". 4. Il hrigant,1ggio. come ,i è g1;1 dc110. per alcune cara11en,1iche puÌl e~serc considerato una guerra civile e le hande brigantesche adottarono ~pe:,:,o modalità di a1ionc tipiche della guerriglia. Tu11a"ia. ,0110 un profilo strettamente militare. il hrigantagg10 s1 d1,1rn~c e dalla guerra civile e dalla guerriglia perchè fu acefalo. non ebhe mai cioè un organo superiore di comando e di ind1nao. Le bande hriganteschc agirono d'iniziatt\'a... in territori hcn con<hciuti e senLa un effcnivo collegamento fra d1 loro. Due. 1u11a, ia. furono i poli d1 maggior virulenta cd espansione del brigan taggio. anorno ai quali il fenomeno riu,cì a raggiungere una certa omogenc11;1 e unitarietà: la "asta arca operatì,·a che ehbe come centro la Basilicata e rohuste ram1ficaLion1 nelle pro"mcc l11111trofc e l'altra gravitante su lla frontiera pontificia'" (l/l_ Per la verità France,co II cercò d1 coordinare l"a1ìone delle ~ingolc hande, i cui capi acce11arono di partecipare al rauuno di Lagope,ole dm e ele~~ero a ··Generalissimo.. Carmine Croceo (IO)_ In effetti anche dopo tale nomina ogni banda continui> ad operare in modo indipendente.
8) E Sc:ila. S101111 delle /m11e11e 11,1/11111e , ol 111. l.t: /<11111·111 ,wl p,·,wdo 11,1110/n1111t·o , .
11dlr 11uerr1 ,Id Ri.wn.:11111:1110. l,pcnor:uo Jdk anrn J1 lan1t:11,1 e c,1, allena. Ko111J 195.:?
VJ, dd gcnerak Si.:ab il hrcvc prntìlo h111graf1co nella p,111c Il J1 quc,10 ,olumc L Tuccari. "I', 11 . pa).!g ~o:; e 20-1 ( lOl Cam1inc Croceo. p.1s1un: analtalx:ta J1 Kmncro in Vohurc. \1 dcli~ al hnganiagg10 dopo una condanna per discr11onc e dl\o:nnc ,uh110. per k <w 11011:,oh do11 d1 m1cll1)!cnza e d1 feroc ia. un tc111um capobanda. S,h1c1ato;1 con Ganhald1. panec1ro .111"insum:11nne d1 Po1cnza sperando di cnirarc ndla gra11a dd nuovo rcg1111c. lmrng1onato e condan11a10. nu,<:i au C\".1ucrc c ,1 1111,e a capu d1 una dd le hande hng.l/lte,,hc p1u 11u111ero,.1 c knxc (}uanun nel I XM ,,1111pn:,c d1 non po1c:r p1u ,luggm: alla ca,:c1.1 11npla,ah1lc ucll"c,cr.:1111" nlugm ndln S1J10 pon111t,1n. dmc però fu nnch1u,o m c:1rccre. La g1u,11Lia Italiana lo pm,c"il a Putcn1a nel llì72 e lo (Ond;inno all"crga,tnlo [1111 l'a1uto del capitano Ma"a. C,o,co dcllò in can.:crc le ,uc ,\le111orÌl'. non ,c111p1t· ~11.-n,hhih ma eh ouakhc 1111ere,,c (9)
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La lotta al brigantaggio, durata un decennio, può essere suddivisa in tre fasi, ciascuna distinta da una diversa natura ed entità del fenomeno e da diverse modalità di contrasto da parte dell'esercito. La fase iniziale, durata fino al 1862, prese l'avvio dalle prime operazioni condotte dalle unità dei generali Pinelli <11 > e de Sonnaz 0 2 ) per dare sicurezza alle retrovie delle truppe che assediavano Gaeta e Civitella del Tronto. In questo primo periodo le bande, specie quelle operanti in vicinanza del confine con lo Stato pontificio, ebbero una fisionomia più marcatamente legittimista ed accolsero nel loro interno molti militari borbonici sbandati e alcuni avventurieri stranieri - francesi e spagnoli per la maggior parte - accorsi a difendere la causa di Francesco Il, molto prodigo dall'esilio di Roma di denaro e di decreti di nomina. Le bande si rifornivano di armi e di munizioni nei conventi di CrisuJti, di Casamari e di Scifelli situati in territorio pontificio oppure, se operanti più a sud, nei piccoli porti abruzzesi e pugliesi, dove giungevano via mare da Marsiglia, da Malta ed anche da Trieste. Forti di un migliaio di uomini le bande non si peritarono di attaccare, al suono di trombe e di tamburi, reparti anche consistenti dell'esercito e di occupare piccoli e non tanto piccoli centri abitati. Tre esempi: nel gennaio 1861 fu occupata e saccheggiata Tagliacozzo; il 6 febbraio dello stesso anno una grossa banda, guidata da ex gendarmi borbonici, tentò di liberare dall'assedio Civitella del Tronto ma fu costretta alla fuga dagli assedianti; il 14 agosto a Toppacivita, piccola località vicino a Melfi, un battaglione di fanteria ed un battaglione di bersaglieri furono sconfitti in campo aperto dalla banda Croceo. L'esercito fece fronte alla minaccia con operazioni di notevole ampiezza, come il grande rastrellamento del monte della Sila effettuato dall'intera brigata Pisa nel l'estate del 1861. Spesso però operazioni così ampie, necessariamente lente e prevedibili, non permisero di agganciare seriamente le bande, che riuscivano a ritirarsi, grazie anche alla perfetta conoscenza del terreno, in alcuni casi approntato a difesa. Nel suo memoriale, Croceo affermò che nell'agosto 1861 disponeva di "una posizione costituita da una massa boscosa che sbarra la carrozzabile Melfi-Napoli sulla destra dell'Ofanto. La posizione scelta è tatticamente forte, riparata di fronte e lateralmente a destra dalle ripide sponde di un torrentaccio. La posizione difensiva è stata fortificata costruendo una palatina di 300 m di fronte a forma di mezzaluna che copre solide trincee. La mia banda è al com-
( 11 ) Ferdinando Pinelli (181 0- 1865). Sottotenente di fanteria dell'esercito sardo nel 1831, panecipò alla I' guerra d' indipendenza. Congedatosi da maggiore scrisse una pregevole Storia militare del Piemonte dalla pace di Aquisgrana ai di nostri. Ripreso servi1io nel 1860 come brigadiere, prese pane alla campagna delle Marche e dell'Umbria ed alla lotta contro il brigantaggio. Promosso tenente generale ebbe il comando di una divisione in Sicilia e poi a Bologna. Fu deputa· to nella [V e nella Vlll lcgislatura. (12) Maurizio Gerbaix de Sonnaz ( 1816-1892). Ufficiale di cavalleria panecipò alla I' ed alla 2' guerra d'indipendenza. meritando a Montebello la medaglia d'oro. Comandante di brigata nella campagna del 1860 e di divisione nella guerra del 1866. Promosso tenen1e generale comandò 11 VII ed il X corpo d ' armata. Fu nominato senatore nel 1870.
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pleto: vi sono ufficiali, un medico, sergenti, caporali, zappatori, trombettieri, tutti appartenenti al disciolto esercito borbonico. Ho nei ruoli 600 soldati di tutti i corpi: cacciatori, lancieri, artiglieri, volteggiatori, minatori, granatieri della guardia" (13). Probabilmente Croceo esagerava un pò, comunque ... La decisa reazione dell'esercito riuscì a provocare la frammentazione delle grosse bande in unità più piccole e non più in grado di attaccare ed occupare importanti località. L'esaurimento delle risorse finanziarie di Francesco II ed il mancato intervento delle Potenze straniere, che si rassegnarono a riconoscere ufficialmente il Regno d' Italia, furono altri due fattori che contribuirono a cancellare il debole travestimento politico delle bande. Iniziò éosì la seconda fase della repressione, durata grosso modo fino al 1864. In questa fase, la più dura per i reparti dell'esercito, le bande, ormai ridotte di consistenza ma in gran parte a cavallo, dettero prova di possedere una grande flessibilità operativa ed una notevole aggressività. L'equipaggiamento del brigante, leggerissimo, gli consentiva una mobilità sconosciuta ai reparti del!' esercito, inoltre la sua origine di contadino povero lo rendeva frugale e resistente alle intemperie. Quanto ai rifornimenti un gran numero di fiancheggiatori si incaricava di farli trovare nei luoghi e nei momenti opportuni e non mancavano nemmeno gli informatori, infiltrati anche negli ambienti governativi, che fornivano dati e notizie sui movimenti delle truppe. Senza conoscere i trattati sulla "guerra per bande", rovello infinito in questo secondo dopoguerra di una numerosa e valida schiera di studiosi, le bande operavano con i classici sistemi della guerriglia: colpire nei punti deboli; ricercare la sorpresa; riunirsi con rapidità e con altrettanta rapidità, dopo aver effettuato l'azione, disperdersi; in caso di insuccesso sottrarsi subito al contatto e ripiegare per itinerari coperti in luoghi inaccessibili. Le operazioni condotte con maggior frequenza furono le imboscate tese ai piccoli reparti, gli attacchi alle diligenze ed ai corrieri postali, la devastazione delle masserie i cui proprietari non si dimostravano prodighi e di bestiame e di contribuzioni, i furti di bestiame, le invasioni con relativo saccheggio di piccoli abitati. Anche le modalità usate da briganti in combattimento rivelavano una ben sedimentata prassi di astuzie belliche, come si legge nel rapporto del maggiore Melegari, che informava il comando superiore di uno scontro tra uno squadrone di cavalleria e la banda Caruso avvenuto nel luglio del 1863: "Caruso vistosi perduto ricorse al solito stratagemma: mandò un gruppo di briganti a postarsi ben visto su un piccolo promontorio e con il rimanente della banda si appostò dietro un rialzo del terreno vicino al quale bisognava passare per arrivare a quel promontorio. I cavalieri che erano alla testa dello squadrone appena scorsero quel gruppo si slanciarono verso quel promontorio e tutti li seguirono. Sicchè lo squadrone, passando vicino al rialzo ove era appostato il grosso della
( 13) C. Cesari, op cir.. pag. 111.
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banda, ricevette in pieno la scarica di moschetteria" ( 14). Di fronte ad un nemico tanto agile, infomiat.o e risoluto l'esercito si trovò inizialmente in gravi difficoltà. Già nel maggio 1861 il generale Durando aveva completato l'organizzazione militare territoriale, articolata, come nel resto d'Italia, in comandi di divisione territoriale e in comandi militari provinciali, ed aveva disposto la costituzione di colonne mobili che periodicamente raggiungevano i piccoli centri rurali. Queste misure, rigidamente difensive, si erano rivelate del tutto insufficienti ed il generale Cialdini, succeduto al Durando nell'incarico di comandante del 6° Gran Comando Militare di Napoli nel luglio 1861, sovrappose all'organizzazione territoriale un'intelaiatura operativa articolata in zone militari che avevano l'esclusivo compito di ricercare e distruggere le formazioni brigantesche. Nell'ambito di ciascuna zona militare un'aliquota della forza assicurava la difesa dei grossi centri e disbrigava i servizi presidiari, un'altra aliquota provvedeva giornalmente a perlustrare il territorio di competenza con l'appoggio di reparti della guardia nazionale mobile, che lo stesso Cialdini si era premurato di far costituire. Con quest'ultimo accorgimento il Cialdini riteneva di superare il grave inconveniente della poca conoscenza dei luoghi , in gran parte ancora senza rilevamento cartografico. La nuova organizzazione raggiunse qualche risultato ma si dimostrò ancora troppo rigida e, in definitiva, ancora non completamente idonea a controbattere con efficacia l'azione delle bande. Con l'arrivo del La Marmora, che resse il Gran Comando dal novembre 1861 al settembre 1864, l'organizzazione operativa dell'esercito si adeguò finalmente alle necessità, con un'ulteriore suddivisione del territorio in zone e sottozone che servì ad estendere il controllo militare ad aree sempre più vaste, a limitare, di conseguenza, lo spazio operativo delle bande ed a rendere più difficili i legami dei briganti con le popolazioni. Il sistema adottato dal La Marmora comportò naturalmente un notevole incremento del numero delle unità impiegate, tanto che "all'8 giugno 1862, nella parte di terraferma del territorio del 6° Dipartimento Militare, che comprendeva anche la Sicilia, si trovavano oltre alle quattro brigate di fanteria, ai quattro battaglioni bersaglieri ed alla brigata di cavalleria, che ne costituiscono la normale guarnigione, la brigata Modena, una seconda brigata di cavalleria, cinquanta battaglioni di fanteria, tratti da altrettanti reggimenti, e tredici battaglioni bersaglieri (l5)". Circa 120.000 uomini! Le bande reagirono frammentandosi ancora e rifugiandosi nelle parti più interne del paese, il che favorì la loro ricerca e la loro distruzione. Ormai l'esercito aveva imparato a muoversi con agili colonne di compagnia e di plotone e, pungolati da comandanti che avevano compreso la lezione, i reparti cominciarono ad attuare una strategia offensiva, non limitando più la loro azio-
(14) C. Cesari, op cit.. pag. 122. ( 15) V. Gal I inari,/ primi quindici armi, in L ·esercito iraliano dall'unità alla grande guerra (1861-19/8). USSME, Roma, pag. 54.
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ne al controllo delle vie di comunicazione e dei centri abitati e spingendosi alla ricerca delle bande anche nei luoghi più remoti, ritenuti fino ad allora inaccessibili. Le circolari operative diramate, a partire dal 1863, dai comandanti delle zone, offrono la misura di quanto fosse mutata la mentalità all'interno dei comandi, di come, sia pur gradualmente, l'iniziativa si sostituisse alla rigida osservanza della lettera dei regolamenti e la paura di dover prendere una decisione non paralizzasse più l' azione dei comandanti minori. 11 generale Cadorna, che fu al comando della divisione di Chieti tra il 1861 ed il I 863, in una sua Memoria sulle cause del brigantaggio definì per primo il brigantaggio "una guerriglia partigiana" e, dopo aver rilevato la scarsa efficacia delle tattiche fino ad allora adottate, sostenne la necessità di contrapporre all'azione delle bande "le stesse pratiche d'informazione, di speditezza e di secretezza" adottate dai briganti ed espose un suo sistema di rastrellamento delle zone montane che per i tempi rappresentò una novità di buon valore tecnico. Anche il generale Franzini, comandante della zona militare di NolaAvellino tra il 1861 ed il 1864, si segnalò per le sue puntuali direttive che privilegiavano il decentramento cd il posizionamento dei reparti e per l' ideazione di una particolare tecnica di rastrellamento delle zone boscose che si dimostrò realmente efficace. Egli prescrisse, infatti, che la truppa, articolata in tre o più colonne, che dovevano muovere "distese in cacciatori" ed intervallate tra loro, si mantenesse sempre collegata per imprimere uniformità al movimento e per conferire al dispositivo la necessaria sicurezza. Tra i tanti ufficiali che si distinsero per acume tattico merita certamente un cenno particolare il generale Pallavicini (l6J. "Fu certamente il comandante di truppe più prestigioso negli anni del brigantaggio per sagace spirito innovatore, tenace impegno e lunga esperienza maturata in ben cinque successivi comandi operativi, retti in varie regioni del napoletano. Le tecniche d' impiego da lui adottate, basate sul!' astuzia e sulla sorpresa oltre che su una tattica agile e mobilissima, assicurarono alle forze poste ai suoi ordini una netta superiorità sull'azione delle bande e risultati risolutivi per la loro definitiva distruzione. Ma il suo merito maggiore fu certamente quello di aver saputo infondere nelle unità dipendenti quelle doti di dinamismo, leggerezza, iniziativa ed audacia che da sempre costituiscono il patrimonio spirituale e culturale del corpo dei bersaglieri. Con la sua azione dinamica e manovriera non dava tregua alle bande, le cercava nei nascondigli più reconditi, le inseguiva su sentieri aspri e boscosi, le costringeva ad uscire allo scoperto, per farle poi cadere nelle maglie della fitta rete predisposta"< 17)_ L'ultima fase, dal I 865 in poi, fu caratterizzata dal progressivo declino delle bande, sempre più piccole, ormai completamente ridotte a procacciarsi di
( I 6) Emilio Pallavicini di Priola ( 1823-1901 ). Ufficiale dei bersaglieri pa11ecipò alle campagne del 1848-49. del 1859 ed a quella del 1860-61. Decorato di medaglia d'oro. Comandò le truppe che fermarono nel 1862 Garibaldi ad Aspromonte. Ebbe il comando della brigata Como. della divisione di Salerno. dei corpi d'armata di Palermo e di Roma. Nel 1880 fu nominato senatore. ( 17) L. Tuccari. op cir., pagg. 22 1 e 222.
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che vivere con le rapine e con i sequestri di persona. Con la convenzione di Cassino del 25 febbraio I 865 lo Stato pontificio finalmente si impegnò a controllare meglio i confini, a non consentire più l' ingresso nel suo territorio ai briganti inseguiti ed a far cessare il traffico d'armi. Le bande superstiti persero così un sostegno prezioso, anche l'aiuto delle popolazioni, inizialmente largo e spontaneo, diminuì progressivamente, a mano a mano che l'amministrazione del nuovo regno acquisiva stabilità ed efficienza. Alla fine degli anni Sessanta il brigantaggio non rappresentò piu un pericolo per l'ordine pubblico, si configurò nei limiti di un endemico costume malavitoso tanto da poter essere controllato dalle sole forze dell'ordine. L'annessione del Lazio suggellò la fine del più infelice capitolo della storia militare del Risorgimento, quel capitolo che il Pieri non volle trattare perche, come scrisse nella prefazione al suo pregevole volume, Storia militare del Risorgimento. Guerre ed insurrezioni, "forma di protesta dei contadini meridionali per la mancata soluzione del loro eterno problema" e non lotta che avesse come obiettivo "la libertà e la cacciata dello straniero", ma che l' esercito non potè rifiutare. 5. Anche in Sicilia la resistenza popolare alla nuova organizzazione statale fu duratura e tenace, pur presentando connotazioni alquanto diverse rispetto alle province continentali, e l'impegno che ne derivò all'esercito fu oltremodo gravoso. La rivolta contadina violenta e generalizzata nell'isola non durò a lungo, ma l'ordine pubblico, specie nelle province dell'interno, rimase ugualmente turbato e per il perpetuarsi di sporadici episodi di violenza contro i proprietari terrieri e, soprattutto, a causa della diffusa ed ostinata resistenza alla leva. Il governo, infatti, decise di estendere la legge sulla coscrizione anche alle nuove province del sud a partire dalla chiamata alle armi della classe 1842 e questo provvedimento, indubbiamente equo di per se stesso, perchè poneva tutti i cittadini sullo stesso piano, ma altrettanto indubbiamente prematuro, provocò un generale risentimento nei confronti delle istituzioni, specie in Sicilia regione che mai era stata assoggettata ad alcuna forma di coscrizione obbligatoria. Nel luglio 1862 la situazione fu ancora aggravata dall'arrivo di Garibaldi, deciso a liberare Roma nonostante l'esemplare chiarezza del proclama reale del 3 agosto che terminava: " ... .Italiani! Guardatevi dalle colpevoli impazienze e dall'improvvida agitazione. Quando l'ora del compimento della grande opera sarà giunta, la voce del vostro Re si potrà sentire tra voi. Ogni appello che non è il suo è un appello alla ribellione, alla guerra civile. La responsabilità ed il rigore delle leggi cadranno su coloro che non ascolteranno le mie parole.... " Garibaldi non volle recedere dal suo avventato progetto ed il 29 agosto, sull'Aspromonte, i volontari si trovarono di fronte il 4° reggimento Piemonte, comandato dal colonnello Eberhardt, lo stesso che aveva comandato la colonna di destra delle truppe di Bixio ai Ponti della Valle di Maddaloni il 1° ottobre 1860, il IV battaglione del 29° Pisa, il 1V battaglione del 50° Parma ed il VI battaglione bersaglieri, il tutto al comando del colonnello Pallavicini. Nè
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Garibaldi nè, probabilmente, il Pallavicini volevano uno spargimento di sangue ma i due schieramenti erano troppo a contatto, partirono i primi colpi e ne nacque una scaramuccia durata forse venti minuti con selle volontari uccisi e venti feriti tra cui Garibaldi, colpito ali' anca e al malleolo del piede destro. Le perdite tra i soldati furono equivalenti: cinque morti e ventiquattro feriti (!8). Il Cialdini, comandante superiore delle truppe, sempre melodrammatico, definl nel suo rapporto il modestissimo fatto d'armi un "duro combattimento", forse per giustificare lo stato assedio chiesto ed ottenuto dal governo riluttante. L'epilogo più doloroso per l'esercito fu, comunque, il processo e la fucilazione di sette soldati che avevano disertato per seguire Garibaldi. L'impegno militare non si esaurì con la fine del tentativo garibaldino. Nel 1863 il tasso di renitenza, calcolato su base nazionale dell' 11,5%, toccò in Sicilia limiti alt issi mi, tanto da suscitare un certo allarme nel governo e nel Parlamento. E naturalmente, poichè alcuni parlamentari imputavano alla debolezza ed ali' insufficienza dell'azione governati va l'abnorme dimensione del fenomeno, l'incarico di ricondurlo in limiti più accettabili fu dato al comandante della divisione territoriale di Palermo, l'onorevole generale Govone. Questi affrontò il problema con metodi efficaci e sbrigativi, anche se non sempre ortodossi. Egli stesso, in una lettera del IO giugno 1863 al ministro degli Interni, il toscano Ubaldino Peruzzi, così li raccontò: " ... sulla questione dei renitenti, ho fatto in questi giorni qualche esperienza e mi perdoni se mi dilungherò qui appresso per farle conoscere lo stato reale delle cose. Il mandamento di Misilmeri è noto a V.S. come uno dei cattivi di queste vicinanze. Ha un grande numero di renitenti e malviventi. Malgrado vi sia da molto una compagnia di truppa distaccata, essa non otteneva risultati sensibili nelle sue ricerche; anzi accadde poche settimane addietro che una pattuglia correndo dietro uno di quelli, la popolazione fece sentire voci insultanti e minacciose. Non tardai a mandare un ufficiale superiore nel paese che segretamente vedesse come erano le cose, se i renitenti stessero alle case loro, se vi fosse modo di tentare una sorpresa. Mi rispose di sì. Allora, presi gli ordini dal generale Carderina, col consenso premuroso del Prefetto, mandai tre battaglioni e dieci sott'ufficiali dei carabinieri. Il paese fu circondato di notte e tenuto bloccato in modo che non uscissero i giovani che avevano apparentemente l'età delle ultime classi. Fu fatta intanto colle forme legali una perquisizione a tutte le 1150 case, isolando successivamente con una catena di truppe i quartieri già visitati dagli altri, e furono trattenuti tutti i giovani trovati in paese, circa 200. Si trattava poi di riconoscere fra essi i renitenti. Fu riunita la Giunta municipale. Ma essa non voleva dare informazioni e tergiversava. Fu necessario chiamare otto uomini di fiducia, ma non volevano
(18) Nell'estate del 1992 I '8' briga1a bersaglieri Garibaldi, impegnata sull'Aspromonte per il campo d'arma. appose all'interno del piccolo mausoleo che ricorda il fatto d'armi del 29 agosto 1862, una lapide marmorea con parole di auspicio che anche da quel doloroso ricordo gli italiani traggano sempre sentimenti di fratellanza e di unità.
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aiutarci più della Giunta, Furono fatti venire ancora i parroci coi libri dello Stato civile. Allora si faceva presentare il giovane alla Giunta e qui declinava il suo nome...... Poi passava davanti agli uomini di fiducia che dovevano declinare essi stessi il nome e il resto, Finalmente si ricorreva allo Stato civile. Ma così non si poteva ottenere molto, La giunta e gli uomini di fid ucia continuavano nel loro mutismo; i registri sono nel massimo disordine. Si doveva rilasciare quasi tutti per impossibilità di nulla conchiudere o per documenti che essi producevano, Riconobbi che molti documenti erano falsi e non se ne tien più conto, Il risultato di questo lavoro disperante fu l'arresto di due o tre renitenti e di cinque o sei sospetti, e come V.S. vede fu assai scarso! Ora V,S, troverà forse che il mezzo fu violento, ma le popolazioni, che sanno di essere nel torto, non ne mossero lagnanze.. , Al seguito di queste perquisizioni fallite, per la mala volontà della gente del paese, feci rientrare parte delle truppe. Ma lasciai a Misilmeri quattro compagnie con un ottimo maggiore attivo e intelligente, con ordine di non lasciare tregua a nessuno, Si facevano tre o quattro perquisizioni ogni notte alle famiglie dei benestanti o ricchi che avevano renitenti. Si batteva la campagna giornalmente e si arrestavano tutti i giovani trovati, trattenendo poi i colpevoli. Si facevano sorprese notturne e perquisizioni ai Comuni vicini. Dopo due settimane di un tal lavoro, la popolazione cominciò a cedere. Alcuni benestanti si presentarono i primi. li movimento di presentazione cominciò e va ora accelerandosi, A tutto ieri erano 130 i presentati del mandamento di Misilmeri. Oggi 10 vi è grande calca al Consiglio di leva e cento renitenti si presentarono. Oltre a ciò vi sono più di cinquanta disertori presentati in tre giorni ...." L' azione del Govone non si fermò a Misilmeri, poco dopo organizzò e condusse un vasto rastrellamento che interessò quattro province e che richiese l'impiego di una ventina di battaglioni. Secondo il rapporto del generale in quattro mesi di intensa attività operativa furono arrestati 4550 renitenti alla leva e 1350 malfattori. Sono cifre imponenti che dimostrano quanto l' amministrazione civile del!' isola fosse incapace di imporre l'osservanza delle leggi dello Stato, se non addirittura volutamente complice di un generale rifiuto. Il procedere sbrigativo di Govone fu giudicato duro ed offensivo per il popolo sici liano dal deputato d'Ondes Reggio che presentò in proposito un'interpellanza alla Camera. Il 5 dicembre 1863 se ne iniziò la discussione, prolungatasi per ben sei sedute: parlarono, oltre all ' interpellante, Mordini, Miceli, Crispi , Bixio, Bertolami, Laporta ed anche lo stesso Govone. La discussione parlamentare non chiuse le polemiche, Govone dovette addirittura battersi in duello, ma i risultati ottenuti davano ragione al generale che rimase al comando della divisione di Palermo sino al settembre 1864. L'ostinato rifiuto della coscrizione durò a lungo, ancora nel 1865 il generale Medici dovette condurre un esteso rastrellamento nelle province di
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Palermo, Trapani e Girgenli (Agrigento) con l'impiego di ben 17 battaglioni di fanteria. L'operazione, protrattasi dalla prima vera ali' autunno, costrinse migliaia di renitenti a presentarsi alle commmissioni di leva e forse raggiunse anche lo scopo di convincere la popolazione che il nuovo governo non era disposto a transigere perchè il fenomeno cominciò a decrescere, sia pur gradualmente, ed anche in Sicilia il tasso di renitenza rientrò nei limiti fisiologici. L'esercito dovette però affrontare nell'isola altre due esperienze, molto diverse tra loro ma entrambe molto onerose: la rivolta di Palermo e l'epidemia di colera. Il 16 settembre 1866 nel capoluogo siciliano una folla tumultante di popolani e di contadini giunti dalle campagne circostanti invase il municipio cd i palazzi degli uffici governativi e con la violenza si impadronì della città. Nella circostanza furono trucidati 37 carabinieri, come ricorda una vecchia lapide murata nella chiesa della legione carabinieri di Palermo, ed anche tra le truppe del presidio vi furono probabilmente dolorose perdite, anche se alcuni autori affermano che i soldati prigionieri dei rivoltosi furono "trattati quasi sempre con umanità" (19>. La rivolta, che non può essere nobilitata con il nome di insurrezione, fu provocata dall'occasionale amalgama di componenti molto diverse tra loro, quella clericale-legittimista, quella autonomista e quella democraticorepubblicana. E' stato argutamente notato, anche se l'argomento non induce certo al sorriso, "che gridi così diversi come quelli di: Viva Francesco II, Viva Santa Rosalia, Viva la repubblica non potevano alla lunga convivere". E in effetti il "Comitato insurrezionale" non riuscì a dirigere l'azione delle masse rivoltose, più interessate al saccheggio che alle disquisizioni politiche, a dimostrazione che alla base della rivolta non vi era una decisa ispirazione politica nè un programma definito. Almeno per i popolani e per i contadini, la rivolta fu provocata da un malcontento diffuso per i prezzi elevati delle derrate alimentari e per un sistema fisca le più duro di quello attualo dal vecchio governo. Il governo Ricasoli affidò il compito di ristabilire l'ordine al generale Cadorna, nominato Regio Commissario Straordinario per la provincia di Palermo. La rivolta fu presto domata, anche con il concorso della flotta che sbarcò marinai e cannoni <20), con il consueto e tragico bi lancio, 200 i morti tra i soldati ed i marinai, certamente molto superiori quantunque non accertate le perdite dei rivoltosi, assoggettati alla dura legge marziale dell'epoca che prevedeva la fucilazione per il ribelle catturato con le armi in pugno, anche se recenti valutazioni che parlano di alcune migliaia di morti appaiono esagerate. L'esercito dovette compiere l'anno successivo, sempre in Sicilia, un altro oneroso dovere, più consono a quel ruolo di cemento dell'un ità nazionale che molta parte della pubblica opinione gli attribuiva, prestare soccorso alla popolazione isolana in occasione di una gravissima ed estesa epidemia di colera.
( 19) G. Rochat e G. Massobrio, op cit.. pag. 5 1. (20) Cfr. A. V. Vecchi, Memorie di 1111 luogotenente di vascello. Milano 197 I. Il volume tratta la rivolta palermitana solo per inciso, ma offre una precisa test imonianza del modo di pensare di un giovane ufficiale coinvolto nella repressione.
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L'opera dell'esercito fu esemplare. L'allora tenente Edmondo De Amicis, che prese parte alle operazioni di soccorso con il suo reggimento, rievocò quella drammatica esperienza con accenti sinceri e commossi nelle pagine del suo primo fortunatissimo volume, La. vita militare <2 1l, testimoniando di quanta abnegazione e di quanti sacrifici sia capace un esercito di coscritti.
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(21) O. Bovio (a cura di), Edmondo De Amicis - Pagine militari. USSME, Roma 1988, pagg. 93- 133.
IV. I PRIMI ANNI
I. L'esercito, nato nell'arco di un travagliato biennio con la tumultuosa riunione di elementi eterogenei quando non addirittura antitetici, dovette superare nei suoi primi anni di vita gravissimi problemi di ordine morale e di ordine organizzativo prima di raggiungere un accettabile livello di funzionamento ed un sufficiente girado di coesione. L'adozione da parte del nuovo esercito dei regolamenti, dell'ordinamento, dell'armamento e delle uniformi dell'antica armata sarda rese il processo di unificazione più celere e lo fece apparire sul momento come una semplice operazione di ingrandimento. In effetti la nuova struttura risultò profondamente diversa dall'antica e non mancarono perciò attriti ed inceppamenti, fenomeni del tutto naturali che un ragionevole periodo di rodaggio avrebbe fatto scomparire senza traumi. La lotta al brigantaggio, il fenomeno della ostinata renitenza alla coscrizione, la terza guerra d'indipendenza non consentirono all'esercito di consolidarsi con la necessaria tranquillità, i traumi perciò si produssero e le loro negative conseguenze durarono a lungo. I successori del ministro Fanti - Alessandro Della Rovere (6. 9. 1861 - 3. 3. 1862), Agostino Petitti Bagliani di Roreto (4.3.1862 - 8.12.1862), ancora il Della Rovere (9. I2. I 862 - 27. 9.1864), ancora il Petitti di Roreto (28. 9. 1864 31.12.1865), Ignazio De Genova di Pettinengo (I. 1.1865 - 22. 8.1866), tutti appartenenti a quel gruppo di giovani ufficiali che avevano collaborato con il La Marmora nell'rultimo periodo di vita dell'annata sarda - fecero del loro meglio per continll!are l'opera saggia e previdente del generale modenese, cercando di innovare poco e di consohdare molto, nonostante la situazione fosse scarsamente propizia ad una fase di ordinato sviluppo. La guerra del 1859, che aveva visto il debutto sul campo di battaglia dell'artiglieria rigata ed il primo impiego militare delle ferrovie e del telegrafo, provocò tra i Quadri un ampio dibattito tecnico-professionale, espresso prevalentemente sulle pagine della Rivista Militare, ma la dottrina ufficiale d'impiego dell 'esercito non mutò, l'urto e la carica furono ancora considerati l'atto decisivo del combattimento e conservarono la loro priorità rispetto al movimento ed al fuoco. Molti autori hanno voluto vedere in questo atteggiamento di immobilismo dottrinale la riprova di una pretesa arretratezza culturale della gerarchia piemontese, non considerando che allora l'eventualità di una guerra con l'Austria era molto probabile e che, quindi, era necessario risparmiare all'esercito, già afflitto da altri e numerosi problemi, "la scossa che sarebbe immanca-
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bilmente derivata da un cambiamento radicale delle modalità e dei procedimenti di azione che, buoni che potessero apparire, non sarebbero mai stati vantaggiosi alla vigilia di una guerra senza avere il tempo di fare assimilare le innovazioni ai soldati alle armi ed a quelli da richiamare per il completamento degli organici delle unita" 0). Anche il regio decreto del 26 marzo I 862 che ripristinò l'organico dei reggimenti di fanteria su 4 battaglioni di 4 compagnie deve essere correttamente interpretato come un necessario ed opportuno provvedimento organico e non come una "ripicca" del passatista ambiente lamarmoriano nei confronti dell'innovatore modenese Fanti. L'ordinamento di un esercito configura, infatti, lo strumento applicativo della dottrina d'impiego di quell'esercito. In altre parole, l'ordinamento deriva dalla dottrina, se questa non è stata modificata non si deve modificare l'ordinamento. La stabilità dottrinale non significò, peraltro, l'immobilismo della regolamentazione tecnica, che fu, invece, largamente rivista sulla base delle esperienze fatte nel corso della guerra. Tra il 1861 e la primavera del 1866 furono rielaborati i regolamenti per l'esercizio e le evoluzioni della fanteria di linea e della cavalleria, venne compilato ex-novo il regolamento di esercizio e di evoluzione per i bersaglieri, fu completamente rifatto il regolamento delle istruzioni pratiche di artiglieria. Contemporaneamente fu riordinata in modo definitivo l'organizzazione scolastica per i Quadri. Nel 1862 fu istituito il "Consiglio superiore degli Istituti di istruzione e di educazione militare" che ebbe il compito di presiedere e di coordinare l'organizzazione ed il funzionamento di tutte le scuole militari. Ali' Accademia di Torino fu confennato il compito di provvedere al reclutamento ed alla formazione degli ufficiali di artiglieria e del genio, alle Scuole Militari di Modena e di Pinerolo quello di reclutare e di formare gli ufficiali di fanteria e di cavalleria con corsi biennali, la Scuola Militare di Fanteria di Ivrea, già trasferita a Colorno, fu definitivamente collocata a Parma, con il compito di perfezionare l'addestramento dei sottotenenti usciti da Modena e di preparare adeguatamente ufficiali e sottufficiali come istruttori di tiro e di educazione fisica. Dal I 862, inoltre, le scuole di Modena e di Pinerolo ebbero programmi comuni che comprendevano le seguenti materie: - primo anno di corso: fisica sperimentale, nozioni di meccanica e di cosmografia, topografia, disegno lineare applicato a problemi di geometria nello spazio ed ai piani quotati rappresentanti il terreno, tattica delle tre armi, principi di strategia, nozioni cli artiglieria sulle armi da fuoco, disegno topografico e di paese. - secondo anno di corso: chimica generale e sue principali applicazioni agli usi della guerra, storia dell'arte militare, operazioni secondarie della guerra, fortificazione campale, nozioni di fortificazione permanente, attacco e dife(l) F. Stefani, La Storia della dottrina e degli ordinllmenri dell'esercito italiano. USSMA, Roma 1984. voi. I, pag. 147.
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sa delle piazze, disegno topografico con applicazione alle operazioni secondarie della guerra, ippiatria (soltanto per gli allievi di cavalleria). Si dispose, inoltre, che "durante i due anni di corso anzidetti gli allievi delle Scuole Militari di fanteria e cavalleria fossero inoltre esercitati nella storia e nella letteratura italiana e francese, mediante composizioni settimanali di argomento storico militare nelle due lingue, e loro fossero pur date le seguenti istruzioni teorico-pratiche da ripartirsi a seconda delle circostanze, cioè: scuola di soldato, di plotone, di compagnia e di battaglione; scuola di cacciatori, di tiro, di scherma alla baionetta ed analoghe istruzioni per la Scuola di cavalleria; regolamento di disciplina; servizio delle truppe in campagna; servizio da piazza; contabilità militare; nozioni sul codice penale e sulle leggi organiche militari; scherma, ginnastica e nuoto". Nel I 865 la scuola di Modena, sistemata nell'ex palazzo ducale, divenne l'unico istitutO di reclutamento per gli ufficiali delle armi di linea, assumendo la nuova denominazione di Scuola Militare di Fanteria e Cavalleria. Le scuole di Parma e di Pinerolo furono mantenute in vita come scuole d'arma e molto contribuirono alla preparazione tecnica dei Quadri delle due armi. li I O gennaio del 1863 fu istituita a Livorno la Scuola Normale dei bersaglieri, per formare con corsi semestrali gli istruttori dei reparti e quindi uniformare le procedure addestrative nell'ambito dei battaglioni bersaglieri. La scuola rimase in vita per alcuni anni, poi fu soppressa per ragioni di bilancio. Il convincimento delle più alte gerarchie che la preparazione professionale dei Quadri e l' addestramento della truppa fossero condizioni indispensabili per ottenere il successo sul campo di battaglia, determinò un grande incremento delle esercitazioni tattiche sul terreno, svolte nella stagione estiva durante i campi di istruzione ed i corsi di operazioni di guerra minuta. Furono anche rimesse in attività le scuole reggimentali, che il nuovo regolamento del I 865 giudicava di estrema importanza per "far concorrere le istituzioni militari allo sviluppo dell'istruzione primaria del Paese". Per concludere l'argomento è necessario ricordare che il ministro della Guerra sentì la necessità di disporre di un organo di stampa che, a complemento della Rivista Militare, trattasse argomenti di carattere tecnico e diffondesse una corretta interpr,etazione delle decisioni adottate dal ministero, non sempre commentate in modo equilibrato dalla stampa politica. Il 2 agosto 1862 uscì il primo numero del periodico trisettimanale Italia Militare, diretto da Luigi Chiala a cui successe nel 1866 Edmondo De Amicis. Nel 1862 comparve anche il Giornale di Artiglieria e l'anno successivo, il Giornale del Genio, riuniti nel I 874 nel Giornale di Artiglieria e Genio, che nel 1883 dette vita infine al periodico mensile Rivista di Artiglieria e Genio, a lungo rivaleggiante con la Rivista Militare nella trattazione approfondita e puntuale dei maggiori problemi tecnici, ordinativi e tattici dell'esercito. Non fu trascurato nemmeno il vertice dell'esercito, nel I 862 fu costituito il "Comitato superiore delle varie armi" con il compito di esaminare i problemi connessi alle varie armi e di fornire per la loro soluzione pareri consultivi al ministro.
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Nel settore ordinativo i provvedimenti di maggior rilievo furono la costituzione a Palermo del 7° Gran Comando di Dipartimento, con alle dipendenze le divisioni di Palermo e di Messina, e la formazione di 6 nuove brigate - brigata Granatieri di Toscana (7° ed 8° reggimento granatieri), brigate di fanteria Cagliari (63° e 64° reggimento fanteria), Valtellina (65° e 66°), Palermo (67° e 68°), Ancona (69° e 70°), Puglie (71 ° e 72°) - che consentirono di portare a 20 il numero delle divisioni di fanteria. Anche nel seuore degli armamenti il progresso fu notevole. Per tutte le unità della fanteria di linea fu adottato il fucile rigato mod. 1860 (calibro 17,5, gittata utile 400 m) di origine francese, ma prodotto in Italia dagli stabilimenti militari. TI parco dell'artiglieria da campagna fu completamente rinnovato con l'allestimento di 750 cannoni rigati di bronzo da 8 libbre, parzialmente rinnovato quello dell'artiglieria da piazza con l'allestimento di 100 pezzi rigati di ferro da 40 libbre. Tutti i materiali furono costruiti negli arsenali militari, dove fu pure iniziata la costruzione di 250 pezzi rigali da 16 libbre di bronzo (2). Anche le dotazioni del genio furono riordinate, con un notevole incremento degli equipaggi da ponte, sia mod. Birago sia mod. 1860. Altro problema, di difficile soluzione perchè molto oneroso finanziariamente, fu quello di realizzare un sistema di punti fortificali che permettesse di procedere alla radunata del l'esercito, in caso di guerra con l'Austria, in condizioni di sufficiente sicurezza. "L'Austria, infatti, godeva di una posizione strategica di frontiera formidabile: ad ovest le Alpi bresciane con i loro passi sbarrati da opere fortificate, il Garda ed il Mincio con le fortezze di Peschiera, ampliata e rinforzata, dopo il 1859, e di Mantova; a mezzogiorno il Po con la testa di ponte di Borgoforte; a tergo l'Adige con il campo trincerato di Verona e la fortezza di Legnago; tra il Garda e l'Adige le chiuse di Pastrengo e, lra il basso Adige ed il basso Po, il Polesine con la città di Rovigo convenientemente fortificata; sul fronte a mare Venezia, Marghera, Brondolo, i forti di Lido e le batterie della laguna". A tale sistema era pur necessario opporne un altro, che non doveva essere però molto costoso in quanto si riteneva che la frontiera non fosse definitiva. Nel 1862 fu perciò istituita la Commissione permanente per la difesa dello Stato, con il compito di indicare dove e come apprestare le fortificazioni. La commissione portò alle lunghe i suoi lavori , nel tentativo di trovare un punto di equilibrio tra le tante esigenze e le scarse possibilità, e solo nel 1865 fu finalmente presentato al ministro il progetto definitivo, che considerava anche le esigenze per coprire la nuova capitale e che prevedeva l'ulteriore potenziamento delle fortezze di Piacenza e di Bologna, la costruzione a Cremona di una testa di ponte, il rafforzamento di Pizzighettone, la costruzione di una nuova
(2) IJ cannone rigato di bronzo da 8 libbre (calibro 96 mm) consentiva un tiro efficace agranata fino a 2.500 ma nùtraglia sino a 500 m; quello da 16 libbre (calibro 121 nun) rispettivamente a 3.200 ed a 600 m Le batterie erano su 6 pezzi.
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piazzaforte a GuastaJJa per collegare Piacenza e Bologna, la chiusura con opere di sbarramento delle strade che attraversavano l'Appennino tosco-emiliano, la sollecita costruzione delle ferrovie Spezia-Genova e Sarzana-Panna nonchè la costruzione di strade di arroccamento sull'Appennino. L'improvviso sorgere della guerra, non permise però di realizzare quanto pianificato, la Commissione perciò continuò i suoi lavori anche in seguito, tenendo conto dei nuovi confini. Si può concludere questo breve cenno sull'attività dell'esercito prima della 3" guerra d'indipendenza affermando che nel pur breve periodo non mancarono provvedimenti innovativi nè provvide realizzazioni, sempre nei limiti consentiti da un bilancio che, a partire dal 1863, andò progressivamente assottigliandosi. Le affermazioni dell'ex ministro della guerra toscano, il napoletano generale Ulloa, che in un suo scritto denunciò il mantenimento in vigore nel nuovo esercito "dei viziosi regolamenti piemontesi di amministrazione, degli incompleti e superati esercizi ed evoluzioni nell'impiego delle armi base, di un codice penale non più rispondente alle leggi ed ai costumi del tempo, di scuole ed accademie militari con programmi inadeguati alla cultura professionale di un buon ufficiale" non sembrano molto equilibrate, ma piuttosto frutto di un tenace risentimento per essere stato nel 1859 bruscamente sostituito nell'incarico dal piemontese colonnello Cadoma. Le pagine polemiche dell ' Ulloa, comunque, furono le prime di una lunga serie di pretestuose lamentele che afflissero l'esercito per lunghissimi decenni, tutte incentrate sull'ipotesi che l'esercito piemontese (non sardo!) fosse un esercito di caserma, mentre quello napoletano sarebbe stato un esercito di cultura, versione militare di quella sterile polemica meridionalista che ha afflitto ed ancora affligge la vita politica italiana. 2. "L'anno 1866 si era aperto all'insegna delle economie, che ci si proponeva di incrementare di 14 milioni, e dell'improbabilità di una guerra" (3), il 7 marzo, invece, il ministro Pettinengo venne informato della possibilità di una guerra con l' Austria ed ebbero inizio, sotto l'incalzare degli avvenimenti, i provvedimenti necessari per mettere in grado l' esercito di entrare in guerra. Alcune brigate di fanteria furono trasferite nella pianura padana, si affrettarono i lavori di fortificazione nella piazza di Cremona, si ricostituirono le dotazione di mobilitazione fortemente intaccate negli anni precedenti. Il 28 aprile furono diramate istruzioni per far riaffluire ai rispettivi reggimenti i battaglioni di fanteria dislocati nelle province meridionali per la lotta al brigantaggio, fu ordinato il richiamo delle prime categorie delle classi del 1834 in poi e delle seconde categorie delle classi 1840 e 1841. La mancanza di uno stato maggiore centrale, costituito fin dal tempo di pace, in grado di gestire tutti i
(3) V. Gallinari, / primi quindici armi. in L'eserci10 iwliano dal/"unilà alla grande guerra (1861-1918). USSME, Roma 1980, pag. 60.
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provvedimenti necessari per la mobilitazione fu finalmente avvertita ed il ministro Pettinengo istituì presso il ministero l'Ufficio Militare, con compiti di coordinamento. Nonostante le ripetute richieste del ministro, il Presidente del Consiglio, La Marmora, tardò ad impartire direttive sufficientemente chiare sul futuro impiego delle truppe. Il Pettinengo peraltro non prese alcuna iniziativa e così rimase a lungo l'incertezza sulla linea di operazioni che sarebbe stata adottata, quella tradizionale da ovest verso est oppure quella, suggerita dalla nuova struttura statale unitaria e dalla posizione della nuova capitale, da sud verso nord. li 6 maggio fu ricostituito il Corpo dei Volontari Italiani, posto ancora agli ordini di Garibaldi, con due centri di mobilitazione, a Como ed a Bari. li problema principale era però costituito dal Comando Supremo. Il re intendeva assumere personalmente il comando dell'esercito, secondo quanto previsto dallo Statuto (4), ma a questa soluzione si opponeva un altro principio sempre contemplato dallo Statuto, l'irresponsabilita regia <5). I due generali più accreditati, La Marrnora e Cialdini, non intendevano essere messi alle dipendenze l'uno dell'altro. Alla fine fu escogitato un compromesso: comandante supremo il re con il La Marrnora capo di Stato Maggiore; l'esercito suddiviso in due masse, una prima massa forte di 12 divisioni sul Mincio con il La Marmora, una seconda, di 8 divisioni, sul Po, al comando del Cialdini. E cosi si infransero due principi fondamentali dell'arte della guerra, quello della massa e quello dell'unità di comando! Per di piu, nonostante un colloquio tra i due generali, avvenuto a Bologna il 17 giugno, non fu mai chiarito se l'azione principale fosse quella ovest-est o quella sud-nord. Quanto al Corpo dei Volontari, fu assegnato a Garibaldi il compito di operare nel Trentino, per dare sicurezza al fianco sinistro dell'esercito del Mincio. Nell'imminenza della guerra il La Marmora lasciò la presidenza del Consiglio a Bettino Ricasoli ed assunse la carica di capo di Stato Maggiore, oltre all'incarico di ministro senza portafoglio al campo. L'ordine di battaglia dell'esercito fu il seguente:
- Armata del Mincio • Comandante Supremo: re Vittorio Emanuele II • capo di Stato Maggiore: gen. d'armata Alfonso La Mannora
(4) L'art. 5 dello Statuto cosl recitava: "Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato; comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra; fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri. dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato il permettono. ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che impor1assero un onere alle Fi nanze. o variazioni di territorio dello Stato non avranno effetto se non dopo aver ottenuto l'assenso delle Camere". (5) L'art. 67 dello Statuto affermava che "i Ministri sono responsabili. Le leggi e gli atti del Governo non hanno vigore se non sono muniti della firma di un ministro".
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• aiutante genera[e: ten. gen. Petitti di Roreto • comandante dell'artiglieria: ten. gen. Valfrè di Bonzo • comandante del genio: ten. gen. Menabrea • intendente generale: magg. gen. Bertolè-Vialc
I corpo d'armata • comandante: gen. d'annata Giovanni Durando • 1• di visione: ten. gen. Cerale • 2• divisione: ten. gen. Pianell • 3• divisione: ten. gen. Brignonc • 4• divisione: ten. gen. Sirtori totale: 72 battaglioni, 16 squadroni, I2 batterie, 5 compagnie zappatori, l compagnia pontieri, 5 compagnie treno.
li corpo d'annata • comandante: ten. gen. Domenico Cucchiari • 4• divisione: ten. gen. Mignano • 6• divisione: ten. gen. Cosenz • IO" divisione: ten. gen. Angioletti • 11• divisione: ten. gen. Longoni totale: 72 battaglioni, IO squadroni, 12 batterie, 5 compagnie zappatori, I compagnia pontieri, 5 compagnie treno.
Ili corpo d'armata • comandante: gen. d'armata Enrico Morozzo della Rocca
• 7' divisione: ten. gen. Bixio
• s• divisione: ten. gen. Cugia
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• 9" divisione: ten. gen . Govone
• 161 divisione: Principe Umberto di Savoia
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totale: 72 battaglioni, 15 squadroni, 12 batterie, 5 compagnie zappatori, 1 compagnia pontieri, 5 compagnie treno. Riserva del Comando Supremo
• divisione di cavalleria: ten. gen. de Sonnaz • artiglieria di riserva: colonnello Bolegno totale: 20 squadroni e 9 batterie. - Armata del Po
• comandante: gen. d'armata Enrico Cialdini • 11 • divisione: ten. gen. Casanova • 12• divisione: ten. gen. Ricotti • 13• divisione: ten. gen. Mezzacapo • 14• divisione: ten. gen. Chiabrera • 15• divisione: ten. geo. Medici • 17• divisione: ten. gen. Cadorna • 181 .divisione: ten. gen. Della Chiesa • 20" divisione: ten. geo. Franzini • riserva d'artiglieria: col. Mattei totale: 144 battaglioni, 30 squadroni, 37 batterie, 9 compagnie zappatori, compagnia pontieri, 9 compagnie treno. Totale generale: 165.455 fucili, I0577 sciabole, 636 cannoni. Al nostro esercito l'Austria oppose l'armata del sud, su 3 corpi d'armata ed una divisione di riserva, forte complessivamente di 75 battaglioni, 24 squadroni e 21 batterie per un totale di 71.600 fucili, 3.849 sciabole e 154 cannoni,
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a cui vanno aggiunte le truppe poste a difesa del Trentino, dell'Istria e del Tirolo del sud, oltre ai presidi delle piazze e delle fortezze. Comandante del fronte sud era l'arciduca Alberto, generale esperto e buon stratega. A queste forze "regolari" vanno aggiunte quelle comandate da Garibaldi: circa 40.000 volontari, riuniti inizialmente in IO reggimenti di 2 battaglioni e poi in 5 brigate, tre batterie da campagna ed una da montagna dell'esercito. A contrastare Garibaldi l' arciduca Alberto inviò il generale Kuhn con circa 17.000 soldati. Per quanto riguarda la composizione dell'esercito italiano, secondo la relazione ufficiale compilata dall'Ufficio Storico, la provenienza della truppa era la seguente: 5,65% dall'antica armata sarda; 4,60% dall'esercito austriaco; 2,54% dall'esercito della Lega dell'Italia centrale; 4,80% dall'esercito borbonjco; 40,03% dai coscritti arruolati nell'Italia settentrionale dopo il 1860; 31,63% dai coscritti arruolati nelle Marche, nell'Umbria e nel Sud dopo il J 861; J0,75% dalla II categoria della classe 1844. Gli ufficiali provenivano, invece, per il 43% dalle scuole militari, per il 7% dall'improvvisata ufficialità immessa nell'esercito tra il 1860 ed il 1862, per il 50% dai sottufficiali. La guerra fu dichiarata il 20 giugno, ma il La Marmora volle attendere ancora tre giorni prima di iniziare la marcia al nemico. 3. Il 23 giugno l'esercito si mise finalmente in movimento, con la ferma persuasione che gli Austriaci fossero schierati alla sinistra dell'Adige. Per il 24 il La Marmara dispose che: - il I corpo, a sinistra, lasciata una divisione sulla sponda destra del Mincio per osservare la fortezza di Peschiera, avanzasse con le rimanenti tre fino ad occupare le colline oltre la strada Peschiera-Verona; - il II corpo, al centro, occupasse il restante orlo collinare, da Sommacampagna a Custoza, e la sottostante pianura di Villafranca; - il III corpo, a destra, passasse il Mincio con due divisioni, occupando Marmirolo e Roverbella, e con le altre due si schierasse tra Curtatone e Borgoforte sul Po; - la divisione di cavalleria stabilisce il collegamento tra il III ed il Il corpo. Dal canto loro gli Austriaci, ritenendo che l'esercito italiano del Mincio intendesse dirigersÌI sul medio Adige per congiungersi con il corpo del Cialdini ed investire da tergo il Quadrilatero, decisero di occupare l'anfiteatro morenico sulla sinistra del Mincio per attaccare l'esercito italiano sul fianco sinistro. Per la giornata del 24 l'arciduca Alberto dispose che tutto l'esercito muovesse verso sud fino all'allineamento Somrnacampagna-Zerbare-San RoccoOliosi. Tra le sei e le otto del mattino del 24 giugno i due eserciti vennero a contatto ed iniziò così tutta quella serie di combattimenti non coordinati tra di loro che è passata alla storia come battaglia di Custoza. Le operazioni iniziarono sulla sinistra dello schieramento italiano dove,
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poco dopo le sei del mattino, l'avanguardia della divisione Sirtori si scontrò ad Oliosi con alcuni reparti austriaci. La divisione Cerale intervenne a sostegno e riuscì ad oltrepassare l'abitato di OJiosi, ma anche gli Austriaci rinforzarono il loro dispositivo e passarono decisamente al contrattacco. Dopo quattro ore di attacchi e di contrattacchi, alle dieci del mattino, la divisione Cerale dovette ripiegare. Nella lotta era caduto il generale Rej di Villarej, comandante della brigata Pisa, ed anche lo stesso generale Cerale era stato gravemente ferito. Anche la divisione Sirtori, nel frattempo avanzata verso Santa Lucia del Tione, dopo una serie di attacchi e di contrattacchi furiosi era stata costretta a ripiegare. Nel complesso le due divisioni, 16.000 uomini e 24 cannoni, avevano contrastato il V corpo austriaco, forte di 32.000 uomini e di 64 cannoni, per oltre quattro ore infliggendogli forti perdite, tanto da costringerlo a sostare. Alla destra dello schieramento, tra le sei e le sette del mattino, le divisioni principe Umberto e Bixio, spintesi in avanti oltre Yillafranca, furono attaccate dalla brigata di cavalleria Pulz, contemporaneamente al centro la divisione Brignone aveva occupato Monte Torre e Monte Croce con la brigata Granatieri di Sardegna e le posizioni a sinistra dell'abitato di Villafranca con la brigata Granatieri di Lombardia. Verso le nove un violento attacco austriaco su Monte Torre e Monte Croce fu respinto con gravissime perdite da parte del nemico, ma gli Austriaci reiterarono l'attacco con maggiore forza e, dopo due ore di lotta accanita, la divisione Brignone dovette ripiegare. Gli Austriaci, esausti, ripiegarono però anch'essi, lasciando solo due battaglioni a Monte Torre ed a Monte Croce. Alle dieci e trenta la divisione Cugia riconquistò le due colline. "La battaglia, iniziatasi verso le sei e mezza alla sinistra contro le divisioni Cerale e Sirtori, accesasi alla destra verso le sette ed un quarto contro le divisioni Bixio e principe Umberto, e divampata al centro contro la divisione Granatieri del generale Brignone e parte della divisione del generale Cugia, alle dieci e mezzo aveva una sosta. Alla sinistra gli austriaci erano stati fermati a Monte Vento e al ciglione di Santa Lucia sul Tione, dal Mincio il generale Pianell, rimasto in osservazione al di qua del fiume presso Peschiera, si preparava di sua iniziativa ad entrare in azione con parte della sua divisione; al centro le posizioni della zona di Custoza erano state riconquistate e nuove truppe stavano per entrare in azione; alla destra gli attachi della cavalleria austriaca erano stati energicamente respinti. Non solo, la battaglia d'incontro, ad onta della sorpresa, non era perduta; ma sarebbe stato possibile volgerla a nostro favore solo che i due comandi di corpo d'armata, e soprattutto il comando supremo, fossero stati all'altezza della situazione" (6). Purtroppo il La Marmora si dimostrò privo di quelle qualità che caratterizzano il buon comandante, colpo d'occhio e freddezza d'animo, e la battaglia fu malamente perduta. Il La Mannora, infatti, ritenendo che l'attacco austriaco convergesse su
(6) P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre ed insurrezioni, Eunaudi, Torino 1962, pag. 755.
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Cusloza e su Villafranca, dopo aver raccomandalo al della Rocca di "tener fenno" sulle sue posizioni a Villafranca ed aver ordinalo che le divisioni Cugia e Govone prendessero posizione a Monte Croce, si diresse a Valeggio, incontrando durante il cammino i resti in disordine delle divisioni Cerale e Sirtori. All'oscuro di quanto era avvenuto, gia sfavorevolemente impressionalo dalla ritirala della divisione Brignone, il La Marmora si convinse che la battaglia fosse irrimediabilmente perduta e si recò a Goito per "assicurare la ritirala"! Intanto Villorio Emanuele, dando prova di molto buon senso, esortò il della Rocca a contrattaccare gli Austriaci dalla pianura, impiegando le divisioni Bix io e principe Umberto, onnai non più impegnate cd in buone condizioni di efficienza, e la divisione di cavalleria. Ma il della Rocca, forte dell'ordine ricevuto di " tener fenno" a Villafranca, non ritenne di ouemperare alle raccomandazioni del sovrano. Sulla sinistra, un tentativo austriaco di avanzare su Monzambano e Valeggio fu fermalo dal fenno aueggiamento del Pianell che, lasciale alcune forze ad osservare Peschiera, di sua iniziativa si era portato con il grosso della divisione oltre il M incio mentre la divisione Sirtori con un riuscito contrattacco aveva ripreso Santa Lucia. Al centro le divisioni Cugia e Govone, occupate nuovamente le alture perdute dalla divisione Brignone, resistevano a fatica ai contrallacchi austriaci, ma il della Rocca, sempre intenzionato a "tener fermo" a Villafranca, rifiutò qualsiasi rinforzo. Un risoluto contrallacco italiano, condon o dalle numerose divisioni che ancora non erano entrate in azione, avrebbe risolto la giornata, con la completa disorganizzazione dell'armata austriaca, invece né il La Marmora né i comandanti dei corpi d 'annata presero una qualche iniziativa. E così alle due e mezza del pomeriggio un risoluto contrattacco austriaco ributtò verso il Mincio la divisione Sirtori e alle quattro e mezza fu sferrato un altro deciso e preponderante contrattacco austriaco, questa volta contro le posizioni centrali . "Cade dapprima il Monte Croce, quindi il cerchio nemico si serra addosso al Govone, che per di più rimane ferito. Alle cinque e mezza pomeridiane anche Custoza è perduta. Ma la difesa ancora si aggrappa alle pendici di monte Torre e verso Villafranca, fin quasi alle sette. Il Govone porta la sua divisione a Valeggio, ove giunge a mezzanotte. Le altre 3 divisioni del III corpo ripiegano su Goito, protette dalla divisione Bixio che dopo le sei respinge vari attacchi di cavalleria nemica ed alle nove e mezzo abbandona Villafranca. I I nemico, spossato con perdite in morti e feriti notevolmente più gravi delle nostre, non inseguì" m. Le perdite furono notevoli, 714 morti e 2576 feriti tra gli Italiani, 1170 morti e 3984 feriti tra gli Austriaci. Nonostante il parere contrario del re e di alcuni generali tra i quali il Govone, il La Mannora ritenne necessario abbandonare la linea del Mincio ritirandosi addirittura dietro l'Oglio, mentre il Cialdini retrocedette dietro il Panaro, a copertura della capitale! Anche Garibaldi, già spintosi nel Trentino, (7) P. Pieri. op. cit., pag. 758.
• Palazzolo
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~ Colonne austriache ~ Colonne italiane
..__~50.___4~p__so~,_ __.~o_ __,1ç<>km Custoza. 24 giugno 1866: le direttrici di marcia dei due eserciti.
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fu richiamato indietro per coprire Brescia. I I 3 luglio i Prussiani sconfissero gli Austriaci a Sadowa, Cialdini allora riprese il movimento in avanti e passò il Po la notte dell'8 luglio, puntando sul Friuli. Il 14 si tenne a Ferrara un consiglio di guerra che portò a scindere l'esercito in tre masse: jJ corpo di spedizione, 5 corpi d'armata per complessive 14 divisioni, al comando del Cialdini, con il compito di raggiungere l'Isonzo e di proseguire eventualmente verso Vienna; il corpo di osservazione, al comando del La Marmora, con 6 divisioni per assediare le piazzeforti del Quadrilatero e tenere la Lombardia; un corpo di riserva su due divisioni, infine, in Emilia. Nel frattempo Garibaldi aveva ripreso ad avanzare. Riconquistato Monte Suello il 3 luglio, la sera del 13 giunse a Condino sul Chiese ed a Ampola in Val di Ledro, il 16 gli Austriaci attaccarono a Condino ma, dopo un combattimento dall'esito incerto, si ritirarono e il giorno 20 i volontari conquistarono il forte di Ampola. Il Cialdini intanto aveva distaccato dal suo corpo la divisione Medici, con l'ordine di sostenere l'azione di Garibaldi agendo per la Valsugana. Kuhn decise allora di battere i garibaldini prima dell'arrivo dei regolari ed il 21 mosse con due colonne su Condi no e Bezzecca. Qui i volontari retrocedettero sgomberando l'abitato, accorse Garibaldi e dopo una giornata di acca1ùti combattimenti gli Austriaci, già fermati a Condi no, si ritirarono anche da Bezzecca. Il Medici il 22 occupava, dopo un aspro combattimento, Primolano, il 23 giungeva a Borgo e, dopo un altro brillante combauimcnto contro 3000 Austriaci, il 24 era a Levico. Nello stesso giorno un'avanguardia italiana si scontrava con gli Austriaci a Tone, oltre Palmanova, sconfiggendoli. La parola, ormai, era però passata alla diplomazia. Subito dopo Sadowa l'Austria aveva chiesto la mediazione di Napoleone III e gli aveva ceduto il Veneto, da offrire all'Italia se avesse abbandonato la lotta. Anche la Prussia, che non aveva alcun interesse ad umiliare l'Austria, si dimostrò favorevole a concludere la guerra. L'Italia cercò di riscattare il suo prestigio, offuscalo dall'infelice giornata di Custoza, e tentò la carta della flotta, ma il 20 luglio a Lissa la neonata marina si dimostrò troppo impari al compito e fu una seconda delusione. Il 24 luglio Austria e Prussia firmarono a Nikolsburg un armistizio e, poco dopo, la pace di Praga. L'Italia non poteva continuare la guerra da sola, il 12 agosto a Corrnons fu stipulato un armistizio. Garibaldi e Medici abbandonarono il Trentino ormai conquistato, le truppe del Cialdini non raggiunsero l'Isonzo, il Veneto ci fu giuridicamente consegnato dalla Francia (8). 7. L'esito infelice della battaglia di Custoza compromise per lungo tempo l'immagine del giovane esercito italiano sia in Italia sia all'estero. Il generale Pollio (9l, nel suo magistrale studio sulla battaglia, scrisse addirittura molti anni (8) In questa sede la narrazione del conOitto è stata sohanto accennata, il lettore può approfondire gli avvenimenli consultando prima di tutto la relazione ufficiale dello SME, compilata dal Corsi, poi, per la battaglia di Custoza. la monografia di A. Poll io, Custoza. Roux e Viarengo, Torino 1903. Opere più recenti: la Storia militare del Risorgimento del Pieri e La Guerra del IR66 di E . Scala, ristampata nel 1981 dall'Ufficio Storico dello SME. (9) Vds. per il Pollio il breve profilo biografico nella li parte di questo volume.
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dopo: "Nulla è piu terribile per una nazione di una sconfitta senza rivincita". Oggi è possibile considerare quegli avvenimenti con maggiore obiettività e condividere l'equilibrato giudizio di Piero Pieri: "L'esercito italiano, anche solo mediocremente guidato, avrebbe potuto vincere; comunque, l'immeritata sconfitta del giovane esercito non era in sè cosa grave; rivestì invece la parvenza di un vero disastro per quanto avvenne in seguito e unicamente per colpa dei capi" (IO). Lo stesso comandante avversario, l'arciduca Alberto, nel suo rapporto ufficiale sulla battaglia aveva del resto scritto: "Non si può negare all'avversario la testimonianza d'essersi battuto con tenacia e valore. I suoi primi attacchi specialmente erano vigorosi, e gli ufficiali, slanciandosi avanti, davano l'esempio". L'insufficiente azione di comando del La Marmara e dei suoi due comandanti di corpo d'armata, il della Rocca ed il Durando, non deve però far dimenticare un gruppo di comandanti di divisione che combatterono da valorosi ed anche con notevole acume tattico: Cerale, Sirtori, Brignonc, Pianell, Cugia e, soprattutto, Govone. 4. La sconfitta se da un lato determinò nell'esercito una grave crisi morale dall'altro provocò nei Quadri più illuminati un salutare ripensamento ed una appassionata volontà di rinnovamento. L'andamento del conflitto aveva dimostrato all ' esercito, in maniera alquanto rude ed immeritata per la verità, che l'entusiasmo ed il valore se coniugati con l'improvvisazione non erano sufficienti a condurre vittoriosamente sul campo un esercito. Erano si necessarie truppe valorose e disciplinate ma erano soprattutto indispensabili Stati Maggiori efficienti e comandanti preparati. Il generale Cugia <11), ministro della Guerra dal 22 agosto 1866, si premurò di nominare una commissione - di cui fecero parte i generali Cadorna, Bixio 0 2), Govone, Ricotti-Magnani (13), Beraudo di Pralormo <14>, Bertolè(10) P. Pieri, op.cit.. pag. 759. (I I} Efisio Cugia (1818-1872) partecipò alla l' cd alla 2' guerra d'indipendenza. Maggior generale comandò la brigata Como durante la spedizione nelle Marche e nell'Umbria. Direttore generale per la fanteria e la cavalleria al ministero dell Guerra e, nel 1863, ministro della Marina. Promosso tenente generale, comandò 1'8' divisione nella guerra del 1866 e fu 1° Aiutante di Campo effettivo del Re, prefetto di Palermo e Commissario Straordinario del governo in Sicilia. Fu deputato al Parlamento dalla V alla Xl legislatura. (12) Gerolamo, detto Nino, Bixio (1821 - 1873). Ufficiale della marina mercantile, militò in fonnaz.ioni volontarie nel 1848 e nel 1849 fu a Roma con Garibaldi. Riprese a navigare fino al 1859 quando, con il grado di maggiore, comandò un battaglione dei Cacciatori delle Alpi, distinguendosi per coraggio e decisione. Seguì Garibaldi nella spedizione dei Mille sempre distinguendosi fino ad essere promosso tenente generale dopo la battaglia del Volturno. Passato nell'esercito italiano. ebbe il comando di una divisione nella guerra del 1866 e nella spedizione su Roma del 1870. Nominato senatore, diede le dimissioni e si rimise a navigare. Morl di colera nell'isola di Sumatra dove aveva trasportato truppe olandesi. ( 13) Vds. di Cesare Ricotti Magnani il breve profilo biografico nella II parte di questo volume. ( 14) Eugenio Beraudo di Pralormo ( 1822-1907) Ufficiale di cavalleria prese parte alla I' ed alla 2' guerra d'indipendenza. Maggior generale nel 1865, comandò una brigata di cavalleria nella guerra del 1866. Tenente generale nel 1874, comandò la divisione di Chieti.
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Viale <15) - per lo studio di un nuovo ordinamento che 'pur basandosi sulla esperienza sia nostrana sia forestiera, tenesse massimo conto delle condizioni finanziarie del Paese". In effetti la situazione finanziaria era divenuta gravissima ed il Paese non era più in grado di sostenere le pur necessarie spese per mantenere in efficienza un esercito di trecentomila uomini. La commissione svolse i suoi lavori dall'8 gennaio al 22 marzo del 1867, ma già il 10 marzo il minis tro Cugia presentava al Parlamento un progetto di riordinamento dell'esercito, progetto che il successore del Cugia, Genova Thaon di Revel, fece suo e che prevedeva la divisione dell'esercito in due aliquote, l'attiva, costituita dalla I categoria delle otto classi più giovani e dalla II categoria delle ultime tre classi, e la presidiaria, costituita dalla I categoria delle tre classi più anziane e dalla Il categoria della quart'ultima e quint' ultima classe. La ferma era ridotta a 4 anni per la fanteria, era abrogata la surrogazione ordinaria, ed istituiti, per la prima volta, limiti di età per gli ufficiali di carriera che, passati nella riserva, avrebbero inquadrato l'aliquota presidiaria dell'esercito; infine per la II categoria era previsto un addestramento di 3 mesi. In guerra perciò l'esercito attivo avrebbe avuto una forza di 430.000 uomini, 325.000 della I categoria di otto classi e 105.000 della li categoria di tre classi, mentre la forza bilanciata in pace sarebbe stata contenuta in 140.000 uomini. La caduta del ministero Rattazzi in seguito ai fatti di Mentana impedì la discussione alla Camera del progetto, che decadde. L'operato della commissione non fu però vano, il ministro Cugia riuscì a realizzare un suo importante suggerimento, la nascita della Scuola Superiore di Guerra. Nella relazione che accompagnava il regio decreto, Cugia sostenne che la trasformazione della Scuola di Applicazione del corpo di Stato Maggiore in Scuola Superiore di Guerra si proponeva di: - ritornare temporaneamente gli ufficiali di Stato Maggiore alle pratiche di servizio nell'interno dei Corpi; - diffondere nei Corpi stessi l'istruzione scientifica, per mezzo della temporanea permanenza in essi di ufficiali dotati di speciale cultura; - consentire a tutti gli ufficiali intelligenti e volenterosi di migliorare la loro carriera col solo mezzo che, in tempi ordinari, può dare diritto a tale vantaggio: lo studio". Mette conto di sottolineare tali concetti perchè bene esprimono gli indirizzi costantemente perseguiti dall'esercito: Scuola di Guerra aperta a tutti i meritevoli e ritorno periodico degli ufficiali qualificati alle truppe, perchè le nozioni teoriche vengano verificate e vivificate dal contatto con la realtà, in armonia con lo scopo fondamentale della Scuola: "rendere capaci i frequentatori alle questionii tecniche di Stato Maggiore ma soprattutto istruiti per comandare e condurre le truppe". L'istituto ebbe sede a Torino, nell'antico palazzo del Debito Pub bi ico di via Bogino, e solo nel I911 ebbe una appropriata sede in una infrastruttura costruita ad hoc, in corso Vinzaglio. Fin dal suo sorgere fu
(15) Vds. di Ettore Bertolè-Viale il breve profilo biografico nella Il parte di questo volume.
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STORJA DELL' ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
costante la preoccupazione dei vertici dell'esercito di assicurare alla nuova scuola gli insegnanti migliori: Carlo Corsi, Niccola Marselli, Agostino Ricci, Domenico Perrucchetti e tanti altri ufficiali colti ed intelligenti dedicarono, infatti, molti anni della loro carriera ali' insegnamento nelle aule severe dell'istituto. Anche la scelta del primo comandante fu significativa, l'incarico fu affidato al generale Carlo Felice Nicolis di Robilant, soldato valoroso e comandante intelligente (l6) che presiedette alla prima organizazione dell'istituto con larghezza di vedute. Il primo anno di corso comprendeva l'insegnamento di materie strettamente professionali e di altre più propriamente culturali, un diverso coefficiente ponderale per ciascuna materia provvedeva ad equilibrare le graduatorie finali degli ufficiali allievi. Di seguito le materie, con il relativo coefficiente tra parentesi: analisi finita e trigonometria sferica , geometria descrittiva e relativo disegno (10), fisica ( 10), topografia e relativo disegno ( I2), fortificazione passeggera (ora campale) e relativo disegno (11), artiglieria (10), lettere italiane (14), lettere francesi (8), ippologia (5), equitazione (5), scherma (5), levata topografica (10). L'insegnamento dell'inglese e del tedesco era facoltativo. Si può osservare come il corso di studi privilegiasse l'indirizzo scientifico, a conferma di una sedimentata tradizione piemontese risalente al Settecento. II programma del secondo e soprattutto quello del terzo anno erano indubbiamente meno sbilanciati, comprendevano, infatti, nel secondo anno chimica, geodesia, geografia e statistica militare, arte militare, storia militare, composizione italiana e francese, equitazione, manovre di fanteria e cavalleria, scherma, disegno topografico, ippologia, inglese e tedesco (facoltativi); nel terzo, arte militare, lettere francesi, legislazione, storia generale, servizio di Stato Maggiore, una lingua a scelta tra inglese e tedesco oppure geologia e geodesia. L'ammissione alla frequenza dei corsi comportava il superamento di undici esami scritti. Per la preparazione a questi esami i concorrenti erano autorizzati a partecipare ad appositi corsi propedeutici di tre mesi, svolti contemporaneamente in otto città del regno. Il primo corso della Scuola fu riservato agli ufficiali inferiori di fanteria e di cavalleria. L'insegnamento era impartito secondo i tradizionali metodi didattici delle scuole: lezioni in aula, interrogazioni, lavori scritti in aula e, soprattutto, a casa. Esami finali e, per la graduatoria, media tra il punteggio riportato durante l'anno e quello conseguito agli esami. Gli ufficiali dichiarati idonei negli esami finali ricevevano un diploma ed, inoltre, erano iscritti per primi nelle liste per l'avanzamento al grado superiore
(16) Vds. del generale di Robilant il breve profilo biografico nella II parte di qeusto volume.
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I PRIMI ANNI
allorchè venivano a trovarsi nel primo terzo del ruolo dell'arma di provenienza. E qui sembra opportuno spendere qualche parola per chiarire l'origine dei "vantaggi di carriera" concessi ancora oggi a chi frequenta con successo la Scuola di Guerra. All'epoca l'avanzamento era prevalentemente ad anzianità per cui la maggior parte degli ufficiali terminava la carriera nel grado di capitano, non era certo conveniente per l'esercito specializzare, con un corso triennale, un ufficiale e poi non impiegarlo, a causa del grado non elevato, in mansioni di rilievo. Scopo principale dei vantaggi di carriera era, quindi, quello di garantire allo Stato un adeguato impiego dell'ufficiale qualificato, assicurandogli in pratica la promozione a tenente colonnello. Scopo solo secondario quello di incentivare gli ufficiali alla frequenza di una scuola molto dura, e che comportava un impegno triennale molto superiore a quello richiesto dalla normale routine reggimentale. Lo specchietto che segue, riepilogo dell'andamento dei primi dieci corsi della Scuola Superiore di Guerra, consente di verificare che la frequenza dell'istituto non era un periodo ... distensivo.
CORSI
DOMANDE
AMMESSI AL CORSO
USCITI CON DIPLOMA
1867 · 1870
250
64
43
1868 - 1871
145
64
48
1869 - 1872
210
62
48
1870 - 1873
280
62
41
1871 · 1874
155
66
50
1872 -1875
150
69
55
1873 • 1876
140
68
45
1874 - 1877
95
70
51
1875 - 1878
160
68
54
1876 · 1879
105
55
46
Il ministro Cugia dovette anche provvedere con immediatezza non solo allo scioglimento dei comandi di corpo d' armata e delle divisioni attive costituite per la guerra, ma anche ad un drastico ridimensionamento di tutto l'apparato militare, dato che per il 1867 il bilancio della Guerra era stato ridouo a 135 milioni. I provvedimenti più significativi furono: la temporanea soppressione del 4° battaglione nei reggimenti di fanteria e della 4• compagnia nei battaglio-
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIANO ( 1861 • 1990)
ni bersaglieri; lo scioglimento del 3° reggimento del treno di armata, la riduLionc degli ufficiali componenti il corpo di Stato Maggiore. Peraltro l'annessione del Veneto comportò la costituzione di un Gran Comando di Dipartimento a Verona, di quattro comandi di divisione militare territoriale a Verona, Padova, Treviso cd Udine e di una legione carabinieri. La politica della lesina, continuata dal ministro Thaon di Rcvel, consentì tuuavia di risolvere almeno il problema dcll'annamcnlo individuale. La guerra del 1866 aveva rivelato la superiorità del fucile a retrocarica già adottalo dai Prussiani e, stante l'impossibilità, per ragioni di finanza, di procedere all'introduz:ione di un nuovo e moderno fucile, Thaon di Revcl decise di modificare le armi in dotazione secondo il sistema Carcano, dal nome dell ' ufficiale di artiglieria inventore dell'olluratore a cilindro scorrevole e girevole. Fu una soluzione di ripiego, giustificata solo da motivi economici: un fucile nuovo sarebbe costato 60 lire, la trasformazione del vecchio ne costò solo 6. Nell'autunno del 1867, per far fronte alle possibili evenienze dovute ai prodomi della campagna garibaldina dell'agro romano, si dovette rinforzare nuovamente l'apparato militare, richiamando le classi 1841 e 1842 per ricostituire i quarti bauaglioni e le quarte compagnie. Le illusioni di poter procedere all'occupazione di Roma cadderò però il 3 novembre a Mentana e cadde anche il governo. li nuovo ministro, Euorc Bertolè-Viale, sempre sotto l'assillo del contenimento delle spese, procedeuc ad una nuovo ridimensionamento dello strumento operativo: furono soppressi i Gran Comandi dei Dipartimenti Militari con la conseguente dipendenza diretta delle divisioni militari dal ministero e si procedette ad un ulteriore riduzione degli organici dei reparti dei carabinieri furono ridotte a IO le legioni territoriali (Torino, Cuneo, Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Catanzaro, Palermo e Verona) - del genio, con lo scioglimento dei reggimenti zappatori; del corpo del treno, articolato ora su quauro battaglioni; del corpo di sanità, ridotto di ben 140 medici. E poiché questi provvedimenti non erano sufficienti a contenere le spese nell'ambito del bilancio, si ricominciò a chiamare le classi in ritardo cd a congedarle in anticipo, espediente che aveva già provocato il richiamo dell 'anno precedente e che era manifestamente pregiudizievole per l'addestramento. All'inizio del 1869 scoppiarono in Emilia gravi sommosse popolari dovute all'imposta sul macinato e l'esercito fu chiamato a ripristinare l'ordine. Commissario Straordinario del governo fu, ancora una volta, il Cadorna. La rivolta fu presto domala, con l'inevitabile tributo di sangue. L'autorità politica riteneva di non poter ripristinare l'ordine e la legalità in altro modo e l'esercito non poteva rifiutare l'intervento ordinato, ma a lungo andare quell'impiego, anomalo cd ingrato, si rivelò pregiudizievole per l'addestramento e addirittura deleterio per il morale dei Quadri e delle truppe e portò ad un graduale distacco dell'esercito dal Paese. Le ristrettezze finanziarie e l'impiego improprio dell'esercito in attività non addcstrativc non rallentarono il riordino e l'ammodernamento della regolamentazione tecnica, resi necessari anche dall'adozione del fucile a retrocarica
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che permetteva di caricare l'arma anche nella posizione a terra. Dopo alcune circolari interlocutorie, nel 1869, con la collaborazione dei comandi piu elevati, furono diramati i nuovi Regolamenti di esercizi e di evoluzioni per le armi di fanteria e cavalleria. Anche l'addestramento tattico fu curato nei limiti del possibile con la diramazione di specifiche circolari, Norme generali per le istruzioni ed esercitazioni delle truppe nel periodo estivoautunnale del 1869 e Nonne generali per le esercitazioni tattiche applicate al terreno delle truppe di frontiera nella primavera del 1870. Poiché il codice penale militare del 1859 si era dimostrato di difficile applicazione a causa delle troppo lente procedure. nel 1869 (legge del 28 novembre) il Parlamento approvò il Codice penale per l'esercito del regno d'Italia che non modificò la sostanza giuridica del codice precedente in quanto anche i parlamentari italiani, come i loro colleghi subalpini, ritennero giusto tenere in debita considerazione l'atipicità dello status militare. Nonostante le ristrettezze economiche il ministro Bertolè-Viale non permise che la Ril'ista Militare, periodico benemerito per la diffusione tra i Quadri di una cultura professionale aggiornata, cessasse l'attività e ne favorì il passaggio sotto il controllo del ministero, in grado di garantirne una diffusione più capillare e di assicurarle una maggiore disponibilità di mezzi redazionali. La proprietà nominale rimase all'editore Carlo Voghera ma il ministero si riservò la designazione del direttore. Nell 'aprile del 1869 anche il Bertol è-Yiale presentò alla Camera un nuovo progetto ordinati vo, sempre derivato dalle proposte della commissione Cugia. L'esercito, suddiviso in attivo e di riserva, avrebbe avuto in guerra 624.000 uomini, di cui 425.300 in quello attivo. Anche questo ordinamento prevedeva una ferma di quanro anni (cinque per la cavalleria). l'abrogazione della surrogazione, i limiti di età per gli ufficiali e il volontariato di un anno per i soli studenti universitari. La caduta del ministero Menabrea impedì che il Parlamento esaminasse il progetto ed il successore del Bertolè-Yiale, il Govone, ne elaborò un altro, che prevedeva una riduzione del contingente annuo di l" categoria a solo 20.000 unità, con una forza bilanciata quindi di poco piu di 100.000 uomini. Il Govone. aperto alla comprensione di tutti i problemi dello Stato, si rendeva conto di quanto fosse necessaria una rigorosa politica finanziaria e non si era perciò opposto alle decisioni del ministro delle Finanze, Quintino Sella, che intendeva ridurre per il 1870 il bilancio della Guerra di altri 15 milioni. Il Govone era persuaso che il compito dell'esecutivo fosse quello di provvedere non solo al mantenimento delle forze armate, ma anche alla costruzione delle strade, delle ferrovie, delle scuole e che le risorse necessarie per costruire uno Stato moderno fossero difficilmente reperibili in un'Italia economicamente arretrata. In definitiva il Govone comprendeva che il momento imponeva il passaggio daJl'epica della lotta contro lo straniero alla prosa della buona amministrazione e del pareggio del bilancio.
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STORIA DEU.' ESERCITO ITALIANO (1861
1990)
Del resto nei primi mesi del 1870 nulla faceva presagire la possibilità di un conflitto ed il Govone approvò perciò con convinzione la legge finanziaria del 12 luglio, opera coraggiosa e previdente di Quintino Sella. L'andamento delle spese militari e lo sviluppo economico del Paese nel periodo che va dall'unità al 1870 meritano un cenno di chiarimento. Come misero a suo tempo in evidenza illustri economisti come il Pasini ed il Morpurgo, al momento dell'unità il dissesto finanziario degli Stati preunitari era notevole. Con l'unità le spese dello Stato aumentarono, mentre le entrate non progredirono nella stessa misura, a causa del tempo necessario al riordinamento ed all'unificazione dei tributi esistenti nei vari Stati precedenti. T primi anni di vita del regno d'Italia non consentirono la riduzione delle spese militari che, anzi, costituirono una delle maggiori spinte all'aumento del debito pubblico. Il primo bilancio effettivo del regno, quello del 1862 si chiuse, infatti, con un disavanzo effettivo di oltre 446 milioni a fronte di entrate effettive per soli 480 milioni. Apparve perciò necessario procedere ad una riduzione dei bilanci militari, riduzione che le generali condizioni di politica interna ed estera rendevano difficile. Le spese militari, pertanto, continuarono ad incidere pesantemente sull 'economia nazionale e se qualche economia potè essere fatta sulle spese ordinarie - quelle cioè di carattere permanente come paghe e stipendi, vitto e foraggi, manutenzione delle infrastrutture e dei mezzi, ecc. - per quelle straordinarie - rinnovo dei materiali d'armamento, costruzione di nuove fortificazioni e di nuove infrastrutture, ecc. - l'urgen?a delle realizzazioni dovette necessariamente fare premio sulla stabilità del bilancio. Dopo la guerra del 1866 le spese militari cominciarono ad essere molto contenute. naturalmente a prezzo di una riduzione sensibile dello strumento operativo. Tra il 1862 ed il 1866 le spese militari ordinarie e straordinarie per l'esercito e per la guardia nazionale assorbirono il 25% dcli' intero volume delle spese statali e, in media, circa il 55% di tulle le entrate. A partire dal 1867 queste percentuali scesero e nell'arco di un decennio si stabilizzarono in media al l5 cd al 18%. Naturalmente le spese militari misero in moto in tutto il Paese una notevole serie di attività industriali, dirette ed indirette, in quanto i materiali acquistati erano quasi esclusivamente di produ1ione nazionale. 11 De Rosa ha osservato poi che negli anni sessanta gli arsenali militari occupavano 6.650 operai civi li, contributo non secondario aJla preparazione tecnica delle maestranze. Negli anni 1860-1870 le commesse militari rappresentarono perciò un prezioso aiuto per la nascente industria metalmeccanica italiana, ed anche in seguito le spese militari servirono di stimolo e di indirizzo alla produzione.
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IPRIMI ANNI
INCIDENZA DELLE SPESE EFFEITUATE DAL MINISTERO DELLA GUERRA SUL VOLUME DELLE ENTRATE EFFEITIVE DELLO STATO Anno
Entrate effettive (1) Spese del Ministero della Guerra (I )
%
1862
480.000.000
187.000.000
39
1863
542.000.000
250.000.000
47,5
1864
576.000.000
252.000.000
43,5
1865
646.000.000
193.000.000
29
1866
617.000.000
511.000.000
83
1867
714.000.000
155.000.000
22
1868
749.000.000
168.000.000
22
1869
871.000.000
149.000.000
17
1870
866.000.000
178.000.000
20
1871
966.000.000
151.000.000
20
1872
I .O I 0.000.000
I 65.000.000
16,5
1873
1.047.000.000
178.000.000
17,5
1874
1.077.000.000
183.000.000
17
1.096.000.000
180.000.000
17
1875
( 1) le cifre sono arrotondate al milione.
Le generali previsioni di pace furono improvvisamente smentite, qualche giorno dopo l'approvazione del bilancio per il 1870-71 dall'incidente di Ems. L'italia non era in grado di partecipare al conflitto franco-prussiano ( 17), tuttavia la nuova situazione internazionale imponeva un rafforzamento dell'esercito per metterlo nelle condizioni di parare un qualsiasi imprevisto. Govone si mise al lavoro con fervido impegno e, nonostante la carenza di un preciso indirizzo politico da parte del Consiglio dei ministri, provvide alle misure più urgenti: il richiamo di tre classi di riservisti; le predisposizioni per la costituzione di un corpo di truppe pronto ad entrare in guerra; l'acquisto di 12.000 cavalli, indispensabili per il traino delle artiglierie e per la rimonta di alcuni reggimenti di cavalleria. La politica della lesina ed il progetto ordinativo del ministro non erano stati compresi ed accettati dal generale Cialdini che, nella seduta del Senato del 3 agosto 1870, attaccò con arroganza il Govone. Dopo aver parlato del malcontento dell'esercito "giornalmente offeso e umiliato", lo sprovveduto generale,
(17) Le disastrate condizioni dell'esercito costituirono l'argomento più convincente per far recedere Vittorio Emanuele Il dal suo cavalleresco. ma poco assennato proposito di correre in aiuto di Napoleone lii.
90
STORIA DELL"ESERCITO ITALIAN0 ( 1861 • 1990)
rivolgendosi direttamente al ministro, disse "amo credere che egli non si pasca di illusioni e sia persuaso che non può rimanere al posto che occupa, che non può sostenere più oltre il ministero della Guerra nell'esercizio del quale non è sorretto dalle tradizioni, nè dall'affetto, nè dalla fiducia dell'esercito". Proseguendo nel suo impulsivo discorso il Cialdini rimproverava il Govone perché "spogliandosi quasi del tutto del suo carattere e della sua qualità di generale mostrossi sollecito soltanto di finanza e di rendita pubblica, tenero dei contribuenti, fanatico delle economie, ma dimentico affatto degli interessi dell'esercito, di quell'esercito in mezzo al quale ei pur raccoglieva splendida carriera e fama illustre". Quintino Sella scattò allora in piedi e, facendo un riferimento alle vicende spagnole del Cialdini, chiese se nelle parole del generale non dovesse per caso vedersi la minaccia di un pronunciamento e chi lo avesse autorizzalo ad affermare che l'esercito non aveva fiducia nel ministro della Guerra 08). II Govone stranamente non reagì, forse avvertiva già i primi sintomi del male che lo avrebbe allontanato dalla vita pubblica cli lì a poco. Il 4 settembre, infatti, dette le dimissioni da ministro e da generale, ritirandosi ad Alba. Gli successe il fraterno amico Cesare Ricotti Magnani. Grazie ai provvedimenti adottati dal Govone fu possibile costituire nell'Italia centrale un corpo di spedizione su tre divisioni agli ordini del generale Cadorna cd il 12 settembre, risultate vane le speranze di conseguire un accorso pacifico con il Pontefice, le truppe italiane entrarono nel Lazio. Dopo alcuni giorni di lento avvicinamento, suggerito dalle residue speranze di un accomodamento pacifico, il 20 settembre Cadorna investì tutto l'arco delle mure aureliane da Porta San Giovanni al Pincio. La breccia, aperta da una brigata di artiglieria schierata a Villa Albani, tra Porta Pia e Porta Salaria fu il luogo di un breve ma non incruento combattimento (!9). Pio IX si decise infine ad ordinare la resa alle sue truppe ed il 39° fanteria innalzò la sua bandiera sul Campidoglio. Con questa operazione, modesta sul piano militare, ma decisiva per sciogl iere il difficile nodo politico, terminarono le campagne del Risorgimento.
( 18) L' intervento del generale Cialdini fu indubbiamente, come era nel carattere dell'uomo, impetuoso ed irnpruden1e. La chiusura del discorso merita però di essere ricordata: "Facciasi in modo che questo esercito indispensabile sia soddisfallo e contento, sia disciplinato, istruito e munito di tuuo quanto gli occorre. Facciasi in modo che questo esercito, fidente nell'amorevolezza cittadina e nelle sollecitudini del governo. viva all'amore della patria, al cullo della gloria, alla fede intemerata del giuramento. Si cessi dunque di offenderlo o di umiliarlo, giornalmente; si cessi di rinfacciargli il pane che mangia; si cessi dal presentarlo come un vampiro che succhia il sangue della nazione, come causa malefica di una spesa insopponabile ed improduttiva. Si cessi soprattutto dall'ignobiJe commedia di oli raggiare l'esercito quando si crede di non averne bisogno e di fare il soli10 appello alla sua abnegazione, alla sua vinù, appena sorga una nube all'orizzonte. ( 19) La resistenza delle truppe pontificie causò 32 moni e 143 feriti nelle file i1aliane e 29 morti e 68 feriti tra gli stessi pontifici, perdite equivalenti a quelle verificatesi in fatti d'armi molto celebrati dalla storiografia poli1ico-rnilitare come, ad esempio quello di Calatafirni. dove i garibaldini ebbero 30 morti e 150 feriti ed i borbonici, tra morti e feriti , non ebbero più di 120 perdite.
V. L'ORDINAMENTO RICOTTI
1. "L'impressione prodotta dagli avvenimenti di Francia è grandissima in tutta l'Europa. Per trovare un riferimento con un fatto del nostro tempo che abbia rivestito la stessa importanza per i contemporanei si può paragonare Sedan ad Hiroshima. Né più né meno. Soprattutto gli ambienti militari , è ovvio, si rendono conto che d'ora in poi una guerra tra potenze non può essere condotta che allo stesso modo: non con un esercito ma con tutto un popolo" ( 1l. Così uno storico contemporaneo descrive l'effetto prodotto dalla capitolazione di Sedan sull'opinione pubblica europea e tale effetto in Italia fu ancora più dirompente. Già la guerra del 1866 aveva insegnato molto. almeno all'esercito, ma l'opi nione pubblica italiana fu veramente colpita solo dalla rapida disfatta dell'esercito francese, di quell'esercito considerato il migliore del mondo e che tanto era stato imitato in tutta Europa. Come sempre succede quando avvengono fatti clamorosi, le interpretalioni di quei fatti furono molte e di segno opposto, ognuno vi volle vedere la conferma dei propri convincimenti. E così la Rivista Militare e la Nuova Antologia ospitarono numerosi lavori, tutti riguardanti la guerra franco-prussiana con i relativi ammaestramenti. I democratici videro la chiave del successo tedesco nel gran numero di riservisti mobilitati e ritornarono ad agitare il feticcio della guerra di popolo; i conservatori esaltarono la disciplina e l'ordine della semifeudale Prussia e attribuirono il merito della vittoria al patriottismo tedesco ed alla coesione dell'esercito, i militari misero l'accento sui fattori tecnici: la rapidità delle operaLioni di mobilitazione e di radunata, la disciplina delle intelligenLe, l'unitarietà del comando, l'impiego razionale di una rete ferroviaria realizzata in funzione della guerra, la buona qualità degli armamenti, l'ottimo livello addestrativo dei quadri e della truppa. Anche l'opinione pubblica si convinse che l'esercito doveva trasformarsi senza più indugiare e che era necessario cambiare per primo l' ordinamento. Non a caso il saggio più penetrante e più autorevole sul conni110, Gli avvenimenti del I 870-7 I di Niccola Marsellì, metteva in risalto la profonda dif(I} F. Minni1i, F.suciro e p11/111rn da Porta Pia alla Triplice Allean:.a. 1n "S1ona con1emporanea" n. 3/1972 e n. 1/1973.
92
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
ferenza tra l'ordinamento prussiano e quello francese a beneficio del primo, di cui auspicava l'adozione anche in Italia, con i temperamenti che la particolare situazione italiana consigliava, primo tra tutti il mantenimento del sistema di reclutamento nazionale in quanto, sosteneva il brillante insegnante della Scuola di Guerra, i vantaggi del reclutamento regionale non bilanciavano il rischio di una regionalizzazione dell'esercito in uno Stato di così recente costituzione, Cesare Ricotti Magnani giunse all'alta carica, quindi, in un momento favorevole alle riforme e vi giunse nel pieno della maturità, dopo una carriera prestigiosa, ricco di una vasta ed approfondita preparazione professionale e di una sedimentata esperienza, acquisite entrambe sia al comando di reparti sia nell'espletamento di importanti incarichi di natura amministrativa. Il Corsi, cronista attento ed avvertito di quegli anni, scrisse qualche tempo dopo: "L'assunzione del generale Ricotti al ministero della Guerra fu salutata da plauso generale. L'esercito ed il paese avevano infatti grandissima fiducia nell'ingegno, nell'operosità e nell'ardimento di lui; e già da alcuni anni il suo nome correva per le bocche di tutti; e allora si disse: ecco l'uomo" <2 >. In effetti il Ricotti, già membro della Commissione Cugia che nella primavera del 1867 aveva studiato con metodo rigoroso e con onestà intellettuale i vari problemi dell'esercito, aveva sulle riforme da attuare idee chiare e coerenti e la lunga permanenza in carica gli consentì di attuare un profondo e completo riordinamento dell' esercito. Per una maggiore chiarezza di trattazione, le riforme ricottiane saranno qui esposte per settori e non in ordine cronologico, 2. Il 6 dicembre 1870 il Ricotti presentò al Senato le sue proposte per una nuova legge sul reclutamento. Non è questa la sede per ricordare quanto, come e perchè il Parlamento modificasse il progetto iniziale del ministro (3), è sufficiente dire che la nuova legge fu approvata il 24 luglio 1871 e che recepì moltissimo di quanto era stato proposto, ad eccezione dell'introduzione dei limiti di età per gli ufficiali, inesorabilmente bocciata dal Senato. La nuova legge prevedeva due tipi di ferma, quella permanente (ex d'ordinanza) e quella temporanea (ex provinciale). La durata della prima rimase di otto anni, quella della seconda fu stabilita in 12 anni (quattro alle armi ed otto in congedo illimitato) per tutte le armi, ad eccezione della cavalleria per la quale la ferma fu stabilita in nove anni (sei alle anni e tre in congedo illimitato), Venne mantenuta la distinzione degli arruolati in due categorie, precisando che il contingente della I", quello che effettivamente veniva chiamato alle armi, dovesse essere determinato per legge anno per anno, e che quello della n•, obbligata al servizio per nove anni, potesse essere chiamato effettivamente alle armi per un periodo non superiore a cinque mesi. (2) C. Corsi, Italia 1870-1895. Torino 1896, pag. 116. (3) L'argomento è stato ampiamente ed egregiamente trattato da V. Ilari, Storia del sen1izio militare in Italia, voL II La Nazione armata (1871-1918), Centro Militare di Studi Strategici, Roma 1990, pag, 119 e seguenti.
L.ORDINAMENTO RICOTTI
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La legge non contemplò più antiquati e poco democratici istituti come la surrogazione ordinaria e lo scambio di numero, fu mantenuta invece l'affrancazione, limitata però al passaggio dalla 1• alla n• categoria. La legge previde un nuovo istituto, quello del volontariato speciale, che consentiva agli studenti di arruolarsi volontariamente per un anno, purchè prima della chiamata di leva e corrispondendo una somma all'erario. Da questo nuovo istituto il Ricotti contava di ricavare i subalterni necessari per inquadrare i battaglioni e le compagnie della "milizia provinciale" che si sarebbe dovuto costituire, in caso di guerra, con gli anziani della 1• categoria e con le classi più giovani della u•. li volontario, infatti, dopo un anno di servizio era sottoposto ad un esame per accertarne l'idoneità al grado di ufficiale o di sergente. Se riconosciuto idoneo alla promozione ad ufficiale, doveva prestare tre mesi di servizio con il nuovo grado, in modo da completare la propria preparazione. Il Ricotti stabilì che tutti i "volontari di un anno" fossero riuniti in un solo reggimento per poterne curare con particolare attenzione l'addestramento, in vista della loro eventuale promozione. Il primo comandante del reggimento volontari fu Domenico Primerano, futuro e sfortunato capo di Stato Maggiore dell'esercito, allora brillante colonnello del corpo di Stato Maggiore. Nacque così una nuova categoria di ufficiali, quella di complemento, che una legge successiva <4> disciplinò in modo completo. La legge ripristinò la dispensa per gli alunni cattolici della carriera ecclesiastica e gli aspiranti al sacerdozio delle altre comunità religiose tollerate dallo Stato, obbligandoh però a prestare servizio in caso di guerra come cappellani i primi e come infermieri i secondi .. Analoga dispensa fu concessa agli studenti in medicina, in veterinaria ed in farmacia, con l'obbligo di prestare servizio in guerra nei corpi sanitari. La legge sul reclutamento del 1871 fu completata e migliorata da una seconda, approvata dopo un ampio e vivace dibattito parlamentare il 7 giugno 1875. L'articolo I della nuova legge sancì finalmente il principio dell'obbligo generale e personale di tutti i cittadini maschi al servizio militare, non escludendone nemmeno gli esonerati. La legge instituì, infatti una III" categoria, nella quale furono iscritti tutti i cittadini maschi fisicamente idonei non iscritti nella 1• e nella 11• per motivi di carattere sociale o familiare, estese gli obblighi di leva fino al 39° anno di età, ridusse la durata della ferma alle armi a 5 anni per la cavalleria ed a 3 per tutte le altre armi, suddivise l'esercito in tre linee: 1• linea, o esercito attivo o esercito di campagna, costituito dalle classi alle armi e da quelle congedate da meno tempo; 2• linea, o milizia mobile, formata da riservisti di media età e destinata ad operare a ridosso ed a rincalzo dell'esercito di 1• linea; 3• linea, o milizia territoriale, costituita dalle classi più anziane della riserva, destinata a compiti di sicurezza interna ed a sostituire l'esercito di I• linea nei compiti presidiari. ( 4) Legge 30 settembre 1873 sul!' ordinamento dell'esercito e dei servizi dipendenti dall'amministrazione della guerra.
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I
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STORIA DELL"ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
Scomparve così la milizia provinciale prevista dalla legge del 1871; la Guardia Nazionale, invece, rimase ancora nell'ordinamento dello Stato per I' ostinazione della Sinistra che la considerava un simbolo dell'epopea risorgimentale ed una salvaguardia delle libertà costituzionali. Per la prima volta, quindi, tutto il potenziale demografico dello Stato fu impiegato per la difesa dello Stato, soddisfacendo così le aspirazioni dei democratici che da sempre si erano impegnati per la realizzazione della "Nazione armata", feticcio di dubbia interpretazione. La nuova legge abolì del tutto l'affrancazione ed incentivò maggionnente il volontariato di un anno, concedendo la possibilità di ritardare l'arruolamento dell'aspirante volontario lino al 26° anno di età. Il contingente di 1• categoria fu stabilito in 65.000 unità, il che pennise di stabilizzare la forza bilanciata sui 160.000 uomini, carabinieri esclusi, soltanto ricorrendo all'artificio di congedare 12.000 uomini dopo due anni di fenna. Una caratteristica costante delle rifom1e del Ricotti, ed in particolare di quelle sull'ordinamento, fu, infatti, l'estremo rispetto per le dissestate finanze statali. La relativamente piccola entità dell'esercito in tempo di pace non deve però far ritenere che le limitazioni di ordine finanziario abbiano impedito al Ricotti di provvedere in modo organico e serio alla difesa dello Stato. Lo sviluppo numerico ed organico della milizia mobile fino all 'ordinamento stabilito con il provvedimento legislativo del 1875, che accentuò l' assimilazione delle sue unità di base a quelle dell'esercito pennanente, rendeva faci lmente realizzabile all'emergenza la costituzione di altre 9 o IO divisioni formate da riservisti sia della I° sia della II" categoria, da affiancare in un secondo tempo alle 20 costituite fin dal tempo di pace. A qualche anno di distanza dalla nuova legge di reclutamento, la forza a ruolo dell ' esercito ammontava a 640.000 unità per l'esercito permanente (500.000 di 1• categoria e 140.000 di n•) e addirittura ad un milione per la milizia territoriale. Anche volendo tener conto della inevitabile differenza tra forza a ruolo e forza effettivamente mobilitabile - differenza dovuta a decessi, malattie, espatri ed altre cause contingenti - l'esercito predisposto dal Ricotti, adeguato alle risorse umane disponibili, consentiva la mobilitazione effettiva in caso di guerra di tutta la Nazione. 3. Mentre il Parlamento discuteva ed approvava le leggi quadro sul reclutamento, il Ricotti procedette a forza di regi decreti ad un completo riordinamento dell'esercito attivo. Già, e in questo caso l'avverbio è veramente d'obbligo, il 13 novembre 1870 il Ricotti presentò alla firma del sovrano cinque decreti che segnavano l'avvio di impegnative riforme. La rapidità della mobilitazione prussiana, che avveniva su base territoriale, era considerata una del le cause delle vittorie del 1866 e del l 870 ed il Ricotti, da buon tecnico, ideò per l'esercito italiano un sistema di mobilitazione che, pur mantenendo fermo il principio del carattere nazionale della mobilitazione, in omaggio ai ben noti limiti storici e geografici dello Stato italiano che
L'ORDINAMENTO RICOITl
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allora i più ritenevano invalicabili, eliminasse la macchinosità e la lentezza di quello in vigore. "Agevolare e affrettare la mobilitazione delle nostre forze in guisa di far riscontro ai nostri vicini, col dovuto riguardo bensì alle nostre particolari condizioni geografiche, economiche e nazionali" scrisse il Ricotti nella relazione che accompagnava il decreto. Lo strumento operativo che permise di superare l'impaccio della pregiudiziale nazionale fu l'istituzione di un nuovo ente, il distretto militare. li distretto nacque quindi con il compito preciso di costituire il fulcro di tutte le operazioni di reclutamento e di mobilitazione, permettendo ai reggimenti di dedicarsi esclusivamente a compiti addestrativi ed operativi. Il distretto, infatti , doveva provvedere a: - arruolare, equipaggiare ed addestrare sommariamente i giovani appartenenti alla I" categoria abitanti nel suo bacino di utenza che venivano poi inviati ai reggimenti. I benefici del nuovo iter furono notevoli, e per il coscritto, che rimaneva un mese circa nella regione di nascita e che poteva acclimatarsi alla nuova vita con maggiore gradualità, e per i reparti operativi, alleggeriti dal compito di ricevere ed equipaggiare i coscritti; - equipaggiare ed addestrare gli iscritti alla 11• categoria; - equipaggiare ed armare i richiamati ed a inviarli ai rispettivi reggimenti già trasferiti in zona di radunata. Anche quest'ultimo compito era di grande sollievo per i reggimenti, liberati dal compito di conservare e manutenzionare le armi per i richiamati. Per l'assolvimento dei compiti addestrativi l'organico dei distretti comprendeva anche una o più "compagnie distrettuali". Al distretto furono affidati anche compiti di carattere logistico: approvigionamento del vestiario e del carreggio per i reparti di fanteria e di cavalleria stanziati nella zona di giurisdizione, gestione dei militari in licenza ed in transito, controllo dei depositi che i reggimenti, partendo per la zona di radunata, avrebbero lasciato in posto. J primi distretti militari costituiti furono 45, suddivisi in tre classi a seconda del numero di abitanti - 900.000, 400.000, 300.000 - della zona di giurisdizione e, naturalmente, con organici di diversa ampiezza. Contemporaneamente all'istituzione dei distretti furono aboliti i 65 comandi militari provinciali ed i numerosi comandi di piazza, affidando le funzioni presidiarie, svolte fino ad allora da questi enti, ai reparti di stanza nelle varie località, soluzione che si dimostrò valida e che è adottata anche ai nostri giorni. Con lo stesso decreto le divisioni territoriali furono ridotte a 16 - dislocate ad Alessandria, Bari, Bologna, Chieti, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli , Palermo, Perugia, Roma, Salerno, Torino, Udine e Verona - ed aumentate a quattro le divisioni attive, in modo da avere in pace tanti comandi di divisione quanti ne erano previsti nell'ordinamento di guerra. Il Ricotti, sulla scia del pensiero del Moltke, riteneva, infatti, che non fosse possibile costituire all'atto della mobilitazione grandi unità subito impiegabili in combattimento, soprattutto per la difficoltà di costituire dal nulla ed in breve tempo comandi affiatati ed efficienti.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIAN0(1861 • 1990)
Riteneva possibile, invece, il rapido completamento di grandi unità anche di forza molto ridotta, che avrebbero potuto entrare in linea con la necessaria tempestività saldamente guidate da comandi sperimentati. L'esercito "a larga intelaiatura" nasce da questo basilare principio organico, non dal desiderio corporativo di accelerare le carriere creando un fabbisogno fittizio di generali e di colonnelli! Le quattro divisioni attive, libere da impegni di carattere presidiario e non impiegate in operazioni di ordine pubblico, furono incaricate della sperimentazione tattica, necessaria per la verifica delle nuove pubblicazioni riguardanti la tecnica d'impiego delle varie armi e, naturalmente, del compito di prima copertura delle frontiere in caso di guerra. Altro decreto ridusse il numero degli ufficiali generali da l 53 a 126 (3 generali d'esercito, 41 tenenti generali, 81 maggiori generali), ma assicurò ai comandanti di divisione territoriale il mantenimento del comando della grande unità anche in caso di guerra. Sempre con decreto reale, il Ricotti trasformò i 5 reggimenti bersaglieri su 9 battaglioni in IO reggimenti su quattro battaglioni. La riforma ebbe lo scopo di consentire al comando di reggimento di esercitare anche funzioni addestrative e non solo quelle puramente amministrative e disciplinari, e rispondeva al criterio di considerare i bersaglieri una fanteria scelta e non più una fanteria speciale, in altre parole il Ricotti, a ragione, non riteneva più necessaria la suddivisione della fanteria in leggera e di linea e, quindi, ne unificò compiti e ordinamenti, pur conservando al corpo di Alessandro La Marmora marcate caratteristiche fisiche che avrebbero dovuto pennettergli un impiego in cooperazione con la cavalleria. Altra innovazione organica fu la ristrutturazione dell'a11iglieria su 10 reggimenti misti, ciascuno su otto batterie da campagna, cinque compagnie da piazza e tre compagnie del disciolto corpo del treno d'armata. Il 5° reggimento artiglieria mantenne due batterie a cavallo. Costituì, inoltre, il 20° reggimento di cavalleria, il Roma. Tutte queste ristrutturazioni rispondevano ad un disegno ben preciso del Ricotti:articolare l'esercito in guerra su 10 corpi d'armata, ciascuno su due divisioni di fanteria, un reggimento bersaglieri, un reggimento di cavalleria ed uno di artiglieria. Anche i servizi logistici furono oggetto di un salutare riordinamento. Il Ricotti inserì nella legge del 1873 sull'ordinamento dell'esercito il corpo sanitario militare, il corpo di commissariato militare, il corpo contabile militare, il corpo veterinario militare e concesse uniforme e gradi ai medici, ai commissari dell'intendenza, ai contabili ed ai veterinari, fino ad allora in una posizione ibrida, in bilico tra lo status militare e quello civile. Il provvedimento che trasformava il personale dei corpi logistici in ufficiali, dando loro anche un certo sviluppo di carriera - per il corpo sanitario era previsto un maggior generale, per il corpo di commissariato un colonnello, per il corpo contabile e per quello veterinario il tetto massimo della carriera era il grado di tenente colonnello - non fu gradito dal corpo ufficiali, dimostratosi in questo caso non troppo disponibile al nuovo. In realtà il provvedimento fu saggio e lungimirante, premessa necessaria allo sviluppo del!' organizzazione logi-
L'ORDINAMENTO RICOTTI
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stica, ogni giorno più indispensabile in un esercito tanto accresciuto. Perno dell'organizzazione logistica dj pace fu la divisione territoriale, dalla quale dipendevano anche gli ospedali militari e le compagnie di infermieri militari. Al Ricotti si deve anche la creazione del corpo degli alpini. Già 'durante la guerra del 1866 erano stati mobilitati due battaglioni di Guardia Nazionale mobile, reclutati tra i montanari della Valtellina e della Valcamoruca, con il compito di difendere le provenienze dallo Stelvio e dal Tonale, in collegamento con i volontari garibaldini; l'esigenza di chiudere i passi alpini con immediatezza si presentava ora in termini più pressanti a causa del nuovo modello di ordinamento che comportava tempi più lunghi per la mobilitazione ed il completamento delle grandi unità. L'esercito qualità del La Marmora, praticamente già completamente costituito fin dal tempo di pace, era in grado di entrare in azione con qualche giorno soltanto di preavviso e, quindi, in attesa dello scontro decisivo in pianura, era sufficiente l'azione di ritardo dei forti e degli sbarramenti montani per impedire un attacco ili sorpresa. L'esercito nuovo doveva, invece, disporre di qualche settimana di tempo prima di essere in grado di contrastare l'invasore nella pienezza della sua forza, di qui la necessità di trattenere il nemico sulla frontiera montana per un tempo maggiore, tempo che la sola fortificazione non garantiva. La guerra in montagna rendeva però necessario l'impiego di truppe abituate al particolare ambiente naturale e di Quadri che quell'ambiente conoscessero in modo non superficiale. La costituzione di reparti reclutati nelle stessa vallate in cui avrebbero dovuto operare rispondeva a tutte queste esigenze: uomini nati in montagna, conoscitori del terreno, uniti da vincoli personali di amicizia perchè provenienti dagli stessi paesi, in rapporto immediato e naturale con la popolazione, avrebbero garantito un valido baluardo contro un possibile invasore, tanto più che sarebbero stati chiamati a difendere gli stessi luoghi in cui erano nati e cresciuti. li Ricotti risolse il problema con molta discrezione, ordinando fin dal 15 ottobre 1872 la costituzione di 15 compagnie distrettuali a reclutamento regionale, accennando già, nella relazione che accompagnava alla firma reale il provvedimento, la "possibilità di formare altre compagnie alpine, quando se ne manifestasse la convenienza e quando, come era da sperare, quella prima creazione dimostrasse con i fatti di corrispondere allo scopo". Le prime 15 compagnie, costituite nel marzo 1873, furono appoggiate: tre al distretto militare di Cuneo (t• a Borgo San Dalmazzo, 2• a Demonte, 3• a Venasca), sei al distretto militare di Torino (4• a Luserna San Giovanni, 5' a Fenestrelle, 61 ad Ulzio, 7' a Susa, 8" ad Aosta, 9• a Bard), una al distretto militare di Novara (10" a Domodossola), due al distretto militare di Como (111 a Chiavenna e 12• a Sondrio), una al distretto militare di Brescia (13• ad Edolo), una al distretto militare di Treviso (14• a Pieve di Cadore) e l'ultima, la 151 , al distretto militare di Udine con sede a Tolmezzo. I Quadri necessari furono tratti dalla fanteria di linea, ad eccezione di quattro ufficiali provenienti dai grana-
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tieri e di uno proveniente dai bersaglieri. Fondatore della specialità fu dunque il Ricotti, eppure una poco veritiera, ma tenace tradizione ancor oggi identifica nel generale Perrucchetti il padre delle fiamme verdi ! C5 ). Il pragmatismo del Ricotti si rivelò anche in un altro provedimento organico: la soppressione di sei reggimenti granatieri, quelli di Lombardia, di Napoli e di Toscana che divennero rispettivamente 73° e 74° fanteria della brigata Lombardia, 75° e 76° della brigata Napoli, 77 ° e 78° della brigata Toscana. Rimasero in vita il l O ed il 2° reggimento della brigata Granatieri di Sardegna, non per uno speciale riguardo alle tradizioni piemontesi, ma soltanto perchè parve al ministro criterio saggio ed economico raggruppare in una sola brigata tutti gli elementi di statura superiore ad un metro e settantotto centimetri, facilitandone la vestizione. Così la sostituzione del cappotto con la giubba nei mesi meno freddi, l' adozione dei guanti di colore nero anzichè turchino per i bersaglieri, l'abolizione delle mostrine delle brigate di fanteria sostituite dalle stellette, l'adozione di un unico tipo di fiamma (a tre punte, di color bianco) per la cavalleria, furono tutti provvedimenti adottati per risparmiare qualche migliaio di lire. L'arma di cavalleria fu particolarmente colpita dallo spirito pratico e razionale del ministro, che numerò i reggimenti, semplificandone anche la tradizionale denominazione, e che addirittura tolse loro lo stendardo reggimentale, motivando tale drastica ed impopolare decisione con l' impiego per squadroni isolati della cavalleria nell'esplorazione e nella sicurezza. Molti di questi provvedimenti con il tempo furono abrogati, i reggimenti di fanteria e di cavalleria riebbero i loro colori e gli stendardi ritornarono a garrire al vento nelle esercitazioni in piazza d'armi, ma purtroppo con il tempo si perse anche quel senso di austero rispetto per il bilancio dello stato che fu sempre alla base delle decisioni del generale Ricotti. Anche la struttura centrale dell'esercito fu rivista. Come organo di consulenza per il ministro nell'esame dei più importanti problemi militari, il Ricotti istituì il Comitato di Stato Maggiore Generale, alla cui presidenza chiamò il Cialdini, vero e proprio organismo di studio che avrebbe dovuto occuparsi delle grandi questioni di politica militare generale, lasciando ai vari Comitati - delle armi di linea, di artiglieria e genio, dell' arma dei carabinieri reali , di Sanità - l'esame e la risoluzione dei problemi più strettamente tecnici. Accogliendo una raccomandazione parlamentare il Ricotti presentò in Parlamento una proposta di legge "sull' ordinamento dell' esercito e dei servizi dipendenti dall'amministrazione della Guerra", proposta che divenne legge dello Stato il 30 settembre 1873. Sull'opportunità di far approvare dal Parlamento l'ordinamento dell'esercito, in quella situazione politica e con quel Parlamento, furono tutti concordi; da un lato si conferiva un maggior prestigio all'esercito stesso, da un altro lato
(5) Vds. per quanto riguarda la fondazione degli alpini V. Ilari, op.cii., pag. 243 e seguenti; per quanto riguarda il generale Perruccheni il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
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si allontanava il sospetto, sempre latente nell'elemento più radicale, che i ministri della Guerra in accordo con la corona gestissero l'apparato militare nell'esclusivo inter,esse della classe dirigente. E forse da parte del ministro ci fu anche il desiderio di stimolare il Parlamento a concedere i fondi necessari alla vita di un esercito del quale il Parlamento stesso aveva stabilito le dimensioni. In linea generale, però, la convenienza di sottoporre alle valutazioni del potere legislativo ogni decisione di carattere ordinativo è molto discutibile. Se nel Parlamento esiste almeno un gruppo autorevole di parlamentari, consapevoli della necessità di tutelare l'indipendenza dello Stato e sufficientemente competenti per saper distinguere le reali esigenze dell'esercito da sempre possibili esigenze corporative o contingenti, allora l'azione parlamentare di controllo e di ratifica è certamente positiva, me se vengono a mancare le condizioni di consapevolezza e di competenza su esposte, l'azione del Parlamento può divenire un intralcio e per i tempi lunghi di trattazione dei problemi e per gli stravolgimenti inopportuni delle iniziative del ministro. La legge del 30 settembre 1873, comunque se ne voglia giudicare l'opportunità, recepì i provvedimenti ordinativi già attuati per decreto reale dal ministro con quelle varianti che lo stesso Ricotti, sulla base delle prime esperienze, giudicò necessarie. Per quanto riguarda l'ordinamento territoriale, il regno fu suddiviso in 7 Comandi Generali - dislocati a Torino, Milano, Verona, Firenze, Roma, Napoli e Palermo - 16 di visioni militari territoriali, 62 distretti militari. Con la legge in argomento le compagnie distrettuali alpine furono aumentate a 24, raggruppate in sette comandi di reparto, mentre quelle di fanteria salirono da 55 a 176, nucleo le une e le altre dei 160 battaglioni su 6 compagnie che si sarebbero costituiti in guerra. Per quanto riguarda le singole armi la legge stabilì: - arma dei carabinieri reali: rimase ordinata su 11 legioni territoriali ed una legione allievi, con una forza complessiva di 466 ufficiali, 19.725 sottufficiali e militari di truppa; - arma di fanteria: 40 comandi di brigata, 80 reggimenti di fanteria di linea, compresi i 2 reggimenti granatieri, ciascuno su tre battaglioni di 4 compagnie più l deposito; 10 reggimenti bersaglieri ciascuno su 4 battaglioni di 4 compagnie più I deposito; - arma di cavalleria: 20 reggimenti, ciascuno su 6 squadroni più I deposito; - arma di artiglieria: 10 reggimenti da campagna, ciascuno su IO batterie attive, 3 compagnie del treno, 1 deposito; 2 reggimenti da fortezza, ciascuno su I Ocompagnie, 3 compagnie treno, 1 deposito; - arma del genio: 2 reggimenti, ciascuno su 14 compagnie zappatori, 4 compagnie pontieri, 2 compagnie ferrovieri, 3 compagnie treno, l deposito. Da rilevare il passaggio dei pontieri dall'artiglieria al genio e la istituzione dei primi reparti ferrovieri; - corpo sanitario su 608 ufficiali medici e 89 farmacisti, corpo veterinario su I 08 ufficiali veterinari, corpo di commissariato su 290 ufficiali, ruolo degli
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ufficiali e sottufficiali contabili su 1203 militari (6 tenenti colonnelli, 34 maggiori, 451 capitani, 411 subalterni, 30 l sottufficiali), della giustizia militare su 144 ufficiai i. La legge, inoltre, fissava: la composizione del corpo di Stato Maggiore in 9 colonnelli, 34 tenenti colonnelli o maggiori, 75 capitani e 20 tenenti; l'ordinamento scolastico; la composizione delle 6 compagnie di disciplina e delle 3 di carcerati; il numero degli ufficiali generali in 130, di cui 5 generali d'esercito, grado che poteva essere concesso solo in tempo di guerra, 42 tenenti generali e 83 maggior generali. L'ordinamento scolastico prevedeva la Scuola di Guerra, la Scuola d'Applicazione di artiglieria e genio, l'Accademia militare, la Scuola militare di fanteria e cavalleria, la Scuola di fanteria, la Scuola di cavalleria, i collegi militari di Napoli, Firenze e Milano. La legge contemplava, infine, l'Istituto Topografico Militare, istituito l'anno prima dal Ricotti enucleando dal comando del corpo di Stato Maggiore l' ufficio tecnico. L'importanza di questo Istituto, che dal 1882 si chiamò Istituto Geografico Militare, per lo sviluppo economico e produttivo del Paese fu grandissima, basti pensare, infatti, che la cartografia nazionale che l'istituto elaborò, con grande precisione e in tempi brevi, fu essenziale per la stesura dei piani operativi ma fu altrettanto indispensabile per stabilire il tracciato di una strada o di una linea ferroviaria o per decidere dove ubicare un ponte. Nel 1861 l'Italia aveva ereditato infatti dagli stati preunitari un patrimonio cartografico diverso e non soddisfacente per omogeneità e per caratteristiche tecniche e, soprattutto, non completo. Già nei primi anni Sessanta, l'ufficio tecnico del corpo di Stato Maggiore aveva perciò realizzato la carta delle province meridionali, ma il completo rilevamento del territorio nazionale, con l'allestimento delle due carte fondamentali alle scale l: 100.000 e 1:25.000, fu disposto dal Parlamento solo nel 1875 e portato a termine dall'Istituto nel primo decennio nel nuovo secolo. E quando l'Italia si impegnò nelle imprese coloniali l'Istituto provvide al rilevamento dei nuovi territori ed all'approntamento della cartografia corrispondente. All'inizio della seconda guerra mondiale era stata completata un'aggiornata cartografia dell'Etiopia, della Somalia, dell'Eritrea, del Dodecanneso e dell'Albania. Oggi l'Istituto è impegnato nell'aggiornamento costante delle due carte fondamentali e nell'allestimento, ormai concluso, della nuova carta d'Italia alla scala I :50.000. Il Ricotti si preoccupò anche di migliorare il livello di preparazione dei sottufficiali, tratti ancora dai militari di truppa. Istituì pertanto il I 0 , 2° e 3° battaglione di istruzione per sottufficiali, con sede, rispettivamente, a Maddaloni, Asti e Senigallia, che ebbero il compito di uniformare e migliorare la preparazione tecnico-professionale di base dei giovani sottufficiali. 4. Non meno importanti e non meno urgenti furono i provvedimenti adot-
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tati dal Ricotti nel campo dei materiali d'armamento. La guerra franco-prussiana aveva anche dimostrato di quanto fosse accresciuta l'importanza del fuoco, anche di quello di fanteria, e il fucile mod. 1860, sia pure modificato con l'otturatore Carcano, non poteva più essere considerato un valido strumento di guerra. Dopo accurate comparazioni di prestazioni e di costo tra i vari modelli disponibili sul mercato, fu decisa l'adozione del fucile Vetterly, dal nome del meccanico svizzero che lo aveva brevettato, arma rigata, a retrocarica , con cartuccia metallica, di calibro 10,35 mm, con alzo a quadrante graduato fino a 2000 mm, nella versione adottata in Italia monocolpo. Il Ricotti era convinto che un'arma a ripetizione avrebbe comportato un irrazionale consumo di munizioni insostenibile per il bilancio della Guerra! Inizialmente, con la legge del 26 aprile 1872, fu autorizzata la costruzione di 270.000 fucili per armare l'esercito attivo, ma la produzione andò a rilento sia per la successiva decisione del Ricotti di dare la precedenza all'acquisizione di 12.000 pistole a rotazione per armare i primi dieci reggimenti di cavalleria, dotati di lancia, sia per alcune difficoltà incontrate nella costruzione della nuova fabbrica d'armi di Temi. Una nuova proposta di legg~. presentata dal Ricotti nel giugno 1875 con la richiesta dei fondi necessari per allestire altri 300.000 fucili e moschetti Vetterly, fu "ridimensionata" dal Parlamento che concesse solo 16 milioni di lire, sufficienti soltanto per 176.000 armi. Di conseguenza la milizia mobile e quella territoriale continuarono ad essere armate con il fucile mod. 60 trasformato a retrocarica. Nel campo delle artiglierie i progressi furono notevoli. Dal 1872 al 1875 furono introdotte in servizio 60 batterie su otto pezzi da 7 ,5 cm di· bronzo a retrocarica (6). Il pezzo, incavalcato sui vecchi affusti Cavalli, si dimostrò leggero e manovriero ma di scarsa efficacia, il Ricotti presentò allora in Parlamento un nuovo progetto per approvvigionare 400 bocche da fuoco in acciaio, a retrocarica e di calibro 8,7. La commessa fu approvata ma dovette essere affidata ad un'industria tedesca perchè in Italia non esistevano fonderie in grado di padroneggiare getti in acciaio di quelle dimensioni. Il problema delle artiglierie per l'armamento delle opere permanenti di difesa fu risolto affidando la costruzione dei pezzi da 32 cm rigatati a retrocarica in ghisa cerchiata (32 GRC ret.) ad una fonderia appositamente costruita. Fu, inoltre, avviata fin dal 1872 la produzione di 40 bocche da fuoco 24 GRC ret. Il Ricotti provvide anche all'acquisto di 4.500 cavalli ed all'istituzione di due grandi allevamenti equini, a Persano ed a Grosseto, per le necessarie rimonte dei reggimenti di cavalleria e per fornire all'artiglieria cavalli idonei al (6) All'inizio degli anni Settanta, l'artiglieria italiana abbandonò la classificazione basata sul peso in libbre del proietto ed adottò quella basata sul diametro della bocca da fuoco espresso in cm seguito da una o più lettere maiuscole che indicavano la caratteristiche del pezzo: A=acciaio, B=bronzo, G=ghisa, R=rigato, L=liscio, C= cerchiato, ret=retrocarica. Per esempio cannone da cm 16 G_R.C. voleva dire cannone di calibro 160 mm, con bocca da fuoco in ghisa, rigata e cerchiata.
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traino dei pezzi e dei cassoni. Il ministro incoraggiò pure la sperimentazione presso reparti del genio delle prime locomotive stradali a vapore, utilizzate per il trasporto di ammalati e di viveri. Il paragrafo dedicato agli armamenti non può essere concluso senza un accenno alle realizzazioni del Ricotti nel settore della fortificazione permanente. È già stata ricordata la costituzione nel 1862 della Commissione permanente per la difesa generale dello Stato, Commissione che lavorò sempre con esasperante lentezza a causa anche del mutare della capitale e dei confini e, quindi, della situazione strategica, e per le apposte opinioni di quelli che tutto volevano fortificare, per offrire in qualunque evenienza un perno di manovra o un rifugio sicuro all'esercito di campagna, e di quelli che ritenevano più sicuro presidio per la difesa generale dello Stato un forte esercito, accettando più economici e più ridotti sbarramenti fortificati soltanto sulle più probabili vie di penetrazione, quanto bastava cioè per trattenere il nemico in prossimità della frontiera e consentire la radunata dell'esercito in una cornice di sicurezza. Nell'agosto 1871 la Commissione finalmente presentò il Piano generale di difesa dell'Italia, accompagnato da una Relazione esplicativa. In effetti il Piano ne comprendeva due, uno più esteso che prevedeva 97 località da fortificare in vario modo, con una spesa complessiva di 306.000.000 di lire, ed uno più ridotto nel quale i punti da fortificare erano 77 con una spesa di 146.000.000 di lire. Entrambi i piani prevedevano una difesa "sistematica" nell'Italia continentale ed un sistema di difesa "a capisaldo" nell'Italia peninsulare. Tre linee di difesa successive avrebbero protetto il nord: la regione alpina, la linea del Po ed una linea difensiva incernierata sul campo trincerato di Bologna; quanto all'Italia peninsulare sarebbero state fortificate le piazze di Ancona, Livorno, Civitavecchia, Gaeta e Lucera e costruiti due campi trincerati a Roma ed a Capua. Il dibattito suscitato dal piano fu ampio e prolungato, ricco di interventi alle Camere, di articoli e di saggi, pubblicati soprattutto sulla Rivista Militare e sulla Nuova Antologia, ed anche di ponderosi volumi, come quello dell'Ulloa che aveva un titolo molto espressivo, I due sistemi di difesa presentati alla Camera. Non è possibile, per gli obiettivi limiti di spazio concessi all'argomento, esporre o soltanto riassumere i motivi che facevano ritenere necessario ad alcuni, tanto per esemplificare, fortificare Piacenza mentre altri ritenevano indispensabile costruire un campo trincerato a Bologna (7), sarà sufficiente ricordare che l'enormità delle spese necessarie per l'esecuzione delle opere proposte ne impedì la realizzazione, con beneficio delle finanze statali e del paesaggio. Le sole realizzazionj concrete del periodo ricottiano furono le opere di fortificazione di La Spezia, a difesa della base principale della flotta, ed (7) Cfr. sull'argomento quanto scriuo dal Minniti nell'op.cit.
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alcune opere di sbarramento sulle Alpi orientali e su quelle occidentali, con una spesa totale che non superò, compreso il costo delle artiglierie necessarie al loro armamento, i 16 milioni. Come ha messo in luce l'llari <8>, il Ricotti, uomo della Destra storica, fu sempre fedele al principio del bilancio statale in pareggio e, di conseguenza, non si avventurò mai a programmare lavori che comportassero spese non compatibili con una corretta gestione aziendale dello Stato, confortato in questa visione dal sincero convincimento che l'Italia non avesse più nulla da reclamare con la forza e che l'esercito fosse sufficiente a trattenere Francia e Austria da qualsiasi proposito offensivo. 5. La propensione del Ricotti ad amministrare l'esercito con parsimoniosa oculatezza non gli fece trascurare le reali necessità del personale. Nel gennaio del 1872 presentò al Parlamento un progetto di legge "sugli stipendi e assegni fissi degli ufficiali delle truppe e degli impiegati dipendenti dall 'amministrazione della Guerra" nel quale proponeva, tra l'altro, scatti di stipendio ogni sei anni perchè "nella carriera militare il passaggio da grado a grado è affare lento e tanto più sarà per molti anni nell'esercito nostro, ove nei gradi superiori hannovi uffiziali di buona età. Perciò l'aumento sessennale mi parrebbe non solo equo, ma incoraggiante". Il progetto di legge fu duramente contrastato alla Camera e, nonostante l'impegno del Ricotti, fu approvato solo nel marzo 1874. La delusione dei Quadri fu grande in quanto la legge prevedeva aumenti tanto tenui da non coprire nemmeno l'aumento del costo della vita, che negli ultimi anni era stato dell' 85%, anche se recepiva la proposta dello scatto sessennale, pari a 400 lire annue per il colonnello, 300 per il tenente colonnello ed il maggiore, 180 per il capitano e 120 per il subalterno. Al fine di consentire il raffronto con le paghe fissate nel 1861 si riporta la tabella con gli stipendi degli ufficiali generali e di quelli di fanteria. Fu, infatti, con questa legge che gli emolumenti degli ufficiali furono chiamati stipendio e non più paga. Altro provvedimento voluto dal Ricotti a favore dei Quadri fu la corresponsione di una particolare indennità, detta di alloggio, per gli ufficiali chiamati a prestar servizio in alcune città dove i canoni di affitto erano molto alti. La legge, del 18 maggio 1874, stabilì un'indennità annua di lire 300 per gli ufficiali superiori ed inferiori di stanza a Roma e di lire 120 per i soli ufficiali subalterni di stanza a Torino, Milano, Firenze, Napoli e Palermo. Il provvedimento che più testimonia l'interesse del Ricotti per il personale fu, comunque, l'adozione del Regolamento di disciplina , pubblicato nel 1872. (8) V. Illari, Storia del servizio militare in Italia. voi. II La nazione armata (1871-1918), Centro Militare di Studi Strategici, Roma 1990, pag. 93 e seguenti.
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STIPENDIO
GRADO
INDENNITA' CAVALLI ANNUA
ANNUO
MENSILE
Generale d'esercito
15.000
1.250
600
Tenente generale
12.000
1.000
600
Maggiore generale
9.000
750
600
Colonnello
6.600
550
180
Tenente Colonnello
5.000
416,60
180
Maggiore
4.000
333,30
180
Capitano
2.800
233,30
-
Tenente
2.000
166,60
-
Sottotenente
1.800
150
-
Tale regolamento, compilato da Tancredi Fogliani (9), rinnovò profondamente nello spirito e nella forma la vita disciplinare di tutto l'esercito, che ebbe da quel momento un unico "codice d'onore". Prima di allora, infatti, la vita disciplinare era regolata dalle norme contenute nelle singole pubblicazioni d'anna. Il regolamento del Fogliani, rimasto praticamente in vigore per circa un secolo può essere considerato un capolavoro di elevazione morale, di sapienza giuridica, di esperienza militare. L'averlo approvato costituisce non piccolo merito per l'austero ma non arido generale Ricotti. 6. Non sarebbe possibile chiudere questo rapido compendio dell'attività riformatrice del Ricotti senza sottolineare l'apporto costante e convinto da lui offerto alla preparazione dei Quadri e delle unità. Nel J873 vide la luce l'Istruzione per la formazione di guerra e per la mobilitazione dell'esercito, contenente "tutte le disposizioni occorrenti per il passaggio dal piede di pace a quello di guerra, di maniera che, quando accadesse di dover mettere in campo l'esercito, o parte di esso, tutte le autorità militari sappiano quanto a ciascuno spetta di fare, i vari servizi siano prontamente ordinati e la mobilitazione possa effettuarsi in breve tempo e con la massima regolarità". Si è voluto riportare questo piccolo saggio della prosa ricottiana perché lo riteniamo esemplare, nella sua stringatezza, per un'immediata comprensione (9) Tancredi Fogliani (]829 - 1910). Volontario nelle guerre del 1848 e del 1859, fu promosso sottotenente di fanteria nel l 860. Insegnante nel collegio militare di Parma e nella Scuola di fanteria di Modena. Prese pane alla 3• guerra d'indipendenza. Lasciato il servizio con il grado di maggiore, diresse la Rivista Militare nel biennio 1886 - 1888. Ritornato a Modena fu preside del liceo San Carlo per lunghi anni. Pubblicò diverse opere di storia e geografia.
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degli scopi e del significato della pubblicazione. E analoga concisione, che non poteva non essere il frutto di radicati e lineari convincimenti, il Ricotti dimostrò nella stesura della regolamentazione tattica. Per quanto riguarda questo tipo di regolamentazione è da rimarcare che il Ricotti, su altre materie tanto preciso e perentorio, quì dimostrò un atteggiamento di grande apertura concettuale, dando spazio all'iniziativa ed alla libertà di azione dei comandanti, interrompendo una tradizione dottrinale molto vincolante, addirittura precettistica. Come ha osservato il generale Stefani OO), la prima rottura con il passato il Ricotti la operò quando, nella pubblicazione Istruzione sul servizio di sicurezza delle truppe in campagna, precisò che la forza, la composizione e le distanze tra i vari elementi dei dispositivi di sicurezza e tra questi ed il grosso delle forze protette, così in marcia come in sosta ed in combattimento, dovessero essere determinate, dalla brigata di fanteria in su, "secondo l'eventualità, dal criterio di chi comanda" e non dal regolamento, in quanto "sopra sì complicato soggetto non è fattibile dar regole per ogni caso, bensì solo stabilire alcuni principi, particolarmente riguardo alla forma, all'ordinamento ed all ' insieme del sistema". A proposito di tale pubblicazione va rilevato come per la prima volta al dispositivo di sicurezza, in particolare all'avanguardia, non veniva più attribuito solo il compito di protezione materiale del grosso, ma di elemento fondamentale ed attivo della successiva intera manovra dell'unità che lo aveva distaccato. Le caratteristiche di elasticità e di duttilità della regolamentazione d'impiego trovarono conferma anche nelle Norme e prescrizioni generali per l'ammaestramento tattico delle truppe nelle quali il Ricotti scrisse: "La presente istruzione piuttosto che il carattere di prescrizione ha quello di una guida all'ammaestramento tallico della truppa; vuol però essere seguita quanto al reparto dell'istruzione e quanto al metodo, ed osservata in quei dettami obbligatori che per tali si riconoscono facilmente dal testo e dalla natura stessa dell'oggetto loro". Concetti e criteri ripetuti nell'Istruzione per l'ammaestramento tattico delle truppe di fanteria e nell' Istruzione per l'ammaestramento
tattico della cavalleria. Tali pubblicazioni, che non avevano precedenti, furono creazione del Ricotti che ne avvertì la necessità sembrandogli, a ragione, insufficienti i regolamenti di esercizio e di evoluzioni alla formazione del combattente chiamato ad operare sul nuovo campo di battaglia, dove il combattimento si articolava in una successione di episodi nei quali, rispetto alla regolarità ed automaticità, acquistava preminenza la razionalità degli atti delle unità minori e dei singoli individui. A tal fine, oltre che nella tecnica d'impiego regolamentata nelle pubblicazioni sugli esercizi e sulle evoluzioni delle varie armi, occorreva addestrare il soldato e le unità mediante esercitazioni che ne esaltassero la personalità e
(10) F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti de/l'esercito italiano, voi. I, USSME, Roma 1984, pag. 365 e seguenti.
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ne responsabilizzassero il comportamento. "Oggetto dell'ammaestramento tattico è di rendere la truppa atta alla guerra, ossia: a marciare con ordine e celerità, ed a resistere alle lunghe e ripetute marce; a guardarsi dalle sorprese del nemico nelle marce, nelle fermate e nel combattimento, ed a saperne esplorare le mosse e le disposizioni; a adoperare le sue armi con destrezza ed opportunità; a eseguire con ordine calma e scioltezza le necessarie evoluzioni; a mettere e a levare il campo; a combattere traendo il maggior vantaggio dal terreno, dalle proprie armi e dalle disposizioni e mosse dell'avversario cioé a combattere con abilità". Le pubblicazioni ebbero, dunque, carattere addestrativo, ma anche d'impiego, stante l'abbondanza di prescrizioni di tattica minuta in esse contenute. Esse costituirono l'anello di raccordo tra i regolamenti d'istruzione e di servizio interno delle varie armi e segnarono un momento importante dell'evoluzione della tecnica d'impiego e della tecnica di addestramento. Nel quadro dello sviluppo della cultura professionale si debbono al Ricotti le norme definitive per il funzionamento della Scuola di Guerra, il supplemento di cronaca militare estera allegato ad ogni numero della Rivista Miliare, l'istituzione di corsi di aggiornamento per gli ufficiali in promozione, la costituzione per gli allievi sottufficiali di appositi reparti di istruzione nei quali l'addestramento teorico e pratico era sviluppato in profondità. Il Ricotti curò molto anche le esercitazioni sul terreno, dispose infatti lo svolgimento di grandi manovre con la partecipazione di interi corpi d'armata ed allungò la durata dei campi d'arma per neutralizare la tendenza dei comandi a fossilizzarsi nelle manovre di piazza d'armi, ripetitive e poco rispondenti alla realtà. 7. Il 18 marzo 1876 il ministero Minghetti, battuto alla Camera su un progetto di legge che, in sostanza, dava l'avvio alla statalizzazione delle linee ferroviarie, allora in gran parte di proprietà privata, dette le dimissioni, Cesare Ricotti Magnani lasciò così il dicastero della Guerra che aveva retto per quasi sei anni con mano ferma e con indiscusso prestigio. Il bilancio della sua gestione, appare oggi addirittura eccezionale, e l'aggettivo non sembri eccessivo o encomiastico. Pur costretto da una situazione politica e finanziaria a dir poco infelice, il Ricotti riuscì ad ammodernare, a potenziare e soprattutto a consolidare un esercito demoralizzato dalla sconfitta e scosso dalle polemiche. L'ordinamento da lui dato all'esercito, solido ed al tempo stesso flessibile, non fu sostanzialmente più mutato fino alla prima guerra mondiale, nonostante l'avvicendamento al ministero della Guerra di ministri fautori di una linea politica opposta e ben decisi a realizzarla, a cominciare dal generale Luigi Mezzacapo, immediato successore del Ricotti.
VI. L'AVVENTO DELLA SINISTRA 1. Nel marzo 1876 divenne ministro della Guerra il napoletano Luigi Mezzacapo, primo generale non piemontese, se si eccettua il Fanti, ad occupare l'alta carica e per di più nell'ambito del primo ministero espresso dalla Sinistra. La nomina, avvenuta con il pieno consenso della corona, destò un certo scalpore, anche perché il nuovo ministro, facendo subito mostra di voler tutto innovare, si scelse come segretario generale del ministero un ufficiale di provenienza meridionale, il colonnello, subito promosso maggior generale, Domenico Primerano 0). Per la verità il Mezzacapo intendeva soltanto circondarsi di collaboratori capaci e rimasti estranei all'attività riformatrice del Ricotti, tanto che a capo dell' importantissima divisione di Stato Maggiore del ministero mise il savoiardo Luigi Pelloux (2), ma l'impressione generale fu quella, come argutamente disse un bello spirito dell'epoca, di una "sollevazione della Nunziatella contro l'Accademia militare di Torino". La nomina del Mezzacapo, noto fino a quel momento per i suoi scritti e per le sue qualità culturali più che per una chiaramente dimostrata perizia militare, creò nel Parlamento e nell'esercito un clima di aspettativa che il nuovo ministro soddisfece molto presto, presentando alle Camere un ventaglio di proposte molto ampio. Ed a questo punto della narrazione è opportuna una chiarificazione sul significato e sugli effetti dell'attività ministeriale del generale napoletano. Per quasi un secolo la storiografia militare ha presentato lo sviluppo dell'esercito negli ultimi decenni dell'Ottocento come un costante completamento e perfezionamento dell'ordinamento Ricotti. Alcuni studiosi <3> recentemente hanno però messo in discussione la tradizionale interpretazione "continuista", ponendo in maggior rilievo le idee innovatrici della Sinistra sullo scopo e sull'impiego dell'esercito. Le due interpretazioni possono coesistere, perché entrambe contengono una parte di verità. Se si pone l'accento sui presupposti stratef;ici di indirizzo, allora la cesu( l) Vds. di Domenico Primerano il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume. (2) Vds. di Luigi Pelloux il breve profilo biografico nella parte II di questo volume. (3) Vds. F. Venturini, Militari e politici ne/l'Italia umbertina, in "Storia Contemporanea" n. 2/1982: F. Minniti, Preparazione ed iniziativa. Il programma di Luigi Mezzacapo ( 1878-1881). Bonacci, Roma 1984; V. Ilari, Storia del servizio militare in Italia, voi. 11, La nazione armata (1871 -1918), Centro Militare di Studi Strategici, Roma 1990, pagg. 91 e seguenti.
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ra tra il pensiero del Ricotti e quello del Mezzacapo è netta ed indiscutibile. Mentre per il primo, infatti, l'esercito doveva soprattutto salvaguardare l' indipendenza del Paese, per il secondo l'esercito doveva essere lo strumento per attuare una dinamica politica estera. In altre parole i due ministri furono "gli interpreti di due concezioni radicalmente diverse, ed in certi punti decisivi addirittura opposte, del ruolo dell'esercito nella grande politica e, di conseguenza, della strategia e del modello di esercito. La prima e più fondamentale differenza riguarda l'orientamento strategico. Ricotti restò fedele alla tradizione difensivista che continuava a dominare sostanzialmente in Francia, nonostante i mutamenti intervenuti negli anni Ottanta di fronte al riarmo tedesco, ed in questo continuava la tradizione instaurata da La Marmora dopo il 1848. Mezzacapo e la scuola prussiana italiana furono invece decisamente offensivisti sostenendo la necessità di puntare sull'aumento quantitativo delle forze e sulla rapida mobilitazione per poter prendere l'iniziativa nei confronti. dell'avversario e giungere ad una vittoria rapida e decisiva" (4). Se, invece, si pone l'accento sulle caratteristiche sostanziali dello strumento, allora è indiscutibile che l'esercito non recepì il "messaggio" del Mezzacapo e che, strutturato su 7 Grandi Comandi o su IO o su 12 corpi d' armata, rimase sempre quello creato dal Fanti e riordinato dal Ricotti, un organismo forse poco brillante, ma solido, alieno da avventure coloniali o imperialiste, certamente disciplinato e fedele alle istituzioni. Gli eserciti, quello italiano come quello tedesco o francese o spagnolo, sono per natura poco inclini ai cambiamenti, e questa naturale ritrosia ad abbandonare consuetudini e procedimenti consolidati non vale solo per gli armamenti e per le tattiche d'impiego. Per trasformare la mentalità di un esercito ci vuole ben altro, come insegna del resto l'esperienza, che un vivace dibattito parlamentare o qualche brillante articolo di stampa. Per imprimere ad un esercito nuovi indirizzi e nuove aspirazioni ci vuole molto tempo - almeno il tempo occorrente per rinnovare i Quadri inferiori e medi, il vero e più profondo tessuto connettivo di qualsiasi esercito - e le qualità carismatiche di un Napoleone o di un Kemal Atatiirk, e il Mezzacapo non disponeva del primo e tantomeno possedeva le seconde. Chiusa la lunga digressione, può riprendere l'esposizione delle leggi e dei provvedimenti dovuti al Mezzacapo seguendo un ordine legato ai singoli settori più che al criterio cronologico. 2. Il 30 maggio 1876 il Mezzacapo ripresentò alla Camera il progetto del Ricotti per trasferire alla milizia territoriale le funzioni militari della Guardia Nazionale e questa volta la Camera approvò perchè "con la conquista del governo la Sinistra non ebbe più ragione di restare prigioniera dei propri miti, e lasciò liberi di agire e di governare gli uomini in cui aveva riposto la propria fiducia" (5). (4) V. Ilari , op. cit.. pag. 93. (5) V. [lari, op. cit., pag. I 32.
L'AVVENTO DELLA SINISTRA
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La milizia territoriale, costituita dalle 8 classi più anziane della I" e della
n• categoria (dal 32° al 39° anno di età) e da 20 classi di III' categoria, era dichiarata "parte integrante dell'esercito" e destinata a "concorrere con esso, come ultima riserva, alla difesa interna dello Stato". Il Mezzacapo poi predispose un "testo unico" sulle leggi di reclutamento, corredato di un regolamento per l'applicazione, e Io fece approvare con regio decreto. E con questo provvedimento, di completamento dell'ordinamento Ricotti, terminò agli occhi di molti la carica innovativa del ministro Mezzacapo, almeno nel settore del reclutamento, considerato il settore più "politico" di tutta l'amministrazione della Guerra. In realtà, la profonda differenza del pensiero dei due ministri stava nel come utiliz;zare le riserve. I l Ricotti riteneva sufficiente disporre di riserve anche mediocremente addestrate, in quanto esse dovevano servire a completare l'esercito di prima linea, da non dilatare oltre i 300.000 uomini, ed a formare quello di seconda linea da impiegare all'interno del Paese, in armonia con le sue ben note concezioni "difensiviste". Il Mezzacapo, invece, riteneva indispensabile un esercito di prima linea di almeno 400.000 uomini, in prospettiva ne riteneva necessari peraltro ben 600.000, e perciò le riserve, che avrebbero dovuto duplicare l'esercito permanente, dovevano aver ricevuto un addestramento completo. Di qui la rinuncia categoria per due mesi, tempo assolutamendel Mezzacapo ad addestrare la te insufficiente ad un serio addestramento, per concentrare le risorse finanziarie e mantenere sotto le armi per tutti i 3 anni di ferma anche quella parte del contingente che il Ricotti congedava dopo 24 mesi. Coerentemente al suo convincimento strategico offensivista, il Mezzacapo intendeva aumentare la forza bilanciata. Meno sensibile del suo predecessore alle esigenze del bilancio statale, egli era convinto, come molti esponenti della Sinistra, che le esigenze militari dovessero costituire la priorità numero uno nella lunga lista delle necessità dello Stato. E che la politica della lesina attuata dalla Destra avesse avuto una negativa ripercussione sul credito internazionale dell 'ancor giovane regno non può essere messo in dubbio. Ha scritto, infatti, uno storico attento e perspicace come il Chabod: "Vittorioso pertanto, per fortuna della Nazione, l'indirizzo Sella, la riorganizzazione dell'esercito ed il riarmo ebbero insufficiente appoggio finanziario. E fu, ripetiamolo pure, una necessità: ma ciò non toglie che dal punto di vista militare l'Italia rimanesse ancor più indietro delle altre grandi potenze, e che da tale situazione di inferiorità troppo grande non ne venisse influenzata profondamente la sua politica estera, perchè era difficile giocar serrato nel gioco diplomatico quando non si aveva, alle spalle, la Home Fleet o la Guardia prussiana". Il Mezzacapo presentò al Parlamento precise richieste di finanziare: l'aumento della forza bilanciata a 215.000 uomini, l'addestramento della n• categoria per tutti i cinque mesi consentiti dalla legge, l' approvigionamento di altri 850.000 fucili Vetterly necessari per armare modernamente la milizia
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mobile e la milizia territoriale, provvedimento quest'ultimo di capitale importanza per poter affiancare la milizia all'esercito permanente. La Camera concesse in gran parte i fondi richiesti, anche se furono ridotti proprio gli stanziamenti necessari per l'approvvigionamento dei fucili. II Mezzacapo, efficacemente coadiuvato dal Primerano e dal Pelloux, curò molto anche l'addestramento delle truppe alle armi e la preparazione culturale e professionale dei Quadri continuando la prassi del suo predecessore di far svolgere durante la stagione estiva grandi esercitazioni a partiti contrapposti in varie regioni d'Italia. Queste esercitazioni servirono anche a far meglio conoscere a comandanti e gregari le possibilità difensive offerte dagli Appennini centro-meridionali, contribuendo a diffondere l'opinione che l'Italia potesse essere difesa anche dopo la perdita della pianura padana, opinione sempre ostica per la vecchia scuola piemontese. Nel settembre del 1876 il Mezzacapo presentò al Parlamento un progetto di legge riguardante la circoscrizione territoriale dell'esercito, progetto per molti versi innovativo, pur sempre riconducibile però ad un ampliamento di quanto esisteva. Il nuovo ordinamento, approvato dal Parlamento nel maggio successivo, modellava l'organizzazione territoriale di pace sull'organico dell'esercito mobilitato, in modo che al momento sempre critico della mobilitazione comandanti e comandi non dovessero cambiare funzioni e struttura. I sette Comandi Generali si trasformarono in dieci comandi di corpo d ' armata - dislocati a Torino, Piacenza, Milano, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Palermo - e le 16 divisioni territoriali divennero venti. Sempre al fine di accorciare i tempi necessari alla mobilitazione, i distretti militari furono aumentati ad 87 e messi alle dipendenze di un "comando superiore dei distretti", istituito presso ciascun comando di divisione. Con altro e successivo provvedimento il Mezzacapo articolò la milizia mobile in 120 battaglioni di fanteria ed in aliquote delle altre armi, in modo da poter costituire all'atto della mobilitazione IO divisioni da affiancare a quelle dell'esercito permanente. Anche nel settore delle fortificazioni il Mezzacapo intendeva operare con immediatezza, assillato dal pensiero che la flotta francese fosse in grado di sbarcare sul litorale laziale un forte corpo di spedizione, capace di conquistare rapidamente Roma con un duplice vantaggio strategico: far precipitare il Paese nel caos politico ed amministrativo per la perdita della capitale ed impedire il congiungimento delle truppe stanziate nelle province meridionali con quelle della valle del Po, essendo Roma il punto centrale delle comunicazioni ferroviarie tra il sud ed il nord. Nel maggio del 1877 iniziarono così i lavori per realizzare una serie di opere attorno a Roma, usufruendo di parte dei fondi stanziati nel 1875 dal Parlamento per fortificare i passi alpini. Fu deciso di racchiudere Roma in una cintura di quindici forti, costruiti a circa due km uno dall'altro, in modo da consentire alle truppe incaricate di difendere la città di manovrare appoggiandosi a robusti perni difensivi. Naturalmente oggi una soluzione di questo tipo fa sorridere, la difesa
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della capitale sarebbe stata meglio garantita con una buona rete stradale e ferroviaria in grado di consentire il tempestivo intervento delle forze necessarie a controbattere sul litorale stesso qualsiasi sbarco, ma le concenzioni operative di allora erano quelle, ed anche il colto ministro napoletano non brillava per qualità divinatorie. E così Roma fu rinserrata da una serie di forti - Braschi, Monte Mario, Valcanuta, Aurelia Vecchia, Traiani e Portuense sulla destra del Tevere; Grotta Perfetta, Capo di Bove, Casilino, Prenestino, Tiburtino, Antenne, Ostiense e Trionfale sulla sponda sinistra del fiume - con dispendio economico e con altre negative conseguenze per lo sviluppo urbanistico della capitale. Eppure all'epoca parlamentari e militari ritennero le fortificazioni di Roma un problema molto importante, addirittura prioritario per la difesa del Paese. Inutile dire che i lavori continuarono per anni, con un alternarsi di sospensioni e di riprese dovute al discontinuo flusso delle risorse finanziarie. Il carattere scostante ed altezzoso del Mezzacapo, di cui l'impietoso congedarnento di tredici anziani generali fu dimostrazione palese (6), e le continue richieste di fondi finirono per alienargli molte simpatie, anche tra i parlamentari della Sinistra. La posizione del ministro ricevette un altro scossone poi quando sall al trono Umberto I, meno entusiasta di Vittorio Emanuele II di un ministro della Guerra tanto caratterizzato sul piano politico. Ed allora il Mezzacapo ritenne opportuno offrire le dimissioni, subito accettate dal Depretis che desiderava soltanto una tranquilla amministrazione di routine. Ma, anche dimissionario, l'ostinato generale napoletano non rinunciò ad esercitare una forte influenza sulle decisioni di politica militare. 3. Dopo il Mezzacapo si succedettero al ministero della Guerra i generali: Bruzzo, dal 24 marzo al 17 ottobre 1878 <7); Bonelli, dal 20 ottobre al 19
(6) All'epoca non esistevano i limiti di età. li Mezzacapo rimediò a modo suo, congedando 13 anziani generali, IO dei quali piemontesi, comunicando il provvedimento prima alla stampa che a gli interessati. Tra i congedati Raffaele Cadoma e Petitti di Roreto. (7) Giovan Battista Bruzzo, nato a Genova il 15 agosto 1824, entrò nell'Accademia Militare di Torino nel 1835. Sottotenente del genio nel 1842, tenente l'anno successivo, partecipò alla l' guerra d'indipendenza. Capitano nel 1853 fu destinato alla Scuola Complementare di artiglieria quale insegnante. Con il grado di maggiore fu direttore degli studi ali' Accademia, colonnello nel 1866 comandò il genio del IV corpo durante la guerra, da maggior generale nel 1870 ebbe il comando del genio a Napoli e poi l'incarico di costruire il polverificio di Fossano. Tenente generale nel 1876, comandava da una anno la divisione militare di Roma quando fu chiamato a reggere il dicastero della Guerra il 29 luglio 1878. Dette le dimissioni il 23 ottobre dello stesso anno dopo il discorso del Presidente del Consiglio Cairoli che giudicava inproponibile lo scioglimento dei circoli Barsanti, dal nome del caporale condannato a morte nel 1870 per aver capeggiato un tentativo di rivolta. Successivamente comandò la divisione di Piacenza, diresse i lavori di fortificazione nei territori del III e del VII corpo d'armata, infine, nel 1886, fu nominato comandante del corpo d'armata di Torino. Nel I 892 fu collocato in posizione ausiliaria e nel 1895 a riposo. Era stato nominato senato. re nel 1878. Morì a Torino il 28 luglio 1900.
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STORIA 01:.LL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
dicembre 1878 <8>; Mazè de La Roche, dal 20 dicembre del 1878 al 14 luglio 1879 <9); Bonelli ancora dal 15 luglio 1879 al 13 luglio 1880; Milon, dal 27 luglio 1880 al 25 marzo 1881 <IO)_ Questi ministri, o per scarsa volontà di affrontare defatiganti dibattiti parlamentari o per la brevità del loro mandato o per l'esiguità dei fondi a disposizione,
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(8) Cesare Bonelli. nato a Torino il 3 gennaio 1821, uscl dall'Accademia Militare sottotenente nel 1841, tenente nel 1843 fu destinato alla S- batteria di aniglieria da battaglia di Venaria Reale, reparto d1 grande presug10. Medaglia d'argento al v.m. a Goito fu inviato presso il governo provvisorio di Milano per organizi.are l'artiglieria lombarda e fu promosso capilllllo. Maggiore nel I859, panecipò alla campagna delle Marche e dell'Umbria e, tenente colonnello, comandò l'aniglieria sarda a Capua. Ferito all'assedio di Gaeta, prese pane anche ali' assedio del fone di Messina. Promosso colonnello nel 1862 comandò vari reggimcnu di aniglieria fino al 1866, durante la guerra comandò l'artiglieria del I cocpo darmala del Durando. Maggior geoerale nel 1868, tenente generale nel 1877, comandava la divisione militare di Verona quando fu chiamato, il 24 ouobre 1878, a reggere il ministero della Guerra. Il Bonelli non apparteneva al Parlamento e, per di piìi, candidatosi in un collegio del Bergamasco, era rimasto sconfitto nel ballottaggio. Tre giorni dopo fu nonùnato senatore, ma il rimedio sembrò una sfida al Parlamento. Un mese dopo, comunque, il gabineuo Cairoti dette le dimissioni ed il Bonelli ritornò al suo comando a Verona. Ma 11 Cairoli, ridivenuto Presidente del Consiglio il 14 luglio I 879 lo volle nuovamente al dicastero della Guerra, affidandogli anche l'interim della Marina. Il 13 luglio del 1880 il Bonelli abbandonava il ministero, a causa degli insufficienti stanziamenti di bilancio e dell'osùlità del Depretis, uomo forte del gabinetto. Ritornato ancora al comando della divisione d1 Verona., si distinse nella riorganizzazione dei servizi della città durante l'mondaz1one dell'Adige del 1882. Nel 1885 ebbe il comando del corpo d'armata di Bari, incarico che lasciò nel novembre del 1889 quando fu collocato in ausiliaria. Si spense ad Orvieto il I O ottobre 1904. 9) Gustavo Mazè de La Roche nacque a Torino il 27 luglio I 824. Entrato nel 1834 nel!' Accademia Militare, fu promosso sottotenente di artiglieria nel 1843 e l'anno successivo tenente. Prese pane alle campagne del 1848 e 1849. distinguendosi a Governolo cd a Mortara meritando due ricompense al v.m. e la promozione a capitano. Prese pane alla spedizione di Crimea, promosso maggiore a scelta partecipò alla guerra del 1859 al comando di un battaglione di fanteria. Promosso tenente colonello prese pane alla spedizione nelle Marche e nell'Umbria ed all'assedio d1 Messina. Colonnello fu impiegato nella repressione del brigantaggio nel Molise, dove il suo reggimento canurò lo spagnolo Josè Borjes. Promosso maggior generale nel 1863. comandò una bngata del corpo d'armata Cialdini durante la guerra del 1866 e, successivamente, la divisione militare di Treviso e la 12' divisione del corpo di spedizione di Cadoma nel 1870. Tenente generale nel 1871. dopo aver ricoperto svariati incarichi era da due anni comandante della divisione militare di Torino quando fu nominato senatore e chiamato al ministero della Guerra. Vi rimase otto mesi, applicandosi con determinazione e con buon senso ad arnnùnistrarc l'esercito. Fu lui a disporre che l'esercito si dovesse ufficialmente chiamare regio, aggettivo che era stato conservato per la marina senza alcun valido motivo che potesse giustificare la disparità. Nel giugno del 1881 ebbe il comando del corpo d'armata di Bari e, nell'ottobre, di quello di Torino. La mattina del 29 mano 1886, durante la solita passeggiata a cavallo, fu sbalzato di sella e t.ravolto dall'animale imbizzarito. (10) Bernardino Milon. nato a Tennini lmerese il 4 settembre 1829, usci dalla Nunziatella alfiere di artiglieria nel 1849. Capitano nel 1856, nel 1860 passò nell'esercito italiano, entrando nel corpo di Stato Maggiore nel 1863. Colonnello nel 1870, dopo aver comandato il 15° e poi il 12° fanteria., fu promosso maggior generale nel 1877 e nominato comandante in 2' del corpo di Stato Maggiore. Segretario generale del ministero della Guerra con i ministri Bruzzo, Bonelli e Mazè de La Roche, il 13 luglio 1880 divenne a sua volta ministro e fu eletto deputato nel collegio di Spoleto nell'agosto successivo. Ma la sua attività di governo non potè esplicarsi a lungo, il 20 marzo 1881, infatti, fu vinto da un male implacabile.
L'AVVENTO DELLA SINISTRA
113
si limitarono a completare per quanto possibile l'ordinamento Mezzacapo. In questa cornice di sostanziale continuità si collocò l'azione del ministro Bruuo per sostenere il piano delle fortificazioni destinate a dare sicurezza alle operazioni di mobilitazione e di radunata, e quella del Bonelli per articolare la milizia territoriale in 300 battaglioni di fanteria e 100 compagnie da fortezza. Più estemporanea l'iniziativa del Mazè de La Roche quando stabili, con decreto ministeriale, che alla denominazione esercito italiano dovesse precedere l'aggettivo qualificativo regio. In tempi recenti molto si è discusso sul motivo recondito che avrebbe suggerito il provvedimento. Molto probabilmente si trattò soltanto di uniformare l'esercito alla marina, da sempre ufficialmente denominata regia marina. La continuità della politica militare fu favorita, inoltre, da un fatto tecnico. A quel tempo non esistevano ancora i sottosegretari di Stato, il naturale sostituto del ministro era, pertanto, il segretario generale del ministero, funzionario dello Stato e, quindi, svincolato dalle vicissitudini parlamentari cd in grado perciò di rimanere in carica anche se il gabinetto rassegnava le dimissioni. E fu proprio il segretario generale del ministero ad assicurare una linea di comportamento dell'amministrazione militare costante e coerente malgrado la giostra dei ministri. E quando il Milon, da anni segretario generale del ministero, fu nominato ministro, gli successe nell'importante incarico il Pelloux che, a capo della divisione di Stato Maggiore del ministero fin dal 1876, era di fatto proprio il naturale sostituto del segretario. La linea politica della Sinistra nella gestione dell'esercito non si interruppe, quindi, a causa delle dimissioni del Mezzacapo, che, dal canto suo, non si peritò di esercitare attraverso la stampa una continua azione di stimolo e di controllo, anche con l'aiuto di alcuni ufficiali, assertori convinti delle sue idee e di facile penna, come il Baratieri (I I) ed il Marselli. Il decennio che va dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta fu caratterizzato da un grande rigoglio della pubblicistica di carattere militare. Uomini politici e militari di professione usarono la stampa quotidiana e periodica, quando non scrissero interi volumi, per pubblicizzare le loro idee sui vari problemi, tanto che il ministro Ferrero (12) nel 1884 ritenne di dover ridurre l'ampiezza del dibattito proibendo agli ufficiali di scrivere su argomenti a loro conoscenza solo per motivi di servizio. Prendendo spun to dalla pubblicazione di un saggio del colonnello austriaco von Haymerle, ltalicae res, nel quale si ipotizzava una possibile guerra dell'Italia per annettere i territori austriaci di lingua italiana, il Mezzacapo scrisse nell'autunno del 1879, sulle pagine della Nuova Antologia, due famosi articoli, Quid faciendum? e Siamo pratici, nei quali esponeva con chiarezza le idee politiche sue e di quella parte della Sinistra che si stava rag(11) Vds. di Oreste Baratieri il breve profi lo biografico nella Il parte di questo volume. ( 12) Vds. di Emilio Ferrero il breve profilo biografico nella Il parte di questo volume.
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
gruppando attorno al Crispi. La forza è l'unico fondamento della politica internazionale, e proprio a causa della nostra debolezza non godiamo di alcuna considerazione e siamo isolati, argomentava l'ex ministro, occorre perci6 approntare con urgenza un esercito numeroso e valido, per allearci con la Francia e con la Russia o per aderire al blocco Germania-Austria. L'isolamento perchè deboli non può rappresentare una soluzione definitiva. Ai primi due articoli il Mezzacapo ne fece seguire poi un terzo, Armi e politica, mentre il Marselli nel luglio del 1881 contribuiva a tener vivo il problema con due vigorosi articoli, L'esercito italiano e La politica europea, pubblicati anch'essi sulla Nuova Antologia, come altri due saggi molto eloquenti del Baratieri, La questione della ferma in Italia e Le nuove leggi militari in Italia. Dal canto suo il Corsi, questa volta sulle pagine della Rivista Militare, scriveva che l'esercito "rappresenta la potenza dello Stato agli occhi della diplomazia che fin d'ora non vuole saperne di sostituire a quel peso, così comodo e preciso, della bilancia internazionale, altri elementi di ponderazione, come sarebbero la popolazione e la ricchezza degli stati". Il Marselli fu ancora più esplicito, affermando che il valore di una nostra alleanza sarebbe stato misurato dalla nostra determinazione "a spingere oltre le Alpi una forte armata italiana la quale possa nel minimo tempo consentito dagli spazi, concorrere alle battaglie in cui si decideranno i destini dell'Europa". La frustrazione italiana per il deludente risultato del Congresso di Berlino, l'occupazione della Tunisia da parte della Francia, l'estensione del dominio austriaco alla Bosnia-Erzegovina furono tutti fattori che contribuirono a far credere imminente una guerra europea o, anche da parte degli uomini di stato più equilibrati, a far ritenere che l'Italia non potesse sopravvivere senza entrare a far parte di una qualche alleanza, alla quale avrebbe portato "in dote" un forte esercito. Sintomo eloquente di questo stato d'animo fu la sollecita approvazione parlamentare di un consistente programma di riarmo. Già il Mazè de La Roche aveva presentato all'inizio del 1879 alcuni disegni di legge per la realizzazione di provvedimenti ritenuti urgenti: costruzione di fucili e moschetti tipo Vetterly, di nuovi materiali d'artiglieria, di infrastrutture e di fortificazioni. La spesa straordinaria avrebbe dovuto comportare uno stanziamento di circa 89 milioni, ripartiti in quattro successivi esercizi finanziari. Il Parlamento però aveva concesso soltanto un credito di 9.600.000 lire, da destinare all'approvvigionamento del materiale Vetterly. Nel febbraio dell'anno successivo il ministro Bonelli ripresentò le stesse esigenze, da soddisfare in cinque anni, e questa volta il programma diventò legge dello Stato. La spesa straordinaria prevedeva di impiegare 11.520.000 lire per la costruzione di fucili e moschetti Vetterly, 1.500.000 lire per il completamento della fabbrica d'armi di Terni, 22.740.000 lire per la costruzione di artiglierie
L' AVVENTO OEU..A SINISTRA
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da campagna, da fortezza e da costa, 4.010.000 lire per l'accantonamento di materiali di mobilitazione, 25.800.000 lire per le fortificazioni di Roma, delle coste e dei forti di sbarramento dal Roja al Piave. I crediti concessi furono indubbiamente notevoli, destinati però a molte e diverse esigenze contribuirono solo in misura modesta, come ha osservato il Gallinari <13>, all'aumento complessivo dell'efficienza dell'esercito. Quando non è possibile soddisfare tutte le esigenze è buona regola concentrare le risorse disponibili su pochi obiettivi determinanti, non sempre però chi ha il potere di concedere i fondi possiede anche la capacità di individuare quelle essenziali tra le tante richieste, naturalmente turte corredate degli indispensabili e favorevoli pareri degli addetti ai lavori. 4. Il nuovo ministro della Guerra Emilio Ferrero, succeduto al Milon improvvisamente scomparso nel marzo 1881, iniziò la sua gestione in un momento del tutto particolare. All'interno i primi moti sociali e le prime crisi economiche causavano non poche preoccupazioni ad una classe dirigente che, raggiunta l'unità nazionale, non sapeva in quale direzione incanalare le deboli, ma pur esistenti, energie del Paese. Lo stesso prestjgio della monarchia era scosso e nel Parlamento le istanze radicali si facevano sentire con sempre maggiore intensità. Il quadro internazionale non era più rassicurante. A causa della "questione romana" l'Italia aveva perso l'amicizia della Francia ed era quindi rimasta isolata nel contesto europeo. Gli interessi economici e l'affinità politica spingevano il governo italiano a guardare con interesse ad una alleanza con la Germania di Bismarck, tuttavia "la strada di Berlino passava per Vienna" nel senso che se l'Italia voleva l'appoggio tedesco doveva rinunciare alle aspirazioni irredentistiche a danno dell'Austria. La decisione venne presa in seguito all'umiliazione subita con la costituzione, nel maggio del 1881, del protettorato francese sulla Tunisia, paese nel quale gli Italiani esercitavano da tempo una notevole attività e dove avevano un'antica, numerosa colonia. In settembre il governo italiano fece sapere alle Potenze Centrali di essere pronto ad iniziare le trattative ed in ottobre Umberto I si recò a Vienna, sanzionando l'abbandono della politica irredentista. n trattato costitutivo della Triplice Alleanza fu finnato il 20 maggio I 882; esso era strettamente difensivo, in quanto prevedeva l'appoggio delle due alleate all'Italia se essa fosse stata auaccata dalla Francia, l'appoggio italiano alla Germania in caso di aggressione francese, la reciproca neutralità se una delle tre parti fosse stata costretta a muovere guerra ad una grande potenza estranea all'alleanza. n trattato era vantaggioso per l'llalia, perchè la sottraeva all'isola-
(13) V. Gallinari. La politica militare della sinistra storica (1876·1887). in Memorie storico-mi/iu,ri 1979. USSME, Roma 190, pag. 76.
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mento, per la Gennania, che trovava un primo alleato contro la Francia, e per l'Austria-Ungheria, che si liberava dal rischio di combattere su due fronti in caso di guerra con la Russia. Il trattato, valido per cinque anni, non conteneva alcuna convenzione militare, l' unico accenno in proposito, all'articolo V, diceva che qualora ci fosse stato pericolo di guerra "le tre parti contraenti si sarebbero consultate per tempo sulle misure militari da prendere in vista di una eventuale cooperazione". Il Ferrero recepì subito il clima generale e diede inizio a grandi riforme nel settore dell'ordinamento e dell 'addestramento senza frapporre indugi. Tra i primi provvedimenti adottati, l'intensificazione dei richiami dal congedo per istruzione. Già nel corso deU'estate del 1881 furono richiamati, per quattro settimane, 67 .000 uomini delle classi 1851 e 1852 con i quali furono costituiti anche 4 reggimenti di milizia mobile che presero parte alle esercitazioni estive dell 'esercito permanente in Umbria con discreti risultati. Anche la percentuale dei non presentati si mantenne in limiti fisiologici. Nell 'autunno furono poi richiamati militari della m• categoria e costituiti, per la prima volta, reparti della milizia territoriale. La risposta dell'organizzazione militare a queste sollecitazioni fu buona, segno che le ricottiane Istruzioni per la formazione di guerra e per la mobilitazione dell'Esercito , sempre scrupolosamente aggiornate, erano valide. Vestiario ed equipaggiamenti furono però tratti dalle normali dotazioni dell'esercito permanente. In e ffetti l'accantonamento dei materialj occorrenti per armare ed equipaggiare le riserve non fu mai completato; ancora alla vigilia de lla l • guerra mondiale i magazzini di mobilitazione ri veleranno grosse lacune. Alla fine dell'anno il Ferrero presentò all'esame del Parlamento i disegni di legge per modificare l'ordinamento dell'esercito aumentandone le dimensioni da 10 a 12 corpi d'armata, in aderenza a quella politica di potenziamento dello strumento militare tenacemente perseguita dalla Sinistra. Il dibattito parlamentare fu assai animato e ricco di contenuti tecnici, anche per l' elevato numero di militari o ex militari presenti allora nel Parlamento. La maggioranza fu favorevole ed il progetto divenne legge, ma non mancarono gli oppositori, primo tra tutti per prestigio e per competenza l'ex ministro Ricotti . Il più concreto motivo di contrasto era di natura finanziaria, secondo gli oppositori il pur cospicuo aumento del bilancio della Guerra non sarebbe stato sufficiente a soddisfare l' incremento di forza reso necessario dalla costituzione delle nuove unità. Le disponibilità del ministro della Guerra registrarono, infatti , in quegli anni un sensibile incremento, mantenendosi in media attorno al 17% delle spese ed al 18% delle entrate statali.
117
L'AVVENTO DELLA SlNISTRA
BILANCIO DEL MINISTERO DELLA GUERRA ANNO
(
SPESE STRAORDINARIE (0 )
TOTALE(0 )
1876
164.622.000
21.504.000
186.126.000
1877
171.949.000
35.345.000
207.294.000
1878
208.165.000
170.8 14.000
37.350.000
1879
173.780.000
14.805.000
188.586.000
1880
191.613.000
19.862.000
211.475.000
1881
187 .205.000
23.726.000
210.932.000
1882
190.079.000
44.041.000
234.121.000
1883
199.330.000
56.931.000
256.262.000
1884 ( I0 sem) ( 00)
107.266.000
11.518.000
118.785.000
1884/1 885
206.650.000
47. 111.000
253. 761.000
1885/1886
209.884.000
43.205.000
253.089.000
1886/1887
217.602.000
5 1.644.000
269.247.000
0
u cifre sono arrotondate
)
00 (
SPESE ORDINARIE (0 )
)
A partire dal 1° luglio 1884 /'esercizio finanziario cominciò il / 0 luglio per rerminare il 30 giugno dell 'anno successi,·o
Contemporaneamente ali' approvazione della legge sull'ordinamento fu approvata anche la legge che modificava in parte quella sul reclutamento. La fenna per la cavalleria fu ridotta da 5 a 4 anni e fu prevista per le altre anni e corpi dell'esercito una ferma differenziata di 3 o 2 anni. La n• categoria venne, inoltre, suddivisa in due aliquote, una sola delle quali obbligata all'addestramento di base. L'entità del contingente di 1• categoria da congedare dopo 2 anni e di quello di rr• da sottoporre all'addestramento era fissata anno per anno. L'appartenenza alla I" o alla II" categoria continuò ad essere regolata dal sorteggio. Per quanto la maggioranza negasse che l' ampliamento dell'esercito fosse stato il "prezzo" pagato per l'alleanza con l'Austria e la Gennania, in quanto i progetti di legge erano stati presentati in Parlamento fin dall'autunno precedente, l'opposizione parlamentare continuò ostinatamente a considerare l'aumento da 10 a 12 dei corpi d'armata una conseguenza diretta della Triplice Alleanza, il che era sostanzialmente vero perchè, entrata nel novero delle grandi potenze proprio in virtù dell'alleanza appena conclusa, l'Italia doveva adeguarsi al nuovo ruolo anche e soprattutto sul piano militare. Con l'ordinamento Ferrero tutte le armi ed i corpi dell'esercito crebbero parallelamente, anche se la cavalleria e l'artiglieria non raggiunsero nel contesto generale le proporzioni generalmente considerate ottimali negli eserciti
118
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861. 1990)
delle altre grandi potenze. La fanteria fu articolata in 48 comandi di brigata e 96 reggimenti su 3 battaglioni di 4 compagnie. Le 8 nuove brigate furono chiamate Roma (79° e 80° reggimento fanteria), Torino (81 ° e 82°), Venezia (83° e 84°), Verona (85° e 86°), Friuli (87° e 88°), Salerno (89° e 90°), Basilicata (91 ° e 92°), Messina (93° e 94°). Il numero dei reggimenti bersaglieri fu portato a 12, ma per ciascun reggimento il numero dei battaglioni passò da 4 a 3, in effetti per i bersaglieri il nuovo ordinamento si tradusse in una contrazione del numero dei battaglioni da 40 a 36. Gli alpini furono, invece, molto aumentati ed ordinati in 6 reggimenti, ciascuno di 3 o 4 battaglioni. I reggimenti furono messi alle dipendenze dei corpi d'armata nel cui territorio erano stanziati. L'incremento del numero dei reparti rese impossibile il reclutamento completamente regionale e fu necessario attingere alle reclute delle regioni appenniniche per completare gli organici. La cavalleria ebbe due nuovi reggimenti il 21 °, Cavalleggeri di Padova, ed il 22°, Cavalleggeri di Catania. L'artiglieria da campagna fu ordinata su 12 reggimenti, ciascùno di IO batterie; le 8 batterie di artiglieria da montagna furono invece riunite in 2 brigate ed inserite in 2 dei 5 reggimenti di artiglieria da fortezza, così come le 8 batterie a cavallo in 2 reggimenti di campagna. Il genio fu articolato in 4 reggimenti: 2 zappatori, 1 pontieri ed misto, nel quale erano inserite le nuove compagnie telegrafisti. L'ordinamento Ferrero introdusse anche alcuni provvedimenti che migliorarono il prestigio degli ufficiali dei corpi logistici e, quindi , accrebbero l'importanza della branca logistica nell'esercito. La legge del 7 luglio 1882 previde il raggiungimento del grado di maggior generale per gli ufficiali commissari e quello di colonnello per gli ufficiali contabili. Per i veterinari e per i farmacisti il grado massimo rimase però quello di tenente colonnello. Altra innovazione importante del periodo fu l'istituzione di apposite scuole per gli ufficiali dei corpi logistici: la Scuola di applicazione di sanità militare per gli ufficiali del corpo sanitario, mentre quelli del corpo di commissariato dovevano frequentare il primo anno di corso alla Scuola Militare di Modena in comune con gli allievi ufficiali di fanteria e di cavalleria e ricevere solo nel secondo anno di corso le nozioni tecnico-amministrative specifiche del corpo di appartenenza, iter formativo mirato a consentire una maggior aderenza del Corpo di commissariato alle esigenze operative. Per gli ufficiali veterinari non fu prevista una scuola apposita, dopo la nomina a sottotenente per concorso tra i laureati in zooiatria, erano però inviati presso la Scuola normale di cavalleria di Pinerolo dove frequentavano un corso di veterinaria militare. Un altro riconoscimento quindi alla complessità ed alla delicatezza dei servizi logistici di campagna, che il regolamento del 1881 aveva ancora articolato per materia suddividendoli in: servizio di sanità, di commissariato, telegrafico, postale, trasporti, di tappa, veterinario, rifornimento materiali di artiglie-
L'AVVENTO DELLA SINISTRA
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ria, rifornimento materiale del genio. Anche l'ordinamento della milizia mobile fu completamente rivisto. Ad eccezione della cavalleria, la milizia mobile ebbe un ordinamento identico, ma dimezzato, a quello dell'esercito permanente, sufficiente a costituire 12 divisioni più unità di supporto tattico e logistico. Per la milizia territoriale l'ordinamento Ferrero stabilì la costituzione di 320 battaglioni di fanteria, 30 battaglioni alpini, 100 compagnie di artiglieria di fortezza, 30 compagnie del genio. La nuova circoscrizione territoriale dell'esercito, approvata dal Parlamento qualche tempo dopo, sancì l'articolazione dell'esercito in 12 corpi d'armata, dislocati in tutta la penisola in relazione alle grandi linee di comunicazione per facilitare la mobilitazione e la radunata. La distribuzione delle grandi unità fu la seguente: - I corpo d'armata a Torino (con divisioni a Torino e Novara); - II ad Alessandria (Alessandria e Cuneo ); - Ill a Milano (Milano e Brescia ); - IV a Piacenza (Piacenza e Genova); - V a Verona (Verona e Padova); - VI a Bologna (Bologna e Ravenna); - VII a Firenze (Firenze e Livorno); - VIII ad Ancona (Ancona e Chieti); - IX a Roma (Roma e Perugia); - X a Napoli (Napoli e Salerno); - XI a Bari (Bari e Catanzaro); - XII a Palermo (Palermo e Messina). Le funzioni amministrative e legislative furono accentrate a livello corpo d'armata, a ciascuno dei quali furono affiancate una direzione di sanità ed una direzione di commissariato, con le relative compagnie di sanità e di sussistenza. Gli altri corpi logistici ebbero un loro rappresentante nel comando del corpo d'armata. Anche i reparti non indivisionati, reggimenti alpini e bersaglieri, reggimenti di cavalleria, di artiglieria e del genio, furono messi alle dipendenze dei corpi d'annata. Alle divisioni furono riservate solo funzioni disciplinari ed attribuzioni di carattere presidiario. Qualche anno dopo fu costituita a Cagliari la 25" divisione, per la difesa dell'isola, divisione a volte autonoma a volte alle dipendenze del corpo d'armata di Roma, oscillazione destinata a divenire una costante dell'ordinamento militare italiano. 11 provvedimento più importante e che più incise sulla struttura dell'esercito, almeno nei tempi lunghi, fu, tra i tanti adottati dal ministro Ferrero, l'istituzione della carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito fin dal tempo di pace. L'esigenza era antica e avvertita da molto tempo, il Ricotti aveva ritenuto di soddisfarla istituendo, come si ricorderà, il Comitato di Stato Maggiore Generale, ma il ripiego si era dimostrato subito del tutto inadeguato.
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
Probabilmente il Ricotti, ministro certamente autorevole ma anche sicuramente autoritario, non volle crearsi un possibile antagonista, certo è che né il Ricotti né i suoi successori avvertirono la necessità di dare vita ad un organismo predesignato ad assumere in guerra le funzioni di comando supremo. I tempi erano però maturi, I' 11 novembre 1882 fu varata la legge istitutiva fin dal tempo di pace della carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito e, con scelta felice, a ricoprire l'incarico fu chiamato Enrico Cosenz. Da tale data, come ha rigorosamente puntualizzato il generale Stefani 0 4 ), il capo di Stato Maggiore dell'esercito assunse in proprio di fronte al Governo ed al Paese la responsabilità morale e tecnica della preparazione dell'esercito alla guerra; non assunse, invece, la responsabilità reale perchè questa in tutti i campi dell'attività politica, e perciò anche militare appartiene, negli Stati costituzionali parlamentari, solo al governo. li ministro Ferrero, proponente della legge, scrive ancora il generale Stefani, "compì dunque un atto di importanza storica per l'esercito e, al tempo stesso, un gesto di cosciente coraggio morale. Se da un lato egli era convinto dell'essenzialità dell ' innovazione, dall'altro era consapevole delle interconnessioni esistenti tra la carica di ministro della Guerra e quella di capo di Stato Maggiore dell'esercito e delle difficoltà obiettive esistenti circa i pericoli delle sovrapposizioni, delle invadenze e degli sconfinamenti di potere sempre possibili e dei non meno possibili conflitti di competenza, tanto più facili quanto più spiccate le personalità dei due uomini destinati a camminare in tandem. La scelta del generale Cosenza ricoprire per primo la nuova carica fu un fatto altamente positivo, pcrchè rese agevole l'avvio e misurato il rodaggio che, pur nell'incertezza del percorso, avvennero, infatti, senza gravi inconvenienti." La legge stabilì che il capo di Stato Maggiore, alle dipendenze del ministro, avesse in tempo di pace l'alta dirc,lione degli studi per la preparazione alla guerra ed esercitasse in guerra le attribuzioni previste per la sua carica nel Regolamento del servizio in guerra; avesse il comando del corpo di Stato Maggiore e le attribuzioni si riferissero ''Lanto al reclutamento, all'avanzamento ed alla dcstina.lione del personale, quanto all'indirizzo dei lavori"; avesse alle dipendenze la Scuola di Guerra "solo per quanto riguarda gli indirizzi da dare agli studi" e la brigata ferrovieri "per quanto riflette la parte tecnica del suo speciale servizio"; facesse parte di diritto di tutte le commissioni nominate e convocate dal governo per la consulenza sulle questioni militari; avanzasse al ministro della Guerra tutte le proposte che ritenesse opportune circa la formazione di guerra dell'esercito, la difesa dello Stato e gli studi per la programmazione della guerra; concretasse, d'accordo con il ministro, le norme generali per la mobilitazione ed i progetti di radunata "secondo le varie ipotesi". Naturalmente il trasferimento delle attribuzioni tecnico-operative e la separazione di esse da quelle tecnico-amministrative avvenne, dopo l'emanazione della legge, in modo graduale e lento ed in verità i ministri continuarono ( 14) F. Stefani, La storia della do/Irina e degli ordinamenti del/'esercito italia110, voi. I, USSME. Roma 1984. pagg. 31 Oe seguenti.
L. AVVENTO DELLA SINISTRA
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ad esercitare la guida reale dell'esercito pur cedendo, quasi inavvertitamente, non già il loro potere decisionale, ma la loro facoltà di intervento preventivo sulle questioni tecnico-operative, che finirono a poco a poco con il convergere esclusivamente sul capo di Stato Maggiore, il quale fu naturalmente indotto ad agire sempre più autonomamente. Il Ferrero si sforzò di ottenere i fondi necessari anche per completare la costruzione delle fortificazioni previste e per risolvere il problema delle nuove artiglìerie, che le industrie italiane non erano in grado di costruire. Nell'aprile 1882 il Parlamento approvò lo stanziamento di 55 milioni di lire per la costruzione di fortificazioni e di altri 32 milioni per dotarle delle bocche da fuoco necessarie. A quella data alla difesa periferica del Paese provvedevano 21 forti e punti fortificati nella cerchia alpina, dal colle di Nava ad Osoppo, e 10 piazze marittime di prima categoria (Genova, La Spezia, Messina e Venezia) e di seconda (Vado Ligure, l'Elba, Talamone, Civitavecchia, Gaeta ed Ancona). Nell'interno erano considerate piazze di primaria importanza Alessandria, Piacenza, Verona, Mantova, Bologna, Roma e, naturalmente, il fronte a terra delle 4 piazze marittime di prima categoria. Per quanto riguarda l'approvvigionamento delle artiglierie la situazione migliorò solo lentamente, soprattutto per i grossi calibri necessari all'armamento delle piazze marittime che dovevano essere acquistati all'estero. Altro provvedimento condotto a buon fine dal ministro Ferrere fu l'adeguamento degli stipendi, fortemente intaccati dal rincaro della vita. Con legge del 5 luglio 1882 furono infatti stabiliti "gli stipendi ed assegni fissi per gli ufficiali, per gli impiegati dipendenti dall'amministrazione della guerra, per gli uomini di truppa e per i cavalli del regio esercito". La nuova legge: prevedeva un unico stipendio per gli ufficiali dello stesso grado; manteneva lo scatto sessennale, pari ad un decimo dello stipendio base, per tutti gli ufficiali che percepissero uno stipendio annuale inferiore alle 7.000 lire; prevedeva una speciale indennità mensile come "compenso degli specifici servizi e dei maggiori oneri che in talune armi e corpi si richiedono"; disciplinava organicamente la razione di foraggio "dovute agli ufficiali in ragione solo alli cavalli che effettivamente posseggono" e l' indennjtà cavalli "che spella agli ufficiali cui sono assegnate le razioni di foraggio"; regolava minuziosamente le indennità di carica ed i vari soprassoldi <15), ma non risolveva · gli eternj problemj degli ufficiali inferiori, la grande maggioranza del corpo ufficiali, sempre costretti a prendere moglie solo se la futura consorte era apportatrice della "dote militare", di una rendita cioè per provvedere al proprio sostentamento. E questo in epoche che la storiografia di sinjstra definisce di "pingui" e "lauti" stanziamenti militari, che, oltretutto, sarebbero stati impiegati non per rinnovare e potenziare gli armamenti e le dotazioni ma per pagare il
( 15) Per maggiori particolari si veda il saggio di A. Bianchini, La retribuzione degli ufficiali dell'eserciro in un secolo di storia. in Memorie storico-militari, USSME, Roma 1981, pagg. 353 e seguenti.
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STORIA DELL'ESERCITO 1TALIANO (186 I • 1990)
personale. Per un opportuno confronto con gli stipendi del 1874 si riporta la tabella con gli stipendi degli ufficiali stabiliti dalla legge del 1882.
GRADO
STIPENDIO MENSILE
INDENNITÀ D'ARMA MENSILE Carabinieri
Cavalleria, Artiglieria, Genio
Generale d'esercito
1250
-
-
Tenente generale
1000
-
-
Maggiore generale
750
-
-
Colonnello
588
183,30
33,30
Tenente Colonnello
433
175,00
25,00
Maggiore
366
158,30
25,00
Capitano
266
125,00
25,00
Tenente
184
91,60
16,60
Sottotenente
150
66,60
16,60
Questa legge fu importante perchè prevedendo un unico stipendio per gli ufficiali dello stesso grado, eliminò quelle diversità di stipendio tra arma ed arma che, di fatto, comportavano anche un giudizio di validità e di importanza tra arma ed arma, a scapito dell'amalgama spirituale dell'esercito. Nel marzo 1884 il Ferrere presentò in Parlamento la richiesta di un finanziamento straordinario di 243 milioni, da ripartire in otto esercizi finanziari con stanziamenti decrescenti, in modo da risolvere in tempi abbastanza brevi i problemi più urgenti. L'entità della richiesta ne provocò un esame accurato e lento, ed il Ferrere, ammalatosi gravemente, non vide la conclusione parlamentare del suo progetto. Il 24 ottobre 1884, infatti, l'anziano generale lasciava il ministero. Per quanto diramata il 6 novembre 1884, cioè qualche giorno dopo la sua uscita dal ministero, fu opera del generale Ferrere anche la circolare che decretò la nascita dell'aviazione. Il documento del ministero della Guerra stabiliva, infatti, la costituzione di un servizio aeronautico militare nell'ambito dell'arma del genio, sulla base delle risultanze di una vasta indagine conoscitiva sullo sviluppo della tecnica aeronautica nel mondo condotta dal tenente del genio Pecori Giraldi. All'inizio del 1885 fu costituita poi la sezione aerostatica presso la brigata mista del 31 ° reggimento genio, poi trasformatasi in compagnia specialisti del genio e, infine, in brigata specialisti.
L' AVVENTO DELl.A SINISTRA
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6. Un giudizio sull'operato dei vari ministri succedutisi al dicastero della Guerra dopo la caduta della Destra storica non può non essere articolato e complesso. Fu indubbiamente un loro grande merito l'aver incoraggiato e sostenuto, nel Parlamento e sulla stampa, un vivace ed ampio dibattito sui problemi militari, facendo così prendere atto ad un Paese, ancora sostanzialmente legato a vecchie concezion~ municipali, che in Europa si erano creati nuovi equilibri e nuovi rapporti di potenza e che l'Italia, tanto cresciuta, non poteva rimanere estranea al "concerto europeo". Anche il potenziamento e l'ammodernamento dell'esercito per quanto sia stato oneroso per la gracile economia italiana fu indubbiamente una necessità in un contesto internazionale disposto a concedere credibilità ad uno Stato solo in misura proporzionale al suo peso militare. E, del resto, le spese militari non furono del tutto improduttive se anche un economista come Francesco Saverio Nitti ne riconobbe la funzione di stimolo e di incentivazione per tutta l'economia nazionale, specie per quella dell ' Italia settentrionale dove più marcata fu sempre la presenza di fabbriche ed opifici militari e più ampia l'attività industriale indotta dalla costrulione di opere fortificate e di infrastrutture. Certo alcune decisioni si rivelarono con il tempo improvvide, altre si rivelarono inutili, ma non sarebbe razionale considerare oggi uno spreco di pubblico denaro l'aver fortificato i passi alpini occidentali o la base navale di La Spezia solo perchè ci fu risparmiato un conflitto con la Francia. Non è possibile disconoscere che alla base della decisione di portare l'esercito su 12 corpi d'armata vi erano valide motivazioni di carattere operativo e non meschini interessi corporativi di accelerazione delle carriere degli ufficiali, come pure alcuni storici hanno voluto adombrare. L'aumento organico proposto dal Ferrero consentiva effettivamente all'esercito di essere più manovriero, di adeguarsi meglio all'assolvimento dei compiti nuovi che la mutata situazione internazionale lasciava intravedere. Il nuovo assetto organico, in definitiva, poneva le basi per un esercito finalmente di livello europeo che in futuro, situazione finanziaria del Paese permettendo, si sarebbe potuto facilmente migliorare aumentando i reparti di artiglieria, di cavalleria e del genio. D' altro canto era la stessa configurazione geografica del Paese a richiedere 12 corpi d'armata. Solo con una 1• linea di 400.000 uomini sarebbe stato possibile presidiare adeguatamente il territorio nazionale e disporre ancora di una sufficiente massa di manovra al confine settentrionale. Ugualmente logiche e valide le argomentazioni dell'opposizione. li Ricotti, indiscusso capo della destra per i problemi militari, difendeva il principio della "qualità" e riteneva che fosse meglio avere IO corpi d'armata ben armati, ben equipaggiati e ben istruiti piuttosto che averne 12 a prezzo di deficienze notevoli nell'inquadramento e nell'addestramento. Una 11 linea di 400.000 uomini, inoltre, avrebbe comportato una spesa annua molto superiore a quella di 200 milioni prevista dal governo. E sotto il profilo finanziario le previsioni dell'ex ministro si rivelarono fondate, pur di mantenere l'ordina-
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIAN0(1861 • 1990)
mento su 12 corpi d'armata il Ferrere, infatti, dovette piegarsi ad utilizzare gli espedienti già ideati dal Ricotti, primo tra tutti il congedamento anticipato del contingente di 1• categoria. E quell'espediente, che riduceva per tutti i lunghi mesi invernali la forza dei reparti a limiti appena sufficienti alla pura sopravvivenza, ritenuto allora l'unico possibile e, comunque, transitorio, divenne invece prassi costante, con un conseguente progressivo decadimento della. preparazione professionale dei Quadri, anche perchè, a causa o delle ristrettezze finanziarie o di una certa incapacità organizzativa o di una deplorevole miopia culturale, non fu provveduto ad istituire nei periodi di forza minima validi corsi di aggiornamento e di perfezionamento per i Quadri, la cui frequenza avrebbe almeno in parte supplito alla mancanza di più probanti esercitazioni sul terreno. Un ordinamento più contenuto avrebbe quindi consentito all'esercito di raggiungere una maggiore coesione ed una più sicura professionalità. Quanto alle qualità personali degli uomini che furono a capo dell ' amministrazione militare in quegli anni, il giudizio può essere espresso senza riserve: furono tutti uomini probi e competenti, animati sempre da schietto patriottismo e da profondo rispetto per le istituzioni.
vn. IL CONSOLIDAMENTO STRUTTURALE 1. Nell'ottobre del 1884 Cesare Ricotti Magnani fu nominato, per la
seconda volta, ministro della Guerra. Nel corso degli anni precedenti il generale novarese si era molto distinto, come già è stato detto, per la costante opposizione svolta alla Camera alle riforme del Mezzacapo e del Ferrere e si era dichiarato contrario ad un aumento dell'ordinamento dell'esercito a 12 corpi d'armata sia per motivi di carattere finanziario sia per motivi di carattere politico-militare. Egli era, pertanto, divenuto un autorevole esponente della Destra parlamentare ed il Presidente Depretis ne aveva voluto l'ingresso al governo proprio per rafforzare il suo ministero. Nell'esercito la nomina non fu accolta con eccessivo entusiasmo, l'ipotesi che il Ricotti intendesse ridurre reparti e Quadri parve a molti una concreta possibilità, considerata la determinazione e la perentorietà che caratterizzavano il comportamento del generale. Ma le "sinistre" previsioni furono presto smentite, l'amministrazione Ricotti si rivelò subito poco innovativa ed orientata al lento consolidamento delle strutture esistenti. I motivi che indussero il Ricotti ad accettare, sia pure a malincuore, un ordinamento che tanto aveva avversato furono due: la netta e decisa opposizione della corona O) e la consapevolezza che il ritorno ad un ordinamento su 10 corpi d' armata avrebbe probabilmente provocato qualche ripercussione negativa sia nella politica estera sia in quella interna. La reale consistenza degli interventi di Umberto I sulle decisioni di carattere militare è stata variamente valutata dagli studiosi. L'educazione militare ricevuta, le tradizioni di casa Savoia, le prerogative regie sancite dallo Statuto furono indubbiamente tutti fattori che spinsero il sovrano ad occuparsi con costante attenzione delle forze armate e, soprattutto, dell'esercito, talvolta con interventi al limite della costituzione, ma sempre tuttavia accettati dai vari Presidenti del Consiglio. L'ingerenza della corona nella politica militare dello Stato si manifestò soprattutto nel "gradimento" espresso nei confronti dei ministri militari, sollecitati persino ad accettare la carica come un preciso dovere disciplinare, quando le circostanze politiche erano tali da rendere poco gradita a generali ed ammiragli la poltrona ministeriale. Alcuni storici, coerenti con la loro ideologica interpretazione dell'esercì(I) Cfr. A. Guiccioli, Diario del 1884. in ·'Nuova Antologia" a. 1937, pag. 3 17.
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STORIA DELL"ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
to come essenziale strumento di una politica di conservazione sociale, hanno molto insistito sulla figura di Umberto I, visto come tutore premuroso degli interessi corporativi dell'esercito, a sua volta considerato come il necessario ed insostituibile puntello dell'istituto monarchico. Un esame spassionato della situazione politica italiana negli ultimi decenni dell'Ottocento rende questa interpretazione poco credibile, la monarchia non era realmente minacciata da nessun serio, e soprattutto consistente, movimento politico e la fedeltà dell'esercito al monarca era profondamente radicata e non certo condizionata all'approvazione di qualche provvedimento legislativo. L'esercito identificava nel sovrano tutta la Nazione, in ossequio al ben noto asserto contenuto nella formula del giuramento che proclamava l'indissolubilità "del bene del re e della Patria", ed era sicuramente orgoglioso di poter considerare il re un esponente, sia pur altissimo, della propria categoria, ma, per quanto sincera, la devozione alla persona del re non avrebbe mai indotto il corpo ufficiali a superare i limiti tracciati dalle leggi dello Stato. Il parere del re aveva un peso notevole, ma non così determinante da annullare le responsabili scelte di un ministro. Il Ricotti, comunque, era intenzionato a riportare il livello organico delle compagnie a cento uomini e, non potendo sopprimere i due corpi d'armata che giudicava superflui, decise di aumentare la forza bilanciata, utilizzando parte dei fondi destinati al potenziamento. "Una politica certamente poco lungimirante, che sacrificava gli investimenti al funzionamento della struttura. Se era stato sconsiderato costituire troppo presto i due nuovi corpi d'armata di cui pure la strategia italiana aveva bisogno, ancor più. sconsiderato era compromettere e ritardare per lunghi anni l'ammodernamento e il potenziamento dell'esercito per accrescerne di poco il rendimento immediato", ha scritto !'Ilari. Ma il pur sagace critico non tiene conto che la professionalità dei Quadri è uno dei fattori costituenti del potenziale di un esercito e che la conseguenza più negativa e purtroppo più durevole della prassi di tenere i reparti a bassi livelli di forza fu proprio il mancato addestramento dei Quadri. L'ufficiale esce dalle scuole di reclutamento ben preparato culturalmente, oggi munito anche di un diploma di laurea, ma completamente privo di quelle cognizioni pratiche che costituiscono la base del "mestiere" e che si apprendono solo con il quotidiano addestramento, tanto più efficace quanto più vicino alle reali situazioni di guerra. E un comandante di battaglione che non si è sufficientemente addestrato nel comando di plotone ed in quello di compagnia non potrà mai essere una guida sicura per il giovane subalterno, di cui dovrebbe invece essere il "naturale istruttore", come prescriveva un vecchio e saggio regolamento. Ancora maggiori, se possibile, le conseguenze nella formazione degli ufficiali di complemento. Un riservista poco addestrato può essere facilmente inserito nel reparto ed in breve tempo acquisire una sufficiente capacità operativa, un ufficiale ha bisogno, invece, di un addestramento lungo e completo, non può agire "per imitazione"; al momento della mobilitazione il suo rendimento sarà condizionato dall'addestramento fatto in precedenza, se questo non sarà stato valido anche la sua azione di comando risulterà irrimediabilmente carente. Nel luglio 1885 il Parlamento approvò il piano di potenziamento
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dell'esercito proposto l'anno prima dal Ferrero, suddividendo però i 243 milioni previsti dal piano in parti uguali da erogare negli otto esercizi finanziari successivi ed il Ricotti non protestò per il conseguente allungarsi dei tempi necessari al completamento delle dotazioni e degli organici. Non potendo ritornare indietro l'ostinato ministro volle almeno imporre una "sosta" allo sviluppo dell'esercito! E naturalmente aumentò il contingente di I" categoria della classe 1866 a 82.000 uomini e ridusse da 22.000 a 14.000 l'aliquota da inviare in congedo dopo due anni, aumentando così la forza bilanciata di quei 10.000 uomini che gli consentivano di riportare a quota 100 le compagnie di fanteria e dei bersaglieri. La nuova gestione dell'esercito provocò naturalmente la sdegnata protesta dei sostenitori del ministro Ferrero, e, nella seduta del Senato del 25 giugno 1885, Carlo Mezzacapo pronunciò un durissimo atto d'accusa contro la politica "rinunciataria" del Ricotti, che, peraltro, non se ne preoccupò molto. In effetti la seconda gestione Ricotti del ministero della Guerra fu poco dinamica e priva di realizzazioni incisive, una gestione di routine che lasciò al punto in cui li aveva lasciati il Ferrero tutti i numerosi problemi dell'esercito. Per quanto riguarda il settore addestrativo il Ricotti incrementò il numero e l'ampiezza delle esercitazioni sul terreno dell'esercito permanente e continuò nella prassi istituita dal suo predecessore di richiamare notevoli aliquote di milizia mobile e di miliizia territoriale, per migliorarne le capacità operative e per controllare nel contempo la validità delle procedure di mobilitazione e l'efficienza dei distretti. Al riguardo scrive il Gallinari: "l'incremento delle grandi esercitazioni di campagna è testimoniato dai programmi annuali. Ad esempio, quello per il 1887 prevede contemporaneamente manovre a partiti contrapposti di due corpi d'armata in Emilia, di due divisioni in Ciociaria, di due brigate nelle Marche, oltre alle manovre di una divisione provvisoria di cavalleria nel Veneto. Alle manovre sugli Appennini partecipano anche reparti alpini, che vanno perdendo, quanto all'impiego, il loro iniziale carattere territoriale. In luglio si svolge una esercitazione di difesa e attacco della piazza di Verona, cui partecipano anche reparti della milizia territoriale. Più di un quarto dell'esercito è interessato a queste esercitazioni, cui si cerca di imprimere il massimo realismo possibile" (2). Con il consueto pragmatismo il Ricotti ridimensionò la milizia mobile sulla base di quello che i Quadri della riserva ed i materiali di mobilitazione immagazzinati consenti vano: 90 battaglioni di fanteria e 13 battaglioni di bersaglieri, pari cioè a 7 divisioni. 2. La seconda gestione Ricotti si caratterizzò anche per l'inizio della nostra espansione coloniale, un impegno di cui il Ricotti non comprese mai la
(2) V. Gallinari, La politica militare della Sinistra Storica (1876-1887), in Memorie storico militari 1979. USSME, Roma 1980, pag. 89.
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necessità e che tuttavia lo coinvolse direttamente . La spedizione in Africa fu decisa dal governo Depretis, infatti, molto affrettatamente, senza un'adeguata preparazione. Nel corso del 1884 la rivolta mahdista aveva costretto le truppe angloegiziane ad abbandonare il Sudan, e, di conseguenza, l'Egitto non sembrava più in condizione di presidiare le coste del Mar Rosso. L'Inghilterra, temendo l'espansionismo francese, incoraggiò allora il governo italiano a farsi avanti; il ministro degli Esteri Mancini, sicuro dell'appoggio inglese e del tacito consenso egiziano, decise di intervenire subito per non perdere l'occasione, da lui ritenuta tanto favorevole e sicuramente irripetibile. E così il 12 gennaio del 1885 l'ignaro colonnello Tancredi Saletta (3), capo di Stato Maggiore del XII corpo d' armata di Palermo, fu convocato a Roma, rapidamente "indottrinato" al ministero della Guerra ed a quello degli Esteri e spedito con urgenza a Napoli, dove già stava affluendo il corpo di spedizione. E con tutta quella accurata preparazione alle spalle il Saletta il 17 gennaio salpò alla volta dell'Africa sul piroscafo "Gottardo", scortato dalla corazzata "Principe Amedeo". Il contingente non raggiungeva le mille unità: un battaglione bersaglieri, una compagnia di artiglieria da fortezza, una sezione genio, un drappello di carabinieri ed un nucleo servizi. A Porto Said il convoglio subì un primo arresto: la "Principe Amedeo" rimase incagliata nei bassi fondali e dovette essere sostituita dall"Amerigo Vespucci". Altra sosta a Suakin, dove Saletta, che nel frattempo aveva ricevuto l'ordine di sbarcare non a Assab ma a Massaua, poté conferire con il colonnello inglese Chermside, governatore della costa orientale d'Africa per conto del governo egiziano, e ricevere da questi qualche informazione, un pò meno vaga di quelle ricevute a Roma, sulle truppe egiziane di stanza a Massaua, sui pozzi di acqua potabile, sul carattere delle tribù locali. Chermside fu così gentile da far consultare a Saletta una carta, circostanza così ricordata dallo stesso Saletta: " Dal colonnello Chermside potei per la prima volta vedere su di una carta topografica o meglio idrografica, la ubicazione di Massaua e le sue particolarità ed avere un'idea abbastanza chiara delle particolarità di quelle coste" <4). Il 3 febbraio il colonnello Saletta ed il contrammiraglio Caimi, comandante della forza navale, prendevano terra a Massaua. Qui li attendevano numerose e non piccole difficoltà di ordine politico e di ordine militare, che dovettero essere affrontate d'iniziativa e con mezzi inadeguati perché il governo non aveva un chiaro programma di espansione coloniale, né conosceva l'ambiente geografico ed umano nel quale aveva immerso con tanta precipitazione un migliaio di uomini.
(3) Vds. di Tancredi Saleua il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume. (4) li Saletta compilò una memoria su quegli avvenimenti, recentemente pubblicata. Cfr. A. Bianchini (a cura di), Tancredi Saletta a Massaua (memorie, relazione. documenti). USSME, Roma 1987.
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Il Saletta - responsabile della sicurezza, della difesa del territorio, del governo della cosa pubblica - dovette destreggiarsi da solo tra: i rappresentanti del governo egiziano, che conservava ancora la sovranità sul territorio; quelli del governo abissino, il quale - forte del trattato Herwett stipulato con l'Inghilterra - tendeva a Massaua per avere uno sbocco sul mare; i capi delle tribù locali, che cercavano di trarre profitto dalle tensioni in atto. Lavoratore tenace, instancabile e versatile, il Saletta riuscì in breve tempo a prendere possesso dei forti egiziani dislocati nei pressi di Massaua (Moncullo, Archico, Otumlo, ecc.), a migliorarne l'efficienza ed a costituirne dei nuovi; a fare erigere magazzini, depositi, infermerie; a migliorare i collegamenti con linee telegrafiche ed apparecchiature ottiche; ad aumentare la capacità dei pozzi e dei depositi di acqua potabile; ad organizzare quanto meglio era possibile i vari servizi: dal commissariato alla sanità, dalla polizia alla posta militare. Gli ordini e le predisposizioni di carattere logistico impartiti dal Saletta appaiono oggi sorprendentemente adeguati alle circostanze e debbono ascriversi a suo grande merito, dal momento che gli mancava qualsiasi esperienza, anche letteraria, nel campo logistico coloniale. Solo il 19 aprile 1885, sanzionando in pratica quanto organizzato dal Saletta, il Ricotti emanò le prime Norme speciali di servizio e di amministrazione per truppe d'Africa, alle quali fece seguire il 10 giugno dello stesso anno le Istruzioni amministrativo-contabili per il funzionamento dei vari servizi . Nell'aprile fu costituito il Comando Superiore Regie Truppe (RR.1T) in Africa e, di concerto tra il ministro della Guerra e quello della Marina, furono precisati i compiti e le attribuzioni del comandante terrestre e del comandante delle forze navali. Ma la ripartizione delle competenze e delle responsabilità non era netta e ben definita e quando al Caimi succedette il contrammiraglio Noce, di carattere autoritario ed altezzoso, cominciarono i dissensi. Il contrasto tra i due comandanti divenne tanto clamoroso che intervennero i due ministri, ed il Saletta, meno elevato in grado, ebbe ufficialmente torto e fu rimpatriato. Alcuni studiosi hanno voluto vedere nel dissidio Noce-Saletta soprattutto un contrasto di fondo sulla politica di espansione: il Noce sarebbe stato favorevole ad aumentare la presenza italiana sulle coste del Mar Rosso, il Saletta fautore, invece, di un'espansione nell'interno. Sembra un'interpretazione forzata, riecheggiante l'infelice giudizio espresso dal Battaglia secondo il quale "l'impresa d'Africa è soprattutto un fenomeno, non tanto di capitalismo, quanto di militarismo, del quale è centro e anima l'interesse dinastico" (5>. In realtà il Saletta non perseguiva alcuna politica militarista, molto più semplicemente, da buon soldato, si era reso conto che Massaua non poteva essere difesa senza un adeguato retroterra ed indirizzò pertanto la sua attività all'acquisizione di un perimetro difensivo sufficientemente ampio. Il governo,
(5) R. Battaglia, La prima guerra d'Africa. Einaudi, Torino 1958, pag. 667.
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del resto, autorizzando l'invio di altre truppe, che avevano portato la consistenza del corpo di spedizione a tre battaglioni di fanteria e uno bersaglieri, dimostrò di condividere l'azione dell'energico comandante. Ad evitare nuovi contrasti tra esercito e marina a succedere al Saletta fu inviato il generale Carlo Genè, di temperamento più accomodante e di grado superiore al Noce. Un altro avvenimento contribuì a distogliere l'attenzione del Ricotti da quanto succedeva a Massaua: il nuovo ministro degli Esteri, il Nicolis di Robilant, aveva preteso ed ottenuto dal Presidente Depretis la completa direzione degli affari africani, sottraendo il Comando RR.TI. alla giurisdizione del ministro della Guerra, soluzione molto opinabile, ma che fu sempre mantenuta, ancor più rigidamente quando, molti anni dopo,gli affari africani passarono ad un apposito ministero. La tendenza ad estromettere il ministro della Guerra dalle vicende militari dell'Eritrea fu ancor più marcata quando al ministero degli Esteri arrivò il Crispi. Quest'emarginazione fu dovuta alle resistenze del Ricotti, come del suo successore Bertolè-Viale e di tanti altri esponenti di spicco della gerarchia militare, ad ogni progetto "africanista". Per i massimi esponenti militari le imprese africane costituivano soltanto uno spreco inutile di uomini e di risorse, dal momento che un eventuale conflitto si sarebbe svolto e deciso nei teatri di guerra europei. Ed è, quindi, molto singolare il giudizio del Battaglia ed è "singolarissimo che questo sbrigativo e superficiale giudizio sia stato acriticamente trasposto in più di un testo di storia" (6>. Anche uno storico sempre molto critico nei confronti dell'esercito, il Del Negro, ha riconosciuto che: "in politica estera l'esercito fu sostanzialmente un fedele esecutore: talvolta, ad esempio nell'ambito coloniale, un tiepido esecutore, in ogni caso molto meno bellicoso di civili come Crispi" (7). 3. Nel corso del 1886 il Ricotti dovette affrontare un problema ormai non più procrastinabile, la legge d'avanzamento. Le norme stabilite dal La Marmora nell'ormai lontano 1854, stravolte da tante piccole modifiche e dall'immissione subitanea nei ranghi di tanti sottotenenti negli anni 1860 e 1861, non assicuravano più una accettabile progressione di carriera ed il malcontento nei ranghi del corpo ufficiali cresceva a dismisura. Le cause di tanta agitazione erano note, a fattor comune il basso livello degli stipendi degli ufficiali inferiori, che costituivano il 75% di tutti gli ufficiali, poi la disparità di progressione nei vari ruoli , e, infine, i vantaggi di carriera concessi agli ufficiali diplomati alla Scuola di Guerra. Il Parlamento e soprattutto la stampa intervennero più volte sull'argomento ed anche singoli ufficiali, con lettere aperte ai giornali e con opuscoli vari, espressero con forza inusitata fino a quel momento tutta la loro insoddisfazione. L'aspirazione generale era una nuova legge che contemplasse promozioni esclusivamente ad anzianità, in quanto, sostenevano (6) M. Grandi, Il nuo/o e l'opera del capo di Stato Maggiore dell'esercito (1894-1907). Editrice Ipotesi, Salerno 1983. (7) P. Del Negro. Esercito, Staro, Società, Cappelli editore, Bologna 1971. pag. 60.
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gli autori degli scritti di protesta, non esistevano titoli o benemerenze che potessero essere considerati maggiormente validi dell'anzianità di servizio, unico criterio di avanzamento non opinabile. Un'impostazione concettuale del problema evidentemente errata, la sola esperienza non è sufficiente, infatti, a conferire quelle qualità, intellettuali e professionali, che sole possono giustificare il raggiungimento di gradi elevati. Già Federico II aveva ammonito i suoi generali sullo scarso valore dell 'esperienza non vivificata dallo studio, ricordando loro che i muli del principe Eugenio, dopo oltre trenta campagne, muli erano rimasti. Tuttavia l'esasperazione dei Quadri era comprensibile, perchè per troppo tempo i ministri si erano occupati esclusivamente di problemi tecnici ed avevano trascurato le necessità materiali del personale, dal quale peraltro non si pretendeva soltanto un' incondizionata dedizione al servizio ma anche un tenore di vita "decoroso", divise impeccabili e mogli eleganti. Anche il Parlamento non si era mai dimostrato molto prodigo; le leggi del 1874 e del 1884, che pure contenevano migliorie economiche molto ridotte, erano state approvate con grande difficoltà e con esasperante lentezza. li Ricotti, che già nel 1885 aveva con un decreto-legge limitato il numero degli ufficiali ammessi alla Scuola di Guerra e diminuito l'entità dei vantaggi di carriera concessi ai diplomati, nel 1886 presentò in Parlamento un progetto di legge di avanzamento che abbandonava il principio della "scelta", caratteristico della legge La Marmara e sempre sostenuto fino ad allora da tutti i ministri della Guerra, per accettare quello dell'anzianità, temperato dalla scelta per gli ufficiali del corpo di Stato Maggiore. Fu indubbiamente un "cedimento" agli umori dei più, non degno della bella fama del Ricotti e che gettò un'ombra sul suo carattere e sulla sua intelligenza. Le carriere potevano, infatti, essere sbloccate con altri e più coraggiosi provvedimenti. Il principio dell'avanzamento esclusivamente ad anzianità premia gli elementi meno dotati e toglie ogni stimolo a coloro che hanno la possibilità di distinguersi ed il Ricotti era troppo esperto di vita militare per non comprendere quanto sarebbe risultata deleteria, nei tempi lunghi, una simile legge. Il Parlamento, comunque, esitò a lungo prima di prendere una decisione ed alla fine deliberò di subordinare l'esame della nuova legge ad un più generale schema legislativo che comprendesse anche il trattamento pensionistico dei dipendenti mili tari e civili dell'amministrazione della Guerra. Il problema per il momento rimase insoluto. Altro punto negativo della seconda gestione Ricotti fu la tardiva e poco funzionale soluzione adottata per il fucile a ripetizione. Negli anni Ottanta, proprio quando in Italia già fervevano le polemiche sulle cause del ritardo nella produzione dei fucili Vetterly, gli eserciti delle maggiori potenze sperimentavano armi individuali a ripetizione e di piccolo calibro, per compensare con il minor peso di ogni singola cartuccia l'aumento della dotazione di munizionamento individuale, aumento necessario per utilizzare la maggior celerità di tiro consentita dalle nuove armi. Quando il Ricotti fu nominato ministro, l'amministrazione della Guerra
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aveva iniziato al riguardo i primi studi e le prime esperienze. Il Ricotti congelò il problema, troppo dispendioso secondo il suo economo metro, ma gli altri eserciti continuarono per la loro strada, la Germania adottò il Mauser a ripetizione già nel 1884, seguita in rapida successione dalla Francia e dall'Austria, che adottarono un fucile di ideazione e di produzione nazionale. Anche il Ricotti allora fu costretto ad accelerare i lavori dell'apposita commissione ed, alla fine, ad accettare una soluzione di compromesso: al Vetterly venne aggiunta una scatola-caricatore contenente quattro cartucce, secondo il progetto casalingo ed economico del capitano Vitali, e così l'esercito italiano ebbe un nuovo fucile, il Vetterly-Vitali mod. 1870-87. La decisione relativa al nuovo fucile a ripetizione costituì l'ultimo atto importante del generale novarese come ministro della Guerra: due giorni dopo la pubblicazione della relativa circolare sul Giornale Militare l'eccidio di Dogali costringeva il Ricotti nel giro di qualche mese alle dimissioni. Mentre in Italia l'attenzione degli ambienti militari era tutta rivolta alla legge di avanzamento ed al rinnovo dell'armamento individuale delle armi di linea, la situazione a Massaua era notevolmente peggiorata. Il governatore abissino dell' Amazién, ras Alula, non aveva accettato l'occupazione di Saati, decisa dal Saletta ed effettuata il 24 giungo del I 885, e faceva sentire la sua presenza minacciosa nei pressi della località. In effetti ras Alula attaccò Saati il 25 gennaio 1887, respinto dalle forze di presidio. Il generale Gené decise allora di inviare a Saati una colonna di rinforzo, al comando del tenente colonnello De Cristoforis. Ras Alula riuscì ad intercettare le truppe in marcia nei pressi di Dogali e fu un massacro: caddero 23 ufficiali e 407 sottufficiali e militari di truppa. La notizia dell'eccidio sorprese, commosse e indignò l'opinione pubblica in Italia; il governo in carica fu costretto a dimettersi e il Depretis dovette impegnarsi a fondo per costituirne uno nuovo, in cui al ministero degli Esteri fu insediato Francesco Crispi. La prima decisione del nuovo ministro fu la sostituzione del generale Genè. Anche il Ricotti, ritenuto troppo coinvolto negli avvenimenti per mantenere l'incarico, fu sostituito, capro espiatorio della politica africana ambigua ed irresoluta del Presidente Depretis. Nuovo ministro della Guerra a partire dal 4 aprile 1887 fu il generale Ettore Bertolé-Viale, già ministro per un biennio dopo Custoza e universalmente stimato. 4. L'attivismo del Crispi produsse subito i suoi effetti anche nel campo militare. A Massaua fu immediatamente rimandato il Saletta, ora ritenuto esperto ed attivo, che sbarcò nel porto africano il 23 aprile, con l'incarico di Comandante Superiore delle Regie Truppe e con il grado di maggior generale che gli conferiva il necessario prestigio. Il compito affidato al nuovo comandante era il seguente: "prendere alla mano saldamente la situazione sventando il pericolo di probabili aggressioni e
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creare, nel contempo, le premesse per l'invio di un forte contingente che, con energica ed appropriata azione, consolidasse il possesso della colonia e rintuzzasse le velleità offensive degli Abissini". Appena giunto in colonia il Saletta proclamò il blocco delle coste "allo scopo di impedire il transito delle armj e dei rifornimenti verso l'Etiopia" e dichiarò, a partire dal 2 maggio, "in stato di guerra la base di Massaua ed il dipendente territorio". Ogni sua attività ed ogni sua iniziativa furono subito rivolte a riorganizzare le truppe metropolitane e quelle indigene, riunite nel Corpo Speciale d'Africa. I I 14 luglio 1887 fu, infatti, costituito questo nuovo corpo, separato dall'esercito nazionale, e costituito da volontari con ferma di quattro anni. di cacciatori, ciascuno su tre Inizialmente il corpo comprese due reggimenti battaglioni, uno squadrone di cacciatori a cavallo, una brigata di cannonieri, aliquote del genio, di sanità e di sussistenza a livello compagnia. Le truppe indigene erano articolate in bande di consistenza variabile e di temporaneo impegno. Il Saletta, con la sua sperimentata capacità organizzativa, predispose anche quanto occorreva per lo sbarco e la sistemazione di quel grosso contingente, circa ventimila uomini con i mezzi ed i materiali relativi, che si stava approntando in Italia. In particolare furono migliorate le opere di fortificazione, potenziate le infrastrutture del porto, estese e perfezionate le comunicazioni ed ebbero, infine, inizio i lavori per costruire la linea ferroviaria che da Massaua, per Otumlo e Moncullo, doveva condurre fino a Saati. A novembre sbarcò a Massaua il corpo di spedizione comandato dal tenente generale Alessandro Asinari di San Marzano (8), forte di due brigate e di quattro batterie di artiglieria. Le forze italiane e quelle abissine si fronteggiano senza combattere nella piana di Sabarguma finchè il negus Giovanni decise di ritirarsi. Poco tempo dopo, nell'aprile del 1888 il grosso della spedizione rimpatriò, ed il comando delle truppe ed il governo della colonia rimasero nelle mani forti ed esperte del generale Baldissera (9). E per qualche anno gli "affari africani" non turbarono i sonni del ministro della Guerra che poté, quindi, dedicarsi completamente al definitivo consolidamento dell'esercito. 5. TI Bertolé-Viale presentò al Parlamento un progetto di legge sul reclu-
(8) Alessandro Asinari di San Marzano (1830-1906). Sottotenente di cavalleria nel 1848, partecipò a tutte le campagne del Risorgimento ed alla spedizione di Crimea. Maggior generale nel 1877 comandò la 5' e poi la 7' brigata di cavalleria e la divisione militare di Alessandria. Promosso tenente generale fu comandante delle RR TI. a Massaua dall'ottobre 1887 all'aprile 1888 e poi del l corpo d'annata. Dal 1897 al 1899 fu ministro della Guerra. Deputato per il collegio di Nizza Monferrato nell'Xl e nella Xli legislatura, fu nominato senatore nel 1894. Nel 1901 gli fu conferito il Collare della SS. Annunziata. (9) Vds. di Antonio Baldissera il breve profilo biografico nella parte li di questo volume.
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tamento, approvato in via definitiva l '8 marzo 1888. La nuova legge definiva la ferma "quella parte dell' ob_bli,go di servizio che, in via normale, si compie sotto le armi dai militari di 1• categoria" e aboliva la vecchia distinzione tra ferma permanente di 8 anni e ferma temporanea. La ferma si differenziò soltanto per la durata: sottufficiali, carabinieri, allievi sergenti, musicanti, ecc. contraevano la ferma volontaria di cinque anni; i volontari ordinari contraevano la ferma di tre anni (quattro se si arruolavano in cavalleria), i volontari di un anno continuarono naturalmente a prestare servizio per dodici mesi. Il contingente di 1• categoria era suddiviso per sorteggio in due aliquote, la prima era sottoposta ad una ferma di tre anni (quattro per gli assegnati alla cavalleria), la seconda ad una ferma di due anni. Il ministro aveva la facoltà di congedare anticipatamente le classi, purchè avessero terminato un certo periodo di addestramento. Nella 113 categoria fu mantenuta la suddivisione in due aliquote, la prima soggetta ad un periodo di addestramento da due a sei mesi, compiuto anche in anni successivi, la seconda soggetta ad un periodo di addestramento di un mese, come la III" categoria. I volontari dopo cinque anni di servizio potevano ottenere la rafferma con premio, i carabinieri potevano ottenere tre rafferme consecutive. Le tre nuove leggi furono inserite in un "testo unico delle leggi sul reclutamento", accompagnato dal relativo regolamento, e fino al 19 I 1 tutta la complessa materia non fu più soggetta a cambiamenti. L'opera iniziata dal Ricotti con la legge del 1873 fu finalmente conclusa, quindi, nel 1888 dal BertoléViale. Per quanto attiene ali' ordinamento i I nuovo ministro presentò in Parlamento un progetto di legge volto soprattutto ad aumentare i reparti di cavalleria, di artiglieria e del genio, esigenza molto sentita nell'esercito ed anche dall'opinione pub bi ica più avvertita e che era stata contrastata dal Ricotti, sempre fermo nell'opinione che tutto dovesse essere devoluto all'aumento di forza dei reparti di fanteria, fin quasi alla vigilia delle sue forzate dimissioni. Per la prima volta poi il capo di Stato Maggiore dell'esercito ebbe modo di far sentire il peso del proprio parere tecnico in Parlamento, in quanto il Bertolé-Viale non nascose che alla base delle sue proposte vi erano le risultanze di apposite commissioni di studio presiedute dal generale Cosenz OO). Come è stato acutamente notato, l'avvenimento ebbe grande importanza perché "la carica di ministro venne in tal modo alquanto spersonalizzata per quanto riguarda le proposte legislative, ormai non più frutto delle idee sue e dei collaboratori più intimi, ma di una vasta consultazione vagliata da un organo tecnico di grande prestigio"O l). Il Parlamento approvò il 14 luglio 1888 il nuovo ordinamento che, senza modificare l'impostazione organica precedente, ne rappresentava un consolida( 1O) Vds. del generale Cosenz il breve profilo biografico nella parte II di questo volume. (11) V. Gallinari, op. cit.. pag. 91.
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mento ed un potenziamento. Le più significative innovazioni introdotte dalla nuova legge furono: - la scomparsa nell'organico del ministero della figura, sino ad allora di grande importanza, del segretario generale in quanto proprio nel 1888 era stata introdotta nell'ordinamento statuale italiano la carica di sottosegretario di Stato <12); - l'abolizione dei comitati d'arma, sostituiti dagli ispettorati. Nacquero così gli ispettori di cavalleria, di artiglieria, del genio, dei bersaglieri, degli alpini e di sanità. Il comitato dei carabinieri era già stato abolito qualche anno prima e sostituito da[ Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri; - l'aumento da sei a sette dei reggimenti alpini; - l'aumento da ventidue a ventiquattro dei reggimenti di cavalleria, in modo da eventualmente poterne assegnare uno ad ogni divisione. I nuovi reggimenti furono denominati Umberto I e Vicenza; - un generale riordino dell'artiglieria da campagna. I reggimenti furono raddoppiati passando da dodici a ventiquattro, ciascuno su due brigate di quattro batterie di sei pezzi. Ciascun corpo d'armata ebbe così due reggimenti da campagna, uno armato con pezzi da 9 cm per la cooperazione con le due divisioni di fanteria, l'altro armato per metà di pezzi da 9 cm e per metà di pezzi da 7 cm per cooperare con i supporti e per costituire la riserva. Le batterie di artiglieria da montagna, accresciute di una, e quelle di artiglieria a cavallo, accresciute di due, costituirono due nuovi reggimenti, rispettivamente su nove e su sei batterie. Ultima innovazione, presso i reggimenti di artiglieria da campagna furono accantonati i materiali per dotare, alla mobilitazione, la milizia mobile di 48 batterie. Con il nuovo ordinamento ciascun corpo d'armata ebbe 96 cannoni, avvicinandosi alla media ottimale europea che prevedeva per ogni mille fanti o cavalieri almeno tre bocche da fuoco: in Germania 3,60; in Francia 3,46; in Austria 2,96. Nel nostro esercito il rapporto, con il nuovo ordinamento, arrivò a 3,43; - il riordino della c ircoscrizione territoriale che suddivise il territorio nazionale in 12 corpi d'armata, 25 divisioni, 87 distretti militari riuniti in 12 comandi superiori, 6 comandi territoriali e 14 direzioni di artiglieria, 6 comandi territoriali e 19 direzioni del genio, 12 direzioni di commissariato, 19 tribunali militari; - un nuovo ordinamento della milizia mobile che interessò principalmente: le compagnie alpine, ridotte da 36 a 22; l'artiglieria da campagna ordinata su 13 brigate di 4 batterie; l'artiglieria da montagna, su 3 brigate di 3 batterie; il genio di prevista costituzione su 7 brigate zappatori, 2 compagnie ferrovieri, 4 compagnie pontieri, 3 compagnie telegrafisti.
( 12) La legge che istitul i sottosegretari di Stato, così ne precisava le funzioni: "I sottosegretari di Stato coadiuvano il ministro ad esercitare nel rispettivo dicastero le attribuzioni che loro vengono delegate dal ministro. Lo rappresentano in caso di assenza e di impedimento. Ogni ministro potrà, con regolamento da approvarsi con decreto reale, udito il consiglio dei ministri, determinare le attribuzioni speciali del proprio sottosegretario di Stato".
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Anche la Scuola di Guerra fu interessata dal generale programma di consolidamento e di miglioramento. Nel 1888 fu deciso di riservare l'ammissione ai corsi della Scuola solo ai tenenti ed ai capitani di tutte le armi che avessero superato gli esami di ammissione, consistenti in quattro prove scritte (composizione italiana, storia, lingua francese e disegno topografico) ed in quattro prove orali (geografia, aritmetica ed algebra, geometria e trigonometria, lingua francese). La durata dei corsi fu ridotta a due anni, ma ben presto, nel 1894, riportata a tre essendosi dimostrato un biennio non sufficiente allo svolgimento dei programmi. Anche la scuola di Parma fu riorganizzata e, con il nuovo nome di Scuola Tiro di fanteria, incaricata di completare le cognizioni dei giovani ufficiali di fanteria e di cavalleria sulle armi, sul tiro e sui lavori di fortificazione campale e di perfezionare le cognizioni sul tiro dei tenenti anziani di fanteria. A partire dal 1888 l'Istituto Geografico Militare iniziò l'impianto di una regolare rete geodetica in Eritrea e nel 1890 pubblicò un'eccellente carta del territorio compreso nel triangolo Massaua-Asmara-Cheren alla scala I :50.000. Purtroppo i lavori furono interrotti per motivi economici l'anno dopo e le zone più meridionali della colonia, quelle che saranno interessate alle operazioni del 1895-1896, rimasero senza cartografia. L'amministrazione provvida ed equilibrata del Bertolé-Viale, durata fino al 31 gennaio 1891, consentì il definitivo consolidamento dell'ordinamento Ferrero e conferl alla struttura dell'esercito una notevole solidità. La relativa congruità dei bilanci, 260 milioni di spese ordinarie nel 188990 e 252 milioni nel 1890-9 J, consenù di tenere alle armi una forza bilanciata di circa 240.000 unità, con evidenti benefici nel settore dell'addestramento e, di riflesso, in quello del morale. Anche la situazione internazionale, almeno per quanto riguardava più direttamente l'esercito, era migliorata, nonostante Dogali. Nel 1887 il ministro degli Esteri di Robilant aveva trattalo il rinnovo della Triplice Alleanza con grande abilità, ottenendo finalmente una maggiore considerazione da parte degli alleati per gli interessi italiani nell'Africa del nord e nei Balcani. 6. Tra i fattori che contribuirono al graduale consolidamento della struttura militare italiana l'istituzione della carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito non fu certo quello meno importante. L'attività dello Stato Maggiore nel suo primo decennio di vita fu di estrema rilevanza e fu resa possibile dalla grande determinazione, sorretta da una lucida intelligenza unita ad una non comune preparazione professionale, del suo capo, il generale Cosenz. L'attività dello Stato Maggiore riguardò soprattutto la pianificazione operaùva e la regolamentazione tatùca e di impiego, ed in tutti quesù settori la diretta e costante attività del Cosenz fu eccezionalmente uùJe e proficua. Prima di tutto il Cosenz riordinò lo Stato Maggiore, chiamando attorno a sè un gruppo di ufficiali preparati ed intelligenti che, sotto la sua guida esperta ed equilibrata, poco alla volta cominciarono a creare le basi di quello che, da
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semplice organo di sttudio e di consulenza per il ministro, diventò il centro propulsore di tutto l'esercito nel giro di un ventennio appena. Altra decisione di rilievo del Cosenz fu l'immediata costituzione nell'ambito dello Stato Maggiore del Reparto Intendenza, al quale affidare gli studi relativi al funzionamento dei servizi logistici in guerra che non avevano certo offerto una grande prova di efficienza e di tempestiva aderenza al dispositivo operativo durante le guerre del Risorgimento. La lacuna più pericolosa dell'organizzazione militare era, comunque, l'assoluta mancanza di validi progetti per la mobilitazione e per la radunata e su quella pianificazione fu indirizzata subito l'attività del nuovo organismo. L'attenzione inizialmente si concentrò sulla ipotesi di una guerra della Triplice Alleanza contro la Francia, problema operativo tutt'altro che facile poichè le caratteristiche del terreno alla frontiera alpina occidentale favorivano grandemente la difesa sul versante francese, dove la profondità della catena montuosa è molto maggiore di quanto non sia sul versante italiano. Una qualunque azione intrapresa da parte italiana in questo settore sarebbe sempre stata secondaria rispetto a quella decisiva da ricercarsi sul fronte franco-tedesco. Un ruolo secondario, anche se imposto dalla natura del terreno, mal si conciliava con le nuove possibilità operative dell'esercito italiano e contraddiceva anche al fondamentale principio strategico della concentrazione delle forze sul punto decisivo. Maturò così nel Cosenz il progetto di attuare la cooperazione con gli alleati austro-tedeschi, in funzione antifrancese, mediante il trasporto di una armata italiana in Germania. Nel corso di alcuni colloqui con il generale Waldersee, capo di Stato Maggiore tedesco, il progetto fu definito e costituì il testo di un'apposita Convenzione militare tra i membri della Triplice, stipulata il 28 gennaio 1888, cbe prevedeva l'invio in Germania di un'armata su cinque corpi d'armata e tre divisioni di cavalleria. Tali forze sarebbero giunte in Germania per ferrovia attraverso l'Austria. Nel caso però che il conflitto avesse riguardato solo l'Italia e la Germania, l'Austria non avrebbe consentito il trasporto delle truppe attraverso il suo territorio e si pensò allora di arrivare in Germania attraverso il territorio el vet.ico. Su questo particolare aspetto della politica militare italiana per lunghi anni fu mantenuto uno stretto riserbo, sciolto soltanto in quest'ultimo periodo da un'esauriente pubblicazione dell'Ufficio Storico (l3), dalla quale si apprende che il progetto elaborato dal Cosenz nel 1889 prevedeva la non opposizione della Confederazione al nostro movimento. Il piano riteneva possibile anche rifornire le truppe italiane da depositi costituiti in territorio svizzero con risorse locali. Con gli occhi di oggi tale progetto appare fantastico, all' epoca si riteneva possibile invece la non opposizione armata della Confederazione Elvetica che, almeno così si supponeva, la diplomazia o le pressioni militari tedesche avrebbero certamente potuto assicurare. 13) A. Rovighi, Un secolo di relazioni mi/iuiri tra Italia e Svizzera (1861-1961). USSME. Roma 1987.
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Il problema della conseguente violazione della neutralità svizzera era, comunque, questione politica-diplomatica e di competenza del ministero degli Esteri. L'attenzione dello Stato Maggiore si rivolse poi all'ipotesi di un conflitto italo-austriaco e fu messa allo studio la necessaria pianificazione, ultimata nell 'aprile del I 885, che prevedeva sia una guerra localizzata Italia-Austria sia un conflitto più esteso, tra l'Italia alleata ad un'altra grande potenza e l'Austria. Nel primo caso l'Austria sarebbe stata favorita in quanto il suo ottimo sistema ferroviario le avrebbe consentito una mobilitazione più rapida di quella italiana ed un celere concentramento dell'esercito al confine italiano. Il Cosenz. ritenne che, per guadagnare il tempo indispensabile alla radunata dell'esercito, fosse necessario cedere spazio e predispose quindi Io schieramento principale delle forze italiane sul Piave. Nel Friuli, tra il Piave ed il Tagliamento, avrebbe operato soltanto il corpo d'armata speciale - su una divisione di fanteria, due di cavalleria, alcuni reggimenti bersaglieri - con lo scopo di ritardare il più a lungo possibile l'avanzata austriaca. Il Cosenz fu dunque il primo a considerare affidabile la linea del Piave, malgrado l'esistenza degli sbocchi offensivi del fronte orientale trentino. Anche un successivo piano di mobilitazione e di radunata a nord-est, elaborato nel 1889 dopo un ampliamento delle forze da mobilitare ed un miglioramento della rete ferroviaria nel Veneto, ricalcò la soluzione precedente, con qualche variante: tre divisioni di cavalleria avrebbero agito oltre il Tagliamento e tra questo ed il Piave, per ritardare il contatto, sarebbero stati impiegati tre corpi d'armata al posto del corpo d'armata speciale. Da rimarcare che, sostanzialmente, nulla mutò fino alla vigilia della grande guerra, a conferma della razionalità e della completezza della pianificazione elaborata dallo Stato Maggiore. Il settore di attività nel quale l'operato del Cosenz risultò più incisivo e più duraturo fu però quello dottrinale. Quando il Cosenz assunse l'incarico di capo di Stato Maggiore il complesso delle norme e dei regolamenti in vigore nell'esercito era notevolmente superato dalle più recenti esperienze belliche. Un valido tentativo di aggiornamento era stato già compiuto, per la verità, del ministro Ricotti, ma il "corpo dottrinale" dell'esercito italiano era ancora ben lontano dal possedere quelle caratteristiche di armonia, di organicità e di coerenza senza le quali non è possibile giungere a quella disciplina delle intelligenze che sola consente di far radunare, manovrare e combattere un esercito moderno. La disciplina delle intelligenze, necessaria per tutti gli eserciti, era poi ancora più necessaria per quello italiano, ai vertici del quale erano generali di diversa provenienza e di diverse esperienze 0 4>. Indubbiamente una dottrina
(14) All'epoca erano in servizio, per citare solo alcuni nomi, il Baldissera, proveniente dall'esercito austriaco, il Corsi, proveniente dall'esercito toscano, il Pelloux proveniente dall'armata sarda. il Pianell proveniente dall 'esercito borbonico.
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tattica e strategica aggiornata e rispondente non può da sola determinare l'esito felice di un conflitto o di un combattimento, ma grandemente vi concorre, perché un comune linguaggio ed un comune modo di impiegare uomini e mezzi favoriscono la convergenza degli sforzi su un unico obiettivo. Ed il Cosenz era consapevole che la dottrina dovesse mirare soprattutto a sviluppare nei Quadri l'abitudine a pensare e ad agire con coerenza, nell'ambito di un più generale disegno strategico. Si dedicò, pertanto, con grande energia al graduale rinnovamento di tutto il corpo dottrinale dell'esercito, avendo cura di procedere gradualmente e non dimenticando di raccogliere e vagliare suggerimenti e consigli. Molti regolamenti, infatti, furono emanati in via provvisoria e sostituiti dall'edizione definitiva soltanto dopo un'accurata sperimentazione durante i campi d'istruzione. Altra caratteristica di tutta la regolamentazione di quel periodo fu la notevole elasticità: fu infatti bandita la precedente impostazione rigida e precettistica che imbrigliava l'iniziativa dei comandanti e si preferì dettare norme generali intese ad indicare gli scopi piuttosto che le vie ed i mezzi per raggiungerli. Per quanto attiene alla regolamentazione d'impiego, nel periodo nel quale il Coscnz fu a capo dello Stato Maggiore furono diramate le seguenti pubblicazioni: - Regolamento di esercizi per la fanteria, pubblicato in forma provvisoria nel 1889 ed in edizione definitiva nel 1892. La pubblicazione, in stretta sintesi, prescriveva formazioni sparse in tutte le fasi del combattimento e, conseguentemente, l'estensione delle fronti e lo scaglionamento delle unità in profondità, per alimentare ed aumentare progressivamente e costantemente il volume di fuoco. Il fuoco era considerato l'unico mezzo per conquistare terreno e per costringere l'avversario all' abbandono della lotta; il movimento il mezzo per avvicinare il fuoco al nemico; l'urto, ultima fase del movimento, non era più sempre necessario e, comunque, era considerato possibile soltanto dopo che si fosse conseguita con il fuoco la superiorità morale e materiale sull'avversario. - Regolamento di esercizi per la cavalleria, edito nel 1886. La pubblicazione prevedeva, qualora i reparti di cavalleria fossero impiegati appiedati, formazioni e procedimenti uguali a quelli adottati dai reparti di fanteria, mentre nel combattimento a cavallo, da risolversi soprattutto con l'urto, lasciava al comandante ampia discrezionalità perchè "solo le condizioni del terreno e la situazione possono suggerire la disposizione dei vari elementi nello spiegamento e la distanza a cui essi devono succedersi". Le formazioni da adottare erano, di massima, quelle lineari dell'ordine chiuso, le più adatte secondo il Regolamento a realizzare contemporaneamente un'ampia azione di fuoco ed una grande potenza di urto, senza peraltro escludere formazioni in ordine aperto, quando fosse stata necessaria o conveniente la carica a stormi. - Manuale d'artiglieria, edito in quattro volumi negli anni 1888-1891. La ponderosa pubblicazione comprendeva, oltre alla tecnica d'impiego, le modalità di azione ed i procedimenti tecnici dell'artiglieria da campagna, da montagna, da fortezza e da costa nonché, nel quarto volume, le nozioni di balistica, di
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calcolo infinitesimale, di trigonometria, di meccanica razionale e di idraulica necessarie per la risoluzione di tutti i problemi artiglieristici. Una vera e propria enciclopedia, frutto del lavoro, durato molti anni, di un ben selezionato gruppo di ufficiali. - Istruzioni pratiche del genio, edito nel 1887. Anche questo manuale comprendeva la tecnica d'impiego ed i procedimenti di azione specifici dell'arma e conservò la sua validità per molti anni. - Regolamento di servizio di guerra, edito nel 1892 e che comprendeva anche il Regolamento per le marce del l 888 e l'Istruzione per il servizio di avanscoperta del 1890. La pubblicazione si divideva in due parti, la prima riguardante il servizio delle truppe la seconda il servizio delle intendenze. L ' importanza del regolamento era grandissima in quanto costituiva "il codice morale ed al tempo stesso procedurale del comportamento dei comandanti, degli stati maggiori, delle unità e dei singoli in guerra ed il manuale nel quale erano contenute tutte le prescrizioni riguardanti le attribuzioni, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi operativi, logistici ed amministrativi del tempo di guerra. Aveva, perciò, carattere rigidamente vincolativo e forza di legge" <15). Anche nel settore della regolamentazione tattica l'attività dello Stato Maggiore fu molto importante. Già nel luglio del 1883 furono diramate le Norme generali per la divisione di fanteria in combattimento che non risultarono però del tutto rispondenti e che perciò furono sostituite nel 1885 dalle Norme generali per l'impiego delle tre armi nel combattimento, prima pubblicazione edita con l'intestazione "Ufficio del capo di Stato Maggiore dell'esercito". Le Norme ebbero una nuova edizione nel 1887 e nel 1892, con qualche limatura e con qualche aggiunta suggerite dalla sperimentazione fatta nelle grandi manovre ma, sostanzialmente, rimasero valide per lunghi anni e rappresentarono un esempio di dottrina tattica originale, pur se vi si avvertivano influenze e suggestioni di scuola prussiana. Caratteristica fondamentale della pubblicazione fu quella di contenere idee e criteri, non prescrizioni. Nelle avvertenze si precisava, infatti, che le Norme "devonsi intendere avere carattere di semplice guida, essendo indispensabile che rimanga intera la libertà del comandante nella scelta di quelle modalità di esecuzione che in ciascun caso concreto meglio conducano al conseguimento dello scopo che si deve raggiungere, tenendo anche conto delle condizioni del terreno, dell'ordine di marcia o delle circostanze di varia natura che possono influire sull'andamento dell'azione. Si è creduto opportuno di applicare queste Norme ad una determinata unità di truppe, e si è pertanto presa per base la divisione come quella che di solito costituisce l'unità tattica delle tre armi. Ciò non toglie però che le Norme stesse siano applicabili a qualsiasi unità di truppe delle tre armi". La
(15) F. Srefani, w storia della dottrina e degli ordinamenti del/'eserciro italiano, voi. I, USSME, Roma 1984. pagg. 385 e 386.
li. C'ONSOLIDAMENTO STRUTI'URALE
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pubblicazione, scritta quasi interamente di proprio pugno dal CosenL., costituì un vero manuale di tattica per l'ufficiale italiano dell'epoca. TI generale Stefani, nell'opera più volte citata, così ha riassunto i principali conce11i tattici lasciati in eredità dal Cosenz ai suoi successori: "La guerra, la battaglia ed il combattimento intesi come scontro di energie morali e materiali, le prime capaci di compensare anche qualche svantaggio delle seconde, il ripudio di ogni estremismo perchè in guerra n11/fa vi ha di assoluto, la preminenza dell'offensiva strategica rispetto alla difensiva-controffensiva e dell'azione offensiva anche in campo tattico sen7a ricusare l'impiego difensivo delle forze alla cui capacità tattico-difensiva il fucile rigato a retrocarica offriva un grande incremento, la disciplina delle intelligenze, la giusta e vera iniziativa da lasciare ai comandanti di decidere la loro al.ione e di slrutturare il loro dispositivo in relazione al compito ricevuto, alla situazione ed al terreno, l'elasticità della dottrina d'impiego, la rivalutazione della cavalleria allora considerata da molti superata dopo l'introduzione del fucile rigato a retrocarica, la preferenza alla manovra avvolgente (a11acco della fronte e di un fianco) piuttosto che a quella avviluppante allora sol>tenuta dai tedeschi perchè questa diluisce le forze e dà agio al difensore di sfruttare la posizione çentrale, di battere separatamente prima uno e poi l'altro dispositivo avvolgente, l'aleatorietà dell'urto con la baionetta se prima non si è fatto breccia nel morale e nella sistemazione del nemico con il fuoco, l'assoluta necessità di sfruttare il terreno incrementandone il valore attivo e protettivo mediante la fortificaLione campale, l'audacia nell'impiego nell'artiglieria che si schiera per prima sul campo di battaglia ed in linea con la fanteria per proteggere lo schieramento del grosso, preparando ed appoggiando l'attacco, oppure per sostenere la difesa o, in caso di insuccesso, favorire lo sganciamento, continuando a far fuoco sen::.a preoccuparsi del pericolo della perdita dei pez,zi" 7. L'istituzione della carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito causò indubbiamente, con l'andar del tempo, una diminuzione delle prerogative del ministro della Guerra. L'affermazione del Minniti secondo la quale il ministro "divenne il portavoce in seno al governo delle esigenze dell'esercito piuttosto cbe il politico responsabile delle questioni militari, come pure sono stati Ricotti e Mezzacapo" 0 6>; è valida solo se è riferita a tempi successivi, inizialmente il ministro non rinunciò ad imporre il suo parere anche nelle questioni più squisitamente tecniche. E se il Cosenz non ebbe occasioni di contrasto con il ministro Ferrero, solo alla sua grande prudenza ed al suo saldo equilibrio si deve il fatto che il disaccordo su molte questioni con il ministro Ricotti non divenne mai apertamente pubblico e comunque tale da pregiudicare nell'esercito il doveroso rispetto per le due altissime cariche. Le opinioni del Ricotti sul suo esclusivo diritto a gestire l'esercito erano (16) F. Minniti, Esercito e politica da Porra Pia 111/a Triplice Alleanza. in ·'Italia contcmpoanea" n. 3/1972 e n. 1/1973.
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ben note, ed egli non si peritò di riaffermarle con molla energia e con una certa arroganza nella seduta della Camera del 18 dicembre 1886 quando, rispondendo ad un'interrogazione del deputato generale Pozzolini che aveva sollecitato maggiori poteri per il capo di Stato Maggiore, ebbe a dichiarare: "La coesistenza del capo di Stato Maggiore e del ministro della Guerra è soltanto possibile in quanto regni fra loro il più completo accordo. Se questo accordo non esistesse, appunto per la responsabilità che grava e pesa intera sul ministro della Guerra, il capo di Stato Maggiore dovrebbe cedere, cessare se occorre, a meno che non si ritiri il ministro". Fu perciò grande merito del Cosenz il non aver raccolto la provocazione e l' aver continuato con alacrità e con capacità professionale nel suo lavoro di riordino, ed in molti casi di prima ideazione e di prima stesura, della pianificazione operativa e del corpo dottrinale dell'esercito, non lasciandosi intimidire dal l'ostilità preconcetta del ministro. E il Cosenz dette qualche tempo dopo una precisa dimostrazione della sua indipendenza di pensiero . Il Ricotti, ostinatamente contrario ad un aumento organico delle unità di cavalleria e di artiglieria, per meglio resistere alle pressioni del Parlamento e della stampa, concordi nel richiedere un aumento delle "armi speciali", costituì due commissioni, presiedute dal capo di Stato Maggiore, per un generale ed approfondito esame dei due problemi, convinto che il suo ben conosciuto punto di vista sarebbe stato doverosamente posto a base del giudizio conclusivo delle commissioni. L'onestà intellettuale del capo di Stato Maggiore era però superiore alla convenienza gerarchica e, con sorpresa del ministro, le relazioni redatte dal Cosenz confermarono la necessità di un incremento delle unità di cavalleria e di artiglieria per meglio equilibrare lo strumento operativo e per avvicinarlo agli standard europei. E qualche tempo dopo, proprio sulla base del lavoro svolto da quelle commissioni, il nuovo ministro Bertolé-Viale presentò al Parlamento la proposta di legge che recepiva gli om1ai famosi incrementi . La centralità dello Stato Maggiore nell'ordinamento militare italiano non avvenne ope legis, da un giorno all'altro. L'innovazione organica del 1882 ebbe uno sviluppo vitale e rigoglioso per le non comuni qualità del suo primo capo che, favorito indubbiamente dalla lunga permanenza nell'incarico, riuscì con la validità del lavoro prodotto ad imporre il nuovo organismo ed a farne riconoscere l'insostituibile funzione in un esercito che diveniva sempre più complesso e di sempre più difficile gestione. Gli attriti e le incomprensioni tra il vertice politico e quello militare dell'esercito durarono però a lungo, con alterna prevalenza dell'uno e dell'altro, divennero anzi addirittura una costante nella storia dell'esercito, e purtroppo una costante negativa, causa non ultima di molte sciagure.
Vlll. GLI ANNI DELLA CRISI
I. n 6 febbraio 1891 il generale Luigi Pelloux fu nominato ministro della Guerra nel gabinetto di Rudini. Il programma del nuovo ministero prevedeva il risanamento del bilancio statale attraverso la riduzione della spesa e perciò l'atùvil.à del ministro della Guerra fu rivolta in gran parte a mantenere in vita l'ordinamento Ferrero perfezionato dal Bertolé-Viale, pur accettando un bilancio ordinario ridotto di nove milioni rispetto a quello dell'anno precedente. Il Pelloux conosceva molto bene la struttura ed il funzionamento della macchina militare, era inoltre un amministratore capace e meticoloso. Si buttò nell'impresa con energia ed economizzò su tutto: ridusse le spese per le truppe in Africa, tolse il cavallo ai capitani di fanteria, ritardò la chiamata della leva da novembre a marzo, riducendo al minimo la forza dei reparti nei mesi invernali, ma tutti quesù provvedimenti non furono sufficienti. Nei primi mesi del 1892 fu chiesto, infatti, al Pelloux di rinunciare a 12 milioni di spese straordinarie già promessegli, rinuncia che egli giudicò inaccettabile. Il ministro delle Finanze, on. Colombo, chiese allora il ritorno dell'esercito a lO corpi d'armata. Coerentemente con le dichiarazioni rese in Parlamento - economie si, ma non tali da mettere in crisi l'apparato militare - il Pelloux tenne duro, sorretto anche dalla fiducia della corona. Il Presidente di Rudinì propose allora alla Camera una nuova tassa sugli zolfanelli ma ricevette un voto di sfiducia e si dimise. Il Pelloux conservò l'incarico anche nel nuovo ministero, presieduto dall'on. Giolitti. Il suo comportamento fu però oggetto di molte critiche, soprattutto per aver accettato con Giolitti uno stanziamento annuale di 246 milioni per il dicastero della Guerra, somma che aveva ritenuto insufficiente sotto il di Rudinì. Anche il passaggio da un ministero di "quasi destra", come quello del di Rudinì , ad uno di sinistra, così almeno si qualificava quello di Giolitti, fu ritenuto troppo disinvolto. 1n effetti al PelJoux premeva soltanto di portare all'approvazione parlamentare una nuova legge di avanzamento e di non rimettere in discussione, in alcun modo, l'ordinamento delJ'esercito su 12 corpi d 'armata, alle sfumature del colore politico dei ministeri era poco interessato. Giolitti accettò l'ordinamento su 12 corpi d'armata e il consoHdamento del bilancio deJia Guerra in 246 milioni, consentendo così, come desiderava il Pelloux, di sottrarre l'amrninisrrazione militare alle oscillazioni della poliùca finanziaria. Molti studiosi hanno voluto vedere in questa prassi una vittoria del mili-
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tarismo in quanto, nell'ambito del bilancio consolidato, il ministro della Guerra avrebbe potuto gestire la forza armata senza il controllo del Parlamento. Molto più semplicemente il generale savoiardo mirava ad avere la possibilità di effettuare quella che oggi si definirebbe una sana programmazione della spesa. Egli, infatti, fu sempre un convinto sostenitore della sottomissione delle forze armate al potere politico e mai cercò di influire in senso bellicista sulla politica, estera o interna che fosse, dei governi ai quali partecipò. L' attività del Pelloux non fu indirizzata soltanto ad escogitare quei ripieghi e quelle misure di economia spicciola cui si è già fatto cenno, egli affrontò con energia e con razionalità anche i grandi problemi. All'epoca, una delle necessità più sentite era la riforma del sistema di mobilitazione, mai voluta affrontare dal predecessore del Pelloux, il BertoléViale. li nocciolo del problema era il seguente: passare da un sistema di mobilitazione nazionale ad uno di carattere regionale. Tutti, militari e politici, concordavano sul fatto che la mobilitazione a carattere nazionale fosse eccessivamente lenta e costosa, come del resto era costoso il sistema di reclutamento a carattere nazionale, ma non tutti erano concordi sul fatto che le cose potessero cambiare, giudicando molti che i tempi non fossero ancora maturi per attuare un sistema di reclutamento regionale, come già avveniva per le truppe alpine. Si riteneva, in sostanza, che la funzione sociopolitica dell'esercito - punto di incontro e di superamento dei vecchi regionalismi, garanzia dell'ordine pubblico - dovesse essere privilegiata rispetto a quella puramente difensiva. li Pelloux ritenne di superare il problema mantenendo il reclutamento a carattere nazionale, ma adottando un sistema di mobilitazione regionale. Gli fu contestato naturalmente che i richiamati avrebbero così dovuto prestare servizio in reparti del tutto sconosciuti, con ufficiali e sottufficiali mai visti prima, ma il ministro era convinto che, fra l'inizio della mobilitazione e l'impiego delle unità in guerra, vi sarebbe stato tempo sufficiente per consentire a ciascuna di esse di acquistare la necessaria integrazione ed il provvedimento fu attuato. Non riuscì, invece, al Pelloux di far approvare al Parlamento una nuova legge per regolare l' avanzamento degli ufficiali, legge che fu approvata soltanto quattro anni dopo. L 'esigenza di regolare l'avanzamento in modo tale da premiare i migliori, senza pregiudicare le condizioni di carriera ed economiche della massa, era profondamente sentita da tutti, ma non si era mai riusciti a trovare un accettabile punto di equilibrio. Ci si erano provati il Ferrero nel 1883, Il Ricotti nel 1886, il Bertolé-Viale nel 1889, tulli senza successo. Ci provò anche il Pelloux. I punti fondamentali della sua proposta di legge erano tre: ruolo unico per tutti gli ufficiali superiori; avanzamento a scelta solo per un quinto del ruolo; limiti di età rigidamente fissi, dai 48 anni per gli ufficiali inferiori ai 68 per i tenenti generali comandanti di corpo d'armata. Il disegno di legge fu bocciato al Senato in seconda lettura, soprattutto per le perplessità di molti senatori generali sull'opportunità di un provvedimento che immetteva nello stesso ruolo ufficiali di provenienza diversa (dall'acca-
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demia militare, dalla scuola normale, dai sottufficiali), per i quali un giudizio comparativo sarebbe stato poco equo anche in considerazione del diverso tipo di servizio lino ad aatora prestato. Anche l'introduzione di un limite di età per i generali rappresentava una novità poco gradita agli interessati. Gli ordinamenti dell'epoca, infani, non prevedevano limiti di età per i generali, che potevano essere collocati in congedo solo a domanda oppure d'autorità, come aveva fatto il Mezzacapo. Gli alti gradi dell'esercito erano perciò pieni di ufficiali troppo anziani, non più idonei a guidare grandi unità in guerra. Al riguardo il 23 settembre 1891 Pelloux così aveva scritto al sovrano: " ... Mi sento, lo confesso, non poco preoccupato quando penso alla possibilità di una guerra non lontana e questa mia preoccupazione, di cui ebbi già l'onore di far parte a V. M., si fa più viva oggi appunto che sto preparando il bollettino di mobilitazione... ". Il Pelloux credette possibile risolvere il problema nel più ampio quadro di una nuova legge di avanzamento, ma la non facile impresa non riuscì sul momento nemmeno a lui. Con la caduta del primo ministero Giolitti, nel dicembre 1893, anche il Pelloux lasciò il governo. Nel nuovo ministero, presieduto da Francesco Crispi, il dicastero della Guerra fu assegnato al generale Mocenni <1>, che rinunciò al principio del bilancio consolidato cd accettò una diminuzione di venti milioni del bilancio ordinario. La gestione del nuovo ministro, condizionata dall'estrema ristrettezza delle risorse linanziarie, peggiorò la già poco brillante condizione dell'esercito. Il Mocenni economizzò in tutti i settori, soppresse perfino i collegi militari di Milano, Firenze e Messina e l'unico maggior generale del corpo di commissariato, ma fu costretto, per mantenere le spese entro i limiti di bilancio, ad esasperare l'ormai consolidato espediente di ritardare la chiamata e di anticipare il congedamento delle classi di leva. Il periodo di forza minima passò da quattro mesi (novembre-febbraio) a sei (ottobre-marzo), provocando un'ulteriore scadimento del livello di addestramento dei reparti ed un'ulteriore demoralizzazione dei Quadri. La fom1 dei reparti scese a livelli talmente bassi che alla fine del 1893 fu necessario richiamare alle armi, per servizio di ordine pubblico, riservisti appartenenti a due classi di leva! Al ministro Moccnni deve comunque essere riconosciuto il merito di aver presentato al Parlamento nel 1895 un progetto di legge per attuare i] reclutamento territoriale, progetto che fu respinto perchè i parlamentari "riparandosi dietro lo schermo della fedeltà alla tradizione risorgimentale, dimostrarono in realtà di non condividere l'ottimismo politico-sociale (I) S1anislao Mocenni (1837-1907). So1101enente di fan1eria nell'esercito toscano nel 1857 passò in quello Italiano nel 1860. Passato nel corpo di Staio Maggiore insegnò statistica alla Scuola di Guerra e, promosso colonnello nel 1877, comandò il collegio militare d1 Firenze. Maggior generale nel 1884 comandò la brigata Aosta. Tenente generale nel 1890 comandò la divisione di Perugia. Dopo aver reno il min istero della Guerra dal 1893 al 1896 fu collocato in djsponibilità. Rappresentò alla Camera dei Deputati il collegio di Siena per circa venti anni.
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che era alla base del progetto Mocenni" <2>. Nel periodo Mocenni fu poi completato il programma di approvigionamento del fucile a ripetizione ordinaria mod. 1891, del tutto competitivo con i fucili in dotazione ai maggiori eserciti europei, e fu finalmente approvata la tanto attesa legge di avanzamento. In effetti il provvedimento non rappresentò quel toccasana per i mali del corpo ufficiali in cui molti speravano e nemmeno uno strumento legislativo tale da favorire una oculata selezione del personale e, quindi, un miglioramento dell'efficienza dell'esercito. La nuova legge, che si rifaceva più al progetto di legge Ricotti che a quello Pelloux, mantenne la suddivisione in ruoli separati d'arma per gli ufficiali fino al grado di tenente generale, accolse il principio dell'avanzamento ad anzianità fino al grado di colonnello, ad esclusione del corpo di Stato Maggiore, e ridusse ad un quarto i posti riservati ai sottufficiali nelle nomine a sottotenente. E quest'ultima disposizione rappresentò il contributo migliore della legge alla necessaria crescita qualitativa del corpo ufficiali, crescita imposta dalla sempre maggiore industrializzazione della guerra e, quindi, dalla sempre maggiore utilizzazione di competenze tecniche anche nell'ambito dell'esercito. Per quanto l'argomento non si presti a superficiali generalizzazioni e non manchino esempi, anche molto clamorosi, di ufficiali provenienti dai sottufficiali che hanno saputo distinguersi, è necessario riconoscere che la preoccupazione del legislatore di offrire alla benemerita ed indispensabile categoria dei sottufficiali un incentivo a fare meglio ed un premio per i tanti sacrifici sopportati, dando loro la possibilità della promozione ad ufficiale, non si rivelò alla lunga un provvedimento benefico per l'esercito. Transitarono, infatti, nella categoria superiore molti elementi validi che, se non si distinguevano per la cultura, erano però in possesso di molto mestiere, animati da un sincero attaccamento alle istituzioni ed orgogliosi del più alto livello sociale raggiunto, ma per molli, troppi altri clementi il passaggio di categoria risultò poco felice. Promossi sottotenenti già in età matura, privi di un adeguato titolo di studio, considerati con qualche sufficienza dai più giovani colleghi usciti dalle scuole militari, poco stimati dagli stessi sottufficiali da cui venivano ritenuti non più capaci ma unicamente più fortunati, impiegati in incarichi poco brillanti - quelli che in altri eserciti erano devoluti esclusivamente ai sottufficiali senza grandi prospettive di carriera, questi ufficiali di serie "B" costituirono una massa grigia di burocrati in uniforme, scrupolosi esecutori di rigide norme amministrative e disciplinari ma incapaci di un qualsiasi impulso vivificatore nel condurre l'addestramento dei reparti, duri e poco comprensivi dei bisogni del soldato, al quale spesso si imponevano con l'autorità del grado e non con il prestigio dell'istruzione più elevata e del tratto più signorile. L 'averne ridotto il gettito fu, quindi, un provvedimento positivo. (2) P. Del Negro, La ltva militare dall'unità alla grandt guerra. in L'esercito italiano dall'unità alla grandt guerra ( /861-1918). USSME, Roma 1980, pag. 454.
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La gestione del ministro Mocenni fu purtroppo anche caratterizzata da un maggior impiego delle unità dell'esercito per la tutela dell'ordine pubblico. Il nuovo ministero, infatti, si era appena presentato alle Camere che incominciarono i "primi disordini a Partinico, in provincia di Palenno. E dopo Partinico, con varia intensità in parecchie province. in una quindicina di comuni: incendio o tentato incendio di municipi cd uffici delle imposte, distruzione di circoli dei signori e di casotti daziari, interruzione di linee telegrafiche e violenze contro cittadini e soldati. Erano specialmente minuscoli proprietari, piccoli affittuari, giornalieri, borghesi. tutti gravati dall'aumento crescente dei fitti, dall'impoverimento della terra per effetto del cattivo regime dei contratti agrari, dai debiti usurari, dalla proletarizzazione crescente, e soprattutto dal malgoverno dei comuni che alle loro molte spese, anche se meramente voluttuarie ed improduttive, sopperivano più che altro coi proventi del daLio sui beni di consumo, primissimo cespite delle entrate locali, imposto senza equità, riscosso in modo vessatorio" (3>. Il Crispi, pur ammettendo che il malcontento dei lavoratori raccolti nei Fasci era giustificato, di fronte ad una agitazione sempre più intensa non seppe far altro che proclamare il 3 gennaio 1894 lo stato d'assedio in tutta la Sicilia, affidando i pieni poteri al generale Morra di Lavriano <4>. In Lunigiana qualche migliaio di minatori insorse allora al grido di "viva la Sicilia", rapidamente gli insorti trovarono armi, si raccolsero in bande, improvvisarono barricate, interruppero strade e lince telegrafiche; nel Cremonese si verificò un grosso sciopero agrario; nelle Marche e in Puglia altre significative manifestazioni. E l'ordine fu dovunque ristabilito dall'esercito, con conseguenti sparatorie, deferimenti ai tribunali militari, invio degli elementi ritenuti pericolosi al domicilio coatto, scioglimento di circoli e di associazioni. Indubbiamente una repressione violenta, del tutto sproporzionata alla pericolosità reale delle manifestazioni che non tendevano alla dissoluLione dello stato unitario, come affermava il Crispi, ma molto più modestamente solo alla trasfom1azione dei contralli agrari d'affitto in mezzadria ed a qualche piccolo aumento salariale. Per quanto l'esercito avesse adempiuto ai suoi doveri solo per spirito di disciplina, la riprovazione di larga parte dell'opinione pubblica gravò sul morale degli ufficiali, da sempre. convinti che la loro funzione consistesse nella difesa delle frontiere e non nella tutela dell'ordine interno.
(3) G. Volpe, Italia Moderna, Sansoni. Firenze 1946. voi. I, pag. 373. (4) Roberto Morra di Lavriano e della Montà (1830-1917). Sonotenente di cavalleria nel 1848. partecipò atte guerre d'indipendenza meritando una medaglia d'argento a Custoza. Colonnello nel 1868. maggior generale nel t 877. tenente generale nel t 883 comandò successivamente le div1s1om di Padova. Milano e Roma ed il corpo d'armata di Napoli Alla fine del 1893 fu inviato a Palermo come comandante del corpo d'armata e regio Commissario Straordinario. L'anno successivo ebbe il comando del VI corpo d'armata e nel 1895 dell'VIII. Deputato nella Xll 0 legislatura. nel 1890 fu nominato senatore. Dal 1898 fu ambasciatore in Russia per più anni.
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2. La vicenda più triste e più avvilente per l'esercito si verificò però in Africa. Dopo la partenza del generale di San Marzano nell'aprile 1888, il Baldissera aveva affrontato il problema dell'espansione della colonia con spregiudicato realismo, sfruttando abilmente le discordie tra i capi locali ed impiegando truppe di colore. Già il colonnello Saletta, nel dicembre del 1885, aveva arruolato parte dei basci-buzuk che precedentemente erano al servizio egiziano, formando delle bande irregolari. Cresciute poi di numero, queste bande nel 1886 furono poste sotto il comando del colonnello Begni, un ufficiale in congedo pratico dei costumi africani e buon conoscitore della lingua e delle abitudini delle tribù costiere del mar Rosso. Le prove offerte da questi primi reparti irregolari furono nel complesso buone cd il Baldissera arruolò quattro battaglioni di fanteria, numerati progressivamente dal I al IV, suddivisi in quattro compagnie (dette tabur) su due meuc compagnie (mustabur), ciascuna di quattro squadre (buluc). Tutti i reparti superiori al buluc furono comandati da ufficiali nazionali e con il regio decreto del 30 giugno 1889 i battaglioni furono riuniti in un solo reggimento, il Reggimento Fanteria Indigeni, che presto si rivelò troppo pesante per truppe che agi vano di norma frazionate. li 3 settem brc 1890 iI reggimento fu perciò sciolto ed i battaglioni, divenuti autonomi, si distinsero dal nome del comandante e dal colore del fiocco del copricapo e della fascia: rosso per il I, azzurro per il II, cremisi per il 111 e nero per il IV. Furono costituiti, inoltre. due batterie da montagna e due squadroni, tanto che nel giugno 1891 il Corpo speciale d'Africa contava 90 ufficiali italiani, 49 sottufficiali indigeni e 4860 ascari. Nel 1895 furono poi costituiti altri quattro battaglioni, dal V all'VIIL Nel marzo 1889 il negus Giovanni fu sconfitto ed ucciso in battaglia dai dervisci e sul trono di Giuda san Menelik, ras dello Scioa. Al presidente Crispi allora la politica realista del Baldissera non sembrò più adeguata. Come ha scritto il Volpe "Al posto di un programma economicamente vastissimo, militarmente e politicamente ridotto ma concreto e sicuro, che mirava al Tigré, quale era caldeggiato dal governatore di Massaua gen. Baldissera, Crisp\ ne preferì, per le suggestioni di Antonelli (diplomatico italiano accreditato presso il negus), un altro che pareva assai più grande ma che presto si dimostrò poco attuabile e gravido di pericoli: un protettorato su tutta l'Etiopia. E si firmò, 2 maggio I 889, il trattato di Uccialli: che ebbe una dolorosa storia. Si fece più vivo, dopo d'allora, il contrasto tra la tendenza antonelliana e governativa che aveva puntato su la carta Menelik (programma scioano) e quella di Baldissera che in Mcnelik non credeva e che preferiva un'intesa con gli clementi tigrini più vicini e da noi controllabili (programma tigrino)" <5l. Baldisscra, che già il 2 giugno aveva occupato Cheren e 1'8 agosto Asmara, spingendosi fino all'allineamento Mareb-Belesa, adducendo ragioni di
(5) G. Volpe. op. c11.. pag. 297.
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salute chiese di essere rimpalriato. Crispi lo sostitul con il generale Orero (6), ma anche il nuovo governatore si convinse presto che il Tigré non dovesse essere abbandonato e, nonostante gli ordini del governo, che non riteneva prudente avanzare, il 26 gennaio del 1890 arrivò ad Adua e, con un distaccamento comandato del capitano Toselli (7), si spinse fino a Makallé, località delle quali tuttavia si ritirò, pago dell'affermazione conseguita. Intanto, con decreto del I O gennaio 1890, tutti territori occupati furono amministrativamente accorpati nella Colonia Eritrea ed incominciò qualche timido tentativo di valorizz.at.ione agricola del possedimento. Caduto il Crispi e divenuto Presidente del Consiglio il di Rudinì, la politica africana cambiò ancora, il nuovo Presidente espresse alla Camera le sue intenzioni con molta franchena. "Stare in pace con Menelik, seguir nè politica scioana nè politica tigrina; rinunciare ad ogni tentazione di andar oltre il triangolo Massaua-CherenAsmara verso il contrastato confine del Magreb; procedere ad una graduale trasformaL.ione della colonia da militare in civile e commerciale. E cominciò a ridurre da 20 a 8 i milioni del bilancio africano; che era come togliere ogni nerbo alla nostra azione e contentarsi di invecchiare al margine dell'Africa" <8>. Anche con il successivo governo Giolitti la situazione della colonia rimase incerta, soprattutto per quanto riguardava il confine del Magreb-Belesa, non riconosciuto da Mcnelik. Il 15 dicembre 1893 il Crispi ritornò al governo ed il 21 il colonnello Arimondi <9 > ottenne ad Agordat una bella vittoria contro i dervisci, risollevando decisamente il nostro prestigio in Africa, dove la forza delle truppe mahadiste era ben conosciuta. Il Crispi comunque non incoraggiò a.lioni militari, preoccupato dal cattivo stato delle finanze e dai sommovimenti interni, ma lasciò libero di agire il generale Baratieri, vecchio garibaldino e vecchio amico, che aveva finalmente ottenuto nel 1892 !'incarico di governatore della colonia. Ed il Baratieri attaccò di sorpresa Cassala nel luglio 1894, sbaragliando ancora i dervisci. Seguirono poi alcuni fortunati combattimento ad Halai, a Coatit, a Senafé contro i ras tigrini ribelli, tutti fatti d'arme che videro le nostre truppe indigene battersi con ordine e con valore e che forse determinarono nei nostri comandi un a pericolosa sottovalutazione dell'avversario. Nella seconda metà del 1895 la situazione divenne improvvisamente pericolosa. Menelik, allarmato dalla ripresa offensiva italiana e non più preoccupato dalla minaccia mahadista, si decise per la guerra, aiutato dai Francesi e
(6) Baldassarre Orero (1841 - 1914). Sottotenente dei bersaglieri nel 1859. partecipò alla seconda ed alla terza guerra d'indipendenza. Colonnello nel 1880 comandò il 21° fanteria e la brigala Calabria. Maggior generale nel 1887 fu comandante superiore in Africa nel 1889- I 890. Rien1rato in patria, comandò la brigata Porma. le divisioni di Brescia e di Roma e, promosso tenente generale, I' Xl corpo d'armata. Fu anche commissario italiano per la delim1taLione dei confini ira gli stali balcanici nel 1878-1879. Pubblicò alcuni volmm dt storia militare e d1 ricordi. (7) Del maggiore Toselli vds. il breve profilo biografico nella pane Il di questo volume. (8) G. Volpe. op. cit.. pag. 351. (9) Del generale Anmondi vds. iJ breve profilo biografico nella pane Il di questo volume.
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persino dai Russi, che avevano scoperto il fragile legame esistente tra la chiesa ortodossa e quella copta e che inviarono anch'essi armi e forse istruttori. In realtà Francia e Russia, creando fastidi all'Italia, miravano ad indebolire la Triplice Alleanza, che, dal canto suo, non ci fu in quel frangente di nessun vantaggio. Il Baratieri allora, dopo aver nuovamente sconfitto i Tigrini a Debra Hailà il 9 ottobre, ripiegò su Edagà-Hamus lasciando, come punte estreme dell'occupazione italiana, il maggiore Toselli con il suo IV battaglione indigeno all'Amba Alagi ed il maggiore Galliano (IO) a Makallè con il III. Mentre il Baratieri sostava, indeciso sul da farsi e sempre in attesa di quei rinforzi che aveva di persona tanto sollecitato nell'estate, Menelik radunò le truppe ed incominciò a muovere. Primo a cadere fu il presidio dell'Amba Alagi , che non si era voluto ritirare per tempo. Il sacrificio del Toselli e del suo magnifico IV battaglione eritreo fu in seguito sempre ricordato con fierezza dalle nostre truppe indigene, ma quella indiscutibilmente bella pagina di valore fu però un successo per l'armata abissina che si diresse contro Galliano. Dal 7 al 23 gennaio 1896 il forte di Makallè sostennne l'assedio con estrema determinazione sotto la guida dell'esperto e valoroso maggiore Galliano, che si decise ad abbandonare la posizione solo quando il Baratierì ottenne da Menelik un'onorevole capitolazione. Nel frattempo arrivavano in colonia i rinforzi tanto richiesti, creando però non pochi problemi per il loro sostentamento, date le condizioni di insicureaa delle vie di comunicazione. TI Baratieri era sempre incerto, stretto tra il desiderio di una netta vittoria che cancellasse l'insuccesso dell'Amba Alagi e di Makallè ed il timore di non aver sufficienti forze a disposizione. Anche Menelik, accampato nei pressi di Adua, era incerto. I combattimenti dell'Amba Alagi e di Makallè lo avevano reso cauto e, forse, come era già accaduto ai tempi del negus Giovanni e del generale di San Marzano, l'esercito etiopico avrebbe finito per dissolversi , ma il Crispi per motivi di politica interna ora voleva a tutti i costi una vittoria. Convinto di possedere tutte le necessarie qualità per dirigere opera.doni militari, non per niente infatti aveva fatto parte dell'entourage di Garibaldi nel 1860, il Crìspi tempestò di telegrammi sarcastici e francamente offensivi l'indeciso Baratieri che, alla fine, si risolse ad avanzare verso Adua, spinto ad osare anche dai suoi comandanti di brigata, specie dall' Arimondi. E così, senza molta convinzione, la notte del I O marzo I 896, il corpo di spedizione si mosse "in direzione di Adua", come prescriveva l'ordine di operazione, articolato su tre colonne di brigata avanzate ed una di riserva dietro la colonna centrale. Senza carte topografiche, con guide indigene di dubbia fedeltà, le truppe si mossero nell'oscurità più completa e ben presto le colonne persero il contatto tra di loro e con il comando. Prima ad incontrare il
( 10) Del maggiore Galliano vds. il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
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nemico fu la colonna di sinistra, costituita dalla brigata indigeni e comandata dal maggior generale Albertone, che all'improvviso, verso le 06.1 O del mattino, si trovò ad urtare contro 20 o 30.000 Scioani "alle 10.30 la tragedia era compiuta: 48 ufficiali su 81 erano caduti, quasi tutti gli altri feriti e fatti prigionieri , compreso lo stesso Albcrtone, ferito e caduco sotto il cavallo colpito a morte ... Verso le I0.00 del l O marzo oltre un quarto del corpo di spedizione (la brigata contava 4772 uomini e 14 pezzi) era annientato" (11). La colonna Dabormida, a destra dello schieramento iniziale, non ebbe miglior fortuna. Alle 05.15 occupò il co Ile Rebbi Arienni, obiettivo stabilito dall'ordine di operazione, raggiunta mezz'ora dopo dalla colonna di centro comandata dal l'Ari mondi. Il Baratieri, accortosi dal fuoco di fucileria alla sua sinistra che la brigata Albertone era entrata in combattimento, emanò nuovo ordini, per ricostruire una linea difensiva davanti al monte Rajo. Ma gli Abissini si mossero con una maggior velocità e poco dopo le 10.00 attaccarono la brigata del I' Arimondi, addirittura sommergendola come una marea, mentre la cavalleria dei Galla e degli Scioani attaccava la brigata di riserva Ellcna, ancora in marcia. Nel frattempo la brigata Dabormida, che aveva ricevuto l'ordine di spingersi a sud per sostenere la brigata Albertone e presidiare il monte Belah, inspiegabilmente aveva proseguito la marcia per la valle di Mariam Sciauitò verso nord. E in quel fondovalle acquitrinoso verso le 10.30 la brigata fu attaccata da preponderanti forze abissine, improvvisamente comparse sui monti soprastanti. La lotta si protrasse per circa sei ore, aspra e sanguinosa, ma anche il sacrificio del Dabonnida, che guidò più volte contrattacchi disperati prima di essere ucciso, non servì ad evitare la sconfitta, solo pochi resti della brigata riuscirono infatti a ritirarsi ad Adi Cahié cd ali' Asmara. Su 9.837 soldati e 57 1 ufficiali nazionali, trovarono la morte nell'infelice battaglia 3.772 soldati (oltre il 38%) e 262 ufficiali (i l 46%). Le perdite dei reparti indigeni non sono esattamente valutabili ma furono certamente molto gravi. Quanto agli Etiopici con una certa sicurezza si può affermare che ebbero almeno 7.000 caduti e 10.000 feriti. Il 4 marzo giunse a Massaua il nuovo governatore, generale Baldissera, che riuscì a riprendere alla mano la situazione. Menelik, impressionato dalle perdite e consapevole che nella colonia erano ancora presenti quindicimila uomini, non inseguì e firìì con il ritirarsi verso lo Scioa, lasciando nel Tigré i capi locali con circa dodicimila armati. Il Baldissera per prima cosa affrontò i dervisci, ritornati minacciosi a Cassala, e li sconfisse duramente a Tucruf il 3 aprile, poi si mosse verso Adigrat, dove un nostro presidio era da tempo assediato. Il 4 maggio Baldissera giunse ad Adigrat, che i Tigrini avevano precipitosamente abbandonato all'approssimarsi delle nostre truppe, liberando così il
(11) S. BeUassai, Da Assab ad Adua. in L'esercito italiano da/l'unitil alla grarule guerra (1861 - 1918), USSME, Roma 1980, pag. 206.
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presidio che, sotto la guida del valoroso maggiore Prestinari 02), aveva per 65 giorni resistito alle pressioni anche psicologiche di ras Sebat che aveva persino minacciato di uccidere 15 ufficiali e 100 soldati italiani, finiti nelle sue mani ad Adua, se il forte non si fosse arreso. Baldissera, in seguito alle disposizioni del governo nazionale che desiderava soltanto chiudere la partita nel più breve tempo possibile, il 18 maggio rientrò nei confini della colonia, dopo aver ottenuto la restituzione dei nostri prigioneri in mano ai Tigrini. Qualche tempo dopo fu firmata la pace, l'Italia rinunciò al trattato di UcciaJli, Menelik riconobbe la linea di confine Mareb-Belesa-Muna. Ma per l'esercito la partita non si chiuse tanto presto e tanto facilmente. Considerando gli avvenimenti con serenità, come è possibile oggi, Adua non avrebbe dovuto rappresentare nulla più di una dolorosa sconfitta, grave ma non irreparabile, dovuta soprattutto, volendo ricercarne beninteso solo le cause immediate, aJla mancanza di sicure informazioni sul terreno e sul nemico e ad una sottovalutazione del potenziale bellico abissino. Il corpo di spedizione si era battuto bene: due generali, Arimondi e Dabormida, erano caduti sul campo, un terzo, Albertone, era stato ferito; il nemico, pur vittorioso, non aveva osato avanzare impressionato dalle perdite subite; il Paese disponeva delle risorse materiali per ribaltare la situazione. Sconfitte di quelle dimensioni non erano nuove per Nazioni abituate alle imprese coloniali, le truppe anglo-egiziane avevano subito, nel novembre del 1883, una sconfitta pesantissima a el-Abeid ad opera delle truppe rnahadiste e quelle francesi avevano dovuto registrare molti episodi infelici in Algeria prima della definitiva conquista, ma la classe dirigente italiana non possedeva la freddezza necessaria e "come nel 1866 una sconfitta in campo militare fu rapidamente trasformata in una sciagura nazionale dal pandemonio pubblico che suscitò" 03>. T utta l'Itali a fu squassata da fremiti rivoluzionari. "L'antimilitarismo minacciava le forze armate, i repubblicani la monarchia, i socialisti i proprietari delle fabbriche di Milano, i contadini senza legge i proprietari terrieri del Mezzogiorno"< 14>. Naturalmente cadde il governo Crispi ed il re fu costretto ad affidarsi al generale Ricotti, da sempre contrario alla politica africana ed aJl'aumento delle spese militari, ma amministratore valido, di grande prestigio nell'esercito e
(12) Marcello Prestinari (1847- 1917). Proveniente dai bersaglieri. si distinse giovanissimo nella repressione del brigantaggio. lnvi:110 in Entrea nel 1887. vi ritornò nel 1895 da maggiore. Dopo aver meritato una medaglia d'argento a Coatit, resse il comando del forte di Adigrat sostenendo un assedio durato 65 giorni Promosso tenente colonnello per meriti d1 guerra, nel 1903 fu promosso colonnello e comandò 11 45° fanteria. Collocato nella riserva per limiti di età, allo scoppio della 1• guerra mondiale chiese di essere richiamato in servizio e. con il grado di maggior generale. cadde alla testn della brigata Enna suU'alupiaoo di Asiago. Alla sua memoria fu conferita la medaglia d'oro al V.M. (13) J Whiuarn, Storia de/l'eserc,ro i1a/1a110, R1zzoli. Milano 1979, pag. 204. (14) J. Whiuam, op. cir.. pag. 205.
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molto stimato nel Parlamento. li generale non desiderava però la Presidenza del Consiglio, ambiva invece a ritornare al dicastero della Guerra; fu così possibile formare un gabinetto, con alla presidenza il di Rudinì e con il generale Ricotti alla Guerra, con il compito di liquidare in fretta l'eredità crispina. 3. Secondo il Rochat "Adua fu una sconfitta decisiva perchè mise a nudo gli equivoci di una politica di potenza condotta senza la forza necessaria e influenzata da preoccupazioni di carattere interno" <15), ma a pagare il prezzo di quegli equivoci e di quelle preoccupazioni fu l' esercito, che già da anni attraversava una profonda crisi morale. "Nella sfortunata campagna il corpo di spedizione era dapprima stato incautamente spinto ali' azione dalle autorità politiche, che avevano cercato, dopo il disastro, di scaricare l'intera responsabilità sui militari. L'esercito divenne quindi il capro espiatorio della sconfitta di Adua e le conseguenze. anche morali, di un simile avvenimento non mancarono di farsi sentire, non a caso furono gli ufficiali reduci dall'Africa ad intentare causa allo Stato per ottenere l'indennità di entrata in campagna" (l6), ha scritto Domenico de Napoli ed il giudizio può essere condiviso. 11 malessere profondo che attraversava l'ufficialità italiana era anche accentuato dall'eccessiva stagnazione delle carriere che la nuova legge sull'avanzamento non aveva eliminato. Gli errori commessi nella programmazione organica affiorano soltanto dopo molti anni, quando è estremamente difficile porvi un qualche rimedio. L'immissione contemporanea in servizio di migliaia e migliaia di sottotenenti, avvenuta nei primi anni dell ' unità nazionale e ritenuta allora necessaria, si dimostrò un quarto di secolo dopo del tutto negativa per lo svolgimento ordinato delle carriere. Gli ufficiali usciti dagli istituti militari dopo il 1865 trovarono ben presto preclusa ogni possibilità di avanzamento. Altro grave errore fu poi commesso nel 1882 quando, per costituire subito i due nuovi corpi d'armata previsti dall'ordinamento Ferrero, furono promossi in gran fretta un migliaio di sottotenenti. La permanenza nel grado di capitano salì per la fanteria, l'arma più penalizzata, dagli otto anni del 1888 ai quattordici del 1896 ed ai diciassette del 1902. Alla fine dell'Ottocento non era certo un evento straordinario incontrare nelle caserme italiane un indaffaratissimo ufficiale di picchetto ultra quarantenne. I tanti, troppi anni di permanenza nei gradini meno elevati della gerarchia significavano non solo un progressivo affievolirsi dell'entusiasmo professionale, inevitabilmente penalizzato dalla annosa ripetizione di attività di non elevato contenuto intellettuale, ma anche un progressivo avvilimento dell'ufficiale a
( 15) G. Rochat e G. Massobrio, Breve storia de/l'esercito italiano dal 1861 al 1943. Einaudi, Torino 1978. pag. 197. (16) D . De Napoli , I/ caso Ranzi ed il modernismo militare. in L'esercito italiano dal/'1111ità alla grande guerra (1861-1918/. USSME, Roma 1980, pag. 230.
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causa del troppo basso livello degli stipendi, non sufficientemente corretto dagli scatti sessennali. Verso la fine degli anni Ollanta il malessere della categoria si era coagulato nella richiesta di una "equa" legge di avanzamento, che avrebbe dovuto garantire a tutti gli ufficiali una più celere progressione di carriera ed il raggiungimento di un grado più elevato, ma, come si è visto, la nuova legge non aveva risolto il problema. Per la prima volta nella storia dell' esercito italiano il malessere del corpo ufficiali si espresse anche attraverso la stampa, sopraltulto sulle pagine del trisettimanale L 'esercito italiano, molto vivace, ben informato e sempre polemico nei confronti di un altro organo di stampa, l 'uflicioso Italia militare che, alla fine, doveltc soccombere. La polemica, insolitamente astiosa ed insistita, ebbe come bersaglio preferito gli ufficiali diplomati alla Scuola di Guerra e quelli appartenenti al corpo di Stato Maggiore, ritenuti responsabili di un ulteri ore rallentamento degli avanzamenti a causa dei vantaggi di carriera loro concessi e, naturalmente, giudicati non meglio preparali sollo il profilo tecnico-professionale, ma unicamente più fortunati e più raccomandati dei comuni ufficiali. Per la verità anche il Parlamento, ritenuto incompetente ed ostile in quanto non aveva provveduto ad approvare con sollecitudine la tanto attesa nuova legge sull'avanzamento, raccolse una buona dose di contestazioni, ma "l'idra" da abbattere senza pietà rimase sempre lo Stato Maggiore, di regola definito borioso, inconcludente, ignaro dei veri problemi dell'esercito ed unicamente preoccupato di conservare i propri privilegi. Sull'effeuiva portala di quelle polemiche il giudizio è controverso, il corpo ufficiali non ne fu, comunque, lacerato, il corpo di Stato Maggiore sopravvisse e continuò ad essere impietosamente messo in discussione, la nuova legge d 'avanzamento non risolse i problemi, il malessere dell'esercito continuò. Alcuni storici hanno ritenuto che tra le cause del malcontento degli ufficiali, specie di quelli inferiori, fossero da annoverare anche il regime disciplinare troppo duro cd i frequenti abusi d'autorità dei superiori. Il rilievo non sembra fondato. Il regime disciplinare dell'esercito italiano, derivato da quello in vigore nell'armata sarda, fu sempre sollecito nei confronti dell'inferiore ed il fondamento della disciplina fu sempre non il beneplacito del superiore, ma la giustizia. Già il regolamento di disciplina promulgato dal La Marmora conteneva una norma aurea, poi ampiamente recepita nei regolamenti italiani: "li superiore si acquista l'affetto e la stima degli inferiori spiegando una volontà ferma e decisa, una giustizia pronta, imparziale ed efficace, una condotta esemplare, un contegno dignitoso e soprattutto una compiuta perizia ed istruzione negli uffici del suo grado ed un coraggio a tutta prova negli incontri col nemico". Il ministro Casana nel 1908 volle istituire una "Commissione dei ricorsi", allo scopo di far valutare i reclami da un collegio autorevole e indipendente dall'amministrazione militare. La Commissione dal maggio 1908 al gennaio
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1911 esaminò 404 ricorsi, di cui solo 37 riguardavano questioni di indole disciplinare, tanto che concluse la relazione finale con queste parole: "Cifre queste che autorizzano ad un rilievo: che il governo disciplinare del nostro esercito è tale che non dà luogo a fondate lagnanze e che il nostro ufficiale ha elevato e tenace in sè il sentimento di disciplina". E avendo trattato l'oggetto della contesa sembra opportuno almeno un cenno sui contendenti, anche se delineare l'immagine dell'ufficiale italiano dell'ultimo Ottocento e del primo Novecento non è impresa agevole. Non esistono, infatti, né coeve ricerche metodologicamente corrette né raccolte di dati statistici sufficientemente rappresentativi né uno spoglio esauriente della stampa militare di quel periodo che ci possano chiarire con adeguata approssimazione chi fossero gli ufficiali italiani dell'epoca. In mancanza di una valida ed estesa documentazione gli studiosi hanno spesso attribuito un eccessivo valore probatorio a due opere autobiografiche, La vita di un ufficiale italiano sino alla guerra di Eugenio De Rossi <17) e Nell'esercito nostro prima della guerra di Emilio De Bono (l8), due volumi di piacevole lettura e di facile consultazione anche oggi, scritti da due autori che dell'esercito avevano certamente una conoscenza approfondita e di prima mano. Probabilmente a causa delle particolari condizioni psicologiche del De Rossi, costretto su una sedia a rotelle dalla paralisi degli arti inferiori dovuta ad una ferita di guerra, e delle finalità politiche del De Bono, la costante denigrazione dell'/talietta parlamentare era infatti norma nel periodo fascista, molto probabilmente contro le loro stesse intenzioni, questi due libri sono addirittura popolati, come ha notato il Ceva, di "ufficiali avviliti dalle strettezze e dalle carriere bloccate, inaciditi ed incolti" (l9) ed hanno quindi offerto un eccellente contributo a tuttì coloro che hanno voluto caratterizzare in modo negativo l'ufficiale italiano dell' Ottocento. E come se non bastasse spesso viene invocata al riguardo l'autorità di Giolitti, secondo il quale "da due generazioni nelle famiglie italiane non si sono avviati alla carriera militare che i ragazzi di cui non si sapeva che cosa fare, i discoli ed i deficienti" <20). L'affermazione è profondamente ingiusta e testimonia soltanto l'amarezza acrimoniosa dell'uomo politico messo da parte e, forse, il ricordo di una ( 17) Eugenio De Rossi (I 863-1929). Sottotenente di fanteria nel I 883, percorse una normale carriera, alternando periodi di permanenza ai repani con incarichi allo Stato Maggiore ed alla Scuola di Guerra. Promosso colonneUo nel I 9 I 2 comandò il 12° bersaglieri con il quale fu inviato allo scoppio della I' guerra mondiale sul fronte giulio. Promosso maggior generale il 29 maggio 1915 e destinato al comando della brigata Cagliari. ottenne di guidare il suo vecchio reggimento all'attacco alle posizioni austriache di monte Merzly del 2 giugno successivo. Ferito durante l'attacco rimase pennancntemente paralizzato agli arti inferiori. Autore di alcuni pregevoli saggi storici. nel dopoguerra pubblicò i suoi ricordi. La vita di un ufficiale italiano sino alla guerra, opera interessante e vivace che però molto risente del carattere intollerante dell'autore, ancora inasprito dalla dolorosa infcm1ità. (18) Vds. di Emilio De Bono il breve profilo biografico nella parte li di questo volume. ( 19) L. Ceva, u forze armate, UTET, Torino 198 I, pag. 66. (20) O. Malagodi. Conversaii<mi della guerra 1914-1918. Ricciardi, Milano-Napoli 1960, pag. 200.
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gioventù trascorsa nell'impegnativo ma poco appagante disbrigo di pratiche burocratiche in tetri ambulacri ministeriali, mentre i suoi coetanei in divisa, meglio pagati e più ricercati, conducevano una più brillante vita sociale nella Roma umbertina. Per entrare nella Regia Accademia Militare di Torino o nella Scuola Militare di fanteria e cavalleria di Modena, gli aspiranti, in possesso di un adeguato titolo di studio conseguito nelle scuole medie superiori del regno, dovevano superare l'esame di ammissione, più o meno selettivo a seconda del numero dei candidati in relazione a quello dei posti messi a concorso, ma, comunque, sempre di una certa difficoltà, almeno a giudicare dal fatto che esistevano all'epoca speciali istituti scolastici per preparare i candidati agli esami. Quanto ai programmi di studio, sia quelli dell'Accademia sia quelli della Scuola Militare, erano in linea con i programmi seguiti nei similari istituti dei principali eserciti europei ed erano mirati a conferire al futuro ufficiale una preparazione professionale adeguata alle attribuzioni ed ai compiti di un ufficiale inferiore. A riprova del fatto che tra gli ufficiali italiani e quelli europei non esistevano gap culturali e professionali vi è la constatazione che gli ufficiali italiani che, a cavallo del nuovo secolo, operarono a stretto contatto con ufficiali stranieri, sia nell'ambito di commissioni internazionali <21 ) sia partecipando con reparti italiani ai corpi di spedizione internazionali <22 ), non avvertirono mai il benché minimo clisagio. Recentemente Paolo Langella, servendosi degli Annuari editi dall ' Accademia di Torino dal 1898 al 1915, ha tentato un'analisi del reclutamento degli ufficiali di artiglieria e del genio usciti dall'Accademia in quel periodo. I risultati più interessanti riguardano la provenienza regionale e familiare degli allievi ufficiali. Quanto alla provenienza regionale: su 1752 ammessi alla frequenza dei corsi, 994, pari al 53,9%, provenivano dalle regioni settentrionali; 245, pari al 14%, dalle regioni centrali; 563, pari al 32, I%, dalle regione meridionali e dalle isole. Il 77% degli allievi proveniva da città capoluogo di regione o di provincia, solo il rimanente 23% da centri minori. Quanto all'estrazione sociale: il 20, I% erano figli di ufficiali; il 15,3% proveniva dall'alta e media borghesia; il 7,3% dalla piccola borghesia; il 4% dalla nobiltà; il 43,3% non può essere rilevato in quanto negli Annuari sono indicati come figli di vedove o di cavalieri o di commendatori o di genitori che non avevano alcuna indicazione circa il loro stato.
(2 1) Commissione Internazionale incaricata di definire i confini degli Stati balcanici, in particolare di quelli tra Bulgaria e Romania ( 1878-1879); Commissione Internazionale di controllo del "cessate il fuoco" imposto dalle Grandi Potenze alle forze serbe e bulgare nel I 885 ed a quelle greche e turche in Tessaglia nel J897-98. L'Italia fu, inohre, incaricata di costituire la gendarmeria cretese (1896-1906), quella macedone (1904-191 I ) e quella cilena ( 1909-1911). (22) Corpo di Spedizione Internazionale a Creta (I 896-1906) ed in Cina (1900-190 I).
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Sono dati insufficienti a configurare compiutamente la figura dell'ufficiale in quel periodo, anche perché mancano i dati per i corrispondenti allievi della Scuola Militare di Modena per la fanteria e la cavalleria, ma utili almeno a smentire l'affermazione del Whittam, secondo cui la maggior parte dell'ufficialità italiana proveniva dagli ambienti agrari dell'Italia meridionale. Pur in mancanza di riscontri statistici inconfutabili, è possibile concludere che gli ufficiali dell'epoca, nel loro complesso, non fossero per nulla inferiori, quanto a cultura e quanto a ceto sociale, ai funzionari di prefettura, ai diplomatici, agli burocrati dell'amministrazione dello Stato e che, quindi, rappresentassero la società medio-alta italiana con i pregi e con i limiti che tale società esprimeva. Anche il Rochat, sempre molto severo nel giudicare e singole personalità e il corpo ufficiali nel suo complesso, è costretto dalla realtà delle cose ad ammettere che "il corpo ufficiali dell' esercito ebbe un livello notevole di competenza, dedizione, capacità di comando ed omogeneità con la classe politica, che gli permisero nel 1915-18 di reggere con saldezza un organismo bellico più ampio e complesso di qualsiasi previsione" (23). 4. Il clamore per la sconfitta di Adua non si spense tanto presto e la campagna denigratoria colpì indiscriminatamente politici e militari. Anche il capo di Stato Maggiore, il generale Primerano, fu coinvolto nelle polemiche e si dimise. "L'8 maggio alla Camera dei Deputati, l'onorevole Prinetti rilevò, sulla base dei documenti ufficiali pubblicati, l'assenza di notizie sull'attività del Capo di Stato Maggiore nella tormentata vicenda africana e, dimostrando una considerevole ignoranza sia dell'ordinamento militare italiano sia del contesto in cui si erano svolti i fatti, attribuì al Ministero della Guerra e al Capo di Stato Maggiore ruoli e responsabilità ben diversi da quelli effettivamente ricoperti . Né l'ex Ministro Mocenni, né il nuovo Ministro Ricotti, entrambi presenti alla seduta, intervennero per chiarire quale era effettivamente stata la situazione reale. Primerano, sdegnato per questo silenzio, diede le dimissioni" (24). Il Ricotti le accettò immediatamente e nominò capo di Stato Maggiore il generale Saletta. Il ministro era consapevole che il generale Primerano non era per nulla responsabile della condotta delle operazioni in Africa, sottratte da tempo, come si è visto, al controllo del dicastero della Guerra, ma non voleva un generale anziano ed autorevole, per giunta senatore, in quell'incarico. Il Ricotti riteneva che lo Stato Maggiore dovesse avere soltanto funzioni di studio e di consulenza e che, conseguentemente, il capo di Stato Maggiore dovesse essere "del tutto subalterno all'iniziativa del ministro". Di qui la nomina del Saletta ufficiale capace, ben conosciuto dal Ricotti, e soprattutto di grado non molto elevato.
(23) G. Rochat e G. Massobrio. op. cir.. pag. 167. (24) M. Grandi. li ruolo e l'opera del capo di Srato Maggiore dell'esercito (1894-/907). Edi1rice Ipotesi, Salerno 1983, pag. XII.
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Il Ricotti era anche sempre convinto che le finanze del regno d'Italia non fossero compatibili con un esercito articolato su 12 corpi d'armata e, non potendo più ritornare ad un ordinamento che ne prevedesse soltanto 1O a causa dei noti impegni assunti con la Germania, ripresentò al sovrano, una sua vecchia soluzione del problema: riduzione da quattro a tre delle compagnie, degli squadroni e delle batterie nei battaglioni-gruppi, per aumentare la forza media delle pedine elementari d' impiego e rendere possibile un migliore addestramento. • Il re sul momento dovette acconsentire, ma quando la situazione interna divenne più tranquilla, si accordò con lo stesso Presidente di Rudinì per impedire al Ricotti di portare a compimento la riduzione organica concordata. Indignato, il generale Ricotti si dimise nel luglio, il ministero fu rimpastato ed alla Guerra fu chiamato nuovamente il Pelloux, subito nominato senatore dal re. Il nuovo ministro subordinò il suo assentimento ad una condizione: il ritorno del bilancio militare ai livelli antecedenti al 1893. Era una condizione gradita al sovrano e di Rudinì la accettò senza riserve. Il Pelloux fu subito costretto a chiedere le dimissioni al Baratieri, assolto dall'accusa di incapacità dal tribunale militare di Massaua ma ugualmente ritenuto colpevole dall 'opinione pubblica, e fu un ' incombenza dolorosa perchè i due generali erano legati da una vecchia amicizia. Poi, come ministro della Guerra, fece tutto il possibile perchè la politica coloniale fosse completamente abbandonata, sostenendo, sulla base di una rigorosa valutazione del problema sotto l'aspetto finanziario, che la colonia era soltanto "una causa seria di grave indebolimento della nostra influenza in Europa". Chiusa la questione africana, il Pelloux si rimise al lavoro, ma non era quello un momento favorevole al potenziamento dell'esercito e, nonostante la sua grande esperienza e la sua ostinata determinazione, anche la sua gestione non si scostò dall'ordinaria routine. Nel dicembre del 1897, amareggiato dalla decisione della Camera, che peraltro non ebbe poi alcuna pratica attuazione, di sopprimere con immediatezza il Tribunale Supremo di Guerra e Marina, il Pelloux si dimise. Gli successe Alessandro Asinari di San Marzano, ma anche la gestione del vecchio comandante superiore di Massaua, durata fino al maggio del 1899, fu piuttosto grigia e senza smalto. Fu, ancora una volta, il fronte interno a provocare una nuova ondata di malessere all'esercito. Alla fine dell'aprile I 898 esplosero in molte regioni estesi moti popolari di protesta, originati sostanzialmente dal rincaro del prezzo del grano che aumentava drammaticamente la miseria dei braccianti agricoli e del proletariato urbano. La grande massa dei dimostranti era animata soltanto dal disperato bisogno di ottenere salari più alti, non era intenzionata certo a sovvertire le istituzioni. Ma il governo si impressionò e, nelle regioni dove le manifestazioni
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erano state più gravi, trasferì i poteri di pubblica sicurezza all'autorità militare. Più gravi e violenti che altrove furono gli accadimenti di Milano, dove era diffuso il malcontento contro il governo di Roma sia da parte della sinistra socialista e radicale sia da parte della destra cattolica di don Davide Albertario. Di Rudinì ebbe paura che l'incendio rivoluzionario potesse estendersi a tutto il Paese e nominò il generale Bava Beccaris (25), comandante del corpo d'armata di Milano , regio Commissario Straordinario con pieni poteri nella provincia di Milano. "Dalla quiete di Milano dipende forse la quiete di tutto il Regno" telegrafò il Presidente al generale. esortandolo a procedere "con mano ferma". E Bava Beccaris procedè come gli era stato ordinato, con estrema determinazione, impiegando anche le artiglierie per rimuovere le barricate. II numero delle vittime superò il centinaio e la sproporzionata reazione governativa ai moti popolari generò, anche nella parte moderata, un forte risentimento. In effetti all'origine dei moti non vi era alcun disegno politico, ma il Bava Beccaris non poteva comprenderlo. Uomo del Risorgimento, considerava la raggiunta unità della Nazione il bene supremo e qualsiasi sommovimento popolare contro le autorità costituite era da lui considerato un possibile tentativo di sovversione. Testimone in gioventù delle forti resistenle deJr arcivescovo di Torino all'applicazione delle leggi Siccardi, il Bava Beccaris si dimostrò particolarmente ostile al clero milanese ed ebbe uno scambio di lettere molto vivaci con il cardinale Ferrari, arcivescovo di Milano, tanto che questi, già assente da Milano nei giorni del tumulto, ritenne opportuno di ripartire. L'attrito si aggravò poi con la diffida ai parroci di "seminare zizzania" dal pulpito, con lo scioglimento del comitato diocesano e con successive misure contro la stampa ed i giornalisti cattolici. L'intransigente operato del generale fu subito giudicato eccessivo e maldestro anche dagli ambienti economico-industriali, e per l'esercito il biasimo fu totale. Ancor oggi, a quasi un secolo dagli avvenimenti, il nome del Bava Beccaris è sinonimo di comportamento reazionario e feroce. E naturalmente pochi ricordano che negli stessi giorni un altro generale, il Pelloux, al quale erano stati delegati per la Puglia, la Basilicata e la Calabria, gli stessi ampi poteri delegati al Bava Beccaris, non se ne avvalse, giudicò gli avvenimenti per quello che erano e rifiutò il ricorso a mezzi eccelionali per ristabilire una situazione che non era ecce1ionale. Il comportamento equilibrato e realistico del Pelloux testimonia che almeno una parte del corpo ufficiali, ed era certamente di gran lunga la parte maggiore, era contraria all' impiego della truppa per mantenere l'ordine pubblico. Sempre pronto ad intervenire in occasioni di calamità nazionali - nel periodo si possono ricordare le inondazioni del Po nel suo medio corso ( 1872), le eruzioni dell'Etna ( 1879,1880, I 883, 1886, 1898), il terremoto del I 883, le varie epidemie di colera e tante altre sciagure minori - per distribuire viveri,
(25) Vds. di Aorcnzo Bava Beccaris il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
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coperte e medicinali, trasportare feriti, sgomberare profughi, tumulare le salme, l' esercito non gradiva sostituirsi agli scioperanti nel lavoro dei campi né fare la guardia a fabbriche ed a officine né, tantomeno, sciogliere assembramenti e smantellare barricate. Il desiderio di tenere i soldati lontani dalle agitazioni di piazza non derivava dal sospetto che i soldati potessero solidarizzare con i dimostranti, ma dalia sincera convinzione che animava il corpo ufficiali: l'esercito era il vero cemento della Nazione e non uno strumento di parte, fosse pure la parte del governo e del Parlamento.
I il
IX. L'AFFERMAZIONE DELLO STATO MAGGIORE
I. Il generale Tancredi Saletta, nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito perché ritenuto di "facile comando" dal ministro Ricotti, "non era un brillante teorico nè un dotto studioso di discipline militari, bensì un abile organizzatore ed un energico comandante. Nel momento in cui assunse la carica l'unica maniera costruttiva di servire l'esercito ed il paese era quella di lavorare indefessamente, salvando quanto si poteva salvare, non lasciando sfuggire nessuna occasione per migliorare l'efficienza dell'esercito ed aumentarne il prestigio. In questa direzione il nuovo capo di Stato Maggiore si pose alacremente all'opera. Va rilevato per altro che egli era adatto ad affrontare una simile situazione quant'altri mai: metodico, di carattere fermo cd energico, perseverante nei suoi propositi fino a rasentare la cocciutaggine, non si arrestò mai di fronte alle difficoltà, estremamente rigido con sé e con gli altri, fu un lavoratore accanito" 0). Il Saletta incominciò subito a rivendicare per la sua carica un ampliamento di prerogative ed un concreto potere di intervento nell'organizzazione dell'esercito. Già il 24 febbraio 1897 il Saletta scriveva al nuovo ministro della Guerra, Luigi Pelloux, osservando che l'ordinamento dcli' esercito italiano non aveva riscontro in quello degli altri grandi eserciti europei e proponendo due possibili soluzioni. La prima, ricalcata sul modello francese, prevedeva la designazione fin dal tempo di pace del generale che avrebbe dovuto comandare l'esercito in guerra. La seconda, ispirata al modello prussiano, prevedeva un notevole allargamento delle attribuzioni del capo di Stato Maggiore, non più soggetto al ministro per le decisioni di carattere tecnico. Naturalmente il Pelloux, tendenzialmente accentratore almeno quanto il Ricotti, non rispose. Saletta non si lasciò scoraggiare e il 4 febbraio 1898 ripresentò le sue proposte al nuovo ministro, il San Marzano. Anche questo generale non amava gli interlocutori troppo competenti e non rispose. li 14 maggio 1899 divenne ministro il generale Giuseppe Mirri e l'irriducibile Saletta tornò immediatamente alla carica. Il Mirri, sia pure con molto ritardo e con grande riluttanza, riconobbe la convenienza di meglio definire le competenze del vertice militare precisando però che, a causa di ostacoli politici, non era possibile procedere alla modifica delle
(I) M. Mazzetti, l'eserciw italiano nella Triplice Alleanza. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1974. pag. 174.
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disposizioni vigenti ed espresse il convincimento che le più importanti questioni inerenti la difesa avrebbero potuto essere definite dalla Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato (2). La risposta naturalmente non soddisfece il Saletta che replicò a stretto giro di posta, negando che la Commissione potesse risolvere i problemi relativi all'impiego delle forze militari. L'ascesa al trono di Vittorio Emanuele III, che quale principe ereditario aveva presieduto la Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato e che conosceva a fondo i problemi dell'esercito, mutò la situazione. Il 14 agosto 1900, infatti, il ministro Ponza di San Martino devolse al capo di Stato Maggiore alcune attribuzioni fino ad allora riservate al ministro ed il 31 dicembre dello stesso anno informò il Saletta che, per desiderio del sovrano, da quel momento in poi gli accordi militari con le Potenze della Triplice divenivano di esclusiva competenza del capo di Stato Maggiore, unitamente alla piena responsabilità della stesura dei piani per la condotta delle operazioni da attuarsi durante e dopo la radunata dell'esercito. Il capo di Stato Maggiore era, inoltre, autorizzato a conferire direttamente con il re. Il provvedimento del 31 dicembre I900 sancì indubbiamente un'inversione di tendenza e premiò la tenacia del Saletta nel chiedere una netta ripartizione tra i compiti politici del ministro e quelli tecnici del capo di Stato Maggiore, tuttavia la questione non era ancora definita in tutti i suoi aspetti. Finalmente il 4 marzo 1906 il regio decreto n. 86 estese "quasi senza vincoli il campo di azione e l'autonomia del capo di Stato Maggiore e andò al di là di quelle che dovevano essere le intenzioni del governo e forse dello stesso ministro" (3). Nel 1908, infatti, il primo ministro della Guerra non militare, l'on. ingegnere Severino Casana, ottenne il regio decreto n°77 che, senza infirmare la responsabilità esclusiva e completa del capo di Stato Maggiore nella preparazione tecnica-operativa della guerra, ampliò le facoltà di intervento del ministro nelle questioni di carattere addestrativo e tecnico. Il nuovo decreto costituì un indubbio arretramento del potere e del prestigio del capo di Stato Maggiore rispetto a quello del ministro, ma non modificò la sostanza del decreto precedente. Al capo di Stato Maggiore, infatti, rimasero le prerogative di: - dirigere in tempo di pace tutti gli studi per la preparazione alla guerra; - esercitare in tempo di guerra le attribuzioni previste per lui dal Regolamento di servizio in guerra; - preparare i progetti di mobilitazione e quelli per la condotta delle operazioni durante e dopo la radunata, nonché quelli relativi ali' impianto ed al fun-
(2) La Commissione fu istituita nel 1899 e composta dal principe ereditario, presidente, dal duca di Genova, vice presidente, dai capi di Stato Maggiore dell'esercito e della marina, dai generali comandanti designati di armata e dagli ammiragli di livello equipollente, tuni con diritto di voto, più eventualmente general i ed ammiragli convocati ad hoc senza diritto di voto. (3) F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordi11ame111i dell'esercito italiano. USSME, Roma 1984, pag. 313.
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zionamento dell'intendenza; - prendere "speciali preventivi concerti" con il mjnistro della Guerra per le disposizioni che avrebbero comportato un onere di bilancio per lo Stato e per quelle relative aJla mobilitazione ed alla radunata; - ripartire, con l'approvazione del ministro della Guerra e sulla base delle deliberazioni della Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato, le somme inscritte in bilancio per la difesa; - concretare e presentare al ministro della Guerra tutte le proposte ritenute necessarie in rapporto alla preparazione alla guerra e che avrebbero potuto interessare leggi, disposizioni regolamentari o, comunque, il bilancio del dicastero della Guerra; - sovrintendere alla compilazione della regolamentazione relativa all'impiego tattico delle grandi unità in guerra, al servizio in guerra ed all ' istruzione tecnica delle truppe; - trattare tutte le questioni relative: all'addestramento delle truppe, al personale ed al servizio di Stato Maggiore, alle truppe coloniali ed a quelle distaccate all'estero, al servizio tecnico-sanitario ed alla Croce Rossa; - avere alle sue dipendenze la Scuola di Guerra e l'Istituto Geografico Militare per quanto attiene, rispettivamente, ali' indirizzo degli studi e dei lavori, e le truppe del genio "per quanto riguarda l' indirizzo del loro speciale servizio in relazione al loro impiego in guerra, ad eccezione dei reggimenti zappatori". Il regio decreto in argomento prescriveva, inoltre, che il capo di Stato Maggiore dovesse essere: - informato da parte del governo sulla situazione politico-militare per tutto quello che potesse interagire con la sua attività di studio e di progettazione; - consultato dal ministro della Guerra sulle eventuali modifiche da apportare alle leggi ed ai regolamenti relativi al reclutamento del personale ed ali' avanzamento degli ufficiali; - chjamato a far parte di tutte le commissioni composte da generali o da ammiragli che il governo ritenesse di convocare per "averne l'avviso" su qualche questione militare; - autorizzato a corrispondere direttamente con il capo di Stato Maggiore della marina. L'ampliamento delle attribuzioni del capo di Stato Maggiore - da semplice consulente del ministro a comandante designato dell'esercito in caso di guerra - è stato interpretato da alcuni studiosi come una difesa corporativa dell 'esercito di fronte ad un maggior interesse del Parlamento nelle questioni militari. Lasciando al ministro solo attribuzioni di natura politica, infatti, il Parlamento non avrebbe potuto esercitare un effettivo controllo sulla gestione dell 'esercito. Che i militari, e non solo i militari ma tutti i tecnici, abbiano sempre ed in tutti i Paesi poco gradito il controllo politico, talora strumentale e spesso incompetente, è verissimo, ma il problema deve essere considerato in altri ter-
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mini. Le frequenti crisi politiche ed il conseguente cambio dei ministri (4) non consentivano un ordinato e coerente sviluppo di una linea politica militare. I ministri, inoltre, spesso necessariamente impegnati in lunghe sedute al Parlamento o nel Consiglio dei ministri, non erano in grado di seguire con l'indispensabile continuità i problemi tecnici. Ampliare le attribuzioni del capo di Stato Maggiore era, quindi, una necessità funzionale, resa sempre più pressante dalla crescente complessità dell'apparato militare, che postulava sul piano più propriamente tecnico decisioni rapide e competenti, non viziate dai compromessi e dalle mediazioni che l'attività politica spesso comporta. Il provvedimento legislativo adottato, da un lato assicurava all'esercito la rapidità, l' unità e la continuità degli indirizzi necessarie ad un corretto e proficuo funzionamento, dall'altra rispettava le regole fondamentali del sistema parlamentare, cioè di quel meccanismo politico che ha per fulcro la responsabilità del governo di fronte al Parlamento, in quanto il ministro della Guerra conservava il potere di nomina e di revoca del capo di Stato Maggiore. Questi, infatti, per quanto "rafforzato con i decreti del 1906 e del 1908 era pur sempre geneticamente legato al govemo il quale, a sua volta, derivava ogni autorità dalla fiducia parlamentare" (5). In sostanza il regio decreto n°77 del 5 marzo 1908, anche se per qualche aspetto non era perfettamente definito sotto il profilo giuridico, alla prova dei fatti si dimostrò un provvedimento razionale che assicurò all'esercito, in pace ed in guerra, una guida sicura sempre nell'alveo della politica governativa e nel rispetto dcli' ordinamento democratico dello Stato. 2. La lunga battaglia per una più razionale attribuzione dei compiti affidati al capo di Stato Maggiore non esaurì naturalmente l'opera del Saletta, il cui mandato coincise con uno dei più infelici periodi della vita dell'esercito. Il ministro Pelloux nel 1897 aveva accettato il consolidamento del bilancio nella Guerra per le spese ordinarie su 227 milioni, consolidamento durato in pratica fino al 1906. Nello stesso periodo gli stanziamenti per le spese straordinarie, quelle cioè che servono principalmente al rinnovo e all'ammodernamento degli armamenti, furono molto contenuti: oscillarono dai 18 ai 25 milioni annui. E' comprensibile, quindi, che l'attività del Saletta, attività peraltro esclusivamente di studio e di proposizione fino al 1900, non conseguisse risultati di grande rilievo per quanto riguarda il rinnovo dei materiali. La situazione politica internazionale, del resto, non faceva presagire una
(4) Nel periodo nel quale il generale Saletta ricoprì l 'incarico di capo di Stato Maggore dell'esercito si succedettero al dicastero della Guerra dodici ministri: Cesare Ricotti, Luigi Pelloux. Alessandro Asinari di San Marzano, Giuseppe Mirri, Luigi Pelloux (ad interim), Coriolano Ponza di San Martino, Costantino Enrico Morin (ad interim), Giuseppe Ouolenghi, Ettore Pedotti, Luigi Majnoni di Intignano, Ettore Viganò, Severino Casana. (5) L. Ceva, Aspeui politici e giuridici dell'alto Co,rumdo militare in Italia (1848-1941), in li Politico. 1984, n°1, pp. 81 -120.
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prossima minaccia di guerra e Giolitti, il Presidente del Consiglio più a lungo in carica, e, indiscutibilmente, il più influente uomo politico di quel tempo, aveva chiaramente espresso alla Camera dei Deputati quali erano, a suo giudizio, i più rilevanti problemi da risolvere e, tra questi, la difesa non era compresa: "Siamo in periodo di formazione, abbiamo grossi problemi da risolvere che riguardano direttamente la vita economica, sociale e politica del Paese; noi dobbiamo provvedere alla riabilitazione del Mezzogiorno, dobbiamo badare al miglioramento delle classi lavoratrici, che non hanno ancora raggiunto in Italia il livello di benessere che è nostro dovere procurare loro. Dobbiamo anche provvedere all'istruzione pubblica, abbiamo l'obbligo di promuovere una riforma fiscale e tutto questo è impossibile se non perseguiamo una politica di pace". È necessario ricordare, tuttavia, che sotto la gestione Saletta fu finalmente definito il nuovo materiale a deformazione per l'artiglieria da campagna e decisa l'acquisizione delle mitragliatrici per i reggimenti di fanteria e cavalleria. Anche in questo settore, nel quale le disponibilità finanziarie sono assolutamente determinanti, il tenace operare del Saletta portò a qualche risultato. Il rinnovo del parco d'artiglieria provocò all'epoca molte polemiche. La scelta di un moderno pezzo per armare i reggimenti da campagna era certamente una decisione non facile, dovendosi prendere in considerazione non solo le prestazioni tattico-balistiche ed il costo unitario del nuovo cannone, ma anche le implicazioni logistiche derivanti dalla durata della bocca da fuoco e dal prevedibile consumo di munizioni, tuttavia la scelta effettuata nel 1900 di adottare il cannone K.rupp da 75 A ad affusto rigido, quando già da alcuni anni sia in Inghilterra sia in Francia erano entrate in servizio artiglierie con l'affusto a deformazione, fu un errore talmente grossolano che non permette alcuna difesa all'accusa di miopia o, peggio, di sudditanza psicologica all'industria tedesca che molti studiosi hanno rivolto ai tecnici del ministero. L'improvvida decisione fu poi corretta nel 1906, quando però del superato cannone ad affusto rigido erano già state introdotte 120 batterie, con l' adozione del cannone Krupp da 75 con affusto finalmente a deformazione. Quest'ultima decisione fu assunta dopo anni di studi, esperienze, discussioni e polemiche, portate avanti con esasperante lentezza da una commissione di esperti, presieduta dall'Ispettore dell'arma di artiglieria (6), e ciononostante non risolse il problema in maniera ottimale. Nel 191 I, quando erano già entrati in servizio cannoni Krupp in numero sufficiente ad armare 149 batterie, fu, infatti, riconosciuta la superiorità del cannone da 75 a deformazione Deport e ne fu decisa l'acquisizione di 80 batterie. La produzione fu affidata ad un consorzio di ventisette ditte italiane, capeggiate dalla Vickers-Terni di La Spezia e dalla Società delle Acciaierie di Terni, con il coordinamento dell'Ispettorato delle
(6) Il miniSiro Casana collocò in posizione ausiliaria due ispettori dell'arma di artiglieria, colpevoli dell'inconcludente lentezza della commissione di cui erano stati, in successione di tempo, presidenti.
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Costruzioni di Artiglieria, provvedimento che si rivelò poi molto positivo allo scoppio della prima guerra mondiale, quando la disponibilità di un'industria nazionale in grado di produrre armamenti si dimostrò determinante per la condotta delle operazioni. Anche la scelta della mitragliatrice, ormai divenuta necessaria per aumentare la potenza di fuoco della fanteria e della cavalleria, fu molto laboriosa. Dopo numerose e lunghe prove comparative tra le mitragliatrici Perino, Bergmann e Maxim fu data la preferenza a quest'ultima, di cui furono ordinati 220 esemplari. L'esigenza di svincolare il più possibile l'armamento dell'esercito dall'industria straniera consigliò, però, anche l'approvigionamento di 150 mitragliatrici Perino, con grande beneficio della standardizzazione dei materiali, esigenza sempre lucidamente sottolineata nei manuali di organica e costantemente disattesa nella prassi quotidiana. TI generale Saletta mise allo studio anche il rifacimento di tutta la pianificazione relativa alla mobilitazione. Con l'ausilio dei "viaggi di Stato Maggiore" (7), a cavallo del nuovo secolo furono riesaminati ed aggiornati per ben tre volte i piani di mobilitazione e di radunata completi in ogni loro parte, sia per quanto riguardava un'eventuale guerra contro l'Austria (mobilitazione nord-est), sia per quanto si riferiva ad un conflitto con la Francia (mobilitazione nord-ovest). Il capo di Stato Maggiore segnalò inoltre al ministro una serie di provvedimenti atti a migliorare la situazione difensiva delle frontiere, il reclutamento e la mobilitazione. TI Saletta, triplicista convinto, riprese anche gli studi, già iniziati dal Cosenz, per far affluire in Alsazia la nostra 3• annata attraverso la Svizzera, anche contro la volontà di questa Nazione. "L'idea non era nuova, ma, mentre in precedenza non si era trattato che di mere ipotesi di studio, in questo caso il nuovo capo di Stato Maggiore era fermamente orientato a preparare il piano in ogni dettaglio" (8). In effetto la pianificazione fu spinta tanto avanti da prevedere anche, in accordo con lo Stato Maggiore tedesco, apposite fabbriche in Germania per la produzione del nostro munizionamento, dato che non sarebbe stato facile approvvigionare la 3• armata direttamente dall'Italia (9). Il Saletta rivolse poi la sua attenzione alla regolamentazione d'impiego. Pur concordando sostanzialmente, sui principi e sui criteri generali con il pensiero del generale Cosenz, egli avvertì la necessità di accentuare le caratteristiche di elasticità e di duttilità delle precedenti norme e di ampliarne il campo di (7) I viaggi di Staio Maggiore erano accurate ricognizioni, svolte da ufficiali dello Stato Maggiore, che avevano lo scopo di studiare le possibilità di condotta delle operazioni in detemlinate zone, ritenute probabili teatri di operazione. Di ognuno di questi viaggi venivano redatte corpose relazioni, oggi custodite presso l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito. Nel I 897 fu visitata la frontiera occidentale; nel I 898 la frontiera centro-orientale fino al M. Peralba; nel I 899 la frontiera orientale dal M. Peralba al mare; nel I 900 nuovamente la frontiera occidentale e cosl negli anni seguenti. (8) M . Mazzetti, op. cit.. pag. 178. (9) Cfr. A. Rovighi , Un secolo di relazioni militari tra Italia e Svizzera 1861-1961. USSME. Roma 1987. passim.
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applicazione. Le Norme per l'impiego delle tre armi nel combattimento del 1892, che in pratica si limitavano all'impiego della divisione, furono sostituite nel 1903 dalle Norme generali per l'impiego tattico delle grandi unità in guerra, nelle quali per grandi unità si intese anche e principalmente l'armata ed il corpo d'armata. Per la prima volta, inoltre, fu dato il dovuto rilievo alle operazioni notturne ed a quelle in terreno montano. La nuova pubblicazione, infatti, articolata in sei grandi capitoli, trattò nei primi tre l'impiego della grande unità isolata, inquadrata e d'ala, nel quarto le operazioni di inseguimento e di ritirata, nel quinto le operazioni notturne e nel sesto le operazioni in montagna. Concetti fondamentali delle Norme furono "la giusta libertà d'azione" lasciata ai comandanti di ogni livello e la "superiorità di fuoco sull'avversario" da conseguirsi sempre ed in ogni occasione, pena l'insuccesso. Una dottrina equilibrata, coerente con l'ordinamento dell'esercito ed in linea con i tempi, nella quale si avvertiva costante la preoccupazione di evitare che l'applicazione sul terreno del regolamento potesse divenire per comandanti poco avveduti un fatto meccanico anzichè il frutto di un'attenta comparazione tra la norma e la situazione del momento. Una dottrina realistica, quindi, in sintonia con il pensiero del metodico e lucido generale piemontese, alieno da slanci pindarici ma per nulla ancorato a cristallizzate visioni del passato. Sotto il suo mandato furon o ed iti anche il Nuovo Regolamento sul servizio territoriale, il Regolamento dei servizi in guerra. Parte II, le Norme generali sul servizio delle Intendenze. L'interesse deft Saletta per le attività logistiche e la sua attenzione alle nuove possibilità, offerte dal progresso scientifico e tecnologico, fu notevole. Durante la sua permanenza nell'incarico l'esercito sperimentò con successo l'impiego della radio e dell'automobile, le vere "novità" dell'epoca. Nelle grandi manovre del 1905 furono impiegati con esito molto favorevole le automobili a benzina da viaggio ed i carri automobili da trasporto a benzina, nell'aprile del 1907 vide la luce la prima Istruzione sul servizio automobilistico, che raccoglieva in un'unica pubblicazione tutte le circolari fino ad allora emanate sull'impiego tecnico dei nuovi mezzi, sulla manutenzione e sulla circolazione stradale. Sempre nelle grandi manovre del 1905 fu sperimentata una stazione radiotelegrafica da campo ed anche in questo caso il rendimento della nuova apparecchiatura fu giudicato soddisfacente, per cui fu deciso di proseguire nella sperimentazione, affidata all'arma del genio. Le grandi manovre del 1907 rappresentarono poi un vero salto di qualità per i nuovi mezzi. Furono, infatti, impiegati: 55 autovetture FIAT, adibite al trasporto di ufficiali; 18 carri automobili FlAT modello 1907, adibiti al trasporto di viveri e di foraggi; 40 motocicli, per il trasporto dei giudici di campo; 6 stazioni radiotelegrafiche, di cui una montata su automobile, per il collegamento dei comandi di corpo d'armata esercitati. Il merito maggiore del Saletta fu proprio la sua previdente e costante opera propulsiva, importantissima in un organismo tendenzialmente conserva-
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tore come l'esercito. Pur in una situazione di cronica mancanza di adeguate risorse finanziarie, egli si dedicò con tenace determinazione ad un' intensa e proficua attività di revisione e di riordinamento di tutti gli apparati dell'esercito ed attraverso molti anni di continuo e metodico lavoro riuscì a conseguire l'obiettivo che si era prefisso: far superare all'esercito senza traumi irreversibili il periodo di crisi e metterlo in grado di adeguarsi rapidamente alle reali necessità della difesa, una volta che la situazione finanziaria fosse migliorata. Gli stanziamenti concessi all'esercito nel periodo Saletta furono, come si è già più volte osservato, non molto congrui, anche se è doveroso riconoscere che la generale situazione economica del Paese non avrebbe consentito a qualsiasi governo di stanziare somme più cospicue. Lo specchietto sottoriportato precisa, comunque, l'ammontare delle spese (IO) anno per anno, arrotondate al solito al migliaio di lire.
SPESE
ANNO ORDINARIE
STRAORDINARIE
1897 - 1898
245.166.000
18.178.000
I 898 • 1899
227.591.000
18.400.000
1899 · 1900
223.236.000
16.803.000
1900- 1901
223.330.000
22.730.000
1901 · 1902
230.063.000
20.738.000
1902 - 1903
223.373.000
18.647.000
1903 • 1904
223.571.000
19.153.000
1904 · 1905
235.376.000
18.680.000
1905 - 1906
228.585.000
24.492.000
1906- 1907
234.420.000
25.059.000
1907 · 1908
236.031.000
37.864.000
3. La profonda crisi che aveva colpito l'esercito nell'ultimo decennio dell'Ottocento non scomparve con il nuovo secolo, per alcuni versi anzi si accentuò e divenne manifesta anche agli occhi del pubblico meno informato. Il fenomeno, per la verità, interessò in quel periodo molti eserciti europei, come ha osservato John Gooch: "oltre ad essere sottoposti a forti tensioni interne (lo studioso si riferisce al contrasto tra gli ufficiali dello Stato Maggiore e
( 10) Dati riportati da L. De Rosa, Incidenza delle spese milirari sullo sviluppo economico italiano, relazione presentata al Primo Convegno di Storia Militare (Roma, 16-19 marzo 1969).
L'AFFERMAZIONE DELLO STATO MAGGIORE
169
quelli dei reparti. N .d.a.), molti ufficiali europei provavano anche un sentimento crescente di isolamento sociale. La crescita della democrazia, della secolarizzazione, dell'egalitarismo e del socialismo durante la seconda metà dell'Ottocento rappresentava una sfida per il gruppo la cui identità collettiva riposava sui concetti di autorità e di patriottismo e i cui membri erano di regola conservatori quanto a temperamento. Le agitazioni socialiste e la sempre maggiore responsabilità di mantenere l'ordine pubblico aggravarono i compiti del soldato di professione. L'esercito dovette fare i conti con le nuove forze sociali e politiche del mondo di fine '800 senza poter fare molto assegnamento su appoggi esterni, questa era perlomeno la convinzione più diffusa. Da questi sentimenti di frustrazione aggravata nacque quello che è stato battezzato corporativismo negativo, vale a dire la convinzione che la società civile nutrisse un profondo e insaziabile antagonismo nei confronti dell'esercito in generale e degli ufficiali di professione in particolare" 0 1). Ai motivi lucidamente esposti dallo storico inglese debbono essere aggiunti, per l'esercito italiano, come è stato detto, l'eccessiva stagnazione delle carriere e l'insoddisfacente trattamento economico degli ufficiali inferiori, due motivi che resero il malessere dell'esercito italiano forse più profondo e più diffuso di quello riscontrato in altri eserciti. Alfiere di questo malessere fu il capitano di fanteria della riserva Fabio Ranzi O2) che nell'agosto del 1903 fondò a Roma il giornale trisettimanale Il Pensiero Militare, finanziato con alcune migliaia di abbonamenti sottoscritti da ufficiali di tutti i gradi. Il Ranzi era abbastanza noto negli ambienti militari per aver diretto la rivista Armi e Progresso e per aver pubblicato nel 1897 un opuscolo, Modernità Militare, nel quale preconizzava un nuovo esercito, interclassista e di massa, non più braccio secolare di una dinastia o di una classe sociale, bensì profondamente integrato nella nazione: di fatto un nuovo soggetto politico, autonomo dallo stesso governo e punto di riferimento di una nuova democrazia. Con il nuovo giornale il Ranzi tentò di inserire il problema militare nel contesto politico-sociale dell'epoca e si sforzò di stabilire un qualche rapporto con il socialismo riformista di Filippo Turati. Il tentativo di collegare le aspirazioni militari ad un partito politico, tentativo non riuscito peraltro, non piacque all'opinione pubblica moderata ed allarmò il governo. (11) J. Gooch, La professione militare in Europa dall'età 11apoleo11ica alla seco11da guerra mondiale. in Ufficiali e Società. Franco Angeli. Milano 1988. (12) Fabio Ranzi (1859-1922). Souotenente di fanteria nel 1879 lasciò l'esercito con il grado di capitano. Giornalista brillante e polemico diresse dal gennaio 1897 al maggio 1898 la rivista Armi e Progresso ed acquistò una certa notorietà quando pubblicò il saggio Modernità Militare che richiamava l'attenzione dell'opinione pubblica sulla funzione e sui problemi dell'esercito. Fondatore e di reuore de Il Pensiero Militare. giornale trisettimanale che rimase in vita dal 1903 al 19 14. non riuscì a coagulare attorno a sè il malcontento del corpo ufficiali né a farlo appoggiare dal partito socialista. li modernismo militare, come fu chiamato il fenomeno, non costituì pertanto un reale pericolo per la compattezza dell'esercito.
170
STORIA DELL'ESERCITO 1T ALIANO ( 1861 • 1990)
Il ministro della Guerra, generale Pedotti (13), vietò agli ufficiali di collaborare a Il Pensiero Militare, adottando provvedimenti disciplinari nei confronti di alcuni trasgressori. La linea dura del ministro provocò qualche reazione perchè il Regolamento di disciplina consentiva agli ufficiali di esprimere liberamente il proprio pensiero. In effetti da un generale proveniente dall'esercito meridionale garibaldino i Quadri inferiori dell' esercito si attendevano un atteggiamento più liberale e la delusione fu notevole. Il ministro, comunque, cercò di attenuare almeno le cause materiali del malcontento e presentò alle Camere un disegno di legge per migliorare le condizioni economiche .degli ufficiali inferiori, affermando senza reticenze che "il disagio degli ufficiali inferiori si riferisce ad un doppio ordine di idee: l' insufficienza degli assegni e le lentezza delle carriere, ed io ritengo che sia di improrogabile urgenza recarvi sollievo, tanto nell 'interesse particolare delle persone quanto e più nell'interesse generale dei Quadri e dell'esercito". Anche l'ufficiosa Rivista Militare nel primo numero del 1904 sostenne la necessità di aumentare gli stipendi degli ufficiali inferiori scrivendo in proposito: "Nessuno disconosce ormai che gli attuali assegni sono oggi insufficienti alla vita decorosa che dignità e prestigio vogliono sia condotta dall'ufficiale. Si potranno fare confronti più o meno convenienti colle professioni libere, cogli altri impiegati dello Stato, ~ogli ufficiali degli eserciti esteri: si dovrà tener conto di ciò che lo Stato può dare a questo fine; ma il fine è riconosciuto giusto e questo è quanto importa". Alla fine anche il Parlamento si mosse e, con legge del 3 luglio 1904, concesse a sottotenenti, tenenti e capitani un aumento annuo di ben 200 lire più un aumento, naturalmente sempre annuo, di 300 lire per ogni quinquennio di permanenza nel grado, a condizione, prescriveva la legge, che "lo stipendio accresciuto non abbia mai ad oltrepassare il limite massimo seguente: pel sottotenente lire 2.400, pel tenente lire 3.000, pel capitano lire 4.000". Il costo della vita continuò però ad aumentare anche dopo il 1904 ed i modesti miglioramenti concessi furono presto vanificati. Il "disagio", come lo aveva definito con morbido linguaggio il ministro, continuò ed il Pensiero Militare continuò a farsene interprete, divenendo non soltanto un foro di discussione ma il punto di raccolta e di organizzazione di un vasto movimento protestario che cominciò a suscitare anche qualche seria proccupazione disciplinare. La linea editoriale del giornale divenne sempre più aggressiva e polemica e "si concretizzò in furibondi attacchi ai suoi (del Ranzi, n.d.a.) reali e ipotetici nemici: lo Stato Maggiore innanzitutto, poi clericali e (13) Ettore Pedotti (1842-1919 ). Volontario nei Cacciatori delle Alpi e nella spedizione garibaldina in Sicilia, entrò nell'esercito italiano nel 1862 con il grado di capitano. Transitato nello Stato Maggiore, fu promosso colonnello nel 1881 e maggior generale nel 1889. Comandò allora la brigata Forlì e dal 1892 al 1896 la; Scuola di Guerra. Tenente generale dal 1895 comandò la divisione militare di Roma, l'XI ed il X corpo d'armata. Ministro della Guerra nei governi Giolitti, Tittoni, Fortis dal 1903 al 1905. Comandò successivamente il I ed il IV corpo d 'armata. Nel 1910 fu collocato in ausiliaria. Fu nominato senatore nel 1903.
L'AFFERMAZIONE DELLO STATO MAGGIORE
171
socialisti, stampa ed opinione pubblica" 0 4>. li Ranzi, in effetti, fu sottoposto ad una pesante azione repressiva da parte del ministero della Guerra, facilitata dal carattere aspro e polemico dell'incauto capitano. Durante un'assemblea di soci dell'Unione Militare (!5) il Ranzi si era scontrato con un tenente colonnello che, offeso pesantemente, lo aveva sfidato a duello. Il Ranzi rifiutò di battersi ed il consiglio di disciplina della divisione militare di Roma lo rimosse dal grado per "essersi rifiutato per ben due volte di dare una soluzione ad una vertenza cavalleresca insorta tra lui ed un ufficiale in servizio attivo, dimostrando con tale suo contegno di essere poco sollecito del proprio onore e del decoro del grado" (16)_ Il Ranzi non si dette per vinto, ricorse inutilmente al Tribunale Militare di Roma e poi al Consiglio di Stato che, con sentenza del 28 marzo 1908, confermò l'espulsione dall'esercito cd offrì così la possibilità a qualche cronista amante dell'iperbole di parlare di un caso Dreyfus italiano. Il modernismo militare - come fu definito il vasto movimento di opinione che si era coagulato attorno al giornale del Ranzi, probabilmente per una suggestione semantica derivata dal coevo modernismo cattolico - conteneva nel suo seno, almeno in nuce alcuni germi, dal populismo al sindacalismo, che, se cresciuti, avrebbero potuto anche sconvolgere l'assetto gerarchico e disciplinare dell'esercito e, in prospettiva, divenire forse anche un pericolo per le istituzioni. Questo non avvenne perchè la contestazione militare non era motivata da precise esigenze di carattere politico, ma derivava unicamente - lo ripetiamo da motivi di carattere contingente. Verso la fine del primo decennio del nuovo secolo, infatti, alcuni provvedimenti del Parlamento (aumento degli stipendi, limitazione a quindici anni del periodo massimo di permanenza complessiva nei gradi di sottotenente e tenente), la minor frequenza del ricorso all'esercito per mantenere l'ordine pubblico, resa possibile dalla politica di maggiore apertura sociale attuata da Giolitti, l'aumento della forza bilanciata, rimossero, o almeno attenuarono, le cause del malcontento e la crisi dell'esercito scomparve.
14) Cfr. D. Dc Napoli, Il caso Ranzi ed il modernismo militare. in L'esercito italiano dall'unità alla grande guerra (1861-1918), USSME, Roma 1980. (15) L'Unione Militare nacque nel I 889, sull'esempio di una analoga organizzazione inglese. Scopo del l'associazione era quello di vendere agli ufficiali soci quanto loro serviva nel settore abbigliamento a prezzi contenuti. Col tempo l'Unione Militare divenne un ente autonomo souo l'alta vigilanza dello Stato (decreto legge del 27 ouobre I 925) e vi furono iscritti d'ufficio gli ufficiali in servizio permanente. obbligati all'acquisto di un'azione della società. Nel secondo dopo-guerra l'obbligo non fu mantenuto, ma il ministero della Difesa continuò a sostenere la società, consentendole di praticare la vendita rateale ai soci, ora anche sottufficiali, e incaricando gli uffici amministrativi dei corpi di provvedere, con ritenute mensili sullo stipendio, al pagamento delle rate contratte dal personale. La società tunavia. che aveva esteso gli anicoli in vendita anche all'abbigliamento civile, maschile e femminile, ed al seuore degli eleurodomescici, male amministrata, dopo qualche anno di vita stentata fallì c lamorosamente nel 1989. (16) D. De Napoli, op. cir., pag. 228. I
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
E scomparve anche il Pensiero Militare, costretto a "chiudere i battenti" nel dicembre 1914 per mancanza di sostenitori. 4. Gli stipendi di tutti gli ufficiali - ad eccezione dei generali d'esercito, che peraltro esistevano solo sulle tabelle organiche perchè il grado poteva essere conferito solo a chi avesse comandato un'armata in guerra, e dei tenenti generali furono adeguati all'aumentato costo della vita con la legge 362 del 6 luglio 1908. Per un opportuno confronto con gli stipendi precedenti si riporta in calce la consueta tabella. Da rimarcare la scomparsa deil ' indennità d 'arma, così giustificata nella relazione introduttiva: "egualmente alti e nobili essendo gli ideali ed i doveri a cui ogni arma si inspira nel prestare i suoi servizi al paese, sia in pace sia in guerra, il conservare una distinzione ed una differenza di trattamento che può dare luogo a confronti odiosi e ad interpretazioni erronee di precedenza che non debbono esistere, non risponde al suo concetto che si inspira al sentimento di una perfetta uguaglianza e di pari considerazione dovuta a ciascuna arma ed a ciascun corpo dell'esercito, come a parti egualmente vitali di un tutto organico e armonico". Tuttavia anche ail'inizio del secolo era normale far rientrare daila finestra quello che era uscito daila porta, per cui la stessa legge che abrogava l' indennità d'arma istituiva una indennità per servizi speciali della quale fruirono gli ufficiali dei carabinieri, "in relazione al loro complesso servizio quali soldati e al tempo stesso quali agenti di pubblica sicurezza", gli ufficiali medici, "in considerazione dei lunghi studi da essi compiuti prima di entrare nell'esercito", gli ufficiali veterinari dirigenti il servizio dei corpi, "in considerazione deila loro maggiore responsabilità nella conservazione del prezioso patrimonio equino". La legge n. 362 conteneva poi una particolare disposizione che consentiva agli ufficiali subalterni il cumulo degli scatti sessennali, calcolati sugli anni di servizio, con quelli quinquennali calcolati sulla permanenza nel grado.
STIPENDI MENSILI · LEGGE N. 362 DEL 6 LUGLIO 1908. Stipendio mensile
Grado
Gen. d'esercito
1250
Ten. generale
1000
Maggior generale
833 666
Colonnello Ten. colonnello Maggiore0
0
Capitano0 Tenente 0 Sottotenente 0
stipendio iniziale
500 417 333 200 167
Indennità mensile per servizi speciali Carabinieri
Medici
183 175 158 125
33 25 25 25
92
17 17
67
Veterinari
17 17
X. LA RIORGANIZZAZIONE
I. Nei primi anni del Novecento principiò ad avvertirsi nel mondo una certa inquietudine e gli equilibri politici internazionali, tanto a lungo durati, cominciarono a non essere più considerati intangibili da parte di tutti gli Stati. Giolitti, politico troppo esperto per ignorare le necessità della difesa, ritenne giunto il momento di occuparsi anche dell'esercito. Iniziò così, attorno al 1907, quel periodo della politica giolittiana, che, con molta enfasi, è stato definito "a pronunciata vocazione imperialistica" <1>. Con il 1906 si chiudeva il sessennio di bilancio consolidato, il governo doveva perciò decidere se convenisse continuare anche per gli eserciLi futuri con il medesimo sistema di erogazione di fondi, o fosse meglio richiedere anno per anno, al Parlamento, le somme corrispondenti alle esigenze del momento. I vivaci attacchi dei partiti di opposizione contro l'amministrazione della Guerra, considerata imprevidente e sperperatrice. avevano determinato nell 'opinione pubblica il desiderio di conoscere la reale situazione e le vere necessità dcli' esercito. Nel Parlamento e fuori si era, poco alla volta, formata infatti la convinzione che i bilanci non corrispondessero alla realtà, che le dotazioni dell'esercito fossero incomplete, che i ministri della Guerra nascondessero la verità sulla situazione militare, che occorressero nell'esercito riforme, organiche ed amministrative, tali da assicurare. con minor spesa. una più efficace difesa del paese. I critici più benevoli sostenevano addirittura che la cura occorrente all'esercito fosse lo spendere non di più, ma meglio! La curiosa convinzione che un esercito piccolo sia più efficiente di uno grande e che bilanci ridotti assicurino una migliore difesa non è nata ai nostri tempi ... Il Presidente Giolitti, allora, decise di prevenire il Parlamento e presentò, il 3 maggio I 907, la proposta di costituire una commissione parlamentare di inchiesta per l'esercito, mu1ùta dei più ampi poteri. Con la legge del 6 giugno 1907 fu costituita la Commissione di inchiesta, composta da sei senatori e da altrettanti deputati, nominati dalle rispettive assemblee, e da cinque altri membri designati dal governo. Compito della Commissione: studiare i provvedimenti idonei a migliorare le condizioni del l'esercito per metterlo in grado di soddisfare efficacemente
(I) P. Del Negro. u, /e1•a militare dall'unità all<1 grande guerm, in "L'esercito iwlia110 dall'unità alla grande g uerra (1861-1918)". USSME, Roma 1980. pag. 452.
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STORIA Dt.l.L'F.SERCITO ITALIAN0(1861 • 1990)
le necessità della difesa nazionale. La Commissione risultò formata da quattro generali ed un ammiraglio (scelti tra gli ufficiali in congedo), quattro avvocati, cinque dottori, due professori cd un ingegnere, e le furono attribuite tutte le facoltà di indagine per l'accertamento della verità, con poteri uguali a quelli spettanti ai magistrati inquirenti secondo il codice di procedura penale. La durata del mandato, fissata inizialmente in un anno, fu, con successive proroghe. prolungata fino al luglio 1910. La relazione della Commissione fu divisa in otto fascicoli, pubblicati tra il maggio 1908 ed il giugno 19 IO, attenendosi, nella successiva trattatione degli argomenti, al concetto di anteporre le questioni ritenute più urgenti. Nel dicembre 1907 il ministro della Guerra. generale Viganò (2), diede le dimissioni dalla carica, motivandole con l'opportunità di non trovarsi ad un tempo giudice e giudicato di fronte alla Commissione d'inchiesta. Giolitti, per la prima volta nella storia del regno d'Italia, affidò l'incarico ad un ministro borghese, il quale, non essendo direttamente interessato nelle questioni militari , avrebbe potuto con maggiore efficacia esporre al Parlamento le conclusioni della Commissione di inchiesta. Si venne così nel gennaio 1908 alla nomina a ministro della Guerra dell'on. sen. ing. Severino Casana. Uno dei primi provvedimenti del nuovo ministro fu la revisione della Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato, nata nel 1899 come organo militare (ne erano membri il capo di Stato Maggiore dell'esercito e della marina, i comandanti designati di am1ata e tre ammiragli), divenuta ora un organismo politico-militare in quanto furono chiamati a farne parte il Presidente del Consiglio, che venne nominato presidente della Commissione e i ministri della Guerra e della Marina. La commissione di inchiesta presentava, intanto, i suoi due primi rapporti: il primo relativo a taluni miglioramenti economici ed alla apertura di un credito di 190 milioni da impiegarsi di massima per la difesa della frontiera orientale; il secondo per la commessa alla casa Krupp di batterie campali e per l'adozione di mitragliatrici da assegnarsi ai reggimenti di fanteria e di cavalleria. Le relazioni successive riguardarono: la difesa dei confini, gli istituti militari, il corpo del servi.do sanitario militare, il servizio farmaceutico militare, l'Istituto Geografico Militare e la legge per l'avanzamento dei sottufficiali. Come aveva previsto l'onorevole Giolitti. le relazioni della Commissione di inchiesta suscitarono l'interesse del Parlamento cd il problema militare fu dibattutto con grande senso di responsabilità e con minor attenzione del solito per la situazione finanziaria dello Stato, del resto notevolmente migliorata con il consolidamento del debito pubblico che aveva determinato una diminuzione dell'incidenza degli interessi sui debiti del Tesoro. Anche la situazione politica internazionale - annessione da parte dell'Austria della Bosnia-Erzegovina -
(2) E1tore Viganò ( 1843-1933). Volontario gari baldino nel I 860, fu norninato sottotenente di artiglieria nel 1863. Transitato nel corpo di Stato Maggiore panecipò nel 1887 alla spedizione del generale di San Ma!7.ano in Eritrea come capo di Stato Maggiore. Colonnello nel 1888. rnagg1or generale nel 1895, tenente generale nel 1901, cornandò le divisioni di Ancona e di Genova.
LA RJORGANIZZAZIONE
175
stava mutando e la fiducia dei parlamentari negli alleati della Triplice Alleanza non era più assoluta. Il generale Saletta, dal canto suo, la fiducia almeno nell'Austria l'aveva persa del tutto già da tempo, da quando cioé il Conrad, dall'autunno del 1906 capo di Stato Maggiore dell'esercito austriaco, aveva organizzato con grande spiegamento di truppe e di mezzi le grandi manovre nel Tirolo senza invitarvi gli addetti militari, evidentemente per non dare carattere ufficiale al nuovo indirizzo operativo che intendeva far assumere all'esercito. La decisione del ministro Casana di ristrutturare la Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato, facendola presiedere al Presidente del Consiglio, fu quindi quanto mai opportuna perché contribuì a coinvolgere ancora più profondamente nella ricerca della soluzione più equilibrata dei problemi della difesa Giolitti, Presidente del Consiglio ma soprattutto capo autorevole ed indiscusso della maggioranza parlamentare. Il sottile calcolo politico del Casana si rivelò giusto, Giolitti, infatti, nel concludere la riunione della Commissione, espresse l'augurio che tali riunioni fossero più frequenti "in modo da dare occasione al governo di rendersi chiaramente ed in ogni momento ragione della necessità dell'amministrazione della Guerra e della Marina in rapporto alla difesa dello Stato ed alla politica generale del paese". Fu così possibile ottenere dal Parlamento la concessione di crediti straordinari per l'esercito: 60 milioni ripartili in quattro esercizi finanziari nel 1907, 223 milioni in d ieci anni nel 1908, 125 milioni in sei anni nel l 909. Naturalmente la sola concessione di fondi per le spese straordinarie, quelle cioé per l'ammodernamento dei materiali, non sarebbe stata sufficiente a far compiere un salto di qualità all'esercito. Le risorse finan1iarie, infatti, recano un beneficio reale soltanto quando sono impiegate con oculateua e, per fortuna dell'esercito e del Paese, a dirigere il dicastero della Guerra fu chiamato, il 4 aprile 1909, il generale Paolo Spingardi <3>. L'onorevole Casana, infatti, talora troppo sospettoso dei suoi collaboratori per approvare le loro proposte e sempre troppo digiuno dei problemi per affrontarli in proprio, non aveva né offerto garanzie sufficienti al Parlamento né impresso all'esercito lo slancio necessario per conseguire una migliore funzionalità. La poco felice esperienza ministeriale dell'ingegner Casana sembrò dare ragione a tutti colore che avevano accolto la sua nomina con una certa ostilità, convinti che la peculiarità del ministero della Guerra potesse essere affrontata solamente da un ministro militare. In realtà, ed oggi ne sono quasi tutti persuasi, l' incarico può essere ricoperto tanto da un militare quanto da un civile, il fattore determinante per la buona direzione del dicastero non si ritrova, infaui, nella maggiore o minore conoscenza dei problemi tecnici, ma nelle qualità morali ed intellettuali del ministro. Come ha notato Lucio Ceva i ministri della Guerra e della Marina sono
(3) Vds. del generale Paolo Spingardi il breve profilo biografico nella parte Il di quest:o volume.
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STORIA DEU'LSERCITO ITALIAS011861 - 1990)
"nati e rimasti fino al XVIII secolo inollrato come ufficiali civili (oggi diremmo funzionari) che costituivano l'occhio del re sull'impresa militare appaltata ai privati (in Spagna furono talora chiamati veedores, vcditori) essi risentono de ll 'antica origine anche quando gli ordinamenti costituzionali e, prima ancora, l'assunzione delle funzi oni militari da parte dello Stato in modo diretto, ne modificano profondamente la natura. La loro posizione è per certi aspetti poco chiara. Al comando della rispetti va forza armata in tempo di pace, i ministri finiscono col prevalere su generali non di rado più anziani e di grado più elevato, rispetto ai quali essi sarebbero normalmente in stato di soggezione gerarchica. Senza contare poi che, essendo destinati , una volta espletato il mandato governativo, a rientrare nei ranghi della propria forza armata, tutto il loro comportamento di ministri può essere innuenzato dal domani, cioé dal futuro rapporto, non più di supremazia, coi colleghi.( ...... ) La ragione in passato sempre addoua per giustificare e anzi per proclamare indispensabile la qualità militare dei titolari dei dicasteri delle forze armate, e cioè la particolare specialità tecnica dei problemi militari, non era che una maldestra copertura sia di residue ingerenze della Corona sia dell'esclusivismo corporativo del mondo castrense. Nessuno infatti ha mai pensato di dover nominare ministro dei trasporti un ingegnere delle ferrovie nonostante l'indubbia esistenza di gravissimi problemi tecnici in quella amministrazione, così non è mai stato sostenuto che fosse indispensabile avere per ministro della marina mercantile un capitano di lungo corso o per ministro degli interni un prefetto di grande esperienza e via dicendo" <4>. Decisamente contrario ad un ministro della Guerra militare si dimostrò anche il Pinelli che, nella sua St0ria militare del Piemonte, dopo aver elegiato l'attività di G.B. Bogino, titolare della Segreteria di Guerra e Marina del Regno sabaudo dal 1742 al l 773, non si peritò di affermare che proprio l' intelligente operato di quel funzionario civile dimostrava come "per essere un buon ministro di guerra non è per nulla necessario essere militare, sendoché quell' ufficio sia più impiego amministrativo che militare, e che anzi di sovente avvenga che se tal carica è da un militare esercitata, questi si lasci trascinare a favorire di soverchio quell 'arma da cui egli esce, trascurando o mal dirigendo le altre di cui poco s'intende" (5) . In tempi a no i molto più vicini, il generale Berardi <6>, capo di Stato Maggiore dell'esercito dal novembre 1943 al febbraio 1945, dopo una non
(4) L. Ceva.1/ romando del/ ·eserc110 dal 1882 al 1918, in ..li problema dell'alto comando dell 'esercito ,wtiww dal Risorg,mento al Pollo Atlantico", ani del Convegno mdeuo dalla Società Solferino e S. Manino - 18 e 19 seuernbrc 1982. USSME, Roma. 1985. pagg. 172, 173. (5) E' opportuno precisare che Ferdinando Pinelli formulava un giudizio cosl categorico nel 1855. quando era un maggiore dell'armata sarda m pensione. Richiamato in servizio negli anni tumultuosi dell'Unità e promosso generale, il Pinelli si dimostrò meno caustico nei confronti della gerarchia, tanto che il Pieri nella Storia militare del Risorgimertro lo definisce "di parte moderata". (6) Vds. del generale Paolo Berardi 11 breve profilo biografico nella pane Il di questo volume.
LA RIORGANIZZAZIONE
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esaltante esperienza con il ministro Casati, espresse sull'argomento un parere meno favorevole che riportiamo per completezza di trattazione: "Il ministro borghese nei dicasteri militari è una bella cosa e, nell'agitato clima politico italiano, offre degli indiscutibili vantaggi, a condizione che egli possegga l'abilità di limitare la propria attività alla parte amministrativa e politica, e che pertanto accresca l'autorità e la sfera d'azione dei tecnici. Il guaio si è che sono rari i borghesi i quali, quando riescono ad avere sulla macchina il guidoncino col bordo rosso, non pretendano di farla da capi, e sian tratti dall'abitudine a lusingar la truppa come se fosse massa elettorale: col sorriso che invoca il voto. Quel borghese che sfila davanti ad un reggimento col cappello in mano, via, siamo sinceri, non ha l'aspetto di un capo, ed il reggimento non lo sente un capo. A meno che sia un Churchill: ma nessun Churchill si è mai presentato ad un reggimento italiano". 2. La nomina dello Spingardi fu accolta dall'esercito con grande favore: tutti gli riconoscevano eccellente preparazione, dati gli incarichi ricoperti in precedenza, ottime qualità morali ed intellettuali, notevole equilibrio, grande operosità. L'evidente favore della corona ed il cordiale affiatamento con il generale Polli o, succeduto al Saletta nell'incarico di capo di Stato Maggiore, erano, inoltre, una sicura garanzia di buon lavoro. La piena fiducia del sovrano, all'epoca designatore di fatto dei ministri militari, consentì infatti allo Spingardi di mantenere l' incarico con i successivi ministeri Sonnino, Luzzatti nonché con il 4° ministero Giolitti. Il nuovo ministro si accinse subito, in pieno accordo con il Pollio, ad un'organica revisione di tutto l'apparato militare, migliorando, ammodernando, potenziando senza mai stravolgere quanto era stato fatto nel passato. Come lui stesso dichiarò al Parlamento i provvedimenti proposti erano quelli necessari "per seguire i progressi realizzati nel campo tecnico, evitando quei radicali sconvolgimenti e sbalzi che talune sbrigliate fantasie avevano concepito". L'importanza dell'operato del ministro Spingardi non può essere messa in discussione e testimonia quanto spazio rimanesse all'attività del ministro, anche dopo iI famoso decreto del I906 che ampliava le competenze del capo di Stato Maggiore. Si tenga presente al riguardo che le funzioni amministrative rimasero sempre di esclusiva competenza ministeriale e, senza la possibilità di impiegare le risorse, non è possibile gestire l'esercito. Il generale Spingardi ottenne dal Parlamento, con legge del 30 giugno 1909, un aumento di 10 milioni di lire sulla parte ordinaria del bilancio per l'esercizio 1908-1909 e, per gli esercizi successivi, un aumento di 16 milioni annui che gli permisero di portare la forza bilanciata da 205 a 225 mila uomini, consentendo così la ripresa dell'attività addestrati va. Altro provvedimento di grande rilievo, che allineava l'esercito italiano agli ordinamenti dei maggiori eserciti europei, fu la nuova legge sulla leva, ridotta a due anni per tutte le armi. Da anni lo Stato Maggiore dell 'esercito sollecitava il ministro per una nuova legge che riducese il periodo di ferma a due anni e che abolisse il volon-
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tariate di un anno. Tale istituto, infatti, non aveva risposto alle intenzioni del ministro Ricotti e si era dimostrato del tutto inutile come fonte di reclutamento degli ufficiali di complemento. Lo Stato Maggiore, inoltre, da tempo richiedeva anche il passaggio ad un sistema di reclutamento regionale per rendere più rapida la mobilitazione. I progetti di legge presentati dai ministri Ottolenghi e Pedotti, che recepivano le proposte dello Stato Maggiore, non erano stati però accolti dal Parlamento. Come ha notato !'Ilari, "a ben guardare, a difendere la fenna triennale non erano più, adesso, lo Stato Maggiore e le gerarchie militari, ma la classe di governo: la fenna triennale veniva difesa al solo scopo di consentire il mantenimento del volontariato di un anno, cioè la ferma ridotta a pagamento di cui beneficiavano i ceti abbienti. Privilegio reso ancora più odioso dal sistema delle ferme scalari, che scaricavano su una parte del contingente fornito dalle classi umili l'anno di naja risparmiato ai figli della borghesia" (7l Il ministro Viganò, per uscire dall'impasse parlamentare, presentò un progetto più limitato, tradotto in legge il 15 dicembre 1907, con il quale i casi di esenzione che davano ai coscritti il diritto di essere arruolati nella in• categoria furono molto ridotti, tanto che questa categoria passò dal 19 al 5% degli iscritti alla leva. ''Gli arruolati in i- categoria balzarono, tra il 1907 (ultima leva col vecchio regime) ed il 1908 (prima leva col regime della legge Viganò) da 97 a 127 mila, e a partire dal 1909 crebbero prima a 150, poi a 160 cd infine a 170 mila uomini" (8). Nel 1909 il ministro Spingardi adottò la ferma biennale in via amministrativa. Cogliendo di sorpresa il Parlamento. molto probabilmente con il consenso di Giolitti però, l'attivo generale congedò dopo soli due anni l'aliquota della classe 1888 tenuta alla ferma triennale. E allora anche i parlamentari più retrivi approvarono le proposte di legge del ministro della Guerra, leggi 30 giugno, 7 e 17 luglio 191 O e 6 e 18 giugno 1911, poi riepilogate nel nuovo Testo Unico delle leggi sul reclutamento del 24 dicembre I 91 I , sostitutivo di quel lo del 1888. Gli obblighi di servizio previsti dal nuovo ordinamento rimasero di 19 anni per tutti gli arruolati: 8 nell'esercito permanente, 4 nella milizia mobile, 7 nella milizia territoriale per la 1• e la n• categoria, 19 nella milizia territoriale per la nr categoria. Naturalmente il periodo di effettivo servizio per la I" categoria fu fissato in due anni, mentre il periodo massimo di addestramento per la n• categoria rimase di sei mesi. L'assegnazione alla 1• o alla rr categoria non fu più decisa dal sorteggio ma dalle situazioni economiche e di famiglia dell'iscritto alla leva. Il volontariato di un anno fu però mantenuto, adducendo il pretesto che le somme versate dai volontari, erano indispensabili per pagare
(7) V. llari, Storia del serviz.io mtlitare m Italia, Centro Militare di Studi S1.11uegici. Roma 1990. voi. n, pag. 188. (8) V. llari. Op cit.. pag. 189.
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le raffenne dei sottufficiali. Anche il reclutamento nazionale non fu sostiluilo da quello regionale, tuttavia fin dal 1906 era stato disposto che il completamento dei reggimenti avvenisse di massima con i richiamati del distretto più vicino alla sede del deposito reggimentale. 3. La nuova legge consentì l'avvio della effettiva costitulione delle unità quadro della milizia mobile e di quella territoriale, per quanto reso possibile dalla mancanla di un adeguato numero di ufficiali di complemento. li problema della "produzione" degli ufficiali di complemento, sia sotto l'aspetto quantitativo sia sotto quello qualitativo, non fu mai risolto in modo soddisfacente, da un lato per la resistenza degli clementi in possesso di un adeguato titolo di studio ad impegnarsi maggionnenle nel serviLio militare, dall'altro per carenze finanziarie e per difficoltà organinalive che, di anno in anno. fecero sempre slittare l'adozione dei necessari provvedimenti. "Ancora il 21 novembre del 1906 lo Stato Maggiore segnalava una carenza di 345 capitani e 1155 subalterni nelle unità di M.T. da costituire e calcolava che, per effetto delle promolioni e dei trasferimenti programmali in caso di mobilitat.ione, le compagnie dell'E.P. sarebbero rimaste con un solo subalterno effettivo" (9). L'esigenza sarà soddisfatta soltanto quando l'imminenza della grande guerra provocherà in tutti un salutare ripensamento e la fenna determinazione di giungere ad una soluzione definitiva dell'annoso problema. Nel 1882 il ministro Ferrero aveva stabilito che gli ufficiali di complemento dovessero essere tratti: dagli ufficiali effettivi dimissionari a domanda; dai volontari di un anno che avessero superato lo scrutinio cd avessero effettualo tre mesi di servizio con il nuovo grado; dai sottufficiali congedali dopo almeno otto anni di servizio; dai militari di r categoria. in possesso di adeguato titolo di studio, che avessero positivamente frequentato un corso della durata di sei o otto mesi in appositi "plotoni allievi ufficiali di complemento" istituiti presso i reggimenti. Quest'ultima fonte di reclutamento si dimostrò la più rispondente in quanto presso i reggimenti l'istruzione impartita era di norma molto concreta, gli aspiranti, inoltre, prima di conseguire il grado dovevano effettuare un tirocinio di sei mesi con il grado di sergente e prestavano poi un servizio di prima nomina della durata di altri sei mesi. La legge prevedeva l'impiego di questi ufficiali nei reparti della milizia mobile, mentre per quelli della milizia territoriale si provvedeva con la nomina di qualificali cittadini di età non superiore ai 40 anni, con un minor grado di istruzione rispetto a quello richiesto per gli ufficiali di complemento e che avessero prestato servizio militare per almeno un mese. La legge 2 luglio 1896 provvide a regolare anche l'avanzamento degli ufficiali di complemento, stabilendo una permanenza minima nel grado di 6 anni per i subalterni, 8 per i capitani e 4 per gli alti gradi. A 40 anni gli ufficiali
(9) M. Grandi. li ruolo e l'opera del Capo di S.M. del/'Eserciro (JR94-1907), edi trice Ipotesi, Salerno 1983, pag. 127.
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di complemento passavano nella riserva. In realtà il settore fu mollo trascurato, non sempre i dislretli, pressati da mille altre attività ritenute più importanti perchè di immediato riscontro, provvedevano alle promozioni; gli ufficiali di complemento dal canto loro non desideravano essere richiamati per i brevi periodi di istruzione e facevano di tutto "per essere dimenticati". Al momento dell'emergenza ci si accorse che, in pratica gli ufficiali di complemento richiamabili erano quasi esclusivamente sottotenenti. Nonostante le carenze su esposte, Io Stato Maggiore iniziò, a partire dal 1908, ad organizzare concretamente i reparti di milizia mobile promuovendo la costituzione, presso i depositi reggimentali, di appositi nuclei in grado di provvedere alla costituzione di 52 reggimenti fanteria, 11 battaglioni bersaglieri, 38 compagnie alpine, 23 squadroni di cavalleria, I 3 reggimenti di artiglieria. A partire dal 1910 furono anche costituiti, sempre presso i depositi reggimentali, nuclei specifici per la costilulione di 324 battaglioni di fanteria, 22 alpini, l 00 compagnie di artiglieria da fortezza e 30 compagnie genio di milizia territoriale. Le attenzioni del binomio Spingardi-Pollio furono naturalmente rivolte anche all'esercito permanente ed i numerosi provvedimenti ordinativi adottati furono sanzionati dalla legge n. 515 del 17 luglio 1910 che stabilì per l'esercito un nuovo ordinamento. Criteri guida dell'ordinamento Spingardi furono l'aumento generale del numero delle unità ed il miglioramento del rapporto tra la fanteria e le altre armi, sopraltutto l'artiglieria. La legge n. 5 I 5 prevedeva, oltre al ministero della Guerra, alle scuole militari ed all'arma dei carabinieri: il corpo di Stato Maggiore costituito da 155 ufficiali ( 17 colonnelli, 3 colonnelli o tenenti colonnelli, 52 tenenti colonnelli o maggiori, 83 capitani); 4 ispettorati (delle truppe da montagna, di cavalleria, d'artiglieria, del genio); 4 comandi di armata; 12 corpi d'armata; 25 divisioni territ0riali di fanteria; 3 divisioni di cavalleria; 48 brigate di fanteria; 3 brigate alpine; 8 brigate di cavalleria; 2 reggimenti granatieri e 94 reggimenti di fanteria su 3 battaglioni di 4 compagnie; 12 reggimenti bersaglieri su 4 battaglioni di 3 compagnie e con il IV0 battaglione di ciclisti; 8 reggimenti alpini su 3 o 4 battaglioni per un totale di 78 compagnie; 29 reggimenti di cavalleria su 5 sq uadroni (12 di lancieri e 17 di cavalleggeri), i nuovi reggimenti vennero denominati Mantova e Vercelli (lancieri), Aquila, Treviso e Udine (cavalleggeri); 36 reggimenti di artiglieria da campagna (24 divisionali e 12 di corpo d'armala) su 6 batterie ed una compagnia treno; I reggimento di artiglieria a cavallo su 4 gruppi di 2 balterie e I compagnia treno; 2 reggimenti di artiglieria da montagna su 3 gruppi di 4 batterie; 2 reggimenti di artiglieria pesante campale su 9 batterie ed I batteria deposito; 10 reggimenti di artiglieria da fortezza per un totale di 55 compagnie da fortezza; 43 da costa e IO deposito: 2 reggimenti zappatori del genio su 12 compagnie zappatori e 2 compagnie treno; I reggimento telegrafisti su 15 compagnie lelegralisti e 2 compagnie treno; I reggimento pontieri su 8 compagnie pontieri, 2 compagnie lagunari, 3 compagnie treno; I reggimento minatori su 12 compagnie minatori e I compagnia
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treno; I reggimento ferrovieri su 6 compagnie ferrovieri, due compagnie automobilisti e I compagnia treno; I banaglione autonomo specialisti su 5 compagnie specialisti, I sezione radiotelegrafica, I sezione fotografica, I sezione aviazione; 88 distretti militari , 24 sezioni di sanità e 24 sezioni di sussisten7.a. La legge n°515 negli anni successivi fu modificata in qualche settore, per aumentarne e migliorarne la rispondenza organica e funzionale, ma le linee fondamentali dell'ordinamento dell'esercito rimasero stabili. Di alcune modifiche riguardanti il seu ore logistico si dirà in appresso, tra i provvedimenti che interessarono le unità quelli di maggior rilievo furono: la costituzione di una legione carabinieri a Tripoli nella primavera del 1913; l' istituzione del corpo volontari italiani in Libia, su 3 battaglioni a piedi, 4 compagnie montate, 2 batterie da campagna e 2 da montagna, 3 compagnie da fortezza, 3 compagnie del genio, I compagnia specialisti; la costituzione a Roma dell'istituto militare di radio-telegrafia; l'istituzione della carica di sottocapo di Stato Maggiore dcli' esercito. L'ordinamento Spingardi fu profondamente innovativo in molti settori in quanto san,donò la nascita dell'artiglieria pesante campale, del corpo automobilistico e dell'aviazione ma il più lungimirante provvedimento fu quello di costituire fin dal tempo di pace i comandi delle 4 armate previste in guerra. Il generale Pollio assegnò ai comandi di armata il compito "di eseguire gli studi e di dirigere le predisposizioni per preparare alla guerra la rispettiva unità, alternandosi alle direttive emanate d'ordine dal capo di Stato Maggiore dell'esercito". Fu così stabilito che i generali designati per il comando di un 'armata in guerra, avvalendosi del rispettivo nucleo comando, emanassero "le disposizioni e le istruzioni necessarie, in ordi ne alle loro attribuzioni, alle autorità militari che facevano parte cd avevano attinenza colle unità stesse". Il provvedimento conseguì anche l'importante risultalo di non disorganizzare, al momento della mobilitazione, quei comandi di corpo d'armata dai quali avrebbero dovuti essere tratti comandanti e stati maggiori per le 4 armate. Non furono costituite, invece, le intendenze che dovevano affiancare le armate in guerra e provvedere all'organizzazione logistica dei rifornimenti e degli sgomberi alle dipendenze funzionali dell'lntendenta Generale. Secondo la nuova legge ordinativa l'esercito avrebbe dovuto contare, a mobilitazione avvenuta, 725.000 uomini, di cui 14.000 ufficiali in servizio permanente, 16.000 ufficiali di complemento, 17.000 sottuficiali, 25.000 carabinieri e 653.000 militari di truppa. All'esercito permanente si sarebbero aggiunti 303.000 unità di milizia mobile e 365.000 unità di milizia territoriale. 4. 11 binomio Spingardi-Pollio deve essere ricordato anche per la feconda e provvida attività effettuata nel settore della regolamentazione d'impiego ed addestrativa, tutta completamente rielaborata ma non stravolta, in quanto le idee-guida fissate dal Cosenz cd ammodernate dal Saletta non avevano perduto col tempo la loro validità sostanziale. Preceduta da una "bozza di stampa" nel 1910, nel 19 I3 vide la luce I' edi-
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zione definitiva delle Norme generali per l'impiego delle grandi unità di guerra che, oltre alla Premessa ed alle Avvertenze generali, comprendeva sette capitoli, dedicati rispettivamente a: marcia di un'armata, marcia con probabilità d'incontro col nemico, battaglia d" incontro, battaglia preparata, inseguimento e ritirata, interruzione del combattimento, operazioni nelle regioni di montagna. Pur nella continuità del filone d.ottrinale italiano, le nuove Nonne costituirono un effettivo progresso per la lucidità e la coerenza del pensiero strategico e per la concreteua delle modalità d'impiego, sempre suggerite e mai prescritte, perchè esse dipendono "da circostanze di fatto che non è possibile prevedere" e risentono "della libera e geniale azione direttiva di chi ha la suprema responsabilità del comando". L'equilibrata conceLione del Pollio sulla condotta delle operazioni, espressa proprio quando nella vicina Francia si proclamava a gran voce la superiorità dell'offensiva ad ogni costo, affiora con particolare eviden1,a nelle Avvertenze generali, dove così giudicavano i principi della guerra: "Nelle cose di guerra o non esistono principi valevoli per tutti i casi o, se esistono, hanno carallcre così generale, che in pratica a ben poco possono servire, perché sulla loro applicazione troppo influiscono le circostanze, sempre mutevoli. in mezzo alle quali si svolgono gli avvenimenti. Se poi si considera che tali avvenimenti, incalzando di solito con estrema rapidità, non lasciano in genere gran tempo alla riflessione, si potrebbe essere indotti senz'altro a concludere che la sola guida per chi comanda stia nella propria genialità e nella prontezza e acutena del proprio intuito, se queste però non fossero, come sono, doti naturali che l'esperienza e lo studio possono sviluppare ed affinare. Da questa consideraLione deriva l'importanza di alcune norme generali di condotta, desunte essenzialmente dall'esame critico obie11ivo dei fatti di guerra, le quali, pur non avendo nulla di assoluto, permettono, quando siano raLionalmentc seguite, di sfruttare nel massimo grado la potenza di cui si dispone e di sottrarre alla bizzaria del caso il maggior possibile numero di fattori del buon successo". Sempre nel 1913 uscirono in edizione definitiva le Norme per il combattimento, in cui erano contenute le prescrizioni tattiche proprie dell'impiego di ciascuna arma. La pubblicazione, dopo due brevi introdu.lioni riguardanti le caralleristiche del combauimento ed i doveri del combattente, si articolava in nove capitoli, i primi quauro dedicati alle norme d'impiego delle armi, gli ultimi cinque alle situalioni particolari, dovute all'ambiente (combattimento notturno, nei boschi, negli abitati, in montagna) oppure alla fase operativa (reparti isolati, in avanguardia, in retroguardia, d'ala, fiancheggianti). La pubblicazione ribadiva che la fanteria è l'arma principale in quanto ha in sé gli elementi per decidere completamente, anche da sola, le sorte di una battaglia; le altre armi, come ausiliarie, devono sempre dirigere la loro attività aJla riuscita dei compiti che aJla fanteria sono imposti''. I mezzi d'azione della fanteria erano il movimento ed il fuoco. L'urto era considerato dalle Norme eventuale, le mitragliatrici erano viste soltanto come un mezzo ausiliario, se ne
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prescriveva però un impiego sempre aderente alle truppe in attacco e, in difesa, si riconosceva la loro importanza per sbarrare punti di obbligalo passaggio o per sostenere posizioni non molto forti intrinsecamente. La cavalleria, "per eccellenza l'arma del celere movimento, dell'azione rapida e della sorpresa", doveva sempre essere impiegata offensivamente, possibilmente a cavallo dove la sua arma più efficace era l'urto; se appiedata, doveva agire naturalmente con il fuoco, ma questo modo di combattere poco le si addiceva. Il combauimento a piedi era quindi considerato secondario, anche il Pollio riteneva ancora possibile ed utile l'impiego di grandi unità di cavalleria, almeno nelle fasi iniziali delle operazioni e nell'inseguimento. L'arretratezza di tali concezioni non deve stupire, all'epoca era comune a tulli gli eserciti. L'idea che la potenza e la celerità di tiro delle anni della fanteria fossero divenute tali da stroncare in pochi minuti anche l'impeto della migliore cavalleria non poteva essere recepita da comandanti abituati a ritenere l'equitazione una scuola di coraggio e fermamente convinti che reparti animati da grande ardimento e da costante spirito offensivo, come dovevano essere per definizione i reparti di cavalleria, avrebbero avuto ragione di qualsiasi ostacolo. Il Pollio, beninteso, si rendeva conto di quanto fosse aleatorio il successo di una carica contro uno schieramento di fanteria, ma non poteva trarne la conclusione più logica: sciogliere la cavalleria. E allora ricorse ai soliti espedienti: se la situazione avesse imposto in via eccezionale un attacco frontale per arrestare l'avanzata della fanteria nemica, la cavalleria avrebbe dovuto proteggersi dal fuoco di questa sfruttando il terreno, scegliendo formazioni convenienti, imprimendo celerità ali' azione. Molto più concreto il capitolo dedicato all' artiglieria, che "fornisce ai comandanti di truppe uno dei principali mezzi di direzione durante tutte le fasi della lotta stessa''. In effetti anche oggi l'impiego del fuoco rimane, con quello della riserva, il mezzo più efficace nelle mani del comandante per raddrizzare le sorti del combattimento. Particolarmente moderna quella parte del capitolo dove si configuravano chiaramente gli accordi e le intese che debbono necessariamente intercorrere tra il comandante di fanteria e l'artiglieria cooperante. Anche alla mobilità ed all'aderenza del fuoco, da ottenersi anche con il cambio degli schieramenti, il Pollio dedicò alcuni paragrafi che si possono definire magistrali per chiarezza di idee e per la profonda conoscenza delle possibilità operative dell'arma. Notevole, nel capitolo dedicato al genio, l'attenzione prestata alle nuove specialità - telegrafisti, radiotelegrafisti, aerostieri, aviatori - delle quali il Pollio colse con buona previsione la crescente importanza nel combattimento quali insostituibilt supporti dell'azione di comando. Ugualmente nei capitoli riguardanti le operazioni speciali il pensiero del Pollio risultò sempre aggiornato, equiljbrato, soprattutto concreto. le Nom1e per il combattimento, in definitiva, rappresentarono un contributo prezioso ed una guida sicura per i Quadri di tutte le armi e fu proprio grazie ad esse che l'esercito italiano entrò nella 1• guerra mondiale senza palesare alcuna infe-
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riorità dottrinale nei confronti di tutti gli eserciti belligeranti, amici o nemici. Le norme sul combattimento furono completate dall'Istruzione sui lavori del campo di bauaglia, diramata nel 1913. L'attività del capo di Stato Maggiore nel settore dottrinale fu completata, sempre nel 19 I 3, con il Regolamento d'istruzione, che sostituì i quattro regolamenti d'istruzione e di servizio interno in vigore lino ad allora per le quattro armi. Il Regolamento conteneva le direttive ed il metodo da seguire per l'addestramento dei Quadri e della truppa e rappresentava, quindi, il completamento delle norme strategiche, tattiche e d'impiego. La parte migliore della pubblicazione non consisteva nella pur equilibrata attribuzione delle competenze e delle responsabilità ai vari livelli della scala gerarchica o nella ripartizione dell'addestramento annuale in periodi didattici riservati a specifiche tappe addestrative, ma nell'esplicita affermazione che le istituzioni sociali, compresa quella militare, poggiano su principi fondamentali, suscettibili di adattamento nel tempo, ma non caduchi, anzi addirittura connaturati ad uno Stato che si regge con un regime rappresentativo e che ha quindi il diritto ed il dovere di proteggere se stesso e gli individui dei quali rappresenta l'insieme. Da qui l'avvertimento che i doveri non debbono essere imposti dall'alto, ma debbono derivare dal meditato convincimento che l'interesse collettivo deve prevalere su quello individuale e, quindi, l'importanza fondamentale attribuita all'esempio, il mezzo più efficace per far nascere nei soldati "un elevato sentimento militare ed un'alta idea del dovere". Indubbiamente nelle righe del Regolamemo si avvertivano le migliori istanze del "modernismo militare", spogliata da ogni eccesso di protagonismo e di supremazia delle idealità militari su quelle civili. Coerentemente con tuna la sua attività di rinnovamento culturale e dottrinale dell'esercito, il Pollio aggiornò anche i programmi e l'impostazione della Scuola di Guerra. Con il nuovo Regolamento, edito nel 191 I, gli esami di ammissione furono ridotti a tre prove scritte (cultura militare, storia militare, disegno topografico) ed a tre prove orali (regolamenti, geografia generale e descrittiva, lingua francese, con facoltà di esame anche nella lingua tedesca, inglese e russa) ed il numero massimo degli ufficiali da ammettere ai corsi salì a 100, in considerazione delle possibilità offerte dalla nuova sede <10>. Quanto ai principi che disciplinavano l'ordinamento degli studi lo stesso Regolamento prescriveva: "l'insegnamento deve avere carattere eminentemente applicativo e tendere sempre a produrre idee praticamente utili. Sarebbe grave errore il portare gli studi della Scuola nel campo dell'erudizione, delle astrazioni scientifiche e delle discussioni accademiche. La Scuola di Guerra deve essere fonte soprattutto di virtù operative. Quindi sobrietà, chiarezza, semplicità di dottrina e frequenza di applicazioni e di esempi sia storici sia ipo-
(10) Nel 1911 la Scuola di Guerra si trasferì. sempre in Torino, dall'ex palazzo del Debito Pubblico di via Bogino in un nuovo edificio costruito appositamente in corso Vin,.aglio.
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tetici; lavoro praùco, consistente nella soluzione di molti casi concreti, quali efferùvamente si presentano nella realtà, cosicché la dottrina teorica, premessa volta per volta nella misura indispensabile, risorga ad ogni tratto come risultante della pratica". Coerentemente con tale impostazione, il programma del corso, sempre di durata triennale, fu il seguente: - nel 1° anno storia militare, tattica, organica, topografia, scienze sociali (con questa denominazione erano raggruppate le trattazioni organiche di temi attinenti al diritto costituzionale, a quello amministrativo. a quello internazionale nonché argomenti di politica economica), lingua francese, lingua tedesca o inglese o russa; - ne l 2° anno storia militare, tattica, geografia militare, comunicazioni, armi, tiro e fortificazione campale, scienze sociali, lingua francese, lingua tedesca o inglese o russa; - nel 3° anno storia militare, logistica, fortificazione permanente e guerra di fortezza, storia generale, lingua francese, arte militare navale, lingua tedesca o inglese o russa. Ad integrazione dei programmi si effettuavano anche esercitazioni pratiche di impiego delle varie armi i:ul terreno, levate topografiche, visite a fabbriche, arsenali, grandi stazioni ferroviarie, magauini di mobilitazione. Non era trascurato neppure l'aspetto sportivo, erano infatti previsti 6 periodi settimanali nei quali gli ufficiali allievi potevano praticare la scherma e l'equitazione. A complemento dell'attività di studio il Regolamento prescriveva, al termine di ciascun anno accademico, lo svolgimento di una campagna addestrativa, topografica per gli allievi del primo anno, tattica per quelli del secondo, d'istruzione per quelli dell'ulùmo anno. Le prime due avevano una durata di 20 giorni ed erano dirette rispctùvarnente dall 'insegnante di topografia e da quello di tattica, la terza, di durata doppia, era diretta d al comando della Scuola e comprendeva manovre di grandi unità, visita a qualche porto militare e mercantile, esercitazioni di imbarco e sbarco e un breve viaggio per mare. 5. Nel settore logisùco l'aggiornamento della regolamentazione procedette con alacrità pari a quella spiegata nel settore tatùco, stimolata anche dalla progressiva e continua entrata in servizio di nuovi mezzi e di nuove apparecchiature. L'amministrazione Spingardi-Pollio realizzò, infatti , sensibili progressi in quasi tutti i servizi logistici. Il primo significativo provvedimento a1ruato nel settore logistico fu lo scioglimento del corpo di commissariato e di quello contabile, dalle cui ceneri nacquero contemporaneamente il nuovo corpo di commissariato ed il corpo di amministrazione (legge n. 531 del 1910). Per il primo più che di una nascita si trattò di un riordinamento, in quanto non mutò fisionomia e compiti, tuttavia la legge n. 531 sanzio nò l'istituzione degli ufficiali di sussistenza, con un ruolo distinto ma sempre ne ll 'ambito del corpo di commissariato, ai guaii furono affidati compiti di minor rilievo e normalmente attinenti al vettovagliamento. Il
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corpo vide anche riconosciuta ufficialmente la sua importanza con il conferimento del grado di maggior generale al suo vertice, grado abolito come si ricorderà nel 1894. Per il corpo di amministrazione la legge del 19 IO rappresentò, invece, un vero e proprio atlo di nascita. li corpo, cui fu affidato il compito di provvedere "alla tenuta dei conti presso determinati corpi, istituti e stabilimenti", si conquistò presto una posizione di prestigio nell'esercito per la rapidità con la quale dette attuazione al nuovo Regolamento per L'amministrazione e la contabilità dei corpi istituti e stabilimenti militari, edito nel 1911 e fortemente innovativo in quanto abrogò il tradizionale sistema delle masse cd adottò il sistema di accreditamento dei fondi per capitolo, ancor oggi in uso. Altro provvedimento di notevole impegno fu la creazione del servizio tecnico d'artiglieria. La travagliata e infelice scelta del cannone a deformazione per i reggimenti d'artiglieria da campagna aveva rivelato come fosse oramai superata la vecchia formula del combattente tecnico "della quale il Risorgimento ci aveva lasciato in eredità diversi illustri esempi, dal Menabrea al Cavalli" <11 >. La complessità tecnica dei nuovi materiali postulava, infatti, che alla direzione degli arsenali militari fossero posti ufliciali molto qualificati. Si giunse cosl alla costituzione del corpo tecnico di artiglieria, costituito da ufficiali con un ruolo separato e in possesso di una particolare prepara1ionc acquisita con la frequenza di specifici corsi. Agli ufficiali del nuovo corpo fu affidata la direzione degli stabilimenti militari, anch'essi riordinati e che nel 1912 comprendevano: tre arsenali di costruzione a Torino, Terni e Napoli, un laboratorio di precisione a Roma, un polverificio a Fontana Liri, due officine di costruzione di artiglierìc a Genova ed a Piacenza, due laboratori pirotecnici a Bologna ed a Capua. Nel maggio del 191 I fu messo a capo della Direzione Generale di Artiglieria e Genio il generale Alfredo Dallolio <12> , organizzatore quanto mai abile e competente, ed il vasto programma di potenziamento delle artiglierie, per il quale il ministro Spingardi aveva ottenuto i fondi dal Parlamento, cominciò a svilupparsi con alacrità. Furono infatti: approvvigionati 165 cannoni a deformazione da 65 mm per le batterie da montagna, costruiti in parte dalla Westinghousc di Vado Ligure (culle e slitte) ed in parte dagli arsenali militari (bocche da fuoco ed affusti); approvvigionati invece all'estero, rispettivamente dalla Krupp in Germania e dalla Schneider in Francia, 28 batterie di obici da 149 mm e 6 batterie di mortai pesanti da 260 mm, a causa dell'incapacità tecnica dell'industria nazionale a costruire grossi calibri. La guida competente e sicura del generale Dallolio si fece sentire anche sugli stabilimenti militari , dove la produzione del cartucciame duplicò e quella dei fucili e dei moschetti mod. 91 addirittura quadruplicò.
(11) F. Boro. w logis11cad~ll'eserc11oiwlia110(18Jl-/981J. USSME. Rom.11991, voi . n, pag. 398. (12) Vds. del generale Alfredo D.1llolio il breve profilo biografico nella parte TI di questo volume.
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Nel triennio 1911-19 I 4 la dotaLione per i 750.000 fucili mod. 91 passò da 400 a 700 cartucce, quella per i 170.000 moschetti mod. 91 da 300 a 600, la disponibilità di cartucce per mitragliatrice superò i 6 milioni di pe7li, le dotazioni per i cannoni da 65 e da 75 mod. 906 salì a 1200 colpi completi per pezzo. Uno sforzo produttivo non indifferente e, soprattutto, una conferma dell'efficienza raggiunta dagli stabilimenti militari sollo la guida del servizio tecnico. Nel periodo in esame vi fu anche un ripensamento sul modello di mitragliatrice da adollare. Dopo ulteriori prove e lunghe sperimentazioni, condotte nel biennio 1909-1910, si decise di destinare ali' armamento secondario delle opere fortificate le 220 mitragliatrici Maxim e le 150 Perino già introdotte e di adottare per l'esercito di 1• linea una nuova mitragliatrice leggera Maxim, di cui nel 1911 furono ordinati 1.204 esemplari alla ditta costruttrice, l'inglese Wickers. Nel settore automobilistico le realizzaLioni furono, almeno inizialmente, di modesto rilievo anche per la scarsa potenzialità delle pur numerose aziende del settore. Il primo concorso per la fornitura di 500 autocarri, effettuato nel 1909, non portò, infatti, a nessun risultato. Soltanto dopo alcuni anni fu possibile procedere all'acquisizione graduale di idonei automezzi ed anche il servizio automobilistico potè decollare. Dal 1910 all'agosto 1914 furono introdotti 836 autocarri, 200 dei quali furono inviati in Libia. Nel 191 2 si costituì il battaglione aviatori, comprendenti personale di tutte le am1i, che si affiancò al battaglione autonomo del genio, crede della brigata specialisti costituita nel 1884. Gli aerei impiegati furono tulli acquistati all'estero. A coronamento della vasta opera di riordino del settore logistico nel luglio 1912 comparve la pubblicazione Il servizio in guerra - parte Il servizi logistici - servi:io delle intenden-:,e e servizi di prima linea. Nella premessa la pubblicazione affermava: "Nessuna azione di guerra può avere la possibilità di buon successo se non è assicurata la vita della forza operante; se cioè non si hanno, in qualsiasi circostanza e a portata di questa, i mezLi occorrenti a provvedere al suo sostentamento, a darle il massimo benessere, ad assicurare I'esecu1ione pronta e regolare dei rifornimenti e degli sgomberi che le occorrono, a mantenerla, in una parola, costantemente nelle migliori condizioni di combattività". La guerra di Libia, e soprattutto la 1• guerra mondiale, confermarono la validità dell'asserto.
XI. LA GUERRA DI LIBIA
1. La guerra italo-turca del 1911-19 I 2 pur rientrando nel filone delle guerre coloniali ebbe una sua particolare connotazione che fin dall'inizio l'assimilò, nella considerazione della maggior parte degli italiani, ad una guerra nazionale. Sulla popolarità della guerra ali' epoca non sussistono dubbi, persino un poeta schivo e sommesso come Giovanni Pascoli esaltò l'impresa, considerata un nuovo sbocco offerto all'emigrazione ed una prova tangibile della raggiunta unità nazionale. La guerra coinvolse emotivamente, infatti, tutta l'opinione pubblica sia perché fu combattuta da un robusto corpo di spedizione, costituito da soldati di leva e addirittura da richiamati, in un teatro operativo molto prossimo all'Italia, sia perché una "propaganda di rara disonestà ed efficacia" (I) aveva reso popolare la convinzione che l'impresa sarebbe stata facile e, soprattutto, conveniente, considerata la fertilità del suolo libico bisognoso solo di agricoltori capaci per dare frutti copiosi . In effetti la conquista della Libia non rappresentava il conseguimento di alcun obiettivo economico ed anche sotto il profilo strategico, come avrebbe poi dimostrato la seconda guerra mondiale, il possedere qualche approdo sulla costa libica non voleva assolutamente significare una maggiore sicurezza per le rotte mediterranee, Tripoli e Bengasi non potevano neutralizzare Malta e Biserta! La decisione di occupare la Libia non aggiunse nulla alla gloria del Presidente Giolitti, anzi ebbe il risultato in definitiva di indebolire "il suo prestigio ed il suo potere" (2), ebbe peraltro negative ripercussioni sulle condizioni materiali e morali dell'esercito, come sempre accade quando per motivi di prestigio esterno ed interno si getta sul piatto della bilancia lo strumento operativo senza un'adeguata e preventiva preparazione. E dello scacchiere libico lo Stato Maggiore italiano non conosceva proprio nulla, né sotto il profilo geo-topografico né sotto quello umano. Anzi, influenzati dai giornali e dalle notizie di fonte governativa, anche i responsabili militari ritenevano che l'elemento arabo ci avrebbe accolto con favore e che le uniche resistenze sarebbero state quelle opposte da poche migliaia di soldati turchi. La realtà fu molto diversa. 2. Come ha scritto Francesco Malgeri, "al momento dell'invio dell ' ultimatum alla Turchia (26 settembre 1911 ) e della successiva dichiarazione di
(I) G. Rochat, Guerre italiane in Libia e in Etiopia. Pagus Edi zioni, Paese 1991 , pag. 13.
(2) G. Rochat. op. cit .. pag. 13.
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guerra (29 settembre) il corpo di spedizione non era ancora pronto per affrontare le ostilità. La decisione improvvisa di entrare in guerra colse l'esercito di sorpresa, impreparato, tanto che tutto il complesso meccanismo legato ad una spedizione militare d'oltre mare dovette essere allestito e portato a termine in pochi giorni" (3). La mancanza di integrazione tra l'azione politica e quella militare fu la prima causa della non brillante condotta delle operazioni, poi imputata da Giolitti, con scarso rispetto della verità e con molta disinvoltura, al generale Cancva (4 ) ed alla classe militare. Il ministro della Guerra Spingardi fu avvertito dell'esigenza soltanto il 20 settembre, quando non era più possibile impiegare la classe istruita del 1889, congedata il 3 settembre, per cui fu necessario richiamare alle arrni la classe 1888 e, due mesi dopo, anche la classe 1889. Per i nostri uomini di governo l'occupazione della Libia era "un fatto politico, economico e diplomatico, in cui l'elemento militare rappresentava un fattore secondario e di scarso peso, nella convinzione diffusa che vera guerra non ci sarebbe stata, che i Turchi avrebbero facilmente ceduto e gli Arabi si sarebbero uniti col più forte, come sentenziava Di San Giuliano"(5). Gli avvenimenti successivi dimostrarono la fallacia delle previsioni del nostro ministro degli Esteri che, peraltro, non aveva neppure realizzato la necessaria preparazione diplomatica all'impresa. L'efficiente binomio Spingardi-Pollio mobilitò in breve tempo, comunque, un corpo di spedizione a livello corpo d'armata, al comando del tenente generale Carlo Cancva, su due divisioni di fanteria, al comando dei generali Guglielmo Pecori Giraldi <6l e Ottavio Briccola m, 2 squadroni di cavalleria, 1 (3) F. Malgeri, La campagna di Libia (19/1 -1912), in L'esercito italiano dall 'unità alla grande guerra (1861-1918), USSME, Roma 1980, pag. 273. (4) Del generale Carlo Caneva vds. il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume. (5) F. Malgeri. op. cit., pag. 275. (6) Guglielmo Pecori-Giraldi ( 1856-1932). Sonotenente di artiglieria nel 1876, frequentò la Scuola di Guerra cd en1rò nel corpo di Stato Maggiore. Prese parte alle campagne in Eritrea nel 1887-1888 e nel 1895-1897. Colonnello nel 1900 fu capo di Stato Magiore dell'VIII corpo d'armata e comandante del regio corpo delle truppe in Eritrea. Maggiore generale nel I907 tenne il comando delle brigate Pisa e Cuneo. Tenente Generale nel 1911 ebbe il comando della divisione di Messina e poi della 1• divisione in Libia. Collocato in ausiliaria nel 1912, fu richiamato nel 1915 ed ebbe il comando della 27• divisione e poi del VII corpo d'armata sul fronte isontino. Nella primavera del 1916 gli fu affidato il comando della l'armata. Riammesso nel servizio attivo per la vittoriosa battaglia degli Altipiani, tenne il comando dell'armata fino alla fine del conflitto assumendo poi, per un anno, il governo del Trentino e dell'Ampezzano distinguendosi per equilibrio e per moderazione nel trattare l'elemento tedesco. Generale d'esercito e sena1ore nel 1919. fu nominato Maresciallo d'Italia nel 1926. li sovrano lo insignì del Gran Collare dcli' Annunziata nel 1930. (7) 011avio Briccola ( 1853- 1924). sottotenente di fanteria nel 1876 entrò da capitano nel corpo di Stato Maggiore. Insegnò alla Scuola di Guerra e fu capo di Stato Maggiore della divisione di Livorno. Colonnello nel 1900 comandò il 4° bersaglieri e poi fu capo di Stato Maggiore del X corpo d'armata. Maggior generale nel 1906 comandò la brigata Pavia, tenente generale nel 1911 comandò la divisione militare di Livorno e poi la 2' divisione in Libia. Governatore della Cirenaica nel 1913, ebbe il comando dell 'YIII corpo d'armata al rientro in patria. Prese parte alla fase iniziale della 1• guerra mondiale (1915-1916) e poi ebbe il comando del corpo d'armata territoriale di Torino e di Firenze. Colloca10 in ausiliaria nel 1917.
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reggimento artiglieria da campagna su quattro batterie da 75/A, compagnia zappatori con parco, e truppe suppletive pari a due reggimenti bersaglieri, I reggimento di artiglieria da montagna su quattro batterie da 65, 2 compagnie di artiglieria da fortezza , 2 compagnie zappatori ed I telegrafisti. Anche le formazioni logistiche furono largamente presenti: a livello divisionale I colonna munizioni, I sezione sanità ed l sezione sussistenza con salmerie; a livello 1• linea, I colonna munizioni someggiata, 4 stazioni radiotelegrafiche, l sezione sanità da montagna, 4 ospcdaletti da campo da 50 posti letto, 6 ambulanze someggiabili, 1 sezione sussistenza, mezza sezione panettieri con forni mod. 1897 someggiabili; a livello 2• linea, I parco artiglieria ed I genio, 4 Ospedaletti da campo da 50 posti leuo, 6 ospedaletti da I00 posti letto, 6 ospedali da guerra della Croce Rossa, I sezione panettieri, I parco buoi, l parco vestiario ed equipaggiamento, 2 infermerie cavalli. In totale il corpo di spedizione contava: 1.105 ufficiali, 33.033 sottufficiali e militari di truppa, 90 impiegati civili, 6200 quadrupedi, 48 peui di artiglieria, I050 carri regolamentari e carrette speciali. In seguito alle prime operazioni fu poi necessario inviare altre forze e, tra l'ottobre ed il dicembre 1911, arrivarono in Libia: 2 comandi di divisione, 7 brigate ed L reggimento di fanteria, I reggimento bersaglieri, 6 battaglioni alpini, 8 squadroni di cavalleria, I I batterie da 75/A e 6 batterie da 75 mod. l 906, 8 batterie da montagna, 7 compagnie di artiglieria da fortezza per il servizio di 5 batterie di cannoni da 149, I batteria di obici da 149 ed una di mortai da 210, 5 compagnie ~appatori, 4 compagnie minatori, I compagnia telegrafisti, l sezione aerostatica ed un nucleo aviazione, oltre ad aliquote dei servizi logistici, per un totale di circa 55.000 uomini, 8.300 quadrupedi. 154 pezzi di artiglieria, 1500 carri e 137 autocarri. Dal gennaio all'ottobre 1912 furono ancora mobilitati cd inviati in Libia 4 battaglioni alpini, 7 battaglioni eritrei ed I squadrone meharisti. Oltre a questi reparti furono poi inviati in Libia migliaia di complementi per colmare i vuoti creatisi per le perdite in combattimento cd a causa delle malauie ed in sostituzione degli uomini della classe 1888, congedati nell'aprile e nel maggio I 912 (30.000 uomini), e di quelli della classe 1889, congedati nel luglio-agosto (36.890 uomini). Quanto alle forze turche inizialmente esse comprendevano la 42• divisione, con 3 reggimenti, I battaglione cacciatori, 4 squadroni di cavalleria, IO batterie in Tripolitania ed I reggimento fanteria, I squadrone di cavalleria, 3 batterie in Cirenaica, per un totale di circa 8000 uomini, 650 quadrupedi, 48 peui di artiglieria. A queste forze si aggiunsero con nostra sorpresa migliaia di guerrieri arabi. 3. inizialmente le operazioni del corpo di spedizione non presentarono particolari difficoltà. L'l I ottobre 1911 il primo scaglione, costituito dalla t• divisione e daJle truppe suppletive, sbarcò a Tripoli, già temerariamente occupata da circa 1.800 marinai il giorno 5. I Turchi si erano ritirati nell'interno, la popolazione araba si era dimostrata fredda ma non apertamente ostile e il Caneva dispose allora che 1'8° reggimento si dirigesse ad Homs, dove sbarcò il giorno 21, e che il secondo scaglione, ancora in Italia e costituito dalla 2• divi-
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sione, fosse inviato a Bengasi, dove sbarcò il 20, tenacemente contrastato dal fuoco dei Turco-Arabi. La situazione era però tranquilla solo in apparenza. La sera del 23 ottobre, contemporaneamente ad un attacco frontale dei Turco-Arabi al nostro perimetro difensivo di Tripoli, nel tratto Sciara Sciat-Henni-fortino Mesri, si sviluppò alle spalle dei difensori un attacco condotto dagli Arabi. La lotta fu accanita: 8 ufficiali e 370 soldati furono uccisi, 13 ufficiali e 112 soldati feriti. Le nostre truppe si sentirono tradite dagli Arabi, che molto superficialmente si riteneva fossero o favorevoli a noi o indifferenti, e la reazione fu spietata ed eccessiva. L'episodio ebbe una particolare importanza perché, se da un lato servì a chiarire che la spedizione non sarebbe stata quella passeggiata che il governo aveva ritenuto, dall'altro suscitò contro di noi lo sdegno dell'opinione pubblica internazionale e offrì ai Turchi, già molto attivi in proposito, un ottimo argomento per incitare tutto l'Islam alla guerra santa contro gli invasori. In realtà il corpo di spediLione - come già detto in precedenza - era giunto in Libia senza conoscere nulla della situazione locale, anzi falsamente indotto a credere che la popolazione araba fosse molto ostile al dominio turco e pronta ad accogliere gli Italiani con aperta simpatia. In proposito il proclama indirizzato alle truppe dal Caneva il giorno della partena del primo scaglione da Napoli è davvero emblematico: " ... Noi, portando in Tripolitania le arrni d'Italia, non moviamo a danno della terra e delle popolazioni tripolitane; questa e quelle debbono invece, per opera italiana e con comune beneficio. essere redente a nuova civiltà ed a nuova ricchezza... Alla redenzione civile delle nuove genti provvedano l'umanità, la moderazione e la giustizia, che sono retaggio antico di nostra stirpe. TI rispetto assoluto dei sentimenti e delle pratiche dell'altrui religione, il rispetto deferente della donna e della famiglia, il rispetto tutelare della proprietà, l'amore ed il culto della giustizia, siano guida costante a ciascuno nelle relazioni, pubbliche e private, con le popolazioni indigene, e noi vedremo fiorirci d'intorno il rispetto e la devozione .. ". L'episodio di Sciara Sciat annullò i buoni propositi e attorno al corpo di spedizione fiorirono l'odio e la violenza. Un'epidemia di colera, che costò la vita nei primi tre mesi di guerra a 7 ufficiali ed a 369 soldati, aggravò ancora le condizioni ambientali delle nostre truppe. Il Caneva, dopo aver fatto occupare le principali località costiere cd averle fatte fortificare con solidi apprestamenti campali, non riteneva necessario effettuare puntate all'interno per sconfiggere un nemico abilissimo e sfuggente, anzi era convinto che non convenisse combattere gli Arabi, per non provocare altre vittime e per non renderli ancora più ostili alla nostra occupazione, e che la guerra potesse essere risolta per via diplomatica e con il blocco delle attività economiche che avrebbe dovuto convincere la popolazione a sottomettersi. Una relazione di Caneva al ministro
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Spingardi del 6 novembre 1911 (8) illustra chiaramente il suo pensiero:" ... 11 fatto che in queste popolazioni sia per essere duraturo il lievito, virtuale ed attivo, del fanatismo religioso, non deve distoglierci dall'idea cardinale che noi queste popolazioni dovremo pure un giorno governare con le arti della pace produttiva e della prosperità comune, e che l'avvento di quel giorno a noi conviene, con ogni mezzo, di affrettare. Perciò, indipendentemente da qualsiasi considerazione militare, sembra chiaro che a noi convenga non coinvolgere in un'affrettata azione militare turchi ed arabi indistintamente, approfondendo così inevitabilmente il solco di sangue che purtroppo ci siamo trovati già nella dura necessità di scavare fra noi ed i nostri futuri sudditi, sovraeccitando così ancora il loro fanatismo religioso, saldandoli vieppiù ai turchi e facendo pertanto il preciso giuoco di questi ultimi. Non si può negare che gli arabi manchino tuttora di prove tangibili della stabilità del nostro dominio, ed a noi occorre tempo per fornirle, come a essi per comprenderle, con la loro tarda mentalità rudimentale, per apprezzarle e per decidersi. Soltanto ad esperienza esaurita, si potrebbe accettare come ineluttibile la conquista puramente militare dell'interno, seppure tale sforzo, enorme per la patria sembrasse militarmente possibile, e politicamente ed economicamente conveniente (...) Nessuno può certamente prevedere se e quando un 'azione politica così indirizzata possa effettivamente riuscire a buon fine; ma, se si considera che le forze regolari turche cesserebbero di essere elemento apprezzabile della situazione il giorno in cui fossero abbandonate dagli arabi, e sarebbero poi addirittura annientate il giorno in cui gli arabi, per mettere fine alla loro miseria e per acquistar merito ed indulgenza di fronte al nuovo dominatore, si rivoltassero contro di esse, sembra logico che la cominciata azione politica, fosse pure con una sola probabilità su cento o su mille di di riuscita, debba essere proseguita, e non compromessa da affrettate azioni militari. In questa medesima conclusione sembrano coincidere perfettamente anche tutte le considerazioni d'ordine puramente militare. Anzitutto è chiaro che tutte le nostre molteplici basi al mare debbano essere organizzate a difesa verso terra, in modo da essere e da apparire tutte inespugnabili, anche quando contro una sola di esse si rovesciasse il massimo sforzo dei turchi e degli arabi che possono concentrarsi ai suoi danni. Ciò è ovvio per ragioni militari evidenti; ma sarà anche, agli effetti politici, la prima tangibile dimostrazione della stabilità definitiva della nostra occupazione e del nostro dominio ..." Naturalmente dopo tante corrispondenze entusiastiche sulla facilità dell'impresa l'attendismo del Caneva era molto criticato, soprattutto dai corrispondenti dei giornali che più si erano compromessi nel propagandare l'impresa. Al riguardo è emblematica una lettera datata 4 novembre 1911 del più
(8) La relazione è pubblicata nella Campagna di Libia. voli. 5, USSME, Roma I922-1927, voi. 1. pag. 306.
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illustre dei corrispondenti, Luigi Barzini del Corriere della Sera, al suo direttore, Luigi Albertini: " ... Parliamo ora della situazione qui. Essa è grave, resa grave soltanto dalla nostra insipienza. Quando si ordina ad un generale di fare la guerra senza lasciar ferire un uomo, allora si finisce col massacro. Gli ordini che arrivano rispecchiano la paura, la vigliaccheria di: 1) Giolitti, che poco si cura dei soldati e molto dei socialisti; 2) del re, che è timido di statura e umanitario per debolezza organica; 3) del ministro della guerra, che pensa alle interpellanze; 4) del capo di stato maggiore che legge Adua in ogni parola che gli arriva. In Italia questa gente per decidere sulla guerra e mandare ordini commette un piccolo errore: invece di giudicare la situazione in Tripolitania osservano l'umore di quella massa di ignoranti che forma la loro clientela politica, tasta le opinioni dell'opposizione, segue i pareri della piazza o della reggia. Che lascino libero il comando, magari minacciando la pena di morte se il comando sbaglia. Caneva è tanto debole che non aveva bisogno di essere anche indebolito di più da tanti legami e tanti impegni... " (9). Molto più equilibrato il commento del Malgeri: "La tattica di Caneva, che incontrò tanta ostilità in Italia, era motivata da ragioni di saggia prudenza. Certo dietro questa prudenza di Caneva c'era forse lo spauracchio di Adua, che dal l O marzo 1896 tormentava i sonni delle alte gerarchie militari italiane. Le motivazioni, comunque, con le quali giustificava questa sua linea sembrano improntate ad un cosciente realismo ed ad un allo senso di responsabilità. Con questa condotta egli riuscì ad evitare che anche la guerra di Libia potesse risolversi in un disastro e in un massacro" (10). Nonostante la tattica attendista del Caneva, nominato il 13 ottobre governatore della Libia O IJ, il corpo di spedizione, ormai rinforzato adeguatamente, effettuò alcune brillanti operazioni - occupazione dell'oasi di Ain-Zara (4 dicembre), occupazione del Garian (17 dicembre), occupazione di Gargaresc (20 gennaio 1912), occupazione di Zuara (giugno-luglio) - nell'interno, condotte con l' impiego anche di reparti eritrei e dei primi reparti libici (12). Sotto il profilo militare è doveroso segnalare l'impiego pionieristico dell'aeroplano in azioni di guerra. Nell'ottobre del 1911 era sbarcata a Tripoli
(9) Lettera pubblicata nell'Epistolario J911-1 926 di Luigi Albertini, Mondadori, Milano 1968. ( I 0) F. Malgeri, op. cir., pag. 286. ( 11 ) In effetti la Libia era sempre stata suddivisa in due regioni , la Tripolitania e la Cirenaica, che avevano un'amministrazione separata. Anche il governo italiano mantenne tale divi sione fino al 1934. (12) Nel 1902 il regio corpo delle truppe coloniali dell'Eritrea era stato ridotto a 4 battaglioni, I squadrone. I batteria ed una compagnia cannonieri. Nel 1912 furono ricostituiti i vecchi battaglioni dal V all'VIII e ne furono costituiti altri 5: IX (bianco-rosso), X (bianco-azzurro), Xl (rosso-azzurro), XII (verde-nero), XIII (rosso-giallo), XIV (giallo-azzurro) e XV (giallo). I primi reparti libici furono costituiti in seguit0 ad un ordine del Comando del corpo di spedizione del 27 febbraio 1912 e già nel giugno erano costituite ed operanti tre bande. armate di fucili Vetterly e comandate da ufficiali italiani. Il primo battaglione libico, ordinato su quattro compagnie, con ufficiali e sottufficiali italiani, fu costituito in Tripolitania nel settembre 1912.
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una flottiglia aerea, 11 piloti e 9 velivoli, e già il 23 dello stesso mese di ottobre fu effettuato il primo volo di ricognizione sulla strada Tripoli-Azizia, il 10 novembre fu poi la volta del primo volo per osservare il tiro di artiglieria in combattimento, il I O dicembre fu lanciata dall'aereo del tenente Gavotti la prima bomba, da 2 kg, su truppe nemiche. In Libia furono anche impiegati con successo palloni e dirigibili. Il fatto che l'avversario non disponesse di mezzi aerei non toglie nulla al merito dei primi aviatori italiani di aver sancito la nascita delle prime specialità delle forze aeree: ricognizione e bombardamento. Poiché la Turchia non sembrava disposta a trattative di pace, il governo pensò di esercitare una pressione più forte occupando alcune isole dell'Egeo meridionale. Occupata l'isola di Stampalia il 28 aprile, per la sua posizione centrale adatta a costituire una base per le successive operazioni, il 3 maggio partì da Tobruk un corpo di spedizione, al comando del generale Ameglio (13), che il 4 mattino sbarcò nell'isola di Rodi, dopo un breve scontro con le forze turche che presto si ritirarono nell'interno dell 'isola attorno a Psitos. Mentre la flotta provvedeva a sbarcare reparti di marinai nelle isole minori, il corpo di spedizione affrontava il 16 maggio le forze turche di Psitos e, con un breve ma non incruento combattimento, le catturava. Anche in Libia le operazioni si vivacizzarono: l '8 giugno 1912 fu sferrato un attacco ai trinceramenti turco-arabi di Sidi Abdul Geli!, nella zona di Tripoli, e dopo quattro ore di duro combattimento le trincee turche caddero nelle nostre mani consentendo così l'occupazione dell'importante oasi di Zanzur; tre giorni dopo il combattimento di Lebda, nella zona di Homs, segnava un'altra dura sconfitta per i Turco-Arabi costretti alla fuga; il 26-28 giugno a Sidi Said, e poi ancora il 14 luglio a Sidi Ali, le forze del generale Garioni inflissero forti perdite all'avversario ed il 15 agosto conquistarono Zuara. Ma Giolitti aveva perso ogni fiducia nel generale Caneva e riuscì finalmente a sostituirlo. Con il pretesto che la vastità del territorio e l'ampiezza delle operazioni militari esigevano due distinti comandi indipendenti, il 5 settembre il Caneva fu richiamato in Italia, dove gli furono tributati elogi ed onori, e promosso generale d'esercito. (13) Giovanni Ameglio (1854-1921). S01totenente di fanteria nel 1875, nel 1887, già capitano, fu inviato in Eritrea. Promosso maggiore nel t 894, rimase in Eritrea fino al 1897, distinguendosi nelle operazioni conlrO i dervisci nel 1890 ed in quella contro i tigrini dell'ottobre 1895 e del maggio 1896
meritando la croce di cavaliere dellOrdine Militare di Savoia ed una medaglia d'argento. Promosso tenente colonnello nel 1898 partecipò alla spedizione in Cina (1902-1905). Colonnello comandò il 20° fanteria, maggior generale nel t910 la brigata Piemonte. Durante la guerra libica comandò la 4• brigata distinguendosi a Sidi Daud (19 ottobre 1911) ed alle Due Palme (12 marzo 1912). Comandò il corpo di spedizione che occupò Rodi e fu promosso tenente generale per merito di guerra. Governatore della Cirenaica nel 1913, nel 1915 divenne governatore anche della Tripolitania fino al 1918. Rientrato in italia comandò il X corpo d'annata e poi, messo a disposizione del ministro degli Interni. comandò la Guardia Regia dal 29 luglio 1920 al 20 ottobre 1921. Nominato senatore nel 1917.
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La Tripolitania fu affidata al generale Ragni 0 4), la Cirenaica al generale Briccola. "In realtà Caneva pagava le colpe della sua prudenza, ma anche del suo realismo, della sua concreta visione di una situazione militare carica di rischi che la stampa e gli uomini politici si erano sempre ostinati ad ignorare", ha scritto il Malgeri nell'opera più volte citata e un altro studioso della guerra libica, il Romano, ha osservato che giornalisti e politici avrebbero preteso "una guerra diversa, brillante, rapida, gloriosa; e avevano finito per fare di Caneva il capro espiatorio di errori e carenze che avevano ben altra origine" (15). La guerra continuò ancora, il 20 settembre, a Sidi Bila!, la divisione del generale de Chaurand fu protagonista di un duro scontro che portò alla conquista di Zanzur, a costo di perdite piuttosto elevate, 120 morti e 429 feriti. La guerra balcanica indusse però la Turchia a dimostrarsi più realista ed il 18 ottobre a Ouchy, nei pressi di Losanna, fu firmata la pace, che non significò tuttavia la tranquillità della colonia, ancora per decenni sconvolta dalla guerriglia araba. 4. La guerra, considerata all'inizio una "passeggiata militare" e rivelatasi, invece, sanguinosa e difficile soprattutto a causa della nostra iniziale sottovalutazione dell'elemento arabo, costò 3.431 morti, di cui 1.483 in combattimento (92 ufficiali e 1.391 sottufficiali e militari di truppa) e 1.948 per malattia, e 4.220 feriti. Le perdite turco-arabe, difficilmente calcolabili con esattezza, non furono però inferiori a 14.800 unità. Il rendimento dell'esercito fu nel complesso buono, tenuto presente che quella guerra coloniale fu affrontata con truppe metropolitane, di leva o richiamate, che i mezzi logistici non permisero una più accentuata mobilità, indispensabile per battere un avversario quanto mai manovriero e abilissimo nel disperdersi e nel radunarsi, che comandanti e gregari non conoscevano nel modo più completo l'ambiente, geografico ed umano, nel quale dovettero operare. Il costo monetario del conl1itto fu altissimo, anche se di difficile quantificazione. Giolitti alla Camera parlò di 512 milioni, ma le opposizioni e gli eco-
(14) Ottavio Ragni (1852-1919). Souotenente d'artiglieria nel 1871, frequentò la Scuola di Guerra e passò nel corpo di Stato Maggiore. Nel 1894 promosso colonnello comandò il 16° fanteria, prese parte al la campagna del 189596 in Eritrea e, quale comandante del 3° fanteria d'Africa, meritò la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia ad Adua. Capo di Stato Maggiore del IlJ corpo d'annata nel 1898. maggior generale nel 1900 comandò la brigata Toscana e poi il I O gruppo alpini. Tenente generale nel I 907 fu ispettore degli alpini e p0i delle truppe da montagna. Nel 191 Oebbe il comando del V corpo d'armata. Assunto il comando del I corpo d'armata speciale in Libia nel 19 I I. alla fine del 19 12 fu nominato govemat0re della Tripolitania. Rientrato in Jtalia comandò il II ed I corpo d'armata con il quale prese pane alla prima fase della l' guerra mondiale. Comandò poi i corpi d'annata territoriali di Ancona, Torino, Alessandria e Genova e fece pane della Commissione d'inchiesta sulle responsabilità di Caporetto. (15) S. Romano, La quarta sponda. La guerra di libia 1911-12. Bompiani, Milano 1977, pag. 248.
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nomisti valutarono le spese sopra il miliardo. Quanto alle conseguenze sul piano militare, il discorso è ancora più complesso. Indubbiamente le risorse finanziarie impiegate per far fronte alle operazioni in Libia incisero negativamente sulle disponibilità necessarie per l'attuazione sollecita del piano di rianno messo a punto dal ministro Spingardi e dal capo di Stato Maggiore Pollio. Tuttavia le carenze più gravi in fatto di armamenti riscontrate all'inizio della prima guerra moniliale non possono essere attribuite alla guerra di Libia. L'approvvigionamento delle mitragliatrici Maxim subì un notevole ritardo solo per l' inadempienza del contratto da parte della azienda costruttrice, la Wickers inglese, mentre la ritardata consegna dei nuovi pezzi da campagna, i famosi cannoni a deformazione da 75, fu dovuta soltanto alle difficoltà di produzione incontrate dal consorzio di ditte italiane incaricato della commessa. Il settore che effettivamente risenti dei consumi dovuti dalla guerra, fu quello delle dotaziorni di mobilitazione. A causa delle lungaggini burocratiche dovute alla notevole complessità delle procedure amministrative, l'Amministrazione della Guerra non riusciva a soddisfare nei tempi brevi le richieste che giungevano da Tripoli alle quali, perciò, si provvide attingendo ai materiali accantonati nei magazzini di mobilitazione. Dai Rendiconti consuntivi dell'amministrazione dello Stato è possibile, infatti, constatare che alla fine dell 'esercizio 1911-1912 il ministero della Guerra non era riuscito a spendere oltre 104 milioni di lire regolarmente concessi per l'impresa libica, tali residui passivi ammontarono nell'esercizio finanziario seguente a 46 milioni ed in quello ancora successivo a 47. Quando si provvedette a reintegrare le dotazioni, per il maggior costo dei nuovi materiali non fu possibile recuperare al I00% le scorte inviate in Ubia. Nonostante tutto, il programma fissato dalla Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato nel 1908 fu attuato in larga misura. La guerra di Libia, non sufficientemente preparata sul piano diplomatico, provocò poi un notevole deterioramento delle relazioni italo-francesi per cui alla fine del maggio 1913 fu nuovamente convocata la Commissione Mista per esaminare un nuovo programma di potenziamento dell'esercito, che prevedeva un ulteriore aumento del bilancio ordinario di I00 milioni e la disponibilità di un miliardo per le spese straordinarie. Poichè le risorse finanziarie dello Stato non consentivano un tale programma, il ministro Spingardi ne preparò un secondo, definito ridotto che comportava uno stanziamento ordinario di 85 milioni e uno straordinario di 551 e poi ancora un terzo, definito minimo che riduceva ancora gli stanziamenti, rispettivamente a 58 e 408 milioni. Sulla base di tale progetto minimo, in accordo con il Presidente Giolitti, lo Spingardi elaborò un piano definitivo che avrebbe comportato un impegno straordinario per le finanze statali di 600 milioni in quattro anni più un aumento del bilancio ordinario di 82 milioni. Questi stanziamenti avrebbero permesso: di aumentare il contingente da incorporare annualmente, in modo che il livello di forza delle unità dell'esercito stanziate in patria non risentisse di quelle inviate in Libia; di
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migliorare le dotazioni e le predisposizioni logistiche; di accelerare i lavori ferroviari alla frontiera orientale; di fortificare quella occidentale; di incrementare le spese per l'addestramento, rivelatosi non molto elevato. La caduta del governo non permise che il progetto fosse discusso in Parlamento. Il nuovo Presidente, Salandra, non accettò il progetto Spingardì e concesse solo 194 milioni di spese straordinarie in cinque anni più un modesto aumento di 20 milioni sul bilancio ordinario, riduzione accettata dal nuovo ministro della Guerra, generale Grandi. La guerra di Libia incise molto pesantemente, invece, sulla forza dei reparti rimasti in Italia, tanto che il generale Pollio nel novembre del 19 I 1, prima che fosse rinnovato il trattato della Triplice Alleanza, dovette comunicare al Moltke, capo di Stato Maggiore dell ' esercito tedesco, che l'Italia in caso di guerra non avrebbe più inviato le forze previste in Germania. In effetti l'esercito italiano, riordinato e rimesso in efficienza con tanto sforzo nel periodo 1908-1911, era nuovamente ridotto a livelli dì forza del tutto insufficienti a svolgere un addestramento serio e proficuo, specie nei reggimenti dì fanteria. Non vi era, infatti, divisione che non avesse in Libia almeno un reggimento fanteria o bersaglieri e in Libia furono inviate anche tutte le sezioni mitragliatrici, il che si traduceva nell'impossibilità di addestrare all ' impiego di tali armi il personale in Italia. La necessità di costituire in Libia due comandi di · corpo d'armata e quattro comandi di divisione aveva poi indebolito la consistenza dei comandi dì grande unità in Italia, deficienza non compensata dall'esperienza bellica acquisita dagli ufficiali inviati in colonia, trattandosi di operazioni che non avrebbero avuto alcun riscontro nei teatri europei. Con la conclusione della guerra il corpo di spedizione in Libia fu ridotto, Ee condizioni dell'esercito lentamente ritornarono alla normalità ed il Pollio poté, nel marzo 1914, nuovamente assicurare all'alleato tedesco il supporto delle forze italiane sul Reno, quantificato, con gli accordi stipulati a Berlino dal generale Zuccari e dal generale Waldersee, in un'armata su tre corpi d'armata, eventualmente aumentabili. 5. Contemporaneamente alle operazioni contro i Turco-Arabi in Libia, l'esercito dovette intraprendere altre operazioni militari, di consistenza molto più limitata, in Somalia per sottomettere definitivamente alcune indocili tribù stanziate nella regione compresa tra il basso corso dell'Uebi Scebeli ed il Giuba. La penetrazione italiana in Somalia aveva avuto inizio nel 1885 con la concessione da parte del sultano di Zanzibar, formalmente signore di quel territorio, di alcuni privilegi commerciali al nostro Paese. La regione, pianeggiante e povera di acqua, era scarsamente abitata e non era suscettibile di un grande sviluppo economico, solo le zone comprese tra i due fiumi succitati consentivano di praticare con profitto l'agricoltura, nel resto della regione solo la pastorizia riusciva a sfamare qualche migliaio di nomadi. Nel 1889 i sultanati di Obbia e dei Migiurtini, due dei piccoli potentati che si contendevano la primitiva amministrazione del territorio, chiesero ed
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ottennero la nostra protezione ed il governo notificò ufficialmente alle Potenze di aver assunto il protenorato dei due sultanati senza suscitare opposizioni. Nell'agosto del 1892 fu poi stipulata una convenzione tra l'Italia, l'Inghilterra cd il sultanato di Zanzibar con la quale i porti della regione del Benadir (Brava. Merca, Mogadiscio e Uarselick) erano dati in affino all'Italia per quaranta anni, affitto che fu poi trasformato alcuni anni dopo in acquisto, a seguito del versamento nelle casse del sultanato di 144.000 lire sterline. All'inizio del Novecento la Somalia fu turbata dalle razzie del Mullah, un santone originario della Somalia britannica che si era messo alla testa di alcune tribù ribelli e che per qualche anno aveva tenuto in scacco le truppe inglesi. Anche l'Italia fu coin volta nella piccola guerra perché dovette sostenere il sultano dei Migiurtini, entralo in conflitlo con il Mullah. Il trattalo di lligh ( 15 marzo 1915) risolse poi diplomaticamente il confliuo e consentì all'irrequieto Mullah di stabilirsi in territorio somalo sotto il nostro protettorato. Più cruente e più lunghe furono, invece, le operazioni contro la tribù dei Bimal che, a più riprese, insorse contro la nostra dominazione giungendo anche ad assediare la piccola guarnigione del porto di Merca. Il governo decise allora di assumere direttamente l'amministrazione del territorio, fino ad allora gestito dalla Società Anonima Commerciale Italiana del Benadir, cd il 5 aprile 1908 fu promulgata la legge che istituiva ufficialmente la nuova colonia denominata Somalia Italiana. L'istilulione della colonia comportò la costituzione del Regio Corpo di Truppe Coloniali della Somalia, su sci compagnie di fanteria indigena ed una compagnia di cannonieri nazionali. A comandare il Regio Corpo fu inviato il maggiore Antonino Di Giorgio 0 6>e la rivolta dei Bimal fu rapidamente domata, anche con l'apporto di un battaglione di ascari eritrei. Il fermento provocato dalla guerra italo-turca - i Somali sono di religione islamica - provocò nella colonia qualche limitata ribellione con alcuni scontri a fuoco: a Bai ad (gennaio 19 I2), a Scidle (marzo 1912), a Mahaddei Ucin (giugno 19 I 2). L'entità del Regio Corpo fu allora portata a 12 compagnie indigene, I compagnia cannonieri e 2 sezioni mitragliatrici nazionali, 5 centurie e due reparti prcsidiari indigeni, I centur ia indi ge ni per la scorta de ll e carovane.Come di consueto gli ufficiali dei reparti indigeni erano nazionali. Le tribù ribelli furono presto convinte a sottomettersi e la situazione ritornò quasi subito alla normalità, tanto che nel marzo 1913 e nel gennaio I9 I4 due battaglioni somali, ciascuno su tre compagnie, furono inviali in Libia dove parteciparono onorevolmente alle operazioni contro gli Arabi.
(16) Del generale An1onino Di Giorgio vds. il breve profilo biografico nella pane Il di que-
sto volume.
Xll. LA PREPARAZIONE ALLA GUERRA
1. Se la guerra libica aveva colto di sorpresa il generale Pollio, il suo successore, generale Luigi Cadorna ( Il, fu colto di sorpresa dall'annuncio della 0 neutralità italiana, decisa dal Presidente Salandra nel pomeriggio del I agosto 1914 e resa ufliciale il 3. Cadorna, infatti, mai "tenuto a giorno" dal governo "della situazione politico-militare" - come pure espressamente prevedeva il decreto istitutivo della carica di capo di Stato Maggiore - aveva disposto, a fine luglio, che i reparti di copertura fossero avviati alla frontiera con la Francia ed il giorno 31 aveva scritto al sovrano proponendo di inviare in Germania un contingente di truppe superiore a quello previsto negli accordi del marzo. Solo dopo la dichiarazione di neutralità, cd in seguito ad una precisa richiesta, il Salandra si decise a comunicare al capo di Stato Maggiore del l'esercito che ci si doveva orientare a preparare la guerra contro l'Austria. Come ha osservato Luigi Mondini "questo episodio, tutt'altro che marginale, denota l'assenza di sintonia tra governo e autorità militare e rivela la difficoltà, che andò sempre più accentuandosi, nei rapporti personali tra Salandra e Cadorna. Condotta politica e condotta militare, anziché due vasi comunicanti, quali avrebbero dovuto essere, si tramutarono in compartimenti stagni ed ognuno considerò indebita ingerenza ogni intervento dell'altra" <2>. A queste "incomprensioni" si aggiunsero gli attriti che presto si manifestarono tra il ministro della Guerra, generale Domenico Grandi <3), successore dal 25 marzo 1914 dello Spingardi, e Cadorna a causa dell'atteggiamento distaccato e prudente del ministro, sempre molto attento ai problemi di carattere fi nanziario.
(I) Vds. del generale Luigi Cadorna il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
(2) L. Mondini, 1A Preparazione de/l'esercito e lo sforzo militare nel/" prima guerra mondiale. in AA.YV. "/9/ 5-1918. L'/ralia nella gra11de guerra", Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1968 (3) Domenico Grandi (1849-1937). Sonotenente di fanteria nel I 869. dopo aver frequentato la Scuola di Guerra passò nel corpo di Stato Maggiore. Colonnello nel 1895 comandò il 12° fanteri a e poi fu capo di Stato Maggiore dell'Ylll corpo d'armata. Maggior generale nel 1900 comandò la brigata Lombardia, tenente generale nel 1908 comandò le divisioni di Padova e di Roma e, nel 1910, il X corpo d'armata. Ministro della Guerra dal 25 marzo all 'J J ottobre 1914, riebbe il comando del X corpo d'armata con il quale e ntrò in guerra nel maggio del 1915. successivamente comandò il XIVV corpo d'armata fino al marzo 1917. quando passò in ausi liaria. Deputato nelle legislature XVJII e XIX, senatore dal 1914.
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La preparazione al conflitto ebbe perciò un inizio quanto mai travagliato cd incerto e solo la sostituzione del Grandi con il generale Zupclli (4 ), avvenuta nell'ottobre, fece attenuare i contrasti tra il vertice politico ed il vertice tecnico dell'esercito, determinando un sensibile miglioramento della situazione. Il nuovo ministro, infatti, impostò nella prima metà del mese di ottobre un ampio programma di potenziamento, concordato con il Presidente del Consiglio e con il capo di Stato Maggiore, che fu poi realizzato a mano a mano che giungevano le necessarie assegnazioni di fondi. La complessità dei problemi affrontati e risolti e la molteplicità dei settori interessati consigliano di procedere con una narrazione scandita sulle varie branche di attività piuttosto che cadenzata con rigido criterio cronologico. A fattor comune è necessario premettere un'ultima considerazione. E' stato spesso affermato che nell'estate del 1914 l'esercito fosse assolutamente impreparato a sostenere un conflitto di tipo europeo, soprattutto a causa dei grandi consumi verificatisi in Libia e degli insufficienti stanziamenti di bilancio degli anni precedenti. Una serena valutazione dell'efficienza dell'esercito in quel periodo, certo non ottimale ma neppure catastrofica, ridimensiona notevolmente l'affermazione. 2. Durante i mesi della neutralità l'azione governativa continuò a svolgersi sul piano della politica estera senza mai interpellare il vertice militare, anzi adottando spesso decisioni in contrasto con il parere del capo di Stato Maggiore. E' il caso dell'occupatione dell'isolotto di Saseno e poi della baia di Valona nel dicembre 1914, apertamente osteggiata da Cadoma perché ritenuta un'inutile dispersione di forze. Anche il patto di Londra fu stipulato senza consultare il vertice militare, nemmeno sull'andamento dei confini. E se il Presidente Salandra non riteneva di dover consultare il ministro della Guerra o il capo di Stato Maggiore, che avrebbe poi comandato l'esercito in guerra, le autorità militari non ritenevano dal canto loro di comunicare al governo quanto andavano realizzando. Quanto alla stima ed alla fiducia che intercorrevano tra le autorità politiche e quelle militari è sufficiente ricordare il commento a caldo fatto da Cadorna dopo una riunione con Salandra e con il ministro degli Esteri il 19 agosto: "Nessun pensiero di risolutioni audaci. Piccole idee, piccoli uomini". Cadorna dovette poi ancora scontrarsi duramente con il governo, che avrebbe voluto inviare altre forze in Libia per fronteggiare la ribellione araba, sobillata ed aiutata dalla Turchia e dalla Germania. Cadoma giustamente rite-
(4) Vi1torio Zupelli (1859-1932). Sottotenente d'artiglieria nel 1881. Colonnello nel 1907 comandò il 22° fanteria, panccipò poi alla guerra di Libia. Maggior generale nel 1912 comandò la brigata Siena. Nominato senatore e ministro della Guerra ne11'01tobre 1914, nell'aprile del 1916 dovette dare le dimissioni per contrasli con il generale Cadoma. ed ebbe il comando di una divisione nella 3' armata. Il 20 mano 1918 fu nuovamente nominato ministro della Guerra, incarico che mantenne fino al 17 gennaio 1919. Fu poi inviato in Germania quale membro della Commissione Interalleata. Nel 1921 fu collocato in ausiliaria.
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neva che anche il possesso della Libia sarebbe stato deciso sul Carso e consigliò il governo di limitare per il momento la nostra occupazione solo ai centri costieri più importanti. L'opinione di Cadorna era corretta e fu, alla fine, accettata ma il ministro delle Colonie, l'on. Ferdinando Martini, non conosceva il principio dell'economia delle forze e divenne un implacabile avversario del capo di Stato Maggiore nel Consiglio dei Ministri. Cadorna, comunque, fu ancora colto di sorpresa quando il 4 maggio 1915 il governo denunciò la Triplice Alleanza e solo il 5 sera fu occasionalmente informato che l'Italia si era impegnata ad entrare in guerra entro il giorno 26. La gravissima conseguenza di tale assurda mancanza di coordinamento con il vertice politico fu che l'esercito entrò in guerra senza aver potuto completare la mobilitazione, fatto che spesso è stato presentato da autori in mala fede come l'ennesima prova dell'incapacità militare di gestire anche la parte più squisitamente tecnica del conflitto. 3. La necessità di costituire le previste unità di milizia mobile e di milizia territoriale mise impietosamente a nudo la critica situazione degli ufficiali di complemento, insufficienti sotto il prolìlo numerico e inadeguati sotto quello professionale. L'incalzare degli avvenimenti consentì di rimediare solo al primo aspetto del problema. A colpi ripetuti e successivi di decreti legge si provvedette ad aumentare il numero degH ufficiali effettivi e di quelli di complemento: abbreviando la durata dei corsi in atto negli istituti di reclutamento, immettendo i nuovi sottotenenti subito nei reparti senza far loro frequentare le scuole di applicazione, transitando nel servizio permanente gli ufficiali di complemento che avevano combattuto in Libia, promuovendo ufficiali i sottufficiali migliori, sostituendo negli uffici e nei comandi gli elementi più giovani con altri richiamati dal congedo, dilatando oltre misura il reclutamento degli ufficiali di complemento. Naturalmente la quantità andò a scapito, come sempre, della qualità, ma fu raggiunto il risultato di coprire gli incarichi previsti dalle tabelle organiche. Dall'agoslO 1914 al maggio 1915 l'incremento del corpo ufficiali fu di 9.412 unità, di cui 1.188 effettivi, 4.754 di complemento e 3.470 della milizia territoriale. Per i sottufficiali fu provveduto con un incremento dei corsi e con la promozione a sergente dei migliori graduati. Per quanto riguarda la truppa i provvedimenti adottati furono molteplici e non sempre in linea con la pianificazione di mobilitazione che il governo non volle attuare per non allarmare prematuramente l'Austria. Dal 3 al 7 agosto 1914 il governo ordinò il richiamo delle classi I 889 e 1890 e la chiamata alle armi dell'aliquota del 1891 ancora in congedo e della II· categoria del 1893 allo scopo di rinsanguare i reparti e di costituire una riserva addestrata. Iniziativa lodevole ma che provocò un primo sconvolgimento di tutte le predisposizioni, tanto accuratamente predisposte e verificate negli anni precedenti. In settembre il governo chiamò alle armi la classe 1894 ed il piano di mobilitazione vigente fu completamente sconvolto. Il piano prevede-
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va, infatti, lo svolgimento contemporaneo delle operazioni di mobilitazione e di radunata: in pratica i riservisti dovevano raggiungere i reggimenti non nelle sedi stanziali bensì direttamente nel luogo di radunata, in modo da guadagnare tempo. li completamento dei reggimenti nelle sedi di pace avrebbe comportato, infalli, un sovraccarico dei trasporti ferroviari previsti e paralizzato gli altri movimenti necessari per le altre classi da richiamare. Lo Stato Maggiore fu perciò costretto ad elaborare un nuovo sistema di mobilitazione, chiamata rossa dal colore delle cartoline precello, che prevedeva l'arrivo dei riservisti nelle guarnigioni di pace. La radunata avrebbe avuto inizio al termine della mobilitazione. La mobilitazione rossa, in grado di essere attuata a partire dal I O marzo 1915, offriva il vantaggio di consentire la chiamata delle varie classi anche gradualmente, di alloggiare i riservisti al loro .arrivo nelle caserme e di lasciare al governo la scelta del momento più opportuno per avviare le unità alla frontiera, per contro allungava i tempi della radunata. Nel gennaio 1915 fu chiamata in anticipo alle armi la classe 1895, più le categorie u• e III· di alcune classi precedenti, e si cominciarono a costituire i reparti di milizia mobile: - 52 reggimenti di fanteria, raggruppati in 26 brigate, Piacenza ( I I I O e 112°), Mantova (I 13° e 114°), Treviso ( 115° e 116°), Padova ( 117° e 118°), Emilia ( 119° e 120°), Macerata ( 121 ° e 122°), Chieti ( 123° e 124°), La Spezia (125° e 126°), Firenze (127° e 128°), Perugia (129° e 130°), Lazio (131 ° e 132°), Benevento (133° e 134°), Campania (135° e 136°), Barletta (137° e 138°), Bari (139° e 140°), Catanzaro (141 ° e 142°), Taranto (143° e 144°), Catania (145° e 146°), Caltanissetta (147° e 148°), Trapani (149° e 150°), Sassari (151 ° e 152°) Novara ( 153° e 154°), Alessandria (155° e 156°), Liguria (157° e 158°), Milano (159° e 160°) Ivrea ( 161 ° e 162°). I reggimenti furono formati attorno ad un nucleo di personale già in servizio, ottenuto con la cessione di unità a livello compagnia da tutti i reggimenti in vita che, a loro volta, ripianarono le perdite con i richiamati. Si cercò così di conferire anche alle unità di nuova costituzione un minimo di compattezza e, nel contempo, di rendere più facile la necessaria ripresa addestrativa dei riservisti. Tale sistema fu adonato anche per i reparti delle altre armi: - 11 battaglioni bersaglieri ; - 38 compagnie alpini; - 23 squadroni di cavalleria. Successivamente furono costituiti i comandi di grande unità e 13 reggimenti di artiglieria da campagna, numerati dal 37° al 49°. Al fine di armare tulli i reggimenti da campagna con le artiglierie a deformazione, le batterie furono riordinate su quattro pezzi anziché su sei, decisione non irrazionale in quanto la maggior celerità di tiro consentita dai nuovi materiali avrebbe compensato la diminuzione delle sorgenti di fuoco. Il 7 gennaio 1915 fu costituito il Corpo aeronautico su una direzione generale di aeronautica presso il ministero della Guerra, due comandi di aeronautica, uno per la specialità aviatori ed uno per quella dirigibilisti ed aerostieri, un battaglione dirigibilisti, un battaglione aerostieri, un ballaglione aviatori, un battaglione scuole
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aviatori. Anche le unità di milizia territoriale ebbero un inizio di costituzione con 8 reggimenti alpini, 198 battaglioni di fanteria, 9 battaglioni del genio e 113 compagnie presidiarie. Il I O marzo entrò in vigore la "mobilitazione rossa" e fu così possibile rinforzare le truppe di osservazione avanzata, dislocate in prossimità al confine con l'Austria, che vennero così a comprendere 12 reggimenti e IO battaglioni di fanteria, 4 reggimenti bersaglieri, 3 battaglioni bersaglieri ciclisti, 4 batterie da campagna, 7 compagnie zappatori ed 1 compagnia telegrafisti. Poco prima dell'entrata in guerra fu costituito il 30° reggimento di cavalleria, Cavalleggeri di Palenno . Il 4 maggio furono finalmente iniziali i trasporti di mobilitazione e di radunata, completati il I 5 giugno, ed il 23 maggio il governo si decise ad indire la mobilitazione generale. In totale per i reparti della milizia mobile, a tutti gli effetti parte integrante dell'esercito di 1• linea, furono mobilitate le classi: dal 1888 al 1895 per la fanteria e gli alpini, dal 1886 al 1895 per i bersaglieri e per i reparti del genio; dal 1892 al 1895 per la cavalleria; dal 1889 al 1895 per l'artiglieria da campagna e pesante campale; dal 1882 al 1895 per quella da montagna. Per costituire le unità della milizia territoriale furono richiamati i riservisti delle classi dal 1876 al 1881, per un totale di 344.000 uomini. Ai primi di luglio , a mobilitazione ultimata, la forza complessiva dell 'esercito di 1• linea assommava a 31.077 ufficiali, di cui 17.046 effettivi e 13.991 di complemento, 1.058.000 sottufficiali e militari di truppa, 11.000 civili militarizzati. 4. Nel settore dei materiali lo sforzo organizzativo compiuto nei mesi della neutralità fu poderoso; segno evidente che l'esercito possedeva uomini capaci e laboriosi. Le deficienze esistenti nell'estate del 1914 nel settore del vestiario e dell'equipaggiamento, comunque notevoli ma non notevolissime, furono ripianate senza molle difficoltà in quanto nel Paese esistevano industrie in grado di produrre, anche in tempi relativamente brevi, tutto il necessario, il problema era soltanto di natura finanziaria. Più gravi, invece, le carenze nel sellore degli armamenti a causa della nostra arretratezza tecnica e della mancanza di materie prime, non più di facile approvvigionamento sul mercato internazionale a causa del conflitto. Il generale Mondini ha così riepilogato la situazione iniziale: "in fatto di armi, erano disponibili 750.000 fucili mod. 1891 e 1.300.000 mod. 1870-1887 (aveva il calibro 10,38 che, più tardi, fu ridotto a 6,35, cioè quello del "91", con l'introduzione di una nuova anima di acciaio nella canna dell'arma), per l'armamento della milizia territoriale. Inesistenti le dotazioni delle bombe a mano. Del cosiddetto, parco d'assedio non era stato allestito nessuno dei 6 obici da 305, mancavano (, batterie mortai da 260 e gli affusti a ruote di 8 batterie da
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210. Notevolj deficienze qualitative e quantitative si riscontravano nelle artiglierie campali e pesanti campali: 96 batterie da campagna non disponevano ancora dei pezzi Déport a deformazione ed erano armate con il materiale rigido; alcune, esattamente 37, con gli 87B, cioé in bronzo, non idonei neppure al tiro indiretto; i due reggimenti pesanti campali avevano gli obici, 28 batterie, delle quali solo la metà complete di Quadri e di cavalli, ma non i cannoni, 12 batterie. Si sarebbe dovuto avere una sezione mitragliatrici per ogni battaglione di fanteria e per ogni reggimento di cavalleria e due per ogni battaglione alpini, invece la disponibilità complessiva era di 150 sezioni e quindi una per reggimento fanteria (compresi granatieri e bersaglieri), di cavalleria e per ogni battaglione alpini" <5>. Anche in questo settore, tuttavia, i progressi realizzati furono notevoli. Sotto la guida esperta e propulsiva del generale Dallolio, la produzione degli stabilimenti militari aumentò in misura considerevole ed anche l'industria privata, allettata dalla speranza di ottenere vantaggiose commesse, incominciò ad impiantare fabbriche in grado di produrre materiale d'armamento. Lo sforzo produttivo fu inizialmente frenato dall'eccessiva parsimonia con la quale il governo concedeva i fondi necessari, soprattutto per la miope azione del titolare del ministero del Tesoro, l'on. Rubini, politico cauto ed avveduto che preferiva "una Novara militare ad una Novara economica". Solo nell'agosto 1914 furono assegnati i primi 80 milioni del programma di potenziamento concordato prima dello scoppio delle ostilità e solo ai primi di novembre il governo concesse 38 e poi altri 96 milioni per ripianare le dotazioni e costituire finalmente gli ultimi cinque reggimenti di artiglieria da campagna previsti dall'ordinamento del 191 O. A partire dal dicembre, quando furono finalmente stanziati 400 milioni di fondi straordinari, fu possibile accelerare la produzione di armi e di munizioni. Poiché la Wickers, che avrebbe dovuto consegnare 432 mitragliatrici entro il giugno I 913 e le restanti 772 entro il successivo dicembre, nel luglio del I9 l 4 ne aveva consegnate solo 300, il generale Cado ma decise l'adozione della mitragliatrice Fiat-Revelli mod. 1914, ordinandone 500 esemplari che la Fiat si impegnò a consegnare a partire dal maggio 1915. All' Ansaldo fu affidata, invece, la costruzione di un nuovo pezzo per l'artiglieria pesante campale, il 105, le cui prime batterie entrarono in servizio nel giugno 1915. Nel settore aeronautico, a causa dell'ancora ridotta capacità produttiva dell'industria nazionale, fu necessario rivolgersi a ditte francesi per l'acquisto degli aerei necessari per equipaggiare le 3 I squadriglie previste dal piano di potenziamento elaborato dal Pollio nell'aprile 1913. All'inizio delle ostilità i materiali d'armamento in dotazione all'esercito di 1• linea costituivano un arsenale ragguardevole: 760.000 fucili e 170.000 moschetti mod. 91; 6 I 8 mitragliatrici; 280 pezzi da 65 e da 70 per l'artiglieria
(5) L. Mondini, op. cit.
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da montagna; 1.452 pezzi campali da 75/27, mod. 1906 e mod. 19 I I; 32 pezzi da 75/27 mod. 1912 per le batterie a cavallo; 112 pezzi pesanti campali da 149; un parco d'assedio su 48 mortai da 280, 8 obici da 210, 48 cannoni da 149/A, 28 cannoni da 149/A; 6 cannoni da 305 e 24 obici da 280 erano poi schierati alla difesa di Venezia. A queste anni s i possono aggiungere anche i 58 aerei ed i 5 dirigibili che costituivano il potenziale aereo dell 'esercito. Meno soddisfacenti le scorte di munizioni che, tuttavia, assicuravano I .500 colpi per ciascun pezzo da 75, 800 colpi per ciascun pezzo pesante campale, 1.800 colpi per i cannoni dell'artiglieria da montagna, 900 cartucce per ciascun fucile e 700 per ciascun moschetto mod. 91, I00.000 per ciascuna mitragliatrice. Vi erano poi altri 200.000 fucili mod. 91 di riserva e 1.316.000 fucili Veuerly-Vitali con 125.000.000 cartucce per la milizia territoriale. A questi materiali debbono essere aggiunti 3.800 automezzi, 150 trattrici, I. I00 motocicli. L'esercito naturalmente disponeva anche di un grande numero di animali da sella, da soma e da traino: 216.000 quadrupedi in tutto. 5. l mesi della preparazione servirono anche per un aggiornamento della dottrina d'impiego. Appena un mese dopo aver assunto l'incarico il generale Cadorna emanò la circolare n. 144 Norme riassuntive per l'azione tattica nel'.a quale, estrapolando da tutto il corpo dottrinale elaborato dal Pollio le norme riguardanti l'azione offensiva, riassunse i principi e le regole del combattimento offensivo, specie di quello frontale perchè: "anche un'azione contro un fianco si risolve in un'azione frontale quando l'avversario abbia spostato le sue riserve per fronteggiarla". Sei mesi dopo il Cadorna ritornò sull'argomento con il fascicolo Attacco frontale ed ammaestramento tattico scritto sulla base di quanto sembrava essere il risultato delle operazioni condotte nel 1914 dai vari belligeranti. Cadoma, pur ammettendo che le forze contrapposte si fronteggiavano ormai " interrate entro robustissimi trinceramenti formidabilmente muniti" riteneva che l'offensiva potesse ancora prevalere se condotta con adeguata superiorità di forze. Raccomandava, perciò, che l'attacco procedesse in modo sistematico, dopo essersi assi curata "l'assoluta superiorità del fuoco nella zona prescelta per le irruzioni". La parte finale del fascicolo trattava l'addestramento, che doveva "disciplinare le intelligenze degli ufficiali" orientandole "intorno a talune lince essenziali di metodo dei procedimenti tattici dell'attacco frontale ed inquadrato". Gli ufficiali dovevano impadronirsi del "meccanismo della manovra" con "numerosi e ben diretti esercizi d'addestramento tattico sopra terreni di varia natura, svolti in parte con i quadri ed in parte con le truppe, sul terreno e non sulla carta". Cadorna diramò anche altre circolari addcstrative: Norme complementari
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a/l'Istruzione sui favori del campo di battaglia, Coordinamento d'impiego della fanteria e dell'artiglieria, Procedimenti per l 'a11acco frontale nella guerra di trincea i11 uso ne/l'esercito francese. Queste circolari non contenevano nuove concezioni dottrinali né rivoluzionari procedimenti d'impiego, molto opportunamente Cadorna volle riepilogare, nell'imminenza dell'entrata in guerra, alcuni argomenti di grande importanza per richiamare su di essi l'attenz ione dei Quadri. Nell'imminenza dell'entrata in guerra fu diramata una nuova regolamentazione logistica, elaborata anche sulla base delle esperienze fatte in Libia, li
Servizio in guerra. Parte Il organizzazione e fu11zio11a111e11to dei Servizi. I I O servizi considerati erano: sanitario; commissariato, articolato nelle branche vettovagliamento, cassa, vestiario cd equipaggiamento; rifornimento materiali di artiglieria; rifornimento materiali del genio; telegrafico: postale; veterinario; della manutenzione stradale; delle tappe; dei trasponi. La stabilità del fronte semplificò molto il problema logistico, almeno per quanto riguardava la logistica di distribuzione. Più complesso fu il funzionamento degli organi di produzione che si sviluppò, confli110 durante, con nuove procedure e nuove prospettive. Nel complesso l'esercito entrò in guerra con una dottrina d'impiego allineata con quella degli altri eserciti belligeranti, an1.i, nonostante il dogmatismo di Cadorna, la dottrina italiana presentava caratteristiche di minor rigidezza di altre cd in alcuni settori, come quello della cooperaL.ione fanteria-artiglieria e detrimpiego dell'artiglieria in generale, era all'avanguardia. Tuttavia la nostra do11rina, come quella degli altri eserciti, non era idonea a riaffermare la superiorità dell'offensiva sulla difensiva che, pertanto, rimase la fonna di combattimento principe di tutta la guerra. 6. Le attività di preparazione alla guerra si conclusero, almeno secondo un calendario conceuuale, con la stesura del piano operativo. Prima di accennarne è però necessaria, una breve descriL.ione del teatro d'operazione. La linea di confi ne del 1915 era quella, piuttosto sfavorevole, lasciata alt' Italia del trattato di Vienna del 1866. Tale linea si svolgeva come una grande S maiuscola disposta sulle Alpi venete in senso orizwntale, facendo in modo che l'Austria penetrasse nel territorio italiano ad ovest, con un largo cuneo, avente la sua base sulla linea Stelvio-Cima Vanscuro (Km 160) ed il suo vertice spinto sull'Adige fin quasi a Peri (km. 160 dal Brennero e meno di 30 da Verona). Questo largo cuneo naturalmente si traduceva in una costante e grave minaccia per il tergo delle forze italiane agenti verso est, mitigata però dalla carente poten1..i alità delle strade e delle lince ferroviarie che vi adducevano dall'Austria. L'altra parte della S costituiva il saliente italiano dell'Isonzo, poco pericoloso per l'Austria perché tenninava contro i primi contrafforti della grande carena delle Alpi Giulie e contro il primo gradino carsico. Nel suo insieme il teatro d'openuione poteva essere suddiviso in due lOne nel senso dei paralleli, la prima a nord, prevalentemente montuosa, e la seconda a sud, pianeggiante.
LA PREPARAZIONE ALLA GUERRA
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Tra i vari fiumi solcanti la pianura con andamento generale meridiano, il Piave era quello che meglio si prestava ad una rapida, economica ed efficace difesa. "Esso costituisce, infatti, un buon ostacolo passivo; offre ottime condizioni tattiche sia per i forti appoggi d'ala sia per il leggero dominio dei terreni di riva destra su quelli di riva sinistra; rappresenta, inoltre, la linea più breve che congiunge il piede delle Prealpi (Massiccio del Grappa- Prealpi Bellunesi) con la zona lagunare" (6). Poiché tulla la parte settentrionale del teatro d'operazione era costituita da una profonda fascia montana, i cui pochi solchi erano stati inoltre sbarrati con notevoli opere fortificatorie permanenti da entrambi gli avversari, la zona che meglio si prestava all'impiego di grandi masse era il settore dell'Isonzo. Solo verso questo settore, del resto, erano indirizzate linee di comunicazioni stradali e ferroviarie di sufficiente potenzialità per sostenere operazioni offensive di carattere strategico. In previsione dell'entrata in guerra il generale Cadoma aveva concepito un disegno operativo di largo respiro, che avrebbe inse1ito lo sforzo italiano tra quelli degli Alleati in modo veramente coordinato ed efficace. Tutti i piani operativi di guerra italiana ali' Austria-Ungheria erano sempre stati concepiti, dal Cosenz al Saletta ed al Pollio, in tennini strettamente difensivi, in considerazione dell'obiettiva superiorità dell'esercito imperiale. Ma nell'estate-autunno del 1914 la situazione strategica era mutata: l'Austria-Ungheria impegnata con la Serbia e con la Russia non era in condizioni di prendere l'iniziativa sul fronte italiano e Cadorna aveva, di conseguenza, ribaltato il tradizionale orientamento difensivista. Cadorna, infatti, aveva stabilito: difensiva sul fronte trentino; offensiva a fondo sul fronte giulio in direzione di Lubiana e Zagabria; eventuali offensive concorrenti dal Cadore e dalla Carnia. li piano, in apparenza ambizioso, si giustificava con un presupposto fondamentale: il concorso dell'esercito serbo dalla bassa Sava verso Lubiana e dcli' esercito russo dai Carpazi nella pianura ungherese. Lo schieramento dell'esercito italiano fu attuato di conseguenza: - l" armata: settore Trentino-Adige, dallo Stelvio alla Croda Grande; - 4' armata:scttore Cadore, dalla Croda Grande al M.Peralba; - Zona Carnia (comando autonomo; poi II corpo d'armata alle dipendenze dirette del Comando Supremo): da M. Peralba a M. Maggiore; - 2• armata: da M. Maggiore a Prepollo; - 3• armata (del Carso): da Prepotto al mare. Complessivamente 569 battaglioni, 179 squadroni, 512 batterie di cui due quinti schierati a sbarramento dei 560 km. di frontiera intercorrente tra lo Stelvio e M. Canin, due quinti sui 70 km del fronte giulio, un quinto in riserva. Per quanto riguarda il piano d'operazione austro-ungarico occorre dire che il capo di Stato Maggiore imperiale, Conrad, in un primo tempo aveva pensato ad un'azione risolutiva contro l'Italia: raccogliere una forte massa nella (6) t'esercito italiano nella grande guerra //915-1918), Voi. I. USSME, Roma !927, pag. 308.
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conca di Lubiana ed aspettarvi gli Italiani per batterli in modo definitivo. Per l'attuazione di questo piano egli aveva richiesto il concorso di IO divisioni tedesche; il rifiuto germanico obbligò a cambiare progeuo. Conrad stabilì allora di resistere sulle ottime posizioni difensive del confine per logorare le forze italiane con il minimo delle proprie, continuando intanto nelle azioni in corso contro la Russia per sfruttarne il successo. Le posizioni di confine furono quindi solidamente preparate a difesa, completando ed aumentando l'efficienza della fortificazione permanente esistente già da anni. Oltre agli sbarramenti montani furono eseguiti grossi lavori sul Rombon, su Monte Nero, alle teste di ponte di Tolmino e di Gorizia e sul Carso. L'esercito austro-ungarico, alla fronte italiana, deciso quindi a tenere, almeno per il momento, un atteggiamento difensivo, si schierò così: - armata del Tirolo, dallo Stelvio al M. Peralba; - armata della Carinzia, dal M. Peralba all'alto Isonzo; - armata dell'Isonzo, dall'alto Isonzo fino al mare. In complesso 234 battaglioni, 21 squadroni, 155 batterie. 7. L 'ultimo problema esaminato e risolto fu quello relativo al comando dell'esercito. E già stato ricordalo nel precedente capitolo come il Regolamento del servizio in guerra del 19 l 2 avesse previsto che, qualora il sovrano non avesse ritenuto di assumere personalmente il comando dell 'esercito mobilitato, i 1 comando sarebbe stalo affidato ad un ufficiale generale, che aVTebbe avuto il titolo di Comandante Supremo (art. 39). Vittorio Emanuele III, con il pieno assenso del governo, volle mantenere almeno nominalmente il comando dell'esercito, delegando però il comando effettivo al generale Cadoma. Il regio decreto del 23 maggio 1915 precisava, infatti: "Da oggi i Nostri ordini, riflettenti le operazioni dell'esercito e dell'armata e dei loro riparti, saranno comunicati d'ordine Nostro dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito e da quello della Marina; i quali li tradurranno in atto nelle parti riflettenti le operazioni terrestri e maritlime, dando conoscenza ai rispettivi ministri della Guerra e della Marina delle disposizioni che possono interessarli. Di tuui i provvedimenti del Governo che possono avere influenza sulle operazioni militari sarà data notizia dal Ministro competente ai Capi di Stato Maggiore dell'Esercito e della Marina". Pur avendo conservato il comando dell'esercito, con tale decreto il sovrano configurò nel generale Cadorna quel Comandante Supremo di cui trattava l'articolo 39 del Regolamento e ne sancì con grande chiarezza le prerogative che, del resto, non furono mai messe in discussione. La dura lezione del 1866 era stata compresa ed il principio dell'unità del c omando fu sc rupolosamente rispettato. Il re, dopo aver affidato la Luogotenenza del Regno allo zio, principe Tommaso, si trasferì nei pressi del fronte giulio, a Torreano di Martignacco, dando inizio ad una quotidiana attività ispettiva, effelluata sempre con la massima discrezione e che non interferì mai nell'attività di comando del generalissimo Cadorna.
XIII. LA GRANDE GUERRA
I. Quando l'Italia enlrò in guerra, il 24 maggio 1915, il piano di Cadoma, concepito in base alla situazione strategica complessiva dell'inverno precedente, quando i Serbi avevano respinto gli Austriaci ed i Russi si affacciavano minacciosamente ai Carpati, non era più attuabile. I Russi, duramente battuti in Galitia (battaglia di Gorlice del 4 maggio) erano stati costretti ad una profonda e pericolosa ritirata, tanto che gli Austriaci furono in grado di ritirare da quel fronte alcune divisioni subito schierate in Italia, ed i Serbi, che pure avevano esordito nel conflitto assai onorevolmente, erano caduti in una fase di strana ed inspiegabile inerzia. Venuto così a mancare l'indispensabile appoggio indiretto degli Alleati, le operazioni initiali italiane ebbero solo lo scopo di occupare buone posizioni di partenza per le offensive future, obiettivo che fu però solo parzialmente raggiunto perché le difese austriache sull'Isonzo si dimostrarono subito molto forti e di difficilissimo superamento e nel settore montano la 4• armata, scarsa di pezzi di artiglieria di grosso calibro e fiaccamente comandata, non riuscì nell 'intento di interrompere le comunicazioni del saliente trentino, che rimase pertanto una grave minaccia potenziale per le operazioni direlle a superare l'Isonw. Il 23 giugno Cadorna dette inizio alla I• battaglia dell'Isonzo, conclusasi dopo 15 giorni di lotta durissima senza alcun apprezzabile risultato. Il 28 luglio fu initiata una nuova offensiva, anch'essa destinata a smorzarsi senza significative conquiste. Anche la 3• e la 4' battaglia dell'Isonzo, combattute dal 18 ottobre al 4 novembre e dal IO novembre al 2 dicembre, non portarono a risultati apprezzabili. In poco più di sei mesi di combattimenti aspri e cruenti - le perdite italiane assommarono a circa 200.000 caduti e feriti - la 2• e la 31 armata italiane erano a malapena riuscite ad attestarsi sul l'orlo occidentale dell'altipiano carsico, senza riuscire ad intaccare sostanzialmente la linea di resistenza avversaria. Nello stesso periodo si svolsero modeste operazioni nel Trentino e nel Cadore e unico risultato di rilievo conseguito fu la conquista del Col di Lana. Gli Austriaci avevano molto fortificato il fronte carsico, costruendo due successive linee difensive: quella avanzata, sulla destra dell'Isonzo, appoggiata ai due caposaldi del Podgora-Sabotino e del San Michele e quella arretrata, sulla sinistra dell'Isonzo, saldata da un lato al Monte Santo ed al San Gabriele e dall'altro allo Hermada. E contro quei pilastri della difesa tutti gli attacchi italiani, condotti con
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slancio e con determinazione, erano falliti. Avrebbe dovuto apparire chiaro, dopo le ripetute esperienze negative, che la continuità del fronte, saturo di trup· pc e saldamente fortificato, imponeva una guerra di posizione e la rinuncia ad ogni tentativo di rottura. Ma, "si poteva star fermi quando il mondo ci guardava, la Russia e la Serbia reclamavano che, muovendoci, le sollevassimo ed i Francesi più dissanguati di noi attaccavano?" O). Così scrisse molti anni dopo il senatore Albertini, smentendo coloro che attribuivano al solo Cadorna la responsabilità di tante offensive, auspicate invece allora non solo dagli Alleati ma anche dalla stampa e dal governo. 2. La pausa invernale delle operazioni consentl al governo ed allo Stato Maggiore di prendere alcune misure per migliorare I' efficienL.a dell · esercito che le prime dolorose esperienze aveva dimostrato essere povero di mitragliatrici, di artiglierie e di munizioni. Già il 9 luglio 1915 il governo aveva istituito il Comitato supremo per i rifornimenti delle armi e munizioni , presieduto dal Presidente del Consiglio e costituito dai ministri degli Esteri, del Tesoro, della Guerra e della Marina, alle cui dipendenze fu posto il Sottosegretariato per le Armi e MuniL.ioni, collocato nell'ambito del ministero della Guerra, a capo del quale fu nominato il generale Dallolio <2>. A partire dal 1° ottobre la Direzione Generale d'artiglieria e genio, l' lspellora10 Generale delle costruzioni d'artiglieria e la Direzione Generale d'aeronautica passarono alle dipendenze del Sottosegretario, cui competeva l'acquisto all'interno e all'estero delle materie prime, l'ampliamen10 e la disciplina di maestranze e dirigenti degli stabilimenti, l'amministrazione generale. Le scelte tecniche della produzione, l'affidamento delle commesse alle aziende private, la stipulazione dei contratti erano centralizzati nel Sot1osegrctario; il coordinamento periferico della produzione cd il suo controllo tecnico erano invece decentrati, grazie alla nomina di capigruppo per le ripartizioni, direllori di stabilimenti militari, uffici di vigilanza. Per assicurare alla pubblica amministrazione l'autorità necessaria per assegnare alle aziende le materie prime, l'energia motrice e la mano d'opera occorrenti, Dallolio organizzò dal nulla l'apparato della mobilitazione industriale. Esso era costituito da un Comitato Centrale, presieduto dallo stesso Dallolio, c da selle Comitali , poi portali ad undici. ciascuno presieduto da un ufficiale generale dell'esercito o della marina, con competenza su una vasta arca geografica. L'efficacia di questo nuovo apparato dello Stato fu subito palese. Gli iniziali timori degli industriali per la libertà d'impresa e la requisizione dcll 'azienda cessarono di fronte alla possibilità di ottenere prezzi più che remunerativi, materie prime a pagamento dilazionato, anticipi sui pagamenti, contributi all'ammortamento dei nuovi impianti, sgravi fiscali. Per il mondo del
(I) L. Albertini, Vemi an111 di politica iwliana. ZanicheUi, Bologna 1953. voi. II. pag. 105. (2) Vds. del generale Dallolio il breve profilo biografico nella parte 11 di questo volume.
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lavoro, nel quadro delle ristrettezze e della disciplina di guerra che gravavano sul Paese, di contro a prolungamenti di orario e al divieto di sciopero e di libera contrattazione, stavano garanzie di equa paga, di assistenza e previdenza, di esonero dall'invio al fronte. Alla fine del 1915 gli stabi limenti ausiliari ammontavano a 221 che. affiancati agli stabilimenti militari, contribuirono in misura determinante all'approvvigionamento delle artiglierie e delle munilioni, tuttavia la densità delle prime e la disponibilità delle seconde furono, almeno fino al I 917, inferiori alle necessità. Anche la più recente storiografia ha dovuto riconoscere che "la corretta valutazione tecnica delle offensive italiane dovrebbe infine tener conto della cronica insufficienza del munizionamento di artiglieria" <3>. Nel complesso, tuttavia, la situazione di crisi determinatasi nei primi mesi di guerra, fenomeno del resto naturale e comune ad altri eserciti ed ad altre nazioni. fu progressivamente superata, gralic anche al clima di stretta collaborazione instauratasi tra Comando Supremo e ministero della Guerra. Furono mobilitati altri 800.000 uomini, richiamate le classi dal 1882 al 1888 per l'esercito permanente e per la milizia mobile e le aliquote ancora in congedo di quelle dal 1876 al 1881 per la milizia territoriale. Furono altresì riportati in Italia numerosi battaglioni schierati in Libia, indebolendo oltre misura le truppe della colonia, in pratica abbandonata alla rivolta araba ad eccelione delle maggiori località costiere. Furono costituite nuove grandi unità e nuovi reparti: I 9 brigate di fanteria <4 >. 3 reggimenti bersaglieri, 26 battaglioni alpini. Fu soprattutto potenziata l'artiglieria che le prime esperienze di guerra avevano dimostrato essere del tutto insufficiente: i reggimenti di artiglieria da campagna passarono da 49 a 52, con un totale di 390 batterie; le batterie da montagna crebbero da 50 a 82 e quelle someggiate da 18 a 76; le artiglierie pesanti campali furono molto aumentate, dalle iniziali 12 le batterie divennero 98 (40 di obici da 149, 42 di cannoni da 105 e 16 di cannoni da 102). Anche l'artiglieria d'assedio fu notevolmente incrementata, nel 1916 il parco d'assedio potè disporre di 59 batterie di grosso calibro, 403 di medio calibro e 94 di piccolo calibro. Naturalmente le prime e dure esperienle di guerra consigliarono l'adozione di nuove rumi, l'aniglieria contraerea, inesistente all'inizio del conflitto, nel 1916 contava 22 batterie, 315 pezzi isolati, 292 mitragliatrici e 4 treni blindati per la protezione delle città costiere. Per distruggere i reticolati si fece ricorso ad un nuovo tipo di artiglieria, la bombarda, un grosso mortaio che lanciava proiettili di scarsa penetrazione nel terreno ma di grande potere dirompente in superficie. Per l'impiego della nuova arma fu addirittura creata una scuola bombardieri a Susegana ed il nuovo corpo ebbe inizialmente una forza di 900 ufficiali e 34.000 uomini di truppa, con 157 batterie di bombarde di
(3) L Ccva. Lefor:.e armate. UTET. Torino 1981, pag 166. (4) Le bngate furono denominate Ses,a (201 ° e 202°). Tanaro (203° e 204°), Lambro (205° e 206°). Toro (207° e 208°). Bisagno (209° e 210°), Pescarti (211 ° e 212°), Amo (213° e 214°), Te,·ere (215° e 216°), Vn/111rno (217° e 218°). Se/e (219° e 220°), Jonio (221 ° e 222°), Etna (223° e 224°). Arezzo (225° e 226°). Rovigo (227° e 228°). Campoba.sso (229° e 230°). A1·elli110 (23 1° e 232°)
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vario calibro. Per l'addestramento dei mitraglieri e la costituzione di compagnie mitragliatrici, inizialmente destinate ai comandi di brigata e poi, cresciute di numero, assegnate ai reggimenti, furono istituiti un Reparto Mitraglieri FIAT a Brescia, con armi fornite dall 'i ndustria nazionale, ed uno Saint-Etienne a Torino, con armi di fabbricazione francese. Anche l'aviazione ebbe nel 19 I 6 uno sviluppo notevole, a metà anno entrarono in servizio i primi aerei Caproni da bombardamento ed i vecchi Blériot furono sostituiti con i Farman, capaci di migliori prestazioni. Alla fine del!' anno l'aviazione dell 'esercito contava 52 squadriglie operanti, ognuna su 6 o 7 velivoli. 3. Inserita nel quadro della cooperazione indiretta con gli Alleati, dall'II al 15 marzo 1916 si svolse la 5' battaglia dell'Isonzo, che non portò ad alcun concreto risultato ma impedì all ' Austria di inviare truppe sul fronte di Verdun. La cooperazione interalleata fu purtroppo concepita dagli eserciti dcli' lnte!>a unicamente in termini di offensive di alleggerimento, ogni esercito in pratica condusse la sua guerra, senza alcuna prcoccupa:lione di coordinare con gli alleati gli sforzi nella direzione, nei tempi, nell'intensità. Questo modo di condurre la guerra fu un grave errore, dovuto ad un eccessivo orgoglio nazionale che impediva a governi cd a Stati Maggiori di pensare ed agire in termini di coalizione. Eppure la storia e la geografia avrebbero dovuto ricordare a comandanti ed a uomini di governo che le Fiandre e la pianura padana sono strettamente correlate e che il possesso di entrambe è la condizione necessaria per attuare con successo sia l' invasione tedesca della Francia sia quella francese della Germania. Le campagne del maresciallo di Lussemburgo nelle Fiandre non sarebbero state possibili senza quelle contemporanee del Catinat in Italia, così come la campagna del 1706 del principe Eugenio in Italia non può essere compresa se non si valuta quella parallela del Marlborough nelle Fiandre. Evidentemente la storia non insegna nulla a quelli che più necessitano delle sue lezioni ! Gli Austriaci, intanto, all'inizio del 1916 si erano convinti di poter mettere fuori combattimento l'Italia e decisero di passare decisamente all'offensiva puntando su VicenL.a. La decisione di attaccare attraverso gli Altipiani, per scendere nella pianura vicentina e cogliere alle spalle le armate italiane schierate sul fronte della Venezia Giulia, realiuava un antico progetto del capo di Stato Maggiore austriaco, Maresciallo Conrad. Per poterlo eseguire con maggiori possibilità di successo furono richiamate dal fronte orientale le migliori unità austriache, circostanza della quale approfittò poi la Russia per attaccare gli Austro-Tedeschi ed infliggere loro una pesante sconfitta (Lutsk, giugno-luglio 1916). Nonostante molti segni premonitori, il Generale Cadorna non volle credere ad un'offensiva austriaca nel Trentino sia per la difficoltà di far manovrare e
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di rifornire molte truppe su quel terreno sia perché riteneva le due linee ferroviarie del Brennero e della Pusteria insufficienti a riportare tempestivamente le forze austriache dal Trentino alla fronte orientale, qualora i Russi avessero attaccato. "Il generale Cadoma ragionò vagliando situazione, possibilità ed esigenze dal punto di vista dello stratega avversario, ma non tenne conto della particolare mentalità del Conrad, che di un'offensiva dal Trentino aveva fatto fin dal tempo di pace la creatura preferita e le attribuiva le più brillanti prospettive, insensibile anche al parere contrario del collega tedesco, il Falkenhayn, la cui opinione coincideva con quella di Cadorna" <5>. In realtà il saliente trentino costituiva un vero e proprio trampolino di lancio per un'operazione offensiva nella pianura padana - e Napoleone lo aveva così ben compreso che dapprima lo aveva staccato dall'impero austriaco assegnandolo all'alleata Baviera e poi, nel 1810, lo aveva annesso al regno d'Italia, portando così il confine del regno a nord di Bolzano perché è Bolzano e non Trento il centro strategico del saliente - ed il disegno operativo del Conrad era molto razionale perché, qualora fosse stato realizzato, avrebbe consentito di vibrare all'Italia un colpo mortale. Per nostra fortuna il generale Falkenhayn non comprese che una vittoriosa discesa delle forze austro-tedesche nel cuore della pianura padana avrebbe posto l'Italia fuori dal conflitto e negò all'alleato quei rinforzi che avrebbero certamente determinato il successo dell'operazione. Nonostante la sua incredulità Cadorna prese le dovute precauzioni: rinforzò la J• armata con 82 battaglioni di fanteria, 122 sezioni mitragliatrici e 18 batterie di vario calibro per un totale di 72 pezzi ed emanò direttive perché venisse attuata una difesa ad oltranza sulla linea di resistenza principale, linea che avrebbe dovuto essere scelta su posizioni non a contatto del nemico e forti per natura. Soltanto nell'imminenza dell'attacco austriaco egli si decise però ad ispezionare di persona il settore minacciato. Quando si avvide che l'annata non aveva attuato lo schieramento in profondità, ne sostituì il comandante, generale Roberto Brusati <6>. con il generale Pecori-Giraldi C7>. Ma ormai era tardi per modificare lo schieramento. Sette giorni dopo, il 15 maggio, dopo una violenta preparazione di artiglieria iniziata il giorno 14, duecento battaglioni austro-ungarici, appoggiati da oltre 1.500 pezzi di artiglieria, si avventarono sulle posizioni avanzate italiane poste tra l 'Adige e il Brenta. Sotto l'incalzare dei violenti attacchi austriaci la difesa dovette arretrare, cedendo importanti posizioni, specie nel settore centrale dell'altipiano. La salda resistenza alle ali, incuneando l'attacco austriaco, ne diminuì
(5) E. Faldella, La grande guura, Longanesi, Milano 1965, voi. I, pag. 185. (6) Robeno Brusati ( 1850- 1935). Sollotenente d'artiglieria nel I 869. nel 1887 entrò nel corpo di Stato Maggiore. Colonnello nel I 892 comandò il 22° fanteria e nel 1896 fu capo di Stato Maggiore del IX corpo d'annata. Maggior generale nel 1898 comandò la brigata Messina, tenente generale nel 1905 comandò le divisioni di Ravenna e di Roma ed il I corpo d'annata. Dal maggio 1915 al maggio 1916 ebbe il comando della 1• annata sugli Altipiani. Nominato senatore nel 1914. (7) Per il generale Guglielmo Pecori Giraldi vds. la nota 4 del cap. X.
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però l'impeto. lntanlO il comando italiano, mentre inviava numerose forze, circa 90 battaglioni, per rinsaldare la difesa frontale e per effettuare conlrattacchi sulle ali del saliente, preparava una potente massa di manovra (5• amrnta, su 5 corpi d'annata e I divisione di cavalleria) nella pianura vicentina, con cui eventualmente affrontare il nemico qualora fosse riuscito a scendere in piano. Questo non avvenne. Dopo nuovi e violenti attacchi l'offensiva austriaca si esaurì contro le posizioni più arretrate di Coni Zugna, Pasubio, Novegno, Cengio, Maso e, il 3 giugno, a 18 giorni appena dall'inizio della battaglia che avrebbe dovuto segnare la fine dell'esercito italiano, Cadorna poteva annunziare in un famoso bollettino che l'offensiva era stata arrestata su tutto il fronte. L 'offensiva russa in Galizia iniziò il 4 giugno e non salvò quindi l'Italia, come talvolta si è sostenuto. Al contrario, fu proprio l'indebolimento delle forze auslriache a consentire ai Russi la brillante vittoria di Lutsk. Le truppe italiane passarono quindi il 14 giugno alla conlroffensiva e, in meno di un mese, gli Austriaci furono di nuovo ricacciati ben dentro la zona montuosa tridentina dopo aver abbandonato importanti centri come Arsiero ed Asiago. Il grande pericolo della "calata" austriaca nella valle del Po era stato così scongiurato. La difesa di quelle vitali posilioni, costata all'esercito italiano circa 75.000 uomini, fu resa possibile da una delle più brillanti manovre per linee interne di tutta la guerra. Nell'arco di soli undici giorni, infatti, fu possibile trasferire dal fronte giulio a quello trentino 84.000 uomini e 21.000 quadrupedi mediante l'impiego di 214 convogli ferroviari; altri 15.000 uomini furono fatti affluire per via ordinaria, utilizzando circa l.000 autocarri. A questo movjmento, notevole in relazione ai tempi, seguì, a distanza di giorni, quello opposto per ripristinare la situazione precedente. Una volta superata la minaccia del Trentino, 24.000 carri ferroviari e 1000 autocarri trasportarono al fronte giulio una massa di circa 300.000 uomini, con il relativo armamento. L'offensiva austriaca provocò la caduta del governo Salandra, battuto in Parlamento dai neutralisti che avevano rialzato il capo approfittando della delusione popolare per la guerra lunga e difficile. li prestigio del generale Cadorna non fu invece scosso, anzi ben presto aumentò; subito dopo la strenua difesa degli Altipiani iniziò, infatti, la 6• battaglia dell'Isonzo (4-17 agosto), la vittoriosa battaglia di Gorizia. Il concetto d'azione prevedeva due attacchi principali ai due lati del campo trincerato di Gorizia e cioé sulle alture dal Sabotino al Podgora e daJla cima del San Michele a Doberdò. Un'azione diversiva fu sferrata, con adeguato anticipo, nel settore di Monfalcone. La battaglia costò perdite assai gravi, ma il sacrificio venne, questa volta, compensato dalla conquista di posizioni ritenute inespugnabili il Calvario, il M. San Michele, il Sabotino ed il 9 agosto le truppe entrarono in Gorizia, cogliendo un successo che elevò lo spirito cd il morale dell'esercito e della
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Nazione. La mancanza di adeguate riserve e l'impossibilità di rischierare in avanti con immediatezza le artiglierie, tuttavia, arrestarono l'attacco dinnanzi al Monte Santo ed al San Gabriele, appena ad est della città. La mancata penetrazione in profondità, che non può essere addebitata al Comando Supremo e tantomeno al VI corpo d 'armata di Capello (8), protagonista della battaglia, non deve stupire. La rottura del fronte difensivo avversario e la successiva azione di sfruttamento del successo rappresentarono i veri problemi, tattico l'uno strategico l'altro, della prima guerra mondiale. Più si aumentava la durata e la potenza del fuoco di preparazione dell'artiglieria e più si aumentavano le forze di fanteria attaccanti, più le difese si irrobustivano, raddoppiando e triplicando gli ordini di trincee, aumentando lo spessore delle coperture, rafforzando ed estendendo le siepi di reticolato, costruendo una seconda e, talvolta, una terza linea di difesa, con opere in calcestruzzo. Ed anche quando l'attaccante riusciva ad aprire una breccia, non era in grado di sfruttarla perché se procedeva innanzi a freccia, trascurando l'avvolgimento immediato dei tronconi, si vedeva minacciato sui fianchi; se mirava ali 'avvolgimento immediato dei tronconi, lasciava libero campo all'azione delle riserve strategiche avversarie; se voleva avanzare a freccia e contemporaneamente, con le forze di seconda schiera, avvolgere subito i tronconi, finiva con lo sminuire la potenza di entrambe le uioni. Anche dopo la brillante conquista di Gorizia fu giocoforza continuare ad attuare una strategia di logoramento, intessuta di offensive con obiettivi tattici anche limitati, con l'intento di logorare le risorse dell'avversario più rapidamente delle nostre. Nel breve giro di due mesi, dal 14 settembre al 4 novembre, Cadoma sferrò sul fronte giulio tre consecutive battaglie che ottennero risultati modesti e che costarono, invece, perdite rilevanti. Sui monti, due azioni offensive sul Pasubio, nel settembre e nell 'ottobre, fruttarono la conquista dell'Alpe di Cosmagnon, mentre sulle Alpi di Fassa, con ardite scalate e con brillanti azioni di guerra di sorpresa, furono conquistate posizioni ritenute imprendibili come il Cauriol, il Gardinol, il Colbricon e la Busa Alta. Terminava così il 19 I6 senza risultati decisivi, nonostante i sempre maggiori sforzi dell'esercito e della Nazione, duramente e totalmente coinvolta in una guerra che si rivelava sempre più inesorabile divoratrice di uomini e di ricchezze. 4. Le perdite subite nel I916 avevano creato vuoti paurosi nell'esercito, che aveva dovuto inviare anche alcune divisioni in Albania ed in Macedonia, mentre l' Austria, libera da preoccupazioni balcaniche per la scomparsa
(8) Del generale Capello vds. il breve profilo biografico nella parte Il del questo volume.
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dell'esercito serbo, era in grado di inviare altre truppe sul fronte italiano. Cadorna aveva però compreso che la villoria dell'Intesa avrebbe potuto avvenire prima e con minori perdite eliminando l'avversario più debole, l'Austria. A tale scopo, infatti, egli aveva desiderato, fin dall'inizio delle ostilità, una maggiore e più efficace cooperazione tra gli alleati e fin dal giugno 1915 aveva proposto che fosse istituita una commissione militare interalleata per coordinare l'azione degli eserciti dell'Intesa. Nel gennaio I917 si radunò a Roma la Conferenza Interalleata, nella quale i Primi Ministri ed i capi di Stato Maggiore delle Potenze dell'Intesa dovevano esaminare la situazione e formu lare i piani indicativi per le future operazioni. Cadorna, dopo aver ricordato anche a chi non voleva sapere che dal fronte dell'Isonzo si poteva penetrare direttamente nel territorio austriaco, propose una grande offensiva lungo la direttrice Gorizia-Aidussina-Lubiana e chiese un rinforzo di otto divisioni. Benché il progetto trovasse una favorevole accoglienza nel Primo Ministro inglese, neLla discussione prevalse il parere contrario dei rappresentanti francesi, ostinatamente fermi nell'idea che la decisione potesse aversi solo sul fronte occidentale. Invece delle otto divisioni gli Alleati ci concessero in prestito un centinaio di pezzi di medio e grosso calibro, e fu tutto. La pausa invernale fu nuovamente utilizzata per riordinare i reparti, migliorare la sistemazione difensiva, ripianare le perdite, ricostituire le scorte, costituire nuove unità. Le dimensioni dell'esercito, già molto ampliate, divennero gigantesche. Nell'estate del 1917 l'esercito di 11 linea contò 2.203.000 unità e per arrivare ad un simile traguardo il Paese fu letteralmente spremuto di uomini: 100.000 uomini delle classi meno anziane furono passati dalla milizia territoriale all'esercito di 1• linea; fu abbassato il già basso limite di statura per l'idoneità al servizio militare; anticipata la chiamata della classe 1898; gli esoneri furono riveduti e limitati; i riformati furono nuovamente visitati ed in larga parte arruolati; nelle fabbriche si fece largo ricorso al lavoro femminile. Al fabbisogno di ufficiali si fece fronte con corsi accelerati, con promozioni dai sottufficiali senza più tener conto del titolo di studio. Naturalmente la qualità di questi improvvisati ufficiali non fu delle migliori, ma non era possibile provvedere altrimenti. Si crearono 23 nuove brigate di fanteria (9), 5 reggimenti bersaglieri, 7 baltaglioni alpini, 700 compagnie mitraglieri. Non minore l'incremento delle armi di supporto: furono allestite 44 batterie someggiate, 52 da campagna, 166
(9) Le brigate furono denominate l.Az10 (233° e 234°), Pict110 (235° e 236°), Grosseto (237° e 238°), Pesaro (239° e 240°), Teramo (241 ° e 242°). Cose11w (243° e 244°), Siracusa (245° e 246°), Girgemi (247° e 248°), Palla11za (249° e 250°), Massa Carrara (251 ° e 252°), Porto Maurizio (253° e 254°). Ve11eto (255° e 256°), TortoM (257° e 258°), Murge (259° e 260°). Elba (261 ° e 262°), Gaeta (263° e 264°). ucct (265° e 266°). Caserta (267° e 268°), Aquila (269° e 270°). Pote11w (27 1°, 272° e 273°), Bellu110 (274°, 275° e 276°), V1cem;a (277°, 278° e 279°). Foggia (280°, 28 1° e 282°).
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pesanti campali, 12 di bombarde, 34 contraerei, 20 compagnie di zappatori, 13 di telegrafisti, 5 di lanciafiamme; l'aviazione arrivò a 73 squadriglie con 650 aerei. I reparti arditi furono incrementati, nell'ottobre ne erano già stati costituiti 22, ciascuno su 2-3 compagnie, dotati di speciale armamento (pugnale, bombe a mano, pistola mitragliatrice, lanciafiamme) e addestrati con molta cura perché "arrivassero nella trincea nemica assieme all'ultimo colpo di cannone della preparazione". Nel maggio Cadorna riprese la lotta con la IO" battaglia dell'Isonzo, 1228 maggio, che ponò alla conquista da parte della 2 1 armata del Kuk e del Vodice mentre la 3• avanzò sul Carso di Monfalcone fino alla linea di Fiondar. Successivamente, dal IO al 29 giugno, nel settore degli Altipiani fu sferrato un attacco per la conquista dell'Ortigara, concluso senza alcun risultato positivo e con un gravissimo tasso di perdite, 26.000 uomini. Subito dopo, allo scopo di migliorare l'andamento della posizione sulla sinistra dell'Isonzo, il comando italiano decise una nuova offensiva, l' 11 1 battaglia dell' Isonzo, che avrebbe dovuto conseguire l'occupazione dell'Altipiano della Bainsizza fino al Vallone di Chiapovano e la conquista dell'Altipiano di Comen oltre il monte Hermada L'offensiva, simultanea nei due settori, durò complessivamente dal l7 al 3 I agosto e conseguì qualche risultato. La 21 armata varcò l'Isonzo ed attraverso estenuanti e sanguinosissimi attacchi, protrattisi per dieci giorni, riuscì a penetrare ncll' Altipiano della Bainsizza per una profondità di circa 8 km senw, tuttavia, raggiungere il risultato di scacciarvi del tulio l'avversario. La 31 armata ottenne, invece, solo modesti successi, spostando di poco il fronte in avanti nei pressi del monte Hennada. Fu questa l'ultima nostra battaglia offensiva sul fronte isontino. Le perdite furono veramente spaventose: 40.000 morti, I08.000 feriti e 18.500 dispersi. L'esercito si andava così sempre più logorando e nei reparti combattenti si affievoliva la speranla di poter alla fine aver ragione della barriera di roccia e di ferro che gli stava di fronte La sproporzione tra le perdite subite cd i piccoli vantaggi territoriali conseguiti era sempre più evidente, tanto che nelle trincee correva un motto amaro per definire la guerra: "massimo sforzo col minimo di risultati". Altri avvenimenti, inoltre, di carattere politico avevano contribuito nel corso del 1917 ad affievolire lo spirito combattivo dei reparti. Nell' interno del Paese era andata sempre più crescendo la marea del disfattismo, alimentata anche da alcuni esponenti del partito socialista (IO) e non efficacemente combattuta dal ministero Boselli; papa Benedetto XV il 9 agosto aveva esortato i governi delle Potenze belligeranti a mettere fine alla guerra, defi nita "una inuti-
( IO) " Il 12 luglio l'onorevole Treves dichiarava alla Camera che i social isti volevano una pace senza annessioni nè indennità mentre da tutte le parti si levava una sola voce: il prossimo inverno non più in trincea. Frase che ebbe una vas1n ripercussione e giunse fino alle trincee". P. Pieri, l'Italia nella prima g11erra 11umdia/e (1915-/9/8). Einaudi, Torino. 1965. pag. 141.
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le strage"; l'esempio dell'esercito russo, che in pratica aveva posto fine al confl itto rifiutandosi di combattere, suggestionava le masse; la crescente penuria di cibo incrementava il malcontento popolare con ripercussioni che a Torino (22-25 agosto) furono di eccezionale gravità. I combattenti furono scossi da questi fatti e Cadoma indirizzò al Presidente del Consiglio ben quattro lettere di protesta, senza peraltro ottenere una valida risposta ed attirandosi, per contro, l'ostilità implacabile di Vittorio Emanuele Orlando, ministro degli Interni. Ancora una volta si registrò una totale incomprensione tra il governo e l'autorità militare. 5. Anche l'Austria cominciava però ad accusare seriamente il peso dei colpi che si erano abbattuti su di lei. Si sentiva ridotta a mal partito cd aveva la certena che non avrebbe potuto ulteriormente sostenere, nelle sue condizioni di logoramento generale, altre offensive di analoga potenza cd intensità. li 25 agosto 1917, quando I' 11 1 battaglia dell'Isonzo era ancora in pieno svolgimento, il Comando austriaco decise di far appello alla Germania. Maturò, così, il concorso delle forze germaniche a sostegno di quelle austriache sul fronte giulio. La inattività dello scacchiere francese, dopo il fallimento dell'offensiva Nivelle e gli ammutinamenti che ne erano seguti, ed il crollo pressoché totale dcli' esercito russo diedero luogo ad una disponibilità, sia pure temporanea, di riserve tedesche da impiegare a favore dell'Austria nell'intento di far massa contro l'Italia e ridurla alla resa. Sette divisioni tedesche furono faue affluire in Italia e costituirono, con 8 divisioni austriache, la 14" armata. al comando del brillante generale tedesco Otto von Below. Il generale Cadorna, informato, in verità con poca precisione, dei preparativi austro-tedeschi rinunciò all 'intenzione di effettuare alcune operazioni offensive per migliorare l'andamento del fronte e, il 18 settembre, ordinò alle armate 2• e 3" di assumere un atteggiamento difensivo. Mentre il duca d'Aosta, comandante della 3• annata, si attenne alle disposizioni, il generale Capello, comandante della 2•, credette più opportuno far mantenere alle proprie truppe uno schieramento offensivo, convinto di poter così più facilmente passare alla controffensiva. Cadorna peraltro, piuttosto scettico sull'entità dello sforzo austriaco, non si curò di controllare che quella cd altre sue direttive fossero attuate e, di consegucnLa, la 2• armata fu sorpresa dall'offensiva nemica con uno schieramento del tutto inadatto alla difesa. L'attacco austro-tedesco iniziò il 24 ottobre, alle 2 di notte, con una violenta preparazione di artiglieria. All'alba, la 121 divisione germanica, sboccata da Tolmino, sfondò la linea italiana e, percorrendo la valle dell'Isonzo, a tergo della difesa avanzata, raggiungeva Caporetto alle ore 15. Al seguito di questa divisione, il corpo alpino tedesco nella giornata conquistò tutla la regione orientale del Kolovrat, caposaldo della difesa di seconda linea italiana. All a sera del 24 ottobre era stata già aggirata la destra della I• e 2• linea di difesa, da Tolmino al Kolovrat, e superato il centro della 3• linea a Caporctto.
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L'indomani gli Austro-Tedeschi diedero ampio respiro alla loro manovra, oltrepassando l'Isonzo a Saga e spingendosi verso Monte Maggiore. A nord, la 10" armata austriaca mosse verso il Tagliamento; al centro, le truppe al seguito della 12• divisione tedesca da Caporetto raggiunsero la cresta laterale del Matajùr; l'ala sinistra del dispositivo d'attacco nemico puntò dal Kolovrat sulle strade di Cormons e di Cividale. Superate, nella giornata del 26, quasi tutte le posizioni difensive montane, la 14• armata, sboccata in pianura, puntò su Cividale, mentre la 10", a nord, raggiunse la valle del Fella. Alle ore 2 del 27 ottobre il Comando Supremo ordinò il ripiegamento generale. Era stata scelta, quale prima linea di resistenza, quella del Tagliamento; ma poi si constatò la necessità di ritirarsi sino al Piave. Su questa linea si portarono, seguendo l'alta valle del Piave, la 4• armata e il Corpo della Carnia. Forti e salde retroguardie (I I) e le divisioni di cavalleria diedero protezione al movimento dei resti della 2• armata e dell'intera 3• armata che correvano il grave pericolo di essere prevenuti ed aggirati dal nemico, incalzante sul Tagliamento. Su questa linea fu imbastita una prima difesa, che resse l'urto dal 31 ottobre al 4 novembre e una seconda resistenza fu opposta sulla linea della Livenza, tenuta sino al giorno 8 novembre. Nella giornata del 9 tutte le truppe superstiti avevano raggiunto la sponda destra del Piave, ricostituendo la saldatura tra il fronte trentino ed il settore di pianura. Nella mattina dello stesso giorno 9 il generale Cadorna fu sostituito dal generale Armando Diaz 0 2), provvedimento doloroso ma inevitabile per parecch~ motivi: per quanto Cadorna avesse guidato con mano sicura la ritirata al Piave, la fiducia del governo e della Nazione nel generalissimo era ormai scossa; il nuovo Presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando non era certo un estimatore di Cadorna con il quale aveva avuto tanti contrasti nel precedente incarico di ministro degli Interni; gli Alleati, infine, nel convegno tenutosi a Rapallo dal 5 al 7 novembre, avevano chiesto la sostituzione di Cadorna, subordinando al cambio del comandante in capo l'invio di alcune loro divisioni. La nomina del generale Diaz, voluta dal sovrano, si rivelò subito quanto mai opportuna. Le sue passate esperienze di capo del reparto operazioni del Comando Supremo nel primo anno di guerra e di comandante di divisione e di
(11) Per ordine di Cadoma fu costituito a Pinzano sul Tagliamento il 30 ottobre 19 17 il corpo d'armata speciale (divisioni 20" e 33') al comando del generale Di Giorgio, con il compito di raccordare il movimento retrogrado della 2• armata con quello delle truppe della Carnia. li corpo d · ru:mata. schierato iniziai mente da Ragogna a Gradisca, resistette il 31 ottobre ali' incalzare del nemico e poi manovrò in ritirata dal Tagliamento al Meduna; contrastando palmo a palmo il terreno all'avversario. Effettuò un'ultima resistenza sul Livenza ed infine di schierò sul Piave per saldare il nuovo fronte alla 4' armata. ( 12) Del generale Diaz vds. il breve profilo biografico nella Il parte di questo volume.
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corpo d'armata sul Carso, unite alla vivace intelligenza, alla solida preparazione ed alla naturale predisposizione per un contatto umano aperto e cordiale, gli permisero di prendere rapidamente in pugno la situazione e di procedere con immediatezza alla riorganizzazione del Comando Supremo ed a instaurare con i dipendenti comandi di armata un clima di serenità e di collaborazione. Giorgio Rochat, attento e sagace compilatore della voce Diaz nel Dizionario biografico degli Italiani, riconosce al generale la "capacità di far funzionare il Comando Supremo in modo adeguato alle esigenze ed alle dimensioni della Grande Guerra( ... ) riordinando il lavoro degli uffici ed attribuendo a ciascuno di essi responsabilità ben definite e concrete (... ) favorendo la nascita di un clima di squadra nel rispetto dei rispettivi compiti". Diaz riuscì a far lavorare con ottimi risultati anche i due sottocapi di Stato Maggiore che il governo aveva nominato negli stessi giorni, i generali Giardino 0 3>e Badoglio <14>, affidando al primo la condoua delle operazioni ed al secondo il riordinamento delle unità sconvolte dalla ritirata, riservandosi naturalmente la facoltà di decidere le questioni di rilievo. Il tratto cordiale e la disponibilità al dialogo del nuovo comandante supremo non erano però sintomi di debolezza, al momento opportuno Diaz sapeva essere fermo ed irremovibile quanto Cadorna e se ne accorse subito il Presidente Orlando che invano tentò di indurlo a schierare l'esercito sul Mincio nel corso di un colloquio avuto con il generale il 15 novembre. Al momento della nomina di Diaz l'esercito italiano era così schierato: il III corpo d'armata, con 2 divisioni, dallo Stelvio al Garda; la 11 armata, con 12 divisioni, dal Garda al Brenta; la 4 1 armata, con 7 divisioni, dal Brenta a Nervesa; la 3• armata, con 8 divisioni, da Nervesa al mare; nelle retrovie 4 divisioni e l'intero corpo di cavalleria. Il comando austriaco aveva deciso di proseguire ancora l'offensiva, nella speranza di costringere l'Italia ad uscire dal conflitto. Il nuovo comandante supremo dovette perciò affrontare con immediatezza una difficile battaglia d'arresto, che si sviluppò in due fasi, dal IO al 26 novembre e dal 14 al 30 dicembre. Nella prima fase gli Austriaci attaccarono lungo il Piave ma, nonostante qualche successo locale, non riuscirono più a sfondare ed anche un ten-
( 13) Gaetano Giardino ( 1864 - I 935). Sottotenente di fanteria nel I 882, prese parte alla campagna di Eritrea del 1894 e meritò una medaglia d'argento a Cassala. Frequentò poi la Scuola di Guerra e passò nel corpo di Stato Maggiore. Colonnello nel 1912 in Libia per meriti eccezionali. poi capo di Stato Maggiore della 2• armata, fu promosso maggior generale nell'agosto 1915 e tenente generale. per meriti di guerra, nel giugno 1917. Nominato senatore, fu ministro della Guerra dal 16 giugno al 29 ollobrc 1917. Sollocapo di Stato Maggiore dell'esercito a partire dal IO novembre. sosti tul nel febbraio 1918 il generale Cadoma nel Consiglio Militare Interalleato di Versailles. Nell'apnle ebbe il comando dell"armata del Grappa e si disunse nella battaglia d'arresto del giugno ed in quella di Vittorio Veneto. Promosso generale d'esercito nel 1919, nel 1926 fu nominato Maresciallo d'Italia. Pubblicò un ponderoso trattato in tre volumi: Rievocazioni e rilessioni di guerra. ( 14) Del generale Pietro Badoglio vds il breve profilo biografico nella parte li di questo volume.
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tativo di aprirsi la strada sull'altipiano di Sette Comuni fu nettamente respinto. Frattanto erano state riordinate alcune divisioni e fu possibile procedere alla sostituzione delle truppe più provate dalla disperata difesa. Tra il 4 e il 5 dicembre poi alcune divisioni francesi ed inglesi entrarono finalmente in linea fra il M. Tomba e il Montello 05>. Il 14 dicembre I' 11' annata austriaca dette inizio alla seconda fase attaccando, con 43 battaglioni e 500 cannoni, le Melette, difese dalla 29° divisione con 21 battaglioni e I60 cannoni, e riuscì a impadronirsene, costringendo la difesa a inflettere. la linea su Col d'Echele, Col del Rosso, Monte Yalbella. Nel contempo anche la 141 annata austro-tedesca riprese l'offensiva sul Grappa: dopo una durissima lotta essa riuscì a porre piede su Col della Berretta, Col Caprilc, Monte Asolonc, Monte Spinoncia, ma non pote sfruttare questi limitati successi e l'ultimo attacco, sferrato il 19 dicembre, si infranse contro le nostre rinsaldate difese. Un ultimo sussulto offensivo austriaco fu effe11uato il 25 dicembre sull'Altipiano, il 30 dicembre fu invece la 47• divisione francese a passare all'attacco cd a riconquistare la dorsale tra M. Tomba ed il Monfenera, ed il 31 gli Italiani suggellarono la fine della battaglia d'arresto obbligando gli Austriaci ad abbandonare l'ansa di Zenzon ed a ripassare il Piave in grande disordine. Anche i nostri avversari riconobbero apertamente la loro sconfitta. Il generale tedesco Kraft von Dellmensingen, capo di Stato Maggiore della 14• armata austro-tedesca, così commentò la conclusione della battaglia d'arrcsto:"Così si arrestò, a poca distanza ancora dal suo obiettivo, l'offensiva ricca di speranLc ed il Grappa divenne il monte sacro degli Italiani. Di averlo conservato contro gli eroici sforzi delle migliori truppe dell'esercito austriaco e dei loro camerati tedeschi. essi, con ragione, possono andare superbi". 6. La battaglia di Caporetto costituì indubbiamente per l'esercito un doloroso insuccesso, che si ripercosse, immediatamente ed in modo assai grave. sull'intera Nazione. La perdita subitanea del Friuli, della Carnia, del Cadore - terre italianissime e densamente abitate - di 300.000 uomini, di 3.000 pezzi di artiglieria e di tutti i magauini di materiale bellico dislocati tra Isonzo e Piave, fu un colpo gravissimo. Il generale Cadorna fu sostituito, la 2• armata fu sciolta ed i suoi comandanti messi sollo inchiesta, incominciarono in Italia polemiche e diatribe
(15) Le dl\ls1oni francesi ed inglesi cominciarono ad affluire m Italia il 30 ouobre ma furono dislocate, per ordine dei nspcnivi governi. sul Mincio. li generale Diaz, appena divenuto capo di Stato Maggiore richiese il loro impiego sul Piave ma i governi francese ed inglese non acccuarono che quelle loro divisioni fossero messe sono comando italiano. Diaz allora non prescntb più alcuna richies1a agli Alleata, finchè gli Inglesi si \'ugognarono da rimanere inauivi, mentre gli Italiani comba11evano durarnen1e. e chiesero, alla fine di novembre di essere impiegali sul Montello. Anche i Francesi. qualche giorno dopo. chiesero di combattere e Diaz li mandb sulle pendici est del monte Grappa. La fennezza di Diaz ebbe ragione della boria alle:ua senza polemiche controproducenti o 1ra11a1ive umilianu. Inglesi e Francesi. del resto. in linea si componarono con molta dignità.
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ancor oggi non sopite del tutto. Storici e studiosi, militari e civili, infatti, ancora dissertano sulle cause della sconfitta. Le principali questioni che, quali ricorrenti motivi, si sono intrecciate nella storiografia della battaglia di Caporetto, sono: se le cause della sconfitta siano prevalentemente di ordine morale o di ordine militare, cioé strategico-tattico; se le prime siano essenzialmente politiche, e quindi da imputarsi al Governo soprattutto per l'insufficiente freno posto al dilagante "disfattismo" provocato e diffuso dai partiti politici contrari alla guerra, oppure disciplinari , ossia attribuibili all'alta gerarchia militare e consistenti nel malgoverno degli uomini, provocatore della stanchezza, dell'avvilimento, delle ribellioni delle truppe; se le cause strategico-tattiche siano di carattere generale, cioé coinvolgenti il Comando Supremo ed il comando della 2• armata, oppure siano prevalentemente di carattere locale, ossia coinvolgenti gravi responsabilità dei comandanti inferiori. Con qualche insistenza si è manifestata anche la propensione storiografica a trascurare il fatto militare e ad escludere le responsabilità dei vari disfattismi per considerare, invece, Caporetto come la massima prova della presunta debolezza italiana in confronto a tanto sforzo bellico. Ma tale orientamento storiografico, oltre ad essere determinato dalla pregiudiziale di voler accusare di grande imprudenza coloro che condussero l'Italia a quella guerra, ha il grave difetto di non tener conto che la guerra 1915-18 non si è chiusa con la sconfitta di Caporetto, ma con il successo di Vittorio Veneto. Obiettivi limiti di spazio non consentono un lungo discorso sull'argomento. È possibile tuttavia affermare che le cause principali della rottura del fronte furono di carattere militare (schieramento delle truppe e delle artiglierie non idoneo alla difesa, errata dislocazione delle riserve settoriali, mancanza di adeguate riserve di scacchiere, poca reattività di alcuni comandi di fronte ai nuovi procedimenti tattici usati dal1e truppe tedesche, deficienti collegamenti del Comando Supremo) anche se non possono escludersi cause di carattere morale, presenti peraltro più nei reparti delle retrovie che nelle truppe in linea. Due punti, però, debbono essere ben chiari: - solo l'andamento geografico della linea di confine tramutò un insuccesso di ordine tattico in una sconfitta di carattere strategico; - Caporetto rappresentò per l'esercito italiano un episodio sfortunato, al quale - da solo e rapidamente - seppe porre rimedio. La ritirata al Piave, infatti, voluta e condotta con freddezza e lucidità dal generale Cadorna, fu un fatto esclusivamente italiano, come fu un fatto esclusivamente italiano la successiva vittoriosa battaglia d'arresto. 7. La riorganizzazione delle unità operative, il ripianamento del1e dotazioni e la ricostituzione delle scorte fu un 'operazione grandiosa, che interessò tanto i vertici dell'esercito quanto la dirigenza dell'apparato statale. Entrambi reagùrono alla sconfitta con vitalità e con determinazione, rivelando insospettate qualità organizzative, a riprova che l'Italia era molto più solida ed affidabile di quanto facessero presupporre gli inconcludenti dibattiti
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parlamentari e le recriminazioni astiose della stampa. Il generale Diaz, affiancato dai sottocapi Giardino e Badoglio, procedette subito ali' opera di ricostruzione del l'esercito, non lasciandosi completamente assorbire dalle preoccupazioni per la battaglia di arresto. li primo problema da affrontare e risolvere era rappresentato dalla enorme massa degli sbandati, che aveva perduto il senso della disciplina e rotto ogni vincolo organico, e che tuttavia, più che ribelle o riottosa, appariva inerte cd apatica. Attorno ai comandi della 2• annata a Lonigo e della s• a Borgo San Donnino (oggi Fidenza), in poco tempo gli sbandati furono raccolti, riequipaggiati, riarmati e riaddestrati. Contemporaneamente al di riordino degli sbandati, il generale Diaz si preoccupò di rinsaldare il morale delle unità che ancora combattevano, con una più attenta considerazione del logorio psico-fisico dei combattenti di prima linea e con più adeguate provvidenze per il loro benessere materiale. Diaz, in sintesi, ricostituì l'esercito e non l'impiegò fino a ricostituzione completata, resistendo alle pressioni del governo, degli Alleati, dell'opinione pubblica. Anche dopo la vittoriosa seconda battaglia del Piave Diaz non si piegò alle pur forti sollecitazioni del Presidente del Consiglio, timoroso che il conflitto avesse termine con l'esercito austro-ungarico ancora saldamente ancorato nel Veneto, e decise di sferrare l'offensiva finale solo quando ritenne l'esercito preparato e pronto (16)_ Pur mantenendo con gli Alleati un rapporto costante e cordiale, Diaz non accettò neppure di lanciare offensive parziali con il solo scopo di alleggerire il fronte occidentale e seppe resistere con grande fermezza alle richieste del generale Foch, coordinatore delle fronti (occidentale, italiana e balcanica), che avrebbe voluto un'offensiva italiana nel settore montano nella primavera del 1918. Altrettanto provvida e meritoria fu l'attività del generale Dallolio, divenuto dal giugno 1917 ministro per le Armi e le Munizioni. Per provvedere alle prime immediate necessità Dallolio si recò a Parigi per ottenere dal governo francese una congrua fornitura di artiglierie e di altro materiale bellico. li governo francese aderì, ma chiese, come contropartita, l'invio di 10.000 operai italiani da adibire al caricamento dei proietti di artiglieria. Il contingente fu formato con militari permanentemente inabili alle fatiche di guerra o appartenenti a classi anteriori al 1879; organizzato in 70 centurie, prestò un ottimo servizio negli stabilimenti dipendenti dal ministero francese delle Armi e delle Fabbricazioni di guerra. Successivamente il governo francese chiese la concessione di 60.000 uomini, da adibire come lavoratori nelle sistemazioni difensive. Il governo ita-
(16) L'impazienza del Presidente Orlando lo spinse persino a progettare la sostituzione del generale Diaz con il generale Giardino, sostituzione che non ebbe effeno solo per il rifiuto del candidato. ufficiale e gentiluomo di antico stampo.
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liano aderì e, nel gennaio 1918, il contingente richiesto partì per la Francia. Nacquero così le T.A.l.F. (Truppe Ausiliarie Italiane in Francia); agli ordini di un generale ispettore, furono organizzate in 4 raggruppamenti, 20 nuclei, 200 compagnie. Vennero impiegate per la costruzione di opere difensive, sistemazione di campi d'aviazione, costruzione e sistemazione di strade nella zona d'opcrazioni, costruzioni di ferrovie, stendimento di linee teleferiche ne11a zona di combattimento, impianto di parchi di artiglieria e del genio. Anche l'industria italiana dette prova di notevole intraprendenza, tipico il caso del l'Ansaldo che aveva già costruito, dì sua iniziativa, senza attendere le commesse, alcune centinaia di bocche da fuoco. Approfittando della pausa invernale il potenziale bellico dell'esercito fu completamente ricostruito e in molti settori persino migliorato. La chiamata alle armi della classe 1899 e, nel marzo 1918, addirittura di quella del 1900 consentirono di riportare l'esercito praticamente agli stessi livelli di forza raggiunti nell ' estate del 1917. Alla fine del febbraio 1918 l'opera di ricostruzione materiale e spirituale dell 'esercito era quasi compiuta. Nel marzo, infatti, iniziatasi in Francia la grande offensiva tedesca, 4 divisioni francesi su 6 e 2 britanniche su 5 poterono venir ritirate dal fronte italiano senza provocare alcun problema; anzi, al fine di dimostrare la fratellanza d'armi raggiunta tra gli A11eati, un corpo d'armata italiano venne inviato in Francia. L'argomento sarà ripreso in seguito. 8. Gli Imperi Centrali con l'offensiva dell'autunno 1917 non erano riuscili a mettere fuori causa l' Italia e, pur cercando di tenere ostinatamente in rispetto gli avversari, essi intuivano che il tempo giocava a favore dell'Intesa e che si imponeva, quindi, una rapida soluzione della guerra, da ricercarsi con grandi offensive strategiche. Questa la ragione determinante de11'offensiva austriaca del giugno 1918, preparata con larghezza di mezzi e con ogni accorgimento in campo tecnico e morale, tanto da suscitare in capi e gregari la più assoluta fiducia nel successo. Il piano operativo austriaco prevedeva uno sforzo principale a cavallo del Brenta, tendente a sfondare rapidamente il fronte montano, raggiungere la pianura ed avvolgere le unità impegnate nella difesa del Piave, ed uno sforzo sussidiario, contemporaneo a11' attacco principale, in direzione Treviso-Mestre, con primo obiettivo la linea del Bacchiglione. Un attacco al Tonale, accompagnato da diversioni nelle Giudicarie e in Val Lagarina, doveva precedere le altre operazioni allo scopo di fissare parte delle forze italiane. Piano operativo razionale, che avrebbe potuto consentire all'esercito austro-ungarico lo sbocco in piano dopo una sola giornata di combattimento, ma l'antagonismo fra Conrad, comandante del settore montano, e Boroevic, comandante del gruppo di armate della pianura veneta, ciascuno dei quali intendeva avere l'onore dell'azione decisiva, lo trasformò in due attacchi condotti con forze pressochè equivalenti. Diaz non si lasciò cogliere impreparato. Già il 28 maggio aveva infatti infonnato Foch sull'intenzione del nemico di "sferrare un attacco in grande
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stile sulla fronte del Piave sussidiato da un altro attacco sui monti" ed aveva preso tutte le contromisure del caso. All'alba del 12 giugno iniziò l'attacco diversivo austriaco sul Tonale, inesorabilmente stroncato dal nostro fuoco di sbarramento, gli Austriaci comunque persistettero nel loro disegno offensivo. Alle ore 3 del 15 giugno l'artiglieria austriaca iniziò il bombardamento del fronte dall 'Astico al mare, con eccezionale intensità. Ma già si era scatenato, con estrema violenza, il fuoco di contropreparazione italiano. Furono gli Austriaci, che avevano ritenuto di sorprendere, a dover subire una grave sorpresa tattica e gli effetti non tardarono a rivelarsi: il bombardamento, pur di grande violenza, si dimostrò subito impreciso e disordinato, e le fanterie mosse ali' attacco fra le 7 e le 8 non riuscirono a sfondare nè sui monti nè in pianura. Con grande caparbietà l'esercito austriaco reiterò per quattro giorni attacchi violentissimi in entrambi i settori, con il solo risultato di usurare le sue forze. Già il 19 il Comando Supremo italiano ordinò il passaggio alla controffensiva che permise non solo di ristabilire in tutti i settori la situazione precedente all'offensiva, ma anche di migliorarla, specie sul basso Piave. La battaglia del Piave, costata agli Austriaci 150.000 uomini e agli Italiani 90.000, fu una grande vittoria, la prima conseguita nel I 918 da un esercito dell'Intesa e preluse alla fine vittoriosa della guerra. Per gli Austriaci non si trattò soltanto di una "offensiva non riuscita", ma di una inesorabile sconfitta, che fiaccò le loro residue energie ed infranse le loro ultime speranze di vittoria. Sotto il profilo strettamente militare i fattori principali della vittoria italiana furono lo schieramento in profondità delle forze e la pronta disponibilità di sufficienti riserve oltre, naturalmente, all'efficacia del tiro di contropreparazione che represse immediatamente il bombardamento austriaco, infliggendo forti perdite alle truppe che si ammassavano per muovere all'attacco. Parte del merito della vittoria deve perciò essere attribuita al generale Dallolio, creatore ed animatore dell'industria bellica. Alla sua intelligente ed operosa attività si deve la completa ricostituzione del parco artiglierie, in gran parte perduto durante la ritirata dell'autunno precedente. Alla seconda battaglia del Piave l'esercito si presentò con uno schieramento di circa 6300 pezzi di artiglieria, per meno di un decimo forniti dagli alleati, e con abbondanti scorte di munizioni che gli consentirono di stroncare l'attacco nemico con il consumo di tre milioni e mezzo di colpi nei dieci giorni della battaglia. Anche l'aviazione ebbe una non piccola parte nella lotta. Nei giorni della battaglia effettuò una media di 350 voli di guerra al giorno, impegnandosi in un 'efficacissima azione di bombardamento e di mitragliamento da bassissima quota che contribuì notevolmente a rallentare, ed in alcuni casi ad arrestare, il movimento del nemico. La superiorità dei nostri aerei da bombardamento Caproni 300 e da caccia SVA 5 su quelli in dotazione all'esercito austro-ungarico fu addirittura schiacciante. Durante l'estate del I 918, il generale Foch rinnovò più volte al generale Diaz la richiesta di effettuare un' offensiva sugli Altipiani e non mancarono
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pressioni dell'ambasciatore di Francia a Roma sul governo e di questo sul Comando Supremo. Diaz non volle ripetere l'errore commesso da Cadorna con la battaglia dell'Ortigara ed attese il momento propizio per impegnare un'offensiva che fosse risolutiva. Dalla metà di luglio i Tedeschi avevano perduto l'iniziativa sul teatro di guerra francese e le offensive alleate costringevano l'esercito germanico ad effettuare successive ritirate, senza però perdere la sua compattezza. Fra il 16 ed il 19 settembre l '"Année d'Orient" fece crollare il fronte tedesco-bulgaro nei Balcani cd il 29 settembre fu concluso l'armistizio fra gli Alleati e la Bulgaria. Diaz vide allora la possibilità di rompere il fronte avversario in corrispondenza della zona di sutura delle due armate austriache (5" e 6·) del Piave, agendo a cavaliere della direttrice di Vittorio Veneto, centro logistico di grande importanza sulla linea di operazioni della 6· annata austriaca. Effettuata la rottura e separate le due armate avversarie, puntando su Feltre, avrebbero aggirato le truppe austriache attestate al Grappa ed avrebbero dato sviluppo alla manovra dirigendosi sia per la Val Sugana su Trento, sia verso il Cadore. La manovra avrebbe dovuto avere inizio il giorno 16 ottobre, ma la piena del Piave ne fece spostare la data al 24. Questo lieve ritardo pennise di perfezionare il piano d'operazione: anche la 4• armata del Grappa ebbe ordine di agire offensivamente, concorrendo all'aLione principale affidata all'S•, impegnando le riserve nemiche che avrebbero potuto ostacolare l'avanzata su Vittorio Veneto. La battaglia fu iniziata pertanto proprio dalla 4• armata, che protrasse i suoi attacchi sino al giorno 27, riuscendo nell'intento di richiamare ed assorbire le riserve austro-ungariche. Nella notte tra il 26 ed il 27, I 's• armata, la 12• armata -comandata dal generale francese Graziani , era costituita da I divisione francese e 3 italiane - e la 10• - comandata dal generale inglese Cavan, era costituita da 2 divisioni inglesi e da 2 italiane - gettarono i ponti sul Piave e passarono il fiume. L'irruenza dell'attacco costrinse il comando della 6· annata austriaca ad ordinare, il giorno 28, la ritirata sul Monticano. Il giorno 30, 1·s• annata occupò, con le proprie avanguardie, Vittorio Veneto; la I 21 armata superò la stretta di Quero verso Peltre; la IO" varcò il Monticano in direzione di Sacile. Nella serata dello stesso giorno si presentava al Comando Supremo il generale austriaco Weber per trattare la resa. Le trattative però non furono spedite perché il governo austriaco non voleva firmare una capitolazione completa, ma solo una tregua d'anni. Durante la discussione le operazioni continuarono ed il 31 le truppe austriache del Grappa cedettero, infine, all'irruenza dell'azione della 4• armata che mosse allora su Arsiè; la 12• armata si diresse su Feltre; l 's• sboccò nella valle del Piave a Ponte delle Alpi; la IO", affiancata dalla 3•, raggiunse la Livenza e la cavalleria il Tagliamento; si mise in moto anche la 61 armata lungo la Valsugana, per intercettarvi la rotabile e dirigersi verso Trento-Egna. Il 3 novembre la 1• armata entrò a Trento, tutte le altre armate raggiunse-
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ro i rispettivi obiettivi e, mentre la cavalleria si spingeva fino a Palmanova, Udine, Stazione per la Carnia e Gradisca, un apposito distaccamento sbarcò a Trieste. La sera del 3 novembre fu finalmente concluso l'armistizio: alle ore 15 del 4 novembre l 918 vennero sospese le ostilità su tutto il fronte italiano. Nell'intento di limitare il valore determinante della battaglia di Vittorio Veneto, alcuni critici hanno tentato di ridurne l'importanza, attribuendo un peso eccessivo alla crisi morale e materiale che indubbiamente scuoteva l'esercito austriaco alla fine del 1918. Questa affermazione, persino offensiva per l'esercito austriaco ostinato e valoroso, è decisamente smentita dai fatti. Spinto dall'odio secolare, dalla salda disciplina, dal sentimento dell'onor militare, l'esercito imperiale si batté assai coraggiosamente anche nell'ultima battaglia, tanto che le perdite degli attaccanti furono sensibili: 36.498 Italiani e 2.498 Alleati. Con la battaglia di Vittorio Veneto l'Italia non sconfisse soltanto "uno dei più potenti eserciti del mondo", provocò il crollo totale dell'Impero degli Asburgo. Lo sforzo italiano fu immenso - 5 milioni di uomini mobilitati, 900.000 militarizzati nelle industrie di guerra, 680.000 caduti, oltre 1 milione di feriti e mutilati - ma il ciclo storico del Risorgimento italico si concludeva infine con la scomparsa del secolare nemico e con il raggiungimento dei confini naturali. 9. L'esercito italiano partecipò ad operazioni belliche anche fuori dai confini nazionali, soprattutto in Albania, in Macedonia ed in Francia cosicché il contributo italiano alla vittoria dell'Intesa fu notevole. Di seguito un breve cenno di quelle operazioni. Nella situazione di caos creatasi in Albania subito dopo lo scoppio della guerra, l'Italia, particolarmente interessata ad impedire che la sponda orientale del Canale d'Otranto cadesse in mano di una qualsiasi grande Potenza, occupò dapprima l'isolotto di Saseno e subito dopo (29 dicembre 1914) Valona, sbarcandovi il 10° reggimento bersaglieri e una batteria da montagna. Gli Austro-Tedeschi iniziarono l '8 ottobre del 1915 l'offensiva a fondo contro i Serbi, con l'aiuto dei Bulgari. Lo sbarco di un primo contingente franco-inglese a Salonicco non servì a mantenere aperta ai Serbi la via di ritirata ed essi furono costretti a cercare scampo verso i porti albanesi. L'Italia si assunse allora il difficile compito di proteggere la ritirata dei Serbi e l'imbarco dei resti del loro esercito. Fu costituito quindi un Corpo d'occupazione del!' Albania. composto di una divisione su tre brigate, una delle quali doveva portarsi a Durazzo, mentre le altre due avrebbero garantito il possesso di Valona. Dal 3 al 9 dicembre 1915 la brigata "Savona", con una difficile marcia, da Valona si portò a Durazzo dove si sistemò a difesa per proteggere il riordinamento e l'imbarco dei Serbi, operazione che venne ultimata il 9 febbraio 1916; dal 23 al 26 febbraio anche la brigata "Savona", che aveva trattenuto gli Austriaci per altre due settimane, si imbarcava sotto la protezione di unità della flotta.
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Rimaneva in possesso italiano la baia di Valona. Le forze italiane in Albania vennero gradualmente aumentate, raggiungendo la consistenza di un corpo d'armata (XVI) di circa 100.000 uomini, su tre divisioni. Essendosi intanto il Corpo di spedizione interalleato di Salonicco (Armata d'Oriente) spinto verso occidente, le truppe d'Albania prendevano contatto con esso ad Erseke, costituendo cosl un fronte continuo dal!' Adriatico all'Egeo. Tentativi austriaci contro le posizioni italiane nella seconda metà del 1917 venivano respinti; nel maggio 1918 un'azione combinata di reparti italiani e francesi sulla destra dell'Ossum e verso la Tomoritza riuscì a rendere più sicura la strada Erseke-Salonicco. fl 6 luglio 19 l 8 venne lanciato un attacco di quattro colonne italiane, appoggiate sulla destra dai Francesi, contro le due ali della Malakastra. L'attacco riuscì sulla sinistra, la cavalleria italiana raggiunse il campo d'aviazione di Fieri e tutte le truppe poterono avanzare occupando Berat e raggiungendo la piana del Semeni. Una controffensiva austriaca determinò poi un parziale ripiegamento sulle posizioni difensive della Malakastra. Alla fine di settembre, in connessione con l'offensiva dcli' Armata d 'Oriente, il XVI corpo d'armata riprendeva l'avanzata occupando Dura.tzo il 14 ottobre, Tirana il 15, Scutari il 31 ed infine Dulcigno ed Antivari il 3 novembre. Costituitasi sul finire del 1915 l'Armata d'Oriente, i governi alleati fecero ripetute insistenze presso quello italiano affinché inviasse truppe in Macedonia. Il 9 agosto 1916 iniziò quindi il suo imbarco a Taranto la 35" divisione (2 brigate di fanteria e 4 gruppi da montagna) che si schierò il 25 agosto sulla Krusa-Balkan, fronte di 48 km. Ad ottobre venne rinforzata con una terza brigata e, successivamente, raggi unse la consistenza di un corpo d'armata. La di visione partecipò nel settembre del 1917 ad una azione controffensiva; venne quindi trasferita nel settore di Monastir dove, con l'azione della brigata Cagliari attraverso i monti Baba, apò il 16 novembre la via di Monastir alle truppe franco-serbe. All'ini.lio del 19 I 8 la 35• divisione passò nel settore della Cerna, sostituendo in linea due divisioni francesi e una serba: in questo settore fronteggiò non più i Bulgari, ma i Tedeschi. Dopo otto attacchi tedeschi in due mesi vi fu, nel maggio, un tentativo offensivo interalleato: esso non riuscì e le perdite italiane furono di circa 3.000 uomini. li 15 settembre l'Armata d'Oriente prese l'offensiva e sfondò il fronte avversario. La 35• divisione scacciò i Tedeschi dai M. Kalabach, raggiunse Kruscevo attraverso i Baba Planina ed il 29 attaccò la posizione di Sop, catturando 8.000 Bulgari con 11 cannoni. Nell'aprile 1918 l'Italia inviò in Francia il II corpo d'annata su due divisioni di fanteria, 1 raggruppamento di artiglieria, I gruppo squadroni di cavalleria e unità dei servizi.
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Le divisioni vennero inviate in linea ad ovest di Verdun, fra Avocourt e Boureilles. Tra I' 11 ed il 19 giugno il il corpo d'armata si schierò ad occidente di Reims, su una fronte di 12 chilometri, a cavallo dell' Ardre e, quindi, a sbarramento della più diretta via di penetrazione su Epernay. Tra la fine di giugno e i primi di luglio si ebbero i primi scontri con i Tedeschi nella zona della "Montagna di Bligny". Il 15 luglio i Tedeschi sferrarono la loro ultima offensiva. Ad ovest di Reims attaccarono fra Vrigny e Jaulgonne, investendo il li corpo italiano cd il V francese. Dopo due giorni di accaniti combattimenti, le truppe italiane riuscirono ad arrestare sulle seconde linee l'attacco germanico. Il 21 il Comando tedesco ordinava alle sue truppe, che più a occidente avevano varcato la Marna, di ripiegare facendo perno sul settore dell' Ardre, dove pertanto i combattimenti proseguirono sino al 24. Ad agosto il II corpo, rinsanguato con altri 22.000 uomini circa, venne inviato nelle Argonne ma in settembre tornò alle dipendenze della 5" armata francese, per prendere parte all'offensiva contro il saliente di Laon. Si schierò nel settore dcli' Aisne, ad est di Soisson. Il 26 settembre iniziò l'offensiva alleata ed il Il corpo vi partecipò alle dipendenze, successivamente, delle armate francesi 5", IO- e 3•. Conquistata la formidabile posizione dello Chemin dcs Dames, raggiunta e superata l' Ailette, con tale slancio da meritare le immediate felicitazioni del generale Mangio, le truppe italiane pervenivano il 14 ottobre alle paludi di Sissonne. Il 4 novembre, data che segnava la fine della guerra contro l' Austria, il Il corpo riprendeva l'avanzata contro i Tedeschi, avanzata che ben presto si tramutava in inseguimento: I' 11 novembre raggiungeva la Mosa, ove veniva issata la bandiera italiana nel momento in cui cessavano le ostilità. 10. A chiusura del capitolo un breve paragrafo sull'evoluzione della dottrina, a conferma che l'esercito uscito dalla guerra era completamente diverso per armamento e per mentalità operativa da quello del "maggio radioso", come molto poeticamente furono definiti i giorni dell'intervento nel 1915. Anche Diaz, come del resto aveva sempre fatto Cadorna <17>, a mano a mano che nuovi procedimenti tattici, adottati da qualche altro belligerante o suggeriti dall'esperienza diuturna del campo di battaglia, si rivelavano di valore generale, provvedeva a divulgarne la conoscenza tra i Quadri con apposite circolari. Nel settembre del 19 I 8, sulla base di esperienze e degli ammaestramenti che si erano potuti trarre dall'offensiva tedesca del marzo sulla Marna e dalla nostra vittoriosa battaglia d'arresto sul Piave del giugno, Diaz emanò le
(17) L'ufficio storico dello Stato Maggiore dell'esercito ha pubblicato tra il 1927 ed il 1991 L'esnciro irali111ro nella grande guerra 1915-1918, opera ponderosa e documentata in 7 volumi. articolati in 37 tomi. li VI volume, in due tomi per complessive 869 pagine. è dedicato alle l.rrru~wni 1a11iche del capo d, S.M. dell'eurciro dal 1914 al 1918 e consente di seguire nella sua progressiva evolu1ione la sviluppo della dottrina tattica dall'immediato anteguerra a tuno il 1918.
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Direttive per l'impiego delle grandi unità nell'attacco e le Direttive per l'impiego delle grandi unità nella difesa, destinate a rimanere in vita fino al 1928. Nella prima Diaz affermava che "l'offensiva è possibile e può avere successo purché la si imposti, organizzi e la si conduca al di fuori di ogni rigidità di schemi e con riguardo diverso nelle due fasi in cui si scompone: scardinamento del sistema difensivo e dilagamento rapido ed incalzante al di là di questo. Di qui la necessità di disporre di due masse: una di rottura ed una di manovra. La battaglia di rottura s'impernia sul binomio fanteria-artiglieria, quella in campo aperto sulle forze celeri potentemente appoggiate dal fuoco dell'artiglieria leggera" (l8J. Da rimarcare che le Direttive per l'attacco sancivano che l'armamento fondamentale della fanteria erano le armi automatiche, che l'aviazione doveva intervenire sul piano tattico e su quello logistico, che il carro armato, di cui ancora l'esercito italiano non disponeva, era un mezzo sussidiario dell'attacco. L'essenza dell'azione offensiva, così come delineata nelle Direttive, era perciò costituita dal fuoco, dal movimento e dall'urto potenziati dalla manovra, alla quale veniva così restituita la priorità sul campo di battaglia rispetto alla massa. Le Direttive per l'azione difensiva riconoscevano a quest'ultima la capacità strategica potenziale di mutare a proprio vantaggio il rapporto di potenza inizialmente esistente tra chi attacca e chi si difende. Caposaldi concettuali della difesa: la scelta delle posizioni, la sistemazione a difesa di queste, lo scaglionamento in profondità delle forze e dei mezzi. La difesa, compiutamente organizzata, consisteva in più sistem i difensivi, ognuno articolato in una prima fascia di osservazione, presidiata a larghe maglie, ed una seconda di resistenza, suddivisa in una striscia di combattimento, una striscia dei rincalzi, una striscia delle riserve, della quale la prima era naturalmente l'architrave di tutta la sistemazione difensiva. Le fasi attraverso le quali si esplicava l'azione difensiva erano individuate nella contropreparazione, nella resistenza ad oltranza, nelle reazioni manovrate. Una difesa, qui ndi, elastica e profonda, concepita per annullare la capacità offensiva dell'avversario con l'azione successiva di più sistemi difensivi, ciascuno su più fasce.
( 18) P. Berti nari a, L'esercito italiano dal 1918 al 1940. Do/Irina d'impiego e ordinamemi tal/ici. in Studi storici militari 1986. USSME, Roma 1987, pagg. 613-639.
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Appendice al capitolo XIII
Ordine di battaglia dell'esercito italiano - 24 maggio 1915 -
I° armata, comandata dal generale Roberto Brusati, su: - III corpo d'armata (gen. Vittorio Camerana): • 5' divisione (brigate Cuneo e Palermo, 27° artiglieria); • 6° divisione (brigate Toscana e Sicilia, I 6° artiglieria); • 35° divisione (brigate Milano e Novara, 42° artiglieria); • truppe suppletive: 7° reggimento bersaglieri, VIII battaglione alpini, 27° Cavalleggeri di Aquila, 6° artiglieria, 30" batteria da montagna, IVI 0 artiglieria pesante campale, I battaglione minatori, 1 compagnia zappatori, l compagnia telegrafisti, II battaglione della Guardia di Finanza. - V corpo d'armata (gen. Florenzio Aliprandi): • ~ divisione (brigate Roma e Puglie, 29° artiglieria, l compagnia zappatori); • 15" divisione (brigate Venezia e Abruzw, I 9° artiglieria, I compagnia zappatori): • 34• divisione (brigate Ivrea e Treviso, 42° artiglieria, 2 squadroni di cavalleria, I compagnia zappatori); • truppe suppletive, 2°, 4° e 8° reggimento bersaglieri, 8 battaglioni alpini, 22°Cavalleggeri di Catania, 15 batterie da montagna, 5° reggimento da campagna, 3 compagnie minatori, 2 compagnie zappatori, I compagnia telegrafisti, 6 battaglioni della Guardia di Finanza. - riserva di armata: brigata Mantova, 4° squadrone Cavalleggeri di Aquila, III/I O artiglieria pesante campale, 2 compagnie minatori, I compagnia zappatori, I compagnia pontieri ed I compagnia telegrafisti, 1 sezione telegrafica, I squadra telefotografica. 2a annata, comandata dal generale Pietro Frugoni, su: - II corpo d'armata (gen. Ezio Reisoli): • 3• divisione (brigate Ravenna e Forlì, 48° artiglieria, I compagnia zappatori); • 4• divisione (brigate Livorno e Lombardia, 26° artiglieria, I compagnia zappatori); • 32• divisione (brigate Spezia e Firenze, 46° artiglieria, l compagnia zappatori); • truppe suppletive: 2 battaglioni bersaglieri ciclisti, 14° artiglieria, VI/I 0
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pesante campale, 61 compagnia telegrafisti. - IV corpo d'annata (gen. Mario Nicolis di Robilant): • 7• divisione (brigate Ber?,anw e Valtellina, 21 ° an i.glieria. I gruppo da montagna, I gruppo pesante campale, I compagnia .:appatori); • s• divisione (brigate Modena e Sale mo. 28° artigliet i,t, I compagnia zappatori); • 33• divisione (brigata Liguria ed Emilia. 40° artigl icria, I compagnia zappatori); • truppe a disposizione: 6°. 9°, 11 ° e 12° bersaglieri. 2 battaglioni alpini, 2 gruppi da moncagna; • truppe suppletive: I reggimento bersaglieri. 4° artiglieria. IV/1 ° pesante campale, I compagnia telegrafisti. - XII corpo d'armata (gen. Luigi Segato): • 23" divisone (hrigate Verona ed Aosta. 22• artiglieria. 1/ IO pesante campale, I compagnia zappatori); • 24' divisione {brigate Napoli e Piemonte. 56° artiglieria. 3 batterie da montagna. IIl/l O pesante campale, I compagnia zappatori); • truppe suppletive: I reggimento bersaglieri. 11/1 ° pesante campale, IV /2° pesante campale, 9• compagnia telegrafisti. · - riserva di armata: 2 gruppi da 149/A. I gruppo da 149/G. 2 gruppi da 70 someggiati, I battaglione pontieri, I compagnia minatori, I compagnia telegrafisti, I sezone radiotelegrafica, 3 sezioni aerostatiche, 3 squadriglie di aerei Newport. 3° annata, comandata dal generale Emanuele Filiberto di Savoia. su:
- VI corpo d'armata (gen. Carlo Ruclle): • 11• divisione (brigate Pistoia e Re, 14° artiglieria, I gruppo da 70 someggiato, 1/ l O pesante campale, I compagnia zappatori); • 12• divisione (brigate Casale e Pm·ia, 30° artiglieria, 1 compagnia zappatori); • I• divisione di cavalleria ( I• e 2• brigata su 13°, 20°, 4 °. 5° cavalleria e I gruppo artiglieria a cavallo); • truppe suppletive: 2 battaglioni bersaglieri ciclisti, I battaglione Guardia di Fi nanza, 3° artiglieria, II/2° pesante campale, I compagnia zappatori. 2 squadriglie di aerei Blériot. - XI corpo d'annata (gen. Giorgio Cigliana): • 21• divisione (brigate Regina e Pisa. 33° artiglieria, I compagnia zappatori); • 22• divisione (brigate Brescia e Ferrara, 11° artiglieria. I compagnia zappatori): • 2• divisione di cavalleria (3" e 4• brigata su 7°, 10°, 6°, 25° cavalleria e I
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gruppo artiglieria a cavallo); • truppe suppletive: 9° artiglieria, 1 compagnia pontieri, 1 compagnia telegrafisti. - riserva di armata: 1 gruppo pesante campale, 1 gruppo da 149/G, 1 batteria da 70 someggiata, 2 compagnie minatori, 1 compagnia telegrafisti, 3 compagnie pontieri, 1 sezione radiotelegrafica, 1 squadra fotografica, 2 sezioni aerostatiche, 5 squadriglie di aeroplani Blériot, 6 battaglioni della Guardia di Finanza. 4° armata, comandata dal generale Luigi Nava, su:
- I corpo d'armata (gen. Ottavio Ragni): • 1• divisione (brigate Parma e Basilicata, 25° artiglieria, 2 batterie someggiate da 70 ed l compagnia zappatori); • 2• divisione (brigate Como e Umbria, 17° artiglieria); • Io• divisione (brigate Marche ed Ancona, 20° artiglieria, 2 compagnie zappatori); • truppe suppletive: 21 ° Cavalleggeri di Padova, 8° artiglieria, 1 compagnia minatori, 1 compagnia telegrafisti;
- IX corpo d'armata (gen. Pietro Marini): • 17• divisione (brigate Reggio e Torino, 13° artiglieria, 1 compagnia zappatori); • 18° divisione (brigate Alpi e Calabria, 32° artiglieria, 1 compagnia zappatori); • truppe suppletive: 3° bersaglieri, 6 battaglioni alpini, 9° Lancieri di Firenze, 4° artiglieria, 1 compagnia zappatori ed I compagnia telegrafisti; - forze a disposizione: l O fanteria milizia territoriale, m e IV/2° pesante campale, 1 battaglione minatori, 1 compagnia telegrafisti, I compagnia pontieri, 1 stazione radiotelegrafica e 1 squadra telefotografica, I battaglione Guardia di Finanza. Truppe Zona Carnia, comandata dal generale Clemente lequio, su:
- 16 battaglioni alpini; - I squadrone Cavalleggeri del Monferrato; - 6 batterie da montagna, 2 batterie da 70 someggiate; - 2 compagnie minatori, 2 zappatori, 1 telegrafisti; - 3 battaglioni Guardia di Finanza. Truppe a disposizione del Comando Supremo:
- VIII corpo d'armata (gen. Ottavio Briccola): • 16• divisione (brigate Friuli e Cremona, 32° artiglieria, 1 compagnia zappatori); • 29• divisione (brigate Perugia e Lazio, 37° artiglieria, 1 compagnia zappatori);
LA GRANDE GUERRA
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• truppe suppletjve: 23° Cavalleggeri Umberto I, 7° artiglieria, I compagnia telegrafisti. - X corpo d'annata (gen. Domenico Grandi ): • 29" divisione (brigate Siena e Bologna, 24° artiglieria, I compagnia zappatori); • 20" divisione (brigate Savona e Cagliari, 34° artiglieria, 1 compagnia lappatori ); • truppe suppletive: 12° artiglieria, I compagnia telegrafisti. - Xlll corpo d'armata (gen. Gaetano Zoppi): • 25" divisione (brigate Macerala e Sassari, 46° artiglieria, compagnia zappatori); • 30" divisione (brigate Piacenza ed Alessandria, 39° artiglieria, I compagnia zappatori); • 31" divisione (brigate Chieti e Bar/eua, 43° artiglieria, 25° artiglieria, I compagnia zappatori); • truppe suppletive: 3 battaglioni bersaglieri, 44° artiglieria, I compagnia pontieri, 1 campagna telegrafisti. - XIV corpo d'armata (gen. Paolo Morrone): • 26° divisione (brigate Caltanissetta e Catania, 48° artiglieria, 1 squadrone Cavalleggeri di Lucca, I compagnia zappatori); • 27• divisione (brigate Benevento e Campania, 38° artiglieria, I compagnia zappatori); • 28' divisione (brigate Bari e Catanzaro, 45° artiglieria, 1 compagnia lappatori); • truppe suppletive: 1 battaglione bersaglieri, 47° artiglieria, 9 banerie del 27° e 2 batterie dell ' 11 °, 1 compagnia telegrafisti. -altre truppe: • 3• divisione di cavalleria (5" e 6° brigata su 12°, 24°, 3°, 8° cavalleria, gruppo artiglieria a cavallo); • 4' divisione di cavalleria (71 e 8° brigata su 10°,26°, 19°,28° cavalleria, l gruppo artiglieria a cavallo); • brigata fanteria Padova; • brigata fanteria Trapani; • reggimento carabinieri; • 2 compagnie telegrafisti, 1 compagnia minatori, 1 compagnia pontieri, 1 compagnia zappatori; • 3 dirigibili, 3 squadriglie (Blériot, Newport, Farman).
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XIV. IL BURRASCOSO DOPOGUERRA
I. Al momento dell'armistizio con l'Austria gli Italiani alle anni erano 3.044.414, di questi : 2.232.976, compresi 82.067 ufficiali, appartenevano all'esercito combattente; 8 I 1.438, compresi I03.888 ufficiali, facevano parte dell'esercito territoriale. Gli ufficiali, che in totale assommavano a 185.955 unità, si dividevano in categorie diverse cd in diverse posizioni di stato: 21.926 erano in servizio attivo permanente, 437 in congedo provvisorio, 2.218 in posizione ausiliaria, 7.569 appartenevano alla riserva, 105.491 erano di complemento e 48.314 della milizia territoriale. Le classi che alimentavano l'esercito a quella data erano ben 27, dal 1874 al I 900. L'enom1e massa dell'esercito combattente era inquadrata in 9 annate, 23 corpi d'annata, 53 divisioni, incluse le for1e operanti in Albania (XVI corpo d'armata su 3 divisioni e truppe suppletive con una forza complessiva di 4.169 ufficiali e I 14.565 sottufficiali e soldati), in Macedon ia (35' divisione con l.353 ufficiali e 48. 777 sottufficiali e soldati), in Francia (li corpo d'armata su 2 divisioni e forze suppletive per un totale di 1.972 ufficiali e 49.625 sottufficiali e soldati) ( I)_ Naturalmente occorreva procedere alla smobilitazione di un così grande complesso di forLe ma, ahrettanto naturalmente, occorreva procedere con gradualità sia perché armistizio non significava automaticamente pace sia perché non era opportuno reimmettere repentinamente nel Paese tre milioni di uomini , che avrebbero aggravato la già grave crisi economica, dovuta in parte anche all'immediata fine delle commesse militari. Il ministro Zupelli , comunque, al 18 dicembre 19 18 aveva già provveduto a congedare le undici classi più anziane, dal 1874 al 1884, cd aliquote delle altre classi fino al 1896, per un totale di 25.000 ufficiali e 1.176.800 sottufficiali e soldati . li generale Caviglia (2), succeduto a Zupelli nel gennaio 191 9, proseguì nelle operazioni di congedamento, adottando anche nei confronti dei reduci alcune modeste provvidenze, compatibili con le dissestate finanze statali: un premio di I 00 lire per il primo anno di guerra e di 50 lire per gli anni successi-
( I) Per la loro esiguità non sono stati considerati i reparti italiani dislocati in Palestina. in Siria, nell'Estremo Oriente nè il personale italiano che inquadrava le unità cecoslovacche costituite con personale tratto da prigionieri di guerra ausuiaci. (2) Di Enrico Caviglia vds. 11 breve profilo biografico nella pane Il di questo volume.
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vi, la liquidazione della poliu.a Nitti, un pacco vestiario ed il prolungamento per tre mesi del sussidio alla famiglia. Per gli ufficiali un trattamento migliore: due mesi di stipendio per il primo anno di guerra, un mese per gli anni successi vi e un'indennità vestiario di 250 lire. Il Comando Supremo, dal canto suo. elaborò un progetto di ordinamento per l'esercito di pace, ricalcato grosso modo sull ·ordinamento Spingardi e, nel febbraio del 1919, lo inviò al ministro. Per sostenere le rivendicazioni territoriali italiane alla conferenLa di pace di Versailles, molto osteggiate, apertamente dal presidente americano Wilson e più subdolamente dalla Francia, grande paladina della nascente Jugoslavia, Caviglia decise però di rallentare i congedamenti, decisione poi raffor1.ata dalle pressioni del Consiglio di guerra interalleato, sempre molto preoccupato del permanere alle armi di circa 800.000 soldati tedeschi e della fluida situazione nei Balcani. L'atteggiamento responsabile di Caviglia suscitò ampie rimostran7c in Parlamento e sulla stampa. Entro il 15 maggio 1919 furono, comunque, congedate le classi 1900, 1885, 1886, 1887 con il conseguente scioglimento di 3 comandi di armata, 7 di corpo d'armata e di 17 divisioni. Nel giugno successivo fu la volta della classe 1888 e furono sciolti ancora un comando di corpo d'armata e due divisioni. li nuovo Presidente del Consiglio, Nitti, preoccupato per l'ancora troppo grande incidenza delle spese militari sul bilancio dello Stato, volle accelerare le operazioni di smobilitazione e al dicastero della Guerra fu nominato il generale Albricci. Con il consenso del Comando Supremo, già il 12 luglio il nuovo ministro procedette al congedo della classe 1889 ed allo scioglimento di altre unità. Alla fine del luglio 1919 erano stati congedati 78.185 ufficiali e 2.205.000 sottufficiali e militari di truppa. appartenenti a 19 classi e ad aliquote delle altre 10. Erano anche stati disciolti 7 comandi di armata, 14 comandi di corpo d 'armata, 28 divisioni, 339 reggimenti delle varie armi e un gran numero di reparti minori. Nei mesi di agosto e di settembre furono poi inviate in congedo le superstiti aliquote delle classi dal 1890 al 1894 e furono disciolti 7 comandi di corpo d'armata e 16 divisioni. In ottobre fu disposto il congedamento della classe 1895 e, il mese successivo, quello della classe 1896. li Consiglio dei Ministri, infine, il 26 dicembre dispose il congedamento della n• e m• categoria delle ultime tre classi ancora alle armi, ponendo fine in pratica alla smobilitazione dell'esercito (3), ma non ai problemi relativi al personale. L'enorme aumento delle dimensioni dell'esercito aveva provocato una grande crescita del corpo ufficiali in servizio permanente, che ora risultava del tutto sproporzionato alle effettive necessità di inquadramento del più ridotto esercito di pace.
(3) Cfr. V. Gallinari, L 'eserciro ita/ia110 nel primo dopoguerra 1918-1920. USSME. Roma 1980. il volume, informato e puntuale. è un'equilibrata analisi delle operazioni di smob1litaz.ione e costituisce una non trascurabile appendice alla ponderosa relazione ufficiale dello SME sulla l' guerra mondiale.
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In tempi recenti la politica del personale adottata dal Comando Supremo ed avallata dal ministero della Guerra, ispirata al criterio di far corrispondere il grado dell'ufficiale al livello di comando effettivamente esercitato, è stata valutata negativamente. "È difficile dire fino a che punto tutte queste promozioni fossero necessarie, anche rapportandoci alla cultura e mentalità del tempo. L'esercito britannico e poi quello statunitense ricorsero in larga misura alle promozioni provvisorie, valide solo per il periodo di guerra: un capitano poteva salire al rango di colonnello e poi tornava capitano o maggiore con la smobilitazione, in modo da evitare una sovrabbondanza di ufficiali rispetto alle esigenze di pace. Questo sistema era forse legato alle particolari esigenze di un esercito di mestiere, per il quale l'enorme sviluppo bellico costituiva una parentesi. Ma l'esercito tedesco e in minor misura quello francese ridussero le promozioni impegnando stabilmente gli ufficiali in funzioni superiori al loro grado" <4>. L'osservazione del Rochat ha un punto debole, non è, infatti, "rapportata alla mentalità e cultura" italiane. Nel!' ordinamento giuridico e nella tradizione dell'esercito italiano non sono mai esistiti gradi "temporanei" o "provvisori" ed anche l'espediente di attribuire ad un ufficiale un incarico superiore a quello corrispondente al grado effettivamente rivestito fu sempre adottato, ed è adottato anche oggi, ma soltanto quando la differenza tra grado ed incarico non supera un livello gerarchico. Per esprimerci in soldoni: i tenenti comandanti di compagnia sono sempre esistiti, non così i capitani comandanti di reggimento. La politica adottata da Cadorna fu la sola che si potesse attuare cd è anche comprensibile che, guerra durante, al Comando Supremo poco ci si preoccupasse di futuri ingorghi organici. Evitabile o non evitabile, comunque, l'abnorme aumento del volume organico del corpo ufficiali ci fu: nel 1919 l'esercito contava 556 ufficiali generali contro i 178 dell'agosto 1914, 6.400 ufficiali superiori contro 2.176 e 8.250 capitani contro 5.326. Per risolvere in qualche modo il problema nel settembre 1919 fu escogitato un "ammortizzatore sociale", per usare un termine di oggi, la posizione ausiliaria speciale, alla quale si poteva accedere a domanda o d'autorità. La pillola amara fu, al solito, addolcita con qualche meschina concessione economica, revocata peraltro qualche anno dopo con altro provvedimento di straordinaria equità. A domanda o d'autorità, entro il febbraio 1920 lasciarono l'esercito 250 ufficiali generali, 1.250 ufficiali superiori e 100 capitani, troppo pochi per ricondurre l'organ~co ai livelli previsti dal nuovo ordinamento dell'esercito. Furono perciò necessari altri provvedimenti, come si vedrà nel paragrafo successivo. La collocazione forzata in posizione ausiliaria speciale non fu, peraltro,
(4) G. Rocha4 L'esercito italiano da Viuorio Veneto a Mussolini ( /919-1925). Latcrza, Bari 1967. pag. 24.
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l'unica disavventura del corpo ufficiali nel dopoguerra, molto presto esso apprese dalla stampa di essere del tutto inutile. Nel dopoguerra si diffuse, infatti, la credenza, o meglio, il mito che i veri artefici della vittoria fossero stati gli ufficiali di complemento, animati da forti idealità di stampo mazziniano o garibaldino, mentre gli ufficiali effettivi, pavidi e grigi burocrati senza anima, si sarebbero imboscati nei comandi, preoccupali unicamente di lucrare promozionj e medaglie. Questa singolare ricostruzione della guerra ebbe qualche anno dopo una consacrazione accademica ad opera di Adolfo Omodeo e di Piero Pieri, valorosi ufficiali di complemento in guerra e storici di chiara fama in pace, ma, su questo specifico argomento, non mollo equilibrati. Il Pieri, nel recensire il volume Momenti di guerra dell'Omodeo non si peritò di scrivere che la guerra era stata vinta per l'opera "di migliaia di ufficiali di complemento, eletta espressione della media e piccola borghesia, italiani che credenti per la prima cosa nella religione del dovere, avevano guidato nell'aspra lotta il popolo italiano condividendone sacrifici e speranze". Per la verità altri ufficiali di complemento avevano tratto dell'esperienza di guerra un diverso convincimento. Ardengo Soffici annotò che i giovani ufficiali di complemento "partecipano troppo ai difetti dell'ambiente dal quale provengono. Troppo digiuni di vera cultura, troppo borghesi egoisti, troppo poco animati di viva fede e di coscienza civile e nazionale". E se questo giudizio può sembrare dettato da uno spirito troppo elitario, può essere citato quello espresso da Giovanni Amendola che nel 19 I7, definiva gli ufficiali di complemento "mediocramente colti, e poco preparati, dal lato morale e da quello professionale". L'argomento non può essere adeguatamente trattato in poche pagine, anche la scarsa preparazione tecnica degli ufficiali di complemento deve essere imputata a tanti fattori e richiederebbe un lungo discorso a parte, rimane il fatto che la guerra fu condotta e combattuta e dagli ufficiali effettivi e da quelli di complemento. Se l'inquadramento delle minori unità, plotone e compagnia, fu in grande parte compito degli ufficiali di complemento, soprallutto dopo le prime offensive dell'estate del 1915 nelle quali gli ufficiali inferiori effettivi caddero a centinaia, le funzioni di comando a livello superiore furono responsabilità completa degli ufficiali effettivi, e non avrebbe potuto essere diversamente, data la maggiore competenza tecnica che tali incarichi richiedevano. Un esame dei fatti condotto senza il coinvolgimento emotivo del reduce, come può essere fatto oggi, porta ad una sola conclusione: sia gli ufficiali effettivi sia quelli di complemento operarono con spirito di servizio e con dedizione. Nel complesso gli ufficiali italiani assolsero il terribile compito loro assegnato con dignità, seppero infatti guidare i loro uomini con mano fem1a e seppero essere loro d'esempio. A conforto di quanto sopra affermato si riportano le percentuali delle perdite: caddero sul campo il 7,7% degli ufficiali effettivi e l '8,2% degli ufficiali di complemento, percentuali che da sole chiudono ogni pretestuosa polemica. 2. Mentre il Comando Supremo era impegnato nella complessa attività
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organizzativa derivante dalla smobilitazione e dallo scioglimento dei comandi e delle grandi unità, di cui era necessario recuperare ed immagazzinare anni e materiali, e in una residua attività operativa in Albania, in Anatolia, in Siberia ed in Murmania (5>. nel Paese iniziò un vivace dibattito sul tipo di esercito degli anni seguenti. La guerra appena conclusa non aveva interessato solo le forze armate, tutta la Nazione vi era stata coinvolta e ne era stata sconvolta e, di conseguenza, l'ordinamento del l'esercito futuro fu appassionatamente discusso, addirittura mettendo in dubbio la stessa necessità dell'esercito. A parte le teorizzazioni estreme, molti ritenevano che la guerra avesse "dimostrato l'obsolescenza della mobilitazione militare, scopo determinante degli ordinamenti prebellici. Da un lato la pianificazione incentrata sulla mobilitazione aveva condotto alla guerra di trincea, ossia alla neutralizzazione reciproca degli eserciti di massa, togliendo alle operazioni ogni dimensione strategica e ogni carattere risolutivo, e trasformando il conflitto in una insostenibile guerra di usura: con la conseguenza di azzerare le superiorità tecnico-militari e di potenziare quelle economiche, segnando in tal modo la sorte delle nazioni povere e non autosufficienti, destinate alla sicura sconfitta e alla rivoluzione interna, come gli Imperi centrali, oppure costrette, come l'Italia, ad un ruolo subordinato nel campo delle potenze economiche occidentali. Dall'altro lato la mobilitazione militare si era rivelata concorrenziale con quella civile, sottraendole risorse, capitah e forza lavoro (di ciò costituiva un riflesso la questione degli esoneri e della militarizzazione). Mentre la mobilitazione civile, cioè la razionale massimizzazione delle capacità economiche e produttive nazionali resa indispensabile dalla guerra totale, aveva dovuto essere improvvisata conflitto durante, con conseguente spreco di tempo e di risorse, duramente pagato in termini di efficacia dello strumento operativo e di tenuta degli assetti sociali" (6). Gli ex combattenti, inoltre, ben rappresentati in Parlamento con l'appoggio della Associazione Nazionale Combattenti, avevano iniziato una insistente e vigorosa azione per rivendicare il ruolo determinante dei cittadini richiamati alle armi nella guerra appena terminata, azione che presto si tramutò in una sistematica svalutazione dell'apporto dell 'elemento professionale. Anche nell'ambito dell'esercito la discussione fu approfondita e presto si evidenziarono due linee di pensiero, quella tradizionale, che continuava a ritenere valido l'esercito "a larga intelaiatura", e quella riformista che riteneva necessaria,
(5) Alcuni reparti dell 'esercito furono impiegati all'estero fino al 1920. L'Intesa, per aiutare l'ammiraglio bianco Kokiak che in Siberia conduceva la guerra civile contro il governo bolscevico, inviò un corpo di spedizione interalleato, al quale il nostro esercito partecipò con 2 battaglioni di fanteria, I compagnia mitraglieri, I sezione di artiglieria da montagna e aliquote dei servizi. Queste truppe, che arrivatono fino agli estremi confini della Mongolia, furono rimpatriate nell'agosto 1920. Per assicurare all'Intesa le comunicazioni con Pietrogrado nel 1918 fu inviato ad occupare il porto di Murrnansk un corpo interalleato, al quale l'Italia partecipò con I battaglione di fanteria, I compagnia mitragleri e formazioni di servizi. li reparto fu rimpatriato nell'agosto del 1919. (6) V. llari. Storia del servizio mi/iwre in Italia. Centro Militare di Studi Strategici. Roma 1990, voi. lii, pag. 17.
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invece, una consistente riduzione dell'"intelaiatura" per recuperare le risorse finanziarie indispensabili per il potenziamento. Naturalmente il dibattito, più tecnico quando a condurlo erano i militari, più politico quando gli interlocutori erano parlamentari, fu nobilitato con aurei concetti come "nazione armata", "nazione organizzata", "esercito lancia e scudo". In breve: il concetto di nazione armata, concetto di per se stesso molto ambiguo, sbandierato ancora nel 1919 come una conquista della democrazia, era caratterizzato da ferme brevi, reclutamento regionale, frequenti richiami addestrativi, istruzione pre-militare, corpo ufficiali ridottissimo, largo ricorso ad ufficiali di complemento anche nei gradi elevati; la nazione organizzata per la guerra si estrinsecava nella predisposizione fin dal tempo di pace degli strumenti legislativi atti a favorire, all'emergenza, il rapido passaggio ad un'economia di guerra, alla mobilitazione cioè di tutte le forze produttive della nazione; l'esercito lancia e scudo, infine, si identificava in un esercito di ridotte dimensioni, in grado di compiere ardite imprese offensive (lancia) e nel tempo stesso di assicurare la difesa delle frontiere (scudo). Quest' ultimo concetto, partorito dal generale Bencivenga <7) e adottato da molti altri critici, militari e civili, ebbe diversi disturbi di crescita, la "lancia" fu identificata nell'esercito permanente (ridotto, ridottissimo, quasi simbolico, a seconda delle propensioni del riformatore di turno), lo "scudo" nelle grandi unità di mobilitazione inquadrate da ufficiali di complemento, oppure nelle classi più anziane, oppure, qualche anno dopo, nelle unità della milizia fascista. In ciascuna delle teorizzazioni così sbrigativamente accennate, esistevano principi validi che, in un dibattito sereno, aVTebbero potuto costituire la base per un serio progetto di ristrutturazione dell'esercito. Nella discussione prevalsero, invece, pregiudizi, aprioristiche preclusioni, difese corporative, preoccupazioni politiche, timore del nuovo, miopia intellettuale. L'esercito non riuscì a far prevalere nel suo interno la corrente riformista, che pur contava uomini capaci e di prestigio come Caviglia, Grazioli, Di Giorgio, Ferrari; il Parlamento si dimostrò incapace di elaborare una politica militare nuova e si limitò a limare i bilanci; i governi, preoccupati unicamente della loro sopravvivenza, adottarono qualche misura inutilmente punitiva e non seppero fornire un indirizzo univoco. 3. Il 21 novembre 1919, infatti, il regio decreto n°2J 43 fissò l'ordinamento provvisorio dell'esercito, secondo la consuetudine definito ordinamento (7) Roberto Bencivenga (1872-1947). Sottotenente di artiglieria nel 1892, frequentò la Scuola di Guerra e passò nel corpo di Stato Maggiore. Prese parte alla guerra di Libia meritando una medaglia d'argento a Ain Zara. Maggiore nel maggio 1915, tenente colonnello nel 1916, colonneUo per merito di guerra nel 1917, comandò come colonnello brigadiere le brigate Casale ed Aosta. Capo della missione militare italiana a Berlino nel 1919, deputato nella XXVII legislatuta, partecipò ali a secessione aventiniana. Nel 1926 fu collocato a riposo. Scrittore efficace e critico militare avveduto, pubblicò dal 1930 al 1932 in cinque volumi il Saggio critico sulla nostra guerra.
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Albricci dal nome del ministro della Guerra allora in carica (8). L'ordinamento, ricalcato sulle proposte Diaz del febbraio, prevedeva una forza bilanciata di 210 mila uomini, una ferma di 12 mesi, eventualmente ancora riducibile ad 8, l'articolazione dell'esercito su 15 corpi d'armata di 2 divisioni, la riduzione a 16 dei reggimenti di cavalleria. A parte la durata della ferma, il decreto conteneva significative innovazioni: la carica di Ispettore Generale dell'esercito; l'istituzione del Consiglio dell'esercito, organo di consulenza del ministro, che lo presiedeva senL.a diritto di voto, composto dall'Ispettore Generale dell'esercito, vice presidente, dal capo di Stato Maggiore e dai generali d'armata e designati d'annata (i primi componenti del Consiglio furono Diaz, il duca d'Aosta, Pecori-Giraldi , Giardino, Badoglio, Caviglia, Morrone e Tassoni); l'abolizione del corpo di Stato Maggiore, sostituito dal servizio di Stato Maggiore; l'istituzione, nell'ambito della fanteria. di un gruppo carri armati su un reparto carri d'assalto e un reparto autoblindo-mitragliatrici; la nascita del corpo aeronautico su 3 raggruppamenti aeroplani (I caccia, I bombardieri, I ricognitori), 2 gruppi aerostatici cd I gruppo dirigibilisti; l'istituzione del corpo automobilistico, articolato su 15 centri automobi listici, uno per ogni corpo d'armata; la riunione delle compagnie treno di artiglieria e del genio nel corpo del treno, articolato anch'esso in 15 gruppi treno; la con ferma della grande crescita dell' anna dei carabinieri reali, strunurata ora in 22 legioni. Con il decreto luogotenenziale n° 1314 del 5 ottobre 1916 erano state costituite 3 nuove legioni territoriali (Genova, Catanzaro, Messina) ed istituita a Firen1.e la Scuola Sottufficiali. Fino ad allora i sottufficiali dell'arma, tratti dai carabinieri e dagli appuntati meritevoli, frequentavano un corso di quattro mesi svolto a cura delle legioni territoriali. L'istituzione della scuola ed il prolungamento del corso ad un anno rispondeva indubbiamente alla necessità di migliorare la preparazione dei sottufficiali e di renderla omogenea. Nel l'immediato dopoguerra furono poi costituite due legioni territoriali provvisorie (Trento e Trieste) e fissato un nuovo organico, regio decreto del 2 ouobre I 9 I 9, che in pratica triplicò gli effettivi dell'arma. Certo non tuni gli insegnamenti della guerra appena conclusa erano stati recepiti nel nuovo ordinamento - il battaglione di fanteria, farto emblematico, perse cannoni, lanciafiamme e pistole mitragliatrici e fu ordinato su 3 compagnie fucilieri e I mitragliatrici - nel complesso però l'ordinamento Albricci non era punitivo nei confronti dei Quadri, non era ridondante ed era, soprattullo,
(8) Alberico Albricci ( 1864-1936). So1101enen1e di artiglieria nel 1886, 1ransitò nel corpo di Staio Maggiore. Promosso maggiore nel 1907. fu addeuo militare a Vienna dal 1910 al 1915. Capo di S1a10 Maggiore della I• armata nel 19 I 6, coinandanlc della 5' divisione e poi del Il corpo d'arm:ua nel I 9 I 7. dimostrò grande penzia duranlc i tragici giorni di Caporetto. riuscendo a ritirarsi con 11 suo corpo d'am1ata dal M. Santo fino al Montello. lnvia10 nel 1918 in Francia comandò con prestigio il corpo d'armata ilaliano, che comprendeva anche due divisioni francesi, fino nll'armislizio con la Gem1ania (11 novembre 1918). Ministro della Guerra dal giugno 1919 al marzo 1920, comandò successivamenie il corpo d'am1ata di Napoli. Nel 1919 fu nominato senatore.
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facilmente migliorabile. Ma era troppo costoso per le esauste finanze dello Stato. "L'ordinamento Albricci non soddisfece però il presidente del Consiglio che avrebbe voluto una spesa più ridotta, indipendentemente dalle conseguenze di carattere addestrativo ed operativo delle quali si preoccupava poco" <9>. Nini perciò, nel rimpasto ministeriale del marzo 1920, sostituì al dicastero della Guerra il generale Albricci con l'onorevole lvanoe Bonomi, esponente di spicco di una "classe politica larga di promesse demagiche e povera di capacità di governo" <10>. Il 20 aprile 1920 il nuovo ministro, usufruendo molto probabilmente di precedenti ipotesi di lavoro dello Stato Maggiore, fece approvare tre regi decreti che sanzionarono un nuovo ordinamento, quello Bonomi. Il primo decreto, n. 451, prevedeva una forza bilanciata di 175.000 uomini e ordinava l'esercito su 10 corpi d'armata di 3 divisioni, tagliando inesorabilmente i reparti di supporto dei 5 corpi d' armata soppressi e riducendo a quadro il terzo bauaglione dei reggimenti di fanteria e delle specialità. "Complessivamente l'ordinamento Bonomi riduceva i battaglioni attivi dai 39 l dell'ordinamento Albricci a soli 243, gli squadroni da 80 a 60, i gruppi da campagna, pesanti campali, a cavaHo, autoportati e da montagna da 241 a 22 1, i battaglioni genio da 52 a 42, i distretti da 130 a 106" (11). Con il decreto n. 452 Bonomi mutò poi radicalmente le modalità di reclutamento, sostituendo alla coscrizione seleuiva per aliquote, le famose categorie, la coscrizione estesa a tutto il gettito di leva con ferma breve, di soli 8 mesi, a scopo prevalentemente addestrativo. La demagogia del ministro arrivò anche a prevedere una ferma ridotta di soli 3 mesi per le reclute che si trovassero in particolari situazioni di famiglia e avessero frequentato i corsi di istruzione pre-militare. Due settimane dopo, il 3 maggio, un altro regio decreto attribuiva al ministro la facoltà di prolungare la ferma oltre gli 8 mesi anche in tempo di pace ... ogni commento è evidentemente superfluo! li terzo decreto, n 453, riduceva l'organico del corpo ufficiali da I 8.880 a 15.002, costringendo all'esodo fortato 3900 ufficiali in servizio permanente che si ritrovarono di colpo in "posizione ausiliaria speciale" con relativo trattamento economico ridotto. L'innovazione più carica di contenuto politico dell'ordinamento Bonomi fu, comunque, l'esautorazione del capo di Stato Maggiore a favore del Consiglio dell'esercito, le cui decisioni divenivano esecutive solo dopo l'approvazione del ministro, ma che il ministro era obbligato a consultare su tutte le questioni più importanti . Evidentemente la classe politica, ancora traumatizzata dal "decisionismo"
(9) F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordi11a111e111i de/l'esercito iralia,w, USSME, Roma 1985. voi. Il. pag. 56. (10) F. Stefani, op.c,r., pag. 50. ( 11 ) V. Ilari, op. cit.. pag. 42.
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cadorniano, voleva essere ben sicura che l'esercito non potesse più esprimere una così forte personalità. Bonomi, comunque, con il decreto del 2 maggio 1920 autorizzò la costituzione di 18 battaglioni mobili autonomi di carabinieri, ciascuno su 3 compagnie appiedate ed I di ciclisti, liberando le unità dell'esercito dal sempre poco gradito impiego in ordine pubblico. E questa "benemerenza" gli deve essere riconosciuta! Anche l'ordinamento Bonomi era definito provvisorio, perciò il governo Nilli si impegnò a presentare alle Camere quello definitivo entro un anno e nominò una speciale commissione parlamentare, supponata da una segreteria tecnica di ufficiali e di funzionari del ministero, per coadiuvare il ministro nell'elaborazione del nuovo ordinamento. Bonomi spinse tanto in là la sua azione da sottrarre al capo di Stato Maggiore anche l'alta direzione degli studi per la preparazione della guerra, devoluta al Consiglio dell'esercito, e da stabilire che in guerra le funzioni di comandante supremo sarebbero state assunte dall'Ispettore Generale. Naturalmente i provvedimenti del ministro Bonomi suscitarono un notevo le malcontento, alimentato anche dalla politica estera rinunciataria del governo che, alla fine dell'anno, ebbe il suo punto più alto con la deludente risoluzione della questione adriatica e con l'abbandono di Fiume. Quando gli Alleati nel 19 I 9 negarono all'Italia il possesso della città di Fiume, peraltro non compresa negli accordi di Londra, la delusione specie tra gli cx combattenti era stata molto grande. D'Annunzio seppe farsi interprete dello stato d'animo generale ed occupò la città, alla testa di una colonna di 2.600 volontari tra i quali numerosi erano gli ufficiali cd i soldati che avevano abbandonato i loro repani per seguire il "vate". Il governo sulle prime ignorò ufficialmente l'accaduto, quando entrò in vigore il trattato di Versailles (10 gennaio 1920) che lasciava a future trattative dirette italo-iugoslave la risoluzione dei confini orientali, fu però costretto a prendere atto della soluzione e ad iniziare con il nuovo regno di Jugoslavia una difficile trattativa. L 'accordo fu raggiunto solo verso la fine dell'anno quando Giolitti, sostenuto da una larga maggioranza parlamentare, rinunziò a quella parte della Dalmazia che il patto di Londra riconosceva all'Italia ed acceuò per Fiume lo status di stato indipendente (trattato di Rapallo del 12 novembre 1920). D'annunzio, sempre a capo del "governo" di Fiume, non volle riconoscere l'accordo ed il governo fu allora costretto ad agire. Dal dicembre del 1919 era Commissario straordinario del governo per la Venezia Giulia il generale Caviglia, comandante dell'8 1 armata. Ufficiale animato da un rigido senso del dovere e nel contempo uomo di grande e riflessiva intelligenza, Caviglia usò i poteri che gli erano stati conferiti senza iallanza ma con inllessibile fermezza. Il 24 dicembre le truppe regolari si scontrarono con i legionari e ne ebbero facilmente ragione, contenendo al massimo lo spargimento di sangue. Caviglia si dimostrò un buon servitore dello Stato e dimostrò anche che l'esercito era sempre uno strumento disciplinato e fedele alle istituzioni. Ma gli
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animi erano esacerbati e Caviglia fu oggetto di forti denigrazioni dall'estremismo nazionalista, che definì quegli avvenimenti, con espressione drammatica e truculenta, il '·Natale di sangue". Anche quest'episodio, quindi, contribuì ad alimentare nei Quadri il malcontento e la convinzione che i tanti sacrifici compiuti durante la guerra fossero stai i in parte vanificati dall'azione timida ed irresoluta del governo. Nel luglio del 1921 il nuovo governo Bonomi portò al dicastero della Guerra l'on. Luigi Gasparotto, già membro influente della commissione nominata dal governo Nitti e considerato negli ambienti politici un grande esperto di problemi militari. Come l'onorevole Bonomi anche l'onorevole Gasparotto era convinto che l'ufficialità di complemento fosse in grado di gestire un connitto ed era fortemente deciso a ridimensionare l'apparato militare. Il nuovo ministro con molta sollecitudine elaborò un suo progcno di ordinamento. ispirato in parte al concetto della nazione armata in parte a quello dell'esercito lancia e scudo, che prevedeva: la suddivisione dell'esercito in due blocchi, uno per la copertura delle frontiere, l'altro incaricato dell'istruzione delle reclute e delle operazioni di mobilitazione; una ferma unica, di 6 mesi, con chiamata quadrimestrale; una fou.a bilanciata di 175.000 uomini. L'articolazione dell'esercito di copertura era stabilita su 6 divisioni di fanteria, 4 dislocate nclritalia settentrionale e 2 in quella meridionale, I divisione di cavalleria cd I brigata bersaglieri, oltre a qualche unità alpina. L'esercito "addestrativo", articolato in regioni, zone e cemri, all'atto della mobilitazione avrebbe costituito 54 divisioni di fanteria, 2 divisioni bersaglieri e 6 brigate alpine mentre i comandi di regione, di zona e di centro si sarebbero trasformati in comandi di armata, di corpo d'armata e di reggimento. Gasparotto presentò il suo progetto alla speciale Commissione il 23 novembre 192 I. La Commissione, perplessa, non si pronunciò in modo netto, in attesa di conoscere il parere tecnico del Consiglio dell'esercito. Questo, senza scontrarsi direttamente con il ministro, temporeggiò fino al febbraio del 1922, quando il governo Bonomi cadde e nel nuovo ministero Facta il dicastero della Guerra fu assunto da Lanza di Scalea. li nuovo ministro lasciò di fatto decadere l'incongruo progetto e le burrascose vicende politiche di quei mesi fecero per il momento accantonare il problema dell'assetto definitivo dell'esercito. La situazione politica poi si stabilizzò ed il generale Diaz fu chiamato al dicastero della Guerra nel primo ministero Mussolini (31 ottobre 1922). Tale nomina è stata interpretata come una garanzia offerta alla corona da Mussolini che, in cambio della designazione alla Presidenza del Consiglio, avrebbe assicurato di rispettare la tradizionale apoliticità dell'esercito. Esatta o non questa interpretazione, Diaz si recò da Mussolini il 26 dicembre per ricordargli l'impegno ad approvare un ordinamento dell'esercito più ampio di quello Bonomi e per ribadire che alla milizia avrebbero dovuto essere attribuite solo funzioni extra militari. Il 7 gennaio 1923 fu emanato, infatti, il decreto che fissava il nuovo ordi-
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namento dell'esercito, il 14 dello stesso mese un altro regio decreto istituiva la "milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN)", legalizzando in tal modo una milizia dj partito il cui compito principale era la difesa del regime fascista Organizzazione, reclutamento e comando di tale nuova formazione erano di competenza del capo del governo. L'esercito si ritenne soddisfatto. L'ordinamento Diaz prevedeva: 4 comandi designati di armata; 10 corpi d'annata su 3 divisioni, ciascuna su 2 brigate; 104 reggimenti di fanteria e 12 bersaglieri su 2 battaglioni effettivi, 9 reggimenti alpini su 3 battaglioni, 12 reggimenti di cavalleria su 2 gruppi squadroni, 45 reggimenti di artiglieria, 5 reggimenti e 31 battaglioni del genio. Molte le innovazioni: l'arma aeronautica, staccata dall'esercito, era messa alle dipendenze di un Commissariato; il corpo degli invalidi e dei veterani era soppresso; erano istituiti il servizio trasporti militari, riunendo il corpo automobilistico ed il corpo del treno, ed il servizio chimico militare; gli esistenti 3 depositi della scuola di artiglieria contraerei erano trasformati in I O gruppi contraerei; lo Stato Maggiore dell'esercito era ribattezzato Stato Maggiore Centrale (ma già nel 1925 si ritornò alla vecchia denominazione). La circoscrizione militare territoriale fu, quindi, ridefinita: I corpo d'armata a Torino (l" divisione a Torino, 2• ad Alessandria e 3• a Cuneo), Il a Milano (4 8 a Milano, 5• a Novara e 6" a Brescia), III a Verona (71 a Verona, 8° a Padova e 9• a Trento), IV a Bologna ( Io• a Bologna, I 1• a Ravenna e 12• a Treviso), V a Trieste ( 13° a Trieste, 14• a Gorizia e 15° a Pola),VI a Firenze ( J6• a Firenze, 17' a Genova e 18' a Piacenza). VII a Roma ( 19• a Roma, 20• a 1 Livorno, 21' a Perugia e 22• a Cagliari), VIII a Napoli (23' a Napoli, 24 a Salerno e 25" a Catanzaro), IX a Bari (26' a Bari, 27' a Chieti e 28' ad Ancona), X a Palermo (29" a Palermo e 30" a Messina). La ferma fu fissata a 18 mesi, la forza bilanciata a 250.000 uomini, l'organico del corpo ufficiali aumentato: 164 ufficiali generali, 3800 ufficiali superiori, 5512 capitani, 8819 subalterni. Il provvedimento voleva da una lato consentire "maggiori opportunità di carriera (resa adesso quasi automatica fino al grado di tenente colonnello) e dall'altro limitare l'impiego di ufficiali di complemento al grado di capitano, assicurando che tutte le unità di prevista mobilitazione fossero inquadrate esclusivamente da ufficiali superiori effettivi" 0 2). L'ordinamento Diaz era indubbiamente calibrato sulle necessità della mobilitazione in quanto assicurava un subalterno effettivo a tutti i reparti a livello compagnia e stabiliva tra le grandi unità costituite fin dal tempo di pace e quelle da costituire per mobilitazione un valido rapporto 1: 1, anche se il passaggio dalla divisione di pace quaternaria e quella di guerra ternaria sarebbe stato certamente macchinoso. Anche la ripartizione dell'esercito in vita stabilita dal nuovo ordinamento era equilibrata e non priva, come si è visto, di innovazioni pertinenti.
(12) V. Ilari, op.cir.. pag. 60.
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIAN0(1861 • 1990)
Purtroppo l'ordinamento Diaz, come quello Albricci, non era compatibile con le finanze dello Stato. Il governo Mussolini non solo non incrementò il bi lancio dell'esercito ma, nel maggio I923, lo ridusse addirittura del I0% per cui fu necessario ricorrere al vecchio espediente di ridurre la forza bilanciata, abbassando il li vello di forza dei reparti e rendendo così aleatorio lo svolgimento dell'addestramento. Nel novembre dello stesso anno, nel quadro di un provvedimento generale per tutti i dipendenti dello Stato, l'adeguamento degli stipendi al molto aumentato costo della vita aggravò ancora la situazione, senza peraltro risolvere i problemi economici degli ufficiali, specie di quelli di grado meno elevato, come appare dalla sottoriportata tabella.
Stipendio, indennità di servizio attivo, indennità militare, caroviveri (regio decreto 11 novembre 1923) Stipendio mensile
Indennità servizio attivo
Indennità militare
Carovita
Gen. d'esercito
3.833
333
666
-
Gen. d'armata
3.04 1
291
500
-
Gcn. corpo d'armata
2.666
250
400
Gen. divisione
2.291
208
375
Gen. brigata
1.750
166
350
-
Colonnello
1.483
125
320
-
Ten. Colonnello
1.333
100
290
65
Maggiore
l.141
83
270
65
Capitano
966
66
210
65
Tenente
791
50
150
65
Sottotenente
583
41
150
65
Grado
Si tratta del regio decreto che divise i dipendenti dello stato in gruppi A (laureati), B (diplomati) e C, con 13 gradi per ogni gruppo . Gli ufficiali furono inseriti nel gruppo A, occupando i gradi da l (generale d'esercito) a 11 (sottotenente), i sottufficiali nel gruppo C. Il regio decreto prevedeva, inoltre, un'indennità annua di rappresentanza fino al grado di colonnello. Nei gradi inferiori al generale di brigata erano, invece, previsti aumenti periodici che permettevano al massimo di uguagliare lo stipendio minimo del grado superiore. Apparve presto evidente a tutti che l'ordinamento Diaz, sovradimensio-
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nato rispetto al livello del bilancio militare, doveva essere modificato. Diaz alla fine dell'aprile 1924 si dimise e fu nominato ministro della Guerra il generale Antonino Di Giorgio ( l3), che subito si accinse alla stesura di un nuovo ordinamento dell'esercito che ne ridimensionasse la struttura di pace per renderla compatibile al livello di spesa concesso dal governo. li progetto Di Giorgio non prevedeva un livello di forza bilanciata a priori e stabiliva la suddivisione del contingente di leva in due categorie, una a ferma intera ( I 8 mesi) ed una a ferma ridotta (3 mesi). A queste due categorie dovevano corrispondere due diverse aliquote dell'esercito di pace. La categoria a ferma intera avrebbe dovuto essere concentrata in un ridotto numero di unità pienamente operative, che avrebbero assicurato la copertura ed il pronto impiego per esigenze improvvise e straordinarie. La categoria a ferma ridotta sarebbe stata ripartita tra le unità con compiti addestrativi e di mobilitazione. I reggimenti, ridenominati centri, sarebbero rimasti nello stesso numero previsto dall'ordinamento Diaz, ma solo quelli delle unità di copertura sarebbero stati attivi pennanentemente, gli altri sarebbero rimasti attivi solo nei mesi estivi, in corrispondenza dei campi e delle manovre, per il resto dell'anno avrebbero avuto funzioni di scuola per la formazione degli ufficiali e dei sottufficiali di complemento, sempre necessari all'esercito mobilitato. A seconda della situazione strategica e delle disponibilità finanziarie, anno per anno, il governo avrebbe stabilito la proporzione tra le due categorie a fenna differenziata ed il numero dei centri da attivare per tutto l'anno. Il progetto Di Giorgio prevedeva, inoltre, la ricostituzione del corpo di Stato Maggiore e degli ispettorati d'arma, la soppressione della carica di Ispettore Generale dell'esercito e la restituzione al capo di Stato Maggiore dell'esercito delle prerogative e delle competenze passate al Consiglio dell'esercito. In sintesi il Di Giorgio voleva porre rimedio alla cronica insufficienza dei bilanci rispetto alle dimensioni dell'esercito di pace, privilegiando i Quadri ed i materiali e sacrificando il livello della forza bilanciata, persuaso che l'addestramento del soldato potesse essere compiuto in poche settimane e che, quindi, all'atto della mobilitazione potessero essere costituite un gran numero di divisioni, purchè fossero disponibili i Quadri ufficiali e sottufficiali ed i materiali. E a tale scopo il suo progetto prevedeva un aumento dei Quadri anche sottufficiali, per assicurare un buon inquadramento delle truppe e, soprattutto, il corretto funzionamento dei comandi per la cui riorganizzazione veniva posta particolare cura. Ed in questo punto la differenza tra i progetti Gasparotto e Di Giorgio, entrambi influenzati dall'ipotesi dell'esercito "lancia e scudo", è profonda. Gasparotto, infatti, prevedeva di affidare l'inquadramento dei reparti e l'ossatura dei comandi a personale di complemento. Nella prima quindicina di novembre il Consiglio dell'esercito discusse il
(13) Vds. del generale Di Giorgio il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
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STORIA OE1L'ESERCITOITALIA~0(1861 -1990)
progclto e lo respinse, l'unico membro del Consiglio che si dichiarò favorevole fu il generale Ferrari <14>, capo di Stato Maggiore dell'esercito. Poiché il parere del Consiglio era solo consullivo, Di Giorgio fece approvare il suo progetto dal Consiglio dei ministri e lo presentò in Parlamento, accompagnandolo con altri due progetti di legge, "Modificazioni alle vigenti disposizioni sul reclutamento", e "Organizzazione della Nazione per la guerra··, corollari necessari per dare piena anualione al nuovo ordinamento. Alla Camera i tre disegni di legge furono rapidamente approvati (sedute dal 5 al 13 dicembre 1924), anche l'opposizione si dimostrò nel complesso insolitamente misurata, " il che non può sorprendere eccessivamente, quando si pensi alle indubbie analogie tra il progetto in discussione e quello predisposto nel 1921 da Gasparotto" (15). Al Senato l'opposizione dei "generali della vittoria", di quel gruppo di generali cioé che, avendo avuto il comando di un'armata, facevano parte del Consiglio dell'esercito, fu invece netta ed irriducibile. Le mo tivazi oni del dissenso, espresse dal generale Giardino, erano soprattutto tre; la demotivazione degli ufficiali nei lunghi mesi nei quali i centri non avrebbero avuto soldati da addestrare; il polere eccessivo del ministro che, anno per anno, avrebbe fissato la forn dell'esercito; la mancanza di un corpo di truppe disponibile per qualsiasi esigenza di ordine interno. Molto probabilmente i senatori generali osteggiarono il progeuo Di Giorgio anche perché ridimensionava mollo l'autorità ed il prestigio del Consiglio dell'esercito a favore del capo di Stato Maggiore, ufficiale che sarebbe sempre stato meno anziano e di grado meno elevato di loro. Di fronte ad un'opposizione così compatta e tenace -Cadorna, Diaz, Caviglia, Pecori Giraldi, Tassoni e Zupelli avevano anch'essi criticato il progetto con molta determinazione - cd alla concomitanza della crisi politica provocata dal delitto Malleotti, Mussolini chiese un rinvio del diballito per riesaminare ed approfondire il progetto, togliendo così il proprio appoggio al ministro che fu costretto a presentare le dimissioni. Mussolini assunse allora l'interim della Guerra (3 aprile 1925). Il Senato approvò, invece, il terzo disegno di legge, quello relativo all'organizzazione della nazione per la guerra, che prevedeva una "mobilitazione nazionale" concepita come sintesi della mobilitazione "militare" e di quella "civile", in quanto il futuro protagonista della guerra non sarebbe stato più l'e-
(14) Francesco Giuseppe Fcrrari (1865-1943). Sottotenen1e di fanteria nel 1883, dopo aver frequen1ato la Scuola di Guerra entrò nel corpo di staio maggiore. Colonnello nel 1915 entrò in guerra come capo di Staio Maggiore del IX corpo d'armata. Maggior generale nel 1916 e tenente generale nel 1917, comandò la brigata Pen111ia, la 5g• divisione, il XXII cd il XX corpo d'armata. Nel 19 19 comandò il XIV corpo d'armata e poi la Guardia di Finanza. Nel 1923 fu nominato capo di Staio Maggiore dell'esercito. Promosso generale d'armata nel 1926 comandò 11 corpo d'armata a Milano. Nel febbraio 1927 fu nuovamente nominato capo di Staio Maggiore dell'esercito, carica che tenne fino al 15 febbraio del 1928. (15) V. Ilari, op.Cli., pag. 81.
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sercito ma la nazione stessa, perché la potenza militare avrebbe potuto esplicarsi soltanto se l'industria avesse potuto produrre un numero sufficiente di armi moderne. La legge rappresentò senza dubbio un interessante punto di partenza per una serie di provvedimenti che avrebbero dovuto "mettere prontamente il Paese in condizione di resistere e superare sia all'interno sia all'esterno la crisi della guerra". In pratica la legge fu attuata solo parzialmente, ed all'atto della entrata in guerra nel 1940 "si dovrà far ricorso a provvedimenti cd arrangiamenti improvvisati ed occasionali anche nel campo della mobilita1ione civile che, invece, sul piano concettuale e legislativo era stata saggiamente predisposta con 15 anni di anticipo". Con il progetto Di Giorgio fu definitivamente sepolto il mito della "nazione annata" e quello dell'esercito "lancia e scudo", ma fu sepolto anche il potere del Consiglio dell'esercito. Quello che molto argutamente fu definito il "soviet dei generali" divenne presto un organo, per giunta facoltativo, consultivo del capo di Stato Maggiore dell'esercito, senza più alcuna possibilità di interferire nell'organizzazione dell'esercito. 4. L'esigenza di un effettivo coordinamento tra le forze armate, che soltanto un comando unico avrebbe potuto garantire, era sentita da tempo negli ambienti militari. Già nel 1908 l'allora maggiore Giulio Douhet 0 6> aveva proposto la creazione di un unico "Ministero della Difesa Nazionale" coadiuvato da un Consiglio Supremo e da un capo di Stato Maggiore alle dipendenze del re, e molti altri ufficiali avevano trallato il problema sulle pagine di giornali e riviste. Durante la guerra lo Stato Maggiore dell'esercito aveva assunto la funzione di Comando Supremo per la condotta delle operazioni, prevalentemente terrestri, e "retto con grande perizia e vigore dal generale Cadorna e poi dal generale Diaz" ( 17), aveva saputo sostanzialmente imporre una direzione unitaria delle operazioni , ma quell'organiaazione non era più considerata valida. Era ormai opinione comune che fosse necessaria un 'unica autorità, responsabile della difesa, in grado di suddividere le risorse disponibili tra le diverse forze armate e di coordinarne efficacemente le auività. Il ministero unico era ritenuto, in sintesi, il presupposto necessario per imporre alle tre forze armate l'unità della dottrina in tempo di pace e la concorde condotta delle operazioni nei diversi ambienti operativi durante la guerra. Mussolini recepì l'esigenza, la interpretò però a suo modo, attuando una ristrutturazione del vertice militare che realizzava il comando unico non a livello ministeriale ma a livello Presidenza del Consiglio. Primo atto della ristrullurazione fu l'istituzione della carica di capo di Stato Maggiore Generale (legge 8 giugno 1925 n. 866), alle dirette dipendenze
( 16) Di Giulio D0uhc1 vds. il breve proli lo bogralico nella parte II di questo volume. ( 17) F. Bolli e V. Ilari, li pe11siero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra. USSME, Roma 1985, pag. 71.
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del Presidente del Consiglio per quanto riguardava l'esecuzione delle deliberazioni della Commissione suprema mista di difesa e per le eventuali operazioni di guerra. A tale scopo il capo di Stato Maggiore Generale aveva il compito di concretare "gli studi e le disposizioni necessari per la guerra, dando ai Capi di S.M. della Regia Marina e della Regia Aeronautica le direttive di massima per il concorso della Regia Marina e della Regia Aeronautica nel raggiungimento di obiettivi comuni". Poichè la legge riservava la nuova carica ad un Maresciallo d'Italia o ad un generale d'esercito e, quindi,stabiliva di fatto che il capo di Stato Maggiore dell'esercito fosse anche capo di Stato Maggiore Generale, il ministro della Marina, Thaon di Revel, per protesta dette le dimissioni, prontamente accettate da Mussolini che assunse l'interim anche di questo ministero e che, essendo già Commissario per l'aeronautica, accentrò nella sua persona i tre ministeri militari. Con il rimpasto ministeriale del 3 gennaio 1926 Mussolini divenne ministro effettivo della Guerra, della Marina e dcli' Aeronautica, il Commissariato era stato infatti elevato al rango di ministero dal 30 agosto 1925. Di fatto l'ordinaria amministrazione dei dicasteri fu affidata ai tre sottosegretari. Per il ministero della Guerra fin dal 4 maggio 1925 fu nomjnato sottosegretario il generale Ugo Cavallero 08>. Sotto la stessa data Badoglio fu nominato capo di Stato Maggiore Generale cd il generale Grazioli (l9) sottocapo. Sui motivi che indussero Mussolini a scegliere il generale Badoglio, Lucio Ceva ha scritto: "li nome di Badoglio, suggerito da Cavallero, costituisce una scelta quasi obbligata per Mussolini. Il regime, scosso dalla crisi Matteotti, ha bisogno di darsi un volto rassicurante e moderato: così Fcderzoni agli Interni e, al vertice militare, l'unico capo di prestigio relativamente giovane (54 anni), legato alla dinastia ma non compromesso nell'opposizione a Di Giorgio al pari degli altri generali della vittoria ai quali il duce non può dare ulteriori soddisfazioni (infatti tutti costoro scompaiono rapidamente di scena)" <20>. Nell'ottobre Badoglio indirizzò a Mussolini una "Memoria sull'organizzazione dell"ei.crcito italiano in tempo di pace e sulla sua trasformazione in esercito di campagna", nella quale la situazione politico-militare peggiore per l'Italia era configurata in un conflitto contro la Francia e la Jugoslavia. Dopo aver calcolato le forze che le due nazioni avversarie avrebbero potuto mettere in campo contro di noi, Badogljo giudicava che diciannove divisioni sarebbero state necessarie per difendere la frontiera italo-francese e che dicci divisioni sarebbero state sufficienti per un'offensiva contro la Jugoslavia. Aggiungendo quattro divisioni di riserva, per fronteggiare immediati imprevisti, Badoglio concludeva che l'esercito avrebbe dovuto avere trcntatre divisioni prontamente mobilitabili. Poichè le truppe alpine equivalevano a tre divisioni, risultava che fin dal tempo di pace, l'esercito dovesse avere trenta divisioni. E
( 18) D1 Ugo Cavallero vds. il breve profilo biografico nella parte 11 di questo volume. (19) Di Francesco Saverio Grazioli vds. il breve profilo biografico nella porte li di questo volume. (20) L. Cevo, u fone am,are. UTET. Torino 1981, pag. 206.
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sulla base di questa rigorosa analisi del possibile scenario operativo, nel gennai o 1926 Musso I ini, in qualità di ministro della Guerra, presentò al Parlamento il progcllo di un nuovo ordinamento dell'esercito, che divenne legge l' 11 marzo e che è noto come ordinamento Mussolini, anche se qualche studioso preferisce chiamarlo ordinamento Cavallero-Badoglio. 1 punti significativi del nuovo ordinamento possono essere così riassunti: durata della fenna 18 mesi, 6 per gli incorporali con particolari situazioni di famiglia; variabilità. nell'anno solare dell'entità del contingente alle armi, in modo da ottenere con regolarità un periodo di forza massima, da utilizzare per un intensivo sviluppo delle attività addestrative, e un periodo di forza minima, da impiegare per l'addestramento dei Quadri e la formazione dei graduati; for.ia bilanciata pari a 250.000 unità. Per quanto riguardava la struttura dell'esercito i provvedimenti più qualificanti furono: la ricostituzione del corpo di Stato Maggiore e degli ispettorati (dei bersaglieri, delle truppe di montagna, di cavalleria, d'artiglieria e del genio); la creazione della specialità carrista; la formazione ternaria della divisione (su I brigata di fanteria di 3 reggimenti: l reggimento d'artiglieria da campagna su 4 gruppi, 1 battaglione mitraglieri, 1 battaglione genio e aliquote dei servizi); la soppressione del servizio trasporli militari e la contemporanea creaLione del servizio automobilistico militare; l'istituzione di 30 ispettorati di mobilitazione. Quanto alle dimensioni, l'esercito fu articolato su 4 comandi designali di annata, 10 corpi d'armata e 2 comandi militari (della Sicilia e della Sardegna), 29 divisioni militarj territoriali, 3 brigate alpine, 3 comandi superiori di cavalleria. I reggimenti furono 182 in totale: 3 granatieri, 87 di fanteria di linea. 12 bersaglieri, 9 alpini, 12 di cavalleria, 30 di artiglieria da campagna, I J pesanti campali, I a cavallo, 3 da costa, 11 reggimenti genio, 2 radiotelegrafisti, I pontieri-lagunari, I ferrovieri. 1 reggimenti di fanteria e bersaglieri ebbero il terzo battaglione quadro, l'artiglieria contraerei fu articolata in 12 centri contraerei. L'arma dei carabinieri reali fu ordinata, con un altro decreto, su: comando generale, 5 ispettorati di zona, 21 legioni territoriali, 2 legioni allievi, 1 raggruppamento battaglioni e squadroni, I scuola ufficiali e I scuola sottufficiali. Un ordinamento. in definitiva, inspirato al passato più che al futuro e basato più sul numero che sulla qualità delle forze, adeguato perciò solo alla difensiva, in armonia del resto con la tranquilla situazione politica internazionale e con la modesta disponibilità finanziaria dello Stato. L'ordinamento Mussolini consentiva peraltro di attuare con facilità innovazioni ed integrazioni e costituiva, perciò, un buon punto di partenza qualora le mutate condizioni internazionali o le migliorate possibilità economiche avessero suggerito di potenziare lo strumento operativo. Nell'estate del 1927 fu costituito un corpo d'armata ad Udine e la circoscri.lione territoriale definitiva fu la seguente: I corpo d'armata a Torino (1° divisione a Torino 2• a Novara), Il ad Alessandria (3• ad Alessandria, 4• a Cuneo e s• a Genova), III a Milano (6° a Milano, 7• a Brescia e 81 a Piacenza),
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IV a Verona (9" a Verona, 10" a Padova e 11• a Bolzano), V a Trieste (12" a Trieste e 151 a Pola), V f a Bologna (161 a Bologna, 17• a Ravenna e 18" ad Ancona), VII a Firenze (l9• a Firenze e 201 a Livorno), Vili a Roma (21 1 a Roma e 22• a Perugia), IX a Bari (23* a Bari e 24" a Chieti), X a Napoli (25" a Napoli, 26" a Salerno e 27" a Catanzaro), XI a Udine ( 13• a Udine e 141 a Gorizia), comando militare della Sicilia (28· a Palermo e 29" a Messina), comando militare della Sardegna. 5. Al termine della guerra lo Stato Maggiore avvertì l'esigenza di rivedere tutta l'organizzazione scolastica, alla luce delle esperienze belliche. Fu perciò istituita nel 1920 una Direzione Superiore delle Scuole Militari, a capo della quale fu messo il generale Grazioli, per coordinare e dirigere l'attività di rinnovo dei programmi di studio. In effetti il ritorno ai più blandi ritmi della vita di pace favoriva un rinnovamento della vita intellettuale dell'esercito che aveva già trovato una parziale espressione l'anno precedente, con la ripresa della pubblicazione della Nuova rivista di Fanteria e della Rassegna del 'Esercito italiano, entrambe dirette dal generale Barbarich. Lo Stato Maggiore rivolse in quel periodo una particolare attenzione ai corsi di perfezionamento, svolti a partire dal 1920 presso la Scuola Militare di fanteria e cavalleria e presso l'Accademia di artiglieria e genio, per integrare la cultura professionale piuttosto approssimativa dei tanti subalterni transitati nel servizio permanente a vario titolo durante la guerra. Nello stesso anno 1920 furono istituite le Scuole Centrali per meglio abilitare, con criteri eminentemente pratici, gli ufficiali delle varie armi al comando di battaglione-gruppo. Le Scuole furono dislocate in zone idonee allo svolgimento di esercitazioni sul terreno - a Civitavecchia per fanteria e cavalleria, a Bracciano per l'artiglieria cd a Manziana per il genio - e furono utilizzate anche per sperimentare nuovi organici e nuovi procedimenti tattici. I corsi frequentati dai futuri comandanti erano articolati in tre fasi: la prima, svolta in comune, consisteva nello studio della dottrina d'impiego; la seconda, svolta per arma nella rispettiva scuola, prevedeva il perfezionamento dei frequentatori nella specifica tecnica d'impiego della loro arma; la terza, svolta nuovamente in comune, si esplicava con l'applicazione a casi concreti della teoria appresa nelle due prime fasi. A partire dal 1923 sia la Scuola Militare sia l'Accademia <21 > ripresero la loro specifica funzione di istituti di reclutamento per gli ufficiali in servizio permanente, ma gli allievi furono reclutati tra i sottotenenti di complemento. Questi ufficiali conservavano grado e stipendio per tutto il periodo di frequenza dei corsi al termine dei quali erano promossi tenenti in servizio permanente. A partire dall'anno accademico 1926-1927 l'Accademia di artiglieria e
(2 1) La Scuola Militare di fanteria e cavalleria e l'Accademia di artiglieria e genio fun.t.ionarono dopo il 1916 soltanto per lo svolgirnemo di corsi accelerati per la fonnazrone degli ufficiali di cornplcrnento.
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genio riprese a reclutare gli allievi dai giovani usciti dalle scuole medie superiori, come nell'anteguerra. L'Accademia di fanteria e cavalleria - la nuova denominazione fu assunta nel 1923 - ritornò alle fonne di reclutamento prebelliche due anni dopo. Le materie di insegnamento nell'Accademia di artiglieria e genio erano le seguenti: - 1° anno: materie comuni: amministrazione e contabilità, chimica applicata, elettrotecnica, meccanica applicata, storia militare, lingua tedesca, lingua serba; materie particolari per gli artiglieri: balistica esterna, impiego di artiglieria, materiali di artiglieria; materie particolari per il genio: architettura, costruzioni del genio, resistenza dei materiali. - 2° anno: materie comuni: esplosivi ed aggressivi chimici, meccanica applicata, mezzi tecnici, scienze sociali e diritto, storia militare, conferenza di arte militare marittima e aeronautica, lingue estere; materie particolari per l'artiglieria: balistica esterna, costruzione delle artiglierie, impiego dcli' artiglieria; materie particolari per il genio: costruzioni del genio, fortificazione, resistenza dei materiali. Nell'Accademia di fanteria e cavalleria si impartivano, invece, questi insegnamenti: - 1° anno: armi portatili, arte militare, fisica, regolamenti, lingua francese, serba o tedesca, materiale di artiglieria, mezzi tecnici, storia militare, topografia e disegno; - 2° anno: arte militare, chimica, elementi di balistica e tiro, geografia, esplosivi ed aggress~vi chimici, scienza dello stato, lingua francese, serba o tedesca, mezzi tecnici, topografia. Dopo la frequenza dell'accademia gli allievi, promossi sottotententi, frequentavano la rispetti va scuola di applicazione. L'iter formativo degli ufficiali dei carabinieri era particolare. Il regio decreto del 20 novembre 1919 aveva stabilito che gli ufficiali dei carabinieri fossero reclutati per un terzo fra i sottufficiali dell'arma e per due terzi fra i tenenti delle varie armi. La preparazione degli allievi ufficiali provenienti dai sottufficiali era attuata con la frequenza di un corso biennale presso la Scuola Ufficiali Carabinieri, istituita il 17 maggio 1884 a Torino e da tempo trasferita a Roma. La stessa Scuola era incaricata dell'aggiornamento professionale degli ufficiali provenienti dalle altre armi Anche la Scuola di Guerra durante il conflitto era stata chiusa <22) e, nell'immediato dopoguerra, quando si avvertì la necessità di disporre di un congruo numero di ufficiali qualificati da immettere nei comando intermedi per migliorarne il funzionamento, si dovettero effettuare cinque corsi biennali, chiamati "corsi di integrazione", a cui furono ammessi capitani, maggiori e
(22) Per soddisfare le più impellenti necessità di ufficiali qualificati per il servizio nei comandi. furono effettuati durante la guerra 4 "corsi pratici sul servizio di Stato Maggiore" che si svolsero a Vicenza, a Padova, a Como ed a Torino.
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tenenti colonnelli che avevano superato gli esami finali delle rispettive scuole di applicazione. Nel 1923 ripresero i regolari corsi triennali e nel 1926 fu approvato il nuovo Regolamento della scuola che conteneva notevoli innovazioni rispetto al regolamento del 1911. L'ammissione era, come sempre, per concorso. I candidati dovevano sostenere due prove scritte, tema di argomento storico-politico-militare e esercizio di topografia, e cinque prove orali, costituzione dell'esercito, armi e mezzi tecnici, topografia e geografia, diritto pubblico ed economia politica, lingua francese. Le materie d'insegnamento furono: - 1° anno: tanica; armi, tiro e guerra chimica; mezzi tecnici e fortificazione campale; aeronautica; logistica; storia militare; geografia militare; lingua francese; lingua inglese o tedesca o serbo-croata; - 2° anno: tattica; logistica; fortificazione permanente; storia militare; geografia militare; diritto militare; lingua francese; lingua tedesca o inglese o serbo-croata; - 3° anno: tecnica dei comandi di grandi unità; organica; operazioni coloniali; storia militare; arte militare navale; lingua francese; lingua inglese o tedesca o serbo-croata; conferenze integrative. Al termine del 1° anno una campagna tattica di 20 giorni, al termine del 2° anno una campagna tattico-logistica di 25 giorni e un periodo di due mesi in am1a diversa, al termine del 3° anno un viaggio di istruzione di circa 30 giorni ed un mese di servizio presso le squadriglie dell'aviazione per l'esercito. Anche l'addestramento degli ufficiali in congedo fu preso in considerazione, il tentativo di disciplinarlo e di potenziarlo non fu molto felice. Con il regio decreto n° 2352 del 9 dicembre 1926 fu creata l'Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d'Italia (UNUCI), ente di diritto pubblico, con lo scopo di: tenere alto il morale degli ufficiali e tutelarne il prestigio, affermare le tradizioni militari italiane, sviluppare le attitudini professionali degli ufficiali, stringere e rendere più intimi i vincoli tra gli ufficiali in congedo e quelli in servizio permanente. La rivista ufficiale delle forze armate, Esercito e nazione, poi Nazione Militare, dedicò ampio spazio alla vita del nuovo ente e incominciò a pubblicare con regolarità le disposizioni legislative che riguardavano gli ufficiali in congedo. L'UNUCI, dal canto suo, curava l'aggiornamento professionale degli iscritti attraverso conferenze, visite guidate a enti e reparti militari, partecipazione come osservatori ad esercitazioni sul terreno, gare di scherma e di tiro, concorsi a premi per elaborati di carattere militare, sconti sul prezzo di copertina delle pubblicazioni edite dal ministero della Guerra. I risultati raggiunti furono solo "di facciata". Un serio aggiornamento professionale avrebbe richiesto un più intenso sforzo organizzativo e finanziario da parte dell'esercito, che non poteva produrlo, ed un maggiore impegno da parte degli ufficiali in congedo che non sempre avevano la volontà di profondere tempo ed energie nella specifica attività.
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6. Nel 1926 lo Stato Maggiore dell'esercito, dopo otto anni di silenzio, diramò la circolare Criteri d'impiego della divisione di fanteria nel combattmento. con lo scopo di anticipare alcune direttive essenziali che avrebbero tro· vato trattazione più ampia e completa nella nuova regolamentazione d'impiego ancora in elaborazione, per consentire un corretto addestramento dei Quadri alle prese nelle manovre con la nuova divisione a struttura ternaria. La lunga stasi concettuale dello Stato Maggiore -peraltro molto attivo nel settore della regolamentazione tecnica in quegli anni completamente rivista alla luce delle esperienze belliche- era dovuta alle perplessità suscitate, in Italia ed all'estero, da un vivace dibattito culturale sulla guerra futura, che vedeva, da una parte coloro che ritenevano possibile il ritorno ad una guerra manovrata attraverso un deciso miglioramento dell'armamento della fanteria ed un più stretto coordinamento con l'azione della artiglieria e dall'altra pensatori più radicali che solo nell'impiego massiccio delle nuove macchine, aereo e carro armato, scorgevano la strada giusta per restituire agli eserciti la necessaria mobilità operativa <23 >. In Italia, che pure con Giulio Douhet aveva espresso forse il pensatore più originale e moderno, prevalse il concetto che aerei e carri non rappresentassero una rottura rispetto al passato e che dovessero essere impiegati come fattori "aggiuntivi" del potenziale bellico dell'esercito. Coerentemente con tale conservatrice impostazione dottrinale, nel 1928 videro la luce le Norme generali per l'impiego delle grandi unità e le Norme per l'impiego tattico della divisione (24 ), pubblicazioni che ebbero il grande merito di offrire un chiaro orientamento ai Quadri e di disciplinare l'attività addestrativa delle unità, fornendo uno strumento molto più valido dei Criteri d'impiego del 1926. Come ha notato il generale Montanari (25 ), con le Norme generali, pur tenendo in gran conto l'esperienza della recente guerra, anche se sul nostro fronte aveva avuto caratteristiche di staticità, si volle tornare alla concezione classica della lotta dando un preminente sviluppo al movimento ed esaltando il principio della massa. L'offensiva era l'unica carta in grado di risolvere la lotta e si estrinsecava essenzialmente nella manovra; l'azione della fanteria doveva intendersi come "movimento preparato ed appoggiato dal fuoco" e culminare nell'urto. In definitiva, la manovra offensiva era vista come la rottura del fronte avversario mediante un unico sforzo applicato in un tratto determinante dello schieramento opposto, oppure, in alternativa, mediante una serie di sforzi contemporanei o successivi applicati in punti diversi e strettamente coordinati. L'azione frontale doveva poi trasformarsi, appena possibile, in azione sul fianco. Anche per la difensiva erano codificate molte innovazioni: dovendo essa pure ispirarsi ai concetti della manovra e della massa, diventava
(23) Cfr. F. Boni. V. Ilari, op.cii.. passim. (24) Queste due pubblicazioni furono redane dal generale Cavallero, circostanza insolita in quanto l'elaborazione della donrina era compito specifico dello Stato Maggiore. (25) M. Montanari. L'eserciro i1alia110 alla vigilia della 2" guerra mondiale, USSME, Roma 1982, pag. 254 e 255.
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conseguenziale il concentrare la resistenza nei tratti di maggiore importanza del fronte da difendere, così come era naturale il contrattacco nella direzione più minacciosa per l'attaccante. Il sistema difensivo comprendeva di solito due posizioni. La prima, affidata alle divisioni di prima schiera, si basava su: una zona di sicurezza, il cui limite anteriore costituiva la linea di sicurezza; una posizione di resistenza, rappresentata da una scacchiera di centri di resistenza e il cui margine avanzato costituiva la linea di resistenza, sulla quale si intendeva stroncare l'attacco; una zona di schieramento, ove si predisponevano i mezzi e le forze per alimentare e sostenere la difesa sulla posizione di resistenza e per contenere o ricacciare il nemico che l'avesse rotta, appoggiando tale azione ad una posizione intermedia scelta in modo da conferire sicurezza alla maggior parte delle artiglierie. L'impianto della difesa comprendeva: un'organizzazione delle ricognizioni, dell'osservazione e dei collegamenti; un'organizzazione dei fuochi di artiglieria e di fanteria; uno scaglionamento delle forze. La seconda posizione, definita verso l'estremo posteriore della prima ed eccezionalmente al di là, doveva essere predisposta, ma presidiata soltanto al momento opportuno dalle grandi unità in seconda schiera, per arrestare il nemico che fosse riuscito a superare la posizione intemedia. Le Norme per l'impiego tattico della divisione, dal canto loro, intesero conferire un particolare impulso alla cooperazione fra le varie armi e, in primo luogo, fra fanteria ed artiglieria e schematizzarono l'offensiva in tre atti fondamentali: l'avvicinamento, l'organizzazione dell'attacco e la preparazione, l'esecuzione dell'attaco. Raggiunto l'obiettivo, occorreva iniziare lo sfruttamento del successo in profondità, cercando di convertirlo in inseguimento. In definitiva, le due Norme si prefissero di annullare il concetto di guerra di posizione e di imprimere a tutte le fasi dell'offensiva e della difensiva uno spiccato dinamismo. 7. Con il regio decreto n. 68 del 6 febbraio 1927 Mussolini, ormai saldamente in sella, ridimensionò drasticamente i poteri del capo di Stato Maggiore Generale, ridotto a semplice consulente tecnico del capo del governo "per quanto concerne la coordinazione della sistemazione difensiva dello Stato e dei progetti per eventuali operazioni di guerra". La carica, ora resa accessibile anche agli ammiragli ed ai generali dell'aeronautica, divenne puramente di facciata e priva di qualsiasi effettivo potere sulle tre forze armate, al punto che il capo di Stato Maggiore Generale poteva avere rapporti con i capi di Stato Maggiore di forza armata solo tramite i rispettivi ministri! Molti critici, e non a torto, hanno visto nel regio decreto n. 68 la vera causa dello sviluppo delle tre forze armate "secondo linee autonome tracciate da visioni egoistiche, sorrette da dottrine d'impiego unilaterali e destinate a non approfondire, e quindi a non risolvere, gli argomenti in cui si profilavano conflitti di interesse o di idee" (26)_
(26) M. Montanari, op.cii., pag. 331.
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Contestualmente fu rispristinata la carica di Capo Stato Maggiore dell'esercito, regio decreto n. 69 sempre del 6 febbraio 1927, che divenne l'alto consulente tecnico del ministro della Guerra ed ebbe il compito di dirigere gli studi e le predisposizioni per la preparazione alla guerra, esercitando nel contempo l'azione ispettiva sulle truppe, sui servizi e sull'organizzazione scolastica dell'esercito. A ricoprire l'incarico fu nuovamente chiamato il generale Ferrari. Badoglio, che aveva accettato senza apparente disappunto il ridimensionamento della sua carica, era però in contrasto con il sottosegretario Cavallero, contrasto che esplose, manifesto e plateale, alla rivista militare dell' 11 novembre 1928, dove i due alti personaggi ostentamente non si salutarono. Intervenne allora il sovrano, Cavallero dette le dimissioni ed andò a presiedere l'Ansaldo; Badoglio, pur mantenendo l'incarico, il I gennaio 1929 fu nominato governatore generale della Libia. L'assoluta preminenza di Mussolini nelle decisioni di politica militare postulano un più ampio discorso sui rapporti tra esercito e fascismo. In un suo scritto polemico sulle origini del fascismo in Italia, Gaetano Salvemini scrisse: "I militari di professione che armarono e comandarono le bande fasciste importarono nel movimento la loro mentalità e con essa quella metodica ferocia che era sconosciuta alle lotte politiche italiane prima del 1921. Furono le autorità militari a dare ai fascisti la loro forte organizzazione gerarchica. Senza questo aiuto, l'organizzazione armata non sarebbe mai stata realizzata, nè la macchina del partito fascista sarebbe stata sostanzialmente diversa da quella di qualsiasi altro partito politico italiano". A parte il tono becero ed insultante - l'attribuzione al militare di professione di essere depositario di "metodica ferocia" non può essere perdonatal'interpretazione salveminiana sulle relazioni tra il nascente fascismo e l'esercito, per quanto del tutto falsa e tendenziosa, è stata per anni accettata da una classe politica che, non volendo ammettere le proprie responsabilità, tra le quali - enorme - il voto di fiducia concesso al primo governo Mussolini nel novembre del 1922, ritenne più conveniente attribuire al comportamento dell'esercito il successo del movimento fascista. È certo che il fascismo riscosse alle sue origini molte simpatie nel corpo ufficiali, soprattutto dopo l'abbandono della pregiudiziale repubblicana, e non mancarono anche alcuni marginali episodi di aperta adesione. Il fatto non deve stupire, qualora si consideri la sistematica denigrazione operata all'epoca dai partiti di sinistra nei confronti dell'esercito e, soprattutto, nei confronti degli ufficiali effettivi, denigrazione spesso sfociata nell'ingiuria e persino nella violenza morale e fisica. In quel travagliato periodo della nostra storia anche i governi fecero tutto il possibile per disgustare il corpo ufficiali, uscito vittorioso da una guerra durissima a prezzo di una grande sacrificio di sangue. "Il ministro della guerra, onorevole Bonomi, rifiutò, per paura di scioperi generali e di dimostrazioni popolari ostili, l'invio di rinforzi al contingente
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militare italiano in Albania; il Presidente del Consiglio onorevole Giolitti, arrivò a dire "meglio la rivoluzone che un'altra guerra" e si affrettò a ritirare le unità italiane dall'Albania umiliando l'esercito; un altro Presidente del Consiglio, l'onorevole Nitti, amnistiò i disertori e gratificò con il titolo di traditori i volontari fiumani datisi ad un'impresa che, al di sopra di ogni interpretazione di comodo o di parte, non era certamente diretta ad attentare alla personalità dello Stato" (2 7)_ TI fascismo, abilmente presentatosi come restauratore dell'ordine e sollecito difensore dei valori morali nazionali, riuscì indubbiamente ad attratte nel suo ambito molti elementi e comunque a farsi considerare con aperta simpatia. Nè va trascura, J che il drastico collocamento in posizione ausiliaria di 3900 ufficiali, disposto dall'oggi al domani dal ministro Bonomi, provocò un diffuso malcontento non solo tra i diretti interessati e, quindi, portò nuova acqua al mulino fascista, tanto che il generale di corpo d'armata in posizione ausiliaria De Bono fu uno dei "quadrumviri" della marcia su Roma. Il punto centrale per comprendere l'atteggiamento nei confronti del fascismo del corpo ufficiali nel suo complesso deve essere ricercato nella struttura fortemente gerarchica e nel giuramento di fedeltà prestato al sovrano. Se Vittorio Emanuele III avesse finnato il decreto che sanciva lo stato d'assedio gli squadristi mussoliniani non sarebbero mai entrati a Roma. Come orgogliosamente affermò in Parlamento il generale e deputato Di Giorgio, quando già Mussolini era Presidente del Consiglio, l'esercito in occasione della marcia su Roma "se fosse stato impiegato avrebbe fatto il suo dovere, come ad Aspromonte, come a Fiume". Non tutti coloro che si sono occupati del problema hanno compreso quanto l'abitudine alla disciplina abbia condizionato il comportamento dell'esercito italiano ed hanno spesso confuso le aspirazioni e le tendenze degli ex combattenti, dei "trinceristi" come si definivano allora, con i sentimenti di assoluta fedeltà al sovrano ed alle istituzioni che erano alla base dei convincimenti e dei comportamenti del corpo ufficiali. La "vera ricostruzione capillare delle infinite collusioni tra ufficialità e squadre d'azione fasciste", di cui il Ceva denuncia la mancanza <28), non potrà mai cancellare il fatto che il primo governo Mussolini ricevette la fiducia da una Camera dei Deputati liberamente eletta, con una maggioranza decisamente alta, 306 voti a favore e 1 16 contrari, e che il generale Diaz e l'ammiraglio Thaon di Revel non furono gli unici ministri non fascisti ad entrare in quel ministero, di cui fecero parte due democratici, due popolari, un liberale, un democratico-sociale, un nazionalista ed un indipendente. La favola dell'esercito che avrebbe spianato la strada al fascismo non regge, quindi, ad un esame più attento dei fatti e deve essere dimenticata con tutte le altre imposture che una storiografia più rispettosa delle esigenze partitiche che di quelle della verità ha propalato per troppi anni.
27) F. Stefani, op.cii.. pag. 50. 28) L. Ceva op.cii. pag. 189.
XV. I DECISIVI ANNI TRENTA
l. Il 12 settembre 1929 il generale Pietro Gazzera (I), già sottosegretario di Stato al ministero della Guerra dal 24 novembre dell 'anno prima, succedette a Mussolini nell'incarico di ministro, incarico che ricoprirà fino al 23 luglio 1933. Dal 4 febbraio 1929 era stato nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito il generale Alberto Bonzani (2), destinato a rimanere nell'incarico fino al 1° ottobre 1934. All'inizio degli anni Trenta pertanto, all'inizio cioè di un periodo delicato ed impegnativo della vita dell 'esercito - che avrebbe dovuto archiviare le esperienze della grande guerra e intraprendere risolutamente la via del rinnovamento, elaborando una nuova dottrina e realizzando un nuovo ordinamento per fronteggiare responsabilmente, con uno strumento operativo adeguato, i possibili impegni che I a più vivace politica internazionale perseguita dal governo Mussolini lasciava già, sia pure un modo ancora confuso, intravedere - la responsabilità della gestione ricadde in toto su questi due generali, anche perché l'attività di indirizzo generale della politica militare e di coordinamento con le altre due forze armate, che avrebbe dovuto cosùtuire specifica e precipua cura del capo di Stato Maggiore Generale, di fatto venne a mancare nel modo più completo. L'attività dei vertici delle FF.AA. deve naturalmente essere valutata in relazione agli obiettivi fissati dal governo, sulla base di un'analisi equilibrata della situazione internazionale ed alle disponibilità finanziarie. Le direttive ricevute da Gazzera consideravano possibile un conflitto con Francia e Jugoslavia alleate, mentre l'Inghilterra si sarebbe mantenuta "a noi non contraria", il governo, quindi, considerava ancora valida l'ipotesi operativa form ulata da Badoglio nel 1925. Quanto alle risorse finanziarie, la loro modestia avrebbe dovuto suggerire un alleggerimento dello strumento operativo di pace per accantonare le somme necessarie per il potenziamento, suggerire di rinunciare cioè al numero a favore della qualità. La politica militare del binomio Gazzera-Bonzani fu, invece, tutta all'insegna del "mantenimento" e del "raccoglimento". Ritenendo l'esercito idoneo a garantire la sicurezza delle frontiere
( l) Del generale Pietro Gazzera vds. il breve profùo biografico nella parte Il di questo volume. (2) Del generale Alberto Bonzani vds il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
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nell'ipotesi operativa succitata, ministro e capo di Stato Maggiore si dedicarono con impegno a completare l'ordinamento del l 926, a migliorare le strutture, a curare l'addestramento, a mettere allo studio armamenti più moderni, a mantenere salda la disciplina ed a contenere la crescente invadenza del regime fascista ma anche a reprimere ogni voce dissenziente su una gestione dell'esercito tanto legata al passato. Come ha messo in evidenza nel suo attento e ponderoso lavoro il generale Stefani, nel decennio che va dall'esercizio finanziario 1925-1926 a quello 1934-1935 l'esercito costò al Paese, comprese le spese per l'arma dei carabinieri e quelle per l'armamento delle milizie contraerei e da costa, 23 miliardi e 167 milioni. Una somma non lauta ma pur sempre cospicua, assorbita pressochè completamente dalla spesa corrente, anche in conseguenza dei graduali ma continui ampliamenti apportati alla struttura ordinativa. Gazzera e Bonzani, indiscutibilmente competenti ed onesti, ebbero il torto di non credere ad una politica italiana offensiva e si scontrarono con quella parte del corpo ufficiali intellettualmente più vivace e caratterialmente più inquieta. Il dibattito tra "passatisti" e "modernisti" fu ampio, vivace, prolungato e coinvolse anche il regime, sempre ostile ai "parrucconi" dello Stato Maggiore troppo monarchici e troppo poco fascisti - e sempre pronto ad allearsi con chi intendeva sostituirli. Alcuni tra "modernisti", come Douhct, Grazio li e Canevari <3>, non ebbero remore disciplinari, infatti, e si collegarono con alcuni esponenti del regime pur di riuscire ad imporre i loro punti di vista sull'organizzazione militare e, alla fine, il binomio Gazzera-Bonzani fu sostituito. L'argomento sarà ripreso, dopo aver delineato brevemente l'operato del binomio "passatista", per alcuni versi provvido e proficuo. Anche questa volta l'esame sarà condotto per materia e non seguendo l'ordine cronologico di attuazione dei singoli provvedimenti. 2. Nel campo ordinativo la realizzazione più significativa, anche se poco felice, fu la creazione nel l930 di due divisioni celeri, che nella loro veste definitiva comprendevano ciascuna: due reggimenti di cavalleria, ciascuno su due gruppi squadroni a cavallo ed uno squadrone mitraglieri; un reggimento bersaglieri su tre battaglioni ciclisti, una compagnia motociclisti, una compagnia cannoni da 47/32, un gruppo carri L; un reggimento di artiglieria su tre gruppi da 75/27, due motorizzati cd uno a cavallo, e due batterie contraerei da 20; una compagnia mista del genio; aliquote dei servizi. Teoricamente accreditata della capacità di condurre in proprio, in determinate condizioni di terreno e per un tempo limitato, una manovra rapida di una certa potenza, la divisione celere in realtà si dimostrò uno strumento difficilmente impiegabile e di scarso rendimento, soprattutto per le diverse caraueristiche delle varie componenti. I repar-
(3) Del colonnello Emilio Canevan vds. il breve profilo biografico nella pane TI di questo volume.
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ti montati, pur disponendo di una buona mobilità tattica, erano molto vulnerabili e scarsamente potenti; le unità in bicicletta e le artiglierie motorizzate possedevano la necessaria potenza, ma erano in grado di muovere solo su strada; il battaglione carri, infine, era dotato di mezzi poco amiati e poco protetti per un'azione di forza. Un risultato migliore fu conseguito fu nel settore della difesa territoriale, in cooperazione con la milizia. La difesa antiaerea del territorio (D.A.T. e successivamente DICAT) ebbe un suo primo assetto nel 1930. La direzione venne affidata ali' esercito, che doveva sovrintendere all'impiego, all'addestramento, alla parte tecnica e provvedere a fornire i materiali; la parte esecutiva fu assegnata ad un'apposita specialità della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il cui comando generale doveva provvedere al reclutamento, alla disciplina del personale, traendo questo dai soggetti all'istruzione premilitare fino a quando non venissero incorporati nell'esercito e dai militi di età maggiore ai 40 anni, in modo da non incidere sulla disponibilità del personale di previsto impiego per mobilitazione. L'organizzazione del 1930 comprendeva: I ispettorato, alle dipendenze del capo di Stato Maggiore dell 'esercito, 4 raggruppamenti e 25 comandi milizia D.A.T. Nel 1935 anche il compito della difesa costiera venne attribuito ad un'altra specialità delta milizia, da Costa, e nell'occasione venne costituito un ispettorato unico della milizia D.A.T. e della milizia da Costa, facente capo allo Stato Maggiore dell'esercito per la D.A.T. ed a quello della marina per la difesa delle coste, comprendente: 6 comandi unificati di gruppi di legioni da Costa, 14 comandi di legione DICAT e 2 comandi di legione da Costa, I O comandi di coorte autonoma DICATe 2 comandi di coorte autonoma da Costa. Tale ordinamento venne ampliato e modificato ancora una volta nel 1938: la DICAT fu costituita su 5 comandi di gruppo di legioni, 22 comandi di legione, I comando scuola centrale; la milizia da Costa, che prese il nome di milizia artiglieria marittima (M.A.M.), fu costituita su I comando di gruppo di legioni e 8 comandi di legione. Restarono ferme la dipendenza della DICAT dallo Stato Maggiore esercito (sottocapo per la difesa territoriale) e della M.A.M. dallo Stato Maggiore della marina per l'impiego, le direttive addestrative cd i materiali e la dipendenza di entrambe dal comando generale della milizia per le questioni riguardanti il reclutamento, la mobilitazione, la disciplina, l'addestramento, l'amministrazione del personale ed compiti d'istituto. I compiti delle due milizie furono così fissati: predisporre in tempo di pace e attuare in tempo di guerra, in concorso con le unità contraerei e costiere delle altre forze ru mate, la difesa del Paese da attacchi aerei e navali nemici. Al binomio Gazzera-Bonzani deve essere ascritto anche uno dei più discussi provvedimento ordinativi tra i tanti che hanno periodicamente travag liato il corpo ufficiali: l'istituzione del ruolo mobilitazione, dello più semplicemente ruolo M. Allo scopo di sfoltire l'annuario dai troppi ufficiali in servizio, senza peraltro adottare provvedimenti punitivi sotto il profilo economico e sotto quello morale, si ritenne conveniente riunire in un ruolo a parte, con carriera limita-
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ta ma con più elevati limiti di età, quegli ufficiali superiori delle varie armi che, per età o per incompleta cultura professionale o per scelta di vita, dimostravano di non possedere più gli stimoli necessari per comandare un reparto, pur essendo pienamente idonei a svolgere funzioni aventi speciale importanza nei riguardi della mobilitazione. Il ruolo, più volte rimaneggiato, inizialmente comprese 1221 tenenti colonnelli e 1475 maggiori delle varie armi. Al ruolo M si aggiunse, due anni dopo, un altro ruolo speciale, il ruolo consegnatari, composto di anziani capitani delle varie armi da impiegare come consegnatari di magazzino e come addetti agli uffici matricola. L'istituzione dei due ruoli speciali non giovò però alla compattezza morale del corpo ufficiali e non contribui a migliorare le capacità professionali degli appartenenti al ruolo normale, ora chiamato ruolo comando. "E' necessario sottolineare come l'istituzione dei nuovi ruoli non rispose ad un'esigenza di specializzazione, come era detto nella legge, ma fu solo un tentativo mal riuscito per sfoltire il ruolo comando ed accelerare le promozioni, dando agli altri ruoli il contentino dei limiti di età più avanzati per il collocamento nell'ausiliaria" ha scritto il generale Stefani (4) e non è possibile non condividere la severità del giudizio. Nel settore addestrativo furono raggiunti risultati migliori. Nel 1930 fu pubblicato il Regolamento di istruzione, contenente precise norme sull'impostazione, sull' organizzazione e sullo svolgimento dell'attività addestrativa ai vari livelli , al fine di unificare procedure ed indirizzi e di raggiungere un generale alto livello di preparazione tecnica e morale. Il Regolamento chiariva inequivocabilmente che "l'unico scopo dell'istruzione militare è la preparazione alla guerra. L'idea della guerra deve dominare tutta l'attività addestrativa" e richiamava l'attenzione sull'uomo, oggetto dell'addestramento, che doveva essere abituato a ragionare, ad agire sulla base di convincimenti morali e non come un automa. Le esercitazioni tattiche sul terreno dovevano servire a far risaltare "lo spirito d'iniziativa, la fiducia nelle proprie forze e l'amore di responsabilità, la necessità dello sforzo collettivo, cioé della cooperazione. Tutta la battaglia, anzi la guerra, è convergenza di sforzi verso un fine unico; il successo premia soltanto la cooperazione e, attraverso la cooperazione, il sacrificio di ogni concezione particolare. L'obbedienza più redditizia è quella che segue alla persuasione e l'agire d'iniziativa è potePte molla per il migliore adempimento del dovere, per cui l'iniziativa deve essere prerogativa di ognuno". Il corso annuale d'addestramento era diviso in due cicli, quello invernale dedicato alla prima istruzione del contingente di leva, alla preparazione dei graduati e degli specialisti, al perfezionamento della cultura tecnico-professionale dei Quadri, e quello estivo, articolato in una prima fase, per eseguire le
(4) F. Stefani, La storill della dottrina e degli ordinamenti de/l'esercito italiano. voi. Ili, Da Vi/Iorio Veneto alla 2° guerra mondiale. USSME, Roma I990, pag. 215.
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lezioni di tiro e svolgere l'addestramento tattico ai minori livelli, ed in una seconda comprendente i campi d'arma e le esercitazioni tattiche, in bianco ed a fuoco, più complesse. In conclusione, una metodica addestrativa moderna, rispettosa della personalità del soldato, intonata a sentimenti di amor patrio e lontana da suggestioni di parte. Nel settore della regolamentazione fu compiuto un decisivo passo in avanti con la pubblicazione nel 1932 delle Norme generali per l'organizzazione e funzionamento dei servizi in guerra, che costituiscono il primo saggio a sè stante della dottrina logistica dell'esercito italiano, prima sempre compresa nel Regolamento del se111izio in guerra. La nuova pubblicazione ripartiva il territorio nazionale in una zona territoriale ed in una zona dell'esercito operante, distinguendo i servizi te1Titoriali da quelli di campagna, articolati questi ultimi in sanitario, di commissariato, dei trasporti, di artiglieria, del genio militare, chimico, veterinario, delle tappe, delle strade e del genio civile, idrico, dei legnami. L'organizzazione ed il funzionamento degli undici servizi di campagna erano demandati ad organi coordùzatori, direttivi, esecutivi. La responsabilità della rispondenza del!' organizzazione logistica alla sitlllazione operativa risaliva all'organo coordinatore, cioè al comandante dell'unità. A livello Comando Supremo il Comandante in capo si avvaleva dell'Intendente generale, a livello armala il comandante si avvaleva dell'Intendente d'am1ata, a livello corpo d'armata del capo di Stato Maggiore e così via. La responsabilità del funzionamento di ciascun servizio risaliva, invece, all'organo direttivo, sottoposto a due dipendenze, quella di comando dal comando della grande unità di cui faceva parte e quella tecnico-amministrativa dall'organo direllivo corrispondente della grande unità immediatamente superiore. Gli organi esecutivi erano responsabili solo del!' attuazione degli ordini ricevuti. Per quanto concettualmente non ali' avanguardia - altri eserciti avevano già abbandonato l'organizzazione logistica per materia a favore di quella per funzioni - l'organizzazione logistica delineata dalle Norme si rivelò funzionale e superò brillantemente il collaudo operativo della guerra italo-etiopica <5>. Sia il ministro Gazzera sia il capo di Stato Maggiore Bonzani si erano resi conto della necessità di migliorare l'armamento delle unità. A tale scopo fu redatto un preciso programma di ammodernamento delle armi e di completamento delle dotazioni, programma che fu realizzato in parte solo negli anni successivi. Le nuove armi della fanteria - fucile mitragliatore Breda, mitragliatrice Breda 37, mortaio d'assalto Brixia da 45, mortaio da 81, cannone da 47/32 - anche se distribuite ai reparti con gradualità nel secondo quinquennio degli anni Trenta, furono uno dei risultati di tale programma.
(5) Cfr. sull'argomento F. Botti. ùi logistica dell'esercito italiano (1831-1981). Voli. 4 USSME, Roma 1991-1995.
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L'errata concezione operativa che tanto a lungo condizionò negativamente lo sforzo bellico italiano, la convinzione cioè che si dovesse combattere unicamente una guerra difensiva sulle Alpi, influenzò anche le decisioni relative ai mezzi corazzati, che furono sempre tardive ed infelici. Nelle esercitazioni estive del 1927 e del 1928, svolte in pianura, furono sperimentate le prime unità carriste, dotate di carri Fiat 3000 mod. 21 da 6,5 ton e armati con due mitragliatrici, ed apparve la convenienza di disporre di un carro più potente. Furono allora presi accordi con la Fiat perché sul carro, al posto delle due mitragliatrici, fosse installato un cannone da 37/40. Nel 1929 i carri 3000, sperimentati in terreno montano, dimostrarono questa volta grossi limiti di manovrabilità ed allora fu deciso di adottare un carro più leggero e più manovriero. Furono così acquistati 25 Carden Lloyd, pesanti 1,5 ton, denominati carri veloci. La Fiat intanto presentò il suo carro 3000 con un motore più potente e con il cannone da 37 ma, sempre sulla base del preconcetto di dover combattere sulle Alpi, si preferì adottare una variante migliorata del carro veloce, da 3,5 ton ed armato con una mitragliatrice. Due anni dopo fu omologato il carro veloce modello 35, con due mitragliatrici binate cal. 8, e ne fu ordinata la produzione in serie. Anticipando i tempi della narrazione, si conclude l'argomento segnalando che alcuni anni dopo fu finalmente deciso di approvvigionare un carro medio. La realizzazione del prototipo fu ancora affidata al binomio FIATAnsaldo che, nell'estate del 1939, presentò per la sperimentazione tattica durante le esercitazioni estive un primo lotto di 8 carri M 11, che si rivelarono non privi di gravi difetti: scarsa potenza del motore a gasolio, bassa velocità, armamento principale in casamatta. 3. Nei primi anni Trenta le correnti modernizzatrici ripresero vigore, soprattutto perché ebbero l'accortezza di presentare "la modernizzazione come la premessa ed al tempo stesso la conseguenza della fascistizzazione dell'esercito. Verosimilmente con "fascistizzazione" i modernisti non intendevano una sostanziale "politicizzazione" dell'Esercito, bensì il convergere della pianificazione militare verso gli obiettivi di politica generale, interna ed internazionale, del regime: o forse, più semplicemente e brutalmente, l'estromissione dei generali politicamente defilati e la ripresa di influenza, anche soltanto indiretta,dei generali che avevano lasciato il servizio attivo e si erano dati all'attività politica nelle varie istituzioni fasciste" (6)_ Obiettivi limiti di spazio non consentono un esame approfondito del contrasto, è sufficiente dire che una parte del corpo ufficiali, che aveva nel generale Graziali l'esponente più prestigioso tra gli elementi ancora il servizio e nel
(6) V. Ilari, Storia del sen•izio miliwre in Italia, voi. li!, Nazione militare efrome del lavoro (19/9-1943), Centro Militare di Studi S1rategici, Roma 1990, pag. 112.
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generale De Bono l'efomento in ausiliaria con più aderenze politiche, era convinta della necessità dj un modello di esercito radicalmente nuovo, basato sulla rinuncia al numero in favore della qualità, fortemente meccanizzato ed orientato a condurre una guerra offensiva, rapida e manovrata. Anche all'interno del partito fascista si avvertivano in quegli anni alcune tensioni. L'irrequieto Balbo, mjnistro dell'Aeronautica, non faceva misteri del suo desiderio di divenire ministro della Difesa Nazionale, accentrando così la preparazione militare, oppure capo di Stato Maggiore Generale, qualora Mussolini non avesse voluto unificare i tre dicasteri militari. Si realizzò così un'alleanza, di cui non esistono naturalmente prove, tra militari e politici ed il segnale delle ostilità fu innalzato dal generale Grazioli che, nel luglio del 1931, pubblicò sulla Nuova Antologia un saggio che costituiva una dura requisitoria contro l'inadeguato "apparecchio militare terrestre di tipo prebellico" di Gazzera e di Bonzani e che teorizzava la costituzione di un ridotto esercito meccanizzato, capace di coordinare potenza e mobilità, composto solo di specialisti e svincolato dalla mobilitazione. Sul Regime Fascista, il quotidiano di Farinacci, comparvero nel settembre undici articoli anonimi , ma scritti dal Canevari, nei quali le idee del Grazio Ii erano sostenute con larghezza di argomentazioni e con l'avallo delle opinioni del Maresciallo Caviglia, acerrimo nemico di Badoglio, nume tutelare del duo Gazzera-Bonzani. Balbo, dal canto suo, utilizzava la Rivista Aeronautica per far condurre una vivacissima polemica contro i "passatisti" dell' esercito e faceva ristampare Il dominio dell'aria di Douhet, da poco scomparso. Gazzera reagì ali' attacco, punì disciplinarmente Grazioli e si appellò a Mussolini che, sul momento, lo rassicurò dichiarando la sua contrarietà a modificare l'ordinamento dell'esercito che portava il suo nome. In realtà Mussolini era preoccupato più della crescente popolarità di Balbo che dell'efficienza dell 'esercito e, nel luglio 1933, riprese l'interim dei ministeri militari, invjò Balbo in Libia a sostituire Badoglio e chiamò a ricoprire l' incarico di sottosegretario alla Guerra il generale Baistrocchi (7)_ esponente di rilievo del gruppo "modernista" e autore di un duro attacco in Senato alla gestione Gazzera, in occasione della relazione sul bilancio 1932-1933. Forse per non a1larmare eccessivamente la corona, il generale Bonzani fu lasciato al suo posto, nonostante le pressioni in senso contrario di De Bono. Il generale Grazioli fu mandato a Bologna, a reggere il comando designato di armata (8). Il generale Bonzani fu comunque avvicendato nell'incarico nel settembre del 1934 e Baistrocchi cumulò con quella di sottosegretario anche la carica di capo di Stato Maggiore, che in pratica delegò al suo sottocapo, il generale
(7) Del generale Federico Baistrocchi vds. il breve profilo biografico nella parte li di questo volume. (8) Sull'argomento "lotta per modernizzare l'esercito" vds. V. Ilari, op.cit.. pagg. 109 e seguenti. come sempre informata e puntuale.
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Alberto Pariani (9). Baistrocchi aveva suddiviso il suo progetto di modernizzazione dell'esercito in due trienni, 1934-1936 e 1937-1939, restò tuttavia in carica solo fino al 7 ottobre 1936, abbastanza comunque per imprimere all'esercito un salutare scossone. Nel secondo dopoguerra la figura e l'opera del generale Baistrocchi sono state molto discusse, in genere con un giudizio complessivo troppo severo. In questi ultimi anni, ad opera specialmente di alcuni studiosi non colpiti dal virus ideologico, come Stefani, Botti e Ilari, la gestione baistrocchiana dell'esercito è stata "rivisitata" con una valutazione più attenta e positiva che ci trova pienamente concordi. Con il regio decreto I I ottobre I934 l'esercito ebbe un nuovo ordinamento, che recepiva tutte le varianti apportate negli anni precedenti all'ordinamento Mussolini del 1926 e che presentava anche qualche innovazione. Il nuovo ordinamento mantenne la distinzione tra esercito metropolitano ed esercito coloniale e per il primo previde: il comando del corpo di Stato Maggiore; 4 comandi designati di armata; 13 comandi di corpo d'armata (furono soppressi i comandi militari della Sicilia e della Sardegna); 31 divisioni di fanteria; 4 comandi superiori alpini; 3 divisioni celeri. Le principali articolazioni delle varie armi furono: - arma dei carabinieri reali :1 comando generale, 6 ispettorati di zona, I scuola centrale, I scuola sottufficiali, 20 legioni territoriali, 1 legione allievi, 3 battaglioni, 1 gruppo squadroni; - arma di fanteria: 31 brigate, 92 reggimenti di fanteria di linea, 12 reggimenti bersaglieri, 9 reggimenti alpini, 1 reggimento carri; - arma di cavalleria: 3 brigate, 12 reggimenti di cui l carri veloci; - arma di artiglieria: 3 I reggimenti per divisione di fanteria, 3 reggimenti per di visione celere, 4 reggimenti di artiglieria alpina, 12 reggimenti di artiglieria di corpo d'armata, IO reggimenti di artiglieria d'armata, 5 reggimenti di artiglieria contraerei; - arma del genio: 12 reggimenti genio di corpo d'annata, 2 reggimenti minatori, 2 pontieri , l ferrovieri. Le novità furono poche, a parte le nuove denominazioni per i reggimenti d'artiglieria che tendevano a ribadire il concetto di cooperazione ed a legare maggiormente il supporto di fuoco alle unità dell' arma base, l'innovazione più significativa e meno felice fu il ritorno dei reparti carristi nell'ambito della fanteria. L'esercito coloniale comprendeva negli stessi anni il: - Regio Corpo truppe coloniali dell'Eritrea: su 5 battaglioni, ciascuno su 3 compagnie fucilieri ed I compagnia mitraglieri; 1 compagnia mitragliatrici autonoma; 1 squadrone su due plotoni; 3 batterie da montagna, ciascuna su 4 pezzi e 2 mitragliatrici; 2 compagnie cannonieri addette alle fortificazioni; I compagnia mista del genio costituita da nazionali, aliquote dei servizi;
(9) Del generale Alberto Pariani vds. il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
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- Regio Corpo truppe coloniali della Somalia:su 4 battaglioni, reparto autonomo della Migiurtina, l compagnia mezzi celeri nazionale, 3 batterie cammcllate; l batteria autotrainata, 9 bande armate di dubat per il controllo dei confini cd aliquote dei serviLi; - Regio Corpo truppe coloniali della Libia: su 2 reggimenti di fanteria d'Africa, costituiti da nazionali, 5 reggimenti di fanteria coloniale, 2 gruppi squadroni, 2 reggimenti artiglieria coloniale, I reggimento genio costituito con elementi nazionali, aliquote dei servizi. Gli ufficiali dell'esercito coloniale erano tutti nazionali. La crisi provocata dall'uccisione del Cancelliere austriaco Dolfuss nel luglio 1934 indusse lo Stato Maggiore a riesaminare l'intero problema della copertura e, per sollevare le grandi unità dal compito della di fesa statica preservandone la libertà di manovra, fu costituito, con ordine del 4 dicembre 1934, un corpo speciale, denominato guardia alla frontiera (GAF), formato da reparti di fanteria, di artiglieria e del genio, per presidiare le opere della fortificaLione permanente ed assicurare la copertura dei confini. Con la successiva circolare n° 3898 del giugno 1935 furono meglio precisati compiti e strutture della GAF che, gradualmente, fu articolata in 8 comandi GAF, uno per ciascun corpo d'arma di frontiera, retti da un generale di divisione o di brigata e dai quali dipendevano 22 settori di copertura, retti da colonnelli e articolati in sottosettori, caposaldi e posta:io11i. La GAF non ebbe un proprio ruolo organico, gli ufficiali rimasero nei ruoli delle armi di provenienza ed anche l'uniforme fu un compromesso tra il nuovo ed il vecchio: cappello alpino senza penna, mostrine verdi con filettatura scarlatta, gialla o viola a seconda dell'arma di provenienza, fregio dell'arma di provenienza con il numero ordinativo romano del settore di copertura. Nel 1937 cinque reggimenti di artiglieria d'armata furono trasformati in reggimenti di artiglieria GAF - 6° (BolLano), 7° (Cuneo), 8° (Venaria Reale), 9° (Belluno), 10° (Trieste) - per rafforzare con le loro 43 batterie il sistema difensivo che già comprendeva 23 batterie autonome. Successivamente furono costituiti altri 2 reggimenti di artiglieria GAF, I' 11° (Savona) ed il 12° (Osoppo), e numerose altre batterie e la consistenza numerica delle batterie destinate alla difesa delle frontiere divenne imponente, quasi 400 nel giugno 1940, ma si trattava di un campionario di bocche da fuoco antiquate e di scarsa gittata. La maggior parte delle batterie era costituita da pezzi da 75/27 mod. 906, da 100/17 e da 149/35 ad affusto rigido. Soltanto le batterie da 152/45 e da 305/17 erano in grado di sparare a distanze superiori a 15 chilometri, ma ne esistevano sollanto 13 delle prime e 3 delle seconde. Migliore l'armamento dei reparti di fanteria che presidiavano le circa mille opere del sistema difensivo: mitragliatrici Breda 37, mortai da 81, cannoni controcarro da 47/32. Le opere erano generalmente costituite da semplici costruzioni in calcestruzzo resistenti ai medi calibri, armate di mitragliatrici e di cannoni controcarro, in grado di sviluppare un grande volume di fuoco a breve raggio e di resistere anche se circondate. Nell'estate del I 939 l'organizzazione GAF fu estesa anche ali' Albania,
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da poco occupata, ed alla Libia. Presso il comando del XXXVI corpo d'armata di Tirana fu costituito un comando GAF, che ebbe alle dipendenze il 13° artiglieria GAF su 33 batterie - 6 da 149/35, 4 da 149/12, 2 da 105/28 e 21 da 75/27 - e lo sbarramento di Librazhad all'interno del territorio, dove si incrociavano le linee di operazione provenienti dalla Jugoslavia e dalla Grecia. In Libia le particolari condiLioni ambientali suggerirono di articolare la GAF in 9 comandi, 3 verso la Tunisia (Zuara, el Votia, Nalut), 2 verso l'Egitto (Amseat e Giarabub), I a Bardia, 2 a Tobruk e 3 a Tripoli. L'idea di creare nell'apparato militare due distinte branche, destinate una ad operare sulle fronti di guerra e l'altra a garantire la difesa del territorio, operanti entrambe però sotto un unico comando, in modo che la seconda potesse servire anche da serbatoio di alimenlaLione della prima, fu una soluzione razionale e moderna, rispondente al nuovo carattere totalitario della guerra che avrebbe coinvolto tutto il territorio nazionale. Questo fu, pertanto, ripartito in zane militari, raggruppate in 5 Ispettorati di zona militare, e presso lo Stato Maggiore dell'esercito fu poi istituita la carica di sottocapo di Stato Maggiore per la difesa territoriale, con il compito di sovrintendere sia alla difesa del territorio sia all'auività del reclutamento e della mobilitazione, compito quest'ultimo che l'ordinamento del I 926 aveva assegnato ai soppressi ispettorati di mob"litazione e che era passato alle zone militari. Come è nolo, la sistemazione difensiva attuata dalla GAF non fu mai messa alla prova. Durante la 21 guerra mondiale uomini ed armi della GAF servirono per alimentare i reparti mobili e per rafforzare la difesa costiera, tuttavia le esperienze fatte saranno, almeno in parte, utili zzate molti anni dopo, quando sarà alluato ai confini orientali un dispositivo statico di difesa. Il problema della stagnazione delle carriere, non risolto da Gazzera con l'istituzione dei ruoli "M" e "consegnatari", fu affrontato da Baistrocchi e risolto con il sistema delle "vacanze obbligatorie", cioè con il forzato collocamento in posizione ausiliaria ogni anno di un determinato numero di ufficiali generali. li sistema. naturalmente poco gradito agli interessati e giudicato addiriuura "immorale" dai denigratori di Baistrocchi, fu invece benefico per il complesso dei Quadri, specie di quelli inferiori, e soprattullo fu benefico per l'esercito che ebbe Quadri più giovani e più motivati. L'attività più incisiva di Baistrocchi fu quella esplicata nel campo dottrinale. Nel giugno 1935 comparvero infatti le Direttive per l'impiego delle grandi unità, scritte "di proprio pugno" dal sottosegretario e Capo di Stato Maggiore, che segnarono un netto distacco dalla dottrina precedente, specie per la parte riguardante l'a1ione offensiva, alla quale erano dedicati 16 pagine e 31 paragrafi, contro 5 pagine e 13 paragrafi riservati alla difesa. Partendo dalla considerazione che "una guerra di posizione che cerchi, e anche realizzi, la vittoria nello sgretolamento lento e progressivo dell'avversario, prostrerebbe materialmente e moralmente una nazione come la nostra, ricca di uomini, ma scarsa di materie prime", Baistrocchi giungeva alla conclusione che "la nostra deve essere guerra di movimento". Da qui la necessità di prendere rapidamente e tempestivamente l'iniziativa delle operazioni, realizza-
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re la superiorità delle forze, attaccare con decisione, sfondare, portare la guerra nel territorio nemico. La battaglia veniva scomposta in quattro fasi: la presa di contatto, compito degli scaglioni esplorante cd avanzato; l'attacco a fondo per sfondare od avvolgere il fronte avversario, compito del grosso; lo sfruttamento del successo per decidere la vittoria con la manovra e la penetrazione in profondità, compito della riserva; l'inseguimento ad oltranza per trarre dal successo il massimo risultato senza concedere al nemico né tregua né sosta, compito delle grandi unità celeri. Le unità operanti erano articolate in due masse: una di rottura ed una di manovra, costituita quest'ultima da una riserva di fuoco e di movimento, entrambe necessarie per manovrare. Tale ripartizione era tassativa a tutti i livelli in quanto la battaglia, che "si vince a colpi di divisione", postulava sempre la manovra. L'azione della fanteria era tanto esaltata da affermare che "l'artiglieria vale per quanto coopera al successo della fanteria" e che il principio, dominante e risolutivo, di fare massa doveva intendersi applicato specialmente all'impiego del fuoco. Compiti dell'artiglieria erano lo spianamento delle resistenze, atti ve e passive, ostacolanti la progressione della fanteria e l'appoggio, continuo ed immediato, alle colonne durante la loro avanzata. Per quanto riguardava l'impiego dei carri, le Direttive furono meno razionali e dimostrarono un certo scollamento tra la concezione strategica, indubbiamente di ampio respiro, che le pervadeva e la sostanziale arretratezza dello strumento operativo disponibile. Al riguardo le Direttive, infatti, osservavano che: "i carri armati - che per i nostri terreni e per la nostra guerra, devono essere molto leggeri e veloci - non vanno considerati solo come mezzo di lotta, operanti intercalati e seguiti da fanti e da celeri; occorre anche averne la visione come massa che sorprende, sfonda e passa oltre, decisamente". La prima tesi, che per i nostri terreni e la nostra guerra fossero necessari carri molto leggeri, era purtroppo assai opinabile; la seconda, che occorresse anche una massa di carri autonoma, era giusta ma assolutamente da non collegare con il carro mod. 35 da 3,5 tonnellate, che proprio allora entrava in servizio. Per quanto attiene all'azione difensiva le Direttive, pur ribadendo il concetto della maggior forza intrinseca della difesa, ne sottolineavano l'impotenza a risolvere il conflitto, assegnandole il compito di "economizzare le forze" e di "guadagnare tempo". Le Direttive, inoltre, rifiutarono l'importanza data alla conservazione del terreno fine a se stessa, affermando che "il terreno serve ù1quantoché concorre ad uno scopo prefisso; non si deve esitare alla rinunzia di parte di quello conquistato se da ciò è avvantaggiata la difesa" e, per conseguenza, indicando l'utilità dell'occupazione discontinua. In secondo luogo le Norme attenuarono la rigidità dell'arresto in corrispondenza delJa linea di resistenza, introducendo il concetto di difesa elastica e manovrata. Il sistema difensivo si basava, perciò: sulla difesa ad oltranza esercitata da un complesso di caposaldi più o meno ampi ed intervallati, dislocati a sbarramento delle vie di penetraz,ione più pericolose e presidiati da "unità
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organiche votate al sacrificio, anche se accerchiate e superate", sul logoramento della penetrazione verificatasi fra i caposaldi ad opera di centri di fuoco distribuiti in profondità a scacchiera; sul contranacco, sferrato da unità mobili ed appoggiato dalla reazione dei centri di fuoco. L'anno successivo furono diramate le Nonne per il combattimento della divisione, che si ripromettevano di stabilire come le varie armi dovevano essere impiegate e come dovevano agire in reciproca collaborazione nel comballimento. La divisione, unità tattica fondamentale della battaglia, vedeva esaltata la propria capacità combattiva dall'impiego di aerei (con compiti di esplorazione, osservazione del campo di battaglia e del tiro di artiglieria, nonché, eventualmente, di combattimento) e delle nuove armi (fra cui i carri d'assalto) delle quali era stata fornita la fanteria. Si ribadì il principio inviolabile della inscindibilità della divisione, ove necessario rinforzata da truppe suppletive e da artiglieria di corpo d'armata, per adeguarne la forza intrinseca al compito aflidato. La fanteria fu individuata, senza esitazioni, come lo strumento principale e decisivo della lotta: "Se essa avanza, tutti avanzano; se essa cede, tutti cedono'' Conseguentemente le altre armi avevano il compito di cooperare al suo successo, agevolandone l'avanzata nell'attacco e la resistenza nella difesa. Essa rappresentava il movimento. Poiché "senza fuoco 11011 si avanza", era stata dotata di un armamento che le permettesse la progressione alle distanza ravvicinate; a quelle superiori doveva intervenire l'artiglieria in un quadro rigorosamente unitario. Per l'azione difensiva le Nonne sancivano che l'impianto difensivo doveva rispondere a quattro requisiti fondamentali: ostacolare l'avanzata avversaria, ottenere il maggior rendimento del fuoco, re ndere difficile il proprio aggiramento, agevolare il contrattacco. In linea di massima la nuova dottrina confermava i lineamenti generali indicati dalla regolamentazione del 1928: - una zona di sicurezza di profondità tale da consentire a buona parte delle artiglierie divisionali di battere il suo margine anteriore (la linea di sicurezza). Vi agivano gli elementi avanzati dei battaglioni in primo scaglione col compito di fornire informazioni, evitare sorprese, logorare ed arrestare l'esplorazione nemica, opporre le prime temporanee resistenze; - una posizione di resistenza, fascia di terreno nella quale occorreva esplicare resistenza ad oltranza, di profondità pari alla profondità di schieramento dei battaglioni di primo scaglione destinati a presidiarla; - una zona di schieramento, la fascia più arretrata, in cui si dislocavano le artiglierie, il secondo scaglione e la riserva. Ove ritenuto necessario, nel suo ambito si poteva definire una posizione di raccolta (corrispondente alla precedente posizione intermedia) destinata a costituire linea di raccolta e difesa in caso di improvviso cedimento della posizione di resistenza, eventuale base di partenza per il contrattacco tendente alla riconquista di tratti perduti ed elemento di protezione per le artiglierie. La dottrina si completò, nello stesso 1936, con le Nom1e per il combattimento della fante ria che sviluppavano nel quadro reggimentale quanto già
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indicato a livello superiore. A parte il tono, talora retorico, e l'eccessiva enfasi posta nella valutazione dei valori morali, i I corpo dottrinale del generale Baistrocchi era complessivamente valido e delineava un tipo di conflitto per nulla avveniristico, come la campagna tedesca del 1939 contro la Polonia dimostrò ampiamente. Lo strumento operativo, invece, non fu sufficientemente potenziato e non fu messo in condizione di attuare sul terreno quanto era indicato nelle pubblicalioni. Un corpo dottrinale, quindi, razionale e moderno ma non adeguato alle effettive possibilità dell'esercito. La guerra di movimento, rapida e risolutrice, postulava quell'esercito, motocorazzato auspicato dal Grazioli e non l'esercito tutto fanteria. che, nonostante forse ogni proposito, anche Baistrocchi non modificò nella sostanza. Le resistenze di una parte dell'alta gerarchia ad abbandonare i canoni operativi che avevano avuto successo nella prima guerra mondiale può offrire una spiegazione del mancato ammodernamento dello strumento, ma non una giustificazione. La "triste storia" dei carristi è, al riguardo, emblematica. Come è stato detto, nel 1926 i reparti carri armati cessarono di far parte della fanteria e, riuniti in un reggimento carri armati, condussero per qualche anno una grama vita autonoma "di figli di nessuno, avendo sia il genio che l'artiglieria rifiutato l'onore, ritenuto in quel momento molto discutibile, di adottare l'orfanello", ha scritto Massimo Mazzetti (IO) che prosegue con amara ironia "In considerazione del fatto che il nuovo carro in via di approntamento aveva, oltre le caratteristiche adatte per operare in montagna anche quella del carro da esplorazione, fu allora proposto alla cavalleria di incorporare le unita carriste e di coraaare alcuni suoi reggimenti. A questa proposta fu opposto un fermo rifiuto; nessuno intendeva abbandonare il nobile animale per uno stretto e maleodorante carro". I carri furono allora inseriti nell'arma di fanteria, determinando di fatto il prevalere di quella linea di pensiero che considerava il carro armato solo un mezzo ausiliario della fanteria. Nel settore dei materiali la gestione Baistrocchi-Pariani prosegul nel programma di ammodernamento già delineato dalla precedente amministrazione, pervenendo alla realizzazione di alcuni prototipi di artiglierie, non prodoue però in serie a causa del mancato finanliamento del programma. Anche l'introduzione in servizio delle nuove armi della fanteria, specie del cannone da 47/32, continuò con esasperante lentena, sempre a motivo della limitatezza del bilancio, quanto al potenziamento del parco carri armati si è gia riferito nel paragrafo 2. 4. Negli anni precedenti era stata portata a termine la riconquista della Libia. Già nel 1929 la Tripolitania era completamente pacificata, grazie anche ad un alleggiamento tatlico spregiudicato, favorito dal largo impiego di auto-
( IO) M . Mai.ze1ti. Lo politica militare 11alia11a fra le due guerre 111011diali (1918-1940), Edizioni Be1a. Salerno 1974. pag. 143.
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blindo, autocarri ed aviazione, che aveva consentito di battere definitivamente le indocili tribù dell'interno. Più difficile fu la riconquista della Cirenaica. a causa del terreno e delle più evolute fonne di associazione politica delle tribù ribelli, raggruppate nell'organizzazione poi itica-rcl igiosa della Senussia. Anche in Cirenaica però. ricorrendo a classiche misure di controguerriglia, come la restrizione in zone circoscritte e sorvegliate delle tribù e la distruzione del bestiame che costituiva il principale mezzo di sostentamento dei guerriglieri, la resistenza araba fu domata, lo stesso capo della guerriglia, Omar alMukhtar, fu catturato e giusti1iato nel settembre del 1931. Anche le operazioni in Somalia erano terminate, con la completa pacificalione del territorio settentrionale, e lo Stato Maggiore riteneva di non doversi più occupare di problemi operativi coloniali. La tranquillità durò molto poco. Nel 1932 De Bono, ministro delle Colonie, inviò per un parere a Badoglio un suo dilettantesco piano di guerra all'Etiopia, nel quale era prevista la conquista del vastissimo territorio con un corpo di spedilione di circa 100.000 uomini. Badoglio naturalmente bocciò il progetto ed altrettanto fece, nel settembre del I933, lo Stato Maggiore dell'esercito. n generale Bonzani, infatti, non aveva avuto alcuna remora nel denunciare l'avventurismo e la superficialità del documento, al quale contrappose un disegno operativo più equilibrato: una limitata avanzata iniziale per provocare l'attacco etiopico alle nostre posizioni, scompaginate e battute le forze avversarie nella battaglia difensiva si sarebbe poi proceduto ad una avanlata in profondità. Tra militari e "coloniali" la valutazione sul potenziale bellico etiopico e sul modo di condurre la guerra era molto distante, "i militari pensavano ad una guerra di tipo europeo, basata sull'impiego coordinato e massiccio di automezzi, artiglieria, aviazione, che avesse come obiettivo più o meno dichiarato lo schiacciamento dell'impero abissino; i coloniali invece preparavano una guerra più tradizionale, coloniale appunto, con forze limitate ed obiettivi vaghi, puntando sulla mobilità dei reparti ascari e sulla superiorità morale, e la capacità dei comandi "(11)_ Mussolini non volle rinunciare a dare il comando delle operazioni a De Bono, quadrumviro e uomo del regime, ma accettò il parere di Badoglio e dello Stato Maggiore dell'esercito per quanto si riferiva all'entità delle forie ed all'ampiezza del sostegno logistico. Mussolini considerava quella guerra la controprova dell'efficienza del fascismo, non pose perciò limiti allo sforzo finanziario, pretese soltanto che alla guerra partecipassero anche grandi unità della milizia e poiché queste non avevano né artiglierie né servizi chiese che fossero completate cd equipaggiate dall'esercito. Baistrocchi non si oppose, ma ancorò il suo assenso al soddisfacimento di alcune condizioni molto pesanti per quanto riguardava non solo l'addestramento dei militi e dei reparti, che fu completamente rivisto sotto l'attento controllo dello Stato Maggiore, ma anche la
11) P. Pieri e G. Rochat, Badoglio. UTET. Torino 1974, pag. 649.
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composizione delle unità della milizia destinate in Africa. Pretese ed ottenne che comandante, vice-comandante e capo di Stato Maggiore delle divisioni di "camicie nere" (CC.NN.) fossero ufficiali dell'esercito e che tutti gli ufficiali della milizia prestassero servizio con il grado che avevano ottenuto nell'esercito. "Si trattava di condizioni molto dure, ma che non modificavano sostanzialmente la situazione di fatto che si era venuta a creare: la milizia aveva finalmente le sue grandi unità a fianco di quelle dell'esercito; ciò che per anni lo Stato Maggiore aveva cercato di evitare si era verificato" Cl 2 >· L'ostilità del corpo ufficiali nei confronti di Baistrocchi, già piuttosto diffusa a causa della legge sulle "vacanze obbligatorie", divenne generale e durò molto a lungo, offuscando le notevoli benemerenze del suo operato. Anche la grandiosa organizzazione logistica attuata per la circostanza, reale protagonista della guerra italo-etiopica, fu un merito di Baistrocchi troppo presto dimenticato. Come ha riconosciuto il generale Stefani "la guerra contro l'Etiopia fu una grande impresa militare impostata, organizzata e condotta in maniera intelligente, razionale ed abile. La limitata efficienza addestrativa e soprattutto materiale dell'esercito etiopico nulla toglie all'importanza della campagna italiana sotto il profilo tecnico-militare. li successo destò la sorpresa e la meraviglia di numerosi esperti militari stranieri, dai quali era stato preventivato che le enormi difficoltà logistiche non avrebbero consentito il conseguimento di risultati rapidi e brillanti ed era stato preconizzato che la guerra s, sarebbe stabil izzata chissà per quanto tempo e si sarebbe conclusa per esaurimento se non addirittura con la sconfitta italiana. La ragione prima del successo fu, invece, proprio l'organiZlazione logistica che, iniziata nel gennaio del 1935, procedé su vastissima scala fino al maggio del 1936, sia nella madrepatria sia nelle colonie, in tempi serrati ma con fe rvore, ordine e regolarità impareggiabili" 0 3>. Per brevità si omettono le vicende politico-diplomatiche che precedettero il conflitto 0 4 ), ricordando soltanto che ringhilterra nel settembre 1935, nella speranza di intimidire Mussolini, inviò nel Mediterraneo la Home Fleet. Mussolini intuì il bluff, mandò ad ogni buon conto due divisioni in Libia e ordinò a Badoglio di "mettere immediatamente allo studio il problema della nostra difesa e impartire ai tre Stati Maggiori le disposizioni più urgenti" 0 5>. Badoglio. dopo aver consultato i capi di Stato Maggiore delle tre forze armate, scrisse a Mussolini avvertendolo con estrema chiareaa che l'Italia non era assolutamente in grado di sostenere un conflitto con l'Inghillerrra. La dimostrazione navale inglese, comunque, non sortì alcun effetto ed il 3 ottobre le truppe italiane iniziarono le operazioni contro l'Etiopia, come stabilito dal piano operativo, che prevedeva un'offensiva a fo ndo dall'Eritrea
(12) M. Mazze11i, op. cit., pag. 162. ( 13) F. Stefani, op. cit.. pag. 284. ( 14) Sull'argomento vds. M. Mazzelli, op. cit.. pagg. 150-169. ( 15) Citaio da M. Mazze11i da un anicolo. L 'ip<Jtesi "B" era quella della ro1·iiw. apparso su "Il Corriere dell'informazione" del 15-16 genn:110 1964.
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(fronte nord) ed una difesa manovrata in Somalia (fronte sud). L'iniziale avanzata di De Bono non trovò ostacoli, ma trovò un limite nella mancanza di strade che consentissero l'alimenta1ione dello sforzo. De Bono perciò, giunto a Ma!...allè l '8 novembre, decise di sostare per consentire la costruzione di una strada camionabile. Mussolini, per motivi di politica internazionale, voleva che l'avanzata continuasse ad ogni costo, De Bono ebbe il coraggio morale di resistere all'imposizione, scriteriata e pericolosa. e fu sostituito con Badoglio il 15 novembre. In effetti le forze etiopiche, comprendenti circa 350.000 uomini suddivisi in 7 armate, non meritavano di essere tanto sottovalutate, anche se soltanto la Guardia Imperiale poteva essere considerata una vera e propria grande unità, modernamente equipaggiata, armata cd addestrata dai numerosi ufficiali europei da tempo al soldo abissino 06>. Badoglio accettò l'incarico, ma chiese ed ottenne la più completa libertà di aLione nella condotta della guerra e, giunto in Eritrea, rimase fermo sulle posizioni raggiunte per dar tempo al dispositivo di rafforzarsi. Sullo sviluppo delle operazioni si riporta quanto scrisse, subito dopo il conflitto sulla Nllova Antologia, lo stesso Mare~ciallo Badoglio. "La guerra italo-etiopica, esaminata sotto un punto di vista esclusivamente operativo. può dall'inizio al suo epilogo, essere suddivisa in alcune fasi che caratteriLLano i suoi successivi e coordinati sviluppi. Il 13 ottobre 1935, in una prima fase iniziale, l'esercito italiano, forte di 7 Divisioni, approlittando mentre ancora ferveva la preparazione del ritardo della radunata dell'esercito etiopico, passava il conline e, risolutamente, quasi senla colpo ferire, in due momenti successivi, spingeva la sua occupazione alla linea Macallè-Ghevà-Tacazzè (Adigrat, 4 ottobre; Adua, 6 ottobre; Macallè, 8 novembre). Riprendeva quindi la sua preparazione, abbinando il problema con quello dell'organizzazione e dell'assestamento della vasta regione occupata, e si completava negli effettivi e nei mezzi. Intanto l'esercito avversario, ormai radunato, iniziava il suo graduale spostamento verso il nord, linchè le opposte forze si incontravano. Aveva così inizio la presa di contatto. Nella sua avanzata verso il nord, il nemico, ormai schierato dal Tacau.è al margine dell'altopiano, con preponderanza di forze nel settore orientale, aveva intenzione, e numerose fonti informative lo confermarono, di rompere il nostro fronte in direzione del Tembièn, prendere alle spalle Macallè ed attaccarlo contemporaneamente di fronte, investire da est e da ovest Adua ed, aggirando l'ala destra del nostro schieramento, invadere con tutte le forze il territo-
( 16) Dopo la banaglia del lago Ascianghi, comba11u1a contro la Guardia Imperiale, furono cauura1i 18 cannoni. I bombarda, 43 mitragliatrici, I autovettura e l I autocarri. Ques1e cifre possono servire per dare un'indica1.ione sulla reale consistenza delle trupppe etiopiche. che si banerono sempre con coraggio.
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rio della Colonia. Lo scontro di Dembeguinà (15 dicembre) e quello di Amba TzellerèTembièn ( 18, 20, 21 dicembre) arrestarono il nemico; la l I battaglia del Tembièn (dal 21 al 24 gennaio), la prima grande battaglia della campagna, lo prevenne nelle sue intenzioni aggressive, sorprendendolo in crisi di preparazione dell'offensiva, impedendo così il suo attacco, sconvolgendone i piani e fiaccando lo slancio delle sue truppe. Questa battaglia, di grande importanza nella condona della guerra, metteva inoltre in luce le deficienze di comando degli avversari, la loro incapacità a svolgere azioni coordinate, a riunire le forze ed a convergerle dove fosse necessario, la rivalità fra i capi ed i dissensi fra i comandanti, portati ad agire isolatamente, in attacchi più istintivi che preparati, nei quali rifulgeva soltanto il valore individuale dei combatLenti. Appariva così, evidentemente, che l'ardito e geniale piano offensivo, concepito forse da consiglieri europei, era superiore alle possibilità di esecuzione dell'esercito etiopico, forte abbastanza, bene armato; ma non in condizione di reggere il confronto con un esercito modernamente preparato e sagacemente condotto. La certezza della superiorità spirituale e materiale sull'avversario faceva, fin d'allora, ritenere sicura la vittoria, mentre le prove fornite dai Quadri e dai gregari e l'organiu.azione raggiunta in ogni campo mi consentivano di agire prontamente e con la più grande risoluzione. Aveva così inizio la terza fase, la grande battaglia offensiva manovrata nel campo strategico, la quale, nel campo tattico, prendeva nomi di bauaglic dcli' Endertà, del secondo Tembièn, dello Scirè. La battaglia dell'Endertà (IO -15 febbraio), svoltasi con avviluppamento per entrambi le ali, da parte del I e del Ili Corpo, dell'importante massiccio dell'Amba Aradam, conduceva alla distruzione dell'armata di ras Mulughietà, più numerosa, meglio armata ed equipaggiata, alla quale era stato attribuito il progetto della riconquista di Macallè. Questa battaglia, mentre confermava le deficienze di comando dell'avversario, consentiva una duplice possibilità operativa: l'avanzata verso sud, a cavallo della grande direttrice Macallè - Ascianghi; la manovra verso ovest, sul tergo dell'armata avversaria nel Tembien. Senza indugi, mentre il I Corpo puntava su Amba Alagi (occupata il 28 febbraio), il III volgeva verso occidente, si portava nel Seloà, avanzava poscia verso nord ed, unitamente al Corpo d'Armata eritreo, che scendeva verso sud, serrava in una morsa l'armata di ras Cassa e ras Sejum, distruggendola (seconda battaglia del Tembièn, 27 - 29 febbraio). Quasi contemporaneamente, nella battaglia dello Scirè (29 febbraio - 3 marzo), i Corpi d'Armata Il e IV, provenienti rispettivamente da est e da nord, con azione concenLrica, battevano l'armata di ras lmmerù e di Aialeu Burrù, la costringevano a ripiegare al Tacazzè ed a disperdersi . Jn poco più di tre settimane tre grandi armate nemiche, forti di decine di migliaia di uomini ciascuna, schierate su circa 250 chilometri di fronte, erano
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state annientate dai nostri Corpi d'Armata in azioni serrate, alle quali sempre, in ogni momento, potentemente aveva concorso l'Avi azione. Occorreva sfruttare senza indugio il successo; travolgere le residue resistenL.e nemiche e giungere il più addentro possibile nel territorio nemico. Si passava, quindi, alla quarta ed ultima fase della campagna, sfruttamento del successo, la quale, in poco più di un mese, giungeva al suo epilogo. Non era ancora spenta l'eco delle tre grandi battaglie, che già le nostre truppe, sulle tre grandi vie di invasione dell'Etiopia del nord, raggiungevano Mai Ceu ad oriente, Socotà al centro, Gondar ad occidente, assicurando, con successiva, immediata organiuazione delle comunicazioni e delle retrovie, nuove basi per una ulteriore avanzata. Frattanto il Negus aveva riunito la sua guardia imperiale ed altri armati nella zona dcli' Ascianghi per tentare di salvare, con l'ultima armata al suo diretto comando, la ormai vacillante fonuna delle armi. Il 6 aprile i Corpi d'Annata I ed eritreo avrebbero dovuto affrontarlo e sicuramente batterlo; ma il 31 marzo il Negus, precedendo nel tempo la progettata azione, attaccava le nostre posi1.ioni di Mecan-Bohorà; era decisamente rigcuato, sconfitto ed inseguito fino a Dessiè, dove il Corpo d'Armata eritreo il I 5, dopo una celerissima marcia, faceva il suo ingresso. La villoriosa battaglia difensiva e l'immediata controffensiva, possibile per i preparativi offensivi già in atto, completavano così la vittoria ed anche l' ultima armata avversaria era dispersa. Davanti all'esercito villorioso non esistevano altre resisten,e organizzate, che potessero contrastare l'avanzata nel cuore dell'impero. Una spedizione autocarrata (10.000 uomini e 1.700 automeni), prcvenùvamente preparata ed organiZL.ata, cominciava il giorno 20 a giungere nella capitale dcll'Uollo; il 24, unitamente a due altre colonne a piedi, iniziava il movimento verso Addis Abeba, dove, dopo una marcia tanto celere quanto difficile, superando le difficoltà opposte dal terreno impervio, alleato al maltempo, entrava il 5 maggio, ristabilendovi prontamente l'ordine. La grande impresa era stata compiuta in poco più di selle mesi". A completamento della sintesi di Badoglio, dedicata alle operazioni principali de I fronte nord, si deve ricordare che il 12 gennaio 1936 il generale Graziani <17>, comandante delle truppe dislocate in Somalia, aveva preso l'iniziativa contro l'armata di ras Dcstà, bancndola dopo tre giorni di combattimenti cd inseguendo i superstiti fino a Neghelli con un balzo di 380 km. Nella seconda metà di aprile Graziani condusse un altro ciclo operativo contro le forze del degiac Nasibù, che si era fortificato sulla linea Sassabaneh-B ullale-Degabur anche con postat.ioni in caverna. L'operazione ebbe un completo successo ed il principale caposaldo abissino, Dcgabur, cadde il 30 aprile determinando il ripiegamento dell'avversario su Giggiga, raggiunta dalle nostre truppe il 5 maggio. Quattro
( 17) Del generale Rodolfo Graziani vds. il breve profilo biografico neUa pane Il di questo volume.
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giorni dopo , a Dire Daua, si effettuò il congiungimento delle truppe di Badoglio, che arrivavano da Addis Abeba, con quelle di Graziani provenienti da Harrar. La guerra ebbe fine, anche se furono necessarie in seguito operazioni di grande poliLia coloniale per domare le resistenze residue, sorte un po' dovunque nel vasto territoòo ed alimentate dall'aiuto inglese e soprattutto francese (IS>. Un 'ultima annotazione. Con l'intento di accelerare le operazioni e di risparmiare la vita delle nostre truppe, Badoglio chiese l'auLOrizzazione a Mussolini di impiegare aggressivi chimici contro le truppe etiopiche, autorizzazione che fu concessa. Fu una decisione profondamente errala: sotto il profilo militare perchè non recò alcun significativo vantaggio; sotto il profilo politico perchè offrì l'occasione di screditare le forze armate e, quindi, l'Italia a tutti coloro che all'estero avevano disapprovato il conflillo, considerato guerra d"aggressione dalla Società delle Nazioni (19). Per quanto alliene all'aspetto logistico della campagna, complessivamente furono inviati: in Eòtrea 8085 ufficiali. 8134 sottufficiali, 218.279 soldati, 143 carò armati, 16 autoblindo, 15.821 automezzi, 797 autoveicoli speciali, 908 motociclette; in Somalia 1822 uflìciali, 1903 sottufficiali , 47.078 soldati, 30 carri armati, 27 autoblindo. 135 pezzi d'artiglieria, 2684 automezzi, 640 autoveicoli speciali, 297 motociclette. L'apporto delle truppe indigene fu di 53.226 unità nel fronte nord e di 29.511 unità in quello sud. Le perdite per entrambi i fronti ammontarono a 1533 caduti nazionali c 2854 indigeni; i feriti furono complessivamente 7815. In appendice al capitolo le grandi unità che presero parte al conflitto ed i nomi dei comandanti. Sul piano strettamente militare il conflitto non offrì particolari ammaestramenti tattici estensibili ad una guerra di tipo europeo, se si eccettuano alcune conferme quali il positivo rendimento dell'autotrasporto tattico, la buona possibilità dell'artiglieria autotrainata di muovere anche fuori strada, le insufficienti prestazioni dei carri L (20)_ La guerra ebbe, invece, conseguenze negative per il depauperamento delle scorte, solo parzialmente reintegrate in seguito anche per il prolungarsi dei consumi dovuti alle grandi operazioni di polizia coloniale, e per il suo alto costo, valutato comunemente in circa IO miliardi, che di fatto provocò un ulte-
( 18) Poichè nel penodo considerato Italia e Francia non erano m guerra. l'attività d1 sostegno ai focolai di gueniglia fu clandestina e non esistono pubblicazioni ufficiali che la quantifichino con esattezza. Alcuni anicoli apparsi sulla rivista francese di storia militare negli ultimi venti anni, consentono però di definire no1evole tale anività. ( 19) Nel periodo 1922 -1927 gli eserciti spagnolo e francese avevano impiegato aggressivi chimici contro i ribelli marocchini di Abd-el-Krim senza provocare reazioni nell'ambiente internazionale. Cfr. sull'argomento Kunz e Muller, Gift,:as gegen Abd-el-Krim. Deutschla11d. Spa111t11 u11d der Gaskrieg in Spanisch-Marokko 1922-1927. Freiburg, Rombach 1990. (20) Vds. sull"argomento: P. Badoglio, la guerra d'Etiopia, Mondadon. Milano 1937, pagg. 214-216.
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riore slittamento della concessione dei crediti straordinari per il piano di potenziamento. Sotto il profilo strategico, nel quadro di un futuro confli tto con l'Inghilterra, l'impero avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo, come base di partenza e di alimenta?ione di una robusta offensiva che, attraverso il Sudan, avrebbe potuto incidere sul canale di Suez. Per realizzare una tale impresa sarebbe stato necessario dotare il nuovo territorio di un'autosufficienza di almeno 18 mesi e conferirgli una adeguata autonomia produttiva con l'impianto di stabilimenti e di officine, "nella considerazione", scrisse con molta lucidità Baistrocchi a Mussolini, "che l'impero, in caso di connagrazione generale, rappresenta per noi non una forza, ma un pericolo, soprattutto per le difficoltà, anzi, l'impossibilità di rifornirlo attraverso il mare e l'aria ... ". Mussolini non gradì una tanto franca e razionale lezione di strategia e sostituì con il generale Pariani (7 ottobre 1936) Baistrocchi, anche perché questi si dimostrava contrario ad un nostro impegno nella guerra civile spagnola. 5. Nel luglio 1936 un pronunciamento militare nel Marocco spagnolo si trasformò immediatamente in una durissima guerra civile, nella quale furono quasi subito coinvolte le maggiori potenze europee: Inghilterra, Francia e Unione Sovietica a favore del legittimo governo spagnolo, Italia e Germania a favore degli insorti. Già il 6 agosto aerei italiani scortarono un convoglio spagnolo che trasportava truppe marocchine da Ceuta ed Algesiras e, tra la line di agosto e la fine di novembre, furono inviati in Spagna due compagnie di carri, una batteria da 65/17, un nucleo di ufficiali. sottufficiali e militari di truppa, volontari, come istruttori, e molti materiali: 20.000 fucili, I 02 fucili mitragliatori e mitragliatrici, 50 mortai da 45, 32 cannoni da 65/17, 60.000 uniformi, 75.000 coperte, 50.000 elmetti, 16.000.000 di cartucce, 70.000 maschere antigas. Successivamente, quando l'Italia riconobbe come unico governo spagnolo quello na1.ionalista di Burgos, fu inviato anche un robusto contingente di truppe, il Corpo Truppe Volontarie (C.T.V.), di circa 40.000 unità, articolato su quattro smilze divisioni di formazione, costituite con personale volontario molto eterogeneo e proveniente in gran parte dalle unità della M.V.S.N. Al comando di queste truppe fu posto il generale Roatta (21) che ebbe come capo di Stato Maggiore il ten. col. Faldella (22}_ il C.T.V., che nonostante il contrario parere degli Spagnoli fu inpiegato unitariamente sotto comando italiano, ottenne nei primi giorni di febbraio un buon successo, conquistando il porto di Malaga e battendo forre repubblicane molto superiori. Questa indiscutibile vittoria provocò da parte di Mussolini una sopravvalutazione delle effettive capacità operative del C.T.V. e da parte del
(21) Del generale Mario Roatta vds. il breve profilo biografico nella pane Il di questo volume. (22) Del generale Emilio Faldella vds. il breve profilo biografico nella pane Il di questo volume .
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generale Roatta una sottovalutazione delle notevolissime carenze addestrati ve e disciplinari che sia la truppa sia molti Quadri avevano subito manifestato. Come successiva operazione del C.T.V., nel frattempo spostato a nord, fu deciso di effettuare una rapida offensiva su Guadalajara. Il piano operativo, molto schematico e molto ottimistico, prevedeva un attacco a botta dritta: violenta e rapida rottura delle difese avversarie a cavallo della direttrice SiguenzaGuadalajara e successiva avanzata con truppe autotrasportate su Guadalajara. Per impedire da parte avversaria l'invio di rinforzi, le truppe nazionaliste avrebbero effettuato una contemporanea aLione diversiva sul Jarama. La mattina delr8 mar Lo 1937, nonostante le avverse condizioni atmosferiche non consentjssero il previsto appoggio aereo, l'attacco fu sferrato dopo una breve preparazione d'artiglieria. La violenta e soprattutto rapida rottura non ci fu; i repubblicani si batterono con grande accanimento e rinforzarono immediatamente le loro difese, manovrando per le linee interne e facendo afnuire le loro migliori truppe, le brigate internazionali. I nazionalisti dal canto loro non effettuarono la prevista azione diversiva sul Jarama. li C.T.V. continuò comunque ad impegnarsi e, nonostante l'inclemenza del tempo che ostacolava fortemente il movimento fuori strada. riuscì ad avanzare sia pure con lenteaa ed a preLzo di perdite sensibili. Nei giorni successivi lo scenario non mutò, accanita difesa dei repubblicani, lenta e faticosa avanzata del C.T.V., condizioni atmosferiche sempre proibitive, inazione nazionalista o quasi sul Jarama. "La giornata dell' I I marzo segnò, in pratica, la fine della prima fase della battaglia di Guadalajara, quella espressa dall'azione offensiva del C.T.V. Questa aveva conseguito risultati tattici di rilievo, concretatisi in una penetra.lione nel territorio dei repubblicani profonda 35 chilometri e ampia circa 20, ma aveva mancato l'obbiettivo strategico di Guadalajara, ancora distante una ventina di chilometri" <23l. Roana, resosi conto che la capacità offensiva del C.T.V. si era esaurita e che il rapporto di forze era divenuto favorevole all'avversario in seguito al continuo afflusso di forze dagli altri settori, decise di fermarsi sulle posizioni raggiunte. Il 13 i nazionalisti effettuarono finalmente un attacco sul Jarama, ma l'azione, tardiva e non abbastanza consistente, non alleggerl la pressione repubblicana sulla nostra fronte. Per alcuni giorni la situazione fu di relativa calma, tanto che nella mattinata del 19 Roatta, senza cedere il comando al brigadiere più anziano, si recò a Salamanca per conferire con il generale Franco. Nel primo pomeriggio si scatenò l'attacco repubblicano, improvviso e robusto (24 l. Nel complesso le linee italiane tennero bene, ad eccezione di quelle di Brihuega, tenute dalla 1• divisione. Qui il l O gruppo banderas, nominativo spagnolo di un complesso di forze equivalenti al nostro reggimento, cedeue alla
(23) A. Rov1ghi e F. S1efam. La partecipazione iwliana tilla guerra m·ile spag11olt1 ( 1936/939), USSME, Roma 1992. Voi. I, pag. 274. (24) I repubblicani impiegarono 5 brigate per complessivi 50 battaglioni. 2 gruppi assalto. 4 squadroni di cavalleria. 8 bauaglioni speciali, 55 pezzi d'artiglieria e 90 carri armati.
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pressione avversaria e non riuscì a riorganizzarsi su posizioni retrostanti, anche per la morte in combattimento del comandante. Il 2° gruppo banderas, d'iniziativa, riuscì a chiudere il varco e la situazione sembrò ristabilita, tanto più che l'attacco avversario si era prima affievolito e poi, aJJe ore 19.00, fermato. L'impressionabile comandante della 1• divisione però alle 19.15 telefonò al capo di Stato Maggiore del C.T.V. e gli comunicò di aver dato l'ordine alla sua divisione di ritirarsi. Sembrò necessario allora ritirare tutte le truppe sulla 2• posizione. I repubblicani, evidentemente provati, il giorno successivo non reiterarono l'attacco e consentirono così alle nostre unità di rafforzarsi sulle posizioni e di respingere con energia gli attacchi violenti ed insistiti del 21 e del 22. Il successo difensivo conseguito dal C.T.V. nei giorni 21 e 22 fu rilevante: sul piano strategico, in quanto determinò la decisione del comando repubblicano di rinunziare alla continuazione dell'azione controffensiva; sul piano tattico, per le efficaci modalità con le quali fu attuata dalla 2• divisione la difesa della 2• posizione; sul piano morale e psicologico perché il C.T.V., dopo il ripiegamento dei giorni 18 e 19 marzo, riacquistò fiducia in se stesso, nelle sue anni e nei suoi comandanti. La battaglia può quindi essere ripartita in tre fasi: avanzata italiana e suo arresto per l'irrigidimento della difesa repubblicana; controffensiva repubblicana e ripiegamento del C.T.V. sulla 2• posizione; arresto della controffensiva repubblicana e conseguente successo difensivo del C.T.V. Non fu, pertanto, Guadalajara quella sconfitta vergognosa e disonorevole, propagandata per anni da giornalisti faziosi e da storici in mala fede. Ancora ai giorni nostri la leggenda di una nostra disastrosa sconfitta è largamente diffusa. Nel Diario della seconda guerra mondiale, distribuito da un quotidiano milanese nella primavera del 1995 per incrementarne la diffusione, così è presentata la battaglia: "Marzo, 18. A Guadalajara, sulla via per Madrid, le camice nere italiane sono duramente sconfitte dalle forze repubblicane e dalle Brigate internazionali". Non molto veritiera è pure l'opinione che i carri sovietici siano stati i protagonisti della battaglia ed è quindi senza fondamento l'aspro rimprovero che il Rochat nella sua Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943 rivolge alle alte gerarchie militari, colpevoli, a suo dire, di non aver compreso la lezione e di non aver impresso una più marcata meccanizzazione alle nostro unità: "Fu responsabilità precisa e senza attenuanti dei comandanti dell'esercito e d elle forze armate e dei dirigenti fascisti l'aver evitato di prendere atto di una esperienza che contraddiceva l'ipotesi di sviluppo dell'esercito". L'insuccesso di Guadalajara fu dovuto soprattutto alla superficialità della concezione operativa iniziale ed alla deficiente azione di controllo esercitata dal comando del C.T.V. il giorno 18, non dall'impiego dei carri sovietici. Il numero stesso delle perdite è un indice sicure che il C.T.V., nel complesso, combattè con notevole accanimento: 4 I 5 morti, 1969 feriti e 15 3 dispersi da parte italiana; secondo molti autori le perdite repubblicane furono di 2200 morti, 4000 feriti, 400 prigionieri, secondo altri non superarono complessivamente le 6000 unità, comunque perdite rilevanti.
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L'insuccesso dell'offensiva fu avvertito pesantemente a Roma, Roatta fu sostituito con il generale Bastico (25). Il nuovo comandante si rese conto immediatamente che il modesto grado di capacità operativa del C.T.V. era dovuto all'eterogeneità del reclutamento ed alla deficiente prepara1.ione tecnica di gran parte dei Quadri, specie di quelli provenienti dalla M.V.S.N. e si mise al lavoro con impegno: gli elementi inidonei moralmente e fisicamente furono subito rimpatriati, dall'Italia giunsero uflìciali e souufficiali meglio preparati e maggiormente capaci, furono istituiti adeguati corsi di addestramento per sottufficiali e graduati, fu riordinato il comando e migliorata l'organizzazione logistica. In brevissimo tempo il comando del C.T.V. assunse la fisionomia di un comando di grande unità complessa, dotata anche di autosufficienza logistica con una propria intendenza, con generale beneficio delle unità dipendenti che da quel momento ricevettero direttive cd ordini adeguati e poterono fruire di un supporto tattico e logistico aderente, tempestivo e calibrato alle esigenze operative. Lo Stato Maggore dell'esercito fu quindi sollecito nel trarre dall'episodio i dovuti ammaestramenti e nell'adouare adeguati provvedimenti per colmare le lacune rivelatesi nell'organizzazione del C.T.V. Su richiesta del comando spagnolo già dal 31 marzo unità di fanteria e di artiglieria del C.T. V. presero parte alle operazioni dei nazionalisti in Biscaglia, terminate con l'occupazione di Bilbao il 19 giugno, e l'intero C.T.V. ebbe una parte determinante nell'offensiva successiva per la conquista di Santander, avvenuta dopo una violenta baltaglia, durata dal 12 al 26 agosto, organizzata e condotta dal generale Bastico con grande capacità. Paradossalmente proprio il notevole successo italiano provocò il risentimento di Franco, contrariato per le umanitarie condizioni di resa che Bastico aveva garantito ai 20.000 baschi catturati dal C.T.V. Mussolini, fiero difensore del prestigio italiano solo a parole, cedette alle richieste di Franco e il 10 ottobre il comando del C.T.V. passò al generale Berti, già vice comandante. Un attento esame della vicenda conferma che il comportamento di Bastico fu sempre di estrema correttezza e che l'incidente deve essere attribuito solo allo smisurato orgoglio ed alla eccessiva suscettibilità del generalissimo spagnolo. Il C.T.V., che subito dopo la resa di Santander aveva validamente contribuito a contenere cd a arrestare l'offensiva repubblicana in Aragona (seuembreottobre), ebbe una parte da protagonista nell 'offensiva nazionalista del marzoaprile 1938 che portò le nostre truppe alla conquista di Alcaniz e di Tortosa, dividendo in due tronconi il territorio ancora occupato dai repubblicani. Successivamente il C.T.V. ebbe ancora una parte di rilievo nell'offensiva su Valencia del luglio, offensiva interrotta a poca distanza dalla capitale repubblicana per recuperare le forze necessarie ad arrestare la controffensiva sferrata dai repubblicani sull'Ebro.
(25) Dal Maresciallo Euore Bastico vds. il breve profilo biografico nella parte Il di ques10 volume.
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Anche in questa circostanza Franco richiese il concorso di singole unità italiane, soprattutto di artiglieria, rifiutando l'impiego unitario del C.T.Y. Mussolini decise allora il ritiro di 10.000 volontari, anche per dare una prova di buona volontà al governo inglese ed ottenere il riconoscimento della conquista dell ' Etiopia. li C.T.V. fu pertanto ristrutturato ed il comando fu affidato al generale Gambara, già capo di Stato Maggiore del C.T.V. fin dall'aprile 1937. Anche nella nuova e ridotta formazione (1 divisione completamente nazionale, 3 divisioni miste, l raggruppamento carri ed I di artiglieria nazionale) il C.T.V. partecipò attivamente alle ultime operazioni di rilievo: l'offensiva in Catalogna del dicembre I 938 - gennaio 1939 e l'offensiva finale che portò il C.T.V. alla conquista del porto di Alicante il 30 marzo 1939, segnando la conclusione del lungo conflitto. Il 19 maggio il C.T.V. prese parte alla grande rivista militare di Madrid, sfilando alla testa delle unità nazionaliste ed alleate al suono della banda dei carabinieri, inviata appositamente dall 'ltalia. li 1° giugno i reparti si imbarcarono a Cadice per Napoli, dove il C.T.V. fu ufficialmente sciolto. Il comportamento onorevole del C.T.V. non può far dimenticare che la partecipazione alla guerra civile spagnola fu per l'Italia del tutto negativa. Sotto l'aspetto umano per il numero elevato delle perdite: 277 ufficiali (172 dell' esercito, 105 della M.V.S.N.) e 2764 sottufficiali e soldati (1407 dell'esercito, 1357 della M.V.S.N.) caduti, 981 ufficiali (582 dell'esercito, 399 della M.V.S.N.) e 10.205 sottufficiali e soldati (5005 dell'esercito e 5200 della M.V.S.N.) feriti, 9 ufficiali (5 del!' esercito, 4 della M.V .S.N.) e 216 sottufficiali e soldati (92 dell 'esercito, 124 della M.V.S.N.) dispersi a cui debbono essere aggiunti altri 272 militari deceduti per malattia e per incidenti vari (2 6); sotto quello politico perché rafforzò l'intesa ideologica tra fascismo e nazismo e determinò l'allineamento della politica italiana a quella tedesca; sotto quello del!' immagine perché gli Spagnoli, premuti dall'esigenza di minimizzare l'apporto straniero per accentuare di fronte ali' opinione pubblica internazionale il carattere nazionale della guerra e spronati dall'immenso orgoglio, non riconobbero mai la determinante importanza del nostro contributo; sollo quello economico perché comportò una spesa di oltre 6 miliardi; infine sotto quello militare perché gli ammaestramenti tratti dal conflitto non portarono alla realizzazione di nuove armi nè all'adozione di nuovi procedimenti di impiego, anche se contribuirono ad accelerare l'attuazione dei programmi di completamento e di ammodernamento dell'esercito già previsti da parecchi anni. Le esperienze del C.T.Y. avevano evidenziato l'importanza del concorso aereo diretto, il buon rendimento dell'autotrasporto tattico, le carenze meccaniche e l'insufficiente armamento dei carri L, la maggiore rispondenza della divisione ternaria rispetto a quella binaria, l'efficacia del cannone da 47/32 e della mitragliera da 20, la necessità di dotare la compagnia fucilieri di un plotone mitraglieri, la debolezza organica del battaglione fanteria sprovvisto di mor-
(26) Dati riportati dal f. n° 387 in data 6 giugno 1939 del ministero deUa Guerra-Gabinetto.
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tai medi e di armi controcarro, il buon rendimento della batteria da 65/17 nell'azione di accompagnamento. Come sempre difficoltà di caranere fìnan1iario e la debolezza dell'apparato industriale non consentirono la realizzazione sollecita del carro medio munito di cannone, la distribuzione a livello battaglione del mortaio da 81, l'incremento della motorizzazione delle unità. Per quanto recepite sul piano concettuale le esperienze spagnole furono perciò sterili, per contro il depaurimento delle scorte e delle dota1ioni incise in misura sensibile sulla nostra preparazione militare. Solo per quanto attiene all'esercito furono invale in Spagna, infatti, 160.000 tonnellate di materiali, tra i quali l.930 bocche da fuoco, 10.000 anni automatiche, 149 carri armati, 75.000.000 proiettili d 'artiglieria, 380.000.000 cartucce, 4.633 autovetture e autocarri, l.189 trattori, 869 autoveicoli speciali. 6. Lo Stato Maggiore per rendere meno elevato il divario tra la dottrina e lo strumento operativo decise, nell'estate del 1936, di costituire la prima brigata motomeccanizzata. la prima divisione motoriu.ata e di portare da I a 3 i reggimenti di fanteria carrista. Un primo segno che, almeno sotto il profìlo concettuale, vi era la volontà di cambiare rotta. Nello stesso anno anche la dottrina d'impiego fece un passo in avanti, affidando alle unità carriste il compito di aprire la strada alla fanteria in terreni non fortemente organizzati, assegnando: ai carri L il compito di concorso alla sicurezza durante il movimento e lo schieramento della grande unità e di concorso alla rottura nel combattimento; ai carri M il compito di attacco nelle alioni manovrate a largo raggio cd in quelle di rottura; ai carri P il compito di rinforzo all'azione dei carri M. In realtà l'eserc ito disponeva solo dei carri leggeri, quello medio era, come si è già visto, allo stadio di prototipo e quello pesante nemmeno definito nelle caratteristiche tecniche e di impiego. Nel luglio 1937 si procedette alla costituLione di due brigate corau.ate con compiti autonomi, la Centauro e l'Ariete, trasformate nel 1939 in divisioni, sempre però equipaggiate con carri L. Contemporaneamente il generale Pariani volle rivedere tutta l'intelaiatura dell 'esercito cd in particolare la struttura della divisione, poco rispondente a suo giudizio a quella guerra di rapido corso che sembrava sempre più essere la guerra del futuro. Durante la guerra d'Etiopia erano state inviate prima due e poi tre divisioni in Libia, tutte su due soli reggimenti di fanteria allo scopo di poterle più facilmente rendere autotrasportabili. Indubbiamente queste grandi unità, non impiegate però in guerra, si erano rivelate più snelle e più manovriere e Pariani ritenne che in quell'espediente, del tutto occasionale, risiedesse la soluzione del problema e decise di estendere la formazione binaria a tutte le divisioni. La debole motivazione ufficiale del provvedimento affermava che l'introduzione delle nuove armi per la fanteria e la motorizzazione di buona parte dell'artiglieria, del genio e dei servizi divisionali avevano appesantito troppo la divisione e che, per conservarne la comandabilità e la possibilità di impiego unitario, era
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indispensabile snellirne l'organico. Alla nuova divisione sarebbe stato affidato solo il compito della rottura e della penetrazione, trasferendo al corpo d'armata la responsabilità della manovra. La nuova grande unità fu ·'sperimentata" nelle grandi manovre estive del I 937 e del 1938, con lo scontatissimo esito positivo che Pariani si aspettava e, nonostante l'opposizione di Badoglio e di larghi strati della gerarchia, il provvedimento fu varato. Anche in Senato la riforma fu duramente criticata, in particolare il generale Zoppi, già Ispettore della fanteria e padre spirituale dei celeri, osservò che aumentare il numero delle divisioni significava aumen1are il numero dei comandi, con conseguente diluizione degli elementi migliori, e che non vi era alcuna convenient.a operativa nel trasferimento della manovra a livello corpo d'armata. Ma proprio nell'aumento del numero delle divisioni s1ava il motivo della riforma organica: nei rapporti internazionali la potent.a di un esercito era valutata sul numero delle divisioni. Il generale Pariani aveva compreso che la situazione strategica italiana era profondamente mutata e che, per la prima volta nella storia d'Italia, si profilava la possibilità di una guerra non soltanto contro la Francia ed i suoi alleati balcanici ma anche contro la Gran Bretagna e che il principale teatro di guerra non sarebbe stato più la cerchia alpina ma il Medi1erraneo e l'Africa. "Anzi, proprio in Africa ci sarebbe stato lo scontro strategico principale e l'obiettivo essenziale: il canale di Suez, da conquistare partendo dalla Libia" <27 >. Queste convinzi oni originarono i primi provvedimenti per l'Africa Settemrionale: un nuovo impulso alla costruzione di cinte fortificate attorno a Tripoli, Tobruck e Bardia; l'invio di quattro divisioni di fanteria; le predisposizioni per mobilitare all'emergenza truppe indigene e rafforzare il regio corpo truppe della Libia. Pariani, tuttavia, non comprese che nel teatro operativo africano le divisioni di fanteria, più snelle ma anche meno potenti e sempre appiedate, avrebbero offerto un rendimento molto modesto e non inviò a Tripoli le poche unità carriste esistenti, dove avrebbero almeno potuto addestrarsi e prendere confidenza con l'ambiente del futuro conniuo. Pariani, inoltre, non valutò correttamente il tempo a disposizione, credette erroneamente che la guerra fosse ancora molto lontana e, di conseguenza, ritenne che l'esercito avrebbe avuto il tempo per assimilare i nuovi ordinamenti e che l' industria avrebbe avuto la capacità di produrre le nuove armi in quantitativi adeguati. Purtroppo le previsioni ottimistiche del capo di Stato Maggiore dell'esercito furono ampiamente smentite dai fatti e le sue pur brillanti previsioni strategiche non contribuirono alla preparazione dell 'esercito. L'ordinamento Pariani del 22 dicembre 1938 stabilì per l'esercito metropolitano: 5 comandi di armata, 17 corpi di armata, 1 corpo d'armata corazzato,
(27) D. Ferrari. Per u11tJ studio della pcJ/11ica mi/Ilare del ge11eralt Alberto Parwm. in S1ud1 .rtorico militari 1988. USSME. Roma 1990. pag. 378.
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comando superiore truppe alpine, l corpo d' annata celere, 51 divisioni di fanteria, 5 divisioni alpine, 3 divisioni celeri. 2 divisioni corazzate. L'aumento del numero delle divisioni e dei corpi d'armata comportò automaticamente l'aumento dei supporti tattici e logistici, i reggimenti d'artiglieria divisionale salirono a 51, quelli di artiglieria da montagna a 5, e così di seguito. Il nuovo ordinamento sotto il profilo teorico presentava indubbiamente qualche positiva innovazione, come la differenziazione e la specializzazione delle grandi unità in relazione ai compiti operativi. In realtà non esistevano i materiali necessari per attuare il nuovo ordinamento e non solo si continuarono ad impiegare carri L dove erano previsti carri M o P, ma si continuarono ad annare i reggimenti con i pezzi da 65/17 invece dei moderni 47/32, la batteria divisionale contraerea da 20 rimase in molti casi un'intenzione, la motorizzazione dei gruppi divisionali da 75/27 e da 100/ 17 fu possibile solo per alcune divisioni. Il divario tra l'enunciazione teorica e la realizzazione pratica, costante negativa dell'esercito fin dal suo nascere, continuò anche alla vigilia del secondo conflitto mondiale, anzi si aggravò. Dall'adozione del nuovo organico della divisione derivò poi la necessità di apportare qualche adattamento alla normativa in vigore, Pariani rimediò con la circolare 9000, La dottrina tattica nelle realizzazioni dell'anno XVI, diramata nel tardo autunno 1938 allo scopo di fornire i principi fondamentali della guerra di rapido corso, espressione che si volle sostituire a quella, più generica, di guerra di movimento. La divisione assunse il ruolo di grande unità base del combattimento e ricevette il compito limitato dell'urto e della penetrazione nel dispositivo nemico: il corpo d'armata, su 2-4 divisioni ed anche più, la fisionomia della grande unità di manovra in grado di svolgere, nel quadro dell'annata, più atti del combattimento con le sue sole forze; l'armata conservò il proprio carattere strategico e logistico; il gruppo d'armate, di costituzione eventuale, rimase con compiti esclusivamente strategici di coordinamento dell'azione delle armate. L'azione offensiva fu scomposta in varie fasi. Iniziava con la marcia al nemico, durante la quale la conoscenza della situazione avversaria veniva ottenuta mediante l'esplorazione strategica aerea e terrestre, diretta dai comandi di annata, e l' esplorazione tattica, anch'essa aerea e terrestre, diretta dai comandi dei corpi d'armata in prima schiera. Seguivano i combattimenti preliminari, coordinati dai corpi d'armata, tendenti a saggiare il nemico ed a migliorare, con l'occupazione di determinate posizioni, le possibilità di osservazione e dell'attacco. L'attacco - peculiare delle divisioni di fanteria - sferrato nella direzione più redditizia mercé un susseguirsi di potenti colpi di divisione, ad intervalli quanto più brevi possibili, sino a disgregare la consistenza avversaria ed a creare le premesse per l'avvolgimento e lo scardinamento dei tronconi. In tale ambito l'azione della divisione inquadrata (fronte 1.000 -1.500 metri) era spiccatamente unitaria, ossia; direzione unica, senza alcun frazionamento in azioni principale e sussidiarie, con un dispositivo su due o tre scaglioni di battaglioni, secondo la diistanza dell'obbiettivo di attacco e le presumibili diffi-
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coltà per raggiungerlo. Il primo scaglione era destinato all'urto iniziale, gli altri ad alimentare la penetrazione. Non appena ottenuto il cedimento di un tratto della posizione, occorreva ricercare il completamento del successo, in estensione ed in profondità, sì da allargare e dar consistenza alla breccia. Ultimo atto era lo sfruttamento del successo ad opera di grandi unità speciali prontamente gettate nel varco realizzato. L'azione difensiva tendeva a sfruttare al massimo terreno e mezzi, con lo scopo di logorare il nemko e riprendere, appena possibile, l'iniziativa. Era condolta sulla base di un piano di resistenza, impostato essenzialmente sul l'adattamento del fuoco al terreno, e prevedeva una manovra controffensiva, sferrata a massa allorchè l' attacco fosse stato logorato ed arrestato. Nessuna variante di rilievo, in sostanza, a quanto già indicato dalle Norme per il combattimento della divisione. Il 1° dicembre 1938 fu diramata la circolare Impiego delle unità carriste che espresse principi e procedimenti d'impiego validissimi, ma che non furono compresi ed assimilati dai Quadri di grado più elevato, anche per la mancanza di adeguate esercitazioni sul terreno, le sole che consentono di rendere familiare l'impiego di nuovi mezzi. "La quasi totalità dei quadri delle varie armi, più che nelle esercitazioni in cooperazione, aveva visto i carri annati nelle parate e nelle riviste"<28). Non furono comunque le antiquate concezioni tattiche di alcuni comandanti la causa dell'esito infelice del conflitto nel quale presto l'Italia sarà coinvolta, una rilevanza molto maggiore ebbero le carenze qualitative e quantitative dell'armamento e dell'equipaggiamento. Solo nel luglio 1938 Mussolini si decise ad accordare all'esercito uno stanziamento straordinario di 5 miliardi, frazionato peraltro in cinque esercizi finanziari. Il generale Pariani dette immediatamente inizio alla produzione in serie delle nuove artiglierie, ma dovette constatare che le industrie del settore, incapaci di produrre le nuove bocche da fuoco nel numero e nei tempi richiesti, si impegnarono solo allora ad ampliare ed ammodernare gli impianti, naturalmente a fronte di un contributo statale e per giunta anticipato. Il risultato di una così previdente politica industriale fu che, al momento di entrare in guerra, le artiglierie moderne erano in tutto 2497, di cui 1204 mitragliere da 20, I00 pezzi da 37/40 per i carri M, 928 pezzi da 47/32 per le compagnie controcarro, I 14 pezzi da 75/18 mod. 34, 4 da 75/18 mod. 35, 39 da 149/40, 16 da 210/22 e 92 da 75/46 controaerei. La massa delle artiglierie in dotazione, obici da 75/13, da 100/17, da 149/35 e cannoni da 75/27 e da 105/28, risalivano alla prima guerra mondiale. Anche la sostituzione del traino animale con quello meccanico fu attuata soltanto in parte e riguardò quasi esclusivamente le artiglierie pesanti e pesanti campali . Soltanto le divisioni dislocate in Libia e quelle dell'armata del Po disponevano nell'estate 1940 di artiglierie a traino meccanico.
(28) F. Stefani. op.cir.. pag. 556.
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Per quanto riguarda i mezzi coraaati, gli unici risultati furono la produ1ione in serie del carro M 13 con cannone da 47/32 in torreua - indubbiamente migliore del carro M 11 che aveva un pezzo da 37/40 in casamatta, ma ugualmente lento e poco protetto - e dell' autoblindo AB40, che però sarà disponibile solo nell'autunno 1941. Notevoli, infine, le carenze nel seuore automobilistico e nel settore del vestiario e delle calzature. Ma non sarebbe stato il generale Pariani a "soffrire" in prima persona per le penose condizioni generali dell'esercito. Senza un particolare motivo il I 3 novembre 1939 Mussolini lo congedò bruscamente e a capo di Stato Maggiore dell'esercito fu nominato il Maresciallo Graziani e poichè già dal 31 ottobre era stato nominato sottosegretario di Stato alla Guerra il generale Soddu (29 >, l'esercito ritornò ad essere guidato dal tradizionale binomio ministro-capo di Stato Maggiore.
(29) Ubaldo Soddu ( 1883-1949). Sono1enente di fanteria nel 1904. Dal 1913 prestò serviz.io I6' e poi nel 38° fanteria. panec1pando a numerosi conbanimenti e meritando la promozione a tenente colonne llo per meriti eccezionali. Successivamente fu intendente e capo di Stato Maggiore del governo de lla Ci renaica. Nel giugno 1918 fu trasferito in Francia, nel Il corpo d'armata del generale Albricci. dove comandò interinalmente il 5° fanteria e meritò due medaglie d'argento al v m Nel dopoguerra prestò servuio al Comando Supremo e frequentò la Scuola di Guerra. dass1ficandosi IO del suo corso. Colonnello nel 1927. fu insegnante presso la Scuola di Guerra. comandò I' 89° fanteria e poi la Scuola Centrale di fan teria. Promosso generale di brigata per meriti eccezionali nel 1934, fu capo di gabinetto del ministro della Guerra fino al I936, quando con~eguì una ter,a promozione per meriti eccezionali e prese il comando della divisione Granatieri di Sardegna. Nel dicembre 1937 fu nominato sonocapo di Stato Maggiore dell'esercito per le operaLioni e dal 3 I ottobre 1939. promosso generale di corpo d'arm:ua. sonosegretario di Stato alla Guerra. Lasciò l'incarico il 30 novembre 1940 per assumere quello di Comandante Superiore in Albania. incarico che dovette cedere il 30 dicembre al generale Cavallero, essendosi dimostrato caratterialmente impari al grave compito. in Libia nel
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Appendice al capitolo XV
Guerra italo-etiopica: comandanti e grandi unità - Comandante Superiore; generale Emilio De Bono dal 3 ottobre al 14 novembre 1935, Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio dal 15 novembre 1935; - capo di Stato Maggiore: generale Gabba; - intendente: generale Dall'Ora; - comandante dell'artiglieria: generale Garavelli; - comandante del genio: generale Caffo; - comandante truppe della Somalia: generale Rodolfo Graziani ;
- comandanti dei corpi d'armata • I : generale Santini • II : generale Maravigna • III : generale Bastico • N : generale Babini • corpo d'armata indigeno: generale Pirzio Biroli
- divisioni metropolitane • Gavinana (70°, 83°, 84° fanteria) • Peloritana (3°, 4°, 75° fanteria) • Gran Sasso ( 13°, 14°, 225° fanteria) • Sila ( I 6°, I9°, 20° fanteria) • Sabauda (46°, 60°, 62° fanteria) • Cosseria (41 °, 42°, 49° fanteria) • Assietta (29°, 44°, 63° fanteria) • Pusteria (7° e 11 ° alpini)
: generale Villasanta : generale Bertoldi : duca di Bergamo : generale Bertini : generale Garibaldi : generale Olivetti : generale Riccardi : generale Negri-Cesi
- divisioni CC.NN: • 1• 23 marzo (135', 192•, 202• legione) : generale Siciliani • 2· 28 ottobre (114·, 116·, 1so· legione) : generale Somma • 3• 21 aprile (230•, 252•, 263• legione) : generale Appiatti • 4• 3 gennaio c101·, 104•, l 1S9 legione) : generale Traditi : generale Terruzzi • 5' 10febbraio(l07•, 12s•, 142") • 6· Tevere (219", 220", 221•, 231 1 ) : generale Boscardi
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- gruppi CC.NN.: • I (I, II, III e IV battaglione) : console generale Diamanti • VI (LXXI, LXXXII, CXI, LXXI battaglione): console generale Montagna
- divisioni indigene: • 1• (I, III, V gruppo battaglioni eritrei): generale Pesenti • 2• (11, IV, VII gruppo battaglioni eritrei): generale Dalmazzo • 1• Libia (1°, 2°, 4° reggimento): generale Nasi • truppe indigene della Somalia (X, Xl, Xli battaglioni somali): generale Frusci
XVI. LA GUERRA PARALLELA
l. Il 6 maggio 1939 Mussolini diede al ministro degli Esteri Galeazzo Ciano l'ordine di accettare l'invito tedesco a concludere un'alleanza militare. Mussolini aveva preso una tale decisione dopo che il ministro degli Esteri tedesco, von Ribbentrop. aveva ripetutamente assicurato che la Germania desiderava mantenersi in pace per un periodo non inferiore a quattro o cinque anni. In realtà le intenzioni di Hitler erano altre e la firma del Patto d'acciaio, avvenuta il 22 maggio 1939, costituì un atto di grave insipienza politica da parte di Mussolini che legò l'Italia mani e piedi ad un alleato molto più forte e, quindi, fatalmente destinato a divenire invadente e prepotente. Il l O settembre 1939 la Germania invase la Polonia senza consultare in proposito l'Italia, dando inizio alla seconda guerra mondiale. Mussolini non ebbe il coraggio di dichiarare apertamente all'alleato che tale modo di agire, violando tutti i presupposti del Patto d'acciaio - lungo periodo di pace e continue consultazioni tra gli alleati - aveva invalidato l'alleanza stessa e preferì dichiararsi pronto ad entrare in guerra purché i Tedeschi fornissero i materiali necessari per completare la nostra preparazione militare. Le richieste italiane furono così esorbitanti che la Germania non potè soddisfarle ed allora Mussolini rinunciò ad entrare nel conflitto, ma invece di proclamare la neutralità preferì ricorrere alla formula ambigua della non belligeranza e rimase così attaccato al carro nazista. Il 4 aprile 1940 il Maresciallo Badoglio consegnò personalmente al Capo del Governo una lettera nella quale era riassunta la situazione militare italiana ed era precisato che, a causa delle difficoltà provocate dal conOitto in atto nel!' approvvigionamento delle materie prime, la preparazione alla guerra, in quel momento al 40%, non avrebbe potuto concludersi alla fine del 1942, come era stato previsto (0, ma soltanto un anno dopo quel termine. Mussolini rispose due giorni dopo con una memoria segretissima, retrodatata al 3 1 marzo, indirizzata al sovrano, al mini stro degli Esteri, al Maresciallo Badoglio ed ai capi di Stato Maggiore delle tre FF. AA. In essa dopo aver escluso la possibilità di una pace di compromesso, visto che gli Alleati avevano proclamato l'intenzione di ripristinare lo status quo, ricosti-
(I) Il 27.05. 1939, subito dopo la finna del Patto d'acciaio, Mussolini indirizzò ad Hitler una lunga lettera, nella quale indicò fino a tutto il 1942 il periodo di tempo ne,cessario all'Italia per prepararsi ad un connitto.
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tuendo la Polonia, la Cecoslovacchia e persino l'Austria, Mussolini passò a considerare la posizione italiana. Scartata la non belligeranza sino al termine del conflitto, scartato il passaggio al campo alleato, restava l'ipotesi della guerra parallela a quella tedesca per raggiungere gli obiettivi della libertà sui mari e della finestra sull'oceano: "L'Italia non può rimanere neutrale per tutta la durata della guerra, senza dimissionare dal suo ruolo, senza squalificarsi, senza ridursi al livello di una Svizzera moltiplicata per dieci. Il problema non è quindi di sapere se l'Italia entrerà o non entrerà in guerra perché l'Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra; si tratta soltanto di sapere quando e come: si tratta di ritardare il più a lungo possibile, compatibilmente con l'onore e la dignità, la nostra entrata in guerra: a) per prepararci in modo tale che il nostro intervento determini la decisione; b) perché l'Italia non può fare una guerra lunga, non può cioé spendere centinaia di miliardi, come sono costretti a fare i paesi attualmente belligeranti. Ma circa il quando, cioé la data, nel convegno del Brennero si è nettamente stabilito che ciò riguarda l'Italia e soltanto l'Italia". Di conseguenza le direttive del Capo del Governo per il piano di guerra furono fissate nella memoria in argomento nei seguenti tennini: "Fronte terrestre. Difensiva sulle Alpi Occidentali. Nessuna iniziativa. Sorveglianza. Iniziativa solo nel caso, a mio avviso improbabile, di un completo collasso francese sotto l'attacco tedesco. Una occupazione della Corsica può essere contemplata, ma forse il gioco non vale la candela: bisognerà però neutralizzare le basi aeree di quest'isola. Ad Oriente, verso la Jugoslavia, in un primo tempo, osservazione diffidente. Offensiva nel caso di un collasso interno di quello di Stato, dovuto alla secessione, già in atto, dei croati. Fronte albanese: l'atteggiamento verso nord (Jugoslavia) e sud (Grecia) è in relazione con quanto accadrà sul fronte orientale. Libia: difensiva tanto verso la Tunisia, quanto verso l'Egitto. L'idea di un'offensiva contro i l'Egitto è da scartare, dopo la costituzione dell'esercito di Weygand. Egeo: difensiva. Etiopia: offensiva per garantire l'Eritrea e operazioni su Gedaref e Kasala; offensiva su Gibuti, difensiva e al caso controffensiva sul fronte del Kenia. Aria. Adeguare la sua attività a quelle dell'Esercito e della Marina; attività offensiva o difensiva a seconda dei fronti e a seconda delle iniziative nemiche. Mare. Offensiva su tutta la linea nel Mediterraneo e fuori. È su queste direttive che gli Stati Maggiori devono basare i loro studi e il loro lavoro di preparazione senza perdere un'ora di tempo, poiché, malgrado la nostra volontà di ritardare - per le ragioni già dette - il più a lungo possibile la
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nostra attuale non belligeranza, la volontà dei Franco-Inglesi o una complicazione impreveduta potrebbe metterci, anche in un avvenire immediato, di fronte alla necessità di impugnare le armi". Impressionato dalle vittorie tedesche del maggio 1940, Mussolini ritenne che la guerra fosse ormai decisa e che fosse necessario non indugiare oltre per due ordini di motivi: partecipare alla spartizione del bollino, poter sedere a pieno titolo al tavolo della pace per essere in grado di limitare l'egemonia tedesca. Da questa errata valutazione nacque la decisione di entrare in guerra il 1O giugno 1940 e di condurre una guerra parallela, non coordinata cioé con l'alleato e rivolta a perseguire obiettivi solo nazionali. Su questa interpretazione degli avvenimenti la storiografia italiana è onnai concorde, così come è onnai accertato che nel giugno 1940 la grandissima maggioranza del popolo italiano non nutriva alcun dubbio sull'imminente vittoria tedesca. Le vicende del maggio-giugno 1940 avevano avuto, infatti, una grande ripercussione in Italia. Anche quegli ambienti, soprattutto militari ma anche politici, molto tiepidi o addirittura ostili all'ipotesi di una guerra a fianco dei Tedeschi abbandonarono ogni velleità frondista. Come ha osservato Gianluca André: ''Di fronte alle spettacolari vittorie tedesche, i fautori della neutralità cessarono la loro resistenza: molti si erano convinti che la Germania fosse ad una passo dalla vittoria, nessuno ebbe il coraggio di prendere posizione contro un intervento che sembrava poter assicurare grandi vantaggi con pochi sacrifici. Il «partito antitedesco», così forte all ' inizio della non belligeranza si dissolse come neve al sole. E anche nell'opinione pubblica si verificò un mutamento profondo: il bottino, un enorme bottino, sembrava a portata di mano e adesso la guerra non faceva più paura, perché era convinzione generale che tutto si sarebbe risolto in modo rapido e praticamente senza spargimento di sangue. Semmai, un pericolo maggiore poteva venire - ora lo pensavano in molti - da una Germania clamorosamente vittoriosa senza l'apporto italiano". 2. Al momento della dichiarazione di guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna le reali condizioni di efficienza dell'esercito erano molto mediocri. Nel settore ordjnativo proprio il mese precedente erano state diramate tre leggi fondamentali - sull'ordinamento dell'esercito metropolitano, sullo stato giuridico degli ufficiali, sull'avanzamento degli ufficiali - che avrebbero avuto bisogno di un periodo di pace per entrare a regime e per conseguire quei benefici effetti sull'organizzazione della forza armata che il legislatore si attendeva. Promulgate nell ' imminenza della guerra anche queste leggi contribuirono ad aumentare tra i Quadri la confusione e l'incertezza. La legge n. 368 del 9 maggio 1940 stabiliva che l'esercito metropolitano si articolasse in: - Stato Maggiore; - istituti militari di reclutamento, di perfezionamento, di specializzazione e di aggiornamento; - cinque armi: carabinieri, fanteria, cavalleria artiglieria e genio;
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- guardia alla frontiera; - nove servizi: corpo automobilistico, servizio chimico, sanità, commissariato, amministrazione, veterinario, servizio dei centri rifornimento quadrupedi, servizio dei depositi stalloni, servizio geografico; - tre servizi tecnici: delle armi e munizioni, studi ed esperienze del genio, automobilistico, uniti rispettivamente alle armi di artiglieria e genio ed al corpo automobilistico; - 116 distretti militari; - tribunali militari: il tribunale supremo e IO tribunali militari territoriali; - enti vari. L'esercito di campagna era suddiviso in: - 6 comandi d' armata (uno in più rispetto all'ordinamento Pariani); - I 8 comandi di corpo d'armata (uno in più, costituito dal Comando Superiore Truppe Albania); - 1 comando di corpo d'armata autotrasportabile (ex novo); - l comando di corpo d' armata corazzato; - 1 comando di corpo d' armata celere; - 1 comando superiore truppe alpine; - 54 divisioni dj fanteria (tre in più); - 2 divisioni motorizzate; - 3 divisioni corazzate (una in più); - 5 divisioni alpine; - 3 divisioni celeri. In totale 67 divisionj alle quali erano da aggiungere 2 djvisioni libiche e 4 divisioni di camicie nere, poi diventate 3, dislocate in Africa settentrionale, e 2 divisioni nazionali dislocate nell' Africa orientale. La difesa del territorio era affidata a 16 comandi di difesa territoriale, articolati su 28 comandi di zona militare. La nuova legge sull'ordinamento abolì il ruolo mobilitazione, per cui tutti gli ufficiali appartenenti a questo ruolo confluirono nel ruolo comando, divenuto molo unico, provocando malumori e critiche poco benevole. Ma l'inconveniente maggiore della nuova legge fu il relativamente ristretto numero di ufficiali effettivi previsti -18.620 delle varie arrru e 4.854 dei servizi - decisamente insufficiente per un solido inquadramento delle grandi unità e dei reparti . In realtà, nel giugno 1940 gli ufficiali effettivi dell'esercito, compresi quelli dei servizi, erano soltanto 19.500 per cui le deficienze di inquadramento dell'esercito mobilitato furono subito molto gravi. La legge n. 369, sullo stato giuridico, aumentò ancora il malcontento dei Quadri. I limiti di età per il servizio effettivo erano drastici per gli ufficiali delle armi e del corpo automobilistico: 64 anni per il generale d'armata, 63 per quello di corpo d'armata, 60 per il divisionario, 58 per il brigadiere, 55 per il colonnello (60 se dei servizi), 52 per il tenente colonnello (56 se dei servizi), 50 per il maggiore (55 se dei servizi), 48 per gli ufficiali inferiori (51 se dei servizi). Ma un articolo della legge era particolarmente duro ed ingiusto: gli ufficiali in
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servizio permanente potevano chiedere il collocamento nella riserva a condizione che contassero almeno venti anni di servizio effettivo e che raggiungessero una determinata età (in linea di massima due o tre anni in meno dei limiti fissati per la cessazione dal servizio per età). Gli ufficiali superiori potevano tuttavia, anche prima di aver raggiunto l'età richiesta per il proprio grado, far valere il diritto al collocamento nella riserva purché in possesso dell'età prescritta per gli ufficiali inferiori (45 anni). In questo caso la pensione veniva loro Uquidata con le competenze dovute per il grado di capitano. Peggio ancora per chi chiedeva la cessazione dal servizio attivo prima dei 45 anni: in tale evenienza non gli era concesso il trattamento di quiescenza nè corrisposta alcuna indennità. La terza legge, n° 370, sempre in data 9 maggio, concerneva l'avanzamento, ad anzianità fino al grado di colonnello ed a scelta per i gradi superiori. Anche la situazione dei sottufficiali non era ottimale: al 1O giugno 1940 gli elementi in carriera continuativa o raffermati erano soltanto 17.223, a cui si aggiungevano 7.500 sergenti in corso di ferma. Per incrementare il livello di forza dell'esercito nell'autunno del 1939 fu effettuato il richiamo di aliquote delle classi 1910, 1912, 1913 e 1914 per un totale di 200.000 uomini; tra il febbraio ed il maggio 1940 furono incorporati altri 700.000 uomini: il Il0 ed il Ill 0 quadrimestre della classe 1919, tutta la classe 1920 nonché aliquote delle classi dal 191 O al 1916. Fu così possibile portare al I 00% della tabelle organiche la forza dell'armata del Po (6•) e delle unità dislocate in Libia e nell'Egeo, al 70% la forza delle armate dislocate alla frontiera occidentale(]" e 4"), al 60% la forza delle annate dislocate alla frontiera orientale (2" e 83 ) e delle unità di stanza in Sardegna. Ai primi di giugno la forza alle anni era di 1.634.950 uomini (inclusi 312.000 appartenenti alla milizia e 181.000 coloniali) con circa 50.000 ufficiali, di cui 30.000 di complemento. L'inquadramento era quindi carente, l'esercito entrò in guerra disponendo di uno o due ufficiali in servizio permanente per battaglione e di uno o due sottufficiali di carriera per compagnia. Per quanto riguarda i materiali la situazione era peggiore. A tutto il maggio 1940 le artiglierie moderne entrate in servizio consistevano in: 114 obici da 75/18, 70 cannoni contraerei da 75/46, 48 cannoni da 149/40, 16 obici da 2 I0/22. Non tutte le divisioni disponevano della batteria di 8 mitragliere contraerei da 20 nè tutti i reggimenti di fanteria disponevano della compagnia cannoni da 47/32, per la maggior parte di essi l'azione di accompagnamento doveva ancora essere svolta dalla batteria su 4 pezzi da 65/ 17. La situazione carri armati era ugualmente disastrosa: erano disponibili 70 carri M 11/39 con pezzo da 37/40 in casamatta, i primi 15 M 13/40 con l'armamento principale in torretta entrarono in servizio solo nel mese di luglio. Persino le modestissime dotazioni di automezzi non erano complete, alla data del 25 maggio il capo di Stato Maggiore dell'esercito segnalava, infatti, la mancanza di 7.900 autocarri, nonostante fosse già stata ultimata la requisizione
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degli autocarri civili. Analoghe deficienze si riscontravano in tutti i settori: le dotazioni reali di automezzi, di trattori, di munizioni per mortai e per artiglierie, dj mezzi e materiali delle trasmissioni, di mine, di strumenti tecnici, di attrezzature meccaniche per il genio coprivano appena il fabbisogno organico di una ventina di divisioni. Per quanto attiene al settore produttivo, la situazione non era meno deficitaria. Nel maggio 1940 il Comitato Generale per le Fabbricazioni di guerra fu trasformato in Sottosegretariato per le Fabbricazioni di guerra, affidato al generale Favagrossa <2), con il compito di coordinare l'attività delle direzioni generali tecniche dei tre ministeri militari con l'apparato produttivo ed economico. In pratica il coordinamento fu sempre molto labile ed anche in questo settore ogni forza armata continuò a procedere per conto suo. La situazione più disastrosa era, comunque, quella delle materie prime. Al settembre 1939 le nostre scorte nei settori del carbone e dei metalli ammontavano, espresse in tonnellate: carbone 1.700.000; acciaio 85.000; minerali di ferro e pirite 1.300.000; rottami ferrosi 187.000; ghisa 92.000; rame 6.500; stagno 500; nichel 92.000. È sufficiente un bilancio tra le cifre citate e quelle del reale fabbisogno per dimostrare quanto deficitaria fosse la nostra situazione di partenza e quali enormi difficoltà dovessero affrontare le autorità militari per porre qualche riparo al drammatico squilibrio tra esigenze e disponibilità, che sarà la causa determinante del collasso italiano. Il fabbisogno di carbone, indispensabile per la produzione siderurgica, era calcolato in 17 milioni di tonnellate annue. La produzione nazionale era in grado di garantire appena 4 milioni, ragguagliabili a poco più di 2 di carbone estero dato il contenuto potere calorico delle nostre ligniti. Mancavano quindi I 5 milioni di tonnellate per coprire il fabbisogno minimo, e sia pure con l'importazione di 12 milioni di tonnellate di carbone tedesco, l'industria pesante sarebbe stata in sofferenza comunque, con l'aggravante che le consuete difficoltà valutarie avevano impedito di costituire quella scorta intangibile di carbone estero, pari ai consumi di quattro mesi, reputata di prioritaria necessità. Nè a compensare la grave deficienza di carbone potevano supplire i 18 miliardi di chilowattora di energia elettrica prodotti dalle nostre centrali nel 1939. Ancor più gravi erano le carenze di carburanti. In Italia se ne produceva-
(2) Carlo Favagrossa ( 1888 -1970). S0t1o1enente del genio nel 1908. pa11ecipò alla guerra di Libia ed alla I' guerra mondiale. Dal 1919 al 1925 fece pa11e di numerose commissioni mi litari incaricate di controllare l'esecuzione dei trattati di pace. Dal 1925 al 1928 frequentò la Scuola di Guerra, successivamente comandò il genio del corpo d'armata di Roma e fu capo di Stato Maggiore del C. T. V. in Spagna. Promosso generale di brigata ebbe il comando della l' brigala corazzata e poi della divisione Pistoia. Dal I O senembre 1939 presidente del Comitato di mobilitazione civi le. dal 23 maggio 1940 sottosegretario per le Fabbricazioni di guerra, dal gennaio 1943 ministro per le Fabbricazioni di guerra. Nel 1946 pubblicò un libro molto interessante e ben docu mentato sull'attività svolta durante la guerra: Perché perdemmo la guerra. Lasciò il servizio con il grado di generale di corpo d'armata.
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no 15 mila tonnellate annue, cui potevano aggiungersi 120.000 tonnellate di greggio albanese, 33 mila di carburanti autarchici e 1,5 milioni di tonnellate importabili annualmente da Germania, Romania e Ungheria. Poiché il fabbisogno annuo in guerra era stimato in 8,5 milioni di tonnellate, è semplice desumere in quali condizioni ci apprestassimo ad affrontare un conflitto che avrebbe dovuto avere ritmi ultraceleri con prevalente fisionomia motomeccanizzata. Non più rosea era la situazione concernente i metalli. Nel 1939 le nostre miniere fornivano 870 mila tonnellate di minerale ferroso pari a 400 mila tonnellate di ghisa cui se ne aggiungevano 250 mila ricavate dalle ceneri di pirite. Il fabbisogno annuo di acciaio assommava invece a 4 milioni di tonnellate. Preoccupante era infine la deficienza dei metalli critici speciali (manganese, cromo, nichel, molibdeno, tungsteno), correttivi indispensabili per gli acciai, per i quali eravamo del tutto dipendenti dall 'estero. Soltanto per l'alluminio la produzione annuale nazionale (32 mila tonnellate) consentiva di fronteggiare le esigenze, anche se queste andranno progressivamente aumentando sia per le crescenti richieste dell' areonautica, sia per l'impiego dell'alluminio in sostituzione del bronzo e dell'ottone. Per il rame e lo stagno la produzione era di un cinquantesimo e di un quarantesimo rispetto al fabbisogno. A 4 mila tonnellate ascendevano le nostre scorte di gomma di fronte a un fabbisogno concretato, sebbene l'esercito potesse ritenersi pressoché appiedato, di 22 mila tonnellate. Quanto ai tessuti, di fronte ad una esigenza di 43 mila tonnellate annue di lana, stava una produzione laniera nazionale di 6 mila e cotoniera di 1O mila contro un fabbisogno di 75 mila. Lo stesso discorso vale per la cellulosa: ad una necessità annua di 370 mila tonnellate non potevano certo far fronte le 60 mila prodotte. Un complesso tale di carenze da costituire il fattore più grave e determinante delle condizioni generali di efficienza dello strumento militare italiano. All'impreparazione nel settore dei materiali ed alle carenze dell'inquadramento si affiancò la mancanza di una direzione tecnico-militare delle operazioni. li capo di Stato Maggiore Generale, preoccupato di non dispiacere ad un Mussolini sempre ansioso di decidere in solitudine e svincolato da qualsiasi soggezione anche soltanto consultiva, e di non entrare in conflitto con i capi di Stato Maggiore di forza armata, gelosi della loro indipendenza, aveva rinunziato negli anni di pace a svolgere una effettiva azione di coordinamento dell'attività delle tre forze armate - al punto che non si era ritenuto necessario informarlo della decisione di occupare l'Albania - e continuò, anche nell' imminenza dell'entrata in guerra, a valutare molto riduttivamente le proprie competenze e le proprie responsabilità, per cui non ritenne necessario costituirsi uno Stato Maggiore interforze e di adeguate dimensioni. L' Italia entrò in guerra con un Comando Supremo che era in pratica la segreteria del Maresciallo Badoglio, senza che ci fosse quindi un organismo in grado di coordinare l'azione delle
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forze armate tra di loro e con le altre componenti essenziali della difesa dello Stato. Mussolini, nonostante la ritrosia del sovrano, riuscì a farsi riconoscere "comandante delle truppe operanti su tutte le fronti" ed al maresciallo Badoglio non rimase altro che la presidenza delle riunioni collegiali dei capi di Stato Maggiore. Quanto al piano operativo, in ossequio alle direttive impartite con la memoria del 3 I marzo, in pratica non esisteva. Il 7 giugno Mussolini aveva emanato l'ordine che "in caso di ostilità non dovrà essere intrapresa alcuna azione oltre confine". E così una Nazione che aveva dichiarato la guerra rimase ferma, nell 'attesa che altri combattessero in sua vece. Di fronte a tanta superficialità, a tanto dilettantismo lo storico di oggi si interroga sgomento e si chiede come fu possibile che uomini sperimentati come: Badoglio abbiano potuto accettare una simile situazione. Il generale Montanari, in un saggio accurato e documentato, L'esercito italiano alla vigilia della 2° guerra mondiale, ha scritto: "È stata rimarcata sfavorevolmente la rassegnazione se non proprio l' acquiescenza dei capi militari all'annuncio di Mussolini che egli aveva deciso di entrare nel conflitto a partire dal 5 giugno, ma forse esistono due spiegazioni psicologiche: un errato senso di acritica obbedienza anche di fronte ad avvenimenti tanto gravi per la Nazione ed una forte suggestione provocata dalla strepitose vittorie tedesche. Sull'atteggiamento di assoluta disciplina, da un lato si potrebbe osservare che la storia non fornisce esempi di generali che abbiano rassegnato le dimissioni nell'imminenza di una guerra, indipendentemente dal regime politico dello Stato e dalla loro valutazione del grado di efficienza della macchina bellica da impiegare. Entrano infatti in ballo lodevoli fattori di lealismo e di senso di responsabilità, intesi ad evitare che l'aperta confessione coram populo - e quindi anche davanti al potenziale nemico - di una irrimediabile impreparazione si traduca in un gravissimo danno politico-militare per il proprio paese, superiore all'alea di una guerra, specialmente quando al tecnico viene opposta la natura squisitamente politica della decisione (e Mussolini era veramente convinto dell'utilità, anzi della saggezza dell ' intervento). Ed anche se la rinuncia delle massime cariche militari - e il discorso vale anche per quelle politiche - avesse risposto al desiderio puramente egoistico di evitare il coinvolgimento personale in una scelta ritenuta foriera di dannose conseguenze, innegabilmente essa avrebbe assunto l'aspetto di un significativo atto di dissenso di fronte all'opinione pubblica. D'altro canto esistono limiti di responsabilità tecnica, oltre i quali si entra nella corresponsabilità politica. Naturalmente al posto dei dimissionari sarebbero subentrati altri generali, ma il ricorso ad un simile mezzo di pressione, specie se risolutamente rivolto ad evitare una sciagurata iniziativa, avrebbe per certo chiamato in causa la Corona e forse la risoluzione di Mussolini sarebbe rientrata (a prescindere dalla reale possibilità o meno di rimanere neutrali anche in prosieguo di tempo). Quanto all'euforia del momento, sembra di poter serenamente affermare che in quei giorni di giugno si stava verificando nell'opinione pubblica un grosso spostamento psicologico dall'incertezza penosa alla persuasione di una
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nuova sfolgorante e praticamente definitiva vittoria dell'alleato ed alla «convenienza» di scendere in campo al più presto a fianco della Germania per una facile partecipazione al trionfo, anche se l'annuncio della dichiarazione di guerra reso da Mussolini al balcone di Palazzo Venezia il 10 giugno fece di colpo sparire ogni entusiasmo. Probabilmente anche i capi militari furono influenzati dagli avvenimenti". Il 10 giugno 1940 il quadro di battaglia dell'esercito italiano, con esclusione delle truppe dislocate in Africa orientale, comprendeva: 3 comandi di gruppo di armata, ovest, est e sud; 9 comandi di armata; 24 comandi di corpo d'armata di cui 1 alpino, I autotrasportabile, 1 corazz.ato ed 1 celere; 73 divisioni delle quali 43 di fanteria, 5 alpine, 3 autotrasportabil.i, 9 autotrasportabili tipo Africa settentrionale, 2 motorizzate, 3 corazzate, 3 celeri, due libiche, 3 della milizia (3>. Di queste 73 divisioni mobilitate solo 19 erano al 100% del personale e dei materiali, 34 erano al 75% del personale e con notevoli deficienze di materiali, (3) Le fonnazioni di guerra delle divisioni italiane nel giugno 1940 erano le seguenti: - la divisione di fanteria comprendeva: il comando; 2 reggimenti fanteria. ciascuno su 3 battaglioni, I compagnia monai da 81, I batteria da 65/17: I legione della milizia su 2 battaglioni ed I compagnia mitraglieri: J battaglione mollai da 81. I compagnia controcarro da 47/32; I reggimento di artiglieria su I gruppo da 75/13 someggiato. I gruppo da 75/27 ippotrainato, l gruppo da 100/17 ippotrainato, I batteria contraerei da 20: l compagnia artieri, I compagnia mista radiotelegrafisti, I sezione fotoclettricisti; J sezione di sanità: I sez.ione di sussistenza. In totale 449 ufficiali, 614 sottufficiali. l 1.916 militari di truppa. 3.424 quadrupedi, 270 fucili mitragliatori, 80 mitragliatrici, 126 mollai da 45. 30 mollai da 81. 8 cannoni da 47/32. 8 pezzi da 65/17, 24 da 75 e 12 da 100, 8 mitragliere da 20. 127 automezzi e 71 motocicli. Esisteva una variante della divisione di fanteria. quella da montagna. che differiva per una maggiore disponibilità di salmerie e per una diversa composizione organica del reggimento artiglieria, su 2 gruppi da 75/13 someggiati ed l da 100/l 7: - la divisione alpina comprendeva: il comando; due reggimenti alpini, ciascuno su 3 battaglioni, l sezione di sanità. l ospedale da campo, 1 nucleo sussistenza. l repano salmerie; I reggimento artiglieria alpina su due gruppi da 75/13; I battaglione misto del genio: I sezione di sanità; 4 ospedali da campo: I sezione di sussistenza; I colonna salmerie; l autoreparto misto. In totale 430 ufficiali, 472 sottufficiali, 13.884 militari di truppa, 5.327 quadrupedi. 166 fucili mitragliatori. 68 mitragliatrici, 54 mortai da 45, 24 monai da 81, 24 pezzi da 75/13. 252 automezzi, 46 motocicli; - la divisione autotraspollabile comprendeva: il comando; 2 reggimenti di fanteria, ciascuno su 3 battaglioni. I compagnia mortai da 8 I, I batteria da 65/17; I battaglione mollai da 81, I compagnia cannoni da 47/32 autocarrata; I reggimento <l'artiglieria su 2 gruppi da 75/27, I gruppo da 100/17 e I batteria contraerei da 20 autotrainati; I compagnia artieri; I compagnia radiotelegrafisti: I sezione fotoelettricisti: I sezione di sanità; l sezione di sussistenza. In totale 394 ufficiali, 547 sottufficiali, 9463 militari di truppa. 913 quadrupedi, 220 fucili mitragliatori, 66 mitragliatrici, 108 mollai da 45, 45 mortai da 81, 8 cannoni da 47/32, 8 pezzi da 65/17. 24 pezzi da 75/13. 12 da 100/17, 8 mitragliere da 20,471 automezzi, 36 trattori e 159 motocicli: - la divisione autotrasportabile tipo Africa settentrionale comprendeva: il comando; 2 reggimenti di fanteria; I battaglione complementi; I battaglione mitraglieri; I battaglione carri L (eventuale); I compagnia cannoni da 47/32: I compagnia motociclisti: l reggimento di artiglieria su 2 gruppi da 75/27, l da 100/17 e 2 batterie da 20; 1 battaglione misto del genio, l sezione di sanità; I sezione di sussistenza: I autosez.ione mista. In totale 453 ufficiali. 594 sottufficiali, 9.931 militari di truppa. 262 fucili mitragliatori. 232 mitragliatrici. Il l mortai da 45, 12 mollai da 81, 8 cannoni da 47/32, 8 pezzi da 65/17. 24 pezzi da 75/27, 12 pezzi da 100/17, 16 mitragliere da 20. eventualmente 46 carri L. 398 automezzi, 36 trattori, 249 motocicli: - La divisione motorizzata comprendeva: il comando; 2 reggimenti di fanteria, ciascuno su 2 battaglioni. I compagnia mortai da 81. I compagnia cannoni da 47f32. I autorepano; I reggimento bersaglieri su 3 battaglioni, l motociclisti e 2 autotrasportati, I compagnia cannoni da 47/32 ed I autorepano; I battaglione mitraglieri; I reggimento artiglieria su 2 gruppi da 75/27, I da 100/17 e 2 batterie da 20; I battaglione misto del genio: J sezione di sanità; I di sussistenza; I autorepallo misto. In totale 403 ufficiali. 487 sottufficiali, 9.653 militari di truppa. 168 fucili mitragliatori, 90 mitragliatrici, 56 monai da 45, 12 monai da 81, 24 cannoni da 47/32, 16 pezzi da 75/27, 8 da 100/17, 16 mitragliere da 20,53 1 automezzi, 48 trattori e 1170 motocicli. La divisione doveva essere impiegata, quale riserva d'armata o del Comando Supremo, per manovre a largo raggio o per azioni a grande distanza; - la divisione corazzata comprendeva: il comando; I reggimento di fanteria carrista su 4 battaglioni, 3 carri Le I carri()()()() M; I reggimento bersaglieri su 3 battaglioni. I motociclisti e 2 autotrasportati, I compagnia cannoni da 47/32 e I autorepano: I reggimento d'artiglieria su 2 gruppi da 75/27 e 2 batterie da 20;1
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20 erano al 60% per quanto riguarda il personale e non raggiungevano il 40% dei materiali e dei quadrupedi. Nell'Africa orientale erano dislocati: due divisioni di fanteria, 16 battaglioni autonomi, 2 compagnie carri, I squadrone carri veloci, una squadriglia autoblindo ed un notevole complesso di reparti coloniali per un totale di 5.989 ufficiali, 6.667 sottufficiali e 61.399 militari di truppa nazionali e 181.895 sottufficiali e militari di truppa coloniali, oltre a 1.062 ufficiali, 3.268 sottufficiali e 12.818 militari dei carabinieri, della marina, dell'aeronautica, della Guardia di Finanza e della polizia dcli' Africa italiana. 3. La prima campagna combattuta fu quella delle Alpi Occidentali. J1 terreno sul quale correva la linea di confine, assai vicina al limite orientale delle Alpi Occidentali, lasciava alla Francia la maggior parte della regione montuosa e perciò opponeva ad una avanzata italiana due, ed in alcune zone tre catene montuose e condizionava le operazioni offensive lungo direttrici divergenti, che riducevano notevolmente la possibilità di coordinare e concentrare gli sforzi e di alimentarli tatticamente e logisticamente. I Francesi avevano, inoltre, costruito una robusta e profonda fascia fortificata, che aumentava le possibilità di arresto e di logoramento dell'attacco, presidiata dall' Arrnée des Alpcs, ben addestrata e forte di 200.000 unità, articolata su una decina di divisioni ternarie e su truppe di presidio delle fortificazioni. La sfavorevole situazione geografica aveva consigliato, come del resto sempre lo Stato Maggiore dell'esercito aveva previsto nella sua pianificazione, di assumere un contegno strettamente difensivo, ma il 15 gi ugno Mussolini, forse irritato per l'incursione navale francese su Genova del giorno prima e per alcune azioni di pattuglia, peraltro prontamente annullate dalla reazione dei nostri reparti, probabilmente influenzato dall'ingresso dei Tedeschi a Parigi, ordi nò di passare all'offensiva il giorno 18. Di fronte alle obiezioni del Maresciallo Badoglio accondiscese poi a spostare la data dell'offensiva al giorgma nùsta del genio; I sezione d1 sanità; I sezione di sussistenza. I autorepano nùsto. In totale 273 ufficiali. 484 sott ufficiali. 6.682 nùli1w-i di truppa. 76 fucil i mitragliatori. 410 mitragliatrici, 8 cannoni da 47/32, 24 pezzi da 75/27, 16 mitragliere da 20.184 carri M (in effetti L per la maggior parte), 581 automezzi. 48 tnmori, 1.170 motocicli. La divisione doveva essere impiegata a massa quale meuo di manovra o di rouura; - la di\'is1one celere comprende\'a: il comando; 2 reggimenu d1 cavalleria. ciascuno su 2 gruppi Mjuadron1 a ca\'allo e I squadrone rrutraiheri; I reggimento bersaglien su 3 battaglioni, I compagnia motociclisti, I compagnia cannoni da 47/32; un groppo carri L; I reggimento d1 aniglieria celere su 2 gruppi moton,.zau da 75/27, I groppo a cavallo da 75/27, 2 bauerie da 20; I compagnia mis1a del genio; I sezione di sanità; I SeliOne di sussistenza, I autoreparto misto. ln totale 302 ufficiali, 396 sottufficiali. 6.612 militari di truppa. 2.154 quadrupedi. 172 fucili mitragliatori. 249 mitragliatrici. 8 cannoni da 47/32, 24 pezzi da 75127. 16 nùtragliere da 20, 61 carri L. 418 automezzi. 32 trattori. 539 motocicli. La di\ isione a\'e,·a comp1u d1 esplorazione str:uegaca. avanguardia generale, sfrunamento del successo, azioni aggiranu a largo raggio: • la divisione libica comprendeva: il comando; 2 raggruppamenti di fanteria, ciascuno su 3 battaglioni e I compagnia cannoni da 47/32; 2 gruppi d'artiglieria da 77/28 ad affusto rigido; 2 bancrie da 20; I battaglione misto del genio: l sezione di sanità; l sezione di sussistenza; I nutogruppo, salmerie divisionali autotra· sponabili. In totale 237 ufficiali, 174 sottufficiali, 460 nùlitari di truppa nazionale. 6.353 sottufficiali e militari d1 truppa libici. 216 fucili mitragliatori, 66 mitragliatrici. 8 cannoni da 47/32. 24 pew da 77fl8. 16 mitragliere da 20. - la divisione della mihm comprendeva: 11 comando; 2 lcgtom CC. NN .. ciascuna su 3 battaglioni, I compagnia monai da 81, I batteria da 65/17; I battaglione nùtraglicri; I compagnia da 47/32; I reggimento d'artiglieria su 2 gruppi da 75/27, I gruppo da I00/17, 2 bauerie da 20. I battaglione misto del genio, I sezione di sanità. I sezione di sussistenza, I autosezione mista.
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no 21, dilazione comunque insufficiente perché il gruppo annate ovest <4 ) potesse modificare completamente lo schieramento difensivo assunto il 10 giugno. Il piano operativo italiano prevedeva: un'azione diversiva sulla direttrice del Piccolo San Bernardo, affidata alla 4• annata, per agganciare ed impegnare forze francesi (operazione B); un'azione principale sulla direttrice del colle della Maddalena, affidata alla l • armata, con lo scopo di sboccare in valle Ubaye per poi proseguire in Valle Durance con obiettivo Marsiglia (operazione M); un'azione sulla direttrice della rivi era, anche questa affidata alla I• armata, con lo scopo di concorrere all'operazione M sboccando su Nizza e proseguendo per Marsiglia (operazione R). L'offensiva fallì completamente, interrotta comunque alle 01.30 del 25 giugno dall'entrata in vigore dell'armistizio. Lo schieramento francese, solido e ben fortificato, aveva retto con determinazione e, malgrado l'innegabile slancio dai nostri soldati <5>, lo sfondamento non aveva avuto luogo. Per contro le nostre perdite furono rilevanti: 642 morti, 263 I feriti, 2151 congelati. Soprattutto questo ultimo dato rivelò I' insufficienza del nostro equipaggiamento e la mancanza di adeguate misure logistiche da parte dei nostri comandi. Sotto il profilo operativo si constatò quanto poco i divisionari avessero compreso lo spirito della circolare 9000, essi avevano continuato infatti ad attaccare con due colonne parallele, come se avessero ancora a disposizione una divisione ternaria. Il risultato era stato l'esaurimento contemporaneo delle due colonne che, non potendo essere alimentate dal terzo reggimento che più non esisteva, dovettero essere scavalcate da un'altra divisione, con tutti i problemi che ne conseguivano. La fine della breve campagna delle Alpi Occidentali ebbe come conseguenza diretta una parziale smobilitazione effettuata nel luglio, seguita nel successivo mese di ottobre dal congedamento di 600.000 uomini appartenenti alle selle classi più anziane ( l 910-19 16). Quando, poche settimane dopo, fu deciso l'attacco alla Grecia e si dovette procedere ad un nuovo richiamo, per motivi di ordine sociale e psicologico non fu richiamalo il personale addestrato appena congedato, ma quelle aliquote delle classi 1910-1916 che non erano state interessate al richiamo effettuato in primavera. Di conseguenza, proprio all'inizio di una campagna che si rivelerà difficile e cruenta, l'esercito si trovò con i reparti sconvolti dal congedamento e dal successivo richiamo di personale da riaddestrare e da riambientare. 4. Da tempo Mussolini covava l'intenzione di agire offensivamente in Grecia e poiché sia Badoglio sia lo Stato Maggiore dell'esercito temporeggiavano, ritenne opportuno scavalcarli. I preparativi dell'invasione furono portati (4) Il quadro di batttaglia del gruppo armate ovest è nell' Apd. n. I del capitolo. (5) li generale francese Montagne scrisse al riguardo: "le unità italiane attaccanti sono state condotte da giovani ufficiali coraggiosissimi che spesso sono caduti braveme,11 alla testa dei loro reparti".
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avanti come un affare privato tra Mussolini, il ministro degli Esteri Ciano ed il comandante delle truppe d'Albania, generale Visconti Prasca <6>, più dotato di ambizione che di senso di responsabilità. L'occupazione tedesca dei campi petroliferi romeni, attuata senza informarlo preventivamente, indispettì Mussolini che decise di ripagare Hitler con la stessa moneta occupando, senza consultarsi con l'alleato, parte della Grecia. La mattina del 13 ottobre il duce convocò Badoglio ed il generale Roatta, che fungeva da capo di Stato Maggiore del!' esercito per l'assenza di Graziani già inviato in Libia. Ai due stupefatti generali Mussolini comunicò la sua decisione e chiese quante forze e quanto tempo sarebbero stati necessari per dare inizio alla campagna offensiva. Gli fu risposto che sarebbero occorse 20 divisioni e 3 mesi di preavviso. Mussolini si riservò di decidere ma il 15 indisse un'altra riunione, alla quale presero parte, oltre a Badoglio ed a Roatta, il luogotenente del re in Albania Jacomoni, e Visconti Prasca. Questi svolse un'ottimirnistica rehuione, basata anche sul presunto successo dell'opera di corruzione messa in atto dal ministro degli Esteri nei confronti di alcuni esponenti greci e sull'intervento nel conflitto della Bulgaria. Mussolini alla fine della riunione annunciò la sua decisione: offensiva in Epiro; osservazione e pressione su Salonicco, in un secondo tempo marcia su Atene. lnizio delle operazioni il 26 ottobre con le truppe in quel momento presenti in Albania, 8 divisioni {7)_ Il giorno dopo Badoglio convocò i capi di Stato Maggiore delle tre FF. AA., che si espressero contro l'immediato ini1io delle operazioni. Roatta, che il giorno avanti aveva taciuto, si dichiarò contrario anche alle sole operazioni della prima fase per l'insufficienza delle forze, dell'organizzazione logistica e di quella di comando; Cavagnari qualificò utopistico lo sbarco in una notte di tre divisioni ad Arta, in quanto sarebbero stati necessari non meno di tre mesi; Pricolo dichiarò che gli sarebbe stato impossibile schierare sugli aeroporti i mezzi e di materiali necessari e chiese di rinviare l'inizio della campagna di una settimana. Badoglio ottenne da Mussolini un rinvio di due soli giorni ed il 28 ottobre 1940 iniziò la pagina più sfortunata e più drammatica di tutta la storia dell'esercito italiano. L 'impreparazione generale alla guerra, già rivelatasi nella brevissima campagna delle Alpi Occidentali e l'iniziale rapporto di forze decisamente sfavorevole, aggravati dal mancato verificarsi di tutte le previste circostanze favorevoli l'irredentismo epirota non si manifestò, la Bulgaria non entrò in guerra - ed alle
(6) Sebastiano Visconti Prasca (1883-1961). Sollotenente di fanteria nel 1904. panecipò alla guerra di Libia cd alla pnma guerra mondiale. Dopo aver frequentato la Scuola di Guerra tmnsitò nel corpo di Stato Maggiore. Comandò il 36° fanteria e poi prestò servizio presso lo Stato Maggiore. Generale di brigata per meriti eccezionali comandò la brigata di fanteria Cosseria. fu poi addeno militare a Parigi. Promosso generale di divisione e poi di corpo d'annata comandò il XXVI corpo d'armata in Albania. Cessò dal servizio il IO dicembre 1940. Nel dopoguerra pubblicò un volume d1 ricordi, Ho aggredito la Grecia, nel quale cercò di anenuare le proprie responsabilità. (7) Il quadro di battaglia delle truppe d'Albania al 28 ouobre 1940 è nell' Apd. n. 2 del capitolo.
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limitazioni degli aeroporti e dei porti albanesi che misero impietosamente a nudo anche le carenze logistiche dell'organizzazione, ebbero l'effetto di portarci sull'orlo del collasso totale, evitato soltanto per l'abnegaLione delle truppe e per la mancanza di iniLiativa del comando supremo avversario. L'esercito greco, infatti, disponeva di 18 divisioni ternarie già quasi completamente mobilitate (8), oltre alle truppe di supporto tatlico e logistico, appoggiate ad un robusto sistema di fortificazioni nella zona Elea-Kalibaki che comprendeva anche fossati e sbarramenti anticarro. Il disegno di manovra del generale Visconti Prasca prevedeva: l'avanzala lungo l'asse Kalibaki-Giannina-Arta con azione avvolgente per la destra e un' anone sussidiaria frontale per la sinistra; l'avanzata del raggruppamento del litorale per sboccare oltre confine fra Konispoli e il mare, superando il Kalamas e puntando su Prevesa e quindi su Arta; l'azione del XXVI corpo nel settore macedone, per assicurare le posizioni di confine mediante una difesa attiva e dinamica e per occupare, possibilmente, sbocchi offensivi; la difesa della frontiera albanese-jugoslava ad opera di una sola divisione. Disegno di manovra eccellente, ma le forze per attuarlo erano insufficienti e, in più, mancavano l'organiaazione logistica e quella di comando. Dopo 13 giorni dall'iniLio, l'offensiva venne definitivamente arrestata senza che avesse raggiunto nessuno degli obiettivi voluti, e subito dopo, sotto la pressione della poderosa controffensiva dei Greci, ebbe inizio una lunga serie di ripiegamenti, alternati da resistenze e contrattacchi locali, che durerà fino al mese di marw del 1941 e avvicinerà sempre più i Greci ai tre obiettivi strategici: Elbasan, Berat, Valona. I Greci, superiori in forze, in grado di avvicendare i reparti in linea, ordinati in salde compagini organiche, dotati di mortai e di eccellenti artiglierie impiegate con grande perizia, meglio abituati al clima, sostenuti da una appropriata organizzazione logistica e galvanizzati dal successo, avanzarono fino alla line di dicembre come una lava: lentamente ma inesorabilmente, travolgendo via via le improvvisate e mal guarnite posizioni difensive allestite in tutta fretta dalle unità italiane. Mussolini sostitu1 il generale Visconti Prasca con il generale So<ldu: ordinò di costituire in Albania un gruppo di annate, comprendente la 9", su XIII e XXVI corpo d'annata, al comando del generale Vercellino <9l, e I ' I 1•, su VIII e XXV corpo d'armata, al
(8) La divisione di fanteria greca si articolava su: 3 n:ggimenii di fanteria, ciascuno su ire battaglioni. una compagnia monai da 81 su 4 armi. una se1ionc di artiglieria da 65 su 3 armi; 1 reggimento di artigliena su 2 gruppi da 75 cd I da 105, 1utti su due batterie di quattro pezzi In sostanza la divisione greca coniava 18.550 uomini e. pur a,endo un numero di monru inferiore a quella iialtana. la superava di gran lunga nel numero dei fucili mitragltaiori e delle mitragliatrici. 336 e 112 coniro 216 e 48. (9) Mario Vercellino (1879 -1961). Sot101cnente di artiglieria nel 1899. Frequentò la Scuola di Guerra e prestò lunghi anni di servizio dt Stato Maggiore 111 numerosi comandi 111 Italia ed in colonia. Nella grande guerra fu capo di Staio Maggiore della 75" divisione e poi del XXVI corpo d'armata. Nel 1926 comandò il 1° rutiglieria da mon1agna. Promosso generale comandò l'artiglieria del Il corpo d'annata. la divisione mili1are di Torino, la Scuola di Guerra. Promo,so generale di corpo d"annata nel 1937 comandò 11 corpo d'armata di Torino, la 6• annata del Po, la 9• armrua in Albania. la 4• annata m Francia fino all'armi,1tL10.
OFFENSIVA INIZIALE ITALIANA (28 ottobre - 13 novembre 1940)
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comando del generale Geloso (IO) ed assegnò alla 91 il compito difensivo ed alla I t• quello di riprendere l'offensiva appena possibile; dispose, infine, l'invio in Albania di altre sette divisioni per il 5 dicembre. [I 26 novembre Badoglio, anche in seguito ad un articolo di Farinacci su Il Regime Fascista del giorno 23, che attribuiva il momentaneo successo dei Greci alla deficiente aLione di comando dello Stato Maggiore Generale, rassegnò le dimissioni dall'incarico. Mussolini, che già il 29 novembre aveva nominato sottocapo di Stato Maggiore Generale e sottosegretario alla guerra il generale Guzzoni 0 1), nominò il generale Cavallero capo di Stato Maggiore Generale il 7 dicembre. Le operazioni in Albania intanto continuavano nel loro andamento sfavorevole, le due armate non riuscivano ad arrestare l'avanzata dei Greci ed il generale Soddu si dimol.trava pessimista ed incapace di raddriaare la situazione. Il 4 dicembre Cavallero si recò in Albania, s'incontrò con il generale Scuero, nominato intendente dello scacchiere, e prese contatto con il generale Soddu e con i comandanti di annata; il 7 rientrò a Roma e nei giorni successivi concordò con gli altri vertici militari una serie di misure immediate per alimentare e potenziare le forze, in modo da creare un "muro" robusto, a salvaguardia dei tre obiettivi strategici, di fronte al quale arrestare la controffensiva ellenica. Questa, viceversa, a metà dicembre ancora continuava, e la situazione italiana veniva facendosi sempre più precaria. Mussolini allora nominò Cavallero Comandante Superiore delle FF. AA. italiane in Albania in sostituzione di Soddu (31 dicembre 1940). Il "muro" contj nuava a non reggere, nonostante l'immissione di nuove forze per chiudere le falle, gli attacchi di alleggerimento e i contrattacchi. L '8
( I 0) Carlo Geloso (I 879 - 1957). Tenente di artiglieria nel 1903. tem1inò la Scuoln di Guerra nel 191 O. Prese parte alla guerra di Libia ed alla grande guerra ncoprendo incarichi di Stato Maggiore. Colonnello nel 1926 comandò il 6° pesante campale e fu capo d1 Stato Maggiore del corpo d'armata di Roma. Promosso generale di brigata comandò l'artiglieria del corpo d'armata di Milano e fu capo d1 Stato Maggiore dei comandi designati di armata di Napoli e di Bologna. Generale d1 divisione fu governatore e comandante delle truppe del territorio dei Galla e Sidama in Africa orientale. Generale di corpo d'armata nel luglio 1939 ebbe il comando del corpo d'armata di Bari e poi delle truppe in Albania. Nel luglio 1940 era al comando della 3' am1ata quando fu nuovamente inviato m Albania al comando dell' 11' annata. Passato a disposizione del Comando Supremo fu catturato a Roma il 23 seuembre dai Tedeschi e deponato in Gennania. Rimpatriato nell'ottobre I 945 fu collocato a riposo. (11) Alfredo Guzzoni (1877-1965). Sonotenente di fanteria nel 1896, frequentò la Scuola di Guerra e transitò nel corpo di Stato Maggiore. Durante la grande guerra ricoprl diversi incarichi d1 Stato Maggiore e. promosso colonnello. nel 1918 fu capo ufficio opera1ioni del Comando Supremo e poi capo di Stato Maggiore della Commissione interallea1a di controllo. Rientrato in Italia fu capo di gabinetto al ministero della Guerra e poi comandante del 58° fanteria. della 3' brigata alpina, dell'Accademia di fanteria e di cavalleria. Da generale di divisione comandò la divisione di Roma e poi ebbe le fun11oni di governatore dell'Eritrea. Promosso generale di corpo d'annata comandò il corpo d'armata d1 Udine e poi, nella campagna delle Alpi occidentali. la 4' armata. Souosegretario alla Guerra e souocapo di Staio Maggiore Generale dal 30 novembre 1940 al 24 maggio 1941. nel marzo 1943 fu promosso generale d'armata e, nel giugno fu nomin:uo comandante delle forze amiate della Sicilia d1 cui diresse con molta abilità la difesa
SINTESI OPERATIVA (Periodo 14 nov. • 28 dic. 1940: Controffensiva Greca)
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gennaio i Greci sferrarono un'offensiva in forze per conquistare Berat; l'offensiva venne contenuta mediante una contromanovra diversiva per la riconquista di K.Jisura che non raggiunse il suo obiettivo, ma valse ad alleggerire la pressione greca. I Greci il 13 febbraio dettero il via ad una nuova offensiva, tendente alla conquista di Tepeleni, con una manovra di aggiramento da nord e di rottura da sud. La battaglia di Tepeleni, sviluppata in due fasi, si concluse nonostante alcuni successi tattici riportati dai Greci, con l'arresto dell'attaccante. Il muro resistè e Valona, Tepeleni e Berat rimasero in mano italiana. Dall'inizio della guerra alla vittoria difensiva della battaglia di Tepeleni, vi erano stati, da parte italiana, cedimenti, sbandamenti ed episodi di panico che avevano coinvolto grandi e piccole unità, ma le due armate, pur nelle ripetute tempeste, nonostante il gravissimo logoramento subito, erano riuscite a sopravvivere alla bufera. Il 9 marL.O, su sollecitazione di Mussolini, che da mesi tempestava di telefonate Cavallero perché "il vento cambiasse direzione", ebbe inizio, alla presenza di Mussolini, la controffensiva italiana in val Deshnizza. Impostata inizialmente quale operaLione di concorso all'arresto dell'offensiva greca su Tepeleni, venne successivamente ampliata alla ricerca di un risultato strategico. Sospesa c ripresa, dovette per la seconda volta essere interrotta, essendo troppo valida la resistenza greca e troppo ridotta la capacità offensiva italiana, nonostante il nutrito fuoco dell'avia.lione e dell'artiglieria. Mussolini lasciò deluso l'Albania, ordinando di riprendere l'offensiva "prima che fosse sparato un solo colpo di cannone da parte dei tedeschi", che si accingevano a dare inizio alla loro offensiva contro la Grecia dalla Macedonia. L'offensiva avrebbe dovuto essere ripresa il 31 marzo, ma intanto nuovi eventi maturarono nei Balcani. li 25 marzo la Jugoslavia aveva firmato un patto di adesione al Tripartito, ma pochi giorni dopo il principe reggente Paolo e il governo vennero rovesciati da una congiura militare e la Germania ne trasse occasione per iniziare, il 6 aprile, l'occupazione del paese. Il colpo di Stato in Jugoslavia con strinse il generale Cavallero a distogliere forze dall'offensiva contro i Greci e ad inviarle alla frontiera albanese-jugoslava. I Greci se ne accorsero e ne approffitarono per attaccare la fronte della 9• armata, che resisté e il giorno 9 aprile passò alla controffensiva. li giorno 13 anche l' 11 • armata riprese l'offensiva e dette inizio alla battaglia per l'Epiro, in concomitanza con l'azione delle forze germaniche operanti in Macedonia. Le due armate raggiunsero lentamente, a causa della tenace resistenza greca, il vecchio confine ed il 22 aprile le unità avanzate della 11• armata ebbero ragione della resistenza greca a Ponte Perati, entrarono in territorio ellenico e presero contatto con unità tedesche della 12• armata. L'offensiva si concluse il 23 aprile, dopo un' ulteriore resistenza delle forze greche che fino all'ultimo mantennero un contegno fieramente detenninato e che, deliberatamente, trascurarono di opporsi ai Tedeschi per concentrare le loro possibilità residue contro di noi. li giudizio conclusivo sulla campagna di Grecia non può non essere molto articolato. Le nostre truppe si trovarono ad operare in condizioni diffici-
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li. lnquadrate ed addestrate affrettatamente, dotate di un equipaggiamento mediocre, immerse in un ambiente naturale ostile e reso ancora più aspro e difficile dalle avverse condizioni meteorologiche, esse profusero nella lotta tutte le loro energie e pagarono un altissimo prezzo di sangue e di sofferenze. Le cifre delle perdite sono eloquenti: 13.775 morti, 54.874 feriti, 25.067 dispersi (per la maggior pane caduti sul campo), 12.368 congelati, 52. 108 ammalati. Ed è doveroso ricordare che IO colonnelli comandanti di reggimento fanteria caddero alla testa dei loro soldati. L'organizzazione di comando, carente all'inizio della campagna, migliorò sensibilmente con l'arrivo del generale Cavallero, quella logistica rimase purtroppo sempre scadente. Al riguardo il generale Montanari ha scritto: "Certamente la campagna di Grecia fu una delle più logoranti fra quelle combattute dal nostro esercito sui vari fronti. Iniziammo le operazioni alla frontiera greca con cinque divisioni binarie. Finimmo per impiegarne ventinove. E tutte si consumarono rapidamente, con i loro effettivi, i quadrupedi, gli automeui, i materiali di ogni genere. Non si trattò solamente di una grave perdita di prestigio, ma altresì di una riduLione di efficienza immensa e determinante ai fini delle operazioni successi ve. Una domanda sorge inevitabile. Per quale motivo non riuscimmo a rimontare celermente la situazione di inferiorità, pur possedendo l'Italia un potenziale bellico di gran lunga superiore a quello della Grecia? La risposta è semplice. La guerra contro la Grecia fu una guerra oltremare. Bisognò inviare letteralmente tutto dalla madrepatria attraven,o l'Adriatico, che per quanto stretto era pur sempre un mare. E le difficoltà connaturate con ogni impresa oltremare vennero aumentate dall'esigua capacità di scarico dei due unici porti di Valona e di Durazzo, nonché dalla estrema povertà della rete stradale albanese. Cosicché, quando si impose il problema di incrementare rapidamente lo strumento operativo per contrapporsi ai greci, nel suo duplice aspetto del potenziamento e dell'alimentazione, le difficoltà apparvero subito gravissime. Per quanto si facesse per meglio organizzare Valona e Durazzo (vi fu trasferita perfino buona parte della compagnia portuale di Genova) e per attivare altri punti di sbarco, non si arrivò mai ad ottenere una capacità di scarico proporLionata alle circostanze. Di conseguenza, dovendo utilizzare ogni meuo di trasporto ed ogni approdo, le divisioni giunsero in Albania frazionate e per i tempi successivi. All'inizio della terza decade di novembre 1940, mentre i comandanti si dannavano l'anima non sapendo come rifornire i reparti al fronte, a Bari si trovavano in attesa d'imbarco ben l 4.000 muli. Per la maggioranza dell'opinione pubblica la travolgente avanzata della 12• armata tedesca del maresciallo List - messa in atto dopo quattro mesi di attenta organizzazione - ebbe, ed ha tuttora, un unico significato: la guerra italo-greca fu vinta dalla Germania. In apparenza è vero, ma sarebbe molto più esatto dire che i tedeschi accelerarono una conclusione inevitabile a noi favorevole perché ormai il coraggioso esercito ellenico si era usurato in
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Albania e la superiorità complessiva era passata dalla nostra parte e non poteva che accrescere" <12>. La conclusione della campagna di Grecia consentì al generale Cavallero di esercitare concretamente le funzioni di capo di Stato Maggiore Generale, fino ad allora disimpegnate di fatto dal generale Guzzoni. Rientrato definiti vamentc a Roma il 18 maggio 1941, Cavallero chiese ed ottenne un sostanziale ampliamento delle sue attribuzioni (RD 27 giugno 1941 n° 661) che gli conferì poteri direttivi sui capi di Stato Maggiore di forza armata e che lo mise in condizione di esercitare il comando tecnico-operativo su esercito, marina ed aeronautica, mettendo fine a tanti dannosi particolarismi. Subito dopo il Cavallero riorganizzò lo Stato Maggiore Generale, denominato a partire dal 20 maggio Comando Supremo, e regolariaò i rapporti con il comando tedesco e con altre amministrazione dello Stato, in modo da poter intervenire con efficacia nella condotta dello sforzo bellico, naturalmente nel quadro delle direttive del Capo di Governo che non seppe o non volle mai contrastare. Cavallero, inoltre, volle come sottosegretariato alla Guerra il generale Scuero, determinando così l'allontanamento dal vertice militare del generale Guzzoni, non contemplando più il nuovo assetto dello Stato Maggiore Generale la figura del vice capo di Stato Maggiore. 5. Contemporaneamente alle ultime fasi della campagna contro la Grecia, l'Italia dovette impegnarsi in una breve offensiva contro la Jugoslavia. Questa nazione, come si à detto, aveva firmato a Vienna il 25 marzo 1941 un patto di adesione al Tripartito ma, pochi giorni dopo, il principe reggente Paolo ed il governo erano stati rovesciati da una congiura militare capeggiata dal generale Simovic. La Germania decise allora di invadere la Jugoslavia ed iniziò le operazioni il 6 aprile con un terroristico bombardamento su Belgrado. Anche il nostro Paese entrò in guerra, attaccando la linea fortificata di frontiera con la 2• annata il giorno 11. La sera dello steso giorno nostri reparù entravano a Lubiana ed il giorno successivo si collegavano con le truppe tedesche a Karlovae. Nei giorni seguenti la 2• armata avanzò rapidamente lungo la costa adriatica: il 14 fu raggiunta Zara, dove il presidio aveva validamente difeso la città, il 17 fu raggiunta Ragusa, dove avvenne il congiungimento con le divisioni che, provenendo dall'Albania, avevano già occupato Cettigne e Cattaro. Il 18, con la capitolazione dell'esercito jugoslavo, la breve campagna ebbe termine. La rapidità dell'avanzata, 400 km in sci giorni, non deve però far ritenere che si sia trattato di un trasferimento logistico. L'avversario seppe contrastare la nostra avanzata con bravura, soprattutto decisa fu la sua resistenza sul confine con l'Albania. Le nostre perdite ammontarono a 3.334 unità tra morti, feriti e
( 12) M . Montanari, Politica e strategia nella campal(1ta di Grecia. in "L'Italia in guerra • il primo a11110 • 19./0'', a cura della Commissione haliana di Storia Militare. Roma 1991.
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dispersi. Subito dopo la capitolazione del suo esercito la Jugoslavia fu smembrata: parti della Slovenia furono annesse all'Italia ed alla Gcnnania, il resto del territorio fu suddiviso in tre Stati (CroaLia, Montenegro e Serbia) occupati da Italiani e Tedeschi. La linea di demarcazione tra le due zone di occupazione seguì, da nord a sud, l'allineamento Brezice-Samobor-Petrinja-TravniSarajevo-Ustipraca-Rudo mentre il confine con l'Albania fu stabilito dal corso del fiume Narenta, dall 'abitato di Konijca al mare. Il controllo del territorio dei Balcani di competenza italiana fu affidato alla: - 2• annata, che stabilì il suo comando a Sussak schierando !'Xl corpo d'armata a Lubiana, il V a Cirquenizza, quello celere a Karlovak, il VI a Spalato; - 9• annata, che stabilì il suo comando a Tirana e che dislocò il XIV corpo d"annata a Prizren, per il controllo del Montenegro, del Kossovano e del Dibrano, ed il VII in Erzegovina; - 11 • armata, che stabilì il suo comando ad Atene e schierò i suoi corpi d'annata (il 111, l'VIII ed il XXVI) nella Grecia continentale e nelle isole. Le armate 9• cd 11• furono raggruppate nel gruppo annate Est, il cui comando ebbe sede a Tirana. 6. Fin dall'inizio delle ostilità l'Africa orientale italiana rimase completamente isolata dalla madrepatria e, a causa dell'impreparazione delle forze militari, imponenti solo sotto il profilo numerico, non rappresentò un pericolo per la continuità della linea di comunicaLione inglese Cairo-Città del Capo nè divenne la base di partenLa per una decisa offensiva su Khartum, che tanto avrebbe facilitato le nostre operazioni offensive in Libia. Nel primo mese di guerra, comunque, le forze italiane conquistarono le posizioni di Cassala, Gallabat, Kurmuk sul confine con il Sudan e tagliarono il saliente di Mandera su quello keniota. Nel mese di agosto fu conquistala la Somalia britannica, ma lo sforzo offensivo si esaurì presto e furono gli Inglesi a prendere l'iniziativa a partire dal gennaio 1941. Tra il 27 ed il 31 gennaio fu combattuta la battaglia di Agordat nella quale le truppe britanniche riuscirono ad avere ragione della tenace resistenza italiana, soprauuuo a causa della loro superiorità aerea e in forze corauate. Ripiegate su Cheren, le nostre unità si impegnarono in una nuova bauaglia difensiva. Fra il 2 ed il 13 febbraio gli Inglesi rinnovarono inutilmente consistenti attacchi contro le nostre posizioni, rese molto forti dalla natura aspra del terreno e della fiera detenninazionc delle truppe. Frattanto gli Inglesi, che avevano varcato il confine tra la Somalia ed il Kenia a partire dal 21 gennaio, iniLiarono nel settore sud una violenta offensiva, favoriti dal terreno pianeggiante che consentiva alle loro forze corazzate di esprimersi con grande efficacia. Prive di appigli tattici che ne potessero incrementare lo sforzo difensivo, le nostre truppe furono bauute in successivi scontri e si ritirarono nei territori dell'Harar, dove il terreno montuoso offriva migliori possibilità di difesa. Il 26 febbraio Mogadiscio cadde in mano nemica, perdita dolorosa ed emblematica
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per il nostro prestigio sulle popolazioni locali. Cominciò allora la diserzione dei reparti indigeni, preoccupati per la sorte delle loro famiglie e influenzati dall'accorta propaganda britannica. Il 17 marzo gli Inglesi attaccarono nel settore del passo Marda le nostre posizioni che resistettero fino al 21, quando fu necessario ripiegare ed organizzare una nuova linea di resistenza lungo il fiume Awase. li 15 marzo era ripresa l'offensiva inglese nel settore di Cheren che, dopo nove giorni di scontri accaniti, era riuscita a sopraffare la disperata resistenza dei difensori. Il duca d'Aosta decise allora di abbandonare Addis Abeba, 6 aprile, e di concentrare le unità superstiti sul!' Amba Alagi, per cercare di tenere separate le masse inglesi provenienti da nord da quelle provenienti da sud, ed impedire così che l'avversario potesse sottrarre forze allo scacchiere etiopico per spostarle in Libia. Ma le possibilità difensive italiane erano ormai esaurite. Dal I O al 17 maggio il ridotto del! ' Amba Al agi resistette al!' attacco concentrico delle forze inglesi, sostenuto da forti concentramenti d'artiglieria e da pesanti bombardamenti aerei, ma il 19 la bandiera italiana dovette essere ammainata. "Il duca d'Aosta, bella figura di soldato, che sulla pietraia del ridotto aveva vissuto come il più umile dei suoi fanti, chiuderà la sua ancor giovane esistenza, dedita alla Patria, in prigionia a Nairobi, IOmesi più tardi (3 marzo I 942)" ( I 3). Dopo la caduta dell'Amba Al agi la lotta continuò nella regione dei Galla-Sidama, dove il generale Gazzera fu costretto ad arrendersi il 6 luglio, e attorno a Gondar, ostinatamente difesa dalle truppe del generale Nasi fino al 27 novembre . L'orgogliosa difesa dell'Impero costò all'esercito 5211 caduti (426 ufficiali e 4.785 sottufficiali e militari di truppa) e 6.947 feriti (703 ufficiali e 6.244 sottufficiali e militari di truppa) nazionali e 11.753 caduti e 18.512 feriti coloniali. Gli insuccessi tattici furono dovuti soprattutto alla mancanza di mobilità, ali' assoluta insufficienza dell'armamento contraerei e controcarri, alla debolezza del sostegno aereo ed alla ridotta disponibilità di artiglierie. L'insuccesso strategico fu la conseguenza della mancata autonomia logistica dell'Impero e della relativa debolezza delle forze incaricate della sua difesa, aggravate da una strategia, influenzata da considerazioni politiche, che tentò di difendere tutto l'immenso perimetro e che non concentrò le risorse nella difesa nei settori di montagna, più idonei ad una resistenza da protrarre il più a lungo possibile. 7. Terminata la brevissima campagna sulle Alpi Occidentali, Mussolini ritenne possibile una vigorosa offensiva in Cirenaica, da lanciare in concomitanza con il previsto sbarco tedesco in Gran Bretagna. Il teatro delle operazioni comprendeva la fascia costiera tra el Agheila e Bardia, a carattere desertico, larga una cinquantina di km e profonda circa settecento. Percorribile quasi
13) La Guerra in Afria1 Orientale (giugno 1940-novembre /941 ). USSME, Roma 1952, pag. 226.
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ovunque ai mezzi corazzati, non era però del tulio priva di appigli tattici, come la salita dalla piatta disresa della Sirte al Gebel cirenaico in corrispondenza di Barce ed il gradone scosceso che scende dal bassopiano della Marmarica al deserto occidentale egiziano. Un teatro operativo particolarmente favorevole alla manovra di truppe motocorazzate, quindi, anche perché lo spazio, privo di qualsiasi valore economico e politico, poteva essere ceduto senza alcuna preoccupazione. Il JOgiugno 1940 le unità dell'esercito in Libia, erano ripartite in tre settori: quello libico-tunisino, affidato alla s• armata del generale Gariboldi <14) ed articolato su 3 corpi d'armata (X, XX e XXIII) per un totale di 6 divisioni di fanteria autotrasportabile tipo A. S. e di 2 divisioni della milizia; quello libicocgiziano, affidato al generale Berti, articolato su 2 corpi d'armata (XXI e XXII) per un totale di 3 divisioni di fanteria, I della milizia e 2 libiche; quello sahariano articolato su alcuni battaglioni libici ed alcune compagnie meharisti (15)_ Contro queste forze poco mobili e dotate in tutto di quattro battaglioni di carri L, gli Inglesi avevano schierato la Western Desert Force, un armonico complesso costituito da una divisione di fanteria, fortemente meccanizzata e fornita di una componente carrista, e da una moderna divisione corazzata. In tutto 40.000 uomini, addestrati a condurre una guerra motocorazzata nel deserto e magnificamente comandati dal generale O'Connor. Il 28 giugno Balbo fu abbattuto dalla nostra contraerea mentre sorvolava Tobruk e l'incarico di Comandante Superiore in Libia fu dato al Maresciallo Graziani, che conservò peraltro quello di capo di Stato Maggiore dell'esercito. Pressato continuamente da Mussolini, che arrivò a telegrafargli "ancora una volta vi ripeto che non vi fisso limiti territoriali, ... vi chiedo soltanto di attaccare le forze inglesi che avete di fronte ... ", Graziani alla fine si decise ad attaccare, ponendosi come obiettivo Sidi el Barrani, una sconosciuta località del deserto egiziano la cui occupazione avrebbe, comunque, permesso a Mussolini di non arrivare a mani vuote al tavolo della pace. Anche il Comando Supremo riteneva possibile effettuare una limitata azione offensiva, attribuendo una notevole forza d'urto ai 70 carri M 11/39 inviati nel mese di luglio in Libia. Il 13 settembre le truppe italiane varcarono il confine ed il 16 giunsero a
(14) ltulo Gariboldi ( 1879-1970). Sottotenente di fanteria nel 1898, frequentò la Scuola di Guerra dal 1909 al 1912. Partecipò alla guerra di Ubia ed alla 1• guerra mondiale. Tra le due guerre ricoprì diversi incarichi di S1ato Maggiore. comandò il 26° fanteria, fu insegnante titolare alla Scuola di Guerra, comandò la V brigata di fanteria, l'Accademia di fanteria e di cavalleria. la divisione Sabauda durante la guerra d'Etiopia. Promosso generale comandò il corpo d'armata di Triestte e nel seuembre 1939, promosso generale designato d'armata, fu inviato in Libia quale comandante della 5• armata . Governatore genera le della Libia e comandante superiore delle FF.AA. in Africa Set1en1rionale, nella primavera del 1941 dovetle lasciare l'incarico per contrasti con il generale Rommel. Rimpatriato. ebbe il comando dell'Armir in Russia e poi dell'8' armata in Italia. Depo1tato in Gerrnania nel settembre 1943. rimpatriò nel 1945 e fu colloca10 in congedo. (15) Quadro di bauaglia dell'esercito i1aliano in Libia alla data del IO giugno nell'Apd. n° 3 del capitolo.
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Sidi cl Barrani, mentre gli Inglesi si ritiravano, senza lasciarsi impegnare, nel campo trincerato di Marsa-Matruk. Un classico colpo nel vuoto, dunque, per l'occupazione di una base avanzata sul la quale, nel!' attesa di riprendere l'offensiva, il nostro schieramento era molto vulnerabile. L'armata di Graziani si trovava, infatti praticamente scaglionata su una profondità di oltre 200 km con un primo nucleo di forze a Sidi el Barrani, un secondo nucleo nei caposaldi di frontiera ed un terzo nucleo a presidio della piazza di Tobruk, tre nuclei, quindi, sostanzialmente indipendenti ed in funzione di difesa statica. Lo sbarco tedesco in Gran Bretagna non ebbe luogo e, tantomeno, ebbero luogo le trattative di pace per cui l'avanzata su Sidi cl Barrani, del tutto incongrua sotto il profilo militare, non raggiunse nemmeno quegli scopi politici così tenacemente ed illusoriamente auspicati da Mussolini. Ai primi di dicembre gli Inglesi ritennero di poter assumere l'iniziati va e di poter battere il nostro schieramento avanzato. Obiettivo dell'operazione "Compass" era, infatti, soltanto quello di annientare le nostre forze schierate a Sidi el Barrani, la prosecuzione dell'attacco fino alla frontiera era considerata solo auspicabile, alla possibilità di proseguire ancora oltre gli Inglesi non avevano proprio pensato. Quando l '8 dicembre la battaglia iniziò le nostre fanterie ebbero a sperimentare la scoraggiante inefficienza delle proprie armi di fronte ai mezzi blindati, pur di modeste caratteristiche, che le investivano da ogni parte, muovendo liberamente negli spazi intermedi. In qualche giorno di duri combattimenti la resistenza dello scaglione avanzato fu liquidata. Il primo obiettivo dell'offensiva inglese era stato raggiunto e l'operazione proseguì verso il secondo, l'attacco della posizione di frontiera. Lo svolgimento non fu molto diverso: investimento frontale e aggiramento dei singoli elementi. Lo sgretolamento della resistenza generale si concluse il 28 dicembre con la caduta del grosso caposaldo di Bardi a. La portata del successo fu tale da aprire le porte all'invasione della Cirenaica e il comando britannico decise di proseguire senz'altro l'azione. La terza ondata offensiva venne ad abbattersi sulla piazza di Tobruk che, investita il 21 gennaio, venne espugnala il 23. La via era aperta e i Britannici si lanciarono all'inseguimento, contrastati episodicamente da deboli distaccamenti di retroguardia. Aggirando il bastione del Gebel cirenaico, raggiunsero la via Balbia, oltre Bengasi, in anticipo sulla testa della colonna in ritirata. Un nostro coraggioso tentativo di aprirci la strada, condotto personalmente dal comandante dell'annata, generale Tellera che vi lasciò la vita, dette luogo alla battaglia di Beda Fomm nella quale si sacrificarono le residue forze motocorazzate di cui disponevamo. La Cirenaica fu così perduta, tranne il presidio di Giarabub che ostinatamente resisté fino al 21 marzo. Le nostre perdite furono molto ingenti: 4.000 morti, 7.000 feriti. 130.000 prigionieri, 1.290 pezzi di artiglieria, 400 carri e migliaia di veicoli perduti. Le perdite inglesi assommarono a 500 morti ed a 1.373 feriti. L'offensiva inglese terminò il 7 febbraio, in parte per naturale esaurimento della carica offcnsi va e in parte per l'esigenza di accorrere a sostegno della
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OPERAZIONI IN AFRICA SETTENTRIONALE ( DICEMBRE 1940 ... FEBBRAIO 1941)
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Grecia, sul punto di essere travolta dall'offensiva tedesca. Un piccolo velo di forze italiane si dispose difensivamente all'altezza di el Agheila: i pochi resti ancora validi della 10" armata ed alcune unità della 5", già depauperata per fornire parte dell'armamento e quasi tutti gli automezzi alla 10". La causa prima della grave sconfitta deve essere indubbiamente individuata nell'arretratezza dello strumento operativo italiano: potenza di fuoco insufficiente, specie controcarri e contraerei; mancanza di mobilità delle unità di fanteria; penuria di unità corazzate. Ad essa bisogna aggiungere gli effetti negativi dovuti alla sorpresa: strategica, in quanto Graziani non aveva ritenuto possibile un attacco inglese in forze e non aveva adottate le misure del caso; tattica, perché i nuovi procedimenti di azione adottati dagli Inglesi, impiego di unità di fanteria e di carri riuniti in gruppi tattici, sorpresero e disorientarono i nostri; tecnica perché i nuovi carri inglesi Matilda si rivelarono quasi invulnerabili alle armi controcarro italiane, efficaci solo se colpivano il fianco del carro o i cingoli. Ma non meno deleterie risultarono le qualità negative purtroppo palesate da Graziani: l'incapacità di impiegare le forze a sua disposizione nella misura adeguata e nel momento opportuno, un'insufficiente resistenza morale alle avversità per cui ben presto trasmise, anche non volendolo, sfiducia e scoraggiamento ai comandi e, di conseguenza, alle unità, facendo assumere alla sconfitta le proporzioni gigantesche che ebbe. Vi furono resistenze disperate e accanite, combattimenti moralmente e tecnicamente validi, episodi di alta perizia e di grande valore, ma non bastarono ad arrestare il nemico, motocorazzato, mobilissimo, in grado di accerchiare e sopraffare resistenze discontinue e deboli per poi manovrare liberamente in profondità. In un quadro tanto negativo non possiamo non ricordare il combattimento di el Mechili. Qui il 24 gennaio forze corazzate italiane, 57 carri M 13/40 e 25 carri L, finalmente impiegate a massa e adeguatamente sostenute da un nutrito fuoco di artigliera, colsero un buon successo tattico sulle forze corazzate inglesi, fino ad aJ!ora imbattute. Apparve allora chiaro, anche alle nostre gerarchie più affezionate al binomio fanteria-artiglieria, che la guerra del deserto poteva essere vinta solo con l'impiego del trinomio carri-artiglieria-aerei e che una divisione corazzata valeva nel deserto più di un'armata. Lo Stato Maggiore dell'esercito fu in grado di emanare subito una adeguata dottrina d'impiego, la circolare 1800, ma l'industria italiana non possedeva nè le materie prime nè la capacità tecnica per far compiere alle nostre unità corazzate quel salto di di qualità che il campo di battaglia aveva rivelato necessario. E così anche le successive vicende saranno condizionate da una costante inferiorità del nostro armamento. Nel frattempo anche la situazione strategica nel Mediterraneo si era deteriorata. L'aviazione italiana non era, infatti, riuscita ad impedire il graduale potenziamento di Malta, quasi sguarnita nel giugno, ed ora efficiente base per le unità navali ed aeree inglesi che, di fatto, impedivano la navigazione nel mare di Sicilia. Nella notte tra I' 11 ed il 12 novembre 1940 aerosiluranti inglesi avevano poi affondata nel porto di Taranto la Cavour e danneggiato grave-
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mente la Littorio e la Duilio. La perdita di queste tre corazzate rese ancora più prudente l'impiego delle nostre unità navali e gli Inglesi cominciarono, a partire dal mese di dicembre, ad interferire sempre più pesantemente nel traffico per la Libia. Mussolini dovette allora accettare l'offerta di collaborazione dei Tedeschi. Ai primi di gennaio del 1941 giunse in Sicilia un intero corpo d'armata aereo tedesco, il X C.A.T., che entrò in azione a partire dal 16 con ottimi risultati, ed il 15 del mese di febbraio sbarcarono a Tripoli i primi reparti del la S8 divisione leggera tedesca. Cominciò così un altro ciclo della guerra. Fino ad allora l'impostazione e la condotta delle operazioni erano state di marca esclusivamente italiana, accettando l'aiuto tedesco fu giocoforza condizionare le nostre decisioni a quelle dell'alleato. "Sebbene largamente inferiori di numero a quelle italiane le forze tedesche assunsero fin dall'inizio, in ragione della loro maggiore e migliore capacità operativa, il ruolo di protagoniste della lotta, condizionando il potere decisionale del comando supremo italiano e dei comandi superiori dipendenti e restringendo entro limiti angusti la sfera delle iniziative e degli interventi autonomi italiani anche sul piano della grande tattica oltreché, naturalmente, su quella della strategia" (16).
(16) F. Stefani, La storia della dorrrina, voi. IL tomo 2°, USSME. Roma 1985, pagg. 227 e 228.
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Appendice n. 1 al capitolo XVI
Quadro di battaglia al 10 giugno 1940 del gruppo armate ovest
Comandante: Umberto di Savoia, principe di Piemonte; Capo di Stato Maggiore: generale Emilio Battisti; LXI gruppo aviazione A 1• armata Comandante: generale Pietro Pintor; Capo di Stato Maggiore: generale Fernando Gelicel. Truppe di armata: • 4° artiglieria contraerei; • 2°, 4°, 7° e 8° raggruppamento artiglieria d'armata; • I0 battaglione radiotelegrafisti; • 1° battaglione telegrafisti; • TI 0 battaglione telegrafisti; • II0 e V 0 battaglione minatori; • LXIX gruppo aviazione; • unità del genio collegamenti e dei servizi. Riserva di armata: • divisioni di fanteria Pistoia, Lupi di Toscana, Cacciatori delle Alpi; • divisione alpina Pusteria; • raggruppamento celere di armata ( l O bersaglieri, 3° fanteria carrista, Cavalleggeri Monferrato ). II corpo d'armata (generale Francesco Bertini): • divisioni di fanteria da montagna Forlì, Acqui e Livorno; • divisione alpina Cuneense; • truppe di corpo d'armata (lii sellore GAF, 2° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, 2° raggruppamento genio, battaglioni alpini Val Stura e Val Maira, VI e CII battaglioni rnitraglieri, CIX e CXN battaglioni mitraglieri da posizione, V battaglione artieri, 2° compagnia carrista, unità del genio collegamenti e dei servizi). III corpo d'armata (generale Mario Arisio): • divisione di fanteria da montagna Ravenna; • divisione di fanteria Cuneo; • 1° raggruppamento alpini (3 battaglioni e 2 gruppi artiglieria);
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• truppe di corpo d'armata (II settore GAF, 3° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, 3° raggruppamento genio, battaglione alpini Val Venosta, III e CII battaglione mitraglieri, CXII battaglione mitraglieri da posizione, III e IV battaglione CC. NN., X battaglione artieri, unità del genio collegamenti e dai servizi).
N corpo d'armata (generale Gastone Gambara): • divisioni di fanteria Cremona e Cosseria; • divisione di fanteria da montagna Modena; • raggruppamento alpini (4 battaglioni alpini, 2 gruppi artiglieria, 1 battaglione CC.NN.); truppe di corpo d'armata (1 e V settore GAF, 15° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, XV battaglione mitraglieri, CVIII e CXI battaglioni mitraglieri da posizione, III e IV battaglioni CC. NN, X battaglione artieri, unità del genio collegamenti e dei servizi). B 4• armata Comandante: generale Alfredo Guzzoni. Capo di Stato Maggiore: generale Mario Soldarelli. Truppe di armata: • I O artiglieria contraerei; • I 0 , 6° e 9° raggruppamento di artiglieria d'armata; • I e III battaglione minatori; • V gruppo aviazione; • unità del genio collegamenti e dei servizi. Riserva di armata: • divisioni di fanteria Legnano e Brennero; • raggruppamento celere di armata (4° bersaglieri, I O fanteria carrista, Nizza Cavalle ria); I corpo d'armata (generale Carlo Vecchiarelli): • divisione di fanteria Pinerolo; • divisioni di fanteria da montagna Superga e Cagliari; • truppe di corpo d'armata (X settore GAF, 4° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, IV battaglione mitraglieri, CIV battaglioni mitraglieri da posizione, I battaglione artieri, unità del genio collegamenti e dei servizi);
IV corpo d'armata (generale Mario Mercarelli): • divisioni di fanteria da montagna Assietta e Sforzesca; • truppe di corpo d'armata (VII settore GAF, 4° raggrupamento artiglieria di corpo d'armata, IV battaglione mitraglieri, CIV battaglione mitraglieri da posizione, I battaglione artieri, unità del genio collegamenti e dei servizi).
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corpo d'armata alpino (generale Luigi Negri): • divisioni alpine Taurinense e Tridentina; • raggruppamento alpino Levanna; • 3° reggimento alpino; • truppe di corpo d'armata (X settore GAF, battaglione alpino Duca degli Abruzzi, CIII e CX battaglione mitraglieri da posizione, II battaglione CC.NN., reparto autonomo Monte Bianco, unità dei servizi).
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Appendice n. 2 al capitolo XVI
Quadro di battaglia al 28 ottobre 1940 delle truppe d'Albania
Comandante: generale Sebastiano Visconti Prasca.
- X.XV corpo d'annata (generale Carlo Rossi): • divisioni di fanteria Siena e Ferrara; • divisione alpina Julia; • divisione corazzata Centauro; • raggruppamento del litorale (3° granatieri, 6° Lancieri di Aosta e 7° Lancieri di Milano). - X.XVI corpo d'armata (generale Gabriele Nasci): • divisione di fanteria Parma; • divisione di fanteria Piemonte. - a disposizione del Comando Superiore: • divisioni fanteria Venezia ed Arezzo; • 26° raggruppamento genio su battaglione artieri, battaglione marconisti, battaglione telegrafisti, battaglione minatori, battaglione pontieri; • reparti guardia alla frontiera; • servizi di annata. In totale 140.000 uomini. Le unità, al 100% del personale, erano al 75% dei quadrupedi e dei mezzi di trasporto.
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Appendice n. 3 al capitolo XVI
Quadro di battaglia al 10 giugno 1940 delle truppe in Libia
Comandante: Maresciallo dell'Aria Italo Balbo. Capo di Stato Maggiore: generale Giuseppe Tellera. Intendente: generale Alberto D' Aponte. - 5' armata (generale Italo Gariboldi): • X corpo d'armata (generale Alberto Barbieri) su 3 divisioni di fanteria (Sabratha, Bologna, Savona); • XX corpo d'armata (generale Ferdinando Cona) su tre divisioni di fanteria (Pavia, Brescia, Sirte); • XXIII corpo d'armata (generale Annibale Bergonzoli) su 2 divisioni CC.NN. (l" e 2•).
- Io• armata (generale Mario Berti): • XXI corpo d'armata (generale Lorenzo Dalmazzo) su 2 divisioni di fanteria (Marmarica e Cirene) e 2 divisioni libiche (l" e 2•); • XIII corpo d'armata (generale Enrico Pitassi Mannella) su 1 divisione di fanteria (Catanzaro) e 1 divisione CC.NN (4.):
- Scacchiere sahariano: • comando fronte sud su 2 battaglioni libici , I compagnia mitraglieri da posizione, 1 btr. cammellata da 65/17, 2 sezioni mitragliere da 20; • comando truppe Sahara libico su 1 battaglione sahariano, 1 compagnia automitragliatrici, 4 compagnie meharisti, 10 compagnie mitraglieri da posizione.
XVII. LA GUERRA SUBALTERNA
I. Nella primavera del 1941 l'andamento della guerra sembrò prendere una piega favorevole. In Africa Settentrionale, dove il generale Gariboldi aveva sostituito il Maresciallo Graziani nell'incarico di governatore della Libia e di Comandante Superiore delle forze armate, le nostre forze si erano ricostituite con l'arrivo nel gennaio della divisione fanteria motorizzata Trento, di un reggimento bersaglieri, di un battaglione di carri M 13/40, di 20 batterie d'artiglieria. Nel febbraio era poi sbarcata a Tripoli la 5" divisione tedesca al comando del generale Rommel ed anche la minaccia inglese al traffico marittimo si era molto attenuata in seguito alla neutralizzazione di Malta, tanto che nel trimestre gennaio-marzo I 941 erano giunti in Libia 51.955 uomini su 53.023 partiti e 221.020 tonnellate di materiale su 236.662 spedite. li 23 marzo una puntata offensiva del reparto esplorante della 5• divisione tedesca costrinse i reparti inglesi che presidiavano el Agheila a ritirarsi su Marsa el Brega. Rommel chiese allora l'autorizzazione ad effettuare un'azione offensiva locale, autorizzazione accordata da Gariboldi con l'esplicito divieto di procedere oltre Agedabia. Rommel non se ne dette per inteso, raggiunta e superata Agedabia il 2 aprile si appellò direttamente a Mussolini e, ottenutone il consenso, si spinse risolutamente avanti trasformando un'iniziativa locale in una grande offensiva. 11 24 aprile, infatti, riconquistò Bengasi, 1'8 maggio Derna e il 12 Bardia, conseguendo un grande successo tattico, maggiore di quello del dicembre-febbraio degli Inglesi; ma mentre questi avevano distrutto la 10• armata italiana, Rommel pur infliggendole gravi perdite, non riuscì ad annientare rs• armata britannica, che portò in salvo forze rilevanti e mantenne il possesso della piazzaforte di Tobruk. Vero è che, come scrisse Rommel, "nella guerra moderna non era mai stata intrapresa fino ad allora un'offensiva così impreparata" che conseguisse un così spettacolare successo, ma è altresì vero che Tobruk rimase una vera e propria spina nel fianco del nostro schieramento, impedì un successo maggiore e rappresentò, per tutto il resto della primavera, per l' estate e per i primi mesi dell'autunno, un osso talmente duro da far fallire i ripetuti tentativi di espugnazione. La piazzaforte di Tobruk resistette, infatti, sia agli attacchi speditivi del!' 11-13 aprile sia a quelli, condotti in forza e con procedimenti metodici, del 14-17 apri le e del 30 aprile-2 maggio. L'improvvida decisione di Mussolini, inoltre, esautorò Gariboldi e da quel momento l'arroganza di Rommel non conobbe più limiti ed i contrasti con
S.M.E. - UFFICIO STORICO
OPERAZIONI IN AFRICA SETTENTRIONALE ( MARZO-APRILE
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Gariboldi divennero talmente aspri che il 19 luglio fu necessario sostituire il comandante italiano con il generale Bastico O). Nell'agosto le forze italo-tedesche furono riordinate, alle dipendenze del Comando Superiore Africa Settentrionale comprendevano: il corpo d'armata di manovra (C.A.M.) comandato dal generale Gambara (2) e costituito dalla divisione corazzata Ariete, dalla divisione di fanteria motorizzata Trieste e dal raggruppamento esplorante; il corpo tedesco d'Africa (C.T.A.) su 15' e 21• divisione corazzata, divisione di fanteria italiana Savona e divisione tedesca per compiti particolari (Z.B.V.); XXI corpo d'armata, comandato dal generale Navarrini, costituito dalle divisioni di fanteria Bologna, Pavia, Brescia e dalle superstiti aliquote della Sabratha. Al generale Rommel fu, inoltre, riconosciuto il comando diretto anche delle forze italiane schierate ad est di Ain el Gazala. Il riordinamento delle forze italiane non fu solamente un fatto fonnale. Il Comando Superiore, infatti, resosi conto dell'insufficienza della nostra dottrina tattica, impietosamente messa a nudo dalla realtà della guerra, elaborò nuove direttive d'impiego ed adeguò ad esse anche gli organici. I correttivi introdotti riguardarono soprattutto l'impiego e l'ordinamento delle divisioni di fanteria in quanto le circolari tattiche che regolavano l'impiego delle unità corazzate si erano dimostrate valide. Per quanto riguarda l'aspetto impiego, il Comando Superiore prese atto che le caratteristiche del terreno erano tali da consentire l'azione offensiva solo a forze corazzate o blindate e che, sia in attacco sia in difesa, l'elemento detenninante del successo era la potenza e la manovrabilità del fuoco. Coerentemente con tale convincimento, rinunciò ad impiegare le divisione di fanteria in azioni offensive e modificò le norme d'impiego per le azioni difensive, abbandonando la difesa a fascia, prescritta dalle circolari in vigore, (l) Enore Bastico (1876-1972). Sottotenente dei bersaglieri nel 1896, frequentò la Scuola di Guerra dal 1902 al 1905 e prese pane da capitano alla guerra libica. Durante la grande guerra assol se incarichi di comando e di Stato Maggiore. Insegnante di arte militare terrestre presso l'Accademia della Marina dal 1919 al 1923 scrisse in tre volumi L'evoluzione dell'arte della g:-term, opera di notevole valore. Comandante del 9° bersaglieri dal I 923 al 1927, diresse la Rivisra Milirare e comandò la Scuola Militare di Educazione Fisica. Promosso generale comandò la XIV brigata di fanteria, la 1• divisione celere e la divisione militare di Bologna. Durante il _conflitto italoetiopico comandò la 1• divisione CC.NN. e poi, promosso generale di corpo d'armata, il III :orpo d 'armata speciale. Il 15 aprile 1937 prese il comando del C.T.V. in Spagna che lasciò il IO ottobre dello stesso anno. Promosso generale d'am1ata ebbe il comando prima della 2' armata e poi di quella del Po. Senatore nel 1939, governatore dell'Egeo dal dicembre 1940, il IO luglio 1941 fu nominato governatore della Libia e Comandante Superiore in Africa Settentrionale. Il 12 agosto 1942 fu promosso Maresciallo d'Italia. (2) Gastone G ambara (l 890-1962). Sottotenente degli alpini nel I 913, partecipò alla 1• guerra mondiale. Capiiano nel 1916, maggiore nel 1918, fu trasferito nel 1927 nel corpo di St.ato Maggiore. Colonnello nel 1937, fu capo di Stato Maggiore del C.T.V. in Spagna. Nel 1938, promosso generale di brigata, prese il comando del C.T.V. Promosso generale di divisione nel 1939 fu il primo ambasciatore italiano nella Spagna di Franco. Dal giugno 1940 al febbraio 1941 comandò il XV corpo d'armata. passò poi in Albania al comando dell'Vlll. Promosso generale di corpo d 'armata per merito di guerra, fu inviato in Africa settentrionale quale capo di Stato Maggiore del Comando Superiore e poi quale comandante del corpo d'armata di manovra. Comandò successivamente il XIX e l'XI corpo d' armata. Dopo 1'8 settembre 1943 aderl alla Repubblica Sociale ed il 20 giugno I 945 fu radiato dai ruoli dell'esercito con perdita del grado.
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sostituendola con una sistemazione difensiva a caposaldi, in parte mutuata dai procedimenti usati dall'8• annata britannica. L'organico delle divisioni di fanteria, sancito ufficialmente il 2 gennaio I942, prevedeva un ordinamento rivoluzionario per la compagnia fucilieri, articolata ora su 1 plotone fucilieri, I plotone mitraglieri, I plotone fuciloni controcarro da 20 o 25 mm, I plotone controcarri da 47/32, per un totale di 5 ufficiali, I 3 sottufficiali, 111 militari di truppa con 6 fucili mitragliatori, 3 mitragliatrici, 3 fuciloni controcarro, 3 pezzi da 47/32 ma con soli 3 autocarri, ordinamento che rendeva il reparto idoneo soltanto ad una difesa statica. Anche il reggimento di artiglieria divisionale fu adeguratamente rinforzato: I gruppo da 88/55, 2 gruppi da 100/17, 2 gruppi da 75/27, 2 batterie da 20. Altrettanto innovative le trasformazioni organiche della divisione motorizzata. I due reggimenti di fanteria furono alleggeriti, ciascuno su 2 battaglioni di 3 compagnie, ma alla divisione fu aggiunto un battaglione autoblindo (47 autoblindo mod. AB 41) ed un battaglione carri (52 carri M 13/40), ed il reggimento di artiglieria fu strutturato come quello per divisione di fanteria. La divisione corazzata rimase sostanzialmente invariata, I reggimento carri su 3 battaglioni (ciascuno su 63 carri M 13/40) ed I reggimento bersaglieri su 2 battaglioni di 3 compagnie, ma l'aggiunta di I battaglione semoventi da 47/32 e di un battaglione autoblindo incrementò notevolmente le possibilità della divisione in fatto di esplorazione e di fuoco controcarri. Anche il reggimento d'artiglieria assunse il nuovo ordinamento su 5 gruppi e 2 batterie contraeree. Concetti informatori dei nuovi organici furono dunque l'incremento della capacità di fuoco controcarri ed il miglioramento del rapporto fanteria-artiglieria, per adeguare lo strumento operativo al combattimento in terreni ad alto indice di scorrimento. Durante l'estate sia le unità italo-tedesche sia quelle inglesi misero a punto i loro dispositivi, nel tentativo di riprendere l'iniziativa delle operazioni prima che l'avversario fosse pronto. La gara di velocità si risolse a favore degli Inglesi, che iniziarono la loro seconda controffensiva il J8 novembre e sorpresero le forze italo-tedesche intente a preparare l'espugnazione di Tobruk. Si combatté tra il 18 novembre e il 7 dicembre nella Marmarica e la grande battaglia fu soprattutto un ripetersi di scontri di forze corazzate. li disegno di manovra inglese prevedeva l'impiego di un corpo d'armata per impegnare le forze corazzate e mobili italo-tedesche sulle posizioni di frontiera, l'aggiramento del fianco destro di tali posizioni da parte di un altro corpo d'armata per intercettare e distruggere le forze italo-tedesche e la simultanea sortita della guarnigione assediata di Tobruk. Rommel non aveva creduto alle informazioni italiane, che davano per imminente la controffensiva britannica, e si lasciò sorprendere nel tempo e nella direzione dall'attacco nemico. Così come cadde in errore quando si convinse di aver battuto, nell'azione accerchiante del 23 novembre, le forze inglesi, e successivamente quando, sulla base di tale errata valutazione, considerò possibile una manovra avvolgente nella zona a sud di Sidi Omar. Scopo della battaglia tra carri è la distruzione dei carri nemici, ricorrendo anche a
OPERAZIONI IN AFRICA SETTENTRIONALE (NOVEMBRE-DICEMBRE 1941)
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"metodi indiretti", quale quello di indurre il nemico a ingaggiare battaglia per difendere o recuperare un punto chiave. Tale tattica consentì a Rommel, facendo massa sui punti voluti mentre le forze inglesi erano molto disperse, di manovrare e di affrontare una alla volta le tre brigate corazzate che gli Inglesi gli mandarono incontro in processione. Dei 700 carri con i quali gli Inglesi erano partiti, il 24 novembre ne restavano in linea solo 70. Ma gli Inglesi ne avevano 500 in riserva, che trasferirono dai depositi egiziani in Marmanica, consentendo così al loro corpo corazzato, stordito per le batoste dei giorni precedenti, di riprendersi. Rommel, insomma, malgrado tutto, vinse la battaglia, ma perse la partita, perché non poté alimentare la lotta e ripianare almeno in parte le perdite. Rimasto con 60 carri, fu costretto a ripiegare su linee successive: Ain el-Gazala (9-10 dicembre), Mechili-Tmimi-Derna (16-17 dicembre), Agedabia (18-25 dicembre), Marsa el Brega-Marada (1-10 gennaio). Tra le cause della sconfitta italo-tedesca un posto di rilievo deve essere dato alla fortissima crisi dei rifornimenti dall'Italia alla Libia. Da quando le forze aeree tedesche di base in Sicilia erano state ritirate per partecipare alla campagna contro la Russia, Malta era ridiventata la base di notevoli forze aeree e navali inglesi che, nel novembre 1941, riuscirono a colare a picco il 62% dei rifornimenti via mare dell'Asse. Hitler allora acconsentì a neutralizzare nuovamente l'isola mediterranea con l'impiego della II Lufttlotte del feldmaresciallo Kesserling ed il nostro Comando Supremo decise di pianificarne l'occupazione, operazione denominata in codice "C3". Mentre gli Inglesi, in piena crisi di rifornimenti, sostavano ad Agedabia, la riorganizzazione delle forze italo-tedesche procedette con ritmi veramente prodigiosi e già il 21 gennaio 1942 Rommel fu in grado di procedere ad una vigorosa ricognizione offensiva che lo portò alla riconquista di tutto il Gebel cirenaico fino ad Ain el Gazala, dove gli Inglesi si erano coagulati. I nuovi ordinamenti delle divisioni italiane, per quanto ancora incompleti, si rmvelarono adeguati alle esigenze e dimostrarono come il nostro Comando Superiore avesse ben compreso e risolto, sotto il profilo concettuale, il problema operativo. Sul piano logistico poi la rinnovata pressione su Malta aveva incominciato a produrre benefici effetto ed il flusso dei rifornimenti era ritornato ad essere sufficiente. La sera del 26 maggio Rommel lanciò un attacco con intenti ambiziosi: mentre le divisioni di fanteria avrebbero simulato un attacco frontale, quelle corazzate, aggirati i campi minati a sud di Bir Hacheim, sarebbero piombate sulle retrovie dell'8' armata britannica. L'avanzata fu più lenta del previsto per la coriacea resistenza inglese e quando le divisioni corazzate tedesche arrivarono alla costa i I grosso dell ' s• armata si era già ritirato. Rommel attaccò allora Tobruk ed il 21 giugno la munitissima piazzaforte si arrese, consentendo alle forze italo-tedesche un enonne bottino di viveri, di munizioni e soprattutto di carburante nonché la cattura di 33.000 uomini. Ripresa l' avanzata, le colonne più avanzate arrivarono a Marsa Matruk il 26. Gli Inglesi di irrigidirono, ma furono rapidamente superati e lasciarono nelle nostre mani altri 6000 uomini.
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La caduta di Tobruk ebbe purtroppo un effetto collaterale deleterio: la rinuncia ali' occupazione di Malta. Il nostro Comando Supremo era sempre convinto che non fosse possibile una decisa avanzata in Egitto prima della definitiva neutralizzazione di Malta e aveva portato avanti con decisione l'approntamento dei mezzi e delle unità per occupare l'isola. L'ingente bottino fatto a Tobruk indusse Rommel a chiedere ad Hitler l'autorizzazione a sfruttare la vittoria ed a inseguire gli Inglesi fino al Nilo, autorizzazione che Hitler concesse, sostenendo che il problema dei trasporti era caduto, dal momento che si sarebbero utilizzati i rifornimenti catturati al nemico. Mussolini fu subito d'accordo con Hitler, le rimostranze di Cavallero e di Kesserling non furono prese in considerazione. Nei mesi successivi Malta si dimostrerà un fattore fondamentale nella "battaglia dei convogli" e le forze italo-tedesche subirono le pesanti conseguenze delle improvvisazioni dei due dittatori. L'alimentazione delle forze italo-tedesche in Africa settentrionale fu resa molto difficoltosa anche per la presenza di due altri fattori riduttivi: la scarsa ricettività dei porth libici e l'eccessiva lunghezza delle comunicazioni terrestri. Come ha osservato il Ceva, tra Tripoli e Sollum intercorre una distanza di 1600 km, come da Reggio Calabria a Monaco di Baviera, e tra Tripoli ed el Alamein la distanza è addiriittura di 2000 km, come da Reggio Calabria a Vienna. Anche sbarcando i rifornimenti nei porti di Bengasi e di Tobruk le distanze da percorrere rimanevano notevolissime, rispettivamente 900 e 600 km. Le conseguenze di tale situazione sono evidenti: uno storico israeliano, il Van Creveld, ha calcolato, ad esempio, che il 10% del carburante sbarcato era consumato per trasportare il restante 90% ai reparti utilizzatori e che il 35% degli autocarri era permanentemente in riparazione a causa della lunghezza dei percorsi. Il 30 giugno la situazione mutò; in corrispondenza di el Alamein, a poco più di 100 km da Alessandria, la resistenza inglese divenne troppo forte per l'ormai logora armata italo-tedesca. In corrispondenza di el Alamein il deserto si restringe tra il mare e la depressione di el Qattara, che non consente l'aggiramento da parte di forze corazzate, e gli Inglesi decisero di utilizzare la strettoia per la loro battaglia di arresto. Per tutto il mese di luglio l'armata italo-tedesca tentò caparbiamente di rompere il fronte difensivo inglese senza riuscirvi e armata britannica, dal canto suo, tentò più volte di scompaginare il nostro dispositivo. Furono combattimenti duri, massacranti, dominati dall'incertezza del risultato, che tuttavia cessarono a fine mese, quando il fronte si stabilizzò e g li spazi vennero saturati per l'intera ampiezza della stretta da parte di entrambi i contendenti. Le truppe italiane e quelle tedesche schierate sulle posizione di el Alamein furono riunite nell'armata corazzata italo-tedesca (A.C.I.T.) alle dipendenze di Rommel, a sua volta alla dirette dipendenze del Comando Supremo, e così schierate: X corpo d'armata (divisione Brescia, Folgore, e Pavia) a destra sulla fronte sud fino alla depressione di el Qattara; XXI corpo d'armata (divisioni Trento e Bologna) nel settore nord fino al mare; XX corpo d'armata (divisioni Ariete, Littorio e Trieste) in 2• schiera a nord.
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Nel mese di agosto fu progressivamente rinforzata la posizione difensiva, costituita da una profonda fascia di apprestamenti campali e di campi minati, che si estendevano dalla depressione fino al mare_ Una sistemazione difensiva che ricordava in parte la prima guerra mondiale, anche se al binomio reticolato-mitragliatrice si era affiancato quello campo minato-cannone controcarro. Si tornò alla situazione già più volte sperimentata in passato; le due armate si fronteggiavano, impegnate in un poderoso sforzo di potenziamento, in attesa di riconquistare sull'altra quel margine di superiorità che le consentisse di riprendere l'iniziativa. Si procedeva frattanto attivamente ai lavori di rafforzamento, con l'impiego di centinaia di migliaia di mine. Sul mare la battaglia dei ri fornimenti si sviluppava in condizione di drammatica inferiorità per la nostra parte. Me ntre l'aumentata distanza del fronte dai porti di sbarco re ndeva più oneroso il problema dell 'alimentazione della linea, mentre le esigenze del potenziamento avrebbero voluto un sostanziale impulso negli arrivi, la situazione nel Mediterraneo andava gradualmente sempre più deteriorandosi. La reazione avversaria si concentrava prevalentemente sui carichi di carburante, determinando una preoccupante situazione per le unità mobili, in costante crisi di agibilità. Dall'altra parte, invece, la padronanza dei mari assicurava il regolare flusso dei rifornimenti, dapprima per la lunga rotta del periplo africano (quando, dopo la disfatta di fine giugno, gli Inglesi avevano proceduto persino all'abbandono della base di Alessandria), poi, ben presto, con il ripristinato sistema dei grossi convogli attraverso il Med iterraneo. L'aiuto americano sopperiva ormai in misura sempre più larga alla fornitura di materiali, specie di carri e di aerei, di modello modernissimo. A metà ottobre il rapporto di forze tra le due armate contrapposte era il seguente: 100.000 uomini dell'A.C.I.T. contro 220.000 dcll'8• armata; 71 battagli oni di fanteria (44 italiani e 27 tedeschi) contro 85; 1 battaglione mitraglieri contro 8; 475 pezzi di artiglieria (275 italiani e 200 tedeschi) contro 908; 744 cannoni controcarro contro 1350; 489 carri (278 ital iani M I 3/40 e 21 I tedeschi Mark Il, III e IV) contro 1.229 (Sherman , Grant, Crusader, Stuart, Valentine e Matilda); alcune decine di autoblindo contro 500; meno di 500 velivoli italiani tedeschi contro 1200 inglesi. Verso la metà di sellembre Rommel lasciò l'armata per motivi di salute e fu sostituito dal generale Stumme, preceduto da fama di buon comandante di unità corazzate al fronte russo. Il nuovo comandante sparì tragicamente dalla scena nelle prime ore dell a battaglia, la cui direzione tornò immediatamente nelle mani di Rommel, precipitosamente richiamato dalla clinica dove era in cura_ La battaglia di El Amamein, accesa il 24 ottobre, fu una sistematica, massiccia azione di logoramento, contro una posizione solidamente organizzata e strenuamente difesa, condotta dagli Inglesi con pertinacia e non soverchio slancio, con iperbolica profusione di mezzi, specie aerei e di artiglieria. Un lento procedere da parte loro, metro per metro, implacabile e irreversibile . Da parte nostra la coraggiosa determinazione di ogni uomo, italiano e tedesco, per contendere palmo a palmo i progressi avversari , un instancabile e coraggioso inter-
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vento delle riserve mobili per rammendare di giorno in giorno, in qualche maniera, gli strappi prodottisi nel connettivo della posizione. Un fatale indebolimento progressivo dell'organizzazione difensiva, talvolta anche compromessa nella sua continuità, ma sempre reintegrata; l'inevitabile esaurimento della massa di manovra, onnipresente ovunque vi fosse una situazione da ripristinare o da rappezzare. Contemporaneamente, un pauroso calo delle scorte di munizioni e di carburante che costringeva a sempre maggiore economia nella reazione di artiglieria e delle stesse unità mobili, lasciando prevedere a breve scadenza l'esaurimento dell'ultima capacità di resistenza. La difesa a oltranza, tassativamente prescritta dal Comando Supremo, andava incontro alla sua ineluttabile conclusione. Rommel ebbe sempre presente l'opportunità di sganciarsi dalla stretta mortale dell'avversario e di introdurre nel giuoco tattico, a un certo momento, l'elemento spazio, particolarmente redditizio in presenza di un avversario estremamente guardingo e condizionato dalla precisa esecuzione di piani rigidamente prestabiliti in ogni particolare. Questa visione venne sempre avversata da Roma e da Berlino. Alla vigilia della conclusione ormai fatale della battaglia, il 2 novembre, Rommel prese l'iniziativa di avviare la manovra di sganciamento e, nonostrante lo stretto contatto, riuscì anche ad attuare le prime misure relative. Ma il giorno seguente venne inchiodato al suo posto da un ordine perentorio di Roma e, particolarmente, dal brutale intervento di Hitler che posssiamo riassumere nell'ultima frase del suo messaggio: " ... alla Sue truppe non resta che la vittoria o la morte ... ". L'ordine di resistenza ad o ltranza compromise in modo irreparabile la salvezza di quanto la sera del 2 era ancora operativamente valido. La mattina del 4 1'8• annata britannica investì le posizioni italo-tedesche lungo tre direttrici di attacco e, nonostante la determinazione dei difensori, il fronte fu ovunque travolto. "L'accanimento, l'ardore e la resistenza morale e fisica dei combattenti italiani e tedeschi nella battaglia, malgrado la schiacciante superiorità materiale dell'8· armata britannica - i cui soldati combatterono anch'essi con ostinazione, abilità, metodo e valore - e le scarse speranze di vittoria, costituiscono di per sé un titolo ed un grande merito per l'Italia e per la Germania sul piano dei valori spirituali e storici delle due nazioni" <3>. La ritirata di quanto rimaneva dell' A.C.l.T. fu caratterizzata da un contrasto di fondo tra il Comando Supremo e Rommel. Il primo intenzionato a prolungare il ripiegamento mediante successive resistenze, il secondo deciso a raggiungere nel più breve tempo possibile la Tunisia per reimbarcare le sue truppe. Lo sbarco americano in Marocco cd in Algeria, avvenuto 1'8 novembre, aveva convinto, infatti, il generale tedesco dell'impossibilità di mantenere una (3) F. Stefani , u1 storia della do11ri11a e degli ordinamenti dell'esercito italiano. voi. 11,
tomo 2° la seconda guertra mondiale (1940-1943). USSME. Roma 1985, pag. 394.
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testa di ponte in Africa. Il ripiegamento, favorito dalla prudentissima avanzata inglese, fu cadenzato da una prima sosta sulle posizioni di Marsa el Brega - el Agheila (25 novembre - 17 dicembre), dal graduale ripiegamento sulle posizioni di Buerat, terminato il 3J dicembre, dal successivo ripiegamento sulla linea Tarhuna-Cussabat-Homs (2-14 gennaio) ed, infine, dall'ultimo balzo in Tunisia (4 febbraio 1943). Per la difesa di quest'ultimo lembo di terra africana le forze italo-tedesche vennero raggruppate, a mano a mano che affluivano, in un gruppo di armate comprendente la 1• armata italiana, su due corpi d'armata (XX e XXI), al cui comando fu destinato il generale Messe, e la 5• armata tedesca, alle cui dipendenze venne posto anche un corpo d'armata italiano (XXX). La 1• armata inquadrò cinque divisioni italiane, di cui una corazzata, tre divisioni tedesche, di cui una corazzata, e brigate, raggruppamenti e unità minori varie. Il XXX corpo fu costituito da una divisione di fanteria, una brigata speciale e altre unità minori italiane e tedesche. A parte i numerosi combattimenti precedenti, sostenuti dalle unità riunite successivamente nel XXX corpo, le operazioni della 1• armata passarono attraverso quattro battaglie principali: di Mareth el-Hamma (I 6-30 marzo), dcli' Akarit (5-6 aprile) con il successivo ripiegamento sulle posizioni di Enfidaville (7-13 aprile), prima battaglia di Eofidaville (19-30 aprile), seconda battaglia di Enfidaville (9-13 maggio). Il 15 marzo il gruppo di armate italotedesche fronteggiava il I 8° gruppo di armate anglo-americane, costituito dalla 1• e g• armata britannica e dal 11 corpo d'armata americano. La 1• armata italiana, schierata sulla linea di Mareth, - XX corpo a sinistra, XXI corpo a destra, raggruppamento sahariano a sbarramento della stretta di el-Hamma, divisione corazzata Centauro nel settore di Gafsa - fronteggiava 1'8' armata britannica e il II corpo americano. Le forze avversarie godevano di una superiorità schiacciante, meno che nei mortai: 192 autoblindo e 620 carri contro 66 autoblindo e 94 carri italiani e tedeschi. La linea di Mareth venne attaccata dall'8· armata la sera del 16 marzo e la lotta durò sei giorni, al tenni ne dei quali l' g• armata venne battuta, tanto che il generale Messe, considerata la crisi determinatasi nello schieramento nemico, avrebbe voluto accettare una battaglia a fondo nel settore di el-Hamma. Glielo impedì il comando tedesco che, per costituirsi una riserva di cui era privo, dispose l'occupazione e la sistemazione a difesa della più corta linea di Akarit, sulla quale la 1• armata dové ripiegare. La battaglia di Akarit ebbe inizio la notte del 5 aprile e durò per tutta la giornata del 6, caratterizzata da una enorme superiorità di fuoco da parte inglese che non lasciò scampo ai difensori. Montgomery la descrisse come "la più violenta e selvaggia di tutte le altre dopo el-Alamein". Ad essa fece seguito un ripiegamento di oltre 250 chlometri della 1• armata italiana, condotto con grande abilità in situazione difficilissima, fino a Enfidaville. Dopo le perdite subite ad Akarit e durante il ripiegamento, la l • armata, pur conservando tutte le divisioni - ad eccezione della Centauro, disciolta - era ridotta a meno del 50% delle forze disponibili
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STORIA DEU.' ESERCTTO TTAUAKO (1861 - 1990)
inizialmenle. li morale delle truppe era ancora, malgrado tullo, elevato e gli Inglesi riconobbero poi che ad Akaril gli llaliani si erano battuti meglio dei Tedeschi. Sulle posizioni di Enfidaville, duranle la prima baltaglia - "la più dura che 1'81 armala avessa mai combattuta", secondo Montgomery - la 11 armata ilaliana riporlò un altro grande successo difensivo, rimanendo salda sulle posi.doni presidiate. Vi furono episodi e fatti d'arme che divennero ben presto famosi: Takrouna e Garci. Ma il successo difensivo non poté che essere effimero e non valse a mutare il corso degli eventi, oramai definitivamenle segnato dall'enorme squilibrio delle forze. Il 6 maggio gli anglo-americani attaccarono la fronte della 5" armata tedesca e la sirua?ione generale precipitò: la 5" armata ripiegò su Biserla; Tunisi non venne difesa; successivamenle, la 5" armata subì il tracollo definitivo; la I• annata ilaliana venne accerchiata a Enfidaville. I resti di questa annata, concentratasi in un angusto ridono. combanerono dal 9 al 13 maggio, opponendo un' accanila resistenza che venne a mano a mano esaurendosi per il venir meno delle munizioni. Anche il XXX corpo d'armata, operante nel quadro della 5" armata tedesca, si arrese dopo i Tedeschi, quando non ebbe più munizioni. Roberto Bauaglia nel volume La seconda guerra mondiale. Problemi e nodi cruciali, affermò "mai resistenza era stata più ostinata, ma anche più slerile!". Non possiamo condividere l'opinione dello storico marxista, la dignità di un popolo si misura anche dal suo comportamenlo nella sconfitta e lra i doveri di un soldato non vi è quello di valmare il rendimento stralegico dei combauimenti che é chiamalo a svolgere. L'esercito e la Nazione possono oggi ricordare con legittimo orgoglio quella pagina di storia patria, che non fu quindi sterile ma feconda. Dal I O giugno 1940 al 13 maggio 1943 le perdite italiane nello scacchiere nord-africano ammontarono a 19.883 morti, I66.535 feriti e dispersi, in grandissima maggioranza appartenenli all'esercito. La promozione del generale Messe a Maresciallo d'Italia, giunta il 12 maggio unitamenle all'ordine di cessare il fuoco, fu anche un segno di gratiludine per quei valorosi combattenti. 2. Spinto unicamente da molivi di carattere ideologico e di prestigio, Mussolini volle che anche truppe italiane prendessero parte alla campagna di Russia. Nonoslante l'iniziale opposizione di Hiller, che avrebbe gradito un nostro maggior impegno in Africa, nell'estate del 1941 venne approntato un corpo di spedizione il cui comando venne affidato al generale Messe, già comandante di un corpo d'armata in Albania, costituito da tre divisioni, due autotrasportabili e una celere. Entralo in linea il 6 agosto 1941 sul Bug, dal 28 al 30 settembre il Corpo di Spedizione llaliano in Russia (C.S.l. R.) prese parte alla battaglia di Petrikovka; dal 9 al 15 ottobre concorse alla conquista di Pavlograd; partecipò poi ai combattimenti per l'occupazione del bacino industriale del Donez cd ai falli d'arme di Golrlovka e Wikitovka (2 e 12 novembre). Impegnato nella battaglia di Natale sferrata dall'armata rossa e nella sue-
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LO SCHIERAMENTO SUL WOLTSCHJA E L'ATTACCO DI PAWLOGRAD (9-11 OTTOBRE 1941)
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cessiva controffensiva tedesca, il C.S.I.R. conquistò buone posizioni di dominio tattico sulle quali si sistemò a difesa per la stagione invernale. In oltre dieci mesi d'intensa attività operativa, carica d'impegno e di enormi difficoltà di carattere tattico e soprattutto logistico, il C.S.I.R. aveva dato più di quanto le situazioni obiettive gli avrebbero consentito, conseguendo successi superiori a tutte le aspettative. Comandante, capi e gregari avevano supplito alle carenze originarie, e avevano quasi sempre battuto il nemico, dal quale talvolta erano stati arrestati, ma mai sconfitti. Nel frattempo la situazione generale dello scacchiere russo si era fatta pesante per i Tedeschi e Hitler, questa volta, si rivolse a Mussolini per ottenere altre forze, spinto anche dai brillanti risultati ottenuti dal C.S.I.R. sul campo di battaglia. Non v'é dubbio che la situazione generale avrebbe dovuto indurre Mussolini al rifiuto, che, invece, non fu opposto. Il Maresciallo Cavallero sollevò obiezioni ma poi, come spesso era accaduto e sarebbe continuato ad accadere, cedette. Vennero approntate le forze necessarie per costituire, insieme a quelle del C.S.I.R., un'armata, 1'8•, il cui comando venne affidato al generale Gariboldi. L'81 armata riunì 4 corpi d'armata, II, XXV (già C.S.I.R.), XIX, e corpo d'armata alpino per un totale di 2 divisioni autotrasportabili, 4 divisioni fanteria, 3 divisioni alpine, un numero vario di unità di supporto. Gli uomini salirono da 62.000 a 230.000, i quadrupedi da 4.600 a 25.000, gli automezzi da 5.500 a 16.700, i cannoni controcarro da 108 a 297, i cannoni contraerei da 80 a 276, i pezzi di piccolo calibro da 220 a 670 e quelli di medio calibro da 36 a 276. I carri L scesero da 60 a 50 perché non vennero riampiazzate le perdite, mentre i velivoli raggiunsero il centinaio <5>. Le operazioni dcli' 81 armata italiana dal luglio al novembre 1942 s' inserirono nel quadro della ripresa dell'offensiva tedesca verso il Caucaso, con espansione verso est in direzione di Stalingrado. Le prime unità dell'8 1 armata italiana impegnate furono quelle del XXV corpo (già C.S.l.R.), rinforzato da una divisione di fanteria e da una considerevole massa di artiglieria; esse, dall' 11 al 22 luglio, concorsero all'occupazione del bacino carbonifero di Krasny Lutsch e parteciparono poi brillantemente alla battaglia di Serafimovic nei giorni 31 luglio - I agosto. Poi l'intera annata si mosse verso il Don, inquadrata nel gruppo di armate tedesche "B". Raggiunto il fiume il 13 agosto, essa si schierò a difesa del settore assegnatole, tra Pavlosk e la foce del Choper nel Don, la cui ampiezza misurava in linea d'aria 180 chilometri che, seguendo il corso sinuoso del fiume, diventavano 270. Concetto fondlamentale del comando del gruppo di armate "B" era quello di sviluppare una difesa rigida lungo la riva del Don, anziché sulle alture di dominio, e di agire nelle soluzioni di continuità, inevitabili data la scarsità delle forze, con contrattacchi locali. L' s• armata, inserita tra la 2• annata ingherese a sinistra e la 6" armata tedesca a destra, si schierò da sinistra a destra con il li, il XXIX e il XXV (5) Il quadro di banaglia dell'8' armata è riportato nell'appendice n° 2 al presente capitolo.
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corpo. Fronteggiava I' g• armata la 63° armata sovietica: 7 divisioni contro 4. Lo schieramento dell '8• armata sarebbe risultato uno sciupio di forze se il settore non fosse stato investilo dai sovietici: se invece ciò fosse accaduto, sarebbe stato troppo debole per resistere. Dal 12 al 19 agosto la fronte venne investita da attacchi locali, da colpi di mano, da robuste infiltrazioni e da tentativi sovietici di costituire teste di ponte. Non vi furono da parte italiana cedimenti di sona. Il 20 agosto ebbe inizio la prima battaglia difensiva del Don, indicata dai sovietici come battaglia sul Volga. Nei giorni 20, 21 e 22 si sviluppò l'urto iniziale sovietico, il giorno 23 il contrattacco italiano, nei giorni 24 e 25 la ripresa dell'offensiva sovietica, dal 26 agosto al I O settembre la battaglia di arresto italiana. Negli oltre tre mesi che intercorsero tra la fine della prima battaglia del Don e l'inizio della seconda, 11 dicembre 1942 sulla fronte italiana, i comandi e le unità, pur dovendo affrontare combattimenti locali (particolarmente onerosi quelli dell ' 11 e 12 settembre), furono assorbiti prevalentemente dalle altre attività. Esse riguardavano il riordinamento, il ripianamento delle perdite, l'inserimento in linea del corpo d'armata alpino, le modifiche allo schieramento, il rafforzamento delle posizioni di riva destra del Don, l'assestamento tattico e logistico per l'inverno, la raccolta di notizie e informazioni sul nemico. L'azione di combatlimento sovietica partiva soprattutto dalle teste di ponte create sulla riva destra del fiume. Schierata a cordone su una fronte di 270 chilometri, senL.a densità adeguata e priva di profondità, senza riserve, rs• armata, il cui comandante aveva fatto presente invano più volte al comando gruppo armate "B" la precarietà della situazione, non avrebbe potuto resistere ad una decisiva azione del nemico. Preceduta da una serie di azioni locali diversive, dal I O al IO dicembre, la controffensiva sovietica vera e propria ebbe inizio sulla fronte dell ' 8" armata I' 11 dicembre, investendo dapprima il II corpo d 'armata ( I00 battaglioni e 500 carri sovietici contro 16 batlaglioni, 9 batterie italiani e una cinquantina di carri tedeschi). Le unità del II corpo resistettero fino al giorno 17, finché, logorate, cedettero alla schiacciante superiorità. La battaglia poi si estese per circa 200 chilometri e l'ala destra dell'annata, rimasta avvolta per il cedimento della 3• armata romena, dovette abbandonare il 19 dicembre le posizioni che fino ad allora aveva difeso con successo; ma l'abbandono, per il ritardo con il quale giunse l'autorizzazione del Comando Supremo tedesco, avvenne in una situazione già del tutto compromessa. Tragiche furono perciò le vicissitudini del ripiegamento, al quale seguì una sosta e con essa l'organizzazione di una nuova linea difensiva e il riordinamento dell'armata, che ebbe alle proprie dipendenze, oltre al corpo d 'armata alpino rimasto per ordine del comando tedesco sulle posiL.ioni del Don, il XXIV corpo d'armata tedesco, un gruppo coraaato e una divisione corazzata tedeschi. Durante la sosta operativa erano continuate a crescere le minacce contro il corpo d 'armata alpino e invano il generale Gariboldi si era adoperato presso il comando tedesco perché ne autorizzasse il ripiegamento. I sovietici ruppero a nord la fro nte della 2• armata ungherese e annientarono a sud il XXIV corpo
LA PRIMA BATTAGLIA DIFENSIVA DEL DON GU ATIACCHI RUSSI DA VORONEJ A KREMENSKAJA (AGOSTO 1942)
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d'armata tedesco, sicché entrambe le ali del corpo alpino vennero aggirate. Solo allora i comandi tedeschi consentirono il ripiegamento, che ebbe inizio la sera del 17 gennaio 1943, quando le punte corazzate sovietiche erano già alle spalle del corpo alpino. Il ripiegamento del corpo d'armata alpino e delle altre unità superstiti dell'8• armata fu tragico perché ritardato da disguidi e da ordini tedeschi equivoci, avversato dal freddo e dalla tormenta, contrastalo vivacemente dai sovietici con successivi sbarramenti che imposero alle truppe esauste, per aprirsi la strada, duri combattimenti a Postojaly, a Skororyo, a Wikotovka, a Nikolajevka, mentre le forze delle unità si assottigliavano sempre più per le perdite e le artiglierie dovevano essere distrutte per mancanza di munizioni o per l'impossibilità di continuare a trasportarle. Il 30 gennaio i superstiti si raccolsero a Schebekino, dopo 350 chilometri di marcia a piedi e dopo aver sostenuto ben tredici combattimenti. Il IO febbraio rs• armata cedé il comando del settore e raggiunse la zona di raccolta e di riordinamento di tutte le sue unità superstiti a nord - est di Kiev. L'8• armata chiuse così, tragicamente, la sua presenza nell 'U.R.S.S., dove l'esercito perse circa 85.000 uomini tra caduti e dispersi ed ebbe 30.000 uomini feriti o congelati. La partecipazione italiana alla guerra contro l'U.R.S.S. non sarebbe mai dovuta andare al di là dell'entità del C.S.I.R., sia perché l' Italia non era nella possibilità materiale di assumere un impegno maggiore, sia perché la lotta nel! ' Africa Settentrionale, scacchiere prioritario, e l'allestimento della difesa della madrepatria non avrebbero dovuto consentire un'ulteriore dispersione di forze. L'invio di altre sette divisioni e dei relativi supporti tattici e logistici fu un grave errore, strategico ed anche tecnico-militare. Se è vero che ben poco di guanto venne inviato sulla fronte orientale avrebbe potuto essere stornato a favore dell'Africa Settentrionale, dove ad eccezione degli automezzi e delle artiglierie non sarebbe oltretutto risultato granché utile e conveniente, è altresì fuori di dubbio che quegli uomini, quelle armi e quei mezzi avrebbero conferito alla difesa della penisola e delle isole una forza assai diversa e forse evitato lo sbarco anglo-americano in Sicilia, al quale gli angloamericani furono indotti anche dalla scarsa consistenza della difesa. Lo Stato Maggiore aveva subito compreso l'errore di Mussolini. In un promemoria per Cavallero del 5 luglio 1941, a firma dell'allora tenente colonnello Montezemolo, si legge: "Sembra necessario evitare l'invio di uheriori forze in Russia, invio che inciderebbe in pieno su grandi unità e mezzi necessari in Libia, compromettendo così i risultati della nostra guerra in tale settore, senza che un maggiore supporto italiano alla guerra contro la Russia possa bilanciare, ai fini del contributo complessivo dell 'Italia alla guerra del!' Asse, un eventuale insuccesso in Libia". Cavallero non era uomo da contraddire il Capo del Governo, ed il promemoria del Montezemolo non conseguì alcun risultato. 3. I fronti dell'Africa Settentrionale e della Russia non furono i solo teatri operativi che, a partire dall'autunno 1941, logorarono a poco a poco l'esercito italiano. Nei Balcani, infatti, la situazione si era venuta sempre più deteriorando,
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dopo l'apparente conclusione vittoriosa nella primavera del 1941 delle campagne di Grecia e di Jugoslavia. n presidio di un paese sconfitto costituisce un compito tanto difficile quanto ingrato, al quale però l'occupante non può sottrarsi. Nella Jugoslavia invasa e smembrata non tardò a scatenarsi, con una violenza che non ebbe l'eguale in alcun altro paese europeo, la lotta contro gli occupanti e contro le autorità da questi ultimi messe a capo dell'amministrazione. Non si trattò, infatti, di un'opposizione passiva, rinvigorita al più da qualche episodio di sabotaggio e da un'attività informativa, come avvenne in altri paesi occupati, ma di una vera e propria guerra, combattuta senza quartiere ed inasprita anche dai contrasti tra gli stessi occupanti e da quelli tra le diverse etnie degli insorti. Soprattutto nel regno di Croazia, nominalmente assegnato ad Aimone di Savoia con il nome di Tomislav Il ma saldamente governato da Ante Pavelic, gli eccidi compiuti dai croati nei riguardi dei serbi, degli ebrei e degli zingari furono di inaudità crudeltà. Solo la decisa azione delle nostre truppe di presidio salvò quelle comunità dallo sterminio totale. È questa una benemerenza dell'esercito italiano non molto conosciuta ma rigorosamente documentata da due storici eminenti, Poliakov e Sabille, ai quali cediamo la parola: " (... ) Fu in Croazia che l'atteggiamento italiano di fronte alle persecuzioni razziali assunse per la prima volta il suo aspetto ( ... ). Quando Pavelic si stabill a Zagabria, instaurò immediatamente un regime di terrore (... ). Il terrore che la milizia e le banda ustasci diffondevano nel paese all'inizio dell'estate 1941 tra i serbi cattolici ortodossi e gli ebrei era interamente approvato dalle autorità di occupazione naziste. Intere famiglie vennero massacrate, città furono saccheggiate da cima a fondo, furono perpretati terribili atti di sadica crudeltà, senza che nessuno venisse punito. Il capitolo ustasci scritto nell 'estate del 1941 fu uno dei più raccapriccianti della seconda guerra mondiale, il che non è dir poco(... ). Le truppe italiane reagirono immediatamente e spontaneamente a tanta bestialità (...). Gli ufficiali italiani e i loro soldati, singolannente o a gruppi, fecero tutto il possibile(... ). Poiché si trattava di azioni spontanee e "illegali", che venivano effettuate con la massima prudenza, non è possibile fornire dettagli in base a delle documentazioni. Gli ufficiali e i soldati italiani, la cui meravigliosa opera di soccorso merita tutto il riconoscimento e l'ammirazione, furono cosl prudenti da non lasciare alcuna testimonianza nei documenti ufficiali. Ecco perché quel periodo vive in un 'aura leggendaria, il cui terribile incubo delle camere a gas e dei forni crematori è ripetutamente rischiarato da una luce di eroismo e di umanità ( ...). Tuttavia, se di quel periodo manca una autentica documentazione, i racconti dei testimoni oculari sono pienamente comprovati(... ). L'opera di soccorso fu iniziata spontaneamente dai bassi ranghi ( ... ), in seguito essa fu tollerata e spesso validamente approvata dalle maggiori autorità" (6>. (6) L. Poliakov e J. Sabillc, Gli ebrei sotro /'occupa,ione italiana, Edizioni di Comunità Milano 1956. pagg. 133-135. Sull'argomento cfr. anche M. Shclak Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra /'esercito italiano e gli ebrei i11 Dalmazia (1941-1943). USSME, Roma 1991.
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Nella Jugoslavia occupata operarono diversi movimenti di resistenza, ma soltanto due furono i veri protagonisti della lotta, l'armata nazionale jugoslava del generale Mihailovic, legato al governo jugoslavo in esilio a Londra, e l'esercito popolare di liberazione di Tito, fedele all'ideologia marxista e determinato a condurre una lotta a fondo sia contro gli invasori sia contro i possibili oppositori al futuro assetto dello stato. Inizialmente il movimento più rappresentativo e più forte fu quello di Mihailovic, nel quale era preponderante l'elemento serbo e che operò specialmente in quella parte del territorio sotto occupazione tedesca, gradatamente però si affermò l'esercito di liberazione costituito in prevalenza da elementi sloveni, croati e montenegrini e che agì prevalentemente nel territorio di nostra competenza. A partire dall 'autunno del 1941 gli atti di sabotaggio e gli attacchi ai nostri presidi isolati si manifestarono con crescente intensità, determinando l'impiego da parte nostra di forze notevoli per una continua attività di controguerriglia. Quantunque un'accorta opera di propaganda abbia voluto nel dopoguerra far credere che l' insurrezione partigiana avesse conseguito il controllo del territorio, i nostri reparti mantennero fino al settembre 1943 il saldo possesso delle città e delle linee di comunicazione, sia pure a prezzo di perdite dolorose: 9 .065 caduti, 15.160 feriti e 6.306 dispersi, questi ultimi per la quasi totalità torturati ed uccisi perché difficilmente le forze partigiane rispettavano i prigionieri. Al riguardo è necessario ancora precisare che se non mancarono da parte nostra dure rappresaglie, contrapposto speculare di precedenti azioni criminose dell'avversario, non esistono testimonianze di brutalità da parte nostra che possano anche solo pallidamente accostarsi a quelle subite dai nostri soldati. I soldati italiani non commisero stragi indiscriminatamente, non torturarono prigionieri, non lì scaraventarono ancora vivi nelle foibe, non li fecero affogare in mare. Alcuni autori italiani, per motivi di carattere politico, hanno voluto giustificare la selvaggia ferocia dei partigiani slavi con il fatto che gli Italiani erano "aggressori". Le leggi internazionali che regolano i conflitti non dividono i contendenti in aggressori ed aggrediti, ma li vincolano tutti ad un comportamento umanitario e civile, al fine di limitare lutti e miserie e di risparmiare, per quanto possibile, le popolazioni inermi. Per quanto la Jugoslavia dopo la guerra abbia richiesto, senza ottenerla, l'estradizione come "criminali di guerra" di alcunÌI comandanti italiani, non esiste alcun dubbio, almeno negli studiosi imparziali, che da parte italiana non vi fu mai la volontà di superare, anche nell'attività di repressione e di rappresaglia, i limiti delle leggi internazionali di guerra. Per quanto nel settembre 1942 anche in Grecia incominciassero ad apparire le prime manifestazioni di resistenza armata, seguite nell'aprile del I 943 da analoghe attività anche in Albania, la guerriglia fu particolarmente aspra in Slovenia ed in Croazia e proprio sulla base delle esperienza acquisite in queste regioni, lo Stato Maggiore elaborò, nell'ottobre del 1942, la circolare n. 36.000, Combattimenti episodici ed azioni di controguerriglia, documento che analizzava con acume il fenomeno, individuandone le radici politiche e gli
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scopi, e che indicava i più idonei procedimenti di azione per un 'attività di controguerriglia producente e, alla lunga, risolutiva m. 4. Le modeste possibilità produttive della nostra industria bellica aggravarono notevolmente i problemi dell'esercito. Nonostante un'imponente legislazione per l'economia di guerra e la creazione prima di un sottosegretariato e poi di un ministero per le Fabbricazioni di Guerra, la produzione di mezzi bellici fu sempre molto modesta ed insufficiente a ripianare le perdite. Come ha notato il Mazzetti "la struttura economica assunta dall'industria, sotto la spinta del corporativismo fascista e dall'autarchia, era strettamente rigida e si prestava ben poco alle rapide trasformazioni che erano state possibili nel corso della 1• guerra mondiale; mancò completamente un organo che organizzasse la produzione ed indirizzasse tutte le energie disponibili verso la fabbricazione dei materiali militari" (8). A questo bisogna aggiungere che l'alleato tedesco forniva le materie prime alla nostra industria con grande parsimonia e che, a partire dal novembre 1942, i bombardamenti inglesi su Torino, Milano e Genova cominciarono a provocare ulteriori rallentamenti ed intoppi alla produzione. I bombardamenti, inoltre, non contrastati con efficacia nè dalle forze aeree nè dalla difesa contraerea di terra, contribuirono non poco a diffondere lo scoramento e la sfiducia nella popolazione civile. Nel marzo 1943 i grandi scioperi di Torino e di Milano, nei quali il sottinteso polìtico delle rivendicazioni economiche era evidente, dimostrarono che l'organizzazione sindacale del regime non era più in grado di controllare le masse operaie delle grandi città. Dopo lo sbarco americano in Africa Settentrionale, anche le città dell'Italia meridionale furono sottoposte a pesanti bombardamenti ed il contraccolpo sulle unità delle forze armate fu sensibile, come risultò subito dai rapporti degli organi incaricati della censura postale. Mussolini, caparbiamente, non volle comprendere la gravità della situazione e ritenne di poter superare la crisi con un rimpasto del governo e con la sostituzione del Maresciallo Cavallero con il generale Ambrosio. L'abbandono delle ultime posizioni in Africa Settentrionale rendeva sempre più probabile e sempre più vicina l'ipotesi dì uno sbarco anglo-americano sul territorio nazionale, ma anche l'approssimarsi del pericolo non fece compiere agli apprestamenti difensivi quel salto di qualità che sarebbe stato necessario. Fin dal I 941 lo Stato Maggiore delJ 'esercito aveva diramato le direttive per la difesa delle coste e del territorio, concettualmente corrette e valide. Partendo dal presupposto che non sarebbe stato possibile impedire lo sbarco sui numerosi ed ampi tratti di costa delle isole maggiori e dell'Italia meridiona(7) I primi Elemenri di rattica parrigia11a, pubblicati nell'ottobre 1943 sul giornale clandestino delle brigate partigiane Garibaldi li combauenre per dare un iniziale indirizzo operativo alle fonnazioni militari della resistenza, non erano altro che la prima parte della circolare n° 36.000, venuta fortunosamente in possesso del Comitato Nazionale di Liberazione dell'Alta ltalia (CNLA I). (8) M. Mazzetti, li secondo conjlitro mondiale in Sroria del/'lralia co111emporanea, diretta da Renzo De Felice, voi. IV, E.S.I ., Napoli I 980, pag. 221.
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le, il generale Roatta, allora capo di Stato Maggiore, aveva ritenuto di ricorrere all'impiego congiunto di opere fortificate e di riserve per ricacciare in mare l'invasore. La prima linea, costituita da opere permanenti costantemente presidiate e insistenti direttamente sulla spiaggia, avrebbe svolto una funzione di sicurezza e di prima resistenza; una linea di contenimento, più arretrata e presidiata a ragion veduta, avrebbe garantito il tempo necessario per l'intervento risolutivo di forze mobili che avrebbero annientato l'invasore. Ma questa concezione difensiva, valida sotto il profilo dottrinale, non fu però attuata a causa della sperequazione tra i molti tratti di costa da difendere e le poche forze disponibili per tale compito. La penuria di ferro e di calcestruzzo non consentì nemmeno la costruzione di un adeguato sistema fortificato per cui, al momento dell'emergenza, la difesa costiera, divisioni e brigate schierate a cordone lungo il litorale, non reggerà alla prova anche per la mancanza di quelle riserve mobili che avrebbero dovuto svolgere il compito principale. La mancanza assoluta di mezzi di trasporto delle unità costiere rese poi ancora più velleitaria qualsiasi ipotesi di manovra, anche a strettissimo raggio, per cui nonostante il valore e l'abnegazione con i quali alcune unità si batteranno, il sistema difensivo nel suo complesso si dimostrerà non adeguato. 5. Nella conferenza di Casablanca, 14-24 gennaio I 943, gli Alleati avevano convenuto di attaccare la Sicilia, dopo la conquista della Tunisia, anche per impiegare l' eccedenza di forze a loro disposizione nel nord-Africa in attesa del momento opportuno per lo sbarco in Francia. Mentre il Comando Supremo tedesco riteneva probabile uno sbarco nei Balcani, il generale Ambrosie non ebbe alcun dubbio sulle intenzioni del nemico e cercò di predisporre al meglio la difesa dell'isola. Le forze disponibili in Sicilia erano inquadrate nella 6· armata, comandata dal generale Guzzoni, articolata in due corpi d'armata: XII e XVI <9 l. In totale 4 divisioni di fanteria, 5 divisioni costiere, 2 brigate costiere autonome oltre ad alcuni supporti di armata: 1 battaglione arditi, l gruppo semoventi da 90/53, un gruppo da 90/53 ed I batteria da 75/27. Le forze tedesche presenti nell'isola erano costituite da: una divisione di fanteria, nell'isola dalla fine di maggio; una divisione corazzata, giunta dalla fine di giugno ai primi di luglio, e unità di artiglieria contraerea (33 batterie da 88 e un numero vario di batterie da 20 millimetri) concentrate a difesa degli aereoporti. Le piazza marittime (Messina, Augusta, Siracusa, Trapani) dipendevano dal comando autonomo della marina di Sicilia e solo per l'impiego dal comando della 6" armata. Il comando dell'aeronautica della Sicilia riuniva 15 squadriglie da caccia, due da ricognizione, una aereosiluranti, quattro sezioni di ricognizione marittima. In tutta l'isola la forza delle unità terrestri, costiere e mobili italiane
9) il quadro di battaglia della 6• armata è riponato nell'appendice n° 3 al presente capitolo.
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ammontava a circa 170.000 uomini, mentre quella delle due divisioni tedesche, iJ IO luglio I 943, era di circa 28.000 uomini. Le unità costiere erano costituite per due terzi da siciliani, ed erano inquadrate da ufficiali siciliani, provenienti per la maggior parte dal congedo o dalla riserva, Anche nelle quattro divisioni di manovra i soldati siciliani, fatti affluire da tutti i reggimentj, erano molto numerosi in quanto il Comando Supremo aveva cercato di rendere "popolare" la difesa dell'isola, affidandola per quanto possibile agli stessi isolanj_ Purtroppo la qualità dell'annamento e dell'equipaggiamento lasciava molto a desiderare e comprometteva l'efficienza dei reparti. Delle 4 divisioni di fanteria, infatti, solo la Livorno era autotrasportabile e, in luogo della legione CC.NN., disponeva di un battaglione semoventi controcarro da 47/32 e di un battaglione guastatori. Le altre tre divisioni, Aosta, Assietta e Napoli, non possedevano automezzi per il trasporto dei battaglioni di fanteria e dei complessivi 12 gruppi di artiglieria, ne avevano 8 ippotrainati ed I someggiato. I carri armati erano L oppure R/35, francesi di preda bellica armati con cannone da 37. Anche le unità tedesche, per quanto molto superiori alle nostre, non erano al completo di uomini e di mezzi. Ad eccezione della Livorno, il grado di addestramento delle unità italiane era genericamente modesto, privi per la maggior parte di esperienze di guerra, ufficiali e soldati erano per di più condizionati dalla convinzione, ormai molto diffusa in tutto il Paese, che la guerra fosse irrimediabilmente perduta. La resa sconcertante di Pantelleria, avvenuta I' 11 giugno prima che un solo soldato nemjco mettesse piede sull'isola, aumentò lo scoraggiamento delle truppe e le preoccupazioni dei comandi. Il 10 luglio le forze anglo-americane sbarcarono in Sicilia impiegando due armate su un fronte assai vasto. La 7• annata americana sbarcò sulla costa occidentale nei pressi di Gela mentre 1"8• annata britannica sbarcò tra Capo Passero e Siracusa. Le unità di sbarco alleate e quelle di immediato rincalzo comprendevano 160.000 uomini, 1800 cannoni, 600 carri armati. Le nostre unità costiere , insufficientemente armate e prive di un valido supporto di fortificazione permanente, non riuscirono ad arrestare la potente macchina bellica alleata. Il generale Guzzoni impartì con immediatezza gli ordini per il contrattacco delle forze mobili e, nella giornata dell'll luglio, la divisione Napoli contrattaccò in direzione di Siracusa e le divisioni Livorno e Goering in direzione di Gela, mentre le truppe del XII corpo d'armata si opponevano all'avanzata della 3• divisione americana da Licata. Il contrattacco della Livorno e della Goering ebbe inizialmente successo, tanto che il comandante della 7• annata americana impartì alla sua L• divisione l'ordine di reimbarco, ma il fuoco delle artiglierie navali sulla testa delle nostre divisioni, che erano giunte nei pressi della costa, fu decisivo e decretò il fallimento del contrattacco. Anche l'azione della Napoli, dopo ore di aspri combattimenti, dovette interrompersi a causa della preponderanza avversaria. Erano ormai state impegnate tutte le forze mobili ed era inevitabile che le
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divisioni anglo-americane dilagassero nell'isola, facendo crollare la difesa. Per evitarlo, nella notte dall'l l al 12 luglio fu ordinato l'arretramento delle forze mobili su una linea più ristretta, da Santo Stefano di Camastra, sul Tirreno, per Nicosia e Leonforte alla piana di Catania fino al mare. Il movimento retrogrado, combinato con la ritirata dalla zona occidentale della Sicilia delle divisioni Aosta e Assietta del XII corpo d'armata, si svolse fra il 12 e il 21 luglio. L'8° armata inglese, arrestata nella piana di Catania, tentò di aprirsi la via verso Messina con un lancio di paracadutisti, ma non riuscì nell'intento. Per riprendere l'offensiva, I' 8° armata attese di avere in rinforzo la 78' divisione; frattanto la 7' armata americana, che aveva raggiunto Palermo, in conseguenza della ritirata delle divisioni dall 'occidente dell'isola, avanzava contro il fronte Santo Stefano-Nicosia, avendo ricevuto anch'essa in rinforzo una divisione, la 9°. Lo sbarco anglo-americano in Sicilia provocò a Roma un trauma notevole. Mussolini sembrò finalmente comprendere la reale gravità della situazione e si impegnò con Ambrosio a chiedere a Hitler i necessari rinforzi per respingere gli Alleati oppure, in caso di diniego, a prospettare con sincerità ali' alleato l' intenzione italiana di abbandonare unilateralmente la lotta, rivelatasi ormai inutile. Ma il 19 luglio, nel convegno di Feltre con il dittatore nazista, mancò a Mussolini il coraggio di dichiararsi sconfitto e, nonostante gli incitamenti di Ambrosio e del sottosegretario agli Esteri Bastianini, tacque. Il non aver saputo prendere la decisione, dolorosa ma necessaria, di chiarire con l'alleato la situazione, costituisce per Mussolini una gravissima colpa che rivela impietosamente i suoi limiti come uomo di Stato. Oltre che da una certa soggezione psicologica nei confronti di Hitler, Mussolini fu probabilmente bloccato anche dal timore che l'uscita dal conflitto provocasse nei confronti suoi e dell'Italia l'accusa di tradimento che ancora, specie nel mondo germanico, aleggiava nei nostri confronti per non aver mantenuto l'alleanza con gli Imperi Centrali nel 1914. Ma la buona fede nelle questioni internazionali non può costituire una regola assoluta di comportamento, tanto più che Hitler si era sempre comportato scorrettamente nei nostri riguardi e proprio qualche tempo prima del convegno di Feltre non aveva esitato - senza naturalmente informare Mussolini - ad inviare il suo ministro degli Esteri a Kirovograd, in quel momento a soli 15 km dalle linee tedesche, a colloquiare con il ministro degli Esteri sovietico Molotov per tentare di negoziare un armistizio sul fronte orientale. L'Italia in quel momento non voleva combattere i Tedeschi, voleva unicamente uscire dalJa guerra contro gli angloamericani, perché non era più nelle condizioni morali e materiali per continuare a combattere. E che il popolo italiano avesse perduto ogni fiducia, anche nelle più alte gerarchie dello Stato, e non avesse più le energie morali necessarie per sopportare ancora le sofferenze della guerra apparve evidente lo stesso 19 luglio, quando il re si recò nelle zone di Roma maggiormente colpite dal primo bombardamento alleato e fu apertamente contestato da una folla esasperata, che poi
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accolse con gradi manifestazioni di affetto il Pontefice, recatosi anch'egli a visitare i luoghi più colpiti. Il mancato chiarimento con Hitler provocò la caduta di Mussolini, avvenuta per iniziativa della corona e ad opera dell'esercito, in coincidenza con un forte movimento di fronda all'interno del Gran Consiglio del Fascismo. La liquidazione del fascismo, pianificata da tempo, era imposta dalla forza degli avvenimenti, era il primo passo per uscire dalla guerra. E, correttamente, così i Tedeschi interpretarono i falli, non lasciandosi ingannare dalla frase "la guerra continua" inserita nel proclama di Badoglio preparato da Orlando. Le vicende del 25 luglio ebbero perciò un peso determinante sull'andamento delle operazioni ancora in corso e delle relazioni italo-tedesche. In Sicilia a partire dal 27 luglio i Tedeschi, che fino ad allora non avevano mai ripiegato se non costrettivi dal nemico, cominciarono a ripiegare anche quando non erano premuti, addirittura anche quando il nemico era ancora lontano. Ciò costrinse spesso a ripiegare prematuramente anche le contigue unità italiane. Il 1° agosto, rs• armata britannica sferrò una nuova offensiva e la 7• armata americana continuò ad attaccare lungo la direttrice di Traina, agevolata da una schiacciante superiorità terrestre e dal dominio assoluto del cielo e del mare. Le unità italiane e tedesche continuarono a contrastare l'avanzata e a ripiegare, essendo ormai stata decisa la rinuncia a difendere ad oltranza la Sicilia e stabilito il passaggio ad una manovra in ritirata fino alla zona di Messina, da dove imbarcare il recuperabile. Lo sgombero dell'isola fu una operazione sistematica, tutto sommato ordinata e riuscita al di là delle più ottimistiche previsioni, oltre che portata a termine entro i tempi prestabiliti. Le forze dell'Asse riuscirono ad evacuare dall'isola: 75.000 uomini, 42 pezzi di artiglieria e circa 500 automezzi di parte italiana,; 40.000 uomini, 94 pezzi di artiglieria e circa 10.000 automezzi di parte tedesca, oltre a circa 20.000 tonnellare di materiali vari. La conquista della Sicilia, che secondo le previsioni del generale Eisenhover avrebbe dovuto concludersi in "una settimana o poco più" e secondo quelle del generale Alexander in "dieci o quindici giorni", costò agli Alleati 38 giorni di duri combattimenti, 5.532 morti, 14.410 feriti e 2869 dispersi a testimonianza che, nonostante la netta inferiorità, le truppe italo-tedesche si erano battute con determinazione. Anche le nostre perdite furono sensibili, 5783 ufficiali e soldati italiani caddero sul campo. li rapporto tra le forze terrestri contrapposte, non considerando le unità costiere prive di reale capacità operativa, era infatti decisamente a favore degli anglo-americani: 4 7 battaglioni di fanteria contro 66; 265 carri armati contro 600; 500 pezzi di artiglieria contro 1800. Per quanto riguarda le forze aeree la differenza tra gli opposti schirarnenti era ancora più marcata: 800 aerei italiani e tedeschi contro 4000 aerei anglo-americani. Per le forze navali, poi, non è nemmeno possibile fare il raffronto. 6. Dopo la conquista della Sici lia gli Alleati rimasero per qualche tempo inattivi, paghi di attaccare quasi ogni giorni, con bombardamenti terroristici, le città dell'Italia meridionale con le forze aeree del Mediterraneo e le città
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dell'Italia del nord con le poderose formazioni di quadrimotori basate in Inghi Iterra. Nel frattempo il governo italiano entrava in contatto con gli Alleati per giungere a porre fine alle ostilità. La ricostruzione delle trattative, che portarono il 3 settembre 1943 alla firma del!' armistizio con le forze anglo-americane, non può trovare sviluppo in questa sede, ma le circostanze ed i fatti che ebbero una diretta ripercussione sulle vicende dell'esercito saranno diffusamente trattati. I Tedeschi non si lasciarono cogliere impreparati dalla defezione italiana, da tempo, infatti, Hitler si era convinto che l'Italia fosse prossima al collasso ed aveva deciso di mantenerla nell'alleanza ad ogni costo, anche contro la volontà del governo italiano. La caduta di Mussolini rafforzò la decisione tedesca e già il 27 luglio il Comando Supremo germanico elaborò il piano Alarico che prevedeva il conseguimento di quattro obbiettivi: l'eliminazione dell'esercito italiano, l'occupazione dell'Italia, la cattura della t1otta e la liberazione di Mussolini. Già la notte del 26 luglio i primi reparti tedeschi incominciarono a scendere in Italia, transitando per il passo del Brennero in formazione di combattimento e comportandosi più come forze di occupazione che come alleati. Dal 26 luglio al 18 agosto i Tedeschi fecero scendere in Italia nove divisioni, concentrando sul territorio italiano e in Corsica: diciassette divisioni (otto di fanteria, cinque corazzate, due paracadutisti, due Panzer granadiere); due brigate (una da montagna e una motorizzata); altri raggruppamenti di forze e unità non indivisionate per una entità complessiva di 150.000 uomini. Le loro forze erano raggruppate nel gruppo di armate "B" del feldmaresciallo Rommel, e nel gruppo di armate "C" del feldemaresciallo Kesselring. Il primo, su otto divisioni, era schierato nel nord Italia e comprendeva !'LXXX corpo d'armata in Piemonte e Liguria, il LI in Lombardia, il XVI nel Veneto e nella Venezia Giulia; il secondo, su 9 divisioni, era schierato nel resto della penisola, oltre che in Sardegna e Corsica, e comprendeva !'XI corpo d' armata nell'Italia centrale, la 10" armata su XIV e LXXXV] corpo d'armata da sud di Roma alla Calabria (una divisione di fanteria era in Sardegna e una brigata motocorazzata in Corsica). Tutte queste unità, con un'opportuna e ben pianificata dislocazione, si misero in condizione di mantenere sicuramente aperta la via del Brennero e di controllare strettamente ogni movimento dei reparti italiani, incampsulandoli spesso all ' interno dei loro schieramenti. Il nostro Comando Supremo aveva compreso che i Tedeschi tendevano ad impadronirsi del territorio italiano per fame l'antemurale difensivo a sud della Germania, ma per non compromettere le trattative in corso con gli anglo-americani ritenne opportuno non contrastare i movimenti delle unità tedesche. Il generale Roatta, comunque, fin dal 30 luglio aveva ordinato verbalmente ai comandi operativi direttamente dipendenti dallo SME (10) di reagire e 10) Dallo Stato Maggiore dell'esercito dipendevano le unità dislocate nella penisola, in Sardegna ed un Corsica. Le unità dislocate in Francia, nei Balcani e nell'Egeo dipendevano direttamente dal Comando Supremo.
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di opporsi con la forza ad ogni tentativo tedesco di impossessarsi dei punti vitali, tali iniziative però avrebbero dovuto essere prese non automaticamente, ma solo dopo aver avuto la certezza delle intenzioni ostili da parte germanica. Il 6 agosto a Tarvisio il nuovo ministro degli Esteri, Guariglia, ed il generale Ambrosia si incontravano con von Ribbentrop e con il generale Keitel. Fu un lungo dialogo tra sordi. Ambrosio lamentò che truppe tedesche entrassero in Italia senza che il Comando Supremo ne avesse fatto richiesta, Keitel si disse stupito affermando che, prima di entrare in territorio italiano, le truppe tedesche informavano dei loro movimenti i posti di frontiera; Guariglia osservò seccamente che "il modo in cui le truppe tedesche entrano in Italia in questi giorni ha potuto suscitare l'impressione che esse venissero non a scopo militare, bensì in servizio di ordine pubblico", Ribbentrop ribatté, altrettanto seccamente, che "non disponiamo di truppe se non per combattere". Entrambe le parti avevano un solo obbiettivo: evitare una rottura aperta e guadagnare tempo, i Tedeschi per completare l'incapsulamento delle nostre forze, noi per concludere le trattative di armistizio con gli Alleati. Il 10 agosto lo SME confermò per iscritto le istruzioni verbali impartite il 30 luglio (foglio n° 111 C.T.) aggiungendo di salvaguardarsi dalle sorprese, di prevedere e disporre l'eventuale trasferimento dei comandi in località più idonee alla loro difesa, di rinforzare la protezione dei punti sensibili, di studiare e predisporre colpi di mano contro elementi vitali delle forze armate tedesche. Anche il foglio 111 prescriveva però che le predisposizioni offensive dovessero essere attuate su ordine del centro, oppure di iniziativa qualora le truppe tedesche avessero proceduto ad atti di ostilità collettiva non confondibili con gli ordinari incidenti. Il 15 agosto, a Bologna, si tenne l'ultima conferenza italo-tedesca, vi parteciparono da una parte il generale Roatta, dall'altra i generali Jodl e Rommel. Scopo della riunione, almeno per i Tedeschi, era quello di mettere in atto, con il consenso italiano, il piano per la difesa dell'Italia centro-settentrionale di cui Rommel avrebbe assunto il comando. A parte il consenso tedesco al parziale ritiro della 4• armata della Francia e di tre divisione dai Balcani, non si concluse molto. Il Comando Supremo con il recupero di quelle forze tendeva a migliorare l'assetto difensivo del territorio nazionale per resistere ad un eventuale attacco tedesco. Nelle sue linee essenziali il piano difensivo prevedeva: - la costituzione al confine orientale di un blocco di divisioni per sbarrare le provenienze da est; - l' azione di due divisioni in Alto Adige per sbarrare la direttrice del Brennero; - il ripiegamento dalla Francia meridionale della 4" armata, che, occupando i passi alpini, avrebbe sbarrato le provenienze da ovest. Altri tre blocchi di forze avrebbero poi avuto il compito di proteggere la capitale e le due basi navali di Taranto e La Spezia, garantendo la necessaria libertà d'azione del governo e mettendo la flotta al riparo. Lo sbarco di numerose forze alleate avrebbe, infine, obbligato i Tedeschi ad evacuare rapidamen-
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te la penisola. A causa delle limitazioni del trasporto ferroviario e delle remore opposte dai Tedeschi, all'atto della proclamazione dell'armistizio i previsti movimenti non erano ancora stati completati. La divisione Legnano era giunta in Puglia solo in parte, la Lupi di Toscana e la Re, provenienti rispettivamente dalla Francia e dalla Croazia, erano ancora in movimento per raggiungere Roma, la 4• armata, infine, era in piena crisi di movimento. Ai primi di settembre erano comunque presenti sul territorio nazionale ed in Corsica, a parte le divisioni e le brigate costiere, 24 divisioni, di cui 15 di fanteria, 4 alpine, 1 paracadutisti, l celere, 1 motorizzata e 2 corazzate. In apparenza un notevole complesso di forze, certamente superiore a quello tedesco. In realtà la situazione era molto diversa. 9 divisioni, reduci dalla campagna di Russia, erano in ricostituzione, avevano cioé effettivi ridotti, non disponevano di armamento pesante e costituivano nel loro insieme un complesso di mediocre consistenza e di scarsa capacità operativa. Una delle due divisioni corazzate, la Centauro, era di limitata consistenza organica, in pratica I solo battaglione carri, e costituita inoltre con personale della milizia, di cui non si conosceva la fedeltà e sulla cui determinazione a battersi contro i Tedeschi esistevano forti dubbi. Un confronto tra i coefficenti di potenza delle divisioni di fanteria italiane e tedesche è più eloquente di un lungo discorso: armi automatiche 342 a 958, mortai pesanti 48 a 54, pezzi controcarro 24 a 75, cannoni di fanteria O a 24, autoblindo O a 6, pezzi d'artiglieria 36 a 48 (calibri italiani 75 e 100 mm, calibri tedeschi 105 e 149 mm.), artiglieria contraerea 8 a 16. Nessun automezzo per l'aut0trasporto delle unità di fanteria contro il numero di mezzi necessari ali' autotrasporto dei 2/3 della forza organica. Tuttavia la manifesta inferiorità italiana avrebbe potuto, almeno nelle zone dove il rapporto di forze non era sfavorevole - Lazio, Sardegna e Corsica - e dove era meno facile rinforzare le unità avversarie, essere compensata con un'azione di comando dinamica e risoluta. Invece il Comando Supremo si dimostrò completamente inerte e si lasciò trasportare dagli avvenimenti, omettendo di informare delle trattative in corso i grandi comandi dipendenti e persino i capi di Stato Maggiore di forza armata. Il generale Roatta, che già aveva impartito alcune direttive per indirizzare il comportamento delle unità direttamente dipendenti, decise il 22 agosto di rendere più espliciti gli ordini dati, ma il tempo impiegato per la compilazione del documento e per la sua approvazione preventiva da parte del Comando Supremo fu troppo. La "Memoria 44 OP" giunse infatti ai comandi delle grandi unità tra il 3 ed il 4 settembre. La "Memoria 44 OP", dopo una premessa nella quale si accennava ad una "probabile e prossima aggressione tedesca" ma nulla si diceva sull'imminente conclusione dell'armistizio, stabiliva i compiti generici e specifici da adempiere in tale caso, fatto salvo il principio che l'applicazione della memoria stessa avrebbe dovuto effettuarsi o in seguito ad ordine dello Stato Maggiore
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dell'esercito con fonogramma convenzionale o di iniziativa dei comandanti in posto in relazione alle contingenze. Il criterio principale al quale ispirare la condotta delle operazioni avrebbe dovuto essere quello, secondo la memoria, di "rispondere" alle aggressioni tedesche e di"non prendere iniziative offensive". I compiti generici erano gli stessi, o quasi, di quelli già fissati il 10 agosto: evitare sorprese; vigilare; rinforzare la protezione dei comandi, delle vie di comunicazione, degli impianti; sorvegliare i movimenti delle forze tedesche; disporre colpi di mano sui loro depositi, basi e magazzini; presidiare i punti militarmente più importanti. I compiti specifici erano: per la 2• armata, interrompere le comunicazioni ai Tedeschi da Tarvisio al mare e neutralizzare la 11• divisione tedesca; per la 4• armata, raccogliere le forze residue nelle valli Roia e Vem1enagna, interrompere le comunicazioni con la Liguria, sbarrare i passi del Moncenisio e del Monginevro e interrompere la ferrovia del Frejus; per la 5" armata, tenere saldamente La Spezia e puntare contro forze e mezzi tedeschi dislocati fra il lago di Bolsena ed il senese; per la 7• armata, tenere saldamente Taranto e possibilmente anche Brindisi; per 1'8" armata, tagliare le comunicazioni fra la Germania e l'Alto Adige, agire contro le forze germaniche nel Trentino e nello stesso Alto Adige e interrompere le comunicazioni dal Brennero al mare; per il comando delle forze armate in Sardegna, neutralizzare la 90" divisione tedesca; per il comando delle forze armate in Corsica, neutralizzare la brigata corazzata SS tedesca. Per la difesa di Roma e per la costituzione di uno speciale raggruppamento di forze alla frontiera orientale furono diramate disposizioni al di fuori della "Memoria 44 OP", inviate direttamente ai due comandanti, i generali Carbone e Gambara. Anche il Comando Supremo emanò alcune direttive. Il 6 settembre fu indirizzato agli Stati Maggiori di forza armata il "Promemoria n° l", contenente le predisposizioni da adottare nel "caso che le forze germaniche intraprendessero di iniziativa" atti di ostilità armata. Per quanto riguarda l'esercito oltre a confermare le disposizioni contenute nella "memoria 44 OP", il "Promemoria n° 1" ordinava che : venissero bloccate all'atto dell'emergenza tutte le strade adducenti a Roma da parte delle forze schierate a difesa della capitale; si badasse a salvaguardare i rifornimenti, specialmente di carburante, attuando subito, se necessario, spostamenti dai depositi dell'Italia settentrionale a quelli dell 'Ttalia centrale; venissero difese ad oltranza le stazioni amplificatrici delle reti nazionali, le centrali telegrafoniche, le stazioni radio, militari e civili e venissero interrotte, all'emergenza, tutte le comunicazioni telegrafoniche tedesche ricavate sulla rete nazionale; si predisponesse la neutralizzazione delle batterie contraerei e della rete di avvistamento tedesche e si ordinasse, al momento del bisogno, alle batterie contraerei italiane di aprire il fuoco contro gli aerei tedeschi e di non sparare contro quelli anglo-americani; s'impedisse che i prigionieri britannici cadessero in mano tedesca; venissero raggruppati i reparti italiani del[' Alto Adige, dove la popolazione avrebbe certamente fatto causa comune con i Tedeschi, perché si opponessero ai militari ed ai civili tedeschi e, in caso di necessità, ripiegassero nel Trentino; si facesse il possibile per prevenire le distruzioni tedesche lungo la loro linea di ritirata (presumibil-
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mente Napoli-Roma-Firenze-Bologna-Brennero) dei depositi più importanti e particolarmente dei bacini idroelettrici. Ricevuto il promemoria, lo Stato Maggiore integrò la "Memoria 44 OP" con la "Memoria 45 OP", diramata agli stessi destinatari della prima e che fu ricevuta la sera del 7. Sempre il giorno 6 il Comando Supremo emanò il "Promemoria n°2" con il quale, per quanto riguarda l'esercito, dette ordine al comando gruppo armate est di concentrare le forze, "riducendo gradatamente l'occupazione come ritenuto possibile e conveniente" in modo però da garantire il possesso dei porti principali "e specialmente di quelli di Canaro e Durazzo"; al comando dell'Egeo, di scegliere verso i gennanici l'atteggiamento ritenuto "più conforme alla situazione" procedendo però, qualora si verificassero atti di forza da parte dei Tedeschi, al disarmo immediato e disponendo che "nel momento in cui venisse attuata l'emergenza, il comando dell'Egeo sarebbe cessato dalla dipendenza dal comando gruppo armate est e sarebbe passato alla dipendenza diretta del Comando Supremo"; al comando de11•11• armata, lasciato libero di assumere l'atteggiamento generale che fosse stato ritenuto più "opportuno", di dire francamente ai Tedeschi che, se non avessero fatto atti di violenza armata, non sarebbero state prese le armi contro di loro, di difendere le coste per un breve periodo di tempo fino alla sostituzione con truppe germaniche e questo eventualmente anche in deroga agli ordini del governo centrale, sempre quando, naturalmente, da parte tedesca, non vi fossero atti di forza, di riunire al più presto le forze della Grecia e di Creta preferibilmente sulle coste in prossimità dei porti. Le direttive del " Promemoria n° 2", nel quale c'era un riferimento esplicito all'armistizio, avrebbero dovuto essere attuate in seguito a diramazione in chiaro di un messaggio convenzionale del Comando Supremo. Naturalmente in caso di aggressione tedesca, gli ordini dovevano essere considerati esecutivi. Il "Promemoria n° 2" non giunse però al comando gruppo armate est nè a quello dell'Egeo. Indubbiamente sia lo Stato Maggiore dell'esercito sia il Comando Supremo tardarono troppo ad impartire gli ordini necessari e allorché lo fecero non furono sufficientemente chiari quando non furono addirittura reticenti.
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Appendice al n. 1 al capitolo XVII
Quadro di battaglia del C.S.I.R. alla data del 1° agosto 1941
Comandante: generale Giovanni Messe Capo di Stato Maggiore: generale Utili - divisione fanteria autotrasportabile Pasubio (generale Giovannelli): • 2 sezioni motorizzate carabinieri; • 79° fanteria Roma (3 battaglioni, l compagnia mortai da 81, l batteria da 65/17); • 80° fanteria Roma (come sopra); • 2 battaglioni mortai da 81; • 2 compagnie cannoni controcarro da 47/32; • 8° artiglieria motorizzato (2 gruppi da 75/27, 1 gruppo da 100/17, 2 batterie da 20); • I compagnia genio artieri, I compagnia genio telegrafisti e radiotelegrafisti, I sezione fotoelettricisti; • l sezione di sanità, 4 ospedali da campo, l nucleo chirurgico, I sezione sussistenza; - divisione fanteria autotrasportabile Torino (generale Manzi): • 2 sezioni motorizzate carabinieri; • 8 IO fanteria Torino (3 battaglioni, l compagnia mortai da 81, l batteria da 65/17); • 82° fanteria Torino (come sopra); • 2 battaglioni mortai da 8 1; • 2 compagnie cannoni controcarro da 47/32; - 52° artiglieria motorizzato (2 gruppo da 75/27, I gruppo da 100/17, 2 batterie da 20); • I compagnia genio artieri, l compagnia telegrafisti e radiotelegrafisti, l sezione fotoelettricisti; • l sezione di sanità, 4 ospedali da campo, I nucleo chirurgico, l sezione sussistenza; - 3• divisione celere Principe Amedeo Duca d'Aosta (generale Marazzani): • 2 sezioni celeri carabinieri: • 3° bersaglieri (3 battaglioni autoportati, 2 compagnie motociclisti, 1 auto reparto);
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• 2 compagnie cannoni controcarro da 47/32; • Savoia cavalleria (2 gruppi squadroni, 1 squadrone milraglieri); • Lancieri di Novara (2 gruppi squadroni, I squadrone rnitraglicri); • 2 batterie da 20; • gruppo carri veloci San Giorgio; • 3° artiglieria a cavallo (3 gruppi ippotrainati da 75/27); • 1 compagnia genio, I compagnia radiotelegrafisti; • J sezione di sanità, 4 ospedali da campo, I nucleo chirurgico, I sezione sussistenza, I autoreparto;
- unità di supporto: • 3 sezioni motorizzate carabinieri; • I battaglione mitraglieri, I battaglione cannoni controcarro da 47 /32, compagnia bersaglieri motociclisti; • 30° raggruppamento d'artiglieria (3 gruppi da 105/32, 2 gruppi autocampali contraerei da 75/46, 2 batterie da 20); • l battaglione chimico; • l battaglione artieri, 2 battaglioni pontieri, I battaglione collegamenti; • 1 legione CC.NN. (2 battaglioni CC.NN., 1 battaglione armi di accompagnamento); • 1 sezione di sanità, 18 ospedali da campo, I sezione sussistenza, 1 autoraggruppamento di armata (7 autoreparti pesanti, l autoreparto leggero, I autoreparto misto, l autoreparto ambulanze); • I gruppo aerei da osservazione su 3 squadriglie, 1 gruppo aerei da caccia su 4 squadriglie. In totale: - 62.000 uomini; - 7 sezioni motorizzate e 2 celeri carabinieri; - 17 battaglioni fucilieri ( 12 di fanteria, 3 bersaglieri, 2 CC.NN.); - 7 battaglioni arrni di accompagnamento; - 14 compagnie autonome (2 motociclisti, 4 mortai da 8 I, 8 cannoni da 47/32); - 1O squadroni di cavalleria; - I battaglione carri veloci; - 14 gru ppi di artiglieria (3 da 105/32 con 36 pezzi, 2 da 100/17 con 24 pezzi, 7 da 75/27 con 72 pezzi, 2 da 75/46 con 32 pezzi); - I O batterie autonome (2 da 65/ 17 con 8 pezzi, 8 da 20 con 64 mitragliere; - 4 battaglioni del genio (1 artieri, I collegamenti, 2 pontieri); - 6 compagnie aulonome del genio (3 artieri, 3 telegrafisti); - 1 battaglione chimico; - 4 sezioni di sanità, 30 ospedali da campo, 6 sezioni sussistenza, 18 autoreparti, 2 infermerie e quadrupedi, 1 reparto salmerie; - 83 aerei .
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Appendice n. 2 al capitolo XVII
Quadro di battaglia den•s• armata alla data del 1° luglio 1942
Comandante: generale Italo Gariboldi Capo di Stato Maggiore: generale Bruno Malagugini lntcndente:gcncrale Carlo Bigli no
- JT corpo d'armata: generale Giovanni Zanghieri: • 3 sezioni carabinieri; • divisione di fanteria Sforzesca; • divisione di fanteria Ravenna; • divisione di fanteria Cosseria; • I battaglione mitraglieri, I battaglione mitraglieri autoearrato; I battaglione cannoni controcarro da 47/32, I battaglione guastatori di fanteria; • I raggruppamento artiglieria (2 gruppi da 105/28, 2 gruppi da I 49/13. 2 batterie da 20); • I battaglione artieri, 2 compagnie telegrafisti, 1 compagnia marconisti; • I compagnia chimica, 2 compagnie lanciafiamme; • I raggruppamento CC.NN. (4 battaglioni CC.NN. e 2 battaglioni armi di accompagnamento); • I sezione sanità, 12 ospedali da campo. 3 nuclei chirurgici, 1 sezione si sussisten.ta, I autoreparto pesante, 6 autosezioni pesanti, 3 officine. - XXXV corpo d'armata: generale Giovanni Messe: • 3 sezioni carabinieri; • divisione fameria autotrasportabile Pasubio; • divisione fanteria autotrasportabile Torino; • I battaglione mitraglieri, 1 battaglione cannoni controcarro da 47/32, I battaglione guastatori di fanteria, I compagnia bersaglieri motociclisti; • I raggruppamento artiglieria (3 gruppi da 105/32, I gruppo da 149/13, 2 batterie da 20): • I battaglione artieri, I battaglione collegamenti; • I compagnia chimica; • I raggruppamento CC.NN. (4 battaglioni CC.NN. e 2 battaglioni armi di accompagnamento); • I sezione sanità, 12 ospedali da campo, 3 nuclei chirurgici, I sezione sussistenza, 2 autoreparti pesanti, I autoreparto misto, I reparto salmerie. - corpo d'armata alpino: generale Gabriele Nasci:
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STORJA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
• 2 sezioni carabinieri; • divisione alpina Tridentina; • divisione alpina Julia; • divisione alpina Cuneense; • divisione di fanteria Vicenza; • l raggruppamento artiglieria (3 gruppi da 105/32, 1 gruppo da 149/13,. 2 batterie da 20); • I battaglione artieri, 1 battaglione misto, l battaglione guastatori del genio; • l compagnia chimica; • l sezione di sanità, 6 ospedali da campo, una sezione sussistenza, l autoreparto misto. - unità di supporto • 10 sezioni carabinieri; • I battaglione mitraglieri autocarrato, l battaglione alpini sciatori; • I raggruppamento a cavallo (Savoia Cavalleria, Lancieri di Novara); • 1 raggruppamento artiglieria di armata (2 gruppi da 149/28, 3 gruppi da . 149/40, I gruppo da 210/22), 1 reggimento artiglieria a cavallo su 3 gruppi da 75/27, I reggimento artiglieria motorizzato su 3 gruppi da 149/32, 1 raggruppamento artiglieria contraerei su 2 gruppi da 75/46, 3 gruppi da 75/27, 4 batterie da 20; • l raggruppamento genio collegamenti, I battaglione artieri, 4 battaglioni pontieri, 2 battaglioni ferrovieri, 2 battaglioni lavoratori; • 1 raggruppamento truppe chimiche su 2 battaglioni; • I legione croata: I battaglione fucilieri, 1 compagnia mortai da 81, I compagnia cannoni controcarri da 47/32; • l gruppo aerei da osservazione su 2 squadriglie, l gruppo aereo da caccia su 4 squadriglie; • l direzione di sanità, 34 ospedali da campo, I2 treni ospedali dell' esercito, 6 treni ospedali della C.R.I., 2 treni ospedali del S.M.O.M.; • 1 direzione di commissariato, 4 sezioni sussistenza, 2 compagnia macellai, 11 sezioni panettieri, I magazzino viveri, I magazzino foraggi, 1 magazzino vestiario; • I direzione trasporti , 2 battaglioni movimento stradale, I autoraggruppamento di annata ( I autogruppo misto, 2 autogruppi pesanti, I officina). In ~otale: - 229.005 uomini; - 41 sezioni carabinieri; - 164 battaglioni di fanteria, 423 mortai da 81, 297 cannoni da 47/32; - 31 carri L 6 con cannone da 20 e 19 semoventi con cannone da 47/32; - 224 mitragliere da 20, 28 pezzi da 65/17, 54 da 75/39, 72 da 75/18, 72 da 75/27, 24 da 75/27 ippotrainati, 172 da 75/13 someggiati, 36 da 75/32, 52 da 75/46, 36 da 100/17, 24 da 105/11, 60 da 105/28, 48 da 149/13, 24 da 149/28, 36 da 149/40, 12 da 210/22;
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- 25.000 quadrupedi; - 16. 700 automezzi; - 4.470 motocicli; - 19 sezioni sanità, 4 ambulanze radiologiche, 3 ambulanze odontoiatriche, 6 nuclei chirurgici, 84 ospedali da campo, 20 treni ospedale; - 17 sezioni di sussistenza, 11 sezioni panettieri, 2 compagnie macellai; - 23 aerei da osservazione, 43 da caccia (6 C. 311, 7 B. 20, 19 MC 200, 11MC201).
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STORIA DELL'I.lSERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
Appendice n. 3 al capitolo XVII
Quadro di battaglia della 6" armata alla data del 30 giugno 1943
Comandante: generale Alfredo Guzzoni Capo di StatO Maggiore: generale Emilio Faldella Intendente: generale Ugo Abbondanza
- Xll corpo d·am1ata: generale Mario Arisio: • divisione di fanteria Aosta; • divisione di fanteria Assietta; • truppe di corpo d'am1ata: I battaglione mitraglieri, XII raggruppamento d'artiglieria (3 gruppi da 105/28 e 2 gruppi da 149/13), I gruppo contraereo da 75 CK; • unità di rinforzo: 10° e 117° reggimento bersaglieri, I battaglione costiero autocarrato, I battaglione bersaglieri ridotto, l battaglione bersaglieri controcarro, 2 compagnie motociclisti, I battaglione carri R/35, I battaglione controcarri da 47/32, I compagnia semoventi da 75/18, I gruppo squadroni, I squadriglia autoblindo, 3 gruppi da 75/27, l gruppo da 75/28; • truppe costiere: 202•, 207" e 203• divisione costiera 136• reggimento autonomo, difesa porto N (Palermo) su 3 battaglioni , I gruppo cd I batteria pesante campale, I gruppo cavalleria appiedato, 177° bcrsagl ieri, I battaglione controcarri, una compagnia motomitragliatrici. - XVI corpo d'armata: generale Carlo Rossi: • divisione di fanteria Napoli; • truppe di corpo d'armata: I battaglione mitraglieri, XL raggruppamento d'artiglieria (3 gruppi da I 05/28, 2 gruppi da 149/13, I gruppo contraereo da 75 CK); • unità di rinforzo: I battaglione bersaglieri, 4 compagnie motociclisti, 3 compagnie mitraglicri, I battaglione carri R/35, l compagnia carri 3000, I battaglione semoventi da 47/32, 3 battaglioni controcarro, J gruppo da 75/27; • truppe costiere: 206• e 2 l 3• di visione costiera, XVlll e XIX brigata costiera, di fesa porto N (Catania) su 2 battaglioni, I gruppo e due batterie da 305/17, l gruppo da 149/35. 3 batterie da 105/27, I batteria da 149/19, I battaglione semoventi da 47/32;
- unità a disposizione del comando 61 armata: • divisione di fanteria Livorno;
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• Il battaglione arditi, I compagnia camionette, gruppi paracadutisti sabotatori; • X raggruppamento semoventi da 90/53 su 3 gruppi di 2 ballerie, I gruppo da 90/52, I batteria da 75/27. Dal generale Guzzoni, quale Comandante Superiore della Sicilia, dipendevano anche: le piazze militari marittime di Messina-Reggio Calabria, Augusta-Siracusa, Trapani; le unità aeree, 15 squadriglie da caccia, 2 da osservazione, 1 di aereosiluranti, 4 sezioni da ricognizione marittima; la difesa contraerei territoriale per un totale di 220 batterie (49 dell'esercito, 57 della marina, 114 della milizia) da 75/46, 76/40, 90/53 e mitragliere da 20.
XVIII. IL TRAGICO EPILOGO
l. Alcuni anni or sono un illustre storico precocemente scomparso, Rosario Romeo, scrisse su un quotidiano milanese: "ci sono cose che si vorrebbe aver dimenticato o non aver mai saputo. Una di queste è 1'8 settembre 1943, col suo codazzo di umiliazioni, di sciagure, di irreparabili danni materiali e morali. Chi scrive si è chiesto talora se gli italiani non farebbero bene a voltare le spalle a un simile passato, e a guardare risolutamente avanti nella speranza di un migliore avvenire. Ma anche per guardare avanti, e per non cedere alle allucinazioni e alle debolezze del passato, è necessario compiere lo sforzo doloroso di affrontare la brutta realtà: non già perché vi siano da apprendere lezioni nel senso didascalico della "historia magistra vitae", ma perché l'esperienza del passato contribuisca a quella maturazione del popolo italiano che le vicende del 1943 mostrano ancora largamente incompiuta dopo quasi un secolo di unità nazionale. Solo che per questo bisogna che la realtà sia affrontata con occhi impietosi". Ed in tempi più recenti un altro storico italiano di vaglia, Renzo De Felice, ha scritto: "Compito dello storico, non dimentichiamolo mai, è di comprendere, non ergersi a giudice. Nella fattispecie della vicenda armistiziale dell'8 settembre, se, come ormai si sente sempre più la necessità, si vuol allargare il discorso dai suoi aspetti immediatamente diplomatici e militari a quelli più propriamente politici di essa e al comportamento quindi dei vari Vittorio Emanuele, Badoglio, Ambrosie sui quali gravava il peso maggiore delle decisioni da adottare (un comportamento che, senza voler minimamente attenuare le loro pesanti responsabilità, ma neppure giudicarle col metro dell'inquisitore politico o del valet de chambre, è impossibile liquidare riducendolo ad una serie di ingiustificabili tergiversazioni e paure per la propria persona, chè la drammaticità della situazione dell'Italia stretta nella tenaglia tedeschi-alleati deve indurre a valutazioni meno semplicistiche e di parte di quelle che hanno tenuto sin qui il campo) e, ancor più, se lo si vuol estendere allo sbocco che la vicenda ebbe 1'8 settembre, due cose sono indispensabili. Un vigoroso sforzo di concettualizzazione e un altrettanto forte sforzo per verificare (e, al caso, lasciare cadere) la validità di una serie di "certezze" che in molti casi personalmente non ci sentiamo di considerare tali, ma che, comunque, non possono più non essere messe in discussione. Pena l'impossibilità di capire cosa avvenne dopo l'annuncio dell'armistizio. Sino a quando non sarà chiaro che 1'8 settembre, quali siano stati gli erro-
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ri e le responsabilità della di rigenza politica e militare nella vicenda armistiziale, non determinò la crisi italiana, ma evidenziò una condizione morale della stragrande maggioranza degli italiani già in atto, non sarà possibile nè comprendere la vera natura di essa, nè la sua portata, e, di conseguenza, il ruolo da essa giuocato negli avvenimenti del successivo biennio e ancora nel dopoguerra". Le affermuioni dei due illustri storici non possono non essere condivise, le vicende armistiziali saranno perciò trattate in questa sede con impietosa aderenza ai fatti e senza ossequio alcuno a già codificate "verità". La repentina e quasi totale dissoluzione dell'esercito nei tragici giorni del settembre 1943 può essere correttamente compresa e valutata soltanto se si accetta la realtà, se si prende atto che a quel momento l'esercito, logorato nei mezzi e nel morale da tre anni di guerra senza fortuna, era un grande corpo ma senza anima, un grande coacervo di uomini mal nutriti, mal equipaggiati, male armati, mediocremente inquadrati. Una realtà amara e difficile da accettare per coloro che dei valori rappresentati dall'esercito hanno fatto ragione di vita, ma pur sempre l'unica realtà. È certamente vero che divisioni e reggimenti si dissolsero su ordine dei loro legittimi comandanti, ma è altrettanto vero che laddove fu dato l'ordine di combattere alle nostre armi non arrise il successo. Esistevano indubbiamente Quadri e gregari ancora decisi a battersi con determinazione, ma altrettanto indubbiamente esistevano Quadri e gregari sfid uciati e pronti ad abbandonare una lotta considerata senza speranza. Non deve essere dimenticato il fatto che Sovrano e Comando Supremo avevano maturato la dolorosa decisione di uscire dal conflitto perché consideravano la partita irrimediabilmente perduta e la Nazione non più in grado di sostenere ulteriore lutti e ulteriore privazioni. La sfiducia nei capi e la convinzione di essere giunti all'epilogo della tragedia erano ormai patrimonio comune degli Italiani , di quelli in uniforme e di quelli in abito borghese, non deve perciò stupire se in molti prevalse la preocc upazione per la propria famiglia e non quella per le sorti della Patria. 2. La decisione degli Alleati di rendere pubblica la stipulazione dell'armistizio nel pomeriggio dell'8 settembre 1943 colse di sorpresa il governo ed il Comando Supremo. Dopo una concitata riunione al Quirinale, durata dalle 18.15 alle 19.30 circa, il Maresciallo Badoglio alle 19.45 annunciò ai microfoni della radio che "il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l'armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza". Nonostante una precisa richiesta del generale Roatta, il capo- di Stato Maggiore Generale rifiutò l'autorizzazione a diramare l'ordine di applicazione della Memoria 44 OP, fermo nel proposito che non dovessero essere g li
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Italiani ad iniziare le ostilità contro i Tedeschi. li Comando Supremo anzi diramò ai tre Stati Maggiori, al comando gruppo armate est, al comando 11 • annata ed al comando superiore in Egeo il messaggio radio n° 24202/op. che provocò soltanto equivoci. Il messaggio, infatti, precisava di fare seguito al proclama del governo relativo alla cessazione delle ostilità e, nell'ultimo paragrafo, il 6°, prescriveva: "Tutte le truppe di qualsiasi arma dovranno reagire immediatamente et energicamente senza speciale ordine at ogni violenza armata germanica et della popolazione, in modo da evitare di essere disarmate e sopraffatte. Non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro i germanici". E così alJe numerose richieste di chiarimenti, di ordini, di precisazioni che i comandi delle grandi unità dipendenti continuamente facevano pervenire al Comando Supremo ed allo Stato Maggiore dell'esercito, fu risposto sempre ambiguamente, tanto che la risposta più esplicita fu: "ad atti di forLa, reagire con atti di forza". Verso le 04.00 del 9 Ambrosio informò il Maresciallo Badoglio della risoluta avanzata verso Roma di numerosi reparti tedeschi ed allora fu deciso che il re ed il capo di governo si trasferissero nel meridione, per evitare di cadere prigionieri. Anche in quel frangente il generale Roatta riuscì ad impartire tuttavia un ordine sensato: quello di spostare le forze mobili esistenti a Roma verso l'Abruao. La comparsa sul versante adriatico di consistenti forze moto-corazzate italiane avrebbe probabilmente determinato un andamento più favorevole delle operazioni. In quel momento i Tedeschi erano presenti in Puglia soltanto con una debole divisione paracadutisti su 5 battaglioni e non avrebbero potuto far altro che ripiegare verso l'Appennino, nel tentativo di dare sicurezza alle truppe che stavano contrastando a Salerno lo sbarco alleato. Una volta fallito il tentativo di ributtare in mare gli invasori e con la costa adriatica da Pescara a Brindisi saldamente in mano italiana, ai Tedeschi non sarebbe rimasto che ritirarsi a nord, sgomberando l'Italia centrale. Ma il comandante del corpo d'annata motocorazLato al quale era stato affidato il compito di difendere Roma, l'ineffabile generale Carboni, non era l'uomo giusto al posto giusto. Accampando pretesti di vario genere, anche la mancanza di carburante fu invocata a scusante, revocò il IO mattina l'ordine di ripiegamento su Tivoli alle sue unità, per impiegarle in un contrattacco alle divisioni tedesche, contrallacco che non avvenne perché nel pomeriggio dello stesso giorno accettò di arrendersi. Se gravissime furono le responsabilità del Carboni, non meno gravi appaiono quelJe del Comando Supremo. Indubbiamente il sovrano agì da capo di Stato più che da comandante supremo delle FF.AA. Si preoccupò di assicurare la continuità dello Stato, trasferendone i massimi organi in territorio libero, e tale decisione appare corretta e necessaria anche oggi. Ma non può essere giustificata la contemporanea partenza per Pescara, dove stazionava una piccola unjtà della marina, del capo di Stato Maggiore Generale e dei capi di Stato Maggiore di forza armata.
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La carenza dell'azione di comando, già gravissima nelle ore successive alla proclamazione dell'armistizio, divenne assoluta. I comandi furono abbandonati a loro stessi e le reazioni furono lasciate all'iniziativa dei singoli, che ebbero a comportarsi come meglio credettero opportuno per sè e per la propria unità. Quando fu palese che, nella capitale, era stata scelta la via della rinuncia ad ogni decisione, in Italia e negli altri scacchieri la resa e Io sbandamento delle unità assunsero proporzioni quasi generali. Salutato e inteso come la fine di un incubo vissuto per trentanove mesi, l'armistizio qualche ora dopo si presentò come una catastrofe ancor più spaventosa di quella cui avrebbe dovuto porre termine. Lo sfacelo dell'organizzazione militare, oltre che di quella politica e amministrativa, fu completo. II generale Ambrosie, che già aveva gestito male le trattative con gli Alleati, si dimostrò di gran lunga inferiore agli avvenimenti, che non seppe contrastare in alcun modo. La fretta con la quale i vertici militari si allontanarono da Roma aggravò la situazione. Il vuoto di potere creatosi al Comando Supremo costituì infatti l'alibi per le decisioni timide ed improvvide che molti comandanti presero nelle prime ore del 9. Ordini chiari e tempestivi non avrebbero certo conferito ai reparti una maggiore efficenza operativa nè un migliore armamento, ma avrebbero inesorabilmente "inchiodato" anche gli indecisi e gli incapaci ad un comportamento più coraggioso e più consono ai dettami dell'onore militare. Le carenze del Comando Supremo furono ingigantite dal comportamento delle autorità periferiche che, pur con le attenuanti della mancanza di ordini precisi, della inferiorità di forze, della sopresa, in buona parte non seppero evitare lo sbandamento delle loro unità e dimostrarono una totale mancanza di iniziativa. Nonostante la debolezza dell'azione di comando e l'assoluta mancanza di qualsiasi attività di coordinamento, si verificarono, tuttavia, non pochi episodi di reazione alle aggressioni tedesche, che nei paragrafi successivi saranno narrati, sia pure sommariamente a causa della loro episodicità O). 3. Gli episodi di resistenza armata alle aggressioni tedesche furono in Italia numerosi, ma di non grande consistenza e di breve durata. In particolare si debbono citare i combattimenti che si verificarono: - in Liguria, dove le unità poste a difesa della piazza marittima di La (I) Sull'argomento: Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943, USSME, Roma 1975; AA.VV., la guerra di liberazione. Scriui nel trentennale. USSME, Roma 1976; E. Faldella, l'italia nella seconda guerra mondiale. Revisione di giudizi, Capelli, Bologna 1959; M. Toscano, Dal 25 luglio a/1'8 settembre. Le Monnicr. Firenze 1976; R. Cadorna, la riscossa, Rizzoli, Milano 1948, E. Scala, la riscossa dell 'esercito, USSME, Roma 1948; L. Marchesi, 19391945. Dall'impreparazione alla resa incondizionata. Memorie di u11 ufficiale del Comando Supremo, Mu!'Sia, Milano 1992; E. Aga Rossi, Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943. Il Mulino, Roma 1993, L'inganno reciproco. L'armistil,io tra l'Italia e gli anglo americani del settembre 1943, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, Roma 1993.
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Spezia riuscirono a trattenere i Tedeschi per il tempo necessario a consentire la partenza della squadra navale per Malta, vanificando cosl uno degli obiettivi che il piano tedesco Alarico si riprometteva: la cattura della nostra flotta; - in Piemonte, dove alcuni reparti della 41 armata, sorpresa dall'armistizio mentre si trasferiva dalla Francia all'Italia, improvvisarono una decisa resistenza al valico del Moncenisio, ad Ormea, a Boves, consentendo al resto dell'armata di sottrarsi alla cattura; - in Alto Adige, dove i nostri reparti dovettero fronteggiare anche le azioni ostili delle risorte milizie tirolesi; - a Gorizia ed a Trieste ed in molti altri presidi dell'Italia orientale; - in Toscana, ove si ebbero fatti d'arme a Pian della Futa, a Pisa, a Livorno, a Cecina, a Viareggio, nell'isola d'Elba ed in altre località ancora; - in Sardegna, in Campania, in Basilicata, in Puglia dove fu ovunque provocata la celere evacuazione del territorio da parte delle truppe tedesche ed impedita la distruzione dei porti e delle installazioni industriali; - nel Lazio, dove i combattimenti si incentrarono nelle zone circostanti la capitale. Nel quadro della difesa di Roma si svolsero, infatti, combattimenti violenti a cavaliere delle vie consolari e, nelle vicinanze della città, alla Cecchignola, alla Magliana, nella zona delle Tre Fontane e quindi lungo l'allineamento Garbatella - San Paolo - Testaccio. Nel pomeriggio del giorno 10 un contrattacco in forza dell'Ariete contro la 31 Panzer Grenadiere, tra le Capannelle e l'Appia antica, fu arrestato dal sopraggiunto accordo di tregua intercorso con i Tedeschi. La mancata difesa di Roma, dove pure le forze italiane superavano a1meno per numero quelle germaniche cd il discutibile comportamento del generale Carboni, hanno suscitato mo1te polemiche <2>, non placate neppure oggi, che non sono servite neppure a chiarire completamente i fatti. In questa sede è sufficiente ricordare che i due giorni di combattimenti attorno a Roma impedirono comunque che accorressero a Salerno, proprio nel momento di maggiore crisi delle forze di sbarco americane, due divisioni tedesche, la già citata 3• Panzer Grenadiere e la 21 paracadutisti, il cui intervento avrebbe potuto essere determinante. 4. Nei territori occupati gli avvenimenti susseguenti alla proclamazione dell'armistizio ebbero connotazioni anche più drammatiche, a causa dell'ostilità dell'ambiente, geografico ed umano. La confusa linea delle dipendenze gerarchiche contribuì poi ad impedire una comune linea di condotta delle nostre unità: la 21 armata, dislocata in Slovenia, Croazia e Dalmazia settentrionale, dipendeva dallo Stato Maggiore dell'esercito; il gruppo armate est, dipendente dal Comando Supremo, estendeva la sua giurisdizione sull'Albania, sul Montenegro, sulla Dalmazia meridio(2) Sull'argomenio: G. Carboni, L'armistizio e la difesa di Roma. Verittl e menzogne. I documenti. Donatello De Luigi, Roma 1945; G. Zanussi. Guerra e catastrofe d'Italia. Libreria del Corso. Roma 1945; E. Musco. La verittl su/1'8 settembre, Garzanti, Milano 1963; L. Giaccone, Ho firmato la resa di Roma, Cavallotti editore. Roma 1973.
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nale, s ull 'Erzegovina e sulle isole dell'Egeo; le truppe dislocate in Grecia dipendevano dall' 11 • arn,ata, a sua volta dipendente da un comando tedesco. La confusa situazione generale era resa ancora più complicata dalla presenza di formuioni partigiane di tendenze opposte, spesso in lotta tra loro per motivi razziali o religiosi, tanto da subordinare a queste lotte il dichiarato contenuto patriottico dei loro movimenti, sino a schierarsi con l'occupante italiano o tedesco pur di assicurarsi il predominio sulla parte avversa, come fecero i cetnici serbi ed i mussulmani montenegrini. Tutti, comunque, pronti ad approfittare di ogni favorevole occasione per rafforzarsi e prevalere nella lotta per il futuro potere. L'eccessiva cautela del Comando Supremo si rivelò esiziale anche per le nostre unità dislocate all'estero. Solo la mattina del 9 settembre il comando del gruppo annate est ricevette qualche direttiva sull'atteggiamento da assumere, la 2• armata dal canto suo era stata "illuminata" dalla Memoria 44 OP, il comando dell' 11 • armata e quello dell'Egeo ricevettero i primi ordini dopo la proclamazione dell'armistizio. Se i comandi a più alto livello avevano ricevuto, almeno in parte qualche anticipazione e qualche direttiva, quelli subordinati, all'oscuro dell'evolvere della situazione, furono completamente sorpresi dagli avvenimenti. I Tedeschi, invece, erano preparati alla eventualità di una resa italiana ed agirono con immediateua per catturare e disarmare le nostre unità, prevenire i partigiani, chiudere l'accesso al mare alle nostre truppe. Essi giunsero a questi risultati prima con le blandizie, poi con le minaccie larvate e, infine, con la forza. Dal canto loro i partigiani videro nella resa italiana il mezzo per procurarsi quantitativi ingenti di armi e di materiali, preferendo tendere a questo fine piuttosto che a quello di accrescere le forze che avrebbero combattuto, ma con altri scopi politici, contro l'unico occupante rimasto. Ai nostri comandi e reparti, in pratica, si pose la scelta tra decisioni contrastanti: - rientrare in Patria ad ogni costo, anche combattendo per aprirsi la strada o agendo individualmente o a piccoli gruppi; - cedere le armi, fidando nella promessa tedesca che si sarebbe provveduto al traspone del personale in territorio nazionale, per essere smobilitato; - continuare a combattere a fianco dei Tedeschi; - creare isole di resistenza, contro tutti, in attesa dello sviluppo degli avvenimenti; - affiancarsi ai partigiani (ma a quale dei movimenti partigiani'!) per combattere contro i Tedeschi. Ovviamente la situazione particolare di ciascuna unità, prima fra tulle la distanza per via di terra dalla madrepatria, condizionò queste scelte. Avvenne così che in Slovenia e nella Croazia setlentrionale le unìtà si sbandarono; la quasi totalità degli uomini cedette le armi ai partigiani nella speranza di ricevere il loro aiuto per raggiungere il vicino territorio nazionale: alcuni riuscirono nel loro intento, la gran massa fu calturata dai Tedeschi e deportata in
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Germania, altri costjtuirono formazioni partigiane autonome o confluirono in quelle di Tito. In Erzegovina ed in Dalmazja l'atteggiamento delle nostre unità di fronte alla nuova situazione fu mollo articolato. Alcuni reparti credeuero alla promessa tedesca di immediato rimpatrio e si lasciarono disarmare, altri reagirono con decisione, come la divisione Bergamo che, dopo qualche tentennamento iniziale, combatté per 19 giorni contro la di visione tedesca Prinz Euge11, sino a quando, priva ormai di muni.lioni e di viveri, fu sopraffatta. I Tedeschi per rappresaglia fucilarono il comandante e 46 ufficiali. Alcune unità della divisione riuscirono però a sfuggire alla cauura e più tardi dettero vita ai battaglioni partigiani Garibaldi e Matteotti, che si unirono alle formazioni dell'esercito popolare di liberazione jugoslavo. In Montenegro, dove il comandante del XIV corpo d'armata aveva lasciato il giorno 13 settembre libertà d'azione ai comandanti delle divisioni, gli avvenimenti furono molto diversi. La divisione Ferrara fu disarmata dai Tedeschi e deportata in Germanja, le altre divisioni del corpo d'armata, invece, reagirono con grande energia. La divisione Emilia, con l'aiuto del 3° alpini della Taurinense, tentò di sbloccare il porto di Cattaro, prontamente occupato dai Tedeschj fin dal 9 settembre, per imbarcarsi per l'Italia. L'a.lione, inizialmente riuscita, fu stroncata da nuove forze tedesche e soltanto alcune unità della divisione poterono imbarcarsi su mezzi di fortuna e raggiungere l'Italia, il resto della grande unità fu catturato o si disperse sui monti, dove costituì un battaglione di formazione, il Biela Gora, che riuscì ad aggregarsi alla Taurinense. Questa divisione, già depauperata del 3° alpini, dovette sostenere accaniti combattimenti contro i Tedeschj per tutto il mese di settembre, rinunciare al progeuo iniziale di imbarcarsi per l'Italia cd aprirsi faticosamente la strada verso l'interno. Dopo marce estenuanti e continui combattimenti, anche contro formazion i cetniche, finalmente i resti della Taurinense, circa 2000 uomini, si unirono il 15 ottobre alla divisione Venezia a Kolasin. La Venezia, ultima divisione del XN corpo d'armata, era riuscita, infatti, a rompere l'accerchiamento tedesco nella zona di Berane e fin dai primi giorni di ottobre aveva iniziato a combattere nell'ambito delle forze di liberazione jugoslave. Il 2 dicembre la Taurinense e La Venezia si fusero nella divisione italiana partigiana Garibaldi, articolata su 4 brigate di circa 1300 uomini ciascuna. Furono costituiti, inoltre, 11 battaglioni lavoratori per attività varie nelle retrovie, mentre le unità di artiglieria, del genio e del servizio di sanità passarono alle dirette dipenden.le del 11 corpus dell'esercito popolare di liberazione jugoslavo. Nei mesi successivi la Garibaldi, che conservò sempre uniformi e contrassegni italiana così come il comandante della grande unità mantenne sempre le funzioni e le prerogative di comandante del corpo truppe italiane in Montenegro, partecipò a durissimi conballimenti contro i Tedeschi che avevano scatenato una massiccia offensiva per eliminare il li corpus jugoslavo. L'attività operativa delle divisione, resa ancora più dura da un'epidemia di tipo petecchiale e dalle prepotenze del nuovo alleato, raggiunse la punta estrema nel febbraio 1944 quando la 3• brigata fu praticamente distrutta. Finalmente, nel-
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l'autunno del 1944, la pressione tedesca iniziò ad allentarsi e la Garibaldi poté provvedere al suo riordinamento, rinsanguando i ranghi con altri militari italiani. Il 2 febbraio I 945, quando la 1• brigata stava inseguendo i Tedeschi nei pressi di Sarajevo, giunse l'ordine di concentrare la divisione a Ragusa, per il successivo rimpatrio. Costituito nella città dalmata un Comando Base - cbe proseguì nell'opera di recupero, di smistamento e di assistenza dei militari italiani fino al febbraio 1947, riuscendo a trasportare in Italia 5870 sbandati tra i quali 209 mogli e figli - nei giorni 8, 12 e 15 marzo la Garibaldi si imbarcò per T aranto. Le perdite della divisione furono molto onerose: 2190 caduti, 793 1 feriti e 7291 dispersi che debbono purtroppo essere considerati caduti sul campo. A fianco dell'esercito popolare di liberazione jugoslavo operò anche la brigata d'assalto Italia, costituita come tale soltanto nell'ottobre 1944, quando accanto ai due battaglioni originari, Garibaldi e Matteotti, si costituirono anche altri due battaglioni, il Mameli ed il Fratelli Bandiera. Dopo una breve ma intensa attività addestrativa per omologare veterani e reclute, la brigata Italia entrò in linea nel novembre e già il 2 dicembre 1944 prese parte all'attacco contro le posizioni tedesche a nord di Belgrado, proseguendo poi nel ciclo operativo prendendo parte ai combattimenti di Sid e di Tovarnik. Il 12 aprile I 945 la brigata prese parte all'ultima offensiva dell'esercito popolare di liberazione Jugoslavo, che si concluse un mese dopo con la conquista di Zagabria. La brigata, che registrò perdite assai numerose, rientrò in Italia il 2 luglio 1945. Anche in Albania la proclamazione dell'armistiLiO generò una situazione confusa, con il disfacimento dei comandi di rango in più elevato e con la resa di numerosi presidi, ma anche in Albania ci furono unità che seppero reagire con dignità all'aggressione tedesca ed all'ostilità dei partigiani comunisti. Emblematica al riguardo la vicenda della divisione Firenze. Schierata ne lla zona di Dibra al momento dell'armistizio, la divisione si impegnò subito in duri combattimenti contro i Tedeschi, rifiutando nel contempo di cedere le armi ai partigiani. Dopo un tentativo di aprirsi la strada su Tirana, la Firenze, alla quale si erano aggregati reparti della Brennero e dell'Arezzo. iniziò a partire dal 20 settembre una fase di lotta molto vivace con i Tedeschi, occupando Kruja ed interrompendo i ponti di Drina, Tapiani e Magarce. Non sostenuta dal movimento partigiano, la divisione dovette però abbandonare Kruja ai Tedeschi e ritirarsi all'interno. La mancanza dei necessari rifornimenti e la necessità di articolare la divisione in unità più snelle e più manovriere, meglio idonee a condurre operazioni di guerriglia, convinsero il comandante della Firenze, generale Azzi (3), a sciogliere la divisione ed a costituire - nell'ambito del comando Militare italiano delle Truppe della Montagna, costituito da (3) Arnaldo Azzi (1885-1957). Sot101enente di fameria nel 1910. Prese pane alla guerra di Libia ed alla t• guerra mondiale come comnndanle di compagnia. Al lermine del confliu o frequentò la Scuola di Guerra, comandante di banaglione dal 1929 al 1931 e di reggimento dal 1935 al 1937. Promosso generale di brigala comandò la guardia alla frontiera del Il corpo d'armata.
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alcuni ufficiali italiani in accordo con i dirigenti del movimento di liberazione albanese fin dal 18 settembre - i comandi militari di zona di Dibra, Peza, Elbassan, Dajti e Berai, ciascuno su un bauaglione. Nell'inverno 1943-1944 però tali forze, decimate dalle perdite e stremate dal freddo e dalla fame, furono costrette a sciogliersi. Rimase in vita solo il battaglione Gramsci che, unicamente a due batterie del 41 ° artiglieria, combaué contro i Tedeschi fino alla definitiva liberazione dell'Albania. L'unità rientrò in Italia il 26 maggio 1945, dopo aver ricevuto il solenne encomio del nuovo governo albanese. Altrettanto drammatica la sone di un'altra divisione, la Pemgia, sorpresa dall'armistizio mentre era divisa in due tronconi, dislocati rispettivamente a Tepeleni e ad Argirocastro. li raggruppamento di Tepeleni ebbe vita breve: due battaglioni provenienti da Klisura erano stati sorpresi dai panigiani e disarmati, le altre unità cedettero le armi ai Tedeschi che, lungi dal mantenere le promesse di rimpatrio, avviarono i nostri militari verso i campi di concentramento di Valona. Diverso il comportamento delle forze raggruppate nella zona di Argirocastro. Qui il comandante della divisione decise di resistere alle pressioni provenienti da qualsiasi parte. I nazionalisti albanesi, rotti gli indugi, a seguito del rifiuto di cedere le anni, attaccarono le posizioni italiane il 14 settembre ma, per il deciso contrattacco italiano, furono costretti a ripiegare. Ritenuta la zona ormai insicura, il comandante dispose il ripiegamento su Santi Quaranta, non ancora occupata dai Tedeschi, ove i reparti giunsero dopo 7 giorni di durissima marcia, sempre molestata da auacchi di partigiani. Imbarcati su due piroscafi in porto tulli i malati cd i feriti, le unità si disposero a difesa della città. Poterono così respingere un attacco dal mare tentato dai Tedeschi il 25 settembre. Ricevuto con un messaggio lanciato da una aereo italiano il falso ordine di spostare le forze a Pono Palermo, che consentiva migliori condizioni per l'imbarco, il raggruppamento partì per la nuova destinazione che raggiunse il 27 settembre. Nessuna nave in porto. Dopo tre giorni di inutile attesa, l'improvvisa comparsa di colonne tedesche pose fine ad ogni illusione. Solo pochi riuscirono a sfuggire al rastrellamento: i più vennero catturati e ricondotti a Santi Quaranta: 120 ufficiali furono passati per le armi. Altri 33 furono fucilati a Kuci, una località ncl'interno, dove furono catturati 800 uomini riusciti a sfuggire da Porto Palermo per riunirsi ai partigiani. In Grecia si verificò la disgregazione totale delle nostre unità. L' 11 • armala, il cui comando era dislocato ad Atene, era stata trasformata in armata mista Promosso generale di divisione comandò la divisione Trieste in Africa settentrionale dal dicembre 1941 al luglio 1942. nel novembre 1942 ebbe il comando della divisione Firenze. dislocata in Albania. Dal 28 settembre I 943 ali' 11 giugno 1944 fu comandante delle Truppe della montagna in Albania. Rimpatriato, fu incaricato del comando militare Laz.io-Abruzzo dal settembre al dicembre 1944 e poi nominato sottosegretario di Stato al ministero della Guerra. Dimissionario dall'esercito. fu deputato alla Costituente e nella prima legislalura con il partito repubblicano.
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italo-tedesca e, sotto la data del 28 luglio 1943, era passata alle dipendeni.e operative del comando gruppo armate tedesche del sud-est, con sede a Salonicco. Sorpreso daJ promemoria 11° 2 del Comando Supremo, ricevuto la sera del 7 settembre, e dalla proclamazione dell'armistizio, il comandante dell'armata, generale Carlo Vecchiarelli <4> accettò di consegnare ai Tedeschi l'armamento pesante in cambio del trasporto in Italia delle truppe e la mattina del 9 settembre ordinò alle grandi unità dipendenti di consegnare le artiglierie e le armi collettive ai reparti tedeschi che avrebbero rilevato quelli italiani. In realtà i Tedeschi non avevano alcuna intenzione di rimpatriare le nostre truppe, in pochi giorni le disarmarono completamente e le avviarono verso i campi di concentramento in Germania ed in Polonia, compreso il comando dcli' I 1• armata. Sporadiche manifestazioni di resistenza furono rapidamente stroncate, ed anche dove la reazione all'aggressione tedesca fu condotta a livello di grande unità il risultato finale fu per le nostre truppe molto pesante. Emblematica al riguardo la sorte della Pinerolo e della Acqui. La divisione Pinerolo, dislocata in Tessaglia, piuttosto che cedere le armi ai Tedeschi si accordò con i partigiani greci, per il tramite della missione inglese, e si trasferì nella zona del massiccio del Pindo. il giorno 20 il comandante della Pinerolo, generale Adolfo Infante <5>, costituì il comando forze armate italiane in Grecia, attorno il quale si riunirono circa 8000 uomini, appartenenti al 14° fanteria, al 313° fanteria, al 6° lancieri di Aosta, al 18° artiglieria da campagna, con i quali furono costituiti i caposaldi di Kalabata, Trikkala, Karditza e Karpenision che respinsero gli attacchi tedeschi, ostinatamente reiterati dal 22 settembre ali' 11 onobre. Ben presto però i rapporti con le forze partigiane greche cominciarono ad incrinarsi e con iniziativa unilaterale da parte ellenica, contrariamente al patto stipulato poco tempo prima, il comando dell'Elas (esercito nazionale popolare di liberazione) il 14 ottobre diede l'ordine (4) Carlo Vccchiarelli ( 1884- 1948). Sottotenente degli alpini nel 1909, prese parte alla I' guerra mondiale come comandante di compagnia. Al termine del confliuo frequentò la Scuola di Guerra e fu poi addetto militare a Vienna. comandante del 5 alpini e capo di Stato Maggiore del Il corpo d'anna1a. Da generale di brigala comandò la I' brigala alpina e da generale di divisione In divisione Murge e la 132° divisione corazzata. Durante la 2' guerra mondiale comruidò il I corpo d'armata su I fronte occidentale ed il XX in Africa settentrionale. Successivamente fu nominato ,;ottocapo di Stato Maggiore dell'esercito per le operazioni e, dal 3 maggio 1943, comandan1e dell' I l'annata. (5) Adolfo Infante ( 1891 -197 I). Sonotenente di artiglieria nel 1912, capitano nel 1915 prese pane alla I• guerra mondiale come comandante di balleria. Al termine del conflitto frequentò la Scuola di Guerra e fu poi inviato a Londra quale addeno militare, dove ebbe modo di apprezzare i primi esperimenti di meccaniz1.azione condotti dall'esercito inglese, che cercò di far apprezzare anche in patria con un poderoso saggio sulla Rivista di Artiglieria e Ge11io. Dopo aver comandato il 10° artiglieria. fu capo di Stato Maggiore del XX corpo d'annata in Africa seuentrionale e , promosso generale di brigata, addetto militare a Washington. Da generale di divisione comandò l'Ariete dall'agosto al settembre 1942, fece parte del Comando Superiore della Libia e, infine. fu destinato al comando della Pinerolo in Grecia. All'ano dell'armistizio schierò i suoi reparti con i partigiani greci. ma, in seguito alla umla1erale rottura del patto di alleanza perpetrato dai partigiani comunisti greci, rientrò nella primavera del 1944 in Italia e fu nominato aiutante di campo di Umberto di Savoia. Nel 1946, a domanda. fu collocato in ausiliaria.
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di disarmare tutte le unità italiane. Nonostante le proteste vigorose e reiterate del generale Infante e la resistenza molto decisa del 6° Lancieri di Aosta, i nostri soldati subirono l'umiliazione del disarmo da parte dei partigiani dell'ELAS e furono avviati ai campi di raccolta di Grevenà, Neraide e Karpenision, dove moltissimi perirono per malattia e denutrizione, nonché per i violenti bombardamenti tedeschi. Nel marzo del 1944, la Missione militare alleata, per migliorare le condizioni di vita dei nostri soldati, ottenne che questi fossero impiegati come lavoratori nelle campagne della Tessaglia: il nuovo impiego non ne alleviò le sofferenze. Solo il rimpatrio, iniziato alla fine di agosto del 1944, mise fine alle indicibili sofferen1.e di questi militari italiani, delusi anche dalla mancata soddisfazione di poter operare con le armi in pugno contro il nemico comune, inquadrati in un reparto italiano. Solo un reparto organico rimase in vita e continuò a combattere fino alla liberazione nelle file della resistenza greca: il Raggruppamento Truppe Italiane in Macedonia Orientale (il TIMO) costituito, sin dai giorni immediatamente successivi all'8 settembre, da forze della Pinerolo distaccate dal grosso della divisione e da personale di altre unità inizialmente sbandato. Gravissime le perdite subite dalla Pinerolo e dai reparti ad essa aggregati: circa I 150 caduti, 2250 feriti e 1500 dispersi, in grandissima maggioranza da considerare anch'essi caduti. Ancora più drammatico il destino della divisione Acqui, di presidio nelle isole di Cefalonia, dove era il grosso della divisione, e di Corfù, dove era stanziato i I 18° fanteria e un gruppo di artiglieria. Nell'isola maggiore era presente anche un comando marina con alcuni mas e due batterie costiere. Nei primi giorni di agosto il presidio di Cefalonia era stato integrato da due battaglioni tedeschi di fanteria da fortezza, ben dotati di armi pesanti, e da una batteria semovente. All'annunzio dell'armistizio le forze dell'isola ammontavano a circa 12.000 Italiani e 2.000 Tedeschi. Dopo gli iniziali momenti di disorientamento e di attesa, derivati essenzialmente dall'evidente contrasto tra il proclama Badoglio e gli ordini dell' 11• armata, che imponeva la mortificante cessione delle armi, e dall'intento di dilazionare le decisioni a situazione più chiara, la volontà di resistenza, espressa palesemente dalla truppa anche con impeti passionali ed azioni concrete, si impose in tutti, dal comandante all'ultimo gregario. La situazione fluida delle trattative cessò poi quando un tentativo di sbarco tedesco fu respinto d'iniziativa dai reparti, con l'affondamento di due motozattere. Subito dopo si verificarono altri due avvenimenti decisivi: la scelta unanime dei soldati di combattere sen1.a riserve e la conferma del Comando Supremo di considerare i Tedeschi come nemici. Il J 4 settembre iniziò la battaglia, il giorno successivo massiccie formazioni aeree tedesche iniziarono il bombardamento dell'isola e si sviluppò un'a-
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zione offensiva tedesca su Argostoli e Pharsa, efficacemente contenuta e respinta. Un tentativo di attacco italiano, tendente ad occupare l'importante nodo di Kardakata, non conseguì però il successo sperato. Le operazioni proseguirono fino al 22, ma i fanti della Acqui, sempre sottoposti all'incessante azione aerea, non riuscirono a ricacciare in mare i Tedeschi, fortemente e continuamente rinforzati con truppe fresche. Alla fine la generosa resistenza dovette cessare e la Acqui si arrese, dopo aver perso in combattimento 75 ufficiali e circa 2000 sottufficiali e militari di truppa. Fu compiuto allora il massacro che tutti conoscono: dei quasi 11.000 superstiti che si erano arresi si salvarono meno di 5.000 uomini, tra cui pochissimi ufficiali, stampati all'eccidio della tristemente nota casetta rossa di San Teodoro. Ma la tragedia continuò. Nel corso del trasporto dei prigionieri sul continente greco, tre navi da trasporto urtarono su mine e colarono a picco: 3.000 sottufficialì e soldati, mitragliati dai Tedeschi anche in mare, perirono tra i flutti. Una sorte analoga alle forze di Cefalonia toccò al presidio di Corfù. Qui la reazione alle intimidazioni tedesche era stata immediata e determinata ed i reparti tedeschi dislocati sull'isola erano stati catturati. Un primo tentativo di sbarco era stato annientato in mare. Il 24 settembre i Tedeschi, risolto ormai il problema di Cefalonia, ripresero le operazioni contro Corfù, con uno sbarco, sulla costa occidentale. Sostenuti dal massiccio appoggio aereo, riuscirono a spezzare la valorosa resistenza italiana che si protrasse fino al 25 settembre. Terminati i combattimenri, 17 ufficiali furono passati per le armi. E il sacrificio della Acqui fu definitivamente compiuto. Anche nelle isole dell'Egeo nella nuova, improvvisa situazione creata dall'armistizio si verificarono casi di sbandamento e casi di eccezionale detenninaL.ione alla lotta, soffocati solo dopo aspri combattimenti. È quindi un notevole contributo quello offerto dalle unità impegnate nel settore, specie se si considera che, per avere ragione della resistenza dei presidi della varie isole, importanti forze tedesche furono sottraile per più di due mesi e mezzo all'impiego su altri fronti di prioritaria importanza. Gli episodi di tenace resistenza nelle isole furono numerosi. A Rodi, sede del Comando Superiore dell'Egeo, era dislocata la divisione fanteria Regina, meno il 10° fanteria, stanziato a Lero e Coo. Nell'isola era, inoltre, presente la divisione tedesca Rhodos, dotata di carri armati Tigre. In totale circa 37.000 Italiani contro circa 10.000 Tedeschi. Dopo 1'8 settembre , si avviarono trattative con i Tedeschi e, quasi contemporaneamente, furono presi contatti con una missione inglese, paracadutata sull'isola per studiare la possibilità di sbarchi nel Dodecanneso. L'aiuto alleato però non intervenne ed i Tedeschi attaccarono, con piccole azioni di sorpresa, predisposte e coordinate, le unità italiane. La lotta assunse quindi un carattere episodico e frammentario, che vide la decisa ma disordinata r,esistenza dei nostri reparti, alla fine sopraffatti. A Coo era dislocato il 10° fanteria Regina, meno un battaglione di stanza
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a Lero, più alcuni supporti divisionali. Gli Inglesi avevano integrato la difesa con milragliere da 40 e cannoni Bofors. I Tedeschi, approfittando dell'assenza di forze navali italiane e inglesi, dirottate su Malta, sbarcarono a Coo il 3 ottobre in ondate successive, sostenute dal lancio di paracadutisti e dall'afflusso di rinforzi. La resistenza opposta dai fanti del 10° Regina fu assai tenace e generosa. Si batterono con disperazione, da soli, perché gli Inglesi si preoccuparono soltanto di raggiungere la vicina costa turca utilizzando tutti i natanti disponibili. Una compagnia di fanti , benché accerchiata, continuò a difendersi fina alla sera del 4 ottobre. La resa, infine, fu inevitabile e ad essa seguì la feroce rappresaglia tedesca: 130 ufficiali furono passati per le armi e tra essi il valoroso comandante. A Lero, il cui presidio era costituito prevalentemente da reparti della marina e dal I battaglione del 10° Regina, era sbarcato un robusto contingente britannico. Dopo durissimi bombardamenti aerei, il 12 novembre i Tedeschi sbarcarono dal mare e dall'aria e continuarono i loro tentativi nei giorni successivi. Il contingente italo-britannico resisté per 5 giorni agli attacchi di terra ed alla tremenda violenza dell'offesa aerea. Il 16 novembre, il comandante inglese decise la resa, gli Italiani non poterono che adeguarsi. Samo fu l'ultima delle grandi isole dell'Egeo a cadere nelle mani dei Tedeschi. Vi era dislocata gran parte della divisione Cuneo. Subito dopo la resa di Rodi, il comandante assunse di iniziativa il comando di tutto l'Egeo, e tentò in ogni modo di coordinare le operazioni contro i Tedeschi e di concenlrare a Samo i piccoli presidi dispersi che obiettivamente non avrebbero potuto oppore una efficace resistenza. Il compito si rivelò ben presto di impossibile attuazione per l'assoluta mancanza di mezzi di trasporto. Anche i rinforzi richiesti insistentemente agli Alleati , giunsero con il contagocce: un battaglione inglese, due compagnie di paracadutisti greci, una ventina di mitragliere ed un irrisorio numero di mine (120 sulle 12.000 richieste). Il 17 novembre, il peso dell'attacco aereo tedesco, che già aveva piegato Lero, si spostò su Sarno con tutta la sua violenza e dimostrò che ogni tentativo di resistenza sarebbe stato vano e foriero di dolorosissime perdite. Il comandante chiese pertanto l'autorizzazione ad evacuare l'isola ed a trasferire le unità ne l vicino territorio, turco per passare poi in Medio Oriente e riprendere le operazioni. li 19 novembre gli Inglesi ricevettero l'ordine di abbandonare l'isola. Gli Italiani si regolarono di conseguenza e, nelle notti tra il 19 e il 22 novembre, l'operazione fu compiuta, utilizzando piccole imbarcazioni e mezzi da sbarco. Molti ufficiali e soldati dalla Cuneo rimaserò però a Samo per continuare, a lato dei patrioti ellenici, la lotta alla macchia contro i Tedeschi che erano sbarcati nell'isola il 23 novembre. A conclusione di questo sommario esame delle reazioni effettuate dalle nostre unità contro le aggressioni tedesche un cenno sugli avvenimenti in Corsica. Qui la lotta contro i Tedeschi condotta dalle unità italiane presentò subito una delle caratteristiche fondamentali della resistenza italiana aJl'estero:
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spontaneità della reazione, impostata al più assoluto disinteresse per eventuali contropartite se non quella - pure altissima - del ripristino della dignità nazionale. In Corsica, 1'8 settembre 1943, era dislocato il VII corpo d'armata con le divisioni di fanteria Cremona e Friuli, due divisioni ed un reggimento costieri, raggruppamenti speciali, più unità varie di artiglieria, del genio, della milizia. Un complesso di circa 80.000 uomini, sparso per tutta l'isola, dovendo difendere le coste. Il contingente italiano era "affiancato" dalla brigata motocorazzata rinforLata SS Reichsfuhrer, poco più di 5.000 uomini ma concentrati, perché massa di manovra, e dotati di mezzi di indiscussa capacità e potenza. Lo stesso 8 settembre, verso mezzanotte, con azione improvvisa, i Tedeschi effettuarono in colpo di mano sulle installazioni portuali di Bastia. Approfittando del momentaneo disorientamento causato dall'annunzio dell'armistizio, i Tedeschi occuparono il porto, incendiarono il piroscafo Humanitas, tentarono di impadronirsi del cacciatorpediniere Ardito e del mas 543. Le unità italiane, affiancate subito da patrioti corsi, reagirono con decisione: il porto fu rioccupato dopo aspri conbattimenti e la situazione al mattino del 9 era completamente ristabilita. Altri scontri a fuoco con i Tedeschi si ebbero nei giorni 9, I O e 1I settembre in varie località dell'isola, tra le quali Porto Vecchio, Sartena e Bonifacio. Qui intanto era iniziato l'arrivo della Sardegna della 90° divisione Panzer Grenadiere rinforzata, ribaltando a favore dei Tedeschi il rapporto di forze in fatto di armi e di mezzi. L'ordine di considerare i Tedeschi quali nemici, pervenuto in Corsica l' 11 settembre, trovò quindi i reparti italiani già in lotta e pronti ad un'azione coordinata. Questa venne fissata, d'accordo e in concorso con i patrioti, riarmati fin dal 9 settembre, per il giorno I 3. Ma fu prevenuta dai Tedeschi che la sera del 12 sferrarono un attacco di sorpresa contro il presidio di Casamozza, che fu perduto dopo aspra lotta. L'indomani anche Bastia fu occupata dai Tedeschi. Altri combattime nti si svolsero a Ghisoni-Vezzani, ad Aulene e Zonza, in Valle Golo, a Piedicroce, all'lnzecca, a Levie e proseguirono, con carattere difensivo da parte italiana, fino al 17 settembre, mentre andava organizzandosi la collaborazione con le unità francesi del 1° corpo d'armata che avevano iniziato lo sbarco nella protetta conca di Ajaccio il 13 settembre. Questa collaborazione si concretò nelle operazioni combinate franco-italiane per la definitiva liberazione dell'isola. Preceduta da azioni italiane nei giorni 23 e 24 settembre, che portarono alla riconquista di Porto Vecchio, Sotta e Bonifacio, l'operazione conclusiva si sviluppò contro le posizioni di Bastia dal 29 settembre al 4 ottobre. Furono combattimenti assai aspri e le forze italiane impegnate, preponderanti ne l complesso operativo, si comportarono egregiamente. Successivamente le forze italiane della Corsica furono trasferite in Sardegna, ad eccezione di un complesso di circa 7000 uomini che rimase a lungo nell'isola per ripristinare i danni subito dalle comunicazioni rotabili e per
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rendere efficienti gli aeroporti. Dal 9 settembre al 14 ottobre le forze italiane in Corsica ebbero 245 morti e 557 feriti. Il contributo offerto dalle truppe italiane in Corsica alla causa alleata fu notevole, ma fu soprattutto importante per il morale dell'esercito, non per nulla due dei gruppi di combattimento che entrarono in linea nei primi mesi del 1945 erano costituiti dai reparti delle divisioni Cremona e Friuli. 5. I combattimenti svoltisi sul suolo nazionale e nei territori occupati nei mesi di settembre e ottobre 1943 costarono all'esercito 18.965 uomini, tra caduti con le anni in pugno e trucidati dopo la resa, un sacrificio imponente. I militari catturati dai Tedeschi e deportati in Germania, inoltre, non furono considerari prigionieri di guerra, perché la Germania non riconobbe il governo del sud, ma intemati e come tali furono privati di quelle garanzie giuridiche che anche i Tedeschi riconoscevano ai prigionieri di guerra. Al termine delle ostilità, quando fu finalmente possibile contare le perdite, al pesante bilancio dell'8 settembre si aggiunsero altri 40.000 caduti nei lager nazisti. Gli avvenimenti del scllembre-ouobre 1943 pesano ancora oggi come un macigno nella memoria collettiva di tutti gli Italiani. Lutti ed umiliazioni non furono risparmiati al nostro popolo nè dal vecchio, infido alleato nè dal miope e sprezzante vincitore e sotto quei colpi tremendi, inferti senza umanità e senza ragionevolezza, parve veramente che l'unità nazionale, faticosamente raggiunta appena ottanta anni prima, dovesse sfaldarsi così come si stavano dissolvendo tante convinzioni e tante certezze. Ma non fu così. Il popolo italiano, la parte in uniforme come quella in abito borghese, trovò proprio nell'immensità della catastrofe la forza di reagire, di resistere. E l'esercito fu ancora una volta alla testa della rinascita d'Italia, protagonista del secondo Risorgimento così come lo era stato del primo. La Resistenza, espressione concreta della risoluta volontà del popolo italiano di opporsi con ogni mezzo all'oppressione straniera, nacque spontanea nelle forze armate, soprattutto nell'esercito, che si ribellarono ai Tedeschi e che non esitarono, in unione talvolta con le forze popolari, a contrastare l'invasore fin dal primo momento. Gli episodi di porta San Paolo a Roma e di Boves, nei pressi di Cuneo, sono sempre citati e sono divenuti emblematici al riguardo, ma non furono certo gli unici combattimenti che segnarono l'inizio della Resistenza. Molto prima che i partiti politici la organiz,assero nelle sue varie forme, ne assumessero la direzione e se ne appropriassero, conferendole anche valenze di carattere politico e sociale, la Resistenza era nata ad opera delle forze annate in chiave antitedesca, per rivendicare la dignità e l'indipendenza del popolo italiano. Il contributo di sangue, di fede, di ideali che l'esercito ha offerto con generosità e con dedizione alla Resistenza non si esaurì nella reazione immediata alle aggressioni tedesche, continuò anche nei campi di internamento, dove il rifiuto di qualsiasi collaborazione con il nemico fu corale cd intransigente e costituì una pagina di dignità e di coraggio che rende meno amara la
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storia della nostra disfatta. Solo una piccola aliquota degli oltre 700.000 internati iniziali, costituita in gran parte da personale anziano ed ammalato o da giovanissime reclute, accettò di collaborare con i Tedeschi o scelse di arruolarsi nelle formazione di Salò. La grande maggioranza degli internati, non certo per devozione verso il sovrano o verso il Maresciallo Badoglio dei quali molti si sentivano vittime, ma unicamente per difendere la loro dignità ed il loro onore di soldati, si mantenne fedele al giuramento prestato e non perdette la speranza nella rinascita della Patria. Tra i molti episodi che attestano come la maggior parte degli internati militari seppe mantenere integra la propria fierez1.a di soldati, si ricorda in questa sede il giuramento di Przemysl. Nel lager di Przemysl, in Polonia, erano internati anche 245 sottotenenti, in servizio permanente e di complemento, che avevano ricevuto la nomina ad ufficiale nei primi giorni del settembre 1943 e che erano stati catturati ancora prima di aver rinnovato il giuramento di fedeltà (6)_ Essi chiesero al comandante del campom di poter compiere quall'atto solenne e di essere così "consacrati" ufficiali per riaffermare la loro consapevole fedeltà alla Patria lontana. E così, nel segreto più assoluto, davanti alla bandiera di combattimento di una unità navale che alcuni ufficiali di marina, anch'essi internati a Przemyls, custodivano suddivisa in piccoli lembi, i 245 sottotenenti prestarono il giuramento e riaffermarono, per loro e per tutli, la volontà di resistere all'oppressione e la fiducia nella rinascita dell'Italia. L'armistizio dell'8 settembre 1943, con le gesta eroiche di pochi e la disperata corsa alla sopravvivenza di molti, costituisce la pagina più nera della storia nazionale e rappresenta ancor oggi un trauma non completamente rimosso, tuttavia episodi come quello di Przemyls consentono di affermare che l'armistizio dell'8 settembre segnò una fine ma anche un principio nella storia d'Italia.
(6) Anche oggi il militare promosso ufficia.le deve rinnovare il giuramento. La mancata effenuazione dell'atto invalida la nomina (7) Nei campi di concentramento l'ufficiale più elevato in grado e più an1.iano aveva il compito di rnamenere l'ordine tra gli internati e di fare da trami1e tra essi ed il comandante del campo. Questo ufficiale. chiamato dai Tedeschi " ufficiale anziano", era invece chiamato dagli intcmati"comandantc del campo". La differenza non ~ di poco conto perché testimonia la volontà degli in1erna1i di rivendicare la loro quali1à di solda1i. Molti " ufficiali anziani" meritarono davvero l'appellativo di comandante per il loro fermo e digni1oso con1egno e per l'intransigente rivcndica1:ione dei dintti umani degli uomini che rappresentavano.
XIX. LA DIFFICILE RICOSTRUZIONE DELL'ESERCITO E LA GUERRA DI LIBERAZIONE
I. Già l' 11 settembre 1943 il Comando Supremo, installatosi a Brindisi, indirizzò ai capi di Stato Maggiore di forza armata il foglio n° 1015 con il quale, precisato che i Tedeschi, avendo apertamente iniziato le ostilità contro di noi, erano da considerarsi nemici ed andavano di conseguenza combattuti, si ordinava di contrastare ogni loro ulteriore rafforzamento, raccomandando di procedere in stretta collaborazione con gli anglo-americani. A quel momento le forze sicuramente disponibili, per quanto riguarda l'esercito, erano costituite: - nell'Italia meridionale dalla 7• armata su IX corpo d' armata (divisione Piceno, 209• e 21()8 divisione costiera, XXXI brigata costiera) e XXXI corpo d'annata (divisione Mantova, 211 •, 212•, 2141 e 227" divisione costiera); - in Sardegna dal Comando Superiore FF.AA. della Sardegna articolato su XIII corpo d'armata (divisione Sabauda, 203° e 205" divisione costiera, XXXIII brigata costiera), XXX corpo d'armata (divisione Calabria, 204• divisione costiera, IV brigata costiera) e riserva (divisione Bari, divisione paracadutisti Nembo, I raggruppamento corazzato); - in Corsica dal VII corpo d' armata: divisioni Cremona e Friuli, 225" e 226• divisione costiera, raggruppamento alpino, raggruppamento granatieri, raggruppamento motocorazzato. A queste forze si aggiungevano aliquote delle divisioni Legnano ed Emilia, la prima in trasferimento da Bologna alla Puglia all'atto dell'armistizio, la seconda parzialmente rientrata dai Balcani nei giorni successivi all '8 settembre. Un complesso di forze, in totale, di circa 430.000 uomini sulla cui efficienza operativa il Maresciallo Messe espresse la valutazione competente ed equilibrata che si riporta testualmente: "( ... ) disponevamo di nove divisioni mobili, di cui alcune notevolemente provate dai recenti combattimenti, di una decina di divisioni costiere. Le prime difettavano di armamento e di automezzi, ma potevano agevolmente essere portate ad un maggior grado di efficienza e costituivano comunque un prezioso strumento per la guerra in montagna, alla quale viceversa mal si prestavano le supermotorizzate divisioni alleate. Le seconde, inadatte all'impiego in prima linea, potevano essere impiegate nei servizi di retrovia e come serbatoio per il completamento delle prime. Vi erano nella penisola magazzini con discrete scorte, vi era in mano alleata in
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Sicilia, in Sardegna e nel nord Africa abbondante preda bellica non ancora manomessa. Questa sembrava essere logicamente la piattaforma da cui sarebbe partito il nostro sforzo bellico. Anche all'infuori della sua materiale portata, l'immediato reimpiego di quelle unità avrebbe agito come energico tonificante degli spiriti smarriti nella terribile crisi. Invece, non appena l'occupazione della 5" e del1'8 1 armata ebbe raggiunto una sufficiente consistenza, gli Alleati vietarono improvvisamente alle nostre truppe di continuare quella collaborazione operativa che era stata non solo accettata di buon grado, ma anche apprezzata e sollecitata" 0). Il 12 settembre il generale Roatta impartì al comando 71 armata puntuali direttive operative per conseguire due scopi: assicurare il completo controllo della Puglia, ricacciare a nord tutte le forze tedesche ancora presenti nel territorio, a premessa di una generale avanzata da condurre in cooperazione con le forze anglo-americane. Per meglio conseguire tali scopi il giorno 14 fu costituito, con le unità mobili del IX corpo d'armata, un nuovo corpo d'armata, il LI, che sotto il comando del generale Giuseppe De Stefanis <2), operò con un certo successo raggiungendo l'allineamento Martina Franca-Fasano e respingendo un attacco tedesco mirante ad impadronirsi di un grosso deposito di munizioni nella zona Andria-Corato. Sia il governo sia i vertici militari italiani intendevano offrire una immediata e positiva risposta al memorandum di Quebec del 7 agosto 1943 nel quale Churchill e Roosvelt avevano dichiarato che "le condizioni di armistizio non contemplano l'assistenza attiva dell'Italia nel combattere i tedeschi" aggiungendo subito dopo che "la misura nella quale le condizioni saranno modificate in favore dell'Italia dipenderà dall'entità dell'apporto dato dal Governo e dal popolo italiano alle Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della guerra. Le Nazioni Unite dichiararono tuttavia senza riserve che ovunque le forze italiane e gli italiani combatteranno i tedeschi, o distruggeranno proprietà tedesche, od ostacoleranno i movimenti tedeschi, essi riceveranno tutto l'aiuto possibile dalle forze delle Nazioni Unite". Ma la nostra illusione che l'armistizio fosse stato un primo passo per l'attuazione di un rovesciamento di alleanze che portasse l'Italia nel campo delle Nazioni Unite o, comunque, un fondamentale contributo perché si realizzassero le condizioni previste dal memorandum per attenuare sensibilmente le conseguenze della sconfitta, non durò a lungo. (I) G. Messe, Cobelligeranza. in "Notiziario dell'Esercito", n° 26/1946, Roma. (2) Giuseppe De Stefanis (1885-1965). Sottotenente d'artiglieria nel 1905, partecipò alla 1•
guerra mondiale con il grado di capitano e di maggiore. Colonnello nel 1932 comandò I' 8° artiglieria. Generale di brigata comandò l'artiglieria del corpo d'armata corazzato e, da divisionario, la Pinerolo durante la campagna di Grecia, la Trento e l'Ariete in Africa settentrionale. Promosso generale di corpo d'armata nel dicembre 1942, comandò il XX corpo d'armata sempre in Libia e le truppe del Mareth in Tunisia. Sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito per le operazioni dal maggio al 13 settembre 1943. Successivamente fu comandante del LI corpo d'armata e, dal giugno 1944, comandante della delegazione A dello Stato Maggiore.
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Il 22 settembre il generale Mac Farlane, capo della Missione Alleata presso il governo italiano, chiarì bruscamente e sprezzantemente l'equivoco, informando il nostro governo che i reparti del LI corpo d'armata avrebbero dovuto assolvere da quel momento solo compiti di retrovia e, per giunta, cedere tutti i loro automezzi agli Alleati che pure ne avevano larghissima disponibilità. La protesta del Maresciallo Badoglio fu ferma ed immediata ma inesorabilmente sterile di risultati concreti. L'Italia dovette, come è noto, firmare l'armistizio lungo il 29 settembre e dichiarare guerra alla Germania il 13 ottobre per ottenere il riconoscimento di uno status di cobelligerante, che però lasciava al comandante alleato, in quel momento il generale Eisenhower, la facoltà di decidere l'entità e la qualità del nostro concorso alle operazioni contro i Tedeschi. Ed il Comando Supremo Alleato non era molto interessato ad acquisire un nuovo alleato sia perché i drammatici avvenimenti, verificatisi dopo l'annuncio dell'armistizio nel territorio nazionale e in quelli occupati, avevano dato l'impressione che il nostro contributo sarebbe stato di mediocre consistenza sia perché l'Inghilterra, risoluta ad eliminare per sempre l'Italia dalla scena mediterranea, non intendeva che potessero crearsi i presupposti per modificare la nostra posizione di Stato sconfitto arresosi senza condizioni. Gli Alleati rifiutarono perciò tutte le nosu·e offerte di collaborazione operativa, pretendendo invece, con alterigia sprezzante, un sempre maggiore apporto di manovalanza per le attività logistiche di retrovia. Il comportamento degli Alleati fu molto freddo e circospetto anche nei confronti di quei reparti che, nelle isole greche e nell'Egeo, ancora si opponevano con eroica detenninazione alle aggressioni tedesche. L'azione incessante del Comando Supremo tendente ad ottenere che gli Alleati intervenissero adeguatamente a sostegno delle nostre truppe o, almeno, consentissero un nostro intervento con quanto ancora eravamo in grado di mettere in campo, non ottenne alcun risultato. Gli Alleati, peraltro, non poterono negarci una partecipazione sia pure simbolica alle operazioni ed il 24 settembre autorizzarono la costituzione di un raggruppamento motorizzato, riservandosi la facoltà di decidere dove e quando inviarlo in linea. Fu così costituito il 1° Raggruppamento Motoriz.z.ato, un complesso pluriarma a livello brigata su 4 battaglioni di fanteria (67° fanteria su 2 battaglioni, LI battaglione bersaglieri allievi ufficiali, V battaglione controcarri da 47/32), quattro gruppi d'artiglieria a traino meccanico (2 gruppi da 75/18 del!' l l O artiglieria, l gruppo da 105/28 ed I da 100/22), LI battaglione misto genio e reparti dei servizi, in tutto 5.200 uomini al comando del generale Cesare Dapino (3), già vice comandante della divisione Legnano. L'autorizzazi.one a costituire il raggruppamento non fu considerata un
(3) Vds. del generale Dapino il breve profilo biografico nella parte Il di questo volume.
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risultato ottimale dal Comando Supremo, che continuò con determinazione a riorganizzare quanto era rimasto dell'esercito, sempre convinto che fosse necessario ampliare la partecipazione italiana al conflitto. Gli ostacoli frapposti dagli Alleati ali' attività di riorganizzazione dell'esercito furono tantissimi e di ogni genere, il generale Ambrosia in un suo promemoria al Maresciallo Badoglio del 30 ottobre così sintetizzò la situazione: "Nell'atteggiamento anglo-americano si conferma sempre più la tendenza <la un lato (propaganda) ad invitarci a combattere ed a far dipendere la nostra sorte futura dalla entità del nostro apporto bellico, dall'altro (fatti) a cercare di ridurre al minimo tale apporto". Non solo le nostre truppe in Corsica all'atto del loro rientro in Sardegna dovettero lasciare ai Francesi l'armamento di reparto ed il parco automotoveicoli, ma gli Alleati non si peritarono di spogliarci del poco armamento ancora in nostro possesso per rifornire l'esercito popolare di liberazione jugoslavo (4). 2. Gli alleati per amministrare il territorio italiano avevano costituito I' Allied Military Governement of Occupied Territory (AMGOT), al quale era devoluto ogni potere su tutto il territorio italiano non ancora restituito all'amministrazione italiana, e la Allied Contro! Commission (ACC), che aveva il compito di controllare l'attuazione delle clausole armistiziali da parte del governo italiano in quella parte del territorio lasciata alla nostra giurisdizione, inizialmente solo le quattro province pugliesi. Da quest'ultima commissione dipendevano tre sottocommissioni, una per ciascuna forza armata - per l'esercito la Land Forces Sub-Commission o Military Mission to the Italian Army (MMIA) come fu più frequentemente chiamata · che esercitavano, con la costanza dell'anglosassone e con la protervia del vincitore, un controllo fiscale, oppressivo e, francamente, ottuso sull'attività di comando dei nostri vertici militari. La storia della ricostruzione dell'esercito italiano dal settembre 1943 al maggio 1945 è, in grandissima parte, la storia dei rapporti, difficili ed ambigui, intercorsi tra il nostro Comando Supremo e le autorità alleate, diffidenti e rancorose nei nostri confronti, intenzionate ad utilizzare nel loro esclusivo interesse le nostre residue potenzialità umane e logistiche ed a negarci anche il diritto di combattere per la liberazione del patrio suolo. È necessario dare atto ai generali Ambrosia e Roatta - senza attenuare per questo le forti riserve già chiaramente espresse sulla loro condotta ali' atto dell'armistizio • di aver sempre vigorosamente ed ostinatamente perseguito l'obiettivo di una partecipazione italiana in armi alla campagna d'Italia e di aver ottenuto la costituzione del 1° Raggruppamento Motorizzato. Il 17 ottobre 1943, a fronte di una ulteriore richiesta di reparti salmerie
(4) In Corsica tra gli altri materiali furono ceduti ai Francesi: 23.275 armi portatili, 593 monai e pezzi di artiglieria, 2 I 90 automezzi, 68 autoblindo, 93 trattori, I 8 carri officina, oltre 20 milioni di cartucce e quasi due milioni di colpi completi per monai e artiglierie.
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per il fronte e di unità di "'lavoratori" per le retrovie ed i porti, la M.M.I.A. ci riconobbe poi il diritto di mantenere in vita 10 divisioni, da impiegare per la sicurezza del territorio a sud della linea Pisa-Rimini. Sulla base delle disposizioni alleate e delle ridottissime possibilità lo Stato Maggiore dell'esercito aveva intanto iniziato la riorganizzazione ordinativa delle unità ed aveva provveduto a sciogliere il comando 7 1 armata e quelli della Sardegna e della Corsica, a porre le divisioni alle sue dirette dipendenze, a costituire nel Salento quattro campi di riordinamento, poi divenuti sei, per la raccolta, l'assistenza ed il reimpiego dei numerosi sbandati che affluivano dal territorio nazionale e dai Balcani, oltre naturalmente a curare l'organizzazione e l'addestramento del 1° Raggruppamento Motorizzato. I campi di riordinamento, dislocati a Lecce, Maglie, Campi Salentina, Galatina, Trani e Potenza, riordinarono in 9 mesi di attività oltre 40.000 militari sbandati, che furono impiegati per completare le unità rimaste in Puglia e per costituire le prime unità di lavoratori richieste dagli Alleati. A metà novembre rientrarono dalla prigionia in Inghilterra il Maresciallo Messe ed i generali Berardi (5) e Orlando (6) e fu possibile provvedere ad un radicale avvicendamente del vertice militare. n Maresciallo Messe fu chiamato alla carica di capo di Stato Maggiore Generale, il generale Berardi a quella di capo di Stato Maggiore dell'esercito ed il generale Orlando fu nominato sottosegretario alla Guerra e poi, nel gennaio 1944, ministro. Messe, Berardi ed Orlando affrontarono con entusiasmo i problemi ricevuti in eredità, ma, ancora una volta, l'interlocutore si dimostrò inamovibile nei suoi disegni punitivi. Il 15 dicembre, infatti, gli Alleati infersero un colpo mortale alle nostre residue possibilità, ci richiesero 800 mortai da 45, 300 mortai da 81, 180 cannoni da 47/32, 1040 mitragliatrici, 210 mitragliere contraerei da 20 con il relativo munizionamento, armi e munizioni che furono inviate, nonostante le nostre proteste, in Jugoslavia. Intanto era entrato in linea, nell'ambito della 36• divisione del II corpo d'armata americano, il 1° Raggruppamento motoriz,zato. Al raggruppamento fu dato il compito di conquistare le posizioni di Monte Lungo, un'altura rocciosa e priva di vegetazione che sbarra la depressione di Mignano percorsa dalla statale Casilina e dalla linea ferroviaria Napoli-Cassino-Roma. L'azione, iniziata (5) Yds. del generale Paolo Berardi il breve profilo biografico nella II parte di questo volume. (6) Taddeo Orlando (1885-1950). Allievo della Nunziatella e poi dell'Accademia Militare, fu promosso sottotenente di artiglieria nel 1906. Partecipò alla guerra di Libia ed alla prima guerra mondiale. Dal 1912 al 1914 frequentò la Scuola di Guerra. Nel 1919 fu trasferito allo Stato Maggore dell'esercito. Colonnello, nel 1936 comandò l'artiglieria della Tripolitania e, da generale di brigata, quella del XX corpo d'annata. Sottocapo di Stato Maggiore dell 'esercilo per le operazioni nel 1939, comandò dal 1940 al 1942 la divisione Granarieri di Sardegna. nel novembre del 1942 prese il comando del XXXI corpo d'armata in Tunisia. Catturato nel maggio 1943 fu internato in Inghilterra. Rimpatriato nel novembre, fu nominato sottosegretario e poi ministro della Guerra nel febbraio 1944, carica che lasciò nel luglio dello stesso anno per divenire comandante generale dell'arma dei carabinieri.
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dopo una breve preparazione d'artiglieria alle 06.20 dell'8 dicembre, fallì per la scarsa efficacia del fuoco di preparazione e per la mancata protezione del fianco sinistro del dispositivo da parte di un reggimento americano e costò molte perdite: 84 morti, 121 feriti e 151 dispersi. L'insuccesso non ebbe conseguenze, gli Americani per la prima volta dimostrarono di comprendere le nostre difficoltà e ci permisero di reiterare l'attacco il 16. Questa volta, meglio preparato e meglio sostenuto dall 'artiglieria e finalmente coordinato con I' azione delle unità collaterali, l'attacco riuscì con perdite molto minori: 10 morti, 30 feriti e 8 dispersi. La dimensione operativa del fatto d'arme fu minima, ma ebbe notevole importanza sul piano morale e su quello politico. il generale Utili m, nel commemorare l'avvenimento ai soldati della divisione Legnano 1'8 dicembre 1945, espresse su Monte Lungo la valutazione che si riporta per esteso: "(... ) Questo, senza l'enfasi della retorica, è stato il combattimento di Monte Lungo. Non è un modello di arte militare e nemmeno si potrebbe sostenere che abbia avuto un peso di qualche rilievo sul complesso delle operazioni. Impegnò direttamente poco più di mille uomini e di essi quasi la metà non tornarono: per noi che vedemmo ben altre ecatombi il suo significato materiale non trascende il valore di un episodio. Tuttavia, per il suo valore ideale, io sono convinto che il combattimento a Monte Lungo appartenga non alla cronaca ma alla storia d'Italia e che perciò si diffondesse nel mondo la notizia che per la prima volta nella seconda guerra mondiale i soldati italiani si battevano a fianco dei soldati alleati, si battevano con impeto e con saldezza...". Nell'immediato, tuttavia, il Raggruppamento Motorizzato provocò qualche apprensione da parte italiana e qualche dubbio da parte alleata, peraltro presto superati. Nonostante il successo conseg uito nella giornata del 16, il Raggruppamento Motorizzato era in realtà scosso da una profonda crisi morale e psicologica che il generale Dapino non s i peritò di segnalare. Il Raggruppamento fu allora ritirato dal fronte ed inviato nella zona di Sant' Agata dei Goti per procedere al suo riordinamento. Le cause del cedimento morale dell'unità furono essenzialmente: il disorientamento generale, caratteristico dell'ora grigia che il Paese stava attraversando; la propaganda disgregatrice di gran parte della stampa, che non aveva gradito l'apposizione sulle divise degli appartenenti al Raggruppamento dello scudo sabaudo come segno distintivo, e che gratificava gli uomini del Raggruppamento, anche dopo la sanguinosa prova di Monte Lungo, con l'epiteto di mercenari o di pretoriani; lo spettacolo degli sbandati e dei disertori rimasti impuniti: le cattive condizioni del vestiario e dell'equipaggiamento. I soldati del Raggruppamento "sentivano di costituire, in quell'ora di malessere generale, una sparuta minoranza rimasta ancora in piedi, costretta per giunta a sopportare i sacrifici di una guerra senza nemmeno avere il conforto del con-
(7) Vds. del generale Umbeno Utili il breve profilo biografico nella parte II di questo volume.
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Il combattimento di Monte Lungo il giorno 8 dicembre
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senso popolare" (8). La conseguenza più evidente del profondo malessere che serpeggiava tra le superstiti unità dell'esercito era l'abnorme numero dei mancati rientri dalla licenza o dalla libera uscita, mancati rientri che molto spesso si tramutavano in diserzione. Il Maresciallo Messe ed il generale Berardi affrontarono la situazione con grande realismo, riuscendo a contenere gradualmente il fenomeno in limiti più ristretti, mediante l'adozione di misure disciplinari e penali tempestive e severe e con la concessione di adeguate provvidenze economiche per il personale combattente. Non solo fu confermato ai militari di truppa ed ai sottufficiali del 1° Raggruppamento Motoriuaro }'"assegno straordinario" concesso il 17 novembre I 943 dal generale Dapino e che, a seconda del grado, variava da 10 a 18 lire giornaliere, ma con Regio Decreto n° 122 del 5 aprile 1944 fu concessa a tutt i militari impiegati in zona di operazioni una speciale indennità giornaliera di lire 45, ed a quelli impiegati in servizi connessi con l'attività operativa una indennità di lire 32. Un ulteriore decreto autorizzò poi i comandanti di grandi unità a concedere premi ai militari e sussidi alle loro famiglie, nell'ambito naturalmente di stanziamenti di bilancio ben definiti. Anche i militari inquadrati nei reparti di manovalanza dislocati in zone non operative ebbero, a partire dal 23 marzo 1944, un soprassoldo di lire 20 per ogni giornata lavorativa. Il Comando Supremo agì nel delicato settore anche nell'immediato. Il generale Dapino, capro espiatorio di una situazione non certo imputabile alla sua azione di comando, fu sostituito nel comando del i Raggruppamento Motoriuato dal generale Utili il 23 gennaio 1944 ed il 67° fanteria fu sostituito dal 68°, non provato dai combattimenti di Monte Lungo. Il 6 febbraio il / Raggruppamento Motorizzato tornò in linea nel settore nelle Mainarde, inquadrato nel corpo d'armata francese, con un organico potenziato: 68° fanteria Legnano, 4° bersaglieri, CLXXXV battaglione paracadutisti Nembo, IX reparto d'assalto, battaglione alpini Piemonte (dal 18 marzo), V battaglione controcarri, 11 ° artiglieria, LI battaglione misto genio, unità dei servizi. li Raggruppamento si comportò egregiamente offrendo così al Comando Supremo l'appiglio per ottenere un ampliamento della nostra partecipazione alla campagna d'Italia. 3. Il 18 aprile 1944 il i Raggruppamento Motorizzato cessava di esistere dando vita al Corpo i taliano di Liberazione, ancora sotto il comando del generale Utili, forte di circa 25.000 uomini ed articolato come segue: - divisione Nembo, rientrata dalla Sardegna, su: 183° e 184° fanteria (entrambi su due battaglioni), CLXXXIV battaglione guastatori, 184• compa-
(8) S. Crapanzano, ///Raggruppamento Motorizzato italiano (1943-1944), USSME, Roma 1949, pag. 14.
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gnia motociclisti, 184° artiglieria da campagna, 1841 compagnia artieri, 184° compagnia collegamenti; - l° brigata su: 4° bersaglieri (su due battaglioni), 185° reparto arditi Nembo, IV gruppo da 75/13 someggiato; - 21 brigata su: 68° fanteria (su due battaglioni), battaglione di marina Bafile, IX reparto d'assalto, V gruppo da 75/13 someggiato; - 11 ° artiglieria su cinque gruppi (105/28, 100/22, 75/18, 57/50 controcarro) ed una batteria contraerea da 20; - gruppo pesante campale da 149/19; - LI battaglione misto genio; - unità dei servizi (ospedali da campo, sezione sussistenza, autogruppo misto, reparto salmerie, ecc.). Dotato di armamento cd equipaggiamento italiani e privo di componente corazzata, il Corpo Italiano di Liberazione si batté con molta detenninazione, compensando la sua inferiorità materiale nei confronti sia delle unità angloamericane sia di quelle tedesche con una buona capacità combattiva. Inquadrato nell '81 armata britannica, il CIL ne seguì le vicende operative avanzando nel settore adriatico dalle Mainardc alle Marche. In stretta sintesi si ricordano le tappe del ciclo operativo: avanzata iniziale fino al fiume Pescara (8- l l giugno); liberazione di Orsegna, Chieti e Guardiagrele, conquistata dopo un duro combattimento; proseguimento dell'azione offensiva fino al Chienti, con la liberazione di Teramo, Tolentino e Macerata (30 giugno); conquista di Filottrano (6-9 luglio) e forzamento del fiume Musone; ulteriore proseguimento dell'avanzata lungo il fiume Esino con la liberazione di Jesi (20 luglio), Corinaldo (10 agosto), Pergola (20 agosto), Urbino e Peglio (28 agosto). Al termine del ciclo operativo il Corpo italiano di Liberazione si schierò sulla linea del Metauro, di fronte alle posizioni tedesche della linea gotica. TI tributo di sangue non era stato indifferente: 350 caduti e 750 feriti. 4. L'attività del Comando Supremo e dello Stato Maggiore dell'esercito non si esaurì con l'organizzazione dei reparti combattenti, si esplicò a giro d'orizzonte per ricostruire tutto l'apparato militare, dallo Stato Maggiore stesso ai distretti, dai depositi ali' organizzazione scolastica, dalle truppe per la sicurezza interna ai comandi territoriali, sempre attraverso un continuo e defatigante dialogo con l'onnipotente M.M.I.A. Alla fine del dicembre 1943 fu costituito l'Ispettorato della Manovalanza, più tardi (1 ° luglio I944) denominato Ispettorato Truppe Ausiliarie, che inizialmente sovrintese ai tre Raggruppamenti La.voratori di Bari, Brindisi e Taranto, le prime unità specificatamente destinate a compiti ausiliari di manovalanza e di carico e scarico nei porti che si erano costituite in Puglia, tra il 14 ottobre ed il 24 novembre 1943, utilizzando reggimenti di fanteria costiera, gruppi di artiglieria, personale dell'aereonautica e della marina. Il settore delle truppe ausiliarie, sempre in continua espansione in forzata obbedienza alle continue richieste degli Alleati, fu un pozzo senza fondo per alimentare il quale le risorse umane dell'esercito si esaurirono, tanto da rendere necessario il richiamo
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alle armi dei mi li tari appartenenti alle classi I 914-1924 che, sbandatisi per effetto degli avvenimenti successivi all'armistizio, si trovavano irregolarmente in congedo. Già nel dicembre 1943 erano impiegati nel settore 95.000 militari italiani, destinati a divenire 163.000 nel settembre 1944 e 196.000 nell'aprile 1945 (9). Non tutti questi uomini erano adibiti a mansioni di manovalanza, la percentuale di quelli impiegati in compiti di natura più specialistica crebbe a mano a mano, rendendo il loro apporto alla causa degli Alleati sempre più importante. L'attività delle nostre truppe ausiliarie spaziò, infatti, dallo scarico delle navi alla bonifica dei campi minati, dal gittamento dei ponti, anche sotto il fuoco nemico, al rifornimento delle munizioni in prima linea, dal controllo della circolazione stradale alla sicurezza delle infrastrutture. Le perdite subite dalle truppe ausiliarie non furono trascurabili - 744 caduti, 2.252 feriti, 109 dispersi - e testimoniano quanto sia stato prezioso il loro apporto, molto poco conosciuto e molto poco apprezzato dalla storiografia. Per gestire e controllare le truppe ausiliarie lo Stato Maggiore nel febbraio-marzo I 944 costituì otto grandi unità amministrative quattro per trasformazione di altrettante divisioni costiere (205•, 209°, 210°, 229") e quattro ex novo (228•, 230", 231• e Comando Italiano 212). La composizione di queste unità fu varia, complessivamente furono costituiti 13 reggimenti pionieri, 5 reggimenti lavoratori, 42 battaglioni servizi, 26 battaglioni guardie, 5 battaglioni di polizia militare, 7 battaglioni portuali, 5 battaglioni ferrovieri, 83 compagnie genio, 81 compagnie autieri, 33 reparti salmerie e numerose altre formazioni dei servizi. Tutte queste unità dipendevano per l'impiego dagli Alleati,e furono suddivise, soprattutto per regolarizzare l'amministrazione delle razioni viveri, in tre grandi categorie, comprendenti anche tutte le altre unità dell'esercito: - US Commitmenl o US-ITI, comprendente i reparti italiani impiegati per compiti logistici in appoggio alle forze americane. li mantenimento ed il vestiario di questj reparti era a carico degli Stati Uniti, mentre equipaggiamento e armamento erano italiani; - British Commitmen o BR-ITI, comprendente i reparti combattenti italiani, le loro truppe ausiliarie e le unità ausi liarie dell'esercito che operavano in appoggio al1'8" armata britannica. Mantenimento e vestiario a cura degli Inglesi che provvedevano anche all'annamento delle truppe combattenti; - International Commitment o ITI-ITI, che comprendeva i reparti italiani posti sotto il comando operativo del Comando Supremo Alleato nel Mediterraneo per il tramite dell'A.C.C. Quest'ultima categoria comprendeva i carabinieri, le divisioni di sicurezza interna dislocate in Sicilia ed in Sardegna, i battaglioni guardie che avevano il compito di sorvegliare le linee di comunicazione degli eserciti alleati, la restante struttura amministrativa dell'esercito. li mantenimento di questi reparti era suddiviso tra gli Inglesi e gli Americani, (9) Cfr. sull'argomento L. Lollio, Le unità ausiliarie dell'Eserciw iraliano nella Guerra di Liberazione, USSME. Roma I 977
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mentre l'armamento e l'equipaggiamento erano di competenza del governo italiano. Altro settore ricostruito con tempestività fu quello informativo. In brevissimo tempo il Servizio Informazioni Militari (SIM) fu riordinato e riprese a funzionare articolato in cinque sezioni: - Calderini (offensiva), incaricata delle missioni speciali, compresa la costituzione di cellule informative nel territorio occupato ed il recupero dei nostri militari ancora in Albania; - Bonsignore (difensiva), cui era affidata l'azione di controspionaggio in collaborazione con le analoghe organizzazioni alleate; - Zuretta, che curava la stesura giornaliera del bollettino informativo, provvedeva alle intercettazioni radio ed all'invio delle notizie di maggiore rilievo agli Alleati; - Organizz.azione, cui era affidata la preparazione dei cifrari, l'addestramento del personale, l'attività di censura; - Tecnica, che gestiva il personale delle trasmissioni e curava la parte amministrativa del servizio. La collaborazione fornita dal SIM agli Alleati fu notevole e costituì una parte non trascurabile del nostro impegno per guadagnare il famoso "biglietto di ritorno" tra le nazioni democratiche. L'attività svolta del Comando Supremo per sostenere e sviluppare la lotta di liberazione nell'Italia occupata fu anch'essa resa possibile dall' azione intellligente e fattiva del SIM, specie della sezione Calderini. L'attività del Comando Supremo si esplicò principalmente, infatti, con l'approntamento e con l'invio nel territorio occupato di missioni speciali e di istruttori, in grado anche di organizzare i campi di ricezione per gli aviolanci successivi di materiale e di personale. Nel corso della guerra furono inviate nell'Italia occupata dai Tedeschi, anche con il concorso della N° J Special Force britannica, 96 missioni di collegamento ed operative con il compito di prendere contatto con le formazioni partigiane, trasmettere ordini e direttive del Comando Alleato, istruire i partigiani nell'impiego dei materiali alleati, dirigere particolari azioni di sabotaggio. Dall'ottobre 1943 ali ' aprile 1945 furono organizzati 498 campi di aviolancio per i materiali e 53 per aviolanci di personale. Furono anche organizzati, specie in Liguria, punti di sbarco e di imbarco per personale destinato ad operare nei pressi della costa o da ricuperare al termine delle missioni. Non fu trascurata nemmeno l'attività di propaganda, esplicata con il lancio di manifestini, con la pubblicazione e la diramazione del periodico L'Italia combatte e con la messa in onda da Bari di un programma radiofonico, pure denominato "L'Italia combatte" ( IO). In tema di propaganda deve essere segnalata anche l'attività dell'ufficio "Collegamento Esercito-Paese" del ministero della Guerra, rivolta a rinsaldare vincoli tra popolo e soldati ed a rinvigorire lo spirito di corpo nell'ambito (IO) Cfr. sull'argomento il volume L'azione dello Sra,o Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, pubblicato da USSME nel 1975.
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delle unità. A tale ufficio si deve la sfilata di due gruppi di combattimento per via dei Fori Imperiali a Roma e la pubblicazione di alcuni giornali - L'Allegro motorizzato, La Spiga, La Torre, Noi del secondo, il Piave - letti sempre con curiosità e con interesse dagli appartenenti alle grandi unità che ne curavano la redazione. Fu necessario anche provvedere alla smobilitazione delle classi più anziane, provvedimento di non facile attuazione, tenuto conto che parte del personale alle armj non era in grado di raggiungere la famiglia perché residente in territorio inaccessibile. Il 10 novembre 1943 Io Stato Maggiore dispose l' invio in licenza illimitata dei sottufficiali e dei militari di truppa delle classi 19 I 1 e 1912 aventi normale residenza nel territorio liberato, estendendo il provvedimento anche a coloro che, pur avendo la normale residenza in territori occupati, potevano dimostrare di aver trovato un utile impiego civile nelle zone liberate. Successivamente fu preso un analogo provvedimento per la classe 1913 e per gli ufficiali di complemento. Poiché gli Alleati non intendevano privarsi dell'apporto prezioso ed a buon mercato, delle nostre unità ausiliarie e ne pretendevano la rigorosa tenuta a numero, fu necessario procedere al reclutamento dell'ultimo quadrimestre del 1924 e del primo quadrimestre del 1925. I coscritti affluirono nei primi mesi del 1945 ai centri di affluenza di Orvieto per le truppe BR-ITI, di Frosinone per le truppe ITI-ITI, e di Astroni per le truppe US-ITI. I risultati non furono brillanti, la percentuale dei renitenti fu molto alta, tuttavia lo sperato rinsanguamento dei reparti fu raggiunto. Lo Stato Maggiore si preoccupò anche di rinnovare i Quadri e di non interrompere il processo formativo degli ufficiali, effettivi e di complemento. La Scuola Militare di Napoli, l'antica e prestigiosa "Nunziatella", a causa del veto alleato fu trasformata in un istituto civile, inquadrato però da elementi militari, riservato agli orfani di guerra ed ai figli del personale militare e civile dell'amministrazione militare, il "Liceo Convitto Nunziatella", che riuscì a mantenere integra la tradizione e che nel dopoguerra riprenderà l'antica denominazione e l'originaria funzione. Le Accademie di Torino e di Modena furono riattivate a Lecce, iniziando nel maggio 1944 la ripresa dell'attività istituzionale con il primo anno di corso per gli allievi delle Scuole Militari che avevano presentato domanda di ammissione alle Accademie prima dell'armistizio e con il secondo anno di corso per gli allievi che avevano frequentato il primo anno a Modena o a Torino. Per quanto riguarda gli ufficiali di complemento il 5 ottobre 1943 fu istituito un corso per s tudenti universitari, già alle armi o volontari , presso il raggruppamento Curratone e Montanara, corso che diede un discreto numero di ufficiali di artiglieria e di fanteria. Nell'estate-autunno del 1944 fu attuato un completo riordinamento dell'esercito. Per quanto riguarda il vertice, il provvedimento più innovativo fu la costituzione nell'ambitO dello Stato Maggiore di due "delegazioni avanzate",
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una per il versante adriatico ed una per quello tirrenico. Le due delegazioni, denominate A e T, esercitarono nei confronti delle unità italiane che operavano rispettivamente con 1'8· armata britannica e con la 5" annata americana quelle prerogative disciplinari, logistiche ed amministrative che la M.M.I.A. non aveva ritenuto di toglierci. La delegazione A, inizialmente dislocata a Vasto e poi a Chieti, seguì il movimento dell'&• annata e , nell'aprile 1945, dopo la liberazione di Bologna si trasformò nel VI Comando M ilitare Territoriale. La delegazione T, dislocata inizialmente ad A versa, poi a Viterbo ed infine a Firenze, si trasformò il I O aprile 1945 nel VII Comando Militare Territoriale. Anche il ministero della Gue1n fu riordinato e snellito, in particolare il ministro Orlando soppresse finalmente quella "divisione di Stato Maggiore" che, per tanti anni, era stata l'origine di un'infinita serie di screzi e di malintesi tra ministero e Stato Maggiore, a causa della costante pretesa della divisione di sovrapporsi allo Stato Maggiore anche nella risoluzione dei problemi tecnici. Nel giugno vennero sciolti gli ultimi comandi di corpo d'armata, sostituiti dai comandi militari di Puglia e Lucania a Bari, di Sicilia a Palermo, di Sardegna a Cagliari , di Calabria a Catanzaro e di Campania a Napoli. Nel gennaio I 945 però tali comandi furono rimaneggiati: quelli di Catanzaro e Cagliari sciolti, gli altri assunsero il qualificativo "territoriale" ed il numero progressivo dei corpi d 'armata di un tempo. Nacquero così i Comandi Militari Territoriali XI a Palermo, X a Napoli, IX a Bari, VITI a Roma - che, a mano a mano che procedeva la liberazione d'Italia, furono investiti su lutto il territorio nazionale e che furono organizzati con molto anticipo, con organici ridotti ad un terzo in modo che potessero assorbire al momento dell'attivazione il personale rimasto nelle zone occupate. Oltre al VI ed al VII di cui si è già trattato, il 1° maggio 1945 fu costituito il IV Comando Militare Territoriale a Bolzano ed il V ad Udine, il 15 dello stesso mese fu la volta del TI a Genova e del IU a Milano, il 7 giugno 1945, infine, fu costituito il I a Torino. Anche le restanti divisioni di fanteria furono rimaneggiate e, nei limiti di trasporto concessi dagl i Alleati, trasferite. Le divisioni Bari, Calabria e Sabauda furono trasformate in divisione di sicurezza interna, articolate su due comandi di brigata, 3 reggimenti di fanteria, 1 di artiglieria ed 1 battaglione misto genio. La Calabria rimase in Sardegna, la Sabauda e la Bari furono invece inviate in Sicilia, dove la Bari fu poi sciolta per costituire la divisione di sicurezza interna Aosta ed alcun i reparti minori. Con il raggruppamento Granatieri, già stanziato in Corsica, nel maggio 1944 fu costi tui ta la divisione Granatieri di Sardegna, poi dovuta sciogliere a settembre per rinforzare la divisione Friuli, precettata per l'approntamento dei gruppi di combattimento di cui si tratterà successivamente. L 'attività di ricostruzione dell'esercito riguardò anche gli organi logistico-amministrati vi, difesi con grande determinazione dal generale Berardi che si oppose con successo alle pretese della M MIA di sciogliere i distretti militari. In appendice a q uesto capitolo è riprodotto il quadro di battagl ia dell'esercito italiano nel marzo 1945, consultando il docu mento il lettore potrà rendersi conto del lavoro svolto dallo Stato Maggiore e dal s uo attivo, onesto e
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competente capo, il generale Berardi che della ricostruzione dell'esercito nel periodo armistiziale fu il vero artefice, confortato e sostenuto sempre dall'opera altrettanto appassionata e competente del Maresciallo Messe e del generale Orlando, ultimo ministro militare della Guerra. Ultima, ma non certo piccola, benemerenza del generale Berardi fu quella d'aver voluto la rinascita della Rivista Militare. Nel primo numero del gennaio 1945 si leggeva: "Il programma della rivista si caratterizza, questa volta, per tre aspetti particolare: la libertà di pensiero e di espressione, per consentire ai collaboratori di esporre, attaccare, sostenere e approfondire le idee sulle pagine della Rivista; il desiderio che dagli articoli della Rivista possa trarne spunto l'agitarsi sulla stampa quotidiana dei problemi concernenti le forze armate e diffondere nel pubblico italiano la troppa ignorata materia militare; l'auspicio di una collaborazione dei giovani, dei non militari e dei patrioti, questi ultimi quali detentori di un sistema di guerra che riporta il mondo a forme di lotta di spontaneità popolare dense di contenuto, le quali avranno immancabile ripercussione sulla materia organica e tattica del futuro". Non è senza significato che, ancora guerra durante, lo Stato Maggiore dimostrasse una grande disponibilità intellettuale a fare tesoro delle esperienze di tutti, partigiani compresi, per l'elaborazione di una nuova dottrina. La ripresa della pubblicazione della rivista fu dunque un atto di fede nella necessità di un rinnovamento culturale dell'esercito, al cui sviluppo era doveroso chiamare tutti coloro che ancora dimostravano, con l'operoso lavoro quotidiano, di credere nella funzione dell'esercito. E l'aver posto a base della ricostruzione dell'esercito il rinnovamento culturale e professionale dei Quadri, in un clima di libera discussione, dà veramente la misura delle qualità del generale Berardi, così poco apprezzate dal nuovo ministro c dal nuovo governo, come si vedrà in seguito. Il 18 giugno 1944, infatti, due settimane dopo la liberazione di Roma, era caduto il secondo governo Badoglio, Umberto di Savoia era divenuto Luogotenente del Regno, Ivanoe Bonomi era stato chiamato a presiedere un nuovo ministero, emanazione dei partiti costituenti il Comitato di Liberazione Nazionale, autoproclamatosi espressione della volontà popolare. Nel nuovo governo il dicastero della Guerra era stato assegnato al liberale Alessandro Casati, affiancato da due sottosegretari, il comunista Mario Palermo ed il generale Oxilia (I I). (11) Giovanni Battista Oxilia (1887-1953). Sottotenente di artiglieria nel 1907, prese parte alla prima guerra mondiale e, successivamente, frequentò la Scuola di Guerra. RicoplÌ diversi incarichi di Stato Maggiore tra i quali quello di addeuo militare a Budapest, di capo di Stato Maggiore del corpo d'armata di Bolzano e dell'S• armata. Comandò il 6° artiglieria, l'artiglieria del corpo d'armata d'Albania e della 4' armata. Generale di brigata nel giugno 1941 fu nominato capo della missione mi litare italiana in Croazia, promosso divisionario comandò la Brescia in Africa settentrionale e poi la Venezia in Montenegro. Dopo l'armistizio comandò la divisione Garibaldi fino al marzo 1944. Rimpatrialo, fu nominato sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito e poi sottosegretario alla Guerra. Dal marzo 1945 al luglio 1947 comandò la Guardia di Finanza. Collocato nella riserva per i limiti di età, fu promosso generale di corpo d'armata.
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Per l'eserci10 un ministro della Guerra non militare non costituiva una novità ed il ministro Casati, persona di grande probità e di formazione sinceramente democratica, fu accolto con deferenza e con fiducia. 5. Nell 'estate del 1944 gli Alleati avevano inviato nella Francia meridionale, per portare a compimento l' operazione Anvìl-Dragoon, cinque divisioni di quelle impiegate sul fronte italiano. Il generale Alexander chiese allora al Combìned Chìef of Staff di Washington che venisse accresciuto il concorso italiano alle operazioni, per mantenere inalterata la pressione contro lo schieramento germanico. La richiesta fu accettata e gli Alleati decisero di costituire con truppe italiane sei gruppi dì combattimento, in pratica sei divisioni binarie, equipaggiate ed armate con ma1eriale britannico. Naturalmente la decisione alleata fu dovuto anche a motivi politici, la necessità di controbilanciare l'iniziativa sovietica di ris1abilire regolari rapporti diplomatici con l 'llalia ( 14 marzo 1944), l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali americane sulle quali il voto degli italo-americani avrebbe esercitato un peso notevole, il timore inglese che una linea di condona eccessivamente rigida potesse favorire una fu1ura evoluzione della politica italiana in chiave an1ioccidentale, motivi che non possono essere approfonditi in questa sede e che sono, comunque largamente esposti in numerose pubblicazioni (12). Ed a motivazione politiche risale anche la denominazione delle nuove unità, l'anonimo gruppo di combattimento invece di quella più appropriata di divisione. nonché l'ostinato rifiuto di impiegare riuniti i gruppi di combattimento, in modo da non rendere necessaria la costituzione di un comando italiano di livello superiore, e persino la proibizione al governo italiano di diramare un Bollettino di guerra per infonnare il Paese sulle operazioni militari alle quali partecipavano le nostre unità. Lo Stato Maggiore dell'esercito, ricevu10 dalla M.M.I.A. l'inpul definitivo nel corso di una riunione tenu1a il 31 luglio, si mise subito al lavoro per raggiungere l'obbieuivo prefissato entro l'anno. La costituzione dei gruppi di combattimento comportò il ritiro dal fronte del Corpo Italiano di Liberazione in quanto i suoi reparti avrebbero dovuto essere immessi nelle nuove unità. Fu una decisione dolorosa per l'esercito italiano perché significò la scomparsa dal grigio verde, l'addio a quella divisa "indossata sempre con fierezza, immacolata oppure s1inta dal sole, logorata dalle intemperie e spesso, molto spesso, bagnata dal sangue. La storia purtroppo, per la sua stessa logica, volta sovente pagina. Ma non cancella, né potrebbe farlo, sentimenti e ricordi che sono il perenne legame tra passato e presente" 0 3>. Poiché le nuove unità avrebbero ricevuto l'armamento inglese il primo ( 12) Tra I numerosi. ottimi lavori sull'argomento si cita B. Arcidiacono. u précédenr ira/ien et /es origineJ de la guerre froide. Les alliés et I ·occ11patio11 de l' Italie, i 9.JJ. I 944. Bruxelles I984. con ricco apparato documentario e bibliografico. ( 13) S. Loi. / Rapporti fra Alleati t lralia11i nella cobelligeranza. USSME, Roma 1986. pag. 92.
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problema da risolvere fu quello dell'addestramento del personale all'impiego delle nuove armi. Furono perciò ricercati e selezionati ufficiali, sottufficiali e militari di truppa da inviare alle scuole britanniche di Benevento, Colleferro, Cerreto Sannita, Nola e Pontecagnano. Ai 45 corsi complessivamente organizzati dagli Inglesi parteciparono 489 ufficiali, 870 sollufficiali, 240 graduati specializzati che furono poi disseminati in gruppi d'istruzione presso i reparti, per divulgare i metodi di addestramento, i procedimenti tattici di impiego, le nozioni sulle armi e sui mezzi di collegamento. Naturalmente fu necessario procedere alla costituzione presso ciascuna scuola di un gruppo di interpreti e tradurre in italiano, stampare e diffondere la regolamentazione tecnica e tattica inglese, compito assolto brillantemente presso la scuola di Benevento. Per conoscere meglio, a livello più alto, la dottrina tattica inglese fu istituito un "corso informativo tattico", frequentato da ufficiali italiani di Stato Maggiore, mentre per rendere più spedite le trasmissioni fu impiantata una Scuola italiana dei collegamenti a Nocera Inferiore. Esaurita, o comunque avviata a compimento questa prima fase, si iniziò l'addestramento individuale e di reparto per passare, infine, alle esercitazioni d'insieme e di cooperazione. Si trattò di un lavoro approfondito, capillare, metodico, condotto con detem1inazione, reso ancora più duro dal controllo sistematico e fiscale del personale inglese. L'organico dei gruppi di combattimento, concordato con gli Inglesi, fu il seguente: comando con quartier generale e due sezioni carabinieri; 2 reggimenti fanteria, ciascuno su campagnia comando, 3 battaglioni fucilieri (su compagnia comando. 3 compagnie fucilieri ed I compagnia armi di accompagnamento), I compagnia mortai, I compagnia cannoni controcarro; I reggimento d'artiglieria su reparto comando, 4 gruppi da 88, I gruppo controcarri da 76, I gruppo contraereo da 40; 1 battaglione misto genio su 2 compagnie artieri ed I compagnia teleradio; aliquote dei servizi: I sezione sanità, 2 ospedali da campo, I compagnia trasporti e rifornimenti, I parco di artiglieria, genio e automobilismo. In totale 432 ufficiali. 8578 sottufficiali e militari di truppa, 2516 moschetti automatici, 502 fucili mitragliatori, 20 J mortai Piat, 40 mortai da 76, 140 mortai da 50, 36 cannoni controcarro da 57, 8 cannoni controcarro da 76, 32 peni da 88, 12 pezzi contraerei da 40, 1183 automeai. L'esame comparativo del gruppo di combattimento con la divisione inglese e con quella americana, entrambe ternarie e provviste di un reparto esplorante corazzato, mette in evidenza le minori possibilità di manovra dell'unità italiana. peraltro più potente e meglio equilibrata, tatticamente elogisticamente, di tutti i tipi di divisione fino ad allora impiegate nell'esercito ita1iano. Inizialmente i gruppi di combattimento da organizzare furono 6, legnano e Folgore, già costituiti nell'ambito del CJL, Cremona, Friuli, Mantova e Piceno, da costituire prendendo a base le omonime divisioni. L'addestramento dei gruppi di combattimento, comunque, non fu il solo problema che i nostri vertici militari dovettero risolvere. Un problema particolarmente spinoso fu quello del personale. Lo Stato
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Maggiore dell'esercito, desideroso soprattutto di incrementare il contributo italiano alla guerra di liberazione, non era contrario ad immettere nelle forze combattenti i partigiani provenienti daJle bande che avevano operato nel Lazio, in Abruzzo cd in Toscana ed aveva quindi avviato molte migliaia di partigiani al Centro Addestramento Complementi. Agli Alleati però l'iniziativa non piacque, anche per la scoperta ed atti va opera di "democratizzazione" dell'esercito che svolgeva il sottosegretario Palermo ( 14>, così la M.M.l.A. , adducendo a pretesto la penuria di razioni alimentari, ordinò di rimandare a casa i partigiani reclutati. Appena due mila partigiani e settecentocinquanta volontari provenienti dal Sud furono perciò inquadrati singolarmente nei gruppi di combattimento. Nell'ambito del gruppo di combanimento Cremona, tuttavia, operò al completo la brigata partigiana Gordini. La convivenza tra soldati e partigiani garibaldini non fu però idilliaca. Il generale Zanussi, dal novembre 1944 vice comandante del Cremo11a, ha scritto "soltanto se l'Italia sarà partigiana l'esercito potrà trasformarsi in partigiano nel suo spirito e nella sua struttura" (l5) ed anche il generale Berardi, pur favorevole all'immissione di panigiani nei ranghi dell'esercito, riconosceva di aver versato "vino nuovo in otri vecchi, tanta è la diversità di abitudini e di mentalità degli clementi partigiani dagli elementi coscritti". Non potendo impiegare i partigiani lo Stato Maggiore fu costretto, naturalmente con il parere favorevole della M.M.l.A. a trasformare il Piceno nel Ce11tro addestrame11to complementi forze italiane di combattimento, per avere a disposizione un'aliquota di personale addestrato da utilizzare per mantenere a numero i gruppi di combattimento, una volta che fossero entrati in azione. Fu costituito così a Cesano, nei pressi di Roma, un notevole complesso che divenne poi il nucleo centrale delle scuole militari . A mano a mano che gli Alleati ne giudicarono soddisfacente l'addestramento i gruppi di combattimento furono avviati al fronte. Il Cremo11a entrò per primo in linea il 14 gennaio 1945. Inquadrato nel I corpo d'armata canadese, si schierò nel settore tra la linea ferro viaria Alfonsine-Ravenna ed il mare. Poi fu la volta del Friuli, entrato in linea nel settore di Brisighella, a sud del fiume Senio, 1'8 febbraio in sostituzione della divisione polacca Kresowa. Il Folgore si schierò il 3 mauo tra il Senio e il Santerno, alle dipendenze del XIII corpo d'armata britannico. Ultimo ad entrare in linea fu il Legnano, che il 23 marzo fu schierato nel settore del fiume Idice, costituendo la saldatura tra armata britannica a destra e la 5" armata americana a sinistra. Il Mantova, non ancora completato negli organici, non prese parte alle operazioni. La soddisfazione dei nostri vertici militari per aver messo in piedi un complesso di forze combattenti e di forze ausiliarie di notevole ampieua fu però turbata dalla pretesa briLannica di affiancare ad ogni gruppo di combattimenLo una British Liaison Unit (B.L.U.), che doveva operare "come primaria
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( 14) Cfr. M. Palcnno, Memorie di u,1 comunisw 11apoleU1110 Guanda. Parma 1975. ( 15) G. Zanussi. Guerra e caras1rofe d'Italia. voli. U, Corso, Roma 1945, pag. 8.
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via di comunicazione fra il comando italiano e le fonnazioni superiori e fiancheggianti in tutte le questioni riguardanti le unità italiane nel loro ruolo di parte delle forze alleate". Al riguardo una nota di protesta del ministro Casati non ottenne alcun risultato, le B.L.U. continuarono nella loro mortificante attività di controllo (16). Intanto le operazioni belliche proseguivano il loro corso. Dopo un periodo di stasi operativa, durante il quale l'attività dei nostri gruppi di combattimento fu caratterizzata da una costante attività di esplorazione ravvicinata, di pattugliamento e di reazione ai numerosi tentativi di colpi di mano effettuati dai Tedeschi, fu finalmente sferrata l'offensiva finale anglo-americana e l'azione dei gruppi di combattimento fu scandita dal forzamento dei vari corsi d'acqua incontrati (il Senio, il canale di Fusignano, il Canalina, il Santemo), dal passaggio del Po e dell'Adige e dal susseguirsi di attacchi diretti alla conqui sta di località tatticamente importanti, alcuni sferrati anche prima dell'offensiva, per migliorare l'andamento della base di partenza. Combattimenti di notevole rilievo furono sostenuti: dal Cremona a Torre di Primaro (2-3 marzo), a Fusignano ed Alfonsine (10-12 aprile), ad Ariano Polesine (24 aprile), ad Adria (26 aprile), a Cavarzere (27 aprile); dal Friuli a q. 92 ed a q. 106 (24-25 marzo), a Poggio e Cuffiano (10-ll aprile), a Casalecchio dei Conti (19 aprile); dal Folgore a Tossignano (12 aprile), a Pieve di S. Andrea, a Casa Cavalpridio ed a Monte del Re (14-15 aprile), a Case Grizzano (19 aprile); dal Legnano a Parrocchia del Vignale ed a q. 459 (10 aprile), a Poggio Scanno e Monte Grandizzo (17-19 aprile). Nel quadro del concorso all'offensiva alleata operarono anche due unità paracadutisti, Nembo e Folgore, aviolanciate, rispettivamente, a cavallo delle strade ModcnaMirandola-Poggio Rusco-Ferrara e nella zona a sud del Po ed a sud-est di Ferrara. La reazione dei Tedeschi agli aviolanci fu assai violenta, i nostri paracadutisti seppero dimostrare un notevole spirito di iniziativa ed anche con il concorso di forze partigiane riuscirono a creare confusione e panico nelle retrovie tedesche, infliggendo al nemico perdite rilevanti. Negli ultimi giorni di aprile il Cremona avanzò sul Brenta, occupò Chioggia (28 aprile) e raggiunse Mestre e Venezia (29 aprile); il Friuli riuscì a spingersi a Bologna dove entrò il 21 aprile, il Folgore raggiunse Castel de' Britti pure il 21 aprile e si fermò in vista di Bologna mentre il Legnano raggiunse Brescia (29 ( 16) li generale Berardi nel suo volume di memorie ha così delinealo l'auivilà degli ufficiali che componevano le BLU: ( ... ) taluni esercitarono la loro funzione, se pure con fermezza e scrupolo, anche con tatto e riguardo. a titolo di consiglio e di garanzia; altri si compo11arono come se fossero veri comandanti titolari, sovrapponendosi addirillura ai comandanti italiani e, per conseguenza, esautorandoli. I noslri comandanti seppero all'occorrenza. reagire con dignità" (P. Berardi, Le memorie di 1111 Capo di Stato Maggiore del/'eserciro (1943-1945), ODCE Studio Editoriale, Bologna 1954, pagg. I 86-187). Un episodio può chiarire quale fosse il clima cli quei giorni. Faceva parte del gruppo di comba11imen10 Cremona il 7° artiglieria, comandato dal colonnello Ottone. Al reggimenlo furono assegnate in rinforzo per un periodo alcune batterie canadesi, comandate dal lenente colonnelo Sterling. Per evitare che queste batterie fossero alle dipendenze del colonnello Ouone, il tenente colonnello Sterling fu promosso prorempore brigadiere generale.
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aprile), Bergamo (30 aprile), Edolo (2 maggio), sostenendo l'ultimo combattimento in Val Sabbia, sempre il 2 maggio, contro nuclei tedeschi ritardatari. Per concludere la brevissima esposizione delle vicende operative dei gruppi di combattimento, tre sintetiche considerazioni. I comandi alleati al fronte ebbero sempre verso i nostri reparti un atteggiamento cordiale e rispettoso, molto diverso da quello, talvolta sprezzante e sempre fiscale, degli ufficiali della M.M.l.A. e delle B.L.U. Questo clima di franca collaborazione agevolò molto l'inserimento dei singoli gruppi di combattimento nei corpi d'annata alleati cd impedì il sorgere di malintesi ed equivoci. Le perdite subite dai gruppi di combattimento nell'offensiva finale non furono particolarmente onerose, specie se rapportate ai brillanti risultati ottenuti contro un avversario che si mantenne combattivo e tenace fino all'ultimo: 741 caduti, 1580 feriti, 75 dispersi. Il buon rendimento tattico dei nostri reparti va ascritto principalmente alle serietà dell'addestramento svolto, prima di entrare in linea, da comandanti e gregari e solo in linea subordinata alla soddisfacente potenza dii fuoco che la nuova articolazione organica aveva conferito alle unità di fanteria. "La guerra di liberazione", infine, "smentisce la favola delle scarse qualità militari del soldato italiano che, quando armato cd equipaggiato convenientemente e razionalmente guidato, regge ogni confronto" <17 > Messi alla prova contro un avversario di impareggiabile professionalità, a fianco a fianco con truppe inglesi, canadesi, polacche, americane i nostri Quadri si dimostrarono solidi nel morale e tecnicamente preparati ed i nostri soldati determinati ed affidabili. 6. La ricostruzione dell'esercito non fu ostacolata solo dalla M.M.I.A., anche i partiti politici italiani dimostrarono in ogni occasione un'ostilità preconcetta e rancorosa nei confronti delle FF.AA. e, in particolare, dell'esercito. Quando i partiti si installarono finalmente al potere con il primo gabinetto Bonomi, l'obiettivo strategico di eliminare una volta per tutte le FF.AA. dal novero delle componenti attive della società italiana fu perseguito con la massima energia e con estrema coerenza. Enzo Ccrquetti, "esperto" del partito comunista italiano per le questioni militari, ha chiaramente definito l'atteggiamento della classe politica nei confronti delle FF.AA.: "La politica militare dei governi di unità antifascista nei fatti cercò di indirizzarsi verso gli obiettivi seguenti: tagliare ogni rapporto tra ForLe annate e monarchia (che di li ad un anno sarebbe stata eliminata attraverso il combattutissimo referendum istituzionale), diminuendo contemporaneamente i poteri dello Stato Maggiore Generale; di contro, rivalutare il potere militare del Consiglio dei ministri, fino ad istituire un unico ministro della Difesa" 0 8). (17) F. Stcfani. La storia della dottri,w e degli ordi,wmenti dell'esercito iwliano, voi. Ili. tomo 1 Dalla guerra di liberazione all'arma atomica 11111ica. USSME, Roma 1987. pag. 200. ( 18) E. Cerquetti, leforu armate ita/1a11e dal 19-15 al 1975. S1ru1111re e do11ri11e. Feltrinelli. Milano 1975, pag. 17.
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La M.M.I.A. ebbe così un non previsto alleato per fare rimuovere dalle più alte cariche militari il Maresciallo Messe ed il generale Berardi, personaggi di grande prestigio e quindi scomodi antagonisti. La prima tappa del progressivo processo di demolizione del prestigio delle FF.AA. fu la soppressione del Comando Supremo, decisa dal governo sotto la data del I O agosto 1944. Fu un provvedimento di facciata, il Maresciallo Messe rimase a capo dello Stato Maggiore Generale e conservò le fun1.ioni di consulente per i problemi militari del Presidente del Consiglio, ma la sua immagine ne risultò indubbiamente indebolita, tanto più che nello stesso periodo ini1.iò contro il Maresciallo una violenta campagna di stampa. fl generale Berardi, attento testimone di quei giorni, ha scritto: "L'ostilità che venne a Messe dai partiti è l'attestato più probativo delle sue qualità: se non lo avessero temuto, non lo avrebbero attaccato con tanto accanimento e con tanta malafede per avere appartenuto alla Casa reale, per essere stato promosso Maresciallo da Mussolini, per avere comandato il CSIR. I replicati scambi di idee avuti con lui, e la confidenza di cui egli mi ha onorato, mi hanno bene posto in grado di testimoniare che, il Maresciallo Messe, non fu mai servo di alcun regime ma che fu guidato, nei suoi atti di soldato, da una sola fede: quella del giuramento prestato( ... ). Si capisce che gli Alleati gradissero l'eliminazione di Messe perché avevano l'interesse a immiserire l'Italia: ma non avrebbero dovuto proprio gli Italiani aiutarli in questa bisogna" ( 19). Nel novembre fu poi disposto lo scioglimento del corpo di Stato Maggiore. L'abolizione del corpo non cancellò l'esigenza delle sue funzioni direttive cd organiaativc, che continuarono ad essere espletate da ufficiali già appartenenti al corpo o che. comunque, ne possedevano gli stessi requisiti: aver superato con successo i corsi della Scuola di Guerra ed aver effettuato i prescritti periodi di comando. li provvedimento, in sostanza, conseguì soltanto lo scopo demagogico di colpevolczzare un organismo che aveva assolto con lodevole diligenza le funzioni per le quali era stato costituito e che non era responsabile del comportamento insufficiente di alcuni suoi componenti. Il successivo passaggio fu il drastico ridimensionamento delle attribuzioni del capo di Stato Maggiore dell'esercito. Il generale Berardi, già in uno con il generale inglese Browning, capo della M.M.I.A., era entrato in collisione anche con il generale Chatrian, che aveva sostituito il generale Oxilia nell'incarico di sottosegretario alla Guerra e che si dimostrava molto propenso ad interferire nell'attività dello Stato Maggiore. TI generale Chatrian fu infatti il primo generaJe"politico" dell'esercito italiano, il primo ad appiattirsi sulle posizioni del partito di maggioranza cd a confondere le fortune dell'esercito con le proprie, meritando un seggio al Senato della Repubblica ma raccogliendo ben (19) P. Berardi. op.di .. pag. 114-115
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poca considerazione nell'ambito militare (20>. Il punto di rottura del precario equilibrio tra i due contendenti fu il progetto di riordinamento del ministero della Guerra. Berardi e Chatrian, contemporaneamente ma del tutto autonomamente, prepararono due progetti di riforma: quello di Berardi tendeva ad anribuire allo Stato Maggiore tutte le competenze tecniche, riservando quelle logistico-amministrative ad un nuovo organo, la segreteria generale, e quelle politico-finanziarie al ministero; il progetto di Chatrian , invece tendeva a sottomellere lo Stato Maggiore al controllo del ministero anche nelle questioni tecniche ed a privare il capo di Stato Maggiore di ogni direua responsabilità di comando. Il ministro Casati , opportunamente indonrinato, si risentì che il capo dello Stato Maggiore ardisse presentare un progetto di riforma del ministero e ritenne giunto il momento di limitare l'ingombrante figura del competente e fattivo generale Berardi. E poiché quest'ultimo, saputo del provvedimento, aveva scritto al ministro una lettera puntuale e ponderata, nella quale era messa in luce con grande razionalità l'incongruenLa della decisione, Casati decise, con la cordiale approvazione del Consiglio dei ministri e della M .M.I.A., di "sollevarlo" dall'incarico e di sostituirlo il IO febbraio 1945 con il generale dì brigata Ronco <2 1>, decisione che fu generalmente e correttamente interpretata come un' ulteriore umiliazione per l'esercito. Al nuovo e poco prestigioso capo di Stato Maggiore il ministro assegnò le ridotte attribuzioni previste dal regio decreto del 6 febbraio 1927, in base al quale il capo di Stato Maggiore si configurava come un organo tec nico de l ministero e non come il comandante dell'esercito. Sulla vicenda uno studioso di oggi ha osservato con ironia: "come si vede talvolta le leggi dei governi fascisti andavano bene anche per il nuovo governo ed, almeno in questo caso, vi era indubbiamente una comunità di inte nti fra i nuovi ed i vecchi reggitori della cosa pubblica: l'intendimento di entrambi era quello di mettere sotto controllo l'esercito riducendone l'autonomia" <22 >. Il I O maggio 1945 anche iI Maresciallo Messe fu costretto a rassegnare le dimissioni ed a capo dello Stato Maggiore Generale fu chiamato il generale (20) Del generale Luigi ChaLrian vds. il breve profilo biografico nella pane Il di questo volume. (21) Ercole Ronco (I gçJ-1 967). Nel 1911, dopo aver frequentato la Scuola Militare d1 Modena, fu nominalo sotlotcncnte di fanteria. Panccipò alla guerra italo-turca cd alla l' guerra mondiale. 1':cl triennio I 919-1921 frequentò la Scuola d1 Guerra Prese parte alle opcra2ioni per la riconquista della Libia nel periodo 1929-193 1. Promosso colonnello, comandò il 94° fanteria e fu poi capo di Stato Maggiore del comando FF.AA. dell 'Egeo. Nel seuembre 1942, promosso generale, ebbe il comando della div1s1one Ntmbo in Sardegna e poi della Sabauda in Sicilia, che impiegò contro le forre separa1 iste. Assunta la carica d1 capo di Stato Maggiore dell'esercito il IO febbraio 1945. la cedeue nel maggio successivo al generale Raffaele Cadoma. (22) G.N. Amoreni, la rtlawme Cad11ma sull'opera dello Sraro Magg1ort dell'tstrcilll. Editri ce Ipotesi, Salerno 1983, pag. XX .
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Claudio Trezzani (23). Un ulteriore passo avanti sulla strada del progressivo esautoramento dei vertici militari, fu poi conseguito dal Presidente Bonomi e dal ministro Casati con il decreto luogotenenziale n° 346 del 31 maggio 1945, che restrinse, in misura maggiore anche rispetto alla legge del 1927, le attribuzioni del capo di Stato Maggiore Generale, riducendole ad una pura e semplice consulenza del Presidente del Consiglio dei ministri e sottraendogli ogni funzione di comando sui capi di Stato Maggiore di forza armata. L 'indebolimento dello Stato Maggiore Generale, anzichè il suo rafforzamento, come sarebbe stato logico per un apparato militare di dimensioni assai ridotte e per una stretta coordinazione delle tre forze armate che la guerra aveva dimostrato indispensabile, fu un atto d'insensatezza politica che obbedì alle stesse sconsiderate motivazioni del precedente decreto con il quale era stato sciolto il corpo di Stato Maggiore dcli' esercito. Non vi potevano essere dubbi circa la necessità di stabilire un efficace controllo politico sulle forze armate, che del resto vi era sempre stato, prima e durante il fascismo, ma per continuare ad esercitarlo i mezzi meno adatti erano la dercsponsabilizzazione del vertice militare e l'annullamento di ogni concreta influenza militare negli orientamenti politici del governo. L'attribuzione di precise responsabilità dirette di coordinamento e di comando al capo di Stato Maggiore Generale, coadiuvato da uno staff responsabilizzato, efficiente, funzionale, avrebbe tra l'altro consentito di ridure le spinte corporative delle tre forLc annate. Le conseguenze del decreto furono gravissime e resero successivamente molto difficoltose ai governi la formulazione e la valorizzazione di una politica della difesa coerente, concreta ed economica ed alle gerarchie militari un lavoro armonico e coordinato, svolto sotto una direzione unica, come l'evoluzione dell'arte e della scienza militare, il progresso scientifico-tecnico, la fisionomia interforze della guerra ed il progressivo aumento della spesa militare avrebbe rigorosamente imposto, in misura peculiare all'Italia. Sempre il 31 maggio 1945 il governo Bonomi in luogo della Commissione Suprema di difesa, formalmente abolita nell'estate 1944, istituì un Comitato di difesa "per lo studio di particolari questioni militari o comunque riguardanti la difesa nazionale", presieduto, con l'assistenza tecnica del (23) Claudio Treaant (1881 -1955). Promosso souorenente degli alpini nel 1901, frequentò la Scuola di Guerra e partecipò alla guerra italo-turca. Durante la I' guerra mondiale ebbe diverse promoTioni per meriti di guerra, maggiore nel I 916, tenente colonnello nel I 917, colonnello nel 1918. Insegnante di tanica alla Scuola di Guerra dal 1921 al 1926, capo dell'ufficio addestramento dello S1a1o Maggiore e comandante del 90° fanteria. Generale di brigata, comandò la vu· brigata fanteria e fu po, capo di Staro Maggiore del comando designalo d'armata di Bologna. Promosso generale di divisione comandò la divisione celere Eme11uele Filiberto Testa di Ferro. Nel novembre 1938 ebbe il comando del corpo d'armata celere, nel maggio 1939 fu inviato in Etiopia quale capo di Stato Maggiore e vice governatore genera.le dcli' A.O.I. Al termine delle ostilità rientrò dalla prigionia e fu nominato capo di Staro Maggiore Generale, poi capo di Stato Maggiore della Difesa, il I O maggio 1945. Lasciò l'incarico il I O dicembre 1950.
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capo di Stato Maggiore Generale, dal Presidente del Consiglio, il quale doveva però sottoporre le sue conclusioni al Consiglio dei ministri. Del Comitato facevano parte i ministri degli Esteri, del Tesoro e, con l'assistenza tecnica dei rispettivi capi di Stato Maggiore, quelli dei dicasteri militari. 7. Per completare l'esame del contributo offerto dall'esercito alla guerra di Liberazione è necessario ricordare anche l'apporto determinante, specie nella prima fase, di singoli militarì alla lotta partigiana. Gli storici della Resistenza fanno risalire la data di nascita del movimento partigiano in Italia al 30 agosto 1943, quando Luigi Longo sottopose al Comitato delle opposizioni un documento con il quel si proponeva di attuare "la collaborazione armata dell'esercito e della popolazione". La partecipazione militare alla Resistenza nacque, invece, spontaneamente, non preordinata da opportune direttive del Comando Supremo nè innuenzata in qualche misura dagli orientamenti ideologici dei partiti, prese vita unicamente come istintiva e orgogliosa reazione di reparti e di singoli militari, che non vollero cedere alle aggressioni tedesche dopo l'armistizio. Le possibilità di successo della guerriglia sono strettamente subordinate ad un accurata e preventiva organizzazione, tale da permettere una pianificazione completa e realistica dell'operazione che si deve condurre, operazione che deve essere basata: sulla sorpresa e sull'isolamento di aliquote minori avversarie, che consentano di realizzare una forte superiorità locale; sulla disciplinata e nettamente scandita successione dei vari atti operativi parziali; sull'accurata individuazione cd organizzazione degli itinerarì di afflusso e delle vie di scampo; sulla disponibilità di un'ampia gamma di sicure infonnazioni circa l'entità, il tipo, gli orientamenti delle forze nemiche; sull'appoggio largo e concreto della popolazione, il tutto in un quadro di supporto logistico fornito dall'esterno. Tutte queste condizioni all'indomani dell'armistizio non esistevano, i combattimenti ingaggiati da isolate formazioni militari, talvolta rinforzate da elementi civili e da ex prigionieri di guerra, non poterono perciò conseguire un immediato successo, ma servirono a dimostrare la volontà di riscatto e l'orgogliosa determinazione a credere nella riscossa dell'Italia. Tra le prime formazioni che iniziarono la lotta partigiana si citano quella concentratasi attorno a Boves nel cuneese, quella di Colle San Marco nell'ascolano e quella di Fortezza di S. Martino sopra Varese, tutte al comando di ufficiali effettivi. Attaccate dai Tedeschi rispettivamente il 19 settembre, il 17 ottobre ed il 14 novembre 1943, queste formazioni effettuarono una resistenza statica, trincerandosi a difesa secondo i canoni tradizionali della guerra classica, e furono sconfitte con forti perdite. Le difficoltà climatiche ed ambientali, il venir meno della speranza di una celere avanzata delle truppe alleate, la mancanza di aiuti concreti da parte del governo Badoglio e degli Alleati provocarono il dissolvimento delle bande militari e , a partire dall'autunno-inverno 1943, nell'Italia centro-settentrionale la pur numerosa ed attiva partecipazione di militari di carriera al movimento partigiano avvenne
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per spontanea scelta individuale. Nell'Italia centro-meridionale, e sopratlutlo nel Lazio, fu invece possibile la costituzione di numerose bande composte prevalentemente da personale militare e coordjnate, sia pure con molta elasticità, dal Comando Supremo. In particolare a Roma operò il Fronte Militare Clandesùno di Resistenza, organizzato dal colonnello Montezemolo <24 J che, impiegando stazioni radio del S[OS-Aeronautica, assicurò il collegamento con il governo di Brindisi. Montezemolo, di stretta osservanza governaùva, trovò qualche ostacolo da parte del Corrutato di Liberazione Nazionale (CLN) che, sorto dalle ceneri del Comitato della opposizioni il IO settembre 1943 per "chiamare gli Italiani alla lotta ed alla resistenza e per riconquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nationi", non riconosceva l'autorità del Maresciallo Badoglio e che manifestò sempre un'ostilità di fondo nei confronti dell'elemento militare del quale accettava solo l'apporto tecnico. Edgardo Sogno, ufficiale di cavalleria di complemento e rappresentante del partjto liberale nel comitato militare del CNL piemontese, così ricorda l'atteggiamento delle forze politiche nei confronti dei militari: " nei primi mesi del 1944 gli ufficiali effettivi, anche quelli orientati politicamente, erano aprioristicamente osteggiati come reazionari e badogliani dalle formazioni comuniste, come monarchici e privi di una coscienza rivoluzionaria dalle formarioni azioniste, come tendenzialmente atlendisù e poco adatù per la guerriglia da quelle militari antifasciste e soltanto nei casi, assai rari, di una precisa coscienza e volontà politica riuscivano ad uscire dai limiti del loro orizzonte e a farsi prendere in considerazione" <25J. Non è questa la sede per approfondire quanto fossero lirrutati, ad esempio, gli orizzonù del colonnello Montezemolo e quanto fossero spaziosi quelli degli attentatori di via Rasella, è sufficiente notare che proprio nel comitato militare regionale piemontese il generale Perotti <26) ed il capitano Balbis, entrambi fucilati il 5 aprile 1944 nel poligono dj tiro del Martinetto a Torino, ricoprissero rispetùvamente gli incarichi di consigliere militare e di capo del servizio infonnazioni ma non avessero diritto di voto, per comprendere quanto fosse scomoda la posizione di coloro che volevano combattere Tedeschi e fascisti senza proporsi come obbiettivo finale la rivoluzione. Il dissenso tra coloro che concepivano la Resistenza essenzialmente come lo tta militare contro l'invasore tedesco e coloro c he interpretavano la Resistenza come la prima fase di una lotta militare e politica, che avrebbe d ovuto concludersi con un ribaltamento totale delle strutture e dell'ordinamen(24) Vds. del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montez.emolo il breve profilo biografico nella Parte li di questo volume. (25) Dalla relazione Alle origini dell'incontro tra FF.AA., Gue"a di Ubera:Jone e Alleari. Il primo com11a10 m1/1rare ug1011a/e piemontese (CMRP ), presentata da Edgardo Sogno al Convegno "le forze arma,e dalla Liberazione alf'adesione de/l 'Italia alla NATO", tenutosi a Torino datr8 al 10 novembre 1985. (26) Del generale Giuseppe Peroni vds. il breve profilo biografico nella Parte Il di questo volume.
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to dello Stato fu profondo ed insanabile. Anche le modalità cd i tempi per la condotta delle opera7ioni risentirono di questa dicotomia, i militari non intendevano coinvolgere nella lotta la popolazione, per risparmiarle nei limiti del possibile altri lutti cd altre privazioni, cd erano disposti ad attendere il momento favorevole per agire, gli elementi più politicizzati ritenevano, invece, che il coinvolgimento della popola,:ione nella lotta atliva fosse il mezw più opportuno di penetrazione politica e non erano disposti a preoccuparsi più di tanto delle sanguinose rappresaglie che, regolarmente ed implacabilmente, seguivano alle azioni di lotta, convinti che queste avrebbero innescato sentimenti di odio e di rifiuto totale nei confronti dei Tedeschi e, soprattutto, dei fascisti. Il contrasto, più ideologico che politico, tra le due anime della Resistenza divise anche gli ufficiali effettivi, alcuni come il Montezcmolo ubbidirono solo agli ordini del Comando Supremo e di questo si ritennero sempre emanazione diretta, altri, come i I generale Raffaele Cadorna <27 >, ritennero che un movimento di resistenza puramente militare non sarebbe stato possibile e che fosse necessario un solido legame con le organizzazione politiche per conferire maggiore consenso e maggiore forza all'attività contro i na,:i-fascisu. Il generale Cadorna, infatti, nell'autunno del 1943 rifiutò di assumere il comando del Fronte Militare Clandestino, offertogli dal Montczemolo, ma accettò poi, nel gennaio 1945, il comando del Corpo Volontari della Libertà quando la nomina ebbe il consenso del CLN del!' Alta Italia, sia pure concesso soltanto in cambio del riconoscimento da parte del governo Bonomi del Comitato di Libera,:ione Nazionale Alta Italia come legitlimo organo di governo nell'Italia occupata e di un congruo sostegno finanziario. Il generale Cadoma dovette comunque accettare due vice-comandanti, l'a,:ionista Parri ed il comunista Longo. Il risultato di tanta preconcclla ostilità fu una spiccata preferenza del personale militare ad entrare nelle forma,:ioni a111011ome, in quelle formazioni che non riconoscevano l'autorità del CLN e che soltanto nell'ultimo periodo ne accettarono l'azione di coordinamento, per quanto non siano stati certo pochi i militari che fecero parte di formazioni a cara1tcre più spiccatamente politico. da quelle comuniste a quelle democristiane. Particolarmente significativa la situazione verificatasi in Piemonte: qui l'elemento militare afflw molto numeroso nelle formazioni au1onomc organizzate dal maggiore Enrico Marlini <28 > pur non mancando di dare un qualificato e largo contributo anche a reparti partigiani di marcata connotazione politica (29 >.
(27) Del generale Raffaele Cadoma vds. il breve profilo biografico nella Parte Il di questo volume. (28) Del ten. col. Enrico M:u,mi Maun vds. il breve profilo biografico nella parte II di ques10 volume. (29) Due nomi per tutti: il 1enen1e di cavalleria Luigi Paglieri. comandante della 20° brigata 'G1u,tizia e Libenà", fuc1la10 a Benevagienna 11 9 agosto 1944 e il capitano d1 artiglieria Ettore Carando. capo di Stato Maggiore della 4' bnga1a garibaldina. fucilato a Villafranca il 27 febbraio 1945.
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Anche nelle altre regioni occupale dai Tedeschi la partecipazione di ufficiali e di sottufficiali, provenienti del servizio effettivo permanente, alla lotta partigiana fu rilevante per la consistenza e qualificata per l' apporto tecnico e per lo slancio ideale. La storiografia della Resistenza, pesantemente condizionata dal pregiudizio ideologico, ha quasi sempre trascurato il contributo dei militari di carriera alla lotta partigiana che fu , invece - è bene ripeterlo - cospicuo e che ebbe un peso determinante nell'organizzazione e nell ' addestramento delle bande e, di conseguenza, nel successo finale . Questo rapidissimo accenno termina doverosamente con il ricordo della medaglia d 'oro capitano Francesco De Gregori, barbaramente trucidato, con altri commilitoni della brigata partigiana Osoppo, il 7 febbraio 1945 a Malga Porzus (Udine) da partigiani italiani comunisti e filoslavi, a causa della sua risoluta difesa dell ' italianità di quelle terre.
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Appendice al capitolo XIX
Ordine di battaglia dell'esercito italiano (marzo 1945)
- Gruppo di combattimento Cremona comandante: geo. Clemente Primieri vicomandante: gen. Giacomo Zanussi capo di Stato Maggiore: col. Adelmo Pederzani • 21 ° fanteria (su ue battaglioni) • 22° fanteria (su rtre battaglioni) • 7° artiglieria (su cinque gruppi) • 114° battaglione misto genio • 54• sezione saniltà • 44° reparto trasporti e rifornimenti Forza: ufficiai i 469 sottufficiali e truppa 8.775 in linea dal 14 gennaio 1945 - Gruppo di combattimento Friuli comandante: gen. Arturo Scattini vicomandante: gen. Giancarlo Ticchioni capo di Stato Maggiore: ten.col. Guido Vedovato • 87° fanteria (su tre battaglioni) • 88° fanteria (su tre battaglioni) • 35° artiglieria (su sei gruppi) • 120° battaglione misto genio • 26• sezione sanità • 20° reparto trasporti e rifornimenti Forza: ufficiali 481 sottufficiali e truppa 9 .2 I6 in linea dal 5 febbraio I 945 - Gruppo di combattimento Folgore comandante: gen. Giorgio Morigi vicomandante: col. Ezio De Michelis capo di Stato Maggiore: ten. col. Giovanni De Martino
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• reggimento Nembo (su tre battaglioni) • reggimento San Marco (su tre battaglioni) • J 84° artiglieria (su cinque gruppi) • 184° battaglione misto genio • 184· sezione sanità • 184° reparto trasporti e rifornimenti Forza: ufficiali 516 sottufficiali e truppa 8.911 in linea dal 3 marzo 1945 - Gruppo di combattimento Legnano comandante: gen. Umberto Utili vicomandante: gen. Giovanni Imperiali capo di Stato Maggiore: col. Federico Garofali • 68° fanteria (su tre battaglioni) • reggimento speciale Legnano: 2 battaglioni alpini, battaglione bersaglieri Coito • 11 ° artiglieria (su sci gruppi) • 51 ° battaglione misto genio • 51 • sezione sanità • 51 ° reparto trasporti e rifornimenti Forza: ufficiali 478 sottufficiali e truppa 9 .3 I 3 in linea dal 23 marzo 1945 - Gruppo di combattimento Mantova comandante: gen. Guido Bologna vicecomandante: gcn. Ettore Monacci capo di Stato Maggiore: ten. col. Antonio Gualano • 76° fanteria (su tre battaglioni) • J 14° fanteria (su tre battaglioni) • 155° artiglieria (su sei gruppi) • 104° battaglione misto genio • 104' sezione sanità • 155° reparto trasporti e rifornimenti Forza: ufficiali 486 sottufficiali e truppa 8.522 in addestramento - Centro addestramento Complementi (Cesano) comandante: gen. Ezio Vagni vice comandante: Col. Enrico Mattioli capo di Stato Maggiore: col. Ludovico Malavasi
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• reggimento raccolta e smistamento complementi (su tre battaglioni) • reggimento complementi fanteria (su tre battaglioni) • reggimento complementi misto (su tre battaglioni) • scuole varie • campo addestramento attendato (Trevignano) (su tre battaglioni) • distaccamento divisione Garibaldi (Viterbo) - Comando Militare Territoriale di Torino (I) (S. Severa) In costituzione Enti dipendenti: 9 distretti IO depositi - Comando Militare Territoriale di Genova (Il) (S. Severa) In costituzione Enti dipendenti: 4 distretti 4 depositi - Comando Militare Territoriale di Milano (III) (Salerno) In costituzione comandante: vicecomandante: capo di Stato Maggiore: col. Ottavio Carnevale Enti dipendenti: 12 distretti 5 depositi - Comando Militare Territoriale di Bologna (VI) (Pesaro) In costituzione comandante; gen. Angelo Cerica vicomandante: capo di Stato Maggiore: col. Paolo Petroni Enti dipendenti: 1Odistretti 5 depositi - Comando Militare Territoriale di Firenze (VII) (Firenze) comandante: gen. Carlo De Simone vicecomandante: gen. Gino Ficalbi capo di Stato Maggiore: col. Carlo Piccinini Grandi Unità a disposizione delle Armate Alleate: - 209' divisione (Perugia) alle dipendenze del Comando I Distretto britannico
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comandante: geo. Roberto Olmi • 5 reggimenti pionieri (su due battaglioni) • 5 battaglioni sicurezza e guardie • 6 compagnie genio • 253° gruppo salmerie • 802° campo affluenza complementi Forza: circa 16.000 uomini - 21 O' divisione (Firenze) servizi di retrovia e manovalanza alle dipendenze della 5" Annata americana comancante: gen. Giuseppe Cortese • 3 reggimenti fanteria • 210° reggimento genio (su due battaglioni) reparto combattente • 6 reggimenti speciali guardie • XX raggruppamento salmerie • 10 compagnie genio Forza: circa 12.000 uomini · 228' divisione servizi di retrovia e manovalanza alle dipendenze della 8° Armata britannica. comandante: gen. Attilio Tomaselli • banda patrioti della Maiella reparto combattente • 2 reggimenti pionieri • I battaglione pionieri • 5 battaglioni sicureLza e guardie • 920° battaglione genio • 252 gruppo salmerie Forza: circa 12.500 uomini - 231 • divisione servizi di retrovia e manovalanza alle dipendenze del Xli C.A. britannico comandante: gen. Mario Nannei • 4 reggimenti pionieri (su due battaglioni) • 1 battaglione pionieri • I reggimento guardie (su quattro battaglioni) • reparto autonomo speciale ''F" • 5 compagnie genio • XXJ gruppo salmerie Forza: circa 13.000 uomini - Comando Militare Territoriale di Roma (VTID (Roma) comandante: geo. Mario Soldarelli • Divisione sicurezza interna Calabria (su due brigate e un battaglione genio) • raggruppamento ferrovieri (X) (su due gruppi di tre battaglioni l'uno)
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raggruppamento autotrasporti (X) ( su tre battaglioni) (X) a disposizione della Commissione Alleata di Controllo • Centro addestramento di Frosinone • Ufficio Territoriale Sardegna Enti dipendenti: 16 distretti 19 depositi - Comando Militare Territoriale di Bari (lX) (Bari) comandante: gen. Guido Boselli Enti dipendenti: • 7 distretti • 9 depositi • RR. Accademie Militari (Lecce) - 230" divisione a disposizione del Comando III Distretto britannico comandante: gen. Lorenzo Vivalda • 2 reggimenti pionieri • 541 ° fanteria • IW522° fanteria • 3 battaglioni sicurezza e guardie • 6 compagnie genio • 804° campo affluenza complementi Forza: circa ..... uomini - Comando Militare Territoriale di Napoli (X) (Napoli) comandante: gen. Giuseppe Romano 1/60° fanteria di sicurezza interna Enti dipendenti: • 10 distretti • 13 depositi • 205" divisione • 227" divisione entrabe a disposizione degli Alleati per servizi vari - Comando Militare Territoriale di Palermo (XI) (Palermo) comandante: gen. Paolo Berardi • Divisione sicurezza interna Sabauda (su due brigate e un battaglione genio) • Divisione sicurezza interna Aosta (su due brigate e un battaglione genio) • Raggruppamento Alpini Montegranero I • Raggruppamento Alpini Montegranero II Enti dipendenti: 9 distretti 3 depositi
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- Comando Italiano 212 (Napoli) comandante: gen. Ernesto Perone Comando I Zona Comando Il Zona Comando IV Zona • 1Ogruppi battaglioni • I reggimento guardie (su quattro battaglioni) • campo affluenza • battaglioni complementi • 6 battaglioni reclute • gruppo retrovie e manovalanza della Sezione Base Peninsulare (americana) • base logistica Civitavecchia • base logistica Piombino • base logistica Livorno Forza: ufficiali 2.130 sottufficiali e truppa 58.507 Altre forze: Unità lavoratori e guardie: circa 5.000 uomini - Jugoslavia: 3.000 uomini circa inquadrati nella brigata Italia in zona Belgrado; numerosi militari, di cui 3.400 circa nelle isole impegnati in lavori ed attività operative con i partigiani -Albania: ancora presenti circa 15.000 militari: I .200 circa operanti nelle unità italiana Gramsci, altri in vari reparti locali. - Grecia presenti ancora 33-35.000 uomini. - Medio Oriente: 7.000 uomini, già appartenenti alle divisioni Cuneo e Regina, dopo aver combattuto contro i Tedeschi aggregati agli Alleati, trasferiti in Medio Oriente. Le locali autorità britanniche li considerano "tecnicamente" come prigionieri di guerra cooperatori.
XX. DALLA LIBERAZIONE AL PATTO ATLANTICO
I. La fine delle ostilità comportò per gli Alleati la necessità di decidere quali e quante forze consentire al nostro Paese, in attesa che il trattato di pace ne definisse chiaramente la posizione nel contesto internazionale post-bellico. Le moùvazioni di fondo che orientarono le decisioni alleate furono due: il timore che anche in Italia si determinasse una situazione di guerra civile, come era accaduto in Grecia; il contrasto con la Jugoslavia, sospettata di voler invadere le province orientali. Secondo l'autorevole parere della MMIA l'esercito italiano avrebbe dovuto possedere due requisiti ben precisi, avere dimensioni appena sufficienti per difendere la frontiera orientale e per mantenere l'ordine pubblico, essere in grado di venire potenziato in caso di guerra per essere schierato a fianco degli Alleati. Di qui due conseguenze: mantenere, tramite la stessa MMIA e le BLU, uno stretto controllo sulle unità italiane; farsi carico del loro equipaggiamento, non essendo il governo italiano in grado di devolvere una parte delle sue scarse risorse a spese di carattere militare. In risposta ad una richiesta del generale Browning il ministro Casati, nel maggio del 1945, indicò le linee strutturali che l'esercito avrebbe dovuto assumere: organizzazione centrale articolata su ministero della Guerra e Stato Maggiore dell'esercito (2000 uomfoi); truppe per la difesa delle frontiere, i 5 gruppi di combattimento, il reggimento fanteria Garibaldi, appena costituito con gli elementi della divisione partigiana italiana omonima rientrati dalla Jugoslavia, 2 raggruppamenti alpini da costituire (65.000 uomini); truppe per la sicurezza interna, le superstiti 3 divisioni per la sicurezza interna e l brigata, ancora da cosùtuire, per ciascun comando militare territoriale (40.000 uomini); organizzazione scolastica, incentrata sull'Accademia Militare e sul Centro Addestramento di Cesano ( 10.000 uomini); formazioni ed unità dei servizi logistici (20.000 uomini). Un esercito, quindi, di 144.000 uomini, carabinieri esclusi, orientato alla difesa delle frontiere, equilibrato nelle sue componenti, realisùcamente incentrato sui reparù esistenti. La fine della guerra aveva determinato in Italia nuovi equilibri politici, Ferruccio Parri aveva assunto la Presidenza del Consiglio, Manlio Brosio era stato nominato ministro della Guerra ed a capo dello Stato Maggiore dell'esercito vi era ora il generale Raffaele Cadorna. I nuovi vertici contribuirono a consolidare l'intenzione dei militari di rifiutare quelle prospettive di impiego in
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ordine pubblico che tanto erano, invece, patrocinate dalle autorità alleate. Nel luglio 1945 il gen. Utili, già comandante del C.I.L. e all'epoca comandante del gruppo di combattimento Legnano segnalava al capo di Stato Maggiore "il vivo malcontento" e "la viva ripugnanza" dei soldati di fronte all'ipotesi di un loro impiego in servizio di ordine pubblico e commentava: "c'è poi da temere che un'autorità di governo straniera, ignara delle cose nostre e di mentalità indubbiamente rispettabile, ma caratteristicamente rigida, assuma atteggiamenti di discutibile opportunità contingente... Di tali atteggiamenti truppe italiane dovrebbero essere il cieco strumento ... io credo che questa eventualità sarebbe fatale alle sorti del risorgente esercito italiano sotto due aspetti: lo sgretolamento morale interiore e il definitivo straniarsi dagli affetti del popolo italiano". Era un parere condiviso anche dai generali Trezzani e Cadorna, i quali auspicavano che l'esercito fosse impiegato solo per scopi che non ne compromettessero l' immagine di fronte all'opinione pubblica e dichiaravano, memori delle polemiche e delle accuse rivolte ai militari di essersi compromessi col regime fascista, che l'esercito avrebbe dovuto mantenere la più stretta apoliticità. Il generale Trezzani nel dicembre 1945 scrisse addirittura: "Sembra che gli Alleati vogliano attribuire al futuro nostro esercito un compito prevalentemente di tutela dell'ordine pubblico. Se cosi fosse, migliore soluzione sarebbe portare a 200.000 uomini la forza dei carabinieri, abolire l'esercito, dichiarare la neutralità perpetua e affidarci alla generosità e alla buona fede delle nazioni confinanti". Il Quartier Generale Alleato in Italia I' 8 novembre 1945 emanò un primo documento, le Direttive temporanee sull'organizzazione, sull'addestramento e sull'impiego dell'esercito italiano, documento più conosciuto come Direttiva n°/, che stabill l'ordinamento dell'esercito nel periodo intercorrente tra la fine delle ostilità e la stipulazione del trattato di pace. In sintesi la Direttiva n°J stabiliva: il ritorno dell'esercito sotto l'autorità del governo italiano a partire dalla mezzanotte del 14 novembre 1945, ad eccezione dei reparti US-ITI e BR-ITI che sarebbero rimasti sotto il controllo operativo alleato; il diritto del Comandante Supremo Alleato ad assumere in qualsiasi momento il comando di tutto o di parte dell'esercito italiano; l'obbligo per il governo italiano di mantenere l'ordinamento dell'esercito nei limiti stabiliti, 5 gruppi di combattimento, 3 divisioni di sicurezza interna, 10 reggimenti non indivisionati, con la relativa struttura di comando, addestrativa e logistica per un totale di 140.000 uomini, carabinieri esclusi. Sostanzialmente quanto aveva proposto nel maggio il ministro Casati su indicazione dello Stato Maggiore dell'esercito. La Direttiva, inoltre, precisava che tutto il materiale bellico alleato già in uso presso i reparti italiani sarebbe stato ceduto definitivamente al governo italiano, insieme al fabbisogno per un anno di parti di ricambio e di materiali di uso corrente, ma stabiliva anche che una missione militare alleata avrebbe assistito l'esercito nell'organizzazione e nell'addestramento e che gli eventuali
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contrasti, che fossero sorti tra la missione stessa e il governo italiano, dovessero essere risolti dal Quartier Generale Alleato. Le numerose riserve contenute nella Direttiva consentivano quindi alle autorità alleate in Italia di avere l'ultima parola sulla gestione e sull'organizzazione dell'esercito italiano, mediante una fitta rete di controlli. Questi vennero ulteriormente specificati nella Direttiva n°2, emanata dal Quartier Generale Alleato il 7 dicembre successivo. In virtù delle disposizioni in essa contenute, la MMIA assumeva una duplice veste: come Land Forces Sub-Commission avrebbe continuato a dipendere dalla Commissione Alleata e si sarebbe occupata di smobilitazione, smilitarizzazione, affari politici ed economici concernenti l'esercito italiano; come missione militare vera e propria sarebbe stata direttamente alle dipendenze del Quartier Generale Alleato e la sua responsabilità sarebbe stata limitata ali' organizzazione, addestramento e amministrazione dell'esercito. Per questi compiti specifici la MMIA avrebbe mantenuto alle sue dipendenze 11 BLU, alle quali era assegnato il compito di tenere i rapporti con gli 11 comandi militari che erano alla base dell'organizzazione territoriale dell'esercito. Le BLU, in particolare, avrebbero dovuto: curare che l'esercito venisse organizzato e comandato con criteri analoghi a quelli in vigore nell'esercito inglese; svolgere compiti di raccolta di informazioni e stilare mensilmente rapporti sulle relazioni con la popolazione e il morale delle truppe; verificare l'adozione di metodi d'addestramento inglesi e seguire l'esecuzione delle direttive emanate in materia dal Ministero sotto la supervisione della MMIA; infine controllare la forza dei reparti, che non doveva essere nè troppo superiore nè troppo inferiore ai limiti stabiliti dagli organici che la MMIA avrebbe concordato con il ministero . 2. Ben presto tra lo Stato Maggiore e la MMIA si manifestò un dissenso di fondo. Come ha notato Leopoldo Nuti "entrambi vedevano nelle strutture dell'esercito di transizione l'embrione da cui si sarebbe sviluppato l'organismo militare del futuro: mentre lo Stato Maggiore italiano era portato a dare a quest'embrione una impostazione da esercito di campagna, ritenendo opportuno eliminare fin dall'inizio ogni equivoco sul ruolo che l'esercito avrebbe assunto, la MMIA mirava a farne lo strumento atto a garantire nel breve periodo il mantenimento dell'ordine pubblico. La differenza tra queste due impostazioni emerse chiaramente quando si trattò di decidere gli organici e l'armamento dei cinque gruppi di combattimento, che dell'esercito di transizione avrebbero costituito il nerbo" O). Nell'ottobre 1945 i gruppi di combattimento assunsero la più appropriata denominazione di divisione di fanteria e il generale Cadorna propose alla MMIA alcune varianti organiche - motorizzazione integrale, assegnazione di un battaglione carri, aumento del numero dei pezzi d'artiglieria - per incrernen(1) L. Nuti, L'esercito italiano nel secondo dopoguerra 1945-1950. USSME, Roma 1989,
pag. 59.
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tare la capacità operativa delle divisioni, ma le sue proposte non furono accolte. Alla fine, il 10 marzo 1946, dopo un'estenuante contrattazione, lo SME potè diramare i nuovi organici e il nuovo ordinamento dell'esercito di transizione, suddiviso in tre blocchi: operativo, territoriale, addestrativo. Il primo blocco comprendeva: -Stato Maggiore dell'esercito; -5 divisioni di fanteria: • Cremona su 21 ° e 22° fanteria, 7° artiglieria, CXLIV battaglione misto genio, formazione dei servizi; • Legnano su 67° e 68° fanteria, 11 ° artiglieria, LI battaglione misto genio, formazione dei servizi; • Friuli su 87° e 88° fanteria, 35° artiglieria, CXX battaglione misto genio, formazione dei servizi; • Mantova su 76° e 114° fanteria, 155° artiglieria, CIV battaglione misto genio, formazione dei servizi; • Folgore su reggimento paracadutisti Nembo e reggimento fanteria Garibaldi, 184° artiglieria, CLXXXIV battaglione misto genio, formazioni dei servizi; -3 divisioni di sicurezza interna: • Aosta su 5°, 4° e 139° reggimento di sicurezza interna, 22° artiglieria (con armamento di fanteria), XXVITI battaglione misto genio; • Sabauda su 45°, 46° e 145° reggimento di sicurezza interna, 40° artiglieria (con armamento di fanteria), CXXX battaglione misto genio; • Calabria su 59°, 60° e 236° reggimento di sicurezza interna, 4° artiglieria (con armamento di fanteria), XXXI battaglione misto genio; -7 reggimenti di fanteria non indivisionati: 2°, 3°, 6°, 7°, 8°, 9° e 10°; -3 reggimenti alpini non indivisionati: J0 , 4° e 5°. U blocco territoriale era costituito da: -organi centrali; - 11 comandi militari territoriali, ciascuno con i comandi d'arma, la direzione d'artiglieria e la direzione lavori genio; - 99 distretti militari; - 90 depositi; - 11 compagnie servizi del genio; - 9 compagnie collegamenti territoriali; - 2 compagnie ponti metallici scomponibili; - 2 compagnie rastrellamento mine; - 1 tribunale supremo militare; - 12 tribunali militari; - 23 ospedali militari; - I autogruppo e 16 autoreparti; - 120 magazzini e depositi. L'ultimo blocco, quello addestrativo, comprendeva: - l'Accademia Militare; - il Comando Scuole Militari Centrali che comprendeva 10 scuole delle varie
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armi e dei servizi logistici; -11 centri di addestramento reclute (C.A.R.); -1 Scuola di Applicazjone di Sanità; - l'Istituto Geografico Militare. Alla data del IO marzo 1946 erano ancora alle dipendenze degli Alleati la 205• divisione amministrativa, su 711 °, 713°, 714°, 715°, 717° e 718° raggruppamento, ed il 2° e il 6° gruppo battaglioni. Con il tempo il controllo della MMIA si fece meno rigido e il generale Cadoma potè attuare per l'esercito un ordinamento più rispondente alle necessità operative. Sono la data del 1° luglio 1946 le divisioni di sicurezza interna furono trasformate in brigate con due reggimenti di fanteria ed un gruppo misto di artiglieria, I ' 8° fanteria Cuneo fu trasformato in I O Granatieri di Sardegna, il 3° fanteria Piemonte in 3° bersaglieri. A causa del cambio istjtuzionale si resero necessari altri provvedimenti: il 2° Re divenne 157° Leoni di Liguria, il 9° Regina si chiamò 9° Bari, la divisione Sabauda era già stata trasformata in brigata Reggio e non creò problemi. Altre innovazioni, questa volta non puramente formali, furono: l'adozione per i reggimenti di sicurezza interna dello stesso organico dei reggimenti indivisionati e, nel gennaio 1947, I' assegnazione alle divisioni di un gruppo esplorante, Nizza alla Cremona, Piemonte alla Friuli, Savoia alla Legnano, Genova alla Mantova e Novara alla Folgore. Nello stesso periodo furono costituiti anche 5 reggimenti di artiglieria da campagna, 5 reggimenti di artiglieria controcarro e 5 reggimenti di artiglieria contraerea per incrementare la capacità di fuoco delle divisioni, nonchè altre unità di artiglieria, sia a livello reggimento sia a livello gruppo, da campagna, pesanti campali e da montagna per dare ai comandi militari territoriali nel cui territorio non erano stanziate le divisioni, una pedina di potenza. Anche il genio fu riordinato, i 5 battaglioni misti delle divisioni si sdoppiarono in 5 battaglioni artieri ed in 5 batlaglioni collegamenti. Le divisioni furono dotate, infine, di un adeguato supporto logistico: I sezione di sanità, 2 ospedali da campo, I sezione sussistenza, reparto trasporti, I officina ed I parco mobili. 3. Il generale Cadoma era convinto che l'esercito italiano dovesse abbandonare una volta per tutte quel modello "a larga intelaiatura" che, a partire dall'ordinamento M ezzacapo, era sempre stato la causa del mediocre livello di addestramento dei nostri reparti, sempre troppo al disotto degli organici a causa delle insufficienti disponibilità finan ziarie. Egli cercò pertanto di ricostituire l' esercito sulla base di poche unità, considerato che il Paese non era in grado di erogare i mezzi necessari per forze armate di più ampie dimensioni, ma con organici pressochè completi e, soprattutto, addestrate. L'adesione del generale Cadorna alla proposta della MMIA di costituire speciali centri di addestramento, nei quali le reclute avrebbero ricevuto un addestramento omogeneo, fu quindi pienamente convinta. Nacquero cosi i Centri Addestramento Reclute (C.A.R.), uno per ogni comando militare territoriale, ai quali cominciarono ad
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affluire le reclute dal febbraio 1946, quando riprese la chiamata alle anni con la classe 1924. Presso i C.A.R. le reclute erano sottoposte ad un addestramento preliminare di 5 settimane, comune per gli appartenenti a tutte le anni ed a tutti i servizi logistici, al termine del quale erano inviate ai corpi per l'addestramento di specializzazione. Le reclute dell'arma dì fanteria dopo l'addestramento preliminare effettuavano presso i CAR anche l'addestramento avanzato, della durata di 8 settimane. La creazione dì una valida organizzazione scolastica fu una delle maggiori preoccupazioni del generale Cadorna che, alla fine del 1946, riuscl a realizzare un complesso di scuole d'arma e di specializzazione nelle linee sostanziali ancora oggi in vita. Soppresso il Comando Scuole Centrali, Cadoma mise le varie scuole alle dipendenze dei rispettivi Ispettorati, riservando allo Stato Maggiore la diretta responsabilità della Scuola Cooperazione Varie Armi <2>, incaricata di svolgere corsi di addestramento e di abilitazione al comando per ufficiali superiori e corsi informativi per colonnelli e generali con particolare riguardo alla cooperazione tra le varie armi . Cadorna riteneva, inoltre, che tale Scuola dovesse dare un contributo alla elaborazione della nuova dottrina tattica, dato che ancora non era stato possibile ricostituire la Scuola di Guerra. Molto sensibile al problema della formazione dei Quadri, il capo di Stato Maggiore realizzò una fondamentale riforma degli istituti di reclutamento, riunendo a Lecce in un' unica Accademia quelle di Torino e di Modena, in modo da rendere omogena la preparazione degli ufficiali di tutte le armi e porre le necessarie premesse per realizzare finalmente quella completa collaborazione tra fanteria, artiglieria e genio che spesso era mancata sui campi di battaglia della prima e della seconda guerra mondiale. Il provvedimento ordinativo, datato 1° dicembre 1945, fu accompagnato da un nuovo Regolamellfo interno per la vita dell'Accademia, nel quale il generale Cadorna volle precisare di propria mano gli scopi che si riprometteva il nuovo istituto e le modalità esecutive più adatte per conseguirli. Gli scopi furono cosi enunciati: "(..... ) dare agli allievi: a) quella impronta indelebile di educazione militare che dovrà indurli a compiere sempre e dovunque il proprio dovere anche col sacrificio della vita; b) quella base culturale che consenta loro di continuare ad accrescerla, perfezionarla ed aggiornarla attraverso il metodo acquisito e gli orizzonti intravisti; c) la capacità di ben assolvere i compiti attribuiti agli ufficiali inferiori in pace ed in guerra". Per quanto riguarda le modalità esecutive, Cadorna precisava: "a) la carriera militare deve essere intesa come missione che impone continuamente notevoli limitazioni e gravi sacrifici che possono essere accettati solamente da chi sente tutta la bellezza della missione da compiere e ad essa
(2) Le dipendenze delle scuole furono cosi stabilite: dallo S1a10 Maggiore la Scuola Cooperazione Varie Armi; dall'lspettora10 di fanteria le Scuole di fanteria, auloblindismo, educazione fisica, servizi ed assistenza; dall'Ispettorato di artiglieria la Scuola di artiglieria; dall'Is pettorato del Genio le Scuole anieri e collegamento; dati' Ispettorato Generale della Motorizzazione la Scuola della motorizzaz.ione.
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sia votato. I giovani che non dimostrano di essere animati da questa vocazione debbono essere dimessi perchè non potranno mai diventare buoni ufficiali; b) l'insegnamento delle varie materie deve essere coordinato in modo da completarsi a vicenda. Molto giova, a questo riguardo, il fare assistere i vari insegnanti alle lezioni dei colleghi e specialmente gli istruttori della parte pratica alle lezioni teoriche delle materie corrispondenti. Ogni insegnante deve costantemente tenere presente che il fine del suo insegnamento è quello di concorrere alla formazione di ufficiali cioè di comandanti di uomini in guerra. L'insegnamento deve perciò avere caratteristica militare. Anche le materie che non sono propriamente militari devono essere sviluppate tenendo presente che esse non sono impartite a semplice scopo culturale ma per essere utilizzate nel campo militare. Deve perciò essere approfondita ed assicurata la conoscenza di quella parte che, a giudizio dell'insegnante, assume particolare importanza ai fini militari; ... c) nelle Università l'insegnante sviluppa la materia rimandando agli esami l'accertamento del profitto tratto dagli allievi che, in definitiva, saranno poi giudicati a seconda del valore che dimostreranno nella lotta per la vita. Gli accademisti invece, devono essere vagliati continuamente perchè la Nazione ha diritto di essere sicura che la vita dei suoi figli è affidata in buone mani e l'esistenza stessa della Nazione è difesa da giovani capaci. Ne consegue che, specialmente durante il primo anno di corso, si dovrà in qualunque periodo inesorabilmente eliminare coloro che dimostrassero di non possedere quel complesso di qualità e di attitudini indispensabili ad un subalterno". 4. Con la fine delle ostilità si pose il problema della smobilitazione, la cui soluzione fu resa difficile a causa della volontà degli Alleati di non consentire il congedamento dei reparti alle loro dipendenze. A partire dal giugno 1945 fu comunque possibile congedare il I quadrimestre del 1914 e la totalità delle classi più anziane e, successivamente, a mano a mano che i reparti alleati rimpatriavano e quindi diminuivano le esigenze di personale ausiliario, i congedamenti poterono proseguire al ritmo di circa 30.000 soldati al mese, tanto che alla fine del 1945 l'entità delle Truppe Ausiliarie era ridotta a circa 20.000 unità. Altrettanto lento e macchinoso fu il rientro dei prigionieri di guerra, conclusosi soltanto nel febbraio 1947, ad oltre un anno e mezzo dalla fine della guerra. Il problema dei prigionieri di guerra, di competenza del governo e non dello Stato Maggiore dell'esercilto, non rientra nei contenuti di questo volume, tuttavia la durezza alleata nei confronti dei nostri prigionieri cli guerra non può essere sottaciuta (3). (3) Il tema prigionieri di guerra e stato poco curato. almeno fino ad oggi ( 1994) dalla storiografia. Al riguardo possono essere citati soltanto tre volumi: quello di F. Conti, I prigio11ieri di guerra italiani 1940-1945, Il Mulino, Bologna 1986; la raccolta delle relazioni presentate al convegno di Mantova del 4-5 ottobre 1984. curata da Romain H. Rainero, I prigionieri militari italia11i dura11te la seconda guerra mondiale. Aspelli e problemi storici, Marzorati, Milano 1985; e l'ottimo volume di G. Schreiber, / militari italiani imernati nei campi di concentramefllo del Terzo Reich 1943-1945. Traditi, dispreuati. dimenticati, USSME, Roma 1992.
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I prigionieri in mano alleata, anche dopo l'armistizio, furono utilizzati in attività agricole ed in attività a diretto sostegno dell'attività bellica e persino privati della protezione della Convenzione di Ginevra, avendo il governo italiano rifiutato di sottoscrivere accordi di pura ratifica delle decisioni alleate. In aperta violazione alla Convenzione, che vieta discriminazioni tra i prigionieri di guerra, coloro che non accettarono di "cooperare" con gli Alleati furono del tutto illegalmente rinchiusi in speciali campi di punizione e rimpatriali con esasperante lentezza. Il fatto che le condizioni materiali della prigionia siano state incomparabilmente migliori di quelle dei campi di concentramento tedeschi e russi non attenua la grettezza del comportamento degli Alleati che, pur di conservare la disponibilità di manovalanza a basso costo, non ebbero scrupolo alcuno a calpestare le leggi internazionali. Persino i reparti delle divisioni Cuneo e Regina, fortunosamente approdati in Turchia nell'ottobre 1943 dalle isole dell'Egeo, dopo aver combattuto a fianco dei reparti inglesi contro i Tedeschi, furono trattenuti dagli Alleati in Palestina e, considerati "prigionieri cooperatori", impiegati in attività di lavoro. Il comando americano "cedette" ai Francesi 30.000 nostri prigionieri, che, trasportati in Francia, furono impiegati nei lavori più umili e gravosi. Il governo italiano protestò sempre con molto vigore, nell 'aprile 1944 fu anche costituito un Alto Commissariato per i prigionieri di guerra, affidato al generale Gazzera, perchè la materia fosse meglio seguita, ma fu tutto inutile. Persino Luigi Sturzo, ancora esule negli Stati Uniti, cercò di attirare l'attenzione del presidente Roosevelt sul problema, ma ancora una volta prevalse la volontà punitiva nei nostri confronti. Ancora peggiore la sorte degli internati militari in Germania. A parte le vittime provocate dall'affondamento da parte degli Alleati dei piroscafi che trasportavano in terra ferma i prigionieri catturati dopo l'armistizio nelle isole greche e dell'Egeo, forse 25.000 uomini, i decessi per fame, mancanza di assistenza sanitaria, maltrattamenti e privazioni assommarono a circa 40.000, il 6% del personale rinchiuso nei campi di detenzione. La sorte dei prigionieri caduti in mano sovietica fu ancora più terrificante, può essere quantificata in 10.000 decessi su 20.000 prigionieri giunti nei campi di conentramento. Infine un cenno sul problema del reclutamento. La MMIA avrebbe gradito che il nostro Paese si orientasse su un esercito costituito da volontari a lunga ferma, soprattutto per impedire nel futuro la costituzione di un esercito di dimensioni tali da creare ostacoli al predominio inglese nell'area mediterranea. Dopo un ampio dibattito interno, l'opposizione del generale Cadorna al progetto della MMIA fu intransigente ed il principio del servizio militare obbligatorio fu mantenuto. La soluzione finale del problema, alla quale la MMIA dovette, sia pure a malincuore, acconsentire fu individuata nell'affiancamento alla prevalente aliquota di coscritti, assoggettati ad una ferma non inferiore a 12 mesi, di un'aliqu0ta di volontari a ferma quinquennale, da impiegare come specialisti e come istruttori. Le ridotte dimensioni dell'esercito di transizione ed il rifiuto di ritornare ad una struttura dell'esercito "a larga intelaiatura", determinarono un forte
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ridimensionamento dei Quadri. In forza al decreto legge del 15 novembre 1946 193 generali e 4.788 ufficiali superiori furono collocati nella riserva, con un trattamento economico reso in pochi mesi molto precario dall'inflazione. 5. Le misure adottate dal governo per attuare il pur necessario "sfollamento" dei Quadri non furono le sole cause di una progressiva perdita di fiducia da parte del corpo ufficiali nei riguardi della nuova classe politica. I provvedimenti ottusamente punitivi adottati dai governi Bonomi furono aggravati, infatti, da nuove disposizioni che, anche a distanza di tanti anni, non possono essere giudicate nè necessarie nè razionali. L'avvenuto cambio istituzionale e l'atteggiamento di estremo lealismo (4) tenuto dalle forze annate, sia durante il periodo elettorale sia nei giorni incerti intercorsi tra la prova elettorale e la proclamazione del risultato, non erano valsi a smorzare i toni di una virulenta azione denigratrice attuata dai partiti di sinistra nei confronti dell'esercito, additato all'opinione pubblica come responsabile del fascismo, della guerra, della disastrosa sconfitta ed al quale erano addebitati gli errori, le condiscendenze e le colpe dell'intero Paese. In tale clima le decisioni, adottate dal secondo governo De Gasperi il 18 gennaio 1947, di sopprimere il grado di Maresciallo d'Italia e di congedare i generali d'armata furono interpretate dai più come due provvedimenti punitivi, volti unicamente a mortificare la gerarchia militare ed a privare le forze armate di capi autorevoli. Anche l' unificazione dei tre ministeri militari in un unico ministero della (4) Il lealismo dell'esercito è documentato con assoluta chiarezza dall'Ordine del giorno diramato dal generale Cadoma alla vigilia del referendum: "Il prossimo 2 giugno il popolo italiano affluirà alle urne per rispondere al referendum sulla forma istituzionale dello Staio e per eleggere i propri rappresentanti ali' Assemblea Costituente. A questo solenne ano di sovranità popolare participcrcte anche voi, cittadini che servite in armi la Patria, esercitando il diritto di voto in piena libertà delle vostre coscienze. A questo diritto voi associate, come soldati, il privilegio di difendere la libertà di voto di rutti i cittadini. di garantire cioè, al di sopra delle posizioni di parte, la sovrana decisione del popolo contro qualsiasi tentativo violento di sopraffarla, di essere al servizio della Nazione ed in obbedienza al suo Governo, i fedeli tutori dell'ordine e della legalità. Senta ciascuno che a questo privilegio corrisponde un alto e ferreo dovere, il quale non consente incertezze e compromessi. giacchè un Paese democratico deve poter fare pieno affidamento su di un esercito apolitico, saldo presidio della libertà delle istituzioni. Ciascuno, dunque. compià liberamente il proprio dovere di cittadino alle urne e sia, nei ranghi, il soldato consapevole della propria nobile missione, disciplinato ed obbediente, pronto, se necessario, ad agire in difesa dell'ordine e della legalità con estrema fermezza. Sappia ciascuno di voi che l'istituto dell'Esercito risponde ad una suprema esigenza di vita e di continuità della Nazione; quale sia per essere quindi l'esito del referendum istituzionale e delle elezioni politiche. ciascuno di voi ha il sacro dovere di rimanere al suo posto in obbedienza alla sovranità popolare e per difenderne le decisioni contro qualsiasi tentativo di sopraffazione. li Paese, pur nella accesa passione della contesa elettorale. è consapevole che nella nobiltà della vostra missione e nella forza delle vostre tradizioni è il sicuro presidio delle sue libertà democratiche e vi guarda con fiducia e rispetto. Forti di tale vostro prestigio, che le Autorità responsabili della Nazione s'impegnano a tutelare con la massima energia, consapevoli del vostro alto dovere, voi risponderete, ne sono certo, a questa fiducia colla prova della più salda disciplina e della più schietta obbedienza, che sarà anche il segno più espressivo della vostra maturità di cittadini".
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Difesa, provvedimento disposto il 4.2.1947 con decreto n°17 del capo provvisorio dello Stato, fu decisa unicamente per meglio assicurare il controllo governativo sulle forze armate. L'esigena di attuare un più stretto coordinamento della politica militare e di porre fine alle rivalità ed alle tentazioni corporative delle tre forze armate era indubbiamente reale e, fin dal primo dopoguerra, l'unificazione dei ministeri militari era stata chiesta da pensatori militari come Douhet e molto parzialmente realizzata con l'istituzione della carica di capo di Stato Maggiore Generale. Le vicende della seconda guerra mondiale avevano poi chiaramente dimostrato la necessità dell'unificazione del vertice militare, ma le modalità di attuazione del ministero unico disposte dal governo furono assolutamente deludenti. Le amministrazioni dell'esercito, della marina e dell'aeronautica rimasero separate, ciascuna sollo la direzione del rispellivo segretario generale, che assorbì anche le funzioni del capo di gabinetto dei vecchi ministeri e che divenne un possibile antagonista del capo di Stato Maggiore di forza armata. Nella sostanza non cambiò nulla, le strutture prebelliche, con 28 enti tra loro indipendenti tra direzioni generali ed ispettorati, rimasero in vita. Il governo stesso riconobbe l'esistenza di tre diverse amministrazioni, istituendo, per coordinarle, il Gabinetto della Difesa - al quale facevano capo gli uffici legislativo, bilancio e amministrativo, degli allestimenti militari - ed il Comitato per il coordinamento del bilancio, presieduto dal ministro e composto dai capi di Stato Maggiore, dai segretari generali e dai responsabili degli uffici bilancio e ragioneria di ciascuna amministrazione. Con il decreto Legge n°955 del 21 aprile 1948, il terzo ministero De Gasperi, ministro della Difesa il repubblicano Facchinelli, sanzionò definitivamente la "separazione in casa" tra le forze armate, fissando per il capo di Stato Maggiore della Difesa attribuzioni e competenze prive di effettivo potere. Il governo non volle, in conclusione, risolvere il problema del comando effettivo delle forze armate e per il tempo di pace e per quello di guerra, rinunciando alla possibilità di svolgere una politica della difesa omogenea e coerente, della quale forse non comprese neppure la necessità. La definizione delle competenze e delle attribuzioni e, quindi, la delimitazione delle responsabilità del capo di Stato Maggiore dell'esercito in rapporto alle responsabilità del ministro, si era dimostrata una questione irrisolvibile anche per il pur volitivo generale Cadorna. Dopo aver inutilmente prospellato al ministro della Guerra Jacini ed al suo successore Manlio Brosio, nonchè al Presidente del Consiglio Parri, l'opportunità di stabilire con chiarezza compiti e aree di competenza sia del ministro sia del capo di Stato Maggiore, Cadorna era ritornato alla carica con il ministro Facchinetti, senza peraltro ottenere quella risposta chiara e inequivocabile che gli avrebbe permesso di espletare l'incarico con la necessaria consapevolezza dei limiti da porre alla sua allività. Di fronte alla tattica dilatatoria del ministro, intenzionato a non delimitare in alcun modo i rispettivi settori di intervento per poter intervenire anche nel campo tecnico, Cadorna rassegnò le dimissioni il 1° febbraio 1947.
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Un ultimo provvedimento punitivo, poco noto al grande pubblico ma recepito perfettamente nel suo intimo significato dall'ambiente militare, fu la circolare Facchinetti del 1948 con la quale si dichiaravano perentoriamente chiusi i tennini per presentare proposte di ricompense al valor militare relative ad episodi della seconda guerra mondiale, a favore di elementi delle forze armate, mentre non si ponevano limiti alle proposte riguardanti i partigiani, che fino agli anni Ottanta continuarono, infatti, a ricevere decorazioni. L'insieme di questi provvedimenti, quelli presi come quelli non voluti prendere, detenninò, afferma il generale Stefani, "una vera e propria frattura spirituale tra politici e militari, istradando i rapporti reciproci su di un antagonismo dialettico tacito e muto, ma non per questo meno reale. L'esasperazione della teoria della separazione fra politici e tecnici detenninò il distacco fra le due categorie, l'incomprensione reciproca ed il sospetto. I militari si rinchiusero in sè stessi e non misero per lungo tempo il naso fuori dalle casenne; i vertici militari, per lo meno alcuni, trovarono spesso comoda la mera funzione esecutiva; i politici da parte loro, soddisfatti di essersi assicurati tutto il potere e di avere ridotto i vertici militari a organi meramente burocratici, estranei alla formazione della politica di sicurezza nazionale ed alla stessa concezione della strategia militare, poco o nulla badarono alle esigenze morali e materiali dell'apparato militare che si sentì cosi sempre più separato ed estraniato dal contesto nazionale. I militari, in particolare quelli di carriera, maturarono la convinzione di essere tollerati più che accettati dal potere politico, che ne vanificava in pratica, nonostante le ricorrenti esaltazioni di circostanza nei discorsi di presentazione dei governi alle Camere od in occasione delle celebrazioni delle varie festività nazionali, la funzione prioritaria ed era sempre pronto ad enfatizzare gli episodi poco edificanti e le eventuali negligenze dei singoli o i semplici errori, ad accrescere insomma anzichè ridurre lo stato di disagio" <5). 6. Il 1O febbraio 1947 l'Italia firmò a Parigi il trattato di pace che entrò in vigore, dopo la ratifica dell'Assemblea Costituente, il 15 settembre successivo. L'esame del trattato esula dagli intenti di questo volume, saranno qui ricordate, pertanto, soltanto le clausole militari relative all'esercito. Gli effettivi dell'esercito furono limitati a I 85.000 uomini, più 65.000 carabinieri, con la possibilità di variare di 10.000 unità le due cifre senza però superare compless.ivamente le 250.000 unità. Fu inoltre vietata qualsiasi istruzione militare a personale non incorporato. Quanto ali' armamento era vietato di possedere artiglierie con gittata superiore a 30 km, di superare il numero di 200 carri armati, di acquistare o di fabbricare materiale bellico di origine tedesca e giapponese. Le frontiere, infine, dovevano essere smilitarizzate per una profondità di 20 km, disposizione questa che, combinandosi con il nuovo andamento della linea di confine ad est, ci privava in pratica di ogni possibilità di difesa. L'iniquità di queste clausole e del trattato nel suo complesso provocò (5) F. Stefani. La s10ria della dotrrina e degli ordinamenti de/l 'esercito italia110, voi. 3, USSME. Roma 1984- 1989, voi. Ili, 1omo 1°, pag. 544.
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persino la deprecazione della rivista dei Gesuiti, La civiltèJ cattolica, che nel quaderno 2329 del 5 luglio 1947 giudicò le clausole militari "nella loro ingiustizia e nella loro gravità, contrarie agli impegni solennemente assunti dai vincitori con la presto rinnegata Carta Atlantica, con le promesse esplicite fatte al popolo italiano prima e dopo la sua capitolazione e col fatto della cobelligeranza ripetutamente riconosciuta. L'articolo, dovuto a padre Messineo, cosi concludeva: "E' chfaro che il trattato italiano, un trattato iniquo... poggia sopra una flagrante ingiustizia, la quale a sua volta scaturisce dall'assoluta dimenticanza d'impegni a suo tempo assunti. Le Nazioni Unite hanno tradito l'Italia giacchè non si può qualificare con un termine meno forte un trattato nel quale i suoi quattro compilatori, lungi dal tener conto della promessa di Quebec, della cobelligeranza e dello sforzo militare cd economico cui si è sobbarcato il popolo italiano, nei duri mesi della guerra combattuta sul suolo, per aiutare il conseguimento della vittoria, hanno accumulato clausole sopra clausole, l' una più offensiva dell'altra, l'una più umiliante dell'altra, trattandolo con un'asprezza che non poteva essere maggiore, se avesse combattuto fino all'ultimo momento contro i suoi nemici di prima". Le conclusioni dell'esame del trattato sotto l'aspetto militare, redane dallo Stato Maggiore per il governo, non furono meno esplicite: "Le cessioni territoriali sancite dal trattalo sono tali da rendere facile e rapida qualsiasi aggressione esterna in corrispondenza della frontiera occidentale e di quella orientale. Le clausole relative allo smantellamento delle opere permanenti, le restrizioni per l'eventuale loro ricostruzione in una fascia di 20 km di spessore lungo detti confini (art. 47, 48 e 50), praticamente significano divieto - almeno per un lungo periodo di tempo - di rimediare con l'ausilio della fortificazione all'iniquo e sfavorevole tracciato dei confini. L'entità e l'armamento delle Forze Armate consentiteci dal trattato (articoli dal 51 al 66) sono assolutamente inadeguati alle necessità della difesa dei predetti confini terrestri e della grande estensione delle nostre coste... Al peso di una cosi sfavorevole situazione materiale si aggiungono, in campo morale: la ripercussione sul nostro sentimento nazionale del trattato che, con estrema durezza e piena sconoscenza del periodo della nostra partecipazione alla lotta comune, viola apertamente i principi di autodifesa; il deprimente effetto della insicurezza delle frontiere sulle possibilità di ripresa e di sviluppo economico ed industriale del nostro Paese e, specialmente, dell'alta Italia, e, infine, il continuo stato di tensione in cui sono costrette a vivere le popolazioni di ampie zone di confine". La consapevolezza di non essere in grado di resistere all'aggressione anche di una mediocre potenza come la Jugoslavia stimolò l'attività dello Stato Maggiore che, superata la delusione per l'atteggiamento degli Alleati e nonostante il poco favorevole clima interno, continuò con molta determinazione nell'opera di ricostruzione dell'esercito, sotto la guida del generale Marras <6>, 6) Del generale Efisio Marras vds. il breve profilo biografico nella Pane 11 di questo vol ume.
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succeduto a Cadorna nell'incarico di capo di Stato Maggiore. Particolare attenzione fu ancora dedicata al settore dell'addesttamento, sia dei Qu_adri sia delle truppe. Tra il 1947 ed il 1948 furono istituiti i Centri di Addesttamento Avanzato Reclute (C.A.A.R) per le reclute delle armi di artiglieria e del genio e numerose scuole per specialisti: la Scuola di Carrismo, la Scuola Meccanici ed Operai di Artiglieria, la Scuola di Artiglieria Contraerea, la Scuola Militare Alpina. Lo Stato Maggiore volle anche risolvere un antico e mai soddisfacentemente risolto problema, quello del reclutamento di un corpo sottufficiali valido e preparato. fu cosi istituita nel 1948 in Spoleto la Scuola Allievi Sottufficiali. L'Accademia Militare fu ttasferita a Modena, sede meno eccentrica di Lecce, località che divenne peraltro sede della Scuola Allievi Ufficiali di complemento. Nel 1948 fu altresi possibile intensificare l'addestramento sul terreno di Quadri e truppe e si svolsero le prime esercitazioni su scala divisionale del dopoguerra, nella zona tra il Mincio e l'Adda fu infatti esercitata la divisione Legnano. Lo Stato Maggiore cominciò del pari a predisporre le prime misure da attuare in caso di mobilitazione, anche se ogni iniziativa in questo senso trovava un ostacolo nell'art. 53 del ttattato che, impedendo all'Italia di fabbricare o possedere materiale bellico in eccesso rispetto alle esigenze delle forze armate consentite, rendeva difficile accantonare le necessarie scorte, e il concetto stesso di mobilitazione, intesa come ampliamento delle strutture esistenti, sia pure in caso di emergenza, era implicitamente negato dal divieto di schierare più di 185.000 uomini. Nel 1947 vennero comunque emanate norme per tenere a ruolo la forza in congedo e per il completamento dei reparti, provvedimento, quest'ultimo, ri preso e migliorato nell'anno successivo con la disposizione di aggiungere in caso di emergenza un terzo battaglione ai reggimenti di fanteria, tenuti in tempo d i pace su due battaglioni, e di mobilitare - oltre a 3 comandi di corpo d'armata trasformando opportunamente alcuni comandi militari territoriali, ai quali era stata data particolare struttura, - 7 battaglioni alpini, 1 gruppo di artiglieria da montagna e J4 battaglioni fucilieri per la difesa territoriale. Nel campo ordinativo i risultati conseguiti furono notevoli. La disponibilità di 194 carri armati in piena efficienza, che gli Alleati avevano lasciato in Italia nel campo ARAR di Bologna, permise la costituzione della brigata corazzata Ariete mentre la costituzione di nuovi reggimenti di fanteria e di artiglieria permise di dare un ordinamento ternario alle divisioni Mantova e Folgore, schierate con funzioni di copertura alla frontiera orientale, e di iniziare la costituzione di due altre divisioni binarie, la Granatieri di Sardegna e l'Aosta. Le divisioni di copertura furono alttesi rinforzate con l'assegnazione di un reggimento di cavalleria blindata. Furono, inoltre, approntati numerosi reparti minori di supporto: due gruppi di artiglieria pesante campale, due di artiglieria contraerea, un battaglione alpini. Tra il 1947 ed il 1948 furono diramate le prime pubblicazioni della nuova
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STORIA DEU.'ESERCITO ITALIAN0(1861 • 19901
regolamentazione tattica, relative all'impiego delle pattuglie, della squadra e del plotone fucilieri, primo risultato di un'attività di ampio respiro intrapresa dallo Stato Maggiore per la totale rielaborazione della nostra dottrina d'impiego sulla base delle esperienze acquisite nei lunghi anni di guerra. Nel giugno 1948 vide poi la luce la circolare 3000, l'organizzazione difensiva, che servl di supporto conceuuale per la stesura dei primi piani di difesa della frontiera orientale. Molti gli elementi di novità rispetto alla dottrina italiana prebellica, abolita la "difesa a fascia", la nuova dottrina impostò l'azione difensiva sul caposaldo di bauaglione, concepito come concentrazione di potenza difensiva coagulata su una posizione tatticamente importante e caratterizzato da dominio tattico sulla direzione d'attacco da interdire, autonomia tattico-logistica, reallivìtà a giro d'orizzonte, capacità di reazione dinamica interna. I caposaldi, schierati su due ordini in una zona profonda 4-5 km, al tergo della quale si schieravano le riserve, l'artiglieria e le formazioni logistiche, avrebbero dovuto assorbire l'attacco avversario, definitivamente respinto dall'azione delle riserve. Indubbiamente una dottrina realistica, calibrata sulle forze disponibili e suscettibile di successive modificazioni. Anche la revisione della regolamentazione di servizio procedette speditamente, nel periodo furono diramati le Norme per la vita ed il servizio interno di caserma, il Regolamento sul servizio territoriale e di presidio, il nuovo Regolamento di disciplina, interforze, il primo volume dell'Addestramento della fanteria. Istruzione formale, il libro del soldato. Nel contempo la Rivista Militare ospitò un ampio e vivace dibattilo sull'assetto dell'esercito, sull'impiego e sull'ordinamento della fanteria e dei corazzati, sull'iter formativo degli ufficiali e dei sottufficiali e sul problema del comando delle forze armate, indice di una vitalità culturale dei Quadri notevole e di un diffuso desiderio di rinnovare e di rinnovare in meglio <7>. Anche l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore riprese l'attività, pubblicando le prime monografie e le prime opere di carattere generale sul conflitto appe na co ncluso <8 l. In particolare nel 1948 vide la luce la riscossa dell'Esercito, pubblicazione dovuta al generale Edoardo Scala <9> a carattere divulgativo, ma rispettosa nella sostanza della verita, volta a fornire alla Nazione una prima infonnaLione sulle vicende dell'esercito anteriori all'armi-
(7) Sull'argomento è di grande interesse il volume di F. Botti e V. Ilari li pensiero mili rare ita/ia,10 dal primo al secondo dopoguerra. edito dall'ufficio storico dello SME nel 1985. (8) Di scguuo i titoli dei lavori pubblicati dall'ufficio s1orico nel periodo 1946-1949: La barraglia delle Alpi Occidentali. Giugno I 940; Seconda offensiva britannica in Africa Se11entrionale e ripiegamento italo-tedesco nella Sinica Orientale (18 novembre 1941-17 ge11naio /9-12). l '8" Armata italiana 11ella steonda ba11aglia difensiva del Don (II dicembre 1942-31 gennaio 1943); le operazioni del C.S.I.R. e dell'A.R. M.I.R. dal giugno 1941 all'o11obre 1942; Cefalonia; 111 Raggruppamemo Mowriu.aro Italiano; Cronologia della seconda guerra mondiale. (9) Del generale Edoardo Scala vds. il breve profilo biografico nella Pane li di ques10 volume.
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DALLA LIBERAZIONE AL PAITO ATLANTICO
stizio e durante la guerra di Liberazione. Il volume sosteneva la tesi che l '8 settembre 1943 avesse segnato il punto finale di una catastrofe, dalla quale l'esercito aveva saputo risollevarsi a difesa del territorio nazionale e del diritto del popolo italiano ad occupare un posto dignitoso nel novero delle Nazioni libere. Il volume, inoltre, rivendicava l'importanza del contributo dato dall'esercito alla lotta di Liberazione, ormai divenuta merito esclusivo del movimento partigiano a causa di un 'azione propagandistica metodica e bene orchestrata dai partiti di sinistra. Nel gennaio 1948 fu stabilito il nuovo organico degli ufficiali dell' esercito, ridotto e semplificato rispetto a quello del I 940. Il nuovo provvedimento legislativo soppresse, infatti, parecchi ruoli: mobilitazione, servizio tecnico del genio, geografi militari, direttori di banda, maestri di scherma, ufficiali inferiori delle varie armi (carabinieri esclusi) con carriera limitata al grado di capitano. Per quanto riguarda l'entità del corpo ufficiali si rimanda alle tabelle sottonotate.
UFFICIALI GENERALI
GRADO
Carabinieri Varie armi
Servizi tecnici e logistici
Note
Generale C.A.
-
7
-
(0) 3 medici- 3 commissari
Generale Div. (Teo.Generale)
3
24
-
Generale B. (Mag. Generale)
l del servizio tecnico art. 1 del serv. tecnico della motorizzazione
6
77
9(0)
l del corpo automobilistico
UFFICIALI VARIE ARMI
GRADO Colonnello Tenente colonnello Maggiore Capitano Subalterni
Cambinieri Fanteria Cavalleria Artiglieria
Genio
100(0) 261 446 892 937
40 104 178 356 374
24 91 140 496 627
195 510 874 1748 1835
13 23 39 78 82
Note
(0) 6 del servizio tecnico di artiglieria
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STORJA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
UFFICIALI DEI SERVIZI LOGISTICI
GRADO
Colonnello Tenente colonnello Maggiore Capitano Subalterni 0 (
)
SANITÀ
COMMISSARIATO AmminiAutomoVeterinario Medici Farmacisti bilistico ~ Sussist. strazione
28 84 168 336 235
1 7 21 42 29
14(0 ) 51 94 188 197
10 30 60 120 84
-
10 39
12 24
117
92 97
234 245
1 6 18 36 25
Di cui 3 del servizio tecnico. Inoltre nel complesso degli ufficiali del co1po automobili-
stico. dal grado di renenle colonnello a quello di tenenre, sono compresi 33 ufficiali del se,vizio tecnico della motorizzazione.
Il generale Marras riordinò anche lo Stato Maggiore dell'esercito che comprese: un generale sottocapo; un generale addetto incaricato di coordinare l'attivita operativa con quella addestrativa; una segreteria affari generali; sette uffici: personale, operazioni, addestramento, ordinamento e mobilitazione, servizi, movimento e trasporti, storico. Dall'ufficio operazioni dipendeva la sezione informazioni, poi subito trasformata in ufficio e, il I O settembre 1949, nel Servizio Informazioni Operativo e Sicurezza (SIOS), contemporaneamente alla creazione del Servizio Informativo Forze Armate (SIFAR). Dall o Stato Maggiore dipendevano gli Ispettorati della fanteria, dell'artiglieria (che comprendeva anche un Ufficio Difesa ABC), del genio e della motorizzazione, i servizi tecnici d'artiglieria e della motorizzazione, l'Istituto Geografico Militare e la Scuola di Guerra, ripristinata a Civitavecchia quasi clandestinamente nella sede della soppressa Scuola Cooperazione Varie Armi. 7. Nel maggio 1948 il generale Marras inviò al ministro della Difesa Pacciardi il progetto del nuovo ordinamento dell 'esercito che, secondo le jntenzioni dello Stato Maggi o re, avrebbe dovuto essere sottoposto al Parlamento e, se approvato, sanzionare ufficialmente l'abrogazione dell'ordinamento del 1940. Il documento, correttamente impostato sulla base della situazione del momento e di quella prevedibile nel futuro più vicino, prendeva in esame tutti gli aspetti dell'organizzazione militare, esaminando le possibili soluzioni di ogni problema e giustificando ampiamente la soluzione prescelta. In sintesi il progetto prevedeva: - ferma di 18 mesi con frequenza di chiamata quadrimestrale; - operazioni di selezione attitudinale presso i distretti; - addestramento comune presso i C.A.R.;
DALLA LIBERAZIONE AL PATTO ATLANTICO
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- incremento della capacità di fuoco delle unità di fanteria; - suddivisione dell'arma del genio in due grandi branche, una comprendente tutte le classiche specialità dell'anna (pionieri, minatori, ponùeri, ferrovieri) e l'altra comprendente le unità ed il personale specializzato nell'impiego dei mezzi di trasmissione; - mantenimento dell'organizzazione territoriale incentrata sui comandi militari territoriali, nell'ambito dei quali era prevista la costituzione di organi demoltiplicatori, le zone militari; - creazione di due comandi di corpo d'armata; - incremento dell'organizzazione scolasùca con la ricostituzione della Scuola di Guerra e l'istituzione di altre scuole d'arma e di una scuola interforze per ufficiali di grado elevato; - costituzione graduale di nuove unità con l'obiettivo finale di strutturare l'esercito su 8 divisioni di fanteria, su formazione ternaria, 3 divisioni di fanteria motorizzata su formazione binaria, 3 brigate alpine, 3 brigate corazzate, supporti di corpo d'armata; - costituzione di un apposito corpo cìvile ausiliario per la sostituzione, con personale civile, di tutti i soldati impiegati come dattilografi, scritturali, magazzinieri, cuochi, camerieri ecc. ecc., provvedimento che avrebbe consentito di non sottrarre all'addestramento ed all'impiego operativo alcune migliaia di soldati. Il progetto era accompagnato da un piano triennale ( 1949-1951 ), relativo all'attuaL.ione dell'ordinamento proposto, e da uno quinquennale (1949-1953), relativo all 'accantonamento delle scorte di mobilitazione ed alla difesa contraerea territoriale. Complessivamente si richiedeva un finanziamento straordinario di 518 miliardi di lire, 70 per il primo anno, 102 per il secondo, 135 per il terzo, 117 per il quarto e 94 per il quinto. Il progetto dello Stato Maggiore, approvato dal ministro, non fu presentato in Parlamento dal governo perchè avrebbe suscitato l'opposi.lione delle sinistre e di alcune frange della stessa maggioranza. Ebbe cosi inizio la consuetudine da parte del governo di sonrarre al controllo del Parlamento le più importanti decisioni di politica militare, con il risultato, poco favorevole alla lunga per l'esercito, di un disinteresse totale del Paese per i problemi militari. Il progettato corpo civile ausiliario ed i due piani di potenziamento non ebbero perciò attuazione, il lavoro di ricostruzione dell'esercito continuò silenziosamente e gradualmente, compatibilmente con g li stanziamenti di bilancio, sempre però nell'ottica del nuovo ordinamento proposto, ritenuto valido e raLionalc, anche se lo Stato Maggiore ne vedeva allontanarsi nel tempo la realizzazione. Il problema non era di facile risoluzione. La divaricazione tra quanto esisteva e quanto sarebbe stato necessario avere.per attuare una difesa autonoma del teatro operativo nazionale, tendeva ad accrescersi e la corrente di pensiero,
436
STORIA DELL"ESERCITO ITALIANO (1861 · 1990)
rappresentata soprattutto dai generali Utili e Zanussi (IOJ, che credeva possibile per l'esercito soltanto il ruolo di contingente nazionale nell'ambito di una armata alleata, diveniva sempre più forte. Come ha notato I' Ilari "dopo due guerre mondiali decise sul teatro operativo europeo, era tempo di prendere atto che una difesa nazionale era ormai divenuta storicamente impossibile. A prescindere dai limiti finanziari, industriali e sociali di un adeguato riarmo, il nuovo tipo di conflittualità (non più tra Stati, bensì tra coalizioni), la posizione geografica dell 'Italia, la vulnerabilità strategica all'offesa aerea ed atomica, la dipendenza geopolitica da linee di rifornimento controllabili solo nel tratto tem1inale, la dipendenza industriale e militare da tecnologie straniere, rendevano necessaria alla sicurezza d' Italia la garanzia militare di una delle due SuperpotenL.e" <11 l. L'adesione italiana al Patto atlantico (12), con la conseguente possibilità di beneficiare del "Programma di assistenza militare" votato dal Senato degli Stati Uniti in favore dei Paesi alleati, consentì all'esercito di superare il punto morto e di "puntare" ali' abrogazione delle umilianti clausole militari del trattato di pace. E' tuttavia necessario sottolineare c he la nostra adesione al Patto Atlantico non fu concordemente accolta da tutte le componenti politiche. Come ha scritto Sergio Romano "De Gasperi nei primi mesi del 1948 aveva declinato J'offerta inglese di entrare nel patto di Bruxelles perchè i comunisti ed i socialisti erano decisi ad evitare la formazione di un blocco antisovietico, i cattolici sognavano una improbabile terza via fra capitalismo e comunismo, i nazionalisti ed i liberali erano convinti che il miglior modo per l' Italia di riconquistare il s uo status di potenza europea fosse quello di vendere a caro prezzo al momento opponuno il suo peso detenninante. Dopo le elezioni dell'aprile 1948 il governo cambiò politica, la gravità della situazione economica e delle tensioni socia1i, la vulnerabilità militare, l'asprezza della lotta politica furono tutti fattori che fecero pendere la bilancia a favore di un deciso allineamento nel campo occidentale. Era chiaro ormai che una sola potenza, gli Stati Uniti, avrebbero garantito all'Italia i mezzi finanziari, l'assistenza economica e la sicurezza militari che le erano necessari. Sino a qualche mese prima il piano Marshall e l'adesione a un patto militare potevano sembrare scelte distinte; ora, improvvisamente, apparivano a De Gasperi e a Sforza come aspetti complementari di una stessa scelta. L ' Italia aveva bisogno di modernizzazione e sicurezza; gli Stati Uniti le avrebbero garantito l' una e l'altra.
( 10) Cfr.: G. Zanussi. Sa/rnre l'estrcito. Libreria del Corso.Roma 1946: Appunti e spun11 s"I problema militare italiano. Itaha nuova. Roma 1947; F. Rossi. La ricos111uzione detre.sercito, Editrice Foro, Roma 1946. (l l) V . Ilari , Storia del Strl'itio militare in Italia, Voli. 5. Centro Militare d1 Studi Strategici, Roma 1989-1992, Voi. V, 10010 1°, pag. 75. ( 12) Cfr sull'argomento P. Pastorelli, La politica estera italiana del dopoguerra. li Mulino. Bologna 1987, passim.
DALLA LIBERAZIONE AL PATTO ATLANTICO
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Con una forzatura paradossale potrebbe quindi sostenersi che l'adesione al patto Atlantico, vale a dire la prima importante decisione militare del governo italiano dopo la sconfitta, fu dettata principalmente dal desiderio cli evitare al paese, per quanto possibile, l'obbligo di una politica militare. Non firmammo il patto Atlantico per concorrere con altri paesi alla difesa comune, ma per sfuggire alla responsabilità di uno sforzo che la maggioranza delle forze politiche nazionali considerava inutile o inopportuno" <13>. La tesi del Romano è indubbiamente paradossale, ma è pur vero che all'adesione to tale e sincera del governo alla politica della NATO non fece riscontro, negli anni successivi, una adeguata attività di sostegno alle forze armate. 8. Questo capitolo non sarebbe completo se non vi trovasse posto almeno un cenno sulle disastrose condizioni economiche dei Quadri, impegnati con grande senso del dovere a ricostruire l'esercito mentre le loro personali situa:lioni s i facevano ogni giorno più drammatiche, al pari del resto con quelle di tutti i dipendenti del pubblico impiego, ma aggravate dalle particolari condizioni del servizio prestato. Al termine del conl1itto, infatti , il principale problema economico italiano era, insieme con la disoccupazione, l'inOazione. I prezzi, che e rano già raddoppiati tra il 1938 ed il 1943, avevano avuto negli ultimi due anni della guerra un gigantesco balzo in avanti, anche a causa dell'emissione da parte degli Alleati di notevolissimi quantitativi di "AMiire", destinate al pagamento degli stipendi ed all'acquisto di beni e di servizi. Fatto pari a 100 l'indice dei prezzi del 1938, quello del 1944 arrivò a 858 e que llo del 1945 a 2060. Nell'immediato dopoguerra la situazione economica italiana peggiorò ancora e rapidamente, l'indice dei prezzi salì a 2884 nel 1946 ed a 5159 nel 1947 cd il tenore di vita di ufficiali e sottufficiali e delle loro fami glie si ridusse di conseguenza. TI governo, nell'intento di frenare l'inOazione e di rilanciare l'economia per inserirla al più presto nelle correnti commerciali internazionali, adottò una politica economica di ispirazione liberista che nel medio termine risulterà vincente ma che nell'immediato, con il freno rigoroso della spesa pubblica, con la restrizione del credito e con la svalutazione della moneta, provocò il dissesto economico di quel ceto medio dal quale proveniva la massa dei Quadri. Nell'ottobre del 1946, in cambio di una tregua salariale di sci mesi, le organiuazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro firmarono un accordo che garantiva agli operai un aumento dei minimi salariali del 35%, il pagamento della tredicesima mensilità, la retribuzione delle festività infrasettimanali e delle ferie annuali, nonchè la conferma dell'indennità di contingenza, un meccanismo di regolazione dei salari in rapporto ali' aumento del costo della vita, ( 13) S. Romano, La porwuti naturalt adagiata ntl Medittmmto. in "L"Opinione" del 28 luglio 1992.
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STORIA OELL.ESERCITO ITALJA.'ò0(1861- 1990)
accettato dagli industriali fin dal dicembre 1945 in cambio dello scioglimento dei consigli di gestione delle aziende. I dipendenti pubblici, al cui carro anche i militari erano legati per effetto della famosa legge del 1923, non avevano però nulla da cedere allo Stato in cambio di un adeguamento delle retribuzioni e lo sciopero generale della categoria, effettuato per la prima volta nell'otlobre del 1948, non raggiunse i risultati sperati: il governo, pur riconoscendo almeno in parte la validità delle richieste presentate, pose come limite alla concessione degli aumenti la difficile situazione del bilancio dello Stato. Anche lo sciopero generale dell'ottobre 1949, effettuato dopo la concessione di notevoli benefici economici ai lavoratori dell'industria, non fece cambiare parere al governo, sempre determinato a contenere la spesa pubblica. I Quadri che avevano sperato anche di ottenere un adeguamento sostanziale dell'indennità militare, di quell'indennità che in origine serviva a compensare i militari di quelle spese particolari dovute al loro particolare status e del servizio indubbiamente più gravoso e senza limiti di orario, rimasero delusi ma, educati al senso del dovere cd all'ubbidienza alle leggi dello Stato, continuarono ad impegnarsi cd a portare il loro contributo alla ricostruzione. In calce gli stipendi corrisposti nel 1945 e nel 1948, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali e l'importo della indennità militare. Gli aumenti, quasi del 300 e del 400%, non debbono trarre in inganno, erano elevati solo sul piano monetario, in termini reali rimasero molto al disotto del livello di inflazione.
GRADO Generale C.A. Generale Div. Generale Brg. Colonnello Tenente Colonnello Maggiore Capitano Tenente Sottotenente Maresciallo maggiore MarcsciaJlo capo MaresciaJlo ordinario Sergente maggiore Sergente
STIPENDIO MENSILE 1945
1948
11 .525
41.790
10.375
35.340
8.315
27.245
6.995
22.455
6.150
19.145
5.575
16.935
4.966
14.800
4.323
12.885
3.647
I 1.045
3.242
9.980
2.866
9.010
2.661
8.565
2.085
7.400
l.623
6.265
439
DALLA LIBERAZIO:,,.CE AL PATIO ATI.ANTICO
GRADO
INDENNITÀ MILITARE MENSILE 1945
1948
Generale C.A.
2.405
3.598
Generale Div.
2.015
2.696
Generale Brg.
1.805
2.634
Colonnello
1.641
2.452
Tenente Colonnello
1.431
2.120
Maggiore
1.402
2.088
Capitano
l.208
1.723
Teneme
873
1.353
Sot1otenentc
844
l.189
Maresciallo maggiore
578
702
Maresciallo capo
578
702
Maresciallo ordinario
578
702
Sergente maggiore
100
196
Sergente
71
184
I
11
I
XXI. LA CRESCITA ECCESSIVA
1. All'atto della firma del Patto ALlanLico resercito di campagna era costituito da: I divisione di fanLeria su formazione ternaria quasi completa, la Mantova; 2 divisioni di fanteria su formazione binaria complete solo negli elementi essenziali, Granatieri di Sardegna e Cremona; 2 divisioni di fanteria in fase di organizzazione iniziale, Aosta e A ve/lino; 2 divisioni di fanteria motorizzate su formazione binaria, Folgore e Legnano, quasi complete negli organici ma carenti proprio nei mezzi di trasporto; I brigata corazzata, l'Ariete, in avanzato completamento; poche unità d'artiglieria e del genio di supporto. Uno strumento operativo insufficiente alla difesa dei confini e neppure in grado di assicurare Ja copertura. Nel giro di un quinquennio l'esercilo, dimostrando di possedere grandi risorse di capacità organizzativa e di volontà realizzatrice, raggiunse e superò l'ordinamento proposto dal generale Marras nel I948, tanto che il ministro della Difesa Pacciardi nel messaggio rivolto alle forze armate il 2 giugno 1953, potè affermare con motivata soddisfazione: "( ... ) gli italiani, potranno constatare quest'anno che nella nostra storia militare non abbiamo mai avuto forze armate cos1 organizzate, così addestrate, così potenti". A quella data l'esercito di campagna contava, infatti, IO divisioni di fanteria (Aosta, Avellino, Cremona, Folgore, Friuli, Granatieri di Sardegna, Legnano, Mantova, Pinerolo e Trieste), 3 divisioni corazzate (Ariete, Centauro, Pozzuolo del Friuli), 5 brigate alpine (Cadore, Julia, Orobica, Taurinense e Tridentina) oltre ad un notevole complesso di supporti tattici e logistici, peraltro non sempre mantenuti su livelli di forza prossimi a quelli organici. L 'esigenza T (Trieste}, sorta all'improvviso verso la fine dell'estate 1953, mise alla prova l'efficienza dell'esercito ricostruito (I) e la prova fu superata. Un modesto richiamo di 3.000 specializzati e di altri 10.000 militari consentì il (I) In realtà l'esercito aveva già offcno due ortime prove di efficienza Il 14 luglio 1948 Palmiro Toglia11i fu gravememe ferito all 'uscita da Montecitorio da un fanatico es1remista. Subito nel Paese nacquero gravi disordini, specie a Genova, La Spezia, Livorno, Abbadia San salvatore. L'eserci10 dove11e in1ervenire per ruu1are le forze dell'ordine a risu1bilire la situazione. intervento che non giunse allo scontro armaio, menue u-a i carabinieri e polma le perdite furono di 7 morti e 120 feriti e tra i dimostranti di 7 moni e 86 feriti. Nel settembre 1949, in seguito alla decisione dell'ONU di assegnare all'Italia l'amministrazione fiduciaria della Somalia i1aliana per IO anni, si era reso necessario approntare immedia-
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
completamento di alcune grandi unità, tempestivamente schierate alla frontiera orientale, che si dimostrarono sufficienti a trattenere la Jugoslavia dal compiere gesti aggressivi. Da fine ottobre a fine dicembre un complesso di forze, costituito da Mantova, Folgore, Cremona, Julia, Tridentina, Cadore ed Ariete, schierato su lla frontiera permise di verificare la sol idità dei reparti, l'efficienza dell'organizzazione logistica, la rispondenza delle predisposizioni di mobilitazione. Come è noto, il contrasto italo-jugoslavo fu appianato per via diplomatica e l'atto di forza ci fu risparmiato, ma il collaudo dell'organizzazione militare fu ugualmente positivo. L'esigenza T si rivelò alla fine una grande esercitazione in bianco con le truppe, ricca di esperienze e di indicazioni nel complesso molto positive, anche per la bella prova di disciplina e di spirito di sacrificio offerta dalle truppe e per il buon grado di professionalità evidenziato dai Quadri . Il richiamo alle armi dal congedo di 294 ufficiali, 525 sottufficiali., 12.380 militari di truppa, così come il trattenimento dopo la fine della fenna di tuuo il primo scaglione della classe 1931, non dette luogo ad alcun inconveniente sia di carattere organizzativo, sia di natura sociale, segno irrefutabile che l'organizzazione militare era efficiente e che nella Nazione i valori morali erano nuovamente sentiti. 2. La rapida crescita dell'esercito nel primo quinquennio del Cinquanta fu dovuta a molte circostanze esterne, come la guerra di Corea e il crescente contrasto tra l'U.R.S.S. e gli U.S.A., contrasto tramutatosi presto in una lotta implacabile anche se non guerreggiata tra il mondo occidentale e quello orientale. Ma la ricostruzione delle forze armate italiane, in particolare dell'esercito, fu agevolata anche da un fattore interno insolito, un ministro della Difesa attivo e capace, il repubblicano Randolfo Pacciardi. Valoroso combauente nella 1• guerra mondiale e convinto antifascista, Pacciardi aveva militato nelle brigate internazionali del governo repubblicano durante la guerra civile spagnola ed aveva combattuto contro reparti italiani, fu perciò accolto all'atto della nomina con grande diffidenza da parte dei Quadri per un militare è sempre molto difficile comprendere chi impugna le armi contro il governo legittimo - ma seppe presto conquistarsi il rispetto e la stima dei vertici militari perchè dimostrò di credere che le forze armate rappresentano lo
tamente un Corpo di Sicurezza che, per quanto riguardò l'esercito, fu costituito da: 4 battaglioni mo1oblindati di fan1eria, ciascuno su compagnia comando, 3 compagnie fucilieri, I compagnia autoblindo; 3 battaglioni motoblindati carabinieri; I batteria d'artiglieria da 100/17: I compagnia genio artieri ; I compagnia gemo collegamenti, fonnaz.ioni dei servizi. Nel periodo 2 febbraio-2 aprile 1950 il Corpo di Sicurezza giunse in Somalia, iniziando subito la formazione dei primi reparti somali con la costituzione di 3 centri di addestramento. Il Corpo di Sicurezza si sciolse il 1• gennaio 1956, sostituito dall 'esercito somalo. ed a disposizione dell'Amministrazione fiduciaria rimase solo I squadrone blindo-corazzato. U I O luglio 1960 la Somalia divenne indipendente ed anche questo reparto rimpatriò .
LA CRESCITA ECCESSIVA
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strumento unico ed insostituibile per la sicurezza e per la difesa del paese, e di essere, inoltre, convinto che nell'economia generale dello Stato esse non sono meno essenziali della sanità o della scuola o della giustizia. Favorito da una lunga permanenza nell'incarico, dal 23.5.1948 al 16.7.1953, aiutato da vertici militari di grande competenza e di specchiata integrità (2>, del cui consiglio seppe avvalersi senza pregiudiziali politiche e ideologiche, Pacciardi si fece interprete delle esigenze dell'esercito nel Consiglio dei ministri, controbattendo con vigore l'opinione di molti suoi colleghi di governo. sempre troppo preoccupati di compromettere gli stanziamenti per le spese sociali e convinti che la difesa del Paese potesse meglio essere assicurata con opportune iniziative di carattere diplomatico e senza incidere sul bilancio statale. Uomo di formazione laica e risorgimentale, Pacciardi comprendeva certamente le difficoltà economiche della Nazione e condivideva la necessità di migliorare le condizioni di larga parte della popolazione, ma comprendeva anche che l'Italia non poteva affidare la propria sicurezza solo al buon volere degli alleati ed ottenne, sia pure a fatica, dal Presidente De Gasperi i mezzi necessari per realizzare uno strumento operativo valido ed affidabile. Nella storia dell'esercito italiano Randolfo Pacciardi merita dunque un posto di rilievo, perchè rappresenta l'esempio più significativo di come un ministro civile possa essere aperto alle problematiche militari e di come sia possibile mediare, tra le esigenze della difesa e le possibilità dell'economia, con equilibrio e senza aprioristiche chiusure di carattere ideologico. La ricostruzione dell'esercito, iniziata sia pure con difficoltà subito dopo la guerra, ebbe un notevole acceleramento a partire dal 1948, reso possibile sono il profilo economico dal progressivo aumento degli stanziamenti di bilancio e soprattutto dall'entità degli aiuti statunitensi. Nella tabella sottostante sono riportate le somme effettivamente spese per l'esercito nel periodo, somme che, pur rappresentando il 47% del bilancio del ministero della Difesa, furono sufficienti soltanto a coprire le spese dovute all'incremento della forza bilanciata. Furono i materiali e le armi ceduti a titolo gratuito dagli USA che consentirono di equipaggiare e di armare le nuove unità. Nello stesso periodo gli aiuti americani raggiunsero il valore di 1250 miliardi, tra aiuti diretti e commesse di vario tipo (3), quasi un raddoppio degli stanziamenti di bilancio.
(2) Il generale Marr:is ricoprì l'incarico dt capo di Stato Maggiore della Difesa dal 1° dicembre 1950 al 15 aprile 1954. Nello stesso periodo furono a capo dello Stato Maggiore dell'esercito i generali Ernesto Cappa (1 ° dicembre 1950-30 settembre 1952) e Giuseppe Pizzorno (1° ottobre 1952-11 ottobre 1954). (3) Cfr. G. Mayer. L'evoluz.io11e del bilancio della Difesa dal 1945 al 1975, in Storia delle forze armate italia11e do/la ricostruzione post-bellica alla ristrutturazione del 1975. Giuffré editore, Milano 1989.
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
STANZIAMENTI PER L'ESERCITO (carabinieri esclusi) SOMME EFFETIIVAMENTE SPESE ESPRESSE CN MILIONI *
FORZA BILANCIATA*
1947 - 1948
81.600
150.000
1948 - 1949
130.000
165.000
1949 - 1950
142.400
175.000
ANNO FINANZIARIO
1950 - 1951
176.300
195.000
1951 - 1952
214.600
220.000
1952 - 1953
249.800
230.000
1953 - 1954
232.000
230.000
1954 • 1955
213.100
235.000
1955 • 1956
223.400
247.000
1956- 1957
237.000
281.000
Dati ricavati dal volume lii, tomo I°. della Storia della dourina e degli ordinamenti dtdl'estrciro italwno. USSME. Roma 1987.
3. Alla fine del 1953 la ricostruzione dell'esercito era sostanzialmente conclusa. L'organizzazione centrale comprendeva: lo Stato Maggiore <4 >; gli Ispettorati di fanteria e cavalleria, di aniglieria con ufficio A.B.C., del genio, delle trasmissioni; i comandi dei corpi logistici e tecnici. Le forze operative erano articolate in: - nucleo comando designato 3• armata (Padova); - 5 divisioni di fanteria ternarie: Mantova (Udine), Cremona (Torino), Friuli (Firenze), Granatieri di Sardegna (Roma), Aosta (Messina), ciascuna su 3 reggimenti di fanteria, I reggimento di artiglieria su 3 gruppi da campagna, I gruppo pesante campale ed I gruppo contraerei leggero, I battaglione genio pionieri, I battaglione trasmissioni, formazioni dei servizi; - 3 divisioni di fanteria motorizzata binarie: Legnano (Bergamo), Folgore (Treviso), Trieste (Bologna), ciascuna su 2 reggimenti di fanteria, l reggimento di artiglieria su 2 gruppi da campagna, I pesante campale, 1 contraerei leggero, I battaglione genio pionieri, I battaglione trasmissioni, formazioni dei servizi; 2 divisioni di fanteria binarie ad "organico contratto": Avellino (Salerno) e Pinerolo (Bari), ciascuna su 2 reggimenti di fanteria su 2 battaglio-
(4) L'articolazione dello Staio Maggiore dell'esercito era la seguente: - capo di Stato Maggiore con relativo ufficio; - sonocapo di Stato Maggiore con relativa segretenn; - I reparto su 4 uffici: operazioni. addcstr.unento. telecomunicazioni. s1orico: - Il reparto su 5 uffici: ordinamento. servi1i, trasponi. ricerche e studi . statistica; - servizio infonnaz.ioni operativo e sicurezza (SIOS); - uffici personale, amministrazione e rivisui militare.
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ni, I reggimento d'artiglieria su 2 gruppi da campagna, I compagnia genio pionieri, I compagnia trasmissioni, formazioni dei servizi; - 3 divisioni coraZLate: Ariete (Pordenone), Centauro (Verona), Pouuolo del Friuli (Civitavecchia), ciascuna su I reggimento carri, I reggimento bersaglieri, I reggimento di artiglieria semovente, I battaglione genio, I battaglione trasmissioni, formazioni dei servizi; - 5 brigate alpine: Julia (Ud ine), Cadore (Belluno), Tridentina (Bressanone), Orobica (Merano), Taurinense (Torino), ciascuna su l reggimento alpini, I reggimento di artiglieria da montagna, I compagnia genio pionieri, I compagnia trasmissioni, formazioni dei servizi; - Reparù non indi visionati: • I comando Forze Lagunari su 3 battaglioni, Marghera, Piave (Venezia) e San Marco (Villa Vicentina), costituito quest'ultimo da personale di truppa della marina; • I reggimento di fanteria autonomo, 60° Calabria (Cagliari); • 4 raggruppamenti di frontiera: I I O (Tolmezzo), 12° (San Candido), 21 ° (Paluzza), 22° (Vipiteno) e 1 battaglione da posizione (Palmanova); • 3 battaglioni carri di supporto: CI, CIV, CVI; • 7 reggimenti di cavalleria blindata: l O Nizza Cavalleria (Pinerolo), 2° Piemonte Cavalleria (Firenze), 3° Gorizia Cavalleria (Milano), 4° Genova Cavalleria (Palmanova), 5° lancieri di Novara (Codroipo), 6° lancieri di Aosta (Reggio Emilia), go Lancieri di Montebello (Roma); • 3 reggimenti di artiglieria semovente controcarri: reggimento a cavallo (Milano), 35° (Rimini), 155° (Udine); • 7 reggimenti di artiglieria pesante campale: 3° (Vicenza), 4° (Trento), 6° (Piacenza), go (Viterbo), 22° (Palermo), 27° (Udine), 41 ° (Padova); • 2 reggimenti di artiglieria pesante: 9° (Trento), 52° (Alessandria); • 4 gruppi mortai pesanti; • 4 raggruppamenti di artiglieria contraerei: I O (Anzio), 2° (Savona), 3° (Bologna), 17° (Novara); • 7 reggimenti di artiglieria contraerei : I O (Albenga), 2° (Mantova), 3° (Pisa), 4° (Riva del Garda), 5° (Mestre), 18° (Foligno), 121° (Bologna); • 4 raggruppamenti genio di corpo d'armata: I O (Civitavecchia), 2° (Bolzano), 4° e 5° (Udine); • I battaglione genio pontieri (Piacenza); • I battaglione genio ferrovieri (Bologna); • 2 battaglioni trasmissioni di corpo d'armata. L'organizzazione territoriale era incentrata sui comandi militari territoriali, distinti nei tipi A, B e C a seconda della rilevanza strategica del territorio di giurisdizione. All'interno dei comandi militari territoriali erano state istituite, come organi demoltiplicatori, le zone militari. li territorio nazionale era quindi suddiviso tra: - 6 comandi militari territoriali di tipo A: I (Torino), V (Padova), VII (Firenze), VIII (Roma), X (Napoli,) e XII (Palermo);
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STORIA DEI.L"ESERCTTO ITALIANO (1861 - 1990)
- 2 comandi militari territoriali di tipo B: III (Milano) e VI (Bologna);
- 3 comandi militari territoriali di tipo C: II (Genova), IV (Bolzano) e XI (Bari); - 14 comandi militari di zona: 1• a Novara, 21 a Milano, 31 a Brescia, 4• a Verona, 5" a Treviso, 61 a Panna, 71 a Bologna, 81 a Firenze, IO" a L'Aquila, 11• a Roma, 14• a Foggia, 15" a Cosenza, J6' a Catania, 20" a Livorno. Ogni comando militare territoriale generalmente aveva alle dipendenze 1 compagnia trasmissioni, I centro autieri, I autoreparto territoriale, l officina riparazioni automobilistiche, I direzione di artiglieria, 1 direzione lavori , I tribunale militare, un numero vario di distretti militari e un gran numero di enti vari: ospedali militari, infermerie presidiarie, infermerie quadrupedi, depositi, magazzini, frazioni di magazzino, polveriere, parchi autoveicoli, ecc. ecc. che costituivano un pesante lascito dell'esercito prebellico. Esistevano, inoltre, 4 battaglioni fucilieri autonomi per espletare il servizio di guardia alle polveriere ed ai depositi di materiale sensibile: il CI a Monza, il CIII a Verona, il CIV a Mestre ed il CXV a Torino. A Cagliari, infine, era costituito il comando militare della Sardegna. Per quanto non priva di compiti operativi, nell'organizzazione territoriale era compresa anche l'arma dei carabinieri , nel dopoguerra molto accresciuta tanto che l'organico stabilito nel 1947 prevedeva 16.300 sottufficiali e 56.938 appuntati e carabinieri. L'arma benemerita si articolava nel comando generale (Roma), in 3 comandi di divisione, Pastrengo (Milano), Podgora (Roma) e Ogaden (Napoli), in 6 comandi di brigata, in 2 legioni allievi, 21 legioni territoriali, 12 battaglioni mobili, l gruppo squadroni, 1 compagnia Guardie del Presidente della Repubblica, 1 banda musicale. I carabinieri disponevano anche di una specifica organizzazione scolastica, la Scuola Ufficiali (Roma) e la Scuola Sottufficiali (Firenze). Infine l' organizzazione scolastico-addestrativa, comprendente: - un primo gruppo di istituti scolastici per il reclutamento, la formazione ed il perfezionamento degli ufficiali in servizio permanente effettivo: Scuola Militare Nunziatella (Napoli), Accademia Militare (Modena), Scuole d'Applicazione d'arma (Torino), Scuola di Guerra (Civitavecchia); - le scuole d ' arma, che provvedevano anche alla formazione degli ufficiali e dei sottufficiali di complemento: Scuola di Fanteria (Cesano), Scuola Militare Alpina (Aosta), Scuola Truppe Corazzate (Caserta), Scuola di Artiglieria (Bracciano), Scuola di Artiglieria contraerea (Sabaudia), Scuola del Genio (Roma), Scuola delle Trasmissioni (Roma); - la Scuola Allievi Sottufficiali (Spoleto) e la Scuola Allievi Sottufficiali Specializzati (Rieti,); - le scuole di specialiLZazione per i militari di truppa: Scuola specializzati truppe corazzate (Lecce), Scuola elettromeccanici di artiglieria contraerei (Roma), Scuola specializzati delle trasmissioni (San Giorgio a Cremano), Scuola specializzati della motorizzazione (Roma); - i Centri Addestramento Reclute: l O a Casale, 2° a Fossano, 3° a Brescia, 4° a Verona, 5° a Treviso, 6° a Pesaro, 7° a Siena, 8° ad Orvieto, 9° a Bari, 10°
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ad A velli no, 11 ° a Palcnno; - gli istituti scolastici per i servizi logistici, che provvedevano alla formazione del personale in servizio pennanente e di complemento: Scuola di Sanità (Firenze), Accademia de i Servizi di Commissariato e di Amministrazione (Maddaloni), Scuola di Applicazione del Servizio Automobilistico (Roma), Scuola del Servizio Veterinario (Pinerolo); - gli istituti scolastici che svolgevano corsi specifici di perfezionamento sia al personale di carriera sia a quello di complemento: Scuola Militare di Educazione Fisica (Orvieto), Scuola Militare di Equitazione (Montelibretti), Scuola Militare di Paracadutismo (Pisa); - alcune scuole interforze, dipendenti dallo Stato Maggiore Difesa: Centro Alti Studi Militari, istituito a Roma fin dal 1949 al fine di "promuovere l'attività di studio, stimolando aperta, libera, coordinata e responsabile collaborazione di pensiero" all'insegna di un "moderno spirito interforze e dell"'intima integrazione di tutte le componenti civili e militari" della difesa nazionale, Scuola Telecomunicazioni (Chiavari), Scuola per la difesa N.B.C. (Roma), Scuola di Aerocooperazione (Guidonia), l'Istituto Stati Maggiori Interforze (Roma). Alla metà degli anni Cinquanta l'esercito era dunque uno strumento operativo di buona efficienza complessiva, anche se un po' squilibrato nelle sue varie componenti: eccessivo numero di unità di fanteria ed alpine, non abbondanti quelle corazzate, ridotto il parco autoveicoli, insufficiente la difesa contraerei. L 'armamento cd i materiali in dotazione erano, nel complesso adeguati cd in linea con quelli degli altri eserciti della coalizione: fucili Garand e carabine Winchester, fuc ili mitragliatori BAR, obici da I05n2 e da 155n3, semoventi M36, M7 e M44, carri armati Sherman e Patton. Tuttavia era già possibile individuare il tarlo che negli anni seguenti avrebbe, poco alla volta, eroso il potenziale dell'esercito ed il Maresciallo Messe, ormai senatore e fuori dall 'esercito ma sempre osservatore attento e competente dei problemi militari, in un suo intervento al Senato segnalò, infatti, l'intelaiatura troppo vasta assunta dall'esercito in relazione all'entità della forza bi lanciata che gli stanziamenti per la difesa consenti vano. L 'anziano Maresciallo aveva colpito nel segno, in effetti poichè g li U.S.A. commisuravano l'entità degli aiuti al numero delle unità costituite, lo Stato Maggiore per realizzare subito l'ordinamento previsto aveva ritenuto di poter temporaneamente ridurre il livello organico delle unità, specie di quelle non destinate alla difesa di IO tempo, fiducioso che, appena la situazione generale delle finanze statali lo avesse consentito, un congruo aumento della forza bilanciata avrebbe riportato le unità ad un adeguato livello di forza. E' necessario considerare poi che se oggi possiamo giudicare eccessiva la struttura ordinativa assunta dall'esercito in quel periodo, all'epoca i responsabili della politica militare non possedevano ceno elementi di valutazione tali da consigliare un esercito di dimensioni ridotte. Il mezzo secolo di pace che l'Alleanza Atlantica ha garantito era ali' epoca un auspicio, non una certezza.
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STORIA DELL"ESERCITO ITAUAN0 (1861 · 1990)
La situazione politica internazionale dei primi anni Cinquanta - dominata dalla guerra di Corea, dall'acuirsi del contrasto tra i paesi occidentali e quelli orientali, dalla tensione dei rapporti italo-jugoslavi - non lasciava certo presagire un avvenire di pace e la preoccupazione dei nostri vertici politico-militari di creare uno strumento operativo in grado di resistere ad un aggressione, almeno per il tempo necessario all'arrivo dei rinforzi da oltre oceano, deve essere compresa e giudicata positivamente. Motivare lo sviluppo eccessivo dell'esercito con la volontà dei vertici militari di soddisfare da un lato interessi corporativi e dall'altro interessi industriali e di equilibrio interno, come ha cercato di fare qualche autore, costituisce un grossolano tentativo di voluta alterazione della verità al quale uno storico, anche di formazione marxista e politicamente schierato, non avrebbe mai dovuto prestarsi. La dislocazione delle grandi unità e dei reparti di supporto indica, del resto, molto chiaramente la preoccupazione dello Stato Maggiore per la difesa del confine orientale e la soluzione adottata, di conseguenza, per risolvere il problema operativo: difesa avanzata da condurre ad oltranza, non disponendo l'Italia nè di spazio da cedere senza traumi nè di forze sufficienti per reiterare la manovra difensiva. La facile ironia sulla soglia di Gorizia, paragonata spesso alla fortezza Bastiani di buzzattiana memoria, costituisce soltanto un segno di cattivo gusto. 4. Nella prima metà degli anni Cinquanta Governo e Parlamento completarono l'organizzazione di vertice delle forze armate, senza però risolvere compiutamente il problema del loro comando effettivo sia per il tempo di pace sia per il tempo di guerra. Il IO gennaio 1948 era entrata in vigore la nuova Costituzione <5) che sostituiva lo Statuto albertino e che, quindi, imponeva un adeguamento del vertice della difesa. Il 28 luglio 1950, con legge n°524, fu istituito il Consiglio Supremo di Difesa, organismo appunto previsto dal dettato costituzionale. Presieduto dal Capo dello Stato, il consiglio include il Presidente del Consiglio (vicepresidente), i ministri della Difesa, degli Esteri, degli Interni, (5) Le principali indicazioni contenute dalla carta costituzionale in fauo di difesa sono le seguenti: l'Ital ia ·'ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli ahri popoli e di regolamento delle controversie internazionali"'. e consente, a parità con le altre naz10ni. alle limitazioni di sovranità necessarie per lo stabilimenlo di un giusto e pacifico assetto internazionale (art. I I). Tuttavia, la difesa del proprio paese è un "sacro dovere" del cinadino. li servizio militare è obbligatorio, nei modi e limiti stabiliti dalla legge, e non pregiudica i diritti politici e la posizione di lavoro dei coscritti. I regolamenti militari si informano allo spirilo democratico della Repubblica (art. 52). li Parlamento è competente per deliberare lo stato di guerra e conferire al Governo i poteri necessari (art. 78) e per ratificare con legge i principali accordi interna.donali (art. 80). In base all'art. 87, nono comma. il Presidente della Repubblica ha "il comando delle Forze Armate e la presidenza del Consiglio Supremo di Difesa istituito con legge, e può dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere"
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del Tesoro, dell'Industria e Commercio e il Capo dello Stato Maggiore della Difesa. Il ministro del Bilancio e della Programmazione Economica vi è stato successivamente incluso dall'art. 4 della Legge 27 febbraio 1967 n°48. A discrezione del Presidente, altri ministri possono essere convocati, così come i Capi di Stato Maggiore dell'esercito, marina e aeronautica, gli alti comandanti militari, i presidenti del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell'Istituto Centrale di Statistica, e di altri corpi consultivi, compresi quelli dell 'amministrazione della difesa, i rappresentanti di organizzazioni partigiane, ed esperti scientifici, industriali, economici e militari. Il Consiglio deve riunirsi, a termini di legge, due volte l'anno in seduta ordinaria, con l'assistenza di una segreteria permanente. Benchè costituito per discutere tutte le questioni relative alla difesa nazionale e alla politica militare, il Consiglio è, tutta via, privo di ogni reale potere di direzione e controllo, a causa dell'irresponsabilità politica del suo presidente. In realtà il Consiglio non ha mai veramente funzionato e la politica militare italiana è stata gestita dalla Presidenza del Consiglio, con l'esclusione di qualunque autorità militare da ogni attività non solo decisionale ma anche tecnico-consultiva. Situazione indubbiamente paradossale che ha provocato non poche lacerazioni tra militari e politici e che è, almeno in parte, responsabile della mancata attuazione di una realistica e credibile politica nazionale di difesa. Alcuni mesi dopo, con legge n°16 del 9.1.1951, fu istituito il Consiglio Superiore delle Forze Armate, sostitutivo dei Consigli dell'esercito, della Marina e dell'aeronautica previsti dalla legislazione prebellica. Articolato nelle sezioni esercito, marina e aeronautica, il Consiglio è presieduto da un gruppo di tre ufficiali generali, uno per ciascuna forza armata, di grado e anzianità più e levata fra quelli che non ricoprono la posizione di ministro, sottosegretario di Stato, capo di Stato Maggiore o segretario generale. Questi generali sono i presidenti delle rispettive sezioni. Ciascuna sezione comprende, con funzioni di vicepresidente, il generale o ammiraglio più elevato in grado o più anziano immediatamente dopo il presidente, quattro membri ordinari, cioè il capo di Stato Maggiore della forza armata (eventualmente rappresentato dal suo sottocapo), e tre ufficiali o dirigenti civili con funzioni di relatori sulle questioni militari, tecniche e amministrative. Il ministro, i sottosegretari di Stato e il capo di Stato Maggiore della Difesa hanno il diritto di partecipare alle riunioni del Consiglio. La legge dispone circa gli ufficiali e i dirigenti civili che possono essere chiamati come consulenti o membri straordinari. Vi sono sessioni plenarie o di sezione, in base agli argomenti in discussione. Il Consiglio fornisce pareri necessari ma non vincolanti al ministro sulle principali questioni relative alla struttura e prontezza operativa delle forze armate, alla disciplina militare, al reclutamento, avanzamento, stato giuridico, retribuzioni del personale, agli approvvigionamenti di armi e materiali, ai pro-
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grammi di finanziamento e alle clausole militari da inserire nei trattati internazionali. Le decisioni sono prese a maggioranza, e in caso di parità prevale il voto del presidente. Il Consiglio dovrebbe essere un corpo consultivo indipendente, in grado di controbilanciare la consulenza e l' attività delle amministrazioni e degli Stati Maggiori. In realtà la limitata indipendenza dei tre presidenti e dei tre vicepresidenti (che si alternano molto rapidamente dati i limiti di età e sono privi di propri organi di studio), diminuisce notevolmente la reale importanza dell'organo. Anche il Consiglio Superiore di fatto è stato molto spesso "dimenticato" dal ministro, che non si è fatto scrupolo di ignorarne il parere, in molti casi nemmeno richiesto in palese violazione di una legge dello Stato. 5. Entrare a far parte di un organismo militare plurinazionale ed integrato rappresentò per l'esercito italiano un avvenimento senza dubbio positivo (6), non per questo privo di delicate e numerose implicazioni di carattere dottrinale, operativo ed organizzativo. Pur conservando natura e caratteristiche nazionali l'esercito dovette adeguare mentalità e consolidate modalità procedurali a quelle, tipicamente anglosassoni, in uso nell' organizzazione NATO, nell'ambito della quale sarebbe stato chiamato ad operare in guerra. Il primo problema che lo Stato Maggiore dovette risolvere fu la divisione delle competenze tra la gerarchia nazionale e quella NATO, rappresentata per l'Italia dal Comando delle forze terrestri del Sud Europa (F.T.A.S.E.), con sede a Verona ed affidato ad un generale italiano, alle dipendenze del Comandante delle forze alleate del Sud Europa (CINCSOUTH) generale americano con sede a Napoli, a sua volta dipendente dal Comando supremo alleato in Europa (SACEUR) con sede a Parigi e, successivamente, quando la Francia uscirà dall'organizzazione militare della NATO, a Casteau in Belgio. In appendice al capitolo un sintetico cenno sull'organizzazione militare del Patto Atlantico. Le grandi unità italiane assegnate alla NATO conservarono la dipendenza di comando dalla gerarchia italiana, mentre la pianificazione del loro impiego doveva essere concordata con le autorità NATO, alle quali competeva anche la direzione ed il controllo dell'attività addestrati va diretta a sperimentare la rispondenza della pianificazione. Più laboriosa fu l' integrazione dottrinale. Nei primi mesi dopo l'adesione italiana al Patto Atlantico, lo Stato Maggiore aveva completato la diramazione (6) Con nota dell'8 dicembre 1951 il governo italiano richiese a tutù i Paesi fim1atari del Trattato di pace di acconsentire all'abrogazione delle clausole militari. La Jugoslavia e l'URSS subordinarono il loro assenso all'uscita dell'Italia dalla N.A.T.O., condizione che non fu accettata. Sicuro dell'appoggio delle nazioni facenti parte dell'alleanza, il governo italiano proclamò la decadenza delle clausole e, con altra nota dell'8 febbraio I 952, rese nota ufficialmente la sua intenzione di riarmare al di là dei limiti posti dal trattato.
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delle circolari dottrinali della serie 2000, con le circolari 2400, Lineamenti d'impiego del battaglione di fanteria, e 2600, Lineamenti d'impiego della divisione di fanteria. Alla serie 2000 si era sovrapposta la serie 3000, comprendente la circolare 3000, Organiz,z,azione difensiva, del 1 giugno 1948, e la circolare 3100, La difesa su ampie fronti, dal 15 luglio 1950, circolari elaborate sulla base delle esperienze fatte nella seconda guerra mondiale e della modesta consistenza dello strumento operativo disponibile. La circolare 3000 sanciva ufficialmente l'organizzazione difensiva attuata ad El Alamein, impostata sulla cooperazione tra i caposaldi, sullo schieramento prioritario delle armi controcarro, sull'estensione e sulla profondità del campo minato. La circolare 3100, evidentemente "calibrata" sulle ridotte dimensioni . dell 'esercito di transizione, riservava la difesa organizzata tipo 3000 soltanto a quelle aree che sbarravano le direttrici più pericolose, adottando per il resto del territorio una forma di difesa più mobile, incentrata sulla difesa statica di poche posizioni vitali e su una larga manovra delle riserve, incaricate di attuare contrattacchi risolutivi. L'inserimento dell'esercito italiano in un complesso di forze plurinazionali, che disponeva anche dell'ordigno nucleare, mutò sostanzialmente i termini del problema operativo. La strategia adottata dall 'alleanza, comunemente conosciuta come strategia della rappresaglia massiccia, prevedeva che qualunque aggressione armata contro la NATO avrebbe determinato una immediata reazione nucleare. Le forze convenzionali riducevano il loro ruolo a quello di campanello d'allarme per fare scattare la reazione nucleare, di cui avrebbero poi sfruttato gli effetti. Sulla base di tale impostazione strategica, lo Stato Maggiore elaborò la dottrina "600", la prima dottrina in ambito NATO ad esaminare l'impiego del fuoco nucleare in campo tattico, inteso come concentrazione di eccezionale potenza esplosiva nel tempo e nello spazio. Sperimentata nel!' estate 1956 con la grande esercitazione con le truppe Monte Bianco, nell'aprile 1958 vide la luce la pubblicazione n°600 deJle serie dottrinale, Memoria sull'azione difensiva in terreni di pianura e collinosi con l'impiego di am1i atomiche, alla quale fecero seguito le pubblicazioni n°610, relativa alla battaglia difensiva in terreni montani, e n°620, Memoria sull 'azione offensiva in terreni di pianura e collinosi con l'impiego di armi atomiche, rispettivamente sperimentate prima della diramazione con le esercitazioni Latemar e Freccia Az,z,urra nel 1957 e nel 1958. Il concetto g uida della 600 era la necessità di dilatare il dispositivo di difesa, nel senso della fronte ed in quello della profondità, a causa dell'immanenza dell' impiego dell' arma nucleare tattica, alla quale sarebbe stato esiziale offrire un obiettivo remunerativo. Le strutture statiche dovevano perciò diradarsi sul terreno ed assumere la funzione di perni di manovra, lasciando quella risolutiva alle reazioni manovrate, da effettuarsi sui fianchi delle penetrazioni avversarie con il supporto detenninante del fuoco nucleare. Coerentemente con
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tale visione del campo di battaglia, la divisione di fanteria si schierava nella posizione di resistenza, articolandosi in lre settori di raggruppamento, su una fronte ampia 15 km circa e profonda circa 20, dove investiva sul terreno i caposaldi di battaglione non cooperanti su 3 ordini, di cui l' ultimo, arretrato, assumeva le funzioni di posizione di contenimento. Il caposaldo di battaglione (perimetro 6000 m, diametro 2000 m, superficie d'investimento 300 ha) si articolava, in genere, in caposaldi minori di compagnia (perimetro 1200 - 1500 m, diametro 400 - 500 m, superficie di investimento 15 - 20 ha). Al bisogno di maggiore elasticità del sistema rispetto al passato concorrevano: l'approntamento di caposaldi predisposti da presidiare a ragione veduta; la manovra dei presidi dei caposaldi attuata per presidiare un caposaldo predisposto, o rinforzare o sostituire un caposaldo colpito da offesa nucleare, o sviluppare contrattacchi a breve raggio, o concorrere al contrattacco divisionale; l'attivazione delle cortine mediante l'impiego delle compagnie meccanizzate, di pattuglie di combattimento, di gruppi mobili d'arresto, di posti di osservazione ed allarme. La necessità di maggiore reattività era soddisfatta mediante i contrassalti, nell'ambito del caposaldo e del gruppo di caposaldi e i contrattacchi della riserva divisionale e di quella di corpo d'armata. Il sistema difensivo delineato dalla 600 rispondeva all'ipotesi di un'aggressione improvvisa ed era sufficientemente elastico e reattivo in un ambiente di limitata disponibilità nucleare. La pubblicazione 610 adattava le modalità difensive della 600 all ' ambiente montano ed accennava all'impiego di mine nucleari, per lo sbarramento delle valli. Di contenuto molto più innovativo la 620. La possibilità di sostituire, almeno negli sforzi principali, l'azione di rottura delle forze convenzionali con la potenza annientatrice del fuoco nucleare e lo sfruttamento di questo, per la penetrazione in profondità, da parte di unità corazzate e meccanizzate - binomio carri-bersaglieri - conferivano alla battaglia offensiva della 620 un coefficiente di celerità di progressione assolutamente sconosciuto nel passato. La "tattica della botta diritta" ampliava ora, diversamente che nel passato, le possibilità delle combinazioni manovrate, rese appunto possibili dal nuovo binomio fuoco nucleare-unità corazzate. La pubblicazione riconosceva quindi ai comandanti ampia libertà di azione nella costituzione dei dispositivi e nella scelta delle modalità operative, anche se la battaglia offensiva continuava ad essere scandita nelle fasi classiche della rottura, del completamento e dello sfruttamento del successo. La grande rivoluzione dottrinale, ufficialmente sancita dalle pubblicazioni della serie 600, non interruppe il normale lavoro di revisione e di rinnovamento di tutta la regolamentazione d'impiego e di servizio. Obiettivi limiti di spazio non consentono nemmeno la semplice elencazione di tutte le pubbli-
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cazioni, tattiche e tecniche diramate nel periodo in esame, tuttavia tre pubblicazioni, per la loro particolare rilevanza, richiedono almeno un cenno informativo. Nel 1955 vide la luce la pubblicazione n°6300, Norme generali per l'organizzazione logistica ed il funzionamento dei servizi in guerra che, sebbene non considerasse ancora l'incidenza del fattore nucleare, segnò un decisivo passo in avanti nella risoluzione del problema logistico. La 6300 prevedeva un'organizzazione logistica per materia, affidata a 13 servizi di campagna sanità, commissariato, armi e munizioni, trasmissioni, genio, lavori ponti e strade, motorizzazione, A.B.C., veterinaria e rimonta, trasporti, tappe, postale e telegrafico, amministrazione -, divenuti poi 14 quando nel 1958 si aggiunse quello delle onoranze ai caduti in guerra. Ai fini logistici la 6300 suddivideva il territorio in zona delle operazioni ed in zona territoriale. Nella prima agiva l'esercito di campagna ed era suddivisa in ulteriori partizioni: dall'avanti ali' indietro si distinguevano la zona dei servizi di l I schiera, la zona avanzata dei servizi d'intendenza, la zona arretrata dei servizi d'intendenza. Nella seconda erano dislocati gli organi dei servizi territoriali, stabilimenti ed opifici, che costituivano la base dei rifornimenti e degli sgomberi. L'attività generale dei servizi era suddivisa in gradi, corrispondenti ad unità di vario Iivello: l O grado, battaglione autonomo e reggimento; 2° grado, brigata, divisione e corpo d'armata; 3° grado armata e scacchiere operativo, 4° grado, organi territoriali. Questi quattro gradi costituivano gli anelli della catena funzionale logistica. Nel 1958 la pubblicazione n°630, Memoria orientativa sui riflessi logistici dell'impiego dell'arma atomica, completò la serie dottrinale 600 e delineò i criteri organizzativi e le modalità di azione per adeguare sia l'organizzazione logistica nel suo complesso sia i singoli servizi ali' ambiente atomico che "accresce le esigenze da soddisfare, impone maggiori consumi riducendo in contrapposto la disponibilità di risorse, rende più complessi i compiti dell'organizzazione, ne accentua le difficoltà di funzionamento. Di qui l'esaltazione dei tradizionali principi della sicurezza, della flessibilità, della mobilità ed un maggiore ricorso al frazionamento delle risorse. In appendice alla pubblicazione erano poi enunciate le linee direttive per attuare l'organizzazione di emergenza di zone eccezionalmente danneggiate, l'O.E.Z.E.D. Altra pubblicazione di notevole rilievo fu la 9/R, L'addestramento militare, suddivisa in due volumi Organizzazione dell'addestramento dei quadri e delle truppe presso i corpi e Tecnica addestrativa, diramata nel 1957. Per quanto riguardava l'addestramento della truppa la circolare prescriveva l'attuazione di tre cicli addestrativi strettamente interdipendenti, rispettivamente a carattere tecnico, tecnico-tattico, tattico. Per il I ed il II ciclo, che avevano per scopo la formazione del combattente individuale e dell ' unità elementare di impiego, i programmi di addestramento erano centralizzati dallo Stato Maggiore ed assicuravano uniformità di indirizzi e di livello addestrativo omo-
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO ( 1861 • 1990)
genei per tutte le unità dell'esercito. Per il III ciclo - finalizzato all'impiego delle unità fondamentali, in cooperazione ed in tutti gli ambienti operativi e, quindi, rivolto soprattutto ali' addestramento dei Quadri ad impostare e risolvere problemi di coordinamento e di cooperazione - l'organizzazione dell'addestramento era soltanto delineata in quanto troppo legata alle situazioni locali in fatto di disponibilità di terreni addestrativi, livelli di forza, possibilità di autotrasporto, ecc. La 9/A, inoltre, nella sua seconda parte indicava con precisione compiti, attribuzioni e responsabilità dei comandanti ai vari livelli per quanto riguardava l'addestramento, definiva il metodo per la risoluzione dei problemi addestrativi, i criteri di massima da seguire per l'impiego del personale istruttore e delle attrezzature didattiche e per il controllo dell'attività addestrativa. Nel 1956 vide poi la luce il Nomenclatore organico-tattico logistico, strumento di lavoro .indispensabile per comprendere con precisione il significato della terminologia usata nelle nuove pubblicazioni e per facilitare l'adozione di un linguaggio corretto e comune durante le esercitazioni. 6. Nel biennio 1954-1955 videro anche la luce tre provvedimenti legislativi fondamentali per le forze armate a coronamento, almeno per l'esercito, di un periodo di eccezionale fervore: la legge n°1 l3 del 10 aprile 1954 riguardante lo stato giuridico degli ufficiali, la legge n°599 del 31 luglio 1954 che disciplinava lo stato giuridico dei sottufficiali e, infine, la legge n° 1137 dell' li novembre I955 relativa alla legge d'avanzamento degli ufficiali. Tre leggi, finalmente interforze, che dettero certezza giuridica e precisa rispondenza amministrativa a tante legittime aspettative del personale, peraltro ancora una volta deluso per quanto riguardava l'aspetto economico. Tutte e tre le leggi si valsero del contributo di pensiero e di esperienza del ,generale e senatore Cadorna, che ne fu il relatore al Senato, dopo averne seguito con costante attenzione il tormentato iter parlamentare. Dal resoconto della seduta della commissione Difesa del Senato del 7 ottobre 1954, nella quale si esaminava il progetto di legge sull'avanzamento degli ufficiali, si riportano due brevi ma significativi passi dell'intervento di. Cadoma: "( ... ) Il punto debole di tutte le leggi di avanzamento sta nel contrasto fra le esigenze funzionali delle Forze Armate e la necessità di tutelare un minimo di interessi dei singoli ufficiali. ( ...). A questo duplice interesse dobbiamo mirare con la legge che è al nostro esame. Infatti noi dobbiamo approvare una legge che consolidi l'efficienza delle Forze Armate e che, nello stesso tempo,non porti disagio al personale perchè l'alto morale dei Quadri è condizione sine qua non per il miglior funzionamento del nostro apparato militare". La nuova legge d'avanzamento fu basata su tre principi fondamentali: permanenza nel grado stabilizzata, avanzamento a scelta nei gradi di maggiore, colonnello, generale e avanzamento ad anzianità per quelli di tenente, capitano e tenente colonnello; promozioni annuali in numero fisso per i gradi per cui l'avanzamento era a scelta. Un sistema di avanzamento denominato normalizz.ato in
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quanto tendeva a mantenere costante il ritmo delle promozioni, eliminando quei ritardi e quelle accelerazioni che avevano spesso stravolto la carriera di molti ufficiali. Per assicurare un giusto equilibrio tra le necessità dell'amministrazione, un numero ristretto di colonnelli e generali molto selezionati, e le legittime aspettative del corpo ufficiali, la sicurezza di raggiungere un grado tale da consentire un trattamento pensionistico dignitoso, la legge istituì il meccanismo del soprannumero, temperato peraltro dalla ripetitività della valutazione, per il quale l'ufficiale non prescelto per la promozione al grado superiore ma riconosciuto idoneo rimaneva in servizio fino al raggiungimento dei limiti di età e poteva essere promosso dopo tre valutazioni annuali al grado superiore nella nuova posizione giuridica di servizio permanente a disposizione, con limiti di età e con trattamento economico perfettamente identici a quelli spettanti ai colleghi promossi in servizio pennanente effettivo. La legge prevedeva, inoltre, la frequenza obbligatoria di appositi corsi valutativi di aggiornamento professionale per gli ufficiali in valutazione per la promozione a maggiore ed a colonnello, svolti rispettivamente presso le scuole d'arma e presso la Scuola di Guerra. Per coloro che si classificavano nel primo decimo della graduatoria erano previsti vantaggi di carriera, beneficio che rispondeva al criterio di accelerare la carriera degli elementi più dotati. Nel complesso una buona legge di avanzamento, armonica e rispondente allo scopo per cui era nata: dare all'esercito Quadri preparati e capaci attraverso un meccanismo selettivo rigoroso e giustamente elitario, ma privo di ingiustificate penalizzazioni. Purtroppo alla legge non seguì il pur necessario regolamento d'attuazione e le commissioni di avanzamento procedettero alla valutazione dei Quadri sulla base di criteri sempre nuovi e sempre diversi, privilegiando un anno il servizio prestato all'estero e l'anno successivo quello svolto in Italia, attribuendo un valore elevato ai periodi di comando effettuati da un certo candidato e negandolo a quelli di un altro, valutando il possesso di una laurea come un segno positivo di intelligenza e di volontà oppure come l'indizio certo di uno scarso attaccamento alle istituzioni, a seconda delle personali inclinazioni dei membri più influenti della commissione. Con il passare degli anni la legge di avanzamento fu poi addirittura stravolta da una successione caotica di modifiche, adottate quasi sempre per favorire gli amici degli amici e virtuosamente motivate dal legislatore con la necessità "di venire incontro alle giuste esigenze" di questo o di quel gruppo di postulanti. Oggi, 1994, i I corpo ufficiali ancora allende, dopo anni di studi, di progetti, di proposte, di buoni propositi, che il Parlamento approvi finalmente una nuova legge, possibilmente accompagnata dal regolamento d'attuazione! Di seguito le tabelle con i volumi organici del corpo ufficiali previsti dalla legge n°1137 del I 955.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
UFFICIALI GENERALI GRADO
Carabinieri Varie armi
Servizi tecnici e logistici
Generale C.A.
-
21
-
Generale Div. (Tcn.Generale)
4
34
5
Generale Brg. (Mag. Generale)
10
86
15
Note I tenente generale per eiascuno dei seguenti servizi: tecnico di artiglieria, tecnico della motorizzazione, automobilistico, sanitario, commissariato.
UFFICIALI DELLE V ARIE ARMI GRADO
Carabinieri
Fanteria
Colonnello Tenente colonnello Maggiore Capitano Subalterni
30 134 159 514 581
225 586 1001 2001 1791
Cavalleria Artiglieria
21 56 94 190 170
120 302 557 1179 1073
Genio
60 155 264 539 479
UFFICIALI DEI SERVIZI LOGISTICI GRADO
SANITÀ
COMMISSARIATO
Medici Farmacisti Commissari Sussist.
Colonnello Tenente colonnello Maggiore Capitano Subalterni
34 153 191 416 252
2 12 20 40 26
16 40 70 142
57
1 12 24 92 57
Automo- Ammini- Veterinario bilistico strazione
18 75 160 316 260
13 75 155 393 230
2 IO
19 36 24
UFFICIALI DEI SERVIZI TECNICI GRADO
D'ARTIGLIERIA
DELLA MOTORIZZAZIONE
Colonnello
IO
10
Altri gradi
77
66
7. Negli stessi anni in cui l'esercito completava la ricostruzione iniziata al tennine della guerra, l'Italia cambiava volto e si trasformava da paese prevalentemente agricolo in paese industriale, grazie ad uno sviluppo economico
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LA CRESCITA ECCESSfV A
molto intenso, anche se disordinato e sbilanciato: mentre la crescita della produzione industriale sfiorò il 10% annuo, l'agricoltura dovette accontentarsi del 3%. Per favorire lo sviluppo economico del Sud nell'agosto del 1950 fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno che, attraverso ampi stanziamenti ( 1280 miliardi di lire) nel!' arco di dieci anni avrebbe dovuto realizzare le grandi opere di base per valorizzare la produzione agricola e migliorare le condizioni ambientali, consentendo il rafforzamento delle iniziative industriali esistenti ed il decollo di quelle nuove. Nel 1953 nacque l'Ente Nazionale Idrocarburi che, accentrando in mani pubbliche le fonti di energia, doveva stimolare l'economia e creare le premesse per un suo organico sviluppo, nel 1955 Ezio Vanoni, già autore di una incisiva riforma fiscale, varò un piano decennale che si riproponeva di raggiungere tre obiettivi: l'assorbimento della disoccupazione, l'eliminazione progressiva del divario tra Nord e Sud, il pareggio della bilancia dei pagamenti . Insomma, un grande fervore di iniziative ed un progressivo aumento del tenore di vita degli Italiani, reso possibile dal!' aumento delle retribuzioni, più sensibile nel settore privato che in quello pubblico. In calce la tabella riassuntiva delle retribuzioni del personale militare nel 1951 (legge n°2 12 dell' 8 aprile 1952) e nel 1955 (legge n°767 del 17 agosto 1955). Da notare che aumenta lo stipendio, collegato a quello del personale civile, mentre l' indennità militare, specifica per il personale con le stellette, non aumenta rimanendo ferma alle misure fissate nel 1948.
19 55
1951
GRADO
Stipendio
l nd. Militare
Stipendio
lnd. Militare
Generale C.A. Generale Div. Generale Brg. Colonnello Tenente Colonnello
90.888 78.427 57.904 45.077 37.161
Maggiore Capitano Tenente Sottotenente Maresciallo maggiore Maresciallo capo Maresciallo ordinario Sergente maggiore Sergente
32.031 26.460 20.670 15.759 15.345 12.676 12.009 10.437 8.832
23.788 20.790 17.091 14.893 13.393 12.394 9.995 9.245 9.245 8.046
161.896 139.582 107.653 87.976 71.910 60.526 51.040 43.111
23.971 20.902 17.186 14.973 12.840 12.431 10.030 9.977 9.432 8.210 7.856 7.654 3.985 3.727
7.696 7.496 3.898 3.648
36.509 36.301 32.836 31.500 29.031 27.162
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO ( 186 1 - 1990)
Appendice al capitolo XXI
La struttura militare deHa NATO
I • 1l Comitato Militare Il Comitato Militare (MC) è la più alta autorità militare del!' Alleanza. E' costituito dai capi di Stato Maggiore di ciascuno dei Paesi membri, ad eccezione della Francia, rappresentata dal capo della Missione militare francese presso il Comitato Militare; l'Islanda, che non possiede Forze Armate, può essere rappresentata da una personalità civile. Al livello dei capi di Stato Maggiore, il Comitato Militare si riunisce almeno due volte all'anno e ogni volta che è ritenuto necessario. Per permettere al Comitato di funzionare in permanenza con poteri effettivi di decisione ciascun capo di Stato Maggiore designa un Rappresentante militare permanente. Il Comitato Militare è incaricato dal Consiglio Atlantico, in tempo di pace, di raccomandare le misure ritenute necessarie per la difesa comune della zona della NATO. Quale più alta autorità, il Comitato Militare è l'organo dal quale dipendono il Comandante Supremo Alleato in Europa, il Comandante Supremo Alleato dcli' Atlantico, il Comandante in Capo della Manica e il Gruppo di Pianificazione Regionale di Canada-Stati Uniti. Inoltre sono posti alle sue dipendenze diversi organismi militari della NATO, tra i quali l'Ufficio militare di standardizzazione (Bruxelles), il Gruppo consultivo per le ricerche e le realizzazioni aerospaziali (Parigi) e il Collegio di Difesa della NATO (Roma), nonchè diversi uffici competenti in materia di comando, controllo e comunicazioni. La Presidenza onoraria del Comitato Militare è esercitata a turno per un anno dai rappresentanti di ciascun Paese, secondo l'ordine alfabetico inglese. li Presidente pern1anente, eletto dai capi di Stato Maggiore per un periodo di tre anni, dirige l'attività del Comitato e ne è il portavoce. Il Presidente è assistito da un Vice Presidente - incaricato del coordinamento, nell'ambito dello Stato Maggiore Internazionale, delle questioni nucleari, del controllo degli armamenti nonchè delle riduzioni reciproche ed equilibrate delle forze - e dal Direttore dello Stato Maggiore Internazionale. Il Comitato Militare è rappresentato nelle riunioni del Consiglio Atlantico dal proprio Presidente. 2. Lo Stato Maggiore Militare Internazionale
LA CRESCITA ECCESSIVA
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Lo Stato Maggiore Militare Internazionale (IMS) è diretto da un direttore con rango di generale di corpo d'annata, designato dai Paesi membri e nominato dal Comitato Militare. Il direttore è assistito da sette ufficiali generali, sei dei quali svolgono funzioni di Vice direttore ed uno quella di segretario dell'IMS. Vi sono sei divisioni: Informazioni; Pianificazione e politica; Operazioni; Logistica e risorse; Sistemi di comando, controllo e comunicazioni; Armamenti e Standardizzazione ed interoperabilità. Quale organo esecutivo del Comitato Militare, lo Stato Maggiore Internazionale è incaricato dell'attuazione delle direttive e delle decisioni del Comitato Militare. Esso inoltre prepara i piani, svolge gli studi necessari e formula raccomandazioni su questioni di natura militare.
3.1 Comandi Lo spazio strategico coperto dal Trattato dell'Atlantico del Nord è ripartito in tre comandi principali: Comando Alleato in Europa; Comando Alleato del l'Atlantico e Comando Alleato della Manica, ai quali sono preposti il comandante Supremo alleato in Europa, il Comandante Supremo alleato dell'Atlantico, il Comandante Supremo alleato della Manica. Per quanto riguarda la Regione dell'America Settentrionale i relativi piani di difesa sono stabiliti dal Gruppo strategico regionale Canada-Stati Uniti. Questa suddivisione è dettala da fattori geopolitici e la natura dell'autorità esercitata dai singoli Comandi varia in i funzione di tali fattori e delle situazioni del tempo di pace o del tempo di guerra. In generale, le forze appartenenti agli Stati membri rimangono, in tempo di pace, sotto comando nazionale; tuttavia alcune di esse sono poste sotto il comando operativo o il controllo della NATO, altre sono assegnate ai Comandi NATO e altre ancora sono "riservate per l'assegnazione" a tali comandi. r comandanti principali provvedono alla pianificazione della difesa nella zona rispettiva e alla determinazione del livello di forze, allo spiegamer.t0 e all'addestramento delle forze assegnate al loro comando.
Comando Alleato in Europa Il Comando Alleato in Europa (ACE) si estende da Capo Nord al Mediterraneo e dall'Atlantico alla frontiera orientale della Turchia: fanno eccezione la Gran Bretagna e il Portogallo la cui difesa non rientra nella competenza di alcuno dei Comandi principali della Nato. Il Comandante Supremo Alleato in Europa (SACEUR) è incaricato di garantire la sicurezza dell'Europa occidentale armonizzando tra loro i piani di difesa alleati, potenziando le Forze Armate alleate in tempo di pace e preparandone l'impiego più producente in tempo di guerra. Il Quartier Generale
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
(SHAPE) ha sede nei pressi di Mons, in Belgio. li SACEUR, in caso di guerra, è responsabile nella stessa zona di tutte le operazioni terrestri, navali ed aeree. La difesa delle zone interne e quella delle acque cosùere rimane peraltro di competenza delle autorità nazionali interessate; il Comandante supremo aVTebbe facoltà di effettuarvi le operazioni ritenute necessarie per la difesa della sua zona di comando. Le funzioni principali del SACEUR consistono nel preparare e mettere a punto i piani di difesa della zona posta sotto il suo comando, nonchè di provvedere alla preparazione delle forze assegnategli per l'utilizzazione in tempo di guerra. Il SACEUR è tenuto anche ad avanzare proposte al Comitato Militare, atte a migliorare l'organizzazione del suo Comando. Quattordici Paesi dcli' Alleanza, mantengono presso lo SHAPE dei Rappresentanti Militari Nazionali (NMR) che assicurano il collegamento con i rispettivi Capi di Stato Maggiore. La Francia è rappresentata da una Missione militare; l'Islanda, che non ha Forze Armate, non è rappresentata. Alle dipendenze dirette del SACEUR operano i seguenti Comandi subordinati: - il Comando alleato dell'Europa settentrionale (AFNORTH), con sede a Kalsas (Norvegia). Da AFNORTH dipendono: le Fone alleate della Norvegia sellentrionale; le Forze alleate della Norvegia meridionale e le Forze alleate degli accessi del Baltico; - il Comando alleato dell'Europa centrale (AFCENT), con sede a Brunssum (Paesi Bassi). Da AFCENT dipendono: il Gruppo d'Armate del Nord; il Gruppo d'Armate del Centro e le Forze aeree alleate dell'Europa Centrale, II e IV Forza aerea tattica alleata; - il Comando dell'Europa meridionale (AFSOUTH), con sede a Napoli. Da AFSOUTH dipendono: le Forze terrestri alleate del Sud-Europa (FTASE con sede a Verona); le Forze terrestri alleate dell'Europa sud-orientale; le Forze aeree alleate dell'Europa meridionale; le Forze navali alleate dell'Europa meridionale (NA VSOUTH con sede a Napoli); le Forze navali alleate di intervento e di sostegno dell'Europa meridionale; - il Comando delle Forze aeree della Gran Bretagna, ad High Wycombe (Gran Bretagna); - il Comando della Forza mobile alleata in Europa (AMF) ad Heidelberg nella R.F. di Germania; - la Forza aeroportata di avvistamento lontano e controllo, a Geilenkirchen, nella R.F. di Germania. E' posta sotto il comando operativo di tutti e tre i Comandanti principali della NATO: SACEUR, SACLANT e CINCHAN; il SACEUR funge da agente esecuùvo.
-
Comando Alleato dell'Atlantico
Il Comando Alleato dell'Atlantico (ACLANT) si estende dal Polo Nord al Tropico del Cancro e dalle acque territoriali dcli' America settentrionale alle coste dell'Europa e dell'Africa, esclusi la Manica e le isole Britanniche. Il Comandante Supremo Alleato dcli' Atlantico (SACLANT) riceve direttive,
LA CRESCITA ECCESSIVA
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come il SACEUR, dal Comitato Militare; il Quartier Generale dcli' ACLANT ha sede a Norfolk, in Virginia. In tempo di pace il SACLANT ha il compito di preparare e mettere a punto i piani di difesa, dirigere le esercitazioni di addestramento, stabilire le norme per l'istruzione e fornire alle autorità della NATO le informazioni sulle proprie necessità strategiche. La missione fondamentale del SACLANT consiste nel tutelare la sicurezza dell'intera zona del!' Atlantico proteggendone le vie marittime e impedendone l'accesso al nemico, in modo da garantire i rinforzi e i rifornimenti in uomini e materiali, dei Paesi europei della NATO. Il Comandate Supremo dell'Atlantico ha compiti quasi esclusivamente di carattere operativo. Alle sue dipendenze è posta la Forza navale permanente dell'Atlantico (STANA VFORLANT), la prima squadra internazionale costituita in via permanente in tempo di pace, composta di unità appartenenti ai Paesi della NATO le cui forze navali operano nonnalmente in Atlantico. In caso di operazioni in acque europee, il SACLANT delega i suoi poteri al Comandante in capo del Settore orientale dell'Atlantico. Per le manovre e in caso di guerra, agli ordini del SACLANT sono inoltre preventivamente riservate per l' assegnazione aJcune forze navali. Dal SACLANT dipendono vari Comandi subordinati . • Il Comando del settore occidentale dell ' Atlantico, da cui dipendono i comandi: delle Forze sommergibili del Settore occidentale; del Sottosettoreoceanico; del Sottosettore canadese atlantico delle Bennude; delle Azzorre; della Groenlandia . • Il Comando del Settore orientale dell'Atlantico, da cui dipendono i comandi dell ' Aviazione di marina del Settore orientale; dell 'Aviazione di marina del Sottosettore settentrionale; del Sottosettore centrale; dell'Avi azione di marina del Sottosettore centrale; delle Forze sommergibili del Settore orientale; dell ' Islanda; della Faer Oer. • Il Comando della notta d'intervento dell'Atlantico da cui dipendono i Comandi della Forza portaerei d'intervento; del I e II Gruppo d'intervento portaerei . • Il Comando delle forze sommergibili alleate dell'Atlantico. • Il Comando del Settore Ibero-Atlantico, compreso il Comando di Madera . • Il Comando della Forza Navale permanente dell'Atlantico.
Comando Alleato della Manica Il Comando Alleato della Manica (ACCHAN) copre la zona che va dalla parte meridionale del Mare del Nord all'altra estremità della Manica. Il Quartier Generale ha sede a Northwood in Gran Bretagna. Il Comandante in Capo (CINCHAN) ha quale compito principale la difesa del naviglio mercantile nella regione. Le Forze previste per l'assegnazione al CINCHAN in caso di crisi sono
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nella maggior parte forze navali, ma comprendono anche uni là dell'Aviazione di marina. Dal CINCHAN dipendono vari Comandi subordinali : • il Comando Nore-Manica; • il Comando Plymourth-Manica; • il Comando Benelux-Manica; • il Comando dell'Aviazione di marina alleata della Manica; • il Comando della Forza navale pennanente della Manica (STANAVFORCHAN), composta da dragamine. Le unità impiegate sono fornite nonnaJmente dal Belgio, dalla Danimarca, dalla Gennania, dalla Gran Bretagna e dai Paesi Bassi, nonchè, occasionalmente, dalla Norvegia e dagli Stati Uniti.
4. Le esercitazioni della NATO Esercitazioni internazionali, coordinate con i Paesi membri, vengono organizzate ad intervalli regolari dai Comandi Alleati in Europa, dcli' Atlantico e della Manica per accrescere l'efficienza ed aumentare la cooperatione tra le ForL.e Armate dei vari Paesi membri, verificare la rispondenza dei piani strategici precendentemente elaborati. Le manovre vengono programmate con forte anticipo, allo scopo di assicurare la disponibilità degli effettivi necessari e di permettere il coordinamento tra le esercitazioni nazionali e quelle della NATO. Esistono due categorie principali di esercitaL.ioni: quelle che non implicano la partecipazione di Forze Armate (esercitazioni di Stato Maggiore o CPX), e quelle a cui partecipano le Forze Annate.
5. Le forze multi11azionali della NATO Com'è noto, le Forze Armate dei Paesi membri dell'Alleanza rimangono sotto comando nazionale; il trasferimento sotto il comando ed il controllo operativo di un comandante NATO avviene solo su decisione dei membri dell'Alleanza. Tuttavia, allo scopo di poter intervenire immediatamente in caso di attacco di sorpresa, alcune forze sono mantenute costantemente agli ordini dei Comandanti principali della NATO. Fatta eccezione dalle unità di difesa aerea, che dispongono in via pennanente di effettivi e che sono sempre operative, esistono cinque forze multinazionali del tipo anzidetto: - la Forza mobile del Comando alleato in Europa; - la Forza navale permanente dcli' Atlantico; - la Forza navale permanente della Manica; - la Forza navale "su chiamata" del Mediterraneo; - il Sistema aeroportato di avvistamento lontano e di controllo. Per quanto riguarda la Forza Mobile del Comando Alleato in Europa
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(AMF): nel 1960 sono stati costituiti i primi elementi di una Forza Mobile da assegnare al Comando Alleato in Europa. Diversi Paesi membri hanno messo a disposizione del SACEUR delle unità terrestri ed aeree ben equipaggiate e pronte all'impiego in qualsiasi zona minacciata. Pur essendo in grado di comportarsi in modo efficace se atlaccata, questa forza multinazionale intende sopranuno fornire la prova della solidarietà del!' Alleanza in tempo di crisi o di tensione ed esercitare un'azione di dissuasione nei confronti di un nemico che fosse tentato di sferrare un attacco con obiettivi limitati nella speranza di porre l'Alleanza di fronte ad un fatto compiuto. In presenza di questa forza, il nemico deve rendersi conto molto chiaramente che atlaccandola porrebbe in allo un attacco contro l'Alleanza Atlantica e non già contro le forze di un singolo Paese. La Forza Mobile dcli' ACE ha eseguito numerose esercitazioni tanto nel setlore setlentrionale quanto in quello meridionale del Comando alleato in Europa.
6. Funzionamento dell'Alleanza Il Trattato dcli' Atlantico del Nord ha posto in essere un'alleanza di paesi indipendenti, con il fine di mantenere la pace, difendere la libertà e promuovere relazioni internazionali stabili. L'Alleanza è un' associaLione di libere nazioni riunitesi per salvaguardare la propria sicureua attraverso garanzie reciproche e un'autodifesa collettiva come riconosciuto dallo Statuto dell'O.N.U.; è un'organizzazione intergovernativa, non sovranazionale, nella quale i paesi membri conservano per intero la loro sovranità e la loro indipendenza. Sotto il profilo politico i paesi membri coordinano le loro politiche di sicurcaa in conformità degli obiettivi del Trattato del!' Atlantico del Nord; sotto il profilo militare elaborano dei programmi di difesa comune, provvedono alle infrastrutture occorrenti per l'operatività delle loro forL.e, organiuzano programmi ed esercitazioni comuni per l'addestramento di tali forze. In tempo di pace le Forze Annate dei paesi della NATO restano sotto comando nazionale: fanno eccezione gli Stati Maggiori integrati nei vari quartieri generali militari della NATO, talune unità di difesa aerea in stato di allerta costante, nonchè le forze navali permanenti. L'Alleanza si propone di garantire la sicurezza dei suoi membri mediante una politica basata sul duplice principio di difesa e di autentica distensione: non ricerca la propria sicurezza basandosi esclusivamente sulla sola potenza militare. I Paesi membri mantengono una difesa adeguata e una solidarietà politica allo scopo di garantire una dissuasione credibile e nello stesso tempo perseguono delle relazioni costruttive tra Est cd Ovest atlraverso il dialogo ed una cooperazione reciprocamente vantaggiosa, come pure attraverso gli sforzi per pervenire ad un accordo che consenta riduLioni degli armamenti militarmente significative, eque e verificabili. Il Consiglio Atlantico è la sede principale nella quale hanno luogo le consultazioni nell'ambito della NATO: scambi di informazioni e punti di vista
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hanno luogo periodicamente anche nel Comitato politico e in altri Comitati e Gruppi di lavoro. Tutte le decisioni vengono prese per consenso. I settori di interesse sono sia quelli che coinvolgono direttamente l'Alleanza nel suo insieme o i singoli Paesi membri, sia tutti quegli altri avvenimenti accaduti in altre parti del mondo che potrebbero avere ripercussioni nella politica e sugli scopi della NATO.
7. Politica di difesa L'Alleanza è stata costituita per prevenire l'aggressione contro i Paesi membri, o per respingerla ove avesse avuto luogo. Pertanto la NATO deve mantenere forze sufficienti a conservare l'equilibrio militare con il Patto di Varsavia e a porre in atto una dissuasione credibile. La strategia della risposta flessibile adottata nel l 967 dalla NATO presuppone che l'Alleanza disponga di una gamma completa di forze, in modo da poter fornire una risposta adeguata a qualunque atto di aggressione. Le Forze della NATO sono composte da: tre elementi tra loro connessi, i quali formano la 'Triade della NATO"; - forze convenzionali, di entità tale da respingere un attacco convenzionale su scala limitata; permettere una difesa conveni;ionale nelle zone avanzate di fronte ad un'aggressione convenzionale su larga scala; - forze nucleari a raggio intem1edio e a corto raggio, tali da potenziare l'azione di dissuasione e, all'occorrenza, di difesa delle fori;e convenzionali della NATO di fronte ad un'aggressione convenzionale; da esercitare analoga azione di dissuasione e di difesa di fronte ad un attacco con forze nucleari dello stesso tipo; da garantire un collegamento con le forze nucleari strategiche del!' Alleanza, allo scopo di convincere l'aggressore che qualsiasi forma di attacco contro la NATO potrebbe portare a gravissimi danni alle proprie forze, e mettere in evidenza i pericoli che potrebbero derivare da una prosecuzione del connitto; - forze nucleari strategiche degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, che consentono l'estrema dissuasione. Il compito che la NATO ha di mantenere una dissuasione credibile è reso sempre più difficile dai miglioramenti costantemente apportati, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo, alle forze del Patto di Varsavia. La politica di difesa dell'Alleanza non può essere considerata semplicemente nel senso di mantenere un dispositivo di difesa adeguato a fini di distensione. Il disarmo e il controllo degli armamenti formano parte integrante di quella politica. Nei negoziati per le riduzioni degli armamenti nucleari e in quelli per la riduzione delle forze convenzionali l'obiettivo principale è quello di pervenire ad un equilibrio delle forze a livelli sempre più bassi.
XXII. IL PROGRESSIVO RIDIMENSIONAMENTO
I. Ristrutturazione e ridimensionamento sono due termini dal significato profondamente diverso e non due sinonimi , come spesso si è voluto far credere usando con grande disinvoltura il primo termine in luogo del secondo. Ristrutturazione, infatti, significa rielaborazione organica di una struttura per meglio adeguarla al compito per il quale era stata creata, ridimensionamento significa soltanto il ritorno della struttura a più limitate proporzioni. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta l'esercito è stato sottoposto a numerose 'ristrutturazioni" che poco sono servite a renderlo più funzionale e maggiormente idoneo alla difesa del Paese e molto sono riuscite a smagrirlo, al punto di portarlo sull'orlo dell'anoressia. Più che ristrutturazioni, quindi, ridimensionamenti. Le cause di queste ricorrenti operazioni di maquillage furono sempre di natura economica. I gravi problemi che i governi della Repubblica dovettero risolvere per consentire alla nazione, uscita stremata dalle vicende belliche, uno sviluppo economico e sociale adeguato non lasciarono spazio alle esigenze della difesa. Maggioranza ed opposizione, con diverse motivazioni e con diversi intenti, furono concordi nel limitare le spese militari ed anche negli anni del miracolo economico, quando per oltre un decennio il prodotto nazionale lordo non registrò mai una crescita annua inferiore al 5% - nel periodo 1958- 1963 il tasso di crescita medio fu del 6,3 con una punta dell'8,3 nel l 96 1 - l'esigenza difesa non fu considerata con la dovuta attenzione. "Si è trattato indubbiamente di un grave errore da parte dei responsabili della politica economica e della politica militare del Paese non dare maggiore spazio alle spesa militare per adeguare lo strumento militare alle reali necessità della difesa militare, approfittando della favorevole congiuntura e della situazione propizia del sistema economico" ha scritto un valoroso docente universitario, Giuseppe Mayer, che ha anche aggiunto "Purtroppo, l'antimilitarismo è diffuso in Italia più di quanto si creda, poiché è sommerso ma operante a diversi livelli sociali e fra i partiti - anche quelli al governo - con una propaganda sottile e destabilizzante, insinuando tra i giovani l'inutilità del servizio militare di leva; esasperando i presunti pericoli e danni della naja, condannando lo spreco di risorse, agitando l'utopia del disarmo ed osannando l'alternativa
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della lotta alla fame nel mondo" ( 1). Parlamento, governo e partiti, fisiologicamente allergici ai problemi militari, ritennero che la difesa dell'Italia fosse un problema NATO, indipendente o quasi dalle forze armate nazionali, e relegarono quindi l'esigenza difesa agli ultimi posti della scala delle priorità. A partire dall'esercizio finanziario 1959-1960 il bilancio del ministero della Difesa fu consolidato con un incremento annuo forfettario del 4%, incremento poi innalzato al 6% ad iniziare dall'esercizio finanziario 1963-1964. In realtà, per effetto dell'inflazione, le assegnazioni di bilancio, pur registrando un aumento in termini puramente monetari, passarono dal 2,9% al 2,5% del prodotto interno lordo negli anni 1960-1964, per poi scendere negli anni successivi al 2,2%. La sottonotata tabella indica le somme a disposizione dell'esercito, carabinieri esclusi, dal 1957 al 1975 a fronte della forza bilanciata. Nel periodo esaminato la percentuale delle risorse complessive della Difesa destinate all'esercito passò dal 46,2 al 34,5. Nello stesso periodo gli stanliamenti per i carabinieri passarono da 61 a 387 miliardi, con una incidenza percentuale sul bilancio della Difesa dell'I 1,2 nel 1957 e del 15,8 nel 1975. In tutti questi anni l'esercito visse costantemente nella drammatica contraddizione tra la progressiva crescita delle esigenze e la non meno progressiva diminuzione in tem1ini reali delle risorse per soddisfarle.
SOMME EROGATE
ANNO FINANZIARIO
(in miliardi)
FORZA BlLANCIATA
1957 - 1958 1958 - 1959 1959-1960 1960- 1961 1961 - 1962 1962 - 1963 1963 - 1964 1965 (0 ) 1966 1967 1968 (00) 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975
251,4 268,8 278,1 330.3 265.4 399,7 470,4 497,7 553,9 570.4 580,6 587,5 597,1 644,9 721 853,6 859,7 844,7
256.000 259.000 258.000 268.000 265.000 268.000 267.000 268.000 267.000 280.000 280.000 285.000 295.000 301.000 306.500 306.500 305.000 306.500
NOTE a partire dal l 0 gennaio 1965 l'anno finanziario coincise con quello solare. (
0
)
00 )
a parti re dal 1968 le spese vincolate furono inseritc nell'area amministrativa e non più in quelle delle singole fon.e armate (
(I) G . Mayer. L'evolu~io11e del b1/a11cio della D1fua dal 1945 al 1975 m Storia delle fon.e armate italiane dalla ricostruzione post-bellica alla ristrutturazione del 1975, Giuffré cdilore, Milano 1989.
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Negli ultimi anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta lo Stato Maggiore riuscl a mantenere integra l'organizzazione scolastico-addestrativa, consapevole dell'importanza primaria della preparazione dei Quadri e dei gregari, cd a conservare senza drastici tagli l'intelaiatura dell'esercito di campagna e delle forze per la difesa territoriale, ricorrendo a quei vecchi sistemi che la memorialistica del secondo dopoguerra tanto aveva deprecato con piena ragione. Furono anticipati i congedamenti, contratta la durata delle esercitazioni fuori sede e dei campi d'arma, limitate le lezioni di tiro, diradate le esercitazioni di autocolonna, di fallo abolite le grandi manovre a partiti contrapposti, ridotto il livello di forza delle unità, per quelle non destinate alla difesa di I 0 tempo anche al 30% del livello organico, con le ripercussioni sull'addestramento che si possono facilmente intuire. Soltanto l'organizzazione territoriale fu effettivamente ridimensionata, non come sarebbe stato però necessario, come si vedrà nel paragrafo successivo. La crisi economica degli anni Sessanta non poté, tuttavia,essere fronteggiata cd in pochi anni la divaricazione tra le esigenze e le possibilità divenne insanabile. Non solo non fu mantenuto l'incremento annuo del 6% - il bilancio del 1970 in termini reali fu inferiore a quello dell'anno precedente - ma nel 1971 e nel 1972 il bilancio della Difesa fu addirittura decurtato rispetto a quello dell'anno precedente. La conseguenza fu una caduta verticale delle spese di potenziamento mentre quelle per il personale giunsero a superare il 62% dell'intero bilancio. Nei paragrafi successivi saranno esaminati l'evolu.lione dell'organizzazione territoriale, delle forze operative, del settore addestrativo ed il nuovo assetto dell'organizzazione centrale nonché i rapporti tra l'esercito e le autorità politiche, lo sviluppo della dottrina d'impiego e la politica del personale, in un arco di tempo che va dagli ultimi anni Cinquanta all'inizio degli anni Settanta, un lungo periodo caratterizzato da una progressiva diminuzione di cfficenza dello strumento operativo (2). 2. Sotto la guida competente ed appassionata del generale Liuzzi (3), capo di Stato Maggiore dell'esercito dall' 11 ottobre 1954 al 3 I marzo 1959, fu iniziata l'attività di ristrutturazione per adeguare la componente operativa alla dot(2) Nel periodo in esame furono titolari del ministero della Difesa: Antonio Segni (01.07. 1958 - 15.02. 1959). Giulio Andreoui (16.02.1959 · 23.02. 1966). Roberto Tremelloni (24.02.1966 · 24.06. 1968). Luigi Gui (25.06. 1968 · 27.03.1970). Mario Tanassi (28.03. 1970 · 17.02.1972). Franco Restivo (18.02.1972 · 26.06.1972). Mario Tanass1 (27.06. 1972 · 15.03.1974)
Nello stesso periodo ricoprirono la carica di capo di Stato Maggiore della Difesa i generali: Aldo Rossi (I° aprile 1959 · 31 gennaio 1966), Giuseppe Aloia (01.02.1966 - 29.02.1968). Guido Vedovato (01.03. 1968. 14.01.1970). Enzo Marchesi (15.01.1970 - 3 1.07.1972) e l'ammiraglio Eugenio Henke ( 1° agosto 1972. 31.12.1975). I capi di Stato Maggiore dell'esercito furono i generali: Bruno Lucini (01.04.1959 - 24.12.1960); Antonio Guai ano (25.12.1960 • 26.03.1962), Giuseppe Aloia ( I0.04. I 962 - 31.0 I.I 966), Giovanni Dc Lorenzo (01.02.1966 · I 5.04. 1967), Guido Vedovato ( 16.04.1967. 28.02.1968). Enzo Marchesi (01.03.1968 · 15.01.1970), Francesco Mcrcu (16.01. 1970 - 03.04.1973). Andrea Viglione (08.04.1973 · 31 . 12.1975). (3) Del generale Giorgio Liuzzi vds. il breve profilo biografico nella Parte Il d1 questo volume.
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trina 600 e tulio l'esercito alle sempre più limitate risorse. li primo settore ad essere riordinato fu quello dell'organizzazione territoriale, la cui intelaiatura di comando fu ristretta e nella quale furono operate molte soppressioni di enti non indispensabili. Gli 11 comandi militari territoriali furono trasformati in 6 comandi militari di regione: Nord-Ovest (Torino, con giurisdizione su Piemonte, Lombardia e Liguria), Nord-Est (Padova, con giurisdizione sulle tre Venezie), Tosco-Emiliana (Firenze, con giurisdizione su Emilia-Romagna e Toscana), Centrale (Roma, con giurisdizione su Umbria, Lazio, Sardegna, Marche ed Abruzzo), Meridionale (Napoli, con giurisdizione su Campagna, Basilicata, Puglia e parte della Calabria), della Sicilia (Palermo, con giurisdizione sulla Sicilia e su quella parte della Calabria che si affaccia allo stretto di Messina). Anche i comandi militari di zona furono riordinati per consentire una più articolata azione di comando e di controllo sui vari enti territoriali: furono costituiti nuovi comandi di zona a Genova, Milano, Bari, Torino, Alessandria, Palermo, Trieste. Perugia e furono soppressi quelli di Foggia e di L'Aquila. I comandi di zona militare furono dist.inti in due categorie, A e 8, rispettivamente affidati ad un generale di divisione e ad un generale di brigata, a seconda dell'estensione del territorio di giurisdizione, del numero di enti cui sovrintendevano, del rango della città nella quale erano dislocati. Nel 196 I furono soppressi i comandi zona militare di Alessandria e di Novara, nel 1963 quello di Brescia, nel 1968 quello di Verona e poi quello di Parma. Alla fine i comandi militari di zona si stabilizzarono: 2° a Milano, 17° a Torino, 19° a Genova, 13° a Trento, 25° a Vicenza, 7° a Bologna, 20° a Livorno, 11 ° a Roma, 12° a Perugia, 15° a Cosenza, 21 ° a Salerno, 22° a Bari, 16° a Catania, 23° a Palenno. 1 compiti e le attribuzioni dei comandi di regione militare e di corpo d'armata furono meglio precisati, riservando ai primi la difesa del territorio , il funzionamento degli organi dei servizi territoriali, gli espropri, le servitù militari, i lavori infrastrullurali per gli accasermamenti, il reclutamento e la mobilitazione ed ai secondi i compiti operativi previsti dalla pianilicazione,l'ordine pubblico, i lavori difensivi alla frontiera; la difesa aerea del territorio, l'att.ività informativa. Con grande determinazione e con chiara visione delle effettive esigenze, lo Stato Maggiore iniziò a ridurre l'eccessivo numero di distretti militari, di depositi di vario tipo, di magazzini, di stabilimenti. Persino l'organizza.lione giudiziaria e quella penitenziaria furono sottoposte a tagli impietosi. I tribunali militari furono ridotti a 9, furono soppresse 6 carceri giudiziarie militari e la compagnia di correzione di Vestone. Anche gli ospedali militari furono interessati al processo di riordinamento, la maggior parte soppressi cd altri trasformati temporaneamente, in attesa di essere soppressi, in infenncrie presidiarie. Furono disciolti alcuni centri di rifornimento quadrupedi e molte infermerie quadrupedi, ma non si giunse alla completa eliminazione del settore ippi-
IL PROGRESSIVO RIDIJ.IE.'\SIOSAME.l\'TO
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co per l'opposizione del CONI e di alcune alte gerarchie militari, ancora tradizionalmente legate all'equitazione, considerata scuola di coraggio e strumento insostituibile per la formazione dei Quadri. E non furono queste le sole resistenze che lo Stato Maggiore dovette affrontare. li riordinamento degli enti amministrativi e logistici fu, infatti, molto contrastato e, quando non sospeso, oltremodo rallentato da interventi politici , volti ad impedire la soppressione o il ridimensionamento di quello o di quell'altro ente, sempre "di vitale importanza" per l'economia locale. Le obbiettive difficoltà di reperire alloggi in affitto, a costi compatibili con le magre remunerazioni, furono poi un'altra causa che frenò l'attività di riordino del seuore, in quanto se era difficile sopprimere un ente era poi ancora più difficile trasferire il personale dell'ente disciolto in quei reparti che denunciavano carenle organiche. Le ridulioni apportate nel settore territoriale, furono quindi, indubbiamente molte, ma avrebbero potuto essere molto più numerose, consentendo un maggior ricupero di risorse cd un impiego del personale più economico e più rispondente alle esigenze effettive dell'esercito. Parallelamente all'opera di ridimensionamento e di razionalizzazione, lo Stato Maggiore de1l'esercito procedette alla completa rielaborazione delle predisposizioni di mobilitazione, sperimentate negli anni 1955, 1956 e 1959 con il completamento e l'approntamento rispettivamente delle divisioni Pinerolo, Aosra e Centauro. Gli esperimenti dettero ottimi risultati, sia sotto l'aspetto tecnico, in quanto il sistema (mobilitazione regionale attuata con cartolina precetto individuale) si dimostrò rispondente, sia sotto quello addestrati ve, in quanto al termine del periodo di richiamo, 40 giorni, i reparti risultarono ben addestrati e pronti all'impiego. Le percentuali di affluenla rispetto ai richiamati furono sempre superiori al 99% e costituirono un altro motivo di soddisfazione per i vertici militari che si erano impegnati a fondo per l'attuazione degli esperimenti, autorizzati dal ministro dopo tante esitazioni e tanti ripensamenti. Il buon esito degli esperimenti di mobilitazione dimostrò anche che la soppressione di 27 distretti militari, attuata nel periodo 1955-1959, non aveva indebolito l'organizzalione territoriale dell'esercito, tante che negli anni successivi furono soppressi altri 5 distretti, riducendo il numero complessivo di tali enti a 62. L'arma dei carabinieri negli anni Sessanta, fu invece, notevolmente potenziata. Sotto la guida del generale Giovanni Dc Lorenzo (4), comandante generale dell'arma dal 15.10.1962 al 3 I. I. I966, l'arma di fatto si rese indipendente dallo Stato Maggiore, ouenendo dal governo di essere considerata un ente programmatore di spesa al pari delle tre for.le armate e riuscendo ad incamerare una percentuale sempre più elevata del bilancio del ministero della Difesa, dal 101 I% degli anni Cinquanta al 14-15%.
(4) Del generale Giovanni De Lorenzo vds. il breve profilo biografico nella Pane Udi questo volume.
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La tabella so11oriportata eviden.lia la crescita del budget a disposizione dell'arma, a cui il governo non lesinò mai i fondi richiesti.
ANNO
1960- 1961 1961 - I 962 1962- 1963 1963 - 1964 1964 ( 2° bimestre)
STANZIAMENTI
(in milioni) 69.155 70.090 75.421 84.460 52.625
ANNO
1965 1966 1967 1968 1969 1970
STANZIAMENTI
(in milioni) 158.725 182.085 189.091 198.516 210.489 225.247
Il nuovo comandante generale, organizzatore capace ed esperto, individuò presto le carenze organizzative dell'arma, che ancora di reggeva su strullure e su mezzi idonei per l'Italia agricola dell'anteguerra, ma non più rispondenti per l'Italia industrializzata ed urbanizzata del miracolo economico, e vi pose subito rimedio attuando in tempi brevi la completa motorizzaLione dell'arma furono approvvigionati oltre quattromila automezzi, decretando la messa a riposo del parco ciclistico dell'arma, ormai pateticamente obsoleto - e la creazione di una efficente rete radiotelegrafica che collegò tulli i comandi dell'arma da quello generale alla pauuglia, in tempi reali. Anche il settore investigativo fu potenziato, con l'introduzione di idonee apparecchiature e con una maggiore specializzazione del personale nell'impiego di tecniche nuove e più rispondenti ai tempi. Parallelamente al rinnovo dei materiali l'arma ottenne una dilatazione organica, specie nel corpo ufficiali, di notevole ampiezza. T generali di divisione divennero 5, quelli di brigata 13, i colonnelli 38, i tenenti colonnelli 216 mentre diminuirono i maggiori e rimasero nello stesso numero i capitani. L'arma poté così migliorare la propria organiuazione, costituendo una brigata scuole per meglio indirizzare e coordinare programmi e metodiche addestrative, ed una brigata meccanizzata carabinieri (5), costituita nel 1963, per riunire sono un unico comando i battaglioni mobili, fino ad allora dipendenti dalle legioni territoriali. La brigata non fu perciò costituita come grande unità di impiego, priva come era di artiglieria e di supponi logistici, ma unicamente come ente addestrativo e disciplinare. 3. Le forze operative furono ristrullurate per adeguarle ai compiti previsti dalla serie dourinale 600, in particolare per dotare le grandi unità di forze
(5) L'XI bngata meccan11za1a carabinieri era ordinata su: comando (Roma), I O reggimento (Milano), 2° reggimento (Roma). 3° reggimelllo (Napoli). tutti su 3 o 4 battaglioni, e 4° reggimento carabinieri a cavallo (Roma). su tre gruppi squ:idroni.
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corazzate e meccanizzate in grado di effettuare i previsti contrattacchi e la manovra dei presidi nella posizione di resistenza. L'integrale meccanizzazione delle forze di fanteria, soluzione ottimale del problema, non era attuabile per motivi economici e fu perciò adottata dallo Stato Maggiore una soluzione di compromesso che garantiva, comunque, una effettiva solidità allo schieramento difensivo. La presenza nel territorio italiano di ampie zone di media e bassa montagna, limitative all'impiego di forze corazzate, suggerì la costituzione di due diverse divisioni di fanteria, una di pianura ed una di montagna, entrambe su formazione ternaria. Le divisioni di fanteria di pianura - Legnano, Folgore e Granatieri di Sardegna - furono articolate su: 2 reggimenti fanteria su 3 battaglioni, di cui uno meccanizzato, ed I compagnia mortai da 107; 1 reggimento di fanteria corazzato su l battaglione bersaglieri e 1 battaglione carri; I gruppo esplorante divisionale; l reggimento di artiglieria su 3 gruppi da campagna, di cui uno semovente, cd l gruppo pesante campale; I battaglione genio pionieri; l battaglione trasmissioni; 1 sezione aerei leggeri; formazioni dei servizi. Le divisioni di fanteria di montagna - Cremona e Mantova - furon o invece articolate su: 2 reggimenti fanteria su 3 battaglioni, I compagnia mortai da 107 cd 1 compagnia meccanizzata; I reggimento fanteria s u 2 battaglioni fanteria cd I battaglione carri; l gruppo esplorante divisionale; 1 reggimento di artiglieria su 3 gruppi ruotati da campagna cd 1 pesante campale; I battaglione trasmissioni; 1 bauaglione genio pionieri; I sezione aerei leggeri; formazione dei servizi tra cui un reparto salmerie. L'organico delle divisioni corazzate - Ariete e Centauro - fu stabilito in: reggimento bersaglieri, reggimento carri, reggimento artiglieria corazzata, gruppo squadroni esplorante, battaglione genio pionieri, ballaglione trasmissioni, sezioni aerei leggeri, servizi. La terza divisione corazzata, la Pozzuolo del Friuli, fu sciolta nel 1957 ed i battaglioni bersaglieri e carri impiegati per costituire i reggimenti corazzati delle divisioni di fanteria di pianura. Le brigate alpine non cambiarono fisionomia, furono potenziate con l'assegnazione del nuovo materiale da 105/14, un obice di fabbricazione italiana, someggiabile e autotrainabilc, che finalmente sostituì il 75/13 ideato prima della 1• guerra mondiale. Le divisioni Aosta, Avellino, Friuli, Pinerolo e Trieste furono inizialmente contratte e poi, tra il 1960 ed il 1961. trasformate in brigate su 1 reggimento fanteria, l battaglione corazzato, 1 gruppo di artiglieria da campagna, I compagnia genio, l compagnia trasmissioni, 1 sezione aerei leggeri, fonnazioni dei servizi. La contrazione di queste divisioni a brigata fu "compensata" dalla costituzione: della brigata di cavalleria Pozzuolo del Friuli, iniziata nel 1959, che riunì 2 reggimenti di cavalleria su 3 gruppi squadroni, Genova e Piemonte, 1 gruppo squadroni a fisionomia carrista, Novara, e 1'8 reggimento artiglieria; della brigata paracadutisti, iniziata nel 1963, che comprese 2 battaglioni para-
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cadutisti, battaglione sabotatori, l battaglione carabinieri paracadutisti, gruppo di artiglieria su 2 batterie da 105/14; della brigata missili, a partire dal 1959, su 2 gruppi Honest John, I battaglione acquisizione obbiettivi, I battaglione pionieri, l battaglione fucilieri, I compagnia trasmissioni, servizi. Negli anni Cinquanta si costituì anche una nuova componente dell'esercito, l'aviazione leggera, che a poco poco riuscì ad imporsi ed a superare l'ostilità implacabile dell'aeronautica militare (6), conquistando il diritto di impiegare aerei ed elicotteri che l'aeronautica intendeva riservarsi. Nata nel 1951 in seno alla Scuola di Artiglieria di Bracciano, con un primo nucleo di ufficiali che avevano conseguito il breveno di volo negli USA e con pochi aeroplani PIPER, l'aviazione leggera dell'esercito (A.LE.) ebbe il suo primo reparto di volo nello stesso anno, il reparto aerei leggeri, impiegato per l'osservazione del tiro di artiglieria. Successivamente furono costituite le sezioni aerei leggeri, organicamente assegnate alle grandi unità, ed i compiti generali assegnati all'A.L.E. aumentarono: ricognizione, controllo del combattimento, trasporto dei comandanti. Nel 1956 furono introdotti in servizio i primi elicotteri da ricognizione e nel 1958 fu costituito a Viterbo il Centro Addestramento Aviazione Leggera Esercito, per l'addestramento dei piloti e per la sperimentazione dei nuovi modelli, alle dipendenze di uno specifico Ispettorato. A poco a poco, con l'introduzione in servizio di aerei capaci di migliori prestazioni e di elicotteri multiruolo, !'A.LE. ampliò il suo ambito d'impiego e le sezioni furono sostituite da reparti. Nel 1972 la componente elicoueristica, o rmai predominante, fece un vero salto di qualità con l'acquisizione del Chinook, capace di trasportare 40 uomini equipaggiati o un carico equivalente. Negli anni Sessanta lo strumento operativo fu anche ammodernato negli armamenti e nei materiali. Furono introdotte in servizio nuove armi e nuovi mezzi per la fanteria: missili controcarro, fucile automatico leggero, mitragliatrice MG 42/59, mortaio da 120, veicolo da trasporto corazzato M. 13. L'artiglieria radiò i semoventi M7 e M44 e si dotò di nuovi modelli, M. I 09 da 155 e MJ07 da 175 a capacità nucleare, la componente contraerei fu dotata di missili Hawk. I mezzi radio furono completamente rinnovati con nuove stazioni a modulazione di frequenza, di maggiore portata e con un numero maggiore di canali, consentendo un migliore collegamento tra reparto e reparto. Anche il parco carri fu rinnovato, scomparvero gli Sherman, l'Ariete fu dotata di carri M60 ed entrarono in servizio i primi Leopard. Genio e trasmissioni ebbero materiali più moderni: nuovi equipaggi da ponte, nuove mine, nuovi ponti radio. Anche la brigata missili si rinnovò, i gruppi Honest John furono sostituiti da un gruppo Lance su 6 lanciatori. (6) L'ostilità corporativa e preconcetta dell'areonautica militare nei con fronti dell'aviazione leggera dell 'esercito, che creò sen e duraturi ostacoli alfa realizzazione di una componente aerea dell'esercito, avrebbe potuto essere più facilmente e più rapidamente superata se al capo di Stato Maggiore della Difesa fosse stata riconosciuta la veste di comandante delle tre forze armate.
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Naturalmente l'introduzione di nuove anni e di nuovi materiali comportò un'attività incessante di revisione degli organici, di soppressione di reparti divenuti inutili, di costituzione di nuove unità, attività che non è possibile documentare compiutamente in questa sede. Segnaleremo, jnvece, alcuni provvedimenti di maggiore rilievo dovuti esclusivamente alle necessità di contrarre le ~pese: lo scioglimento nel 1964 della brigata Avellino e la soppressione dei comandi designato 3• armata e VI corpo d'armata nel 1972. Un cenno, infine, sulla fortificazione permanente del seuore di pianura. Nata come ripiego, per conferire una maggiore solidità alle forle di copertura schierate a sbarramento della soglia di Gorizia, la fortificazione permanente si sviluppò gradatamente fino ad assumere le dimensioni di una grande unità - sia pure ancorata al terreno ed impossibilitata ad effettuare qualsiasi manovra, ricca però di bocche da fuoco e di armi a tiro teso - cd a costituire l'ossatura della difesa. Per il presidio delle opere fu necessario costituire delle unità ad hoc, i reggimenti fanteria di arresto 52° Alpi; 53° Umbria e 73° Lombardia. 4. L'organizzazione addestrativa nel suo complesso non subì alcun processo di ridimensionamento, anzi fu accresciuta con l'istituzione della Scuola Lingue Estere, le singole scuole furono però riordinate più volte, per adeguare di volta in volta struttura e programmi a causa dell'adozione delle nuove armi e dei nuovi materiali e della riduzione della ferma, portata a 15 mesi nel 1963. Le scuole di reclutamento, formazione e perfezionamento del personale effettivo saranno oggetto di un successivo capitolo, in questa sede saranno registrate le innovazioni più qualificanti apportate agli enti addestrativi d'arma e del personale di leva. Lo sv iluppo dell'attività addestrativa di base, I ciclo, rimase affidato ai centri o battaglioni addestramento reclute mentre l'addestramento di Il e di III ciclo continuò ad essere svolto presso i corpi. La riduzione della ferma lasciò quasi inalterata la durata dei primi due cicli, per cui nel seuore non si ebbero trasformazioni di rilievo, tuttavia per alcuni incarichi, conduttori di automezzo e motociclisti, allo scopo di alleggerire C.A.R. e B.A.R., ormai carenti di personale istruttore, si adottò per le divisioni non impegnate nella difesa di 1° tempo l'invio direuo delle reclute ai corpi di assegnazione. Nei primi anni Settanta il sistema dell'invio diretto fu sperimentato per tutti gli incarichi e per tutti i reparti, allo scopo di verificare la possibilità di sopprimere tutti o almeno pane dei C.A.R. e dei B.A.R. in modo da economizzare sulle spese di esercizio. rt provvedimento non produsse alcun inconveniente sono il profilo tecnico - le reclute furono ricevute, visitate, vestite senza traumi organizzativi - ma si dimostrò controproducente non solo ai fini della prontezza operativa dei reparti ma anche ai fini addestrativi, in quanto la sottrazione di aule, attrezzature didattiche cd istruttori al II ciclo a favore del I si rivelò del tutto negativa, e fu perciò abbandonato. Nel 1963 fu riordinato l'iter formativo degli ufficiali di complemento. I corsi furono articolati in due fasi: una di preparazione di base, delle durata di 5
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mesi, presso le scuole d'arma al termine della quale gli idonei erano promossi sergenti allievi ufficiali di complemento; una di tirocinio pratico-applicativo, della durata di 4 mesi, presso le unità d'impiego nelle funzioni di comandante di squadra. Al termine del tirocinio gli idonei erano promossi sottotenenti e trasferiti ad altra unità di impiego per il completamento della ferma. Il provvedimento dette ottimi risultati, ma nel 1971 i corsi allievi ufficiali di complemento furono ridotti ad una sola fase di 6 mesi presso le scuole, per ridurre le spese e per avere una maggiore disponibilità di ufficiali presso i reparti. Ancora una volta la qualità fu sacrificata a vantaggio della quantità, i reparti ebbero un numero maggiore di comandanti di plotone, ma di preparazione più modesta.
5. L'organizzazione centrale dell'esercito nel periodo 1960-1975 cambiò gradualmente fisionomia, in parte a causa di alcuni provvedimenti decisi autonomamente dalla forza armata e in parte per il necessario adeguamento alla nuova organizzazione del ministero della Difesa, profondamente ristrutturato nelJa seconda metà degli anni Sessanta. Lo Stato Maggiore dell'esercito a poco a poco accentrò nel suo ambito tutte le funzioni tecnico-amministrative - soprattutto quando, come si vedrà in seguito, scomparve la figura del segretario generale di forza armata - con due conseguenze negative, la crescente deresponsabilizzazione degli alti comandi periferici e lo scadimento delle funzioni degli Ispettorati. La maggiore complessità dei nuovi sistemi d'arma e la vitale necessità per l'esercito di padroneggiare le nuove tecniche costruttive, resero necessario il potenziamento dei servizi, nel 1960 fu perciò rispristinato il servizio tecnico del genio ed istituiti i servizi tecnici delle trasmissioni, chimico-fisico e geografico. Nell'ambito dello Stato Maggiore l'ufficio ricerche e studi poco alla volta ampliò le iniziali competenze ed attribuzioni sottraendole agli Ispettorati d'arma. Questi enti, nati come organo di consulenza del ministero della Guerra in fatto di armamenti e di equipaggiamenti e divenuti nel dopoguerra organi di consulenza del capo di Stato Maggiore, spogliati del loro compito principale, divennero organi ausiliari dello Stato Maggiore senza compiti precisi e, di fatto, incaricati soltanto di sovrintendere alle scuole d'arma e di elaborare la regolamentazione per le minori unità. Il progressivo accentramento al vertice del processo decisionale ebbe poi altre conseguenze del tutto negative, un eccessivo aumento del personale addetto aJ funzionamento dello Stato Maggiore (7>e, ciò nonostante, la crescente paralisi dell'attività di studio e di programmazione, che avrebbe dovuto costituire l'attività preminente e qualificante dell'organismo e che, invece, fu
(7) Dal 1960 al 1975 gli ufficiali addetti allo Stato Maggiore dell'esercito passarono da 270 a 350. i sottufficiali da 260 a 340 ed il personale civile da 140 a 190 unità. Nello stesso periodo il numero dei reparti passò da 4 a 5 e quello degli uffici da 17 a 22.
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sacrificata ad un poco redditizio lavoro di routine per risolvere quei piccoli e piccolissimi problemi che la periferia, timorosa di non saper interpretare il pensiero del centro, non era più capace di trattare. Nel I965, al termine di una pluriennale attività di studio, furono promulgati due decreti presidenziali, il n° 1477 ed il 1478 entrambi del 18 novembre, che fissarono rispettivamente le attribuzioni e l'ordinamento degli Stati Maggiori nonché il riordinamento dell'organizzazione centrale del ministero. Il decreto riguardante lo Stato Maggiore, è riportato nell'appendice di questo capitolo. Per quanto il decreto n° 1477 ampliasse i poteri del capo di Stato Maggiore della Difesa e ne specificasse con chiarezza le molte attribuzioni, la più elevata carica militare rimase sostanzialmente un consulente del ministro, privo di effettivo potere nei confronti dei capi di Stato Maggiore di forza armata, dipendenti direttamente dal ministro. Ancora una volta la cultura del sospetto e del sostanziale disinteresse per l'esigenza difesa era stata confermata, sanzionando la divisione tra le forze armate e la rinuncia da parte del governo a programmare una seria e coerente politica militare. Ai capi di Stato Maggiore di forza armata fu riconosciuta la preminenza gerarchica, non il comando pieno, sui generali di pari grado della propria forza annata, la responsabilità della pianificazione e della programma.tione tecnica e di impiego di forza armata, nonché dell'attività logistica, non essendo più prevista nel nuovo ordì namento la figura del segretario generale. Attraverso un Ispettorato Logistico - nel 1975 unificato con il IV reparto de llo Stato Maggiore - il capo di Stato Maggiore divenne responsabile della distribuzione, manutenzione e riparazione dei materiali e degli armamenti, del cui approvvigionamento rimanevano però responsabili le direzioni generali, dipendenti dal ministro ed alle quali il capo di Stato Maggiore poteva soltanto indirizzare direttive tecnico-militari. In campo operativo il capo di Stato Maggiore era responsabile della predisposizio ne, della mobilitazione e dello schieramento delle forze, ma non dell'impiego riservato al ministro. L'ordinamento degli Stati Maggiore, articolato in reparti ed uffici secondo una schema uni forme previde anche la figura del sottocapo, nominato con decreto presidenziale su proposta del ministro, coadiutore del capo con il compito di sostituirlo in caso di assenza, di impedimento o di vacanza della carica. L'ordinamento assunto dallo Stato Maggiore alla fine del l 974 fu il seguente: capo di Stato Maggiore con relativo ufficio, sottocapo con relativa segreteria, I reparto su 3 uffici (impiego del personale; reclutamento, stato e avanzamento; statistica, meccanografia e ricerca operativa, Il reparto S!OS, m reparto su 4 uffici (operazioni, ordinamento, addestramento, regolamenti), IV reparto su 4 uffici (servizi, infrastrutture, ricerche e studi, movimento e trasporti), V reparto su 4 uffici (affari generali, attività promozionale e documentazione, storico, rivista militare), ufficio generale programmazione e bilancio. Il decreto n° I478 disegnò un'organizzazione centrale del ministero della Difesa comprendente il Gabinetto del ministro (retto da un generale o ammiraglio), le
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segreterie particolari dei sottosegretari, l'ufficio del segretario generale, cinque uffici centrali e diciannove direzioni generali interforze, dipendenti direttamente dal ministro ma sottoposte al coordinamento del segretario generale; I cinque uffici centrali erano quelli per gli studi giuridici e la legislazione (LEGGlDIFE), del bilancio e degli affari finanziari (BILANDIFE), per l'organizzalione, i metodi, la meccanizzazione e la statistica (ORMEDIFE), per gli allestimenti militari (ALLESDIFE), per le ispezioni amministrative (ISPEDIFE). Agli uffici centrali erano attribuite incombenze esecutive, nonché compiti di consulenLa, raccolta di dati, ricerca, studio, progetto, proposta. Le diciannove direzioni generali erano state riorganizzate ufficialmente per funzioni o per materia, anziché per forza armata. Tuttavia solo alcune di esse avevano un carattere chiaramente interforze, essendo derivate dalla fusione delle direzioni generali omologhe esistenti nelle tre amministrazioni precedenti. Le altre, quelle del personale militare e quelle tecniche, conservavano ancora un collegamento pressocché esclusivo con una forza armata specifica, da cui era tratto il direttore generale e il personale militare assegnato agli uffici dipendenti. Sei direzioni generali si occupavano del personale militare dell'esercito (UFFICIALI ESERCITO, SOTTUFFESERCITO), della marina (MARIPERS), dell'aeronautica (PERSAEREO) e del personale civile (DIFEIMPIEGATI e DIFEOPERAI), una delle pensioni (DIFEPENSIONI), una delle provvidenze per il personale (DIFEASSTST), una dei servizi generali (DIFESERVIZI) e una del contenzioso (CONTEDIFE). Una sola direzione interforze fu incaricata della leva, servizio militare obbligatorio, militarizzazione, mobilitazione civile e corpi ausiliari (LEV ADIFE). Otto erano invece le direzioni generali a carattere tecnico-logistico incaricate di sopraintendere alle armi, munizioni e armamenti terrestri (TERRARMIMUNI), alle costruzioni, armi e armamenti navali (NAVALCOSTARMI) e aeronautici e spaziali (COST ARMAEREO), nonché agli impianti e mezzi (sistemi elettronici) per l'assistenza al volo, la difesa aerea e le telecomunicazioni (TELECOMDIFE), alla motorizzazione e carburanti (MOTORDIFE), ai lavori, al demanio e ai materiali del genio (GENIODIFE), ai servizi di sanità (DIFESAN) e di commissariato (COMMIDIFE). Il decreto, inoltre, introduceva nell'organizzazione della difesa una nuova figura, quella del segretario generale, che sostituiva i tre segretari generali di forza annata precedentemente previsti. Scelto dal ministro fra i generali e gli ammiragli di grado più elevato, il segretario generale della Difesa era incaricato di impartire concrete direttive per l'attuazione degli indirizzi generali indicati dal ministro nel campo tecnico-amministrativo e di coordinare gli affari di maggiore importanza delle direzioni generali e degli uffici centrali, con facoltà di corrispondere direttamente con esse su delega del ministro. Lo spirito del provvedimento era di porre il segretario generale al vertice dell'area tecnico-amministrativa, e dunque in una posizione analoga, anche se subordinata, a quella del capo di Stato Maggiore della Difesa relativamente
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all'area tecnico-operativa. Per l'espletamento dei propri compiti, il segretario generale disponeva di un proprio ufficio (SEGREDIFESA), retto da un capo ufficio, generale o ammiraglio, appartenente a forza annata diversa da quella del segretario. Con il tempo anche quest'ufficio si ingrandì e fu necessario suddividerlo in quattro reparti, corrispondenti alle aree tecnico-amministrative del ministro della Difesa: il I O per l'ordinamento e gli affari del personale, il 2° per il coordinamento della attività amministrative, il 3° per amministrare e coordinare gli allestimenti militari e il rapporto difesa-industria, il 4° per soprintendere ai programmi tecnico-finanziari approvati dal ministro su proposta degli enti programmatori. Capi del 2° e 3° reparto erano generali dell'esercito, capi del 1° e del 4° rispettivamente un ammiraglio e un generale dell'aeronautica. A partire dagli anni Settanta, di norma, la carica di segretario generale è stata esercitata da un generale o ammiraglio appartenente ad una forza armata diversa da quella del capo di Stato Maggiore della Difesa. Il decreto, infine, consentiva al comandante generale dell'arma dei carabinieri, su delega del ministro della Difesa, di provvedere direttamente all'amminiSLrazione dei capitoli di propria competenza, con facoltà analoghe a quelle dei direttori generali, conferendogli in pratica quei poteri decisionali che sempre il governo aveva negato al capo di Stato Maggiore dell'esercito. I due decreti non raggiunsero lo scopo d i dare alle forze armate un assetto istituzionale organico, tale a favorire lo sviluppo di una coerente politica di difesa. L'ordinamento degli Stati Maggiori era il frutto di un compromesso tra l'esigenLa funzionale di un vertice gerarchico e le spinte autonomistiche della marina e dell'aviazione, che temevano un capo di Stato Maggiore proveniente dall'esercito in grado di esercitare un reale potere di indirizzo. E subito si verificò il primo contrasto di interpretazione. Nei primi mesi del 1966 il capo di Stato Maggiore della Difesa , generale Aloia <8>, inviò alle tre forze armate una direttiva che prescriveva di intensificare l'addestramento alla controguerriglia. Il generale Dc Lorenzo, capo di Stato Maggiore dell'esercito, non ritenne opportuno ottemperare cd abolì i "corsi di ardimento", che proprio il generale Aloia, quando era capo di Stato Maggiore dell'esercito, aveva istituito per meglio preparare i Quadri più giovani al particolare tipo di operazioni . Il contrasto, reso pubblico, non fu certo edificante ma non fu un contrasto personale. !I generale De Lorenzo si rendeva conto che nell'Italia industrializzata ed urbanizzata del miracolo economico eventuali fenomeni rivoluzionari (8) Giuseppe Aloia ( 1905-1980). Sottotenente di fanteria nel 1924. dopo aver frequentato la Scuola di Guerra transitò nel corpo di St:uo Maggiore. Prese pane alla 2" guerra mondiale nei ranghi delle divisioni Sassari e Pu8lia. Promosso colonnello nel 1949 comandò il 45° fanteria e poi. da generale. la divisione l ,egnano e la Regione Militare Tosco-Em iliana. Fu capo di Stato Maggiore dell 'esercito dal IO apri le 1962 al 31 gennaio l966 e della Difesa dal IO febbraio 1966 al 29 febbraio 1968.
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avrebbero avuto la fisionomia del terrorismo e della guerriglia urbana e che avrebbero potuto essere affrontati con successo solo dalle forze di polizia, non certo da reparti dell'esercito addestrati ad agire in ampi spazi con l'impiego di armi pesanti. Apparve comunque evidente che il capo di Stato Maggiore della Difesa non era in grado di intervenire nell'organizzazione interna delle forze armate, libere di strutturarsi a loro piacimento. Nel 1968 poi la legge n° 200 del1'8 marzo istituì il comitato dei Capi di Stato Maggiore, comprendente anche il segretario generale della Difesa, competente in materia di pianificazione operativa, programmazione finanziaria, organizzazione strutturale delle forze armate e dell'area interforze, organizzazione centrale e territoriale della difesa. Il provvedimento segnò un ritorno al vertice collegiale ed indebolì ancora l'autorità ed il prestigio del capo di Stato Maggiore della Difesa, primus inter pares senza effettivi poteri di intervento. Anche il riordinamento del ministero non conseguì lo scopo di creare un'organismo funL.ionale e reattivo. La dipendenza diretta dal ministro di 4 capi di Stato Maggiore, I segretario generale, l 9 direzioni generali e 5 uffici centrali rese scoordinata, burocratica e sclerotica l'attività del ministero. J1 totale fallimento del nuovo assetto del ministero ebbe il suo punto centrale nella mancata gestione unificata del bilancio. L'unificazione dei tre preesistenti ministeri militari in un unico ministero della Difesa aveva sì determinato un bilancio unico, ma ripartito percentualmente tra le forze armate, indipendentemente dalle reali necessità di ognuna di esse nel quadro di un coerente sistema difesa. TI decreto n° 1478 non modificò nulla in proposito, per cui invece di prendere a base, per la ripartizione delle somme a bilancio, l'esigenza globale difesa in una visione chiaramente interforze, fu confermato il sistema di programmazione per forza armata, con l'aggravante che il bilancio fu suddiviso non più in tre ma in cinque aree: esercito, marina, aviazione, carabinieri, difesa (segreteria generale). Una volta ripartite le quote - quella relativa all'esercito diminuì progressivamente ma costantemente e non certo per migliorare l'assetto globale della difesa - ogni soggetto programmatore continuò ad operare autonomamente nell'esclusivo interesse del proprio settore. Poiché la strategia è unica, unica avrebbe dovuto essere la valutazione delle esigenze e della conseguente scala delle priorità. I ministri della Difesa, preoccupati unicamente di eliminare qualsiasi influenza dei militari nella gestione politica del Paese - influenza che i militari non avevano mai avuto nè tantomeno ricercato - rinunciarono alla formulazione di una linea di politica militare, rinunciarono cioé al loro compito primario, accontentandosi di una gestione del potere miope, sempre clientelistica e talvolta, come dimostrò la vicenda Lockheed, affaristica. 6. I rapporti tra politici e militari - già tesi e minati alla base da una
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sostanziale ostilità dei primi verso i secondi, che a loro volta ricambiavano con un atteggiamento di risentita sfiducia, fin dal ministero Bonomi - divennero ancora più problematici alla fine degli anni Cinquanta, quando il generale Liuzzi, appoggiato dal capo di Stato Maggiore della Difesa, cercò di opporsi allo spiegamento dei missili Jupiter in Puglia, schieramento accettato dal governo senza negoziare con il governo americano una adeguata contropartita che compensasse i maggiori rischi strategici cui indubbiamente si esponeva l'Italia <9>. fl ministro della Difesa, Andrcotti, risolse il contrasto di opinione con un gesto arrogante: dimissionò gli incauti generali che, naturalmente a torto, avevano ritenuto di poter esprimere un motivato parere su una questione di natura militare. Il provvedimento pu!Ù senza motivo e contro ogni logica il generale Liuzzi, l'uomo che più di ogni altro aveva rivendicato all'Italia un ruolo autonomo nel quadro dell'Alleanza Atlantica, convinto - come scrisse anni dopo in un volume di grande imeresse, Italia difesa? - che "anche sen.ta avere i mezzi necessari per svolgere operazioni belliche su scala mondiale si può fare della strategia: una strategia un pò più ridotta e casalinga, ma sempre strategia". L'episodio confermò quanto poco il governo tenesse in considerazione la possibilità di svolgere una politica estera autonoma e di come preferisse appiattirsi acriticamente sulle scelte americane, delegando ad altri la funzione della difesa. Nel 1966 poi venne alla luce un episodio risalente al luglio 1964, quando il Presidente della Repubblica, Antonio Segni, aveva richiamato l'attenzione del generale De Lorenzo, all'epoca comandante generale dell'arma dei carabinieri, sulla situazione politica interna che si stava pericolosamente deteriorando. De Lorenzo, forse interpretando estensivamente il pensiero del Presidente, preparò il piano Solo, nel quale era previsto di fronteggiare un'eventuale emergenza rivoluzionaria con l'impiego dei soli carabinieri. Quando la circostanza divenne di dominio pubblico alcune parti politiche la strumentalizzarono, cercando in tutti i modi di accreditare come un tentativo di colpo di Stato quella che era stata soltanto una misura precauzionale. L'autorità giudiziaria ordinaria dimostrò l'infondatezza di tale accusa e condannò alcuni giornalisti che si erano spinti troppo in là e che il generale Dc Lorenzo, nel frattempo divenuto capo di Stato Maggiore dell'esercito, aveva querelato. Il prestigio dell'esercito, implicitamente chiamato in causa, fu però offuscato dalla vicenda. Quasi contemporaneamente fu accertato che il servizio informativo delle forze armate, il SIFAR, aveva travalicato le sue competenze, ed aveva svolto una ragguardevole auività informativa - si parlò di migliaia di schede - nei confronti di parlamentari e cli esponenti dei partiti anche di governo. De Lorenzo, che era stato a capo del SIFAR dal 1956 al 1962, fu accusato di aver trasformato il servizio infonnativo in un centro occulto di potere e fu (9) I missili Jupiter furono ritirati nel 1962, quale contropartita per il ritiro dei missili sovietici da Cuba.
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destituito dall'incarico. Il provvedimento fu accolto con soddisfazione da alcuni generali, che a suo tempo non avevano gradito la nomina di De Lorenzo a capo di Stato Maggiore in quanto il generale non aveva comandato nè il corpo d'annata nè la regione militare, ma con molte perplessità da parte dei Quadri, poco favorevolmente impressionati dal fatto che venisse punito tanto drasticamente e con tanta risonanza il capo di Stato Maggiore mentre il ministro, al quale doveva addebitarsi almeno l'omissione di ogni controllo sull'attività informativa, rimaneva al suo posto. Altro episodio poco felice nel 1974, quando l'onorevole Andreotti accusò pubblicamente nel corso di un'intervista il generale Miceli, responsabile del servizio informazioni della Difesa (SID), di aver aiutato e coperto i responsabili di un presunto tentativo di colpo di stato che, secondo l'autorevole parlamentare, sarebbe stato parzialmente attuato dal principe Valerio Borghese, già ufficiale della marina militare e comandante della X Mas durante la repubblica di Salò. L'accusa non fu mai provata, ma la carriera del generale Miceli fu impietosamente stroncata e le accuse di golpismo all'esercito ricevettero nuovo alimento. A partire dagli ultimi anni Sessanta tutta l'organizzazione militare fu sovente messa in discussione da alcuni partiti politici, che di volta in volta indirizzarono pretestuose accuse al settore del reclutamento, a quello addestrativo, e soprattutto a quello disciplinare e penale. Contro il sistema penale militare, ritenuto in contrasto con alcuni principi della carta costituLionale, si appuntarono in particolare le ire del partito radicale che, con l'aiuto della sinistra e di alcune frange dello stesso partito di maggioranza relativa, tentò di promuovere due referendum popolari per ottenere l'abrogazione del codice penale militare di pace e dell'ordinamento giudiziario militare, referendum non espletali in quanto la Corte CostituLionale, con la sentenza n° 16 del 7 febbraio 1978, li dichiarò inammissibili, riconoscendo che i tribunali militari esistono perché il giudice ordinario non possiede la preparazione, la forma mentis, l'attitudine necessaria per interpretare certe disposiLioni di legge cd applicarle a certi determinati rapporti. I tribunali militari hanno lo scopo di introdurre nell'applicazione del codice penale militare la concezione strettamente gerarchica e disciplinare propria dei rapporti tra appartenenti alle forze armate, non certo quella di assicurare un regime coercitivo ed illiberale! Nonostante la virulenza delle ricorrenti campagne di stampa, tese sempre a convincere l'opinione pubblica che l'esercito era un pericolo per la democrazia, e l'assenza di qualsiasi azione riparatrice da parte dei governi che si succedettero nel periodo, l'esercito mantenne un'assoluta ed incondizionata fedeltà al governo ed alle leggi, privileggiando nel suo interno i valori della lealtà, dell'onore, dell'ubbidienza e dello spirito di sacrificio. Anche l'attività disgregatrice operata all'interno dei reparti nei primi anni Settanta da gruppi organizzati di militanti dei partiti della sinistra estrema, i cosiddetti proletari in divisa, non ebbe conseguenze durature. L'attività di protesta, spesso manifestata con ingenue manifestazioni di rifiuto del rancio, si spense presto e le unità dell'esercito,
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non contagiate da quelle manjfestazioni di aperta contestazione della gerarchia che si verificarono in alcuni enti dell'aeronautica militare, rimasero sempre saldamente in mano al corpo ufficiali che, ancora una volta.dimostrò la sua preparazione e la sua affidabilità. La "catastrofe" del Vajont (1963), l'alluvione dell'Arno a Firenze (1964), il terremoto della Valle del Belice (1968) furono solo gli episodi salienti di una costante attività dell'esercito in occasione di disastrose calamità naturali, attività che fu sempre tempestiva, provvida e determinante, anche se i mass media preferirono sempre sottolineare con enfasi sospetta l'apporto dei volontari, ai quali l'esercito dovette provvedere, aggravando il suo sforzo logistico, in toto, distribuendo loro cibo e coperte, erigendo per loro tende e persino latrine. 7. Il passaggio dalla limitata alla larga disponibilità nucleare, deterrrunatosi nei primissimi anni Sessanta, indusse lo Stato Maggiore ad elaborare una nuova linea dottrinale che ebbe il suo caposaldo nella pubblicazione Impiego delle grandi unità complesse, n° 700 della serie dottrinale, edita nell'agosto 1963. Alla pubblicazione fu data la veste insolita di un vero e proprio manuale di tattica in quanto, nella 1• parte, largo spazio era concesso alla trattazione dei principi generali deil'arte militare, alla classificazione degli ambienti operativi e naturali, alle diversificazioni delle varie forme di lotta. Continuando la prassi adottata per la serie dottrinale 600, in questa sede si riferiranno soltanto i lineamenti fondamentali tracciati dalla 700 per la battaglia offensiva e per quella difensiva. La battaglia offensiva della 700 si traduceva, in sostanza, in un'ulteriore accelerazione del ritmo di sviluppo. Il fuoco nucleare, largamente disponibile, ampliava le possibi1ità di rottura, aumentava la velocità di penetrazione, consentiva l'apertura di veri e propri corridoi d'irruzione lungo i quali spingere tempestivamente verso i loro obiettivi, molto in profondità, le forze corazzate e meccanizzate di 1• schiera. La battaglia offensiva ricercava l'annullamento della capacità operativa delle forze nemiche contrapposte mediante una profonda manovra accerchiante od avvolgente, a sua volta risultato di una successione rapida di manovre dei livelli subordinati. Tre le azionj fondamentali in cui la 700 articolava la battaglia: azione di ricerca e presa di contatto (marcia al nemico, esplorazione, avvicinamento, combattimenti preliminari); azione di investimento e disarticolazione (comprendeva la preparazione, l'attacco, il completamento del successo); azione di annientamento. Le azioni e le fasi in cui la battaglia si articolava si sviluppavano in rapida successione di tempo e di spazio e spesso si alternavano e si compenetravano. Per quanto riguarda il diverso aspetto che la battaglia assumeva rispetto alla forma della manovra del nemico, l'azione si fondava: se diretta contro nemico che effettuava una manovra di arresto, sulla potenza delle concentrazioni per soverchiare, sconvolgere e distruggere in loco, nell'azione di investimento e disarticolazione, le forze avversarie; se diretta contro nemico che impostava la difesa su di una manovra di logoramento, prevalentemente sulla celerità delle azioni per non tradursi in
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una lenta alternanza di combattimenti e di soste. Per quanto riguarda la battaglia difensiva la 700 affermava come il quadro di larga disponibilità nucleare esasperasse il bisogno, per la difesa, di profondità, elasticità e reattività e condannasse il caposaldo di battaglione. Protagonisti della battaglia difensiva diventavano le armi nucleari e le forze corazzate e meccanizzate, almeno nei terreni ad alto indice di scorrimento. Le fanterie, su talj terreni, erano vulnerabilissime e là dove la 700 affermava che "conservano buone capacità di adempiere compiti difensivi, purché possano forùficarsi" in pratica confessava implicitamente, che occorreva farvi ricorso perché non erano disponibili in misura sufficiente forze corazzate e meccanizzate. C'era perciò, nella 700 un'esaltazione ancora maggiore rispetto al passato della fortificazione permanente. Ma il bisogno di profondità era taJe che non era più soddisfacibile solo nei limiti di profondità di un sistema difensivo ancorato messo in essere da una divisione di fanteria, ancorché si avvalesse di fortificazione permanente, ma occorreva una riserva di spazio dove, in caso di necessità, si potesse prolungare ulteriormente la resistenza. Nasceva così la combinazione in profondità del procedimento di difesa ancorata con quello di difesa mobile. La battaglia, impostata sulla manovra di arresto - l'unica che interessava il problema difensivo italiano - si sviluppava mediante quattro azioni fondamentali: azione di presa di contatto (eventuale), azione di frenaggio, azione di resistenza ed arresto, azione di annientamento. Essa poteva avvalersi di una profondità che variava dai 160 ai 240 km (esclusa la zona di frenaggio), comprendente una posizione difensiva avanzata, una zona delle retrovie di armata, una posizione difensiva arretrata, predisposta a cura del comando di scacchiere per l'eventualità che occorresse reiterare la manovra di arresto. La battaglia si sviluppava, nel suo insieme, logorando il nemico dalla massima distanza possibile (azioni aggressive sostenute da fuoco convenzionale e/o nucleare, integrato da ostacoli, demolizioni, allagamenti, particolari forme di lotta), accentuando il contrasto ed il logoramento del nemico fino all'arresto entro la posizione di resistenza, annientandolo mediante una serie di contrattacchi risolutivi, sostenuti da tutto il fuoco disponibile. Le novità di fondo, rispetto alla dottrina 600, erano: il grande aumento di profondità dell'area della battaglia, l'accettazione del procedimento di difesa mobile, sia pure soltanto per proseguire eventualmente in profondità quello di difesa ancorata; la rinunzia, salvo casi eccezionali, anche in ambiente convenzionale, al caposaldo di battaglione e il ricorso normale a caposaldi di compagnia rinforzata. Altra novità di grande rilievo, l'esaltazione della preminente funzione di perno di manovra attribuita alle strutture statiche rispetto a quella del mantenimento della posizione, anche se posta a sbarramento di una direttrice importante. In definitiva, pur prevedendo due posizioni difensive, la 700 intendeva risolvere la battaglia nella prima e considerava il passaggio alla difesa mobile difficile e rischioso. Una dottrina, quindi, di largo respiro concettuale ma pur sempre saldamente ancorata al problema operativo italiano. Con molta tempestività lo Stato Maggiore adeguò la normativa logistica al nuovo contesto dottrinale, diramando nel 1964 e nel 1965 due circolari - la
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10.230 Precisazioni sulla dottrina logistica e la 10.240 L'organizzazione logistica delle grandi unità corazzate e meccanizzate (criteri ed elementi fondamentali) - che valsero ad armonizzare le modalità organizzative e di funzionamento dei servizi logistici previste dalla pubblicazione 6300 con il quadro operativo delineato dalla 700. Naturalmente non tardarono a comparire anche le pubblicazioni relative all'impiego tattico delle grandi unità, la 710, Impiego della divisione di fanteria, e la 720, Impiego della divisione corazzata, seguite in rapida successione da quelle relative a]l'impiego dei gruppi tattici a livello di battaglione: di fanteria, alpino, corazzato, paracadutista e lagunare. Il periodo 1960-1975 fu particolarmente fecondo anche nei settori della regolamentazione d'arma e di quella di servizio. Tra le tante pubblicazioni di carattere tattico e addestrativo edite nel periodo, operando necessariamente una scelta che potrà apparire senza dubbio riduttiva, si citano le Norme per l'addestramento individuale al combattimento, L'addestramento individuale al tiro, i Procedimenti tecnico-tattici della compagnia fucilieri - seguiti da quelli per la compagnia meccanizzata e per la compagnia di arresto -l'Istruzione sul tiro dell'artiglieria contro obiettivi terrestri, l'Artiglieria nel combattimento, la Cooperazione arma base-artiglieria, l'Organizzazione ed impiego delle trasmissioni, le Norme sull'organizzazione e funzionamento dei centri trasmissioni, La Pianificazione del fuoco di artiglieria. Nel settore della regolamentazione di servizio nel 1964 vide la luce il nuovo Regolamento di disciplina, unificato per le tre forze armate. Se si considera che la disciplina, in senso lato, è il complesso dei doveri alla cui osservanza è tenuto un individuo, in quanto appartenente ad un determinato corpo sociale dotato di una organizzazione con carattere di stabilità e di permanenza, e che la disciplina militare ha determinate particolarità che derivano dalle specifiche esigenze e finalità delle forze armate, in quanto comunità di uomini in armi, addestrati e destinati all'impiego di mezzi cruenti da impiegare nell'esclusivo interesse della difesa nazionale, si può facilmente comprendere quale incidenza abbia tale regolamento sulla vita dei reparti. Pur non discostandosi molto dal regolamento di disciplina per l'esercito del 1929, il nuovo regolamento costituì un riuscito tentativo di aggiornamento e di modernizzazione di vecchie norme ed aprì la strada alle più radicali riforme degli anni successivi. Un cenno, infine, alla circolare n° 44 ... /A/1 Direttive per l'addestramento dei Quadri e delle truppe nel ... , circolare con diramazione annuale, curata dall'ufficio addestramento dello Stato Maggiore. La circolare programmava l'attività addestrativa di III ciclo ed indicava gli obbiettivi generali e specifici da perseguire nell'anno, il calendario delle esercitazioni nazionali e NATO, l'utilizzazione del Centro Addestramento Unità Corazzate di Capo Teulada, la disponibilità dei mezzi (aree addestrative, fondi, carburante, munizioni, attrezzature didattiche). La circolare, infine, dava notizie ed anticipazioni sulle pubblicazioni dottrinali di imminente diramazione. Alla fine degli anni Sessanta la N.A.T.O. adottò ufficialmente la strategia
484
STORIA DELL'ESERCITO ITALIAN0(1&61 • 1990)
della risposta flessibile che, pur mantenendo fermo il principio della difesa avanzata, graduava la risposta, convenzionale e nucleare, all'aggressione nemica in riferimento alla situazione del momento. L'impiego del fuoco nucleare diveniva perciò limitato e selettivo, mentre le forze convenzionali riacquistavano il ruolo di componente fondamentale e determinante delle operazioni. Una dottrina che riportava la guerra in un ambito di razionalità, allontanando quella visione apocalittica di largo impiego di ordigni delineata dalla strategia della risposta massiccia. Lo Stato Maggiore elaborò pertanto una nuova dottrina di impiego, materializzata nella pubblicazione n° 800 della serie dottrinale, le Direttive per l'impiego delle grandi unità complesse, edita nel 1971. Il quadro strategico della 800 era caratterizzato da quattro fattori fondamentali: improbabilità di un ricorso generalizzato al fuoco nucleare; permanenza, tuttavia, della minaccia nucleare; notevole probabilità che il conflitto iniziasse con l'impiego delle sole armi convenzionali per evolvere eventualmente, e solo in un secondo tempo, verso moderate forme nucleari; rivalutazione delle forze convenzionali che più sono efficienti più elevano il livello della soglia nucleare. Come per le precedenti pubblicazioni si accennerà soltanto alla condotta della battaglia offensiva e di quella difensiva. Coerentemente con il quadro strategico di riferimento, la battaglia offensiva ipotizzata dalla 800, orbata delle possibilità del fuoco nucleare, necessariamente perdeva di potenza, d'irruenza e di ritmo. La rottura era nuovamente affidata alla fanteria; il dispositivo d'attacco ritornava ad essere articolato in più schiere; gli obiettivi erano collocati, in genere, a minore profondità; gli scavalcamenti normali, le azioni riassumevano carattere di sistematicità. Le azioni fondamentali restavano le tre della 700, ma assumevano denominazioni in parte diverse: schieramento per la battaglia; attacco; annientamento. La scelta dei punti di applicazione degli sforzi tendeva a realizzare una manovra più economica, diretta sui fianchi o nelle cortine, quando il dispositivo nemico si estendeva con fronte ampia e discontinua. Gli sforzi frontali, quando necessari, vale a dire quando la fronte del dispositivo nemico era robusta e continua, tendevano a condurre, appena possibile, la manovra complessiva alla forma avvolgente. La riduzione a due delle ipotesi di combattimento riconduceva in pratica la dottrina alla bivalenza. La battaglia era concepita e organizzata con riferimento all'ambiente nucleare potenziale, non facendo nessun assegnamento sulla disponibilità del fuoco nucleare di cui, a decidere l'impiego, era l'autorità politica. Il passaggio dal combattimento senza a quello con era possibile in ogni momento del corso dell'attacco da parte del nemico per cui la minaccia del fuoco nucleare era considerata sempre incombente. Voluto dal difensore, o determinato dalla volontà dell'attaccante in ritorsione a quello del difensore, l'intervento del fuoco nucleare poteva produrre una crisi di rimaneggiamento del dispositivo. L'attaccante del resto, al pari del difensore, doveva soddisfare l'esigenza del diradamento, ma in più ricorrere a concentrazioni per le azioni, sistematiche e prolungate nel tempo, condotte da fanteria meccanizzata, la sola capace di rapide concentrazioni e di altrettanto rapidi diradamenti sui terreni
IL PROGRESSIVO RIDIMENSIONAMENTO
485
che ne consentivano l'impiego. Anche la battaglia difensiva era ricondotta dalla pubblicazione 800 ad un modulo bivalente. La profondità dell'area di battaglia (della quale, peraltro, non venivano indicati i valori orientativi), diminuiva, scompariva la combinazione in profondità dei due procedimenti, le strutture statiche riassumevano la funzione tradizionale di presidio di posizioni importanti che interdicono vie tattiche pericolose. In sintesi la battaglia tendeva con le grandi unità elementari in 1• schiera all'arresto dell'attacco o, quanto meno, a creare le premesse di tale arresto e con le riserve di ordine superiore a potenziare, integrare e concludere l'azione delle prime, conseguendo l'arresto definitivo dell'attaccante e riportando la lotta in avanti. Le riserve di corpo d'armata: intervenivano per aliquote a concorso o in sostituzione di quelle delle GG.UU. elementari in 1• schiera; conducevano contrattacchi conclusivi all'interno ed a tergo della posizione di resistenza; presidiavano posizioni arretrate (terreni alpini). Le riserve di armata alimentavano la battaglia, conducevano reazioni dinamiche in sostituzione di quelle di corpo d'armata, creavano le premesse, in caso di eventi sfavorevoli, per la condotta di una nuova battaglia su una posizione difensiva arretrata. Nel 1972 e nel 1974 furono diramate le pubblicazioni n° 810, Impiego della divisione di fanteria, e n° 840, Impiego della brigata alpina, che trasferirono ad un livello organico inferiore il quadro dottrinale della 800. Nel 1974 l'Ispettorato dell'arma del genio diramò in stretta successione una serie di pubblicazioni per aggiornare le norrne d'impiego dei reparti del genio al nuovo quadro dottrinale, videro così la luce: la 8000, Impiego del genio; la 8400, Il battaglione genio pontieri; la 8500, Il battaglione genio ferrovieri; la 8110, Il battaglione genio pionieri per divisione corazzata; la 8610, la compagnia genio pionieri per brigata alpina; la 8300, Il battaglione genio guastatori. Anche l'Ispettorato delle Trasmissioni con la pubblicazione 9400, li battaglione trasmissioni di corpo d'armata, adeguò nel 1975 le norrne d'impiego delle sue unità alla pubblicazione 800. 8. L'assenza di una politica militare, chiaramente definita e perseguita con costanza nel corso degli anni, determinò l'impossibilità per lo Stato Maggiore di impostare una politica del personale coerente con lo sviluppo ordinativo dell'esercito. Il modesto trattamento economico, l'indifferenza della classe politica nei confronti delle esigenze del mondo militare, il disinteresse dell'opinione pubblica avevano provocato una notevole diminuzione del gettito delle scuole di reclutamento e, specie nel corpo ufficiali, le carenze nei gradi inferiori erano notevoli, insufficientemente coperte con il trattenimento in servizio di molti ufficiali di complemento, una specie di precariato militare. Nel 1962 fu perciò istituito il ruolo speciale unico (legge n° 1622 del 16/11/1962), da alimentare nel futuro con concorsi riservati agli ufficiali di complemento ed ai sottufficiali in carriera continuativa ed in possesso di un diploma di scuola media superiore, e al presente ottenuto con l'immissione degli ufficiali di complemento trattenuti in servizio da molti anni, dei capitani
486
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
in servizio effettivo non prescelti per la promozione a maggiore, di ufficiali in servizio permanente effettivo che ne facessero richiesta. Caratteristiche del nuovo ruolo erano la limitazione della carriera al grado di colonnello, più elevati limiti di età e l'impiego in incarichi non di comando per gli ufficiali superiori. Con l'istituzione del nuovo ruolo lo Stato Maggiore si era ripromesso di far raggiungere al corpo ufficiali il volume organico previsto dalla legge di avanzamento del 1955, di stabilizzare la carriera degli ufficiali di complemento trattenuti in servizio da molti anni, di offrire una alternativa a quegli ufficiali in servizio effettivo non più pienamente idonei a ricoprire incarichi di comando, di aprire, infine, ai sottufficiali meritevoli ed in possesso di una adeguata cultura generale l'ingresso nella categoria superiore. A distanza di tre decenni circa dall'inizio del provvedimento è possibile tracciarne un bilancio positivo e constatare che gli obbiettivi prefissati una volta tanto sono stati raggiunti. Il volume organico complessivo del corpo ufficiali stabilito dalla legge n° 1622 del 16.11.1962 risulta dalle tabelle riportate in calce. ORGANICO UFFICIALI GENERALI (legge n° 1622)
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13
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Magg. Gen.
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7
I
2
I
2
1
2
ORGANICO UFFICIALI SUP. E INF. V ARIE ARMI (legge n° 1622) GRADO
Carabin. Fanteria
Cavali. Artiglier.
Genio
Ruolo Speciale Unico
COLONNELLO
38
225
21
130
60
52
TENENTE COL.
216
788
73
455
210
870
MAGGIORE
144
450
42
260
120
560
CAPITANO
514
1265
117
731
338
1113
SUBALTERNI
566
1124
105
650
300
1120
487
IL PROGRESSIVO RIDIMENSIONAMENTO
ORGANICO UFFICIALI SUP. E INF. CORPI LOGISTICI (legge n° 1622) Commissariato
Sanità
Ammin. Autom. Veter.
GRADO Medici Fannac. Comm. Sussis.
COLONNELLO
42
2
16
3
16
18
4
TENENTE COL.
266
17
80
40
160
140
23
MAGGIORE
142
IO
50
25
100
90
15
CAPITANO
353
26
123
69
266
266
37
SUBALTERNI
176
14
60
60
238
207
18
9. Risolto il problema del fabbisogno organico del corpo ufficiali, allo Stato Maggiore rimase da risolvere il problema del trattamento economico. 11 riordinamento della pubblica amministrazione attuato dal governo nel 1957 era stato punitivo nei confronti del personale militare, specie per la cate· goria ufficiali, molto penalizzata dal confronto con i funzionari civili. Questi, infatti, iniziavano la carriera con una qualifica amministrativa corrispondente a quella del tenente e, dopo 5-8 anni di servizio, con la promozione a consigliere di 1• classe, erano amministrativamente allineati al grado di maggiore. Il governo ritenne di eliminare la sperequazione concedendo al personale militare l'indennità di impiego operativo (legge n° 192 del 6.3.1958), rimedio poco congruo sia per l'esiguità del beneficio sia per l'esclusione dell'emolumento dalla 13• mensilità e dal trattamento pensionistico. Un ulteriore riordinamento della pubblica amministrazione portò all'istituzione di una nuova figura amministrativa e giuridica, quella del dirigente, inizialmente prevista solo per i funzionari civili. Al termine di una lunga "contrattazione" con il governo la dirigenza fu riconosciuta anche al personale militare, il colonnello fu equiparato al "primo dirigente", il generale di brigata al "dirigente superiore", il generale di divisione al "dirigente generale". Poiché per i dirigenti civili era previsto un numero chiuso, lo Stato Maggiore rinunciò al favorevole - dal punto di vista economico - istituto della promozione a disposizione (IO) ed accettò un volume organico rigidamente sta-
( I 0) La legge di avanzamento del I 955 dava la possibilità all'ufficiale giudicato "idoneo e non prescelto·· all'avanzamento al grado superiore. di conseguire ugualmente la promozione, dopo tre valutazioni, nella posizione d.i "a disposizione". Tale norma. rispondente al criterio di non penalizzare in modo eccessivo il personale meritevole che era però impossibilitato ad essere promosso in servizio permanente a causa del restringimento del volume organico superiore, rappresentava indubbiamente una "conquista" per il corpo ufficiali. Avervi rinunciato si dimostrò con il tempo un grave errore.
488
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO ( 1861 • 1990)
bilito per i gradi superiori a quello di tenente colonnello, sia pure ampiamente maggiorato per evitare che il personale dovesse essere messo a disposizione perché in soprannumero. Con la legge n° 804 del 10.12.1973 il numero dei generali di corpo d'armata passò da 21 a 31, quello dei generali di divisione da 38 a 77, quello dei generali di brigata da 104 a 213, quello dei colonnelli da 668 a 1379. Il provvedimento, immediatamente negativo per i tenenti colonnelli non promossi al grado superiore, sul momento apparve soddisfacente alla grande maggioranza dei Quadri, tanto che si ritenne opportuno ritoccare in senso più favorevole il volume organico del ruolo speciale unico: 78 colonnelli, 844 tenenti colonnelli, 560 maggiori, 1113 capitani e 1120 subalterni (legge n° 626 del 7.12.1975). In calce la tabella con le retribuzioni del personale militare nel periodo 1960-1970.
RETRIBUZIONI MENSILI AL NETTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI E ASSISTENZIALI 1960 GRADO
1970
imp. Ind. imp. Stipendio Ind.Mil. lnd. Oper. Stipendio Ind. Mii. Oper.
GENERALE C.A.
201.524
74.683
=
399.503
56.732
37.909
GENERALE DIV.
187.325
66.565
21.595
362.935
50.253
37.909
GENERALE BRG.
140.787
54.888
18.896
302.497
31.255
38.964
COLONNELLO
106.370
46.789
16.196
247.532
23.432
38.964
TENENTE COL.
86.529
32.392
13.497
208.982
11.797
38.964
MAGGIORE
70.652
30.136
12.714
174.842
14.679
38.964
CAPITANO
59.209
26.087
10.736
143.930
14.777
25.681
TENENTE
50.175
22.262
8.617
127.064
15.708
25.681
SOTTOTENENTE
44.359
14.612
8.617
90.924
10.535
25.681
MARESCIALLO MAGG.
59.749
10.779
6.502
112.467
7.128
25.694
MARESCIALLO CAPO
50.640
10.960
5.748
101.459
6.654
25.694
MARESCIALLO ORD.
44.768
10.777
4.598
88.324
6.188
25.694
SERGENTE MAGG.
39.984
10.777
2.874
81.027
5.700
15.328
SERGENTE
31.278
9.676
2.299
6 1.425
4.886
15.328
IL PROGRESSIVO RIDIMENSIONAMENTO
489
Appendice al capitolo XXII
D.P.R. n. 1477 del 18 novembre 1965 (stralcio).
CAPO Il Stati maggiori dell'esercito, della marina e dell'aeronautica. Art. 8 Configurazione delle cariche di capo di Stato Maggiore dell'esercito, della Marina e dell'Aeronautica. I capi di Stato Maggiore dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica: a) sono scelti tra gli ufficiali generali o ammiragli della rispettiva forza armata, di grado non inferiore a quello di Corpo d'armata, ammiraglio di Squadra o generale di Squadra aerea; b) sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta dal Ministro per la Difesa, udito il capo di Stato Maggiore della difesa; c) dipendono direttamente dal Ministro per la Difesa di cui sono gli alti consulenti per le questioni interessanti la rispettiva forza armata e dal capo di Stato Maggiore del la difesa nell'ambito delle attribuzioni e dei poteri a questo conferiti dalla legge; d) sono responsabili, nel quadro delle direttive ricevute, della pianificazione e della programmazione tecnica e delle altre predisposizioni relative all'impiego della rispettiva forza armata; e) vengono consultati dal Ministro per la difesa sulle questioni che possono interessare l'organizzazione e l'cfficenza della rispettiva forza armata; t) sono tenuti al corrente della situazione politico-militare per quanto può aver rif1csso sulle predisposizioni belliche e sull'impiego della rispettiva forza armata; g) hanno rango gerarchico, nell'ambito della rispettiva forza armata, preminente nei riguardi di tutti gli ufficiali generali od ammiragli. Art. 9 Attribuzioni I capi di Stato Maggiore di forza armata, sulla base degli indirizzi fissati dal Ministro per la difesa e delle direttive del capo di Stato Maggiore della
490
STORIA DELL.ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
difesa nell'ambito delle attribuzioni e dei poteri a questo conferiti dalla legge, sono competenti per la pianificazione e la programmazione tecnica e le altre predisposizioni relative all'impiego della rispettiva forza annata, nonché per il controllo delle istruzioni emanate. Con particolare riguardo, essi, sulla base degli indirizzi e delle direttive suddette: a) sono consentiti collegialmente dal capo di Stato Maggiore della difesa per la pianificazione operativa e per la formulazione dei relativi programmi tecnico-finanziari; b) impartiscono alle competenti Direzioni generali direttive d'ordine tecnico-militare per la migliore realizzazione dei programmi tecnico-finanziari approvati dal Ministro; e) definiscono i piani operativi particolari di forza armata; d) determinano: la composizione, l'organizzazione e lo schieramento delle forze; le modalità per l'attuazione della mobilitazione; la regolamentazione nei vari settori di attività tecnico-militare; i piani degli apprestamenti difensivi; gli organici del personale dei comandi, delle unità, delle scuole e degli enti vari, nei limiti delle dotazioni organiche complessive indicate dalle leggi in vigore; le dotazioni e le scorte di armi, materiali e mezzi; l'attività addestrativa della quale fissano gli obiettivi e le linee programmatiche; i programmi, le ricerche, gli studi e le esperimentazioni concernenti armi, materiali e mezzi di interesse della forza armata; le esigenze di personale civile per i comandi, le unità, le scuole e gli enti vari della forza armata; e) promuovono studi relativi: all'ordinamento della rispettiva forza annata ed alla circoscrizione territoriale che ad essa si riferisce; al reclutamento, allo stato, all'avanzamento, al governo disciplinare, ai criteri generali di impiego ed al trattamento economico del personale militare della forza armata; f) designano al Ministro per la difesa i generali di brigata o maggior generali o contrammiragli e gli ufficiali con la qualifica di Stato Maggiore da destinare nei vari incarichi nell'ambito della rispettiva forza armata, nonché i colonnelli o capitani di vascello da destinare ai vari comandi o incarichi per l'espletamento delle attribuzioni specifiche; g) indicano al capo di Stato Maggiore della difesa, per il personale della rispettiva forza armata: l'impiego degli ufficiali generali od ammiragli di grado non inferiore a generale di divisione o grado corrispondente; l'impiego degli ufficiali destinati a ricoprire incarichi in campo internazionale;
IL PROGRESSIVO RIDIMENSIONAMENTO
491
h) sono sentiti dal capo di Stato Maggiore della difesa sull'impiego degli ufficiali della rispettiva forza armata da assegnare allo Stato Maggiore della difesa e agli organi tecnico-militari interforze da questo dipendenti. L'attività logistica nell'ambito di ciascuna forza armata è devoluta al capo di Stato Maggiore il quale la esercita tramite un apposito Ispettorato di forza armata; tale organo provvede alla organizzazione, alla direzione e al controllo dei servizi logistici con particolare riguardo per la distribuzione, la conservazione, la manutenzione, la revisione, il raddobbo e la riparazione dei materiali approvvigionati e distribuiti alla forza armata dalle Direzioni generali competenti per materia, nonché alla gestione statistico-contabile delle scorte, al controllo dei consumi e della giacenze e alla indicazione alle varie Direzioni generali della ripartizione tra gli organi territoriali dei fondi occorrenti per l'esplemento delle rispettive attiività logistiche. I capi dei Corpi e dei Servizi che svolgono attività logistica sono posti alle dipendenze del capo di Stato Maggiore della rispettiva forza armata.
Art. 10 Attribuzioni particolari del capo di Stato Maggiore dell'Esercito. È di specifica competenza del capo di Stato Maggiore dell'Esercito disporre il concorso alla difesa aerea.
Art. 13 Rapporti con gli organi tecnico-amministrativi In relazione alle attribuzioni di cui ai precedenti articoli 9, 10, 11 e 12 i capi di Stato Maggiore di forza armata ciascuno per la rispettiva forza armata: hanno facoltà di inoltrare al Ministro proposte relative a leggi e a disposizioni regolamentari; danno istruzioni, per delega del Ministro, ai competenti organi del Ministero della difesa per il soddisfacimento delle esigenze tecnico-logistiche e di quelle relative al personale militare.
Art. 14 Rapporti con gli organi periferici I capi di Stato Maggiore dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, nell'ambito delle attribuzioni a loro conferite dalla legge, hanno alle dipendenze rispettivamente:
492
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
comandi, ispettorati, grandi unità, reparti, istituti, scuole, enti e servizi dell'Esercito; alti comandi navali e marittimi, unità, enti autonomi, ispettorati, istituti, scuole e centri di addestramento della Marina; comandi, ispettorati, reparti, scuole ed enti dell'Aeronautica.
Art. 15 Rapporti con autorità militari e civili. Il capo di Stato Maggiore di ciascuna forza armata corrisponde direttamente con le autorità militari e civili nazionali per l'esplicazione dei suoi compiti e con quelle internazionali nei limiti degli accordi di difesa comune.
Art. 16 Ordinamento Per l'esercizio delle sue attribuzioni ciascun capo di Stato Maggiore: è coadiuvato da un sottocapo di Stato Maggiore che lo sostituisce in caso di temporanea assenza o di impedimento o di vacanza della carica. Il sottocapo di Stato Maggiore di ciascuna forza armata ha grado di generale di Corpo d'armata o di divisione in servizio permanente effettivo dell'Esercito, di ammiraglio dì Squadra o di divisione in servizio permanente effettivo della Marina, di generale di Squadra aerea o di divisione in servizio permanente effettivo dell'Aeronautica ed è nominato con decreto dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per la difesa, udito il capo di Stato Maggiore della rispettiva forza armata; dispone di un proprio Stato Maggiore di forza armata, ordinato in reparti e in uffici. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 18 novembre 1965
I
Saragat - Moro - Andreoui - Colombo
xxm. LA RISTRUTIURAZIONE I. Alla fine degli anni Sessanta la crisi dell'esercito.per anni fron-
teggiata e mascherata con provvedimenti parziali e contingenti, si aggravò. Il di vario tra esigenze operative e risorse finanziarie si era approfondito con il passare degli anni, anche a causa dell'invecchiamento dei materiali, ormai tecnicamente superati • e le mezze misure non erano più sufficienti. Il problema era comune ad altri eserciti alleati, anche se meno esteso, tanto che nel 1970 i Paesi europei aderenti alla N.A.T.O. concordarono sulla necessità di potenziare le forze convenzionali e si impegnarono a dare attuazione al programma AD-70, un programma che prevedeva per l'esercito italiano il graduale rinnovamento della linea carri ed il potenziamento delle difese contraerei e controcarri. li programma AD-70 ebbe però soltanto un principio di attuazione perchè l'inizio degli anni Settanta fu per l'Italia un periodo di grandi difficoltà economiche. La generale crisi, provocata dalla svalutazione del dollaro e dalla conseguente rottura degli accordi monetari, fu aggravata per noi dal subitaneo e vertiginoso aumento del preZlo del greggio ed ebbe sul potenziamento dell'esercito un impatto disastroso. Il bilancio dell'esercito in quegli anni registrò una costante crescita contabile - 317,2 miliardi nel 1969, 348,3 nel 1970, 375,3 nel 1971, 387 nel 1972, 494 nel 1973 - ma, a causa dell'inflazione, una altrettanto costante diminuzione in termini reali. Le spese per il personale, aumentate per il lievitare delle retribuzioni, contribuirono non poco alla diminuzione percentuale delle risorse disponibili per le spese di potenziamento, proprio quando l'aumento del costo dei materiali ne avrebbe richiesto un incremento. La tabella sottoriportata evidenzia l'aumento abnorme nel volgere di pochi anni delle retribuzioni, sulle quali incideva pesantemente la ritenuta per l'IRPEF, specie per i gradi "dirigenziali". La tabella non riporta nè l'indennità di impiego operativo, rimasta ferma ai livelli precedenti, nè l'indennità militare, soppressa nel 1973 e sostituita da un assegno "perequativo" per i soli gradi non dirigenziali.
494
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
RETRIBUZIONI MENSILI AL LORDO DELLE RITENUTE IRPEF STIPENDIO GRADO
ASSEGNO PEREQUATIVO
1972
1975
GENERALE C.A.
468.275
929.005
-
GENERALE DIV.
423.740
755.650
-
GENERALE BRG.
350.965
427.461
COLONNELLO
285.626
326.702
-
TENENTE COL.
228.426
228.695
93.988
MAGGIORE
187.636
187.857
77.393
CAPITANO
155.003
155.186
68.463
TENENTE
135.968
136.128
59.794
SOTTOTENENTE
95.177
95.230
48.371
MARESCIALLO MAGG.
119.692
119.772
62.653
MARESCIALLO CAPO
107.064
107.135
62.653
MARESCIALLO ORD.
92.240
92.301
62.653
SERGENTE MAGO.
84.004
84.060
52.558
SERGENTE
63.309
63.348
42.273
(dal 27.10.73)
L'esame della tabella evidenzia alcune caratteristiche del sistema retributivo adottato dal governo: un forte aumento per i relativamente pochi appartenenti alla dirigenza, aumento del resto molto mitigato dalla progressività delle aliquote IRPEF; una maggiore considerazione per l'anzianità di servizio rispetto al grado gerarchico, l'assegno perequativo dei marescialli infatti è superiore a quello del tenente; un freno agli emolumenti del numeroso personale più giovane e non ancora in servizio pennanente (sergenti in ferm a volontaria) oppure in ferma di leva (sottotenenti di complemento di 1• nomina). Pur con le limitazioni succitate la situazione economica dei Quadri registrò nel periodo un effettivo mig lioramento, in linea con il generale miglioramento delle retribuzioni che si verificò parallelamente in tutti i settori produttivi, nonostante la caduta della produzione industriale ed il disavanzo crescente del debito pubblico. Il governo, preoccupato di risolvere i gravi problemi di ordine sociale provocati da.Ila crisi economica, trascurò le esigenze della difesa, forse più di quanto era necessario. Nel 1973, ad esempio, l'incremento della spesa statale rispetto all'esercito finanziario precedente fu pari al 23,38% ma l'incremento delle spese per la difesa arrivò solo al 18,28%. Il governo, in definitiva, non tenne conto dcli ' interdipendenza esistente
LA RISTRUTTURAZIONE
495
tra obiettivi, programmi e finanziamenti per cui all'esercito rimase il compito di garantire l'integrità dei confini senza la disponibilità dei mezzi necessari. Le forze politiche si dimostrarono, invece, sensibili al problema, all'epoca del tutto marginale sul piano pratico, del riconoscimento dell'obiezione di coscienza. La legge n°722 del 15.2.1972 riconobbe infatti ai giovani di leva la possibilità di prestare un servizio civile sostitutivo, equiparato ad ogni effetto civile, penale ed amministrativo al servizio militare benchè più lungo di otto mesi. La legge, inoltre. stabilì, in via transitoria, che il servizio civile potesse essere svolto presso un ente assistenziale, al quale il ministero della Difesa avrebbe corrisposto una somma corrispondente al "costo" di un soldato. Il lato economico del provvedimento fu naturalmente subito apprezzato dai responsabili di questi benemeriti enti, in genere collegati direttamente con il mondo cattolico e, quindi, molto influenti nel Parlamento. Con opportuni, graduali e puntuali provvedimenti successivi, il servizio civile da sostitutivo divenne di fatto alternativo e la prassi di "appoggiare" gli obiettori presso enti privati divenne definitiva, costituendo per le associazioni più organizzate e più ramificate sul territorio un cespite di finanziamento sempre più ragguardevole, dell'ordine di decine e decine di miliardi. L'impiego degli obiettori di coscienza come vigili del fuoco e come accompagnatori dei grandi invalidi, unici impieghi non clientelari possibili in tempo di pace, e che non avrebbero dovuto turbare i sinceri convincimenti morali degli obiettori - la parte migliore della gioventù italiana, secondo la felice definizione dell'arcivescovo di Milano - fu rifiutata decisamente dagli interessati con speciose motivazioni, naturalmente sostenute a gran voce dagli enti utilizzatori , riuniti in solidale consorteria dall' interesse economico. 2. I capi di Stato Maggiore del periodo si erano resi conto della progressiva perdita di efficienza dell'organizzazione militare, il generale Marchesi (I), capo di Stato Maggiore della Difesa dal 15 gennaio 1970 al 26 aprile 1971, ed il suo successore, ammiraglio Henke, avevano avviato, in accordo con i capi di Stato Maggiore dii forza armata, la necessaria attività di studio per giungere ad un riordinamento equilibrato e di ampio respiro dell'apparato militare che restituisse alle forze armate la validità ormai compromessa. L'ammiraglio Henke nel novembre 1972, inaugurando la XXIV sessione del Centro Alti Studi Militari, dichiarò senza alcuna reticenza che il più importante ed urgente problema per le forze armate era in quel momento la revisione delle strutture, per renderle maggiormente idonee all'assolvimento del compito, in "relazione alle risorse disponibili e nel contesto generale del nostro (I) Enzo Marchesi nato nel 1907, sottotenente degli alpini nel 1929, frequent ò la Scuola di Guerra e prestò servizio presso lo Stato Maggiore dell'esercito. Prese parte al 2° conflitto mondiale e militò nelle fila partigiane durante la Resistenza. Nel dopoguerra comandò il 4° alpini. la brigata Julia. la Regione Militare della Sicilia. il IV corpo d'annata. Capo di Stato Maggiore dell'esercito dal 28.2. I968 al 14.1. 1970 e della Difesa dal 15.1.1970 al 26.4. I 971.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 · 1990)
tempo e della nostra società". Era necessario perciò "definire ed attuare uno strumento militare bilanciato, efficiente, effettivamente realiuabile e poi sostenibile (il corsivo è nostro), contemperando nel modo migliore le esigenL.e difensive con le disponibilità finanL.iarie". Il rapido peggioramento della situazione economica non concesse però il tempo necessario per concepire ed attuare una ristrutturazione globale ed organica dell'apparato militare ed allora ciascuna forza armata dovette procedere per conto suo e la ristrutturazione, nata per rispondere anche ad una esigenL.a tecnico-militare, finì per rispondere soltanto ad una necessità di carattere finan ziario. L'esercito dovette affrontare subito una situazione di emergenza, la riduzione della forza bilanciata per il 1975 di 51.000 unità, e la soluzione fu obbligata: riduzione a quadro di 57 unità a livello battaglione-gruppo e abbassamento del livello di foru di quasi tutte le unità operative del 14%. Subito dopo il capo di Stato Maggiore, generale Andrea Cucino <2>, rompendo ogni indugio cd accettando responsabilmente il rischjo di provocare una temporanea inefficienza totale dell'esercito di campagna, dette inizio a quel processo di completo riordino che va sotto il nome di ristrutturazione e che nel giro di due anni cambiò radicalmente la fisionomia dell'esercito. Naturalmente governo e Parlamento furono preventivamente informati di quanto si voleva operare. li 15 maggio 1975 il generale Cucino illustrò al ministro della Difesa, onorevole Forlani, ed ai componenti delle commissioni difesa di Camera e Senato le linee fondamentali del riordinamento che intendeva attuare, sollecitando l'appoggio del governo e del Parlamento. Criterio fondamentale della ristrutturaL.ione in fieri era la riduzione delle dimensioni dell'apparato militare per ricuperare risorse a va11taggio dell'ammodernamento e del potenziamento. Il generale Cucino riteneva, pertanto, che fosse opportuno attuare una riduzione più sensibile delle componenti territoriali e scolastico-addestrativa, per incidere il meno possibile sulla componente operativa, e che fossero necessari anche alcuni provvedimenti ordinativi per rendere più razionale lo sviluppo delle carriere dei Quadri ufficiali ed ottenere, anche per questa strada, un miglioramento dell'efficienza complessiva. In sintesi, oltre ad una riduzione complessiva dell'apparato, il generale Cucino proponeva: eliminazione di un livello organico nella scala funzionale dei reparti; trasformazione dell'organizzazione logistica, in atto per materia, in una per funzioni; aumento del rapporto tra personale a lunga ferma e personale di leva dall'l,5% del momento al 15%; unificaL.ione dei ruoli ufficiali delle varie anni; unificazione dei ruoli dei servizi tecnici. E poichè era necessario guadagnare in qualità ciò che si era costretti a perdere in qualllità, qualora infatti questa equivalenza non fosse stata rispettata la ristrutturazione sarebbe divenuta im non senso, il generale chiese che (2) Del generale Andrea Cucino vds. il breve profilo biogmfico nella pane Il di questo volume.
LA R1STRU1TURAZTONE
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l'autorità politica si facesse carico di una legge di finanziamento straordinario per consentire lo sviluppo dei più urgenti programmi pluriennali di poten.i:iamento: acquisizione di moderni sistemi d'arma per la difesa contraerei a bassa ed a bassissima quota; acquisizione di armi per completare la difesa controcarri ; rinnovo della linea carri e del parco di artiglieria, potenziamento del supporto elettronico di comando e di controllo. Governo e Parlamento furono informati con grande sincerità sia dei mali dell'esercito sia della terapia che si riteneva opportuno adottare per rianimarlo, ed in mancanza di controindicazioni il generale Cucino procedette con estrema determinazione ad attuare la ristrutturazione, superando anche le perplessità, a volte notevoli, dello Stato Maggiore su questo o quel provvedimento. 3. Caratteristiche fondamentali dell'esercito di campagna a ristrutturazione effeuuata furono: un elevato grado di pronteu.a operativa - i livelli di forza furono innalzati al 93% delle tabelle organiche di guerra, con punte del 100% per la divisione corazzata Ariete, per la brigata missili e per i reparti Hawk, livelli che avrebbero consentito alle grandi unità di entrare in azione fin dal primo momento dell'emergenza-; un'accentuata mobilità, ottenuta con la totale meccanizzazione o motorizzazione delle grandi unità, ad eccezione delle brigate alpine; una migliorata capacità di fuoco, per la sostituzione dell'obice da 105/22 con quello da 155/23; una accresciuta difesa controcarri con l'introduzione dei primi lanciatori TOW; una notevole flessibilità di impiego, dovuta sia alla scomparsa delle distinzioni ordinative tra le unità destinate alle forze operative e quelle designate per la difesa territoriale, sia all'unificazione organica dei battaglioni meccanizzati di fanteria con i battaglioni bersaglieri e con i gruppi squadroni meccanizzati e dei battaglioni carri con i gruppi squadroni carri, nonché alla creazione dei battaglioni logistici, all'unificazione strutturale delle grandi unità ed alla migliorata motorizzazione delle brigate alpine. Alla fine del 1976 l'esercito di campagna era articolato su : - 3 corpi d 'armata - 3° (Milano), 4° alpino (Bolzano), 5° (Vittorio Veneto) - ai quali fu commesso il compito di condurre la manovra aeroterrestre mediante l' impiego coordinato delle grandi unità elementari e delle unità di supporto alle loro dipendenze; - 4 divisioni, divisione meccanizzata Centauro (Novara), divisione meccanizzata Folgore (Treviso), divisione meccanizzata Mantova (Udine), divisione corazzata Ariete (Pordenone). Analoghe nella struttura, queste grandi unità si diversificavano a seconda che in esse prevalesse il numero delle brigate meccaniuate o di quelle corazzate. Entrambe erano in grado di realizzare, in un contesto unitario, il coordinamento tra l'azione di arresto delle brigate meccanizzate e gli interve nti dinamici delle brigate corazzate. La divisione meccanizzata era maggiormente idonea a condurre una manovra tattica che comportasse l'esecuzione di sforzi sistematici e prolungati, quella corazzata appariva meglio strutturata per la condotta di azioni violente, rapide e risolutive. Le divisioni, oltre a comprendere 3 brigate, inquadravano organicamente numerosi supporti: l gruppo squadroni per l'attività esplorativa e di sicurezza; gruppi di
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
artiglieria per l'indispensabile supporto di fuoco; I battaglione genio pionieri, destinato allo schieramento ed al superamento dell 'ostacolo; I battaglione delle trasmissioni e reparti dell'aviazione leggera per soddisfare le esigenze di collegamento e di comando; organi dei servizi, riuniti in un battaglione e sufficienti a garantire una completa autonomia al comando di divisione ed ai supporti; - 8 brigate meccanizzate, Coito (Milano), legnano (Bergamo), Brescia (Brescia), Garibaldi (Pordenone), Isonzo (Cividale del Friuli), Gorizia (Gorizia), Trieste (Bologna), Granatieri di Sardegna (Roma) e 5 brigate corazzate, Curtatone (Novara), Mameli (Tauriano), Manin (Aviano), Pozzuolo del Fritlli (Palmanova), Vittorio Veneto (Trieste). Queste brigate, simili nell'ordinamento - tutte infatti erano articolate su 3 battaglioni dell'arma base, I gruppo d'artiglieria, I compagnia controcarri, I compagnia genio pionieri, I compagnia trasmissioni, I battaglione logistico - differivano per il diverso rapporto tra battaglioni meccanizzati e battaglioni carri e, quindi, erano operativamente impiegabili per compiti diversi. La brigata meccanizzata era specificamente idonea a condurre un 'azione sistematica sia in difesa sia in attacco, quella corazzata maggiormente idonea a condurre reazioni dinamiche di notevole consistenza; - 5 brigate motorizzate, Cremona (Torino), Friuli (Firenze), Acqui (L'Aquila), Pinerolo (Bari), Aosta (Messina). Queste brigate - articolate su 2 battaglioni di fanteria, I battaglione carri, I gruppo d'artiglieria, I compagnia controcarri, 1 compagnia genio, I compagnia trasmissioni, 1 battaglione logistico - avevano nella fanteria l'elemento fondamentale per l'azione di forza sistematica e metodica, opportunamente integrata dal battaglione carri. li battaglione logistico delle brigate motorizzate, inoltre, era in grado di assicurare una più completa autonomia logistica ai reparti della brigata nella considerazione che queste brigate, di norma non inquadrate nelle divisioni, necessitavano di un più ampio supporto; - 5 brigate alpine, Taurinense (Torino), Orobica (Merano), Tridemina (Bressanone), Cadore (Belluno), Julia (Udine). Dotate di armi, mezzi ed equipaggiamenti specifici per l'azione in montagna, le brigate alpine erano però in grado di condurre la manovra tattica anche in terreni di pianura, in quanto in possesso di buone possibilità di fuoco controcarri. Strutturate su 3-5 battaglioni alpini, 2-3 gruppi di artiglieria da montagna, I compagnia controcarri, I compagnia genio pionieri, I compagnia trasmissioni, I battaglione logistico, erano in grado di ricevere agevolmente concorsi dai comandi di ordine superiore; - 1 brigata paracadutisti, la Folgore (Livorno). Strutturata su 2 battaglioni paracadutisti, I battaglione incursori, 1 battaglione carabinieri paracadutisti, I gruppo d'artiglieria, I battaglione logistico; - I brigata missili, l'Aquileia (Portogruaro) su I gruppo Lance, 3 gruppi artiglieria pesante da 203/25 a traino meccanico, I gruppo acquisizione obiettivi, I battaglione di fanteria, l plotone genio pionieri, I plotone trasmissioni, 1 battaglione logistico. Completavano l'esercito di campagna le unità d'arresto - battaglioni alpi-
LA RISTRUTTURAZIONE
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ni d'arresto Val Tagliamelllo, Val Brenta e Val Chiese per il settore di montagna, bauaglioni di fanteria d'arresto 33° Ardenza, 52° Alpi, 53° Umbria, 63° Cagliari, 73° Lombardia, 74° Pontida e 120° Fomovo per il settore di pianura -, il comando truppe anfibie - su battaglione lagunare Serenissima e bartaglione mezzi anfibi Sile -, alcuni reggimenti pesanti e pesanti campali di artiglieria, il reggimento genio pontieri, il reggimento genio ferrovieri, numerosi battaglioni pionieri e minatori, 4 raggruppamenti dell 'aviazione leggera - 1° Antares (Viterbo), 3° Aldebaran (Verce lli), 4° Altair (San Giacomo di Laives) e 5° Rigel (Casarsa) - 2 reggimenti artiglieria missili contraerei - 4° (Mantova) e 5° (Mestre) - e alcuni reparti minori. 4. Il riordiname nto dell'organizzazione centrale fu meno incisivo, del resto non era quello il momento più opportuno per ridimensionare gli organi di comando, ma qualcuno tra i provvedimenti adottati non fu di poco conto. Allo scopo di sviluppare in un contesto più unitario il complesso delle attività logistiche, dalla programmazione degli approvvigionamenti al controllo della gestione, l'ispettorato logistico dell'esercito fu unificato con il IV reparto dello Stato Maggiore, nel cui capo, innalzato al grado di generale di divisione, furon o abbinate le cariche di capo del TV reparto dello Stato Maggiore e di ispettore logistico dell'esercito. Il reparto fu articolato in 6 uffici (programmi di approvvigionamento, organizzazione logistica, ricerche e studi, movimento e trasponi, infrastrullure, statistica, meccanografia e codificazione materiali). Furono anche riviste le competenze dei capi dei corpi logistici, che vennero ad avere una duplice dipendenza, dal capo di Stato Maggiore dell 'esercito per i compiti di istituto, dall'ispettore logistico per l'attività logistica. Altri provvedimenti riguardanti l'organizzazione centrale furono la soppressione dell'ispeuorato per la difesa A.B.C., le cui competenze passarono all'ispettorato di artiglieria, e l'unificazione in un unico ufficio addestramento e regolamenti degli uffici regolamenti e addestramento dello Stato Maggiore, provvedimento quest'ultimo di pura facciata e che dopo qualche anno sarà abrogato. Di grande rilievo, invece, l' unificazione dei ruoli delle varie armi , seguito poco dopo dall'unificazione dei ruoli dei servizi tecnici. Furono così definitivamente eliminate quelle sperequazioni nella progressione delle carriere tra i vari ruoli che erano state le cause di tanti malumori e che avevano provocato molte "leggine" con il risultato di stravolgere la legge di avanzamento e di creare un clima di incertezza legislativa. 5. Le innovazioni apportate al settore scolastico-addestrativo furono numerose e radicali , in parte determinate anche dalla legge n°19 l del 31 maggio 1975 che aveva ridotto la ferma di leva per l'esercito a 12 mesi, mantenendola a 15 mesi per gli ufficiali di complemento. La durata dei corsi allievi ufficiali di complemento fu stabilita in 2 1 settimane, ad eccezione di quelli del Corpo Tecnico e dei Servizi Sanitari per i quali fu ridotta, rispellivamente, a 80 ed a 75 giorni.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
Fu inoltre abolito il periodo di tirocinio con il grado dj sergente per cui il servizio di prima nomina ebbe una durata di poco superiore a 9 mesi per i sottotenenti delle varie armi e dei corpi logistici e di 12 mesi per medici, farmacisti, veterinari e ufficiali del Corpo Tecnico. Furono soppresse le scuole allievi ufficiali di Ascoli Piceno, Foligno e Lecce e tutti i corsi allievi ufficiali di complemento furono svolti presso le scuole d 'arma. Gli allievi ufficiali dei carabinieri prima di passare alla Scuola Ufficiali Carabinieri frequentavano le prime 7 settimane di corso presso le scuole d'arma. L' iter formativo dei sottufficiali di complemento mutò ancora più radicalmente. Furono infatti soppressi i corsi allievi comandanti di squadra, e naturalmente anche la scuola di Spoleto. I graduati, designati d'autorità, furono addestrati al comando di squadra mediante corsi di ridotta durata svolti presso i reparti o, per alcune specializzazioni più tecniche, presso le scuole d'arma. In particolare furono svolti: presso i reparti i corsi di due settimane per abilitare i graduatj al comando di squadra assaltatori, mortai, mitraglieri, difesa vicina, cannoni, pionieri, guastatori ecc. ecc.; presso le scuole i corsi, della durata da 4 a IO settimane, per abilitare i comandanti di squadra sanità, sussistenza, marconisti, telegrafisti, telescriventisti, NBC. Naturalmente continuarono ad acquisire la necessaria preparazione presso le scuole i militari di truppa con incaricru di pregio: aiutanti topografi, operatori elettronici, capi carro, aerologisti. Per le esigenze della mobilitazione i sottufficiali vennero tratti dai caporal maggiori comandanti di squadra giudicati idonei, all'atto del congedamento, a ricoprire il grado di sergente. Il nuovo iter comportò naturalmente un notevole ricupero di personale ed un certo risparmio di risorse finanziarie, ma non giovò aU'inquadramento dei reparti. Comandanti di plotone e comandanti di squadra, a causa della brevità dei corsi formativi e della non adeguata selezione, rivelarono notevoli lacune di preparazione ed anche una preoccupante mancanza di personalità. Anche l'iter addestrativo del soldato fu completamente rivisto. La circolare 110/A/I del 1° settembre 1975, Dire11ive per l'addestramento, allo scopo di abbreviare il tempo necessario per l'addestramento e mantenere praticamente costante la capacità operativa dei reparti, prescrisse la frequenza mensile della chiamata alle armi, l'immissione individuale dei militari nelle unità di livello minimo, l'addestramento per imitazione. L'attività addestrativa si sviluppò, pertanto, attraverso due sole fasi, l'addestramento di base, assimilabile al I ciclo, e quello all'impiego operativo, che assorbl il Il ciclo. L' addestramento di base comprendeva: l'addestramento propedeutico, mirante a conferire alla recluta un'istruzione militare di base, della durata di quattro settimane e devoluto a battaglioni di fanteria o, per alcuni incarichi molto tecnici, alle scuole; l'addestramento di perfezionamento, della durata di due settimane, svolto presso i battaglioni di fanteria per alcuni incarichi e presso le unità d ' impiego per altri , tendente a preparare il soldato all'inserimento in una unità elementare; i corsi di specialiu.az.ione, di durata variabile e che erano svolti presso le unità d'impiego o presso le scuole.
LA RJSTRl/TrURAZIONE
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L'addestramento ali' impiego operativo, devoluto alle unità d'impiego, comprendeva l'addestramento giornaliero all'esecuzione degli atti tattici fondamentali; l'effettuazione di esercitazioni in bianco di vario livello con frequenza almeno mensile; lo svolgimento di esercitazioni a fuoco, ad integrazione ed a completamento della corrispondente attività in bianco, con cadenza biquadrimestrale. Per consentire un corretto e celere svolgimento delle operazioni di vestizione, visita medica, selezione attitudinale delle reclute e per conferire uniformità all'addestramento iniziale, l'addestramento di base fu devoluto in gran parte, come si è già detto, a specifici battaglioni, inquadrati nella grande unità ai cui reparti le reclute sarebbero poi affluite. I tradizionali reggimenti C.A.R. furono disciolti e sostituiti da battaglioni (B.A.R.) non più considerati enti autonomi a carattere scolastico, ma veri e propri reparti d'impiego, destinati, all'emergenza ed in seguito alla mobilitazione, a riunirsi alla grande unità di appartenenza, lasciando alla sede parte dei Quadri per l'addestramento dei complementi. Di seguito i battaglioni preposti alla formazione delle reclute con a fianco, in parentesi, la grande unità o il comando destinatario delle reclute: 11 ° Casale (divisione Mantova), 16° Savona (divisione Ariete), 17° San Martino e 80° Roma (Regione Militare Centrale), 22° Primaro (brigata Cremona), 23° Como (Regione Militare Nord-Ovest), 26° Bergamo (divisione Centauro), 28° Pavia (divisione Folgore), 151 ° Sassari (Comando Militare della Sardegna), 60° Col di Lana (Regione Militare della Sicilia), 89° Salerno (scuola specializzati delle trasmissioni), 92° Basilicata (brigata Aquileia), 225° Arezzo (Regione Militare Tosco-Emiliana), 231 ° Avellino e 244° Cosenza (Regione Militare Meridionale), 235° Piceno (artiglieria contraerea), 3° Guardie (brigata Granatieri di Sardegna), battaglione alpini Mondovì (brigata Taurinense), battaglione alpini Edolo (brigata Orobica), battaglione alpini Belluno (brigata Cadore), battaglione alpini Vicenza (brigata Julia), battaglione paracadutisti Poggio Rusco (brigata Folgore). Il nuovo sistema addestrativo avrebbe dovuto permettere un completamento graduale, per imitazione, del livello addestrativo di base del singolo e favorire una maggiore responsabilizzazione dei soldati più anziani, chiamati ad assolvere le funzioni di istruttori delle reclute. E' ben vero che la riduzione della ferma, l'esigenza di realizzare ogni possibile economia, la maggiore capacità di apprendimento delle nuove generazioni postulavano una revisione ed uno snellimento dell'iter addestrativo della truppa, ma l'abbandono totale di un sistema addestrativo collaudato da un'esperienza trentennale fu un errore. L'immissione individuale mensile delle reclute nei reparti dell'esercito di campagna, ed il parallelo congedamento mensile degli anziani, produssero inoltre. una continua instabilità organica delle unità, con ripercussioni negative sul tono morale e sul livello di amalgama addestrativo. Con il tempo la chiamata mensile e l'addestramento per imitazione si dimostrarono, infatti, il tallone d'Achille delle ristrutturazione e fu giocoforza correre ai ripari, sul momento il meccanismo sembrò funzionare, soprattutto
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perchè assicurava alle uniLà dell'esercito di campagna una elevata prontezza operaLiva, requisito necessario per compensare, anche agli occhi degli alleati atlanLici, la riduzione dello strumenLo. 6. Il seLtore che più avrebbe avuLo bisogno di un pronunciato dimagrimento e che, invece, meno fu toccato dalla ristrutturazione fu quello dell'organizzazione territoriale. Al settore avrebbe certamente giovato un riordinamenlo interforze, attuato d 'intesa con il segretariato generale della Difesa, ma l'urgenza di risolvere in qualche modo il problema più importante, reperire risorse, non consentì un'attività coordinata e ciascuna forza armata procedette in modo autonomo. Finchè l'azione di riordino interessò solo enti strettamente militari reparti trasmissioni, reparti del corpo automobilistico, delegazioni trasporti, uffici militari imbarchi e sbarchi ecc. ecc. - non vi furono problemi ma quando lo Stato Maggiore iniziò ad " interessarsi" di enti che impiegavano anche o prevalentemenle personale civile, le difficoltà incominciarono a crescere a dismisura. Politici e sindacalisti, per nulla interessati alla necessità di recuperare risorse per ridare efficienza ali' esercito di campagna, si impegnarono a fondo con ammirevole tenacia per impedire qualsiasi provvedimento che comportasse non il licenziamento ma il trasferimento o il cambio di mansioni talora anche di un solo salariato. Ogni ipotesi di soppressione, di accorpamento, di riordino di un qualsiasi ente territoriale - magauino, deposito, ospedale, stabilimento, distretto militare, officina - provocava immediatamente la protesta del personale con il rituale seguito di agitazioni, inlerpellanze parlamentari, articoli di stampa, manifestazioni tutte che preoccupavano il ministro e che, il più delle volte, determinavano un "ripensamento", che spiazzava lo Stato Maggiore e che manteneva in vita l'ente, già concordemente giudicato inutile. Invece della quanto mai necessaria ristrutturazione totale di un settore caratterizzato da arretratezza tecnologica e da cronica improduttività, fu possibile realizzare soltanto un timido riordinamento che consenti di ricuperare ben poche risorse per l'esercito di campagna. I "successi" dello Stato Maggiore, tutti conseguiti a prezzo di defatiganti contrattazioni, furono pochi; la soppressione di aJcunj depositi munizioni e carburanti, la trasformazione in cen1ri di medicina legale di alcuni ospedali militari, lo scioglimento di alcune compagnie di sussistenza. 7. Alla fine del 1976 l'esercito,ridorto di un buon terzo ed ancora con molte lacune nell'ordinamenLo, era tuttavia un organismo rinvigorito, dotalo di maggiore mobilità, in grado di esprimere una maggiore prontezza operativa, strutturalmente disponibile per l'auspicato salto di qualità. Il nuovo assetto ordinativo, spiccatamente modulare, avrebbe reso, infalti, molto semplice il ritorno della divisione Cemauro alla fisionomia carrista e la trasformazione delle brigate motorizzate in meccanizzate. Tutto era stato previsto per un futuro che sembrava prossimo: appena la situazione finanziaria
LA RISTRUTTURAZIONE
503
del Paese lo avesse consentito, l'introduzione di nuovi materiali avrebbe compensato l'esercito del sacrificio compiuto con la soppressione di tante unità ricche di tradizioni ed alle quali i Quadri erano affettivamente legati. "Il processo di rinnovamento qualitativo delle nostre unità registra oggi un ulteriore sviluppo sulla via di un definitivo riassetto, al passo con i tempi perchè centrato sulla creazione di reparti snelli ed essenziali e sulla utilizzazione, al massimo grado, delle risorse disponibili. In data odierna, infatti, nasce la brigata meccanizzata.. .'' Queste prime righe dell'Ordine del giorno 11°1, che il comandante di una delle nuove brigate indirizzò a Quadri e gregari il I O novembre I975, costituiscono una, tra le tante sicure testimonianze che possono essere citate a riprova dell'entusiasmo sincero con il quale l'esercito accolse la ristrullurazione, fiducioso che il nuovo assetto ordinativo sarebbe valso a ridare alle unità smalto ed efficienza. E fu proprio questo radicato convincimento che fece superare in tempi brevi la "sindrome da ristrutturazione". Il repentino scioglimento di comandi che da tempo immemorabile costituivano per ufficiali e sottufficiali un sicuro punto di riferimento, il venir meno di legami decennali che non erano soltanto organici, la dispersione improvvisa di competenze consolidate e di responsabilità chiaramente definite provocarono inizialmente incertezza, decisioni improvvide, sensazione di precarietà. Sia pure con sfumature ed intensità molto differenziate, tutti i comandi si trovarono "spiazzati" e, di conseguenza, i reparti si sentirono "abbandonati". I comandi di brigata nati per contrazione di precedenti comandi di divisione incontrarono meno difficoltà ad esercitare la dovuta azione di indirizzo e di controllo sulle unità dipendenti. Generalmente ridondanti di personale anziano ed espeno, saldamente ancorati a voluminosi "precedenti" cd a una collaudata prassi di comando, senza problemi infrastrutturali, questi comandi non ebbero crisi iniziali di grande intensità, una volta "prese le misure" ai comandi dipendenti la macchina organizzativa riprese il suo funzionamento regolare. Per quei comandi di brigata che, invece, altro non erano che i resti di comandi di reggimento, pomposamente cd affrettatamente ribattezzati , il rodaggio fu molto meno breve e molto meno agevole. Il passaggio ad un livello superiore di comando, la necessità di provvedere e prevedere per reparti tanto diversi tra loro, il conciliare differenziate e contrastanti esigenze addestrative, furono ostacoli notevoli e non sempre anziani ed espeni capi ufficio di reggimento seppero trasfonnarsi con rapidità in validi capi ufficio di brigata, anche per la obiettiva difficoltà di trovare un accettabile modus vivendi con il capo di Stato Maggiore, sempre meno anziano, nuovo dell'ambiente, e per di più convinto di essere l'unico interlocutore del generale comandante. La vita dei comandi di brigata fu poi inizialmente turbata anche dalla incongrua collocazione del vice comandante, responsabile dell'amministrazione e dell'auività logistica, ma tenuto al di fuori dello Stato Maggiore e non inserito nella catena gerarchica, ad eccezione del battaglione logistico, della compagnia controcarri e della compagnia, pionieri.
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Maggiori difficoltà incontrarono i comandi di bauaglione-gruppo, divenuti troppo repentinamente comandi di corpo e spesso anche di presidio. Costituiti in genere da giovani capitani, privi di esperienza di ufficio, e da vecchi sottufficiali a suo tempo non ritenuti idonei a prestare servizio in enti di ordine superiore, questi comandi soffrirono la mancanza del comando di reggimento, severo ma provvido dispensatore di ordini e di suggerimenti. E non sempre la qualità dei comandanti di bauaglione-gruppo, giunti a ricoprire tale incarico per anzianità e non per scelta, fu eccelsa. I problemi maggiori, comunque, non furono provocati dalle pratiche d'ufficio respinte dai comandi superiori perchè incomplete o non adeguatamente istruite, ma dal seuore addestrativo. Una prassi consolidala, nata con i gruppi di combattimento, aveva minuziosamente regolato fino a quel momento tutta l'attività addestrativa, scandita da ben definiti traguardi successivi, e sulla quale sovrintendeva uno specifico ufficio del comando di reggimento <3). Ora questa azione, capillare e costante, di indirizzo e di controllo venne a mancare proprio quando la chiamata mensile e la nuova metodica addestrativa avevano sconvolto procedure, programmi, abitudini. I reparti di fanteria e di artiglieria meccanizzati dau ·oggi al domani, infine, soffrirono di una vera e propria crisi di identità. Già il passaggio dal movimento a piedi o in autocarro a quello su cingoli comporta qualche difficoltà e la necessità di adeguate predisposizioni di carattere addestrativo e logistico, l'assimilazione della "mentalità corazzala" è poi addirittura impossibile, senza un lungo periodo di addestramento, svolto con abbondanza di mezzi in aree addestrative idonee. La lunga abitudine a valutare il terreno soltanto, o prevalentemente in funzione del movimento a piedi, a calcolare tempi di reazione e di intervento sulla base di una velocità operativa di pochi km ali' ora, a considerare l'efficienza di un reparto soltanto dallo stato delle sue armi e dalla quantità del munizionamento disponibile.non può essere rìmossa dall'oggi al domani. Per chi era stato abituato a concepire una difesa statica, incentrata sul dogma della resistenza ad oltranza del caposaldo, ragionare in termini di contrasto dinamico, di resistenze temporanee, di puntate offensive non fu certo facile! Non furono anni formidabili <4 > gli anni della ristrullurazione, ma furono comunque anni di travaglio operoso e di fervide speranze sia in periferia, dove i reparti si adeguavano alla nuova situazione ordinativa, addestrativa ed operativa con determinazione e con fiducia, sia al centro, dove lo Stato Maggiore meucva a punto un nuovo quadro dottrinale, codificava nuove regole per la (3) Nell'ambito del comando di reggimento spiccava. per importanza della materia trattata e per numero di addetti. l'ufficio operazioni, addestramento. infonnazioni e ordinamento (O.A.I.O.). nei reggimenu di aruglieria ufficio operazioni. addestramento, tiro, informazioni e ordinamento (0.A.T.1.0.). al quale era devoluta tuua l'attività addcstrativa, compresa la gestione dei fondi, dei carburanti e delle munizioni. (4) Mano Capanna, esponente di qualche rilievo dell'extra sinistra, ha cosi definito, io un suo libro autobiografico. gli anni della contestazione giovanile.
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vita delle unità, rivedeva ordinamenti e metodiche addestrative sulla base dei risultati delle prime sperimentazioni. 8. Un giudizio complessivo sulla ristrutturazione non può non essere positivo, specie se si valutano con serenità le circostanze di urgenza e di necessità nelle quali il generale Cucino dovette operare ed i condizionamenti esterni ed interni che incepparono, e talora distorsero, molti provvedimenti. In tempi obiettivamente molto ristretti lo strumento operativo fu ridisegnato e ridimensionato, per consentire l'ammodernamento ed il completamento dei materiali. La linea carri passò da 2600 a I 700 unità, il parco artiglierie da 2000 a 1300 pezzi, i veicoli cingolati trasporto truppa da 5000 a 4500, realizzando uno strumento meno dispendioso e non meno efficiente. La scelta dei materiali da introdurre fu sollecita ed adeguata, non si ripeterono le lunghe sperimentazioni e le infinite discussioni che, per anni, avevano ritardato la scelta e l'approvvigionamento delle artiglierie a deformazione al principio del secolo e la nascita delle forze corazzate dopo la prima guerra mondiale. Lo Stato Maggiore lavorò bene e celermente, i materiali prescelti ottimi: carri armati Leopard, semoventi MI09 G, obici FH70, missili controcarro TOW e Milan, veicoli VCC'80, elicotteri Al 29, aerei SM-1019. Naturalmente non tutti i provvedimenti adottati si rivelarono con l'andar del tempo opportunti e provvidi. La necessità di snellire la catena di comando, e di sopprimere perciò uno dei tre livelli ordinativi inferiori a quello di brigata, era reale e condivisa da tutti ma abolire il livello reggimento fu un errore, meglio sarebbe stato mutuare l'ordinamento francese che aveva conservato il reggimento, sia pure articolandolo su cinque compagnie soltanto. Questa soluzione avrebbe mantenuto al comando dei corpi ufficiali di più consolidata esperienza e di più sperimentata capacità, con sicuri riflessi positivi nel campo addestrativo e nel settore del governo del personale. Molti anni dopo, infatti, il livello sarà reintrodotto, sia pure con opportuni adattamenti. Anche il mantenimento in vita di 4 comandi di divisione fu una decisione opinabile. Avendo anribuito alla brigata la funzione di pedina fondamentale della manovra tattica, sarebbe stato logico realizzare un collegamento diretto con la grande unità complessa responsabile della manovra senza attribuire una troppo grande importanza ai problemi di coordinamento e di comando e controllo che il 5° corpo d'armata avrebbe dovuto risolvere in tempo di pace, avendo ben 12 brigate alle dipendenze. La decisione di mantenere in vita tutte le 5 brigate alpine costituì una evidente contraddizione di tutta la filosofia di fondo della ristrutturazione, incentrata su un ricupero di mobilità tattica e su un parallelo potenziamento della linea carri e della difesa controcarri, tanto che il generale Cucino aveva deciso di non procedere in futuro ad un ulteriore ammodernamento delle opere della
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fortificazione permanente, non più necessarie ad un esercito "più piccolo, ma più agile e più pronto" (5)_ Molto probabilmente la decisione di mantenere inalterata la consistenza delle truppe da montagna fu imposta allo Stato Maggiore (6), tuttavia sarebbe almeno stato possibile articolare quelle brigate con maggiore "coraggio", sopprimendo le salmerie e riducendo di alcune unità il numero complessivo dei reparti, provvedimenti che avrebbero avuto qualche benefico riflesso in quanto avrebbero consentito di rimpolpare i non troppo abbondanti Quadri dei rimanenti reparti e di abbandonare qualche sede molto disagiata e qualche infrastruttura ormai fatiscente. Lo Stato Maggiore pensò di risolvere il problema attribuendo alle brigate alpine la possibilità di operare anche in terreni di pianura, ma la "bivalenza" nell'impiego fu raggiunta solo a parole. La ristrutturazione, pertanto, non terminò alla fine del 1976. Per alcuni anni gli immediati successori del generale Cucino, i generali Rambaldi (7) e Cappuzzo (8), dovettero impegnarsi a fondo per completare, consolidare, migliorare, in alcuni casi anche abrogare, quanto era stato operato nel biennio 1975-1976. Nel 1977 il Parlamento approvò la legge promozionale per l'esercito, cosl chiamata perchè intendeva conseguire, oltre agli obiettivi primari de/l'ammodernamento di armi e di mezzi, anche quelli relativi alla promozione delle molteplici attività industriali di interesse nazionale che "tanLa importanza assumono (5) La decisione del generale Cucino apparve a molti quanto mai discutibile perchè il problema difensivo italiano era pur sempre legato al principio della difesa avanzata e la rinuncia al potenziamento della fortificazione pennanente, importante fattore incrementale della difesa. sembrò molto poco prudente. (6) All'epoca l'Associazione Naz.ionale Alpini interferi pesantemente sull'azione di comando dello Stato Maggtore, mobilitando l'opinione pubblica cd influenzando in tutti i modi gli esponenti politici. sempre preoccupati di perdere qualche manciata di voti, perchè la ristrutturazione che era necessariamente anche un ridimensionamento - non toccasse le truppe alpine, di cui si sottolineava l'affidabilità. (7) li generale Eugenio Rambaldi, nato ad Imperia il 12 maggio 19 I 8, dopo aver frequentato l'Accademia Militare fu promosso sottotenente di artiglieria nell'ottobre 1938. Tenente nel 1940 e capitano nel 1942, prese pane alla 1:' guerra mondiale come comandante di batteria nella campagna di Grecia e. dopo I '8 settembre, nelle fila della resistenza greca e poi in Palestina. Nel novembre 1949 fu ammesso alla Scuola di Guerra, successivamente frequentò la Scuola di Guerra canadese e ricopri vari incarichi di Stato Maggiore. Addetto militare in Russia dal 1967 al 1970, comandò la ugnano, fu direttore generale delle anni, delle munizioni e degli armamenti terrestri, comandante del 5° corpo d'annata e, dall'agosto 1977 al 15 settembre 1981, capo di Stato Maggiore dell'esercito. (8) li generale Umbeno Cappuzzo, nato il 30 aprile 1922, fu nominato s01totenente di fanteria nel marzo 1942. Assegnato al 66° fanteria della Trieste, dislocato in Africa Settentrionale, fu cat1urato dagli Inglesi ad el Alarnein. Promosso tenente nel 1947, capitano nel 1952, frequentò la Scuola di Guerra e l'Istituto Stati Maggiore Interforze. Promosso maggiore nel 1959 frequentò dal 1959 al 1961 la Scuola di Guerra dell'esercito federale tedesco. Colonnello nel 1967 comandò il J 14° fanteria. Generale di brigata nel 1973 e di divisione nel 1976 comandò la divisione Folgore. Promosso generale di corpo d'annata nel 1979 fu nominato il 1° febbraio 1980 comandante genera.le detranna dei carabinieri e, il 16 settembre 1981, capo di Stato Maggiore dell'esercito. Lasciò la carica e fu collocato in ausiliaria il I O luglio 1985. Capo della delegazione italiana per il negoziato per la riduzione mutua e bilanciata delle forze in Europa dal luglio 1985 al luglio 1987. senatore della repubblica dal 1987, nell'aprile 1992 fu posto in congedo assoluto per limiti di età.
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nel contesto dell'economia del Paese, particolarmente in un periodo di crisi" come recitava un documento ufficiale del ministero della Difesa. La legge stanziava 1115 miliardi, da erogare in dieci anni, e sembrò ai Quadri che si fossero realizzate le condizioni per il definitivo superamento della crisi e per l'attuazione di quell 'auspicato e tanto atteso salto di qualità in quanto gli stanziamenti disposti sarebbero serviti a: colmare le lacune esistenti nei settori della difesa controcarri, della difesa contraerei a bassa e bassissima quota, della mobilità operativa e del combattimento notturno; ammodernare i materiali ormai vetusti, in particolare nei settori delle artiglierie terrestri, del comando e controllo, dell'automazione del tiro e dell'acquisizione obiettivi. 9. Il processo fisiologico di assestamento dopo la crisi iniziò con grande sollecitudine. Il primo aggiustamento riguardò il comando della brigata, nel quale la figura del vice comandante fu rivista. A partire dal 1° gennaio 1979 il vice comandante smise di interessarsi all'amministrazione, prese alle sue dirette dipendenze tutti i reparti della brigata, tranne il reparto comando e trasmissioni che giustamente rimase alle dipendenze del capo di Stato Maggiore, e potè indirizzare la sua attività, sempre nel rispetto delle direttive e degli intendimenti del comandante, al controllo dcli' addestramento. La circolare n°125/l53 Il/A/I del 29 giugno 1981, Frequenza della chiamata alle armi, sistema addestrativo, operatività delle unità, riconobbe apertamente che l'addestramento guidato e per imitazione e l'immissione individuale dei soldati nelle minori unità si erano risolti in una spinta alla deresponsabilizzazione dei Quadri e nel dissesto della metodica addestrativa. Scarse la volontà e la capacità di insegnare da parte dei soldati anziani, scarsissima la voglia di imparare delle reclute. La circolare, pertanto, stabilì il ritorno alla costituzione monocontingente per il plotone fucilieri e per le squadre mortai pesanti e cannoni senza rinculo e, di fatto, ristabill il rr ciclo addestrativo presso i reparti d'impiego in quanto prescrisse per le reclute 4 settimane di addestramento di specializzazione, seguite da altre 4 settimane di addestramento di amalgama, al termine del quale erano previste prove valutative. Con aggiustamenti successivi fu poi ripristinato il sistema delle compagnie-squadroni-batterie monocontingenti e ciascun battaglione-gruppo potè nuovamente disporre di tre scaglioni, avvicendati ogni quattro mesi, di cui uno in addestramento di specializzazione e di amalgama e due pienamente operativi. I BAR, incaricati dell'addestramento di soli nove scaglioni, furono messi nelle condizioni di operare con maggior efficacia e di non limitare più l'addestramento di base delle rec lute alla cerimonia del giuramento. Anche il sistema di mobilitazione fu rivisto, fu deciso di tenere a ruolo presso i distretti il personale delle ultime otto classi congedate, di cui le prime cinque per la costituzione delle unità di mobilitazione, le ultime tre per il completamento delle unità in vita. Furono anche effettuati parziali esperimenti di mobilitazione, nel 1984 con la brigata Pinerolo, nel 1985 con la brigata Cremona.
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Naturalmente anche il settore dottrinale fu coinvolto dalla ristrutturazione perchè, ed è già stato detto, la dottrina di impiego delle forze deve essere in relazione al tipo di strumento che la deve attuare. 1O. La nuova costituzione organica dell'esercito di campagna aveva sanzionato il ruolo di protagonista indiscusso del campo di battaglia delle forze meccanizzate e corazzate per le quali, in campo tattico, i momenti statici costituiscono soltanto la premessa per quelli dinamici. In altre parole, anche il combattimento difensivo, quando è condotto da forze meccanizzate e corazzate, assume connotazioni eminentemente offensive. Pur non essendo mutato il quadro strategico di riferimento - strategia della risposta flessibile e volontà di risolvere il problema difensivo nazionale il più avanti possibile - si rese quindi necessario un aggiornamento dei procedimenti di impiego, attuato dallo Stato Maggiore dal 1977 al 1982 con la pubblicazione n°900 della serie dottrinale, Memoria sull'impiego delle grandi unità, suddivisa in tre volumi: Le operazioni difensive edito nel 1977, la logistica nel 1981 le operazioni offensive nel 1982. Nel volume dedicato alle operazioni offensive - concepite in linea prioritaria come un auspicato corollario di una precedente situazione difensiva, evolutasi a seguito di un favorevole mutamento del rapporto di forze - la battaglia offensiva era definita una manovra tattica aeroterrestre, concepita, organizzata e condotta dal corpo d'armata, che si riprometteva di annullare la capacità operativa delle forze nemiche e di conquistare un'area vitale ai fini della manovra mediante la combinazione di sforzi offensivi, esercitati da brigate meccanizzate in l I schiera, alimentati da brigate meccanizzate in 2• schiera e sviluppati in profondità da brigate corazzate tenute inizialmente in riserva. La battaglia si sviluppava, pertanto, attraverso più fasi: la ricerca e presa di contatto, azione diretta a ricercare, stabilire e mantenere il contatto con le forze nemiche ed a creare le condizioni più favorevoli per il successivo attacco; l'assunzione dei dispositivi, insieme coordinato di movimenti e di soste, effettuato dalle grandi unità elementari, per giungere sulle basi di partenza o nelle zone di dislocazione prevista; l'attacco, esecuzione di sforzi variamente combinati nel senso della fronte e della profondità, sempre caratterizzati da ampia libertà di movimento e di manovra, finalizzati all'attuazione di una manovra.frontale o di avvolgimento, per conquistare un'area fondamentale per la prosecuzione dell'azione; l'a11nientame11to, prosecuzione degli sforzi in profondità, incentrati sul binomio forze corazzate - forze aerotattiche, eventualmente integrate da unità eliportate, per eliminare sacche di resistenza e unità superstiti. La battaglia difensiva delineata dal primo volume della Memoria era anch'essa una manovra aeroterrestre concepita, organizzata e condotta dal corpo d'armata e che si riprometteva naturalmente di garantire il possesso di un'area di interesse vitale, mediante un'armonica combinazione di resistenze di natura variabile e di reazioni dinamiche, potenziata dal fuoco manovrato e dall'ostacolo. Una difesa quindi manovrata, tesa a realizzare momentanee concentrazio-
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nj di potenza per bloccare la progressione nemica il più avantj possibile ed a reiterare tali azioni in tutta l'area assegnata, fino ad irrigidirsi in corrispondenza di una posizione di contenimento predisposta in profondità. L'area della battaglia era perciò ancora suddivisa dall'avanti all'indietro in una zona di frenaggio di profondità variabile, in una posizione difensiva, articolata in una w11a di sicurezza profonda 10-15 km e in una posizione di resistenza, profonda 40 km, alle cui spalle si estenda per 50-70 km la zona delle retrovie di corpo
d'armata. In tale visione il caposaldo perdeva gran parte dell'importanza attribuitagli dalla dottrina precedente e venivano valorizzati altri tipi di struttura difensiva, caratterizzati dalla proiezione in avanti delle armi e dall'andamento pressochè lineare della struttura stessa, sulle quali si attuava una difesa più elastica, che privilegiava la difesa temporanea delle posizioni rispetto a quella a tempo indeterminato e che ricorreva, perciò, più ampiamente al contrasto dinamico ed alle reazioni di fuoco e di movimento. L 'accresciuto dinamismo della battaglia postulava una diversa organizzazione logistica, delineata nel terzo volume della 900. Il problema logistico era risolto a livello battaglione-gruppo (1° anello) e divisione-brigata (2° anello) mediante la costituzione di unità operanti per funzioni, plotoni riparazioni e recuperi al I O anello, battaglioru logistici al 2°. Entrambe le manovre, offensiva e difensiva, erano condizionate dalla possibilità di impiego del fuoco nucleare, possibilità che da un lato imponeva un adeguato diradamento dei dispositivi e degli schieramenti e l'assunzione costante di particolari misure di sicurezza e, dall' altro avrebbe potuto consentire più ampie possibilità di manovra, facilitando con l'impiego di un ordigno il rapido conseguimento della superiorità nel momento e nel luogo voluti. La pubblicazione 900 sanzionò dunque una linea dottrinale equilibrata, priva di novità concettuali di rilievo, adeguata però al ritmo più veloce che la meccanizzazione delle forze consentiva di imprimere alla battaglia. Negli anni successivi videro la luce le pubblicazioni n°9 l 2 Impiego del gruppo tattico motorizzato, n°922 Impiego del gruppo tattico meccanizzato e corazzato, n°942 Impiego del gruppo tattico alpino e la pubblicazione n° 1000/A/2 Addestramento individuale al combattimento che svilupparono in un contesto meno ampio e più particolareggiato le linee fondamentali della nuova regolamentazione d'impiego. 11 . Parallelamente all'elaborazione da parte dello Stato Maggiore della linea dottrinale 900, si svilupparono, sia in ambito militare sia in ambito civile, nuove correnti di pensiero, sensibili a forme di difesa non contemplate dalla dottrina atlantica e adottate da Paesi neutrali come l'Austria e la Jugoslavia <9>.
(9) ln AusLria ed in Jugoslavia. ed anche in allri paesi non appartenenli nè alla NATO nè al Pauo d1 Varsavia, fu accuratamente studiata e panialmentc organizzata la difesa ad una aggressione mediante fonnc d1 guerra s1m1li alla guemgha.
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La difesa "territoriale", in contrapposizione a quella "classica", divenne un argomento d'obbligo per la Rivista Militare e fu anche accuratamente dibattuta nell'ambito di un apposito convegno organizzato dall'ISTRID (lO). Le motivazioni che alimentavano le perplessità sull'efficacia del nostro sistema difensivo erano sostanzialmente tre: scarsa credibilità del necessario consenso politico per il passaggio alla guerra nucleare, qualora le forze convenzionali N.A.T.O., tanto inferiori numericamente a quelle del Patto di Varsavia, non fossero riuscite a contenere l'invasione; vulnerabilità di tutta l'Italia peninsulare ed insulare, esposta al pericolo di una minaccia da sud e senza difese, dal momento che l'esercito era in gran parte schierato ad est, per difendere la soglia di Gorizia; diseconomia dello strumento operativo, non sufficientemente addestrato a causa della ferma troppo breve, impossibilitato a completarsi per mobilitazione a causa della mancanza di armi e materiali di scorta, non suscettibile di potenziamenti futuri perchè gravato ancora da eccessive spese di esercizio. li ricorso alla difesa territoriale, da ottenersi con i procedimenti della guerriglia, avrebbe consentito di ridurre la consistenza dell'esercito a poche brigate di volontari a lunga ferma e, quindi, addestratissime e prontissime, affiancate da una milizia territoriale di rapida mobilitazione, precedentemente addestrata con un servizio di leva di 3 o 4 mesi integrato da qualche brevissimo richiamo addestrativo. Un siffatto ordinamento avrebbe consentito di recuperare fondi da impiegare più proficuamente nel potenziamento ... della marina e dell'aeronautica, almeno a giudicare dal fervoroso consenso espresso da marinai ed aviatori alla nuova corrente di pensiero che poi, a guardar bene, tanto nuova non era. L'esercito "lancia e scudo", infatti , è un mito ricorrente nella politica militare italiana, sempre dominata dalla necessità di escogitare un qualche marchingegno che consenta, spendendo poco, di avere un esercito ugualmente efficiente. Sul momento, comunque, l'atteggiamento fermo dello Stato Maggiore e la necessità politica di rispettare i vincoli imposti dall'alleanza atlantica misero la sordina alle ipotesi di guerra territoriale. Non si spense, invece, il dibattito politico sulla condizione militare, anzi i nuovi equilibri politici, determinatisi nel nostro Paese nella seconda metà degli anni Settanta, favorirono una convergenza di opinioni della maggioranza e della minoranza sul problema che portò all'approvazione della legge n°382 del 1978, Norme sui principi della disciplina milirare. (10) Alla fine degli anni Seuanta per iniziativa del panito socialista nacque a Roma l'Istituto Studi e Ricerche Difesa (!STRIO), abbondantemente se non esclusivamente sostenuto con fondi discrezionali del ministero della Difesa. L·istituto, presieduto da un ex parlamentare socialista, raccolse nel suo ambito una cerchia di opinionisti. autodefinitisi espeni in strategia e in istituzioni militari. specialisti in dibattiti e tavole rotonde opportunamente remunerati. L'istituto pubblicò anche una nutrita collana di opuscoli nei quali i problemi militari erano dibattuti con intuibile competenza e razionalità. Gli Uffici Documentazione e Anività Promozionali delle tre fon.e annate erano poi "invitati" dal gabinetto del signor ministro ad acquistare i suddetti opuscoli, che molto contribuirono a migliorare la cultura professionale dei Quadri.
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E' bene chiarire subito che i principi ed i metodi disciplinari sono suscettibili di essere modificati con il mutare delle strutture politiche e sociali e che la legge n°382 non stravolse la vita delle forze armate, pur rappresentando uno strumento innovativo suscettibile di futuri sviluppi non sempre opportuni. La legge n°382 rovesciò il concetto di militare-cittadino in quello di cittadino-militare, affermando in modo esplicito il superamento della tradizionale raffigurazione del militare, cioè di un individuo soggetto ad una totalizzante disciplina di vita traformandola in quella di un soggetto tenuto ad accettare limitazioni imposte per legge solo nell'esercizio di taluni diritti. La legge, quindi, specificò il concetto di ordine legittimo, sancl la pari dignità nei rapporti tra militari, liberalizzò l'uso dell'abito borghese fuori servizio, abolì i limiti di presidio, autorizzò la libera manifestazione del pensiero e la circolazione della stampa, ampliò la cornice di garanzia nei procedimenti disciplinari, introdusse l'istituto della rappreselltanza militare, che avrebbe dovuto consentire al personale militare di rappresentare le proprie istanze nel rispetto del vincolo disciplinare, senza inficiare i presupposti etici dalla condizione militare che, pur aggiornata in materia di rapporti tra i singoli e di doveri propri dello status, rimane collegata ad una missione che travalica l'ambito individuale e che comporta una completa dedizione alla collettività. Nella più totale disapprovazione dei Quadri in congedo, che inviarono una forte e motivata lettera di protesta al generale Rambaldi, il nuovo istituto della rappresentanza militare fu articolato su tre livelli: a livello corpo o caserma il consiglio di base della rappresentanza (COBAR), a livello regione militare e corpo d'armata il consiglio intermedio della rappresentanza (COIR), a livello centrale il consiglio centrale della rappresentanza (COCER). I consigli, rappresentativi di tutte le categorie del personale militare militari di leva, volontari a ferma prolungata, sottufficiali, ufficiali di complemento di l I nomina, ufficiali in servizio permanente - sono eletti direttamente al primo livello, dai componenti dei COBAR al secondo livello, dai componenti dei COIR al terzo livello. Affiancati ai rispettivi comandanti, gli organismi della rappresentanza furono legittimati a svolgere funzioni consultive e propositive su quegli aspetti della condizione militare che non toccano l'azione di comando, formula non eccessivamente chiara che provocò subito qualche dissenso interpretativo, prontamente risolto a livello COBAR, meno a livello COIR, poco a livello COCER. Quest'ultimo organismo, infatti, rivelò fin dall'inizio una marcata tendenza ad ampliare il campo delle competenze riconosciutegli ed a proporsi come soggetto negoziale nella definizione del trattamento economico e normativo del personale militare, posizione sempre rifiutata dal ministro ma in qualche misura accolta dal Parlamento, che ritenne opportuno acquisire il parere del COCER su alcuni provvedimenti all'esame delle commissioni Difesa. Un altro punto della legge n°382 dette presto luogo a qualche difformità interpretativa, quello relativo alla possibilità anche per il militare di manifestare liberamente il proprio pensiero. Nonostante che il riconoscimento di tale diritto sia chiaramente proclamato dall'articolo 9 della legge - "i militari posso-
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no liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare liberamente il loro pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio.per i quali deve essere ottenuta l'autorizzazione" - gli esponenti politici interpretarono subito tale disposizione in modo molto singolare: piena libertà al militare di leva di manifestare in ogni luogo e con ogni mezzo la sua riprovazione per il governo disciplinare o per le modalità addestrative o per il livello delle infrastrutture ma proibizione assoluta per i Quadri, specie se di grado elevato, di esprimere un parere sull'organizzazione globale delle forze armate o su particolari aspetti nonnativi. Al riguardo è sufficiente ricordare le rumorose proteste dei partiti politici, in particolare di quelli di sinistra, per le pubbliche dichiarazioni del capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Santini, che nel 1981 ebbe l'ardire di richiedere un adeguamento delle retribuzioni degli ufficiali per la parte attinente all'indennità operativa. Il ministro della Difesa, il socialista Lagorio, dovette immediatamente riferire alla Camera su quell'episodio di inaudita protervia! La legge n°382 determinò anche l'elaborazione di un nuovo Regolamento di disciplina, diramato nel I986, alla cui faticosa e contrastata stesura durata otto anni volle contribuire anche il Parlamento, desideroso di assicurarsi che il nuovo regolamento attuasse nel modo più completo quella parte del dettato costituzionale che prescrive per le forze annate un ordinamento uniformato allo "spirito democratico della Repubblica". TI principio guida dell'attuale Regolamento di disciplina è l'autodisciplina dei membri della collettività militare, educati alla reciprocità dei diritti e dei doveri per assicurare la funzionalità e l'efficienza delle strutture. A tale fine i diritti individuali e collettivi del personale sono tutelati dal nuovo regolamento inquadrandoli in un contesto omogeneo di responsabilità ai vari livelli gerarchici. Una concezione disciplinare moderna, che non deve però essere definita partecipativa perchè la partecipazione, vale a dire la collegialità della decisione, è del tutto estranea alla deontologia ed alla prassi militare, che vogliono nel comandante l'unico responsabile. Disciplina perciò consapevole, finalizzata all'operatività dell'istituzione militare. Anche nell'ultima stesura, quindi, il Regolamento di disciplina definisce i doveri fondamentali di tutti gli appartenenti alle forze armate ed unisce, secondo una radicata tradizione, alla funzione normativa una finalità didattica e si configura, pertanto, prima ancora che come testo giuridico come vero e proprio codice dell'etica militare. IJ nuovo regolamento ha confennato la sostanziale validità di alcuni valori, come l'onore militare, la fedeltà, lo spirito di corpo, la lealtà, che contribuiscono a facilitare l'azione di comando e che il comandante con il suo esempio, con la sua capacità professionale, con la sua autorevolezza deve suscitare e vivificare nei propri dipendenti.
XXIV. LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
I. Il reclutamento e la formazione degli ufficiali e, in misura minore, dei sottufficiali è sempre stato, per l'esercito italiano come per qualsiasi altro esercito, un problema di notevole complessità e di rilevante importanza, considerati i riflessi positivi o negativi che la buona o la cattiva qualità dei Quadri determina sul rendimento dell'intero strumento operativo. A poco varrebbe disporre, infatti, di mezzi e di armamenti moderni e sofisticati se non fosse possibile contare su Quadri culturalmente preparati, professionalmente capaci, moralmente saldi per garantirne un efficace impiego. A differenza dei mezzi e degli armamenti, inoltre, per i quali i tempi di introduzione in servizio sono sempre relativamente brevi in presenza di adeguate risorse, il personale direttivo necessita di un iter formativo lungo e complesso, che non può essere razionalmente concluso in un arco di tempo inferiore ai due lustri. L'argomento merita perciò una specifica trattazione, sia pure limitata al periodo post-bellico. A partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento la figura del capo militare, sino ad allora identificata in quella del condottiero, ha subito una progressiva evoluzione. Il capo militare ha dovuto infatti, con l'andare degli anni, ampliare ed approfondire la componente tecnica del proprio bagaglio culturale per apprezzare tempestivamente ed utilizzare convenientemente le armi ed i materiali messi a sua disposizione dal continuo progredire della s~ienza e della tecnologia. Con l'introduzione in servizio dei nuovi mezzi, sempre più sofisticati e sempre più costosi, aumentò notevolmente anche la complessità dei problemi di impiego e nacquero i problemi di gestione. Il capo militare dovette di conseguenza ampliare allora la sua preparazione nel campo manageriale, tanto che alcuni studiosi di sociologia non si sono peritati di affermare, dopo la seconda guerra mondiale, che al militare guerriero era subentrato il militare manager e che la preparazione eroica del capo militare doveva essere sostituita da una preparazione di tipo manageriale. A cavallo degli anni Settanta e Ottanta si sviluppò in Italia un approfondito e stimolante dibattito sui contenuti interni della professione militare, dibattito che interessò anche il Centro Alti Studi per la Difesa che dedicò la XXXV sessione di studi ad approfondire la natura del capo militare moderno, comandante e/o manager. Il capo militare ed il manager sono certamente accumunati nell'esplica-
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zione di tre fondamentali funzioni - quella tecnico-professionale, quella di guida nei confronti dei propri dipendenti, quella di direzione dell'organismo al quale sono preposti - ma le differenze tra il mondo militare e quello industriale sono molte e grandi e non è quindi possibile spingere oltre la ricerca di analogie tra le due figure. Le finalità delle forze armate trascendono la sfera economica, collocate come sono nell'ambito di un dovere che la nostra costituzione definisce sacro ed il cui assolvimento non può essere condizionato dal profitto. Le aspirazioni del comandante sono di conseguenza di carattere essenzialmente morale - già Clausewitz parlava di ambizione e di ricerca di gloria - a differenza di quelle del manager che, oltre ad una gratificazione sul piano intellettuale, esigenza comune del resto anche al comandante, tende soprattutto ad un concreto riconoscimento economico. Di qui anche il diverso modo di procedere nell'espletamento di quella funzione di guida che si è visto essere comune: il comandante ricerca il consenso soprattutto attraverso l'esempio, il manager prevalentemente per mezzo di incentivi economici. La capacità di utilizzare al meglio le forze spirituali e materiali disponibili, in un determinato contesto storico ed in un determinato ambiente, per imporre ali' avversario la propria volontà, è sempre stata una qualità posseduta in sommo grado dai grandi comandanti. Il capo militare è quindi sempre stato anche manager, ma non soltanto manager e neppure soprattutto manager. E' certamente vero che oggi l'incessante evoluzione della tecnica, in uno con la sempre maggiore complessità della macchina bellica, comporta l'esigenza per il comandante di accrescere la sua professionalità, ma è altrettanto vero che l'evoluzione parallela della società impone anche oggi al comandante di potenziare la sua capacità di guida. Il dilemma comandante o manager è perciò un falso dilemma nel senso che il comandante comprende anche il manager. Alla preparazione guerriera non si è sostituita ma deve, invece, sommarsi quella manageriale. Le funzioni che il comandante deve assolvere sono pertanto tre: - tecnico-professionale, riferita alla conoscenza approfondita e completa dei mezzi e delle unità e che si estende, a mano a mano che progredisce la carriera, a campi sempre più vasti, - inizialmente d'arma, poi interarma, infine interforze - riducendo la profondità con l'aumentare dell'ampiezza; - di comando, per esplicare un'azione efficace di guida nei confronti dei dipendenti, indispensabile fin dai gradini più bassi della gerarchia; - manageriale, per assicurare la gestione economica delle risorse disponibili, tanto più accentuata quanto più alto è il livello gerarchico ed ampie le responsabilità. La formazione del comandante deve essere perciò continua e deve essere il risultato di due componenti strettamente connesse ed interagenti, la scuola e l'esperienza. L'iter formativo dell'ufficiale, coerentemente con quanto suesposto, è attualmente articolato in tre diversi momenti, alternati a periodi di impiego presso i reparti ed i comandi, che tendono, nel loro insieme, a conferire all'uffi-
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
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ciale la capacità di assolvere alle tre funzioni succitate nel modo più completo. Il primo momento formativo, quello di base, è attuato con la frequenza dell'Accademia Militare e della Scuola d'Applicazione e tende in primo luogo a sviluppare la personalità dell'allievo ed a fornirgli, insieme ad una ampia base culturale, una preparazione professionale adeguata ai primi gradini della scala gerarchica e la capacità di assolvere la funzione primaria di guida nei confronti del personale dipendente. Il secondo momento formativo, quello di perfezionamento, avviene 8-10 anni dopo con la frequenza, presso la Scuola di Guerra, del corso di Stato Maggiore, rivolto ad elevare ed a uniformare la cultura professionale dell'ufficiale frequentatore, ormai capitano con una notevole anzianità di servizio e, quindi, in possesso di una certa esperienza, ai fini di un futuro impiego come comandante di battaglione-gruppo e del graduale inserimento nell'attività di lavoro di comandi di elevato livello. In questo secondo ciclo di studi si tende anche a sviluppare, con maggiore intensità rispetto al momento formativo di base, la capacità dell'ufficiale ad assolvere con razionalità compiti ed attribuzioni attinenti alla funzione manageriale. Il terzo momento formativo, infine, riservato soltanto ad una aliquota del personale, selezionata sulla base del merito e della volontarietà, tende a completare la preparazione dell'ufficiale, ormai maggiore o tenente colonnello, mettendolo in grado di assolvere incarichi di comando a più alto livello e di esplicare funzioni d irettive nell'ambito di Stati Maggiori interforze e NATO. A tale scopo prima della frequenza del corso superiore di Stato Maggiore presso la Scuola di Guerra, l'ufficiale deve superare un corso intensivo di cinque mesi per perfezionarsi nella lingua inglese presso la Scuola Lingue Estere. L'iter formativo degli ufficiali che hanno frequentato il corso superiore di Stato Maggiore può essere poi completato, alcuni anni dopo, con la frequenza del NATO Defence College e del Centro Alti Studi per la Difesa. L'esigenza di migliorare ed aggiornare la preparazione professionale dell'ufficiale, adeguandola costantemente alle sempre mutevoli esigenze dell'esercito e della società, ha determinato un parallelo evolvere dei programmi e dell'organizzazione didattica delle scuole militari di reclutamento e di perfezionamento. 2. La sconfitta suggerì, nel dopoguerra, l'abbandono di quella preparazione dei Quadri, incentrata sulla componente storico-politica debolmente integrata con quella economico-giuridica, che aveva caratterizzato i programmi delle accademie militari tra le due guerre. Sulle pagine della Rivista Militare nel 1948 il ten. col. commissario La Rosa sostenne addirittura che la costante sottovalutazione del problema logistico, che tanto aveva contribuito ad ingigantire le dimensioni della nostra sconfitta, fosse da attribuirsi all'insegnamento della storia militare che si era "principalmente preoccupata di narrare, poco di spiegare, meno di insegnare", privilegiando la condotta delle operazioni e trascurando i risvolti logistici che pure
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STORIA DELL.ESERCITO ITALIANO (1861 · 1990)
condizionano le operazioni. Ed anche uno studioso di oggi, Virgilio Ilari, ha sostenuto che "il discredito in cui era caduta alla fine degli anni '40 la dimensione storico-politica degli studi militari, con la sua rozza e proterva ideologia autocelebrativa e le sue millanterie predittive e ammaestrative, era certamente ben meritato"(1). Lo Stato Maggiore risolse il problema imprimendo al programma degli studi da effettuare nel!' Accademia e nelle Scuole di Applicazione un carattere nettamente tecnico-scientifico, non curando le perplessità, e talvolta l'aperta disapprovazione, dei Quadri più anziani, legati ad altre esperienze e devoti ad altre fonne di cultura (2). Indubbiamente l'impostazione degli studi militari su basi tecnico-scientifiche rispondeva ad una necessità del momento, quella di adeguare la preparazione dei nostri Quadri a quella più pragmatica degli ufficiali inglesi e statunitensi con i quali l'esercito era in contatto onnai da anni. La sconfitta, ed il conseguente nuovo e più modesto rango internazionale assunto dal nostro Paese, non lasciavano del resto presagire, per il futuro, un ruolo strategico indipendente e l'assenza di discipline di carattere poHtico-strategico nell'iter formativo dell'ufficiale non fu ritenuta pregiudizievole. All'inizio degli anni Cinquanta il piano degli studi previsti in Accademia e nelle Scuole di Applicazione per gli ufficiali delle varie armi e del corpo automobilistico costituiva un buon punto di equilibrio tra insegnamenti culturali, a prevalente carattere scientifico, e insegnamenti strettamente professionali. Alle tradizionali discipline militari (tattica, tiro, topografia, fortificazione campale, armi e materiale d'artiglieria, automobilismo) nei due anni di corso in Accademia erano affiancate materie a carattere scientifico (analisi matematica, geometria analitica e proiettiva, fisica, meccanica razionale), completate le une e le altre dell'insegnamento del disegno, libero e geometrico, e di due lingue straniere, inglese e francese. L'addestramento ginnico-sportivo e le attività pratiche tecnico-professionali, sviluppate con particolare intensità durante i campi estivi, rifinivano la preparazione dell'allievo ufficiale, promosso sottotenente alla fine del biennio e abilitato alle funzioni di comandante di plotone-sezione. Nel biennio di studi successivo, presso le Scuole di Applicazione,il programma degli studi si diversificava. A fattore comune per le tre Scuole, sia pure con un diverso numero di ore di insegnamento, alcune materie professionali e culturali: tattica o impiego della propria arma, logistica, automobilismo e carrismo, esplosivi, storia mili-
(I) V. Ilari, Cultura universitaria e cultura militare per gli ufficiali italiani dal dopoguerra ad oggi. in Ufficiali e società. Interpretazioni e modelli, Franco Angeli. Milano 1988, pag. 467. (2) Chiedo scusa al leuore di un ricordo personale. Nel 1953 venne a trovarmi a Modena, dove frequentavo il secondo anno del corso varie armi, un mio avo, già valoroso combattente della prima guerra mondiale. Al mio entusiastico commento delle brillanti lezioni di analisi matematica che il professor Pignedoli allora teneva ali' Accademia, mio nonno replicò con immediatezza: "Quando sarai in una trincea, e dovrai balzare all'attacco con i tuoi uomini , il calcolo di qualche integrale ti sarà sicuramente di aiuto 1".
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
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tare, geografia militare, arte militare marittima, arte militare aerea, diritto costituzionale, lingua straniera (inglese o francese). Alcune materie di carattere militare erano previste solo per alcune anni: fanti, cavalieri ed artiglieri erano interessati al materiale d'artiglieria, alla balistica esterna ed alla fortificazione permanente, gli artiglieri anche alla balistica interna; fanti e cavalieri all'amministrazione. La componente scientifica non era trascurata, anche fanti, cavalieri ed artiglieri dovevano cimentarsi, nel corso dei due anni di applicazione, con discipline di indirizzo ingegneristico: fisica, meccanica razionale e meccanica applicata alle macchine, chimica e chimica applicata, elettromeccanica. Genieri e trasmetti tori erano naturalmente interessati anche ad altre discipline: idraulica e costruzione idriche, costruzioni stradali e ferroviarie, elettronica e radioelettronica. La preparazione di tutti gli ufficiali era completata da esercitazioni pratiche, da campagne tattiche e dal "viaggio d'istruzione", effettuato alla fine del secondo anno di corso. Due ore di addestramento ginnico-sportivo alla settimana mantenevano il fisico in forma. A partire dall' 8° corso ( 1955), dopo la Scuola d'Applicazione gli ufficiali delle varie armi erano inviati a prestare servizio per un periodo di 9 mesi presso un Centro Addestramento Reclute, per rendere meno arduo il primo approccio con la truppa. Al termine dli questo tirocinio di comando l'ufficiale frequentava poi, presso la propria scuola d'arma, il corso tecnico-applicativo della durata di 2 mesi per completare la preparazione tecnica specifica e, finalmente, al termine di un ciclo formativo durato praticamente 5 anni trasferito ad un reggimento. Negli anni successivi il tirocinio di comando fu prima abbreviato e poi eliminato del tutto, a causa di un pregiudizio artiglieresco molto diffuso che giudica l'addestramento di base per la formazione del combattente un'incombenza troppo umile per un ufficiale delle "armi dotte", avvezzo a risolvere complessi problemi di balistica. Il corso tecnico applicativo fu, invece, mantenuto e, per fanti e cavalieri, potenziato con la frequenza del "corso di ardimento", un periodo di addestramento alle tecniche di sopravvivenza in territori ostili. Gli ufficiali del corpo automobilistico dopo l'Accademia frequentavano la Scuola d'Applicazione del corpo, a Roma, seguendo un programma di studi similare. Per i carabinieri l'iter formativo era molto diverso. Accanto alla sorgente di reclutamento primaria, tenenti in servizio permanente effettivo delle varie armi che a domanda transitavano nell'arma, per lunga tradizione il reclutamento degli ufficiali dei carabinieri attingeva anche ad una sorgente interna, quella dei sottufficiali in possesso di adeguato titolo di studio. Questi sottufficiali, dopo aver rinunciato al grado, entravano in Accademia come allievi ufficiali già predesignati per l'arma e seguivano un iter formativo differenziato da quello comune per le varie armi, in quanto le materie
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di carattere scientifico erano sostituite da discipline di carattere giuridico. Promossi sottotenenti al termine del biennio, frequentavano poi per un altro biennio la Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma, completando la preparazione giuridica e quella professionale. Gli ufficiali del corpo di commissariato, ruolo sussistenza, e quelli del corpo di amministrazione, inizialmente frequentavano unicamente la Scuola Servizi di Maddaloni per un biennio, al termine del quale erano avviati ai reparti, a partire dal 1955 anche questi ufficiali furono però formati nell'Accademia Militare e dal 1980 anche per loro fu previsto il biennio presso la Scuola di Applicazione. Gli ufficiali commissari, quelli medici, farmacisti e veterinari, reclutati dopo la laurea, erano immessi direttamente nel servizio permanente, con il grado di tenente, dopo un breve corso informativo. Nel 1959 la legge n°397 del 22 marzo riconobbe l'equivalenza dei corsi regolari svolti in Accademia ed alle Scuole di Applicazione con il biennio propedeutico della facoltà di ingegneria, ripristinando parzialmente una situazione verificatasi già nel passato, quando agli ufficiali di artiglieria e del genio provenienti dai corsi regolari , era consentito l'accesso rispettivamente al 4° ed al 5° anno della facoltà di ingegneria. I benefici della legge n°397 furono ottenuti a prezzo di un consistente rimaneggiamento del programma di studio che, specie quello dell'Accademia, privilegiò la componente scientifica mortificando in misura eccessiva gli insegnamenti pratici di carattere militare, tanto che alla fine del biennio, pur promossi sottotenenti, gli allievi di Modena erano abilitati unicamente al comando di squadra. Anche le discipline di carattere professionale furono o ridotte (tiro) o soppresse (fortificazione campale) o rimandate al successivo biennio presso le Scuole di Applicazione (automobilismo). La sottonotata tabella offre una precisa valutazione del bilanciamento attuato tra discipline scientifiche e discipline militari presso l' Accademia e dell'aumento complessivo dei periodi di addestramento. SUDDIVISIONE PERIODI TRA GRUPPI DI MATERIE 1° ANNO DI CORSO ANNO ACCADEMICO
1950 - 1951 1959 - 1960
Materie Materie Universi. profess.
300 435
150 245
2° ANNO DI CORSO
Ed. fisica Ed. fisica Materie Materie e attività e attività Universi. profess. pratiche pratiche
415 307
315 625
230 288
635 313
Per quanto il quadro generale dell'iter formativo dell'ufficiale in servizio permanente effettivo sia rimasto nel complesso stabile per un ventennio, non
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
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mancarono "le aggiunte e varianti", alcune delle quali anche di notevole importanza. A partire dall 'anno accademico 1964-1965 al corso carabinieri furono ammessi anche giovani provenienti direttamente dalla vita civile per cui il reclutamento degli ufficiali dell'arma dai tenenti delle varie armi fu abolito. Con l'anno accademico 1968-1969 il programma di studi dell'Accademia fu modificato,per dare ancora più spazio alle materie universitarie. Il corso delle varie armi previde pertanto le seguenti discipline: - al primo anno analisi matematica I, geometria I, fisica I, lingua inglese, disegno, armi, topografia; - al secondo anno analisi matematica II, geometria II, meccanica razionale, fisica II, lingua inglese, arte militare, tiro, topografia; - per entrambi gli anni addestramenti di istruzione formale, lezioni di tiro con le armi individuali.attività sportive, addestramento individuale al combattimento, regolamenti. Gli automobilisti sostituivano le lezioni di tiro e di topografia con quelle di scuola guida, carabinieri ed amministratori in luogo delle discipline scientifiche studiavano materie giuridiche. Nel 1972 furono riconosciuti validi, ai fini del conseguimento del diploma di laurea in economia e commercio, alcune materie del corso di amministrazione e sussistenza: istituzioni di diritto privato e pubblico, statistica, economia politica, matematica generale, ragioneria generale ed applicata. Nel 1976 la Scuola di Applicazione di fanteria e cavalleria, quella di artiglieria e quella del genio si fusero nell'attuale Scuola di Applicazione, realizzando un'economia di personale e, soprattutto, l'unicità di indirizzo nella preparazione degli ufficiali. Nel 1979 il programma della Scuola di Applicazione comprese anche alcune materie di tipo manageriale come sociologia generale e dell'organizzazione, geografica politica ed economica, programmazione. L'iter formativo, tuttavia, non soddisfaceva completamente nè i comandanti di reggimento, che segnalavano la mediocre preparazione pratica dei giovani ufficiali, nè gli stessi allievi, costretti a pesanti studi di carattere scientifico senza peraltro conseguire un adeguato riconoscimento legale dell'impegno profuso in tanti anni di studio. Alla lunga anche lo Stato Maggiore, tenace difensore della caratterizzazione scientifica degli studi militari, prese atto che, lungi dall'incoraggiare il reclutamento, la prevalenza data agli insegnamenti matematici allontanava molti giovani dall'Accademia e che erano pochissimi gli ufficiali che pervenivano a conseguire la laurea in ingegneria. Anche la prospettiva di ottenere il globale riconoscimento della validità degli studi del quadriennio Accademia-Scuola di Applicazione con una laurea "in scienze militari", perseguita per anni, ma non sempre con la necessaria
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
determinazione <3>, si rivelò alla fine illusoria, in parte per l'ostilità di alcuni partiti politici, sempre convinti della necessità di umiliare in tutti i modi possibili l'istituzione militare, in parte per le resistenze del mondo accademico, "timoroso che si costituissero presso l' istituzione militare canali di reclutamento di professori universitari distinti da quelli ordinari. L'argomento, non privo di un certo peso, ma non insormontabile in se stesso, era che le accademie e le scuole di applicazione non potevano avere le caratteristiche irrinunciabili delle uni,versità, in primo luogo l'autogoverno e la libertà della ricerca scientifica. In realtà la corporazione universitaria non consentiva intromissioni da parte di quella militare" (4). Con l'anno accademico 1984-1985 si giunse finalmente ad una svolta decisiva. Lo Stato Maggiore rinunciò alla laurea in scienze militari e modificò l'iter formativo dell ' ufficiale, adeguando il programma degli studi dell'Accademia e della Scuola di Applicazione a quello di alcuni corsi di laurea - giurisprudenza, scienze politiche, economia e commercio, informatica, i ngegneria - in modo da portare l' ufficiale al termine del quadriennio formativo ad un passo dal conseguimento del diploma di laurea nella facoltà più congeniale all'arma o corpo logistico di appartenenza. Il nuovo indirizzo formativo non trascurò naturalmente la preparazione tecnico-professionale, conseguita in Accademia con l'insegnamento di discipline prettamente militari - arte militare, armi, tiro, topografia, regolamenti - e con lo sviluppo di attività pratiche quali l'istruzione formale, il tiro con le armi individuali e di reparto, l'addestramento al combattimento, di artiglieria, genio e trasmissioni, l'abilitazione alla guida di moto ed automezzi, al pilotaggio di veicoli cingolati da combattimento, l'addestramento alpinistico, l'abilitazione al lancio col paracadute e la formazione del pattugliatore scelto. La maggior parte di questo addestramento viene svolta nel corso di una campagna tattica, della durata di tre mesi, che si sviluppa.al termine degli esami di fine corso del 2° anno, presso le scuole militari. Questo intenso periodo addestrativo si conclude con il viaggio d' istruzione all'estero. Analogo il programma della Scuola d'Applicazione, differenziata però a seconda dell'arma o corpo logistico. L'iter formativo per gli ufficiali del ruolo speciale unico rimase sostanzialmente immutato: corso di aggiornamento, presso la Scuola di Applicazione per la prima fase e presso le scuole d'arma per la seconda, di durata complessi-
(3) La laurea in scienze militari sarebbe stata concessa solo agli ufficiali provenienti dai corsi regolari, di qui le sotterranee resistenze al provvedimento deg.li ufficiali transitali nel servizio pennanente effettivo dal complemento, sempre presenti in misura ri levante nell'Ufficio reclutamento, stato ed avanzamento dello Stato Maggiore. Anche alcuni ufficiali di grado molto elevato, titolari di un diploma di laurea conseguito negli anni burrascosi del dopoguerra, erano molto tiepidi s ull 'argomento, timorosi di dover dividere con tutti quel titolo di dottore di cui andavano molto fieri. (4) V. Ilari, op. cit., pag. 483.
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
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va di quattro mesi. Il programma della prima fase del corso di aggiornamento prevede le seguenti materie: amministrazione e contabilità militare (30 periodi), annamenti terrestri (25 periodi), arte militare (45 periodi), fondamenti di informatica (20 periodi), materiali della motorizzazione (25 periodi), regolamenti (40 periodi), sociologia militare e dell'organizzazione (28 periodi), topografia (35 periodi). Per la seconda fase, eminentemente pratico-applicativa, i programmi sono specifici per ciascuna anna. Un cenno, infine, al particolare iter formativo degli ufficiali del Corpo Tecnico dell'esercirto. li Corpo Tecnico ha i seguenti compiti: - presiedere agli studi scientifici e tecnici dei mezzi nonchè alla realizzazione ed alla sperimentazione dei prototipi; - provvedere all'elaborazione delle condizioni tecniche dei progetti, dei capitolati e della regolamentazione tecnica; - sovrintendere al controllo della produzione e fissare le direttive tecniper il collaudo dei materiali da approvvigionare. che Il reclutamento degli ufficiali del Corpo avviene esclusivamente tramite concorso, a cui possono accedere i laureati in ingegneria o in altre discipline tecnico-scienti fiche. La necessaria conoscenza della specificità militare e dell'ambiente ordinativo nel quale dovrà operare viene fornita al neo-ufficiale con la frequenza del corso tecnico- applicativo.presso la Scuola di Applicazione. li programma del corso, che ha la durata di un anno accademico, comprende: amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato (50 periodi), antinfortunistica cd igiene del lavoro (60 periodi), arte militare (60 periodi), controllo delle Javorazioni (45 periodi), esplosivi e difesa NBC (30 periodi), lingua inglese (620 periodi), materiali del genio, della motorizzazione e delle trasmissioni (120 periodi), mezzi e tecniche di programmazione (60 periodi), normativa generale sul rapporto di pubblico impiego (80 periodi), organizzazione tecnico-industriale della Difesa (40 periodi), politica ed acquisizione dei materiali (42 periodi), storia militare (30 periodi), topografia (40 periodi). Successivamente gli ufficiali sono inviati presso le scuole d'arma dove frequentano un corso di specializzazione della durata di un anno. Al termine del biennio gli ufficiali del Corpo Tecnico sono impiegati nelle Direzioni Generali tecniche del ministero, negli stabilimenti e nei centri tecnici di ricerca dell'esercito o distaccati presso le industrie civili che effettuano lavorazioni per la Difesa con compiti di controllo e di supervisione. 3. La scelta di un rispondente iter formativo non fu certo l'unico problema che lo Stato Maggiore dovette risolvere per costituire ed alimentare un corpo ufficiali numericamente adeguato ed in possesso delle necessarie caratteristiche di cultura e di efficienza. L'esito disastroso della 2• guerra mondiale ebbe naturalmente un riflesso negativo anche sul reclutamento degli allievi ufficiali ed il numero dei candida-
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
ti all'ammissione ali' Accademia scese nell'immediato dopoguerra a livelli del tutto insoddisfacenti. Lo Stato Maggiore suggerì allora al ministero alcuni provvedimenti con lo scopo di allargare la base di reclutamento per selezionare adeguatamente i candidati. Prima di tutto si agì nel settore economico,di importanza determinante nell'Italia dissestata ed impoverita degli ultimi anni Quaranta. La retta per la frequenza dell'Accademia, da sempre a carico delle famiglie e che nell' immediato anteguerra ammontava a 5300 lire per ogni anno di corso (vestiario escluso), fu abolita. Inoltre, a partire dal 1950, legge n°447 del 9 giugno, agli allievi fu corrisposta una indennità giornaliera, depositata, in toto o in parte, su un libretto bancario e liquidata all'atto della promozione ad ufficiale. A partire dal I 987 l'allievo ufficiale fu poi equiparato economicamente al sergente, sia pure con una riduzione degli emolumenti del 40% durante il primo anno di corso e del 30% durante il secondo. La tabella sottoriportata indica il progressivo adeguamento dell' indennità al costo della vita.
TRATTAMENTO ECONOMICO ALLIEVI ACCADEMIA
ANNO
INDENNITÀ GIORNALIERA (in lire)
1950 - 1967
308
1968 - 1973
1124
1974 - 1980
1500 fino al 3° mese 2800 dal 4° al 12° mese 3500 dal 13° al 24° mese
1981 - 1985
3000 fino al 3° mese 5600 dal 4° al 12° mese 7000 dal 13° al 24° mese
1986
6000 fino al 3° mese 11200 dal 4° al 12° mese 14000 dal 13° al 24° mese
1987
24000 primo anno 28000 secondo anno
NOTE Depositata su libretto bancario. Depositata per 1/2 su libretto bancario.
Equiparazione al sergente con riduzione percentuale.
Sempre allo scopo dì aumentare il numero delle domande di ammissione,
fu poi progressivamente allargata la rosa dei titoli di studio necessari per partecipare al concorso di ammissione in Accademia; dal 1951 fu ritenuto valido anche il diploma rilasciato dagli istituti tecnici e dal 1964 anche quello rilasciato dagli istituti magistrali. Contemporaneamente fu avviata anche una insistita campagna promezio-
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LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
nale per far conoscere al grande pubblico l'Accademia e le prospettive che la frequenza dell'istituto avrebbe offerto ai giovani, mediante inserzioni sulla stampa periodica e quotidiana, conversazioni nelle scuole medie superiori con i giovani prossimi al diploma da parte di ufficiali anziani ed esperti, diffusione in tutti gli ambienti di opuscoli illustrativi del bando di concorso. L'insieme dei provvedimenti adottati non raggiunse completamente lo scopo, il numero dei giovani promossi ufficiali al termine del biennio di studi presso l'Accademia fu sempre notevolmente inferiore a quello dei posti messi a concorso, tuttavia riuscì ad avvicinare a1 corpo ufficiali tutti gli strati sociali, rendendolo più rappresentativo delle aspirazioni e delle tendenze di tutto il popolo italiano. Le tabelle sottoriportate (S) sono chiaramente indicative al riguardo e non necessitano di alcun commento. PROVENIENZA FAMILIARE ALLIEVI ACCADEMIA (in valori percentuali) PERIODO
Militari di carriera
Professionisti Impiegati Commercianti
Agricoltori Artigiani Operai
Possidenti Industriali
1950 - 1959
28
39
33
-
1960 - I 969
30
36
33
1
1970- 1979
38
29
28
5
40
37
19
4
I 980 - 1989
PROVENIENZA SCOLASTICA ALLIEVI ACCADEMIA (in valori percentuali) PERIODO
TIPO DI SCUOLA
1950 · 1969
1970 · 1979
1980 · 1989
Liceo classico
40
15
21
Liceo scientifico
27
38
51
Istituto tecnico per geometri, ragionieri, periti industiali
30
46
27
Istituto magistrale, nautico, agrario
3
1
I
TOTALE
100
100
100
(5) Dati trani da F . Barbolini, L'Accademia Militare 1943-/992, edizione fuori commercio a cura dell'Accademia Militare, Modena 1993.
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STORIA OEU..'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
PROVENIENZA REGIONALE ALLIEVI ACCADEMIA (in valori percentuali)
PERIODO
NORD
CENTRO
SUD
ALTRE ZONE
1950 - 1959
23
24
48
4
1960- 1969
23
25
49
2
1970 - 1979
23
21
53
2
24
23
51
I
1980- 1989
Per compensare l'insufficiente gettito dell'Accademia, a partire dal 1955 fu bandito annualmente un concorso per titoli per il passaggio dal complemento al servizio permanente effettivo di un centinaio circa di ufliciali. l vincitori del concorso, promossi sottotenenti alla data del 3 I dicembre e collocati in annuario dopo gli allievi del corso di Modena di quell'anno, fre~uentavano presso le Scuole d'Applicazione un corso annuale di aggiornamento professionale. Al primo corso, iniziato nell'autunno dei 1955, parteciparono 6 I ufficiali di fanteria, 16 di cavalleria, 69 di artiglieria, 17 del genio e 18 delle trasmissioni. n programma prevedeva l'insegnamento di automobilismo e carrismo, comunicazioni elettriche, esplosivi ed aggressivi A.B.C., geografia militare, impiego d'arma, logistica, materiale di artiglieria, organica, tiro, topografia, storia militare. I corsi di aggiornamento professionale cessarono con l'anno accademico 1963-1964 quando, a causa dell'istituzione del ruolo speciale unico, non fu più necessaria questa forma di arruolamento suppletivo. Agli otto corsi svolti presso la Scuola di Applicazione parteciparono complessivamente 730 ufficiali di fanteria, 98 di cavalleria, 511 di artiglieria, 133 del genio e 126 delle trasmissioni. Naturalmente nello stesso periodo e con identiche modalità furono reclutati anche uflìcialì dei corpi di automobilismo, di amministrazione e di commissariato, ruolo sussistenza. A partire dagli anni Sessanta il reclutamento degli ufficiali medici, farmacisti e veterinari divenne sempre più difficoltoso, sino ad inaridirsi completamente. La modestia delle retribuzioni ed i frequenti trasferimenti a cui erano sottoposti anche gli ufficiali medici e veterinari e che, di fatto, impedivano loro di esercitare privatamente la professione una volta assolti gli obblighi di servizio, costituivano una remora insormontabile. Il problema, comune alle tre forze armate, fu risolto con l'istituzione dell'Accademia di Sanità Interforze che accoglie i giovani dopo gli studi medi superiori e li dimette con la laurea in medicina, in farmacia, in veterinaria e con il grado di tenente. Per quanto riguarda l'esercito, medici e farmacisti si formano presso l'università di Firenze, città nella quale è ubicato il Nucleo Esercito
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LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
dell'Accademia di Sanità Interforze, mentre i veterinari si laureano all'università di Torino, essend o ubicata a Pinerolo la Scuola del Corpo Veterinario. A conclusione del paragrafo si riportano i dati principali (5) relativi ai corsi svolti nell 'Accademia Militare a partire dal 1950, anno di inizio del 7° corso, che può essere considerato il primo corso regolare del dopoguerra con programma unico per le varie armi, fino al 1990, limite temporale di questa narralione.
DATI RELATIVI Al CORSI DELL'ACCADEMIA CORSO E ANNO (0 )
7° - 1950 8° - 1951 9° - 1952 10° - 1953 11 ° - 1954 12° - 1955 13°- 1956 14° - 1957 15° - 1958 16° - 1959 17° - 1960 18° - 1961 19° - 1962 20° · 1963 21° · 1964 22° - 1965 23° - 1966 24° - 1967 150•. 1968 151 ° · 1969 152°- 1910 153° · 1971 154° - 1972 155° · 1973 156° - 1974 157° - 1975 158° - 1976 159° - 1977 160° - 1978 161°- 1979 162° - 1980 163° - 1981 164° · 1982 165° - 1983 166° - 1984 167° - 1985 168° · 1986 169° - 1987 no•. 1988 171 ° - 1989 172° - 1990 0
POSTI A CONCORSO (00)
507 672 604 637 640 743 740 550
453 425 538 538 538 385 385 350 340 384 330 331 352 351 359 335 352 294 343 322 321 332 296 283 283 322 313 291 305 332 310 289 293
DOMAND E
AMMESS I
PROMOSSI UFFICIALI (000 )
1232 1959 1725 1523 1252 l 181 2083 1700 1896 1899 1688 1957 1523 1271 1405 2098 2174 1768 1936 1568 1133 1232 1445 1256 1188 1226 1323 1610 1595 1482 1488 1490 1765 2351 2968 4270 3678 3565 4065 3973 4006
423 465 491 418 374 405 338 294 355 412 332 303 369 384 412 354 279 255 184 175 211 204 229 176 231 219 260 250 237 238 270 282 305 339 334 309 320 336 313 292 297
350 432 416 384 358
332 278 247 246 329 279 250 313 286 250 243 208 219 153 153 172 175 195 154 194 176 193 200 176 193 220 222 252 288
279 27 1 247 292 276 251 238
La numera.lione dei corsi del l'Accademia ricominciò nel 1944 a significare l'inizio del rinnovamento; nel 1968 tuttavia si volle riprendere la (
)
(5) Dari 1raui da. F. Barbolini, L'Accademia Miliwre 1943-1992. edizione fuori commercio a cura dcli· Accademia Miluarc. Modena 1993.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
numerazione dei corsi dell'Accademia di artiglieria e genio, interrottasi nel 1943 00 ( ) Il numero dei posti a concorso è comprensivo dei posti messi a concorso per le varie anni e di quelli messi a concorso per i corpi logistici. 000 ( ) Nel numero dei promossi sono compresi anche i provenienti dal corso precedente. 4. La Scuola di Guerra, ufficialmente ricostituita nella nuova sede di Civitavecchia il 15 ottobre 1949, ma di fatto già operante dal novembre 1947, dopo un periodo di sperimentazione raggiunse nel 1953 un assetto stabile con la diramazione di un nuovo regolamento interno che abrogò quello del 1940, ancora legalmente vigente. Scopo della scuola, definita centro di studio e di diffusione della dottrina militare, era quella di formare gli ufficiali destinati ad incarichi di Stato Maggiore e, di conseguenza, il ciclo degli studi fu articolato in due fasi, Corso di Stato Maggiore e Corso Superiore di Stato Maggiore, per abilitare gli ufficiali frequentatori rispettivamente alle funzioni esecutive ed a quelle direttive. Il primo corso, che aveva anche lo scopo di fornire ai frequentatori le basi per studi militari di ordine superiore, comprendeva un anno accademico di studi presso la Scuola ed un anno solare di esperimento pratico presso un comando di grande unità. Se giudicato favorevolmente, l'ufficiale era ammesso al Corso Superiore, della durata di un anno accademico. Le materie d'insegnamento del Corso di Stato Maggiore erano le seguenti: tattica (190 periodi), logistica ( 168 periodi), organica (54 periodi), servizio informazioni (50 periodi), arte militare aerea ed arte militare marittima (36 periodi), lingua straniera (36 periodi), storia militare (54 periodi). Tra il primo anno accademico ed il periodo applicativo era effettuata una campagna addestrativa della durata di un mese. Il programma del Corso Superiore prevedeva: operazioni delle grandi unità (483 periodi), scacchieri di operazioni (45 periodi), storia militare (60 periodi), politica ed economia di guerra ( 110 periodi), lingua straniera (36 periodi). I programmi di studio di entrambi i corsi erano completati da conferenze, visite alle scuole d'arma, esercitazioni con i quadri, ricognizioni di frontiera. Quanto allo studio della lingua straniera i frequentatori erano liberi di scegliere tra l'inglese, il francese ed il tedesco. Due periodi alla settimana erano dedicati, infine, all'attività ginnica. Con il passare degli anni e con il crescere delle esigenze culturali e professionali, l'equilibrio didattico, il rapporto cioè tra gli insegnamenti da impartire ed il tempo a disposizione, si alterò profondamente e nel 1963 un nuovo Regolamento sanzionò l'abolizione dell'anno applicativo ed il riordinamento degli studi con durata triennale. La sottoriporlata tabella indica i risultati raggiunti dalla Scuola di Guerra dal 1953 al 1965.
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LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
UFFICIALI DIPLOMATI DAL 1956 AL 1965 Numero del corso
Periodo di frequenza
Ammessi agli esami (0)
Ammessi al corso
Diplomati
78° 79° 80° 81 ° 82° 83° 84° 850 86° 870
1953-1956 1954- 1957 1955 - 1958 1956 - 1959 1957 - 1960 1958-1961 1959 - 1962 1960- 1963 1961 - 1964 1962 - 1965
160 130 150 280
71 73 52 73 66 68 61 59 32 40
65 70 46 63 62 61 58 58 31 31
200 205 206 155 I IO 120
) L'ammissione degli ufficiali alla Scuola avveniva a domanda e Lramite concorso che, negli anni a cui si riferisce la tabella, di massima prevedeva il superamento di due prove scritte (elaborato su argomento storico-politico e esercizio di topografia) e di tre prove orali (regolamentazione tattico logistica; armi, tiro e mezzi tecnici; lingua straniera). I candidati da ammettere a sostenere gli esami d'ammissione erano selezionati da un'apposita commissione che ne accertava livello di preparazione e qualità morali ed intellettuali. 0
(
11 nuovo Regolamento aumentò i compiti della Scuola, attribuendole anche quello di concorrere alla formazione dei comandanti. L'ordinamento degli studi continuò ad essere suddiviso in due fasi, il Corso di Stato Maggiore della durata di due anni accademici, entrambi seguiti da un periodo di 40 giorni in arma diversa, ed il Corso Superiore di Stato Maggiore, della durata di un anno accademico e seguito da un viaggio di istruzione all'estero. I programmi di insegnamento prevedevano: - I O anno del Corso di Stato Maggiore: tattica ( 190 periodi), logistica (120 periodi), servizio di Stato ( 150 periodi), servizio informazioni (50 periodi), impiego armi speciali (70 periodi), organica (40 periodi), arte militare aerea (25 periodi), lingua estera (60 periodi) C6); - 2° anno del Corso di Stato Maggiore: quelle del primo anno alle quali si aggiungevano geografia militare (50 periodi), storia militare (40 periodi) e arte militare marittima (25 periodi); - Corso Superiore di Stato Maggiore: tattica ( 125 periodi), logistica ( 125 periodi), elementi di strategia globale (120 periodi), servizio informazioni (50 periodi), organica (35 periodi), servizio di Stato Maggiore (50 periodi), arte (6) A partire dal 1963 tra le lingue che p0tevano essere scelte dal frequentatore figurò anche il russo.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
militare aerea (35 periodi), arte militare marittima (35 periodi), storia militare (40 periodi), lingua estera (60 periodi). Le materie d'insegnamento erano completate con circa 60 periodi di conferenze, visite alle scuole d'arma ed alle industrie belliche, esercitazioni precedute da estese ricognizioni delle zone interessate. Il nuovo Regolamento ammise al Corso Speciale per gli ufficiali dei corpi logistici anche quelli di amministraLione e del corpo veterinario, che fecero il loro ingresso alla Scuola di Guerra nell'anno accademico 1966- I967. Il Corso Speciale, istituito nel 1961, rispondeva alla necessità di disporre di ufficiali dei corpi logistici in grado di inserire le conoscenze tecniche in un più ampio contesto operativo, per consentire la risoluzione coordinata e correna dei problemi specifici di tipo complesso, e di esercitare responsabilmente l'attività di consulenza nei riguardi degli ufficiali delle varie armi, necessaria per risolvere problemi a carattere logistico presso enti e comandi di livello elevato. Il corso era articolato in due fasi: - la prima, per corrispondenza, si svolgeva da maggio a settembre e comprendeva anche quattro convocazioni dei candidati presso la Scuola di Guerra, ciascuna della durata di una settimana, e di cui l'ultima si concludeva con un accertamento valutativo; - la seconda, in comune con il Corso Superiore di Stato Maggiore. Il nuovo ordinamento degli studi, che assicurava una permanenza di tre anni nella sede di Civitavecchia e che, quindi, consentiva agli ufficiali frequentatori di non separarsi dalla famiglia m, favoò un notevole incremento delle domande di ammissione alla Scuola: 393 per l '88° corso, 397 per l '89°, 360 per il 90° ed il 91°. I posti messi a concorso ogni anno si stabilizzarono in 80, coerentemente con la politica dello Stato Maggiore che desiderava una maggiore presenza nelle scuole, nelle unità e nei comandi di ufficiali qualificati per migliorare il grado di efficienza complessiva. Anche il Regolamento del 1963 non durò a lungo, l'elevato numero di ufficiali diplomati alla Scuola provocò turbative non previste ma non per questo meno pesanti. In pratica, le 88 promozioni annuali a colonnello, consentite dalla legge di avanzamento per gli ufficiali delle varie armi, divennero appannaggio per almeno 2/3 degli ufficiali usciti dalla Scuola di Guerra, suscitando il comprensibile malumore del personale che non aveva ritenuto, per motivi di vario genere, di concorrere a suo tempo per frequentare i corsi di Stato Maggiore o che non aveva vinto il concorso. Paradossalmente, poichè il numero degli ufficiali provenienti dalla Scuola di Guerra era superiore al numero delle promozioni consentite in prima valutazione, anche tra gli ufficiali titolati cominciò a serpeggiare il disappunto
(7) Il trasferimento dei frequentaiori a Civitavecchia fu agevolato con l'assegnazione di alloggi demaniali. costruiti m numero adegualo nella pnma metà degli anni Sessanta.
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
529
per aver tanto operato senza raccogliere nulla. Le recriminazioni degli uni e degli altri divennero con il tempo sempre più insistite e trovarono un buon supporto nel clima politico degli anni Settanta, poco favorevole alle scelte elitarie e meritocratiche e molto propenso a concedere pari opportunità per tutti. Lo Stato Maggiore ritenne allora opportuno predisporre un disegno di legge di modifica ai corsi della Scuola di Guerra, e lo stesso capo di Stato Maggiore dell'esercito, nell'imminenza dell'approvazione del provvedimento da parte del Parlamento, illustrò in pubblico <8) la filosofia del nuovo iter formativo: "( ...) Un esercito di qualità presuppone che siano soddisfatte due esigenze: la prima, che la massa degli ufficiali provenienti da corsi regolari, giunta al grado di capitano, faccia un salto qualitativo nella preparazione e nella capacità di comandlo, nonchè nella idoneità a svolgere funzioni di carattere tecnico-militare; la seconda, insopprimibile, che un'aliquota di ufficiali, sia pur limitata, acquisisca la capacità di svolgere funzioni direttive ad altissimo livello. L'attuale iter formativo dei corsi della Scuola di Guerra, alla luce dell'esperienza, presenta alcuni inconvenienti. In primo luogo, con l'odierno sistema basato sull'accesso alla Scuola di Guerra per concorso e, quindi sulla volontarietà, soltanto una limitata aliquota di ufficiali frequenta i corsi di SM; in tal modo non viene soddisfatta la prima esigenza, di elevare per tutti il livello di preparazione. Inoltre, l'esigenza di avere un limitato numero di ufficiali capaci di svolgere funzioni direttive di altissimo livello non viene rispettata, in quanto il numero dei diplomati è decisamente esuberante rispetto alle necessità. Infine, l'attuale sistema comporta l'inconveniente - molto serio - di tenere ufficiali nel grado di capitano o di ufficiale superiore lontani dai reparti per tre anni consecutivi, col pericolo che essi perdano il contatto con la realtà. Il disegno di legge che lo SME ha presentato prevede che il Corso di SM, sviluppato in un solo anno accademico, venga frequentato - obbligatoriamente - da tutti i capitani, per corsi di Accademia. In tal modo si potrà soddisfare la prima esigenza, quella del salto di qualità della massa. Al secondo Corso - Superiore d i SM, della durata anch'esso di un anno si è ammessi, invece, a domanda, attraverso un concorso per titoli e per esami per la fonnazione di un limitato numero di ufficiali (31) destinato alle funzioni dirett.ive. Con questo provvedimento si evita, fra l'altro che gli Ufficiali restino lontani dalle attività applicative per più di un anno; infatti, anche quelli che frequenteranno ambedue i corsi, a causa del notevole intervallo fra l'uno e l' altro, non resteranno ogni volta lontani dalle unità per più di un anno. Altro vantaggio del nuovo sistema è che tutti i componenti di uno stesso corso d'Accademia, a distanza di anni, dopo aver esercitato il comando nel
(8 ) Inaugurazione dell'anno accademico 1975-1976 della Scuola di Guerra alla presenza del ministro della Difesa.
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STORIA DELL.ESERCITO ITALIANO (1861 · 1990)
grado di capitano, si ritroveranno insieme in questa Scuola e potranno rafforzare quei vincoli di reciproca conoscenza, di amicizia, di cameratismo che tanta importanza hanno in una Istituzione come la nostra nella quale il fattore umano è detenninante. Ogni innovazione - indubbiamente - fa sorgere interrogativi e perplessità e il disegno di legge sul nuovo "iter" non fa eccezione aJla regola. E' stato chiesto perchè non si attua un corso di un solo anno accademico, che comprenda sia il programma del Corso di SM sia il programma del Corso Superiore di SM, analogamente a quanto avviene - grosso modo - presso i paritetici Istituti delle altre forze annate nazionali. Ritengo che tale paragone non possa esser fatto in quanto mene a confronto elementi non omogenei. Oltre alle diverse funzioni dei due corsi, precedentemente illustrate, occorre tener conto che la tematica dei Corsi di SM per le forze terrestri è molto complessa sia per il numero delle anni e la qualità diversificata degli equipaggiamenti, sia per la varietà delle forme del combattimento (in montagna, in pianura, negli abitati o nei boschi). Semmai, un paragone può farsi con le Scuole di Guerra di altri eserciti di Paesi alleati dove si può rilevare una forte analogia a quanto da noi previsto: in Germania i corsi durano più di due anni, così come in Inghilterra ed in Francia. E' stato anche posto il seguente interrogativo: perchè non ammettere in blocco al Corso Superiore tutti quelli che hanno frequentato il Corso di SM? Al riguardo occorre considerare che l'esigenza di ufficiali che abbiano acquisito il titolo del Corso Superiore di SM è inferiore alle 300 unità, qui ndi è necessario diplomarne ogni anno un numero tale da avere stabilmente circa 300 elementi qualificati per svolgere funzioni direttive ad alto livello. Ammettendo al Corso Superiore tutti coloro che abbiano frequentato il Corso di SM, arriveremmo ad una disponibilità di ·2soo elementi. Nessuna industria si accollerebbe l'onere di qualificare 2500 persone laddove ne occorrono soltanto 300! Un altro quesito riguarda il problema dei vantaggi di carriera. E' chiaro che, essendo il Corso di SM frequentato per corsi di Accademia, non avrebbe senso estendere a tutti tali vantaggi perchè equivarrebbe a non darli a nessuno. I vantaggi di carriera, pertanto, sono previsti per gli ufficiali che si classificano en tro il primo terzo al Corso di SM e per quelli che superano il Corso Superiore di SM. TI problema dei vantaggi di carriera non è legato all'iter formativo della Scuola di Guerra, bensì al profilo di carriera previsto dall'attuale legge di avanzamento: abolendoli, nessun ufficiale, per quanto capace e preparato, arriverebbe ad un grado superiore a quello di generale di brigata, perchè sarebbe raggiunto prima dai limiti di età. Quindi, l'istituto dei vantaggi di carriera - riservato a ufficiali che non solo hanno frequentato proficuamente un anno di Corso di SM, ma hanno vinto un concorso per esami e frequentato il Corso Superiore di SM - è necessario per consentire ad elementi di spicco di raggiungere, in età relativamente giovane, i vertici della gerarchia. Tuttavia, sono consapevole che l'istituto dei vantaggi di carriera non è
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
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popolare. Nel quadro della legge d'avanzamento - da attuare appena avremo fatto fronte alle incombenze più urgenti legate alla ristrutturazione - si potrà quindi esaminare la possibilità di adottare altri "meccanismi" che consentano di raggiungere i vertici della gerarchia agli ufficiali veramente dotati di qualità emergenti. Si tratterà, però, di sostituire un "meccanismo" con un altro, ma la selezione è inevitabile, essendo insita nel carattere delle gerarchie in genere e di quelle militari in particolare ...". La legge n°192 del 28 aprile 1976 mutò radicalmente,quindi, l'iter formativo dell'ufficiale di Stato Maggiore ed il tradizionale ordinamento dei corsi svolti alla Scuola di Guerra. Il principio fondamentale della riforma fu il passaggio da un sistema di selezione a priori a quello di selezione progressiva per fasi successive, in altre parole da un sistema cilindrico - corso di Stato Maggiore e Corso Superiore di Stato Maggiore in successione e praticamente delle stesse dimensioni - ad un sistema piramidale - base formata dal Corso di Stato Maggiore e apice costituito dal Corso Superiore di Stato Maggiore di dimensioni molto ridotte. Di conseguenza mutarono anche i compiti della Scuola, così definiti dalla legge n° 192: - completare ed uniformare la formazione tecnico- professionale degli ufficiali in servizio permanente delle varie armi; - elevare ulteriormente la preparazione di una aliquota di detti ufficiali, destinata ad assolvere incarichi di Stato Maggiore di particolare rilievo; - concorrere alla formazione dei comandanti; - costituire centro di studio e di diffusione della dottrina militare. A partire dall'anno accademico 1976-1977 la frequenza del Corso di Stato Maggiore avvenne per corso di Accademia e, quindi, la totalità degli ufficiali fu posta nelle stesse condizioni di partenza per acquisire il previsto vantaggio di carriera, riservato al personale compreso nel 1° terzo della graduatoria di merito di fine corso purchè con una media superiore a 24/30. li corso fu articolato in tre fasi, una prima fase propedeutica per livellare la preparazione dei partecipanti, una seconda fase presso le scuole d'arma per aggiornare la preparazione specifica, una terza fase di lezioni teoriche ed esercitazioni. Il programma di insegnamento prevedeva: tattica e armi speciali (420 periodi), logistica ( 145 periodi), servizio informazioni (60 periodi), servizio di Stato Maggiore e scienza del!' organizzazione ( I 35 periodi), organica e personale (70 periodi), arte militare aerea (25 periodi), governo del personale (25 periodi). Al Corso Superiore di Stato Maggiore, inizialmente limitato a 31 ufficiali, si accedeva, tramite concorso per titoli ed esami, a distanza di anni dalla frequenza del corso precedente. A premessa del Corso Superiore gli ufficiali ammessi frequentavano presso la Scuola Lingue Estere un corso intensivo di lingua inglese della durata di cinque mesi. Le materie previste dal programma erano le seguenti: tattica e armi speciali (200 periodi), logistica (I 95 periodi), servizio informazioni (40 periodi),
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 , 1990)
servizio di Stato Maggiore e scienze dell'organizzazione (45 periodi), strategia globale ( 150 periodi), organica e personale (65 periodi), storia militare (55 periodi), arte militare aerea (25 periodi), arte militare marittima (40 periodi), governo del personale (30 periodi). Durante il corso erano svolte attività congiunte con gli istituti similari della marina e dell'aeronautica per 100 periodi circa ed un viaggio di istruzione all'estero. Il Corso Speciale per gli ufficiali dei corpi logistici fu mantenuto, naturalmente con una riduzione del numero dei partecipanti. Negli anni successivi furono introdotte lievi modifiche al programma degli studi e fu portato a 50 il numero degli ammessi al Corso Superiore, nella sostanza l'iter formativo è rimasto invariato fino ad oggi. Le so11ostanti tabelle offrono un resoconto quantitativo dell'attività didattica della Scuola d i Guerra dal 1984 al 1989.
CORSO DI STATO MAGGIORE UFFICIALI FREQUENTARI
ANNO ACCADEMICO
CORSO
cc.
Varie Armi
Stranieri
1984- 1985
109°
4
129
9
1985 - 1986
110°
4
100
14
1986 - 1987
111°
-
112
15
1987 - 1988
112°
-
88
16
1988 - 1989
113°
-
103
15
CORSO SUPERJORE DI STATO MAGGIORE UFFICIALI FREQUENTARI
ANNO ACCADEMICO
CORSO
1984 - 1985
106°
2
50
12
15
1985 - 1986
107°
3
48
IO
21
1986 - 1987
108°
3
50
13
20
1987 - 1988
109°
6
42
11
23
1988 - 1989
110°
6
49
13
23
cc.
Varie Armi Corpi Log.
Stranieri
5. La formazione del sottufficiale, insostituibile elemento di raccordo tra il militare di truppa e l'ufficiale, ha rappresentato nel passato un problema mai
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
533
soddisfacentemente e definitivamente risolto, anche per la mancanza di una cornice giuridica che delineasse con sufficiente precisione la figura del sottufficiale. A partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento i sottufficiali dell'esercito, con esclusione di quelli dei carabinieri, incominciarono a perdere a poco a poco quelle caratteristiche di solidità morale e di preparazione professionale che avevano contraddistinto i "bassi ufficiali" dell'armata sarda. I motivi di questo indubbio scadimento di qualità erano numerosi, e spesso interagenti tra di loro: la scarsa propensione per la vita militare dell'italiano medio; la modestia delle paghe, appena sufficiente per il sottufficiale scapolo e che costringeva quello ammogliato a continue transazioni con la propria coscienza; l'incapacità dell'amministrazione di dare un impiego civile al sottufficiale anziano; la mancanza di una apposita scuola che migliorasse la preparazione culturale di base dell'aspirante sottufficiale e, nel contempo, gli impartisse una solida preparazione professionale 00); la scrematura costante degli elementi migliori per fame dei mediocri ufficiali; la frustrazione prodotta da lunghi anni trascorsi nell'avvilimento di mansioni umili e ripetitive; l'insicurezza della carriera, mai definita per legge e sempre legata alle esigen1e del momento. Situazione diversa per il sotlufficiale dei carabinieri, per il quale la migliore retribuzione, l'incarico relativamente indipendente - si pensi ai comandanti delle stazioni rurali, "visitate" dal signor tenente o dal signor capitano ad intervalli di mesi - le mansioni oggettivamente più importanti e meno ripetitive, il contatto frequente con la magistratura e con i notabili locali, costituivano motivo di gratificuione e nel contempo un incentivo costante ad operare con impegno ed a migliorare la propria preparazione, che aveva già ricevuto una buona impronta di base presso la Scuola SottYfficiali di Firenze. A mano a mano che la qualità culturale delle reclute cresceva le carenze dei sottufficiali apparivano con maggiore evidenza, determinando a poco a poco il trasferimento di molte incombenze addestrative ed operative dal comandante di squadra a quello di plotone, con conseguenze deleterie per il sottufficiale, appiattito nelle funzioni di magazziniere e di dattilografo. Il contatto con gli eserciti tedesco ed inglese nel corso della seconda guerra mondiale e l'inevitabile confronto tra preparazione, compiti ed attribuzioni dei sottufficiali di quegli eserciti ed i nostri, costituì uno stimolo per lo Stato Maggiore a ripensare ed a ridisegnare la figura del sotLUfficiale. Già nel triennio I945-1947 sulle pagine della rinata Rivista Militare il
(10) Nel 1888 era stata costituita a Caserta, in un'ala del palazzo reale. la Scuola dei sottufficiali. con lo scopo di uniformare e migliorare la prepar:mone di base dei sottufficiali, affidata allora ai "battaglioni d'istruzione per souufliciali" di ricottiana memoria. La scuola fu però soppressa nel 1895 per motivi di economia ed il compito di formare i sottufficiali passò alle scuole d'arma e poi. a partire dal 1920. alle scuole per allievi ufficiali di complernento.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
dibattito sul come reclutare e sul come formare il sottufficiale del nuovo esercito {9) fu vivace ed appassionato, delineando due tendenze, quella di maggioranza, che proponeva di reclutare i nuovi sottufficiali tra i giovani in possesso della licenza di scuola media inferiore e di formarli attraverso un corso annuale presso una scuola militare specifica, e quella di minoranza, che riteneva sufficiente per l'allievo sottufficiale il possesso della licenza elementare ed un ciclo formativo presso le grandi unità, nel l'intento di creare "dei praticoni e non dei sapienti", come argomentava il generale Zanussi. Prevalse la prima tendenza, ma con qualche compromesso. Come è già stato detto nel capitolo XX, nel 1948 sorse a Spoleto la Scuola Allievi Sottufficiali. Presso la scuola gli allievi, reclutati anche se io possesso della sola licenza elementare, frequentavano un corso della durata di 8 mesi. Promossi al grado di caporale, erano poi avviati ai corpi dove effettuavano un tirocinio pratico della durata di un mese e, successivamente, alla rispettiva scuola d'arma dove, con il grado di caporale maggiore, frequentavano un corso di specializzazione di 3 mesi, al termine del quale erano avviati ai corpi per un ulteriore tirocinio di 6 mesi. Allo scadere del 18° mese di servizio l'allievo sottufficiale era promosso sergente in ferma volontaria. Accanto a questa principale fonte di reclutamento, ne esistevano altre due, quella dei volontari allievi specializzati (VAS) in ferma triennale e quella dei caporal maggiori di leva. Per i VAS fu istituita nel 1951 un'apposita scuola a Rieti, che a partire dall ' anno seguente ebbe un proprio distaccamento a Chieti. I VAS aspiranti alla nomina a sergente erano inizialmente avviati alla scuola di Chieti, dopo un corso basico di 4 mesi passavano alla rispettive scuole d'arma, per la frequenza del corso di specializzazione che durava 8 mesi e durante il quale il VAS consegui va la,, promozione a caporale ed a caporal maggiore. La preparazione dell'allievo sottufficiale specializzato era poi completata presso la Scuola Allievi Sottufficiali Specializzati di Rieti, con la frequenza di un corso integrativo di cultura generale e militare di 3 mesi. Al termine del 15° mese di addestramento il VAS era promosso sergente in ferma volontaria. La promozione a sergente maggiore, con il conseguente passaggio nella carriera continuativa, avveniva comunque, sia per i sottufficiali ordinari sia per quelli specializzati, solo dopo una permanenza minima nel grado di sergente di 30 mesi. L'altra fonte sussidiaria di reclutamento era riservata ai caporal maggiori di leva ritenuti idonei, all'ano del congedo, alla promozione a sergente. Attraverso una trafila particolare e selettiva anche questi sottufficiali potevano accedere alla carriera continuativa. La già ricordata legge n°599 del 31 luglio 1954, tracciando finalmente un quadro di riferimento certo costituì il necessario punto di partenza per una (9) Cfr. F. Botti - V. Ilari,// pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra. USSME. Roma 1985, pag. 557 e seguenti.
LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
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soluzione otùmale del problema sottufficiali. La nuova legge, infatti, apportò molte innovazioni: - suddivisione dei sottufficiali in diverse categorie: in fenna volontaria, in rafferma, in servizio pennanente, in congedo, per ognuna delle quali furono chiaramente definiù diritti e doveri; - creazione del ruolo speciale "per mansioni di ufficio", nel quale il sottufficiale poteva permanere dal 56° al 61 ° anno di età; - disciplina più favorevole degli isùtuti della ferma volontaria e della rafferma, con la riduzione della discrezionalità dell'amministrazione militare nel sancire la cessazione del rapporto d'impiego; - nuova definizione del regime disciplinare con l'istituzione, anche per i sottufficiali, dell'inchiesta formale e della commissione di disciplina. Questa legge fondamentale fu poi perfezionata da altri e successivi provvedimenti, come la legge n°447 del 1964 che stabilì i periodi minimi di permanenza nel grado per conseguire la promozione al grado superiore ( I I anni complessivamente nei gradi di sergente e sergente maggiore, 4 in quelli di maresciallo capo e maresciallo ordinario), il decreto presidenziale n° l 079 del 1970 che istituì la qualifica di "aiutante" da conferire, previa valutazione, al 10% dei marescialli maggiori, la legge n°14 del 1975 che, oltre ad ampliare gli organici, stabilì i periodi minimi di permanenLa alle truppe necessari per l'avanzamento (3 anni per i sergenti maggiori, 2 per i marescialli). Nel gennaio 1966 i corsi per gli allievi sottufficiali desùnati ad incarichi di comando (ASCO) e per quelli destinaù ad incarichi logisùci (ASS) furono unificati nella nuova Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo, costituita ad hoc e finalmente dotata di idonee attrezzature didattiche e sporùve. Anche l'iter formativo fu rinnovato e suddiviso in due fasi, la prima "formativa di base'', a fattor comune per tutti gli allievi e la seconda "di qualificazione o di specializzazione" differenziata, a seconda dell'anna o del corpo logisùco di appartenenza. La prima fase si esplicava con un corso della durata di 7 mesi, svolto nella Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo, ed articolato in due tempi distinti: primo tempo, della durata di 3 mesi, durante il quale veniva svolto un programma unico, avente per obiettivo la corretta impostazione morale e disciplinare del futuro sottufficiale; secondo tempo, della durata di 4 mesi, inteso a consolidare gli insegnamenti comuni impartiti nel primo tempo, completare l'addestramento individuale al combattimento, conferire uno specifico orientamento alla preparazione degli allievi riferita alle singole specializzazioni mediante programmi differenziati. La seconda fase era nettamente differenziata a seconda che l'allievo sottufficiale fosse destinato ad incarichi di comando (ASCO) oppure ad incarichi logistici (ASS). Nel primo caso l'allievo frequentava, presso la scuola dell'arma o del corpo logistico di appartenenza, un corso di "qualificazione" della durata di 5 mesi, seguito da un corso di 2 mesi presso la Scuola Militare di Educazione Fisica per conseguire la qualifica di "aiuto istruttore di educazione fisica". Infine, a domanda dell'interessato, un corso di 10 settimane - 7 presso la
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Scuola di Fanteria e 3 presso quella di Paracadutismo - per conseguire la qualifica di "pattugliatore scelto abilitato al lancio con paracadute". Gli allievi sottufficiali specializzati, invece, dopo la fase formativa di base svolta presso la Scuola Allievi Sottufficiali, erano inviati a frequentare un corso di specializzazione della durata di 5 mesi, per acquisire l'idoneità tecnico-professionale ed assolvere lo specifico incarico di predesignazione, presso enti adeguati, militari e civili. Ciascun traguardo dell'iter formativo era sottolineato dalla promozione a caporale dopo quattro mesi di servizio, a caporale maggiore dopo 7 ed a sergente in ferma volontaria dopo 12. L'esperienza acquisita negli anni precedenti e l'esigenza di ammodernare e migliorare i programmi di insegnamento consigliarono allo Stato Maggiore nel 1980 di prolungare la durata del corso di forma1ione di base presso la Scuola di Viterbo ad un anno ed a aggiungere nuove materie di insegnamento lingua inglese, informatica, psicologia militare - per cui la suddivisione del tempo disponibile per l'addestramento degli allievi sottufficiali fu così stabilita: 51 % alle materie fonnative, 22% alle materie militari, 27% alle attività pratiche e sportive. Un ampliamento ed un approfondimento degli insegnamenti di carattere culturale erano del resto richiesti anche dal progressivo aumento degli allievi in possesso di un diploma di scuola media superiore. La legge n°2 12 del 1983 ha poi apportato sostanl.iali modifiche alla carriera del sottufficiale,che la rendono per molti aspetti simile a quella dell'ufficiale. La nuova legge ha infatti stabilito: - l'unificazione dei precedenti ruoli (normale e speciale per mansioni di ufficio), in un unico ruolo comprendente tutti i sottufficiali dal grado di sergente maggiore a quello di maresciallo maggiore con qualifica di aiutante; - la possibilità per la maggior parte dei sottufficiali di raggiungere il grado di maresciallo maggiore dopo 21 anni di servizio; - l'introduzione di un sistema d'avanzamento "a scelta" per la promozione ai gradi di maresciallo ordinario e di maresciallo maggiore; - la frequenza obbligatoria del corso di Istruzi one Generale Professionale prima della valutazione per la promozione a maresciallo capo; - l' istituzione di un ruolo ufficiali particolare, il ruolo tecnico-amministrativo, alimentato esclusivamente da marescialli maggiori che vi entrano con il grado di tenente e che possono proseguire nella carriera fino al grado di maggiore; - la possibilità di transitare dal 56° al 6 l O anno di età nella riserva. In ossequio alla legge n°2 I2 del 1983 l'iter formativo del sottufficiale si è completato dunque con la frequenza del corso di Istru.lione Generale Professionale,che attualmente viene svolto in tre fasi. Nella prima, svolta per corrispondenza sulla base di sinossi edite dalla Scuola Allievi Sottufficiali e della durata di 3 mesi, il sottufficiale rinfresca ed aggiorna la sua cultura professionale. La seconda fase, differenziata a seconda dell'arma o corpo logistico di appartenenza e della specializzazione conseguita dal sottufficiale, ha una
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LA PREPARAZIONE DEI QUADRI
durata di 7 settimane e viene svolta presso le scuole d'arma. La tena fase, infine, completa il ciclo con lo svolgimento degli esami finali presso la Scuola Al Iievi Sottufficiali. Di seguito alcuni dati, utili per una più precisa caratterizzazione del moderno sottufficiale. La provenienza regionale degli allievi ammessi alla Scuola di Viterbo indica una marcata meridionalizzazione: negli ultimi anni Ottanta le regioni dell'Italia meridionale ed insulare hanno dato oltre il 60% degli allievi (28% la Campania, 14% la Puglia, 14% la Sicilia, 5% la Sardegna), quelle dell'Italia Centrale il 25% (20% il La1:io), quelle dell'Italia seuenttionale non hanno raggiunto il 15%. La provenienza familiare è la seguente: operai il 26%, agricoltori il 21 %, impiegati il 17%, sottufficiali il 6%, professionisti il 3%, altre professioni e mestieri 21 % . Per quanto riguarda l'andamento del reclutamento si riportano i dati relativi al quinquennio 1982-1986.
ANNO
DOMANDE
AMMESSI ALLA SCUOLA
PROMOSSI SERGENTI
1982 1983 1984 1985 1986
8177 9479 12457 9670 10374
1590 1515 1500 1200 900
1446 1421 1262 964 732
XXV. ANNI DIFFICILI
I. Proprio nel mezzo della crisi provocata dalla ristrutturazione l'esercito fu impegnato in una grande operazione di soccorso alla popolazione civile. La sera del 6 maggio 1976 un sisma di notevole intensità sconvolse la provincia di Udine e quella di Pordenone, provocando circa 1.000 morti, 3.000 feriti, il crollo di 17.000 abitazioni I reparti delle divisioni Mantova e Ariete, della brigata Julia e i genieri del 5° corpo d'armata si impegnarono immediatamente, con tutti i mezzi di cui disponevano, nell'opera di soccorso. I primi interventi avvennero con carattere di automaticità, anche con l'intento di individuare l'area colpita, rilevare le esigenze prioritarie, assicurare collegamenti che sostituissero quelli della rete SIP resa inattiva. Le prime colonne dopo due ore dall'inizio del terremoto avevano già raggiunto i centri maggiormente devastati, dando l'avvio ad un'opera di soccorso che nel giro di un tempo brevissimo coprì l'intera area disastrata. La zona dell' intervento venne ripartita in tre settori affidati rispetti vamente: - alla Mantova , ad est del Tagliamento; - alla Ariete, ad ovest del Tagliamento ad eccezione del Comune di Osoppo; - alla Julia, nelle alte valli del Tagliamento e del Fella. In brevissimo tempo fu provveduto: - a sistemare sotto tenda 34.650 senza tetto; - a vettovagliare la popolazione (44 mila 580 persone); - a ricevere e accantonare i materiali in cqntinuo afflusso ed a disporne il rapido smistamento a seconda delle necessità; - a preordinare ed attuare interventi tecnici, con sgomberi di macerie, demolizioni, ripristino della viabilità e della rete idrica; - ad instaurare un servizio sanitario per tutte le esigenze, dal pronto soccorso alla prevenzione ed alla bonifica. In meno di due giorni furono impegnati nell'opera di soccorso 7.000 uomini con 500 automezzi, 25 elicotteri, 70 ambulanze, 60 cucine da campo. L'attività di soccorso si prolungò per mesi, anche perchè nel mese di novembre un nuovo sisma provocò altri danni e altri lutti. La distribuzione dei soccorsi, affluiti con generosità da ogni parte d 'Italia, fu gestita con razionalità e soprattutto con tempestività dall'esercito, che non limitò la sua opera alla pur necessaria erezione di tendopoli e di baracche prefabbricate ma si fece carico dell'amministrazione di tutta l'emergenza.
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Le esperienre fatte nella circostanza furono attentamente studiate e codificate, dopo il terremoto del Friuli, infatti, l'attività di soccorso per le pubbliche calamità uscì dalla fase spontanea ed entrò gradualmente in una fase organica, anche perchè la legge n°382 sanzionò ufficialmente per le forze armate il compito di concorrere "al bene della collettività nazionale nei casi di pubblica calamità". I nuovi orientamenti emersi dalla vicenda friulana furono subito messi alla prova da un'altra catastrofe di grandi proporzioni, il terremoto che la sera del 23 novembre 1980 sconvolse tante zone della Campania e della Basilicata provocando 2759 morti e 8852 feriti. L'orografia particolarmente tormentata della zona colpita, il crollo delle opere d'arte lungo le rotabili, la scarsa presenza di reparti militari in zona resero difficoltosi i primi soccorsi. La reazione del comando della Regione Militare Meridionale fu però immediata. Alle 22.30 un reparto di 160 reclute del 91 ° fanteria di Potenza era già all'opera a Balvano, impegnato nella dolorosa ricerca di cadaveri e di superstiti tra le macerie della chiesa pressochè interamente crollata, in gara di tempo e di solidarietà con i vigili del fuoco. Un'ora dopo un distaccamento di 50 uomini dello stesso battaglione aveva raggiunto Pescopagano ed operava unitamente ai carabinieri del!' I IO battaglione mobile di Bari, agli agenti della polizia stradale ed ai vigili del fuoco. Verso il "fronte" del soccorso mossero pure il 231 ° battaglione fanteria Avellino, gli allievi ufficiali della Scuola Truppe Corazzate di Caserta, le reclute della Scuola Servizi di Commissariato e Amministrazione Militare di Maddaloni, e tutte le unità dislocate nella regione. L'ospedale da campo della Pinerolo, fornito di strumenti e dotazioni suppletive dell'ospedale militare di Bari, con personale, tende, arredi e automezzi della stessa brigata, nella mattina del 24 giungeva a Pescopagano, e nel giro di poche ore era in condizione di funzionare. Contemporaneamente giungeva a Sant' Angelo dei Lombardi l'unità sanitaria eliportata della Regione Militare Meridionale, che cominciava ad operare a pieno ritmo (furono eseguiti, tra l'altro, 86 interventi chirurgici d'urgenza, non pochi dei quali particolannente complessi e delicati). Il giorno seguente lo Stato Maggiore fece affluire molti reparti anche dall'Italia centro-settentrionale, con un impegno che raggiunse il 29 novembre 17.000 uomini con circa 1200 automezzi, 74 ambulanze, 34 elicotteri, 250 cucine da campo. Alla stessa data erano state distribuite alla popolazione colpita dal sisma 1.114.000 razioni viveri e 54.400 coperte ed erano state approntate 2404 tende. L'attività proseguì a lungo, anche con la messa in opera di ponti Bailey per il ripristino della viabilità, la demolizione di fabbricati pericolanti, la movimentazione delle macerie, il rilevamento sistematico dei danni, l'accertamento della effettiva inagibilità di edifici pubblici e privati. Alla fine del 1981 l'onere complessivo fu di 1.479.707 giornate/uomo, 208.130 giornate/mezzo, 2122 ore di volo. Quando nel 1982 il governo istituzionalizzò la figura del ministro per la protezione civile, fu ancora l'esercito a mettere a punto procedure, a predisporre attività, a fornire i Quadri per creare dal nulla un 'organizzazione in grado di
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coordinare l'auività di soccorso al momento dell'emergenza. 11 Centro Militare per la protezione civile, organismo costituito ad hoc dal ministero della Difesa, nel 1983 diramò la prima circolare organica sull'argomento, w cooperazione civile-militare, che stabilì nel deuaglio organi, attribuzioni, compiti, responsabilità e che prescrisse per i reparti dell'esercito lo svolgimento di apposite esercitazioni per verificare la rispondenza delle procedure e delle pianificazioni predisposte. In un volume del 1982, L'esercito italiano, che secondo quanto scrisse nella prefazione il capo di Stato Maggiore voleva "essere uno strumento di riflessione per quanti operano all'interno della nostra istituzione ed un ponte tra questa e l'opinione pubblica del Paese che non deve ignorare il lungo cammino e quello ragionevolmente prevedibile da percorrere", era chiaramente affermato che nel campo della protezione civile "le forze armate, e di conseguenza l'esercito, si stanno muovendo su due direttrici: - l'accelerazione dei programmi di ammodernamento e di trasformazione di battaglioni del genio in reparti bivalenti di soccorso, utilizzabili sia per scopi civili sia per esigenze militari, e l'addestramento dei militari di tulle le armi in previsione del loro possibile impiego in operazioni di soccorso civile; - la costituzione, l'equipaggiamento e l' addestramento, entro il 1983, di una forza militare rapida da impiegare in caso di calamità naturali sia in Italia sia ali' estero. La spesa per i programmi di ammodernamento e trasformazione, già stanziata nella legge finanziaria, ammonta a 650 miliardi nel triennio 19811983. li piano prevede il potenziamento della componente trasmissioni e dei meui aeronavali adibiti a protezione; si sono già acquistati 2 unità leggere della Marina, 12 el icotteri e particolari mezzi di trasporto per ruspe e bulldozer. Tutto ciò è conseguenza delle esperienze tratte dalle numerose calamità naturali che, in questi ultimi anni, si sono abbattute sul nostro Paese". Nel 1983 fu infatti costituita anche la forza di pronto intervellto, FO.P.I., allo scopo di disporre di una struttura permanente, in grado di integrare con tempestività l'organizzazione reali21.ata dai comandi territoriali in caso di calamità naturali, specie nelle zone con bassa presenza militare. La FO.P.f. fu articolata su un comando interforze, incentrato sul comando della brigata motor izzata Acqui, e su un numero variabile di pedine operative predesignate, tratte dalla Regione Militare Centrale e da altri comandi in relazione all'area di intervento ed al tipo di concorso richiesto. L'attività a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali giovò senza dubbio all'immagine dell'esercito, poichè offrì all'opinione pubblica la possibilità di valutare l'efficienza dell'organizzazione militare e lo spirito di sacri licio dei reparti intervenuti e fu anche un'occasione per proporre ai giovani di leva un modello di comportamento idoneo a stimolare il senso della responsabilità collettiva e della solidarietà nazionale, valori spesso trascurati dalla nostra società edonistica e distratta. Naturalmente questa attività comportò per l'esercito oneri non indifferenti in quanto provocò per molti reparti la sospensione delle attività addestrative - che dovrebbero costituire la prima ragion d'essere dell'esercito in pace - cd un abnor-
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me consumo di materiali, non sempre e comunque mai rapidamente reintegrati. L'enfasi con la quale alcuni alti comandi periferici sottolinearono la determinante partecipazione dell'esercito alle attività di protezione civile, nella convinzione di poter accrescere così legittimazione e consenso all'istituzione militare, parve eccessiva ad alcuni generali onnai nella riserva, preoccupati che potessero ingenerarsi nel Paese pericolosi equivoci sui compiti delle forze armate. L'esercito, argomentavano, serve per fare la guerra, una guerra certamente difensiva, ma pur sempre da gestire al meglio, con tutte le armi e con tutti i mezzi necessari. E solo a questo fine deve essere indirizzata tutta l'organizzazione militare. E' perciò dannoso enfatizzare l'importanza dei compiti di concorso che la legge n°382 attribuisce alle forze armate, al punto da approntare comandi ed unità ad hoc per soddisfarli, sottraendo tempo e risorse al compito primario. Le ruspe, concludevano gli anziani censori, non sono equivalenti alle armi e le tendopoli non servono al sostegno logistico delle unità operanti. Osservazioni non del tutto fuori luogo. L'esercito, infatti, non può acquisire come proprie finalità specifiche di altre organjzzazioni, non può trasformarsi in un esercito "di lavoro" o "di protezione civile" senza perdere contemporaneamente la sua funzione istituzionale, la sola che può legittimarne l'esistenza, quella di prepararsi a fare la guerra, naturalmente con la speranza di non doverla mai fare. L'esercito, tuttavia, non può nemmeno rinchiudersi in se stesso, costituire un "corpo separato" alieno dal sistema di valori esistente nella società, perchè ha bisogno, proprio per soddisfare il suo compito primario, del consenso della società. L'esercito, infatti, costituito in grandissima parte con personale reclutato con il sistema della coscrizione obbligatoria, non può vivere separato dalla comunità nazionale. E' necessario pertanto conciliare l'etica militare con il sistema di valori esistente nella società, problema di facile enunciazione ma di non altrettanto facile risoluzione nella prassi quotidiana, quando i comandanti sono premuti da due opposte esigenze, salvaguardare la funzionalità del loro reparto e soddisfare le richieste di concorso, presentate da comunità, associazioni, singoli cittadini e sempre avallate da troppo compiacenti prefetture e dal molto "comprensivo" gabinetto del ministro <1>. Nel complesso l'esercito è sempre riuscito a intervenire con tempestività (I) Questo libro era già stato completato quando ho avuto modo di prendere visione del saggio Forze Armate e società italiana: breve analisi di un difficile rapporto di Virgilio Ilari, pubblicato nel volume colleuaneo Esercito e Società, edito con il contributo dello Stato Maggiore del!' esercito da UNA/PB e B di Latina alla fine del 1994. Nel suo interessante elaborato il professor Uari rimprovera ai venici militari di aver reagito all'attacco delle forze politiche "puntando decisamente su una politica di civilizzazione della difesa e del militare, forse senza neppure rendersi bene conio che mirare ad obiettivi del genere in una realtà egemonizzata da quelle che sono state giustamente definite culture amilitari ed antimilitari significava compiere un non richiesto omaggio ai valori dominanti e confermarne, neppure troppo indirettamente, giustizia e validità. Questa scelta di autentica autodelegittimazione funzionale non ha ceno giovato alle Forze Armate, che presentandosi e promuovendosi essenzialmente come un· organizzazione di difesa civile, hanno per lungo tempo rinunciato a svolgere proprio il compito piìl imponante che era lecito da loro attendersi, quello della riscopena e ridefinizione di una idenùtà di funzione".
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e con efficienza a favore deUe popolazioni colpite da calamità naturali, senza per questo registrare una diminuzione sia della coesione e della professionalità interna sia dell'immagine e della legittimazione esterna. Ancora nel luglio 1987 l'esercito fu chiamato, infatti, ad intervenire in Valtellina, dove le eccezionali condizioni di maltempo avevano provocato numerosi allagamenti, interruzioni stradali e frane, una delle quali, ostruendo il corso dell'Adda, aveva creato in località Val Pola un lago di oltre 15 milioni di metri cubi d'acqua. L'impegno dei reparti, protrattosi fino al mese di novembre, è quantificato in queste cifre: I 70.000 giornate/uomo, 22.000 giornate/mezzo, 2.500 ore di volo di elicottero (per il trasporto di 1200 tonnellate di materiali e di 9.800 persone), gittamento di sene ponti Bailey. L'esigenza Valtellina non esaurl le attività di concorso, sempre nel 1987 soltanto lo spegnimento degli incendi boschivi richiese l'impiego di 800 ore di volo di elicotteri CH-47 e AB-205 attrezzati per il lancio di acqua o di liquido ritardante, 620 ore di volo di elicotteri AB-206 e di aerei leggeri SM 1019 per voli di ricognizione a scopo preventivo sulle aree a maggior rischio di incendio, 800 giornate/uomo e I 00 giornate/mezzo per gli interventi a terra. 2. Nello stesso periodo l'esercito fu impegnato in un'operazione oltremare, nel Libano, sotto l'egida delle Nazioni Unite. Fin dal 1979 l'O.N.U. aveva richiesto al governo italiano la disponibilità a partecipare con un proprio contingente militare ad operazioni per ristabilire o per mantenere una situazione di pace nei territori del Medio Oriente. La risposta affermativa del governo significò per l'esercito la messa a punto di accurate predisposizioni per non essere colto di sorpresa qualora dalle affermazioni di principio si fosse dovuto passare ai fatti. Fu perciò scelto un reparto, il 2° battaglione bersaglieri Governolo, tenuto costantemente a numero e con le dotazioni al completo in attesa del possibile evolvere della situazione. Nell'agosto del 1982 l'Organizzazione delle Nazioni Unite chiese al nostro governo di inviare un contingente nel Libano, con il compito di proteggere i guerriglieri e la popolazione palestinese che doveva abbandonare Beirut. E cosl il 26 agosto panl per Beirut un contingente italiano di circa 500 uomini per "favorire il ripristino della sovranità e dell'autorità del governo libanese nella regione di Beirut", come recitò la legge n°969 del 29 dicembre 1982 appositamente varata dal Parlamento. L •operazione, denominata Libano 1, si concluse senza inconvenienti il 12 settembre dello stesso anno. Cinque giorni dopo, il 17 ed il 18 settembre, si verificarono gli eccidi dei palestinesi nei campi profughi di Sabra e di Chatila. Su richiesta delle autorità libanesi e contemporaneamente a forze statunitensi e francesi, il 26 settembre partì per il Libano il contingente italiano Libano 2, composto da forze dell'esercito e della marina della consistenza di una piccola brigata, con il compito di "costituire una forza d'interposizione in località concordate e così fornire quella presenza multinazionale per assistere il governo libanese e le forze armate nella zona di Beirut". Al nostro contingente fu assegnato il controllo del settore centrale di Beirut ovest, esteso successiva-
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mente anche ad un setlore di Beirut est. L'impegno di tutti i partecipanti, nella maggior parte militari di leva che avevano espresso il gradimento di partecipare alla spedizione, fu sostenuto da un'organizzazione logistica funzionale ed efficace, gestita direttamente dallo Stato Maggiore e che, per una volta, mise le truppe italiane in condizioni di parità con quelle delle nazioni più ricche. Il contingente l.ibmw 2 rientrò in Italia il 26 febbraio 1984, avendo assicurato una presenza medja giornaliera di 2000 unità e pagato un prezzo molto ridotto, l morto ed alcuni feriti. Gli ammaestramenti tratti dalle due esperienze furono molteplici, primo tra tutti la confenna della piena affidabilità dei soldati di leva, ancora una volta disciplinati, sufficientemente addestrati, ricchi di doti umane, in grado di reggere il confronto con le unità statunitensi ed inglesi, costituite esclusivamente da personale volontario a lunga fenna. L'opinione pubblica italiana, invece, e soprattullo la classe politica, trassero spunto dalle vicende del libano 2 e dalla vittoria riportata nelle isole Falklands da truppe di mestiere inglesi su reparti di soldati di leva argentini, per rimettere in discussione la coscrizione militare. La tesi di fondo era sempre la stessa: l'abolizione della leva avrebbe consentito di dedicare maggiori risorse finanziarie ai programmi di ammodernamento, tesi pretestuosa perchè l'abolizione del servizio di leva aVTebbe non solo determinato la necessità di arruolare almeno 50.000 volontari, che sarebbero costati come le 200.000 reclute che mediamente si incorporavano in quegli anni, ma avrebbe anche provocato un aumento non indifferente delle spese per Carabinieri e Polizia di Stato, che non avrebbero più potuto impiegare gli "ausiliari" che effettuavano il servizio di leva nel loro ambito e che avrebbero dovuto sostituirli con personale effettivo mollo più costoso. Non mancarono, anche nello stesso ambiente militare, sostenitori di tesi e posizioni intermedie: recuperare le risorse necessarie per l'ammodernamento dei materiali riducendo a quadro un certo numero di brigate, un quarto o un terLO di quelle esistenti. Sulla convenienza o sull'opportunità di tali ricorrenti proposte sono necessarie alcune considerazioni. L'esercito ha sempre sofferto di un forte divario tra la dimensione delle strutture e le disponibilità finanziarie, che ne ha condizionato fortemente il livello addestrativo e l'ammodernamento dei mezzi, incidendo negativamente sull'efficienza complessiva, ed è quindi comprensibile che, anche nell'ambito dell'esercito stesso, sia stato e sia tuttora ampio ed articolato il dibattito sul rapporto ottimale tra unità in vita ed unità da ricostituire o da costituire per mobilitazione, sul numero minimo di brigate necessarie per assicurare una credibile copertura delle frontiere, sul tipo e sulla provenienza della minaccia, sulla maggiore o minore convenienza operativa del carro rispetto alla blindo, ecc. ccc. È perlomeno singolare, tuttavia, che l'attenzione sia sempre stata rivolta all'esercito di campagna e che quasi nessuno dei tanti Maftre à penser che
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imperversano sui media abbia pensato a ridisegnare l'organico di tutte quelle strutture territoriali e logistiche di dubbia utilità intrinseca, ma di sicura inefficienza economica, che per discutibili esigenze di carattere sociale sottraggono all'esercito ogni giomo risorse cospicue. 3. Gli interventi per pubbliche calamità e l'esigenza Libano non distolsero lo Stato Maggiore dall'attività di riordino dell'organizzazione territoriale sulla quale, come si è visto, poco aveva inciso la ristrutturazione. Nel settembre del 1981 una corposa circolare (2) riassunse la situazione in atto dell'organizzazione territoriale, ne individuò le maggiori carenze e tracciò le linee fondamentali del processo evolutivo che lo Stato Maggiore intendeva condurre a termine nei tre settori nei quali l'attività dell'organizzazione territoriale si estrinsecava: quello operativo, rivolto alla difesa del territorio, al concorso alla difesa delle pubbliche istituzioni, al concorso degli interventi a favore delle popolazioni in caso di gravi calamità naturali; quello logistico, rivolto sia al personale attraverso le attività di reclutamento, di alimentazione, di ricovero e cura, di mobilitazione, sia ai materiali con le attività di conservazione, distribuzione, mantenimento e riparazione; quello amministrativo, operante sia nella gestione delle risorse finanziarie sia in quella dei beni immobili. Nel primo settore lo Stato Maggiore riteneva necessario: modificare le aree di giurisdizione delle regioni militari in modo da farle coincidere con quelle delle regioni amministrative (3>; rivalutare la funzione demoltiplicatrice dei comandi militari di zona, rafforzandone organicamente la struttura ed ampliandone le competenze; costituire fin dal tempo di pace i comandi militari provinciali. Nel secondo settore la riforma più incisiva riguardava il settore della leva e del reclutamento. Lo Stato Maggiore, in pieno accordo con la competente direzione generale del ministero (LEV ADIPE), intendeva accentrare a livello regione militare tutte le attività connesse con la leva, la selezione ed il reclutamento del personale, attraverso la costituzione di un nuovo organismo Direzione Leva, Reclutamento e Mobilitazione - che avrebbe avuto funzioni di comando, coordinamento e controllo sulle attività dei consigli di leva, degli uffici leva e dei gruppi selettori, al momento direttamente dipendenti da Levadife, che non era più in grado di seguirli con la necessaria attenzione. Utilizzando le nuove e grandi possibilità offerte dall'informatica, sarebbe poi stato possibile effettuare le operazioni di leva e di reclutamento in pochi distretti militari regionali riservando ai distretti provincialj le sole funzioni informative e certificati ve. Il nuovo ordinamento, da attuarsi con gradualità, prevedeva pertanto in (2) Circ. SME n° 42/RR/152 del 3.9. 1981. (3) Per effetto di tale decisione: la Regione Militare Nord-Ovest acquisì le provincie di Brescia e di Mantova dalla Regione Militare Nord-Est e quella di La Spezia dalla Regione Militare Tosco-Emiliana; la Regione Militare Meridionale acquisl la provincia di Reggio Calabria dalla Regione Militare della Sicilia; il Comando Militare della Sardegna divenne autonomo.
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STORIA DELL "ESERCITO ITALIANO ( 186 I - 1990)
ogni regione militare la costituzione di: una Direzione Leva, Reclutamento e Mobilitazione, retta da un generale di brigata e ordinata su tre uffici, Leva e Selezione, Reclutamento, Mobilitazione; uno o più distretti militari regionali, dislocati nelle sedi dove già esisteva un ospedale militare; distretti provinciali. Per quanto riguardava la logistica dei materiali - al momento gestita attraverso l'attività di 101 depositi munizioni, 47 depositi carburanti, 42 depositi materiali vari, 21 officine riparazioni - la circolare prevedeva un accentramento delle strutture e la progressiva soppressione della maggior parte dei depositi. Nel settore amministrativo, infine, la nuova organizzazione prevedeva la graduale soppressione dei 18 depositi territoriali esistenti, che sarebbero stati sostituiti per la funzione matricolare da 7 Centri Matricolari regionali, mentre la revisione della contabilità degli enti a loro agganciati sarebbe passata ai comandi militari di zona competenti per territorio. I Centri Matricolari, come i Centri Pensionistici già costituiti, sarebbero stati posti alle dirette dipendenze della Direzione di Amministrazione della regione militare. La circolare, in definitiva, tendeva a porre rimedio alla polverizzazione delle strutture, alle carenze di personale, al basso rendimento della macchina organizzativa realizzando, attraverso l'accentramento delle strutture e l'automatizzazione delle procedure, un modello organizzativo più funzionale e più economico, in grado di reggere il confronto con il generale progresso della società. Negli anni seguenti gli obiettivi indicati dalla circolare furono perseguiti con molta tenacia e, nonostante resistenze e difficoltà varie, il numero degli enti esecutivi logistici cominciò finalmente a diminuire. Nel settore delle forze operative nei primi anni Ottanta non vi furono significative variazioni, solo qualche adeguamento: la brigata corazzata Vittorio Veneto si trasformò in meccanizzata per meglio rispondere al compito operativo assegnatole dalla pianificazione, la brigata motorizzata Pinerolo per lo stesso motivo assunse la fisionomia meccanizzata.
4. Anche l'ordinamento giudiziario militare di pace fu profondamente rivisto nei primi anni Ottanta. La legge 0°180 del 7 maggio 1981 apportò,infatti,una serie di incisive modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace, in relazione a quegli aspetti su cui in passato più accese erano state le discussioni e più fondati i dubbi di legittimità costituzionale. Per effetto della nuova legge lo stato giuridico dei magistrati militari fu equiparato a quello dei magistrati ordinari, i tribunali militari furono presieduti da un magistrato militare, anche per i militari fu previsto un giudizio di appello e quello di legittimità demandato alla Corte di Cassazione, presso la quale fu costituito un ufficio autonomo del pubblico ministero militare. L'articolazione degli organi giudiziari militari previsti dalla nuova legge risulta dalla tabella seguente.
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ANNI DIFFICILI
GRADO DI GIURISDIZIONE RJCORSO
APPELLO
UFFICI GIUDICANTI Corte Suprema di Cassazione ROMA
UFFICI DEL PUBBLICO MINISTERO Procura Generale Militare della Rep. presso la Corte Suprema di Cassazione ROMA
Corte Militare di Appello Procura Generale Militare della ROMA Rep. presso la Corte Militare di Appello ROMA Sezione distaccata della Corte Militare di Appello
Procura Generale Militare della Rep. presso la Sez. distaccata della Corte Militare di Appello VERONA VERONA
Sezione distaccata della Corte Militare di Appello
Procura Generale Militare della Rep. presso la Sez. distaccata della Corte Militare di Appello NAPOLI NAPOLI
PRLMOGRADO
Tribunale Militare TORINO Tribunale Militare VERONA Tribunale Militare PADOVA Tribunale Militare LA SPEZIA Tribunale Militare ROMA Tribunale Militare NAPOLI Tribunale Militare BARI Tribunale Militare PALERMO Tribunale Militare CAGLIARI
Proc. Milit. della Rep. TORJNO Proc. Milit. della Rep. VERONA Proc. Milit. della Rep. PADOVA Proc. Milit. della Rep. LA SPEZIA Proc. Milit. della Rep. ROMA Proc. Milit. della Rep. NAPOLI Proc. Milit. della Rep. BARI Proc. Milit. della Rep. PALERMO Proc. Milit. deUa Rep. CAGLIARI
La legge n° I 80 è quindi riuscita a configurare una Giustizia militare pienamente rispondente agli specifici e prioritari interessi facenti capo alla difesa armata dello Stato, ma nello stesso tempo pienamente conforme ai principi generali da garantire nell'esercizio delle attività giurisdizionali, comuni o speciali. 5. Nel 1985 il ministero della Difesa pubblicò il Libro Bianco, nel quale i compiti istituzionali delle forze armate, in sintonia con la legge n°382 Norme di principio sulla disciplina militare, furono configurati mediante cinque missioni operative interforze: difesa a nord-est; difesa a sud; difesa aerea; difesa operativa del territorio; azioni di pace, sicurezza e protezione civile. Il Libro Bianco segnò un punto a favore della marina, che da tempo enfatizzava la possibilità di una minaccia da sud, attribuendo una consistenza ed una pericolosità oltremodo esagerate alle forze armate dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo, ed obbligò l'esercito ad adottare alcuni provvedimenti particolari per rispondere adeguatamente alle esigenze operative della quarta e della quinta missione interforze. In effetti la politica italiana di sicurezza è sempre stata collegata ad una
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STORIA DELL 'ESERCITO ITALIANO (1861 · 1990)
duplice scelta, quella atlantica e quella mediterranea. L'Italia rappresenta da un Iato il settore sud dell'Europa Centrale a cui è unita, malgrado la separazione geostrategica dovuta a due stati neutrali (Svizzera ed Austria), dalla provenienza comune della minaccia terrestre, dall'altro rappresenta l'elemento più settentrionale dell'Europa Meridionale, caratterizzata ancora dal fatto di dividere il Mediterraneo in due bacini geopoliticamente differenziati. Quello occidentale, di cui fanno parte anche stati alleati come la Francia e la Spagna, più stabile nonostante la presenza a sud della Libia del colonnello Gheddafi, quello orientale fortemente frammentato ed instabile a causa del conflitto arabo-israeliano, delle tensioni greco-turche e per le situazioni politico- economiche-sociali di molti stati del Medio Oriente. Di qui una certa ambiguità della nostra politica estera, che non ha mai potuto trascurare umori e tendenze dei paesi mediterranei e che ha finito per influenzare anche le nostre scelte nel settore della difesa. All'inizio del 1986 fu pertanto costituita la Forza di Intervento Rapido (FIR), il cui comando fu affidato ad un generale di divisione e dislocato a Firenze. La componente terrestre della FIR fu costituita dalle brigate Friuli e Folgore, con il supporto del battaglione trasmissioni Leonessa dello Stato Maggiore dell'esercito e di alcuni gruppi squadroni elicotteri da trasporto e da ricognizione del I O raggruppamento ALE Antares. La FIR, definita in un documento ufficioso "complesso interforze caratterizzato da elevata mobilità strategica e tanica", era completata dal gruppo operativo del battaglione San Marco della marina e dai velivoli da trasporto della 46" aerobrigata. Nello stesso anno, per far fronte ad una riduzione della forza bilanciata di 16.000 unità, furono disciolti 4 comandi di reggimento artiglieria (27° pe. smv., 4°, 8° e 9° pe.ca.), 18 unità a Uvello battaglione e gli ultimi 4 comandi di divisione Mantova, Ariete, Centauro e Folgore. Le brigate Isonzo, Manine Curtatone presero il nome delle prime tre divisioni perpetuandone le tradizioni, la divisione meccanizzata Folgore non ebbe, invece, eredi in quanto il patrimonio storico e spirituale della grande unità era già passato di fatto alla brigata paracadutisti. La soppressione del livello divisionale comportò un bilanciamento delle forze dei corpi d'armata, attraverso il cambio di dipendenza di alcune brigate e delle unità di supporto. Nel corso del 1987 i corpi d'armata furono così articolati: - 3° corpo d'armata su 5 brigate meccanizzate (Cremona, Legnano, Goito, Brescia, Trieste) e I brigata corazzata (Centauro); - 4° corpo d'armata alpino su 5 brigate alpine (Cadore, Julia, Orobica, Taurinense, Tridentina); - 5° corpo d'armata su 4 brigate meccanizzate (Mantova, Gorizia, Garibaldi, Vittorio Veneto) e 3 brigate corazzate (Ariete, Mameli, Pozzuolo del Friuli). Nell'ambito dell'organizzazione della difesa del territorio il comando militare della Sardegna fu trasformato in Comando Regione Militare della Sardegna, provvedimento non certo in sintonia con il generale processo di dimagrimento, ma opportuno sotto il profilo politico. Altrettanto può essere detto circa la costituzione in Sulmona del 10° comando militare di zona, avve-
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ANNI DIFFICILI
nuta nel 1987. La soppressione del livello di comando divisionale rese necessario un aggiornamento deJle norme dottrinali, per cui nel 1987 fu diramata la pubblicazione 900/A, Memoria sull'impiego delle grandi unità, Voi. I Le operazioni difensive, cui seguirono nel corso del 1988 e del 1989 il voi. II Le operazioni offensive, il voi. III La logistica ed il voi. IV Il comando e controllo, guida pratica per il corretto funzionamento dei comandi sia in operazioni sia in guarnigione. 6. Le non bri11anti condizioni dell'economia italiana, che avevano caratterizzato gli anni Settanta, si fecero sentire anche nel nuovo decennio. L'inflazione, che nel 1980 era arrivata al 21,7%, scese molto lentamente, nel 1984 si attestò al 10% per poi scendere ancora attorno al 7% negli anni successivi, valori molto alti che non potevano non riflettersi sulle retribuzioni del personale. La tabella sottoriportata documenta la "rincorsa" degli stipendi al costo de!Ja vita, con le facilmente immaginabili conseguenze per il bilancio.
GRADO
1980
1981
1983
1984
1985
1986
Generale C. A.
1.288.903 1.585.35 1 l.778.764 2.008.907 2.099.308 2.942.017
Generale Div.
1.048.390 1.289.520 l.446.841
Generale Brig.
892.485 1.096.092 1.229.815 1.388.933 1.451.436 2.034.074
Colonnello (2 anni)
670.954
829.515
930.7 16 1.051.136 1.098.437 1.539.734
l.634.039 1.707.571 2.393.028
Colonnello
622.604
764.862
858.175
969.209 1.012.824 1.419.394
Tenente Colon.
436.095
484.550
484.550
621.500
Maggiore
396.450
440.500
440.500
565.000
565.000
624.434
Capitano
330.375
370.020
370.020
469.611
469.61 1
513.636
Tenente
330.375
370.020
370.020
469.611
469.611
513.636
Sottotenente
264.300
302.477
302.477
403.572
403.572
440.993
Maresciallo Mag.
264.300
302.477
302.477
407.238
407.238
440.993
Maresciallo Capo
233.362
268.705
268.705
355.408
355.408
389.630
Maresciallo Ord.
233.362
268.705
268.705
355.408
355.408
389.630
Sergente Mag.
233.362
268.705
268.705
355.408
355.408
389.630
Sergente
299.012
243.743
243.743
371.408
371.408
383.026
621.500
686.879
Nel 1987 il Parlamento approvò due leggi molto attese dal personale, mirate rispettivamente a rendere meno traumatici i trasferimenti di sede ed a attenuare la forte differenza di retribuzione che si era determinata tra il personale dell'arma dei carabinieri ed il resto dell'esercito, a causa di alcune provvidenze decise negli anni precedenti dal governo per le sole forze dell'ordine, in particolare quella che, in pratica, agganciava l'entità della retribuzione all'anzianità d i servizio e non al grado raggiunto, assicurando agli ufficiali lo
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
stipendio del colonnello dopo 15 anni di servizio dalla promozione a tenente e quello del generale di brigata dopo 25. La legge n° 100 del I O marzo 1987 consentì di attribuire al personale, trasferito d' autorità prima di quattro anni di permanenza nella vecchia sede di servizio, un'indennità di missione nella misura intera per il primo anno e ridotta della metà per il secondo anno di permanenza nella nuova sede. Tale trattamento era ridotto alla metà oppure ad un terzo qualora il trasferimento fosse stato disposto dopo un periodo di permanenza nella precedente sede superiore rispettivamente a quattro ed a otto anni. Un'ulteriore riduzione di un terzo del trattamento spettante era poi operata al personale beneficiario di un alloggio di servizio. La legge n°468 del l 6 novembre I 987 stabilì: la "parziale omogeinizzazione stipendiale" tra gli ufficiali dell'esercito e quelli dei carabinieri, l'attribuzione di un assegno funzionale ai sottufficiali, l'istituzione dell' indennità militare forfettaria, legata percentualmente allo stipendio iniziale del grado di appartenenza, la scomparsa dell'assegno perequativo. Con decorrenza dal 1° giugno 1987 agli ufficiali con anzianità di servizio pari o superiore a 25 anni dopo la promozione a tenente fu corrisposto un "assegno annuale di parziale omogeinizzazione" di lire 3.600.000, per gli ufficiali con anzianità pari o superiore a 15 anni l'assegno annuale era ridotto a lire 2.400.000 se tenenti colonnelli, a lire 2.000.000 se maggiori, a Lire 1.500.000 se capitani. L'assegno funzionale per i sottufficiali fu stabilito nella misura annua di lire 1.800.000 per i marescialli maggiori con qualifica di "Aiutante" e di lire 1.200.000 per marescialli e sergenti maggiori. L 'indennità militare fu ragguagliata al 10% dello stipendio iniziale per generali, colonnelli e sergenti, al 20% per gli ufficiali, al 22% per i sottufficiali. Naturalmente per la nota legge della coperta stretta, quella che se ripara la testa lascia scoperti i piedi, le pur necessarie migliorie apportate alle retribuzioni comportarono una ulteriore riduzione percentuale delle risorse disponibili per l'ammodernamento ed il potenziamento, senza peraltro soddisfare pienamente le aspettative dei Quadri. 7. l'antimilitarismo, sempre presente nel Paese, ebbe un risveglio particolarmente vigoroso ed insistito nella primavera del 1986. Alcuni casi di suicidio, per l'esattezza quattro, verificatisi tra i militari di leva di stanza in Friuli nel periodo febbraio-giugno, scatenarono una polemica aspra e perversa contro la condizione militare, enfatizzando sporadici incresciosi episodi di "nonnismo" e malaugurati incidenti stradali. L'Associazione Nazionale Assistenza Famiglie Vittime delle Forze Armate (4 ) pubblicò addirittura un edificante opuscolo, Morte per naja, nel quale erano elencati i decessi verificatisi in un quinquennio nell'ambito delle forze armate. n 29 settembre, amareggiato dalle violentissime e pretestuose polemiche insorte nel Paese per un episodio accaduto nel suo battaglione alcuni giorni (4) L'esistenza di un tale sodalizio è di per se stessa una conferma del grado di strumentalizzazione a cui si era pervenuti nei confronti dell'istituzione militare.
ANNI OlFFIClLI
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prima - un tenente aveva fatto effettuare una marcia di una decina di chilometri ad alcuni equipaggi carri e qualche soldato si era molto lagnato per la fatica fatta - il comandante del 22° battaglione carri Piccinini si tolse la vita, ritenendo di non avere altro mezzo per difendere la sua dignità. L'episodio doloroso toccò profondamente i Quadri ed il commento fu unanime: la disperazione e lo sconforto dell'infelice comandante non avrebbero superato il limite di guardia se il ministro ed i vertici militari avessero immediatamente replicato alla stampa ed espresso all'ufficiale la dovuta solidarietà, invece di predisporre inchieste ed accertamenti. La gravità del fatto smorzò, comunque, i toni della polemica, qualcuno si rese conto di aver superato i limiti, qualche altro comprese che abbandonare le forze armate alla denigrazione non era conveniente. Il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Riccardo Bisognero, il 12 novembre, nel corso della cerimonia per l'inaugurazione della XXXVIII sessione di studi del Centro Alti Studi per la Difesa (5l, pronunciò forti e chiare parole per respingere come pretestuose ogni ipotesi di separazione e di incomprensione tra l'ambiente militare e la società civile, alla presenza del Presidente della Repubblica e del ministro della Difesa. "Innescata dalla casuale - ma certo vistosa e tragica - concentrazione nel tempo e nello spazio di un certo numero di eventi luttuosi" disse il generale "si è andata via via montando una convergente campagna contro le Forze Armate, che ha sconfinato in una aperta denigrazione delle istituzioni militari e in una demonizzazione del servizio militare obbligatorio. I fatti negativi hanno finito col soverchiare ogni altro aspetto positivo. Si è giunti a mettere in dubbio, all'insegna di un pacifismo esasperato, della pace ad ogni costo, il ruolo e la necessità stessa delle Forze Armate. Nessuno più dei nùlitari ama la pace, conoscendo a fondo le devastazioni provocate dalla guerra. Ma se vivere in pace ad ogni costo, sottintende che si è disposti a pagare questo bene supremo anche a prezzo della libertà, ebbene sono certo - che la stragrande maggioranza del Paese non condivide questa pOSIZIOne. Pace sl, ma nella libertà: e di questa libertà le Forze Armate sono e si sentono l'indispensabile presidio. Se è vero che questo stato di cose ha inciso - e profondamente - sul morale delle Forze Armate è altrettanto vero che esso non ha intaccato - e lo affermo con assoluta certezza - nè la disciplina dei singoli nè la coesione delle unità. Non un solo episodio di indisciplina, non una reazione di protesta si sono verificati: segno tangibile di solidità e di maturità. (5) Nel 1979 il Centro Alti Studi Militari aveva cambiato denominazione per non turbare, con il minaccioso aggetrtivo militare, l'animo sensibile dei pacifisti. Nello stesso periodo fu pubblicamente proposto che anche le Scuole di Guerra delle tre forze armate assumessero la più rassicurante denominazione di Scuole di Difesa. n senso del ridicolo si sostituì però allo scomparso buon senso e l'iniziativa non ebbe seguito.
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STORJA DELL'ESERCITO 1TALIANO (1861 • I990)
E' tuttavia innegabile che il tono delle Forze Armate non è uscito indenne da questa convergenza di attacchi. Bisogna ora evitare che l'onda delle polemiche - che sembra tuttavia atten11.1arsi - ci sommerga allontanandoci dal nodo dei veri problemi: dobbiamo discernere le critiche giuste da quelle insensate, individuare, senza cedere alla emotività o alla improvvisazione, le cause reali di certi malesseri e adottare le misure più appropriate per eliminarle(... ). Per i Quadri, le cause vanno individuate: - nella sensazione di solitudine e di isolamento che essi avvertono rispetto alla collettività che li circonda; - nella continua erosione della loro posizione sociale; - nel disinteresse dell'opinione pubblica per la dignità del servizio che essi compiono a favore del Paese e per la durezza del lavoro che essi svolgono, ben oltre gli orari previsti e spesso cumulando più incarichi; - negli attacchi indiscriminati cui sono sottoposti al verificarsi di qualsiasi inconveniente o incidente - anche quelli dovuti al caso o alla fatalità - non dissimili da quelli che avvengono nel mondo del lavoro; - nel credito e nella risonanza che riscuotono notizie giornalistiche su episodi anche insignificanti della vita militare, spesso distorti o volutamente esagerati; - nella scarsa tutela legislativa in caso di incidenti; - nelle retribuzioni modestissime e comunque sproporzionate in rapporto all'impegno profuso e soprattutto alle enormi responsabilità che gravano sui Quadri(... ). Quali i rimedi da adottare? Non esistono soluzioni miracolistiche: pensare di capovolgere la situazione esistente con la bacchetta magica delle occasionali e temporanee misuretampone è illusorio. Occorre innanzitutto far sentire alle Forze Armate la solidarietà di tutti: del Parlamento, del governo, del popolo. Senza questo consenso le Forze Armate si sentirebbero defraudate della loro stessa base spirituale (... ). Non si dovrà far mancare alle Forze Armate l'indispensabile supporto finanziario perchè possano esprimere quel minimo di efficienza operativa al di sotto del quale lo strumento non solo perde di credibilità ma diventa pressochè superfluo( ... )". Presidente e ministro espressero al generale Bisognero il loro consenso ma la legge n° 958 del 24 dicembre 1986 sulla riforma del servizio di leva non andò nel senso auspicato. La nuova legge, per la prima volta frutto di una autonoma elaborazione del Parlamento e non aggiustamento di un progetto di legge governativo, voleva armonizzare il corpo legislativo riguardante il personale di truppa con "la nuova realtà socio-militare emersa nel corso degli ultimi anni", tendeva cioè più ad "addolcire" il servizio di leva cbe ad aumentare la funzionalità delle forze armate. Le principali norme stabilite dalla legge n°958 riguardarono, infatti, l'unificazione a 12 mesi della ferma di leva per le tre forze armate, la più circo-
ANNI DIFFICILI
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stanziata definizione dei casi di dispensa dal servizio militare e di rinvio della chiamata, la riduzione dell'impiego di militari di leva in attività esterne, la selezione psico- attit udinale, la partecipazione dei rappresentanti dei militari di truppa anche al COCER, l'incremento della regionalizzazione del servizio militare. Nonostante ogni buon volere da parte dello Stato Maggiore di attuare il dettato legislativo, la completa regionalizzazione del servizio militare rimase un indirizzo da perseguire nel tempo per diversi motivi, quali la variabilità dei gettiti regionali, l'effettiva distribuzione territoriale dei reparti, la distribuzione sul territorio delle infrastrutture, ma le perverse conseguenze funzionali e finanziarie della legge si fecero sentire subito. L'articolo 24 della legge n°958 prescriveva, infatti, che per i militari di leva residenti in località distanti oltre 300 chilometri dalla sede di servizio, ovvero per i quali la durata del viaggio, tra tale sede ed il comune di residenza, fosse di oltre 8 ore ma inferiore a 16 ore, un aumento a 20 giorni della licenza breve. Qualora la distanza tra la sede di servizio ed il comune di residenza fosse stata superiore a 800 chilometri o il tempo necessario per il tragitto superiore a 16 ore, la durata della licenza breve era prolungata a 25 giorni. Inoltre ai militari di leva che si recavano in licenza breve era concesso il rimborso delle spese di viaggio, limitatamente ad 1 solo viaggio di andata e ritorno se il comune di residenza distava dalla sede di servizio meno di 300 chilometri, a 5 viaggi se il comune di residenza distava più di 300 chilometri. Se la distanza superava i 600 chilometri il rimborso era poi previsto anche per l'uso dei treni rapidi. La nuova legge conteneva anche più favorevoli disposizioni per il reclutamento volontario, consentito fino ad un massimo di 42.000 unità da impiegare nei settori tecnico e logistico per i quali è indispensabile una specifica preparazione cd una più matura esperienza. La legge prevedeva, infatti, la commutazione della ferma di leva in ferma biennale, la possibilità di conseguire in tempi più brevi l'eventuale grado di sergente di complemento, un più conveniente trattamento economico, il riconoscimento della professionalità acquisita durante il servizio, la possibilità di avvalersi di una più congrua riserva di posti per l'immissione nel mondo del lavoro al termine della ferma contratta. Tuttavia di fronte alla possibilità di arruolare per il 1987, 8000 volontari in ferma prolungata (VFP), gli arruolamenti non superarono i 3000. Anche negli anni successivi, nonostante lo sforzo dell'amministrazione per migliorare le condizioni di accasermamento e di vita dei VFP, i risultati non furono migliori. In un documento ufficiale del 2 I dicembre 1990, Esercito e volontari. Analisi degli aspetti relativi alla costituzione di una componente operativa professionale, il capo di Stato Maggiore dell'esercito ammetterà che: "Il volontario in fem1a prolungata disponibile oggi non arriva alle 9000 unità, di cui soltanto 2000 in ferma triennale. Il 78% dei volontari proviene dal Sud e dalle isole, ma questo sarebbe irrilevante se comunque fosse la parte migliore o perlomeno media dei giovani. Il fatto è che soltanto la parte meno scolarizzata e socialmente più disastrata è interessata al reclutamento. Lo dimostra l'analisi percentuale dei motivi di proscioglimento. Soltanto il 23% è prosciolto per fine
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
della ferina biennale regolarmente portata a termine. Fra il 77% che viene prosciolto d'autorità, a domanda o d'ufficio, sono impressionanti questi motivi: 10% per gravi mancanze disciplinari, 20% per il mancato superamento del corso di specializzazione, 50% per non idoneità al grado superiore". La legge n°958 del 24 dicembre 1986 non costituì quindi per l'esercito una strenna natalizia, ma un ulteriore aggravamento del bilancio, compromesso anche da una improvvida decisione presa l'anno precedente dal ministro: rinunciare all'incremento annuo del 3% in termini reali del bilancio della difesa, allo scopo di contribuire al risanamento delle finanze dello Stato.
XXVI. IL NUOVO MODELLO DI DIFESA
1. Nella seconda metà degli anni Ottanta apparve chiaro allo Stato Maggiore che l'obiettivo perseguito con la ristrutturazione del 1975, un esercito più piccolo ma più efficiente, non era stato raggiunto. Negli anni precedenti l'esercito aveva realizzato qualche innegabile progresso nel settore della mobilità tattica ed in quello della potenza di fuoco, con una più estesa meccanizzazione e con l'entrata in servizio del gruppo Lance e dei gruppi SH70, ma il venir meno di alcuni presupposti fondamentali messi a base del processo di rinnovamento, come l'efficacia della legge promozionale del 1977 ed il parallelo incremento annuo del 3% del bilancio ordinario, avevano di fatto interrotto il programma di potenziamento. L'abnorme processo inflazionistico di quegli anni aveva infatti determinato due conseguenze negative, un aumento della percentuale del bilancio da destinare al soddisfacimento delle esigenze di funzionamento e un aumento del costo dei nuovi materiali. Per dirla in soldoni: meno risorse per acquistare materiali più cari. Lo Stato Maggiore allora elaborò un nuovo piano di potenziamento, da attuarsi nell'arco di un decennio con un ampio coinvolgimento dell'industria bellica nazionale e, naturalmente, con il consenso del Parlamento e del governo che avrebbero dovuto assicurare adeguate risorse finanziarie. All'inizio del 1987 la Rivista Militare, in previsione di un convegno di studio sull'esercito futuro che avrebbe dovuto "attivare un ampio e qualificato dibattito sui problemi dell'esercito" e costituire "un momento di riflessione quale presupposto per la proiezione dinamica verso i futuri impegni", pubblicò un voluminoso dossier (I) di atti preliminari, con il lodevole intento di fornire elementi di conoscenza e di valutazione su i vari problemi che sarebbero stati dibattuti nel convegno. II convegno di studio non fu poi realizzato, tuttavia il dossier della Rivista Militare, "ufficializzato" per così dire dagli interventi del capo e del sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito, costituisce un documento valido per comprendere quale fosse a quel momento il pensiero dell'esercito sull'ordinamento che lo strumento operativo avrebbe dovuto assumere a riordinamento concluso, traguardo previsto per la metà degli anni Novanta. A quella data l'esercito avrebbe dovuto articolarsi su 3 corpi di armata, (I) Il fascicolo era suddiviso in quattro parti: le linee maestre della pianificazione dell'esercito.l'esercito e le tecoologie emergenti, esercito e società, volontari a ferma prolungata.
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alle cui dipendenze sarebbero state poste la maggior parte delle 27 brigate - 24 esistenti fin dal tempo di pace e 3 da costituire all'emergenza per mobilitazione - costituenti le forze operative. L'intelaiatura dell'esercito non era, quindi, in discussione, era la qualità delle pedine che si voleva migliorare con l'attuazione del nuovo programma decennale di potenziamento. Lo Stato Maggiore, infatti, era giunto alla conclusione che, per dare concretezza al concetto di dissuasione convenzionale, cardine della dottrina N.A.T.O., era indispensabile dare vita a nuove strutture operative, disegnate in base sia alla consistenza, qualitativa e quantitativa, della minaccia ragionevolmente ipotizzabile e sia alle carenze rilevabili al momento nel nostro strumento operativo. L'esercito italiano del futuro avrebbe dovuto essere articolato pertanto in: - brigate meccanizzate, idonee a sviluppare tutte le azioni della battaglia difensiva nel settore di pianura, nel quale era logico prevedere una minaccia portata essenzialmente da forze meccanizzate e corazzate. Caratteristiche delle brigate meccanizzate avrebbero dovuto pertanto essere l'elevata capacità controcarri, la possibilità di contrastare efficacemente l'offesa aerea a bassa ed a bassissima quota, la totale mobilità fuori strada e l'attitudine a persistere negli sforzi difensivi; - brigate corazzate, in grado di condurre azioni spiccatamente dinamiche e risolutive, in situazioni nelle quali la potenza di fuoco dei carri e la possibilità di manovrare sono detenninanti. Queste grandi unità avrebbero pertanto dovuto avere la capacità di eseguire azioni rapide e risolutive contro unità similari e di contrastare l'offesa aerea avversaria a bassa ed a bassissima quota; - brigate blindate, idonee a svolgere il combattimento in ambienti naturali poco favorevoli all'impiego di unità corazzate ed a condurre azioni tipiche per la difesa delle retrovie e del territorio, nelle quali la rapidità dell' intervento fa premio sulla potenza. Le brigate blindate avrebbero dovuto essere in grado di intervenire tempestivamente su ampi spazi, condurre in proprio la ricognizione e la sorveglianza, contrastare l'offesa aerea a bassa ed a bassissima quota, sviluppare in proprio un adeguato supporto di fuoco terrestre per operare autonomamente; - brigate alpine, idonee ad operare in ambiente montano, ma anche a fornire concorso all'azione di altre grandi unità in tutti gli ambienti . Di conseguenza anche le brigate alpine avrebbero dovuto possedere un'adeguata capacità controcarri e la possibilità di contrastare l'offesa aerea a bassa ed a bassissima quota; - brigata paracadutisti, idonea ad intervenire su grandi distanze utilizzando il vettore aereo ed a concorrere, qualora e dove necessario, agli sforzi difensivi ed offensivi esercitati da altre grandi unità. In sintesi , la futura struttura delle forze operative avrebbe dovuto articolarsi su 7 brigate meccanizzate, 5 brigate corazzate, 6 brigate blindate, 5 brigate alpine, I brigata paracadutisti. Alle brigate in vita sin dal tempo di pace si sarebbero aggiunte all' emer-
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genza altre 3 brigate, delle quali una, con preponderanza di reparti alpini, incentrata sulla Scuola Militare Alpina di Aosta, una blindata, incentrata sulla Scuola di Fanteria e Cavalleria di Cesano, una corazzata, incentrata sulla Scuola Truppe Corazzate, che da Caserta avrebbe dovuto trasferirsi a Lecce. Aspetto signiificativo di questo nuovo processo di ristrutturazione dell'esercito era la chiara affermazione che 27 brigate costituivano il limite operativo minimo per l'assolvimento delle missioni interforze assegnate dal Libro Bianco della Difesa 1985 e che la forze operative, snellite e razionalizzate con la soppressione degli ultimi comandi di divisione ed il riaccorparnento delle unità di supporto, non erano più in grado di perdere altre unità. La nuova tipologia delle brigate, con l'eliminazione a fanor comune delle più pericolose carenze, soprattutto nei settori della difesa controaerei e controcarri e della mobilità protetta fuori strada, avrebbe reso possibile la versatilità delle unità, soprattutto di quelle leggere, le alpine, le blindate e la paracadutisti. Le brigate leggere avrebbero quindi potuto facilmente integrarsi con quelle pesanti, meccanizzate e corazzate, specie in quegli ambienti, come i boschi e gli abitati, meno adatti all'impiego dei cingolati. La scomparsa del livello divisione aveva poi originato la necessità: di adeguare il sistema di comando, controllo e com unicazioni in relazione all'accresciuto numero di pedine che il corpo d'armata, sempre protagonista della battaglia, avrebbe dovuto gestire; di incrementare qualitativamente e quantitativamente i supporti di fuoco di cui il corpo d'armata avrebbe potuto disporre; di potenziare la componente logistica. Nel campo del comando, controllo e comunicazioni l'auspicato e necessario potenziamento sarebbe avvenuto con la messa a punto del sistema campale di trasmissioni e informazioni, CATRIN, definito dal dossier della Rivista Militare il sistema dei sistemi, in grado di regolare l'impiego di gran parte dei mezzi operanti sul campo di battaglia e l'azione di comando e di controllo delle operazioni ai vari ]ivelli. Il CATRIN comprendeva perciò tre sottosistemi: il SORAO (sottosistema per la ricerca e l'acquisizione degli obiettivi) per soddisfare le esigenze specifiche della sorveglianza del campo di battaglia e dell'acquisizione degli obiettivi fino a I 50 km oltre la linea di contatto; il SOATCC (sottosistema per l'avvistamento tattico, il comando ed il controllo della difesa contraerei) per risolvere il problema del controllo del ciclo amico ed avere la possibilità di attivare tempestivamente i mezzi contraerei, di allertare le truppe, di indirizzare i velivoli amici nel caso di incursioni aeree avversarie; il SOTRIN (sottosistema per le trasmissioni integrate) per soddisfare tutte le esigenze di un moderno e sicuro supporto trasmissivo di base per la fonia, la telegrafia, i dati, il fac-simile cd il video a favore dei comandi e di tutti gli elementi operativi dislocati nell'arca della battaglia. Per quanto riguardava il fuoco terrestre si sarebbe risolto il problema con la costituzione di unità lanciarazzi MLRS per il 5° corpo d'armata e Firos per il 3° ed il 4°. Sarebbero state, inoltre, potenziate le capacità di intervenire con il fuoco dell' ALE con la costituzione di gruppi di elicotteri d'attacco dotati di elicotteri A-129 Mangusta. La difesa controaerei sarebbe stata potenziata con il
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continuo e costante miglioramento delle unità HAWK, con l'introduzione di sistemi d'arma Skyguard-Aspide, di cannoni da 40/70, di semoventi con mitragliere da 25 mm e con il sistema di autodifesa Stinger-Mistral. La definizione del supporto logistico era naturalmente collegata con l'introduzione dei nuovi mezzi. li criterio guida era, comunque, quello di conferire ai primi anelli della catena logistica la capacità di intervenire nel settore delle riparazioni prevalentemente mediante la sostituzione di parti, attribuendo la riparazione dei materiali più sofisticati direttamente al 4° anello. All'industria nazionale era stata affidata la realizzazione del nuovo carro annato e dell'autoblindo, sia per rendere meno onerosa e meno complessa nel futuro l'attività di manutenzione e di riparazione dei mezzi sia per uùlizzare le risorse finanziarie disponibili anche per dare lavoro e possibilità di esportazione all'industria bellica, sempre alla ricerca di nuove commesse. Molte innovazioni erano poi annunciate anche nel settore scolasticoaddestrativo, dove i BAR e le scuole esistenti erano ritenuti ridondanti e quindi suscettibili di riduzione <2>. Dalla ristrutturazione del sistema scolasùco-addestrativo lo Stato Maggiore si riprometteva il graduale recupero di 1500 ufficiali , 900 sottufficiali e 16200 militari di truppa. La riduzione dei militari di leva avrebbe comportato un'economia globale di 111 miliardi ali' anno a vantaggio, more solito, degli investimenti per l'ammodernamento dei materiali. Quanto all'organizzazione logistico-territoriale, il dossier ammetteva che la ristrutturazione del 1975 aveva agito quasi esclusivamente sulla componente operaùva e che, pertanto, era indispensabile procedere al riordinamento di tutta l'organizzazione logistica. Il primo settore di intervento sarebbe stato quello della logistica del personale, con una accelerazione del programma di razionalizzazione del settore leva e reclutamento e con una completa ristrutturazione del settore sanitario, nel quale sarebbero state separate le attività medico-legali da quelle di cura. In tale prospettiva gli ospedal i militari di Milano, Padova, Roma e Bari avrebbero assunto la fisionomia di policlinici, con ampie possibilità di ricovero e cura per
(2) Nel 1987 esistevano i seguenli istituti milìtari: Scuola di Guerra (Civitavecchia), Scuola di Applicazione (Tori no), Accademia Militare (Modena), Scuola Militare Nunziatella (Napoli),: Scuola Allievi Sottufficiali (Viterbo), Scuola di Fanleria e Cavalleria (Cesano), Scuola Militare Alpina (Aosta), Scuola Truppe Corazzate (Caserta), Scuola Specializati Truppe Corazzate (Lecce), Scuola di Artiglieria (Bracciano), Scuola di Artiglieria Contraerea (Sabaudia), Scuola Tecnici Elettronici dell'Esercito (Roma), Scuola del Genio (Roma), Scuola delle Trasnùssioni (Roma). Scuola Specializzati delle Trasmissioni (S. Giorgio a Cremano), Scuola Lingue Estere (Roma), Scuola Mi li tare di Paracadutismo (Pisa), Scuola Militare di Educazione Fisica (Orvieto), Scuola Militare di Equitazione (Montelibretti), Centro Aviazione Leggera dell'Esercito (Viterbo), Accademia di Sanità Militare-Nucleo Esercito (Firenze), Scuola di Sanità Militare (Firenze), Scuola del Corpo Veterinario (Pinerolo), Scuola Allievi Souufficiali Infermieri Professionali (Bologna e Roma). Centro Specialisti armamento Esercito (Piacenza). Sc uo la Militare di Oommissaria10 e di Amministrazione (Maddaloni), Scuola della Motorizzazione (Roma), Scuola Trasporti e Materiali (Roma).
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una vasta gamma di patologie. Specifiche convenzioni con le locali università avrebbero assicurato il necessario livello professionale del personale curante. Un ampio e generalizzato ricorso a sistemi automatizzati di gestione avrebbe poi consentito l'unificazione delle componenti di magazzino ancora frazionate e degli organi per le riparazioni in appositi centri polifunzionali, a livello regione mili tare. Obiettivo da raggiungere nel settore: la riduzione del 30% dei depositi e dei magazzini e del 50% delle sezioni di magazzino dove erano custodite le dotazioni di mobilitazione. In definitiva, un generale processo di razionalizzazione e di ammodernamento che non avrebbe dovuto incidere sulle forze operative. 2. L'improvvisa uscita dall 'esercito del generale Poli, al quale il partito di maggioranza relativa aveva offerto un seggio senatoriale, destò qualche perplessità nei Quadri, nonostante l'assicurazione del futuro senatore sul suo "rinnovato impegno a continuare a portare avanti le più significative problematiche della condizione militare", come scrisse nell'Ordine del giorno di commiato all'esercito. Il nuovo capo di Stato Maggiore, generale Ciro Di Martino (3), comprese subito che iI male peggiore dell'esercito non era provocato dall'esiguità del bilancio, ma dalla mancanza di prospettive, dalla diffusa sensazione dell'inutilità del lavoro, quotidianamente compiuto con sacrificio e quotidianamente messo in discussione da una opinione pubblica male informata dalla stampa e vanificato spesso da incongrue decisioni ministeriali, come i tagli improvvisi della forza bilanciata o il lancio clamoroso di iniziative spettacolari tipo "caserme di vetro". II generale volle dare perciò con immediatezza un segnale di fiducia. li fascicolo luglio-agosto del 1987 della Rivista Militare si aprì, infatti, con un articolo molto rassicurante ed ottimista del nuovo capo di Stato Maggiore, Situazione attuale e prospettive future dell'esercito . "L'esercito", scriveva il generale Di Martino, "sta attraversando un nuovo periodo di riordinamento strutturale e di ammodernamento, volto a migliorare il settore territoriale e logistico e ad incrementare l'efficienza della componente operativa.
(3) Il generale Ciro Di Martino, nato a San Antimo, in provincia di Napoli, nel t925, è stato nominato sottotenente di fanteria il I O febbraio 1945 (primo corso della nuova Accademia Militare). Laureato in giurisprudenza, diplomato allaScuola di Guerra italiana ed a quella francese. ha comandato il 3°/17° fanteria a Cesano, il 76° fanteria a Cividale del Friuli, la divisione Folgore a Treviso. Per quanto riguarda gli incarichi di Stato Maggiore ha prestato servizio nell'ufficio del capo di Stato Maggiore dell 'esercito con il generale Aloia, è stato capo della segreteria del sottocapo di Stato Maggiore con il generale Guerrieri, capo dell'ufficio impiego del personale, capo dell'ufficio del capo di Stato Maggiore con il generale Cucino, capo del 3° Reparto dello Stato Maggiore. Promosso generale di corpo d 'armata ha comandato la Scuola di Guerra. ricoperto l'incarico di sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito con il generale Cappuzzo, comandato la Regione Militare Centrale. Il 16 maggio 1987 è stato nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito, carica che ha ricoperto fino al 15 maggio 1989.
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Nulla di rivoluzionario in questo processo. Si tratta infatti di un rinnovamento ciclico - vorrei dire fisiologico - rivolto alla annonizzazione di tutte le componenti dello strumento terrestre in considerazione del compito da svolgere, delle risorse disponibili, del conseguente miglior rapporto possibile tra quantità e qualità. Innovazioni meditate, quindi, e nessuna rivoluzione". Dopo un doveroso cenno ai problemi del personale e ad alcuni provvedimenti legislativi in itinere, "volti a consolidare la motivazione dei Quadri, restituendo loro la convinzione che il Paese e la sua classe dirigente non sottovalutano l'impegno ed i sacrifici degli uomini in uniforme", l'articolo proseguiva con una franca esposizione della situazione relativa ai mezzi ed ai materiali. "Per quanto concerne mezzi e materiali sono stati varati molteplici programmi riguardanti l'armamento, la mobilità, il comando e controllo, rivolti a colmare, nel corso del prossimo quinquennio, alcune delle basilari carenLc attuai i della Forza Armata. Mi limiterò a citarne alcuni dei più importanti: - sistema controcarri a media ginata Milan: vi è una esigenLa complessiva di circa 1.000 sistemi, di cui 1/3 sono già stati introdoui e degli altri 'lJ3, che verranno prodotti in Italia, 120 entreranno prossimamente in servi:lio; - sistema controcarri di autodifesa Apilas: una aliquota di questi sistemi è già stata sperimentata dalla FIR contemporaneamente alla sperimentazione di altri due sistemi, il tedesco Panzerfaust e l'inglese Law 80; - carro nazionale di 2• generazione: è prevista la consegna dei primi 4 prototipi entro il prossimo autunno; - blindo armata 8x8: per questo mezzo è prevista la consegna dei primi 4 prototipi entro l'estate; - veicolo blindato leggero 4x4: è prevista l'introduzione in servizio nel periodo 1989-1992; - VCC 80: l'introduzione in servizio è programmata per il periodo 19911995; - elicottero controcarri A-129: è in corso la 1• fase di distribuzione di 15 elicoueri. La 2• fase (45 elicotteri) avrà luogo nel periodo I 988-199 I; - sistema controaerei di autodifesa Stinger: sono giunti dagli USA i primi 30 sistemi. Gli altri 120 sono previsti entro quest'anno. È già iniziato l'addestramento del personale e delle unità; - mezzi ruotati: è in distribuzione la 2• aliquota di 300 VM/90 per la Fo.P.I.; - Catrin: è prevista la reali21azione del primo complesso completo per un corpo d'annata entro il 1992". Anche per quanto riguardava l'assetto ordinativo finale dell'esercito le parole del generale Di Martino furono chiare e ribadirono la necessità di poter di~porre di 24 brigate fin dal tempo di pace: "In funzione dei compiti derivanti dalla 1•, 4• e 5• missione interforLe e della introduzione dei nuovi mezzi, il riordinamento dell'esercito contempla una revisione delle strutture ordinative per rendere lo strumento più equilibrato
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e manovriero e più agevoli eventuali interventi a largo raggio su tutto il territorio nazionale. E' stata così adottata la decisione di ripartire le 24 brigate ritenute indispensabili fin dal tempo di pace, in: 7 brigate meccanizzate; 5 brigate corazzate; 5 brigate alpine; 6 brigate blindate; I brigata paracadutisti". Infine, la conclusione: "la forza armata sa quello che vuole ed in quale direzione procedere. Le scelte sono state operate con la consapevolezza, la collegialità ed il tempismo migliori possibili, tenuto conto delle non trascurabili situazioni e difficoltà contingenti. Sono stati rigorosamente seguiti semplici quanto fondamentali criteri: - ridare respiro e prestigio alla "condizione militare"; - dotare lo strumento di un ordinamento e di mezzi adeguati ai tempi e al compito da assolvere. ( ...) Occorre perciò guardare al futuro con serena fiducia ed affrontarne le sfide con immutato senso di responsabilità e, come sempre, con impegno, coesione e professionalità, all'insegna di quella "atipicità" che è un "proprium" della militarità e della vocazione che ne è l'essenza". 3. T problemi dell · esercito erano però molti e gravi. L'impegno, la coesione e la professionalità non erano sufficienti a ridare allo strumento operativo la funzionalità e la capacità operativa onnai compromesse da troppe attese e da troppe promesse non mantenute. La situazione peggiorò ancora negli anni seguenti. Nel 1988 il ministro della Difesa Zanone nella Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa 1989, dopo aver segnalato una decurtazione di 1005 miliardi operata dal governo sulle richieste presentate dal ministero, sottopose all'approvazione del Parlamento un bilancio di 23 .050 miliardi - pari al 2% del prodotto nazionale lordo ed al 4,4% della spesa statale complessiva - che, depurato dalle spese per i carabinieri, per il personale in quiescenza e per le funzioni esterne <4>, avrebbe riservato alle spese per le tre forze armate 18.013 miliardi. Per quanto riguardava l'esercito la Nota aggiuntiva prevedeva uno stanziamento di 6. 592, 5 miliardi di cui 3 . 506, 3 per il settore personale; J.566, 6 per il settore esercizio, 1.5 I 9, 6 per il settore investimento ( 178 miliardi per la ricerca e lo sviluppo; 1.213,8 miliardi per l'acquisizione di sistemi missilistici controcarri e contraerei, di artiglierie, di veicoli corazzati da combattimento, di aeromobili, di armamenti leggeri e di apparecchiature; 127, 8 miliardi per le infrastrutture). ( 4) Con la denominazione di spese per funzioni esterne sono indicate quelle spese destinate a soddisfare esigen1,.e non direttamente connesse con i compiti istituzionali delle forze annate. Nel progetto di bilancio 1989 dette spese ammontavano a 277 miliardi: 36 per la protezione civile; 78 per !"aviazione civile; 43 per il rifornimento idrico delle isole minori; 32 per il traspono aereo di Stato e per quello dei traumatizzati; 20 per il funzionamento dei fari; 16, 7 per contributi alla Croce Rossa; 30. 5 per contributi ad associazioni varie (Partigiani. reduci. CONI. Vasca Navale, Onorcadut.i): 9.5 per i satelliti Meteosat e Eumetsat; 11, infine. per le servitù militari).
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Nel 1989 dunque le spese di investimento non raggiunsero il 25% della spesa globale ed il rinnovamento dei materiali registrò un'ulteriore battuta di arresto. Le effettive disponibilità di bilancio, sempre inferiori - malgrado le promesse - a quanto ipotizzato al momento della formulazione del programma di ristrutturazione, non avevano consentito di raggiungere gli obiettivi prefissati nel 1975 e minacciavano di far naufragare anche il più modesto ammodernamento previsto nel 1987. Naturalmente la Nota aggiuntiva non mancò di informare il Parlamento che "qualora non si provvedesse a rendere le FF.AA. italiane più omogenee, in contenuto tecnologico, a quelle degli altri Paesi europei, si accetterebbe di fatto un vero e proprio disarmo unilaterale strisciante. Per evitare il decadimento delle capacità difensive, conseguenza di un progressivo allargamento del divario già esistente fra esigenze e risorse, occorre pertanto, in prima istanza, adeguare le dotazioni ordinarie della Difesa e, quindi, garantire una disponibilità aggiuntiva di fondi per la realizzazione di alcuni programmi pluriennali altamente prioritari. La situazione attuale consente, infatti, di devolvere all'investimento intorno ai 5.000 miliardi annui - con i quali si potrà procedere ad ammodernare alcune aliquote delle forze. Sarebbero, invece, necessari, come già più volte evidenziato, circa 8-10 mila miliardi annui che rappresentano il tasso di ammortamento del capitale delle forze armate. Vi è, quindi, per il prossimo decennio, una carenza di risorse stimata dell'ordine dei 30.000 miliardi, che non potranno essere reperite nell'ambito dei bilanci ordinari, anche se la Difesa continuerà ad attuare, con grande vigore, tutte le possibili azioni intese a ridurre la quantità ed a razionalizzare al meglio le risorse disponibili, come: lo snellimento della struttura territoriale logistica, la riduzione della struttura tecnico-industriale, il blocco delle assunzioni del personale civile, il mantenimento dei reclutamenti al minimo indispensabile, la progressiva riduzione dei contingenti di leva, il riesame dei contingenti impiegati per attività ausiliarie, logistiche e di vigilanza, l'automazione delle gestioni logistico- amministrative, l'adozione di nuovi moduli organizzativi, la cessione di infrastrutture e di aree non più idonee o non più necessarie, la riduzione delle servitù militari". La situazione non migliorò l'anno seguente. Nella consueta Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa 1990 il ministro Martinazzoli , dopo aver ricordato che le vicende degli ultimi mesi avevano indotto il governo ad operare un taglio di I065 miliardi al bilancio, annunciò per il ministero una spesa complessiva di 23.615 miliardi: 938,6 per il personale in quiescenza; 424,8 per le spese relative alle funzioni esterne ; 3.999, 5 per carabinieri; 18.252, per le spese relative alla funzione difesa. Per quanto riguardava l'esercito, la Nota aggiuntiva prevedeva uno stanziamento di 6.635,8 miliardi: 3.492,8 per il settore personale; 1.724,7 per il settore esercizio; 1.418,3 per il settore investimento ( 59,2 miliardi per la ricerca e lo sviluppo di nuovi mezzi e nuovi armamenti; l.146 miliardi per acquisizione
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di sisLemi missilisLici controcarro e contraerei, di aeromobili, di artiglierie, di veicoli da combanimento e trasporlo, di armamenti leggeri e di apparecchiature; 68,5 miliardi per acquisizione di scorte e di munizionamento; 144,6 miliardi per infrastrutture) . Anche per l'esercizio finanziario I990 le spese di investimento furono inferiori al 25% della spesa complessiva, nonostante una riduzione della forza bilanciata di 11.000 militari di leva. A differen.rn di quella precedente, la Nota aggiu11tiva per l'esercizio finanziario 1990 indicava già con molta chiarezza le intenzioni del governo circa la futura politica militare: ridurre lo strumento, naturalmente migliorandone l'efficienza. La politica distensiva del nuovo presidente sovietico ed i conclusi accordi sulla limitazione degli armamenti tra N.A.T.O. e Patto di Varsavia cominciavano ad ingenerare un euforico senso di sicurezza nell'opinione pubblica e la mai estinta convinzione che le risorse investite nella difesa fossero risorse gettate al vento riprendeva vigore. Naturalmente le co11siderazio11i conclusive del ministro Martinazzoli furono molto sfumate e adeguatamente infarcite di consensi alla politica dell'alleanLa atlantica, ma già contenevano più di un accenno ad un nuovo modello di difesa che non lasciava presagire certo il raggiungimenlo di traguardi esaltanti. Scriveva infaui il ministro: "Lo strumento militare muove e si evolve in un quadro caratterizzato da profonde e subitanee trasformazioni politiche e strategiche. Lo sforzo di adeguamento delle strutture militari deve tener conto di quest'esigenza di flessibilità e del dovere di preservare in ogni contingenza un confortante coefficiente di sicurezza. Le intese e gli accordi già intervenuti fra le massime potenze militari e quelli che si anùvedono fanno ritenere come sminuito l'affidamenlo strategico sulla componente nucleare e, per converso, più onerosa in termini convenzionali la partecipazione dei paesi europei alla difesa del continente. La siLuazione strategica convenzionale resta ancor oggi, in termini assoluti, favorevole al Patto di Varsavia, per l'entità delle forLe e dei mezzi schierati, per le possibilità di manovra consentite da uno scacchiere territoriale conlinuo e scorrevole. per la qualità degli armamenti in produzione ed in sviluppo. Per contro rasserena la situazione una finora non smentita volontà di pervenire consensualmente a livelli di equilibrio militare sempre più bassi. Compete al nostro Paese raccogliere e vivificare ogni favorevole occasione di negoziato e di fiducia fra i due blocchi e far valere sentimenti rassicuranti e interessi distensivi nel seno dell'Alleanza. Con questo spirito viene rinnovata la fiducia nella capacità della NATO di confermarsi strumento di pace e viene ribadito l'intento di partecipare lealmente all'elaborazione cd all'auuazione delle decisioni comuni. La credibilità delle nostre iniziative risiede nella capacità di costruire e conformare uno strumento militare compatibile con le risorse finanziarie e al tempo stesso efficiente in ogni componente. Questa apparente contraddizione va risolta operando scelte appropriate e privilegiando i programmi che realizzano il graduale risanamento dell'attuale non felice situazione generale delle ForLe annate. Al di là di un certo limite, occorrerà tuttavia trarre spunto da un
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nuovo "modello di difesa" per impostare un severo programma di revisione e riduzione delle forze, senza peraltro mai rinunciare ad elevati livelli di efficienza. Il Governo della Repubblica è consapevole del difficile e pesante impegno che grava sulle Forze armate, manifesta la volontà di secondare ed alimentare gli sforzi di rinnovamento, è disponibile alle eventuali iniziative di legge ritenute necessarie e opportune con il maturare dei tempi". 4. Predisporre le necessarie ed opportune iniziative fu compito del nuovo capo di Stato Maggiore, il generale Domenico Corcione (5), assunto all'alta carica il 16 maggio 1989. Durante la gestione del generale Di Martino, infatti, il nocciolo vero del problema - l'impossibilità di mantenere in vita uno strumento operativo articolalo su 24 brigate e supportato da un'organizzazione logistica-territoriale ancora ridondante - non era stato affrontato nella sua globalità, anche se il peso complessivo dell'esercito era stato alleggerito con lo scioglimento di alcune unità a livello battaglione-gruppo e di un certo numero di magazzini e di depositi materiali. Il generale Corcione fu pertanto costrello a dare subito inizio ad un generale processo di ridimensionamento dell'esercito, con l'intento dì non operare soltanto riduzioni in questo o quel settore ma di attuare una completa riorganizrnzione di tutta la struttura. I primi e più incisivi provvedimenti adottati riguardarono l'organizzazione territoriale: - le Direzioni Leva, Reclutamento e Mobilitalione furono trasformate in Comandi, retti da un generale di divisione, alle cui dipendenze disciplinari, amministrative e addestrati ve furono posti i consigli di leva ed i distretti militari, regionali e provinciali. I primi, nel cui organico erano stati compresi gli uffici di leva ed i gruppi selettori, furo no inoltre finalmente definiti ed ubicali a: Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Caserta, Catania, Catanzaro, Chieti, Como, Firenze, Genova, Lecce, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Perugia, Roma, Salerno, Torino, Trento, Udine e Verona. I distretti militari provinciali, chiaramente destinali in un futuro non molto lontano ad essere disciolti, furono ancora ridotti di numero con la soppressione di quell i ubicati a Cremona, Treviso, Massa Carrara, Grosseto ed Agrigento.
(5) Il generale Domenico Corcione è nato a Torino nel 1929 . Entrato nell 'Accadenua Militare nel 1950. è srato norrun:110 so1101enenre del genio il IO seuembrc I952. Laurearo in ingegneria civile presso il Polirecnico di Mi lano. ha frequcn1a10 dal I964 al I967 la Scuola di Guerra. Con il grado di tenenre colonnello ha comandato il ba11aglione genio pionieri Matt1ova e con quello d1 colonnello il 2° reggunenro genio pon11eri Capo ufficio Infrastrullure dello S1a10 Maggiore, con la promo,ione a generale di bngara ha avuro il comando della bngara legnano. Promosso generale di divisione ha comandato la divisione Centauro cd è staio poi capo del IV Reparto dello Stato Maggiore ed Ispettore Logisuco dell'escrciro. Con il grado di generale d1 corpo d'armata ha comandato la Regione Militare Nord-Ovcsr. ha pres1cdu10 il Cenrro Alti Studi per la Difesa, è staro capo d1 Staro Maggiore dell · cserciro dal 16 maggio 1989 al 31 marzo 1990 e capo di Stato maggiore della Difesa dal IO aprile 1990 al 3 I 12. I993.
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Si concludeva così un annoso iter riordinativo, tenacemente contrastato dalle amministrazioni e dai parlamentari locali nonchè dai commissari di leva (6), ma sempre sostenuto con lucida coerenza da Levadifc; - scioglimento dei comandi militari di zona e di quasi tutti i comandi militari provinciali, con la contemporanea costituzione dei comandi operativi territoriali (C.O.T.) e dei centri amministrativi di regione militare per assolvere i compiti di natura operativa e di natura amministrativa prima affidati ai comandi militari di zona. I C.O.T. furono effettivamente costituiti in numero molto ridotto (19° a Genova, 6° a Bologna, 12° a Perugia, 10° a L'Aquila, 22° a Bari, 15° a Cose·nza, 16° a Catania), attribuendo per il tempo di pace ai comandi di regione militare e di corpo d'armata funzioni e compiti di altrettanti C.O.T. da costituire all'emergenza; - graduale scioglimento dei reparti di mobilitazione e delle sezioni di magaaino che ne custodivano le armi cd i materiali; - riduzione del numero dei magazzini e dei depositi. Nell'ambito dell'organizzazione scolastica la Scuola Truppe Coraz1.atc assorbì la Scuola Specialiuati Truppe Corazzate e fu dislocata a Lecce, la Scuola dei Servizi Trasporti e Materiali assorbì la Scuola della Motorizzazione cd il Centro Specialisti Armamento dell'esercito, la Scuola Tecnici Elettronici fu sciolta e le sue funLioni divise tra la Scuola Artiglieria Contraerei, la Scuola delle Trasmissioni e la Scuola dei Servizi Trasporti e Materiali, la Scuola delle Trasmissioni assorbì la Scuola Specializzati delle Trasmissioni, infine la Scuola Militare di Educazione Fisica fu disciolta cd i suoi compili assunti in parte dalla Scuola di Fanteria e Cavalleria cd in parte dal Centro Sportivo dell'esercito. Nel settore delle forze operative il riordinamento fu ancora più radicale. Furono infatti sciolle le brigate meccanizzate Brescia, Trieste e Vittorio Veneto e furono ridotte a quadro, in sostituzione delle previste tre brigate di mobilitaLione incentrate sulle scuole, la brigata meccanizzata Coito, la brigata corazrnta Mameli e la brigata alpina Orobica. La brigata missili Aquileia fu contratta a reggimento cd il Comando Artiglieria Contraerea dell'esercito trasformato in Comando Artiglieria di Scacchiere. I materiali ricuperati dalle brigate disciolte consentirono la trasformazione delle brigate motorizzale Cremona e Friuli in brigate meccaniLZalc. Fu inoltre disposto un notevole alleggerimento dei supporti, con lo scioglimento di gruppi squadroni e di gruppi di artiglieria, ed il trasferimento al
(6) La vigente leg1sl:llione annbuisce la gestione degli uflici di leva e dei consigli di leva ai c<m11111.uari di lel'll. funzionari direttivi dcll'amministra1ione della Difesa, rcclutati,1ramite concor-
so per titoli tra g li ufficiali di grado non superiore a quello di colonnello. Abituati ad una quasi completa autonomia_ in quanto Levadife. dalla quale dipendevano . non era in grado di controllare la loro a111vità, 1 commissan di leva non gradirono la nuova organiLzazione che ingloba nei distretti gli uffici di leva e che stabili sce la dipendenza dal Comando Leva, Reclutamento e Mobilita,ione dei con,1gli di leva paventando l'aui\ità di coordinamento e di cont.rollo dei nuovi organi a loro sopraord1naù.
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sud-di unità e reparti dislocati nelle regioni di nord-est. L 'articolazione delle forze operative al termine del riordinamento risultò penanto la seguente: - Regione Militare Nord-Ovest: • brigata meccanizzata Cremona; • I O gruppo squadroni Nizza Cavalleria; • 41 ° battaglione trasmissioni Frejus; • I O battaglione trasporti Monviso; -
Regione Militare Nord-Est: • 2° reggimento genio pontieri; • battaglioni trasmissioni 32° Valles e 42° Pordoi; • 14 autogruppo Flavia;
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Regione militare Tosco-Emiliana: • brigata meccanizzata Friuli; • brigata paracadutisti Folgore; • gruppo squadroni Lancieri di Firenze: • 8° gruppo artiglieria pesante campale Marmora; • reggimento genio ferrovieri; • 43° battaglione trasmissioni Abetone; • 7° battaglione trasponi Monte Amiata; • 27° gruppo squadroni ALE Mercurio;
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Regione Militare Centrale: • brigata meccanizzata Granatieri di Sardegna; • brigata motorizzata Acqui; • 8° gruppo squadroni Lancieri di Montebello; • 6° battaglione genio pionieri Trasimeno; • 44° battaglione trasmissioni Penne; • 8° battaglione trasporti Casilina; • 28° gruppo squadroni ALE Tuca,w;
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Regione Militare Meridionale: • brigate meccanizzate Garibaldi e Pinerolo; • 19° gruppo squadroni Cavalleggeri Guide; • battaglioni genio pionieri 5° Bolsena e 21 ° Timavo; • 45° battaglione trasmissioni Vulture; • 10° battaglione trasporti Appia; • 20° gruppo squadroni ALE Andromeda;
-
Regione Militare della Sicilia: • brigata motorizzata Aosta; • 141 ° battaglione fanteria Catanzaro; • 6° gruppo squadroni Lancieri di Aosta; • 51 ° battaglione genio pionieri Simeto;
IL NUOVO MODELLO DI DIFESA
• 46° batlaglione trasmissioni Mongibello; • 11 ° battaglione trasporti Etnea; -
Regione Mililare della Sardegna: • brigata motorizzata Sassari; • l O reggimento fanteria corazzato; • 47° compagnia lrasmissioni Sardegna; • 12° autoreparto; • 21 ° gruppo squadroni ALE Orsa Maggiore;
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3° corpo d' armata: • brigata meccanizzata Legnano; • brigata corazzata Ce11tauro; • 15° gruppo squadroni Cavalleggeri di Lodi; • reggimento artiglieria a cavallo; • 3° battaglione genio pionieri Lario; • 131 ° battaglione genio guastatori Tici110; • 3° battaglione trasmissioni Spluga; • 33° battaglione logistico Ambrosiano; • gruppi squadroni ALE 23° Eridano e 53° Cassiopea;
-
4° corpo d'armata alpino • brigate alpine Taurinense, Julia, Cadore e Tridentina; • 3° gruppo squadroni Savoia Cavalleria; • gruppi artiglieria pesante campale Pusteria e Vicenza; • gruppo artiglieria da montagna Udi11e; • 2° battaglione genio guastatori Iseo; • 4° battaglione genio pionieri Orta; • 4° battaglione trasmissioni Garde11a; • 24° battaglione logistico Dolomiti; • 4° raggruppamento ALE Altair;
- 5° corpo d' armata: • brigate meccanizzate Gorizia e Ma11tova ; • brigata corazzata Ariete; • brigata di cavalleria Pozzuolo del Friuli; • comando truppe anfibie; • 3 ° reggimento art.iglieria; • 5° reggimento artiglieria; • battaglioni genio guastatori 3° Verbano e 184° Santemo; • 132° battaglione genio pionieri Livenza; • battaglioni trasmissioni 5° Rolle e 184° Consiglio; • 33° battaglione trasmissioni guerra elettronica Fa/zarego; • battaglioni logistici 5° Euganeo e 8° Carso; • raggruppamento ALE Rigel;
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- comando artiglieria di scacchiere: • reggimenti artiglieria missili contraerei 4° e 5° ; • I21 ° reggimento artiglieria contraerei; • gruppi artiglieria contraerei I 7° Sforzesca, 21 ° Sparviero e 22° Alcione. Il riordinamento delle forze operative determinò anche il riordinamento dei battaglioni di fanteria preposti all'addestramento delle reclute. Alcuni furono discioltj ( 4° Guastalla, 16° Savona, 48° Ferrara, 84° Ven ezia, 89° Salerno), altri trasformali in battaglioni operativi, altri costituiti ex novo. Di seguito i B.A.R. con a fianco, in parentesi, la grande unità o il comando destinatario delle reclute: I O San Giusto (supporti 5° corpo d 'armata), 2° Pordenone (brigate Ariete e Pozzuolo del Friuli), 7° Cuneo (brigate Manto va e Gorizia), 11 ° Casale (brigata Centauro e suppporti 3° corpo d' armata), 23° Como (brigata Legnano e supporti 3° corpo d' armata), 26° Bergamo (brigata Cremona), 28° Pavia (supporti regioni militari Nord-Est e Tosco-Emiliana), 45° Arborea (brigata Sassari e supporti Regione Militare della Sardegna), 47° Salento (brigata Pinerolo), 57° Abru:zi (organizzazione penitenziaria militare e unità servizi dell'esercito), 60° Col di Lana (brigata Aosta e supporti Regione Militare della Sicilia), 72° Puglie (supporti Regione Militare Nord-Ovest), 80° Roma (volontari in fenna prolungata), 85° Verona (comando artiglieria di scacc hiere), 91 ° Lucania (brigata Garibaldi), 92° Basilicata (supporti Regione Militare Centrale e unità servizi della Difesa), 123° Chieti (brigata Acqui), 225° Arezzo (brigata Friuli) , 235° Piceno (supporti Regione Militare Centrale), 3° Guardie (brigata Granatieri di Sardegna e gruppo squadroru Lancieri di Montebello), battaglione alpini Mondovì (brigata Taurinense e supporti 4° corpo d'armata), battaglione alpini VicenLa (brigata Julia), battaglione alpini Belluno (brigata Cadore e supporti 4 ° corpo d ' armata), battagli one alpini Edolo (brigata Tridentina e supporti 4° corpo d'armata), 3° battaglione paracadutisti Poggio Rusco (brigata Folgore). A compl etame nto del pan orama o rdinativo delle forze operati ve e dcll'organizzaLione scolastica, un cenno sul nuovo ordinamento dcll'anna dei carabinieri, iniziato alla fine degli anni Ottanta e gradualmente portato avanti dal comando generale con decisione, tanto da poterlo considerare concluso: - Comando Generale; - Ispettorato Scuole Carabinieri; - 5 divisioni , 1• (Milano), 2• (Roma), 3• (Napoli), 4 1 (Messina), 5" (Padova); - 17 comandi regionali, Regione Piemonte e Valle d ' Aosta (Torino), Regione Lombardi a (Milano), Regione Trenti no- Alto Adige (Bo lzano), Regione Veneta (Padova), Regio ne Friuli-Venezia Giulia (Udine),Rcgione Liguria (Genova), Regione Emilia-Romagna (Bolog na), Regione T oscana (Firen.le), Regione Marche (Ancona), Regione Umbria (Perugia), Regio ne Lazio (Roma), Regione Abruzzo e Mo lise (Chieti ), Regione Campania (Napoli ), Regione Puglia (Bari), Regione Calabria (Catanzaro), Regione Sicilia (Palenno), Regione Sardegna (Cagliari);
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- 2 raggruppamentj carabinieri, I O (Milano) e 2° (Roma); - I reggimento carabinjeri a cavallo (Roma); - 13 battagUoni carabinieri, 1° Piemonte(Moncalieri), 2 ° Liguria (Genova), 3° Lombardia (Milano), 4° Veneto (Mestre), 5° Emilia Romagna (Bologna), 6° Toscana (Firenze), 7° Trentino Alto Adige (Lruves), 8° Lazio (Roma), 9° Sardegna (Cagliari), I0° Campania (Napoli), I IO Puglia (Bari), I 2° Sicilia (Palermo), 13° Friuli Venezia Giulia (Gorizia); - 94 comandi provinciali; - Scuola Ufficiali Carabinieri (Roma); - Scuola Sottufficiali Carabinieri (Firenze) su 1° battaglione (Velletri), 2° battaglione (Firenze), 3° battaglione (Vicenza); - 3 scuole allievi carabinieri, a Torino con il 2° battaglione a Fossano, a Roma con il 2° battaglione a Campobasso ed il 3° ad Iglesias, a Benevento con il 2° bauaglione a Chieti ed il 3° a Reggio Calabria; - Centro elicoueri (Praùca di Mare) su 13 nuclei elicotteri (Volpiano, Orio al Serio, Bolzano, Pisa-San Giusto, Falconara Marittima, Bari-Palese, Pontecagnano, Vibo Valentia, Palermo, Olbia, Cagliari- Elmas, CataniaFontana Rossa, Forlì); - reggimento corazzieri; - banda musicale. 5. Nel 1990 la situazione strategica mondiale, radicalmente mutata nel giro di pochi mesi dopo quasi un mezzo secolo di sostanziale immobilismo, rese superato lo strumento militare italiano, concepito e strutturato per parare una ben determinata minaccia che, improvvisamente, era scomparsa. Parlamento, governo e vertici militari furono perciò subito concordi nel ritenere ormai non più procrasùnabile l'adozione di un nuovo modello di difesa (7) per sostituire quello delineato nel Libro Bianco del 1985, quando iniziò il dibattito sul come e sul quanto rinnovare iniziarono però anche le divergenze di opinione. Le correnti neutraliste e pacifiste, fortemente radicate in molti partiti politici e nelle organizzazioni cattoliche, avevano infatti ripreso vigore e sostenevano con molta convinzione la tesi che il crollo del muro di Berlino avesse anche determinato la " fine della storia", la scomparsa cioè della possibilità di un conflitto, e che pertanto al nostro Paese non fosse più necessario conservare un apparato difensivo. Tesi infantile e pretestuosa perchè la dissoluzione dell'U.R.S.S. ha comportato sì una modificazione nella situazione geostrategica di riferimento, ma non ha annullato la minaccia, ne ha soltanto determinato una trasformazione, rendendola meno prevedibile e quindi di più difficile contenimento.
(7) Il modello di difesa può essere definito lo schema strategico ed operativo che, in relazione agli indirizzi della politica di sicurew1 ed ai principi di politica militare. indica le missioni operative fondamentali, le priorità difensive, la configurazione e lo schieramento delle forze nei vari settori operativi.
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L'onda emotiva prodotta nell'opinione pubblica dal miraggio della pace universale, coniugandosi con la difficile situazione economica, produsse l'effetto di un ulteriore e drastico taglio al bilancio non certo pingue della Difesa e l'annuncio del ministro della Difesa di voler definire in tempi brevi il nuovo modello di difesa, per poi sottoporlo all'approvazione del Parlamento, fu accolto dall 'esercito con una qualche inquietudine, non certo fugata dal dichiarato proposito del ministro di realizzare uno strumento ridotto nelle dimensioni e migliorato nell'efficienza. Ideare un nuovo modello di difesa significa ripensare e rimettere in discussione tutto l'apparato militare dello Stato, dopo averne naturalmente definito i compiti. Un'occasione unica per meditare sugli errori compiuti nel passato, per confrontare la nostra con le esperienze degli altri, per lasciar finalmente cadere incrostazioni e ridondanze, a condizione che si voglia veramente riformare e non soltanto ridurre. La riduzione dello strumento militare non può essere spinta oltre .quel limite che Liddell Hart definiva il minimo strategico, oltre cioè la capacità operativa - somma di fattori tecnici ma anche di fattori morali - di assolvere i compiti fissati alle forze annate dall'autorità politica. Le perplessità e le inquietudini dell'esercito nascevano quindi dal giustificato timore che, sulla base di reali esigenze di carattere economico, che imponevano di ridurre ancora le risorse disponibili per la difesa, e di meno reali, ma fortemente sostenute dai mass media, richieste sociali, si ripetessero gli errori del recente passato, quando ad una drastica riduzione delle strutture non aveva corrisposto quell 'incremento di efficienza e di credibilità che ci si era riproposti. Anche l'insistenza con la quale da molte parti politiche e sociali era richiesta l'abolizione della coscrizione obbligatoria o un ampliamento dell'istituto dell'obiezione di coscienza ed auspicata la costituzione dell'esercito su base volontaria appariva motivata non tanto della sbandierata necessità di accrescere la professionalità della forza armata ma dal reale desiderio di esentare dal fastidioso dovere di servire la Patria in uniforme chi non gradiva assolverlo. Come scrisse sulla Rivista Militare un arguto commentatore, "il giovane diviene elettore proprio quando è in odore del mai troppo apprezzato servizio di leva, quindi che vi è di meglio che trasformare un dovere oggettivo in diritto di opzione soggettiva a più facile o addirittura inesistente impegno a ridosso dell'avita dimora?". La conflittualità innegabile esistente tra le forze armate e gli insufficienti poteri di mediazione del capo di Stato Maggiore della Difesa furono per l'esercito un ulteriore motivo di preoccupazione, non essendo fuori logica ri~enere che marina ed aeronautica avrebbero tentato di modificare ancora a loro vantaggio la ripartizione dei fondi dell'area discrezionale <8>, enfatizzando la (8) li bilancio discrezionale - in pratica quello che rimane del bilancio della Difesa una volta depurato dagli stipendi e dalle pensioni, dalle spese per i carabinieri e da quelle per l'area interfon.e - fino alla fine degli anni Settanta era ripanito per il 51% all'esercito, per il 19% alla marina e per 11 30% all'aeronautica. Dopo tale periodo le percentuali furono modificate: 42% all'esercito, 22% alla marina. 36% ali' aeronautica.
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necessità di dotare lo strumento militare di grandi capacità di manovra strategica e di proiezione delle forze. Indubbiamente il nuovo contesto politico-strategico riduceva il ruolo statico di dissuasione che le forze armate erano state chiamate ad assolvere per lunghi decenni e ne faceva prevedere la possibilità di un impiego più dinamico per proteggere gli interessi italiani e quelli della comunità occidentale, ma anche questa nuova visione comportava, per essere credibile, l'esistenza di una componente terrestre di sicura affidabilità. L'esercito pertanto non doveva ridurre i suoi programmi di potenziamento, doveva anzi accelerarne l'esecuzione. 6. Nel giugno del 1990 il nuovo capo di Stato Maggiore dell'esercito, generale Goffredo Canino <9 >, in un intervento al Centro Alti Studi per la Difesa, denunciò senza mezzi tennini la grave situazione di ritardo del programma di ammodernamento dell'esercito. Con molta chiarezza, necessaria per l'uditorio interforze, il generale Canino individuò le carenze più gravi nell'insufficienza dei sistemi di comando e controllo, nella mancanza di una difesa contraerei diretta delle unità d'impiego, nella inaffidabilità della difesa controcarri alle corte distanze, nella mancanza di anni di saturazione, nella eterogeneità e nella vetustà della linea carri, nella modestia della componente elicotteristica. Il generale Canino, inoltre, richiamò l'attenzione sul problema del personale, ribadendo il punto di vista dell'esercito, restio ad abbandonare la coscrizione obbligatoria, anche per il poco felice risultato conseguito nel reclutamento dei volontari a ferma prolungata previsto dalla legge del 1986, rivelatosi fortemente carente sia per il numero sia per le caratteristiche culturali e caratteriali dei volontari. In effetti l'esercito non ha mai avuto motivo di considerare un fattore negativo la coscrizione obbligatoria, anzi ha sempre respinto l'ipotesi che la causa delle sue reali e presunte inefficienze risiedesse nell'attuale sistema di reclutamento. La coscrizione ha infatti sempre fornito a11'esercito elementi qualitativa(9) li generale Goffredo Canino è nalo a Riva del Garda nel I 93 I. Ha frequentato l'Accademia Militare d1 Modena dal 1950 a.I 1952, uscendone sottotenente di fantena. e poi la Scuola di Applicazione. Con il grado di capi1ano ha frequentato I '84° corso di Stato Maggiore della Scuola di Guerra, il 64° corso superiore di Stato Maggiore presso la Scuola di Guerrn spagnola e poi il 10° corso S1ati Maggion Interforze. Dopo aver comandato I '82° Torino, è stato capo dell'ufficio Affari Generali dello Stato Maggiore esercito dal 1975 al 1979. Promosso generale di brigata ha comandato per circa due anni la brigata meccanizzata Legnano e ha poi retto il I O reparto dello Stato Maggiore esercito fino ali' ottobre 1983, quando ha assunlo il comando della divisione meccanizzata Folgore in prossimità della promozione a generale di divi sione (31 dicembre 1983). Vice comandan1e della Regione Militare Centrale dal dicembre 1984 al settembre 1985, con il grado di generale di corpo d'armata ha ricopeno l'incarico di direttore generale della Direzione Generale per gli ufficiali dell'esercito, ha comandato la Regione MiJitare Tosco-Emiliana. è stato nommato capo di Stato Maggiore detresercito il primo aprile 1990. Nell'ottobre 1993 ha rassegnato le dimissioni a causa di insanabili contrasti con il minisuo della Difesa, incolore rappresentante di una incongrua politica punitiva nei confronti della forza armata.
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mente molto più idonei dei volontari, perchè più acculturaù e spesso in possesso di utilissime competenw in una vasta gamma di professioni e di mestieri. Anche sotto il profilo dell'impegno il comportamento del soldato di leva, impiegato in missioni all'estero o in particolari emergenze interne, è stato esemplare per grande affidabilità e per solidale generosità. Può darsi che la società italiana sia antimilitare o arnilitare, come hanno scritto sociologi e politologi, ma è incontestabile il fatto che i giovani italiani rispondono anche oggi con disciplina alla chiamata alle armi, nonostante le condizioni di obiettivo privilegio che la legge riserva agli obiettori di coscienza cd a coloro che adempiono agli obblighi di leva come ausiliari nelle forze di polizia, ed è legittimo prevedere che continuino a farlo anche in futuro. L'efficienza dell'esercito poi non dipende dalla maggiore o minore professionalità del soldato, ma dalla preparazione e dalla motivazione dei Quadri e dalla qualità dell'equipaggiamento e dell'armamento. Attribuire le innegabili carenze oggi presenti nell'organizzazione militare allo scarso rendimento del militare di leva è assolutamente pretestuoso. Il soldato svogliato e poco addestrato è sempre il prodotto deteriore di un inquadramento deficitario o di un impiego in compiti impropri. Per ridare smalto ed efficienza all'esercito non servono soldaù di mestiere, servono Quadri convinù e preparati, aree addcstrative adeguate, mc.ai tecnicamente affidabili, munizioni e carburante a sufficienza. Non sono le modalità del reclutamento che debbono essere cambiate, quindi, ma le modalità di effettuazione del servizio militare, con una marcata accentuazione degli impegni addestraùvi e con il deciso abbandono della mai abbastanza deprecata abitudine di impiegare soldaù di leva in sostituzione di operai ed impiegati civili. Il non aver preteso dalle autorità politiche la cosùtuzione di quel corpo civile ausiliario proposto nel 1948 dal generale Marras è stato un grave errore dei nostri vertici militari. Se il soldato di leva fosse stato sempre e soltanto impiegato in compiti addestraùvi ed operativi molto probabilmente sarebbero state risparmiate all'esercito le molto amare considerazioni espresse dal Ronza nel suo Il Pierino va soldato, operetta edificante e oggi più utile lettura per i giovani Quadri dell'Arte del comando del Gavet, che pure fu il vangelo laico di molte generazioni di ufficiali. Agli interventi del generale Canino e dei capi di Stato Maggiore della marina e dell'aeronautica si aggiunse, a conclusione del panorama conoscitivo sullo stato di salute delle tre forze armate che tradizionalmente conclude le sessioni del Centro AJù Studi per la Difesa, quello del generale Corcione, nella sua nuova veste di capo di Stato Maggiore della Difesa, che riassunse in sette punti le Linee essenziali del nuovo modello di difesa in elaborazione: "- primo: resùtuire alle forze armate la funzione tradizionale di sostegno della politica nazionale, indipendentemente dalle contingenti e inevitabili variazioni dçlle minacce o, come oggi si preferisce definirle nei fori internazionali, dei rischi; - secondo: ridurre l'attuale strumento militare in rapporto alla citata fun-
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zio ne ed in conseguenza di un'innegabile attenuazione delle più preoccupanti tensioni del passato che sono, tuttavia, ben lungi dall'essere scomparse; - terzo: conservare, ad un più basso livello, l'esistente rapporto reciproco tra le forze armate, nel!' intesa che se tale rappono è risultato ottimale a fronte della più grave minaccia terrestre, navale ed aerea sinora ipotizzabile, ancor più dovrebbe esserlo per qualsiasi altra evenienla, contingenza o rischio; - quarto: ridimensionare quantitativamente le forze, facendo senz'altro riferimento ai tetti che verranno stabiliti nei negoziati in atto (IO), ma tenendo conto, in particolare ed ancor più, delle risorse che il Paese è disposto ad attribuire al "Servizio Difesa" e che, già oggi, si collocano significativamente al di sotto dei livelli di cui si discute a Vienna; - quinto: mantenere, sul piano qualitativo, un costante raccordo con gli altri Paesi dell'Alleanza, specie con quelli europei, per non disperdere quel patrimonio di integrazione già acquisito, caratterizzato da una valenta che non è solo militare ma anche politica e costituisce prezioso modello di riferimento per processi di integrazione strutturale in altri campi significativi per l'unificazione europea; - sesto: ridisegnare, contestualmente ed in termini riduttivi ed economici, l'intero sostegno tecnico-amministrativo delle forze armate, nel!' intento di bonificare le numerose aree di sovrapposizione e di dispersione delle risorse; - seuimo: conferire, infine, all'intero strumento militare una più spiccata connotalione interforze, anch'essa portatrice di una maggiore razionalità e di una indispensabile economia di risorse". L'eco delle djchiaraLioni programmatiche dei venici militari non si era ancora spenta quando l'invasione del Kuwait e la conseguente decisione dell'ONU di reagire con la forza all 'aggressione irakena scossero l'opinione pubblica italiana, finalmente costretta a prendere atto di quanto fosse velleitaria l"ipote~i che una società secolare e moderna, fondata sul commercio, avesse steriliuato i germi della guerra. Persino Norberto Bobbio, l'alfiere del pacifismo laico italiano, ammise che "l'affermazione che tutte le guerre sono ingiusce non preclude la possibilità di distinguere l'aggredico dall'aggressore, il liberatore dal tiranno, la vittima dal carnefice" e riconobbe che "rinunciare alla forza in certi casi non significa mettere la forza fuori gioco ma unicamente favorire la forza del prepotente" 0 1>. Come è noto il governo giudicò l'adesione popolare alla guerra del Golfo non così convinta e così ampia da giustificare l' impiego di truppe di leva in operazioni di combactimeoto fuori dai confini nazionali, e l'esercito - che pure aveva espresso in merito un parere favorevole 0 2> - non partecipò alla prova di forza.
( IO) 1'ego:u:uo, iniziato nel mano 1989 a Vienna. sulle forze convenzionali in Europa (CFE) tra Spagna. Ponogallo. Francia, Danimarca. Norvegia, Italia. Grecia, Turchia. Unghena. Bulgaria e Romania per eliminare gli squilibri esistenti ed clinùnare la possi bilità di attacchi di sorpresa. ( 11) N. Bobb10. Una gutrra giusta? Sul cnnfliuo dtl Golfo. Padova. Marsilio Editore 1991 ( 12) Vds.le d1chiarazion1 del generale Canino su lnttrarma Ntws del 18 ottobre 1991.
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La vicenda del Golfo ebbe comunque una conseguenza importante: fece cadere tutte le obiezioni di principio sul volontariato e fece maturare l'orientamento a costituire alcune grandi unità esclusivamente con personale volontario, per disporre in ogni evenienza di una forza prontamente e sicuramente impiegabile. Coerentemente con tale orientamento ed in linea con le anticipazioni del capo di Stato Maggiore della Difesa sulle caralleristiche del futuro strumento militare italiano l'esercito potrebbe assumere un ordinamento su 13 brigate: - 5 costituite con personale volontario a lunga ferma e mantenute costantemente ad un livello di assoluta prontezza operativa; - 8 costituite con personale di leva, mantenute ad un livello di prontezza operativa ridotto, ma suscettibile di essere rapidamente elevato con un'opportuna mobilitazione. Sia le brigate di impiego immediato sia quelle di secondo tempo dovrebbero essere sostenute da un'organizzazione logistico-territoriale di ridottissime dimensioni. Naturalmente il condizionale è d'obbligo in quanto, come è stato più volte affermato nel corso di questa narrazione, tipo e dimensioni dello strumento operativo conseguono da scelte e da decisioni che competono agli organi politici.
***** Con la forzata rinuncia dell'esercito a partecipare alla guerra del Golfo, sollo l'egida dell'ONU ed a fianco dei tradizionali alleati, si chiude questa narrazione che aveva preso l'avvio dai lontani avvenimenti del 1849. Il futuro della forza armata non può essere oggi neppure delineato, subordinato come è giusto che sia a decisioni politiche che non sembrano ancora prossime ad essere definite. Ci sia però consentito di formulare almeno un auspicio: che i vertici politici dello Stato abbiano la capacità di prevedere, con ragionevole approssimazione, la possibile evoluzione della situazione geo-strategica e di dedurne una raLionale e consapevole scelta di campo, commettendo poi all'esercito compiti realisticamente assolvibili con le risorse a disposizione.
PARTE II
I PROTAGONISTI
GIUSEPPE ARIMONDI
Nacque a SavÈgliano il 26 aprile 1846. Uscito dalla Scuola Militare di Modena nel 1865 sottotenente dei bersaglieri, prese parte alla campagna del 1866 ed alla spedizione per la conquista di Roma nel 1870. Dopo aver frequentato la Scuola di Guerra, entrò nel 1874 nel corpo dì Stato Maggiore. Promosso capitano e poi maggiore, nel 1887 andò per la prima volta in Eritrea, addetto al comando del corpo di spedizione del generale Asinari di San Marzano. Rimase nella colorua fino al 1890, acquisendo una buona conoscenza del particolare ambiente e delle SUie necessità. Promosso colonnello, ritornò in Eritrea nel 1892 ed ebbe l'incarico di comandante delle truppe della colonia. Nel dicembre 1893, avuta la certezza che i dervisci avevano in animo di compiere una grossa scorreria nel territorio dei Beni Amer, quale governatore interinale della colonia, essendo in quel periodo il generale Baratieri in Italia, fece concentrare ad Agordat le truppe coloniali disponibili, 7 compagnie di fanteria e 2 squadroni di cavalleria, con due batterie di artiglieria e ne prese il comando. La mattina del 20 dicembre avvenne la battaglia. I dervisci, circa I 0.000 uomiru, la metà dei quali armata di fucili Remington, ottennero inizialmente un successo contro l'ala destra del dispositivo italiano, schierato davanti al piccolo forte di Agordat, tra il fiume Barca ed il torrente Damtai. Una delle due batterie fu catturata, mentre le truppe si ritirarono ordinatamente dietro il Damtai. Anche l'ala sinistra del nostro scrueramento fu costretta a ripiegare, sempre combattendo con molto ordine. Verso le 13.00 l' impeto dei dervisci cominciò a diminuire ed allora Arimondi lanciò la riserva al contrattacco. Ripassato il Damtai l'ala destra avanzò decisamente, riconquistando i pezzi perduti qualche ora prima, anche l'ala sinistra riprese il movimento in avanti ed i dervisci non ressero. Alle 14.30 erano in ritirata, vigorosamente inseguiti fino al tramonto, lasciando sul terreno oltre 1.000 uomini. Agordat fu uno splendido fatto d'armi che confermò la solidità raggiunta dalle truppe coloniali eritree, che sostennero l'impeto dei dervisci con grande fermezza e che, sia nel ritirarsi sia nell'avanzare, dimostrarono di aver raggiunto un buon grado di addestramento. Arimondi fu promosso maggior generale per merito di guerra. Nella successiva campagna del Tigré il generale piemontese riportò ancora la vittoria negli scontri di Adì Ugri, Coatit e Senafé (gennaio 1894), meritando una medaglia d'argento. A causa di un contrasto di pensiero con il generale Baratieri, Arimondi chiese di essere rimpatriato ma il governo non ritenne opportuno il provvedimento e Arimondi rimase. Il contrasto non fu senza conseguenza quando, forse per non avere bene interpretato gli ordini di Baratieri, Arimondi non ordinò al
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maggiore Toselli il ripiegamento dalle troppo avanzate posizioni raggiunte determinando l'episodio dell'Amba Alagi, dove il 7 dicembre I 895 Toselli cadde con quasi tutto il suo IV battaglione eritreo in un'impari lotta contro le orde di Menelik. A questo primo errore si aggiunse quello di ordinare al maggiore Galliano di mantenere il possesso del forte di Macallé, nel tentativo di rallentare l'avanzata delle truppe abissine. L'assedio non terminò con una strage solo per un accordo tra Baratieri e Menelik che permise il ripiegamento del presidio. Sono note le propensioni di Arimondi per una condotta offensiva della campagna e, forse, furono proprio le sue insistenze ad indurre Baratieri ali' infelice decisione di spingersi su Adua la mattina del l O marzo 1896. Arimondi , che aveva il comando della I brigata (5 battaglioni nazionali, l compagnia indigeni e 2 batterie di artiglieria), fu inchiodato dalla superiorità numerica abissina sulle pendici del monte Rajo e cadde combattendo. Alla sua memoria fu concessa la medaglia d'oro con la seguente motivazione: "Dopo aver valorosamente combattuto con la sua brigata, quando questa venne sopraffatta non volle riùrarsi ma con gruppi del 9° battaglione e di altri corpi continuò a combattere strenuamente sul monte Rajo finché fu ucciso".
PIETRO BADOGLIO
Nacque a Grazzano Monferrato, oggi Grazzano Badoglio, il 28 settembre 1871 da una famiglia di agricoltori. Entrato all'Accademia Militare di Torino, fu promosso sottotenente di artiglieria il 16 novembre 1890 e tenente il 7 agosto 1892. Trasferito al 19° da campagna a Firenze, vi rimase fino al febbraio 1896, quando fu inviato in Eritrea con la spedizione del generale Baldissera. Partecipò alla puntata su Adigrat per liberare dall'assedio il maggiore Prestinari e poi, terminate le ostilità con l'Etiopia, rimase per circa due anni in guarnigione sull'altopiano, ad Adi Caieh. Rimpatriato alla fine del 1898, frequentò la Scuola di Guerra, distinguendosi per l'equilibrata intelligenza e la grande tenacia posta nello studio. Promosso capitano il 13 luglio 1903: fu trasferito al 12° da campagna di stanza a Capua. Successivamente fu assegnato al comando del corpo d'annata di Bari ed al comando del corpo di Stato Maggiore, all'ufficio regolamenti. Una carriera fino a quel momento regolare, accelerata dalla guerra di Libia, alla quel Badoglio partecipò fin dall'inizio. Fu, infatti, decorato al v.m. per aver organizzato l'azione di Aio Zara e promosso maggiore per merito di guerra per aver pianificato l'occupazione dell'oasi di Zanzur. Rimpatriato, fu assegnato al 3° da fortezza di stanza a Roma. Tenente colonnello il 25 febbraio del 1915 fu assegnato al comando della 21 armata. Poco dopo l'inizio della
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guerra passò al comando della 4• divisione, il cui settore era dominato dal Sabotino, un monte privo di vegetazione e fortemente fortificato dagli Austriaci, fino ad allora giudicato imprendibile. Badoglio ebbe l'idea si espugnarlo usando il procedimento delle parallele. I lavori per scavare e rafforzare le successive trincee durarono mesi, Badoglio, promosso colonnello nell'aprile 1916 e divenuto capo di Stato Maggiore del VI corpo d'armata, continuò adirigerli e comandò la brigata che effettuò la conquista del Sabotino il 6 agosto I 916. Promosso maggior generale per merito di guerra, continuò nell'incarico di capo di Stato Maggiore fino al novembre, quando prese il comando della brigata Cuneo. Nel maggio 1917 fu incaricato del comando del II corpo d'armata, sostituendo i] comandante che non aveva approvato l'ordine di operazione del comando superiore, qualche giorno prima dell'inizio della 10" battaglia dell'Isonzo. Il II corpo d'armata conquistò il Vodice e Monte Kuk, posizioni ritenute quasi imprendibili, e naturalmente Badoglio acquistò nuovi meriti, tanto che il comandante della 2• armata, Capello, nella successiva 11• battaglia lo mandò nuovamente a sostituire un altro comandante silurato, quello del XXVII corpo. Al comando del XXVII Badoglio non ottenne nessun particolare risultato ma fu ugualmente promosso tenente generale, ancora per merito di guerra. Badoglio continuò a comandare il XXVII corpo e fu proprio nel suo settore che la mattina del 24 ottobre 1917 gli Austro-Tedeschi sfondarono. Badoglio, che si trovava a Casi, nel suo comando arretrato, a causa del bombardamento nemico che fece saltare tutte le linee telefoniche, si trovò completamente isolato e non riuscì più a mettersi in contatto con le sue divisioni nè con l'artiglieria che sembra avesse vincolato a non intervenire senza un suo ordine. Quando riuscì a rimettersi in contatto con un comando operativo una delle sue divisioni, la 19", era stata travolta dal nemico e le altre erano state messe alle dipendenze del generale Caviglia, che comandava il corpo d'armata contermine. Le responsabilità di Badoglio furono gravissime, anche per non aver ubbidito nei giorni precedenti all'ordine di Cadoma di spostare la maggior parte delle sue forze sulla destra dell'Isonzo. Sul momento nessuno si rese conte dell'errore di Badoglio. Capello fu subito sostituito perché ammalato, Cadorna, appena conclusa la ritirata, fu sostituito dal generale Diaz e Badoglio - ancora non è molto chiaro chi ne abbia fatto il nome - fu nominato sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito unitamente al generale Giardino. Lavoratore instancabile, molto preparato professionalmente, intelligente e volitivo, Badoglio divenne presto il punto di forza del nuovo Comando Supremo e quando, nel febbraio 1918, il generale Giardino fu inviato a Versailles, divenne sottocapo unico e alter ego di Diaz. L'inchiesta su Caporetto, che avrebbe dovuto inchiodare Badoglio alle sue responsabilità, invece lo assolse, perché il governo non volle colpire, quando ancora il conflitto era in corso, l'uomo che tanto operava per la vittoria finale. Sull'attività di Badoglio sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito nell'ultimo decisivo anno di guerra il giudizio è, infatti, unanimamente positivo. Anche le trattative per l'armistizio del 4 novembre 1918 furono condotte da Badoglio
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con equilibrio, con fermezza e con signorilità. Il 24 febbraio I 9 l 9 Badoglio fu nominato senatore, Caporetto era ormai un episodio dimenticato. Nell'agosto 1919 il Comando Supremo fu sciolto ma Badoglio continuò a ricoprire l'incarico di sottocapo di Stato Maggiore. Nel settembre il Presidente Nitti lo nominò Commissario straordinario del governo per la Venezia Giulia e lo mandò a Fiume, occupata da Gabriele D'Annunzio con i suoi volontari. Badoglio, installatosi a Trieste, cominciò una lunga trattativa con D'Annunzio, sperando che la situazione con il tempo si risolvesse da sola, senza costringerlo a far parlare le armi. In effetti il 2 dicembre Badoglio, promosso generale d'esercito e nominato capo di Stato Maggiore al posto di Diaz, tornò a Roma. Nel febbraio 1921 lasciò l'incarico ed entrò a far parte del Consiglio dell'esercito. Nel 1923 Mussolini lo mandò in Brasile come ambasciatore, ma già nell'aprile del 1925 fu richiamato a Roma e nominato capo di Stato Maggiore Generale, incaricato allora abbinato a quello di capo di Stato Maggiore dell'esercito. Promosso Maresciallo d'Italia nel 1926, dal 1° febbraio 1927 lasciò l'incarico di capo di Stato Maggiore dell'esercito al generale Ferrari, ma di fatto continuò ad esercitare un notevole potere di indirizzo e di controllo sulla forza armata, almeno fino alla nomina di Baistrocchi (1 ° ottobre 1934) a capo di Stato Maggiore. In seguito ad un plateale scontro, nel novembre del 1928, con il generale Cavallero, sottosegretario alla Guerra, Badoglio fu inviato in Libia come governatore generale nel gennaio del 1929, e vi trovò una colonia in pieno disordine amministrativo e travagliata da una vivace guerriglia. Onesto e realista, Badoglio rimise ordine nell'amministrazione e stroncò con mano fem1a la ribellione, avvalendosi per la condotta delle operazioni del generale Graziani, vice governatore generale e governatore della Cirenaica. Un'esperienza pienamente positiva: la colonia fu pacificata ed avviata ad uno sviluppo civile con l'attuazione di un ampio programma di opere pubbliche. Richiamato in Patria alla fine del 1933, nel novembre del 1935 fu inviato in Eritrea quale comandante supremo in sostituzione del generale De Bono che dopo avere attuato un primo sbalzo offensivo, non sembrava più in grado di padroneggiare la situazione. Badoglio, nel pieno vigore fisico ed intellettuale, dette veramente nella guerra con l'Etiopia il meglio di sè, confermando di essere un buon organizzatore ed un buon tattico. Nella condotta delle operazioni si dimostrò anche capace di resistere alle interferenze di Mussolini, che avrebbe voluto dare consigli e suggerimenti anche sul piano strettamente operativo. Entrato trionfalmente ad Addis Abeba il 5 maggio 1936 (il 9 avvenne il congiungimento delle truppe provenienti dall'Eritrea con quelle provenienti dalla Somalia al comando di Graziani e Mussolini proclamò la nascita dell'Impero) Badoglio rientrò quasi subito in Patria, accolto con grandi onori e con la concessione del titolo di duca di Addis Abeba e di qualche beneficio economico. Unico neo della campagna: l'uso di gas tossici che non servirono a :rendere più spedito il ritmo delle operazioni e che, invece, dettero modo, allora ed in seguito, di accusare, l'Italia di crudeltà da parte di quegli stessi storici che mai hanno avuto da ridire sui terroristici bombardamenti alleati delle città italiane dopo l'armistizio. Carico di onori e di prebende, Badoglio non ebbe il
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coraggio di abbandonare l'incarico di capo di Stato Maggiore Generale quando Mussolini manifestò l'intenzione di entrare in guerra a fianco della Germania, pur conoscendo le condizioni di impreparazione generale dell'esercito e delle altre due forze annate. Le prime cocenti sconfitte in Africa Settentrionale ed in Grecia fecero di Badoglio il capro espiatorio. Di fronte alle accuse di incompetenza, mossegli soprattutto dagli ambienti fascisti, dette le dimissioni. L'andamento disastroso del conflitto, il rancore per essere stato sostituito dal maresciallo Cavallero, suo antico avversario, l'incapacità di adattarsi al mestiere di pensionato fecero sì che Badoglio, avvicinato da alcuni uomini politici antifascisti (Bonomi, Soleri, Orlando) dimostrasse la sua disponibilità ad assumere la Presidenza del Consiglio ed a porre fine alla guerra e che ne facesse parola anche con il sovrano e con il generale Ambrosio, nuovo capo di Stato Maggiore Generale. Il 25 luglio 1943 Badoglio divenne Presidente del Consiglio e cominciò, da una parte, a tranquillizzare i Tedeschi, dall'altra, a stabilire un qualche contatto con gli Alleati. Riuscì male in entrambe le cose, i Tedeschi di fatto cominciarono ad occupare la penisola a partire dal 26 luglio e, quanto all'armistizio, l'ottusa intransigenza degli Alleati condusse l'Italia ad una resa incondizionata. Il biasimo per Badoglio fu ed è grande, rimane il fatto che a cinquant'anni dagli avvenimenti nessuno ha ancora detto quale azione si sarebbe potuta intraprendere per giungere ad un risultato migliore. Abbandonata Roma dopo l'annuncio dell'annistizio, Badoglio si recò a Brindisi con il sovrano e rimase alla Presidenza del Consiglio fino alla liberazione di Roma. L'8 giugno I944 cedette, infatti, l'incarico ad Ivanoe Bonomi, un politico che era già stato primo ministro dal luglio 1921 al febbraio 1922. Ritiratosi a vita privata, morì a Grazzano il IO novembre 1956, dopo aver scritto un volume di memorie L'italia nella seconda guerra mondiale, piuttosto deludente e non privo di inesattezze. Un giudizio definitivo sull'uomo e sul generale ancora non è stato scritto. Ebbe indubbiamente molti meriti e gravi colpe, maggiori approfondimenti storiografici potranno forse dimostrare che i primi furono più numerosi delle seconde.
FEDERICO BAISTROCCHI
Nacque a Napoli il 9 giugno 1871. Allievo dall'ottobre 1883 del Collegio Militare di Napoli, nel 1887 venne ammesso ali' Accademia Militare dalla quale uscì, sottotenente di artiglieria, nel 1889. Tenente nel 1891, dopo la frequenza della Scuola di Applicazione, fu assegnato al 3° da campagna. Inviato in Eritrea nel marzo 1896 partecipò alle operazioni contro i dervisci.
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Rimpatriato nello stesso anno fu riassegnato al 3°. Capitano nel 1902 fu trasferito al 12° da campagna e, successivamente al 13°. Inviato in Libia nell'ottobre 1911, meritò per il suo comportamento alla battaglia delle Due Palme la promozione a maggiore. Rimpatriato nel settembre 1912 fu assegnato nuovamente al 13°. Promosso tenente colonnello nel marzo 1915, allo scoppio della guerra fu inviato sul fronte degli Altipiani come comandante del IIl/13°, ottenendo due decorazioni al valore nel corso dell'anno. Inviato in Albania il 30 dicembre 1915 quale comandante del 5° raggruppamento misto, fu rimpatriato il 31 maggio 1916 e nominato comandante dell'artiglieria della 441 divisione. Promosso fl 3 agosto colonnello per meriti eccezionali, nel gennaio 1917 assunse il comando del 15° da campagna e poi del 22° raggruppamento d'assedio. Passato a comanclare l'artiglieria della 53• divisione si distinse nella 10' battaglia dell'Isonzo e fu incaricato del comando dell'artiglieria del II corpo d'armata. Durante la ritirata di Caporetto riuscì a portare fino al Tagliamento le sue quaranta batterie di medio e grosso calibro, materiale poi perduto per l'intempestivo brillamento del ponte di Pinzano. Comandante dell'artiglieria della 7• armata dal febbraio 1918, nel giugno fu promosso generale. Nel febbraio del 1919 fu inviato nuovamente in Libia, quale comandante dell'artiglieria ma già nel giugno fu rimpatriato . Comandante dell'artiglieria del X corpo d'armata di Napoli, nel 1926 fu promosso generale di divisione e ricevette il comando della divisione militare di Napoli. Generale di corpo d'armata nel settembre 1931, divenne comandante del IV corpo d'armata di Verona. Nel luglio 1933 Baistrocchi, che aveva aderito con entusiasmo al fascismo ed era stato eletto deputato nelle liste fasciste nel 1924, fu nominato sottosegretario di Stato alla Guerra e, dal primo ottobre 1934, anche capo di Stato Maggiore dell'esercito. Pur avendo pubblicamente dichiarato di voler "fascistizzare" l'esercito, in effetti l'opera di Baistrocchi al ministero della Guerra fu molto equilibrata, preoccupata sopratutto di migliorare l'efficienza dell'esercito. Si deve al generale Baistrocchi la nuova normativa d'impiego delle grandi unità in guerra, la creazione del Corpo Automobilistico e della Guardia alla Frontiera, un nuovo ordinamento dell'esercito, la mobilitazione ed il supporto logistico delle grandi unità durante la guerra italo-etiopica. Nel maggio 1936 fu promosso generale d'annata "per l'opera di preparazione e di mobilitazione delle forze armate terrestri operanti in Africa Orientale", ma il 7 ottobre dello stesso anno Mussolini lo sostituì nell'incarico, essendosi dichiarato contrario all'intervento nella guerra civile spagnola. Nel 1939 fu nominato senatore e nel 1944 collocato in ausiliaria. Nel 1945 fu arrestato e trascinato in giudizio davanti aJ Tribunale Militare di Roma, imputato per i reati di "fascistizzazione dell'esercito", "inserimento della milizia fascista nell'esercito", " influenza dello squadrismo fascista nella tecnica militare e sugli ordinamenti", "affarismo, intrigo e corruzione". Il processo si trasformò in una unanime testimonianza di stima ed il 22 settembre 1946 il tribunale lo assolse con formula piena. Il generale Baistrocchi morì a Roma il 10 giugno 1947.
I PROTAGONISTI
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ANTONIO BALDISSERA
Nacque a Padova il 27 maggio 1838. La morte del padre, cancelliere di tribunale, provocò il dissesto economico della famiglia e solo l'interessamento dell'imperatrice Marianna permise al giovane Baldissera l'ammissione ali' Accademia Militare di Wiener Neustadt dalla quale uscì sottotenente di fanteria nel 1857. Capitano di Stato Maggiore nel 1866, partecipò alla guerra sul fronte boemo, meritando la croce dell'Ordine di Maria Teresa. Dopo la guerra, avendo l'imperatore sciolto dal giuramento di fedeltà gli ex sudditi del Veneto, Baldissera ritenne pagato il suo personale debito di gratitudine verso la famiglia imperiale ed entrò nell'esercito italiano. Le belle doti morali ed intellettuali, l'approfondita preparazione tecnicoprofessionale, il fervido impegno gli consentirono una rapida carriera, nonostante la rigidezza del carattere e la provenienza dall'esercito austriaco gli suscitassero inizialmente qualche ostilità. Promosso colonnello nel 1879 ebbe il comando prima del 10° reggimento fanteria e poi del 7° reggimento bersaglieri. Dopo essere stato promosso maggior generale, nel novembre 1887 Baldissera partì da Napoli per Massaua con la spedizione San Marzano. Al comando di una brigata mista assicurò inizialmente la copertura del corpo di spedizione e poi, nel febbraio 1888, occupò le alture di Saati, apprestandole a difesa. Alla fine di marzo il negus Giovanni, con un esercito di circa centomila uomini, comparve davanti a Saati, ma non osò attaccare le forti posizioni e dopo qualche giorno si ritirò. Nell'aprile dello stesso anno, quando il grosso della spedizione San Marzano rimpatriò, Baldissera divenne comandante delle truppe rimaste, circa seimila uomini, e governatore della nascente colonia. Ottenuto finalmente un comando autonomo, Baldissera offrì ampia dimostrazione delle sue qualità. Convinto che l'ingrandimento della colonia dovesse avvenire poco alla volta, con l' impiego più della diplomazia che della forza, Baldissera iniziò una politica di penetrazione lenta e graduale, ma allo stesso tempo spregiudicata, sfruttando le rivalità dei capi locali e facendo ampio ricorso ali' impiego di truppe indigene. Parallelamente Baldissera iniziò anche una saggia politica interna per consolidare l'occupazione italiana e creare le basi di una assetto amministrativo stabile: apertura di strade; costruzione di ospedali; organizzazione dei servizi postali e doganali; ampliamento del porto di Massaua. Altro grande merito di Baldissera fu il completo riordinamento dei reparti indigeni che permise in
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breve tempo la sostituzione degli infidi bascibozuk, ereditati dal governo egiziano, con regolari battaglioni di ascari che, sotto il comando di ufficiali italiani, dimostrarono presto di essere valorosi e fedeli. Questa realistica politica di consolidamento e di graduale espansione non era condivisa dal presidente del Consiglio Crispi, che intendeva appoggiare il ras dello Scioa Menelik nella conquista del trono abissino, vacante per la morte in battaglia contro i dervisci del negus Giovanni ( IO marzo 1889), e che perciò voleva un'avanzata delle truppe di Baldissera nel Tigrè, il cui ras era nemico di Menelik. Baldissera, con l'appoggio del ministro della guerra Bertolè-Viale , riuscì inizialmente a resistere alle pressioni di Crispi ed a perseverare nella sua cauta politica di trattative con i capi locali che consentl l'occupazione di Cheren e di Asmara (2 giugno e 3 agosto 1889). Ma il presidente Crispi esigeva azioni più spregiudicate e, soprattutto, un'aperta azione di sostegno nei riguardi di Menelik, proclamatosi negus e firmatario del trattato di Uccialli. Baldissera allora chiese di rimpatriare e riprese la normale routine della vita di guarnigione, al comando della brigata Calabria e, dopo la promozione a tenente generale nel I 892, delle divisioni militari di Catanzaro e di Novara, facendosi sempre apprezzare per la linearità del carattere e le qualità dell'ingenio. Ma il ciclo africano della carriera di Baldissera non era concluso, dopo il sacrificio di Toselli all'Amba Alagi Crispi ritenne necessario rimandarlo in Eritrea. Ostacoli burocratici, e forse qualche esitazione dello stesso presidente, fecero si che Baldissera sbarcasse a Massaua soltanto tre giorni dopo la sconfitta di Adua, ereditando una situazione molto critica: mentre sintomi di ribellione si avvertivano un pò dovunque, gli Abissini si erano spinti sino al Mareb, il forte di Adigrat era sempre assediato e i dervisci premevano su Cassala. Baldissera si dimostrò ancora una volta comandante capace ed avveduto: riordinò rapidamente l'apparato mrntare, ristabill un clima di fiducia, inviò contro i dervisci il colonnello Stevani che il 3 aprile a Tucruf, presso Cassala, li sconfisse definitivamente, marciò alla volta di Adigrat che raggiunse il 4 maggio, liberando millequattrocento soldati italiani assediati da sessantacinque giorni. Menelik si era intanto già ritirato verso lo Scioa ed a contrastare Baldissera erano rimaste solo truppe tigrine. Ma il governo italiano non intendeva impegnarsi e Baldissera, ottenuto il rilascio dei prigionieri italiani in mano ai tigrini, rientrò a maggio nei confini della colonia. Rimpatriato nel 1897 e decorato con il Gran Cordone dell'Ordine Militare di Savoia, ebbe il comando del corpo d'armata di Ancona e poi di quello di Fir enze. Il 4 marzo 1904 fu nominato senatore, in omaggio ad una prassi consolidata, ma si limitò a frequentare Palazzo Madama solo in occasione dell'approvazione dei bilanci militari. Il 2 maggio 1906, per raggiunti limiti di età, Baldissera fu collocato a riposo. Si spense a Firenze 1'8 gennaio 1917.
I PROTAGONISTI
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ORESTE BARATIERI
Nato a Condi no presso Trento il I 3 novembre I 841, si arruolò giovanissimo tra i volontari garibaldini partecipando alla spedizione dei Mille. La buona cultura, l'ingegno vivace, l'animo intrepido gli consentirono una rapidissima carriera: sottotenente di artiglieria il I 6 giugno 1860, capitano di cavalleria il 16 novembre dello stesso anno, fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare per il fatto d'armi di Capua. Entrato nell'esercito italiano come capitano di fanteria il 16 aprile 1862, Baratieri iniziò una carriera più regolare e più ordinata, senza peraltro abbandonare amicizie e legami politici. Baratieri fu infatti deputato per sei legislature consecutive, dal 1876 (XIII legislatura) al 1895 (XYIIl legislatura), mi)jtando sempre nella Sinistra e progredendo contemporaneamente nella carriera: da maggiore a tenente generale. Baratieri svolse in quegli anni anche un'intensa attività di pubblicista e diresse la Rivista Militare Italiana dal 1876 al 1885. Tra le sue opere di storia militare, di tattica e di geografia si ricordano: Da Weissenburg a Metz, La situazione militare della Svezia, Evoluzione delle truppe a piedi in Austria e Prussia, I sottufficiali in Prussia, La guerra civile di Spagna (1873 - 1874), La leggenda dei Fabi, saggio di critica militare, Itinerario da Keren a Kassala, la regione fra l'Anseba e il Barca. Colonnello nel 1885 ebbe il comando del 4 ° reggimento bersaglieri e nell'autunno del l 887 partecipe> alla spedizione San Marzano in Eritrea. Rimasto nella colonia dopo il rimpatrio del grosso della spedizione, nel giugno del 1890 fu nominato comandante in seconda del corpo di spedizione e comandante della piazza di Massaua, nell'ottobre dello stesso anno ottenne il comando della zona di Cheren. Comandante delle truppe nel 1891, governatore della cQlonia nel 1892, Baratieri iniziò un'intensa attività amministrativa e militare al fine di consolidare la presenza italiana nella colonia cdi estenderne i confini. Nel luglio del 1893 fu promosso maggior generale e, nel dicembre, il presidente del Consiglio incaricato Zanardelli lo chiamò al governo come ministro degli Esteri. Le proteste dell'Austria furono immediate, l'irredento Baratieri dovette rinunciare all'incarico ed altrettanto fece Zanardelli. Il nuovo presidente, Crispi, rimandò Baratieri in colonia e questi, dopo la vittoria riportata ad Agordat sui dervisci dal colonnello Arimondi (21 dicembre 1893), occupò Cassala ( 17 luglio 1894) e giustificò l'inutile mossa con la necessità di prevenire altri possibili attacchi da parte dei dervisci. In Italia l'impresa apparve gloriosa e Baratieri ricevette la commenda dell'Ordine Militare di Savoia
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Reso più forte dal consenso del governo, Baratieri iniziò a penetrare nel Tigrè riportando nel gennaio 1895 alcuni successi, non decisivi peraltro. a Coatit ed a Senafé e procedendo all'occupazione di Adigrat, Macallé, Adua ed Axum. Crispi, in angustie politiche per l'ostilità del ministro Sonnino a nuove spese, ordinò allora il ripiegamento delle truppe, consentendo solo all'occupazione di Adigrat, tuttavia il negus Menelik non rinunciò a prepararsi per la guerra. Baratieri, promosso a marzo tenente generale, rientrò in Italia per sollecitare quei rinforzi che erano indispensabili per una condotta vittoriosa della guerra ormai imminente. Ebbe accoglienze trionfali, ma non ottenne un solo soldato. Rientrato a Massaua, Baratieri iniziò una politica oscillante, da una pai:te intavolò con Menelik trattative di pace dall'altra permise al generale Arimondi, fautore di una condotta offensiva, di continuare ad agire nel Tigrè. Baratieri dimostrò purtroppo di non possedere le qualità essenziali di un comandante: la fermezza del carattere ed i I prestigio sui propri subordinati. Ali' effimero successo a Debra Ailà nell 'ottobre succedettero così il massacro dell'Amba Alagi nel dicembre e la resa di Macallé nel gennaio 1896. Baratieri venne a trovarsi allora in una situazione critica: i successi abissini provocavano continue piccole rivolte, specie nell' Agamé; i rinforzi decisi dal governo dopo l'episodio dell'Amba Alagi non arrivavano; le trattative non si concludevano; Crispi premeva per un successo di prestigio e provvedeva nello stesso tempo a designare nel generale Baldissera il nuovo governatore della colonia. li 28 febbraio Baratieri tenne una riunione con i suoi generali e non seppe contrastare le tesi offensive di Arimondi che pure non condivideva. Testimonianza, indiretta ma probante, dell'incertezza di Baratieri fu l'ordine di operazioni diramato ai reparti il giorno dopo, privo di direttive sull'eventuale proseguimento dell'azione ma anche di ordini per un'eventuale ritirata. Si arrivò così il I O marzo 1896 alla battaglia di Adua. La sconfitta, dovuta soprattutto al mancato coordinamento delle colonne italiane che si presentarono al nemico in successione di tempo, fu gravissima e portò alle dimissioni di Crispi. Mentre Baldissera concludeva le operazioni belliche, Baratieri fu deferito al tribunale militare di Asmara per "omissioni, negligenze, abbandono di comando in guerra". , Assolto per inesistenza di reato, Baratieri abbandonò il servizio e si ritirò nel Trentino . Nel I 898 pubblicò Memorie d'Africa (1892-1896), accurato resoconto del suo operato in colonia. Morì a Vipiteno il 9 agosto 1901.
I PROTAGONISTI
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FIORENZO BAVA BECCARIS
Nacque a Fossano il 17 marzo 1831. Allievo dell'Accademia Militare dal 1845, il 5.2.1850 fu promosso sottotenente di fanteria. Passato in artiglieria, l'anno successivo fu promosso tenente. Nel 1852 si distinse per la coraggiosa condotta tenuta in occasione dello scoppio della polveriera di Borgo Dora; nel 1855-56 fece parte del corpo di spedizione in Crimea; nel 1859 prese parte alla campagna contro l'Austria guadagnando una medaglia d'argento al v.m. e la promozione a capitano; nel 1866, con il grado di maggiore, prese parte alla guerra nel 6° reggilmento di artiglieria da campagna. Nel 1869 pubblicò sulla Rivista Militare uno studio ponderoso, intitolato Considerazioni sull'ordinamento militare del regno, che conteneva numerose ed innovative proposte costituire un consiglio permanente di guerra, modificare le norme per l'avanzamento, caratterizzare diversamente il corpo di Stato Maggiore - e terminava con un 'appassionata esortazione perchè venissero migliorate le condizioni di vita della popolazione rurale, in modo da elevare il livello medio dei coscritti, e perché tra l'ambiente militare e la società si instaurassero più fecondi rapporti di conoscenza e di collaborazione. Promosso colonnello nel 1876, Bava Beccaris ebbe il comando del Collegio Militare di Milano e poi del 59° fanteria; nel 1882, promosso maggior generale, comandò la 21 brigata di cavalleria. ln quest'ultimo periodo la carriera del Bava Beccaris procedette lentamente, ma sicuramente. Promosso tenente generale alternò periodi di comando (divisione di Roma, VII corpo d'armata di Firenze) ad incarichi amministrativi (direttore generale di artiglieria e genio presso il ministero della Guerra). Nel gennario del 1895, ormai al termine di una lunga e prestigiosa carriera, fu trasferito a Milano, al comando del 1IJ corpo d'armata. Nel maggio 1898 si verificarono in quasi tutta l'Italia moti popolari di protesta contro il carovita, a Milano più violenti che altrove. Il Presidente del Consiglio, di Rudinì, ebbe paura che l'incendio rivoluzionario potesse estendersi a tutto il paese e nominò Bava Beccaris Regio Commissario Straordinario con pieni poteri sulla provincia di Milano. "Dalla quiete di Milano dipende forse la quiete di tutto il regno"' telegrafò al generale, esortandolo a procedere con mano ferma. E Bava Beccaris procedé con estrema determinazione, impiegando contro le barricate l'artiglieria. 11 numero delle vittime superò il centinaio e la sproporzionata reazione ai moti popolari generò, anche nella parte moderata, un forte risentimento contro l'esercito e contro il generale, tanto che Umberto I per risollevarne il prestigio gli concesse la croce di Grande Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia e lo nominò senatore. La carriera militare del
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Bava Beccaris era comunque terminata, il 16 aprile 1899 fu collocato in ausiliaria. L'anziano generale continuò peraltro ad interessarsi attivamente di problemi militari nelle aule del Senato. Nel 19 I I, nell'ambito delle celebrazioni per il primo cinquantenario del regno, fu pubblicata, sotto gli auspici del governo e dell'Accademia dei Lincei, l'opera Cinquant'anni di storia italiana (1860191 O) e Bava Beccaris fu incaricato di redigere la parte dedicata all'esercito. Con la collaborazione del capitano Giulio Del Bono dell'Ufficio Storico, l'anziano generale assolse il mandato in modo egregio e scrisse una sintetica quanto precisa monografia, Esercito italiano. Sue origini, suo successivo ampliamento. Stato attuale, molto consultata, e talvolta citata, anche oggi. Fiorenzo Bava Beccaris si spense a Roma 1'8 aprile 1924.
PAOLO BERARDI
Nato a Torino nel 1885, frequentò l'Accademia e fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1906. Partecipò con il grado di tenente alla guerra italoturca del 1911-19 I 2, meritando una medaglia di bronzo al valor militare. Capitano comandante di batteria nella prima guerra mondiale,meritò una seconda medaglia di bronzo. Nel dopoguerra, dopo aver frequentato la Scuola di Guerra, transitò nel corpo di Stato Maggiore e ricoprì diversi delicati incarichi: sottocapo di Stato Maggiore della I" armata nel 1926, coadiutore dell' Istituto di Guerra Marittima (1929-1932), comandante del 20° reggimento artiglieria dal 1932 al 1935, capo Ufficio Ordinamento dello Stato Maggiore del'esercito (1935-1937). Promosso generale di brigata nel 1938 comandò prima l'artiglieria e poi i reparti di Guardia alla Frontiera del I corpo d'armata. All'inizio della seconda guerra mondiale ebbe il comando del raggruppamento alpino Varaita-Po operante sul fronte occidentale. Promosso generale di divisione, comandò la divisione Brennero sul fronte greco-albanese, meritando la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Capo di Stato Maggiore della 7• armata dall'ottobre 1941 ali' aprile l 942, ritornò in Balcania al comando della divisione Sassari. Promosso generale di corpo d'armata, ebbe il comando del XXXI corpo d'armata in Tunisia, comando che resse con grande prestigio meritando una medaglia d'argento e la commenda dell'Ordine Militare di Savoia. Catturato dagli Inglesi e deportato in Inghilterra, il 5 novembre 1943 fu fatto rientrare in Italia ed il 21 dello stesso mese nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito. Sull'attività svolta dal generale Berardi in tale veste si veda quanto scritto
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nella parte I di questo volume, in questa sede è sufficiente ribadire che meglio non avrebbe potuto fare. Nel febbraio del 1945 per decisione del governo, che desiderava umiliare ancora l'esercito, fu sostituito nell'incarico dal generale Ronco, generale di brigata. Successivamente resse il Comando Militare Territoriale di Palermo e poi fu impiegato in importanti commissioni di studio presso il ministero. Collocato nella riserva per raggiunti limiti di età nel 1948, si spense a Torino il 13 dicembre del 1953. Sei mesi dopo fu pubblicato, a cura dei familiari, un volume scritto dal generale, Memorie di u11 capo di Stato Maggiore dell'esercito (1943-1945), documento rigoroso ed informato che ricostruisce un importantissimo periodo della vita del nostro esercito.
ETTORE BERTOLÈ - VIALE
Nato nel 1829 a Genova da antica e nobile famiglia piemontese, Ettore Bertolè-Yiale entrò nel 1844 all'Accademia di Torino, uscendone sottotenente di fanteria alla vigilia della prima campagna d'indipendenza, alla quale partecipò. Promosso tenente nel 1849, l'anno successivo transitò nel corpo di Stato Maggiore. Promosso capitano nel 1855, partecipò alla spedizione di Crimea ed alla seconda guerra d'indipendenza, distinguendosi a Pozzolengo ed a Confienza. Promosso maggiore, fu segretario del generale Fanti quando questi comandava l'esercito della Lega e poi suo capo di gabinetto, quando il Fanti divenne ministro della Guerra. Capo di Stato Maggiore del corpo di spedizione per la conquista delle Marche e dell'Umbria, ricoprì poi l'incarico di segretario generale del ministero della Guerra fino al 2 marzo 1862. Promosso colonnello nel 1861, maggior generale nel 1866, fu intendente generale dell'esercito durante la terza guerra d'indipendenza. Nel 1867 fu eletto deputato nel collegio di Crescentino, luogo d'origine della famiglia. Il 27 ottobre 1867 fu nominato ministro della Guerra nel gabinetto Menabrea, con il difficile e contraddittorio compito di rispettare le dissestate finanze dello Stato e di rimettere in efficenza l'esercito. Intelligente, alacre, competente, Bertolè-Yiale conservò l'incarico anche nei successivi rimpasti del ministero. Convinto della necessità di attuare profonde riforme nell'ordinamento dell'esercito, era stato, infatti , uno dei componenti della Commissione istituita dal ministro Cugia nel 1866 per studiare le opportune riforme, presentò al Parlamento un progetto di legge che innovava
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completamente la legge sul reclutamento del 1854 eliminando molti casi di esenzione. Il Parlamento, arroccato nella difesa del privilegio borghese, non approvò il progetto. Unica concessione alle più moderne idee del ministro fu l'approvazione di un provvedimento che abrogava l'esenzione dal servizio militare per i seminaristi. L'attività del ministro, definita saggia e provvida da uno studioso attento ed equilibrato come il Gallinari, fu comunque notevole in ogni settore dell'amministrazione e valse a risollevare l'esercito dalla profonda depressione in cui l'aveva gettato l'esito infelice della battaglia di Custoza. Dimessosi il 14 dicembre 1869 insieme al Menabrea, si occupò di alcune missioni diplomatiche per conto di Vittorio Emanuele li. Promosso tenente generale nel 1874 fu nominato comandante del corpo di Stato Maggiore, incarico che ricoprl fino al 1880 con assoluto prestigio e con grande capacità. Sempre rieletto nel suo collegio elettorale, nel 1880 la giunta per elezioni della Camera ne invalidò l'elezione per incompatibilità, il Bertolè-Yiale ricopriva infatti anche l'incarico di Gran Cacciatore a corte. Il re Umberto I lo nominò allora senatore, con decreto del giugno I 881, e , quasi contemporaneamente, il Bertolè-Yiale assunse il comando dell'VIIl corpo d'armata. Il 4 aprile 1887 Bertolè-Viale entrò nell'ultimo ministero Depretis e conservò l'incarico di ministro della Guerra anche con il successivo gabinetto Crispi. Anche la seconda esperienza ministeriale fu saggia e provvida e l'esercito ne trasse notevole beneficio. Bertolè-Viale, usufruendo anche di maggiori stanziamenti di bilancio, riuscì a consolidare l'ordinamento Ferrero su dodici corpi d'armata ed a dare un primo ordinamento alle truppe d'Eritrea. Il 31 gennaio 1891 lasciò il ministero, in seguito alla caduta del presidente Crispi e fu collocato a disposizione. Si spense a Torino il 13 novembre 1892.
ALBERTO BONZANI
Nacque a Rimini il 10 febbraio 1872. Entrato a diciassette anni nell'Accademia Militare fu promosso sottotenente di artiglieria nel settembre 1892. Tenente nell'agosto 1894, partecipò nel 1896 alla spedizione Baldissera in E ritrea. Dal 1899 al I 90 I frequentò brillantemente la Scuola di Guerra. Capitano a scelta nel 1904 ed assegnato al 17° da campagna, nel 1907 fu destinato alla Scuola di Guerra come insegnante aggiunto di logistica. lnviato nel 19 l 3 in Tripolitania si occupò dell'organizzazione dei serviLi fino al febbraio 1915 quando, promosso maggiore, fu assegnato al 25° da campagna. Tenente colonnello nel settembre dello stesso anno, fu nominato sottocapo di Stato
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Maggiore del I corpo e, successivamente, capo di Stato Maggiore della IO" e della 4• divisione. Nel marzo del 1916 passò all'Intendenza della 3• armata, quale capo di Stato Maggiore. Colonnello nel novembre dello stesso anno, fu nominato capo di Stato Maggiore del Vll corpo d'armata con il quale partecipò alle operazioni del maggio-giugno 1917 sul Carso, meritando una medaglia d'argento al v.m. Nell'agosto gli fu conferito l'incarico del grado superiore per merito di guerra ed assunse il comando della brigata Novara sul fronte di Castagnevizza, durante l'1 I• battaglia dell'Isonzo. TI 26 ottobre ebbe il comando interinale della 14• divisione. che riuscì mantenere ordinata e compatta durante la ritirata al Tagliamento. Ripreso il comando della brigata Novara, guidò la grande unità con mano ferma sino a Ponte di Piave, dove si schierò a difesa del ponte mantenendone il possesso fino al 9 novembre. Per l'energia e la bravura con le quali diresse il ripiegamento della 14• divisione prima e della brigata Novara poi gli fu conferita la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Nominato capo di Stato Maggiore della 2• armata il 18 novembre 1917, nel marzo 1918 passò con lo stesso incarico alla 6·. Promosso maggior generale per merito di guerra dopo la battaglia del Piave, ricevette anche la nomina ad ufficiale dell'Ordì ne Militare di Savoia per il suo operato nella battaglia di Vittorio Veneto. Dopo un periodo al ministero della Guerra, nel 1920 ebbe il comando della di visione militare di Torino e, nel giugno 1924, fu nominato vice Commissario per l'Aereonautica. In questo incarico Bonzani dimostrò grandi qualità organizzative e lucida intelligenza creando dal nulla una nuova forza armata. "Furono costituiti il quadro del personale navigante, istituita l'Accademia Aeronautica, la scuola allievi ufficiali e sottufficiali, la scuola per gli specialisti del genio aeronautico, furono definite le circoscrizioni territoriali, fu incrementata la produzione di aerei italiani, furono codificate le norme che regolavano la navigazione aerea con la promulgazione nel 1925 del codice dell'aria". Nominato senatore il 24 maggior I926, riassunse le funzioni di generale dell'esercito e comandò la divisione militare di Cuneo fino al 10 marzo I 928 e poi il II corpo d'armata di Alessandria. Nel febbraio del I 929 fu nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito. L'operosa attività e le realizzazioni conseguite dal generale Bonzani nel prestigioso incarico hanno già costituito oggetto di narrazione in questo volume e perciò non vengono più illustrate in questa sede. Comandante designato d'armata dal dicembre 1930, nel settembre 1934, lasciata la carica di capo di Stato Maggiore, assunse il comando designato d'armala di Bologna. li 26 aprile del 1936 una malattia improvvisa ne stroncò la forte fibra.
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LUIGI CADORNA
Nacque a Pallanza il 4 settembre 1850, da Raffaele, allora maggiore del genio, e da Clementina Zoppi. Allievo del Collegio Militare di Milano e poi dell'Accademia Militare di Torino, nel 1868 fu nominato sottotenente di artig lieria e poi, come era regola per i primi classificati di ogni corso, transitato nello Stato Maggiore. Tenente nel 1870, partecipò con il 5° artiglieria alla presa di Roma e fu poi assegnato aJ comando della divisione territoriale di Firenze, dove prestò servizio fino al 1875 quando, promosso capitano, fu trasferito a Roma al comando del corpo di Stato Maggiore. Incaricato di compilare alcune monografie relative a zone del confine di nord-est, percorse a piedi il confine o rientale, acquisendo una approfondita conoscenza del settore. Promosso maggiore nel 1883, comandò per tre anni un battaglione de l 62° fan teria e poi prestò servizio prima al comando del corpo d'armata e poi a quello della divisione di Verona, sono la guida sicura del generale Pianeti. Promosso colonello nel 1892, comandò per quattro anni il 10° reggimento bersaglieri e, successivamente fu capo di Stato Maggiore del corpo d'armata di Firenze dove ebbe come superiore un altro maestro, il generale Baldissera. Maggior generale nel 1898, tenne il comando della brigata Pistoia per sette anni, nel 1905 promosso tenente generale comandò la divisione di Ancona fino aJ 1907 e poi quella di Napoli per altri due anni. Nel 1908, dovendo essere nominato il nuovo capo di Stato Maggiore dell'esercito, il re pensò a Cadorna, anche per suggerimento di Baldissera. L'8 marzo il primo aiutante di campo del re, generale Ugo Brusati, scrisse a Cadorna chiedendogli di smentire le voci che gli attribuivano l'intenzione di non acceuare controlli di sorta nell'esercizio del comando. li 9 marzo Cadorna gli rispondeva di avere acquisito dal padre la convinzione che l'unità del comando fosse assolutamente necessaria alla vittoria; pertanto, poiché il capo di Stato Maggiore era il comandante responsabile dell'esercito, non doveva tollerare intromissioni nella preparaLione di pace e ancor più nelle operazioni bellic he, pur facend o salva l'autorità formale del sovrano. Con queste parole egli giocava coscie ntemente le sue possibilità di successo. Poco dopo, infatti, apprendeva la nomina all'alto incarico del gen. Alberto Pollio, che peraltro doveva dare ottima prova. Nel 191 O Cadorna assunse i I comando del corpo d'armata di Genova e, nel 1912, fu designato per il comando della seconda armata in guerra. L'anno successivo fu nominato senatore. La carriera di Cadorna sembrava arrivata alla conclusione quando l'improvvisa morte del generale Po llio, 28 giugno 191 4, provocò la sua nomina a capo di Stato Maggiore dell'esercito proprio quando l'orizzonte europeo si incupiva.
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Durante il perjodo della preparazione Cadorna si sforzò di migliorare l'armamento, di completare gli organici, di affinare la preparazione professionale dei Quadri, lavorando in accordo con il ministro della Guerra Zupelli e con il direttore generale di artiglieria e genio Dallo lio. Iniziate le operazioni il 24 maggio 1915, Cadorna le condusse con una estrema determinazione che non ammetteva nè ostacoli nè deboleue, operando un'impietosa selezione fra i Quadri - furono esonerati dal comando 206 generali e 255 colonnelli - e pretendendo dalla truppa una disciplina rigorosissima, priva purtroppo di una sia pur minima comprensione per le esigenze morali e materiali del soldato. Come ha scritto il Rochat nella voce Cadorna del Di:,ionario biografico degli italiani, "egli aveva saputo formare un esercito immenso, armarlo con relativa ricchezza e guidarlo con fermezza e fede, ma non comprenderne appieno tutte le debolezze e le caratteristiche e quindi non a valoriu.arne le risorse". Anche i rapporti con il governo furono male impostati, il principio dell'unità di comando, divenuto in Cadorna un dogma indiscutibile, lo portò ad isolarsi ed a convincersi che a lui solo spettasse determinare il fabbisogno di uomini e di materiali e che lui solo ne potesse decidere l'impiego, di cui intendeva del resto assumersi la completa responsabilità. La rotta di Caporetto sorprese Cadorna, che incolpò, pubblicamente, del disastro la scarsa combattività delle truppe della 21 armata, con una mancanza di stile e di senso dell'opportunità che lascia ancora oggi stupiti. Ripresosi subito, guidò con mano sicura la ritirata dell'esercito al Piave ma il 9 novembre 1917 fu esonerato dal comando dal nuovo Presidente del Consiglio, Orlando, anche per le insistenze degli Alleati ai quali si dovettero chiedere rinforzi. Nominato membro del Consiglio superiore di guerra interalleato di Versailles, Cadorna si adoperò con sagacia per promuovere una direzione unitaria del conflitto, coerentemente con le sue sempre professate convinzioni che uno stretto coordinamento tra i vari eserciti avrebbe abbreviato il contlino. Il 17 febbraio 1918 Cadorna fu richiamato in Italia e collocato a disposizione della commissione d'inchiesta, nominata dal Presidente Orlando per chiarire le cause di Caporetto. Sull'onestà intellettuale e sulla competenza di quella commissione si è già pronunciata la storia, sul momento però il giudizio espresso su Cadorna, ritenuto il principale responsabile della sconfitta e di ogni altro risvolto doloroso della guerra, fu ritenuto veritiero da molti ed il nome del generale passò daJl'esaltazione degli anni precedenti ad una denigrazione vile ed ingiusta. Nel settembre del 1919 Cadorna fu collocato in congedo assoluto e gli fu persino negata la croce di guerra. Cadorna, che rifiutò sempre la polemica, affidò la difesa della sua reputazione e del suo operato a due volumi di memorie, la guerra alla fronte italiana fino all'arresto sulla linea del Piave e del Grappa, ed ito nel 192 I e Altre pagine sulla guerra mondiale, del I 925, nei quali tracciò la storia del connillo con rigore storico e con limpidezza di stile, dimostrando di possedere anche notevoli qualità di scrittore. Negli anni successivi pubblicò anche una pregevole biografia del padre, il generale Raffaele Cadorna nel Risorgimento italiano, e Le più belle pagine di Rai111011do Montecuccoli, scelta accurata e sagace degli aforismi del grande
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condottiero modenese. Cadorna non aderl al fascismo, troppo lontano dalle sue convinzioni morali, e Mussolini gli si dimostrò apertamente ostile ma quando si accorse della grande popolarità del generale - a cui gli ex combattenti avevano offerto nel 1924 una villa a Pallanza, acquistata con una sottoscrizione nazionale cambiò atteggiamento e lo fece nominare Maresciallo d'Italia, unitamente al generale Diaz, il 4 novembre 1924. Ma Cadorna non era uomo da cedere all'ambizione. Il 30 marzo 1925 pronunciò in Senato un vigoroso discorso contro l'ordinamento proposto dal ministro Di Giorgio e gradito da Mussolini; nel 1927 recatosi in visita di dovere a Mussolini , allora anche ministro della Guerra, dopo aver inutilmente atteso un quarto d'ora, andò via dopo aver pregato il segretario di Mussolini di riferire a "sua eccellenza che nella sua vita egli non aveva fatto attendere cinque minuti nemmeno i suoi cavalli". Cadorna morì il 21 dicembre 1928 e la sua salma, dal 1932, riposa nel mausoleo eretto a Pallanza sulla riva del lago. I suoi eredi pubblicheranno nel !950 le Pagine polemiche, nelle quali Cadorna ribadisce la sua versione di Caporetto, e nel 1967 Lettere familiari, una selezione delle lettere scritte durante gli anni di guerra. Nonostante gli obiettivi limiti caratteriali, Cadorna fu un grande generale, ben preparato professionalmente, intelligente, energico, animato da un altissimo senso del dovere, esigente con tutti perché molto esigente con se stesso. Come tutti i comandanti di grande personalità, Cadorna suscitò intorno a sè grandi devozioni e inestinguibili rancori cd il suo operato ebbe apologisti e critici accaniti. A conclusione di questo breve profilo si riportano due g iudizi su Cadorna, dovuti il primo al maresciallo Caviglia, il miglior comandante espresso dall'esercito nella grande guerra, ed il secondo al generale austriaco Alfred Kraus, avversario di Cadorna nella battaglia degli Ahipiani ed a Caporctto. Scrisse Caviglia: "Egli era un uomo di forte volontà e di carattere fennissimo. Oggi (22 dicembre 1928, n.d.a.) voglio ricordare soltanto la sua grandezza dopo Caporetto. Imperterrito sotto i colpi della sfortuna, ergeva la sua fronte alteramente sugli avanzi della sua organizzazione bellica, senza un palpito nè di più nè di meno del suo cuore. Penso ad una di quelle rocce che si elevano sul Mar Ligure, contro cui si rovescia invano la furia delle tempeste. Egli raccolse gli avanzi dell'esercito dietro il Piave, li schierò con rapidità e precisione sulla nuova linea, di cui conosceva perfettamente le qualità ed i difetti, impassibile, e quando ricevette l'ordine di lasciare il Comando Supremo si ritirò in attesa di altri ordini. Fu grande nella sventura più che nella prospera fortuna". li generale Kraus a sua volta scrisse: "Era capo dell'esercito italiano un forte uomo, che ha assai poco del carattere italiano, Cadorna. Dopo la disgrazia della dodicesima battaglia, precipitò e scomparve, fu sottoposto ad un'inchiesta e dovette giustificarsi davanti a giudici: questo è il destino dei grandi soldati , quando gli avvenimenti cd i casi della g uerra sono più forti di loro. Ma Cadorna fu senza dubbio l'uomo più ragguardevole che l'Italia abbia prodotto nella guerra del mondo".
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RAFFAELE CADORNA (Senior)
Nacque a Milano il 9 febbraio 1815 da Luigi e da Virginia Bossi, entrambi di Pallanza. Nel 1825 entrò all'Accademia Militare di Torino ma non completò gli studi a causa del carattere ribelle. Arruolatosi nel 1833 come soldato distinto nel 1• reggimento della brigata Savoia, fu promosso sottotentente di fanteria il 2 aprile 1834. Dimessosi dopo un anno di servizio, si applicò con molta serietà a studi di carattere matematico ed entrò come luogotenente nell'arma del genio il 10 febbraio 1840. Capitano nel 1846, nel 1848 entrò con il grado di maggiore nell'esercito del governo provvisorio lombardo. Nell'ottobre del 1849 rientrò ne11'esercito sardo, nel 1851 ottenne di partecipare alle operazioni che l'esercito francese conduceva in Algeria contro i Cabilli, guadagnando la croce della Legion d'onore. Nel 1852, rientrato in Piemonte e transitato nell'arma di fanteria, ebbe il comando di un battaglione della brigata Acqui con il quale prese parte alla guerra di Crimea del 1855-56. Promosso tenente colonnello, nel 1859 prese parte alla 2• guerra d'indipendenza come capo di Stato Maggiore della divisione ed ottenne la promozione a colonnello per merito di guerra a San Martino. Nell'ottobre dello stesso anno, passato nell'esercito toscano, fu nominato ministro della Guerra con il grado di maggior generale. Nel nuovo incarico dette prova di grande equilibrio e di naturali capacità organizzative riuscendo, in breve tempo,a costituire due solide divisioni. Nel marzo del 1860, avvenuta l'unione della Toscana al Regno di Sardegna, rientrò nell'esercito sardo e prese il comando della 13• divisione con la quale partecipò alla campagna nelle Marche e nell'Umbria. Promosso tenente generale nel marzo 1861, fu inviato prima in Sicilia come comandante generale dell'isola, poi a Chieti, al comando della 17• divisione impegnata nella repressione del brigantaggio in Abruzzo, infine a Firenze al comando di quella divisione. Nella terza guerra d'indipendenza fu al comando della 17• divisione del corpo d'armata di Cialdini e poi, a fine luglio 1866, al comando del corpo d'annata che raggiunse il Friuli . Nominato Regio Commissario Straordinario per la provincia di Palermo, nel settembre dello stesso anno represse l'insurrezione del capoluogo siciliano con grande fermezza non disgiunta da un equilibrato senso di giustizia. Analogo, ingrato compito dovette assolvere in Emilia nel gennaio del 1869, per reprimere le sollevazioni popolari originate dalla tassa sul macinato. Nell'agosto del 1870 assunse il comando del "corpo di osservazione", su tre e poi cinque divisioni, dislocato alla frontiera con lo Stato pontificio e, nella notte tra I' 11 ed il 12 settembre, iniziò le operazioni che si conclusero con la presa di Roma il 20 settembre. Nel dicembre 1873 fu destinato al comando generale di Torino. Nel l 877 fu collocato a riposo, nel quadro di un provvedimento straordinario deciso dal ministro Mezzacapo per ringiovanire i Quadri
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dell'esercito. Eletto deputato nella 2• legislatura nel collegio di Oleggio, rieletto nei collegi di Pallanza prima e di Pontremoli poi, fu nominato senatore nel 1871. Presidente della Croce Rossa italiana dal 1888 al 1894, ricevelte il Collare dell'Annunziata nel 1895, nel venticinquesimo anniversario della presa di Roma. Morì a Moncalieri il 6 febbraio 1897.
RAFFAELE CADORNA (JUNIOR)
Nacque a Pallanza il 12 settembre 1889. Dopo aver frequentato il ginnasio nell'Istituto Sociale di Torino cd il liceo nel Collegio di Domodossola, entrò alla Scuola Militare di Modena uscendone sottotenente di cavalleria nel 1903. Assegnato al reggimento Lancieri di Firenze, prese parte alla campagna di Libia cd il 30 maggio 1912 meritò una medaglia di bronzo nel combattimento di Fonduk et Tokar. Rientrato in Italia con il reggimento dopo la guerra, nel luglio 1914 divenne ufficiale d'ordinanza del padre, nominato allora capo di Stato Maggiore dell'esercito. Jn questo incarico ebbe modo di fare alcune notevoli esperienze e di cominciare a comprendere la complessità dell'organiaa.lione militare. Entrata l'Italia in guerra, il tenente Cadorna ritornò al reggimento. Come moltissimi altri ufficiali di cavalleria fu poi distaccato dal reparto cd inviato a prestare servizio, come ufficiale di collegamento, presso i comandi di grande unità. Dopo aver frequentato l'apposito corso, entrò nel servilio di Stato Maggiore, non rinunciando mai a prendere parte ai combattimenti di prima linea e meritando nel corso del conflilto tre medaglie d'argento. Al termine della guerra fece pane della Commissione Militare Interalleata di Controllo, che aveva il compito di sorvegliare l'attuaLione da parte della Germania delle clausole militari contenute nel trattato di Versailles. Anche quest'ultimo incarico costituì per il giovane capitano una proficua occasione per ampliare la propria prepara1ione. aiutato dalla sua perfetta conoscenza del francese, dell'inglese e del tedesco. Rictrato in ltalia nel 1924 ebbe il comando di uno squadrone di Savoia Cavalleria. Nel 1926, promosso maggiore, prestò servizio all'Ispettorato dell'arma e nel 1929, promosso tenente colonnello, fu inviato a Praga come addetto militare. Nel 1934, rientrato in Italia, ebbe il comando di un gruppo di Lancieri di Firenze, di guarnigione a Ferrara. Promosso colonnello nel 1937 fu destinato a comandare il Savoia Cavalleria, inquadrato nella 3• divisione celere. Nel febbraio del 194 I, con la promozione a generale di brigata, lasciò il reggimento per il comando della Scuola di cavalleria a Pinerolo. ln questo incarico si prodigò mollissimo perché la trasformazione dei reparti di cavalleria in reparti coranati non ne spegnesse le tradi1.ioni, oltenendo che il Centro
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Addestramento Autoblindo venisse costituito presso la Scuola. Nel marzo 1943 assunse il comando della divisione corazzata Ariete, che si stava ricostituendo in Italia con reparti di cavalleria. Nell'estate, pur dedicando tutte le sue energie all'addestramento della nuova divisione, trasferita in agosto nei pressi di Roma, ebbe vari contatti con esponenti politici e con il Principe Umberto, non nascondendo nè il suo disappunto per la politica irresoluta del Maresciallo Badoglio nè la sua ferma convinLione che fosse necessaria l'abdicazione del sovrano, colpevole di aver avallato la politica di Mussolini per un ventennio. Cadoma nutrì sempre moltre riserve su Vittorio Emanuele 11I, ai suoi occhi responsabile della caduta in disgraLia del padre, il generalissimo Luigi Cadorna, dopo Caporello. Il 9 settembre l'Ariete respinse nella zona di Manziana-Monterosi i risoluti attacchi tedeschi finché non arrivò l'ordine di ripiegare su Tivoli, movimento ultimato alle ore 2 del 10. Nel mattino dello stesso giorno il comandante del corpo d'armata, generale Carboni, prima ordinò a Cadorna di tenersi pronto ad inviare una colonna a Roma e poi di prepararsi a contrattacare i Tedeschi che fronteggiavano la divisione Granatieri a sud di Roma. Cadorna attuò quanto gli era stato ordinato ma alle 17.00 giunse la notizia che era stato firmato un pallo di resa con i Tedeschi cd il contrattacco non fu sferrato. In esecuzione di quel patto anche l'Ariete dovette consegnare le armi. mentre i soldati furono inviati in licenza. Cadorna divenne un clandestino ed iniziò un'intensa attività resistenziale, mettendosi in contallo con esponenti politici e con il colonnello Montczemolo, che aveva costituito un fronte clandestino militare collegato con il governo del Sud. Cadorna non volle assumere il comando del fronte, offertogli da Montezemolo a nome del governo. perché intese dissociarsi immediatamente dal re e dal Maresciallo Badoglio. Cadorna, infatti, era convinto che l'Italia potesse moralmente risorgere soltanto se avesse messo risolutamente da parte tutti coloro che avevano una parte di responsabilità nella disfatta. Nel dicembre si recò al Nord e prese contatto con i rappresentanti del Comitato di Liberazione per l'Alta Italia, ritornò poi a Roma. Dopo la liberazione di Roma la Presidenza del Consiglio passò a Bonomi, Cadorna fu allora nominato comandante del Corpo Volontari della Libertà e paracadutato in Lombardia nell'agosto 1944. Come è noto, l'ordine di insurrezione generale venne dato dal Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia il 26 aprile 1945 ed il segnale fu un proclama di Cadorna trasmesso per radio. li 5 maggio 1945 fu nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito e si accinse al nuovo incarico con grande entusiasmo, deciso a rinnovare completamente l'apparato. Assumendo l'incarico, il 4 luglio 1945, nell'indirizzo di saluto scrisse: "il sangue in comune versato, riauaccando le tradizioni dei combattenti del Carso, del Grappa e del Piave all'epopea della guerra partigiana, rappresenta il lievito della resurrezione·•. La sua prima preoccupazione fu l'addestramento cd alla sua attività si deve la riapertura dell'Accademia Militare, finalmente unica per gli ufficiali di tutte le armi, e la creazione di un Centro Addestramento Reclute per ogni
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Comando Militare Territoriale, ponendo così le premesse per una precisa unità di indirizzo e per il conseguimento di un livello di preparazione uguale per tutti. Altro grandissimo merito di Cadoma fu quello di non permettere che l'esercito venisse coinvolto nella contesa istituzionale, rivendicando all'esercito il ruolo di supremo garante dell'ordine e della legalità al di sopra delle parti in lotta. Il I O febbraio del 1947 si dimise dall'incarico e dall'esercito, non essendo riuscito ad ottenere dai vari ministri della Guerra succedutisi nel periodo una chiara e completa definizione delle competenze e dei poteri del capo di Stato Maggiore dell'esercito nei confronti del ministro e dei sottosegretari.Eletto senatore quale indipendente nelle elezioni dell'apri le 1948 per il collegio Cusio-Ossola, fece parte della IV commissione per gli affari relativi alla difesa nazionale, di cui fu presidente nella successiva legislatura. Relatore delle leggi sullo stato giuridico e sull'avanzamento degli ufficiai i, Cadoma portò nell'alto consesso la sua grande competenza e la sua eccezionale serietà. Nel 1963 si ritirò dalla vita politica, per la quale avvertiva un disagio sempre più profondo, a causa delle frequenti compromissioni che il regime partitocratico comportava. Morì a Pallanza il 20 dicembre 1973. Ha scritto un interessante libro di memorie sugli avvenimenti 1943- I 945, La riscossa, edito da Riuoli nel 1948 e da Bietti nel 1976 con ampia introduzione di Marziano Brignoli.
CARLO CANEVA
Nacque ad Udine il 22 aprile 1845. Allievo dell' Accademia Militare di Wiencr-Neustadt, e poi della scuola d'artiglieria di Marisch-Weisskirchen, conseguì il grado di sottotenente di artiglieria nell'esercito austriaco. Durante la guerra del 1866 prese parte alle operazioni in Boemia, distinguendosi per perizia tecnica e per imperturbabilità al fuoco. Unitosi il Veneto all' Italia lasciò l'esercito austriaco passando, il 31 gennaio 1867, nell 'esercito italiano e conservando il grado di sottotenente. Promosso tenente nel 1869, dopo aver freq uentato la Scuola di Applicazione entrò nel corpo di Stato Maggiore. Promosso capitano nel 1875 fu destinato al comando del corpo a Roma ed iniziò una prestigiosa carriera: maggiore nel 1882, tenente colonnello capo di Stato Maggiore della divisione di Genova nel 1887, colonnello comandante del 4 1° reggimento fanteria nel 1891, capo di Stato Maggiore del VI corpo d'armata nel 1895. Nel 1896, dopo la battaglia di Adua, fu inviato in Eritrea dove prese parte alle operazioni contro i dervisci condotte dal generale Baldissera. Rientrato in Italia nel marzo 1898, fu promosso maggior generale ed ebbe il
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comando della brigata Re fino al 1902 quando, divenuto tenente generale, fu nominto comandante della divisione di Palermo e poi di quella di Messina. Ritornato a Roma, dal 1904 al 1907 fu comandante in 2• del corpo di Stato Maggiore. Successivamente ottenne ancora il comando di una divisione, quella di Verona; nel 1909 fu destinato al comando del VII corpo d'annata di Ancona e, subito dopo, a quello del IJI corpo d'armata di Milano; il 30 settembre 1910 ricevette la designazione al comando di un'annata in caso di guerra. Verso la metà di settembre del 1911 Caneva fu posto al comando delle truppe destinate all'occupazione della Libia. Come sempre il governo prese le decisioni sulla base di considerazioni diplomatiche, senza tenere conto delle esigenze militari per cui piani operativi e predisposizioni logistiche, elaborati in gran fretta da Caneva e dal capo di Stato Maggiore dell'esercito Pollio, si dimostrarono poco aderenti alla reale situazione. Dopo il violento combattimento di Sciara Sciat (23 ottobre 1911) Caneva, al quale erano stati conferiti i pieni poteri militari e civili, proclamò la legge marziale, per meglio stroncare la resistenza araba, e richiese adeguati rinforzi con un promemoria, molto realistico e lungimirante, al ministro della Guerra. Anche con l 'arrivo di notevoli rinfor.li le operazioni procedettero però con grande cautela, Per debellare la resistenza sarebbe stato, infatti, necessario spingersi nell'interno ma le forze disponibili non erano idonee, per la mancanza di equipaggiamenti specifici e di validi mezzi di traspono. Le operazioni pertanto procedettero con la progressiva dilatazione delle teste di sbarco, senza pervenire a risultati definitivi e perché l'avversario rifiutava il contatto e perché il terreno non offriva posizioni che, una volta occupate, garantissero il controllo della regione. Il governo, che aveva proclamato unilateralmente la sovranità italiana sulla Libia fin dal 5 novembre 1911 , richiese con molta insisten1,.a una condotta più dinamica della guerra. Caneva, sostenuto da Pollio e dal ministro della Guerra, non mutò linea d'azione. Nel marzo 1912 fu nominato senatore ma la sfiducia del presidente Gioi itli e le critiche della stampa aumentarono ed, alla fine, fu esonerato dal comando, provvedimento addolcito dalla promozione a generale d'esercito, massimo grado della gerarchia. Caneva fu in effetto il capro espiatorio di errori e di carenze che avevano ben altra origine. Nel maggio 1914, raggiunto dai limiti di età, Caneva lasciò il servizio. A causa del suo grado, superiore a quello di Cadorna, e della sua estraneità al conflitto, Caneva nel gennaio 1918 fu designato presidente della Commissione d'inchiesta sul ripiegamento dall'Isonzo al Piave nominata dal Presidente Orlando. La commissione lavorò attivamente, presentando già nel luglio 1919 un 'ampia ma non esauriente Relazione al Presidente Nitti, nella quale le responsabilità della rotta di Caporetto erano attribuite unicamente a Cadorna e ad alcuni suoi sottoposti (Porro, Capello, Cavaciocchi) accusati di aver troppo richiesto alle truppe, assolvendo conseguentemente l'esercito nel suo complesso, il governo e le parti politiche, che pure non erano esenti da errori e da colpe, ed escludendo Badoglio dal ristretto numero dei diretti responsabili. La Relazione suscitò naturalmente aspri contrasti nell'opinione
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pubblica, soprattutto gli ambienti di destra rimproverarono alla Commissione di aver troppo insistito sul malgoverno dei soldati e di aver ignorato le altre cause del cedimento morale dell'esercito nonché la dinamica dei combattimenti, che avrebbe svelato anche le responsabilità di Badoglio. Caneva fu ancora chiamato a far parte della commissione consultiva, nominata dal ministro della Guerra Bonomi nel luglio 1920, per il riordinamento dell'esercito. Il 25 settembre 1922 si spense a Roma.
EMILIO CANEVARI
Nacque a Viterbo il 19.12.1892. Entrato alla Scuola Militare di Modena fu promosso sottotenente di fanteria nel 19 I 2. Prese parte alla guerra italoturca e rimase in Libia fino al 1916, partecipò poi alla grande guerra prima sul fronte giulio e poi in Albania. Ambizioso cd inquieto, aderl al fascismo fin dal 1922. Dopo aver frequentato la Scuola di Guerra fece parte della missione italiana incaricata di definire i confini tra l'Albania e la Grecia, fu addetto militare a Bruxelles e, nel 1927, nuovamente in Libia, per le operazioni di riconquista. Accusato di irregolarità amministrative, dovette lasciare l'esercito nel 1934 con il grado di tenente colonnello. Scrittore incisivo e fecondo aveva già al suo attivo alcuni volumi - Zavie e lclma11 se1111ssiti in Tripolitania del 1917, Il metodo scientifico dello swdio della guerra del 1922, La Tripolita11ia del 1924, Clausewitz e la guerra odierna del 1930, una delle sue opere migliori e che valse a far conoscere in Italia il pensiero dello scrittore tedesco - per cui non ebbe difficoltà ad inserirsi nell'ambiente giornalistico, divenendo critico militare del Regime fascista. il quotidiano di Cremona di proprietà di Farinacci. E proprio dalle colonne di quel giornale condusse una schermaglia continua contro lo Stato Maggiore e contro l'indirizzo ordinativo impresso all'esercito dal binomio Gazzera-Bonzani. Nel 1935 pubblicò due volumi, lo spirito della guerra moderna, nel quale teoriuò un impiego del carro armato nello sfruttamento del successo. non rivelando quindi particolari qualità innovatrici, e la lotta delle fanterie, nel quale sosteneva la necessità di assegnare alla fanteria, protagonista del combattimento alle brevi distanze, un armamento di potenza, per metterla in condizioni di agire autonomamente quando l'artiglieria, per ragioni di sicurezza. non era più in grado di intervenire, senn però pregiudicarne la mobilità e la rapidità di manovra. Buon conoscitore del tedesco, in collaborazione con il generale Bollati, tradusse il Della guerra di Clausewitz, pubblicato nel 1942 dall'Ufficio Storico
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dello Stato Maggiore. Nello stesso anno pubblicò lo stato maggiore germanico da Federico il Grande a Hitler, opera di grande interesse che analizza con puntualità il metodo di lavoro adottato dai comandi tedeschi. Rientrato in servizio per l'appoggio di Cavallero, dopo l '8 settembre aderì alla repubblica di Salò e, promosso generale di brigata, fu segretario generale del ministero della Guerra, retto da Graziani. Autore dei primi provvedimenti legislativi che ricostituivano l'esercito, difese con vigore il principio dell' apoliticità delle forze armate, scontrandosi con Pavolini e Ricci che volevano invece sostituire l'esercito con la milizia. Nel dicembre 1943 fu pertanto costretto a dimettersi. Nel dopoguerra dette alle stampe prima Graziani mi ha detto, un volume apologetico nel quale difende l'operato del maresciallo con poco successo, e poi La guerra italiana. Retroscena della disfatta, due ponderosi volumi nei quali tracciò la storia dei complessi rapporti tra l'esercito ed il fascismo, rivelando al grosso pubblico le motivazioni delle scelte operate nel corso degli anni Trenta. L'opera non è priva di interesse, ma è viziata dal rancore personale dell'autore, che giunge spesso alla forzatura dei dati e degli avvenimenti pur di addossare tutte le responsabilità della nostra impreparazione militare al Maresciallo Badoglio. Si spense nel 1966.
UGO CAVALLERO
Nacque a Casale Monferrato il 20 settembre 1880. Allievo della Scuola Militare di Modena nel 1898, sottotenente di fanteria nel 1900, fu destinato al 59° reggimento fanteria. Nel 1904, ormai tenente, fu assegnato alla Scuola Centrale di Tiro di Parma come insegnante e, tre anni dopo, iniziò la Scuola di Guerra che terminò nel 1911, primo del corso. Di vasta cultura e di vivace intelligenza, Cavallero si segnalò anche per una pregevole attività di traduttore dal tedesco e dall'inglese di opere di carattere geografico e storico. Nel 1912, promosso capitano a scelta, fu destinato in Libia, ove nel maggio 1913, addetto allo Stato Maggiore della divisione Torino, si guadagnò una medaglia di bronzo al valor militare per aver disimpegnato "con molto zelo e coraggio" le sue funzioni durante il combattimento di Sidi el Garbàa. Rimpatriato, fu assegnato al 1° reggimento alpini e, nel maggio 19 I 5, al Comando Supremo, quale addetto alla segreteria del capo di Stato Maggiore
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dell'esercito, conseguendo la promozione a maggiore nel dicembre dello stesso anno. Passato all'ufficio operazioni, Cavallero si fece subito apprezzare per il lucido contributo di pensiero e per la razionale attività organizzativa, tanto da meritare la croce di cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia nell'agosto del I916, la promozione a colonnello per merito di guerra nel!' ottobre 1917 e quella a generale di brigata per meriti eccezionali nel dicembre 1918. I piani operativi delle battaglie del Piave e di Vittorio Veneto si debbono, infatti, in gran parte alla sua brillante attività di capo ufficio operazioni del Comando Supremo. Nel febbraio del 1919 Cavallero fu nominato presidente della delegazione militare italiana nel Comitato permanente interalleato di Versailles, ma ,nel giugno dell'anno successivo, si fece collocare in posizione ausiliaria speciale, probabilmente perchè impedito nella carriera da troppi generali di lui più anziani, e trovò impiego nell'industria privata divenendo direttore centrale della società Pirelli. Nello stesso periodo strinse una duratura amicizia con Farinacci e con altri membri del partito fascista. Richiamato in servizio nel maggio 1925, dopo l'assunzione dei ministeri militari da parte di Mussolini, Cavallero fu nominato sottosegretario per la Guerra e, unitamente a Badoglio, allora capo di Stato Maggiore Generale, fu l'artefice dell'ordinamento dell'esercito del I926. Senatore nel 1926 e generale di divisione l'anno successivo, Cavallero entrò in conflitto con Badoglio per essere stato l'ispiratore del RD n. 68 del 6 febbraio 1927 con il quale le attribuzioni del Capo di Stato Maggiore Generale furono drasticamente ridotte e separate da quelle del capo di Stato Maggiore dell'esercito. n dissidio tra i due generali fu tanto clamoroso da provocare, nel novembre 1928, dopo un'ennesima e pubblica manifestazione di disaccordo, l'intervento della corona: Cavallero dette allora le dimissioni e si dedicò nuovamente all'attività industriale, assumendo la presidenza della società Ansaldo. All'atto delle dimissioni gli fu concesso il titolo di conte, senza però il desideratissimo predicato di Vittorio Veneto. Nel 1933 Cavallero lasciò l'Ansaldo, a causa di una frode compiuta dall'azienda nella fornitura di corazze per la marina, anche se i sospetti su di lui non furono mai provati. Troppo ambizioso per rassegnarsi all'inattività, Cavallero cominciò a brigare politicamente per ottenere un qualche incarico e, dopo un periodo in cui fu delegato italiano alla conferenza di Ginevra per il disarmo, fu richiamato in servizio nel novembre del 1937, promosso generale di corpo d'armata ed inviato in Africa orientale dove nel gennaio 1938 assunse l'incarico di comandante delle truppe. Le operazioni di grande polizia coloniale, da lui dirette unitariamente, non dettero i risultati sperati, si fece allora rimpatriare, nell'aprile 1939, anche perchè in contrasto con il vicerè. La permanenza in Africa, comunque, non fu infruttuosa: ottenne una medaglia d'argento al valor militare e la promozione a generale d'armata per meriti di guerra il 10 maggio 1940. Il 6 dicembre 1940 Cavallero fu nominato capo di Stato Maggiore generale, in seguito alle dimissioni di Badoglio, ereditando una situazione molto compromessa. Assunto anche il comando delle truppe in Albania, recandosi sul posto, riuscì, a fine gennaio 1941, a fermare l'avanzata dei Greci.
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Nel marzo sferrò una controffensiva in Val Desnizza che non ottenne la sperala rottura del fronte, pur riuscendo ad indebolire notevolmente l'avversario. Nell'aprile, in concomiLanza con le operazioni tedesche contro la Grecia e quelle italo-tedesche contro la Jugoslavia, Cavallero, respinto un attacco jugoslavo su Scutari, avanzò fino a Ragusa, in Dalmazia, e si congiunse con i Tedeschi a Dibra e a Struga in Macedonia, ponendo così fine al conflitto. Rientrato a Roma ed ottenuta la legge del 27 giugno 194 I che gli dava poteri direttivi sui capi di Stato Maggiore delle tre forze armate, organizzò con razionalità e con ampiezza di vedute il Comando Supremo, mettendosi in grado di esercitare una effettiva coordinazione interforze e di effettuare un opportuno controllo su tutti i settori della nazione in guerra. Le buone qualità strategiche di Cavallero non dettero, peraltro, frutto alcuno e per la sua complela subordinazione a Mussolini, che pretese l'invio sul fronte russo di forze e materiali che sarebbero stati decisivi in Africa seuentrionale, e per il rifiuto tedesco di occupare Malla. Maresciallo d'Italia il IO luglio I 942 per ragioni di opportunità nei confronti di Rommel, nominalmente alle sue dipendenze, Cavallero fu rimosso dall'incarico nel gennaio 1943, probabilmente perchè Mussolini gli addebitava l'esito disastroso del conflitto. Dopo il 25 Luglio Badoglio lo fece arrestare. Liberato per intervento del re, fu nuovamente arrestato alla fine di agosto senza un valido motivo e tradotto a forte Boccea. Scrisse allora il famoso memoriale nel quale rivendicò di aver cospirato contro Mussolini fin dal novembre 1942 e di aver previsto il governo Badoglio. Liberato dai Tedeschi il 12 settembre, fu condotto a Frascati, presso l'alto comando germanico, dove gli fu comunicato da Kesserling che Hitler voleva affidargli le forze italiane decise a continuare la guerra al fianco dei Tedeschi. Cavallero rifiutò, la mattina del 14 novembre 1943, giorno fissato per il trasferimento a Monaco, fu trovato ucciso nel giardino dell'albero Belvedere di Frascati da un colpo di pistola alla tempia destra. Non è stato mai appurato se Cavallero si sia tolto la vita o se sia stato assassinato dai Tedeschi, è invece certo che il Maresciallo abbia ripudiato con dignitosa fermezza ogni forma di collaborazione, circostanza che induce a temperare il giudizio complessivamente negativo sulla sua condotta.
ENRICO CAVIGLIA
Nacque a Finalmarina, oggi Finale Ligure, il 4 maggio 1863 da una famiglia di commercianti. Dopo aver frequentato il Collegio Militare di Milano, il I O ottobre 1880 entrò nell'Accademia Militare di Torino uscendone sottotenente d'artiglieria il 5 gennaio 1882. Promosso tenente nell'agosto 1885, fu trasfe-
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rito al 20° artiglieria da campagna. Inviato in Eritrea nel 1888 vi rimase per due anni, rimpatriato frequentò la Scuola di Guerra e fu destinato al comando della divisione militare di Perugia. Inviato nuovamente in Africa nel febbraio 1896 ed assegnato al comando di Baratieri fu testimone della battaglia di Adua e partecipò poi alle operazioni contro i dervisci guidate da Baldissera. Rien trato in Italia fu assegnato alla divisione militare di Catanzaro. Nell'ottobre del 1905 pubblicò un articolo sulla Nuova Antologia per denunciare le durissime condilioni di vita dei contadini calabresi e sulla Rassegna d'arte di Corrado Ricci un saggio sulla basilica altomedievale di Roccella, a dimostra.liane dei suoi interessi culturali e sociali. Promosso maggiore a scelta, fu inviato a Tokio, come addetto militare accreditato per il Giappone e per la Cina, ed approfittò della circostanza per seguire gli sviluppi della guerra russo-giapponese, fu presente infatti a tutte le grandi battaglie di quel conflitto, e per studiare le civiltà dell'Estremo Oriente. Al termine dell'incarico, nel 1911, rientrò in Italia attraverso l'Asia a cavallo, dalla Cina fino al Mar Nero, riassumendo poi la sua esperienza in alcuni articoli sulla Nuova Antologia. Promosso tenente colonnello fin dal 1908, fu assegnato al X corpo d'armata di Napoli e poi inviato in Libia da dove inviò al Corriere della Sera numerosi articoli sulla natura del suolo e sulle prospettive agricole del territorio tripolino. Con la promoLiooe a colonnello fu comandante in 2• dell'Istituto Geografico Militare. Maggior generale nel 1915 ebbe il comando della brigata Bari schierata sul Carso. Nel 1916, al comando della 29" divisione, fu destinato sugli Altipiani prendendo anche parte alla ballaglia dell'Orligara. Nel luglio 1917, promosso tenente generale per merito di guerra, ritornò sul fronte dell'Isonzo al comando del XXIV corpo d'armata. Partecipò alla I I • battaglia dell'Isonzo ed il suo corpo d'armata riportò un buon successo. Durante l'offensiva austro-tedesca di Caporetto il XXIV corpo d'armata investito marginalmente, resse bene l'urto avversario. Quando Caviglia ricevette l'ordine di ripiegare, riuscì ad attuare lo sgombero dell'altipiano della Bainsizza con un certo ordine ed a salvare dal disastro anche tre divisioni del XXVII corpo d'armata. Schieratosi sul Tagliamento il 31 ottobre con otto divisioni riuscì a portarle tutte in buone condizioni di efficenza sul Piave il 6 novembre. 11 lusinghiero comportamento di Caviglia fu ricompensato con una medaglia d'argento, ma il corpo d'armata fu sciolto, nell'ambito del riordinamento generale dell'esercito, e Caviglia ne fu molto amareggiato, imputando la causa dello scioglimento a Badoglio, comandante del XXVII all'epoca di Caporetto e ora sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito. Nacque così l'implacabile ostilità di Caviglia nei confronti di Badoglio. Destinato al comando d ell'VII e poi del X corpo d'armata, nel giugno del 19 18 ebbe il comando dell'8° armata. Nella battaglia risolutiva di Vittorio Veneto 1'8° armata svolse il compito principale e Caviglia ricevette la Gran Croce dell'Ordine Militare di Savoia. Il 18 gennaio 1919 fu nominato ministro della Guerra nel governo Orlando ed il mese seguente senatore del regno. Inizialmente dette un notevole impulso alle opera.lioni di smobilitazione ma, dinnanzi allo sfavorevole
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andamento delle trattative di pace, per sostenere l'azione diplomatica di Orlando e Sonnino a Parigi bloccò di fatto i congedamenti. Alla fine di giugno il nuovo Presidente del Consiglio, Nitti, preferì sostituirlo al dicastero della Guerra con il generale Albricci. Promosso generale d'esercito nel novembre, un mese dopo fu nominato comandante dell'8 1 armata e Commissario straordinario del governo per la Venezia Giulia. Dopo il trattato di Rapallo con la Jugoslavia ( 12 novembre 1920) Caviglia ebbe dal Presidente Giolitti l'ordine di far sgomberare Fiume dai legionari dannunziani che la occupavano da oltre un anno ed eseguì l'ordine dal 24 al 28 dicembre 1920 con inf1essibile fermezza. In pratica fu quello l'ultimo comando effellivo di truppe tenuto da Caviglia. Membro del Consiglio dell'esercito esercitò ancora una notevole influenza e nel J925 fu al Senato uno degli oppositori del progetto Di Giorgio. Nel 1926 fu nominato Maresciallo d'Italia. Comandante designato d'Armata. senatore, membro del Consiglio dell'esercito, Maresciallo d'Italia, Collare della SS. Annunziata, Caviglia godette di grande prestigio e ricevette grandi onori, ma in effetti non esercitò più alcuna inf1uen1a sull'organizzaLione e sulla vita dell'esercito, saldamente in mano al generale Badoglio dal quale lo divideva sempre un'aspra antipatia. Come ha scritto Giorgio Rochat nel Dizionario Biografico degli italiani, Caviglia accettò il suo emarginamento con dignità e contenuta amarezza, senza cedere alla tentazione di riguadagnare terreno trescando negli ambienti fascisti o cercando facili successi di pubblicità. Fedele al suo alto concetto di disciplina mantenne verso il regime un atteggiamento pubblico di assoluta lealtà, esercitando in privato una critica anche a,;pra e mantenendo rapporti di amicizia con alcuni antifascisti dichiarati. La forzata inauività spinse Caviglia a riprendere l'attività di scrittore, pubblicando tra il 1930 ed il 1934 nella mondadoriana collana sulla prima guerra mondiale diretta da Angelo Gatti. tre interessanti volumi, LA battaglia della Bansizza, la Dodicesima Banaglia, l e Tre Battaglie del Piave. Questi volumi costituiscono un trittico che ricostruisce la storia dei combattimenti sul fronte italiano dall'agosto 1917 al novembre 1918, anche se non mancano riferimenti critici ai primi anni di guerra ed agli orientamenti generali delle Potenze intervenute nel conf1itto. Nel 1948 comparve poi un volume sui fatti di Fiume, volume di cui il governo nel 1925 aveva vietato la pubblicazione. Poco prima dell'entrata in guerra nel J940 Caviglia, nella prefazione ad un volume di Alberto Cappa, LA Guerra totale e la sua condotta, dette prova di una notevole indipendenLa di pensiero, esaltando la condotta democratica della guerra anglo-francese nel 1914-1918 in contrapposizione a quella autocratica degli Imperi centrali. In effetti Cavig lia non nascose , come si è detto, una sua certa insofferenza al regime, di c ui non condivideva la velleitaria politica estera. Caviglia, giunto occasionalmente a Roma 1'8 settembre 1943, tentò di coprire il vuoto di potere che il giorno 9 si era de terminato per il trasferimento de i vertici dello Stato a Brindisi ma non riuscì a riprendere alla mano una situaLione tanto compromessa e ritornò a Finale Ligure. Morì il 22 marzo 1945.
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Nel 1952 un fedele amico del Maresciallo, Mario Zino, pubblicò le note di diario che Caviglia aveva steso a partire dal 1925 fino alla sua morte. Nel 1968 fu pubblicato, infine, Il segreto della pace scritto tra il I943 ed il 1945 , nel quale il vecchio Maresciallo rievocava le vicende della guerra russo-giapponese dimostrando una grande simpatia per i laboriosi contadini mancesi che tra i disastri del conflitto, che popoli stranieri conducevano sulla loro terra, cercavano di sopravvivere riaffermando le perenni esigenze di pace dell'umanità.
LUIGI CHATRTAN
Nato ad Aosta nel 1891, si arruolò nel 5° alpini come soldato volontario nel novembre 1909. Promosso sottotenente di complemento alla fine del I 91 O, nell'agosto del 19 l 2 passò nel servizio attivo permanente, dopo aver frequentato un apposito corso preparatorio presso la Scuola di Applicazione di fanteria di Panna. Assegnato al 4° alpini, fu promosso tenente nel luglio del 1915 e prese parte con il reggimento alla 1• guerra mondiale. Capitano nel 1916, fu promosso maggiore a scelta alla fine del 1918. Al termine del conflitto frequentò la Scuola di Guerra e disimpegnò svariati incarichi presso il comando del corpo d'armata di Torino e presso la Scuola di Guerra, dove fu insegnante aggiunto di organica. Nel 1935, ormai tenente colonnello anziano, fu assegnato al IV comando superiore alpino, poi 4• divisione alpina, come capo di Stato Maggiore. Promosso colonnello il 31 dicembre 1936, dal gennaio dell'anno seguente ebbe il comando del 9° alpini, che lasciò nell'ottobre per assumere il comando della Scuola Militare Nunziatel/a. Ali' inizio della 2• guerra mondiale fu assegnato alla Commissione Italiana di Armistizio con la Francia e poi al comando difesa territoriale di Torino. Promosso generale di brigata nel gennaio 1942,fu destinato al comando della LI brigata di fanteria, che si doveva costituire nell'isola di Creta, nell'ambito della divisione di fanteria Siena. Giunto nell 'isola di Creta nel marzo 1942 trovò impiego nell'ambito del comando della Siena, in attesa dell'effettiva costituzione della LI brigata. Ammalatosi per i postumi di una pleurite contratta non per causa di servizio, nel dicembre rimpatriò e fu inviato in convalescenza. Rimessosi in salute nella primavera del 1943, fu assegnato al comando difesa territoriale di Napoli e, nel giugno, gli fu dato il comando della 227" divisione costiera. Nel luglio 1944 lasciò tale comando e fu destinato al ministero della Guerra per incarichi speciali. Nel dicembre 1944 fu nominato sottosegretario di
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Stato per la Guerra nel secondo ministero Bonomi. Ambizioso e d eciso a valorizzare l' incarico, entrò subito in conflitto con il Maresciallo Messe, capo di Stato Maggi ore Generale e con il generale Berardi, capo di Stato Maggiore dell'esercito, che tanto lo sovrastavano per qualità morali, intellettuali e professionali. Privo di effettivo prestigio e con un mediocre passato militare alle spalle, si allineò subito sulle posizioni governative, tese ad umiliare l'esercito ed aprivare i suoi capi di prestigio e di potere. Riusd pertanto a mantenere l'incarico fino al 23 maggio 1948, passando con indifferenza dal governo Bonomia quello Parri ed a quelli De Gasperi, collaborando con grande subordinazione con una numerosa serie di ministri: Casati, Brosio, Jacini, Facchinetti, Gasparotto, Cingolani. Premiato per la meritoria azione politica svolta, fu promosso generale di divisione nel luglio 1947 e fu eletto senatore per la democrazia cristiana nel collegio di Aosta. Collocato nella riserva il 1° giugno 1950, si spense a Roma il 22 settembre 1967.
ENRICO CIALDINI
Nacque a Castelvetro di Modena 1'8 agosto 1811. Nel 1831 abbandonò gli studi per arruolarsi nelle milizie del generale Zucchi e prese parte allo scontro di Rimini con gli Ausuiaci. Esule a Parigi, riprese gli studi ma , due anni dopo, si arruolò nelle milizie volontarie portoghesi come soldato. Il I O settembre 1834 si guadagnò le spalline di sottotenente per merito di guerra. Terminato il conflitto civile portoghese, i volontari stranieri furono congedati, il Cialdini si arruolò allora, con il grado di tenente, nei Cacciatori di Oporto, reggimento di volontari stranieri che, al comando del genovese Borso Canninati, combatteva in Spagna per la regina Cristina contro il pretendente Don Carlos. In quella guerra aspra e sanguinosa diede prova di coraggio e di intraprendenza, tanto che nel 1838, sempre per merito di guerra, fu promosso maggiore. Seguendo l'esempio del Fanti , altro modenese del reggimento, il Cialdini rinunciò al grado e passò nel 1840 nell'esercito regolare come sottotenente di fanteria. Ormai tenente colonnello, nel 1844 passò nella Guardia Civile, un corpo simile ai carabinieri del regno di Sardegna, e nel 1847 fu nominato comandante di legione. I moti del 1848 gli fecero abbandonare la Spagna e la carriera. Tornato in Italia, si arruolò nelle truppe che difendevano Vicenza agli
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ordini del generale piemontese Giovanni Durando. Ferito gravemente nel combattimento del 10 agosto, riparò in Piemonte dove gli fu affidato il comando del 23° reggimento costituito da volontari lombardi , che combattè alla Sforzesca e, due giorni dopo, a Novara sempre con valore e determinazione, tanto che al 23° fu concessa una medaglia d'argento al v.m. Terminata la guerra e sciolto il 23°, Cialdini ebbe il comando del 14° ed iniziò una regolare carriera nell'esercito sardo. Comandante di brigata in Crimea, promosso maggiore generale il IO agosto del 1855, aiutante di campo del re, nel 1859 comandò la 4" divisione che portò alla vittoria a Palestro. Il re lo promosse tenente generale sul campo. Terminata la guerra, il Cialdini ebbe il comando del IV corpo stanziato a Bologna, con il quale prese parte alla spedizione delle Marche e dell'Umbria, battendo a Castelfidardo le truppe pontificie del Lamoricière. Promosso generale d'armata, e ritornato il Fanti a Torino, ebbe il comando delle truppe nelle provincie meridionali e condusse a buon fine l'assedio di Gaeta e poi quello del forte di Messina, dimostrando sempre di possedere un'eccellente preparazione tecnica, una lucida intelligenza, un coraggio fisico notevole ma anche un eccessivo amor proprio. Un brano del suo proclama alle truppe dopo la resa di Gaeta dipinge l'uomo, sempre magniloquente:"Soldati ! Gaeta è caduta. !I vessiIlo d'Italia con le croce di Savoia sventola sulla torre d'Orlando. Quanto io presagiva, voi l'avete compiuto. Chi comanda soldati come voi, può farsi profeta di vittorie. La storia dirà i disagi che patiste, l'abnegazione, la costanza ed il valore che dimostraste. La storia narrerà i giganteschi lavori da voi eseguiti in si breve tempo. Il Re e la Patria applaudono al vostro trionfo e vi ringraziano. Soldati! Noi combattemmo contro italiani e fu necessario ma doloroso ufficio. Epperciò non potrei invitarvi a dimostrazioni di gioia, non potrei invitarvi agli insultanti tripudi del vincitore. Stimo più degno di voi e di me il radunarvi quest'oggi sotto le mura di Gaeta, dove verrà celebrata una gran messa funebre. Là pregheremo pace ai prodi che, durante questo memorabile assedio, perirono combattendo, tanto nelle nostre linee quanto nei baluardi nemici. La morte copre di un mesto velo le discordie umane e gli estinti sono tutti uguali agli occhi generosi. Le ire nostre d'altronde non sanno sopravvivere alla pugna. Il soldato di Vittorio Emanuele combatte e perdona". Terminata la campagna, tenne fino all'ottobre il comando del VI Dipartimento Militare di Napoli e poi riprese il comando del IV Dipartimento di Bologna. Inviato d'urgenza dal governo Rattazzi in Sicilia per fermare Garibaldi nel 1862, giunse a Messina quando il Nizzardo aveva già o ltrepassato lo stretto. Nel 1864 fu nominato senatore. La condotta di Cialdini nel 1866 è troppo nota per essere qui ricordata, al suo carattere altero ed orgoglioso può essere attribuito il dissidio con il La Marmora e la conseguente divisione delle forze, con tutte le negative conse-
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guenze che ne derivarono. Al Cialdini, comunque, bisogna riconoscere che almeno nella marcia - su unica direzione - delle sue truppe, da Rovigo a Padova a Treviso all'Isonzo, dimostrò di possedere grandi capacità professionali. Dopo la guerra ritornò al comando del Dipartimento di Bologna ma le polemiche insorte dopo Custoza lo avevano colpito profondamente. Ricoprì ancora prestigiosi incarichi - comandante generale delle truppe attive stanziate nella media Italia, comandante del l O corpo d'esercito, comandante del corpo d'armata di Firenze, Presidente del Comitato di Stato Maggiore generale - ma non esercitò più alcuna influenza sull'esercito e preferì recarsi all'estero. Fu, in falli, ambasciatore italiano a Madrid ed a Parigi per alcuni anni. Ritiratosi a Livorno, si spense 1'8 settembre del 1892.
GIUSEPPE CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO
Nato a Roma il 26 maggio 190 I da antica e nobile famiglia piemontese, appena tenninate le scuole medie superiori si arruolò volontario nel 3° reggimento alpini, ricevendo il battesimo del fuoco sui monti Lessini. Ammesso, nel dicembre 1918, al corso allievi ufficiali di complemento del genio fu promosso sottotenente il 27 aprile 1919. Congedato nel gennaio del I 920, per fine ferma, Montezemolo riprese gli studi laureandosi in ingegneria civile al Politecnico di Torino e si impiegò in una ditta genovese. Soldato nell'animo, appena fu bandito un concorso per la nomina a tenente nell'arma del genio, riservato agli ingegneri reduci dalla guerra, Montezemolo vi partecipò, lo vinse e, con anzianità 24 dicembre 1924, fu nominalo tenente in servizio attivo permanente. Capitano, frequentò dal 1930 al 1933 la Scuola di Guerra, classificandosi primo su 71 frequentatori. Assegnato al comando del corpo d'armata di Torino, promosso maggiore a scelta nel 1936, ebbe il comando di un battaglione del I O reggimento genio; nel gennaio 1937 fu inviato in Eritrea per il collaudo di alcune rotabili e, nel successivo mese di settembre, inviato in Spagna quale capo di Stato Maggiore della brigata Frecce Nere. Ricoprì tale incarico fino al maggio del J938, distinguendosi per le capacità organizzative e per il coraggio con il quale si esponeva al fuoco dell'avversario, doti che gli valsero la promozione a tenente colonnello per meriti di guerra. Rimpatriato, fu assegnato alla Scuola di Guerra con l'incarico di insegnante aggiunto di logistica. II 4 giugno 1940 Montezemolo fu trasferito al Comando Supremo, inizialmente con l'incarico di capo della sezione esercito, poi di capo dello scacchiere Africa ed infine di capo ufficio operazioni, incarichi lutti che ricoprì con
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prestigio e con competenza. Nel corso della sua permanenza al Comando Supremo Montezemolo si recò sul fronte dell'Africa Settentrionale sedici volte, a conferma che non gli mancava il coraggio e che il lavoro d'ufficio non appagava il suo spirito permeato dal senso del dovere e dell'onore. Promosso colonnello il I O maggio 1943, fu anche insignito dalla croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Il 27 luglio dello stesso anno il Maresciallo Badoglio lo volle a capo della sua segreteria ma l'incarico era poco gradito a Montezemolo che il 16 agosto ottenne il comando dell' 11° raggruppamento genio motocorazzato. Dopo la resa di Roma fu chiamato a reggere l'ufficio "affari civili" del Comando Città Aperta dal generale Calvi di Bergolo. Quando i Tedeschi, il 23 settembre, con gesto proditorio, disarmarono i reparti della Piave che presidiavano la città e circondarono il ministero della Guerra per catturare il generale Calvi ed il suo comando, Montezemolo, con l'approvazione del suo superiore, si sottrasse alla cattura ed entrò in clandestinità. In possesso di notevoli qualità organizzative, animato da un elevatissimo senso del dovere, titolare di un prestigio altissimo nell'ambito militare, Montezemolo riuscì a creare il Fronte Clandestino Militare che, progressivamente, si estese divenendo l'organo di collegamento di numerose bande armate urbane ed esterne. Mentre le prime, collegate con le organizzazioni dei carabinieri e della guardia di finanza, svolsero un compito prevalentemente informativo, le seconde poterono esplicare un'attività audace ed aggressiva nel Lazio e sulle montagne abruzzesi. Montezemolo, usufruendo di due stazioni radio del Servizio Informazioni dell'aeronautica, riuscì a stabilire stabili collegamenti con il governo di Brindisi, al quale inviò costantemente informazioni sull'attività dei Tedeschi e sulla situazione italiana nei territori occupati. Preoccupato che azioni sconsiderate potessero scatenare feroci rappresaglie sulla popolazione, Montezemolo scrisse di suo pugno le Direttive per l'organizzazione e la condotta della guerriglia, diramate ai comandi militari regionali a firma del generale Ambrosio per sottolinearne l'importanza, nelle quali erano proibite azioni di sabotaggio che potessero coinvolgere la popolazione. Il 25 gennaio 1944 Montezemolo, probabilmente per una delazione, fu catturato e condotto nel tristemente famoso carcere di via Tasso, dove fu subito brutalmente percosso, tanto da riportare la frattura della mascella. In Montezemolo il senso del dovere e dell'onore - lo abbiamo già notato erano più forti del dolore fisico e, nonostante le torture e le percosse, non rivelò nulla assicurando così l'impunità ai suoi collaboratori. Il 24 marzo 1944 Montezemolo, insieme ad altri 334 patrioti, 67 dei quali appartenenti alle forze armate, fu fucilato alle Fosse Ardeatine, inumana rappresaglia per l'uccisione di 32 soldati tedeschi, avvenuta il giorno prima in via Rasella ad opera di partigiani comunisti in spregio alle direttive emanate proprio da Montezemolo. Alla memoria del colonnello Montezemolo fu concessa la medaglia d'oro al valor militare.
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CARLO CORSI
Nacque a Firenze il 21 ottobre 1826. Orfano di entrambi genitori a cinque anni, ma fornito di beni di famiglia, studiò nel collegio Cicognini di Prato. Nell'autunno del 1844 si arruolò come volontario nel battaglione zappatori dell'armata sarda. Congedatosi nel febbraio 1848 con il grado di sergente, entrò nel II battaglione volontari delle truppe toscane con il grado di sottotenente, combattè a Curtatone e, dopo alcuni mesi, fu promosso capitano. Ma insoddisfatto dell'improvvisato esercito toscano, rientrò in quello sardo come sottotenente del Genio e fu inviato all'assedio di Peschiera. Dopo l'armistizio Salasco, sempre irrequieto e deluso, lasciò nuovamente l'esercito sardo per rientrare in quello toscano, ancora con il grado di sottotenente. Nominato nel I 851 professore di storia, geografia ed arte militare nel liceo militare di Firenze, vi rimase fino al 1859, quando fu promosso capitano e transitato nello Stato Maggiore. Nel 1858 pubblicò Della educazione morale e disciplinare del soldato, opera oggi dimenticata ma, per i tempi, eccellente saggio di pedagogia militare. Transitato nel 1860 nell'esercito italiano, si distinse per valore ed intraprendenza all'assedio di Ancona e sul Garigliano. Comandato alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo come insegnante di storia, geografia ed arte militare nel 1861 vi rimase, anche con la promozione a maggiore, fino al 1865 quando fu nominato sottocapo di Stato Maggiore del Gran Comando di Milano, retto dal generale Giovanni Durando. Nel periodo trascorso a Pinerolo il Corsi pubblicò, sulle più diffuse riviste del tempo, numerosi e brillanti articoli; a Milano tenne agli ufficiali del presidio, invece, una serie di sagaci conferenze culturali che poi riunì nel volume Conferenze di arte militare. Anche a Custoza il Corsi si rivelò ufficiale generoso ed intrepido sul campo di battaglia quanto era stato studioso colto e riflessivo in pace e guadagnò una medaglia d'argento al v.m. Conclusa la guerra, il Corsi ricoprì diversi incarichi di Stato Maggiore fi nchè fu inviato alla Scuola Superiore di Guerra con l'incarico di insegnarvi storia militare. Nel I872 di venne capo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore, nel 1877, promosso colonnello, comandò il 23° Como, allora stanziato a Palenno, e poi fu capo di Stato Maggiore del III corpo d'armata. Nel frattempo l'attività di scrittore non si era interrotta: nel I 869 il Corsi pubblicò un romanzo autobiografico, Enotrio. Dal Toscano del 1825 all'Italiano del 1859, nel 1870 uscì 18441869. Venticinque anni in Italia, volume interessantissimo e denso di notizie di prima mano su quel turbinoso periodo, sul finire del 1870 pubblicò sulla Nuova Antologia alcuni saggi sul conflitto franco-prussiano di cui seppe cogliere con immediatezza gli aspetti innovativi. Nel 1871 apparve poi la prima edizione del suo Sommario di storia militare, frutto del suo lungo insegnamento e che, per
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almeno in cinquantennio, costituì un sicuro punto di riferimento per tutti gli studiosi della materia. Nel 1875 comparve il primo volume della Relazione ufficiale sulla guerra del 1866 - il secondo volume comparve nel 1895 dopo la morte degli sfortunati protagonisti - opera completamente redatta dal Corsi. Brigadiere nel 188 I, ebbe il comando della brigata Parma, l'anno successivo fu nominato comandante in 2• del corpo di Stato Maggiore, retto allora dal generale Cosenz, incarico che gradì moltissimo e che tenne anche dopo il 1887, quando fu promosso tenente generale. Nel 1891, per espresso volere del re Umberto I, il Corsi iniziò a tradurre in italiano Le campagne del principe Eugenio, opera redatta e pubblicata a Vienna dall'ufficio storico austriaco. La versione italiana, per la ricchezza della documentazione e la precisione delle notizie, risultò superiore all'originale e fu terminala nel 1902. Nel maggio del 1892 Corsi assunse il comando del XII corpo d'armata di Palenno, rendendosi presto conto dell'estremo bisogno dei braccianti agricoli e degli operai delle zolfare. Crispi lo sostituì nel 1894 con il Morra di Lavriano ed il Corsi, inviato a comandare il corpo d'armata di Napoli, pubblicò il volume Sicilia. Studio storico, politico, sociale in cui analizzò con acume i problemi dell'isola che non potevano certo essere risolti con lo stato d'assedio. Raggiunto dai limiti di età nel 1895, si stabilì a Genova e continuò a lavorare con alacrità. Nel 1896 pubblicò Italia 1875-1895, ottima fonte di obiettivi giudizi di prima mano sulla storia dell'esercito, e numerosi saggi sulle pagine della Rivista Militare, della Rivista di fanteria e su Armi e Progresso, dimostrandosi contrario alle imprese coloniali e sempre sollecito delle fortune e del prestigio dell'esercito. Si spense il 30 maggio 1905.
ENRICO COSENZ
Nacque a Gaeta il 12 gennaio 1820. Avviato giovanissimo alla carriera delle armi, terminò i corsi della Nunziatella del 1840 con la nomina ad alfiere d'artiglieria. Primo tenente nel 1844, con tale grado fu inquadrato nel corpo di spedizione napoletano che, nel maggio 1848, fu inviato nell'Italia set.tentrionale per sostenere l'esercito sardo contro gli Austriaci. Quando re Ferdinando II abrogò la costituzione e richiamò a Napoli le truppe, il Cosenz seguì a Venezia Guglielmo Pepe e fu espulso dall'esercito borbonico. Nella difesa della citta lagunare dette prova di coraggio, di vasta preparazione professionale, di schietto patriottismo, riportando tre ferite e raggiungendo il grado di tenente colonnello. Dopo la capitolazione della città riparò a Malta e poi a Genova. Senza preoccupazioni di carattere economico, si dedicò ali' approfondimento dell'arte
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militare e collaborò alle pubblicazioni della Biblioteca Militare dei fratelli Mezzacapo. Inizialmente discepolo di Mazzini, se ne staccò gradatamente a partire dai moli milanesi del 1853, convinto che nessuna insurrezione cittadina avrebbe potuto avere ragione dell'Austria senza un adeguata struttura militare di sostegno. E cominciò a ritenere che tale struttura potesse essere solo l'esercito sardo per cui si trasferì a Torino e si avvicinò alla Società Nazionale di Giorgio Pallavicino e di Giuseppe La Farina. Nel 1859 si schierò con Garibaldi ed ebbe il comando di uno dei tre reggimenti dei Cacciatori delle Alpi distinguendosi molto nei combattimenti di Varese e di Treponli. Entrato nell'esercito regolare con il grado di colonnello ebbe il comando della brigata Ferrara. Partito Garibaldi per la Sicilia, il Cosenz dette le dimissioni, organizzò una colonna di circa 1300 volontari e sbarcò a Palermo il 6 luglio 1860. Garibaldi lo promosse maggior generale, gli affidò il comando della 16· divisione e lo invio al soccorso del Medici, che stava fronteggiando con difficoltà i borbonici davanti a Milazzo. Il 20 luglio avvenne la battaglia risolutiva e Cosenz si comportò ancora da soldato valoroso e da comandante avveduto ed esperto. Impegnato con la sua divisione nelle operazioni per il passaggio dello stretto di Messina nella notte tra il 21 ed il 22 agosto, accompagnò Garibaldi nell'entrata trionfale a Napoli il 9 settembre. Nominato ministro della Guerra, si disimpegnò egregiamente e nel settore strettamente tecnico ed in quello politico, dimostrandosi sempre convinto assertore del!' immediata annessione del regno meridionale a quello sardo. Nel marzo I 862 entrò nell'esercito italiano con il grado di tenente generale. Cominciò allora uno straordinario periodo di attività professionale, ricco di successi prestigiosi e di intime soddisfazioni. Intelligente e colto, sorretto da molteplici esperienze di vita, universalmente stimato, collocato quasi al vertice dell'ordinamento gerarchico, il Coscnz dette veramente la intera misura del suo valore. Dopo essere stato per breve tempo prefetto di Bari, ebbe, nell'agosto 1862, il comando della 20° divisione militare. In seguito gli fu conferito l'ufficio di aiutante di campo generale del re. In una corte militare come quella di Vittorio Emanuele II, la carica era prestigiosa, importante e delicata. L'aiutante di campo generale, oltre ad essere il responsabile della sicurezza del sovrano ovunque egli si trovasse, costituiva anche il tramite tra il re e le massime autorità militari per quegli affari che il re non riteneva di trattare per il tramite del ministro della Guerra. Nella persona prescelta per l'alto incarico dovevano assommarsi, quindi, cospique doti di intelligenza, tatto, riservatezza cd energia, tutte qualità che certamente non mancavano al Cosenz. La scelta di questo distintissimo ufficiale napoletano volle anche significare come, da parte di Vittorio Emanuele li e del governo, si volesse dimostrare la "spiemontesizzazjone" dell 'esercito. In ogni caso la scelta fu felice e valse anche a valorizzare, nella persona del Cosenz, gli ufficiali di provenienza garibaldina. La guerra del 1866 trovò il Cosenz al comando della 6· divisione, destinata all'inutile blocco di Mantova e poi inviata da Cialdini in rinforzo alla divisione Medici che, per la Valsugana, tendeva a Trento. Dopo la guerra comandò la divisione militare di Bologna e nel 1870 I' 11• divisione che faceva parte del corpo di spedizione per la liberazione di Roma. Terminata la
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breve campagna, il Cosenz ebbe il comando della divisione militare di Roma fino al 1877, anno nel quale assunse il comando del corpo d'armata di Torino, incarico he ricoprì per quattro anni; nel 1881 fu chiamato alla presidenza del Comitato di Stato Maggiore. Nel 1872 il Cosenz, eletto per cinque legislature alla Camera, fu nominato senatore. Nello stesso periodo scrisse alcuni saggi, sulla guerra austro-prussiana del 1866 e su quella franco-prussiana del 1870, molto pregevoli e che offrirono la misura della sua grande preparazione professionale. L' 11 novembre 1882 fu istituita la carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito ed a ricoprirla fu chiamato il Cosenz. Rammodernare, consolidare, potenziare l'esercito, questo era il pesantissimo compito che il generale napoletano doveva affrontare, e vi riuscì in modo egregio. L'ampia trattazione, fatta nella prima parte di questo volume, dell'attività del Cosenz nell'alto incarico rende superfluo parlarne in questa sede, è sufficiente ricordare che il 3 novembre I 893, quando lasciò l'incarico a domanda, l'esercito disponeva finalmente di una pianificazione di mobilitazione ed operativa completa, esauriente e fattibile nonché di un corpo dottrinale-scritto di proprio pugno dal Consenz moderno, in linea con le armi e le concezioni del tempo. Si spense a Roma il 28 settembre del 1898.
ANDREA CUCINO
Nato a Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno, il 23 luglio 1914, fu al Iievo dell 'Accademia di artiglieria e genio di Torino nel biennio I 9331935 e fu promosso sottotenente di artiglieria nel settembre 1935. Dopo la fre-
quenza della Scuola di Applicazione nell'ottobre 1937, promosso tenente, fu trasferito ali' 8° artiglieria da campagna della divisione Pasubio. Con tale reggimento prese parte alla campagna di Jugoslavia nell'aprile 1941 e, dal giugno dello stesso anno, alla campagna di Russia, prima nei ranghi del CSIR e poi in quelli del!' ARMIR. Promosso capitano per meriti di guerra nel marzo 1942, meritò una medaglia di bronzo ed una d'argento al valor militare per il fiero comportamento tenuto, al comando della sua batteria da 100/17, nella prima e nella seconda battaglia del Don. Rientrato dalla Russia nella primavera del 1943, fu inviato, sempre con I '8° da campagna, in provincia di Napoli nell'ambito della difesa costiera. Dopo le vicende armistiziali prestò servizio presso lo Stato Maggiore dell'esercito a Brindisi e, successivamente, fu assegnato al 35°· artiglieria da campagna del gruppo di combattimento Friuli, con il quale partecipò alle ulti-
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me fasi della Guerra di Liberazione. Promosso maggiore ancora per meriti di guerra, comandò dal 1947 al 1949 il 3° gruppo da 88/27 del 35° e poi frequentò il 74° corso della Scuola di Guerra. Trasferito nel I 953 allo Stato Maggiore dell'esercito, fu assegnato inizi al men te all'ufficio Operazioni e poi a ll 'ufficio Addestramento e Regolamenti, divenendo capo della sezione Regolamenti. Tenente colonnello nel 1955, colonnello nel 1959 ebbe il comando del 132° artiglieria della divisione Ariete. Dal luglio 1960 all'agosto 1963 fu destinato a Washington presso lo Standing Group. Promosso generale di brigata nel dicembre 1963, ebbe il comando della 3 brigata corazzata dell'Ariete , successivamente fu capo dell'ufficio del capo di Stato Maggiore dell'esercito e poi capo del T0 Reparto. Promosso generale di divisione alla fine del 1967 comandò la divisione Ariete e fu successivamente nominato Ispettore dell'arma di artiglieria. Promosso generale di corpo d'armata nel dicembre 1970, nell'aprile 1972 fu nominato Segretario Generale della Difesa e, il 1° febbraio 1975, capo di Stato Maggiore dell'esercito. Della sua attività in tale incarico è stato ampiamente riferito nella parte I di questo volume, in questa sede si ricorderà soltanto che il nome del generale Cucino sarà sempre legato alla ristrutturazione dell'esercito del I 976 di cui fu il vero artefice. Collocato in ausiliaria il 21 agosto 1977, si spense a Roma l' 11 marzo 1989.
ALFREDO DALLOLIO
Nacque a Bologna il 21 giugno I 853. Entrato nel 1870 nell'Accademia Militare di Torino ne uscì sottotenente di artiglieria nel 1872 e, dopo la frequenza della Scuola d'Applicazione, fu inviato ai reggimenti dove percorse tutti i gradi della gerarchia fino a quella di tenente colonnello ed acquisì una grande pratica del servizio. Trasferito a Venezia nel dicembre del 1903 come direttore d'artiglieria del corpo d'armata di Padova, nel 1905 fu promosso colonnello ed incaricato di dirigere la costruzione del sistema difensivo di Venezia e di parte del confine orientale. Promosso maggior generale per meriti eccezionali nel 1910, fu trasferito a Roma, all'ispettorato generale dell'arma di artiglieria, con l'incarico di ispettore per le artiglierie da fortezza, da costa e d'assedio. Nel 1911 passò al ministero della Guerra come direttore generale di artiglieria e genio, continuando nell'incarico anche dopo la promozione a tenente generale, avvenuta nel luglio 19 l 4. ln questo incarico il Dallolio si distinse molto per l'eccezionale alacrità e
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per la notevole ampiezza di vedute che consentirono, come si è visto nel capitolo X di questo volume, il riordinamento del parco artiglieria ed un grande incremento delle scorte di eartucciame e di muniziamento d'artiglieria, nonostante i consumi conseguenti alla guerra di Libia. Convinto dell'importanza del suo incarico, rifiutò nell'ottobre del 1914 l'invito della corona e del Presidente Salandra ad assumere il dicastero della Guerra. Nel luglio del 1915 il Dallolio fu nominato sottosegretario per le Armi e Munizioni e nel 1917, quando il sottosegretariato fu elevato al rango di ministero per le Armi e Munizioni, divenne ministro. Già da alcuni mesi il re lo aveva nominato senatore del regno. L'attività esplicata dal Dallolio per realizzare la mobilitazione industriale del Paese e permettere, quindi, all'esercito di combattere, fu veramente grandiosa. La modestia dell'uomo, che non ha lasciato memoriali e autobiografie, ha fatto si che la sua opera sia oggi dimenticata, nonostante gli ampi riconoscimenti di tutti gli studiosi della 1• guerra mondiale. Per divergenze di metodo, e forse di sostanza, il Dallolio entrò sul finire della guerra in collisione con il potente e prepotente ministro del Tesoro Francesco Saverio Nitti ed il 14 maggio del 1918 si dimise. Nominato comandante dell'artiglieria, il 3 settembre 1920 fu collocato in ausiliaria speciale nell'ambito dei provvedimenti di riduzione dei Quadri. Richiamato in servizio il I O febbraio 1923 e promosso generale di corpo d'am1ata, fu nominato presidente del Comitato per la preparazione della mobilitazione nazionale, trasformato poi nel 1925 in Comitato per la mobilitazione civile. Nel 1935 il Dallolio divenne commissario generale per le fabbricazione di guerra, carica dalla quale si dimise nel I939 senza aver potuto conseguire risultali di rilievo a causa della debolezza finanziaria e valutaria del Paese e della sua accresciuta dipendenza dall'estero per le materie prime, nonché dell'incapacità delle tre forze armate a cooperare tra di loro ed a definire una scala di priorità delle esigenze singole. Morì a Roma il 20 settembre 1952, quasi centenario.
VINCENZO CESARE DAPINO
Nacque a Torino il 28 marzo 1891. Entrato alla Scuola Militare di Modena nel novembre 1910, il 19 maggio 1912 fu promosso sottotenente cd assegnato al battaglione Feltre del 7° alpini con il quale, nel settembre dello stesso anno, fu inviato in Libia. Nel corso della guerra italo-turca partecipò ai combattimenti di Garian, Assaba ed Ettangi meritando una medaglia di bronzo al valor militare ed un encomio solenne. Ammalatosi di febbre tifoidea, fu rimjpatriato nel settembre del I 9 I 3 ed assegnato ad un reparto di milizia territoriale
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ma, all'inizio della 1• guerra mondiale fu nuovamente trasferito ad un reparto alpino cd inviato al fronte. Ferito nel 1915, promosso capitano nel 1916, Dapino rimase in linea quale comandante di compagnia alpina fino all'ottobre 1917, quando fu sce]to per la frequenz<l del corso pratico di Stato Maggiore che si teneva a Verona e che durava sei mesi. Terminato il corso fu assegnato alla 51 • divisione con la quale rimase fino all'ottobre del 1919. Nel biennio 1921-1922 fu comandato a frequentare i corsi dell'Istituto di Lingue Orientali di Napoli. Nel 1923 fece parte dello Stato Maggiore della Divisione Speciale sbarcata a Corfù e poi fu assegnato al 5° alpini. Promosso maggiore nel 1926 fu trasferito al 59° fanteria, l'anno seguente fu ammesso ai corsi della Scuola di Guerra che frequentò fino al I929. Prestò servizio di Stato Maggiore presso il comando del corpo d ' annata di Torino ed il comando della divisione alpina Taurinense. Promosso tenente colonnello nel 193 l comandò il battaglione Vicenza del 9° alpini. Dal 1934 al 1936 fu capo di Stato Maggiore della divisione alpina Taurinense, nel marzo 1937 fu trasferito in Africa orientale, prima con l'incarico di capo della Delegazione d'Intendenza di Dessié e poi con quello di sottocapo di Stato Maggiore dell'Intendenza Africa Orientale di Addis Abeba. Promosso colennello nel settembre 1938 fu rimpatriato e, nel gennaio 1939, fu trasferito all'8° alpini quale comandante. Con l ' 8° sbarcò in Albania nel!' apri le e, nell'ottobre I 940, partecipò alla campagna contro la Grecia. L'8° alpini, inquadrato con il 9° nella divisione Julia, fu presto molto duramente impegnato dal massiccio contrattacco greco e solo a prezzo di pesanti perdite poté evitare di essere travolto, resistendo con molta determinazione agli attacchi avversari fino al 25 gennaio quando la Julia fu finalmente sostituita in linea dalla divisione Cacciatori delle Alpi. Il comportamento del colonnello Dapino fu esemplare. Sempre presente in linea seppe animare la resistenza e coordinare 1'azione dei reparti con slancio e con abiltà, meritando una medaglia d'argento c la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Colpito da una violenta broncopolmonite dovette lasciare il reggimento il 21 gennaio 1941 ed essere ricoverato nell'ospedale di Tirana. Convalescente, fu nominato capo sezione della Commissione Italiana Armistizio Francia, incarico che gli pennise di ristabilirsi e di assumere, nell'ottobre 1942, dopo la promozione a generale di brigata, il comando della fanteria della divisione Legnano, dislocata in Francia. Nel luglio J943 la divisione fu rimpatriata, destinata in un primo momento in Emilia nell'imminenza dell'annistizio ricevette l'ordine di trasferirsi in Puglia, dove però giunsero solo i due reggimenti di fanteria, 67° e 68° , con il generale Dapino. Il resto della divisione, compreso il generale comandante ed il comando, sorpreso durante il trasferimento dagli eventi susseguiti ali' 8 settembre, si sbandò o fu catturato. Il Comando Supremo ritenne di costituire il I O Raggruppamento Motorizzato, la prima unità dell'esercito italiano destinata ad entrare in linea contro i Tedeschni a fianco degli Alleati, proprio con questi due reggimenti, completati con l' 11 ° artiglieria, il LI battaglione bersaglieri allievi ufficiali ed alcuni reparti minori. Dapino, dopo il rifiuto dei generali Zanussi e Utili, fu
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nominato comandante del Raggruppamento il 25 settembre e subito iniziò, con grande determinazione un'intensa attività per completare l 'approntamento dell'unità sia sotto l'aspetto logistico sia sotto il profilo addestrativo, attività conclusa con un'esercitazione a fuoco nei pressi di Montesarchio che riscosse l'approvazione della commissione alleata di controllo. Subito dopo il Raggruppamento fu trasferito nella zona di Mignano per l'attacco a Monte Lungo. L'azione, fallita 1'8 dicembre, fu ripetuta con successo il 16 ma le perdite sensibili del primo combattimento avevano molto indebolito il morale della truppa e, con grande onestà, Dapino rappresentò al Il corpo d'armata statunitense, nel quale il Raggruppamento era inquadrato, la necessità di ritirare temporaneamente il Raggruppamento dal fronte per rimetterlo in efficenza. ·Il Comando Supremo non gradì che Dapino si fosse rivolto direttamente al comando alleato e ne decise la sostituzione, il 9 gennaio, con il generale Utili. L'attività fu comunque premiata con la nomina ad ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia. Dapino fu prima incaricato del comando interinale della 225' divisione costiera in Sardegna e poi di reggere il segretariato generale dell'Alto Commissariato Prigionieri di Guerra, incarico che mantenne fino al al dicembre 1945, quando fu messo a capo della 6• Commissione incaricata dell'esame del comportamento degli ufficiali all'atto e dopo l'armistizio. Il 6 luglio 1947 fu collocato nella riserva. Scomparve a Torino l' 11 luglio 1957.
EMILIO DE BONO
Nato a Cassano d'Adda il 16 marzo del 1866, allievo del Collegio Militare di Milano e poi della Scuola Militare di Modena, fu promosso sottotenente dei bersaglieri nel 1883. Volontario in Eritrea nel 1887-88, frequentò successivamente la Scuola di Guerra e nel I 896 fu abilitato alle funzioni di Stato Maggiore. Nel 19 I2 fu inviato in Libia come capo di Stato Maggiore dell'Intendenza. Promosso colonnello nel 1915 meritò una medaglia d'argento al v.m. al comando di un reggimento bersaglieri sul Carso. Promosso maggior generale per meriti di guerra nel 19 I6, ebbe il comando della brigata Trapani ed ottenne una seconda medaglia d'argento alla presa di Gorizia. Trasferito in Albania, vi comandò la brigata Savona e poi la 3g• divisione; rientrato in Italia all'inizio del I 9 I 8, assunse il comando del XXVII corpo d'armata schierato sul Grappa e nella battaglia del giugno si distinse tanto da essere decorato con la commenda dell'Ordine Militare di Savoia. NeJla battaglia di Vittorio Veneto ottenne la terza medaglia d'argento e, nel 1919, ebbe il comando del XXII corpo d'armata con giurisdizione su tutta la Carnia. In quel periodo il De Bono
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iniziò ad interessarsi delle vicende politiche italiane e ad apprezzare la linea politica del Popolo d'Italia, contraria alle decisioni che si stavano prendendo a Versailles. Nel marzo 1920 fu trasferito al comando del corpo d'armata di Verona, nel giugno dello stesso anno chiese ed ottenne di essere collocato in posizione ausiliaria "per motivi personali", molto probabilmente per dissapori con il governo Nitti sul modo di reprimere gli scioperi dei braccianti agricoli nel Polesine.Iscrittosi al Fascio di Cassano d'Adda nel luglio 1922, fu incaricato da Mussolini di redigere il regolamento della milizia fascista che sanzionava in pratica la nascità di un esercito di parte . Il ministro della guerra, Marcello Soleri, lo invitò allora a dimettersi anche dall'ausiliaria, ma inultilmente. Poco convinto dell'effettiva solidità del movimento fascista il De Bono, alla fine, finnò come "quadrunviro" il documento che proclamava, come unica soluzione possibile della delicata situazione italiana, la nomina di Mussolini a Presidente del Consiglio e prese parte alla "marcia su Roma". L' l l novembre 1922 fu nominato direttore generale di Pubblica Sicurezza e nel gennaio del 1923 anche comandante della Milizia. Conservatore e moderato per educazione e per temperamento, cercò di disciplinare la Milizia, di spoliticizzarla, di epurarla dagli elementi turbolenti ed emanò ordini precisi per il controllo delle squadre e per l'eliminazione di qualsiasi atto di violenza, invitando nel contempo i prefetti a colpire senza riguardo "fascisti o sedicenti tali" che commettessero "azioni inconsulte o atti di provocazione e prepotenza". Nel marzo 1923 fu nominato senatore del Regno e richiamato in servizio attivo. La crisi politica conseguente al delitto Matteotti costrinse il De Bono a rassegnare le dimissioni dalla direzione generale della Pubblica Sicurezza e, qualche mese dopo, anche da comandante della Milizia. Giudicato per il delitto Matteotti dal Senato, riunito in Alta Corte di giustizia, fu assolto dall'accusa di complicità, Mussolini allora lo nominò governatore della Tripolitania (luglio I 925). Richiamato in patria alla fine del 1928, fu nominato dapprima sottosegretario al ministero delle Colonie e, nel settembre 1929, titolare del dicastero. Come ministro delle Colonie il De Bono assunse un atteggiamento risolutamente antietiopico e fece mettere allo studio un piano di guerra per occupare l'Abissinia. Il 16 gennaio 1935 fu nominato Alto Commissario per l'Africa orientale e nell'ottobre, quando fu dichiarata la guerra, assunse il comando delle truppe. La sua condotta delle operazioni, prudente e metodica, non incontrò però il gradimento di Mussolini che il 12 novembre lo sostituì nel comando con Badoglio. Il Dc Bono fu promosso Maresciallo d'Italia ma, in pratica, fu emarginato dalla vita politica anche se, nel giugno del I 940, gli fu affidato il comando del gruppo di armate Sud, al quale peraltro presto rinunciò. Partecipò alle riunione del Gran Consiglio del Fascismo la notte del 24 luglio 1943 e fu il primo finnatario dell'ordine del giorno Grandi, non certo per rancore nei confronti di Mussolini, ma sinceramente preoccupato del negativo andamento del conflitto e fiducioso che le forze annate, sotto il diretto comando del sovrano, avrebbero riacquistato qualche capacità operativa. Arrestato il 4 ottobre del 1943 a Cassano d'Adda fu poi trasferito a Verona, riconosciuto colpevole di tradimento e condannato alla fucilazione. Affrontò con dignità il plotone d'esecuzione l' 11 gennaio 1944.
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Scrittore vivace e piacevole pubblicò nel 1931 un interessante volume sul costume militare Nell'esercito nostro prima della guerra, di cui si è riferito nella parte I di questo volume, e nel 1936 una serena documentazione sul proprio operato in Africa orientale, La conquista dell'Impero. La preparazione e le prime operazioni, non priva di accenti sinceri e di particolari rivelatori del clima dell'epoca.
GIOVANNI DE LORENZO
Nato nel 1907 a Vizzini, in provincia di Catania, si trasferì presto a Genova, dove prestava servizio il padre, ufficiale dell'esercito. Sottotenente di complemento nell'arma di artiglieria nel 1928, De Lorenzo vinse un concorso riservato agli studenti della facoltà di ingegneria e, dopo la frequenza presso l'Accademia Militare di Torino del 108° Corso Straordinario, fu promosso tenente in servizio permanente effettivo nel 1930. Assegnato al I O artiglieria pesante fu per lunghi anni sottocomandante e poi comandante di batteria, non trascurando nel contempo di continuare gli studi universitari, conclusi nel 1936 con la laurea in ingegneria meccanica e navale conseguita nell'università di Napoli. Promosso capitano nel 1937, fu ammesso alla Scuola di Guerra. Superato brillantemente il corso, nel maggio 1940 fu assegnato al comando del XV corpo di annata, ufficio operazioni, e partecipò alla breve campagna del giugno sulle Alpi Occidentali. Promosso maggiore nel 1941, fu trasferito al comando dell' ARMIR, ancora all'ufficio operazioni, e prese parte alla campagna di Russia. Rientrato in Italia nella primavera del 1943, ormai tenente colonnello, fu assegnato allo Stato Maggiore dell'esercito. All'atto dell'armistizio De Lorenzo riuscì a sottrarsi alla cattura da parte dei Tedeschi cd entrò poi nel movimento clandestino di Resistenza, inizialmente nella zona di Lugo di Romagna e poi nella capitale, dove divenne il vice comandante del "Centro infom1ativo R", un efficiente organo di spionaggio a favore del governo di Brindisi e degli Alleati. Nel giugno 1944, dopo la liberazione di Roma, De Lorenzo riprese servizio presso lo Stato Maggiore dell 'esercito, assegnato al servizio informazioni militari (SIM). L'attività svolta nel periodo clandestino fu premiata con una medaglia d'argento al valor militare e con la promozione a colonnello per meriti di guerra nel 1947. Traferito nel J946 al 155° artiglieria della divisione Mantova ad Albenga, fu incaricato della costituzione del 5° artiglieria, di cui comandò un gruppo nella nuova sede di
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Udine. Nominato sottocapo di Stato Maggiore del V Comando Militare Territoriale nel maggio 1947, lasciò l'incarico nel dicembre, quando ebbe la promozione a colonnello, per il comando del 132° reggimento di artiglieria corazzata della brigata Ariete e poi del 33° artiglieria da campagna della divisione Folgore. Capo ufficio operazioni del comando delle Forze Terrestri Alleate del Sud Europa (FT ASE) nel 1951, fu nominato capo di Stato Maggiore del costituendo V corpo d'armata nel maggio 1952. Fu questo il primo importante incarico affidato a De Lorenzo, che lo assolse nel migliore dei modi, dando vita in pochissimo tempo ad un organismo efficiente e funzionale che, per lunghi anni, funzionerà egregiamente sulla base delle precise direttive da lui impartite all'atto della costituzione. Promosso generale di brigata nel 1954, De Lorenzo ebbe il comando dell'artiglieria della divisione Pinerolo e di quella del Comando Militare Territoriale di Bari, poi frequentò la 7" sessione del Centro Alti Studi Militari e, finalmente, nel dicembre 1955, ottenne l'incarico che doveva proiettarlo definitivamente nell'olimpo delle alte cariche: la direzione del servizio informazioni delle forze armate (SIFAR). In questo incarico De Lorenzo profuse il meglio di se stesso, nel bene e nel male. Intelligente, ambizioso, in possesso di grande esperienza, eccellente organizzatore, in breve tempo realizzò una capillare rete informativa che gli pem1isc di sapere tutto di tutti e che gli valse un potere che usò con grande spregiudicatezza. Promosso generale di divisione nel 1957 non lasciò l'incarico, anzi riuscì a far promulgare dal Parlamento una "leggina" che non solo gli permetteva di continuare a dirigere il SIFAR ma che stabiliva anche l'equipollenza tra quell'incarico cd il comando di grande unità, requisito indispensabile previsto dalla legge d'avanzamento per la valutazione al grado superiore. De Lorenzo fu così promosso generale di corpo d'armata nel dicembre 1961 e nel 1962 fu nominato comandante generale dell'arma dei carabinieri. Anche in questo incarico le superiori qualità intellettuali e professionali dell'ambizioso generale ebbero una clamorosa conferma. Ottenuti dal governo i fondi necessari, riorganizzò l'arma in tutti i settori, dotandola finalmente di automezzi. di apparati radio, di attrezzature scientifiche per l'attività di polizia giudiziaria, di un nuovo organico, di nuovi regolamenti interni. Il 1° febbraio del I 966 De Lorenzo fu nomi nato capo di Stato Maggiore dell'esercito, con il consenso di tutta la classe politica ma accolto con molla perplessità dai generali più anziani, che mai gli avevano perdonato l'origine non ortodossa e la mancanza di adeguati periodi di comando. Probabilmente De Lorenzo si sarebbe imposto anche nell'ambiente militare, perchè possedeva indubbiamente grandi qualità intellettuali ed una grande capacità organizzativa, ma non ne ebbe il tempo. Nel gennaio del 1967, in seguito alle proteste di un deputato democristiano, che asseri in Parlamento di essere stato messo sotto sorveglianza dal SIFAR, il ministro Tremelloni dispose un'inchiesta e la affidò al generale Bcolchini, notoriamente poco benevolo nei confronti di De Lorenzo. L'inchiesta dimostrò che, sulla base delle direttive impartite da De Lorenzo, il SIFAR aveva proceduto a schedare tutte le personalità politiche,
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militari, religiose di una qualche importanza e che all'operazione non era sfuggito nemmeno il Presidente della Repubblica. Nacque allora la psicosi dei "servizi segreti deviati", che ancora oggi fornisce a politici e giornalisti ampia materia di discussione. L'indignazione del mondo politico fu grande ed il 15 aprile 1967 il Consiglio dei Ministri decise l'immediata destituzione di De Lorenzo dall'incarico di capo di Stato Maggiore dell'esercito. Ma per l'anziano generale le disavventure non erano terminate. Nel maggio dello stesso anno l'Espresso iniziò una insistita campagna di stampa per dimostrare come De Lorenzo nell'estate del I964, in accordo con il Presidente Segni, avesse progettato un colpo di Stato. In effelli il Presidente Segni, contrario al centrosinistra e preoccupato per la crisi economica, nella primavera del 1964 aveva manifestato al De Lorenzo, allora comandante dei carabinieri, forti preoccupazioni per l'ordine pubblico e il generale, forse andando al di là delle intenzioni del Presidente, aveva elaborato un piano, nominato Solo perchè prevedeva l'intervento dei soli carabinieri per l'esecuzione, che nelle sue linee essenziali prevedeva l'arresto di determinate personalità ed il loro trasferimento in Sardegna, l'occupazione dei punti strategici delle grandi città, la repressione di eventuali movimenti insurrezionali. Un piano concepito per fronteggiare situazioni di grande emergenza, che avrebbero potuto mettere a repentaglio le istituzioni democratiche del Paese, e che, comunque, tale rimase, nonostante da sinistra, dopo le rivelazioni dell'Espresso, si tendesse a credere che De Lorenzo avesse avuto l'intenzione di sovvertire lo Stato. Il generale querelò per diffamazione Eugenio Scalfari, direttore dell'Espresso e Lino Jannuzzi, estensore degli articoli, entrambi condannati dal Tribunale di Roma nel marzo del 1968 ma fu ugualmente sospeso dall'impiego. Candidatosi nelle liste del partito democratico italiano di unità monarchica, De Lorenzo fu eletto deputato nelle elezioni del 1968, successivamente passò nelle file del movimento sociale italiano. Collocato in ausiliaria per limiti di età nel 1970, si spense a Roma il 26 aprile 1973.
ARMANDO DIAZ
Nacque a Napoli il 5 dicembre 1861. Entrato all'Accademia Militare nel settembre 1879, ne uscì sottotenente di artiglieria nel 1882. Dopo la frequenza della Scuola di Applicazione nel 1884, con il grado di tenente, fu assegnato al
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J0° artiglieria da campagna. Promosso capitano nel J890 fu trasferito al I
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frequentò poi nel triennio 1893- 1895 la Scuola di Guerra, classificandosi al primo posto. Passato nel corpo di Stato Maggiore fu per molti anni addetto alla segreteria del capo di Stato Maggiore, prima con Saletta e poi cou Pollio, acquisendo una notevole conoscenza del sistema burocratico di funzionamento interno dell'esercito e rivelandosi collaboratore intelligente, instancabile, affidabile. Promosso maggiore nel 1899, comandò per diciotto mesi un battaglione del 26° fanteria e ritornò poi allo Stato Maggiore, dove rimase fino all'ottobre del 1909, quando fu nominato capo di Stato Maggiore della divisione militare di Firenze. Promosso colonnello l'anno successivo, ottenne il comando del 21 ° fanteria e poi quello del 93°, inviato in Libia. Nello scontro di Sidi Bila] del 20 settembre 1912 Di az fu ferito alla spalla sinistra mentre conduceva le truppe all'attacco.Decorato con la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia, appena guarito, nel gennaio 1913, riprese servizio allo Stato Maggiore come capo della segreteria di Pollio, incarico che conservò anche con Cadorna. Promosso maggior generale, nell'ottobre 1914 fu per un breve periodo comandante della brigata Siena e poi nuovamente trasferito allo Stato Maggiore. All'inizio della guerra divenne capo del reparto operazioni del Comando Supremo, un organismo che coordinava tutti gli uffici ed i servizi del Comando e che poteva essere ben diretto solo da un capo che avesse una visione complessiva dei problemi dell'esercito. Ed anche in questo incarico Diaz si dimostrò efficiente e preparato. Nel giugno del 1916 ebbe il comando della 49• divisione e la promozione a tenente generale. Dimostrò subito notevoli capacità professionali, non solo organizzando con metodo razionale gli atti operativi ma curando il benessere dei propri soldati del cui sangue fu sempre avaro. Energico, detenninato, sinceramente convinto che "si comanda con il cuore, con la persuasione, con l'esempio" Diaz dette sul Carso goriziano il meglio di stesso, meritando il comando del XXIII corpo d'armata, schierato anch'esso sul Carso. Anche nel nuovo incarico si distinse e per i risultati tattici raggiunti e per il buon governo disciplinare. Ferito leggermente al braccio destro, durante una ricognizione in prima linea, fu decorato con la medaglia d'argento mentre la sua attività di comando gli valse la commenda dell'Ordine Militare di Savoia. L'8 novembre 1917 Diaz fu nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito, in sostituzione dello sconfitto Cadoma. La nomina fu voluta dal re, che lo conosceva a fondo, e stupì sul momento un pò tutti Ma il nuovo comandante supremo seppe conquistare presto la fiducia generale. Giorgio Rochat, attento biografico di Diaz nel Dizionario biografico degli italiani, ha scritto: "il suo primo merito, senza alcun dubbio, fu la capacità di far funzionare il Comando Supremo in modo adeguato alle esigenze e dimensioni della grande guerra. Cadorna aveva accentrato nelle sue mani troppo potere, mettendosi in condizione di non poter controllare i dettagli dei suoi piani e l'esecuzione dei suoi ordini e di non riuscire a capire la gravità dei problemi che ricadevano sul governo. Forte della sua lunga esperienza di ufficiale di Stato Maggiore e di una visione più aperta delle necessità del conflitto, il Diaz riorganizzò il
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Comando Supremo, valorizzando il ruolo del sortocapo Badoglio e del generale addetto S. Scipioni, riordinando il lavoro degli uffici ed attribuendo ad ognuno di essi responsabilità definite e concrete; tutto ciò senza clamore nè scosse, conservando anzi quasi tutti i collaboratori di Cadorna e favorendo la nascità di un clima di squadra nel rispello dei diversi compiti. Il nuovo Comando Supremo curò particolarmente lo sviluppo dei servizi infonnativi e potenziò il ruolo degli ufficiali di collegamento, che dovevano dargli notizie dirette sulla situazione dei vari fronti, senza però scavalcare i comandi d'annata, con cui furono curati i rapporti molto stretti in modo da superare distacchj e incomprensioni. Partjcolarmente felice fu la collaborazione con Badoglio (dell'altro sottocapo il Giardino, il Diaz si era elegantemente liberato promuovendolo), che si occupò soprattutto delle operazioni e del coordinamento tra gli uffici del Comando supremo. alleggerendo il Diaz di buona parte del lavoro di routine e conquistandone la piena fiducia. Ciò non significa che egli abdicasse alle sue respom,ahilità di comandante in capo, ma che, come richiedeva la complessità della guerra, sapeva valorizzare l'opera dei suoi collaboratorj, delegando loro importanti compiti esecutivi, di preparazione e di controllo, riservandosi però la decisione finale e l'intervento personale nelle situazioni di emergenza". Sempre il Rochat riconosce che l'operato di Diu a capo dell'esercito fu molto positivo: " Più della vittoriosa resistenza del novembre - dicembre 1917, in cui il Comando Supremo ebbe limitate possibilità di incidere sui combattimenti, va riconosciuto al Dia1 il merito di aver condotto l'esercito nelle migliori condizioni possibili alla battaglia decisiva del giugno 1918, che diresse con una combinaL.ione di energia e prudenza (soprattutto nell'impiego delle riserve). riportando una delle maggiori viuorie difensive dell'intero conflitto. Fu indubbiamente lento a cogliere la precipitosa evolutione della situazione internazionale nel senembre 19 I 8, quando un'offensiva italiana diventava così necessaria da un punto di vista generale (l'Austria-Ungheria aveva avviato negoziazioni per la sua resa) da giustificare rischi anche grossi in campo militare; ma poté recuperare con la bauaglia di Vittorio Veneto, lanciata quasi all'ultimo momento utile, contro un nemico sull'orlo del collasso, ma ancora temibile, e risoltasi nel clamoroso successo di cui la guerra italiana aveva legiuimo bisogno." Terminata la guerra, Diaz fu promosso generale d'esercito e nominato senatore. Rimasto a capo dell'esercito dopo l'annistizio, Diaz collaborò lealmente con il governo per attuare una sollecita smobilitai.ione e, nel novembre del 1919, divenne Ispettore Generale dell'esercito, lasciando l'incarico di capo di Stato Maggiore a Badoglio. Nel dicembre del 1921 il sovrano, che già nel 1919 gli aveva conferito il Collare dell'AnnunLiata, lo insignì del titolo di duca della Villoria, titolo che ne consacrava il prestigio e lo collocava veramente al vertice dell'olimpo militare. Diaz non prese parte atti va alle lolle politiche del dopoguerra, pare comunque accertato che, consultato dal sovrano sull'aueggiamento dell'esercito qualora si fosse deciso di reprimere la marcia degli squadristi fascisti su Roma, abbia consigliato una soluzione politica della crisi. Ministro della Guerra nel primo ministero Mussolini , attuò l'ordinamento
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dell'esercito che porta il suo nome e di cui si è trattato nel cap. XV di questo volume, ma il 30 aprile 1924 rassegnò le dimissioni, probabilmente perché si sentiva spiritualmente estraneo al nuovo corso della vita politica. Nominato Maresciallo d'Italia il 4 novembre 1924 e vicepresidente del comitato deliberativo della Commissione Suprema di difesa, in praùca non esercitò più alcuna reale influenza sull'esercito. Nella primavera del I925 si schierò, con gli altri "generali della Villoria", nella battaglia contro l'ordinamento dell'esercito proposto dal ministro Di Giorgio, ma fu l'ultima manifestazione del suo pensiero. L'aggravarsi della bronchite cronica, contratta sul Carso, lo obbligò a diradare gli impegni e lo condusse poi alla morte per enfisema polmonare il 29 febbraio 1928.
ANTONINO DI GIORGIO
Nacque a San Fratello, in provincia di Messina, nel 1867. Dopo aver frequentato la Scuola Militare, nel 1888 fu promosso sottotenente di fanteria. Prese parte alla campagna eritrea del 1895-1896 meritando due ricompense al valor militare. Rientrato in [talia frequentò la Scuola di Guerra e transitè> nel corpo di Stato Maggiore. Nel 1908 pubblicò a Firenze un volume, Il caso Ra11zi ed il modernismo militare, nel quale condannò il comportamento indisciplinato e ribelle del capitano Ranzi. Promosso maggiore a scelta, fu inviato in Somalia quale comandante del corpo Regie Truppe coloniali, incarico che ricoprì con grande energia e con ottimi risultati nel biennio 1908- I 91 O. Iniziata la guerra italo-turca, Di Giorgio fu inviato in Libia al comando di un battaglione, distinguendosi anche in quella circostanza tanto da meritare altre due ricompense al valor militare e la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Promosso colonnello nel I 915, all'inizio della guerra fu capo di Stato Maggiore dell'VII corpo d'armata e poi, nel 1916, promosso maggior generale, ottenne il comando della brigata Bisagno, schierata nel settore degli altipiani, durante l'offensiva austriaca. Successivamente comandò un raggruppamento alpini nell'offensiva per la conquista dell'Ortigara e, nel 1917, la 51• divisione schierata in Valsugana. In tutti quesù incarichi si distinse per capacità tecnica e per rigore morale, tanto che nei giorni infausti della ritirata di Caporetto gli fu affidato il comando di uno speciale corpo d'armata incaricato di rallentare l'avanzata austro-tedesca. Successivamente ebbe il comando del XXVII corpo d'armata con il quale difese validamente il Grappa nel novembre-dicembre I 9 I 7 ed il Montello nel giu-
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gno 1918. Promosso tenente generale mantenne il comando del XVII corpo anche durante la battaglia di Vittorio Veneto, distinguendosi al passaggio del Piave. Al termine del conflitto il Di Giorgio fu nominato Grande Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia. Già deputato fin dal 19 I3 nelle file del partito nazionalista, nell'aprile del 1924 fu nominato ministro della Guerra. In tale veste decise la consegna alla milizia volontazia per la sicurezza nazionale di 100.000 fucili mod. 91, attirando cosl sul suo capo l'accusa di professare sentimenti fascisti anche se proprio il Di Giorgio non si era peritato, qualche tempo prima, di affermare in Parlamento che, se il re l'avesse ordinato, l'esercito avrebbe impedito la marcia su Roma! Deluso per il mancato appoggio di Mussolini al suo progetto di ordinamento dell'esercito, nell'aprile del 1925 rasssegnò le dimissioni dall'incarico. Comandò successivamente i corpi d'armata di Firenze e di Palermo, ma nel 1928 chiese di essere collocato in posizione ausiliaria. Polemista brillante e scrittore piacevole ha lasciato un notevole numero di saggi e di monografie di argomento militare. Scomparve nel 1932.
GIULIO DOUHET
Nacque a Caserta il 30 maggio 1869 da Guido, ufficiale farmacista nizzardo, e da Giacinta Battaglia, insegnante vercellese. Entrato nel 1882 nel Collegio Militare di Firenze e, nel 1886, nell'Accademia Militare di Torino, nel 1888 fu nominato sottotenente di artiglieria. Dopo alcuni anni di servizio presso il 5° artiglieria da campagna, nel 1895 fu ammesso a freq uentare la Scuola di Guerra. Nel 1899 frequentò il corso superiore di elettronica presso il Museo Industriale di Torino, classificandosi primo con una tesina sul calcolo e sul dimensionamento di un motore elettrico asincrono in campo rotante. Promosso capitano nel giugno 1900 e trasferito, nell'ottobre 1902, nel corpo di Stato Maggiore, fu destinato al comando della divisione militare di Genova. In quel presidio, nell'anno scolastico 19031904, tenne alcune conferenze, poi raccolte nel volume Stato attuale dell'elettronica. Nello stesso periodo pubblicò sulla Rivista Militare due articoli sull'Automobilismo sotto il pu1110 di vista militare. L'attenzione agli sviluppi della tecnologia moderna e Ia preoccupazione di coglierne le possibili applicazioni belliche furono sempre, infarti, una caratteristica di Douhet. A partire dal febbraio 1904 commentò, sulle pagine del Caffaro, giornale della sera genovese, le operazioni russo-giapponesi, manifestando molta ammirazione per l'ordine, l'efficienza e lo spirito di sacrificio dell'esercito giappo-
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nese. Nel marzo 1910, promosso maggiore, fu trasferito al 2° bersaglieri per il prescritto periodo di comando di battaglione. Nello stesso mese la Rivista Militare pubblicò un suo articolo Le possibilità del 'aeronavigazione, approccio generale al problema ampio ed equilibrato. A partire dal luglio e fino al settembre 1911, sulle colonne del giornale trisettimanale di Enrico Barone, la Preparazione, scrisse una quarantina di articoli su I problemi del/ 'aeronaviga::.ione e sulle Nozioni elementari di aeronautica, nel quadro di un ampio dibattito che il giornale aveva aperto sulle possibilità dell'anna aerea. Mentre nel primo articolo Douhet si dimostrava cauto sulle future possibilità del mezzo più pesante dell'aria, nei successivi elaborati le sue intuizioni si fecero sempre più perentorie ed egli non esitò ad affermare che l'aereo non costituiva un mezzo ausiliario di esercito e marina, e che il suo compito principale doveva consistere nel combattere i velivoli nemici. Da queste idee derivò la sua forte opposizione al programma del ministro della Guerra che continuava ad approvvigionare dirigibili. Altre notevoli intuizioni di Douhet furono: la necessità della portaerei, per consentire una migliore collaborazione dell'aereo con la nave; la decisa condanna dell'acrobatismo aereo e delle imprese aviatorie di tipo sportivo; la necessità dell"indipendenza dell'aviazione dalle altre due forze armate. L'interesse suscitato dagli articoli di Douhet ebbe anche un riflesso pratico, nel luglio 1912 fu trasferito al banaglione aviatori, di cui nel 1914 divenne comandante. Nel 1913 scrisse la prima regolamenta1ione tatLica dell'aviazione italiana, le Norme per l'impiego degli aerei in guerra. Nell'ottobre 1914 fu allontanato dal battaglione per avere ordinato la costruzione di un prototipo del velivolo da bombardamento Caproni Ca. 3000 contro il parere del ministro. Capo di Stato Maggiore di una divisione e poi, promosso colonnello, di un corpo d'armata durante la grande guerra, Douhet fu fortemente critico del modo di condurre la guerra da parte del Comando Supremo, al quale nel suo interessante Diario critico di Guerra - 1915 e 1916 non risparmiò critiche acute e persino cattive. Nella speranza di provocare un cambiamento nella condotta delle operazioni egli non esitò a fornire rapporti e valutazioni ostili a Cadorna ad alcuni esponenti politici. Processato da un Tribunale Militare per questa sua attività, fu condannato ad un anno di reclusione, che scontò nel forte di Fenestrelle. Nel dopo guerra, agosto 1921 , la sentenza fu però annullata dal Tribunale Supremo Militare perchè "non fu spinto a compiere l'azione contestatagli (critica feroce della condotta della guerra) da motivi personali o sotto altTO aspetto riprovevoli, ma unicamente dall'amor di Patria ..." e Douhet, promosso generale di brigata, fu nominato direttore centrale del Commissariato Generale di Aeronautica, costituito nel 1922. Nel 1919 sulle pagine di li Dovere, un giornale da lui fondato, condusse una vivace campagna per denunciare le responsabilità del Comando Supremo e con due volumi, ll dominio dell'aria del 1921 e la difesa nazionale nel 1923 propagandò le sue idee sulla guerra integrale, identificando nell'aviazione da bombardamento l'arma più economica e decisiva, capace di piegare l'avversario colpendone i centri demografici ed industriali. Nel già citato Diario critico
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di guerra, uscito nel 1921, condusse un 'analisi puntuale e spietata della condotta della guerra mondiale, criticando i vertici militari che avevano accettato con passivo fatalismo la guerra di logoramento, trascurando le possibilità di manovra offerte dal nuovo mezzo aereo. Fino al 1930, anno della sua scomparsa, Douhet continuò a battersi per il trionfo delle sue idee che, per quanto riguarda le operazioni, possono essere sintetiaate nel principio: resistere alla superficie e far massa nell'aria, prospettiva che naturalmente coalizzò contro di lui esercito e marina. Anche in ambito aeronautico, nonostante i tanti riconoscimenti pubblicamente tributatigli, le sue idee furono poco e male attuate per cui l'Italia entrò nella seconda guerra mondiale senza una forte flotta aerea da bombardamento. Uomo di forte personalità e di forte carattere, dotato di un acuto spirito critico e di una brillante intelligenza, conosciuto cd apprezzato anche ali' estero, Giulio Douhct è stato il pensatore militare italiano più illustre del secolo.
EMILIO FALDELLA
Nato nel 1897 a Maggiora (Novara), dopo la frequenza delle scuole medie superiori entrò alla Scuola Militare di Modena. Sottotenente degli alpini nel 1915, fu promosso tenente per merito di guerra nell 'ouobre dello stesso anno. Decorato con la medaglia d'argento nel 1916, promosso capitano nel 191 7, dopo il conflitto frequentò la Scuola di Guerra e transitò nel corpo d1 Stato Maggiore. Nel I936, con il grado di tenente colonnello, fu nominato capo di Stato Maggiore del Corpo Truppe Volontarie in Spagna, dove meritò la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia per la perizia dimostrata nell'organizzazione delle operazioni per la presa di Santander ( 14-15-16 agosto 1937). Promosso colonnello nel 1939 comandò il 3° alpini e, durante le operaLioni sul fronte occidentale del giugno 1940, il settore alpino GermanascaChisone,distinguendosi ancora per capacità e per coraggio, meritando la nomina ad ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia. Trasferito allo Stato Maggiore dell'esercito nel settembre 1940 quale capo ufficio addestramento. Promosso generale di brigata nel maggio 1943 fu inviato in Sicilia con l' incarico di capo di Stato Maggiore della 61 armata. Entrato in clandestinità dopo l '8 settembre 1943, dette vita ad una organizzazione clandestina particolarmente attiva nelle valli piemontesi. Callurato nel maggio 1944, fu rinchiuso nelle carceri di Milano e poi di Verona. Liberato nell'aprile 1945 ebbe il comando della piazza di Milano dal generale Cadorna, comandante del Corpo Volontari della Libertà. A domanda, nel gennaio I 946,
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fu collocato nella riserva. Morì a Torino nel settembre 1975. Storico militare accurato e sagace, il Faldella fu attivo fino ai suoi ultimi anni cd ha lasciato un notevole numero di opere valide e documentate. Dalla guerra dei cavalieri alla guerra dei popoli ( 1929), Venti mesi di guerra in Spagna (1939), Lo sbarco e la difesa della Sicilia (1954), L'Italia nella seconda guerra mondiale. Revisione di giudizi ( 1959), Le guerre che 11ess11110 vuole (1962), Le battaglie dell'Isonzo (1965), Da Caporetto al Piave ( 1966), Caporetto, le vere cause di una tragedia ( 1967), Due guerre mondiali (l 974 ). Storia degli eserciti iwliani, apparso postumo nel l 976.
MANFREDO FANTI
Nacque a Carpi il 23 febbraio 1806. Iscritto dal 1825 all'Istituto dei Cadetti Matematici Pionieri di Modena, il 3 settembre 1830 conseguì la laurea in matematica cd il diploma IO ingegneria civile. Coinvolto nella congiura di Ciro Menotti, fu arrestato il 3 gennaio 1831. Liberato dopo la fuga di Francesco IV, partecipò allo scontro di Rimini contro gli Austriaci al comando di una compagnia di volontari. Avvenuta la capitolaLione emigrò IO Francia, dove si iscrisse alla "Giovine Italia" di Giuseppe Mazzini, e poi in Spagna, dove si arruolò nelle milizie cristine. Distintosi per valore e per capacita tecniche, nel 1839 il Fanti, gia promosso capitano fin dall'anno precedente, entrò nell'esercito regolare spagnolo con il grado di sottotenente. L'esperienza. la prepara1:ione professionale, la freddeaa d'animo durante il pericolo gli consentirono di salire la scala gerarchica con grande celerità: nel 1848 era colonnello. Alle prime voci sulla cacciata degli Austriaci da Milano il Fanti non ebbe alcuna esitazione, chiesta una licenza di un anno, partì alla volta dell'Italia. Nominato maggiore generale delle truppe lombarde ebbe il comando di una brigata della divisione Perrone. li 15 agosto. fallita la difesa di Milano. ricevette dal generale Bava l'ordine di guidare la ritirata delle truppe lombarde in Piemonte e di provvedere al loro riordino. I brillanti risultati ottenuti gli ottennero i I passaggio nell'armata sarda, sempre con il grado di maggiore generale. Nella breve campagna del 1849 il Fanti ebbe il comando della 1• brigata della divisione lombarda, comandata dal Ramorino. Quando questi, la sera del 20 marzo. fu richiamato al quartier generale, il Fanti si trovò, senza ordini, al comando della divisione distaccata a Meuanacorte. Fallito ogni tentativo di mettersi in contatto con gli organi superiori, il 24 decise di portare le truppe ad Alessandria. dove giunse nel pomeriggio del 26. Il 27 gli giunse la notiLia della sconfltta di Novara e l'ordine di dislocare le truppe tra Tortona e
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Voghera, ordine che eseguì pronlamente. Il giorno dopo riuscì ad impedire che alcuni reparti si recassero a Genova per unirsi agli insorti. Nel luglio la divisione fu sciolla, il Fanli venne intanlo accusato di tradimenlo per hnon aver fallo passare la divisione a sinistra del Po per il ponte di Mcnanacorte", facilitando in tal modo l'azione austriaca. li Consiglio di Guerra lo assolse, ma fu poslO in disponibililà. Nel 1855 fu richiamato in servizio attivo e gli fu affidata una delle brigate del corpo di spedizione in Crimea. Rientrato in Piemonte nel maggio 1856, gli fu conferito il comando della brigata Aosta. Nel 1859, promosso tenente generale, ebbe il comando della 2 1 divisione con la quale partecipò ai fatti d'arma di Confienza, Magenta e Madonna della Scoperta. Terminata la campagna, con il permesso del governo sardo, fu incaricato di comandare l'esercito della Lega dell 'Italia centrale, avendo come vice Garibaldi. Il Fanti organizzò le forze toscane cd emiliane sul modello sardo in modo da facilitarne al momento opportuno il passaggio all'annata sarda, con risultati tanto eccellenti che Cavour lo volle ministro della Guerra e gli affidò nel settembre 1860 il comando della spedilione nelle Marche e nell'Umbria. Anche in questa occasione si dimostrò comandanle avveduto e capace, sia coordinando la marcia delle truppe di Cialdini e di quelle del della Rocca sia investendo con determinazione la piazzaforte di Ancona. Promosso generale di armata, assunse l'incarico di capo di Slalo Maggiore di Vittorio Emnuele II nella marcia sulle provincie napolelane, dando ancora prova delle sue belle qualilà nel combaltimento di Mola di Gaeta. Lasciato il comando delle truppe al Cialdini, riprese saldamenle nelle mani il ministero della Guerra, dedicandosi con lenacia e con grande capacilà organizzativa alla non facile impresa di costruire l'esercito italiano. Non è qui il caso di ricordare - dopo quanto esposto nella prima parte del volume - i tanti provvedimenti adottati per far fronte alle tante necessità nè di riparlare del dissidio con Garibaldi per il tenace rifiuto di transitare nell'esercito regolare i troppi ufficiali garibaldini. Anche se il Fanti si dimostrò in quella circostanza forse esageratamente duro, e forse non completamente libero da antipatie e da preconcetti, la sua anività di ministro fu merilevole di ogni elogio ed oggi ness uno storico serio può contestargli il titolo di fondatore dell'esercito italiano. Morto Cavour nel giugno 1861 il Fanti, peraltro già indebolito da una grave malallia polmonare, lasciò il ministero. Nell'aprile 1862 ebbe il comando del V Dipartimento militare che comprendeva la Toscana e l'Umbria, ma le sue condilioni di salute, ancora peggiorate, lo costrinsero a recarsi in Egitto nella speranza che il clima potesse giovargli. La morte lo colse a Firenze, il 5 aprile 1865, privando l'esercito del suo indiscusso comandante.
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EMILIO FERRERO
Nato a Cuneo il 13 gennaio 1819, fu promosso sottotenente del genio nel 1837 dopo aver frequentato l'Accademia Militare. Capitano alla vigilia della 1• guerra d'indipenden1.a vi partecipò, distinguendosi all'assedio di Peschiera ed alla battaglia di Novara, meritando in entrambe le occasioni una ricompensa al valor militare. Transitato nei granatieri e promosso maggiore, partecipò alla spedilione di Crimea. Colonnello nel 1859, comandò il 4 ° fanteria nella 2• guerra d'Indipendenza e nella campagna dell'Italia centrale e del Mezzogiorno sino all'assedio di Gaeta. Segretario della commissione di scrutinio per gli ufficiai i provenienti dall'esercito meridionale, poi comandante della brigata Parma, fu promosso alla fine del 1862 maggior generale cd inviato a comandare la Scuola Militare di Modena. Nella guerra del I 866 tenne nuovamente il comando della brigata Parma e si distinse a Custoza. Tenente generale nel 1870 comandò una delle divisioni del corpo d'armata di Cadoma. Comandante poi della divisione militare di Alessandria, nel 1879 ebbe il comando del IX corpo d'armata e in quell'incarico ricevette la nomina a senatore e, sette giorni dopo, il 4 aprile 1881 , quella a ministro della Guerra nel ministero Cairoli. Ferrcro, che mantenne l'incarico anche nei successivi ministeri Depretis, dette un forte impulso ai lavori di fortificazione ai confini e attorno a Roma, ma è ricordato oggi soprattutto per la sua legge sull'ordinamento dell'esercito che portava a dodici i corpi d'armata e che conferiva all'esercito una fisionomia più marcatamente offensiva, assecondando le aspiralioni della Sinistra. L'attività del Ferrero - mollo sostenuta dal lavoro appassionato e competente del segretario generale, Luigi Pelloux - portò anche all'istituzione della carica di capo di stato maggiore dell'esercito, per il momento senza diretta ingerenza sull'amministrazione della forza armata e solo organo di studio. L'opposizione della Destra all'ordinamento Ferrero fu notevole, soprattutto l'ex ministro Ricotti fu critico severo del nuovo ordinamento giudicato sproporlionato alle effettive disponibilità finanziarie dello Stato. Non riuscì al Ferrero di far approvare dal Parlamento una nuova legge sull'avanzamento degli ufficiali, tuttavia la sua azione di governo caratterizzò a lungo l'ossatura dell'esercito che, in pratica solo il ministro Spingardi un quarto di secolo dopo riuscì a modificare. Dimessosi per ragioni di salute il 24 ottobre I 884, si spense il 2 dicembre 1887.
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ALFONSO FERRERO DELLA MARMORA
Nacque a Torino il 27 novembre 1804. Entrato giovanissimo in Accademia, nel 1823 fu promosso sottotenente di artiglieria, nel 1831 capitano e nel 1845 maggiore. In quel lungo periodo il La Marmora oltre naturalmente ad acquisire una grande pratica del mestiere, compì numerosi viaggi in Italia ed all'estero, soprattullo in Germania, perfe.lionando la conoscenza delle lingue straniere ed ampliando il suo orizzonte culturale. Nella campagna del 1848 comandò l'artiglieria della di visione Federici e con il fuoco delle sue batterie contribuì in maniera detenninante aJla vittoria di Pastrengo. Promosso colonnello - nell'esercito sardo 11 grado di tenente colonnello non era obbligatorio - al comando di un battaglione de lla brigata Piemonte e di una compagnia di bersaglieri protesse il 15 agosto Carlo Alberto dalla folla milanese tumultuante. Il 27 ot1obre 1848, promosso per l'occasione maggiore generale, divenne ministro di Guerra e Marina. Ceduto il ministero il 15 dicembre, il La Marmora, nel frattempo eletto deputato nel collegio di Racconigi, divenne nuovamente ministro il 3 febbraio 1849 nel gabinetto Gioberti, ma già il IO dello stesso mese era nuovamente dimissionario per nssumere il comando di una d ivisione. Denunciato l'armisti7iO con l'Austria. il La Marmora fu inviato con la sua divisione a Parma, dove giunse dopo il fatto d'armi di Mortara. Richiamato dopo la sconfitta di Novara cd incaricato di reprimere la rivolta genovese. assolse il compito con rapidità e con decisione e fu promosso tenente generale. Dopo aver trascorso 22 anni nei gradi piu bassi della gerarchia. nel breve giro di dieci mesi da maggiore era diventato tenente generale. Il 3 novembre 1849 assunse per la terza volta il portafoglio della Guerra nel ministero d' Aleglio. incarico che mantenne per circa dieci anni. anche con i successi>.i governi Cavour. Comandante del corpo di spedizione in Crimea, al rientro in patria fu promosso generale d'armata. L'attività del La Marmora nel decennio 1849-59 per riordinare l'esercito fu addirittura prodigiosa e fu suo esc lusivo merito se la campagna del 1859 dette al regno subalpino le soddisfazioni invano cercate nel 1848- I849. Ritiratosi Cavour, dopo l'armistizio di Villafranca, il La Marmora accettò la Presidenza del Consiglio, pur mantenendo anche il dicastero della Guerra. Ritornato Cavour al potere nel gennaio 1860, ebbe il comando del corpo d'armata di Milano. Nell'ottobre 1861 fu nominato prefetto di Napoli e comandante generale delle truppe stan7iate nelle provincie meridionali, incarico che tenne per tre anni. Nel settembre 1864 il governo M inghetti, dopo i tumulti d i Torino per il trasferimento della capitale a Firenze, fu costretto alle dimissioni ed il La Marmora accettò l'incarico di Presidente del Consiglio e, quale che fosse il suo personale gi udizio
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sull'opportunità deI1a convenzione con la Francia, dette esecuzione al tral!ato, salvando il prestigio delle istituzioni e la dignità del Paese, dopo aver chiarito con una nota ufficiale sulla Gauctta del 7 novembre che la convenzione non significava per l'Italia la rinuncia a Roma pcrchè ··(e aspirazioni di un paese sono un fatto che appartiene alla coscienza nazionale e che non può essere per nessun titolo il soggetto di una discussione tra due governi". Dopo aver concluso il trattato di alleanza con la Prussia, il 17 giugno 1866, lasciato il governo al Ricasoli e nominato ministro senLa portafogli, assunse l'incarico di capo di Stato Maggiore dell'armata del Mincio. Le vicende infelici della 3• guerra d'indipendenLa sono note, qualunque sia il giudizio sulle qualità strategiche del La Mam1ora è pero necessario riconoscergli un grande coraggio morale per essersi assunto la responsabilita di firmare l'armistizio di Cormons, nonostante gli indugi del Ricasoli, evitando cosi un sicuro disastro. Gli eventi del 1866 segnarono la fine della carriera militare del La Marmora: l'abolizione dei grandi comandi attuata nel 1867 per diminuire le spese militari, lo privò infatti anche del comando del corpo d'armata di Firenze e fu messo in disponibilità, anche se nel 1870 fu nominato luogotenente del re a Roma, incarico che disimpegnò egregiamente. Sottoposto a continue accuse per la infelice condotta della guerra il La Marmora, nel 1873. pubblicò una memoria difensiva, Un po' pi11 di luce sugli eventi politici e militari del 1866, che per il tono poco riguardoso nei confronti del Bismarck e per altre polemiche affermazioni, nonostante la sostanziale verità dei fatti esposti, suscitò un pandemonio di rimostranze in Italia cd all 'cl>lero. Si spcn:.e a FircnLe il 7 gennaio 1878.
GIUS EPPE GALLIANO
Nacque a Vicoforte, piccola terra in provincia di Cuneo, il 27 settembre I 846. Frequentò il Collegio Militare di Asti e, con il grado di sottotenente di fanteria. partecipò alla terza guerra d'indipendenza. Capitano nel 1883, fu inviato in Eritrea per alcuni mesi nel 1887 con il corpo di speditione del generale Asinari di San Marzano. Sul finire del 1890 fu nuovamente inviato nella colonia. Dopo aver assolto alcuni incarichi di controllo e di esploratione delle regioni di confine, ebbe il comando del III battaglione eritreo con il quale partecipò al ciclo operativo contro i dervisci del I 893. Nella battaglia di Agordat (2 1 dicembre I 893) guidò con impareggiabile determinazione il suo battaglione al contrattacco, ricuperando i quattro pezzi di artiglieria caduti nelle mani del nemico, e meritò la
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medaglia d'oro al valor militare. Si distinse ancora nei successivi combattimenti di Coatit e di Senafé,ottenendo una medaglia d'argento. Dopo la fine della resistenza di Toselli ali' Amba Alagi (7 dicembre 1895), a fronteggiare l'avanzata dell'esercito del negus Menelik rimase il solo Galliano, rinchiuso nel forte di Macallé con il suo lil battaglione (21 ufficiali, I 76 soldati nazionali e 1150 ascari). li fone era una debole struttura, senza acqua e con pochi viveri. Galliano fece del suo meglio per aumentare l' autonomia logistica e per rafforzare la cinta difensiva, ma non ebbe molto tempo, già il 7 gennaio l'esercito abissino tentava il primo attacco. La guarnigione resistette con coraggio, anche un più forte attacco, sferrato il giorno 11, fu respinto con gravi perdite per gli attaccanti, ma la situazione divenne precaria quando gli Abissini conquistarono i pozzi dell'acqua, situati fuori dalla cinta difensiva. La sera del 18 gennaio Galliano poté comunicare a Baratieri che, mancando l'acqua, la resistenza non poteva ancora protrarsi e che, ad ogni modo, il presidio avrebbe combattutto fino alla morte. Ma l'estrema decisione di Galliano non fu necessaria, Baratieri riuscì ad ottenere da Menelik il libero transito per il presidio, che abbandonò il forte il 21 gennaio ricongiungendosi al resto delle truppe. Galliano, promosso tenente colonne llo, fu decorato con una seconda medaglia d 'argento. Poche settimane dopo, il IO marzo 1896, Galliano cadde alla testa del suo lii battaglione sulle pendici del monte Rajo. Non si hanno testimonianze sicure sugli ultimi istanti della sua vita, secondo alcuni fu ucciso in una mischia all'arma bianca, secondo altri mentre veniva trascinato, ferito e prigioniero, al campo di Menelik. li suo corpo, comunque, non fu mai ritrovato. Il re gli concesse una seconda medaglia d'oro, alla memoria.
PIETRO GAZZERA
Nacque a Bene Vagienna, in provincia di Cuneo, I'! I dicembre 1879. Allievo dell'Accademia Militare di Torino nel 1896, sottotenente di artiglieria il 19 ottobre 1898, tenente nell'ottobre del 1900 fu inviato a prestare servizio prima nella 6· brigata di artiglieria da fortezza, poi nella Direzione Superiore delle esperienze d'artiglieria e nel 17° reggimento da campagna. Nel 1905 Gazzera entrò alla Scuola di Guerra dalla quale uscì, primo del suo corso, nel 1908. Entrato a far parte del corpo di Stato Maggiore fu destinato alla divisione militare di Cuneo. Nel 1910, promosso a scelta capitano, prestò servizio nel 5° reggimento artiglieria da campagna fino al marzo 1912, quando partì volontario per la guerra di Libia. "Per l'abilità e l'ardimento spiegati nella condotta della sua batteria in ripetuti combattimenti, specialmente per la conquista delle
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posizioni di Sidi Said-Macabez" fu decorato di medaglia d'argento al valor militare. Rimpatriato nell'ottobre dello stesso anno fu destinato alla Scuola di Guerra, quale insegnante aggiunto di logistica. Dal novembre del I 914 prestò servizio presso l'Intendenza della 4" Armala, dove ebbe modo di meuere in evidenza le sue belle qualità intellettuali e di offrire un apprezzatissimo contributo all'organizzazione ed al funzionamento dei servizi della grande unità, sia durante la fase di preparazione al connitto sia nel primo e più difficile, sotto il profilo logistico, periodo di guerra. Nel marzo 1916 l'ormai maggiore Gazzera fu chiamato al Comando Supremo quale capo della sezione addestramento. Promosso tenente colonnello nel febbraio 1917, ritornò al fronte con l'incarico di sottocapo di Stato Maggiore della 6" armata. Rientranto al Comando Supremo nell'ottobre fu promosso colonnello e messo a capo dell'Ufficio Segreteria del capo di Stato Maggiore dell'esercito, incarico delicatissimo che gli permise di confermare le sue brillanti qualità, di impratichirsi del complesso funzionamento dello Stato Maggiore e di stabilire durature amicizie con i più alti gradi dell'esercito. specie con Badoglio. Nel dopoguerra Gazzera alternò brevi periodi di comando a capo delle brigate Messina e Basilicata con incarichi particolari: comandante in 2• della Scuola di Guerra, presidente del Tribunale Militare di Torino e, dopo l'uccisione del generale Tcllini, capo della Commissione internazionale per la delimitazione dei confini dell'Albania dall'ottobre 1923 al febbraio 1926. Nominato comandante della Scuola di Guerra rimase nell'incarico, anche dopo la promozione a generale di divisione fino all'agosto I 928, quando ebbe il comando della divisione militare di Genova. In occasione della rivista dell' 1 l novembre dello stesso anno un ennesimo scontro tra Badoglio, capo di Stato Maggiore Generale, e Cavallero, sottosegretario alla Guerra, provocò l'intervento del sovrano: Badoglio, conservando la carica, fu inviato in Libia come governatore generale; Cavallero fu congedato; Gazzera, molto probabilmente su indica.lione di Badoglio, fu nominato sottosegretario alla Guerra il 24 novembre 1928. Nemmeno un anno dopo, nel settembre 1929, Mussolini lasciò i ministeri militari e Gazzera gli succedette al ministero della Guerra. In pieno accordo con Bonzani, capo di Stato Maggiore dell'esercito, il nuovo ministro senz.a stravolgere il quadro ordinativo del 1926, della cui sostanziale validità era convinto, vi apportò alcune varialioni ed impostò un ampio programma di miglioramento delle armi e dei materiali in dotazione: furono costituite due divisioni celeri. aumentate da tre a quattro le brigate alpine, costituiti sei reggimenti di artiglieria pesante e cinque contraerei, nel sellore dell'armamento fu impostata la costruzione del fucile mitragliatore Breda 30, dalla mitragliatrice Breda 37, del carro veloce 1933, del pezzo contraereo da 75/46 e di quello someggiabile da 75/18. Nel complesso, considerate le disponibilità finanziarie, un notevole lavoro. Gazzera, comunque, sostenitore di un esercito tipo grande guerra fu considerato una passatista ed avversato da coloro che, come il generale Grazioli, proponevano un esercito di minori dimensioni ma più mobile e meglio armato.
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Promosso generale di corpo d'armata il 31 luglio 1930, Gazzera ottenne, tre anni dopo, la nomina a comandante di armata e questi repentini avanzamenti, ottenuti senLa mai essere stato al comando delle grandi unità corrispondenti, non furono graditi a gran parte dell'esercito. Il 22 luglio 1933 Mussolini riassunse il ministero della Guerra e nominò suo sottosegretario Baistrocchi, meno 1radi1ionalista e di dichiarata fedeltà al regime. Gazzera fu collocato a disposizione e nominato poco dopo senatore. Cominciava così la "fascistizzazione" dell'esercito, che Gazzera aveva sempre contras1ato con decisione. Troppo ambizioso per accontentarsi del laticlavio, Gazzera chiese insistentemente di essere reimpiegato e fina lmente nell'agosto I 938 fu nominato governatore del territorio dei Galla e Sidama in Etiopia, un territorio più grande dell'Italia, confinante con il Kenia e con il Sudan, con circa cinque milioni di abitanti. Alla vigilia della 2• guerra mondiale Gazzera fu messo a capo dello scacchiere sud dell'Africa Orientale Italiana, con pochissime for1e a disposizione, oltretutto amiate in modo inadeguato. lni.liate 1'11 giugno 1940 le ostilità Gazzera, manovrando sempre in ritirata, riuscì ad impegnare il nemico fino al 4 luglio 1941. quando fu costretto ad arrendersi alle truppe inglesi e belghe che avevano iniLiato ai primi di maggio una vigorosa offensiva. Prigioniero di guerra in India, rientrò in Italia nel 1944 e ricoprì la carica di presidente della Commissione Centrale di avanLamento per gli ufficiali dell'esercito prima e di Alto Commissario per i prigionieri di guerra poi. Collocato in congedo nel l 945 si ritirò a Torino dove scrisse un interessante e documentato volume di memorie sulla sua esperienLa africana, Guerra senza speranza. Galla e Sidama ( 1940-/941). Si spense a Cirié, in provincia di Torino, il 3 giugno 1953.
GIUSEPPE GOVONE
Giuseppe Govone nacque ad Isola d'Asti il 19.11.1825. Giovanissimo entò nell'Accademia Militare dalla quale usci, nel 1844, sottotenente d'artiglieria. Promosso tenente l'anno successivo partecipò con tale grado alla campagna del 1848 ricevendo il battesimo del fuoco all'assedio di Peschiera. Distintosi nei fatti d'arme di Ri voli, di Pastrengo, di Volta fu decorato di medaglia d'argento al v.m .. Promosso capitano, nell 'ottobre I 848 fu trasferito a lla 6" divisione e con questa grande unità partecipò alla sottomissione di Genova il 4 aprile del 1849, meritando una seconda medaglia d'argento. Inviato a Berlino e poi a Vienna, come addetto mili1arc, rimpatriò nel 185 1 collaborando con il ministro La Marmora al riordinamento dell'esercito .
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Messosi temporaneamente in aspettativa, partecipò alla guerra d'Oriente nello stato maggiore di Omar pascià e prese parte anche alla leggendaria carica di Balaklava. Promosso maggiore fece poi parte del corpo di spedizione sardo in Crimea. Rientrato in Piemonte fu assegnato al comando del corpo di Stato Maggiore, in qualità di responsabile del settore informativo, incarico che disimpegnò egregiamente. Tenente colonnello nel marzo 1859, fu promosso colonnello "sul campo" da Vittorio Emanuele II per il suo comportamento alla battaglia di San Martino (24 giugno 1859) Maggiore generale nell'ottobre del 1860 il Govone fu inviato con la brigata Forti in Abruzzo e poi nella zona di Gaeta con il compiw di reprimere il brigantaggio . Intelligente e colto, comprese le origini e le cause contingenti che alimentavano il fenomeno e seppe comportarsi con fennezza non disgiunta da umanità, tanto che il collegio elettorale di Cittaducale lo volle alla Camera nel giugno 1861. Nel settembre dell'anno successivo fu trasferito a Palermo, al comando della 9• divisione. Qui si distinse per la decisione con la quale combattè il fenomeno della renitenza, decisione che provocò addirittura un incidente parlamentare. Promosso tenente generale rimase in Sicilia fino al 1864. Quando si profilò la possibilità di un'alleanza italo-prussiana per condurre la guerra ali' Austria, il Govone fu inviato a Berlino per definire i termini del trattato, compilo che assolse nel migliore dei modi. Rientrato da Berlino il 9 giugno 1866, ebbe il comando della 2• divisione, inquadrata nel III corpo d'armata comandato dal Morozzo della Rocca. Alla battaglia di Custoza il comportamento del Govone fu esemplare per acume tattico, per coraggio personale, per senso del dovere, tanto che il generale Pollio nel suo pregevole studio sulla battaglia scrisse: "La condotta del generale Govone prima, dopo e durante la battaglia è degna di ammirazione. Essa fu, al piu alto grado, intelligente, risolutiva ed efficace. In quell'oscura situaLione, in quella confusione di idee e di principi, in quell'avvicendarsi di sorprese di ogni specie, egli fu tra i pochissimi generali che videro chiaro". Dopo la guena fu destinato al comando della divisione di Ancona e poi di quella di Piacenza. L' 11 luglio J867 fu nominato comandante del corpo di Stato Maggiore e fu chiamato altresì a far parte di una Commissione incaricata dal ministro Cugia dello studio di un nuovo ordinamento per l'esercito. Eletto nuovamente deputato nel 1868 nel collegio di Spoleto, il 14 dicembre I 869 accettò, per senso del dovere, il portafoglio della Guerra nel ministero LanzaSella. E sempre per senso del dovere, consapevole delle pessime condizioni finanziarie dello s tato, accettò una riduzione nel bilancio per il 1870 di 15 milioni e presentò un suo progetto di ordinamento dell'esercito che avrebbe ridotto la forza bilanciata a poco piu di 100.000 uomini. La guerra francoprussiana offrì la possibilità di occupare Roma ed il Lazio ed il Govone, con grande sollecitudine, provvedette a mettere in piedi un corpo d'armata che, al comando del generale Cadorna, avrebbe dovuto procedere all'occupazione non appena la situazione diplomatica lo avesse consentito. Ma un male antico, improvvisamente .aggravatosi, costrinse il Govone a dimettersi, il 4 settembre 1870, dal governo e dall'esercito. Il 25 gennaio 1872 Giuseppe Govone decedeva ad Alba, dove si era ritirato. Scompariva cosi un soldato valoroso, un generale intelligente, un uomo di governo lungimirante.
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RODOLFO GRAZIANI
Nacque a Filettino, in provincia di Frosinone, il 10 agosto 1882. Soldato di leva per il 1903, frequentò il corso allievi ufficiali di complemento ed il 28 febbraio 1904 fu promosso sottotenente. Collocato in congedo per fine fenna il 27 novembre dello stesso anno, il 18 gennaio fu promosso sottotenente in servizio permanente ed assegnato al I O granatieri. Nell'ottobre del 1908 fu assegnato al Regio Corpo Truppe Coloniali dell'Eritrea dove rimase fino al giugno 19 I 2. Tenente dal 21 gennaio 1909 fu riassegnato al I O granatieri. Destinato con il suo battaglione in Cirenaica nel febbraio 1914, rientrò in Italia nel settembre per motivi di salute. Capitano nel gennaio 19 I S prese parte alla guerra inizialmente con il 131 ° fanteria e poi con il 58° cd il 57°. Due volte ferito e due volte decorato di medaglia di bronzo al v.m., fu promosso maggiore per merito di guerra il 1° giugno del 1916. Tenente colonnello dal novembre 1917, fu promosso colonnello nel dicembre 1918. Nel giugno del 1919 comandò il 61 ° fanteria in Macedonia con il quale rimpatriò definitivamente nell'agosto. Nell'ottobre del 1921 il Graziani fu inviato in Tripolitania ed ebbe modo di mettersi in luce nelle operazioni di riconquista, tanto da ottenere nel 1923 la promozione a generale di brigata per meriti di guerra. Nel dicembre dello stesso anno ottenne una prima medaglia d'argento, per la conquista di Beni Ulid, cd una seconda nel 1927, per le operazioni della Sirtica orientale. Nel giugno dello stesso anno fu promosso generale di divisione. Comandante del Regio Corpo Truppe Coloniali della Tripolitania nel 1928, nel 1929 il Graziani fu nominato Vice Governatore generale e comandante delle truppe della Cirenaica. Promosso generale di corpo d'armata il 21 gennaio l 932 rimpatriò definitivamente nell'aprile 1934, essendo terminate le operazioni di riconquista da lui dirette con spietata energia. Nel luglio deJlo s tesso anno ebbe il comando del corpo d'annata di Udine, nel marzo 1935 fu nominato governatore della Somalia e comandante del corpo di spedizione in Somalia per la guerra con l'Etiopia. Promosso Maresciallo d'Italia al termine della guerra, nel maggio 1936 fu nominato Viceré d'Etiopia ma il 21 dicembre L937 lasciò l'incarico, nel quale aveva dato prova di scarso equilibrio, specie dopo un attentato subito ad Addis Abeba. li 3 novembre 1939 il Graziani fu nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito, il 30 giugno 1940, pur conservando l'incarico, fu inviato in Libia quale governatore generale e comandante superiore delle FF.AA. in Africa settentrionale. Sorpreso dalla prima controffensiva inglese nel gennaio 1941 , si dimostrò incapace di manovrare in ritirata ed il 24 marzo 1941 fu rimosso da tutti gli incarichi. Il 23 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini e
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divenne ministro della Difesa. In lale vesle si oppose al lentativo di far assorbire l'esercito dalla Mili1.ia e cercò di lenere le FF.AA. della Repubblica Sociale fuori dalla lotta polilica, ribadendo il loro carattere apolitico. Nominalmente anche comandante dell'armata italo-ledesca Liguria, schierata dal Piccolo San Bernardo alla Garfagnana, dall'agosto 1944 non esercitò di fatto alcun potere nell'ambito del governo di Salò. Dopo la Liberazione fu processato per il reato di "aiuto al nemico", previsto dall'articolo 51 del codice penale militare di guerra, fu condannato a 19 anni di reclusione ma fu preslo amnistialo. Scrittore abile ed incisivo il Graziani ha documentato la sua attività con parecchi volumi, spesso scriui a breve distanza dagli avvenimenti narrati: Verso il Fezzan (I 930), Cirenaica pacificata (1934), Pax romana in Libia ( 1937), Il fronte sud ( 1938). Nel dopoguerra pubblicò ancora tre volumi autogiustificativi, che nulla tolgono alle sue pesanti responsabilità: Libia redenta, Africa sette11trio11ale ( 1940-1941 ). Ho difeso la Patria. Morì nel 1955.
FRANCESCO SA VERIO GRAZIOLI
Nacque a Roma il 18 dicembre 1863, da genitori di condizione borghese e benestanti. Allievo del Collegio Militare di Roma dall'ottobre 1883 e poi dell'Accademia Militare di Torino, il 6 agosto 1888 fu promosso sottotenente di artiglieria. Dopo aver frequentato la Scuola di Applicazione ed essere stato promosso tenente, fu destinato alla fine del 1889 al 13° reggimento artiglieria da campagna, di stanza a Roma. Nell'ouobre del 1894 il giovane ufficiale romano fu ammesso alla Scuola di Guerra, ubicata allora a Torino ed i cui corsi avevano una durata triennale. L'esito infelice della battaglia di Adua, I O marzo 1896, ebbe su di lui un forte impallo emotivo che lo spinse a chiedere di essere inviato in Eritrea. Accontentato al termine dell'anno scolastico, Grazioli si imbarcò a Napoli per Massaua il 20 ottobre del 1896, giungendo nella colonia a situazione già ristabilila. Rientrato in Italia nell'agosto del 1898 completò il ciclo di studi presso la Scuola di Guerra, classificandosi secondo su cinquanta allievi. Grazioli non apprezzò mollo nè gli insegnamenti ricevuti nè la qualità dei docenti, rilenendo antiquali e dottrinari i primi e poco preparati i secondi. E non cambiò più idea. Ammesso al serviL.io di Stato Maggiore nel 1900 fu assegnato al comando della divisione territoriale di Roma e, nello stesso anno, promosso capitano a scelta. Trasferito l'anno successivo alla divisione territoriale di Livorno fu poi
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assegnato al 18° reggimento artiglieria da campagna per effettuarvi il prescritto comando di batteria. Transitato nel luglio 1903 nel Corpo di Stato Maggiore fu assegnato all'Ufficio Particolare del capo di Stato Maggiore dell'esercito, generale Saletta, incarico che mantenne anche con il generale Pollio. Furono questi anni determinanti per la definitiva formazione intellettuale e professionale di Grazioli che acquisì una completa conosccnLa dell'organizzazione militare. Promosso maggiore nel 1909, assunse il comando del terzo battaglione d el 2° reggimento granatieri, con il quale sbarcò a Tripoli il 30 ottobre 191 I . lmpiegato inizialmente per la difesa di Tripoli e poi nella riconquista di Henni e nell'occupazione di Ain Zara, ebbe modo di distinguersi a B ir Tobras, dove guadagnò una medaglia d'argento al valor militare con questa motivazione: "Nel combattimento di Bir Tobras guidò brillantemente il suo battaglione in a1ione offensiva. Nel ripiegamento, diede prova di suprema energia, di molto valore personale e di lodevole capacità tattica". Promosso tenente colonnello nell 'agosto I 912, nel successivo mese di ottobre fu rimpatriato e destinato all'Ufficio Militare del neo-costituito ministero delle Colonie. Molto apprcnato dal ministro Bcrtolini, nel maggio del 19 13 fu nuovamente inviato a Tripoli con l'incarico di Capo dell'Ufficio Politico-Militare del Governatorato della Tripolitania, incarico difficile ma interessante che ricoprì per due anni con ottimi risultali. Rimpatriato nell'aprile del 1915 fu assegnato al V corpo d'armata quale capo di Stato Maggiore. Promosso colonnello a scelta il 30 giugno dello stesso anno, fu trasferito, i.cmpre con l'incarico di capo di Stato Maggiore, al XJU corpo d'armata schierato tra San Martino ed il Monte Sei Busi, nel settore della 3° armata. Alla fine del mese di maggio del 1916, con il grado di colonnello brigadiere, fu destinato al comando della brigata Lambro, uscita malconcia dalla battaglia degli Altipiani ed in fase di ricostitu1ionc tra Padova e Vicenza. Il l O agosto la brigata entrò in linea tra San Floriano cd Oslavia, giusto in tempo per partecipare alla conquista di Gorizia. L 'ottimo comportamento della brigata determinò la promozione per merito di guerra di Grazioli a maggior generale. Nel maggio J 917 fu incaricato del comando della 43• divisione e, nel settembre dello stesso anno, del comando dcll'VIII corpo d'annata, schierato sul Carso gori1iano all'ala destra della 2• armata. Non particolanncntc coi nvolto d all 'offensiva austro-tedesca de ll 'ouobre, il corpo d'armata potè ritirarsi ordinatamente sul Piave, passando alle dipendenze della 3• armala e prendendo posizione tra Spresiano e Nervesa. Alla fine di novembre fu assegnato alla 4• armata, quale capo di Stato Maggiore, ed anche nella ostinata difesa del Grappa si distinse per acume tattico e capacità organizzativa. Trasferito nell 'aprile del 1918 alla 5" armata, sempre come capo di Stato Maggiore, ottenne nel giugno il comando del corpo d'armata d'assalto, costituito con i reparti arditi delle armate. Ed al comando di questo corpo d 'armata ebbe la ventura di entrare in Vittorio Veneto il mattino del 30 ottobre. Dopo il conflitto, già promosso tenente generale, fu destinato al comando del Corpo
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Interalleato di occupazione di Fiume, incarico che resse fino al 1° settembre del 1919 con grande energia e con notevole abilità politica, opponendosi ali ' azione filoslava della Francia. Nominato nel maggio 1920 Direttore Superiore delle Scuole Militari e, nel novembre dell'anno successivo, entrato a far parte del Consiglio dell'Esercito pubblicò alcuni saggi (Evoluzione della dottrina tattica nella guerra europea, L'educazione fisica militare, Note sul combattimento della fanteria, Cavalleria moderna e corpi celeri misti La cooperazione tattica) che rivelarono un pensiero originale e moderno. All'avvento del fascismo non nascose le sue simpatie per il nascente movimento, peraltro mantenute nei limiti del regolamento di disciplina. Promosso generale di corpo d'armata fu destinato, nel febbraio del 1923, a Verona, dove rimase fino al 4 maggio 1925 quando fu nominato sottocapo di Stato Maggiore generale. Nel 1925 pubblicò un volume di carattere storicomilitare, La battaglia di Rivoli, che recava come sottotitolo La guerra come opera d 'arte - studio sulla guerra manovrata, lavoro accurato ed originale che consolidò la sua fama di ufficiale colto e preparato. Nominato senatore il 2 dicembre 1928, quando già era stato promosso generale designato d'armata ed assegnato al comando dell'armata di Bologna (corpi d'armata di Bologna e di Udine), si dedicò con impegno anche all'attività parlamentare. Fu, infatti, dal 1933 al 1937 relatore sullo stato di previsione della spesa del ministero della Guerra essendo membro della Commissione Finanze. Anche in quelle occasioni Grazioli non si peritò di manifestare apertamente le sue propensioni per un esercito più snello, più manovriero e largamente dotato di carri. Gli anni trenta furono anche gli anni più fecondi per il Grazioli scrittore. Pubblicò infatti: nel 1930 un volume dedicato alla brigata Lambro, In guerra con i fanti d'Italia; nel 1932 La giovineua di Garibaldi condottiero, Il genio guerriero di Garibaldi, Le campagne d'America (1836-1848); nel 1934 La preparazione militare della Nazione; nel 1935 La nazione militare; nel 1936 L'arte militare romana. Tra il 1933 ed il 1939 curò, unitamente allo storico Gioacchino Volpe, la collana, edita da Mondadori, La guerra e la milizia negli scrittori italiani di ogni tempo, opera di ampio respiro consistente nella riedizione, opportunamente commentata da studiosi di chiara fama, di lavori tra i più importanti della storiografia militare. Sotto il profilo strettamente militare, comunque, il suo saggio più significativo fu quello pubblicato nel 1931 sulla Nuova Antologia dal titolo Dalle guerra alla pace - meditazioni di un combattente nel quale prendeva posizione contro la guerra di logoramento ed indicava i criteri fondamentali da seguire per condurre una forma di guerra dinamica e risolutiva. Lo scritto apparve a molti una condanna senza appello della normativa ufficiale e provocò le ire del ministro della Guerra, generale Gazzera. Nel I934 Grazi oli fu inviato a presenziare alle grandi manovre dell'esercito russo. Impressionato dalla modernità dei mezzi e della dottrina compilò per lo Stato Maggiore una ponderosa relazione che, come l'articolo della Nuova Antologia, non riuscì a smuovere il vertice mjlitare dalle sue antiquate concezioni dottrinali. Il IO ottobre 1934, lasciato il comando dell'armata, fu nominato Ispettore
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Capo della preparazione pre e post militare, alle dirette dipendenze del Capo del Governo. Raggiunto dai limiti di età il 18 dicembre 1935 fu collocato in posizione ausiliaria, richiamato in servizio lo stesso giorno e promosso generale d'armata. Ma l' incarico era soltanto di facciata e Grazioli non riuscì, per l'ostilità delle alte gerarchie del regime fascista, ad imprimere all'organizzazione la necessaria serietà. Collocato definitivamente in ausiliaria nel 1938 accettò di dirigere, nel 1941, il mensile Nazione Militare, incarico che terminò nel luglio del 1943. Nel 1941 pubblicò una notevole biografia di Scipione l'Africano, esaminato soprattutto come protagonista di una guerra offensiva e manovriera. Nel settembre 1943 rifiutò, per lealismo monarchico, l'incarico di ministro della Guerra della Repubblica Sociale Italiana, dimostrando ancora che la sua devozione a Mussolini non era tale da fargli infrangere il giuramento prestato. Nel dopoguerra, ancora attivo nonostante l'età ormai avanzata, Grazioli pubblicò due pregevoli saggi sulla t• guerra d'indipendenza: Le operazioni militari del 1848 e Luci ed ombre nella campagna del 1848 in Italia. Si spense a Firenze il 20 febbraio 1951.
GIORGIO LIUZZI
Nato a Vercelli il 30 agosto 1895, figlio di un ufficiale d'artiglieria seguì le orme paterne e nel 1912 entrò nell'Accademia Militare di Torino uscendone sottotenente di artiglieria il 6 agosto 1914. Sottocomandante e poi comandante di una batteria di artiglieria da montagna durante la prima guerra mondiale fu decorato con due medaglie di bronzo ed una medaglia d'argento al valor militare e fu due volte ferito. Nel dopoguerra fece parte del Comando Supremo e, successivamente, della Commissione Interalleata di Controllo a Vienna. Dal 1921 al 1924 frequentò la Scuola di Guerra, nel 1925 fu addetto alla segreteria del Ministro della Guerra, dal 1926 al 1929 comandò il I gruppo del 19° artiglieria da campagna. Brevettato osservatore aereo, insegnò arte militare terrestre presso le Scuole di osservazione aerea di Grottaglie e di Cerveteri, svolgendo anche l'incarico di addetto all'Ufficio Addestramento dello Stato Maggiore dell'esercito dal 1930 al 1935. Ricoprì poi l'incarico di capo di Stato Maggiore della 2• divisione celere e, promosso colonnello, comandò il I O reggimento di artiglieria celere nel 1938. Nel periodo 1923-1935 pubblicò numerosi saggi sulla Rivista di artiglieria e genio, sulla Rivista di Fanteria e su Esercito e Nazione, occupandosi di
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problemi artigliereschj e dimostrando profonda competenza e facilità di scrittura. Di religione israeJjta, nel 1939 fu radiato dall'esercito in base alle leggi razziali. Rientrato in servizio nel 1944, fu capo di Stato Maggiore della delegazione "A" dello Stato Maggiore esercito, promosso generale di brigata nel 1945 ricoprì presso lo Stato Maggiore dell'esercito prima l'incarico di generale addetto e poi quello di sottocapo. Dopo aver comandato la brigata corazzata Ariete nel 1948-1949 fu nominato Direttore Generale dei Servizi di Commissariato ed Amministrativi del ministero della Difesa. Promosso Generale di divisione comandò la Granatieri di Sardegna nel 1951. Con il grado di generale di corpo d'armata comandò il Comando Militare Territoriale di Napoli dal 1952 al 1954 e poi il V corpo d'armata fino all'll ottobre 1954, quando fu nominato capo di Stato Maggjore dell'esercito. Fin dal 1950 aveva ripreso a pubblicare sulla Rivista Militare articoli e saggi di notevole interesse e di esemplare chiarezza su problemi di carattere generale relativi all'ordinamento dell'esercito ed alle esigenze di una moderna organizzazione militare. Sulla meritoria attività del generale Liuzzi durante il periodo in cui fu capo di Stato Maggiore dell'esercito si è già riferito sulla Parte I di questo volume e, pertanto, in questa sede non se ne farà più cenno. Lasciata la carica il 31 marzo del 1959, in aperto contrasto con il governo sull'installazione di missili con testata nucleare nella Puglia, nel 1963 pubblicò il volume Italia difesa?, nel quale esaminò con equilibrio e con competenza la politica di sicurezza svolta dal governo nel dopoguerra, mettendone in luce le incongruenze e le lacune. Morì a Milano il 5 novembre 1983.
EFISIO MARRAS
Nacque a Cagliari nel 1888. Entrato nel novembre 1906 nel!' Accademia Militare fu promosso sottotenente di artiglieria il 4 settembre 1908 e tenente il IO luglio 1911. Destinato al 19° artiglieria da campagna prese parte all'occupazione del Dodecanneso. Promosso capitano nel marzo 19 I 5, all'inizio della guerra mondiale fu inviato al fronte con il 37° artiglieria da campagna con il quale, nel marzo 1916, fu trasferito in Albania. Promosso maggiore nel 1918, negli annj 1920-1921 frequentò il corso integrativo di Stato Maggiore per poi prestare servizio all'ufficio Operazioni dello Stato Maggiore dell'esercito fino all'ottobre 1926, quando fu assegnato al 7° pesante campale di guarnigione a Livorno e contemporaneamente, incaricato di insegnare arte militare terrestre
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presso l'Accademia Navale. Transitato nel 1928 nel corpo di Stato Maggiore, fu destinato all'ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale e, nel 1931, promosso colonnello per meriti eccezionali. Dal settembre 1933 al settembre 1936 tenne il comando del 6° pesante campale, nell'ottobre fu nominato addetto militare a Berlino, accreditato anche per la Danimarca e per la Svezia. Promosso generale di brigata nel 1937 rimase nell'incarico di addetto militare fino al luglio 1939, quando fu nominato comandante dell'artiglieria del corpo d'armata di Roma e poi inviato in Libia quale capo di Stato Maggiore della 5' armata ma, nel novembre, fu nuovamente inviato a Berlino come addetto militare e, dal novembre 1940, come Capo della Missione Militare Italiana di collegamento con il Comando Supremo tedesco, incarico che mantenne fino al 9 settembre 1943, conseguendo nel frattempo la promozione a generale di divisione, luglio 1940, e di corpo d'armata, gennaio 1943. Internato in Germania, il 31 mano 1944 fu consegnato dai Tedeschi al governo di Salò e rinchiuso nelle carceri di Verona e poi di Gavi Ligure, dalle quali evase nell'agosto riparando in Svizzera. Rimpatriato alla fine del conflitto, fu nominato comandante del Comando Militare Territoriale di Milano, incarico che mantenne fino al I O febbraio 1947 quando fu nominato capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Il IO dicembre 1950 raggiunse il vertice della gerarchia militare con la nomina a capo di Stato Maggiore della Difesa, incarico tenuto fino al 15 aprile 1954 quando fu col locato nella riserva. Per lunghissimi anni ancora prestò la sua opera intelligente e fattiva come cancelliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Si spense a Roma il 28 gennaio 1981. Di lui riportiamo l'equilibrato giudizio espresso dal generale Alberto Rovighi: "Della sua lunga vita di soldato vanno ricordati soprattutto l'estesissimo impegno a Berlino, praticamente dal 1936 al I 943, e quelli connessi con gli incarichi ricoperti nel dopoguerra. Nel primo egli svolgeva una intensa attività politico-militare dimostrando sempre acuto giudizio, sereno equilibro e signorile fermezza. Mentre contribuiva al mantenimento di buone relazioni con le autorità militari presso cui era accreditato egli, nei suoi rapporti, rappresentava a Roma giudizi e valutazioni aderenti ad una situazione di crescenti difficoltà nelle relazioni fra i due alleati nonchè proposte spesso non perfettamente intese a Roma. Dalla sua sicura osservanza dei doveri di soldato in ogni momento della sua missione era dimostrazione il suo immediato arresto il 9 settembre 1943, cui seguivano le traversie che abbiamo ricordato. Nel suo incarico di comandante del CMT di Milano.in un periodo di estrema difficoltà per le condizioni perturbate dell'ordine pubblico dava ancora prova di fem1ezza e nello stesso tempo di prudente e progressivo maggior controllo della situazione nelle unità,insieme ad un miglioramento della loro efficienza operativa. Ma egli va ricordato soprattutto per la sua opera a favore dell'Esercito, di tutte le Forze Armate e - va detto - dell'intero Paese nel tormentato periodo 1947-1954. Erano gli anni difficili della ricostruzione delle
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Forze Armate su nuovi principi e nuove basi, dopo una guerra rovinosa che ne aveva distrutto la consistenza e, in parte, la forza morale. Enormi furono le difficoltà incontrate - materiali e psicologiche - sia sul piano nazionale sia su quello dei rapporti internazionali. Molto riservato e schivo quanto fermo e risoluto, il generale Marras non compariva molto sulla scena dei mass media sicchè la sua figura rimaneva oscura per la maggioranz,a degli italiani, ma in realtà egli era al centro - insieme a De Gasperi, Sforza, Paeciardi, Einaudi - di quella costruzione delle nostre istituzioni che assicurarono all'Italia la ripresa di un tono morale e di un certo prestigio sul piano internazionale. A lui si deve l'aver ottenuto la fiducia e l'aiuto delle diffidenti potenze occidentali assicurando in tal modo all'Italia la possibilità di entrare con pieno merito e diritto a far parte dell'Alleanza Atlantica ed alle discussioni per la CED e poi all'UEO; a lui il merito di una efficienza delle unità conseguita indubbiamente anche attraverso gli aiuti USA e qualche maggiore stanziamento di bilancio, ma soprattutto animata dallo spirito di dedizione, dalla coscienza del dovere, dalla ferma tenacia del generale Marras".
NICCOLA MARSELLI
Nato a Napoli il 5 novembre 1832, figlio di un ufficiale borbonico. Entrò nel 1842 nel collegio militare della Nunziatella dove ebbe a maestro Francesco De Sanctis "i l cui insegnamento impresse nel suo spirito om1a profonda", come ha scritto il Pieri. Alfiere del genio nel I 850, passò nell'esercito italiano e la guerra del 1866 lo trovò capitano. Dopo il conflitto fu nominato insegnante, di storia generale prima e di storia militare poi, alla Scuola Superiore di Guerra; da colonnello comandò il 61 ° fanteria; maggiore generale nel 1884 fu segretario generale del ministero della Guerra con il ministro Ricotti fino al 1887 e poi comandante in seconda del corpo di Stato Maggiore. Promosso tenente generale ebbe il comando del corpo d'annata di Bologna. Deputato per cinque legislature e senatore, mori suicida il 26 aprile 1899. Dotato di profonda cultura, penneato di filosofia hegeliana dall'insegnamento del De Sanctis, fu poi attratto dal positivismo spenceriano. Nel 1858 pubblicò il suo primo volume Saggi di critica storica, nel 1859 la ragione della musica moderna, nel 1863 L'architettura considerata in relazione alla storia del mondo, nel 1866 la critica e l'arte moderna, tutte opere oggi dimenticate ma che attirarono l'attenzione dei vertici dell'esercito e che determinaro-
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no il suo incarico alla Scuola Superiore di Guerra Nel J 871 pubblicò la sua prima opera importante, Gli avvenimenti del 1870-71. In essa il Marselli, dice sempre il Pieri, "non solo studiava la guerra franco-germanica, ma esaminava la situazione politico culturale dei due avversari, i .loro eserciti, vjsti come contrapposizione dell'esercito di riservisti all'esercito di caserma e poi le conseguenze della disfatta francese nel nuovo diritto internazionale; la Comune di Parigi e la questione sociale: insomma una visione ampia .e tutt'altro che superficiale del complesso fenomeno". Nel 1875 apparve l'opera principale del Marselli, La guerra e la sua storia, recentemente ristampata dall'Ufficio Storico dello SME, trattazione assai ampia del problema, un vero e proprio trattato positivista sull'argomento che molto contribul a risveglias~Jn Italia l'interesse per gli studi strategici, anche se non recò alcun contributo originale allo studio del fenomeno. Nel 1889 il colto ufficiale napoletano pubblicò la sua opera piu attuale, la vita del reggimento, anch'essa recentemente ristampata dallo SME, nella quale trattò con larghezza di vedute e con sentimento appassionato il problema della formazione morale ed intellettuale del soldato e dell'ufficiale. Contemporaneamente il Marselli esplicò anche una feconda attività di articolista politico e prese spesso la parola alla Camera, adoperandosi molto per la stipulazione della Triplice Alleanza. Dopo il Congresso di Berlino del 1878, quando in Italia erano sempre più accese le polemiche per il modo con il quale il ministro Corti si era comportato nel Congresso, uscendone "con le mani pulite", mentre tutti i maggiori stati europei ne avevano ricavato grandi benefici, pubblicò il suo Raccogliamoci, che fu un vero incitamento alla concordia ed al buon senso, nel quale non si peritò di affermare che eravamo usciti dal Congrenso a mani vuote perche eravamo "isolati e malvisti" e che"... S'io fossi stato nei panni del conte Corti, mi sarei unito al Bismarck per pregare I' Andrassy di occupare la Bosnia e l'Erzegovina ... Noi temiamo che si alteri l'equilibrio del Mediterraneo. Ebbene, corriamo al riparo. Marina! Marina! Intanto, raccogliamoci. Assodiamo i nostri ordinamenti militari, sviluppiamo il nostro naviglio, facciamo una buona politica interna. Persuadiamoci che, date le condizioni d'isolamento e di debolezza in cui eravamo, neppure il conte di Cavour sarebbe riuscito a cambiare il risultato del Congresso. Raccoglimento non vuol dire abdicazione. Prepariamoci migliori destini. Le vecchie alleanze si sciolgono; le nuove si formeranno e se saremo saggi, sceglieremo gli amici ove havvi sostanziale e non transitoria identità di interessi". Non per nulla un grande diplomatico e un grande realista come il generale di Robilant, allora ambasciatore italiano a Vienna, gli scrisse per manifestargli la sua approvazione. Ed ai primi del marzo 1880, quando l'Austria era in fermento per i moti irredentistici italiani, pronunziò alla Camera un forte discorso sull'indirizzo piu conveniente da imprimere alla nostra politica estera. L 'Italia - diceva - ha interesse alla conservazione della pace; può inclinare alla neutralità, ma non potrebbe rimanere indifferente alle guerre che rumoreggiassero ai suoi confini. Sua missione non è di fare conquiste e neppure di dare impulso al movimento politico internazionale europeo, ma ha un dovere
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ed è quello di conservare e svolgere i propri traffici. E per questo, occorrono autorità forze ed amicizie le quali ultime sogliono consistere nello scambio dei servigi. Il problema orientale dopo il congresso di Berlino s'impone cosi: l'egemonia, per non dire il dominio della penisola balcanica, deve appartenere ali' Austria o alla Russia? ... E' assai probabile che possa apparire meno pericolosa alle nazioni conservatrici d'Europa, la trasformazione dell'impero austroungarico in un grande impero danubiano a base slava da contrapporre a quello settentrionale e da servire da cuscinetto all'Europa. Questa probabilità determina già un fatto nuovo: la creazione, cioè, di due gruppi di alleanze; l'uno già formato: (Germania - Austria Ungheria); l'altro, in via di formazione (Francia - Russia). Le forze di questi due gruppi si puo ritenere che si bilancino e quindi l'intervento dell'Italia potrebbe far traboccare la bilancia. Dobbiamo dunque esser forti per essere indipendenti e desiderati e la nostra libertà d'azione non dobbiamo alienarla per alcun fine aggressivo ma solo per evitare i pericoli di una politica di assoluta abdicazione. Se saremo costretti a scegliere i nostri amici, la scelta deve ess~e determinata dall'interesse della nostra conservazione. E al desiderio d'incorporare terre italiane comprese in altri Stati, deve prevalere una ragione più alta, un interesse più complesso, un presentimento più acuto dell'avvenire". Tutti concetti che il Marselli ribadì l'anno seguente sulle pagine della Nuova Antologia e che ebbero grande influenza per convincere Parlamento e Governo dell'assoluta necessità di venire ad un accordo con l'Austria e con la Germania. Sono pagine di storia patria che dovrebbero essere rilette, o forse lette da tanti studenti d'oggi" che si ostinano a considerare la Triplice Alleanza un patto reazionario, unicamente teso al mantenimento dell'istituto monarchico. Per concludere l'argomento, si riporta un brano di un articolo del Marselli scritto alla vigilia del rinnovo della Triplice nel 1887:"Nessun grido è più megalomane per non dir mentecatto di quello che, nelle circostanze in che ci troviamo cogli Stati confinanti, si riassume nel motto: L'Italia sta da se. Una nazione che confina con grandi Stati militari come l'Italia e che è senza alleanze, deve svolgere i suoi armamenti in guisa da potersi difendere contro uno degli eserciti che ha ai confini. Cosicchè, non rinnovando il trattato, si dovrebbe dare il maggiore impulso ai nostri armamenti di terra e di mare aggiungendo molti milioni al nostro bilancio della guerra e della marina. Ora è bene aver presente che, nell'ipotesi di un Italia isolata, le sue necessità militari relative ai due Stati confinanti non si elidono ma si sommano, giacchè non si puo escludere il caso di una guerra dei due confinanti coalizzati ai suoi danni. Non solamente dunque la nostra alleanza colle potenze centrali ci è necessaria ma altrettanto necessario per noi il buon accordo coll' Inghilterra. L'alleanza inglese è pertanto una costante nella variabilità dei sistemi politici italiani. Ma perchè possiamo esserle utilmente alleati occorre avere una marina e, certamente, il nostro trattato colle potenze centrali è il mezzo più adatto per conservare la pace ed aver il tempo di procedere gradatamente allo sviluppo del nostro naviglio". In sintesi, il Marselli deve essere considerato il rinnovatore del pensiero militare italiano ed
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIA NO (1861 · 1990)
ìl fondatore di un indirizzo didattico che permeò, s ul finire dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento, larga parte dell'ufficialità italiana e che contribuì n on poco ad allargarne gli orizzonti culturali e ad indirizzarne gli interessi anche al campo sociale ed economico.
ENRICO MARTINI MAURI
Nato a Mondovì nel I 9 l I , Enrico Martin i entrò nell'Accademia di Modena dopo aver conseguito la maturità classica. Sottotenente degli alpini nel 1931, dopo la frequenza della Scuola di Applica1ione fu assegnato al 3° reggimento alpini e nel 1936 prese parte alla guerra italo-etiopica meritando una croce di guerra al valor militare nella battaglia del lago Ascianghi. Ammesso all'Istituto Superiore di Guerra nel 1938, nel 1941, ormai capitano, fu assegnato all'ufficio Operazio ni del Comand o Superiore Africa Senentrionale. Nel corso delle operazioni in Marrnarica ottenne una seconda croce di guerra al valor militare. Rimpatriato nell'aprile 1943 fu destinato alllo Stato Maggiore dell'esercito a Roma. Dopo aver preso parte alla difesa di Roma il 9 settembre 1943, il maggiore Martini tentò di raggiungere il Piemonte dove sembrava che alcuni reparti della 4• annata resistessero sulle Alpi Occidentali ai Tedeschi. Catturato durante il trasferimento fu rinchiuso nel campo di concentramento di Apuania, da dove riuscì ad evadere, raggiungendo finalmente il Piemonte il 17 settembre. Qui iniziò, con il nome di battaglia Mauri, ad organizzare le prime unità partigiane, dando inizio ad un periodo di straordinaria attività operativa sinteticamente riepilogata nella motivazione della medaglia d'oro al valor militare che gli sarà conferita al termine del conflitto: "AnimaLOre primo della resistenza nel Monregalese, organizzatore delle prime bande annate nella Val Maudagna e nella Val Casotto, dopo di essersi dimostrato, nel corso di duri combattimenti, comandante di grande capacità e di leggendario coraggio, raccoglieva intorno a sè alcune migliaia di combattenti bene armati e disciplinati coordinando ogni attività patriottica nelle Langhe e nel basso Monferrato. Nell'estate e nell'autunno del I 944 occupava, in collaborazione con altre formazioni, la città di Alba, già saldamente presidiata dal nemico, e vi resisteva per oltre un mese. Al principio dell'inverno impegnava in dura lotta ben due Divisioni germaniche inviate per ristabilire il controllo della regione e, dopo aver s ubito gravi perdite ed inflitte di ben più gravi, riusciva a mantenersi in armi nella
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zona. Nel governo di popolazioni civili delle provincie di Cuneo, Asti, Alessandria e di parte della provincia di Savona dimostrava di possedere, in modo preminente, maturità di giudizio, capacità organizzativa, equilibrio, energia, fraterno e sentito interessamento, tanto da essere molto favorevolmente ricordato, anche a distanza di anni. All'inizio della primavera del 1945, con azione bene organizzata e valorosamente condotta, occupava con le sue forze, dopo duri combattimenti, Alba, Canelli, Nizza Monferrato, Monesiglio e, durante l'insurrezione generale, liberava anche Savona, Ceva, Mondovì, Fossano, Bra, Racconigi, Carmagnola, giungendo con il suo Gruppo di Divisioni partigiane a Torino. Zona meridionale del Piemonte e Nord Occidentale della Liguria, settembre 1944-25 aprile 1945". Il contributo offerto dagli autonomi di Mauri alla causa della Resistenza può essere valutato anche dalle perdite: in venti mesi di lotta caddero novecento partigiani ed oltre mille furono i fe.riti ed i mutilati. Dopo la liberazione Enrico Martini fece parte della Consulta nazionale, quale rappresentante delle formazioni autonome, e fu promosso tenente colonnello per meriti di guerra. Ottenne anche di aggiungere al suo nome quello usato durante il periodo clandestino, Mauri. Nel 1947 lasciò a domanda il servizio attivo. Fu una decisione dolorosa ma inevitabile. La sua età ed il relativamente modesto grado conseguito non consentivano un impiego adeguato alle responsabilità di cui si era fatto carico negli anni della clandestinità, la "normalizzazione" del dopoguerra esigeva un rientro nei ranghi che lo avrebbe troppo diminuito. L'esercito non seppe conservare una bandiera preziosa. Enrico Martini Mauri ha raccontato nel 1946 la sua guerra in una cronaca asciutta ed efficace, Con la libertà e per la libertà, ripubblicata nel 1968 con il titolo Partigiani penne nere. La sua intransigenza anticomunista gli procurò l'ostilità della cultura di sinistra e Mauri, come ha scritto Edgardo Sogno, "fu colpito, perseguito, emarginato due volte. La prima volta fu nel 1970 quando una modesta contravvenzione valutaria di frontiera venne trasformata sui giomaJi in una esportazione clandestina di capitali. La seconda volta fu nel 1974, quando fu coinvolto con altri comandanti partigiani cosiddetti bianchi nella causa giornalistica sul golpe e sulle trame nere. La totale assoluzione doveva passare quasi inosservata dopo i titoli su molte colonne di una tendenziosa compagna giornalistica e politica". Scomparso in un incidente aereo in Turchia nel 1976, Enrico Martini Mauri riposa nel cimitero di guerra di Bastia Mondovì fra i suoi compagni caduti nella lotta partigiana.
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STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
LUIGI FEDERICO MENABREA
Nato nei pressi di Chambery il 4 settembre 1809, terminati gli studi secondari a Chambery nel 1828 venne a Torino, per frequentare la facoltà di ingegneria e fu allievo prediletto del Piana, del Cauchy e del Bidone, tutti matematici illustri. Al termine del quarto anno di corso il Menabrea si laureò in ingegneria idraulica e, l'anno dopo, in architettura. Gli ottimi risultati conseguiti lo segnalarono a Re Carlo Alberto, e così il giovane ingegnere divenne luogotenente nello Stato Maggiore del genio il 26 marzo 1833 ed inviato a Bard dove si stava ricostruendo il forte. Dopo una breve permanenza fu trasferito a Torino come insegnante di meccanica applicata nella Regia Accademia. Nel 1835 ottenne il titolo di dottore collegiato (libero docente) presso l'Università di Torino. Nel 1839 era già capitano e membro della Reale Accademia delle Scienze di Torino, presso la quale era "relatore" per le invenzioni di cui si chiede al governo "il brevetto". Nel 1846 il Menabrea ottenne all'Università la cattedra di costruzioni e geometria. L'inizio della guerra nel 1848 fu anche l'inizio per il Menabrea di numerose missioni diplomatiche presso i governi provvisori dei Ducati emiliani e presso l'esercito pontificio nel Veneto, rnissio1ù che disimpegnò egregiamente. Eletto deputato nelle prime elezioni del regno subalpino, nel settembre del 1848 fu promosso maggiore e trasferito al ministero della Guerra. Nominato Segretario Generale degli Esteri ricoprì tale carica fino al 14 marzo 1850. Nel 1849 fu promosso colonnello. Alla Camera, dove fu sempre rieletto fino al passaggio della Savoia alla Francia, il Menabrea si interessò non solo di problemi militari, dimostrandosi attento a tutte le grandi questioni attinenti all'economia ed alla produzione. Fu il più autorevole patrocinatore del traforo del Frejus. Cattolico praticante votò contro le leggi Siccardi nel 1850 e dovette dare le dimissioni dal ministero degli Esteri in quanto fece scalpore il fatto che un funzionario dello Stato avesse votato contro un provvedimento pre~entato dal governo. Avverso al "connubio" Cavour-Rattazzi, divenne il Iead1:r dell'opposizione di destra, il che non impedì a Cavour di stimarlo. Il Menabrea continuò ad occuparsi attivamente anche di questioni scientifiche, elaborando, tra l'altro, il teorema di Menabrea o principio di elasticità che si studia ancor oggi e presentando all'Accademia delle Scienze numerose tesi che attestano la solida preparazione e la sagace intelligenza, testimoniata anche dalle lauree honoris causa che più tardi le Università di Oxford e di Cambridge gli conferirono. Promosso maggior generale alla vigilia della guerra con l'Austria del 1859, diresse gli allagamenti della campagna vercellese, realizzò le prime fortificazioni di Piacenza e le opere per l'assedio di Peschiera. Vittorio
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Emanuele II Io nominò senatore nel febbraio del 1860. Promosso tenente generale, ebbe il comando del genio nel corpo di operazioni allestito per la campagna delle Marche e dell'Umbria e diresse poi i lavori all'assedio di Gaeta, lavori di grande mole e di decisiva importanza, tanto che l'anna del genio, fino al termine della prima guerra mondiale, celebrò la sua festa nell'anniversario della caduta di Gaeta. Il re gli concesse la medaglia d'oro e Io nominò presidente del Comitato del genio. Alla morte di Cavour il nuovo presidente del consiglio, Ricasoli, lo volle ministro della Marina e si deve al Menabrea la legge istitutiva dell'arsenale militare marittimo di La Spezia. Caduto il gabinetto Ricasoli, il Menabrea ritornò al governo nei ministeri Parini e Minghetti come ministro dei Lavori Pubblici. Caduto il governo Minghetti a causa della "Convenzione di settembre", finnata a Parigi proprio dal Menabrea, ritornò ad occuparsi solo di problemi militari e nella guerra del 1866 fu Comandante Superiore del genio. Anche le trattative di pace, dopo l'armistizio di Cormons, furono condotte per conto del governo dal Menabrea, che firmò il trattato il 3 ottobre a Vienna e che riuscì a farsi restituire dall'Austria la corona ferrea, trafugata dal duomo di Monza nel 1859. Il 4 novembre successivo guidò la delegazione veneta incaricata di presentare al sovrano l'esito del plebiscito ed il sovrano gli conferì il Collare della S.S. Annunziata,. Caduto il governo Rattazzi a causa della spedizione di Garibaldi nell'agro romano, il 27 ottobre 1867 il Menabrea fu incaricato da Vittorio Emanuele II di costituire il governo, dato che nessun altro uomo politico aveva il coraggio morale di assumersi, in quelle condizioni, tanto grande responsabilità. Il Menabrea, soldato prima che politico, accettò e liquidò la pesante eredità rattaziana con energia e con buon senso, rimanendo al potere fino al 13 dicembre 1869 attraverso due successivi rimpasti ministeriali. Il periodo durante il quale il Menabrea si trovò ad operare fu uno dei peggiori nella storia del regno d'Italia e per le condizioni morali dovute alla sconfitta di Custoza ed al fallimento dell'avventura garibaldina dell'anno succ.essivo, e per le condizioni di grave dissesto delle finanze statali. Fu giocoforza adottare il costo forzoso della moneta, aumentare la pressione fiscale fino all'introduzione nel marzo I 868, della famosa tassa sul macinato che provocò gravi tumulti e che alla Camera qualcuno definì "tassa sulla povertà", senza però proporre realistiche ed affidabili alternative, accelerare la vendita dei beni ecclesiastici, privatizzare la vendita dei tabacchi, diminuire drasticamente le spese militari. Politica economica dura e poco popolare, ma il disavanzo scese a 266 milioni nel 1868 ed a 195 nel 1869. Contemporaneamente i tre ministeri presieduti dal Menabrea proseguirono nella "costruzione" del nuovo regno, istituendo le Intendenze di Finanza, la Ragioneria Centrale dello Stato, riordinando biblioteche ed università, ampliando la rete stradale e ferroviaria, stipulando trattati di commercio e convenzioni consolari con molte nazioni europee ad americane, ampliando porti ed arsenali marittimi. Certo il Menabrea era un conservatore, ma non era nè un retrivo nè un immobilista, il suo governo fu provvido e rispettoso delle leggi, ed anche nei confronti della Chiesa, nonostante il precedente della legge Siccardi e le sue
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personali convinzioni, il Presidente seppe mantenenre un atteggiamento fermo ed intransigente sulla difesa delle prerogative statali. Costretto alle dimissioni da manovre parlamentari di corridoio, ritornò alle sue funzioni di presidente del Comitato del genio, e poi a quelle di presidente del nuovo Comitato di artig lieria e del genio. Inviato nel 1876 dal primo governo della Sinistra a Londra, quale ambasciatore, vi rimase si no al 1882, quando passò all'ambasciata di Parigi. Nel 1892 si ritirò a vita privata e si dedicò a stendere le sue Memorie, pubblicate nel 1971 da Giunti di Firenze e curate da Letterio Ariguglio e da Luigi Bulfcretti, di grande interesse e di altrettanto grande schiettezza. Mori a Chambery il 25 maggio 1896.
GIOVANNI MESSE
Nato a Mesagne in provincia di Brindisi nel 1883, iniziò la carriera militare nel 1902 come soldato nel 45° fanteria. Sergente nel 1903 partecipò con il 5° fanteria alla spedizione in Cina. Promosso maresciallo, dopo la frequenza dell'apposito corso presso la Scuola Militare, fu promosso nel 1910 sottotenente. Partecipò alla guerra italo-turca ed alla prima guerra mondiale come comandante di compagnia e di battaglione, meritando numerose ricompense al valore. Passato negli arditi nel I9 I7 si distinse in modo particolare a.I comando del IX reparto d'assalto con il quale partecipò, nel giugno 191 8, sul Monte Grappa al decisivo assalto di Col Moschin e nel successivo mese di ottobre ai duri combattimenti per la conquista di Col della Berretta. Nel 1920 fu ancora al comando di un reparto di arditi in Albania. Dopo aver svo lto anche le funzi o ni di aiutante di campo di Viuori o Emanuele III nel 1927 fu promosso colonnello e tenne tino al I 936 il comando del 9° bersaglieri a Zara. Promosso generale di brigata comandò la 3• brigata celere, successivamente fu inviato in Etiopia come vice comandante della divisione Cosseria. R impatriato, fu nominato vice ispettore delle truppe celeri e nell'aprile del 1938 promosso generale di divisione, ebbe il comando della 3• divisione celere. Comandante del nucleo principale delle forze che occuparono l'Albania nell'aprile del 1939, e hbe poi il comando del corpo d'armata celere. Ne l novembre 1940 fu nuovamente inviato in Albania.dove gli fu affidato il comando del corpo d'annata speciale fino al termine della campagna contro la Grecia. Promosso generale di corpo d 'armata per meriti di guerra,nel luglio del 1941 fu chiamato al comando del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) che condusse egregiamente sia nell'avanzata estiva sia nella fase difcn-
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siva dell'inverno 1941-1942. Trasfonnato il CSIR in XXXV corpo d'annata dell'8• armata italiana in Russia (ARMIR) ne tenne il comando fino al novembre 1942, quando preferì rimpatriare a seguito di contrasti con le autorità superiori. Promosso generale d'armata, ancora per merito di guerra, il 31 gennaio 1943 gli fu assegnato il comando della 1• armata, schierata in Tunisia di fronte all'8" armata britannica. In una situazione ormai compromessa dallo squilibrio delle forze, seppe ritemprare unità demoralizzate da una lunga ritirata e le rese capaci della vittoria difensiva sulla linea del Mareth e del difficile ripiegamento fino ad Enfidaville. Su questa ultima posizione resisté con determinazione ai ripetuti attacchi dell 'imbaldanzito e preponderante avversario, fino alla capitolazione finale avvenuta su autorizzazione di Roma quando le truppe tedesche si erano già arrese. Nell 'i mminenza della capitolazione era stato nominato Maresciallo d'Italia. Prigioniero in Inghilterra,fu fatto rimpatriare ai primi di novembre del 1943 e nominato, il 18 dello stesso mese, capo di Stato Maggiore Generale in sostituzione del generale Ambrosio. Nell'altissima carica Messe profuse ogni sua energia per ridare dignità all'esercito e per dare un'appropriata consistenza alle forze italiane che partecipavano alla liberazione d' Italia con le forze alleate. Notevole anche lo sforzo per sostenere le formazioni partigiane nell'Italia occupata. Fortemente osteggiato dal governo Bonomi, che vedeva nel suo grande prestigio un possibile ostacolo al rovesciamento istituzionale, e, soprattutto, dal partito comunista che non gli perdonava il grave misfatto di aver comandato con grande capacità il CSIR, fu costretto a lasciare l'incarico nel maggio 1945. Senatore per alcune legislature, non cessò mai di operare a favore dell'esercito e delle istituzioni militari. Si spense nel 1968. Ha lasciato due pregevoli volumi che documentano, con sagacia e con rigore, le sue maggiori esperienze di guerra: La guerra al fronte russo e La mia armata in Tunisia. Come finì la guerra in Africa. Indubbiamente il miglior generale italiano della 2• guerra mondiale, il Maresciallo Messe si distinse per acume tattico, solida preparazione professionale e grande dirittura morale. Chiudiamo queste scarne notizie riportando quanto scrisse sul Maresciallo, il generale Berardi che era stato alle sue dipendenze, come comandante del XXXI corpo d'armata in Tunisia e come capo di Stato Maggiore dell'esercito "Sue doti eminenti sono l'intelligenza, la volonta, l'umanità. Ha carattere risoluto e, come tutte le figure di rilievo, segnato da taluni contrasti: talora rude nell'espressione, ha l'animo finissimo e profondamente comprensivo della natura umana: donde il suo sorprendente senso di umanità, persino commovente, ed in guerra tanto più pronunciato quanto più la situazione si fa difficile e pericolosa. I dipendenti si sentono pienamente da lui tutelati. Dotato di una franchezza senza mezzj tennini, all'accorrenza spiattella delle verità che bruciano, ma che, passato il bruciore, fanno del bene agli onesti, mentre risvegliano i rancori delle suscettibilità meschine. Queste qualità di ottimo comandante, difficilmente possono essere apprezzate da un mondo politico immiserito negli intrighi e nei personalismi, dove la sdegnosa sicurezza di sè, la schiettezza
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della espressione, l'onestà degli intenti, gli possono procurare più inimicizie che simpatie. Italiano al cento per cento, il Maresciallo Messe fu indubbiamente tra i migliori generali europei, e non europei, espressi dalla seconda guerra mondiale: non so quale altro generale nemico, od alleato, avrebbe saputo, nella miseria di munizioni, di autocarri e di aviazione con cui combatteva la l 1 Armata italiana in Tunisia, tener testa vittoriosamente alla opulenta 81 Armata inglese".
CARLO MEZZA CAPO
Nacque a Capua il 9 novembre 1817. Entrato giovanissimo alla Nunziatella ne uscì nel 1837 alfiere d'artiglieria. Primo tenente nel 1841, ebbe nel 1846 le funzioni di capitano e, nella primavera del 1848, fu inviato presso il quartier generale dell'armata sarda quale ufficiale di collegamento con le truppe napoletane che, al comando del Pepe, stavano marciando verso il Po. Partecipò alla ricognizione di Santa Lucia e, quando re Ferdinando Il richiamò le truppe, si recò a Venezia dove il governo provvisorio lo impiegò nella difesa di Chioggia e di Marghera. Alla capitolazione della città, ormai tenente colonnello, emigrò a Genova. Ricongiuntosi con il fratello maggiore Luigi, dette vita con lui alla Biblioteca Militare, una collana di opere di carattere militare di scrittori stranieri. Stabilitosi a Torino con il fratello, fondò con lui nel 1856 la Rivista Militare, di cui fu condirettore fino al 1859 e sulla quale scrisse numerosi articoli. Nel gennaio del 1859 indirizzò una lettera a Cavour, offrendogli nell'imminenza della guerra con l'Austria, "i suoi deboli servigi", mosso "dall'amore del mestiere delle armi, dalla devozione all'Italia ed al principe che ne assume le difese". E Cavour lo fece nominare, nel giugno, capo di Stato Maggiore di una divisione dell'esercito della Lega dell' Italia centrale con il grado di tenente colonnello. Fanti lo volle poi capo di Stato Maggiore suo e lo promosse colonnello. Con quel grado, nella primavera del 1860, passò nell'esercito sardo ed ebbe il comando della brigata Ferrara. Promosso maggior generale, prese parte alla spedizione nel sud e si distinse a Mola di Gaeta. Tenente generale nel 1863 prese parte alla guerra del 1866 con la 131 divisione, inquadrata nel corpo d'esercito del Cialdini. Nominato senatore nel 1876, ebbe il comando di un corpo d'armata e, dal 1887 al 1895, fu presidente del Tribunale Supremo militare. La brillante carriera non lo distolse dall'attivita giornalistica. Continuò, infatti, a scrivere con una certa assiduità saggi di politica militare sulla Rivista Militare e sulla Nuova Antologia. Collocato a riposo nel 1896, morì a Roma nel 1905.
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LUIGI MEZZACAPO
Nacque nel 18 I 4 a Trapani, dove prestava servizio il padre, ufficiale napoletano che aveva seguito in Sicilia re Ferdinando. Entrato giovanissimo nel collegio militare della Nunziatella ne uscì nel 1832 con il grado di alfiere d'artiglieria. Tenente nel 1838, capitano nel 1847, fece parte delle truppe napoletane inviate nel 1848 a combattere gli Austriaci e, quando il re ne ordinò il rientro, fu tra que lii che non obbedirono e si recarono, sotto la guida di Guglielmo Pepe, a Venezia. Nominato maggiore comandò il forte di Brondole e poi fu destinato all'incarico di capo di Stato Maggiore della divisione romana comandata dal Ferrari. Distintosi nel combattimento di Cavanella d'Adige, fu promosso tenente colonnello. Fuggito a Gaeta Pio IX, la divisione fu richiamata nello stato pontificio ed il Mezzacapo, giunta la divisione a Roma, fu nominato sostituto del ministro della Guerra e, poi, con decreto del triunvirato del l O giugno 1849, generale di brigata. Entrati i Francesi in Roma, si rifugiò a Malta e poi a Genova, ricongiungendosi con il fratello Carlo, reduce dalla difesa di Venezia. A Genova con il fratello si dedicò alla pubblicazione di una collana di opere straniere di storia militare, la Biblioteca Militare. Dopo alcuni anni, sempre con il fratello, si stabilì a Torino e nel 1856 fondò la Rivista Militare. Sul momento le autorità militari piemontesi ignorarono l'iniziativa che, dopo un anno, si arenò. Entrato nell'impresa come editore Carlo Voghera, che in seguito divenne l'editore ufficioso del ministero della Guerra del regno d'Italia, e deciso dal La Marmora l'acquisto di 100 copie della pubblicazione, la Rivista Militare , scritta quasi interamente dai due fratelli, trovò piano piano il suo pubblico. Nel 1859 Cavour, a cui aveva offerto la sua collaborazione, inviò il Mezzacapo in Romagna per organizzarvi i numerosi volontari. Luigi Mezzacapo ebbe così il comando di una divisione dell'esercito della Lega dell ' Italia centrale e con il grado di tenente generale entrò, nella primavera del 1860, nell'esercito sardo. Prese parte alle operazioni nell'Italia meridionale e fu incaricato di portare a tennine l'assedio di Civitella del Tronto. Comandante della divisione militare di Piacenza nel 1861 e di quella di Cagliari nel 1863, nel 1864 fu nominato Ispettore delle scuole. Non prese parte alla terza guerra d'indipendenza perché ammalato, ma non mancò di far conoscere il suo pensiero sulla condotta del conflitto. Gia nel 1865 aveva pubblicato, infatti, un opuscolo dal titolo La difesa d'Italia dopo il trasferimento della capitale, sostenendo l'opportunità di attaccare gli Austriaci da sud. Nel 1869 il ministero gli affidò per breve tempo la direzione della Rivista Militare, onnai direttamente gestita dall'amministrazione militare. Nominato senat0re nel 1870, nel 1874 ebbe il comando del corpo d'armata di Firenze. Divenuto ministro della Guerra
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nel primo gabinetto Depretis nel 1876, ritenne giunto il momento di fare piazza pulita della vecchia classe militare piemontese, ancora in maggioranza tra i generali anziani. Come ha scritto un colto e fine studioso meridionale, Amedeo Moscati, nella sua opera magistrale dedicata ai Ministri del regno d'Italia (voi LV, la sinistra al potere ) "Lo fece con un provvedimento senza alcuna necessità precipitoso oltre il bisogno, e informandone la stampa prima ancora che gli interessati ne avessero comunicazione, con inopportuna violazione per lo meno delle norme del buon vivere". Tra i tredici generali bruscamente collocali a riposo Raffaele Cadorna, Agostino Petitti Bagliani di Roreto, già due volle e non indegnamente ministro della Guerra, Leopoldo Valfré di Bonzo, medaglia d'oro aJ v.m. cd a lungo presidente del comitato d'artiglieria. Sull'operato del Mezzacapo ministro è stato già detto nella prima parte di questo volume. Caduto il ministero Depretis il 24 marzo del 1878, anche il Meu.acapo lasciò la politica attiva ed onenne il comando del corpo d'armata di Roma. Continuò ad occuparsi di problemi militari ed alcuni suoi articoli (Quid facendum ?, Siamo pratici, Armi e Politica) nei quali criticava per la loro esiguità i bilanci militari e rivendicava la necessità di un forte strumento militare, ebbero larga eco nel Parlamento e nel Paese. Come molti illustri studiosi e colti uomini della Sinistra, anche il MeZL.acapo considerava evidentemente il bilancio dello Stato una variabile del tulio indipendente dalla generale situazione economica. Morì a Roma il 27 gennaio 1885 .
CARLO FELICE NICOLIS DI ROBILANT
Nacque 1'8 gennaio 1826 a Torino. Entrato nella Regia Accademia Mi litare ne usc.:ì sottotenente di artiglieria nel I 845. Tenente l'anno successivo, partecipò alla campagna del 1848 meritando una decorazione al v.m .. nel 1849 a Novara perse la mano sinistra per una scheggia di granata. Capitano nel 1853, maggiore nel 1860, colonnello nel 1862, partecipò alla guerra del 1859, aJla campagna delle Marche e dell'Umbria. all'assedio di Gaeta. Nella guerra del 1866 fu capo di stato maggiore del III corpo di armata. Terminata la guerra e promosso maggior generale, ebbe il comando della brigata Granatieri. nel J 867 fu il primo comandante della Scuola Superiore di Guerra. Nel mauo del 1870 fu nominato prefetto di Ravenna, con pieni poteri militari e civili, in seguito all'assassinio del precedente prefetto, generale Escoffier. In quella situazione tanto perturbata il di Robilant dette ampia dimostrazione di equilibrio, di capacità amministrativa, di rispetto delle leggi ordinarie, tanto che dopo tre mesi poté con!>cgnare la provincia pacificata cd ordinata ad un fun-
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zionario civile e ritornare al comando della Scuola. Nel giugno del 1871 fu inviato a Vienna come plenipotenziario del regno d'Italia. Nel nuovo incarico il generale di Robilant fu superiore ad ogni elogio, riuscì a ricucire in qualche modo i rapporti italo-austriaci, preparò la visita del re a Vienna nel 1874 e quella dell'imperatore a Venezia nel 1875. Promosso tenente generale, ebbe la soddisfazione di veder elevate nel 1876 al rango di ambasciata le legazioni d'Italia a Vienna e quella d'Austria a Roma. Nel 1878, quando l'Austria in pratica si impossessò della Bosnia-ErLegovina, non mancarono le tensioni che l'operato prudente e dignitoso del di Robilant contribuì non poco ad attenuare. E parimenti la sua opera fu preziosa nella stipulazione della Triplice Alleanza. Nel 1883 la sua opera, appassionata e realistica, fu ricompensata con la nomina a senatore. Quando nel 1885 la Camera approvò con un solo voto di maggioranza il bilancio del ministero degli Esteri, il ministro Mancini, il sagace uomo di stato che aveva trovato nel Mar Rosso le chiavi del Mediterraneo, dovette dare le dimissioni e con lui tutto il ministero. Nel nuovo gabinetto Depretis il di Robilant, piegandosi al desiderie del re, accettò il dicastero degli Esteri. Amedeo Moscati, nel voi. V, dedicato al trasformismo parlamentare, della sua opera ponderosa / ministri del regno d'Italia, ha scritto "Quando, il 12 ottobre 1885, Robilant assumeva il portafoglio degli Esteri, si trovava subito di fronte ad una situa1ione che gli imponeva un compito della più alta responsabilità, ma presto la sua azione doveva dimostrare all'Europa ed all'opinione pubblica nazionale come, per la prima volta dall'avvento della Sinistra, l'Italia avesse un ministro degli Esteri all'altcaa della sua fun1ione e finalmente capace di seguire una linea di condotta non più incerta e tergiversante di fronte alle questioni internazionali". Il capolavoro del di Robilant fu il rinnovo del trattato della Triplice Alleanza. che scadeva nel 1887. Prima di tulio riuscì a concludere un accordo con l'Inghilterra e poi pretese che il rinnovamente della Triplice fosse seguito da un trattato italo-austriaco e da un trattato italo-germanico, in modo da garantire all'Italia il mantenimento dello status-quo nei Balcani, nel Mediterraneo e nell'Africa settentrionale, con la garanzia dell'Inghilterra e l'obbligo degli alleati di venirci in aiuto nel caso di aggressione della Francia. Il di Robilant, nettamente contrario alla politica africana - già nel febbraio 1886 aveva dichiarato alla Camera che più che una politica di occupazione territoriale convenisse all'Italia una politica di penetrazione commerciale - era convinto che le truppe a disposizione del generale Genè in Eritrea fossero ampiamente sufficienti a respingere un'aggressione per cui, di fronte alle notizie di pericolosi movimenti di truppe abissine sul fronte della colonia, nella seduta della Camera del 23 gennaio I 887. dichiarò che non era il caso ''di attaccare dando importanza a quauro predatori che possiamo avere tra i piedi in Africa". Poche ore dopo quell'infelice ed imprudente battuta le orde di ras Alula sommersero a Dogali la colonna del Dc Cristoforis, e naturalmente quell'insuccesso militare, che non rappresentava in sé nulla di irreparabile, divenne nel Parlamento l'occasione per far dimettere il governo. 11 di Robilant si ritirò allora a Torino, nella quiete familiare , ma nel luglio del 1888 fu inviato come ambasciatore a Londra. Pochi mesi dopo, il primo ottobre, il di Robilant cessava di vivere.
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STORIA DELL"ESERCITO ITALIANO (1861 · 1990)
ALBERTO PARIANI
Nacque a Milano il 27 dicembre 1876. Allievo dal 1896 della Scuola Militare di Modena, nel 1898 fu promosso sottotenente ed assegnato al 6° alpini di stanza a Verona. T enente nel giugno 1902, nel 1907 fu ammesso alla Scuola di Guerra, dopo nove anni di permanenza al reggimento. Nell'ottobre 19 I O, terminati i corsi della Scuola, fu promosso capitano e assegnato al comando del corpo d'armata. Dal 1913 al 1915 effelluò il previsto perodo di comando alla guida di una compagnia del I O alpini. Maggiore nel dicembre 19 I 5, tenente colonnello nel febbraio 1917, colonnello nel gennaio del 1918. Durante tutta la guerra mondiale fu impiegato in incarichi di Stato Maggiore sul fronte degli altipiani. Nel febbraio del 1919 fu inviato a Parigi quale capo della sezione militare della delegazione italiana alla conferenza di pace, dal 1° settembre dello stesso anno fino al 15 novembre del I924 fece parte della commissione incaricata di definire il confine italo-austriaco. Capo divisione presso lo Stato Maggiore dell'esercito e poi comandante per alcuni mesi del 6° alpini, il 25 aprile 1927 fu inviato in Albania come addetto militare e capo della missione militare italiana incaricata dell'organizzazione dell 'esercito albanese. Ricoprì il duplice incarico fino al 12 giugno 1933. Durante questo periodo fu promosso generale di brigata per meriti eccezionali (gennaio 1929) e generale di divisione (I 932). Una carriera del tutto anomala, trascorsa senza mai esercitare il comando di reparti superiori al livello compagnia, ad eccezione dei pochi mesi trascorsi al comando del 6° reggimento alpini, e che, probabilmente, fu la causa dell'astrattezza del suo pensiero. Rie ntrando in Italia il Pariani fu destinato al comando della divisione militare di Bolzano e dovette subito affrontare una situazione di emergenza: l'immediato schieramento della sua divisione al confine del Brennero in segno di reazione all'assassinio del cancelliere Do lfuss ed al tentativo di annessione dell'Austria al Reich tedesco. La prova superata brillantemente gli ottenne la promozione a generale di corpo d'armata per meriti eccezionali (6 settembre 1934) e la nomina a sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito ( l O ottobre 1934). Per due lunghi anni fu un collaboratore intelligente e solerte del generale Baistrocchi. E ssendo questi molto impegnato per la contemporanea carica di sottosegretario alla Guerra, su di lui ricadde la maggior parte del lavoro organizzativo per la campagna d'Etiopia. Promosso nel giugno del 1936 generale designato d'armata, il 7 ottobre sostituì il Baistrocchi nel duplice incarico di capo di Stato Maggiore e di sottosegretario di Stato. Di quanto abbia realizzato il Pariani nei nuovi incarichi si è già riferito nella I parte di questo volume, in questa sede si riporterà soltanto la lettera di
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congedo che Mussolini gli inviò il 30 ottobre 1939, esempio di becera arroganza: ''Caro Pariani, credo che questa lettera non vi sorprenderà, dato che sto procedendo ad un cambio quasi totale della guardia. Sono ormai 15 anni che lavoriamo insieme ed ho avuto quindi il tempo di apprezzare le vostre qualità di soldato, di fascista, di comandante. È bene che altri provino che cosa significa governare e preparare l'esercito specie in questi tempi. Nessuno potrà contestare, nè io dimenticare quanto avete fatto per l'Africa, la Spagna e l'Albania." Messo a disposizione del ministero, non ebbe più alcun incarico e fu completamente messo da parte. Nel 1945, nel clima torbido e vendicativo che segul alla Liberazione, anche l'ormai pensionato generale Pariani fu rimesso agli onori della cronaca. Processato per collaborazionismo con il regime fascista, fu condannato alla degradazione, sentenza poi annullata il 3 I gennaio 1947. Nel 1949 pubblicò, in un'edizione fuori commercio, un opuscolo puntuale ed equilibrato a difesa di alcuni aspetti della propria attività, Chiacchiere e realtà. Lettera agli amici. Morì a Malcesine, in provincia di Verona, il 1° marzo 1955.
LUIGI PELLOUX
Nato il 1O marzo 1839 a La Roche, in Savoia, ed entrato giovanissimo all'accademia Militare, fu promosso sottotenente d'artiglieria nel 1857 e tenente nel 1859. Capitano nel marzo del 1860 prestò servizio nel 7° e nel 6° reggimento da campagna e meritò una medaglia d'argento al valor militare nella battaglia di Custoza per "l'intrepidezza e il suo sangue freddo veramente esemplari con cui dirigeva il fuoco della sua batteria nel fatto d'armi di M . Croce". Dopo la guerra passò al 9° reggimento, promosso maggiore alla fine del 1868 ebbe la ventura di comandare le batterie che aprirono nel 1870 la breccia di Porta Pia. Dopo la campagna fu trasferito al ministero della Guerra, come capo sezione del personale d'artiglieria, ed incominciò a pubblicare qualche buon articolo sulla Rivista Militare. Direttore delle istruzioni pratiche in Accademia dal 1874 al maggio del 1876, fu nuovamente chiamato al ministero quale capo della divisione di Stato Maggiore con relativa promozione a tenente colonnello nel corpo di Stato Maggiore. Mantenne l'incarico anche con i ministri succeduti al Mezzacapo e, dal settembre 1880, fu nominato segretario generale del ministero. Dal maggio del
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STORIA DELL'F.SERCITO ITALIANO (186 1 • 1990)
1878 colonnello, nel 188 I fu eletto deputato dal II collegio elettorale di Livorno. Nel settembre 1884 tra il Pelloux, che presentava alla Camera un disegno di legge in sostituzione del ministro ammalato, ed il Ricotti che da deputato contrastava il provvedimento, scoppiò un aperto dissidio per cui quando nell'ottobre proprio il Ricotti fu nominato ministro, il Pelloux rinunciò all'incarico cd ebbe il comando della brigata Roma. Promosso maggior generale nel I 885 continuò a non trascurare l'attività parlamentare. Nel 1887 Pclloux fu nominato Ispettore degli alpini, nel febbraio 1891 ebbe il dicastero della Guerra nel ministero presieduto dal Rudini. Nello stesso anno fu promosso tenente generale. Conservò il ministero anche con il successivo governo Giolitti e, alla caduta di questo, nel dicembre 1893, fu destinato al comando della divisione di Roma. Dopo una discussione piuttosto animata alla Camera tra il generale deputato Pelloux cd il generale ministro della Guerra Moccnni, il Pelloux fu trasferito al comando del V corpo d'armata stanziato a Verona, probabilmente per rendergli più difficile partecipare alla auività della Camera. E allora il generale savoiardo rinunciò, alla scadenza del mandato, a ripresentarsi alle elezioni. Nel luglio del 1896 il Pelloux fu nuovamente incaricato di reggere il dicastero della Guerra nel ministero Rudini. Dimessosi nel dicembre dell'anno dopo, ebbe il comando del corpo d'armata di Firenze e poi di quello di Roma. Alla lìne del 1898, a causa di estesi moti popolari di protesta, il Pelloux fu inviato a Bari per assumere le funzioni di comandante del corpo d'armata e di commissario straordinario di governo per la Puglia, la Basilicata e la Calabria. Nella circostanza dimostrò grandi doti di equilibrio e di realismo, riuscendo a controllare la situazione cd a mantenere l'ordine pubblico senza proclamare lo stato di assedio. Dimessosi il Rudini proprio a causa dell'eccessiva durcaa con la quale erano stati repressi i moti in varie parti d'Italia, su indicazione di Zanardelli il re incaricò il Pelloux, che era stato nominato senatore nel 1896, di formare il governo. E Pelloux divenne Presidente del Consiglio il 29 giugno del 1898, oucncndo la fiducia della Camera dichiarando che il suo programma era quello di "ristabilire l'ordine e giungere alla pacificazione degli animi con una politica conservatrice e liberale nello stesso tempo: conservatrice per quanto riguarda la salvaguardia dell'ordine e delle istituzioni, liberale in lutto il resto". Nei due anni di presidenLa il Pclloux riuscì a pacilìcare il Paese e dette ancora prova di essere un valido amministratore: stipulò un nuovo trallato commerciale con la Francia, ponendo fine a quella guerra delle tariffe doganali che tanto aveva pregiudicato le relazioni con la vicina repubblica; favorì con una saggia cd onesta amministra1ione la ripresa generale dell'agricoltura e dell'industria. La patente di rea1.ionario che ancora oggi alcuni studiosi attribuiscono al Pelloux è assolutamente ingiustificata. Pclloux fu un uomo d'ordine, un uomo legato alle stru!lure politiche nate con il Risorgimento, ma non fu certo uomo da attentare alle libertà politiche. Sul finire del 190 I ebbe il comando del corpo d'armata di Torino, incarico che non gli impedì di partecipare attivamente ai lavori del Senato, anLi pro-
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prio al Senato, in occasione dello sciopero dei ferrovieri dell'aprile I902. ebbe uno scontro vivacissimo con Giolitti, che gli imputava di manifestare idee in contrasto con quelle del governo e di assumere una posilione disdicevole per un generale in servizio. Ed allora Pelloux dette le dimissioni, per essere libero di esercitare il mandato parlamentare senza restrizioni. Tra le tante sue prese di posizione, sempre in difesa degli ordinamenti e della legalità. si ricorda l'intervento nella seduta del Senato del 3 maggio I906, nella quale denunciò la violazione della legge sull'ordinamento dell'esercito perpretata dal ministro Majnoni, che aveva ampliato le prerogative del capo di Stato Maggiore con un semplice regio decreto. Con il tempo l'attività parlamentare dell'ormai anziano generale si attenuò. Il 24 ottobre 1924 il Pelloux si spense a Bordighera, ormai quasi dimenticato.
GIUSEPPE PEROTTI
Nato a Torino nel 1895, dopo le scuole medie superiori entrò alt' Accademia Militare e nel marzo 1915 fu promosso sottotenente del genio. Prese parte alla l I guerra mondiale al comando di minori unità del genio minatori. Al termine del conflitto, ormai capitano, conseguì la laurea in ingegneria civile presso il Politecnico di Torino e fu nominato capo sezione dall'ufficio fortilicazioni del corpo d'armata di Torino. Con tale incarico, che resse per lunghi anni anche con il grado di maggiore e di tenente colonnello, diresse e portò a tennine i lavori di fortilicazione pennanente nelle valli di Susa e del Chisone, segnalandosi per perizia tecnica e per dirittura morale. Dopo aver comandato un battaglione del genio ferrovieri, nell'agosto 1935 fu inviato in Eritrea, per organiuare i lavori stradali necessari per l'imminente campagna contro l'Etiopia. Rimpatriato e promosso colonnello nel I 937, ebbe il comando del reggimento genio ferrovieri. Promosso generale di brigata nel luglio 1942 fu trasferito a Roma presso lo Stato Maggiore con l'incarico di ispettore delle unità del genio ferrovieri mobilitate. Rientrato clandestinamente in Piemonte dopo gli eventi conseguenti all'arrnisti,io dell'8 settembre 1943, si mise in contatto con la nascente organiz1.azione della Resistenza entrando a far parte del Comitato Militare Regionale Piemontese del Comitato di Liberazione Nazionale. Arrestato a Torino nella sacrestia del Duomo, con altri componenti del Comitato Militare, il 30 marzo 1944, si rifiutò di fornire qualsiasi informazione sul I' organiuazionc clandestina. rivendicando sempre con grande dignità la sua qualità di soldato e di combattente. Dopo un sommario processo,fu condannato
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STORIA OELL"ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
a morte e fucilato nel poligono di tiro "Martinetto" di Torino il 5 aprile 1944. Alla sua memoria fu concessa la medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Ufficiale generale di eccezionali doli morali e militari, all'atto dell'armistizio organizzava nell'Italia Settentrionale un'efficace resistenza armata contro l'oppressore tedesco e fascista e dirigeva, con fede ed entusiasmo inesauribili, l'audacissima attività bellica di agguerrite formazioni di patrioti del Piemonte. Con sagacia ed ardimento senza pari portava a termine numerose azioni di sabotaggio contro il traffico ferroviario alla frontiera occidentalc,riusccndo ad ostacolare seriamente per oltre tre mesi i movimenti avversari in una importante vallata alpina. Attraverso un'attiva rete informativa.da lui creata e diretta,forniva preziose notizie di carattere operativo ai comandanti italiani ed alleati. Arrestato dai nazifascisti nel corso di una riunione di dirigenti del fronte clandestino di resistenza piemontese, che in lui avevano trovato il capo di altissimo prestigio, manteneva l'assoluto segreto circa il movimento patriota cd assumendo su di sè con nobilissimo gesto ogni responsabilità, salvava l'organizzazione e la vita di molti suoi collaboratori. Condannato a morte da un tribunale di parte asservito ai tedeschi, affrontava con cosciente fierezza di soldato la morte al grido di "Viva l'Italia". Italia occupata, 8 sellembre 1943 - 5 aprile 1944".
GIUSEPPE PERRUCCHETTI
Giuseppe Domenico Perrucchetti nacque a Cassano d ' Adda il 13 luglio 1839. Dopo aver terminato gli studi superiori, nel dicembre 1857 si iscrisse alla facoltà di matematica dell'Università di Pavia per passare l'anno successivo a quella di ingegneria. All'approssimarsi della seconda guerra d'indipendenza Perrucchetti fuggì in Piemonte e si arruolò volontario, nell'aprile del I 860 fu ammesso al corso "suppletivo" di Ivrea dcli' Accademia Militare e nel marzo dell'anno successivo fu nominato sottotenente di fanteria . Promosso tenente il 20 giugno 1864 fu trasferito allo Stato Maggiore. Partecipò alla t.erza guerra d'indipendenza meritando a Custoza la medaglia d'argento al valor militare. Pomosso capitano alla fine del 1866, il Perrucchctti prestò servizio nei comandi delle divisioni di Milano, Bologna e Verona finché, nell'aprile 1872, fu assegnato alla Scuola di Guerra come insegnante di geografia militare. La nomina non fu casuale, il giovane capitano aveva già dimostrato di essere uno studioso della materia ed aveva al suo attivo numerose ricognizioni nel territorio austriaco di confine, in una delle quali era stato anche arrestato e trattenuto
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in carcere ad Innsbruck per circa un mese. L'anno prima la Commissione permanente per la difesa dello Stato, istituita nel 1863, aveva presentato al ministro della Guerra un "Piano di difesa" basato su un sistema di fortificazioni delle Alpi e sullo sbarramento delle relative vie di comunicazione. Prendendo lo spunto dalle relazione che corredava il piano, il Perrucchetti pubblicò nel maggio 1872 sulla "Rivista Militare" uno studio dal titolo: Sulla difesa di alcuni valichi alpini. L'ordinamento militare territoriale della Zona di frontiera alpina. Dopo aver fatto un esame della situazione iri corrispondenza delle due aree critiche al confine svizzero e sull'Isonzo, vere porte aperte nella difesa della frontiera, il Perruccheuti proponeva la formazione di truppe regionali alpine, convinco che occorresse utilizzare nel suo ambiente naturale la gente della montagna. Il ministro della Guerra allora in carica, Ricotti, profondo conoscitore dei problemi della montagna ed appassionato alpinista, intuì l'importanza della proposta e gli indubbi vantaggi che nella soluzione del problema difensivo del confine alpino, avrebbe recato la formazione di reparti specializzati e, nonostante le ristrettezze del bilancio, riuscì a costituire già nel dicembre del 1872 le prime quindici compagnie alpine. Il Perrucchetti nel corso del suo lungo insegnamento dette alle stampe numerosi saggi di geografia militare (I/ Tirolo; La pianura lombardo-veneta; Teatro di guerra italo-svizzero dal Po al Reno; Teatro di guerra italo-francese dal Ticino al Rodano) che costituirono, fino alla prima guerra mondiale, la base per tutti i piani operativi italiani. Promosso maggiore nel 1877, prestò servizio dal 1879 al I 880 presso lo Stato Maggiore a Roma, ritornò poi ad insegnare geografia aJla Scuola di Guerra fino al 1884, quando fu nominato precettore del giovane Emanuele Filiberto, il futuro comandante della 3• armata durante la prima guerra mondiale . Promosso colonnello nel 1890 ebbe il comando del 61 ° fanteria, fu poi capo di Stato Maggiore del VII e del X corpo d'armata. Promosso maggior generale nel I 895 comandò le brigate Reggio ed Alpi, tenente generale nel 1900 ebbe il comando delle divisioni di Firenze e di Milano, il 13 luglio 1904 fu raggiunto dai limiti di età e collocato in ausiliaria. La nuova situazione non interruppe la sua operosa attività, continuò infatti a trattare questioni di carattere militare e di carattere geografico su quotidiani e riviste. Il 6 giugno 1907 fu istitufra una Commissione parlamentare di indagine sull'organizzazione e l'amministrazione del ministero della Guerra e il Perruccheui fu presto nominato Commissario del governo in seno a tale Commissione, in sostituzione del generale Baldissera dimissionario. Fino al termine dei lavori, giugno 191 O, l'attività dell'anziano generale nel nuovo organismo fu notevolissima: egli redasse, infatti, le relazioni sui seguenti argomenti: difesa dei confini, istituiti militari, corpo del servizio sanitario militare, servizio farmaceutico militare, istituto geografico militare. Nel 1907 il Perruccheni pubblicò il saggio Guerra alla guerra, che sollevò molte discussione e nel quale , lungi dall'esaltare un imbelle pacifismo unilaterale, combatté la guerra per la guerra e segnalò come probabile pericolo
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STORIA DELL' ESERCITO ITALIAi'òO (1861 • 1990)
per l'Europa il nascente imperialismo giapponese. Nel 19 I O pubblicò una raccolta di 27 studi su argomenti diversi, ma sempre di carattere milùare, intitolata Questioni militari d'attualità. II saggio era una puntualizzuione dei principali problemi attinenti alla difesa allora in discussione: costituzione del comando supremo, carriera degli ufficiali, fortificazione, difesa della frontiera orientale, unità di pensiero nella preparazione e nell'impiego delle forze di terra e di mare. Come lo stesso autore scrisse nella prefazione, scopo del volume era quello di "illuminare lo spirito pubblico, elevare i cuori nel culto delle tradizioni marziali e patriottiche, dissipare la diffidenza e le cause di sfiducia nei nostri mezzi ed in noi stessi". Nominato senatore nel 1912, partecipò attivamente ai lavori parlamentari quando erano in discussione problemi militari. Morì improvvisamente a Cuorgné nell'agosto del 1916.
SALVATORE PIANELL
Nato a Palermo da nobile e facoltosa famiglia napoletana, il 9 novembre 18 18, entrò nel collegio militare della Nunziatella e ne uscì a 18 anni capitano di fanteria, avendogli il padre comprato il grado, come usava allora nel regno delle Due Sicilie. Partecipò nel 1848, agli ordini del Filangeri, alle opera7ioni per la sottomissione della Sicilia al comando di un battaglione. All'inizio del 1860, già maresciallo di campo, comandava le truppe dislocate in Abruzzo, nel luglio gli fu affidato il dicastero della guerra nel gabinetto presieduto da Liborio Romano e si dedicò al compito immane di riorganizzare l'esercito borbonico con grande senso del dovere nei confronti di Francesco Il. Lo stesso Pianell, alla fine del 1860, scrisse:''Tutti i miei sforti per arginare il torrente che straripava furono vani". Dimostrò, in quelle circostanze difficili, di essere un soldato leale, che non tradisce il giuramento prestato. Dopo la proclamazione del regno d'Italia il Pianell entrò nell'esercito italiano, con il grado di tenente generale, e fu messo in disponibilità. ma già il mese successivo fu richiamato in servizio con l'incarico di ispettore dell'arma di fanteria. Successivamente comandò la 7• e poi la 11• divisione attiva, la divisione di Alessandria, quella di Genova ed, infine, quella di Torino. Durante la guerra del 1866 ebbe il comando della 2• divisione del I corpo d'armata del Durando e, per il giorno 24 giugno, ricevette l'ordine di rimanere con la sua divisione "sulla destra del Mincio, osservando Peschiera e prendendo a tale scopo quella posizione che vi parrà più conveniente tra Pozzolengo e Monzambano" Probabilmente, ma è soltanto un'illazione, la fiducia del comando italiano nel
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generale napoletano non era totale, la fedeltà mantenuta fino alla fine al Borbone era stata infatti variamente interpretata. Pianell, comunque, con il suo comportamento nella triste giornata del 24 chiarì a tutti di essere italiano. Quando, infani, nella mattina del 24 un prolungato cannoneggiamento lo avvertì che sulla sinistra del Mincio si era impegnata la battaglia ed un suo ufficiale, da lui mandato ad Oliosi, gli riferì che la 1• divisione era fortemente in crisi, non ebbe dubbi. Con notevole senso di iniziativa , ed assumendosi coraggiosamente la responsabilità di agire diversamente dagli ordini ricevuti, lasciato un distaccamento ad osservare la fortezza di Peschiera, varcò il Mincio, sostenne la 1• divisione ed assicurò il possesso del ponte fino a sera, consentendo la ritirata delle altre divisioni del I corpo e di quella del generale Govone. E nella notte, quando a causa della ferita del generale Durando, assunse il comando del corpo d'annata con l'ordine di difendere a qualunque costo Volta, si dimostrò ancora calmo, determinato, capace. Il Corsi, che sottocapo di Stato Maggiore del disgraziatissimo I corpo d'armata fu testimone oculare di quei fatti, dopo la morte del Pianell, descrisse gli avvenimenti sulle pagine della Rivista Militare e fu largo di elogi per lo scomparso. "La ritirata dal Mincio all'Oglio fu per il I corpo, mercè le cure del generale Pianell, una vera scuola di buon ordine logistico e disciplinare. Nulla fu trascurato per richiamare generali, ufficiali, truppe, servizi alla scrupolosa osservanza delle prescrizioni regolamentari ... nel seguito della campagna, che non fu più altro per noi che una serie di marce e fermate sino dinnanzi a Palmanova, in fondo al Friuli, e di là indietro sino a Treviso, il Pianell seppe acquistarsi sempre di più la riverenza, la fiducia, l'ammirazione di tutto il corpo d'armata". Dopo la guerra il Pianell ebbe il comando del Dipartimento militare, poi V corpo d'armata, di Verona. In tale veste fu l'estensore del primo progetto di radunata in caso di nuova guerra con l' Austria. Nei lunghi anni di pace che seguirono, il Pianell si dedicò, con passione e con competenza, al compito di educare e di istruire i suoi dipendenti ed il V corpo d'armata fu ritenuto da tutti una grande unità esemplare. Deputato per il collegio II di Napoli nella X legislatura, insignito nel I 887 del Collare dell'Ordine della SS. Annunziata, fu nominato senatore nel 1891. Morì di polmonite, ancora comandante del V corpo d'armata, il 6 aprile 1892.
ALBERTO POLLIO
Nato a Caserta il 21 apri le 1852, frequentò il Collegio Militare della Nunziatella, l'Accademia Militare e la Scuola di Applicazione. Sottotenente d i artiglieria nel 1872, capitano nel l 878 transitò nel corpo
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STORIA DELL'ESERCITO lTALIAN0 ( 1861 -1990)
di Stato maggiore. Promosso maggiore nel 1884 comandò un battaglione del 42° fanteria e fu inviato a Vienna con l'incarico di addetto militare. Rientrato in Italia, già promosso tenente colonnello, fu mandato a Palermo per ricoprire l'incarico di capo di Stato Maggiore della divisione territoriale. Colonnello nel 1893 ebbe il comando del 40° fanteria, maggior generale nel 1900 comandò la brigata Siena fino al 1906, anno in cui fu promosso tenente generale e incaricato di comandare la divisione di Cagliari. Due anni più tardi il Pollio fu chiamato dalla fiducia della corona a succedere al Saletta nel prestigioso e gravoso incarico di capo di Stato Maggiore dell'esercito. Molto probabilmente il Pollio si era imposto aJl'attenzione dell'esercito per aver pubblicato negli anni precedenti due volumi di storia militare, Custoza e Waterloo, ancora oggi considerati due classici esempi dell'altezza a cui può giungere la storia militare tecnica quando l'autore unisce alla profonda conoscenza dell'arte militare coeva agli avvenimenti una vasta cultura, generale e storica, ed una intelligenza lucida e brillante. Accompagnato nell'alta carica dalla stima della corona e di tutto l'esercito, il Pollio si impegnò con grande alacrità nel riordinamento di tutto l'apparato operativo ed amministrativo dell'esercito, reso finalmente possibile dalle aumentate risorse finanziarie, senza stravolgere il lavoro del suo precedessore, anzi completandolo e migliorandolo, dimostrando di possedere anche notevoli doti di equilibrio e di moderazione. In pieno accordo con il ministro della Guerra, generale Spingardi, il Pollio completò l'ordinamento dell'esercito, diresse gli studi per la nuova legge sul reclutamento, ammodernò la dottrina tattica, organizzò il corpo di spedizione in Libia. Conosciuto ed apprezzato dagli ambienti militari tedeschi ed austriaci, seppe mantenere con gli eserciti alleati rapporti stretti ed amichevoli, senza tuttavia trascurare nel contempo di portare a termine la costruzione del sistema fortificatorio sul confine orientale e di aumentare la forza bilanciata, creando così le premesse per l'esito vittorioso della grande guerra. Morì improvvisamente a Torino, dove si era recato per assistere alle grandi manovre, stroncato da un attacco cardiaco nell'agosto del 1914. Era stato nominato senatore del regno nel 1912.
DOMENICO PRIMERANO
Nato a Napoli il 29 marzo 1829, seguendo le orme paterne entrò tredicenne nel Collegio Militare della Nunziatella e nel 1850 fu promosso alfiere del Corpo di Artiglieria. Primo tenente nel 1856, passò nel 1860 nei quadri dell'e-
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sercito meridionale come maggiore di Stato Maggiore e con tale grado transitò nell'esercito italiano. Prese parte alla guerra del 1866 come capo di Stato Maggiore della 18a divisione; promosso tenente colonnello nello stesso anno, ricoprì vari incarichi di Stato Maggiore e nel 1870 fu capo di Stato Maggiore del corpo d'esercito del generale Cadorna alla presa di Roma. Promosso colonnello nell'aprile 1871, comandò il 58° fanteria e, l'anno dopo, il reggimento volontari, il reggimento cioè che, per ordine del ministro Ricotti, riuniva tutti i volontari di un'anno a cui veniva impartito un addestramento molto accurato in vista della loro eventuale promozione a sottotenente di complemento. Nell'aprile del 1876 fu chiamato dal ministro Mezzacapo al ministero della Guerra come segretario generale e l'anno dopo fu promosso maggiore generale. Eletto deputato nel collegio di Città di Castello per la XIII legislatura, si distinse anche nell'attività parlamentare. Comandò tra il 1878 ed il I 883 tre diverse brigate di fanteria. Promosso tenente generale nel 1884, comandò le divisioni di Genova, di Ancona e di Milano; nel dicembre 1891 fu designato comandante del III corpo d'armata. Capo di Stato Maggiore dell'esercito nel novembre 1893, fu subito nominato senatore dal re Umberto I. Per quanto tra il 14 febbraio ed il 29 febbraio 1896 avesse scritto ben dieci lettere al ministro della Guerra per richiamare l'attenzione sulla situazione delle truppe in Eritrea, alle dipendenze del ministro degli Esteri, dopo Adua fu accusato in Parlamento di negligenza e di incapacità. Sdegnato per non essere stato difeso nè dal ministro precedente nè da quello in carica, entrambi ben consapevoli della reale impossibilità di intervento negli affari coloniali del capo di Stato Maggiore, il Primerano si dimise dall'incarico. Nel giugno successivo fu dispensato dal servizio attivo e collocato in ausiliaria. Continuò a frequentare le aule del Senato, specie quando l'assemblea discuteva questioni riguardanti l'esercito e la difesa nazionale. Moà il 26 febbraio 1911. La sua figura fu degnamente commemorata, il giorno delle esequie, dal Pollio, che volle ricordare a tutti la professionalità e la dignità che sempre avevano caratterizzato l'operato del Primerano.
ALESSANDRO RIBERI
Nacque a Stroppo, in provincia di Cuneo, nel 1796. Laureatosi giovanissimo sia in medicina sia in chirurgia - all'epoca medico e chirurgo erano professioni distinte - fu nominato chirurgo maggiore delle guardie del corpo del re di Sardegna nel 1821 e, cinque anni dopo, professore di "istituzioni chirurgi-
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che, operalioni ed ostetricia" nell'università di Torino. Le sue sagaci ricerche sulla narcosi, ottenuta con la somministrazione al paziente di etere e di cloroformio, lo fecero presto conoscere sia in Italia sia all'estero e re Carlo Alberto lo chiamò a far parte del consiglio superiore di sanità militare, di cui divenne presidente nel 1843. In possesso di belle doti intellettuali, ben preparato professionalmente, di carattere adamantino, il Riberi riorganizzò completamente il servizio di sanità militare, modernizzandolo e migliorando la professionalità del personale medico. La preparazione del medico militare fu sempre la maggiore preoccupazione del Ribcri, tenuto conto che "ciascuno può nell'ordine civile prescegliere quel medico in cui suppone più cognizione e maggiore esperienza, essendo invero imposto il medico al soldato, incombe al Governo di restare a questo mallevadere della sua abilità". li regolamento sul servizio di sanità del 1850, dovuto totalmente al Riberi, oltre a registrare un migliore trattamento morale e materiale per i medici, assimilati agli ufficiali, prescrisse infatti che i medici militari fossero laureati sia in medicina sia in chirurgia, che nel corso della carriera alternassero periodi di serviLiO presso gli ospedali a quelli presso i corpi. che frequentassero ogni anno corsi di aggiornamento professionale. Sempre per conseguire l'obiettivo di avere medici preparati ed aggiornati, il Riberi istituì i "gabinetti di lettura" presso gli ospedali militari divisionali e promosse, nel 1851, la nascita del Giomale di medicina militare, ancora oggi in vita, che divenne presto sede di interessanti approfondimenti di particolari patologie specifiche delle comunità mii itari, e nel 1852 la pubblicazione del Trattato di igiene militare, dovuto al medico militare Antonio Carnevale-Arella. Ultima benemerenza del Riberi fu l'istituzione del premio a lui intitolato, per premiare ogni anno l'autore di un saggio relativo a problemi di medicina militare. Deputato per il collegio di Dronero nel primo Parlamento subalpino, nel 1849 fu nominato senatore ed anche nelle severe aule del Parlamento combatté una lunga battaglia per una maggiore valorizzazione del medico militare. Alessandro Riberi si spense a Rivoli, nei pressi di Torino, il 18 novembre 1861.
CESARE RICOTTI MAGNANI
Nato a Borgo Lavezzaro il 30 gennaio 1822, fu nominato, dopo la frequenza dell'Accademia Militare, sottotenente di artiglieria nel 1840, tenente nel 1841, tenente di prima classe nel 1845. Ferito all'assedio di Peschiera, fu
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promosso capitato per merito di guerra nel giugno 1848. Prese parte alla spedizione di Crimea meritando una decorazione al valer militare e, nel 1856, fu promosso maggiore. Direttore della Scuola Complementare di artiglieria nel 1856, nel 1859, onnai tenente colonnello, il Ricotti partecipò alla seconda guerra d'indipendenla quale capo di Stato Maggiore della 3• divisione, meritante a S. Martino la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Capo di Stato Maggiore del Gran Comando Militare di T orino e promosso colonnello, nel luglio 1860 assunse il comando della brigata Aosta con la quale prese parte alla spedizione nelle Marche e nell'Italia meridionale. Maggior generale nel dicembre dello stesso anno, il Ricotti fu prima comandante militare della città di Napoli e poi membro della commissione incaricata di scrutinare gli ufficiali dell'esercito delle Due Sicilie che chiedevano di passare nell'esercito italiano. Nominato, nel giugno 1861, direttore generale della anni speciali presso il ministero della Guerra ricoprì l'importante e formativo incarico fino al 6 maggior I 866 quando, già promosso dal settembre 1864 tenente generale, ebbe il comando della 121 divisione del corpo d'armata del Cialdini durante la guerra e poi quello della divisione militare di Parma. Membro della commissione istituita dal ministro Cugia per le necessarie riforme dell'esercito, il Ricotti ebbe modo di consolidare il suo pensiero e di proporre nell'ambito della commissione un nuovo e completo progetto di riordinamento delle forze armate. Comandante della divisione militare di Milano nel 1868 e poi della 6• divisione attiva, il 7 settembre 1870 divenne ministro della Guerra. Sulla straordinaria e provvida attività del ministro Ricotti già si è scritto nella parte I di questo volume e nulla si aggiunge in questa sede. Dimessosi dal governo il 25 marzo 1876, dopo un periodo a disposizione, nel 1877 ebbe il comando del IV corpo d'armata di Piacenza che tenne fino al 25 gennaio 1883 quando, a sua domanda, fu nuovamente posto a disposizione. Deputato al Parlamento per il collegio di Novara, dall'XI alla XVI legislatura, il Ricotti non mancò di intervenire con frequenza e con vigore ai dibattiti parlamentari, manifestandosi sempre contrario sia all'ordinamento del suo successore Mezzacapo sia a quello Ferrero, giudicati troppo ampi per le finanze dello stato, dal Ricotti sempre attentamente considerate secondo le buone regole amministrative della Destra Storica. Nominato nuovamente ministro della Guerra iR 23 otobre 1884, non potendo ritornare ad un ordinamento dell'esercito più contenuto, cercò almeno di rallentare il completamento dell'avversato ordinamento Ferrere, attuando una linea amministrativa meno dispendiosa. Contrario all'impresa africana, fu costretto a dimettersi dopo il combattimento di Dogali . Il 4 aprile 1887 lasciò il ministero e passò nuovamente a disposizione. Nominato senatore del regno nel 1890 e Collare della SS. Annunziata due anni dopo, continuò a svolgere un'attività opposizione parlamentare ai governi della Sinistra, specie per quanto riguardava la politica militare. Caduto il governo Crispi in seguito alla battaglia di Adua, nel marzo 1896, il Ricotti fu
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per la terza volta nominato ministro della Guerra nel secondo gabinetto Rudini, ma, dopo solo quattro mesi, dette le dimissione dall'incarico, avendo il re Umberto I opposto un netto rifiuto al suo progetto di ridurre di una compagnabatteria i battaglioni-gruppi, riduzione da lui ritenuta necessaria per aumentare il livello di forza dei reparti e consentire un più proficuo addestramento. Scomparve il 4 agosto del 1917 a Novara, dove si era ritirato, occupando le sue giornate dedicandosi con vivace interesse al governo della città di cui fu per lunghi anni consigliere comunale.
MARIO ROATTA
Nato a Modena il 2.2.1887 entrò alla Scuola Militare nel 1904 e fu promosso sottotenente di fanteria nel 1906. Dopo aver frequentato la Scuola di Guerra fu promosso capitano a scelta nel 1914. Ferito, tre volte decorato di medaglia d'argento al valore militare durante la grande guerra, fu a Berlino quale capo di Stato Maggiore della missione militare italiana nel febbraio 1919 e poi, dall'agosto, a Parigi quale addetto alla sezione militare della delegazione italiana per il trattato di pace. Colonnello nel 1926 fu inviato a Varsavia come addetto militare. Dal 21.11.1930 al 1° luglio 1933 comandò 1'84° fanteria. Capo di Stato Maggiore del corpo d'armata di Bari, il 16.01.1934 fu nominato capo del Servizio Informazioni Militari, incarico che assolse con buoni risultati durante la guerra d'Etiopia. Promosso generale di brigata per meriti eccezionali il 1° gennaio 1935, fu inviato in Spagna nel settembre 1936 prima come osservatore e poi come comandante della missione militare italiana. Amico di Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri, ne assecondò i disegni per un maggior intervento italiano a favore dei nazionalisti. Costituitosi il Corpo Truppe Volontarie ne assunse il comando ed ottenne il buon successo di Malaga nel febbraio 1937 per il quale fu promosso generale di divisione per meriti di guerra. Il parziale insuccesso di Guadalajara gli costò il comando del C.T.V., passato al generale Bastico. Rimase tuttavia in Spagna fino al dicembre 1938 come comandante di divisione. Dopo un breve periodo a Berlino, come addetto militare, il I6.11.1939 fu nominato sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito. Dopo l'invio in Africa setten trionale del capo di Stato Maggiore Maresciallo Graziani, in pratica ne assolse le funzioni e il 25 marzo 1941 fu nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito, incarico che tenne fino al 18
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marzo 1942, quando fu nominalo comandante della 2• armata in Croazia e, successivamente, Comandante Superiore delle FF.AA. in Croazia ed in Dalmazia. Il 5.2.1943 fu trasferito al comando della 6· armata in Sicilia, comando che lasciò il I O luglio per assumere nuovamente l'incarico di capo di Stato Maggiore dell'esercito con il grado di generale d'armala. Sospettato di aver legami con il fascismo e con i Tedeschi fu mantenuto estraneo alla preparazione degli avvenimenti che precedettero il 25 luglio. Dopo la caduta di Mussolini collaborò attivamente al consolidamento del governo Badoglio ed assicurò con mano ferma l'ordine pubblico nell'intero territorio nazionale. Anche nelle attività intese a stabilire contatti con gli Alleati e che portarono all'armistizio di Cassibile, la sua partecipazione fu marginale. In previsione della crisi armistiziale dispose che le forze a diretta difesa della capitale dipendesse direttamente dallo Stato Maggiore. Sorpreso dall'armistizio dell'8 sellembre impartì l'unico ordine razionale, il movimento del corpo d'armata motorizzato verso l'acrocoro abruzzese ma, successivamente, decise di seguire nel trasferimento a Pescara e poi a Brindisi il sovrano ad il capo del governo. Allontanato dall'incarico il I 8 novembre I943, fu in seguito arrestato ed imputato di parecchi reati, daJla mancata difesa di Roma a quella di essere stato, quale capo del Servizio Informazioni Militari, responsabile dell'uccisione dei fratelli Rosselli in Francia nel 1937. Ricoveralo al Celio riuscl a fuggire e trovò rifugio in Spagna. Condannato e degradato il 12 marzo I945, fu riabilitato in appello dal Tribunale Supremo Militare 1'8 novembre 1948. Nel 1946 pubblicò presso Mondadori un interessante volume Otto milioni di baionette, fondamentale per conoscere l'effettiva situazione dell'esercito nel corso della 2• guerra mondiale, che lo rivelò scrittore chiaro ed incisivo. Rientrato in Italia nel 1966, morì a Roma il 6 gennaio 1968.
TANCREDI SALETTA
Tancredi Saletta nacque a Torino il 27 giugno 1840. Allievo dell'Accademia Milìtare dall'ottobre 1856, il 18 novembre 1859 fu assegnalo al l O reggimento artiglieria con il grado di sottotenente. Tenente nel marzo successivo, partecipò alla campagna dell'Umbria, delle Marche ed a quella dell'Italia meridionale, meritando due medaglie di bronzo al valor militare. Di lucida intelligenza, di carattere serio e riservato, progredì rapidamente nella carriera: capitano nel 1861, maggiore nel 1872, lenente colonnello nel 1877, colonnello nel 1880. Il 7 gennaio 1885 fu designato comandante della
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spedizione nel Mar Rosso. Ricevute dal Governo le direttive, peraltro assai generiche, Saletta raggiunse Napoli, dove già si stava riunendo il corpo di spedizione ed il 17 gennaio salpò alla volta dell'Africa. Il 5 febbraio Saletta prendeva terra a Massaua. Qui lo attendevano difficoltà di ordine politico e militare che dovette affrontare d'iniziativa e con mezzi inadeguati perché il Governo non aveva un chiaro programma per il futuro del territorio. Lavoratore tenace, instancabile e versatile, Saletta riuscì in breve tempo a prendere possesso dei forti egiziani dislocati nei pressi di Massaua, a migliorarne l'efficienza ed a costruirne dei nuovi; fece erigere magazzini, depositi, infermerie; migliorò i collegamenti con lince telegrafiche ed apparecchiature ottiche; aumentò la capacità dei pozzi e dei depositi di acqua potabile; organizzò quanto meglio era possibile i vari servizi: dal commissariato alla sanità, dalla polizia alla posta militare. Nel frattempo al comando della scorta navale giunse a Massaua il contro ammiraglio Noce, a cui competeva, come superiore in grado, di intervenire "in caso di fatti importanti che dovessero impegnare la sicurezza e l'indipendenza politico-militare del tcr ritorio". Saletta non gradì l'interpretazione estensiva di Noce alla direttiva e ne nacque un vivace contrasto. IJ ministero della Guerra decise allora di sostituire Saletta con un ufficiale generale. Il 12 novembre il generale Gené giunse a Massaua ed il 17 successivo Saletta partì per l'India, quale osservatore dello Stato Maggiore alle manovre militari anglo-indiane. Rimpatriato nel marzo 1886 Saletta, promosso maggior generale, assunse il comando della brigata Basilicata ma già nell'aprile dell'anno dopo fu rimandato a Massaua, per "prendere alla mano la situazione sventando il pericolo di probabili aggressioni e creare, nel contempo, le premesse per l'invio di un forte contingente". Saletta assolse egregiamente il compito e quando, nel novembre, il corpo di spedizione del generale San Marzano sbarcò a Massaua la riorganizzazione logistica cd amministrativa del territorio era completata. Rientrato in Italia nel maggio 1888, Saletta ricoprì numerosi incarichi di comando, tenente generale nel 1894 due anni dopo fu nominato comandante in 2• del corpo di Stato Maggiore. Adua provocò la caduta del gabinetto Crispi ed il nuovo ministro della Guerra, Ricotti, volle a capo dello Stato Maggiore Saletta che, per la poca anzianità, non avrebbe dovuto creargli difficoltà ed esorbitare dalle ristrette funzioni di "organo tecnico e consultivo a disposizione del ministro". Saletta aveva però un carattere di ferro cd era un lavoratore paziente e metodico. Cominciò subito a rivedere l'organizzazione dell'esercito, dal progetto di mobilitazione all'addestramento delle truppe, dalla dottrina agli armamenti, non tralasciando nel contempo di rivendicare un ampliamento delle proprie competenze. Saletta fu nominato poi senatore per permettergli di esporre le sue idee ed i suoi progetti in ambito parlamentare.
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Con successivi decreti riuscì a far acquistare al capo di Stato Maggiore una rilevante autonomia rispetto al ministro e, soprattutto, ad identificare nella carica il naturale comandante dell'esercito in guerra. Durante la sua gestione lo Stato Maggiore riesaminò ed aggiornò per tre volte la pianificazione di mobilitazione e di radunata, preparò la legge sul reclutamento (varata il 15 dicembre 1907), emanò il Nuovo Regolamento sul servizio territoriale, il Regolamento dei servizi in guerra, le Norme generali sul servizio della intendenza, le Norme generali per l'impiego delle grandi unità in guerra, ripristinò le grandi manovre, potenziò il servizio informazioni e, soprattutto, preparò la legge che concedeva all'esercito uno stanziamento straordinario di 223 milioni in dieci anni, legge varata qualche giorno dopo il congedo di Saletta, avvenuto per limiti di età il 27 giugno 1908. Il re per attestare la sua "particolare benevolenza" gli conferì il titolo di conte. Il 21 gennaio 1909 Saletta morì a Roma, stroncato da un attacco di angina pectoris ..
EDOARDO SCALA
Nato a Ragusa nel 1884, dopo aver frequentato la Scuola Militare di Modena fu promosso sottotenente di fanteria nel 1905 e trasferito al 34° fanteria Livorno, allora di stanza a Palermo. Assegnato nel 1908 alla Scuola Militare di Modena, il giovane subalterno incominciò a tenere conferenze all'Università Popolare, dimostrando di credere nella necessità di una maggiore attenzione ai problemi dell'esercito da parte della collettività nazionale e di una più stretta e più consapevole integrazione dell'esercito nella vita sociale e culturale del Paese. Dopo aver partecipato alla 1• guerra mondiale come comandante di compagnia e di battaglione, rimanendo due volte ferito e meritando una medaglia d'argento al valor militare, fu assegnato alla Scuola di Applicazione di fanteria di Parma, come insegnante di storia politico-militare fino al 1923 quando fu ammesso alla Scuola di Guerra. Dopo la frequenza dell'istituto, superato il concorso prima per insegnante aggiunto e poi per insegnante titolare di storia militare, vi rimase per lunghi anni come insegnante. Appartengono a quegli anni i primi lavori storici: La guerra russo-giapponese, Le istituzioni militari sabaude nei secoli XV e XVI, La guerra del 1866 per l'unità d 'Italia. Nello stesso periodo il tenente colonnello Scala continuò a svolgere una intensa attività di conferenziere, dedicandosi alla divulgazione di argomenti di storia militare. Promosso colonnello nel 1929, Edoardo Scala comandò per tre anni ! ' 8° fanteria Cuneo e poi fu nominato direttore della Rivista di Fanteria,
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alla quale impresse un notevole impulso, arricchendone il contenuto e portandola ad occuparsi anche di materie non professionali. Promosso generale di brigata e poi di divisione, partecipò ai primi mesi di guerra al comando della Legnano. Collocato nella riserva il 31.12.1940, nel 1942 fu richiamato in servizio con l'incarico di dirigere la Rassegna di cultura militare ed il giornale di informazione politico-militare Le Forze Armate. Anche in un periodo estremamente difficile, durante il quale tutta la stampa, anche quella militare, era sottoposta a pesanti e convergenti pressioni, lo Scala confermò il suo equilibrio e la sua capacità di tenere un costante contatto con il lettore. Al termine della guerra riprese immediatamente la sua attività di scrittore. Nel 1948 uscì La riscossa dell'Esercito, rivendicazione immediata dell'azione, della lotta e dei sacrifici dell'esercito dopo l '8 settembre 1943, allora pochissimo conosciuti. Gli episodi di reazione ai Tedeschi nei tragici giorni del settembre 1943, le tragiche vicende dei reparti rimasti nei Balcani, le operazioni dei reparti che combatterono a fianco degli Alleati trovano in questo volume una commossa ed eloquente illustrazione, per cui il libro ha un valore morale che va al di là dei pregi storiografici che pure non mancano. Dal 1950 al 1956, sotto il patronato dell'Ispettorato dell'arma di fanteria, il generale Scala pubblicò un' opera storiografica di enorme mole, la Storia delle Fanterie italiane, dieci grossi volumi per un complesso di altre settemila pagine. Dalle fanterie italiche a quella romana, dalle milizie comunali alle compagnie di ventura, dai combattenti italiani nelle armate napoleoniche alle guerre del Risorgimento, dalle guerre coloniali alle due guerre mondiali, la storia delle fanterie viene fatta coincidere con la storia generale della guerra e con la storia militare dell'Italia moderna e contemporanea. Negli stessi anni lo Scala non trascurò la collaborazione alla Rivista Militare ed ai Corriere Militare nè la prediletta attività di conferenziere brillante e piacevole. L'ultima sua attività fu la costituzione e l'organizzazione iniziale del Museo Nazionale Storico della Fanteria,di cui fu il primo direttore. Morì a Palermo, dove si era stabilito da alcuni anni, nel 1964.
PAOLO SPINGARDI
Nacque a Felizzano, nei pressi di Alessandria, il 2 novembre 1845. Allievo della Scuola Militare di Modena nel 1864, conseguì il grado di sottotenente di fanteria il 20 maggio 1866 e fu inviato a prestare servizio nel
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76° fanteria Napoli con il quale partecipò alla terza guerra di indipendenza, Nel 1872 si diplomò alla Scuola di Guerra, classificandosi 6° su 47 idonei, e fu destinato al corpo di Stato Maggiore. Capitano nel 1877, maggiore nel 1884 ebbe il comando di un battaglione nel 56° fanteria. Insegnante di topografia alla Scuola di Guerra nell'anno scolastico I 886-87, fu trasferito l'anno successivo al segretariato generale del ministero della Guerra dove rimase fino al dicembre 1892. Sotto quella data Spingardi, che era stata promosso tenente colonnello nel 1888, fu nominato comandante in 2• della Scuola di Guerra, incarico che tenne fino all'ottobre 1896 quando, promosso colonnello fin dall'aprile 1893, fu destinato al comando del 13° fanteria. Nel giugno 1898 divenne direttore generale dei servizi amministrativi del ministero della Guerra, carica che ricoprì fino al settembre 1900 quando, ormai maggior generale, prese il comando della brigata Basilicata. Nel 1903 fu nominato sottosegretario di Stato per gli affari della Guerra, carica dalla quale cessò il 30 dicembre 1905 per le dimissioni del gabinetto. Spingardi era stato eletto deputato per il collegio di Anagni ne1 dicembre 1904 (XXII legislatura). Tenente generale con anzianità 22 aprile 1906, fu nominato comandante della divisione militare di Messina e, dal 16 febbraio 1908, comandante generale dell'Arma dei Carabinieri. Il 4 aprile 1909 Spingardi entrò a far parte del 3° ministero Giolitti, quale ministro della Guerra e fu nominato senatore il 2 maggio successivo. La nomina di Spingardi fu accolta dall'esercito con grande favore: tutti gli riconoscevano eccellente preparazione, dati gli incarichi ricoperti in precedenza, ottime qualità morali ed intellettuali, .notevole equilibrio, grande operosità. L'evidente favore della corona ed il cordiale affiatamento con il generale Pollio, capo di Stato Maggiore, erano, inoltre, una sicura garanzia di buon lavoro. La piena fiducia del sovrano, all'epoca il vero designatore di fatto dei ministri militari, consentì, infatti, a Spingardi di mantenere l'incarico con i successivi ministeri Sonnino, Luzzati nonché con il 4° ministero Giolitti. Assicuratosi l'indispensabile supporto finanziario, fece approvare, con legge del 17 luglio 191 O, un nuovo ordinamento dell'esercito, le cui principali innovazioni furono: la costituzione permanente di 4 comandi d'armata; il riconoscimento legale della Commissione Suprema Mista per la difesa dello Stato e del Consiglio dell'esercito; la trasformazione dell'ispettorato degli alpini in ispettorato delle truppe da montagna; la costituzione organica di 3 comandi di divisione di cavalleria e di 3 comandi di brigata alpina; la costituzione di un ispettorato delle costruzioni di artiglieria, di un ispettorato generale di artiglieria, di un ispettorato generale del genio; il riordino del personale amministrativo articolato nel corpo di commissariato e nel corpo di amministrazione; la costituzione di 12 reggimenti di artiglieria da campagna per i 12 corpi d'armata, di tre compagnie telegrafisti e di due compagnie automobilisti. Contemporaneamente fece approvare una nuova legge sulla leva, ridotta a due anni per tutte le anni, con la quale, tra l'altro, veniva abolita l'estrazione a sorte per la formazione delle varie categorie. Con altra legge fu poi trasformato l'ordinamento amministrativo dell'esercito, con l'abolizione dell'antico sistema
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delle masse dei corpi e con l'introduzione delle spese peF vitto, stipendi, ecc. nel bilancio annuo del ministero. Spingardi portò all'esame del Parlamento, e fece approvare, inoltre la legge sul riordinamento della carriera dei sottufficiali e quella sullo stato giuridico degli ufficiali. Anche il settore degli armamenti ricevelte un notevole impulso con la scelta definitiva delle nuove artiglierie, delle mitragliatrici e degli aeroplani e dirigibili. La guerra di Libia comportò un notevole rallentamento nell'attuazione dei provvedimenti stabiliti e la necessità di ricorrere a nuovi e cospicui stanziamenti di bilancio. Anche la condotta delle operazioni occupò notevolmente Spingardi, costretto a moderare l'impazienza del Presidente del Consiglio ed a stimolare la prudenza del comandante delle truppe. Il 2 novembre 1913, raggiunto dai limiti di età, Spingardi fu collocato in posizione ausiliaria e contemporaneamente richiamato in servizio. Nell'occasione il re, che già gli aveva conferito il Collare della SS. Annunziata, lo nominò conte. Il 14 marzo I 914, in seguito alle dimissioni del governo, Spingardi abbandonò il ministero e fu collocato in ausiliaria. Il 22 settembre 1918 morì a Spigno Monferrato.
PIETRO TOSELLI
Nacque a Peveragno (Cuneo) il 22 dicembre 1856. Entrato ali' Accademia Militare fu promosso sottotenente di artiglieria nel 1878. Dopo aver frequentato la Scuola di Guerra, ed essere passato nel corpo di Stato Maggiore, fu assegnato, ormai capitano, al comando della divisione militare di Milano. In quella sede ebbe ad interessarsi dell'evento più nuovo e più interessante dell'epoca: l'espansione coloniale. Nel 1889 Toselli poté andare in Africa, destinato al comando di quel "plotone di indigeni esploratori" che si voleva creare per evitare, dopo il triste episodio di Dogali, che la insufficiente conoscenza dei luoghi fosse di impedimento alla nostra espansione. Toselli, entusiasta e capace, creò un vero e proprio centro di colonizzazione agricola militare, il villaggio "Nuova Peveragno" nelle vicinanze di Asmara, dove riunì le famiglie dei suoi ascari rendendole autosufficienti. Toselli realizzò così il primo abbozzo di una "colonia utile", vista quale inizio di una crescente corrente migratoria italiana verso l'altipiano etiopico che la firma del trattato di Uccialli sembrava propiziare. Richiamato in patria nel settembre I 890, fu impiegato nell'ufficio coloniale del ministero degli Esteri.
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L' anno successivo pubblicò a Roma, anonimo, un opuscolo, Pro Africa italiana, nel quale riassumeva le sue idee e le sue esperienze in merito alla valorizzazione agricola e commerciale dell'Eritrea. Promosso maggiore nel 1894 ritornò in colonia, distinguendosi subito nella repressione della rivolta del capo locale Bathà Agòs e nell'organizzazione politica ed economica della regione dell'Akkelé Guzai. Al comando del IV battaglione eritreo,Toselli prese parte ai combattimenti di Coatit e di Senafé (13-15 gennaio 1895) e poi all'ampia avanzata delle nostre truppe in territorio abissino. Per un errore di valutazione del comando di Massaua, Toselli fu lasciato solo a fronteggiare l'esercito del negus Menelik. Ritiratosi sul! ' Amba Alagi, il 7 dicembre 1895 fu sopraffatto da forze enormemente superiori, scomparendo nella lotta con il suo bellissimo reparto.
UMBERTO UTILI
Nacque a Roma il 18 luglio 1895. Frequentò l'Accademia Militare di Torino e nel gennaio 1914 fu nominato sottotenente d'artiglieria. Partecipò con il grado di tenente e poi di capitano alla 1• guerra mondiale, sempre impiegato al fronte. Nel triennio 1920-1922 frequentò la Scuola di Guerra, inviato poi al comando della divisione di Livorno vi disimpegnò vari incarichi di stato maggiore fino al 1927. Comandante di gruppo dal 1927 al 1929, prestò successivamente servizio presso lo Stato Maggiore dell'esercito a Roma. Comandato in Eritrea dal 1937 al 1938, promosso colonnello comandò il 19° artiglieria e la Scuola di Artiglieria. Fu poi capo dì Stato Maggiore del VI e del XXVI corpo d'armata, capo ufficio del comando artiglieria del corpo Italiano di spedizione in Russia, capo di Stato Maggiore del XXXV corpo d'armata dell'Armata Italiana in Russia. Rimpatriato nel novembre 1942, ormai generale di brigata, fu nominato capo del reparto operazioni dello Stato Maggiore dell'esercito. Giunto a Brindisi con il Comando Supremo, il 29 settembre 1943 divenne capo della missione militare italiana di collegamento presso il comando del XV gruppo di armate anglo-americane, comandato dal generale Alexander. Nel delicatissimo incarico le qualità morali ed intellettuali del generale Utili ebbero modo di esprimersi con grande evidenza. Dignitoso e fermo nel tratto con gli Alleati, egli seppe comprendere con grande razionalità le reali intenzioni nei nostri confronti e illuminò al riguardo il Comando Supremo con realismo e senza imfingimenti. Significativa la chiusa del suo rapporto del 28
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ottobre 1943 con il quale riferiva al Comando Supremo i risultati di un colJoquio avuto con il capo di Stato Maggiore del Comando XV gruppo di Annate: "Nel complesso l'impressione lasciatami dal colloquio non è stata gradevole. Il senso crudo del discorso mi è sembrato il seguente: fate ciò che di volta in volta vi chiediamo senza tentare di estendere il vostro concorso; un atteggiamento collaborativo è per lo meno prematuro e per ora ci infastidisce". Assunto il 23 gennaio 1944 il comando del I Raggruppamento Motorizzato il generale Utili, completato il riordinamento dell'unità, ne sollecitò il ritorno in linea. Il buon comportamento del contingente italiano convinse gli Alleati ad autorizzare un aumento delle sue dimensioni e un cambiamento di denominazione. 11 18 aprile 1944 il Raggruppamento dava vita al Corpo Italiano di Liberazione, che in breve tempo arrivò alla forza di 25.000 uomini e che partecipò con successo alle operazioni fino al 31 agosto, sempre sotto il comando del generale Utili. Dal Corpo Italiano di Liberazione presero poi vita due gruppi di combattimento, il Legnano ed il Folgore, il generale Utili ebbe il comando del primo, comando che resse anche dopo la guerra, quando il gruppo di combattimento si trasformò in divisione (15 ottobre 1945). Successivamente il generale Utili fu nominato vice- comandante del Comando Militare Territoriale di Milano e poi, dopo la promozione a generale di corpo d' armata, comandante. Stroncato da un male inesorabile nel 1952, il generale Utili riposa nel cimitero di guerra di Monte Lungo, dove sono sepolti i caduti del l 0 Raggruppamento Motorizzato e del Corpo Italiano di Liberazione. Lasciò sulle operazioni condotte nell'inverno-primavera del 1944 un dattiloscritto di 149 pagine che nel 1979 Gabrio Lombardi, suo ufficiale d'ordinanza in quel periodo, pubblicò presso Mursia con il titolo Ragazzi in piedi... (La ripresa dell'esercito italiano dopo J '8 settembre) e che costituisce un documento prezioso per comprendere l'atmosfera dell' epoca. A chiusura di queste brevissime note, il giudizio che del generale Utili ha dato il Berardi, capo di Stato Maggiore dell'esercito dal novembre 1943 al febbraio 1945: "Utili superava per intelligenza, fantasia e volontà la media dei nostri generali. Sapeva di valere, era ipercritico, si prendeva libertà molto spinte di apprezzamenti, e non era inferiore comodo. Ma era un uomo che si reggeva da sè, che si faceva benvolere dai dipendenti, che sapeva imporsi con dignità agli alleati ..."
PARTE III
LE TRADIZIONI
LE TRADIZIONI
Tra gli scopi che questo volume si ripromette vi è anche quello di tramandare le tradizioni dell'esercito, prezioso patrimonio spirituale costituito dal ricordo di innumerevoli gesti di eroismo, di sacrificio, di solidarietà compiuti dai soldati italiani nel corso dei secoli, sempre nel rispetto di un mai smentito senso dell'onore e di una indiscussa fedeltà alle istituzioni. Lungi dal costituire qualche cosa di statico, di inutilmente conservativo, la tradizione rappresenta uno stimolo capace di rafforzare nell'animo dell'esercito la determinazione ad operare avendo come unico scopo il bene della comunità nazionale. Alcuni avvenimenti di questi ultimi tempi, inoltre, dimostrano quanto sia sempre più evidente il riemergere di uno spirito nazionale o, quanto meno, l'esigenza di un'identità nazionale che serva come fattore di aggregazione in una società in cui sono presenti forti spinte centrifughe. Un recupero dell'identità nazionale ha riflessi di natura e di dimensioni ben più ampi di quelli riferiti alla sola difesa; costituisce, infatti, la necessaria premessa per un recupero del senso dello Stato e della solidarietà nazionale, fondato sulla percezione di una comunanza di interessi e di cultura. Riscoprire e rivivere il patrimonio della tradizione, esaltarne la funzione nelle scelte di rinnovamento che i tempi nuovi esigono, favorirne la continuità attraverso il sentimento e l'orgoglio di chi ne è depositario è, pertanto, una esigenza insopprimibile. Nelle pagine seguenti saranno perciò ricordati, sia pure in estrema sintesi, origine e significato dei simboli più alti e delle consuetudini più radicate che costituiscono l'essenza della tradizione militare italiana e saranno, inoltre, dati alcuni cenni informativi su quelle istituzioni che operano quotidianamente per mantenere viva la tradizione.
1. La Bandiera
Poco prima della proclamazione del Regno d'Italia, il 25 marzo 1860, Vittorio Emanuele II fissò con apposito decreto foggia e dimensioni delle bandiere militari. Riportiamo gli articoli più significativi: Art. 2 - La Bandiera si comporrà di: un'asta, un drappo, una fascia, un cordone, una freccia. Art. 3 - La freccia deve essere considerata come la parte importante e
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morale della bandiera; su di essa saranno scolpiti il nome del reggimento, l'epoca della sua creazione, delle successive sue formazionj ed ordinamenti, i fatti d' arme cui prese parte il Corpo e quelle altre onorifiche indicazioni che siano per occorrere, secondo che verrà determinato dal Nostro Ministro della guerra per speciale Decreto. Art. 5 - Le bandiere dei reggimenti di fanteria saranno di stoffa di seta e di forma quadrata, delle dimensioni cioè di metri 1,20 di lato, scompartibili in tre bande uguali portanti i colori nazionali verde, bianco e rosso, ciascuna della larghezza di metri 0,40. La parte bianca sarà nel mezzo. Art. 6 - Le bandiere per i corpi di cavalleria saranno pure di seta, quadrate, della dimensione di metri 0,60 di lato e scompartite come sovra in tre bande uguali verde, bianco e rosso, caduna di metri 0,20. Art. 7 - ... le bandiere ... porteranno improntate sul centro del campo bianco, ad eguale distanza dai lembi inferiori e superiori, lo scudo di Savoia con croce bianca in campo rosso con contorno azzurro e sormontato dalla corona reale ricamata in seta.. ; Art. 8 - Le aste della bandiera per la fanteria sono della altezza di metri 2,5 compreso il calcio (0,10) e la parte che si conficca nella frecci11 (0,10). Quelle per la cavaJieria 1,38. Art. 9 - Le aste delle bandiere saranno fasciate di velluto turchino azzurro, ornate di bullette di ottone poste a linea spirale. Art. 10 - Le aste saranno sormontate dalla freccia, la quale ha nel centro lo stemma reale, e portante le iscrizioni indicate al precedente art. 3. Art. 11 - Alla parte inferiore della freccia è avvolta una fascia di seta di colore turchino azzurro a nodo con due strisce. Art. 12 - Saranno così pure avvolti due cordoni in argento delle dimensioni di mm. 4 e della lunghezza totale di m 1,50 terminanti con fiocchi ... ". Come appare dal decreto, la bandiera fu concessa solo ai reggimenti di fanteria e di cavalleria in quanto un'antica tradizione riconosceva solo ai reparti che operavano riuniti la necessità di usare un vessillo come punto di riferimento. Con R.D. del 10 settembre 1871, nell'ambito di un generale riordinamento della cavalleria, ai reggimenti dell'arma fu tolto lo stendardo. Nella relazione al re che precedeva il decreto, il ministro della Guerra, generale Cesare Ricotti, così giustificava il provvedimento: " ... Si è visto nelle ultime guerre quali importantissimi servizi possa e debba rendere la cavalleria per le ricognizioni, per rischiarare le marce, per i soprassalti e per gli altri simili uffici nella guerra minuta. Per i reggimenti così adoperati coi reparti spicciolati, lo stendardo diverrà evidentemente un impaccio... ". Poco alla volta, però, si comprese che il vessillo nazionale rappresentava un fattore di coesione spirituale, necessario anche al di fuori del campo di battaglia e già nel 1891 (R.D. del 25 gennaio) fu concessa alla Scuola Militare di Modena la bandiera, di foggia uguale a quella dei reggimenti di fanteria. Tre anni dopo (R.D. del 25 febbraio 1894) fu concessa la bandiera anche alla legione allievi carabinieri, sempre di foggia uguale a quella delle bandiere
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dei reggimenti di fanteria. Nel 1896 (R.D. del 3 dicembre) fu quindi ripristinato l' uso dello stendardo per i reggimenti di cavalleria. Lo stendardo ebbe naturalmente la foggia stabilita dal R.D. del 25 marzo 1860 ed i 19 reggimenti di cavalleria già in vita nel 1871 ripresero i loro stendardi dall'Armeria Reale dove erano custoditi, mentre i reggimenti Roma (20°), Padova (21 °), Catania (22°), Umberto I (23°) e Vicenza (24°), li ricevettero ex novo. Final mente, il 23 dicembre 1900, con due distinti decreti, Vittorio Emanuele llI restituì la bandiera all 'arma di artiglieria e la concesse per la prima volta all'arma del genio. Entrambi i vessilli furono affidati all'Ispettore Generale delle rispettive armi, ma, due anni dopo, si preferì darli in consegna al reggimento di artiglieria da fortezza e alla brigata zappatori, unità entrambe di stanza nella capitale. Per I' artiglìeria si trattò di una restituzione perchè il Corpo Reale di Artiglieria del regno di Sardegna aveva avuto una sua bandiera fino al 1° ottobre 1850, quando era stato articolato in tre reggimenti che, per l'impiego, si suddividevano in reparti minori cd ai quali la bandiera non era stata quindi attribuita. Dopo la 1• guerra mondiale, "per dar modo ai corpi e reparti sprovvisti di bandiera di avere una speciale insegna a raccogliere le onorificienzc e le ricompense attribuite ad essi" (R.D. in data 17.10.1920), fu istituito il labaro per i reggimenti bersaglieri e alpini, i reparti d'assalto, il X gruppo squadroni N.F. (nuova formazione), il 6° gruppo aeroplani, il corpo sanitario militare. La nuova insegna era costituita da un drappo rettangolare (cm. 59,5x4 I) frangiato d'oro o d'argento; da un'asta, lunga cm 182, terminante con un'aquila romana, circoscriua da una corona d ' alloro e poggiante su una targhetta rettangolare. Il drappo - di colore cremisi per i bersaglieri, verde per gli alpini, nero per i reparti d'assalto, celeste chiaro per il gruppo aeroplani, rosso con striscia bianca per il gruppo squadroni , bianco per il corpo sanitario - era caricato dal fregio, d'oro (bersaglieri, gruppo aeroplani) oppure d'argento (alpini, reparti d'assalto, gruppo squadroni), dell'arma o specialità. Una fascia tricolore, annodata all 'asta, completava il labaro. Il R.D. stabiliva poi che i labari venissero usati con le stesse modalità fissate per le bandiere e che venissero conservati alla sede dei rispettivi corpi o presso i depositi per i corpi disciolti . TI labaro de l corpo sanitario doveva, invece, essere custodito presso l'ospedale militare di Roma. Alla Croce Rossa taliana (R.D. n°1474 del 17 ottobre 1920) ed all'associazione dei cavalieri italiani del S.M.0. di Malta (R.D. n°1418 del 23 ottobre 1921) fu concesso un labaro di modello analogo a que llo del corpo sanitario, privo però della corona reale. li 17 ottobre 1930 fu poi emanato il R.D. con il quale l'uso della bandiera nazionale, conforme a quella adouata per i reggimenti di fanteria, era concesso
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alle scuole allievi ufficiali di complemento, alla scuola centrale carabinieri reali ed alle scuole allievi sottufficiali. Nel 1932 (R.D. del 7 luglio) fu concessa la bandiera all'arma dei carabinieri "data in consegna al comandante generale dell'arma e custodita dalla legione allievi carabinieri reali di Roma", modificando così il R.D. 25 febbraio 1894 precedentemente illustrato. In pratica, si volle sancire ufficialmente che la bandiera della legione allievi era la bandiera dell'arma. li 3 dicembre 1934 con R.D. venne concesso l'uso dello stendardo, di modello conforme a quello adottato per i reggimenti di cavalleria, alla Scuola di Applicazione di Cavalleria in quanto istituto di reclutamento per gli ufficiali di complemento e per i sottufficiali dell'arma. L'anno successivo (R.D. del 9 agosto 1935) ai gruppi carri veloci delle divisioni celeri fu concesso un gagliardetto costituito da un'asta. con freccia, come per le bandiere; un drappo tricolore quadrato (cm 60 per lato), frangiato d'oro su tre lati e recante al centro la sagoma stilizzata di un carro veloce e di un cavaliere e sotto di essa il nome della divisione ed il numero del gruppo. L'insegna era completata da una fascia di seta azzurra e dal relativo cordone. Sempre nel 1935 fu costituito al Vittoriano, nell'ambito del Museo Centrale del Risorgimento, il Sacrario delle Bandiere di Guerra per accogliere le bandiere dei reggimenti disciolti dopo la grande guerra, bandiere che fino ad allora erano state custodite nel Museo Nazionale di Castel Sant' Angelo. Ancora nel 1935, i reggimenti di artiglieria ebbero uno stendardo, identico a quello in uso fin dal 1860 ai reggimenti di cavalleria (R.D. n°2043 del 14 novembre) ed i reggimenti del genio un labaro analogo a quello concesso nel 1920 ai reggimenti bersaglieri e alpini, e con il motto del reggimento scritto a semicerchio sotto la parte centrale del fregio (R.D. n°2042 del 14 novembre). L'8° reggimento artiglieria di corpo d'annata invece dello stendardo ebbe in consegna la bandiera dcli' arma; altrettanto fu sta bi I ito per l '8° reggimento genio. L'anno successivo (R.D. del 16 aprile 1936) anche battaglioni carri armati e quelli carri d'assalto ricevettero il gagliardetto, ma di colore rosso e di forma triangolare (cm 60x60x45), bordato di frangia di seta nera e portante, nella parte centrale, su una faccia il numero del battaglione sormontato dalla sagoma stilizzata di un carro armato o di un carro di assalto e sull'altra il nominativo del battaglione. Fu poi la volta delle Scuole Militari ad ottenere l'uso del labaro (R.D. del IO ottbrc 1936). li labaro, della foggia consueta, aveva il drappo "in colore azzurro Savoia nella faccia anteriore e nero in quella posteriore, portante, nel mezzo della faccia in a:lZurro, un pugnale con corona di alloro ed il numero distintivo della scuola scritto sull'elsa in cifre romane: sollo il pugnale sarà scritto il nominativo della Scuola··. Nel 1938 si sentì finalmente la necessità di procedere ad un generale riassetto della materia, onnai inderogabile dopo i numerosi provvedimenti parziali adottati a partire dal I 920.
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Il 7 giugno 1938 Vittorio Emanuele III emanò un R.D. con il quale le insegne in uso presso le unità, i corpi e gli istituti dell'esercito furono così riordinate: a) bandiera (drappo metri 1,20xl,20; asta metri 2,50, freccia esclusa): alle accademie militari, alle scuole allievi ufficiali di complemento e allievi sottufficiali, all'arma dei carabinieri, ai reggimenti granatieri e di fanteria divisionale; b) bandiera ridotta (drappo metri 0,90x0,90; asta metri 2, 10, freccia esclusa): ai reggimenti bersaglieri, alpini e del genio (ad eccezione dell'8° reggimento genio che restò depositario della prima bandiera concessa all'arma); c) stendardo (drappo metri 0,60x0,60; asta metri 1,30, esclusi freccia e falso calcio): ai reggimenti di fanteria carrista ed ai reggimenti di cavalleria e artiglieria (ad eccezione dell'8° reggimento artiglieria di corpo d'armata, che restò depositario della prima bandiera concessa all'arma); d) labaro: ai corpi automobilistico e sanitario, alle scuole militari di Roma, Napoli e Milano, alle associazioni della Croce Rossa Italiana e del Sovrano Militare Ordine di Malta; e) gagliardetto: ai gruppi carri veloci delle divisioni celeri. Il decreto apportò anche una variante alla foggia della freccia, lo stemma reale fu sostituito da un'aquila imperiale "ad esaltazione della nuova dignità a cui dal 9 maggio 1936" era stato innalzato il sovrano. Il labaro concesso al Corpo Automobilistico aveva il drappo di colore azzurro nella faccia anteriore, con quattro fiamme nere agli angoli, e di colore nero in quella posteriore. Al centro della faccia anteriore era riprodotto in oro il fregio del corpo sotteso dalla scritta: "Corpo Automobilistico". L'insegna fu affidata in custodia all'8° Centro Automobilistico di stanza nella capitale. Ma anche questo generale provvedimento di riordino ebbe una coda. Con R.D. del 25 settembre fu concesso anche al Corpo di Commissariato un labaro, il cui drappo era "di color viola nella parte centrale della faccia anteriore, con due strisce laterali longitudinali (larghe cm 8,5) di colore azzurro scuro e di colore altresì viola nella faccia posteriore, portante nel viola della faccia anteriore, in oro, il fregio del Corpo di Commissariato, con la iscrizione sotto al fregio, anche in oro, "Corpo di Commissariato" e, sempre nella faccia anteriore, nel mezzo di ognuna delle due strisce di colore azzurro scuro, anche in oro, il fregio del ruolo ufficiali di sussistenza". Il labaro fu affidato in custodia alla direzione di commissariato militare del corpo d'armata di Roma. Dopo la seconda guerra mondiale la trasformazione istituzionale dello Stato, naturalmente, ebbe conseguenze anche sulle bandiere militari e nel 1947 le bandiere, gli stendardi ed i labari dell'esercito italiano vennero riuniti nel Vittoriano ed ai reggimenti ed agli enti militari vennero distribuite le nuove bandiere, di foggia unica fissata dal Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato n°1252 in data 25 ottobre 1947. Detto decreto recita testualmente:
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"Art. l - Per tutti gli enti dell'Esercito e dell'Aeronautica militare e per i reparti a terra della Marina militare, attualmente concessionari di bandiera, labaro o stendardo, è adottata una bandiera avente le caratteristiche di cui alla tavola annessa al presente decreto, firmata dal Ministro proponente, Art 2 - Detta bandiera si compone di: una un'asta, un drappo, una fascia, un cordone, Art. 3 - La freccia è di ottone dorato della lunghezza complessiva di cm 35, Su di essa sono incisi: il nominativo dell'Ente concessionario; l'epoca della sua creazione, delle successive sue formazioni ed ordinamenti; i fatti d'arme cui prese parte; le ricompense al valore di cui la bandiera è fregiata; tutte quelle altre onorifiche indicazioni stabilite con speciali decreti del Ministero per la Difesa. Art, 4 - L'asta è di legno rivestita di velluto color verde ed ornata con bullette d'ottone poste a linea spirale. Ha la lunghezza di metri 2,20 compresi il codolo (cm 10) che si conficca nella freccia ed il calcio (cm 10). Art 5 - Il drappo, intessuto di seta naturale, è di forma quadrata delle dimensione di cm 99 per ogni lato, E' suddiviso nei colori verde, bianco e rosso, ciascuno della lunghezza di cm 33. Art. 6 - La fascia è di seta naturale colore turchino azzurro. E' fermata, a nodo, alla parte inferiore della freccia in modo che le due striscie che ne risultano siano della lunghezza di cm 66 ciascuna, Dette striscie sono completate, ali' estremità libera, da una frangia argentata di cm 8x8. Art. 7 - Il cordone, anch'esso argentato, è annodato alla base della freccia: i tratti liberi che ne risultano hanno la lunghezza di cm 67 e terminano ciascuno con un fiocco argentato della lunghezza di cm IO," Non deve stupire il fatto che le bandiere dell'Italia repubblicana abbiano conservato le cravatte color azzurro. E' pur vero che Carlo Alberto, quando fu costretto dalla forza degli eventi a rinunciare alla bandiera dinastica, aggiunse alla bandiera tricolore i nastri azzurri a ricordo del colore tradizionale di casa Savoia, ma è altrettanto vero che l'azzurro è rimasto nelle bandiere dell'esercito italiano soltanto per simboleggiare la continuità della tradizione militare. Da oltre un secolo,infatti, la cravatta della bandiera ed il nastro azzurro delle decorazioni al valor militare, consacrati entrambi dal sangue di tanti caduti, hanno perso l'originario significato dinastico per assurgere a simbolo nazionale di onore e di gloria. La consegna e la benedizione delle nuove bandiere avvenne in forma solenne il 4 novembre 1947, In tale occasione le bandiere dell'Artiglieria, del Genio e del Corpo di Sanità militare furono date in consegna alle rispettive scuole, la bandiera del Corpo di Commissariato fu invece data in consegna alla direzione di commissariato del comando militare territoriale di Roma e quella del Corpo Automobilistico alla Scuola della Motorizzazione, Il 16 febbraio 1949, con D.P.R. N°96, venne concessa la bandiera al Corpo di Amministrazione dell'esercito, bandiera data in consegna al capo del corpo.
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Nel 1965 il ministro della Difesa, su proposta del capo di Stato Maggiore dell'esercito, dispose che le bandiere dei disciolti reggimenti Niua Cavalleria, Lancieri di Novara, Lancieri di Aosta, Lancieri di Milano, Cavalleggeri di Sa/uzzo, Cavalleggeri di Lodi, Cavalleggeri Guide fossero date in consegna ai gruppi squadroni discendenti dei reggimenti stessi e dei quali avevano già adottato fiamme e stemma araldico. Il provvedimento, che mirava ad elevare il tono spirituale dei reparti allacciandoli alle tradizioni di antiche e gloriose unità disciolte, si rivelò di grande efficacia ai fini del rafforzamento dello spirito di corpo. Fu poi la volta del Corpo Veterinari.o deJI 'esercito ad ottenere la bandiera, con determinazione presidenziale del 2 novembre 1969. Il vessillo fu dato in consegna alla scuola del corpo. La ristrutturazione dell'esercito del 1975 determinò, infine, la concessione della bandiera di guerra alle unità a livello battaglione-gruppo. Con i D.P.R. n°846 (12 novembre 1976), n°173 (14 marzo 1977), n°376 (6 giugno 1977), n°86 l (7 ottobre I 977) e n°67 I (12 settembre 1978) furono, infatti, concesse le bandiere di guerra ai battaglioni ed ai gruppi di tutte le armi dell'esercito, compreso il comando Carabinieri Guardie (Corazzieri) del Presidente della Repubblica, nonchè agli autogruppi del Corpo Automobilistico ed ai battaglioni logistici. Sempre con tali D.P.R. furono, inoltre, concesse le bandiere d'istituto alla Scuola di Applicazione, alla Scuola di Applicazione del Corpo Automobilistico, alla Scuola Meccanici ed a quella Specializzati della Motorizzazione, al Centro Difesa Elettronica e alla Scuola Militare di Educazione Fisica dell'esercito. Nel 1982, con D.P.R. del 23 marzo, fu concessa la bandiera di guerra all'arma di fanteria ed all'arma di cavalleria. Con lo stesso decreto fu stabilito che i due vessilli venissero custoditi, rispettivamente, dalla Scuola di Fanteria e dalla Scuola Truppe Corazzate. Nel 1984 però, essendosi la Scuola di Fanteria trasformata in Scuola di Fanteria e Cavalleria, anche la bandiera dell'arma di cavalleria fu data io consegna alla scuola. Al contingente italiano impiegato in missione di pace in Libano, con D.P.R. del 21 dicembre 1982, fu concessa la bandiera di guerra, decorata con la croce di cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia il 25/02/1984. Dopo lo scioglimento del contingente la bandiera è stata versata al Sacrario delle Bandiere di Guerra al Vittoriano. A conclusione di questa rapida panoramica sui "dati anagrafici" delle bandiere in dotazione ai corpi dell'esercito si riportano le parole ammonitrici scritte da Massimo d'Azeglio oltre un secolo fa ed ancor oggi attuali: " ... siccome gli eserciti, ÌI cannoni rigati, i monitors fioriscono più che mai, è bene che la nuova generazione si imprima profondamente nell'anima il rispetto, il culto, 1' idolatria e, se si vuole, la superstizione della propria bandiera... Sia opera di tutti, giovani e vecchi, grandi e piccoli, di spargerne, di fondarne il culto. Sia sentimento di tutti che la bandiera rappresenta l'Italia, la Patria, la libertà,
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l'indipendenLa, la giustizia, la dignità, l'onore; che per questo la bandiera non si abbassa, non si macchia, non si abbandona mai, e che piuttosto si muore". (I miei ricordi - voi Il, cap. XIX).
2. IL MILITE IGNOTO Già nel 1919 Giulio Dohet sulle pagine del suo giornale, Il Dovere, si era fatto promotore della tumulazione solenne della salma di un soldato ignoto per ricordare a lutti gli Italiani, in quel momento e per sempre, l'eroismo ed il sacrificio del soldato italiano, artefice vero della vittoria e già dimenticato, al di fuori della retorica oratoria ufficiale delle commemorazioni di rito. L'idea piacque agli ex combattenti e fu finalmente recepita anche dal governo. Nell'ottobre del 1921 furono raccolte nella basilica di Aquileia undici salme di soldati ignoti, caduti sui vari fronti della nostra guerra, e fu chiamata Maria Toti Bergamas, madre di un soldato triestino scomparso nella lotta senLa che il suo cadavere fosse identificato, a scegliere quella che sarebbe stata sepolta nel Vittoriano. A Roma la cerimonia fu di grande emotività, egregiamente organiaata dal generale Grazioli, romano e valoroso comandante di reparti arditi. Il 4 novembre 1921, nel terL.o anniversario della vittoriosa conclusione della guerra, una folla enorme, silenziosa e commossa, fece ala al passaggio del lungo corteo che dalla basilica di Santa Maria degli Angeli muoveva lentamente verso piazza Venezia, accompagnando la salma del Milite Ignoto alla definitiva tumulazione nel Vittoriano. Apriva il corteo un plotone di carabinieri in grande uniforme, seguivano le bandiere dei 335 reggimenti di fanteria che avevano preso parte alla guerra, i labari neri dei reparti arditi, le rappresentanze dell'esercito, della marina e delle associazioni dei Combattenti e dei Mutilati, il vescovo di Trieste, chiuso nel piviale nero cd argento. con la mitra bianca, ed i cento parroci della capitale in colla, roccheuo e stola nera. Su un affusto di cannone, circondato da un folto gruppo di Medaglie d'Oro, il feretro del Milite Ignoto, la salma sacra senLa nome che riassume in sé tutti i soldati morti per la Patria. La marcia solenne del coneo, scandita dal cupo rullio dei tamburi ai quali secondo l'antica usanza piemontese erano state allentate le corde, e dal rombo severo dei cannoni schierati sul Gianicolo cd a Monte Mario, procedeue lentamente fino a piazza Venezia, dove giunse alle IO precise mentre le campane di Roma e di tutta l'Italia suonavano a stormo per onorare nel Milite Ignoto Lutti i soldati d'Italia. Le bandiere dei reggimenti si disposero allora su due file lungo la scalinata del Vittoriano. Ad un unico comando, mentre la folla commossa nel silenzio più religioso, imitando la regina madre Margherita e la regina Elena, si inginocchiava ed i reparti presentavano le armi, il feretro, portato a spalla da ufficiali decorati di medaglia d'oro, incominciò a salire la scalinata.
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Giunta la salma al centro del monumento, ai piedi della statua che rappresenta la dea Roma, prima di essere collocata nel basamento, Vittorio Emanuele III collocò sul feretro la medaglia d'oro concessa al Milite Ignoto con questa motivazione: "Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruenti battaglie e cadde combattendo, senza altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria". Sono passati quasi ottant'anni da quel giorno solenne, ma la venerazione degli Italiani, di tutti gli Italiani, per il Milite Ignoto continua. L' on. Luigi Gasparotto, allora ministro della Guerra, nel presentare nel giugno 192 J alla Carnera dei Deputati i I disegno di legge che proponeva la solenne sepoltura in Roma di una Salma non identificata di un soldato caduto in combattimento, scriveva: '·Ma benchè non individuata da nessun nome, una qualsiasi di quelle Salme, scelta a caso fra quella muta inerte folla ignota, ha la virtù di un simbolo e di un monito; perchè rappresenta, da sola, l'eroismo del soldato italiano che con la propria morte, con la soppressione assoluta della propria individualità, ha contribuito ad assicurare la vita ed il prestigio della Patria, ad imporre il nome di essa al rispetto e alla ammirazione del mondo; pcrchè ammonisce, infine, che l'essere stato italiano e l'essere caduto per l'Italia è titolo bastevole per i supremi onori e la sempiterna venerazione all'infuori di ogni altro segno identificatore. Ed i supremi onori decreti la Patria alla Salma sen.la nome, e la sempiterna venerazione di quanti, italiani e stranieri, amano ed ammirano il nostro esercito per le sue glorie ed i suoi sacrifici, circondi, nella celebrazione d'un culto inviolabile, la Salma senza nome, che in sé tutti i nomi riassume cd esalta dei soldati, duce e gregari, che per l'Italia valorosamente perirono". Qualche mese più tardi, un altro membro della Camera, !'On. Fradcletto, così si esprimeva: ''lo credo che un altro pensiero, politico e sociale, potrà sprigionarsi da quella tomba. Che sarà stato nell'intimo della sua coscicn.la colui che la sorte condurrà a riposarvi in eterno? O una mite anima cristiana che trepidava all'idea del sangue da versare? O un ignaro che obbediva semplicemente, senza esitare, all'appello della disciplina? O un sognatore di più vasti oriLZonti sociali che immolava la sua visione dell'avvenire alla tragica realtà del presente? Chiunque egli fosse, dobbiamo onorarlo. riconoscendo nell'ignoto estinto un'immagine di quella concordia nel sacrificio, di quell'unità di forze morali nella diversità delle tempre e delle idee, a cui la nuova Italia dovette l' incomparabile vittoria". E furono entrambi buoni profeti. perchè fin dal suo primo nascere r ini.liativa fu foriera di pace sociale e di riconcilia.lione. Come non ricordare che già nell'ottobre, in occasione del passaggio per Pordenone del treno che trasportava a Roma le spoglie del Milite Ignoto, il sindaco socialista della città, Guido Rosso, fece affiggere un manifesto che diceva: "Il Soldato Ignoto rappresenta un dovere volutO od accettato, e adempiuto con perfeua coscienza di umiltà. Superiore ai partiti, alle fa.lioni e alle passioni
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per la propria virtù che lo sublima, deve da tutti, che nel sacrificio ravvisano una fonte dell'umano progresso, avere profonda reverenza e profondo ossequio. Inchiniamoci."? Come non ricordare che, giunto a Roma, il Feretro fu accolto nella chiesa di Santa Maria degli Angeli da tutti i parroci di Roma e che due giorni dopo le campane delle chiese vaticane unirono il loro suono a quelle di tutto il Paese? E questo molto prima della Conciliazione tra Stato e Chiesa, sotto il pontificato di quel Benedetto XV che qualche anno prima aveva definito la guerra "un'inutile strage" suscitando le più dure reazioni dei combattenti. Anche oggi il Milite Ignoto rappresenta la certezza della sopravvivenza della Patria e le più alte cariche dello Stato gli rendono omaggio perchè in Lui è rappresentato l'impegno supremo di tutto il popolo italiano ed a Lui rinnovano, a nome di tutti i cittadini, l'imperativo morale di trasmettere ai nostri figli una Na.lione libera, concorde, operosa.
3. LE STELLETTE li J3 dicembre 1871 , Vittorio Emanuele II, re d'Italia per grazia di Dio e volontà della Nazione, decretava: " ... Tutte le persone soggette alla giurisdizione militare, a mente dell'art. 323 del Codice penale militare e 362 del Codice penale militare marittimo, porteranno come segno caratteristico della divisa militare comune all'esercito ed ali' armata le stellette a cinque punte sul bavero dell'abito della rispettiva divisa... ". L'istruzione del 4 gennaio 1872, relati va al Regio Decreto citato, precisava poi: " ... le stellette saranno ricamate in oro per gli ufficiali generali, in argento per gli ufficiali ed assimilati al grado di ufficiali superiori cd inferiori, in lana o cotone bianco per la truppa. Esse saranno foggiate in modo che le punte seguano i vertici di un pentagono iscritto in un circolo di 31 millimetri di diametro, ed i rientranti i vertici di un pentagno iscritto in un circolo di 16 millimetri di diametro... I militari che ricevono il congedo assoluto dovranno, prima di lasciare il proprio Corpo, deporre le stellette". Le stellette, tuttavia, non erano una novità assoluta per l'esercito. Il 22 aprile del 1871 un Regio Decreto aveva stabilito per gli ufficiali di fanteria, eccettuati quelli dei bersaglieri, stellette d'argento a cinque punte da portare sul bavero della giubba e della mantellina e, già nel marzo del 1860, un'apposita circolare del ministro Fanti aveva prescritto per "gli ufficiali di ordinanza di Sua Maestà, così effettivi come onorari" l'uso di una stelletta d 'oro a 6 punte, con le cifre reali al centro, "per ornare la golena sia della tunica che del pastrano e dello spencer". Per quanto numerose siano state nel tempo le disposizioni successive che hanno modificato e rimodificato dimensioni e materiale di realizzazione, la funzione delle stellette è rimasta inalterata: erano e sono il segno caratteristico della soggezione alla disciplina militare.
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Ma se è semplice risalire ali' origine "anagrafica" delle stellette è, invece, molto difficile dare una risposta convincente ad un'altra domanda che pure sorge spontanea: "Perchè, quale simbolo inequivocabile dell'appartenenza alle Forze Annate dello Stato, fu scelta la stella a cinque punte e non un qualche altro simbolo, magari collegato alla dinastia regnante, in quel periodo cosl attenta a tutto ciò che riguardava il settore militare?". La mancanza di documenti ufficiali che offrano qualche indicazione sui motivi che portarono a tale scelta non pennette una risposta sicura. Sull'argomento si possono fare soltanto illazioni. Alcuni studiosi banno osservato che in molti eserciti stranieri le stellette, a cinque o sei od otto punte, erano usate quali distintivi di grado e che, quindi, la scelta della stella anche nel nostro Paese non avrebbe avuto alcun particolare significato. Altri hanno pensato, invece, ad un'origine risorgimentale del simbolo, ricordando che fin dai primi anni dell'800 l'Italia veniva rappresentata come una stella luminosa che indicava il cammino da percorrere per raggiungere l'unità e l'indipendenza. Nello stesso periodo era anche consueto raffigurare l'Italia come una donna giovane e fonnosa, recante una stella in fronte o sul capo coronato. Ed il vocabolo "stellone", con il quale ancora oggi indichiamo le fortune del nostro Paese, è sicuramente entrato nell'uso per la suggestione esercitata dalle stampe popolari dell 'epoca. Esiste anche un'altra interpretazione: l'origine delle stellette sarebbe collegata alla massoneria, per il tramite delle società segrete del nostro primo periodo risorgimentale. Nella simbologia carbonara la stella aveva un posto preminente in quanto indicava la potenza divina che, con la sua luce, guida l'uomo attraverso le tenebre e la stella raggiante a cinque punte in massoneria si trova sia nelle Officine simboliche sia nelle Camere superiori; essa è simbolo del rcuo costruire in quanto, tracciata in conformità alla regola del "numero d'oro", reca nel centro la lettera "G", che nella filosofia massonica - secondo l'interpretazione più accreditata - sta a significare "geometria" e quindi "agire geometricamente" (intendendo tale avverbio come "giustamente"). A sua volta il numero "cinque" indica la "quintessenza universale" e simboleggia nella sua forma l"'essenza vitale", lo "spirito animatore" che serpeggia ovunque. Infatti questa cifra, davvero particolare, è la riunione dei due accenti greci collocati su quelle vocali che dovevano o meno essere aspirate: il primo segno ha il nome di "spirito forte" e sta a significare lo spirito superiore cui deve aspirare l'uomo, il secondo, denominato "spirito dolce", rappresenta lo spirito umano comunque. Sempre per quanto concerne la stella, essa sarebbe l'emblema della sentenza di Ermete secondo cui "ciò che è in basso è come ciò che è in alto". Va anche ricordato che l'asta dello stendardo delle logge massoniche è sormontata da una stella a cinque punte con la lettera "G" nel mezzo. Infine, non a caso l'associazione segreta che precedette i carbonari era detta dei "Raggi" in quanto si spandeva appunto come i "raggi di una stella". Si tratta solo di un'ipotesi ma indubbiamente molto suggestiva in quanto
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la simbologia della stella esprime compiutamente l'essenza dello spirito militare: comportamento esemplare (agire geometricamente), volontà trascinatrice (quintessenza universale), senso di disciplina e spirito di corpo (ciò che è in basso è come ciò che è in alto). Secondo il linguaggio araldico, infine, la stella rappresenta qualità che si addicono al soldato: finezza d'animo, azioni sublimi, fama, nobiltà gloriosa. Anche in mancanza di sicuri documenti probatori, sulla base di quanto fin qui esposto, sembra legittimo concludere che la scelta delle stellette sia sicuramente legata alle vicende risorgimentali e che nessun altro simbolo potrebbe meglio esprimere la continuità ideale delle Forze Armate.pur nell'incessante evoluzione organica imposta dal progredire della società. -
4. LE RICOMPENSE AL VALO RE MILITARE Il primo provvedimento organico adottato in Italia per ricompensare particolari atti d1 valore compiuti da militari risale al 21 maggio 1793 quando Vittorio Amedeo III approvò il Regolamento per il distintivo di onore stabilito per li bassi ufficiali, e soldati delle Regie Truppe, che istituiva una medaglia d'oro o d'argento da conferire ai sottufficiali ed ai militari di truppa del regno sardo che avessero compiuto "azioni di segnalato valore in guerra". Tale "distintivo di onore" rappresentava "un pubblico e permanente onorifico contrassegno di Reale gradimento" e, proseguiva il Regolame1110, "nel far riconoscere gli autori" doveva "dar loro una maggiore considerazione, elevarne sempre più gli animi ed eccitare anche con l'apparente segno della manifestata prodezza quella emulazione nei compagni, che è tanto necessaria nel militare ... ". Il Regolamento precisava ahresì che la concessione della medaglia era riservata alle azioni di valore dei singoli , non era prevista quindi per i reparti, ma lo stesso Vittorio Amedeo 111 infranse ben presto la regola che egli stesso aveva stabilito. Ammirato, infatti, dal grande eroismo dimostrato da due squadroni del reggimento Dragoni del Re, oggi Genova Cavalleria, nel fatto d'armi avvenuto al Colle del Bricchcuo di Mondovì (21 aprile J796), il sovrano decretò che al reggimento fossero concesse addirittura due medaglie d'oro "non bru.tando una a premiare tanto valore". Dopo la restaurazione Vittorio Em anuele I ripristinò la decoraz io ne (Regio Yiglictto del 4 aprile 181 5) che, però, soppresse il 14 agosto dello stesso anno, sostituendola con l'Ordine Militare di Savoia. Re Carlo Alberto, riconosciuta la necessità di premiare molte azioni di vero valore, che non era possibile ricompensare per la severità degli statuti dell'Ordine Militare di Savoia, con R. Viglietto del 26 marzo 1833 istituiva un nuovo distintivo d'onore, consistente in una medaglia che poteva esser d'oro o d 'argento. Questa nuova medaglia doveva portare nel recto lo scudo di Savoia, sormontato dalla corona reale e circondato dal motto "Al valor militare" e, nel
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rovescio, due rami di alloro, piegati a corona, in meuo ai quali dovevasi incidere il nome del decorato e nel contorno il luogo e la data dell'azione. Essa era appesa ad un nastro turchino celeste di trentadue millimetri. Tale distintivo poteva esser concesso a qualsiasi persona, anche immediatamente sullo stesso campo di battaglia da Sua Maestà, dal generale in capo cd anche dai generali di divisione a ciò debitamente autorizzati; poteva esser accordato anche in tempo di pace, per atti di segnalato coraggio compiuti da militari ·'in servizio comandato". Era, inoltre, fissato un soprassoldo di lire cinquanta per i decorati di medaglia d'argento e di lire cento per i decorati di medaglia d'oro. Durante la campagna del 1848, per premiare quegli atti di "fermezza e di coraggio" che non avevano però gli estremi per meritare la medaglia al valore, lo stesso Re Carlo Alberto istituì la "menzione onorevole", sostituita poi da Umberto I con la medaglia di bronzo (R.D. 8 dicembre I 887). Vit1orio Emanuele III, infine.con R.D. del 7 gennaio 1922 istituì la croce di guerra al valor militare. Nel nostro esercito pertanto esistono due diverse specie di ricompense: - le medaglie al vaJor militare di cui si è deno, normalmente concesse aJle persone, ma anche a reparti cd a città, per premiare at1i di valore o di particolare sacrificio e dedizione; - l'Ordine Militare d'Italia, di norma concesso per premiare: l'azione di comando particolarmente incisiva di un comandante di grado elevato; l'attività organizzativa del capo di Stato Maggiore di una Grande Unità dimostratasi salda ed efficiente nel corso di un ciclo operativo; l'operato quotidianamente generoso e fattivo di un'intera Anna o Corpo dell'Esercito.
5. L'ARALDICA Lo stemma araldico di un reparto militare è la rappresentazione simbolica delle gesta compiute da quel reparto, la traduzione figurata della sua storia e puè> quindi servire ad identificarlo alla stessa stregua del numero ordinativo, della denominazione e delle mostrine. La costituzione repubblicana (art. XIV delle disposizioni finali e transitorie) ha soppresso la R. Consulta Araldica e non riconosce i titoli nobiliari, tuttavia dà mandato al Presidente della Repubblica di concedere stemmi araldici, riservati però soltanto agli Enti, pubblici o morali. Ai corpi dcli' esercito, forniti di bandiera, possono essere concessi stemmi araldici pcrchè considerati Enti morali. Non si è interrotta, quindi, a causa della radicale trasformazione istituzionale dello Stato, un'antica tradizione. L'uso di stemmi araldici da parte di corpi militari è assai antico, risale infatti al Medioevo, quando i reparti armati erano soliti portare, prima sulle bandiere e poi sugli scudi, gli stessi simboli del Signore al quale avevano giurato fedeltà.
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Naturalmente quando, in epoca moderna, solo il Sovrano ebbe il diritto di arruolare truppe, fu il Sovrano soltanto a concedere ai suoi reggimenti uno stemma araldico. Per quanto riguarda l'esercito italiano, che affonda inequivocabilmente le sue radici nel forte humus di quello piemontese, la prima concessione ufficiale risale al 1692. In quell'anno Vittorio Amedeo II assegnò un'arrne a ciascuno dei suoi reggimenti, prendendo gli stemmi prevalentemente dall'araldica dei possessi. La concessione di stemmi araldici ad Enti Militari, divenuta consuetudine negli Stati pre-unitari, non fu però regolamentata in maniera organica dopo l'Unità d'Italia. A partire dal 1860, infatti, solo a pochi reparti fu riconosciuto o concesso lo stemma araldico: è necessario arrivare al 1917 per ritrovare una prima disposizione di legge in materia araldica, il decreto reale n° 139 I del I 8 agosto con il quale venne istituita una onorificenza per premiare i reparti che stavano combattendo contro l'Impero Asburgico. L'articolo I di tale decreto stabiliva: "E' istituito uno speciale attestato di onore per quei Corpi del nostro Esercito i quali, sui campi di battaglia, si siano ripetutamente segnalati con preclare azioni di valore collettivo. Tale attestato consisterà nel!' autorizzare i detti Corpi a servirsi ufficialmente, e a fregiare le loro bandiere o stendardi, di un motto che si ritenga meglio adatto a testimoniare l'essenza dei fatti che danno motivo all'onorifica distinzione ...". Nel 1932 un altro decreto regolò meglio l'intera materia, sanzionando in forma definitiva i motti fino ad allora concessi. Nel 1938 il Ministero della Guerra, constatando che alcuni reggimenti avevano ottenuto dalla Consulta Araldica il R. Assenso a far uso di uno stemma araldico, ritenne opportuno di impartire "precise istruzioni circa la formulazione delle domande stesse e circa la configurazione dei bozzetti da sottoporre ali ' approvazione... ". Tali istruLioni, emanate il 4nl 1939 con circolare n°556 l 9 e chiaramente ispirate al Regolamento Tecnico Araldico del 1905 ed ali' Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano del I 929, stabilirono: " ... tutti gli stemmi dovranno essere cimati dalla corona Reale; i trofei delle armi e specialità e le mostrine possono essere assunti nello stemma, ma non come parti di esso, bensì come fregio o motivo decorativo sotto lo scudo. Per le onorificienze del!' Ordine Militare di Savoia di cui il reggimento fosse decorato, potrà darsi apposita indicazione accollando allo scudo il nastro dell'ordine suddetto con la decorazione pendente al centro, sotto la punta dello scudo; due onorificenze dell'ordine saranno rappresentate con un solo nastro e con due decorazioni. Analogamente un nastro, azzurro pure in accollo, esternamente all'altro, indicherà le ricompense al valore militare, portando pendenti al centro le medaglie d'oro, d'argento o di bronzo. La croce di guerra al valor militare sarà indicata da un piccolo fiocco di nastro azzurro e bianco appuntato allo spigolo sinistro dello scudo. Le eventuali ricompense al valore civile saranno rappresentate con nastro
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verde, bianco e rosso, pure accollato allo scudo esternamente ai nastri predetti, con le medaglie d'oro, d'argento o di bronzo disposte come indicato per le ricompense al valor militare. Fonna parte integrante dello stemma il motto del reggimento, che sarà riportato su di una targa o lista sotto lo scudo". Alcuni mesi dopo il Ministero ritornò sull'argomento, con la circolare n°92060 in data 7-10-1939: " ... I 0 ) La parte preponderante dello stemma deve consistere nello scudo (di foggia sannitica); in esso saranno iscritti i motivi inerenti alle tradizioni, ai fasti ed ai legami territoriali degli enti. Lo scudo non dovrà essere circoscritto da aquile.cimieri, teste di cavallo, ecc. 2°) Lo scudo può contenere più motivi ripetuti o meno, ispirati alle vicende storiche degli enti ... 3°) La corona reale di cui tutli gli stemmi devono essere cimati, non deve essere associata a emblemi o adorni di sorta... ". In conseguenza delle citate disposizioni molti reggimenti dettero corso alle pratiche necessarie per ottenere un regolare stemma araldico ex novo o per fare approvare quemlo tradizionalmente in uso. Questa "ripresa" araldica, tuttavia, non durò a lungo. Il 30 1942, con circolare n° 160170, il Ministero della Guerra decretava: "Vari corpi inoltrarono a questo Gabinetto domande di concessione di stemmi e motti araldici. Si rileva, generalmente, povertà di motivi simbolici negli stemmi proposti; ciò ha luogo specialmente per quei corpi che o sono di recente formazione, e quindi privi di una ricca tradizione cui attingere, o si trovano nell'impossibilità di avvalersi dell'opera di competenti in materia araldica, perchè dislocati in zona di operazioni. In considerazioni che gli eventi ai quali i reggimenti prendono parte potranno fornire ricca messe di clementi, per la modificazione degli stemmi esistenti e per la concessione di nuovi, si determina che i corpi, per tutta la durata dell'attuale conflitto, si astengano dall'inoltrare richieste per la concessione di stemmi e motti araldici". Dopo la 2• guerra mondiale si pose il problema di un generale riordino di tutto il settore araldico, anche per effetto della avvenuta trasformazione istituzionale dello Stato. Era necessario, infatti, rendere compatibili con il nuovo ordinamento repubblicano gli stemmi già concessi e tener conto degli eventi bellici appena terminati, che offrivano tanti nuovi elementi di rilevanza araldica, per blasonare in modo adeguato sia gli stemmi già concessi e da modificare, sia quelli da concedere ex novo. L'intera materia venne regolata compiutamente con la circolare n°2IO del 13-2-1950. Rispetto al passato, le maggiori innovazioni apportate dalla circolare riguardavano l'elmo ed il fregio, gli elementi cioè che sormontano lo scudo ed ai quali fu assegnata la sola funzione di distinzione categoriale, pur costituendo essi parte integrante e non ornamentale dello stemma, anche se fuori scudo.
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Furono perciò adottati tre tipi diversi di elmo, tutti di foggia romana: - per i reparti operativi l'elmo legionario, costituito da una calotta di acciaio con paranuca, frontale e due barbozzali a cerniera, sormontato dal pennacchio tipico dei "tribuni militum" e dei "centuriones". li pennacchio, rappresentato con tre foglie di quercia, ripeteva i colori tradizionali delle Armi, Specialità e Corpi Logistici: rosso per la Fanteria, oro per l'Artiglieria, porpora e nero per il Genio e così via; - per l'Accademia Militare e per le Scuole l'elmo di Minerva, dea della sapienza e della guerra, sprovvisto di pennacchio e, quindi, di colori indicativi, in quanto gli istituti d'istruzione erano per lo più pluriarma; - per lo Stato Maggiore dell'Esercito, a causa della sua suprema funzione di comando, l'elmo consolare, in oro, posto in maestà. Gli altri elmi erano, invece, in argento e posti di profilo. Sotto l'elmo un fregio, specificamente indicativo dell'Arma, della Specialità o del Corpo Logistico cui apparteneva l'Ente titolare dello stemma. La grande libertà, concessa dalla norma per quanto riguarda la scelta degli elementi da blasonare e delle figure da usare, permette nella realizzazione degli stemmi araldici dei reparti infinite soluzioni. Tuttavia, dal 1950 ad oggi, si sono venute consolidando alcune tendenze di massima che sembra opportuno ricordare. Il capo, pezza onorevole di I O ordine, è sempre riservato alla blasonatura della più alta ricompensa al valor militare ed è, quindi, sempre d'oro. Quando il reparto è decorato di più medaglie d'oro al valor militare, nel capo vengono inclusi uno o più pali d'azzurro in funzione di pene onorevoli aggiunte, dato che il capo non può essere partito. Per ricordare la località nella quale la massima ricompensa fu conseguita, talvolta il capo viene caricato di un quartiere franco, blasonato di un significativo ricordo della località. Per quegli Enti che, essendo di recente costituzione, non hanno nella loro storia elementi di rilevanza araldica tale da essere elevati sullo scudo, viene adottata la tavola di aspettazione, cioè lo scudo pieno (ad unico campo), quasi sempre d'argento. E ciò nel rispetto di una consuetudine cavalleresca, secondo la quale i cavalieri di nuova investitura, e quindi senza imprese da poter ascrivere a loro esclusivo merito, non potevano blasonare il proprio scudo, ma adottavano per esso il solo smalto d'argento. Ad evitare, però, una molteplicità di scudi perfettamente analoghi, il criterio di base è attenuato mediante la inclusione di una pezza che ricorda la sede stanziale del reparto o la sua appartenenza ad una Grande Unità. Le campagne combattute nel corso della seconda guerra mondiale vengono blasonate ricorrendo ad emblemi già recepiti dalla tradi.lione storica oppure alle bandiere degli stessi Paesi nei quali si è combattuto. l simboli più usati sono: l'elmo di Scanderbeg, il silfio d'oro reciso di Cirenaica, il tridente bilantino di oro d'Ucraina, i colori della Grecia, dell'Albania, della Francia.
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Per quanto riguarda le guerre combattute in un più lontano passato i simboli più usati sono: l' aquila spiegata di nero, caricata in cuore da uno scudetto di rosso alla croce d'argento, per le campagne risorgimentali; una palma al naturale fruttata d'oro, emblema della Tripolitania, per la guerra itaJo-turca; il leone passante di Gjuda, tenente nella branca destra una croce d'oro caricata dal Cristo d'argento, per la guerra italo-etiopica; un monte aJJ'italiana, di tre, cinque o sette cime, per la prima guerra mondiale. Nel 1987 sono state disposte (Circ. n° 121 del 9 febbraio) alcune varianti a quanto stabilito delle disposizioni del 1950: - gli stemmi debbono essere cimati non più da un elmo ma da "una corona turrita a otto torri, merlate alla guelfa, di cui cinque visibili, d'oro murata di nero e foderata di rosso all'interno"; - i motti araldici debbono essere riportati su lista bifida d'oro che deve avvolgere, svolazzando, la parte inferiore dello scudo; - i nastri indicativi delle ricompense non potranno superare il numero di 10. Le ricompense al valore eccedenti tale numero dovranno essere evidenziate con un numero romano caricato sul nastro che indica la ricompensa; - le onorificenze, in genere l'Ordine Militare d'Italia, debbono essere accollate alla punta dello scudo, sorrette dai rispettivi nastri.
6. LA SCIARPA AZZURRA In campo uniformologico sono poche le direttrici costantemente seguite nel corso dei secoli ; tra queste vi è quella di differenziare l'esercito nazionale da quelli aJJeati o avversari. Senza risaJire troppo indietro nel tempo, basterà ricordare come nel Medio Evo le truppe francesi si distinguessero per la croce bianca, portata sul petto e sul dorso, mentre i soldati inglesi usavano nello stesso modo la rossa croce di S. Giorgio e gli imperiali la croce di Borgogna (due bastoni rossi, incrociati a croce di Sant' Andrea). Scomparso il ricordo delle Crociate, alle quali si deve certamente l'uso della croce come contrassegno nazionale, ed attenuatosi lo spirito religioso per effetto dell'Umanesimo, verso il 1500 gli eserciti incominciarono ad adottare come distintivo la sciarpa, portata alla vita oppure a bandoliera. Naturalmente - siamo all'epoca degli Stati dinastici - era il Principe ascegliere il colore della sciarpa e, di regola, sceglieva quello del suo blasone. Per quanto riguarda l'esercito piemontese, il primo documento ufficiale nel quale si cita la sciarpa come indumento di prescrizione è un'ordinanza, o "ordinato" come preferiscono alcuni studiosi, del duca Emanuele Filiberto, datato IO gennaio 1572 " ... intendendo noi che i nostri soldati portino sciarpe o bende del nostro colore, cioè azzurro, ossia celeste, et non d'altro a piacere loro come siamo informati essi fanno ...". li documento offre lo spunto per chiarire anche una seconda questione:
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perchè l'azzurro sia stato scelto come colore distintivo dalla famiglia Savoia quando il vessillo della casata era invece rosso, crociato di bianco. Le diligenti ricerche del Gerbaix de Sonnaz pennenono di affennare con sicurezza che il colore azzurro fu scelto a ricordo della bandiera di devozione che sventolava sulla galera capitana del Conte Verde, Amedeo VI di Savoia, quando nel giugno del 1366 partl da Venezia in aiuto dell'imperatore di Bisanzio, Giovanni VI Paleologo, minacciato dai Turchi. Tale bandiera era, infatti, di seta azzurra con l'immagine della Vergine in un campo di stelle d'oro. Quanto al significato araldico, infine, l'azzurro sta ad indicare "giustizia, lealtà, purezza d'animo, gentilezza e fama", qualità tutte che si addicono ad un soldato. Questa è dunque l'origine più probabile della sciarpa azzurra, spesso invece raccontata diversamente: sarebbe dovuta ad un voto fatto alla Madonna da Vittorio Amedeo II, prima della battaglia di Torino. Il consolidamento del potere regio, il conseguente miglioramento delle finanze statali e la creazione dei primi opifici resero possibile nel corso del 1600 l'adozione di vere e proprie uniformi e la sciarpa perse, quindi, il carattere di segno distintivo di nazionalità. Rimase in uso, però, presso quasi tutti gli eserciti come ornamento per i soli ufficiali. Nell'esercito piemontese la sciarpa ebbe anche la funzione di distintivo di grado e mutò più volte di foggia, di colore, talvolta indossata alla vita, talvolta a bandoliera. li regolamento del 17 settembre 1741 prescriveva che gli ufficiali in servizio portassero alla vita una sciarpa azzurra e oro, con fiocchi dorati. La diversa percentuale dell'azzurro e dell'oro denotava i differenti gradi: la sciarpa del luogotenente era, infatti, azzurra con una piccola fascia centrale d'oro, quella del colonnello era d'oro con un nastro azzurro tra le maglie del tessuto. I successivi regolamenti del 24 febbraio 1750 e del IO aprile 1775 si occuparono ancora della sciarpa azzurra, ma, sostanzialmente, non apportarono varianti nè alla foggia nè al colore. Immutata rimase pure la funzione di distintivo di grado. Dopo la Restaurazione, la sciarpa, portata ancora alla vita, era gialla, con liste turchine trasversali e con due fiocchi a sinistra di grovigliuola di seta. Nel 1832 la sciarpa ritornò azzurra, ad eccezione di quella per i generali che rimase d 'oro. Nel 1848 (decreto del 25 agosto) fu stabilito che la sciarpa, di seta azzurra per tutti, venisse portata a tracolla, da destra a sinistra; da sinistra a destra, invece, per gli aiutanti di campo e gli appartenenti allo Stato Maggiore. I fiocchi erano d 'oro per i generali, misti di argento e azzurro per i colonne lli, azzurri per gli altri ufficiali. Con disposizione del 9 febbraio 1850 fu stabilito, infine, che la sciarpa avessa foggia e colore uguale per tutti gli ufficiali e cioè di seta azzurra, con due fiocchi arrotondati pure di seta azzurra.
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7. L'ONOMASTICA DELL'ESERCITO Le denominazioni che contraddistinguono le unità militari sono sempre state scelte in ossequio a ben determinati criteri. Di nonna, a partire dal XVIII secolo,i reparti militari almeno in Europa presero il nome o del comandante o della regione di reclutamento dei soldati o della località dove il reparto era stanziato o di qualche altolocato personaggio al quale si voleva rendere onore. Nell'antica armata sarda tali criteri furono sempre rispettati: i reggimenti di fanteria stranieri erano distinti con il nome del comandante, i reggimenti di fanteria d'ordinanza portavano il nome di una provincia dello Stato sabaudo, i reggimenti di fanteria provinciale, infine, erano denominati con il nome della località principale del loro bacino di reclutamento. Per i reggimenti di cavalleria i criteri adottati furono gli stessi. Naturalmente si verificarono alcune eccezioni: il reggimento la Marina, perchè dai suoi battaglioni erano tratti gli equipaggi della flotta, il reggimento Fucilieri, che forniva i drappelli di scorta alle artiglierie, all'epoca servite da operai civili; il reggimento della Regina, segno di devozione e di rispetto alla sovrana; il reggimento delle Guardie, incaricato della sicurezza del re e della famiglia reale, il reggimento Croce Bianca, perchè i comandanti di compagnia dell'unità erano tutti cavalieri dell'Ordine di Malta e ne ostentavano l'insegna sull'uniforme, la croce bianca appunto. Quando, dopo la Restaurazione, la fanteria dell'armata sarda fu stabilmente articolata in brigate su due reggimenti, furono le brigate ad assumere un nominativo, mentre ai reggimenti fu dato un numero distintivo. Nel 1848 l'armata sarda contava: 1 brigata Granatieri di Sardegna su I0 e 2 ° reggimento granatieri; 9 brigate di fanteria, Savoia su I O e 2° reggimento fanteria, Piemonte su 3° e 4°, Aosta su 5° e 6°, Cuneo su 7° e 8°, Regina su 9° e 10°, Casale su 11 ° e 12°, Pinerolo su 13° e 14°, Savona su I 5° e 16°, Acqui su 17° e 18°; 6 reggimenti d i caval leria, Nizza, Piemonte Reale, Savoia, Genova, Novara, Aosta. Come è noto l'ese~cito italiano conservò anche le tradizioni dell'armata sarda, e, a mano a mano che l'esercito si ingrandiva, si costituirono nuove brigate di fanteria e nuovi reggimenti di cavalleria contraddistinti in linea di massima con i nomi delle regioni e delle città che entravano a far parte del nuovo regno. Non mancarono i casi anomali, specie per quanto riguarda i nominativi dei reggimenti di cavalleria, che annoverarono i lancieri di Vittorio Emanuele II, i Cavalleggeri di Umberto I, il reggimento Guide e quello Ussari di Piacenza, rispettivamente per onorare i primi re d'Italia, per sottolineare l'impiego particolare del reggimento, per ricordare che il reparto era stato costituito da un nucleo di esuli ungheresi volontari nelle guerre d'indipendenza. Quando la Savoia e Nizza furono cedute alla Francia la brigata di fanteria cambiò il nominativo Savoia in Re, mentre i reggimenti di cavalleria Savoia e Niz.za conservarono i loro nomi. Sempre in ossequio alla tradizione, l'artiglieria ed il genio contraddistin-
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sero i loro reggimenti solo con l'ordinativo, così come i battaglioni bersaglieri. Ma anche in campo artiglieresco ci fu un'eccezione, i gruppi di artiglieria da montagna si identificarono con il nome di una città. Altrettanto atipica la denominazione dei battaglioni alpini, che presero il nome della sede dei rispettivi depositi. E poichè i depositi avevano anche l'incarico di costituire all'emergenza i battaglioni alpini di milizia mobile e di milizia territoriale, questi ebbero rispettivamente il nome di un monte e di una vallata del circondario, cosi, ad esempio, il battaglione Borgo San Da/mazzo durante la 1• guerra mondiale fu seguito dal battaglione Monte Argentera e dal battaglione Val Stura. Durante la 1• guerra mondiale furono costituite molte nuove brigate e non essendovi più nomi di regioni e di città disponibili si iniziò a denominare le nuove brigate con nomi di fiumi, di mari e di laghi. Nel 1926 le brigate di fanteria assunsero un ordinamento ternario e furono contraddistinte solo dal numero progressivo, le antiche denominazioni furono scalate ai reggimenti, unitamente alle mostrine. Nel 1933 lo SM dell'esercito ritenne opportuno sottolineare I' inscindibilità della divisione ternaria nell'impiego operativo e di raffor1are i vincoli di cameratismo e di spirito di corpo tra tutti i reparti componenti attribuendo alle divisioni, fino ad allora distinte solo dal numero, un nome. Ed il provvedimento fu poi completato dall'istituzione di un distintivo divisionale, uno scudetto di stoffa portato sulla manica sinistra dell'uniforme e sul quale, lungo il bordo, era ricamato il nome della divisione di appartenenza. Persino Mussolini, nella sua qualità di minjstro della Guerra, approvò il provvedimento: " ... buonissima idea quella del distintivo delle Divisioni, come tutto ciò che distingue, come tutto ciò che può suscitare l'emulazione degli uomini e dei reparti, come tutto ciò che dà ad un organismo la nozione sempre più consapevo le della propria unità e della propria forza". La scelta dei nomi, che il trimestrale Bollettino de/l'Ufficio Storico (fascicolo n°1 del 5 gennaio 1934) definì "felice e significativa", fu condizionata dalla retorica del tempo, certamente sincera ma che oggi ci appare troppo insistita. E proprio per ricordare il clima di quei giorni si riportano alcuni brani dell'articolo del Bolletri110: " ... nomi fatidici che ci riportano ad avvenimenti gloriosi della nostra eroica storia sono stati assunti dalle divisioni il cui territorio comprende la località delle gesta oppure diede i natali a coloro che nelle gesta si immortalarono: pietre miliari della nostra storia millenaria, tali nomi diventano insegna e vessillo delle moderne divisioni che, elettesi custodi della tradizione di gloria, sapranno trarne auspicio nell'avviarsi verso i nuovi luminosi destini. Così Metauro è nome che ricorda ai fanti la vittoria dei consoli romani sul barbaro invasore; e Rubicone dice lo spasimo della passione del Condottiero che, nell 'attraversare quel fiumicello, segnava il destino di Roma, creandole il più vasto impero che sia mai esistito: e Legnano, Maratona delle Repubbliche italiane, ripete al mondo la volontà indomita di indipendenza della nostra Gente; c Fossalta la vittoria delle nostre armi sul Re Ghibellino; e Vespri ammonisce ancora una volta che il popolo italiano non tollera il giogo straniero: e lo stesso grido lanciano i nomi di Gavi11ana, Assietta, Cosseria,
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ripetendo le gesta che sanzionarono altamente lo spirito di indipendenza e di amor patrio dei figli di Roma antica ... Nomi di regioni, di monti, di fiumi si sono dati ad altre divisioni a ricordare la bellezza e Ia storia delle località stesse; e così abbiamo avuto la Monviso, la Monferrato, la Po, la Murge, la Sila, la Peloritana; mentre altri nomi geografici, quelli di Brennero e Camara, rievocando "termini sacri che natura pose a confine della Patria", ci dicono nella loro laconicità tutta la passione che la nostra generazione visse per rivendicarli... Ed infine, nel ricordo delle località sacre comprese nel loro territorio, le divisioni di Verona, Padova, Udine, Gorizia, Trieste - rievocando le tappe del conflitto che, conducendoci alla meta luminosa di Vittorio Veneto, completò l'unità e la indipendenza della Patria - si denominarono Pasubio, Piave, Monte Nero. Isonzo, Timavo. Di seguito l'elenco di tutti i nominativi prescelti. DIVISIONI DI FANTERIA 1• divisione Superga 2• divisione Sforzesca 3• divisione Monferrato 4• divisione Monviso 5' divisione Cosseria 6• divisione Legnano 7" divisione Leonessa 8" divisione Po 9• divisione Pasubio I O" divisione Piave 11 • divisione Brennero 12• divisione Timavo 13• divisione Montenero 14• divisione Isonzo 15" divisione Camaro 16• divisione Fossalto 17' divisione Rubicone 1s• divisione Metauro 19• divisione Gavinana 20" divisione Curtatone e Montanara 21• divisione Granatieri di Sardegna 22• divisione Cacciatori delle Alpi 23• divisione Murge 24• divisione Gran Sasso 25" divisione Volturno 26° divisione Assietta 27" divisione Sila 28" divisione Vespri 29" divisione Peloritana 30" divisione Sabauda 31• divisione Caprera
SEDE DEL COMANDO Torino Novara Alessandria Cuneo Genova Milano Brescia Piacenza Verona Padova Bolzano Trieste Udine Gorizia Pola Bologna Ravenna Ancona Firenze Livorno Roma Perugia Bari Chieti Napoli Salerno Catanzaro Palenno Messina Cagliari Sassari
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I nomi di Eugenio di Savoia, di Emanuele Filiberto Testa di Ferro e del Principe Amedeo Duca D'Aosta, tre figure storiche della famiglia reale, furono assegnati aJJe divisioni celeri. Per le grandi unità alpine si fece ricorso, invece, ad una chiara suddivisione della cinta alpina, assegnando loro i nomi di Cuneense, Taurinense, Tridentina e Julia. A queste quattro unità se ne aggiunse, all'epoca della campagna d'Etiopia, una quinta, la Pusteria che, ricordando soltanto una valle e non un intero settore alpino finiva per creare una eccezione onomastica. Anche i carabinieri videro, all'epoca, la nascita di due comandi divisionali ai quali furono assegnati i nomi di Pastrengo e Podgora, a ricordo di episodi di guerra in cui era particolarmente rifulso il valore dei reparti dell'arma. Il concetto fu mantenuto nel 1938 quando fu costituita la 3• divisione Ogaden, a ricordo della più recente campagna etiopica. Anche i reggimenti di artiglieria da campagna furono interessati alla riforma, fu loro attribuito infatti il nome della divisione cui appartenevano. Nel 1938 la divisione divenne binaria, le nuove grandi unità ebbero di massima il nome delle antiche brigate, con poche eccezioni: le 4 divisioni di presidio in Libia furono denominate ricorrendo alla geografia, Cirene, Sabratha, Sirte e Marmarica; le 2 divisioni motorizzate furono intitolate alle città simbolo dell'irredentismo, Trento e Trieste, mentre per le 3 divisioni corazzate si scelsero nomi al di fuori di qualsiasi tradizione, Ariete, Centauro e Littorio. E mette conto di osservare che questo nominativo fu l'unica concessione dell'esercito alla retorica fascista. Anche i battaglioni carri ed i gruppi squadroni corazzati ebbero un loro nominativo, per i primi furono prescelti i nomi di alcuni ufficiali decorati di medaglia d'oro al valor militare per i secondi i nomi di alcuni santi, San Giusto, San Marco e San Giorgio. Del resto esisteva un precedente: i battaglioni eritrei oltre al numero romano si distinguevano per il nominativo, spesso quello del loro primo o più illustre comandante (IV battaglione Toselli, III battaglione Calliano, ecc.) oppure di fantasia (Haga che significa signore, Ambesà, che significa leone). Da ricordare ancora che nell'impero fu costituita una divisione Granatieri di Savoia e che ad una divisione da costituire all'atto della mobilitazione, con personale nazionale residente in A.O.I., fu dato il nome Africa. Nell'ottobre 1940 infine, al 3° reggimento granatieri fu aggiunto il predicato d'Albania. Nel dopoguerra le prime divisioni dell'esercito ricostituito ebbero il nome dei gruppi di combattimento che avevano preso parte alla fase finale della campagna d'Italia a fianco degli Alleati: Cremona, Legnano, Folgore, Friuli e Mantova. Nel 1946, all'atto della proclamazione della repubblica, alcuni reggimenti cambiarono nome, il 9° Regina divenne 9° Bari, il 2° Re si trasformò nel 157° Leoni di Liguria, Savoia cavalleria mutò per qualche anno il nome in quello di Gorizia, mentre il 182° fanteria fu intitolato a Garibaldi, per ricordare la grande unità omonima che.dopo I' 8 settembre 1943, si era costituita in
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Jugoslavia ed aveva partecipalo alla lotta contro i Tedeschi inquadrala nell'esercito di liberazione jugoslavo. In linea di massima le grandi unità ed i reggimenti dell'esercito post bellico hanno ripreso i nominativi di grande unità in vita durante il conflitto, con qualche eccezione. Alle brigate alpine Julia, Tridentina e Taurinense si affiancarono le brigate Cadore e Orobica, nominativi nuovi, scelti comunque nel rispetto delle consuetudini dei reparti alpini, così alle due rinate divisioni corazzate Ariete e Cemauro si affiancò, anche se per un breve periodo, una terza divisione corazzata, la Pozz.uolo del Friuli. Quest'ultimo nominativo fu poi ripreso nel I 959 ed assegnato alla brigata di cavalleria costituita anche con i reggimenti Genova e Novara, che erano stati protagonisti, unitamente a due battaglioni della brigata di fanteria Bergamo, del brillante fatto d'armi avvenuto a Pozzuolo del Friuli nell'ottobre 1917. Nel 1964, infine, all'appena costituito reggimento lagunare fu dato il nome Serenissima, e come segno di omaggio alla città ospitante, Venezia, e per stabilire un legame tra il nuovo reparto ed i fanti da mar della Repubblica di Venezia. Infine quando alcuni reggimenti di cavalleria furono, all'inizio degli anni Sessanta, contratti a gruppo squadroni fu concesso loro di conservare, oltre allo stendardo ed alle fiamme, il nominativo tradizionale. La ristrutturazione del 1976, completata nei primi anni Ottanta con lo scioglimento delle ultime divisioni, ha provocato un vero e proprio terremoto nell'onomastica tradizionale dell'esercito, anche perchè si volle attribuire a tutti i reparti a livello battaglione-gruppo un nominativo per uniformare tutte le unità dell'esercito ai bauaglioni alpini ed ai gruppi di artiglieria da montagna che, come si è visto, da sempre si distinguevano con un nominativo, tratto di norma dal nome della città sede del deposito o, comunque, centro del loro bacino di reclutamento. Le direttive impartite ali' ufficio storico dal capo Stato Maggiore dell'esercito furono, in estrema sintesi, le seguenti: - non ripetere, anche per reparti di arma diversa, lo stesso nominativo; - non attribuire ai reparti componenti il nome della brigata; - non ricordare falli d'arme avvenuti fuori dal territorio nazionale; - richiamare in vita i nominativi dei reparti disciolti più decorati. L'ufficio storico, pertanto, propose e fece approvare i seguenti criteri per l'attribuzione dei nuovi nominativi: - per le brigate di fanteria, quando non ereditavano il nome della divisione di provenienza, riprendere i nominativi delle brigate di fanteria che avevano preso parte alla 1• guerra mondiale; - per le brigate corazzate e meccanizzate adottare nomi di eroi risorgimentali; - per la brigata missili ricorrere al nome di una località di grande tradizione storica; - per i battaglioni di fanteria ed i gruppi di cavalleria richiamare in vita
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nominativi di unità disciolte di cui i nuovi reparti avrebbero portato le mostrine o le fiamme e avrebbero ricevuto in consegna la bandiera; - per i battaglioni granatieri, bersaglieri e paracadutisti adottare nomi di falli d'arme; - per i battaglioni carri, riprendendo una scelta fatta nell'anteguerra, ricorrere a nomi di caduti decorati di medaglia d'oro; - per i gruppi di artiglieria adottare il nome della divisione con la quale avevano partecipato alla 2• guerra mondiale; - per i battaglioni genio ricorrere a nomi di laghi o di fi umi, in considerazione del fallo che tra i compiti dei battaglioni genio divisionali vi era anche quello del superamento di corsi d'acqua; - per i battaglioni delle trasmissioni, adottare il nome di valichi alpini ed appenninici, considerata la funzione di collegamento che, sia i reparti delle trasmissioni sia i valichi, svolgono; - per i reparti dell'aviazione leggera adottare i nomi di stelle di prima grandezza e di costellazioni; - per gli autogruppi ricorrere alle denominazioni delle antiche strade consolari romane; - per i battaglioni logistici, il nome della grande unità nella quale erano inquadrati. Questa soluzione, nonostante fosse in contrasto con le direttive iniziali, fu ugualmente accolta dallo Stato Maggiore. A fattore comune, infine, il criterio di ricordare la località dove da molti anni l' unità era stanziata quando non fosse stato possibile adottare i criteri precedenti. L'attuazione delle direttive e dei criteri suesposti non fu rigida, le eccezioni furono, infatti, numerose, se ne ricordano alcune: il 1° battaglione fanteria che, pur avendo ricevuto la bandiera del l O reggimento e pur portando le mostrine della brigata Re e la cravatta rossa, antico privilegio di quella brigata, si chiama San Giusto, in onore del santo protettore della città che Io ospita; il I O battaglione bersaglierì Lamarmora, che ricorda il nome del fondatore del corpo; il battaglione paracadutisti El Alamein, a ricordo di una battaglia nella quale l'eroismo dei paracadutisti fu veramente eccezionale. Sotto il profilo strettamente tradizionale le soluzioni adottate non furono sempre molto felici. In particolare il cambio di nominativo imposto ai battaglioni di fanteria con lo specioso pretesto che "nessun reparto doveva essere privilegiato con il portare lo stesso nome della brigata" non fu certo un provvedimento volto ad elevare lo spirito di corpo ed il culto delle memorie. Anche la prescrizione che vieta di dare lo stesso nome a due reparti ha provocato qualche soluzione paradossale, si ricorda, cd è solo un esempio, che quando vi fu la necessità di ricostituire un battaglione di fanteria si decise, in base alle campagne combattute ed al comportamento onorevole sempre tenuto, di richiamare in vita il 33° fanteria Livorno. Qualche zelante ufficiale dello Stato Maggiore purtroppo si ricordò che il nome Livorno era già stato attribuito al 28° gruppo artiglieria ed escogitò allora un mirabile artifizio, il nuovo batta-
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gliene avrebbe avuto bandiera e mostrine del 33°, ma si sarebbe chiamato Ardenza, nome di un sobborgo della città labronica. E così si ottemperò alle direttive del capo di Stato Maggiore e furono salvate le tradizioni!
8. CRAVATTE ROSSE E CRAVATTE AZZURRE
L'etimologia del termine cravatta, secondo quanto afferma l'Enciclopedia Militare, è molto singolare. Per quanto la cravatta fosse già conosciuta dai soldati romani, che la adottavano nei climi freddi per ripararsi la gola, soltanto in epoca moderna l'indumento ha assunto l'attuale denominazione. Nell'esercito di Luigi XIV era compreso anche un reggimento di mercenari balcanici, il Royal Croates, nel quale era di uso comune il capo di corredo in argomento. Con i] tempo, il nome storpiato del reggimento - Royal Cravates - sarebbe passato ad individuare la striscia di stoffa che avvolgeva il collo dei soldati. La cravatta in seguito fu distribuita a tutte le truppe, afferma ancora l'Enciclopedia Militare, ed era "di tessuto insaldato, tale da imporre al militare un comportamento rigido, che si riteneva aria marziale per eccellenza. Più tardi la cravatta fu di tessuto molle e venne data anche agli ufficiali". Sembra pertanto di poter affermare che la cravatta fu adottata con lo scopo di non insudiciare il colletto dell'uniforme, all'epoca alto e rigorosamente chiuso. Per quanto riguarda il nostro esercito il primo documento ufficiale che menziona con sicurezza la cravatta risale al 1833. Nelle Determinazioni riguardanti la divisa delle truppe, emanate da re Carlo Alberto il 25 giugno, l'articolo 30 del capo IX recita testualmente: "La cravatta di cui dovranno far uso i bass'ufficiali e soldati, qualunque siano l'arma, sarà conforme al modello stabilito, e foggiata a collarelto di tale altezza che cuopra il collo senza impedire punto il libero muoversi del capo per ogni verso. Sarà ella fatta di pannolana nero, ovvero di un tessuto di crine neri, per tutte le armi ed i corpi, tranne la brigata di Savoia per cui sarà di panno-lana scarlatto". Il particolare privilegio per la brigata Savoia fu poi confermato da re Carlo Alberto con il Regio Brevetto del 22 febbraio 1838 e ribadito dal ministro di Guerra e Marina, generale Dabormida, nel Regio Decreto 25 agosto 1848: "La cravatta attualmente in uso è abolita, ed alla medesima verrà sostituita altra cravatta, cioè rossa per gli individui della brigata Savoia, e nera per gli altri corpi, conforme al modello che verrà da noi approvato, la quale, bassa e pieghevole, dovrà con facilità allentarsi e restringersi al collo". Il 9 febbraio del 1860 il ministro Fanti stabili per tutte le brigate, "esclusa bensì la brigata Savoia", un nuovo modello di "cravatta da collo a sciarpa, di tessuto di cotone, di colore turchino oscuro". Ma anche la brigata Savoia, divenuta nel 1860 brigata del Re, dovette cedere all 'enfasi livellatrice del ministro Ricotti che il 22 agosto 1872 stabilì:
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"E' adottata per la truppa di tutti i corpi dell'esercito, meno i Carabinieri, una cravatta a sciarpa di tela cotone crociata bianca, la quale sostituisce quelle nere o rosse con fibbia e le altre rosse o turchine a sciarpa fino ad oggi adoperate. Ogni uomo di truppa dovrà averne costantemente due. La nuova cravatta consiste in una striscia rettangolare di 22 cm della tela prescritta che è alta centimetri 90. Dopo l'orlatura dei due lati più lunghi della striscia, la cravatta deve presentare la lunghezza di 21 centimetri". (Circ. 187, Giornale Militare 1872, dispensa 30°). Dopo la 1• guerra mondiale, nell'ambito di tutti quei provvedimenti miranti a ricompensare in qualche modo i grandi sacrifici compiuti dalle unità di fanteria, sembrò che anche la concessione di una cravatta particolare potesse essere gradita al personale e così la Circ. n°9 del 2 gennaio 1919 del ministro Zupelli sanzionò il nuovo provvedimento: "E' ripristinato l'uso della cravatta in lana di colore scarlatto, in sostituzione della cravatta in tela bianca, per i militari (ufficiali, sottufficiali e truppa) della brigata Re (I O e 2° reggimento di fanteria). E' adottata la cravatta di colore scarlatto, in sostituzione di quella di tela bianca, per i militari (ufficiali, sottufficiali e truppa) della brigata Alpi (51 ° e 52° reggimento fanteria). Gli ufficiali delle due brigate predette potranno fare uso di cravatte di colore scarlatto in stoffa di seta anzichè di lana". Il provvedimento del 2 gennaio 1919 ebbe un particolare "effetto di trascinamento". Nel 1946, in seguito al cambio istituzionale, il 2° reggimento Re, l'unico rimasto in vita dell'antica brigata, fu trasformato in 157° Leoni di Liguria ma, pur accettando il cambio del nome e delle mostrine, gli ufficiali pretesero ed ottennero che il reggimento conservasse la cravatta rossa. E così anche il reggimento Garibaldi, richiamandosi al precedente della brigata Alpi, ottenne di portare la cravatta rossa. Per effetto della ristrutturazione del 1976 le cravatte rossa si sono poi moltiplicate, non solo sono state conservate dall'XI bersaglieri, reparto superstite del Garibaldi, ma sono state concesse al I O artiglieria da campagna, perchè facente parte durante la 2• guerra mondiale della divisione Cacciatori delle Alpi, erede della brigata Alpi, e ridate al 1° reggimento fanteria San Giusto, erede della bandiera e delle mostrine del l O Re. Altro reparto dell'esercito che è autorizzato ad indossare la cravatta rossa è il reggimento Savoia Cavalleria. L'origine della distinzione non è storicamente accertata, si narra comunque che "il 7 settembre 1706, svolgendo la battaglia di Torino al suo felice epilogo, un cavaliere di Savoia venne inviato dal campo di battaglia al Comandante in capo per portare l'annuncio della vittoria. Il cavaliere che si era incontrato con elementi nemici ed era rimasto ferito, giungeva sul colle di Superga a dare le "bonnes nouvelles" al duca Vittorio Amedeo II ed al principe Eugenio, con la gola tagliata da un colpo di sciabola. Il sangue sgorgando copioso dalla ferita aveva arrossato la cravatta bianca. Portato a termine il suo compito il cavaliere moriva ed il duca Vittorio Amedeo decretava che tutti i cavalieri di Savoia, in ricordo dell'eroico cavalie-
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re, portassero la cravatta rossa anzichè bianca". Nel 1934, con l'adozione della giubba aperta, il reggimento adottò infatti la cravatta rossa ed il bavero di velluto nero, poi sostituita, all'inizio della 2• guerra mondiale, con le fiamme sempre di colore nero. Nel 1946 quando il reggimento fu ricostituito con il nome di Gorizia Cavalleria, la cravatta rossa scomparve ma le fiamme nere furono filettate di rosso. Nel dicembre I 959 il comandante del IV corpo d'armata, generale Beolchini, interessò l'ufficio del Segretario Generale della Difesa perchè al reggimento fosse restituita la tradizionale cravatta di colore rosso, dal momento che gli era stato restituito il precedente nominativo Savoia. Ed il Foglio d'Ordini del 31 maggio 1961 finalmente recò l'atteso provvediemnto: "E' ripristinato l'uso della tradizionale cravatta rossa, in sostituzione di quella color kaki, per i militari appartenenti al reggimento Savoia Cavalleria". Le cravatte azzurre comparvero dopo la prima guerra mondiale. Nel febbraio 1920 sul Giornale Militare comparve la Circ. n°109: "E' adottata la cravatta azzurra (che per gli ufficiali potrà essere di seta) in sostituzione di quella di tela bianca, per i militari della brigata Lombardia (73° e 74° reggimento fanteria)" . La concessione, che accoglieva una richiesta del generale Ciacci comandante della brigata, intendeva premiare in modo particolare la brigata che molto si era distinta nel corso della guerra appena terminata tanto che entrambi i suoi reggimenti erano stati decorati con la medaglia d'oro al valer militare. Il 10 agosto 1938, infine, analoga concessione fu disposta per il 25° ed il 26° Como. Il provvedimento fu originato da una richiesta del duca di Bergamo, comandate del corpo d'armata che inquadrava i due reggimenti, per ricordare che la brigata Como era stata comandata dal settembre 1892 al settembre 1894 da Vittorio Emanuele III, allora principe ereditario ..
9. MUSEI MILITARI Il nostro paese non possiede un unico museo militare.come posseggono quasi tutte le nazioni europee (basti citare l'Imperia] War Museum di Londra ed il Musée de l' Armèe di Parigi), ma qua e là per la penisola sorgono musei dedicati a singole Armi o specialità, nati dalla passione di singoli studiosi e poi accresciuti e mantenuti in vita dallo spirito di corpo dei Quadri. Con lo scopo di conservare e di valorizzare le belle tradizioni della fanteria italiana, il generale Edoardo Scala, già autore di una monumentale Storia delle Fanterie italiane, fondò nel 1955 in Roma il Museo Storico Nazionale dell'Arma di Fanteria. Situato nell'area storica di Santa Croce in Gerusalemme nello stesso fabbricato che per molti anni aveva ospitato il comando del I O reggimento Granatieri di Sardegna, il museo è articolato in tre settori, armi, bandiere, uniformi. Il percorso espositivo, che si snoda attraverso quaranta sale e cinque gallerie, permette di seguire l'evoluzione della fanteria fino alla Guerra
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di Liberazione. Apposite sale sono dedicate anche alle specialità della fanteria, dagli alpini ai paracadutisti, ed alle fanterie coloniali delle quali oggi si parla sempre meno e che, invece, meriterebbero un discorso mollo articolato e molto approfondito. TI museo dispone di una ricchissima raccolta di anni da fuoco portatili, anche straniere, ma non mancano le armi d'asta e le armature medievali. Caratteristica del museo è l'abbondanza di opere d'arte, in parte provenienti dal lotto di quadri e di sculture esposti nella "Prima Mostra degli artisti italiani in armi", realizzata a Roma nel Palazzo delle Esposizioni nella primavera del 1942. Tra le sculture si citano: il "fante partente", una poderosa opera in marmo alta quasi cinque metri, che rappresenta un soldato mentre abbraccia il figlioletto, dello scultore Poidimani; il "fante del Carso", bronzo di Edmondo Furlan, di cui il museo custodisce anche una copia in bronzo del "monumento agli Eroi" di Aquileia, un magnifico Crocifisso che tende la mano a due fanti morenti. Pregevole anche la grande lampada votiva in bronzo, sempre opera dlel Furlan, situata nel Sacrario del museo, dove sono ricoardati i 502.289 fanti caduti nella l I mondiale. Tra le opere pittoriche si ricordano: "Alzabandiera in Russia", di Alvaro Giordano, "Sosta di fanti su lo Scindeli" di Angelo Pinciroli, "Pattuglia in perlustrazione sul fronte greco" di Adolfo Giuseppe Rolla, "Pattuglia" di Gian Luigi Ubaldi e "Soldati di guarnigione" di Umberto Franci. Sempre nell'area di Santa Croce in Gerusalemme è situato il Museo Storico dei Granatieri, costruito dal 1922 al 1924, su un'area donata dal Comune di Roma, con il provento di una contribuzione volontaria di tutti i granatieri che riuscirono a raggranellare nella circostanza 420.000 lire, somma all'epoca di tutto rispetto. Il museo, articolato in quindici sale espositive, è ricco di cimeli, bandiere, medaglieri e ricorda degnamente la gloriosa tradizione del Corpo, nato nel 1659. Di grande suggestione il sacrario, sulle cui pareti sono incisi a lettere d'oro i nomi degli 8500 granatieri caduti sotto una grande scritta: "oltre il limite della vita per la grandezza della Patria e per l'onore della nostra Storia e Tradizione". Ancora a Roma è situato il Museo Storico dei Bersaglieri. Costituito fin dal 1904, ha trovato la sua definitiva collocazione nei locali di Porta Pia nel 1931. Anche questo museo, ricco di cimeli e di documenti originali, "racconta" con straordinaria efficacia la storia del Corpo, che è poi la storia d'Italia dal Risorgimento ad oggi. I fasti e le tradizioni degli Alpini sono ricordati a Trento, presso l'Acropoli alpina ma anche nel Museo della Fanteria un'apposito spazio espositivo documenta le origini e la vita della Specialità. Sempre nel Museo della Fanteria una sala è dedicata ai Paracadutisti e due sale accolgono provvisoriamente parte delle collezioni che costituiscono il recentissimo Museo Storico dei Carristi. A Pinerolo, culla della cavalleria italiana perchè sede per moltissimi anni di quella Scuola di Cavalleria che gli insegnamenti di Federico Caprilli hanno reso celebre nel mondo, è sorto nel 1961 il Museo Storico dell'Arma di
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Cavalleria. Continuamente arricchito da donazioni da parte di cavalieri e delle loro famiglie, il Museo documenta non solo l'evoluzione organica della cavalleria piemontese ed italiana ma anche lo sviluppo dell'equitazione e perfino della mascalcia e del carreggio. A Torino, nel maschio della cittadella, trova la sua collocazione il Museo Storico Nazionale dell'Artiglieria. La data di nascita del Museo risale al 18 aprile del 1731 quando Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, ne approvava la costituzione con "regio viglietto", stabilendone anche i criteri espositivi, cioè "di formare tutti li Modelli e Mostre per ogni categoria e Roba d'Artiglieria, con apporvi sopra i Biglietti, da conservarsi il tutto separatamente con bon Ordine, in una stanza dell' Arsenale". La raccolta, divenuta poi prezioso materiale di studio degli allievi della Scuola teorica d'artiglieria, fu largamente incrementata tanto che alla fine del secolo poteva vantare oltre una rara consistenza numerica di reperti, anche una particolare importanza qualitativa. Subito dopo l'Unità d'Italia il museo ebbe il compito di raccogliere, insieme al già esistente materiale di origine prevalentemente piemontese e francese, tutte le bocche da fuoco rinvenute nelle piazzeforti degli Stati preunitari "che risultassero pregevoli per antichità, bizzarria di forme, valore storico e artistico". La scarsa disponibilità di spazio ha limitato l'afflusso di materiale artiglieresco più recente, disponibile invece presso diversi stabilimenti militari. Il Museo custodisce comunque un ricco complesso di materiali che documenta con straordinaria efficacia non solo l'evoluzione delle artiglierie ma anche lo sviluppo della tecnologia di costruzione degli armamenti. Altro museo di grande importanza è quello custodito a Roma dall'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio. Sito in un edificio appositamente costruito intorno al 1940, il museo trae i propri materiali più antichi dalle raccolte costituite a partire dal l906 a Castel Sant' Angelo e nell'area adiacente. Oltre a possedere un'ampia collezione di mezzi tecnici già in dotazione alle varie specialità del genio, che in passato compresero anche l'aeronautica e l'automobilismo militare, il museo conserva un gran numero di modelli in scala di fortificazioni di tutte le epoche. Annessa al museo è una grande raccolta di piani topografici di fortezze italiane dal Risorgimento in poi, molte delle quali non più esistenti .. Infine, sempre a Roma, nel comprensorio della Cecchignola, il Museo Storico della Motorizzazione Militare che custodisce un esemplare di tutti gli automezzi, mezzi speciali, mezzi corazzati e blindati impiegati dall'esercito, dal primo autocarro a vapore acquisito nel 1899 al carro armato Leopard.
10. L 'UFFICIO STORICO DELLO STAT O MAGGIORE DELL'ESERCITO L'Ufficio Militare del Corpo Reale dello Stato Maggiore dell'esercito del regno di Sardegna, da cui trae le proprie origini l'attuale Ufficio Storico dello
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Stato Maggiore dell'esercito, fu istituito il 16 luglio 1856, come risulta dall'ordine del giorno n° 712 dal titolo "Istruzione sull'Ufficio Militare del Reale Corpo di Stato Maggiore e sull'ordinamento dell'Archivio del medesimo". Tale documento, a firma del Comandante Generale del Corpo, fu redatto irn Torino il l O luglio 1856 e quanto in esso disposto conserva, a distanza di 140 anni e nonostante modifiche e vicissitudini di ogni genere, la sua piena attualità. Il primo dei dieci articoli dell"'lstruzione" stabiliva, infatti, che le attribuzioni dell'Ufficio fossero quelle di "raccogliere ed ordinare i documenti e le notizie atte a presentare una conoscenza esatta e completa dello stato dell 'Armata e delle istituzioni militari del Regno" e di "compilare dietro documenti autentici, raccolti nell'archivio del Corpo od altrove, la storia delle campagne e degli avvenimenti militari del Paese, oppure anche memorie relative alle guerre contemporanee". Al particolare compito era destinata la sezione "Storia militare", terza delle quattro in cui l'Ufficio era articolato. I compiti principali che le vigenti disposizioni assegnano all'Ufficio sono i seguenti: - elaborazione di studi storici e relazioni con enti culturali esterni ali' Amministrazione; - raccolta della documentazione interessante ai fini storici di tutti gli enti dell'esercì to; - catalogazione e conservazione della documentazione introdotta; - elaborazione di studi relativi a vessilli, drappelle, stemmi e motti araldici e preparazione dei decreti di concessione. Compiti tutti che implicano una molteplice attività e che in molti casi richiedono anche un coordinamento esecutivo. Si deve provvedere prima di tutto alla tenuta e all ' aggiornamento del materiale documentario, sulla cui importanza e delicatezza è perfino superfluo soffermarsi. Di non minor rilievo, per i suoi aspetti congiuntamente programmatici e creativi, è poi la preparazione di opere storiche, sempre preceduta da attente ricerche, anche comparate. Vanno infine considerati i rapporti esterni tanto con enti militari, accademici e culturali, quanto con privati, siano essi autori o docenti universitari, oppure semplici studiosi che attendono alla stesura di testi e articoli, e che ricevono assistenza in tema di reperimenti bibliografici e di accesso a fondi consultalbili. Circa i rapporti di lavoro con Istituti ed Enti nazionali l'Ufficio, socio vitalizio dell' Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e della Società Geografica Italiana e membro dell' Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, è sempre disponibile a stabilire fecondi rapporti di collaborazione con tutti i sodalizi che si occupino di storia militare con spirito di ricerca imparziale e con fede sincera nella verità. L'Ufficio interviene, inoltre, a congressi e convegni relativi alle scienze storiche in Italia ed all'estero e talvolta se ne assume anche, in parte o totalmente, l'organizzazione.
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Per quanto riguarda le relazioni internazionali, l'Ufficio intrattiene cordiali rapporti con gli Uffici similari delle principali nazioni europee e degli U.S.A. e con la Commission International d'Histoire Militaire, per conto della quale ha anche realizzato nel 1951 il n° 1O e nel J978 il n° 39 deJla "Revue Internationale d'Histoire Militaire". Dal 1975, inoltre, ha sempre partecipato agli annuali colloqui di storia militare organizzati dalla Commission Internationale. Fanno parte dell'Ufficio Storico anche due grandi biblioteche specializzate, sulle quali si ritiene quanto meno opportuno fornire alcuni cenni sommari. La prima è la Biblioteca Militare Centrale, ricca di circa 200.000 volumi, che trae la sua denominazione dal decreto del ministro della Guerra gen. PeJloux in data 27 settembre 1891. Ma sarebbe un errore considerare questo decreto come l'atto di fondazione della biblioteca, la cui storia è più antica e va fatta risalire al 1814, anno in cui il governo del Re di Sardegna istituì a Torino la "Biblioteca del Corpo Reale dello Stato Maggiore e della Topografia". Nel 1854 il generale Alfonso La Marrnora dispose la fusione della biblioteca dello Stato Maggiore con quelle dei Regi Corpi di Artiglieria e Genio: il nuovo istituto fu denominato "Biblioteca delle armi speciali", poi (nel 1859) "Biblioteca Militare". IJ decreto Pelloux del l 891 dispose, infatti, solamente l'unificazione della "Biblioteca Militare" con quella del ministero della Guerra e con quella del distretto militare di Roma. Il nuovo istituto ebbe la denominazione, che conserva ancora oggi, di "Biblioteca Militare Centrale". Successivamente, con decreto del 31 gennaio 1893, vi fu annessa la biblioteca dell'Ispettorato di Sanità Militare. Questa aggregazione di opere a carattere specialistico e di opere a carattere generale si riflette nell'ordinamento in "categorie", dovuto inizialmente a Temistocle Mariotti, che fu direttore della biblioteca dal 1887 al 1896. Tutto il materiale librario è infatti collocato in venticinque sezioni: I - Arte Militare, Strategia; II - Organica, Disciplina, Uniformi, Servizio informazioni; III - Fanteria e suo armamento; IV - Artiglieria, Balistica; V Genio, Fortificazioni; VI - Cavalleria, Carri armati, Motorizzazione; VII Aeronautica, Guerra nucleare, Missilistica; VIII - Marina; IX - Geografia, Esplorazioni, Guide; X - Diritto; XI - Politica, Economia, Statistica e Finanza; XII - Scienza e tecnica; XIII - Medicina, Farmacia; XIV - Arte, Archeologia; XV - Letteratura; XVI Miscellanea; XVII - Enciclopedie e Dizionari; XVIII Periodici; XIX - Storia Generale; XX - Storia Militare; XXI - Colonie; XXII Filosofia, Religione, Psicologia, Pedagogia; XXIII - Libri scolastici; XXIV Sport, Giochi; XXV - Atti parlamentari. La biblioteca è anche ricca di periodici: comprende oltre 1000 testate per un totale di circa 25.000 volumi. La seconda biblioteca del! 'Ufficio Storico è quella denominata di Artiglieria e Genio, perchè originata dalla "Biblioteca d'artiglieria e fortificazione" formatasi a partire dal 1720 in Torino in concomitanza con le "Scuole
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STORIA DELL'ESERCITOITALIANO(l861 - 1990)
tecniche di artiglieria e di fortificazione" istituite da Carlo Emanuele III. Anche questa biblioteca suddivide il materiale librario (60.000 volumi circa) in sezioni, per l'esattezza 29. A titolo esemplificativo si riportano i dati relativi a due di esse: IX Sezione: Artiglieria. Si suddivide a sua volta in sei sottosezioni: istruzioni, regolamenti ed opere riflettenti l'artiglieria italiana in generale; id. dell'artiglieria dei principali eserciti stranieri; balistica, tiro, armamento, tattica e storia dell'artiglieria; materiali; polveri, esplosivi, stabilimenti di artiglieria; miscellanea di artiglieria. X Sezione: Genio. E ' suddivisa nelle seguenti sottosezioni: istruzioni, regolamenti e opere riflettenti il genio militare, l'automobilismo e l'aviazione italiani; id. per gli eserciti stranieri; storia, ordinamento del genio militare; composti esplosivi, esperienze; costruzione e stabilità degli edifici militari; stab~limenti del genio militare. Entrambe le biblioteche, fornite di cataloghi per autore e per materia, possono essere frequentate anche dagli studiosi civili.
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INDICI
INDICE DEI NOMI(•>
ABD el KRIM, capo marocchino, 281 AGA ROSSI, Elena, 372 AIMONE DI SA VOlA, duca di Spoleto, 348 ALBERTARIO, don Davide, 159 ALBERTINI, Luigi, 194,212 ALBERTONE, Matteo, 151, 152 ALBRICCI, Alberico, 240, 245, 246, 250, 605 ALEXANDER, Harold, 400, 677 ALLIAUD, ufficiale sardo, 42 ALIPRANDI, Fiorenzo, 234 ALOJA, Giuseppe, 467, 477 ALULA, ras, 42, 132 AMBROSTO, Viuorio, 350, 351, 354, 357, 369, 371, 372, 388, 581, 653 AMEGLJO, Giovanni, 195 AMEDEO di SAVOIA, duca d'Aosta, 316 AMEDEO VI, come di Savoia, 698 AMENDOLA, Giovanni, 242 AMORETTI, Gian Nicola, 407 ANDRE', Gian Luca, 297 ANDREOTTI, Giulio, 467,469,480 ANGIOLETTI, Diego, 75 ANSALDI, Giorgio, 30 ANTONELLI, Pietro, 148 ARIMONDI, Giuseppe, 149,150,151,152,577,585,586 ARISIO, Mario, 323, 366 ASBURGO, Alberto Federico d', 77 ASINARI di SAN MARZANO, Alessandro, 133, 148, 150, 158, 161 , I 64,577,583,585,672 (*) Il numero in grassetto indica la pagina iniziale del breve profilo biografico del personaggio
726
STORIA DEU.'ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
AZZI, Arnaldo, 376 BABINI, Valentino, 292 BADOGLIO, Pietro, 223, 226, 245, 254, 255, 26 1, 263, 269, 276, 277,278, 280,284,288,292,295,30l,304,306,355,369,370,371,379,384,387, 388,399,410, 578,579, 597,599,600,601 ,602, 603, 604,610, 619, 624, 635 BAISTROCCHI, Federico, 269,270,272,275,276,277,282,581, 636,658 BALBIS, Franco, 4 IO BALBO, Italo, 3 18, 327 BALDISSERA, Antonio, 133, 138, 148, 151 , 578, 583, 586, 590, 598, 604 BARATIERI, Oreste, 113,114,149, 150,151, 577,578, 585,604, 634 BARBARICH, Eugenio, 256 BARBOLINI, Franco, 523, 525 BARONE, Enrico, 627 BARZINI, Luigi, 194 BASTIANINI, Giuseppe, 354 BASTICO, Ettore, 285, 292, 33 l, 670 BATIAGLIA, Giacinta, 626 BATTAGLIA, Roberto, 129,340 BATTISTI, Emilio, 323 BAV A, Eusebio, 629 BAVA BECCARIS, Fiorenzo, 28, 159, 587 BEONI, ufficiale italiano, 148 BELOW, Otto von, 221 BENCIVENGA, Roberto, 224 BENEDETTO XV, pontefice, 220 BEOLCHINI, Aldo, 621, 707 BERARDI, Paolo, 176, 389, 392,399,402,403, 406,407,588,607,653,678 BERAUDO di PRALORMO, Eugenio, 82 BERTI, Mario, 285, 318, 327 BERTINARIA, Pier Luigi, 233 BERTINI, Francesco, 323 BERTOLAMI, deputato, 66 BERTOLE'-VIALE, Ettore, 75, 83, 86, 87,130, 132,134,136,142,143, 144, 584, 589
BISCARETTI di RUFFIA, ufficiale italiano, 49 BISMARCK, Otto von, I 15, 633 BISOGNERO, Riccardo, 551,552 BIXIO, Girolamo detto Nino, 64, 66, 75, 78, 82 BOBB IO, Norberto, 573 BOGINO, Giovan Battista, 176 BOLEGNO, ufficiale italiano, 76 BOLLATI, Ambrogio, 600 BONELLI, Cesare, 111, 112, 114 BONOMI, Ivanoe, 246,247,248,261,262,399,408,411,427,479,581,597, 600,607
INDICE DEI NOMI
727
BONZANI, Alberto, 263, 264, 265, 266, 269, 276, 590, 600, 635 BORGHESE, Valerio, 480 BOROEVIC, Svetozan von BOJNA, 227 BOSELLI, Paolo, 220 BOSSI, Virginia, 595 BOITI, Ferruccio, 22,186, 253, 259, 270, 432, 534 BOVIO, Oreste, 68 BRACCI, Cesare, 56 BRICCOLA, Ottavio, 190,196,236 BRIGNOLI, Marziano, 598 BRIGNONE, Filippo, 43, 75, 78, 79, 82 BROSIO, Manlio, 419,428,607 BROWNING, ufficiale inglese, 406,419 BRUSATI, Roberto, 215,234 BRUSATI, Ugo, 592 BRUZZO, Giovan Battista, 111, 113 CADORNA,Luigi,201,202,205,206,210,211,214,215,217,219, 220, 221, 222, 223,224,225,229,232,240,252,253,592,623,624,627 CADORNA, Raffaele (junior), 372, 411, 419, 420, 421, 423, 424, 427, 428, 431,454, 596,628 CADORNA, Raffaele (senior), 35, 62, 67, 73, 76, 82, 86, 90, 111 , 579, 592, 595,637,667 CAlMI, Pietro, J28 CAlROLI, Benedetto, 11 l , 112 CALVI di BERGOLO, Carlo, 610 CAMERANA, Vittorio, 234 CANDELORO, Giorgio, 57 CANEVA, Carlo, 190, 191, 193, 195,196,598 CANEVARI , Emilio, 264, 269, 600 CANINO, Goffredo, 571, 572, 573 CAPANNA, Mario, 504 CAPELLO, Luigi, 218,221,579,599 CAPPA, Alberto, 605 CAPPA, Ernesto, 443, CAPPUZZO, Umberto, 506 CARANDO, Ettore, 411 CARBONT, Giacomo, 371,373,597 CARLO ALBERTO, re di Sardegna, IO, 11, 28, 30, 632, 650, 668, 686, 692, 693,705 CARLO EMANUELE Ill, re di Sardegna, 33,709,7 11 CARUSO, bandito meridionale, 60 CASANA, Severino, 154,162,164,174,175 CASATI, Alessandro, 177,399,400,402,407,408,419,420,607 CA VACIOCCHI, Alberto, 599 CA VAGNARI, Domenico, 306
728
STORIA DEU.'ESERCITO ITAUA,'10 (1861 - 1990)
CAVALLERO, Ugo, 254,255,259,261,291,309,311,312,313,335,343, 347,350,580,581, 601 ,635 CAVALLI, Giovanni, 21, 37,101, 186 CA VAN, Frederick, Rudolf LAMBART lord, 229 CAVIGLIA, Enrico, 239,240,244,245,247,248,252,579,594, 603 CAVOUR, Carni Ilo Benso di, 9, 14, 30, 31, 33, 39, 4 I, 42, 43, 44, 46, 47, 48, 49,50,630,632,654,655 CESARI, Cesare, 53, 61, 62 CERALE, Enrico, 75, 78, 79, 82 CERQUEITI, Enzo, 405 CEVA, Lucio, 49, 53,155,175,176,213,254,262 CHABOD, Federico, 109 CHATRIAN, Luigi, 406,407, 606 CHERMSIDE, ufficiale inglese, 128 CHIALA, Luigi, 71 C HURCHILL, Winston, 177 C IACCI, Augusto, 707 ClALDINI,Enrico,29,42,44,61,65,74,76,77,79,81,89,90,98,595, 607, 613, 630, 654,669 C lANO, Galeazzo, 295, 306, 670 CIGLIANA, Giorgio, 235 CINGOLANI, Mario, 607 CIPRIANI, Leonello, 36, 69 CLAUSEWITZ, Karl von, 21,514,601 COLOMBO, ministro italiano, 143 CONRAD, Franz von HOETZENDORFF, 175,209,210,214,2 15,227, CONTI, Flavio, 425 CORCIONE, Domenico, 564, 572 CORSI, Carlo. ufficiale sardo, 11 CORSI, Carlo, 39, 84,114, 138, 611, 665 COSENZ, Enrico, 47, 75,120,134, 137, 138,139, 141, 142,166,181, 612 CRAPANZANO, Salvatore, 392 CRISPI, Francesco, 66, 114, 130, 132, 145, 146, 147, 148, 150, 152,584, 585, 586,612,669,672 CROCCO, Carmine, 59, 60, 61 CUCCHIARI, Domenico, 29, 75 CUCINO, Andrea, 496,497,506,614 CUOIA, Efiso, 75, 78, 79, 82, 83, 85, 87, 92,589,637,669 DABORMIDA, Giuseppe, 705 DABORMIDA, Vittorio, 151, 152 DALLOLIO, Alfredo, 186,206,212,226,228,593, 615 D'ANNUNZIO, Gabriele, 247,580 DAPINO, Cesare, 387,390,392, 616 D'AZEGLJO, Massimo Taparelli, 632,687 DE AMICIS, Edmondo, 68, 71
INDICE DEI NOMI
729
DEBONO, Emilio, 155,262,269,276,278,292,580,618 DE CHAURAND, Felice, 196 DE CRISTOFORIS, Tommaso, 657 DE FELICE, Renzo, 369 DE GAS PERI, Alcide, 427, 428, 436, 443, 645 DE GREGORI, Francesco, 412 DE LAUGER, Cesare, 35 DEL BONO, Giulio, 588 DE LIGUORI, ufficiale borbonico, 54 DE LORENZO, Giovanni, 467,477,479,480,620,669 DELLA ROVERE, Alessandro, 69 DEL NEGRO, Piero, 130, 146, 173 DE NAPOLI, Domenico, 153, 171 DEPRETIS, Agostino, 111 , 112, 125, 128,132,590,631,657 DE ROSSI, Eugenio, 155 DE SANCTIS, Francesco, 29, 465 DESTA' , ras, 280 DE STEFANIS, Giuseppe, 386 DE ROSA, Luigi, 88, 168 DIAZ, Armando, 222, 223, 224, 225, 228, 229, 232, 233, 245, 248, 249, 250, 251,253,262,579,594,622 DI GIORGIO, Antonino, 199,222,244,251,252,253,254,262,594,605,625 DI MARTINO, Ciro, 559, 560, 564 DOLFUSS, Alwine, 658 D'ONDES REGGIO, deputato, 66 DOUHET, Giulio, 253, 259, 264, 428, 626, 688 DURANDO, Giacomo, 29 DURANDO, Giovanni, 29, 30, 61, 75, 82,112,608,665 EBERHARDT, ufficiale italiano, 64 EINAUDI, Luigi, 645 EISENHOWER, Dwight, 370 ELENA di SAVOIA, regina d'Italia, 688 ELLENA, Giuseppe, 151 EMANUELE FILIBERTO, duca di SA VOTA, 697 EMANUELE FILIBERTO di SAVOIA, duca d'AOSTA, 221,235,245 ESCOFFIER, Carlo Pietro, 656 EUGENIO di SAVOIA, 131,214,612,706 FACCHINETTI, Cipriano, 428,429 FACTA, Luigi, 248 FALDELLA, Emilio, 215,282,372,628 FALKENHYN, Erich von, 215 FANTl,Manfredo,29,36,37,38,40,41,42,43,44,46,49,53,69,70, l 07, 589, 607,
629 FARINACCI, Roberto, 269,309,600, 602 F ARINI, Carlo Maria, 36, 37, 46, 651
730
STORIA oeu:ESERCITO ITALIANO (1861 - 1990)
FA VAGROSSA, Carlo, 300 FEDERICO II, re di Prussia, 131,601 FEDERZONI, Luigi, 254 FERDINANDO II, re delle Due Sicilie, 612,654 FERRAR!, arcivescovo di Milano, 159 FERRAR!, Dorello, 288 FERRAR!, Giuseppe Francesco, 244, 261, 580 FERRAR! di GRADO, Federico, 35 FERRERO, Emilio, 113, 115, 116, 117, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 127, 136, 143, 144, 153,179,590,631,669 FILANGERI, Carlo, 664 FOCH, Ferdinand, 227, 228 FOGLIANI, Tancredi, 104 FORLANI, Arnaldo, 496 FRADELETTO, deputato, 689 FRANCESCO II, re delle Due Sicilie, 43, 53, 58, 60, 61 FRANCESCO IV, duca di Modena, 629 FRANCESCO V, duca di Modena, 35 FRANCESCO GIUSEPPE, imperatore d'Austria, 33 FRANCI, Umberto, 708 FRANCO BAHAMONDE, Francisco, 283, 285, 286 FRANZINI, Teobaldo, 63, 76 FRUGONI, Pietro, 234 FURLAN, Edmondo, 708 GALLIANO, Giuseppe, 150,633 GALLINARI, Vincenzo, 62, 73,127,134,240,590 GAMBARA, Gastone, 286, 324, 331 GARIBALDI, Giuseppe, 31, 36, 37, 39, 43, 46, 48, 49, 53, 54, 64, 65, 74, 77, 79,81, 150,608,613,630,651 GARIBOLDI, Italo, 318,327,329,331,343,344,363 GARIONI, Vincenzo, 195 GASPAROTTO, Luigi, 248,251,607,689 GATTI, Angelo, 605 GA VET, Andrè, 572 GA VOTTI, ufficiale italiano, 195 GAZZERA, Pietro, 263,264,265,266,269,316,426,600,634,641 GELOSO, Carlo, 309 GENE', Carlo, 130,132,657 GIACCONE, Leandro, 373 GIARDINO, Gaetano, 223, 226, 245, 251, 252, 579 GIOBERTI, Vincenzo, 632 GIOLITTI, Giovanni, 143,145,149,155,165,173,174,175,177,178, 189,195,247,262,599,605,661,675 GIORDANO, Alvaro, 708 GIOVANNI, negus, 133,148,150,583
INDICE DEI NOMI
731
GOYON, Charles Marie Auguste de, 44 GOOCH, John, 168,169 GOVONE, Giuseppe, 12, 57, 65, 66, 76, 79, 87, 88, 89, 90,636,665 GRANDI, Dino, 619 GRANDI, Domenico, 198,201,237 GRANDI, Marco, 130, 157 GRAZIANI, Jean César, 229 GRAZIANI, Rodolfo, 280, 291, 292, 306, 318, 319, 321,329,580, 601, 638, 670 GRAZIOLI, Francesco Saverio, 244, 254, 256, 264, 268, 269, 275, 635, 639 GRIFFINI, Saverio, 43 GUALANO, Antonio, 467 GUARIGLIA, Raffaele, 357 GUI, Luigi, 467 GUICCIOLI, Alessandro, l25 GUZZONI, Alfredo, 309,313,324,351,366 HA YMERLE, Alois von, 113 HENKE, Eugenio, 467, 495 HITLER, Adolf, 295, 306,334,335,337,340,343,354,356,601,603 ILARI, Virgilio , 13, 98, 103, 107, 108, 126, 178, 243, 246, 249, 253, 259,268,269,270,432,436,516,520,534,542 INFANTE, Adolfo, 378 JACINI, Stefano, 428, 607 JACOMONI, Francesco, 306 JANNUZZI, Lino, 622 JEAN, Carlo, 49 JODL, Alfred, 357 JOMINI, Antonio Enrico, 30 KEITEL, Wilhelm, 357 KEMAL, Mustafà detto ATATURK, 108 KESSERLING, Albert, 334, 335, 356, 603 KOLCIAK, Aleksander, 243 KRAFT von DELLMENSINGEN, Konrad, 224 KRAUS, Alfred, 534 KUHN, Fraz, 77, 81 LA FARINA, Giuseppe, 613 LA MARMORA, Alfonso Ferrero de, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 21, 22, 23, 24,25,27,28,30,31,33,34,41,46,61,69,74,77,78, 79, 81, 96, 108, 130, 131, 154,608,632,636,655 LA MARMORA, Alessandro Ferrero de, 30 LAMORICIÉRE, Christophe Louis Léon Juchault de, 42, 43, 608 LANGELLA, Paolo, 155 LANZA di SCALEA, Pietro, 248 LAPORTA, Luigi, 66 LA ROSA, Gaetano, 515
732
STORIA OELL'CSERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
LEQUIO, Clemente, 236 LIST, Wilhelm, 312 LIUZZI, Giorgio, 467,679, 642 LOI, Salvatore, 400 LOMBARDI, Gabrio, 678 LONGO, Luigi, 409 LONGONI, Ambrogio, 75 LUCINI, Bruno, 467 LUIGI XIV, re di Francia, 705 LUZZATII, Luigi, 177, 675 MAC FARLANE, Mason, 387 MAINONI di INTIGNANO, Luigi, 164 . MA YEA, Giuseppe, 443, 465, 466 MALAGODI, Olindo, 155 MALGERl, Francesco, 190, 194, 196 MANCINI, Pasquale Stanislao, 128,657 MARA VIGNA, Pietro, 292 MARCHESI, Luigi, 372, 467, 495 MARGHERITA di SAVOIA, regina d'Italia, 688 MARIA LUISA, duchessa di Parma, 36 MARINI, Pietro, 236 MARRAS, Efisio, 430, 434, 441, 443, 572, 643 MARSELLI, Nicola, 84, 91, 113, I 14, 645 MARTINAZZOLI, Mino, 562 MARTIN!, Ferdinando, 203 MARTINI-MAURI, Enrico, 411, 648 MASSARI, Giuseppe, 56 MASSOBRIO, Gi ulio, 13, 53, 54, 67,153.157 MATIEOTTI, Giacomo, 252,254,619 MAZÉ de LA ROCHE, Gustavo, 112, I 13, 114 MAZZETTI, Massimo, 39,166,275,277,350 MAZZINI, Giuseppe, 50,613,629 MEDICI, Giacomo, 47, 66, 76, 81,613 MELEGARI, ufficiale italiano, 61 MENABREA, Luigi Federico, 75, 87, 186,589, 650 MENELIK, negus, 148,149,150,151,578,586,634,677 MENOTTI, Ciro, 629 MESSINEO, padre Antonio, 430 MERCARELLI, Mario, 324 MEREU, Francesco, 467 MESSE, Giovanni ,339,340,361 ,363,385,389,392,399,406,447,607, 652 MEZZACAPO, Carlo, 30, 36, 37, 654 MEZZACAPO, Luigi, 30, 36, 37, 38, 44, 76, 106, 107, 108, 109, I IO, 111, 113, 114, I 25, I 4 I, 145, 423,596, 655, 667, 669 MICELI, Luigi, 66
INDICE DEI NOMI
733
MICELI, Vito, 480 MIGNANO, ufficiale italiano, 75 MJHAILOVIC, Drasa, 349 MILON, Bernardino, I 12, 113, 115 MINGHETII, Marco, 36,106, 632, 651 MINNITI, Fortunato, 91, 102, 107, 141 MIRRI, Giuseppe, 161, 164 MOCENNI, Stanis lao, 145, 146,147, 157,660 MOLFESE, Franco, 47, 48, 53 MOLOTOV, Vjaceslav, 354 MOLTKE, Helrm.1Lh von, 95 MONDINI, Luigi , 36, 46,201,205 MONTANARI, Mario, 259,261,302,312,313 MONTEVECCHIO, Rodolfo Gabrielli di, 30 MONTEZEMOLO, Giuseppe Cordero di, 347,410,411,597, 609 MONTGOMERY, Bernard, 339, 340 MORDINI, Luigi, 66 MORIN, Costantino Enrico, 164 MORPURGO, Emilio, 88 MORRONE, Paolo, 237, 245 MOROZZO della ROCCA, Enrico, 42, 43, 44, 46, 47, 75, 79, 630,637 MORRA di LA VRIANO, Roberto, 147 MOSCA TI, Amedeo, 656 MUSCO, Ettore, 373 MUSSOLINI, Be nito, 248, 250, 252, 253, 254, 255, 260, 261, 262, 263, 269, 270,276,277,278,281,282,285.290, 291,295,296,297,302,303,306, 307,309,31 l ,316,3 18,319,322,329,335,343,347,350,354, 355,356, 406, 580,581,582,594, 597,602, 603, 619,624, 626,636, 642,659,671 ,
700 NASCI, Gabriele, 326, 363 NAPOLEONE I, imperatore dei Francesi, 108 NAPOLEONE IIl, imperatore dei Francesi, 3 1, 33, 44, 81 NASIBU', degiac abissino, 280 NA VA, Luigi, 236 NEGRI, Luigi, 325 NICOLIS di Robilant, Mario, 235 NITTI, Francesco Saverio, 240,246,247,262,580,599,605,6 16,6 19 NOCE, Raffaele, 129,130,672 NULLO, Francesco, 54 NUTI, Leopoldo, 421 O'CONNOR, Richard, 318 OXILIA, Giovan Battista, 399, 406 OMAR al MUKHTAR, 276 OMODEO, Adolfo, 242 ORERO, Baldassarre, 149
734
STORIA DELL.ESERCJTO lTALIAN0 (1861 -1990)
ORLANDO, Taddeo, 389, 398 ORLANDO, Vittorio Emanuele, 221,222,223,226,355,399, 581, 593, 599, 604,605 OTTOLENGID, Giuseppe, 164, 178 PACCIARDI, Randolfo, 434,441,442,443,645 PAGLIER1, Luigi, 411 P ALEOCAPA, Ambrogio, 29 PALERMO, Mario, 399, 402 PALLA VICINI di PRIOLA, Emilio, 63, 64, 65 PALLA VICINO Giorgio, 613 PARIANI, Alberto, 270,275,282,287,289,290,291,658 PARRI, Ferruccio, 419,428 PASCOLI, Giovanni, 189 PASINI, economista, 88 PAVELIC, Ante, 340 PECORI GIRALDI, Guglielmo, 190,215,245,252 PECORI GIRALDI, ufficiale italiano, 122 PEDOTTI, Ettore, 164, 170, 178 PELLICO, Luigi, 29 PELLOUX,Luigi, 107,109,113,138,143,144,145,146,158,161, 164, 631, 659, 711 PEPE, Guglielmo, 612, 654, 655 PEROTTI, Giuseppe, 41 O, 661 PERRUCCHETTI, Domenico, 84, 98, 662 PERUZZI, Ubaldo, 65 PETITTI, Agostino Bagliano di Roreto, 69, 75, 111 PETTINENGO, Ignazio de Genova di, 75, 78, 82, 138 PIANELL, Giuseppe Salvatore, 75, 78, 82,138, 592, 664 PIERI,Piero,9,43,44,64,78,79,220,242,646 PIGNEDOLI, Antonio, 516 PINCIROLI, Angelo, 708 PINELLI, Ferdinando, 60, 176 PINTOR, Pietro, 323 PIO IX, pontefice, 90, 655 PIRZIO BIROLI, Alessandro, 292 PIZZORNO, Giuseppe, 443 POLI, Luigi, 559 POLLIO, Alberto, 81,177,181, 182, 183,184, 185, 190,196, 198, 201, 592, 599,623,640,665 PONZA di SAN MARTINO, Coriolano, 162, 164 PORRO, Carlo, 599 POZZOLINI, ufficiale e deputato, 142 PRESTINARI, Marcello, 152,578 PRICOLO, Francesco, 306 PRIMERANO, Domenico, 93, 107, 109, 157, 666
INDICE DEI NOM I
735
RADETSKY, Johann Joseph Franz Karl, 12 RAGNI, Ottavio, 196, 236 RAINERO, Romain H., 425 RAMBALDI, Eugenio, 506, 5 I I RAMORINO, Girolamo, 629 RANZI, Fabio, 169,171,625 RATIAZZI, Urbano, 12, 49, 83,608,651 REISOLI, Ezio, 234 REY di VILLAREY, Onorato, 78 RESTIVO, Franco, 467 RIBBENTROP, Joachim von, 357 RIBERI, Alessandro, 22, 667 RIBOTII, Ignazio, 35, 37 RICASOLI, Bettino, 36, 39, 67, 74,651 RICCI, Agostino, 84 RICOTII MAGNANI, Cesare, 76, 82, 90, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 101, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 119, 120, 123, 124, 125, 126, 127, 129, 130, 131,132,134,141,142,144,146,152,153,157,158,161,164,178,645, 660,663,668,672,682,705 ROATTA, Mario, 282,283,285,306,350,356,357,371,386,388,670 ROBILANT, Carlo Felice Nicolis di, 84, 130, 136,656 ROCHAT, Giulio, 13, 53, 54, 67,153,157,189,223,241,284,605,623 ROLLA, Adolfo Giuseppe, 708 ROMANO, Sergio, 196, 436, 437 ROMEO, Rosario, 369 ROMMEL, Erwin, 329,331,334,335,336,337,356,357,603 RONCO, Ercole, 407,509 RONZA, Robi, 572 ROOSVELT, Franklin Delano, 426 ROSELLI, Pietro, 36, 37, 39 ROSSI, Aldo, 467 ROSSI, Carlo, 326, 336 ROSSO, Guido, 689 ROVIGHI, Angelo, 137,166,283,644 RUDINI', Antonio Starabba di, 143, 149, 153, 158, 159, 587, 660, 670 RUBINI, Giulio, 206 RUELLE, Carlo, 235 RUGGERI, ufficiale borbonico, 44 SALANDRA, Antonio, 198,201,202,203,217,616 SALETIA, Tancredi, 128, 129, 130, 132, 133, 148, 157, 161, 162, 165, 166, 167, 168, 175, 177,18 1,671 SAN GIULIANO, Antonino Patemò Castello di, 190 SANTINI, Ruggero, 292 SALVEMINI, Gaetano, 50, 261 SCALA, Edoardo, 59, 372, 432, 673, 707
736
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO ( 1861 • 1990)
SCALFARI, Eugenio, 622 SCHARNHORST, Gerard von, 21 SCHMIDTd'ALTORF, 42 SCHREIBER, Gerard, 425 SCUERO Antonio, 309, 313 SEGATO, Luigi, 235 SEGNI, Antonio, 467,479,622 SELLA, Quintino, 87, 88, 90,109 SETTEMBRINI, Luigi, 59 SFORZA, Carlo, 436, 645 SICCARDI, Giuseppe, 159 SIRTORI, Giuseppe, 47, 56, 57, 75, 78, 79, 82 SODDU, Ubaldo, 291, 307, 309 SOFFICI, Ardengo, 242 SOGNO, Edgardo, 41 O, 649 SOLERI, Marcello, 581, 619 SONNAZ, Maurizio Gerbaix di , 42, 44, 60, 76 SONNINO, Sidney Giorgio, 177,586,605,675 SPINGARDI, Paolo, 175, 177, l 78, 181, 185, 186, I 90, 193, 198, 20 l, 240, 674,666,676 STEFANI, Filippo, 27, 70, 105, 120, 140, 246, 262, 264, 266, 270, 277, 283, 290,322,405,429 STEIN, Heinrich von, 21 STEVANI, ufficiale italiano, 584 STUMME, George, 336 STURZO, Luigi, 426 T AN ASSI, Mario, 467 TASSONI, Giulio, 245,252 TELLERA, Giuseppe, 319,327 TELLINI, Enrico, 635 THAON di REVEL, Genova, 12, 83, 86 THAON di REVEL, Paolo, 254, 262 TOGLIATTI, Palmiro, 441 TOMMASO di Savoia, 21 O TOSCANO, Mario, 372 TOSELLI, Pietro, 149,150,578,584,634,676 TREMELLONI, Roberto, 467, 621 TREVES, Claudio, 220 TREZZANI, Claudio, 408, 420 TUCCARI, Luigi, 53, 63 TURATI, Filippo, 169 UBALDI, Gian Luigi, 708 ULLOA, Girolamo, 29, 35, 73,102 UMBERTO I, re d'Italia, 76, 78,111,115,125,126, 587,590,612,667,670, 693 UMBERTO II, re d'Italia, 323, 399, 597
INDICE DEI NOMI
737
UTfLT, Umberto, 390,392,420,436,617,618,677 V ALFRE' di BONZO, Lepoldo, 75 V ALSECCHI, Franco, 50 VANONI, Ezio, 457 VECCHI, Augusto, 67 VECCHIARELLI, CARLO, 324, 378 VEDOV ATO, Guido, 467 VENTURINI, Ferdinando, I 07 VERCELLINO, Mario, 307 VICO, giurista, 27 VIGANO', Ettore, 164, 174, 178 VIGLIONE, Andrea, 467 VISCONTI PRASCA, Sebastiano, 306, 307, 326 VITTORIO AMEDEO II, re di Sardegna, 33, 694, 706 VITTORIO AMEDEO III, re di Sardegna, 692 VITTORIO EMANUELE I, re di Sardegna, 692 VITTORIO EMANUELE II, re d'Italia, 33, 39, 43, 46, 53, 74, 110, 590, 608, 613,637,651,681,690 VITTORIO EMANUELE lll, re d'Italia, 162, 210, 369, 597, 683, 689, 693, 707 VOGHERA, Carlo, 87,655 VOLPE, Giovacchino, 146,148,641 WALDERSEE, Alfred, 197,198 WEBER, Vittorio von Webenan, 229 WILSON, Thomas Woodrow, 240 WHITTAM, John, 30, 33,152,157 ZANARDELLI, Giuseppe, 585, 660 ZANGHIERI, Giovanni, 363 ZANONE, Valerio, 561 ZANUSSI, Giacomo, 373, 402, 436, 534, 617 ZINO, Mario, 606 ZOPPI, Clementina, 592 ZOPPI, Gaetano, 237, 288 ZUCCARI, Luigi, 198 ZUPELLI, Vittorio, 202,239,252,593
INDICE DEL TESTO
Presentazione
Pag.
3
Avvertenza
»
5
Pag.
9
Parte I STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO Le Radici La nascita tumultuosa ................................... .
))
Il brigantaggio .......................................... .
»
I primi anni L'ordinamento Ricotti ................................... .
» ))
33 53 69 91
107 125 143 161 173
L'avvento della sinistra ................................. .
»
Il consolidamento strutturale ............................ .
»
Gli anni della crisi ...................................... .
»
L'affermazione dello Stato Maggiore .................... .
»
La riorganizzazione ..................................... .
»
La guerra in Libia ....................................... .
»
189
La preparazione della guerra ............................. .
»
201
La grande guerra ........................................ .
»
211
Il burrascoso dopoguerra ................................ .
))
I decisivi anni trenta .................................... .
»
La guerra parallela ...................................... .
»
La guerra subalterna .................................... .
»
239 263 295 329
740
STORIA DELL'ESERCITO ITALIANO (1861 · 1990)
Il tragico epilogo . . .. ...... . .. . ........ .. . .. .. . ..... .. .. . La difficile ricostruzione dcli' esercito e la guerra di liberazione .... .. . .. ........ . .. .. ....... ... .
»
369
»
Dalla liberazione al patto atlantico . . ........ .. . . ......... .
»
La crescita eccessiva . . .. ..... .. . .. ........ . .. .. ........ . .
»
Il progressivo ridimensionamento . ........ .. . .. ........ .. . La ristrutturazione .. .. ...... . . .. ........ . .. . .......... . . .
»
La preparazione dei quadri .... . .. . ...... . .. . .. . ......... .
»
Gli anni difficili .. .. .. . ..... ... . . ........ .. . .. ......... . .
»
Il nuovo modello di difesa ... .. . .. ....... .. .. . ......... .. .
»
385 419 441 465 493 513 539 555
GIUSEPPE ARIMONDI ..... .. . . ......... .. . . ......... . .
Pag.
577
>)
Parte II I PROTAGONISTI
PIETRO BADOGLIO . ...... .. . . ......... .. . . ......... .. .
))
578
FEDERICO BAJSTROCCHI ...... . .. . .. . ......... . .. .. . .
»
ANTONIO BALDISSERA . . . .. ........ .. . .. . .. ......... .
»
581 583 585 587 588 589 590
ORESTE BARATIERI .... . . .. .. . ..... . .. . : . .. ......... . .
»
FIORENZO BA VA BECCARIS . . . .. . .. .. . ...... . . .. .. . . .
»
P AOLO BERARDI ....... .. .. .. ... . .... . .. . .. . ......... .
»
ETTORE BERTOLÈ - VIALE ... . .. . .. . ... . ..... . .. .. . . .
»
ALBERTO BONZANI. ..... .. .. . ........ .. . .. .. . ....... .
»
LUIGI CADORNA . . . .. .. ...... . . .. . .. . . ......... .. .. .. .
>)
592
RAFFAELE CADORNA (Senior) .. ........... .. .. . ..... .
»
RAFFAELE CADORNA (Junior) . .. .. . . ............ .. .. .
»
CARLO CANEV A . ........ ..... ........ .. . .. .. . ....... .
»
595 596 598 600 601 603 606 607 609 61 I 612 614
EMILIO CANEVARI ... .. . .. ........ .. . .. .. .. ........ . . .
»
UGO CAVALLERO . .. .. .. . ..... .. . .. .. . ............ . .. .
»
E NRICO CAVIGLIA . . ...... .. .. .. . . ........... .. .. .. .. .
»
LUIGI CHATRIAN . . ....... . .. .. ............ . . .. . .. ... .
»
ENRICO CIALD[NI .... ... . .. . . ......... .. . .. . .. . .. .... .
»
GIUSEPPE CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO .. .
»
CORLO CORSI .... . .. .. ......... . . .. . .. ............... .
»
ENRICO COSENZ ...... ... . .. . .. ........... .. . .. . .. ... .
»
ANDREA CUCrNO . .. . .. ......... .. . . .. . .. .. .......... .
»
741
INOICE DEL TESTO
ALFREDO DALLOLIO ................................ .
»
VINCENZO CESARE DAPINO ........................ .
»
EMILIO DE BONO .................................... . PIETRO BADOGLIO ................................... .
»
GIOVANNI DE LORENZO ........... . ................ .
»
ARMANDO DIAZ ..................................... . ANTONIO DI GIORGIO ............................... . GIUGLIO DOUHET .................................... .
»
»
» »
EMILO FALDELLA ................................... .
»
MANFREDO FANTI ................................... .
»
EMILO FERRERO ..................................... .
»
ALFONSO FERRERO DELLA MARMORA ............ .
»
GIUSEPPE GALLIANO ................................ .
»
PIETRO GAZZERA .................. ............ ...... .
»
GIUSEPPE GOVONE .................................. . RODOLFO GRAZIANI. ...................... . ......... .
»
FRANCESCO SAVERIO GRAZIOLI ................... .
»
GIORGIO LIUZZI .. . ................................... . EFISIO MARRAS ...................................... . NICCOLA MARSELLI ................................. .
»
» ))
))
ENRICO MARTIN! MAURI ........... .......... ....... . LUIGI FEDERICO MENABREA ....................... . GIOVANNI MESSE .................................... .
))
CARLO MEZZACAPO ................................. . LUIGI MEZZACAPO .................................. .
»
CARLO FELICE NICOLIS DI ROBILANT ........... . . . ALBERTO PARIANI. .................................. . LUIGI PELLOUX ...................................... .
))
GIUSEPPE PEROITI .................................. .
»
GIUSEPPE PERRUCCHETTI .......................... .
))
SALVATORE PIANELL ............................... .
»
ALBERTO POLLIO .................................... .
»
DOMENICO PRIMERANO ........................... . .
»
ALESSANDRO RIBERI ................................ . CESARE RICOTTI MAGNANI ......................... . MARIO ROATTA ...................................... .
»
TANCREDI SALEITA ................................. .
» »
»
» »
»
» )}
615 616 618 578 620 622 625 626 628 629 6)1 632 633 634 636 638 639 642 643 645 648 650 652 654 655 656 658 659 661 662 664 665 666 667 668 670 671
742
STORIA DELL' ESERCITO ITALIANO (1861 • 1990)
EDOARDO SCALA .................................... .
»
PAOLO SPINGARDI. .................................. .
»
PIETRO TOSELLI ..................................... .
»
UMBERTO UTILI ..................................... .
»
673 674 676 677
Pag.
681
»
688
Parte III LE TRADIZIONI Le tradizioni
. .. . .. . . .. .. . . .. . .. . .. . .. . . .. .. . . .. . .. . .. . .
11 Milite Ignoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le Stellette
. . . .. . .. . .. . . .. . .. . .. . .. . .. . .. . . .. . .. . .. . . .
»
690
Le ricompense al valore militare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'Araldica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
962
»
693
La sciarpa azzurra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
697
L'onomastica del!' esercito . .. . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . .
»
699
Cravatte rosse e cravatte azzurre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
705
Musei militari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
707
L'ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito........
»
709
Bibliografia
.. . . .. . .. . .. . . .. . .. . . .. . .. . .. . .. . .. . . .. . . ..
»
713
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
725